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Il Digesto fuori dal Digesto, in Interpretare il Digesto. Storia e metodi, a c. di A. Padoa ...

Date post: 28-Mar-2023
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Il Digesto fuori dal Digesto EMANUELE CONTE Università Roma Tre 1. Utraque lex: l’uso ‘romanico’ del Digesto da parte della cultura gregoriana «Un solo esemplare [del Digesto] si era conservato, e riapparve verso la fine del seco- lo XI, verso il 1070, in qualche luogo dell’Italia. E fu un evento casuale di importan- za storica per il mondo, che ha condizionato nel bene e nel male il destino della scien- za giuridica fino al giorno d’oggi. E un ulteriore evento casuale volle che una copia di quel manoscritto che si trova oggi a Firenze cadesse nelle mani di un uomo geniale, che si è cercato di identificare con il grammatico Guarnerius di Bologna; lo stesso che i posteri (non sappiamo bene perché) chiamarono Irnerio. Questi studiò il libro dap- prima con gli occhi del filologo: confrontò il suo testo con quello di qualche estratto del Digesto risalente ai tempi di Giustiniano, e stabilì con straordinario giudizio da entrambe le fonti, nel suo proprio manoscritto, un nuovo testo, la Vulgata del Digesto, la quale ha goduto di validità legislativa fino al XIX secolo. Da questo manoscritto derivano tutti i manoscritti del Digesto, senza eccezione. Ma leggere e comprendere il Digesto significa diventare giuristi». «Die Digesten lesen und verstehen, heisst Jurist werden». A un secolo esatto di distanza dall’uscita del Beruf di Savigny, che fondava ufficialmente la scuola storica tedesca, con la centralità della Pandette, Hermann Kantorowicz 1 sintetizzava così il mutamento drastico che il ritrovamento del Digesto avrebbe provocato nella cultura occidentale. Un «Weltgeschichtlicher Zufall», un evento casuale di portata epocale, «che nel bene e nel male ha determinato il destino della scienza giuridica fino ad oggi», sarebbe costituito dal fatto che una copia del manoscritto che si trova oggi nella Biblio- 1 H.U. KANTOROWICZ, Die Epochen der Rechtswissenschaft, poi in ID., Rechtshistorische Schriften, hrsg. von H. COING - G. IMMEL, Karlsruhe 1970, 1-14, spec. 3-4. Il saggio uscì nel 1914 sulla rivista Die Tat, che raccoglieva i contributi di intellettuali impegnati in diverse discipline e accomunati da un’ansia di rinnovamento nel campo religioso come in quello filosofico e giuridico che si esprimeva nel sottotitolo Wege zu einem freie Menschentum. Cfr., fra gli altri studi sulla rivista, M. PULLIERO, Une modernité explosive: la revue Die Tat dans les renouveaux religieux, culturels et politiques de l’Allemagne d’avant 1914-1918, Genève 2008, spec. 507 ss. sul legame della rivista con il movimento per il Freirecht di Kantorowicz e Radbruch.
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Il Digesto fuori dal Digesto

EMANUELE CONTEUniversità Roma Tre

1. Utraque lex: l’uso ‘romanico’ del Digesto da parte della cultura gregoriana«Un solo esemplare [del Digesto] si era conservato, e riapparve verso la fine del seco-

lo XI, verso il 1070, in qualche luogo dell’Italia. E fu un evento casuale di importan-za storica per il mondo, che ha condizionato nel bene e nel male il destino della scien-za giuridica fino al giorno d’oggi. E un ulteriore evento casuale volle che una copia diquel manoscritto che si trova oggi a Firenze cadesse nelle mani di un uomo geniale, chesi è cercato di identificare con il grammatico Guarnerius di Bologna; lo stesso che iposteri (non sappiamo bene perché) chiamarono Irnerio. Questi studiò il libro dap-prima con gli occhi del filologo: confrontò il suo testo con quello di qualche estrattodel Digesto risalente ai tempi di Giustiniano, e stabilì con straordinario giudizio daentrambe le fonti, nel suo proprio manoscritto, un nuovo testo, la Vulgata del Digesto,la quale ha goduto di validità legislativa fino al XIX secolo. Da questo manoscrittoderivano tutti i manoscritti del Digesto, senza eccezione. Ma leggere e comprendere ilDigesto significa diventare giuristi».

«Die Digesten lesen und verstehen, heisst Jurist werden». A un secolo esatto didistanza dall’uscita del Beruf di Savigny, che fondava ufficialmente la scuola storicatedesca, con la centralità della Pandette, Hermann Kantorowicz1 sintetizzava così ilmutamento drastico che il ritrovamento del Digesto avrebbe provocato nella culturaoccidentale. Un «Weltgeschichtlicher Zufall», un evento casuale di portata epocale,«che nel bene e nel male ha determinato il destino della scienza giuridica fino ad oggi»,sarebbe costituito dal fatto che una copia del manoscritto che si trova oggi nella Biblio-

1 H.U. KANTOROWICZ, Die Epochen der Rechtswissenschaft, poi in ID., Rechtshistorische Schriften, hrsg. von H. COING -G. IMMEL, Karlsruhe 1970, 1-14, spec. 3-4. Il saggio uscì nel 1914 sulla rivista Die Tat, che raccoglieva i contributidi intellettuali impegnati in diverse discipline e accomunati da un’ansia di rinnovamento nel campo religioso comein quello filosofico e giuridico che si esprimeva nel sottotitolo Wege zu einem freie Menschentum. Cfr., fra gli altri studisulla rivista, M. PULLIERO, Une modernité explosive: la revue Die Tat dans les renouveaux religieux, culturels et politiquesde l’Allemagne d’avant 1914-1918, Genève 2008, spec. 507 ss. sul legame della rivista con il movimento per ilFreirecht di Kantorowicz e Radbruch.

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teca Mediceo Laurenziana di Firenze sia capitata proprio nelle mani di un «uomogeniale», che si è voluto identificare con il maestro di grammatica bolognese Irnerio.

Nonostante la profonda critica che qualche anno prima aveva levato contro la scuo-la storica e il suo fondatore,2 Kantorowicz era concorde con la ricostruzione che erastata proposta da Savigny e accolta dai pandettisti: la nascita della scienza del dirittodipendeva dalla riscoperta del Digesto e dalla capacità prodigiosa dei giuristi medieva-li di entrare ‘dentro’ i meandri di quel testo complesso e ricchissimo. La luce del dirit-to, si direbbe, brilla soltanto all’interno dei testi giustinianei, e in particolare nel piùampio e articolato di essi, il Digesto. Chi ha il coraggio e la forza di penetrare ‘dentro’il Digesto, dunque, riceve quella luce e diviene – egli solo – un giurista.

Per quanto possa suonare retorica e datata, l’interpretazione proposta da HermannKantorowicz è probabilmente corretta per molti aspetti. L’incredibile successo dellascuola di Bologna, che vide in pochi anni nascere una cultura laica nuova, capace diattirare studenti da tutta l’Europa e di assumere credito crescente presso i poteri poli-tici, è legato proprio a un nuovo metodo di lettura e di esegesi. Nuovo proprio perchéteso a chiudere il ragionamento all’interno dei libri, allineando brani concordi e discor-danti per cogliere i principi fondamentali che animavano la complessa e contradditto-ria opera legislativa di Giustiniano. Per consentire il progresso di questa nuova meto-dologia era necessario compiere esattamente il lavoro che Kantorowicz attribuisce algrammatico Guarnerius, il mitico Irnerio: era necessario stabilire un testo standard,che fosse riprodotto nella stessa forma, senza aggiunte od omissioni, per servire da baseall’opera di interpretazione e di commento che fece la fortuna della scuola.

Questa chiusura dei libri, legata alla stabilizzazione del testo che essi contenevano, èla grande novità che fa di Bologna il prototipo di ogni cultura giuridica di alto livello.3

Tuttavia, se si guarda agli anni in cui il Digesto e il diritto romano apparvero sullascena, questa prospettiva interna non sembra predominare. Al contrario, le primecomparse del Digesto – così note alla storiografia che non vale la pena di rammentar-le in dettaglio4 – sono costituite da utilizzazioni di parti del testo in contesti esterni:citazioni sporadiche e imprecise che compaiono in opere di commento alle Istituzionio al diritto longobardo, forse non attinte dal testo nella sua forma completa, ma da rac-colte antologiche perdute. Possiamo immaginarne l’aspetto osservando, ad esempio, la

2 Cfr. H. KANTOROWICZ, Was ist uns Savigny?, uscito nel 1911, e Volksgeist und historische Rechtsschule, del 1912,entrambi ora in ID., Rechtshistorische Schriften cit. (nt. 1), 397 e 435.3 Ho cercato di indicare questo processo di stabilizzazione come una tappa fondamentale della creazione di unascienza giuridica in E. CONTE, Diritto Comune. Storia e storiografia di un sistema dinamico, Bologna 2009, cap. 2.4 È ancora validissima la discussione offerta da E. CORTESE, Alle origini della scuola di Bologna, in Rivista internazio-nale di diritto comune 4 (1993) 7-49, poi in ID., Scritti II, Spoleto 1999, 1095-1137.

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famosa Collectio Britannica o il libro di Ashburnham: raccolte che riportano fedelmen-te il testo di alcune decine di frammenti del Digesto, attestandone il ritorno allacoscienza della cultura teologico-giuridica intorno al 1100. Conservano però il carat-tere di antologie composite, che scelgono brani qua e là, perché non si pongonol’obiettivo di offrire al lettore l’architettura complessiva del Digesto, ma ne estraggonoframmenti che possono contribuire a sostenere il progetto editoriale del raccoglitore.Né si limitano a pescare pezzi dal Digesto, ma ricorrono a una ampia serie di altre fontiautoritative di natura legislativa o più ampiamente sapienziale.

Per riprendere l’espressione di Kantorowicz, le raccolte fiorite nell’XI secolo nonconsentivano di ‘leggere il Digesto’ nella sua complessità, né escludevano una serie dialtre fonti; e quindi, in un certo senso, impedivano ai dotti sostenitori della riformagregoriana di «Jurist<en> werden». Del resto, essi non volevano affatto trasformarsi ingiuristi: sfruttavano l’antica auctoritas di Giustiniano per dare maggior forza alle loroargomentazioni, ma restavano dei teologi nutriti di letteratura cristiana tardo antica emedievale, curiosi dei meccanismi del diritto di Giustiniano soprattutto per metterli alservizio del loro ideale di società cristiana.

2. Utraque lexÈ dunque una cultura composita quella che vede comparire – timidamente, dopo

quasi cinque secoli di eclissi completa – frammenti del Digesto che, estratti dal propriocontesto, erano utilizzati dalla dottrina teologico-canonistica per comporre raccolte diarchitettura ben diversa da quella voluta da Triboniano. Si tratta della mentalità cheCalasso aveva designato con il termine – preso dai documenti dell’epoca – di utraquelex.5 Denominazione che egli adottava per distinguere il fenomeno da quello più tardodell’utrumque ius: del connubio, cioè, di diritto romano e diritto canonico che carat-terizzò i secoli del Medioevo maturo e quelli dell’età moderna. Coordinamento di ordi-namenti in sé compiuti, che attingevano l’uno dall’altro ma costituivano innanzituttodue complessi di norme e interpretazioni sufficienti a delineare la struttura degli isti-tuti giuridici vigenti, l’utrumque ius era il frutto più maturo del trionfo della scientiaiuris, della grande costruzione scolastica che costruì l’identità professionale e culturaledel giurista. L’utraque lex, invece, era il ricorso rapsodico ora a una norma canonica oraa una romana, che avveniva a seconda delle opportunità e delle convenienze, e soprat-tutto non configurava né uno né due ordinamenti costituiti da complessi di normesistematicamente organizzate e tutte note agli interpreti. Attingeva invece incessante-

5 F. CALASSO, Medioevo del Diritto, Milano 1954, 232-233.

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mente alle fonti ovunque reperibili, arrivando a portare in giudizio norme di cui l’av-versario e il giudice ignoravano completamente l’esistenza, come fu il caso del celebreplacito di Marturi, in cui appunto un frammento del Digesto, riesumato e interpreta-to per l’occasione dall’avvocato del monastero, valse a fargli vincere la causa. Era unbrano del tutto ignoto alla cultura del tempo, e perciò certamente non tenuto in con-siderazione dal convenuto, il quale con ogni probabilità non ne conosceva per nullal’esistenza. Ciò non toglie, però, che il Digesto fosse raccolta legislativa promulgata daGiustiniano e considerata vigente, sicché una sua norma poteva rivelarsi determinantenell’orientare la decisione del giudice.

Può darsi, dunque, che in certi casi siano state esigenze pratiche a sollecitare lo scavoche portò in luce il Digesto. Ma di esso si utilizzarono pezzi sparsi, estratti per rispon-dere alle esigenze contingenti di chi li voleva utilizzare per difendere con il munimendell’autorità dell’antico imperatore le proprie pretese. Se si vuole azzardare un paralle-lo con l’architettura, viene alla mente l’intensa pratica del reimpiego, sulla quale gliarcheologi e gli storici dell’arte hanno scritto contributi illuminanti:6 proprio neglistessi decenni in cui ricompaiono i primi frammenti del Digesto le colonne romane,riesumate e tolte dagli edifici per le quali erano state fatte, venivano riutilizzate persostenere le navate di chiese romaniche. Quest’uso di marmi romani, possenti e auto-revoli, per costruire edifici medievali rivela la stessa mentalità che è alla base del feno-meno dell’utraque lex, che usa i testi antichi direttamente nella pratica, senza la media-zione di un trattamento scolastico che esamini e rilegga l’intero corpo della compila-zione romana.

L’utrumque ius, invece, non può prescindere dal patrimonio delle interpretazioniscolastiche dei testi giustinianei riletti nella loco completezza; un patrimonio in cresci-ta rapidissima e imponente, grazie al moltiplicarsi delle scuole e all’articolarsi della let-teratura prodotta dai giuristi a commento dei testi.

Condizione per la formazione di questa letteratura7 era la stabilizzazione di un testostandard, chiuso a modificazioni, omissioni, integrazioni: profondamente diverso, per-ciò, dal modello altomedievale delle compilazioni che riportavano utraque lex: cioènorme canoniche e norme laiche assortite secondo il gusto e le necessità di chi le rac-coglieva per servire alle necessità di difesa giudiziaria di un ente ecclesiastico.

6 Cfr. per tutti S. SETTIS, Continuità, distanza, conoscenza. Tre usi dell’antico, in S. SETTIS (a c. di), Memoria dell’an-tico nell’arte italiana, III. Dalla tradizione all’archeologia, Torino 1986, 373-486.7 Cui non a caso il Savigny ha dedicato tutta la sua attenzione di storico del diritto romano nel Medioevo: la suaGeschichte, infatti, voleva essere – e in buona misura è – una ‘storia letteraria’, cioè una grande ricostruzione delleopere di letteratura giuridica prodotte a interpretazione del Corpus iuris civilis dai giuristi medievali; con attenzioneassai ridotta alle opere rivolte alla pratica o da essa nate.

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L’autorità del testo completo, invece, coincideva con l’auctoritas del legislatore pereccellenza, di Giustiniano. E perciò era basata su una minuziosa ricostruzione del testooriginario voluto dall’Imperatore romano, senza omissioni e senza aggiunte. È questal’opera che Kantorowicz ha definito «filologica», come a evocare uno spirito umanisti-co nella mentalità di Irnerio e dei primi maestri bolognesi di diritto. Francesco Calassoha enfatizzato da par suo quest’umanesimo medievale dei glossatori civilisti, rievocan-do la loro attenzione moderna per l’uomo soggetto di diritti e causa dell’ordinamento,e insistendo fra l’altro sull’opera di renovatio dei libri legales da essi compiuta.8

Occorre rammentare, però, che su questa ricostruzione filologica del testo – che puòben considerarsi un precedente delle ricostruzioni umanistiche – si basava l’architettu-ra immensa dell’interpretazione scolastica, che invece ricorda piuttosto le forme dell’ar-chitettura gotica, fatta di spinte e controspinte, di argomentazioni opposte che forniva-no la forza necessaria per elevare l’edificio ad altezze che l’Europa aveva dimenticato.9

Occorre insistere su questo punto, per marcare la differenza fra due modi di ricor-rere al ‘diritto romano’, che troppo spesso sono confusi nella letteratura storico-giuri-dica. Alla ricerca di tracce di ‘influenze romanistiche’ o di diffusione del ‘diritto roma-no’ nella cultura e nella società europea del XII secolo, gli storici del diritto si accon-tentano di segnalare la menzione di una copia del Digesto fra i libri di un ecclesiasti-co, oppure il richiamo a un principio della giurisprudenza giustinianea nella praticagiudiziaria. Tracce significative, naturalmente. Ma non sufficienti per distinguere lacitazione sporadica, tratta da compendi o florilegi, inserita in una cultura di carattereteologico o enciclopedico, dall’argomentazione rigidamente giuridica che sorge dallaconsiderazione del testo integrale del Corpus iuris, senza omissioni e senza aggiunte. Èquesto tipo di argomentazione che consente alla scolastica giuridica di distillare quel-li che con qualche anacronismo possiamo chiamare ‘istituti giuridici’, intesi nel sensomedievale, non certo in quello della dogmatica moderna. Cioè nuclei problematiciintorno ai quali si discutono tutti i passaggi della compilazione giustinianea che, con-cordando o discordando fra loro, delineano i principi giuridici che intervengono pertrattare un problema. La notazione nel margine del manoscritto di una serie di passidel Corpus iuris che, letti in parallelo con il testo commentato, richiedono di esserconciliati attraverso le tecniche della distinctio e l’uso delle figure dialettiche, è il puntodi partenza del processo di creazione di concetti astratti, che possiamo chiamare,appunto, istituti giuridici. Fondati sulla forza normativa dei testi, essi se ne distacca-

8 F. CALASSO, Umanesimo giuridico (1949), poi in ID., Introduzione al diritto comune, Milano 1951, 181-205.9 Il riferimento è, ovviamente, al celebre saggio di E. PANOFSKY, Gothic Architecture and Scholasticism (prima ed.Latrobe 1951, molte ristampe e traduzioni).

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no, perché devono conciliare e articolare tra loro le diverse norme. Sono astrazioniprodotte della scienza, che esiste solo quando il complesso di norme da prendere inconsiderazione è tutto noto, diffuso in forma omogenea in molti manoscritti, chiusoa integrazioni esterne.

In questo senso, l’estrazione di passi del Digesto fuori dal proprio contesto è segnodel permanere di un metodo diverso, più antico ma a tratti assai resistente in Europa,per il quale Giustiniano non è che una auctoritas fra le altre, che può essere confron-tata con la dottrina biblica e teologica e orientare un pensiero che si differenzia abba-stanza chiaramente da quello tecnico giuridico.

Questa mentalità ‘romanica’ sopravvisse abbastanza a lungo di fronte all’avanzaredella scienza gotica, che a Bologna prima e in molti altri centri poi cominciò a costrui-re istituti giuridici servendosi di una logica poggiata tutta sui testi raccolti all’internodei libri legali, interpretando il testo con il testo.10 Fu straordinariamente resistente, adesempio, se guardiamo agli ambienti teologici francesi e anglo-normanni, dove le sor-tite del Digesto fuori da se stesso, in dialogo fruttuoso con la teologia e l’esegesi bibli-ca furono numerose almeno fino alla fine del secolo, e in certi casi anche oltre. E nonsi trattò solo di un ritardo culturale, che induceva ambienti periferici a rimanere attac-cati alla cultura vecchia dell’utraque lex senza aprirsi alla grande novità rappresentatadalla scienza giuridica professionale inaugurata dai maestri di Bologna e diffusa inItalia. Perché di contatti fra i due mondi ve ne furono sempre.

3. Innocenzo II, Aimerico e la scelta per il dirittoIl decennio 1130-1140 mi pare il periodo durante il quale i due modelli culturali si

precisarono, favoriti dall’urgenza con la quale dovette agire la curia papale durante loscisma che pose il pontefice Innocenzo II in contrasto con l’antipapa Anacleto.Oggetto di vivo interesse da parte degli storici, lo scisma del 1130 si intreccia con levicende politiche più importanti del secolo: la legittimazione della conquista norman-na del meridione d’Italia e l’incoronazione di Ruggero II, la ripresa del contrasto frapapato e Impero, l’affermazione delle autonomie cittadine italiane. La curia innocen-ziana, in quegli anni, fu dominata dalla figura del cardinale Aimerico, cancelliere findal 1123, protagonista delle due elezioni pontificali di Onorio II e Innocenzo II e fieroavversario della fazione che elesse antipapa Anacleto II. Le interpretazioni delle com-

10 Cfr. M. BELLOMO, Der Text erklärt den Text. Über die Anfänge der mittelalterlichen Jurisprudenz, in Rivista Interna-zionale di Diritto Comune 4 (1993) 51-63 (tr. it. Il testo per interpretare il testo, in M. BELLOMO, Medioevo edito e ine-dito, II. Scienza del diritto e società medievale, Roma 1997).

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plesse vicende che si dipanarono durante lo scisma sono diverse, e si sono contrappo-ste talvolta con asprezza.11 Sembra abbastanza certo, comunque, che la chiave dell’af-fermazione finale di Innocenzo nei confronti di Anacleto sia da riconoscersi nell’aper-tura europea della politica di Aimerico, il quale seppe sfruttare l’iniziale successo diAnacleto, che fece sua la città di Roma inducendo Innocenzo alla fuga, conducendo il‘suo’ papa nei principali centri del potere laico ed ecclesiastico del Nord.

Nella curia di Innocenzo crebbe, in quegli anni, l’interessamento per il modello pro-spettato dalle fonti del diritto romano. Dal 1128 ne faceva parte un allievo di PietroAbelardo, il cardinale Guido di Castello che, alla morte di Innocenzo nel 1143, eradestinato a salire brevemente sul soglio pontificio con il nome di Celestino II.12 Nel-l’elenco dei libri che lasciò nel 1144 alla cattedrale di San Florido di Città di Castel-lo compare la Sic et non del suo maestro, insieme a raccolte di diritto canonico (Episto-las decretales in duobus voluminibus, Excerpta Ivonis) e soprattutto un Liber Digestorumet Codicum.13

Guido era dunque un esponente della cultura filosofico teologica che ricorrevavolentieri a estratti dei libri di Giustiniano per integrare le auctoritates propriamenteteologiche. Se si dà fede alla descrizione dei suoi libri che ci è pervenuta, sembra cheun solo liber contenesse Digesti e Codici: era dunque, probabilmente, una raccolta diestratti selezionati da entrambe le maggiori sezioni della compilazione di Giustiniano.La tradizione gregoriana, del resto, insegnava a compilare raccolte di estratti utili perappoggiare sull’autorità di precetti ecclesiastici o laici le politiche di riforma dellaChiesa che Innocenzo II continuava a perseguire, anche per trovare il necessario con-senso dei potenti ordini regolari dell’Europa settentrionale, ancora legati alle idee dellagrande Riforma.

Nella curia di Innocenzo, dunque, il diritto romano e il Digesto erano tenuti nelladovuta considerazione, poiché se ne riconosceva la grande potenzialità argomentativae se ne vedeva già il successo nelle scuole che fiorivano in Italia negli anni 1130, attra-endo un numero crescente di studenti, ch’erano laici (e questa era una grande novità)

11 Cfr., con indicazioni di bibliografia precedente, P.F. PALUMBO, Un episodio di storia romana e papale attraverso ivari momenti dell’analisi critica, in Studi salentini 71 (1994) 57-118. Riprendendo le conclusioni di un suo prece-dente studio, pubblicato dapprima nel 1942 e poi nel 1995, Palumbo ripercorre i principali contributi alla discus-sione. Il suo articolo è da integrare almeno con la revisione complessiva di T. DI CARPEGNA FALCONIERI, InnocenzoII, in Enciclopedia dei Papi, Roma 2000, reperibile anche in rete. Ivi bibliografia aggiornata fino al 1998.12 W. MALECZEK, Das Kardinalskollegium unter Innocenz II. und Anaklet II., in Archivum Historiae Pontificiae 19(1981) 27-78.13 La lista è pubblicata in A. WILMART, Les livres légués par Célestin II à Città di Castello, in Révue Bénédictine 35(1923) 98-102.

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ma anche chierici. La curia di Innocenzo guardava al fenomeno con una certa preoc-cupazione, se nel concilio di Pisa del 1135 si promulgò il canone che proibisce ai chie-rici lo studio del diritto romano; testo contraddittorio, perché la proibizione non fache ricalcare il dettato di una norma giustinianea, dimostrando che la curia teneva ingrande considerazione quella cultura giuridica nuova che vedeva infiammare un po’troppo l’entusiasmo dei chierici.14 Del resto, si riferisce proprio a Pisa e proprio aglianni immediatamente precedenti va datata – a quanto pare – la famosa lettera delmonaco di San Vittore che voleva studiare il diritto romano in Italia.15

Mentre ancora non era in condizione di insediarsi a Roma e si tratteneva perciò aPisa, lo stesso papa Innocenzo intervenne per rafforzare la tendenza all’accentramentodel sistema giurisdizionale ecclesiastico, che andava mutando profondamente proprioin quegli anni.

Su un punto in particolare la riforma gregoriana aveva innovato profondamente ilsistema dei giudizi ecclesiastici: il Dictatus Papae, infatti, aveva affermato il principioche consentiva ai chierici di ogni grado di accusare i propri superiori. Novità moltosignificativa nel panorama del diritto canonico, che in quegli anni si affidava ampia-mente alle decretali pseudo-isidoriane, per le quali, invece, non era ammessa l’accusadell’inferiore nei confronti del superiore. La raccolta delle falsificazioni dello pseudoIsidoro, diffusissima e invocata in tutta Europa, disponeva esplicitamente il divieto.16

La gerarchia della Chiesa altomedievale era insomma costruita come una piramidedi dipendenze assolute, che non prevedevano rotture per le quali fosse necessario rivol-gersi al giudizio imparziale dell’autorità suprema. L’ecclesiologia gregoriana, all’oppo-sto, imponeva un rapporto completamente rinnovato tra il centro e la periferia dellaChiesa, sicché la gerarchia giurisdizionale non poteva che fondarsi sull’autorità nonmediata del Pontefice. La Santa Sede commune forum doveva dunque essere accessibi-le da parte di tutti i chierici, anche quando essi ne richiedessero l’intervento contro ipropri superiori.

14 Testo edito in R. SOMMERVILLE, The Council of Pisa, 1135: a Re-examination of the Evidence for the Canons, inSpeculum 45 (1970) 98-114, spec. 106: «[…] Attestantur vero imperiales constitutiones absurdum immo etiam obpro-prium esse clericis si peritos se velint disceptationum esse forensium». Le parole in tondo sono tratte da C. 1.3.40,una costituzione di Giustiniano.15 Cfr. J. DUFOUR - G. GIORDANENGO - A. GOURON, L’attrait des ‘Leges’. Note sur la lettre d’un moine victorin (vers1124/27), in Studia et Documenta Historiae et Iuris 45 (1979) 504-529; G. GARZELLA, Per lo studio della prima Scuoladi diritto a Pisa: ‘causidici’, ‘iudices’ e ‘iurisperiti’ dalla fine dell’XI secolo al governo podestarile, in G. ROSSETTI (ed.),Legislazione e prassi istituzionale a Pisa (secoli XI-XIII). Una tradizione normativa esemplare, Napoli 2001.16 P. LANDAU, Die Anklagemöglichkeit Untergeordneter vom Dictatus Pape zum Dekret Gratians, in MinisteriumIustitiae. Fs. H. Heinemann, Essen 1985, 373-382, spec. 374.

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Durante gli anni di esilio da Roma, Innocenzo volle rafforzare il principio, riaffer-mando il diritto d’appello al papa e imponendo ai vescovi di consentirlo sempre, conla minaccia di applicar loro la sanzione prevista da una norma di Costantino contenu-ta nel Codice di Giustiniano (C. 7.62.21).17 Citata con precisione, la legge giustinianeaè parte di quel titolo de appellationibus et consultationibus che doveva interessare moltola curia pontificia di quegli anni, intenta a riformare il sistema di giurisdizione eccle-siastica in senso piramidale, attribuendo al papa funzioni di suprema giurisdizione; chesignificava in fondo riportare ad unità l’ordinamento canonico.18 Ma più che nel Codex,i princìpi romani dell’appello si potevano trovare nel Digesto: i primi tredici titoli dellibro 49 vi erano dedicati, e ad essi attinse anche la decretale del 1135, per affermarnela funzione (D. 49.1.1 pr.) e poi per enunciare la regola che Appellatione autem inter-posita omnia in statu suo permaneant. È il dettato di un frammento di Ulpiano (D.49.7.1), che ritorna letteralmente nel testo della decretale, come ha sottolineato AndréGouron correggendo una proposta di Kenneth Pennington.19 Che la curia di Inno-cenzo fosse in grado di attingere direttamente al Digesto, d’altra parte, conferma l’in-teressamento di quell’ambiente per il diritto romano e per la scuola nuova che solo daalcuni anni si era inaugurata a Bologna. Negli stessi anni, infatti, il più autorevole deimaestri bolognesi, Bulgaro, rispose alla richiesta del cancelliere Aimerico di scrivere uncompendio che delineasse la struttura del processo romano secondo le norme che lodisciplinano nel Corpus iuris.20 Sulla base delle osservazioni di Pennington, che pure

17 K. PENNINGTON, The ‘Big Bang’: Roman Law in the Early Twelfth-Century, in RIDC 18 (2007) 43-70, spec. 46-51; cfr. anche ID., The Practical Use of Roman Law in the Early Twelfth Century, in M. LUTZ-BACHMANN - A. FIDORA

(a c. di), Handlung und Wissenschaft. Die Epistemologie der praktischen Wissenschaft im 13. und 14. Jahrhundert, Berlin2008, 11-32, spec. 23 ntt. 69 e 70.18 La lettera decretale al clero tedesco, datata 30 maggio 1135, ed. MIGNE, PL 179.226 (epist. 178) (ma si vedano idubbi avanzati da PENNINGTON, Big Bang cit. [nt. 17], 50 nt. 31) è esplicita nel ricollegare la funzione di supremagiurisdizione all’unità del diritto canonico: […] beatus Petrus, apostolorum princeps, est in capite Ecclesiae a Dominoconstitutus, ut per se et per successores suos fratres confirmet, errata corrigat et suum unicuique tribuat. Praticamente iden-tico il testo dell’altra lettera dello stesso anno, rivolta agli arcivescovi di Reims, Sens e Tours: ed. MIGNE, PL 179.342(epist. 245).19 A. GOURON, Innocent II, Bulgarus et Gratien, in Vetera novis augere. Mélanges offerts au professeur Waclaw Urusczak,Krakow 2010, 255-260, rileva che l’ipotesi di PENNINGTON (Big Bang cit. [nt. 17]), secondo la quale non sarebbedirettamente il Digesto a fornire il modello delle lettere, ma il trattato di Bulgaro sul processo, sia da respingere, poi-ché i brani citati sono direttamente estratti da D. 49.1.1.20 Pennington chiama il trattato De arbitris (seguendo alcune rubriche medievali), e lo legge nel ms. Vat. lat. 8782della Biblioteca Vaticana, anziché nelle edizioni palesemente insufficienti di A. WUNDERLICH, Anecdota quae proces-sum civilem spectant, Göttingen 1841, e L. WAHRMUND, Quellen… IV, doppelheft 1-2, Innsbruck 1925, sulle qualiL. FOWLER MAGERL, Ordo iudiciorum vel ordo iudiciarius. Begriff und Literaturgattung (Ius commune SH 19),Frankfurt a.M. 1984, 34 ss. ha espresso una decisa critica.

Il Digesto fuori dal Digesto286

corregge, Gouron ha proposto di datare l’operetta in forma di lettera al 1135, il checonferma le relazioni fra la curia e la scuola e tra Aimerico e Bulgaro nel periodo dimaggior tensione fra le due fazioni che divisero la Chiesa in quegli anni. La scelta peril diritto romano e per un processo apertamente ispirato ai principi illustrati daBulgaro è perciò uno degli elementi caratterizzanti della politica condotta da Aimericodurante lo scisma: l’affermazione finale del suo partito e l’insediamento a Roma del‘suo’ papa, Innocenzo II, determinarono di conseguenza una trasformazione profondadel processo ecclesiastico.21

4. Bulgaro. Il processo e le regulae iurisÈ a suo modo sorprendente che Aimerico, il più importante dignitario ecclesiastico

del suo tempo, si sia rivolto proprio a Bulgaro, quello fra i primi maestri di Bolognache si usa descrivere come il più intransigente difensore del metodo nuovo, quellobasato sulle catene di glosse ai libri di Giustiniano. Bulgaro che, a leggere le descrizio-ni che ne danno gli storici del diritto, da Savigny fino a Paradisi, Cortese e Lange,sarebbe stato opposto regolarmente a Martino proprio sui temi più cari alla Chiesa.Martino invece, che l’Ostiense avrebbe poi qualificato di spiritualis homo, è di regoladescritto come rispettoso della Chiesa e del suo diritto, tanto da esser pronto a dero-gare ai precetti di Giustiniano per osservare quelli del diritto canonico.22

Eppure il glossatore più caro alla curia romana degli anni 1130 non è Martino; nérisulta che i teologi francesi e inglesi che lavoravano intorno a Parigi e alle scuole anglo-normanne abbiano preferito le sue opere quando cominciarono a interessarsi alla nuovalogica giuridica che i maestri italiani estraevano dal Digesto. Per sostenere teoricamen-te il proprio progetto di rinnovamento del processo ecclesiastico, Aimerico scelse inve-ce il romanista intransigente, il conoscitore profondissimo dei testi di Giustiniano:quel Bulgaro poco disposto a piegare la lex di fronte al diritto canonico. Due delle sueopere – quelle diffuse più ampiamente fuori dalla cerchia tecnica della letteratura sco-lastica del diritto civile – ebbero circolazione ampia proprio presso gli ecclesiastici e iteologi: si tratta del commento al titolo de regulis iuris del Digesto, di cui si dirà trapoco, e della celebre lettera sul processo romano.

21 Che l’esigenza di rinnovare il procedimento giudiziario sia all’origine di una svolta culturale che favorì il successodello studio scolastico del diritto romano è tesi di fondo dell’articolo di J. FRIED, Die römische Kurie und die Anfängeder Prozessliteratur, in ZSS KA 59 (1973) 151-174.22 F.C. VON SAVIGNY, Geschichte des römischen rechts im Mittelalter IV, Heidelberg 18502, rist. anast. Bad Homburg1961, 124-140; B. PARADISI, Diritto canonico e tendenze di scuola nei glossatori da Irnerio ad Accursio, in Studi Medievali3a s. 6/2 (1965) 155-287, spec. 201-227; E. CORTESE, Il diritto nella storia medievale II, Roma 1995, 79-102.

Emanuele Conte 287

Nell’esordio della sua famosa opera processuale, Bulgaro si rivolge al potentissimocancelliere Aimerico come ad un «karissimo amico», e precisa di aver ricevuto i di luiambasciatori con «l’affetto di un servo»; dichiara perciò di accingersi a trattare unamateria «inusitata», forse troppo difficile. Aimerico, dunque, aveva inviato i suoi messia Bologna per richiedere espressamente all’autorevole maestro una trattazione sinteti-ca delle linee generali del processo romano; e Bulgaro l’aveva cominciata con la distin-zione fondamentale tra l’arbitrato e il giudizio. Ne deriva il titolo De arbitris, che inalcuni manoscritti è assegnato al singolare trattato; titolo ingannevole, mi pare, perchéil trattatello inizia con il riferimento all’arbiter soltanto per sottolinearne la differenzasostanziale con il iudex:

Arbitrum itaque eum dicimus cui proprio consensu compromittentes, scilicet actor et reus, partes<iudicis add. Wunderlich> committunt. Iudex vero est qui iurisdictioni preest ut pretor, preses,prefectus urbis et qui ab his delegatus est; quibus hec communia sunt.23

E poco più giù:

Arbitrum privati eligunt, iudicem dat potestas publica aut <ut Wunderlich> princeps et qui subeo militant.24

La prima parte del trattato sembra dunque orientata a precisare i caratteri che deveassumere il processo quando esso si svolga nel quadro di una giustizia pubblica: cioè diun sistema giurisdizionale in grado di svolgere quella funzione di unificazione dell’or-dinamento che si è visto essere un punto fondamentale del programma di rafforza-mento del ruolo centrale del pontefice nella Chiesa. Era la realizzazione dell’intento diGregorio VII che Innocenzo – sotto l’impulso dello stesso Aimerico – aveva reso espli-cita nella lettera al clero tedesco.25

Si capisce, dunque, perché il trattato si apre con la distinzione fra il carattere priva-to dell’arbitro e quello pubblico del giudice per soffermarsi poi sui soggetti del pro-cesso: gli avvocati, l’attore, il convenuto, i testimoni; e sull’accusatio, indispensabileatto di inizio del procedimento.

23 Ed. WUNDERLICH, Anecdota cit. (nt. 20), 13; visti i problemi di attendibilità dell’edizione, collaziono con la par-ziale trascrizione del ms. Vat. lat. 8782 pubblicata on line da PENNINGTON: http://faculty.cua.edu/pennington/law508/BulgarusDeArbitris.htm.24 FOWLER, Ordo iudiciorum cit. (nt. 20), 39, segnala una variante molto significativa: alcuni manoscritti leggereb-bero ut in luogo di aut, limitando all’Impero la fonti di ogni autorità pubblica. La congiunzione aut indicherebbe,invece che un potere di natura pubblicistica può riconoscersi anche in capo a soggetti diversi, come certamente laChiesa che era committente dell’opera di Bulgaro, ma anche le città che proclamavano la propria indipendenza.25 Cfr. supra, nt. 18.

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Il giudizio, riassume allora Bulgaro in un passaggio celebre, è actus ad minus triumpersonarum: actoris intendentis, rei intentionem evitantis, iudicis in medio cognoscentis:26

è la prima menzione di un principio fondamentale, che implica il carattere pubblicodell’intero procedimento e integra il momento giurisdizionale nelle dinamiche dell’or-dinamento giuridico, che detta norme generali e le applica nel processo in forza dellostesso potere sovrano.27

5. L’appendice de regulis iuris e il rinnovamento del processoConsiderato dalla critica storico-giuridica il prototipo del genere degli Ordines iudi-

ciorum dei glossatori, il testo di Bulgaro è tramandato in due versioni, una più breve edeffettivamente tutta dedicata allo ‘spirito’ del processo romano, e una che prosegue conuna sorta di appendice, che appare legata dallo stesso Bulgaro al testo della prima parte.

Un manoscritto di Francoforte la introduce con una rubrica esplicita: Incipiunt regu-larum iuris comenta, quae Bulgarinus iuris peritus ad Cancelarium promulgavit, e il testoappare in effetti indirizzato ad Aimerico come la prima parte:

Vestri monitus ordinem per cetera prosequi optimum duximus et etiam de regulis iuris, quantumtemporis oportunitas patitur, aliqua proferre. Qua in re rogo, quatinus videar munus implevisseamicitiae, etsi non videar satisfecisse doctrinae.28

Sembra insomma che Bulgaro abbia considerato insufficiente, per capire davvero lospirito del processo romano, una trattazione limitata agli aspetti propriamente proce-durali. Era indispensabile, invece, prospettare all’amico cardinale e cancelliere unavisione del diritto romano centrata su due poli fondamentali: da una parte il processo,inteso come rito di natura pubblica, fondato sulla dialettica tra le parti e la funzionedel giudice e scandito dalle norme procedurali; dall’altra l’individuazione di princìpigenerali capaci di orientare l’applicazione del diritto al caso concreto.29 Questo era il

26 Ed. WUNDERLICH, Anecdota cit. (nt. 20), 20-21. La trascrizione del ms. Vat. lat. 8782 di Pennington non giungefino a questo punto del trattato.27 K.W. NÖRR, Zur Stellung des Richters im gelehrten Prozess der Frühzeit: Iudex secundum allegata non secundum con-scientiam iudicat, München 1967, 8.28 Il collegamento dell’appendice De regulis iuris all’ordo iudiciorum di Bulgaro è stato osservato da S. KUTTNER,Réflections sur les brocards des glossateurs, in Mélanges Joseph de Ghellinck, Gembloux 1951, poi in ID., Gratian and theSchools of Law IX, London 1983, 789-790, ove anche osservazioni critiche sulla qualità insufficiente dell’edizioneWAHRMUND, Quellen cit. (nt. 20).29 E. SECKEL, in una nota del suo articolo Über neuere Editionen juristischer Schriften aus dem Mittelalter, in ZSSt RA 21(1900) 212-338, spec. 276 nt. 1, afferma che anche il commentario al De regulis iuris fu redatto da Bulgaro prima del 1141,come il trattato sulle azioni indirizzato ad Aimerico. Non fornisce però alcun argomento a sostegno di questa affermazione.

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senso del lavoro che i primi glossatori già compivano collegando fra loro le migliaia dinorme che componevano il Corpus iuris civilis, cercando fra esse una coerenza che sibasava su rationes di fondo: su quelle regulae, appunto, di cui trovavano un catalogoricco e stimolante nel titolo del Digesto che più di ogni altro fu commentato e diffu-so al di fuori del proprio contesto e anche al di fuori delle scuole di diritto romano: iltitolo D. 50.17 de regulis iuris.

Il consolidamento di una struttura piramidale della giurisdizione, capace di unifor-mare l’applicazione di norme universalmente conosciute e riconosciute; e il diffonder-si di una cultura propriamente giuridica, capace di astrarre dal confronto delle normele regulae generali da applicarsi nella pratica: sono a ben vedere i due punti principalidel programma di Innocenzo e della sua curia. Johannes Fried ha sottolineato il primodei due aspetti in un articolo del 1973,30 che prendeva le mosse dal resoconto dell’abateHariulf di Oudenburg, in Fiandra, un prelato che si era rivolto alla giurisdizione supre-ma pontificia per difendere l’indipendenza del suo monastero dalle pretese dell’abatedi Saint-Médard, presso Soissons, che avrebbe voluto controllarlo. Aimerico, che con-trollava la curia da quasi vent’anni, sarebbe morto di lì a poco; nel resoconto dell’aba-te si mostra sollecito e scrupoloso nell’accoglierlo a Roma; solo da qualche anno erariuscito a far insediare il ‘suo’ papa Innocenzo nel palazzo del Laterano, e a realizzare ilsuo progetto di far di Roma la sede suprema cui tutta la cristianità guardava. RaccontaHariulf che Aimerico, nell’accoglierlo a Roma per condurlo a palazzo, gli avrebbedetto: «una volta si diceva ‘tutto è in vendita a Roma’; ma da ora in poi si dirà: ‘tuttoè giustissimo a Roma’».31

Omnia iustissima Romae. Se, come ritiene Fried, fu questa politica della Santa Sede cheprovocò la nascita del genere del trattato di procedura, destinato a grandi successi peroltre un secolo, occorre però rammentare che il progetto di Aimerico e Innocenzo II, per-seguendo l’unificazione della giurisdizione, comportava anche la progressiva razionaliz-zazione e l’uniformazione del diritto, come appare abbastanza chiaro dall’evoluzionedella prassi processuale romana.32 Quando prospetta ad Aimerico la seconda parte delsuo trattatello in forma di lettera, Bulgaro dimostra di aver colto chiaramente anche que-sto aspetto della politica pontificia. Il rinnovamento del diritto poggia su due pilastri fon-damentali: da una parte l’adozione di un processo pubblico nel quale il giudice è potere

30 J. FRIED, Die römische Kurie und die Anfänge der Prozessliteratur, in ZSS KA 59 (1973) 151-174.31 E. MÜLLER, Der Bericht des Abtes Hariulf von Oudenburg über seine Prozessverhandlungen an der römischen Kurieim Jahre 1141, in Neues Archiv 48 (1930) 97-115, spec. 102.32 Cfr. G. CHIODI, Roma e il diritto romano: consulenze di giudici e strategie di avvocati dal X al XII secolo, in Roma fraOriente e Occidente (Settimane Spoleto 49), Spoleto 2002, 1141-1245; CONTE, Diritto comune cit. (nt. 3), 96-107.

Il Digesto fuori dal Digesto290

terzo rispetto alle parti; dall’altra il riferimento a un sistema di concetti dottrinali condi-visi, tratti dall’auctoritas dei testi giustinianei e rielaborati dalla dottrina scolastica.

Collegando il rinnovamento del sistema alla formazione di regulae, Bulgaro inau-gura anche un genere letterario destinato a un successo importante: i commentari altitolo de regulis iuris del Digesto (D. 50.17), di cui egli stesso fu autore particolar-mente fortunato.

L’importanza del genere è stata messa in evidenza dagli studi di Peter Stein33 e diSeverino Caprioli:34 i giuristi del XII secolo hanno riflettuto sul modello di regulae iurisproposto dal Digesto, perché esso prospettava una questione fondamentale per lanascita stessa della cultura giuridica. Elaborata dalla dottrina congiungendo fra loro lerationes identificate in diverse norme, la regula è lo strumento principale che raccordala scienza e la pratica, offrendo un canone di interpretazione tendente per forza di coseall’unità, pur nella immensa quantità di norme che le autorità laiche ed ecclesiasticheritenevano vigenti.

Ora, nel suo fortunato commentario al de regulis iuris, Bulgaro poneva proprio que-sto problema centrale: quello della formazione di principi generali a partire dal con-fronto fra i casi particolari. Era il procedimento logico che i glossatori credevano diindividuare nel frammento di D. 50.17.1, in cui si trova la celebre definizione di regu-la che Paolo attribuisce a Sabino: Per regulam igitur brevis rerum narratio traditur et (utait Sabinus) quasi causae coniectio est. Proprio questo passo era stato corrotto nellaVulgata e la variante, per quanto lieve, finiva per trasformarne la portata: ove il Digestoleggeva coniectio, il testo che i glossatori commentavano aveva coniunctio. Così trasfor-mata, la frase di Sabino evocava un’operazione diversa dal riassunto del caso in termi-ni giuridici ch’era la coniectio causae nel linguaggio dei giureconsulti romani, perchéintroduceva l’elemento della congiunzione di più casi per la costruzione della regola.

Questa congiunzione di causae era dunque la cifra caratteristica di una scienzanuova, che si basava sul Digesto ma raccoglieva le suggestioni della nascente scolasticafilosofica e teologica.

Dapprima Kuttner,35 poi Caprioli36 hanno richiamato l’attenzione sul parallelismotra il genere dei commentari al de regulis iuris e un genere che – a prima vista – potreb-

33 P. STEIN, Regulae Iuris: From Juristic Rules to Legal Maxims, Edimbourg 1966; a p. 132 Stein osserva che Bulgaro«dealt with regulae in two works. The first is an interesting treatise which was designed to introduce his friend CardinalAimericus, chancellor of the Roman Church, to the archana iuris. The second is an apparatus to the title de regulis».34 S. CAPRIOLI, Tre capitoli intorno alla nozione di ‘regula iuris’ nel pensiero dei glossatori, in Annali di Storia del Diritto5-6 (1961-62) 221-374, cui vanno aggiunti i contributi successivi dello Stesso su singoli trattati De regulis iuris.35 KUTTNER, Réflections cit. (nt. 28), 788-792.36 CAPRIOLI, Tre capitoli cit. (nt. 34), 221-226.

Emanuele Conte 291

be apparire contrario allo spirito della regula: il brocardo. Com’è notissimo, i brocardisono enumerazioni di frammenti contrastanti del Corpus iuris, raccolti in gruppi omo-genei al fine di trovarne la conciliazione. Brocarda vel generalia, recita il titolo di alcu-ne di queste raccolte: perché l’opposizione dei contrari è rivolta alla confezione di cri-teri generali che possano fungere da strumenti per quella conciliazione; sicché l’oppo-sizione e la contraddizione generano, nella scientia medievale, la formazione di criteriuniversali.

Non è sorprendente, dunque, che Bulgaro colleghi questa attività di astrazione allaforma equilibrata del processo pubblico. Né ci si può stupire troppo se la diffusionedel suo commentario al de regulis iuris ebbe una circolazione ampia, ben al di là dellacerchia ancora ristretta dei giuristi formati nelle nuove scuole dei glossatori, per dif-fondersi in ambienti di cultura teologica, specialmente Oltralpe.

6. La circolazione del De regulis iuris di Bulgaro: dentro, ma soprattutto fuori dal Digesto

Nell’operetta di Bulgaro il testo del titolo 50.17 del Digesto è riportato per intero,inframmezzato dal commento di Bulgaro, inserito fra un frammento e l’altro. Gli scri-bi medievali, in genere, distinguono il testo del Digesto da quello del commento ricor-rendo a un modulo più piccolo di scrittura. La vecchia edizione critica di ConradBeckhaus rispecchia questa forma del testo, che del resto era stata conservata già nellevecchie. Si trattava però di un’impaginazione destinata a diventare ben presto incon-sueta per le opere di diritto civile, nelle quali il rapporto fra testo e commento è diregola più ‘distaccato’: quando il commento è in forma di glossa esso è redatto nel mar-gine, senza interrompere la continuità del testo;37 mentre per le summae e le summulaeil testo è commentato attraverso richiami che presuppongono l’accessibilità ad unacopia dei libri legales. L’antico commentario di Bulgaro, dunque, circola in una formagrafica che lo unisce stabilmente al testo giustinianeo del de regulis iuris, e quandoviene copiato porta con sé il testo di quel titolo del Digesto.

La sua circolazione manoscritta, dunque, porta il Digesto fuori dal Digesto, consen-tendo l’accesso a quel titolo così significativo anche fuori dal quadro poderoso delDigestum novum di cui è parte. Non ho avuto modo di effettuare un controllo direttosu tutti i testimoni segnalati del trattato di Bulgaro, ma certamente fra essi i manoscritti

37 Anche le glosse interlineari sono inserite fra le righe del testo senza influire sulla sua impaginazione. Il testo è redat-to in modo consecutivo, né lascia spazio fra una riga e l’altra per l’inserimento di glosse che – appunto – quando sonotroppo ampie per stare fra le righe passano nel margine.

Il Digesto fuori dal Digesto292

del Digesto nuovo sono una minoranza. Sul rispettabile numero di 25, segnalati dalVerzeichnis di Gero Dolezalek, solo 7 sono certamente manoscritti del Digestum novum.Tutti gli altri sono miscellanei: la presenza del testo di Bulgaro porta dunque un pezzodel Digesto fuori di esso, in un periodo in cui questa pratica era piuttosto rara, giacchéproprio il Digesto era la parte della compilazione di Giustiniano sulla quale la scuolaesercitava l’esegesi più attenta, attenendosi principalmente al metodo della glossa.38

Non solo il De regulis iuris porta il Digesto fuor di se stesso. Esso porta anche l’esege-si bolognese fuori d’Italia. Guardiamo ancora i manoscritti segnalati. Solo i tre Vaticanisi trovano oggi nella Penisola, ma due di essi vi giunsero solo nel XVII secolo insiemealla biblioteca Palatina di Heidelberg; l’ultimo, il Vaticano latino 11156 è un Digestumnovum con glosse preaccursiane che reca, alla fine del testo, l’operetta di Bulgaro.

La localizzazione attuale dei manoscritti suggerisce dunque che l’opera abbia avutosuccesso fuori dall’Italia e lontano da Bologna. La composizione dei libri miscellaneiin cui si trova, poi, dimostra che essa circolò per lo più in compagnia di opere estra-nee all’austera scuola civilistica bolognese. In parecchi casi fa parte di miscellanee checontengono abbreviazioni del Decretum di Graziano, operette a metà fra il diritto e lateologia, compendi processuali diffusi nell’area anglo-normanna come l’Ulpianus deedendo o in quella renana, come la summa Antiquitate et tempore.

Uno dei due testimoni Vaticani Palatini del De regulis iuris può dare un’idea del qua-dro nel quale l’operetta si inserisce quando si trova in manoscritti di questo tipo.

Vediamo in breve come è composto. Il Vaticano Pal. lat. 288 proviene dal monastero di Santa Maria Maddalena in

Franckental, anche se fu scritto almeno in parte a Parigi (come si evince dalla nota dif. 218v). Contiene:

1r-8r: Rabanus Maurus (ma il ms. reca Beda), Expositio super Tobia.8r-34v: Rabanus Maurus in librum Judith.34v-53r: Rabanus Maurus in librum Hester.53r-61r: Glosulae super (sancti Hieronymi ) prologum Pentateuci et in aliquos libros veteristestamenti.39

62r-108v: S. Pauli apostoli, Epistolae.109r-114v: Kalendarium.115r-157v: Expositio in quartum librum sententiarum Petri Lombardi (de sacramentis).

38 A parte la raccolta di summulae Digestorum compilata da Azzone, infatti, la Summa non è un genere che si siaapplicato ad alcuna parte del Digesto, il quale resta – fino alle Lecturae di Odofredo – oggetto di apparatus di glossenello stile bolognese.39 Ora edito da I.N. SCHIMPF, Das Bibelglossar der Handschrift Rom, Pal. Lat. 288, Heidelberg 2004.

Emanuele Conte 293

158v: Versus quinque in tabula quadrata.158v: Sacramenta Iudeorum […]. Sequitur iuramentum Iudeorum lingua germanica.159r-165r: Collectio canonum in V libros divisa (Collectio Palatina II ).165v-168v: Abbreviatio «Exceptiones evangelicarum».40

169r-218v: Abbreviatio Decreti «Humanum genus» (KUTTNER, Repertorium, 260).41 NelPalatino questo pezzo si conclude con la nota di datazione (che smentisce il catalogo) a f.218v: Anno Domini m.c.xcv. none aprilis, iiii. feria paschalis hebdomade perscriptus est liber isteParisiis feliciter.219r-287r: Compilatio I (con glosse di Bernardo da Pavia. – Per KUTTNER, Repertorium cit.[nt. 41], 323: uno dei pochi che contengono soltanto le più antiche glosse).287v-297v: Bulgarus, Apparatus de regulis iuris.297v: Sacra divina sunt decreta, sacra umana sunt leges (ed. CAPRIOLI, Tre capitoli cit. [nt.34], 340).298r-301r: Ordo iudiciarius Ulpianus de edendo, con glosse.301r-302r: Ars algorismi. Inc.: Aggredientibus artem algorismi.

Ecco: la cultura delle scuole renane appare chiaramente da un contenuto così etero-geneo, che accosta opere bibliche a trattati teologici, adattamenti regionali del De-cretum di Graziano, la prima collezione di decretali di Bernardo Balbi, infine un trat-tato di algebra. Una breve sezione è dedicata al diritto romano, anche esso compen-diato: è composto dal nostro titolo del Digesto commentato da Bulgaro e dal fortu-natissimo Ordo Ulpianus de edendo, diffuso assai nell’area anglo-normanna e secon-do André Gouron redatto da un autore scozzese.42 In mezzo, un frammento che avevagià attratto l’attenzione di Severino Caprioli, che l’ha edito nel suo studio sui trattatiDe regulis iuris. Il breve pezzo rivela la curiosità per il fenomeno giuridico nel suo com-plesso che emerge negli ambienti settentrionali, e per le leges in particolare: che, quan-do sono promulgate, devono essere interpretate, osservate, comprese. Ed è l’interpre-tazione che attira l’attenzione dell’anonimo autore e gli suggerisce una distinctio chegioca su tre attributi: quella del Principe, infatti, è necessaria, generalis et in scriptis redi-genda; quella dettata dalla consuetudine (optima legum interpres) è necessaria e genera-lis, ma non scritta. Necessaria, ma solo nel caso di specie, e quindi né generalis né inscriptis redigenda è quella del giudice. L’interpretazione del doctor nelle scuole, infine,non è né necessaria né generale né scritta.43

40 B.C. BRASINGTON, The ‘Abbreviatio’ ‘Exceptiones evangelicarum’. A Distinctive Regional Reception of Gratian’s‘Decretum’, in Codices manuscripti 17 (1994) 95-99.41 Repertorium der Kanonistik, Città del Vaticano 1938. 42 A. GOURON, Un traité écossais du douzième siècle: l’ordo ‘Ulpianus de edendo’, in TRG 78 (2010) 1-13.43 Ed. CAPRIOLI, Tre capitoli cit. (nt. 34), 340: Sacra divina sunt decreta, sacra umana sunt leges que vitas hominum

Il Digesto fuori dal Digesto294

Proprio questo era il problema che i glossatori si ponevano commentando il titolode regulis iuris del Digesto, che per questo poteva ben rappresentare l’immensa raccol-ta di giurisprudenza nel suo significato più pregnante: quello di elevare a fonte nor-mativa i generalia che i giuristi traevano dal contatto delle leggi con la prassi.

7. La regula iuris e le scuole del Nord EuropaDietro la fortuna del De regulis iuris fuori dal Digesto, e di Bulgaro – che è all’ori-

gine della metodologia propriamente giuridica di Bologna – fuori da Bologna sta pro-prio questo problema teorico che investe e affascina la cultura filosofica e contribuiscein modo sostanziale al successo europeo della scienza giuridica. Può la regula, che nasceda un atto di interpretazione, assumere su di sé la forza normativa che deriva dallenorme che riassume e distilla in una formulazione generale? In altre parole: la scienzagiuridica può appropriarsi dell’autorità del legislatore e tracciare le linee generali di unordinamento? Se la forza di comando del legislatore si applica ad un fatto concreto,può la ratio del suo comando essere distillata dalla scienza ed applicata ad un fattodiverso, in nome della normatività di una regula che non è stata esplicitamente pro-mulgata dalla legge?

È un problema che è stato trattato in modo magistrale da Ennio Cortese, in un capi-tolo della sua insuperata Norma giuridica.44 Egli rivela come il circuito dialettico co-struito dalla scuola dei glossatori ponesse il giurista alla confluenza del profilo sog-gettivo e del profilo oggettivo della norma: poiché la sua forza obbligatoria si costitui-va dall’incontro fra la voluntas del legislatore e la ratio della norma, il giurista si pone-va la questione della vitalità di quella ratio anche al di là della portata strettamente legi-slativa della legge. Così, ad esempio, in materia di resistenza della ratio legis anche dopol’abrogazione della legge; o nel caso sorprendente in cui il Piacentino pretendeva diestendere ad similia il disposto di una norma chiaramente riservata ad un caso parti-colare. Si tratta del privilegio concesso da Giustiniano alla Chiesa di Roma con tre

constringunt. Hec considerantur aut ut condende aut ut condite: condende ut sic: si forte aliqua negocia emerserint quenondum laqueo iuris sunt innodata, convocandi sunt proceres, ut eod. ti. Humanum esse probamus (C. 1.14.8). Conditeconsiderantur ut interpretande, ut observande, ut intelligende: interpretande, quia solius Imperatoris est interpretari, utdicitur in prima lege eiusdem tituli et in alia lege, scilicet Leges sacratissime (C. 1.14.9). Oportet etenim imperatoria inter-pretatione patefieri quod obscurum est duriciamque legum iure humanitati congruo emendari. Sed obicitur quod consue-tudo est optima legum interpres. Hic notandum quod interpretatio est alia necessaria et generalis et in scriptis redigenda,que solius est Imperatoris; alia necessaria et generalis nec in scriptis redigenda, ut est interpretatio consuetudinis; alia neces-saria et non generalis et non in scriptis redigenda, ut est interpretatio iudicis pro tribunali sedentis; alia est nec necessarianec generalis nec in scriptis redigenda, ut doctoris interpretatio.44 E. CORTESE, La norma giuridica. Spunti teorici del diritto comune classico I, Milano 1962-1964, 296-338.

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novelle, compendiate nel Codice dall’Authentica Quas actiones (post C. 1.2.23),45 laquale prescriveva che sola Romana Ecclesia godesse dell’estensione a cento anni delperiodo di prescrizione delle azioni. La glossa di Accursio riferisce che i glossatori sichiesero se anche la città (di Roma) potesse godere del medesimo privilegio,46 che Pillioe Giovanni Bassiano si sarebbero tenuti al dettato della lettera della norma, ma chePlacentinus dixit idem (privilegium), quia eadem est ratio, vel maior, ergo idem ius. Laforza della ratio, dunque era tale da mobilitare l’aequitas della norma, che ne costitui-va l’anima; e l’interprete non poteva che tenerne conto – almeno per l’audace Pia-centino – applicando l’adagio ubi eadem ratio ibi idem ius. Ed ecco la lettera della leg-ge rovesciata dall’interpretazione; ecco la regola sorgere direttamente dall’equità, che ap-punto in paris causis paria iura desiderat.47

Si rammenti la decisiva variante della Vulgata che trasformava la coniectio romana inuna coniunctio medievale, evocando la congiunzione delle causae. Ne scaturiva una defi-nizione di regula che poteva ben portare all’idea – estremista, come molte delle sue –del Piacentino che la ratio potesse prevalere sulla lettera al punto di consentire l’esten-sione di un privilegio esplicitamente riservato. Nel suo commentario Bulgaro scrive:

Regula est brevis rerum narratio et quasi causae coniunctio. Prius itaque oportet esse res causasvequae coniungantur, deinde ipsa coniunctio est. Sicut enim prius fuit unus homo quam plures, itaet res et causae quasi singulae. Deinde regula: quae est de singulis quasi collecta universitas.48

Causa è qui dunque da una parte sinonimo di res, e indica la situazione di fatto pre-vista da singole norme emanate per disciplinare situazioni particolari. Ma d’altra partela stessa parola causa indica la ratio che il legislatore aveva seguito nel disciplinare queicasi, sicché dalla congiunzione (coniunctio) delle rationes emerge il principio generaleche guida l’intero ordinamento. Peter Stein, ricostruendo questo percorso intellettua-le, ne indica una possibile fonte in Boezio, che aveva descritto la inductio come il pro-cesso di identificazione delle similitudini che collegando molteplici casi li riducono inunità: ex pluribus similitudo colligitur.49

45 Vd. ora, sul punto, L. LOSCHIAVO, La Summa Codicis Berolinensis. Studio ed edizione di una composizione ‘a mosai-co’ (Ius Commune Sonderhefte 89), Frankfurt a.M. 1996, 109-124.46 Evidentemente sulla base dell’equiparazione fra enti ecclesiastici e città che fu colta assai presto dai glossatori: cfr.E. CONTE - S. MENZINGER, La Summa Trium Librorum di Rolando da Lucca (1195-1234). Fisco, politica, scientiaiuris, Roma 2012, «Introduzione», cap. 3.5.47 CORTESE, La norma cit. (nt. 44), 307 e nt. 34.48 Così l’ed. F.W.K. BECKHAUS, Bulgari ad Digestorum titulum de diversis regulis iuris antiquis commentarius etPlacentini ad eum additiones sive exceptiones, Bonn 1856, rist. anast. Frankfurt a.M. 1967, 1.49 STEIN, Regulae iuris cit. (nt. 33), 135.

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Era un’operazione intellettuale certamente consona alla scolastica filosofica, tesaanch’essa alla costruzione dei generalia. Lo conferma l’esordio del trattato De regulisiuris di un giurista-teologo della scuola renana, Bertrando di Metz, che vale la pena diriportare per esteso:

Universus tractatus veteris sapientie legum in Pandectis continetur, et quia ibi erant quedamscrupulosa, ideo Imperator Iustinianus fecit fieri significationes verborum ut obscuritas elucidaretur.Item, quia in corpore Pandectarum dicta erant universaliter, que tamen exceptionem habent, ideoin fine Pandectarum tractatum istum instituit de universalibus propositionibus, quas regulas iurisappellavit, sive iuris diffinitiones. Et non appellatur hic diffinitio, ut in dialetica, imperfectaoratio; set universalis propositio, quasi universaliter ius diffiniens. Regula vero hic accipitur, sicutin Prisciano, scilicet universitatis collectio vel plurium similium collectio brevis. Tractatui igiturde significationibus verborum tractatus de regulis iuris subiungitur, in quo totum volumenpandectarum consummatur.50

Nella scuola di Colonia51 Bulgaro e il De regulis iuris avevano successo, perché svol-gevano egregiamente la funzione di esportare i principi generali del diritto romano, chea Bologna si studiava analiticamente sui testi completi, ma Oltralpe si inseriva ancoranella cultura composita che era stata caratteristica della stagione gregoriana. A Coloniasi leggevano le Istituzioni, naturalmente; e ora Robert Feenstra,52 con lucidità per nullaappannata dall’età veneranda, propone che proprio nella scuola renana sia stato glos-sato il celebre manoscritto che ancora oggi si trova in quella città; ma certamente nonsi percorreva per intero il grossissimo Digesto, preferendo limitarsi a studiarne soltan-to qualche estratto.

Un teologo come Bertrando,53 versato nel diritto canonico, vedeva nel De regulisiuris un tractatus de universalibus propositionibus, che esprimeva il senso profondo del-l’intero Digesto: grande compilazione creata proprio per offrire principia e diffinitio-nes: una dialettica perfetta capace di definire il diritto universaliter.

Discorso analogo si potrebbe fare su altri ambienti nell’Europa settentrionale, dovequello che Pennington ha chiamato il Big bang,54 il successo rapido e straordinario deldiritto romano nel XII secolo, è attestato da una serie di documenti che dimostrano il

50 S. CAPRIOLI (ed.): Bertrandus Metensis, De regulis iuris, Perugia-Rimini 1981.51 Sulla scuola di Colonia cfr. P. LANDAU, Die Kölner Kanonistik des 12. Jahrhunderts: Ein Höhepunkt der europäischenRechtswissenschaft (Kölner rechtsgeschichtliche Vorträge, Heft 1), Badenweiler 2008.52 R. FEENSTRA, Zur Faksimileedition der Kölner Institutionenhandschrift und zur Glossa Coloniensis, in TRG 79(2011) 521-532.53 Su Bertrando cfr. S. KUTTNER, Bertram of Metz, in Traditio 13 (1957) 501-505; G. DOLEZALEK, Zur Datierungdes Kommentars ‘De regulis iuris’ von Bertrandus Metensis, in Ius Commune 11 (1984) 31-36.54 PENNINGTON, Big Bang cit. (nt. 17).

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ricorso alla terminologia tecnica desunta da Giustiniano. Nell’area anglo-normanna55

circolavano certamente anche i libri giustinianei completi, probabilmente acquisiti inItalia da ecclesiastici che vi avevano studiato.56 Eppure qui vide la luce ed ebbe straor-dinaria fortuna il celebre compendio di Vacario, che estraeva da quei libri un’antolo-gia di brani. Tratti dal Codice o dal Digesto, quei brani erano commentati da catenedi glosse che dovevano formare la base dell’educazione romanistica degli ecclesiasticiinglesi. Così, il Liber Pauperum 57 può in effetti esser considerato il più cospicuo casodi circolazione del Digesto fuori dal proprio contesto testuale, e anche un potentestrumento di diffusione della cultura giuridica italiana negli ambienti culturali del-l’Europa settentrionale.

8. ConclusioneLo studio analitico del Digesto fu senza dubbio un passaggio necessario per la nasci-

ta della nuova scientia iuris, e si può dire che la definizione di «glossatori» data ai giu-risti che fondarono quella scientia sia stata indotta proprio dall’adozione dell’unica tec-nica possibile per confrontarsi con quel testo amplissimo e irto di difficoltà. Essi entra-rono davvero nel testo, pesandone tutte le parole e agganciando la propria compren-sione alle glosse che cominciarono ad accumularsi fra le righe e nei margini dei lorolibri. Era certamente una cultura che obbligava a entrare intellettualmente «nel libro»e a leggerne ogni parola nel contesto dell’intera raccolta. Ma questa cultura germogliataall’interno del libro era destinata a uscirne fuori fin dall’inizio, e la produzione diBulgaro – allievo del più o meno mitico Irnerio e riconosciuto fondatore della corren-te più intransigente di glossatori romanisti – dimostra questa ambiguità feconda dellascuola e del nascente mestiere di giurista. Da una parte, l’astrazione dello studio ‘inter-no’, preoccupato di conciliare del contraddizioni, allineare le concordanze, interpreta-re tutte le parole senza omissioni e senza integrazioni;58 dall’altra lo sforzo di sintetiz-

55 Su cui ora con grande ricchezza di argomentazione e informazione A.J. DUGGAN, Roman, Canon and CommonLaw in Twelfth-Century England: the Council of Northampton (1164) Re-Examined, in Historical Research 83 n. 221(2010) 379-408.56 Già nel 1133-1135, stando al noto passaggio iniziale della lettera di Arnulf di Séez, poi vescovo di Lisieux, editagià da L.A. MURATORI, Rerum Italicarum Scriptores III/1, Milano 1723, 423-430; e da ultimo a c. di F. BARLOW, TheLetters of Arnulf of Lisieux (Camden 3rd s. 61), London 1939, XV nt. 4: Sed quia me in Italiam desiderata diuRomanorum studia legum duxerant.57 Su Vacario e il Liber Pauperum riassuntivo H. LANGE, Römisches Recht im Mittelalter, I. Die Glossatoren, München1997, 246-254; DUGGAN, Roman Law cit. (nt. 55), 392 con ulteriori indicazioni bibliografiche.58 Per qualche elemento di riflessione sulla funzione del testo nella cultura giuridica medievale sia consentito rinvia-re a CONTE, Diritto comune cit. (nt. 3), 82-84.

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zare i principi generali in operette agili e facilmente accessibili, come furono le due cheBulgaro redasse sul processo e sulle regulae iuris, offrendo in entrambi i casi il model-lo per la nascita dei generi letterari fortunatissimi e destinati a restare validi per secoli.La fortuna del De regulis iuris, in particolare, è l’esempio più precoce e più esplicitodella funzione svolta dal Digesto fuori dal contesto della scuola rigorosamente giuridi-ca, e ci rammenta che la logica giuridica, nata dentro il libro di Giustiniano, fu capa-ce di uscirne per influenzare profondamente la cultura filosofica medievale.


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