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Il diritto per princìpi e la comunità degli interpreti

Date post: 11-Nov-2023
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RIFD QUADERNI DELLA RIVISTA INTERNAZIONALE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO 8 Ontologia e analisi del diritto Scritti per Gaetano Carcaterra a cura di Daniele M. Cananzi e Roberto Righi volume II
Transcript

RifdquadeRni della Rivista inteRnazionale

di filosofia del diRitto

8

ontologia e analisi del dirittoscritti per Gaetano Carcaterra

a cura di daniele M. Cananzi e Roberto Righi

volume ii

© Copyright Dott. A. Giuffrè Editore, S.p.A. Milano – 2012

La traduzione, l’adattamento totale o parziale, la riproduzione con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm, i film, le fotocopie), nonché la memorizzazione elettronica, sono riservati per tutti i paesi.

Volume I

Introduzione 1di Daniele M. Cananzi e RobeRto Righi

Il diritto giurisprudenziale e il diritto “vivente”. Convergenza o affi-nità dei sistemi giuridici? 3di guiDo alpa

La famiglia. Precondizioni culturali e giudizi morali 45di SalvatoRe aMato

I fatti in un mondo di valori 57di albeRto aRtoSi

La questione degli atti nella fenomenologia giuridica di Edith Stein 73di luiSa avitabile

Solennità della forma e sostanzialità giuridica 101di giaMpaolo azzoni

Una teoria del diritto europeo 123di MauRo baRbeRiS

Il diritto tra essere e dover essere. Per un superamento della Great Division 151di gianpaolo baRtoli

La critica schmittiana alla filosofia dei valori 165di paolo beCChi

Sacro e costituzione dello Stato 181di anDRea bixio

Sicurezza e certezza giuridica di fronte alla teoria del diritto 221di gian pietRo CalabRò

InDICE

IV InDICE

Ontologia e logica della relazione giuridica. Sulla ‘contraddizione esistenziale’ in G. Carcaterra 255di Daniele M. Cananzi

Ricostruzione e decostruzione della storia 277di luigi CapogRoSSi CologneSi

Critica della responsabilità seriale. Un contributo alla logica e alla metodologia del ragionamento probatorio 291di gaetano CaRlizzi

Alcune riflessioni sulla certezza del diritto 349di MaRio a. Cattaneo

Il regime giuridico (valore) della norma risultante da un argomento a contrario o a simili 355di auguSto CeRRi

Logica dei giuristi e logica del diritto: considerazioni dialettiche 393di pieRluigi ChiaSSoni

La metodologia giuridica e la sfida del nichilismo 411di Fabio CiaRaMelli

Diapraxia 443di aMeDeo giovanni Conte

Platonismo giuridico 449di giovanni CoSi

L’autonomia come problema bioetico 481di FRanCeSCo D’agoStino

Invocare la pace e disprezzare la vita: il ricorso alla pena capitale tra ‘800 e ‘900 e le considerazioni della dottrina (non solo penalistica) 491di FauStino De gRegoRio

Radici mediche della ‘filosofia pratica’ nel pensiero antico 527di FRanCeSCo M. De SanCtiS

Teoria del discorso e argomentazione giuridico-costituzionale in R. Alexy 553di leonaRDo Di CaRlo

Il sistema giuridico e l’individuazione delle norme giuridiche valide 583di enRiCo DiCiotti

VInDICE

Il luogo dello spazio 603di paolo Di luCia

Considerazioni sulla filosofia del tempo nel novecento italiano 623di luigi Di Santo

Ancora sulla tormentata storia del rapporto medico-paziente 643di CaRla FaRalli

Giustizia, eguaglianza, pensiero etico 653di patRizia FeRRagaMo

Equivoci e verità sul negozio giuridico e sulla sua causa 673di giovanni b. FeRRi

Risarcimento per danno da diffamazione a mezzo stampa: una ricer-ca empirica 695di MoRRiS l. ghezzi

Normativismo magico 707di RiCCaRDo guaStini

Audi, Israel! Tra costitutività e prescrittività di norme 723di antonio inCaMpo

Basi antropologiche del diritto canonico 735di gaetano lo CaStRo

Volume II

Il triplice ruolo del valore logico delle norme 753di giuSeppe loRini

L’interprete della Costituzione di fronte al rapporto fatto-valore. Il testo costituzionale nella sua dimensione diacronica 767di MaSSiMo luCiani

Pari dignità e regolarità della politica 797di FRanCeSCo MeRCaDante

Sulla pluralità del linguaggio normativo: la ‘Banca di fatto’ 811di MaRCo Milli

VI InDICE

Sulla specificità dell’interpretazione costituzionale 825di FRanCo MoDugno

Note su disciplina e sistematica della responsabilità extracontrattua-le nel codici italiani dell’Ottocento 899di lauRa MoSCati

Breve fenomenologia dei fatti normativi 909di ugo pagallo

Norma, atto giuridico, entità giuridica: tre concetti, due domande, due opposte concezioni 935di loRenzo paSSeRini glazel

Diritto e solidarietà 953di balDaSSaRe paStoRe

Economia e diritto del lavoro 973di RobeRto peSSi

L’istituto giuridico della discrezionalità amministrativa nella Teoria generale dell’interpretazione di Emilio Betti 999di FRanCeSCo petRillo

Agatha Christie e Jehoshua Bar Hillel. Teoria dell’informazione e Giustizia 1027di lothaR philippS

Ricerche sull’educazione giuridica 1973-2008 1037di niCola piCaRDi

Il diritto per princìpi e la comunità degli interpreti 1079di CeSaRe pinelli

Prendere la Filosofia del diritto sul serio. La lezione di Gaetano Carcaterra 1095di antonio punzi

Iura novit curia 1115di CaRMine punzi

Il principio di eguaglianza nel diritto privato 1129di pietRo ReSCigno

La legge dell’ignoranza 1145di eligio ReSta

VIIInDICE

Interpretare a credito. Georg Simmel e la lettera 1173di RobeRto Righi

Alcune riflessioni su diritto, nichilismo e senso 1187di abelaRDo RiveRa llano

Il diritto nella coscienza senza io. Una rilettura di Sartre 1199di bRuno RoMano

Geni, Popoli, Diritto e Lingue 1235di FRanCeSCo RoMeo

Sulla duplicità del costitutivo 1251di CoRRaDo RoveRSi

L’incidenza della Costituzione repubblicana sulla lettura dell’art. 12 delle preleggi 1297di MaRCo Ruotolo

Appunti a Margine dei Processi di Formalizzazione nel Sapere Giu-ridico. Note sul legame tra componente personale e sistema formale come condizione dell’atto performativo 1313di paolo SavaReSe

Il diritto come via di comunicazione. Elementi linguistici e simbolici 1331di loRenzo SCillitani

Disobbedienza civile e reciprocità democratica 1345di teReSa SeRRa

La fallacia del normale. Passaggi sulla Is-Ought Question 1353di guglielMo SiniSCalChi

«Muoia un solo uomo». Utilitarismo e pena di morte tra Caifa e Beccaria 1377di peRSio tinCani

I valori nel diritto 1403di baRbaRa tRonCaRelli

Applicabilità delle norme sull’appalto del codice civile alla respon-sabilità del costruttore di nave 1425di leopolDo tullio

Etica, politica, diritto: modelli di discorso fondativo in Cicerone 1433di MaRia zaniChelli

Cesare pinelli

Il diritto per princìpi e la comunità degli interpreti

SoMMaRio: 1. La fortuna della distinzione fra regole e princìpi e le obiezioni al suo fondamento. – 2. Se la teoria del diritto per princìpi si traduca in una riduzione di prescrittività del diritto costituzionale. – 2.1. Confronto fra le accezioni di principio dal punto di vista della relativa struttura normativa. – 2.2. La scelta per un diritto per princìpi e le teorie dell’argomentazione. – 3. Se la teoria del diritto per princìpi equivalga a legittimare le operazioni interpretative della Corte costituzionale. – 3.1. Le possibili funzioni della comunità degli interpreti nelle teorie dell’argomenta-zione. – 3.2. La comunità degli interpreti, la riserva alla Corte dell’ultima parola e l’estraneità dell’interpretazione autentica al diritto costituzionale.

1. La fortuna della distinzione fra regole e principi e le obiezioni al suo fondamento

Il dibattito sull’interpretazione costituzionale è divenuto più intenso e più consapevole. Mentre nella prima fase dell’esperienza repubblicana la si distingueva dalle interpretazioni di altri testi nor-mativi solo per oggetto, soggetti coinvolti e canoni impiegati, ora so-no soprattutto le modalità operative a farne apprezzare la specifica funzione nell’ordinamento. Molto si deve, io credo, all’accresciuta incidenza della giurisprudenza sull’esperienza giuridica, e della giu-risprudenza costituzionale in particolare. Pur senza essere monopolio della Corte, il ricorso a princìpi scritti e non scritti, al loro reciproco bilanciamento e al canone di ragionevolezza è divenuto per essa così costante da distinguere l’interpretazione costituzionale dalle altre1.

(1) Così g.u. ReSCigno, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, in Di-ritto pubblico, 2005, p. 28, riassume i tratti differenziali dell’interpretazione costituzionale da altre interpretazioni.

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nel frattempo in sede scientifica ha preso quota la tesi di una di-stinzione strutturale fra princìpi, norme prive di fattispecie che espri-mono un “prendere posizione” di fronte alla realtà, e che in quanto potenzialmente confliggenti l’uno con l’altro vanno bilanciati, e re-gole, norme per le quali la realtà prende di volta in volta forma solo in quanto fattispecie che comporta una sussunzione e un aut-aut2. Grazie all’apertura dei suoi princìpi alla realtà, sarebbe proprio il ‘di-ritto più alto’ a rendere strutturalmente aperto il sistema giuridico, vanificando la pretesa dei canoni di interpretazione eventualmente dettati dal legislatore – ma mai, e non a caso, dalle costituzioni – di fornire risposte automatiche agli interrogativi dell’interprete.

La capacità di inquadrare in una prospettiva costituzionale le operazioni interpretative ritenute più creative della Corte spiega tanto la fortuna della teoria del diritto per princìpi3, quanto la duplice obie-zione di risolversi in un diritto costituzionale debole, ossia a prescrit-tività ridotta, e di legittimare ex post una giurisprudenza altrimenti criticabile per l’eccessiva creatività delle sue operazioni interpreta-tive4. È facile ritrovare qui i paradigmi teorici e le convinzioni che hanno in parte guidato la fase fondativa dell’esperienza repubblicana, e in parte si sono formati o rafforzati grazie ad essa, e che per ciò solo non si possono confondere con quelli del positivismo statualistico5.

(2) g. zagRebelSky, Il diritto mite, Torino, 1992, p. 129, che ha sviluppato la tesi, ori-ginariamente formulata in diverse versioni da Dworkin ed Alexy.

(3) La tesi rientra sicuramente nell’indirizzo che vede nella Costituzione una “tavola di princìpi di una ‘morale istituzionale’ aperta…alle trasformazioni provenienti da quello stesso processo pubblico che li ha prodotti”, oltre che come atto di diritto positivo, che M.Dogliani, Costituzione, indirizzo politico, applicazione della Costituzione, in I rappor-ti civilistici nell’interpretazione della Corte costituzionale. La Corte costituzionale nella costruzione dell’ordinamento attuale. Princìpi fondamentali, I, napoli, 2007, p. 283, ha considerato “una mossa dei giuristi che hanno cercato di difendere il ruolo della Carta costi-tuzionale, e della Corte” di fronte all’irrompere di fenomeni, quali “l’antipolitica” e l’affer-mazione di un’idea funzionalistica di Costituzione, che hanno portato al tramonto “dell’idea di Costituzione come modello desiderabile di società”. Può darsi che vi sia stata questa intenzione, ma il collegamento con la vicenda giurisprudenziale che andava svolgendosi contestualmente rimane in ogni caso più evidente e diretto.

(4) Per una ricostruzione dei termini del dibattito, C. pinelli, Il dibattito sull’interpre-tazione costituzionale fra teoria e giurisprudenza, in Scritti in memoria di Livio Paladin, III, napoli, 2004, pp. 1666 ss.

(5) a.paCe, Metodi interpretativi e costituzionalismo, in “Quad.cost.”, 2001, p. 60, ha designato questa posizione nei termini di un “positivismo temperato”.

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Mi propongo di saggiare la capacità della teoria del diritto per princìpi di resistere alle obiezioni, anche apportandovi integrazioni o correzioni che non ne snaturino il senso.

2. Se la teoria del diritto per princìpi si traduca in una riduzione di prescrittività del diritto costituzionale

L’obiezione relativa alla ridotta prescrittività ha evidentemente bisogno di un termine di raffronto. A quale accezione di principio, e del diritto costituzionale, ci si riferisce quando si osserva che il di-ritto costituzionale in quanto “diritto per princìpi” registrerebbe una perdita di prescrittività?

2.1. Confronto fra le accezioni di principio dal punto di vista della relativa struttura normativa

A mio avviso, le due possibili accezioni fondamentali di princi-pio rimangono ancor oggi quelle di Vezio Crisafulli, il quale li con-siderava “norme-base”, che “contengono già in sé, potenzialmente, le norme particolari”6, e che da esse differiscono “soprattutto per la maggiore generalità e comprensione del precetto che contengono”7, e di Emilio Betti, che con principio designava “qualcosa che si con-trappone a compimento, a conseguenza che ne discende, e così alla norma compiuta e formulata: è il pensiero, l’idea germinale, il crite-rio di valutazione, di cui la norma costituisce la messa in opera, calata in una specifica formulazione”, con la conseguenza di escludere “una meccanica equivalenza e convertibilità dei due termini: quella equi-valenza, cui inclina l’astratta concezione normativistica, ossessiona-ta dal postulato, o piuttosto dal preconcetto, di un’autosufficienza e ‘completezza’ logica dell’ordine giuridico”8.

(6) v. CRiSaFulli, A proposito dei princìpi generali del diritto e di una loro enunciazio-ne legislativa, in Jus, 1940, p. 199.

(7) v. CRiSaFulli, I princìpi costituzionali dell’interpretazione e applicazione delle leg-gi, in Scritti on. Romano, I, Padova, 1940, p. 683.

(8) e. betti, Interpretazione della legge e degli atti giuridici (Teoria generale e dogma-tica), Milano, 1949, p. 206.

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Utilizzerò le due accezioni lasciando impregiudicata ogni consi-derazione dei costrutti teorici nelle quali si inseriscono, delle letture che ne sono state in seguito fornite, e del se e della misura in cui possano ancora servirci nel contesto costituzionale odierno9. Le uti-lizzerò per dire che, fra di esse, tertium non datur10.

Intendere i princìpi alla stregua di norme generali capaci di con-tenere potenzialmente tutte le norme particolari comporta o presup-pone un sistema chiuso, completo e produttivo di certezze: il rap-porto principio-norma particolare, o se si vuole principio-regola, si dispone in tal caso nei termini di un automatismo che non lascia spazio all’imprevedibile. Chi muova dalla premessa che, nel diritto, l’“esigenza empirica di razionalità della vita sociale” si traduce “in un nesso di solidarietà assiologica, e per ciò stesso di coerenza logi-ca, tra le regole di un medesimo ordinamento giuridico”, ascrive la funzione di collegarle ai princìpi: “da quelli minimi (internormativi) che convogliano sotto l’eadem ratio due o più norme singolarmente individuate, ai princìpi medi (o polinormativi) che accomunano un insieme di norme operanti in un unico campo di interesse – come possono essere gli istituti e i complessi istituzionali o materie –, fino ai princìpi massimi (od onninormativi) che abbracciano l’intero mon-do del diritto positivo”: è “in funzione di questi princìpi immanenti di ogni ordinamento” che “si svolge la interpretazione sistematica, pro-cedimento fondamentale di ogni ermeneutica giuridica”, anche se, per il giurista, il punto di partenza obbligato è costituito “dall’inte-resse parziale considerato dalla norma specifica, e da qui muove ogni successiva attività ermeneutica”, per cui nel suo lavoro scientifico

(9) Ho affrontato questi problemi ne Il confronto sull’interpretazione fra Emilio Betti e Vezio Crisafulli e il contributo di Tullio Ascarelli, in Il diritto fra interpretazione e storia. Liber amicorum in onore di Angel Antonio Cervati, IV, Roma, 2010, pp. 61 ss..

(10) Mi pare che g.u. ReSCigno, Interpretazione costituzionale e positivismo giuridico, cit., p. 29, metta invece insieme i due termini dell’alternativa, là dove, dopo aver osservato che “Il diritto costituzionale è il regno dei princìpi, per la banale ragione che una dichiara-zione la quale pretende di governare l’intero ordinamento deve divenire astratta a tal punto da poter essere racchiusa in poche frasi che reggono innumerevoli altre frasi”, aggiunge che “i princìpi costituzionali, anche quando vengono definiti da qualcuno, sono inevitabilmente inizi di percorsi argomentativi, che diventano più specifici, e quindi trovano una diversa for-mulazione (vengono appunto interpretati), in relazione alla domanda a cui bisogna o si vuole rispondere”, domanda “che ha senso, e può essere delimitata col massimo di precisione di cui si è capaci, se si riesce a collocarla nel contesto sociale”.

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“appaiono imprescindibili entrambi gli approcci metodologici: il pro-cedimento esegetico che pone in rapporto il giurista con le norme, ed il procedimento sistematico che lo pone in rapporto con i princìpi”11.

Intendere invece i princìpi come inizi di processi di normazione, quali “criteri di valutazione” o di “presa di posizione” di fronte alla realtà, equivale a dire che essi non contengono già potenzialmente tutte le norme particolari e che pertanto ci troviamo in presenza di, o presupponiamo, un sistema aperto, incompleto e produttivo di minori certezze di quanto non avvenga nella prima ipotesi. Ammettendo più possibilità per la sua realizzazione, il principio-inizio non può fun-zionare come parte di un programma che ne ammette una sola, senza contare che la sua realizzazione può scontrarsi con altri princìpi, che non sono parti di un programma destinate ad adempiere a funzioni mutuamente esclusive. Conseguentemente, a differenza del princi-pio-norma generale, che contenendo già in sé potenzialmente tutte le norme particolari predetermina entro binari fissati una volta per tutte lo spazio di manovra di legislatori e giudici, il principio-inizio avvia percorsi, decisionali e argomentativi, così orientandoli, ma aprendo anche uno spazio inevitabilmente assai più ampio a legislatori e giu-dici. Chi muova da questa accezione di princìpi ne parla come di “proposizioni normative d’un grado di generalità così elevato che di regola non possono essere applicate senza l’aggiunta di ulteriori pre-messe normative e subiscono perlopiù limitazioni da parte di altri princìpi”, e ritiene che il problema dell’argomentazione si ponga in quanto “la norma da giustificare di regola non segue logicamente dai princìpi”12.

Ciò detto, cosa intendiamo quando parliamo di prescrittività del diritto costituzionale, nell’uso assunto dal termine in Europa nella seconda metà del XX secolo? Ci riferiamo propriamente alla pretesa racchiusa nei suoi enunciati di influire sulla realtà sociale, di cui la certezza che vengano attuati è solo una condizione; ed è dalla pretesa insita in ciascuna accezione di principio che discende il loro diverso grado di certezza, non il contrario.

(11) a. Falzea, Relazione introduttiva, Accademia nazionale dei Lincei, Convegno sul tema: I principi generali del diritto (Roma, 27-29 gennaio 1991), Roma, 1992, pp. 23-24.

(12) R. alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica (1978), Milano, 1998, p. 193 ss.

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Il principio-norma generale è parte di un programma che pre-tende di modellare la realtà sociale, la quale deve dunque venire pre-figurata allo scopo. Il principio-inizio concorre insieme ad altri ad orientare la realtà sociale verso certe scelte valutative ottimali, ed an-che verso progetti trasformativi dell’ordine preesistente, tracciando una cornice di compatibilità al cui interno far scorrere l’evoluzione pluralistica dei rapporti sociali. Se così è, il grado di prescrittività dell’uno e dell’altro va commisurato alle rispettive diverse pretese: non sarebbe logicamente corretto inferire il grado di prescrittività del principio-inizio dalla pretesa inerente al principio-norma generale, e viceversa.

Esaminando la struttura normativa delle due accezioni di princi-pio in una dimensione statica, una risposta alla domanda che ci siamo proposti non appare dunque ancora possibile. Lo diventa solo nel lun-go andare, che è il tempo delle costituzioni, in cui si misura la capaci-tà di ciascuna di combinare stabilità e mutamento. nel lungo andare la maggiore incertezza del principio-inizio, corrispondente a una più debole pretesa di influire sulla realtà, diventa una risorsa. Il principio-norma generale presuppone o comporta un sistema giuridico non solo chiuso, ma soprattutto rigido rispetto alla realtà sociale che intende conformare, un sistema che di fronte ai mutamenti delle condizioni storiche si spezza ma non si piega, così confermando nel suo comples-so l’aut-aut proprio delle regole. Tutto al contrario, il principio-inizio presuppone o comporta un sistema giuridico aperto e flessibile nei confronti della realtà sociale che si propone di orientare, e incorpora in sé una capacità di adattarsi ai mutamenti che gli garantiscono, coe-teris paribus, una durata e alla fine una prescrittività superiore.

2.2. La scelta per un diritto per princìpi e le teorie dell’argomenta-zione

nell’affrontare il problema delle aspettative da attribuire al testo nel corso del tempo, ossia il problema dell’equilibrio fra stabilità e mutamento, i Costituenti europei del secondo dopoguerra dovevano canalizzare in forme democratiche i processi di identificazione col-lettiva che i totalitarismi erano riusciti a dirottare verso la barbarie, senza poter ripristinare l’idea di un progresso orgoglioso e autopro-pulsivo che aveva connotato il costituzionalismo rivoluzionario, e

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con esso l’idea di un programma di princìpi-norme generali in grado di contenere tutte le norme particolari, conformando la realtà sociale alla loro stregua.

Occorreva che la convivenza si fondasse sul (e incontrasse un limite nel) rispetto della dignità della persona umana, e su un testo costruito intorno a princìpi, in modo da affidare un orizzonte di pos-sibilità agli apprendimenti maturati dalle interazioni fra persone li-bere nel corso di più generazioni. Princìpi caratterizzati, in quanto tali, da imperfetta capacità previsionale, ma proprio per questo dotati della flessibilità necessaria ad affrontare condizioni di incertezza. Si introiettava così in quei testi la consapevolezza di limiti cognitivi del-la ragione umana, di una progettualità esclusivamente artificiale. Per questo, più che per una giustapposizione compromissoria di differen-ti idealità politiche, l’opzione per princìpi-inizio equivaleva a porre scelte valutative fondamentali piuttosto che decisioni imperative.

Lo stesso ricorso alla ragionevolezza più tardi affermatosi in se-de giurisprudenziale, riflettendo prima di tutto il rifiuto di ascrive-re agli atti normativi un contenuto costituzionalmente vincolato alla generalità e all’astrattezza, di ogni prestito preventivo di razionalità, rimanda a quella opzione. Con essa, l’asse epistemologico del co-stituzionalismo rivoluzionario – generale versus particolare, astratto versus concreto – era stato abbandonato a favore della ricerca di con-cordanze, risultanti da processi di apprendimento orientati da scelte valutative fondamentali e nello stesso tempo necessariamente aperti alla contingenza.

Qui va rinvenuto a mio avviso l’anello di congiunzione con le teorie dell’argomentazione. Mi riferisco alle diverse teorie accomu-nabili per la tendenza a considerare la logica giuridica come “logica del probabile”13 – le teorie del circolo ermeneutico e della precom-prensione di Gadamer ed Esser, le teorie dell’argomentazione di Pe-relman, Ascarelli e Giuliani, la teoria del ragionamento giuridico di Alexy –, che pure non sono state elaborate in riferimento al diritto costituzionale né ambiscono a presentarsi come teorie costituzionali.

(13) Ma il termine ricorre già in M. pagano, Logica de’ probabili applicata a’ giudizi criminali, Milano, 1806, rip. in v. MaRinelli, Studi sul diritto vivente, napoli, 2008, p. 79.

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Anzitutto, le teorie dell’argomentazione erano partite dall’esigen-za di recuperare quella vasta area di fenomeni oggetto delle scienze sociali che il razionalismo cartesiano, identificando il dominio della ragione con quello delle prove dimostrative, aveva finito col relegare nell’irrazionale14. Quando i costituzionalisti, nel ricondurre in buona parte le “potenzialità generative” del linguaggio dei princìpi costi-tuzionali a una componente emozionale, invitano a non confonderla con qualcosa di irrazionale, e a desumere piuttosto la razionalità dei contenuti ascrivibili a tali princìpi “dal modo in cui le parole e le frasi in essa contenute saranno sentite dalla coscienza collettiva”15, fanno compiutamente i conti con la struttura che i princìpi costituzionali hanno assunto nel secondo dopoguerra, accostando nello stesso tem-po i loro procedimenti euristici alla logica del probabile.

Questa ammette la possibilità di più significati di uno stesso testo normativo in riferimento a un caso giudiziale, il cui raggio è circo-scritto dal consenso che a tali significati e solo ad essi è ascritto dalla comunità degli interpreti al momento della decisione. Presupponen-do una selezione dei significati ammessi, la logica del probabile indi-ca le possibilità ma anche i limiti dell’interpretazione.

D’altra parte, la confutazione dell’ipotesi che sia possibile ap-prodare a un unico, vero e oggettivo significato di un testo non con-duce per ciò stesso a risolvere l’interpretazione nelle “convinzioni morali soggettive di chi applica il diritto”16. L’interprete che segua la logica del probabile non è infatti solo di fronte al testo e di fronte alla realtà. Si trova immerso in una rete di mutui apprendimenti di inter-pretazioni presentate in forma dialogica, non ultimativa: nella teoria dell’argomentazione la discussione come tale è il momento fondante della deliberazione pratica17.

(14) C. peRelMan, l.olbReChtS-tyteCa, Trattato dell’argomentazione. La nuova retori-ca (1958), Torino, 1989, p. 3 ss., e a. giuliani, La “nuova retorica” e la logica del linguag-gio normativo, in “ Riv. int. fil. dir.”, 1970, p. 375.

(15) g. SilveStRi, Linguaggio della Costituzione e linguaggio giuridico: un rapporto complesso, in “Quad. cost.”, 1989, p. 248.

(16) R.alexy, Teoria dell’argomentazione giuridica, cit., p. 12. (17) M. la toRRe, Teorie dell’argomentazione giuridica e concetti di diritto. Un’ap-

prossimazione, App. all’edizione italiana, in R. alexy, Teoria dell’argomentazione giuridi-ca, cit., p. 365.

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Ora, la considerazione che per essa la discussione come tale, dunque la dimensione intersoggettiva, è il momento fondante della deliberazione pratica corrisponde alle caratteristiche dell’interpreta-zione costituzionale quale interpretazione di testi destinati a compor-re variamente nel corso del tempo i princìpi che costellano l’orizzon-te di senso dello Stato costituzionale: perché i mutui apprendimenti che della discussione sono il risultato più duraturo acquistano essi stessi un significato di principio proprio quando le interpretazioni si riferiscano a testi strutturati per princìpi, che è poi il modo con cui riteniamo che il diritto costituzionale sia in grado di reagire alle incognite del tempo.

Il collegamento fra teoria dell’argomentazione e teorie costituzio-nali può dunque venire assicurato da un diritto costituzionale strutturato per princìpi nella misura in cui questo, ammettendo una (non indefini-ta) pluralità di opzioni interpretative che necessariamente si dispiegano nel tempo, corrisponde alla logica del probabile che è l’asse portante delle teorie dell’argomentazione. La maggiore latitudine interpretati-va cui si prestano i princìpi non è solo frutto di necessità pratica, ma ne riflette la diversa struttura normativa rispetto a quella delle regole, costituzionali e legislative, e il conseguente mutamento del modo di intendere il diritto costituzionale. In questo senso, l’incontro fra teorie dell’argomentazione e teorie costituzionali è l’incontro fra logica del probabile e storicità del diritto costituzionale quale ius quo utimur.

3. Se la teoria del diritto per princìpi equivalga a legittimare le ope-razioni interpretative della Corte Costituzionale

non meno della prima, l’obiezione che la formulazione del dirit-to per princìpi legittimerebbe in sede scientifica operazioni interpre-tative della giurisprudenza caratterizzate da eccessiva creatività pre-suppone l’accezione di principio-norma generale che abbiamo posto a raffronto con quella di principio-inizio, con le rispettive sottostanti visioni teoriche. Essa presenta tuttavia implicazioni proprie in ordine alla funzione della scienza costituzionalistica. Ed è qui che si può cogliere l’utilità dell’accostamento delle teorie dell’argomentazione al diritto per princìpi, a condizione di precisare il ruolo che vi giuoca la comunità degli interpreti.

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3.1. Le possibili funzioni della comunità degli interpreti nelle teorie dell’argomentazione

Altro è attribuire alla comunità degli interpreti la funzione di concorrere alla precomprensione, nel senso di Gadamer e di Esser, ed altro è far dipendere la validità dell’argomentazione dalle risposte dell’uditorio, come nella teoria di Perelman18. Muovendo dal presup-posto che ogni argomentazione giuridica presenta un aspetto probato-rio e un aspetto persuasivo, Gaetano Carcaterra ha osservato che, se si seguisse Perelman, il controllo istituzionale dell’argomentazione non sarebbe possibile in riferimento all’aspetto persuasivo, e che, se lo fosse, stravolgerebbe la funzione cui è preposto. Il controllo sarebbe impossibile dal momento che il giudice deve giudicare la persuasività dell’argomentazione addotta dalla parte o dal giudice di primo grado in base al suo risultato, ossia il consenso dell’uditorio, che quindi deve esistere prima del giudizio stesso, con conseguente formazione di un circolo vizioso. Inoltre un controllo della componente retori-ca dell’argomentazione capovolgerebbe l’ordine del ragionamento, costringendo a valutarne la validità a partire dalla decisione, non il contrario19.

Senza negarne la natura probabilistica, in quanto fondata su pre-messe prive di necessità logica, ma solo probabili od opinabili, Car-caterra struttura l’argomentazione giuridica nei termini di un pro-cedimento dialettico che si snoda nelle sequenze “comune cultura giuridica di sfondo” / “problema ermeneutico” / “ipotesi ermeneu-tica” / “critica dell’ipotesi” / “risultato”20, consentendo così un con-trollo dell’argomentazione che non incorre nel circolo vizioso dianzi prospettato.

nella ricostruzione il condizionamento dell’uditorio non scom-pare, ma cambia funzione. Richiamandosi in generale alla nuova re-torica, ma anche a quella aristotelica, egli osserva che “nel diritto gli uditori sono molteplici a seconda delle occasioni del discorso

(18) C. peRelMan, l. olbReChtS-tyteCa,trattato dell’argomentazione, cit., p. 19 ss.(19) g. CaRCateRRa, L’argomentazione nell’interpretazione giuridica, in “Ermeneutica

e critica”. Atti del Convegno dell’Accademia dei Lincei del 7-8 ottobre 1996, Roma, 1998, p. 114.

(20) g. CaRCateRRa, L’argomentazione, cit., p. 125.

1089il diritto per princìpi e la comunità degli interpreti

(un tribunale, la Suprema Corte, la comunità scientifica, ecc.), ma si influenzano reciprocamente soprattutto quando sono in discussione questioni di carattere generale come quelle ermeneutiche, per cui essi finiscono per costituire un unico largo uditorio che si può chiamare brevemente la comunità dei giuristi. Una premessa è, così, plausibile nella misura in cui risulta accettabile dalla comunità dei giuristi: nel-la misura, possiamo dire, in cui sia confortata dalla comune cultura giuridica di sfondo”21.

Questa sorta di ricollocazione dell’uditorio non è un gioco di prestigio. Dire che l’argomentazione dipende dalle aspettative dell’u-ditorio non equivale a dire che le premesse di un’argomentazione risultano condizionate da quelle che potremmo chiamare “le reazio-ni degli uditori del passato” alla soluzione di casi giurisprudenziali direttamente o indirettamente rilevanti per la soluzione di quello in esame. Ciò comporta nondimeno uno spostamento di prospettiva dal-la singola argomentazione alla dinamica dei processi interpretativi, che acquista come vedremo speciale importanza per l’interpretazione costituzionale.

3.2. La comunità degli interpreti, la riserva alla Corte dell’ultima parola e l’estraneità dell’interpretazione autentica al diritto costitu-zionale

Pur condividendo l’ipotesi che la logica del probabile sia lo stru-mento tipico per realizzare la storicità del diritto costituzionale22, Franco Modugno ha considerato il canone dell’intersoggettività “in-dispensabile, essenziale ma non esaustivo”, poiché per quanto in ogni bilanciamento si confrontino diverse visioni assiologiche “tra di esse è solo la Corte a scegliere, e per questo, a mio avviso, si qualifica indiscutibilmente come organo di chiusura del sistema”23.

L’obiezione mette in evidenza la specificità delle operazioni e più ancora dei processi interpretativi della Corte costituzionale. In quale

(21) Ivi, pp. 121-122. Corsivi dell’A.(22) Già prospettata in C. pinelli, Il dibattito sull’interpretazione costituzionale, cit.,

pp. 1682 ss.(23) F. MoDugno, Interpretazione per valori, in Interpretazione costituzionale, cit., pp.

66-67.

1090 cesare pinelli

misura lo spostamento di prospettiva dalla singola argomentazione alla dinamica dei processi interpretativi, che mi è sembrato di coglie-re nell’obiezione di Carcaterra a Perelman, vale per la Corte quale “organo di chiusura del sistema”?

È venuto il momento di precisare che la comunità degli interpreti è composta da soggetti la cui attività incide diversamente sull’ordina-mento giuridico, in modo diretto o solo indiretto ed eventuale, a se-conda di quanto disponga lo stesso ordinamento. La tesi secondo cui, visto il carattere problematico, prima che sistematico, del “modo di procedere discorsivo”, sarebbe la struttura della fattispecie concreta, piuttosto che il contesto ordinamentale in cui si inserisce, a stabilire chi abbia facoltà di parlare24, equivale a sganciare la teoria discorsiva dall’ordinamento al quale si riferisce. Diversamente, non si può nega-re che è l’ordinamento a fissare i criteri di abilitazione all’emissione delle pronunce dei giudici e i loro effetti, e che il carattere discorsivo del processo di interpretazione costituzionale si ricava invece da una certa ricostruzione dell’esperienza giuridica, ed è utile a tal fine25.

Occorre perciò distinguere i piani. Sul piano del dover essere costituzionale la Corte va anche a mio avviso considerata organo di chiusura del sistema, mentre le cose stanno diversamente sul piano dell’effettività26. L’ipotesi che i processi di interpretazione costitu-zionale si reggano su una dimensione discorsiva e intersoggettiva si muove in una sfera ancora diversa, non interamente risolubile né in quella del dover essere né in quella dell’essere. Essa mira a, e pre-suppone la possibilità di, ricostruire i processi interpretativi che si dispiegano nell’esperienza in modo da valorizzarne gli aspetti più pregnanti per lo sviluppo di un diritto per princìpi. Ed è nell’ambito di questa sfera, in quanto diversa da quelle del dover essere e dell’es-sere, che si inscrive il tentativo di superare il dilemma fra ricostru-

(24) M. Cavino, Interpretazione discorsiva del diritto. Saggio di diritto costituzionale, Milano, 2004, p. 169.

(25) C. pinelli, Gli interpreti della Costituzione e le funzioni della teoria costituzionale, in Teoria del diritto e dello Stato, 2005, p. 205.

(26) Basterà ricordare recenti occasioni in cui non è stata la Corte a dire l’ultima paro-la, ma la Corte di Cassazione o il Parlamento, per non parlare del circuito sovranazionale europeo, che grazie al gioco di rimandi delle tradizioni costituzionali comuni e dei margini di apprezzamento è attrezzato in modo da eludere la questione della giurisdizione abilitata a dire l’ultima parola sulla protezione dei diritti fondamentali.

1091il diritto per princìpi e la comunità degli interpreti

zione del diritto costituzionale come diritto fondato su regole, che confida su di esse per scongiurare una caduta di prescrittività anche a costo di perdere di vista il senso dell’interpretazione costituzionale quale esperienza giurisprudenziale, e ricostruzione del diritto costitu-zionale come diritto per princìpi, che pur muovendo da un approccio storicamente ed epistemologicamente più consapevole, può sfociare nella legittimazione di un fatto, visto il ruolo preponderante acquisito dai giudici, e in particolare dalla Corte, nell’attività di interpretazione costituzionale.

Ci si può ora chiedere se la ritenuta sussistenza di un organo abilitato a dire l’ultima parola – e, prima ancora, l’esigenza di indi-viduarlo – costituisca un limite per il “canone dell’intersoggettività”.

Torniamo un momento indietro. A differenza della scienza giuri-dica, le cui interpretazioni sono prive di dirette conseguenze sull’ap-plicazione del diritto, le corti sono titolari del potere-dovere di pro-nunciarsi sulla controversia di volta in volta ad esse attribuita, dunque di applicare il diritto e prima ancora di interpretarlo; di converso, le interpretazioni dei giuristi sono ad oggetto libero, al punto da poter ricostruire in un modo o in un altro l’intero sistema giuridico, laddo-ve quelle delle corti sono ad oggetto vincolato, circoscritte dal caso.

Di recente si è distinta l’“autorità-potere” dei giudici dall’“auto-rità-prestigio”, tipica pur se non esclusiva dei giuristi, chiarendo che la distinzione non esprime separatezza, ma “non può essere ignorata senza rischio di superficialità e di confusione”27. nel convenire con questa riformulazione, aggiungo solo che la distinzione fra i diffe-renti ruoli dei giudici e dei giuristi non esclude un reciproco collega-mento, anzitutto in virtù del principio di corrispondenza fra potere e responsabilità, un principio cardine del costituzionalismo contempo-raneo: anche l’attività interpretativa dei giudici, nella misura in cui si traduce nell’esercizio di un potere, è soggetta a responsabilità, perlo-meno sotto forma di critica da parte di altri interpreti e dei giuristi in modo particolare.

Il circuito potere-responsabilità è un elemento cruciale per i pro-cessi interpretativi su cui le teorie dell’argomentazione hanno avuto il merito di attirare l’attenzione, poiché consente un collegamento

(27) v. MaRinelli, Studi sul diritto vivente, cit., p. 82.

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strutturale, oltre che costituzionalmente fondato, fra attività interpre-tative che fanno capo a diversi soggetti senza per ciò stesso confon-derle. D’altra parte, col presupporre possibilità ma anche limiti per l’interpretazione, la logica del probabile consente un approccio suffi-cientemente critico e selettivo alle operazioni interpretative compiute dalla giurisprudenza; e, superando così l’acquiescenza dei commen-tatori alle premesse ed alle opzioni più o meno latenti in tali opera-zioni, aiuta a ricordare che quanti partecipano alla precisazione e al mutamento del linguaggio dei testi normativi esercitano un potere, e conseguentemente assumono una responsabilità. È a queste condi-zioni che la comunità degli interpreti cessa di apparire una nebulosa, e si rivela popolata di soggetti – o, se proprio si vuole, “autorità” –, che pur rivestendo ruoli differenti risultano fra loro strutturalmente collegati.

Ora, la riserva alla Corte costituzionale dell’ultima parola, con la conseguente qualificazione della Corte come organo di chiusura del sistema, esprime il massimo potere attribuito dall’ordinamento a un organo giurisdizionale, ma nello stesso tempo rimane circoscritta al caso. I due aspetti si tengono l’uno con l’altro. Al massimo potere corrisponde la massima responsabilità, e sarebbe paradossale esclu-dere proprio l’organo giurisdizionale costituzionalmente abilitato a dire l’ultima parola da ogni responsabilità che anima la discussione intorno all’interpretazione costituzionale. Infatti l’ultima parola va riferita al caso, non all’interpretazione dell’enunciato testuale alla cui stregua il caso è stato deciso, e che non termina con quella decisione. non solo l’interpretazione dell’enunciato può venire criticata, ma la stessa Corte può discostarsene in un caso successivo con la tecnica del distinguishing, a dimostrazione che il canone dell’intersoggettivi-tà può riprendere immediatamente a funzionare.

né appare casuale, si può aggiungere, che l’interpretazione au-tentica sia istituto estraneo al diritto costituzionale. Lo è in riferi-mento al legislatore costituzionale come alla Corte; e da quando la giurisprudenza ha escluso di doversi arrestare all’autoqualificazione dell’atto, le stesse leggi di interpretazione autentica non hanno più a che vedere con un’interpretazione assunta come vera, e perciò defi-nitiva, in virtù dell’autorità da cui promanano.

L’attribuzione alle Corti costituzionali del potere di dire l’ultima parola non implica né può implicare quello di interpretazione au-

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tentica. I giudici costituzionali assomiglierebbero così a dei sommi sacerdoti che dall’alto di un tempio ci espongono la verità ufficiale sulla costituzione: sul piano epistemologico, sarebbe l’altra faccia di una predeterminazione costituzionale dei canoni di interpretazione mirante ad ascrivere un solo significato al testo e a suoi singoli enun-ciati. Il rifiuto di tutto questo connota in profondità il modo d’essere delle democrazie pluralistiche contemporanee. Una democrazia nella quale vi fosse una verità ufficiale e non revocabile su ciò che è stabi-lito in costituzione rinnegherebbe se stessa: in democrazia nessuno, nemmeno la Corte costituzionale, è investito del compito di stabilire una volta per tutte il significato della costituzione. In questo senso anche l’organo titolare dell’ultima parola è parte di un processo in-terpretativo sempre aperto. In questo senso si comprende perché il diritto per princìpi, che sarebbe impensabile in presenza di canoni predeterminati di interpretazione, non potrebbe d’altra parte svilup-parsi all’ombra di un tempio popolato da sommi sacerdoti.


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