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Herzog moderno contemporaneo

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213 1. L’inattuale Il cinema di Werner Herzog esprime la condizione paradossale di una continua evasione dalla categoria del “classico”. Non soltanto per l’appartenenza del regista al Nuovo Cinema Tedesco, sviluppatosi tra gli anni Sessanta e Ottanta, e neppure a causa della rigenerazione arti- stica intrapresa nei decenni successivi. Piuttosto, la sua filmografia tutta sembra resistere ai processi di storicizzazione e all’esaurimento estetico delle promesse contenute nella modernità cinematografica. Di fronte alle platee di studenti di cinema che affollano i festival, sperando di car- pire un’idea pratica e praticabile – cosa significa fare cinema oggi? –, la voce di Herzog risuona come parola viva. Ciò non di meno, le modalità produttive e le scelte estetiche del suo cinema si pongono agli antipodi di qualsiasi propensione all’“attualità”. Pur condividendone gli obiettivi estetici e politici, la filmografia her- zoghiana si lascia difficilmente inquadrare all’interno delle linee tema- tiche sviluppate dai registi tedeschi della sua generazione. Dalla trilogia africana degli ultimi anni Sessanta ai film dedicati alla pena di morte Herzog moderno contemporaneo Francesco Zucconi 10_Zucconi_Layout 1 31/10/14 15:00 Pagina 213
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1. L’inattualeIl cinema di Werner Herzog esprime la condizione paradossale di

una continua evasione dalla categoria del “classico”. Non soltanto perl’appartenenza del regista al Nuovo Cinema Tedesco, sviluppatosi tragli anni Sessanta e Ottanta, e neppure a causa della rigenerazione arti-stica intrapresa nei decenni successivi. Piuttosto, la sua filmografia tuttasembra resistere ai processi di storicizzazione e all’esaurimento esteticodelle promesse contenute nella modernità cinematografica. Di frontealle platee di studenti di cinema che affollano i festival, sperando di car-pire un’idea pratica e praticabile – cosa significa fare cinema oggi? –, lavoce di Herzog risuona come parola viva.

Ciò non di meno, le modalità produttive e le scelte estetiche del suocinema si pongono agli antipodi di qualsiasi propensione all’“attualità”.Pur condividendone gli obiettivi estetici e politici, la filmografia her-zoghiana si lascia difficilmente inquadrare all’interno delle linee tema-tiche sviluppate dai registi tedeschi della sua generazione. Dalla trilogiaafricana degli ultimi anni Sessanta ai film dedicati alla pena di morte

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negli Stati Uniti d’America, nessun evento, nessuna scoperta, nessuntema o problema, ha livellato la profondità del suo sguardo sul registromonoplanare della cronaca. Allo stesso modo, nessuna innovazione tec-nologica, nessun esperimento formale, ha costituito mai il fine della suaricerca audiovisiva.

Mai classico e neppure attuale, fin dagli esordi il regista tedescoha saputo legarsi al suo tempo secondo le forme dell’inattuale, come«colui che non coincide perfettamente con esso né si adegua alle suepretese ed è perciò, in questo senso, inattuale; ma, proprio per que-sto, proprio attraverso questo scarto e questo anacronismo, egli è ca-pace più degli altri di percepire e afferrare il suo tempo»1.L’impressione è che la contemporaneità di Herzog, la sua capacità diparlare a una platea di studenti nati negli anni in cui il sodalizio conKlaus Kinski era già concluso, risieda nell’inattualità del suo cinemae nel rapporto, mai veramente chiuso dal regista, con alcuni capisalditeorici della modernità.

Le pagine che seguono cercheranno di sviluppare questa traccia. Inparticolare, si guarderà ai grandi film girati negli anni Settanta e Ottantainsieme a Kinski dalla prospettiva di quelli prodotti negli anni Duemilae, infine, si arriverà a quest’ultimi, scorgendo piani di continuità e dif-ferenze tra l’avventura del cinema moderno e quanto, di ancora aperto,si conviene di chiamare contemporaneo.

2. Modernità di Werner HerzogUn uomo appassionato d’opera lirica, d’una passione febbrile capace

di smuovere le montagne, acquista un battello, lo dota di un grammo-fono e si avventura nella foresta amazzonica, a tutto volume.

1 G. Agamben, Che cos’è il contemporaneo?, in Id., Nudità, Nottetempo, Roma 2009, p.20, corsivo mio.

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È forse questo il racconto minimo del cinema herzoghiano, nel qualeè possibile riconoscere la presenza dei due grandi assi che, dal neorea-lismo alla Nouvelle Vague al Nuovo Cinema Tedesco, hanno caratte-rizzato la modernità: da un lato la tensione dell’immagine ad assolverela propria funzione documentale nei confronti del “reale” attraversoun’estetica basata sull’apertura alla contingenza, al cambiamento, al“fatto”2; dall’altro, una concezione del film come oggetto artistico “im-puro”, autoriflessivo, luogo di accoglienza e rielaborazione delle formeculturali ereditate dalla tradizione3.

Fin dalle prime inquadrature, Fitzcarraldo (1982; Id.) costituisce

2 A fondamento di questa prima linea teorica possono essere ascritti i passi dell’opera diAndré Bazin dedicati al neorealismo e soprattutto al cinema di Roberto Rossellini, maanche l’“ontologia dell’immagine fotografica”, cfr. A. Bazin, Qu’est ce-que le cinéma?, Édi-tions du Cerf, Paris 1985, tr. it. Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1999, pp. 275-333e pp. 3-10.3 È questo il Bazin del “cinema impuro”, cfr. ivi, pp. 119-142. Per un’ampia riflessionesulle differenti forme di presenza delle due direttrici qui schematizzate all’interno dellakoinè internazionale della modernità cinematografica, cfr. G. De Vincenti, Lo stile mo-derno. Alla radice del contemporaneo: cinema, video, rete, Bulzoni, Roma 2013, soprat-tutto pp. 36-40.

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la perfetta tematizzazione di tale estetica bipolare. Per ottenere lacredibilità e i soldi necessari alla costruzione del Teatro dell’Operanel piccolo villaggio amazzonico di Iquitos, l’imprenditore BrianSweeney Fitzgerald è costretto a intraprendere un pericoloso viaggioalla ricerca di nuovi territori dai quali ricavare il caucciù. L’atto esplo-rativo nel cuore della foresta costituisce il programma d’uso per lacostruzione del Tempio della Musica; l’apertura alla contingenza èpropedeutica alla realizzazione del progetto culturale. Ma se la sfidadi una natura selvaggia è quanto occorre accettare e vincere per arri-vare successivamente a innalzare il Teatro, il riferimento musicale eteatrale dell’opera accompagna l’intera spedizione, suscitando l’ado-razione degli indios e contribuendo a superare le fasi traumatiche delviaggio. Mentre la macchina da presa segue le azioni fuori misura del-l’imprenditore – dall’aurorale spedizione in barca a remi per andaread ascoltare Enrico Caruso all’avventura lungo il fiume Pachitea, finoal passaggio della nave sopra la montagna – il montaggio audiovisivo,realizzato sulla scena del film mediante un grammofono, sottrae leimmagini del viaggio al regime della cronaca per aprirle ai tempi e airitmi della tradizione musicale occidentale.

L’opposizione tra lo spazio aperto della foresta amazzonica e quellochiuso, monadico, dell’opera italiana dà figura al campo di tensioni cheattraversa, a vari livelli, l’intero film. Il progetto imprenditoriale delprotagonista riuscirà a realizzarsi in contingenze tanto pericolose? E ilprogetto estetico del regista – il film stesso – approderà a un esito nar-rativo coerente e conforme al genere del film di finzione o assumeràpiuttosto le forme del frammento e dell’incompiuto a causa di un im-previsto, di un improvviso e ineludibile ostacolo?

Quando gli indios liberano la nave dagli ormeggi, la macchina dapresa di Herzog, non meno del megafono di Fitzcarraldo, si espone alrischio di un danneggiamento capace di compromettere la realizzazionedel film stesso. La nave scivola sulle rapide, il protagonista sbraita ecerca di deviare il percorso quando la prua urta violentemente alcune

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rocce. L’operatore risente delle scosse e il montaggio finale del filmmantiene le aberrazioni visive prodotte dagli accidenti ai quali la stra-tegia produttiva ed estetica di Herzog, ormai coincidenti, hanno sot-toposto la forma cinematografica.

“Ogni film è un film di finzione”, potrebbe asserire – rileggendouno dei massimi teorici del Novecento4 – chi volesse rimarcare il ca-rattere imprescindibile della componente autoriflessiva, formalista,della settima arte. “Ogni film è un documentario”, risponderebbe in-vece chi – sulla scorta di una concezione del cinema che raggiunge ilsuo apice nella Nouvelle Vague per essere ripresa nella teoria del do-cumentario stesso5 – volesse rimarcare la presenza, all’interno di ogniopera, di una serie di tracce capaci di rimandare alle coordinate este-tiche e pragmatiche della sua realizzazione. Non occorrerà attenderela pubblicazione dei diari di Herzog6, oppure la visione di Mein liebster feind - Klaus Kinski (1999; Kinski, il mio nemico più caro) –dove si raccontano gli incidenti subiti dalla troupe durante le ripresedi un film “manierista” e “povero” come Fitzcarraldo –, per arrivarea comprendere come, per il regista tedesco, nessuna delle due asser-zioni possa bastare. Piuttosto, stando al suo cinema e all’estetica bi-polare che lo caratterizza, “ogni film è allo stesso tempo un film difinzione e un documentario”. Sono le tracce della contingenza pre-senti in una “fiction” come Fitzcarraldo a rendere possibile il lavorodi manipolazione e revisione critica di quegli stessi materiali all’in-terno di un “documentario” come Kinski, il mio nemico più caro.

4 C. Metz, Le signifiant imaginaire. Psychanalyse et cinéma, Christian Burgois Éditeur,Paris 1993, tr. it. Cinema e psicanalisi, Marsilio, Venezia 2002, p. 55.5 B. Nichols, Introduction to Documentary, Indiana University Press, Bloomington 2002,tr. it. Introduzione al documentario, Il Castoro, Milano 2006, p. 13.6 W. Herzog, Eroberung des Nutzlosen, Carl Hanser Verlag, München 2004, tr. it. La con-quista dell’inutile, Mondadori, Milano 2007.

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Se nel film del 1982 la rielaborazione delle forme espressive otto-centesche dell’opera lirica e la realizzazione del film in condizioniprecarie procedono di pari passo, mentre “natura” e “cultura” si sfio-rano e tendono alla sintesi nel progetto estremo di Fitzcarraldo, i dueassi della modernità possono essere isolati, o quantomeno osservatinei momenti di massima visibilità, attraverso due film del decennioprecedente.

Aguirre, der Zorn Gottes (1972; Aguirre, furore di Dio) è interamentegirato dentro la foresta e la narrazione stessa sembra adeguarsi allo scor-rere delle acque, talvolta calme, talaltra minacciose, del Rio delle Amaz-zoni e dei suoi affluenti. In uno dei passaggi iniziali del film, quando iconquistadores salgono per la prima volta sulle zattere e affrontano lacorrente, Herzog ricorre a una particolare scelta compositiva: la se-quenza dura circa quattro minuti e monta venticinque inquadrature.Dapprima la macchina da presa si colloca in una posizione indefinita eisola, tra le altre, le figure di Gonzalo Pizarro, Don Pedro de Ursùa,Lope de Aguirre e il frate Gaspar de Carvajal, che osservano il paesag-gio dalle rispettive imbarcazioni. Dal momento in cui il fiume s’ingrossae la corrente mette in pericolo la traiettoria di navigazione, lo sguardodella camera si manifesta in quanto sguardo mondano, situato all’in-terno del barcone di Aguirre. Se nelle inquadrature precedenti erano le

imbarcazioni a muoversimentre la camera restavaperlopiù fissa, qui, di frontealla forza dirompente delfiume fangoso, l’operatoreeffettua due tentativi di resti-tuire a trecentosessanta gradile condizioni ambientali diassoluta instabilità nellequali si effettua la ripresa delfilm.

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Che non basti ricorrere alla camera a spalla oppure effettuare pi-roette per garantire una “presa sul reale” da parte delle immagini èun assunto di base, tanto banale da non richiedere ulteriori precisa-zioni. Piuttosto che un virtuosismo dell’operatore, la ripresa sullazattera esprime la specifica declinazione herzoghiana di un’esteticacinematografica aperta alla dinamica degli eventi, basata sull’idea cheoccorra far procedere il racconto e allo stesso tempo dare figura allesfide di carattere ambientale e tecnico imposte alla lavorazione delfilm. È così che, al di là di una concezione statica dei generi, il film,considerato nell’aspettualità del suo farsi, può costituire un luogo dicontinua sovrapposizione e traduzione tra lo spazio “chiuso” del sete quello “aperto” nel quale si muove la troupe.

Del resto, fin dall’inizio del film, dove una lunghissima proces-sione scende dalle pendici della montagna, Aguirre, furore di Diosembra assumere lo statuto di una performance audiovisiva in co-stume cinquecentesco nel cuore del continente sudamericano. Mentrela musica dei Popol Vuh smargina nella sequenza successiva e la voceoff legge il diario di de Carvajal, entra in scena la figura irruente delconquistador interpretato da Kinski che strattona i portantini e rivelaallo spettatore, con i suoi gesti scomposti, l’assoluta inefficacia ri-spetto all’ambiente degli equipaggiamenti dei quali è dotato. Se i can-noni che sprofondano nella melma rimandano da subito allapesantezza del sistema produttivo della cinematografia – quand’an-che “leggera” o “indipendente” –, l’affanno e gli incidenti subiti daiprotagonisti del film, i loro abiti che si impregnano di acqua sporcae le armature che si deformano costituiscono la manifestazione figu-rativa dell’orizzonte di eventi e accidenti al quale Herzog stesso e latroupe hanno deciso di aprirsi e che il regista restituirà, nei suoiaspetti aneddotici, in progetti filmici ed editoriali successivi.

Il tempo del racconto scorre e il gruppo di conquistadores si as-sottiglia fino a identificarsi in una sola persona, Aguirre, e nel suodelirio superomistico. La disgregazione di qualsiasi progetto razio-

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nale è compiuta e, tuttavia, fino alla fine del film, Herzog mostra laritualità del potere religioso e laico come ultima e ostinata resistenzadella civiltà occidentale. La rappresentazione del potere si presentanella sua ottusità. La teatralità della messa in scena cinematograficaironizza sull’insostenibile ingombro dell’apparato gerarchico spa-gnolo e rivela il processo di svuotamento semantico che intacca l’ico-nografia del potere riducendola a pura maniera.

Nosferatu: Phantom der Nacht (1978; Nosferatu, il principe dellanotte) può essere invece considerato, all’interno della filmografia her-zoghiana, in quanto massima espressione della tendenza “moderna”a reinterpretare i testi della tradizione culturale manifestando, con lamessa in scena, il lavoro di rielaborazione e aggiornamento delle loroforme espressive.

Dopo l’impresa di Jeder für sich und Gott gegen alle (1974; L’enigmadi Kaspar Hauser), dove si ricostruiscono le vicende storiche documen-tate del “ragazzo selvaggio” comparso a Norimberga nel 1828, e subitoprima di Woyzeck (1979; Id.) ispirato a Georg Büchner, il Nosferatu diHerzog è innanzitutto un’occasione di confronto con Nosferatu, eineSymphonie des Grauens (1922; Nosferatu il vampiro) di Friedrich Wilhelm Murnau. «Ho cercato strenuamente di ricollegare Nosferatu

alla nostra autentica ereditàculturale tedesca, i film mutidell’epoca di Weimar e leopere di Murnau in partico-lare»7, espliciterà Herzog inun’intervista, senza perderedi vista il romanzo di BramStoker, considerato al di là

7 W. Herzog, Herzog on Herzog, a cura di P. Cronin, Faber & Faber, London 2002, tr. it.Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita, a cura di F. Cattaneo, Mini-mum Fax, Roma 2009, p. 181.

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del suo valore letterario come «una specie di centone di tutte le storiedi vampiri che circolavano dall’epoca romantica»8.

Dal punto di vista della composizione dell’immagine, dalle primeinquadrature alla fine del film, si riconoscono invece due grandi riferi-menti iconografici. Il lungo viaggio di Jonathan verso la dimora delPrincipe della Notte e il suo percorso ascensionale si lasciano inqua-drare all’interno di una cornice romantica: come in un dipinto di CasparDavid Friedrich, la figura umana si riconosce appena mentre si addentranelle atmosfere glaciali e vaporose di un paesaggio che dischiude l’ac-cesso al sublime. Parallelamente, anche la vita intorpidita di Lucy, cheaspetta il ritorno del marito nella città di Wismar, si scandisce in rela-zione al repertorio iconografico ottocentesco: gli incubi notturni ripro-ducono le posture plastiche dei personaggi di Johann Heinrich Füssli,mentre le ore del giorno si susseguono secondo i temi e i cromatismidei Preraffaelliti. Il filtro iconografico romantico che inquadra la messain scena introduce e giustifica la più rilevante differenza tra il film del1979 e quello del 1922: per Herzog il vampiro non è soltanto un’ombra;nell’interpretazione kinskiana Nosferatu acquisisce un corpo ed è ani-mato dal desiderio. Un corpo fuori misura, inadatto all’esperienza dellepassioni umane, grottesco.

Trattando di Nosferatu, il riferimento a Murnau è chiaro ed è purlecito parlare di remake. Ma piuttosto che delimitare la profondità sto-rico-culturale dell’indagine herzoghiana agli anni Venti del Novecento,il capolavoro dell’Espressionismo tedesco sembra costituire una porta,un varco d’accesso alla cultura letteraria e pittorica dell’Ottocento e altema folklorico del vampirismo. La ripresa di Stoker e Murnau, cosìcome il riferimento alla cultura visuale del Romanticismo, non si esau-risce in una pratica citazionistica ma è l’occasione per intraprendere una

8 Ivi, p. 185.

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riflessione sui rapporti tra generazioni e sulle forme idonee a mantenerein vita e ibridare le forme della cultura. «Questo film ha costituito perme il capitolo finale di quel processo di “rilegittimazione” della culturatedesca che andava avanti da anni»9, dichiara Herzog stesso in un’in-tervista. E ancora prosegue,

«in quanto registi divenuti maggiorenni all’inizio e verso la metà degli anniSessanta, siamo stati la prima vera generazione postbellica, giovani tedeschiprivi di punti di riferimento. Eravamo orfani, senza insegnanti o maestri dacui potessimo imparare e di cui volessimo seguire le orme. Proprio per questalibertà da qualsiasi tradizione o rituale il cinema tedesco degli anni Sessanta eSettanta è stato fresco e stimolante e capace di proporre una gran varietà disoggetti e stili. La generazione dei padri o aveva parteggiato per la barbaricacultura nazista oppure era stata cacciata dal paese. […] Si è aperto un vuoto ditrent’anni. Non puoi lavorare come regista senza avere un qualche legame conla tua cultura. La continuità è vitale. Perciò i nostri punti di riferimento sonodiventati i nostri “nonni” – Lang, Murnau, Pabst e altri. […] Quando ho finitoNosferatu mi ricordo di aver pensato: “Adesso ho stabilito un legame, final-mente ho raggiunto l’altra sponda del fiume”»10.

Il film più autoriflessivo e apparentemente ripiegato sul passato ditutta la produzione herzoghiana degli anni Settanta e Ottanta sembra of-frire, al contrario, la massima tematizzazione del problema storico e po-litico alla base del Nuovo Cinema Tedesco: la necessità di ripensare ilrapporto con le generazioni precedenti e ristabilire un legame con la tra-dizione tedesca ed europea. Con la morte di Nosferatu e la sua rigenera-zione nel personaggio di Jonathan – un esito del tutto assente nel film diMurnau – si prefigura la serialità a venire e si esplicita il principio di im-plementabilità che sta alla base di ogni grande testo di cultura. Come il

9 Ivi, p. 181.10 Ivi, pp. 181-182.

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vampiro muore, si spegne nell’appagamento del desiderio umano, per ri-generarsi in un nuovo corpo, così il film si chiude e allo stesso tempo siapre alle interpretazioni e agli usi delle generazioni a venire.

Che si tratti di Aguirre, Nosferatu o Fitzcarraldo – nomi propri disfide lanciate all’impossibile – la produzione di Herzog non si limita afar lavorare insieme i due assi della modernità; non fa convergerel’istanza attestativa e quella autoriflessiva del cinema, fino allo sciogli-mento della polarizzazione stessa, ma lascia aperto il conflitto, ponel’una in tensione con l’altra. Che prevalga il richiamo del viaggio e ilsenso dell’apertura che ne consegue o che primeggi l’attitudine a riela-borare le opere dei secoli passati e della storia del cinema, l’estetica diHerzog non cede mai alle semplificazioni del realismo e del naturalismoo alle tentazioni ludiche dell’autoreferenzialità artistica. Piuttosto, comeun filo rosso che attraversa la sua filmografia, occorre saper riconoscerel’idea di sottoporre uno schema dato (la sceneggiatura, un genere cine-matografico, un’opera della tradizione musicale o letteraria) alla provadella contingenza, ovvero assegnarsi una sfida di ampia portata che mi-naccia la tenuta dello schema stesso e ne garantisce la trasformazionesemantica e la rigenerazione estetica. Alla ricerca di un contatto diretto,

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un rapporto panico, con la natura si contrappongono i tentativi di ascesivisionaria e quelli di una elevazione superomistica. Di fronte a una na-tura indomabile, misteriosa e inesperibile in sé – l’Amazzonia in quanto“luogo in cui Dio non ha portato a termine la creazione” oppure il ca-stello transilvanico descritto come “un grande abisso che inghiottechiunque vi si avvicina” – occorre spingere la cultura musicale e lette-raria occidentale oppure la cultura religiosa dei conquistadores fino ailimiti della loro tenuta figurativa e ideologica, lasciando affiorare, nellecrepe o negli indurimenti prodotti su tali cornici di senso, il sublime,oppure il pittoresco (il finale di Fitzcarraldo), il grottesco (Nosferatu)e l’orrore (Aguirre).

La dichiarazione herzoghiana «i miei film sono stati realizzatispesso solo con straordinari atti di forza»11, non è da riferirsi soltantoagli aspetti produttivi e neppure al rapporto tra l’uomo e l’ambienteespresso al livello delle forme del contenuto, ma chiama in causa latensione che si stabilisce tra le forme dell’espressione. Se ogni cor-rente della modernità cinematografica ha avuto bisogno di perso-naggi con i quali lo sguardo del regista potesse stabilire un rapporto“libero indiretto”, Klaus Kinski costituisce il “personaggio prete-stuale” dell’estetica herzoghiana12. Tanto più le figure da lui inter-pretate sfidano le leggi umane e naturali e mostrano l’attrito, ildisaccordo, di azioni fuori misura, quanto più il lavoro di inquadra-tura e montaggio di Herzog è in grado di manifestare il rapporto tra

11 E. Reitz, Bilder in Bewegung. Essays. Gespräche zum Kino, Rowohlt Taschenbuch Verlag,Hamburg 1995, tr. it., La notte dei registi. Il cinema tedesco in venticinque interviste, a curadi A. Tinterri - V. Wiethaler, Bulzoni, Roma 2002, p. 59.12 Sulla soggettiva libera indiretta e sull’idea che il cinema moderno sia caratterizzato da“personaggi pretestuali” che offrono al regista la giustificazione per proporre una visionedel mondo in stato di alterazione, cfr. P.P. Pasolini, Il cinema di poesia, in Id., Empirismoeretico, Garzanti, Milano 2007, pp. 167-187. L’idea di Pasolini costituisce uno dei punti diriferimento delle grande riflessione deleuziana sulla modernità, cfr. G. Deleuze, L’image-temps, Éditions de Minuit, Paris 1985, tr. it. L’immagine-tempo, Milano, Ubulibri 1989.

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forme e forze che mantiene in tensione l’immagine13. È per questomotivo che il regista tedesco ha bisogno di uno “squilibrato” con ilquale viaggiare, prendendone talvolta le distanze ma condividendonel’attitudine alla dismisura. Passando attraverso la costruzione di per-sonaggi “smisuratamente grandi” – dalle figure kinskiane agli alpi-nisti di Cerro Torre: Schrei aus Stein (1991; Grido di pietra) – o“smisuratamente piccoli” – Auch Zwerge haben klein angefangen(1970; Anche i nani hanno cominciato da piccoli)14 –, i film degli anniSettanta, Ottanta e Novanta si caratterizzano per la tendenza a con-siderare il sublime come approdo della ricerca; che si tratti di un “su-blime dinamico” – Aguirre, Fizcarraldo, La Soufrière (1976; Id.) – o di un “sublime matematico”: da Fata Morgana (1971; Id.) aLektionen in Finsternis (1992; Apocalisse nel deserto)15.

Moderno, Herzog, ma anche rispetto alla modernità cinematograficapropriamente detta, fondata sul superamento dell’estetica Ottocentescae sull’annichilimento dell’azione, inattuale. Interprete di un modernoimpuro, “atletico” e romantico che costituirà il punto da cui partire perla rigenerazione estetica negli anni della piena maturità.

3. Contemporaneità di Werner HerzogLa scomparsa di Klaus Kinski nel 1991 traccia una linea orizzontale

nella filmografia del regista tedesco. Nonostante fossero passati quattro

13 Sul rapporto tra forme e forze nell’estetica del cinema e in particolare nel cinema di Herzog, cfr. R. De Gaetano, La potenza delle immagini. Il cinema, la forma e le forze, ETS,Pisa 2012, pp. 42-45.14 Per una riflessione su Herzog che parte proprio dall’opposizione tra il “grande” e il “pic-colo”, cfr. G. Deleuze, L’image-mouvement, Éditions de Minuit, Paris 1983, tr. it. L’im-magine-movimento, Ubulibri, Milano 1984, pp. 212-214.15 Per un’“analitica del sublime” come per la distinzione tra sublime matematico e dinamico,cfr. I. Kant, Kritik der Urteilskraft, tr. it. Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Gar-roni - H. Hohenegger, Einaudi, Torino 1999, pp. 80-113.

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anni dall’ultimo film girato insieme e nonostante le loro biografie pro-cedessero in direzioni ormai divergenti, con la morte di Kinski, Herzogsi trova costretto a colmare un vuoto; il vuoto lasciato dall’alter ego deisuoi film più eroici e visionari, il personaggio al quale era possibile ag-ganciare una soggettiva libera indiretta capace di condurre oltre il limiteogni progetto, qualsiasi soggetto. Non è la semplice separazione daqualcuno con cui si sono trascorsi momenti indimenticabili, facendodell’amore e dell’odio un tutt’uno. Non si tratta di dire “addio”, ma difare i conti con quanto costruito insieme nei cinque film condivisi, neglianni di frequentazione, e portarlo avanti.

Aguirre, Nosferatu, Woyzeck, Fitzcarraldo e Cobra Verde (1987; Id.):nel 1999 le immagini dei film realizzati tra gli anni Settanta e Ottanta ven-gono rimontate come materiale d’archivio in Kinski, il mio nemico piùcaro. Herzog stesso è presente sulla scena ed esplicita allo spettatore lecontingenze di realizzazione dei film del passato: i problemi di ordineambientale, gli escamotage tecnici, le molte discussioni con Kinski e leinfinite qualità della sua tecnica attoriale. Il film costituisce in qualchemodo una forma di “elaborazione del lutto”, ma non si esaurisce dicerto in una questione privata. I fotogrammi di repertorio restituisconola gioia di un abbraccio tra i due e il senso della perdita, il sentimentodella mancanza come condizione psicologica individuale. Ma come èstato osservato in una delle riflessioni più intense dedicate a questo film,«quelle immagini esistono, non riportano l’uomo in vita […], né lo con-servano, ma riportano la relazione alla sua efficacia specifica che le per-mette di disegnare lo spazio in cui gli enti agiscono»16. Tornando aguardare il lavoro di Kinski, scomponendo i suoi gesti e valutandocome riattivare il loro potenziale emotivo e semantico, Herzogasciuga la spettralità postuma delle immagini dell’attore e pone le

16 M. Dinoi, Lo sguardo e l’evento. I media, la memoria, il cinema, Le Lettere, Firenze2008, p. 134.

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condizioni per restituire una nuova vita alle sue posture, alle sueforme passionali. Tale aspetto raggiunge il culmine nella sequenzadel film dedicata alla “Spirale-Kinski”, nella quale Herzog si dilungaa descrivere nei minimi dettagli il movimento scenico ideato dall’at-tore e basato sull’idea di sostituire l’ingresso laterale nell’inquadra-tura con un movimento fluido in cui l’intero corpo si srotolaorganicamente. Riproducendo, rimettendo in scena il movimento at-toriale di Kinski, Herzog compie un’operazione descrittiva e, al con-tempo, lo interpreta, riaffermandone e rigenerandone l’efficacia.

Man mano che il film scorre, man mano che il processo di appren-dimento e rielaborazione delle forme espressive si svolge, lo spazio sce-nico lasciato vuoto dall’attore tedesco inizia a riempirsi di una nuovafigura. Al protagonismo se-riale di Kinski si avvicendaquello di Herzog. Alla fi-gura eroica del primo si so-stituisce quella del registastesso. Un cambiamento at-toriale che implica una tra-sformazione estetica. Se iruoli interpretati da Kinskiponevano in atto, in quanto“personaggi pretestuali”, una sfida tra “natura” e “cultura” che si sta-bilizzava nelle forme del sublime, la presenza del regista sulla scena,impegnato a osservare e rimontare le immagini dei suoi film del passato,è la manifestazione figurativa di uno sguardo riflessivo e compiuta-mente intermediale.

Nonostante il regista avesse già recitato o fatto ricorso alla propriavoce narrante in alcune opere precedenti, il film del 1999 apre unanuova stagione del cinema herzoghiano basata sulla centralità della suapresenza scenica in quanto regista e sul montaggio di immagini d’ar-chivio. Senza Kinski e “al posto di Kinski”, Herzog non perde il senso

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17 P. Montani, L’immaginazione intermediale. Perlustrare, rifigurare, testimoniare il mondovisibile, Laterza, Roma-Bari 2010, p. 26. Sul passaggio da un’estetica del sublime a un’este-tica intermediale, cfr. ivi, pp. 34-48.18 W. Herzog, La dichiarazione del Minnesota. Verità e dato di fatto nel cinema documen-tario, pubblicata in appendice a D. Dottorini (a cura di), Essere esposti alla natura. Con-versazione con Werner Herzog, in «Fata Morgana», 6, 2008, pp. 19-20.

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della sfida e la fascinazione per l’alterità “oscena” della natura, ma cercasoluzioni, approdi e forme di appagamento estetico diversi rispetto alsublime. Operando sulla scena i propri montaggi, accostando filmatieterogenei, svelando allo spettatore le retoriche della comunicazioneaudiovisiva e mostrando continuamente lo scarto tra i fotogrammi, ilcinema di Herzog si carica di implicazioni etiche e spinge al limite lepotenzialità testimoniali dell’immagine. Come è stato scritto a propo-sito di Grizzly Man (2005; Id.) – in una riflessione che si spinge ben aldi là dei problemi posti dalla filmografia del regista tedesco –, «Herzognon fa che autenticare – selezionandole, rimontandole e commentan-dole, talvolta in prima persona, spesso con altre immagini, qua e là de-nunciandone gli artifici – le riprese realizzate in Alaska da TimothyTreadwell, l’esaltato e stravagante difensore dei grandi orsi»17.

Gli assi della modernità – l’istanza attestativa e quella autorifles-siva del cinema – rintracciati nei grandi film dei decenni precedenticontinuano a lavorare insieme, ma a essersi allentata è piuttosto latensione tra i due. Non si tratta più di forzare l’uno in direzionedell’altro fino a produrre il sublime, ma di comprendere le sinergieche si instaurano, così da poter garantire l’efficacia testimoniale delleimmagini. Mentre la “Dichiarazione del Minnesota”18 annichiliscesul piano teorico ogni residuale naturalismo della rappresentazionecinematografica, la produzione herzoghiana successiva al 1999 ma-nifesta la coalescenza di una dimensione documentale e di una fin-zionale all’interno di ogni immagine. Riprendere, rimontare,“autenticare” immagini del passato significa, per Herzog, riconoscere

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e manifestare il film documentario immanente a qualsiasi film di fin-zione, oppure svelare le retoriche e le strategie adottate per la com-posizione di qualsiasi documento. Da The White Diamond (2004; Ildiamante bianco) a Encounters at the End of the World (2007; Id.),nel mostrare i limiti dell’immaginazione, non si indugia sulla negati-vità del sublime ma si ribadisce l’intenzione e lo slancio per produrreimmagini all’altezza del mondo, come forma precipua di adattamentodell’uomo all’ambiente.

Al posto di Kinski, Herzog e la sua macchina da presa esprimonouna protensione tutt’altro che naturalistica verso il dato e al contempo,in modo non conflittuale, una riflessione tutt’altro che autoreferenzialesulle immagini che, nel corso del tempo, hanno inquadrato il senso e sisono affermate come senso comune.

Si muove da un continente all’altro, passa da un medium all’altro,da un’epoca all’altra, con estrema libertà. Che si tratti, come in TheWild Blue Yonder (2005; L’ignoto spazio profondo), di rielaborare leimmagini realizzate dalla NASA o che, come in Cave of ForgottenDreams (2010; Id.), si esplorino attraverso il 3D le pitture parietalirisalenti al Paleolitico superiore scoperte nella Grotta Chauvet, Her-zog mantiene un rapporto anacronistico con la tecnologia e nonperde di vista l’importanza di considerare quest’ultima in quanto téchne, sapere pratico, capacità espressiva che trascende ogni ingenuoentusiasmo per il nuovo che avanza. Indifferente alle mode e abituatoa riconoscere i piani di continuità sotto la superficie del cambia-mento, come pochissimi autori della sua generazione, è capace diconfrontarsi con l’orizzonte tecnologico ed estetico del nuovo mil-lennio.

Amico di Lotte Eisner, compagno di strada di Volker Schlöndorff,Edgar Reitz e Wim Wenders, nel passaggio da un’estetica del sublime aun’estetica intermediale, il regista bavarese non sembra essersi identifi-cato mai, completamente, nella parabola di nessun movimento cinema-tografico. Forse Herzog non è mai stato neppure “moderno”, ma ha

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sempre interpretato i principi elastici della modernità secondo le pro-prie urgenze ed esigenze.

È per questo che ogni giovane regista o chiunque voglia contribuirea creare immagini del mondo che restituiscano fiducia allo sguardo hasenza dubbio ragione di sentirlo suo contemporaneo.

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