Università degli Studi “La Sapienza” di Roma
Facoltà di Filosofia
Corso di Laurea Triennale in Teorie e Tecniche della Conoscenza
Tesi di laurea in Filosofia della Scienza
Titolo della Tesi: “Il Metodo Storico in T. S. Kuhn e L.
S. Vygotskij: un confronto”
Relatore: Laureanda:
Chiar. Ma Prof. ssa Maria Silvia Marini
Adele Morrone
Anno Accademico 2006 / 2007
2
INTRODUZIONE
Questo lavoro si propone di analizzare due figure di grande rilievo nel panorama dello
studio della natura della conoscenza: Thomas Kuhn e Lev Semenovič Vygotskij.
Seppur apparentemente molto lontani, soprattutto per quanto concerne l‟ambito specifico
di ricerca cui si sono dedicati (per Kuhn la filosofia della scienza, per Vygotskij la
psicologia evolutiva), essi in realtà sono accomunati, ciò è quanto ci proponiamo di
mettere in evidenza in questa sede, dal metodo d‟indagine utilizzato, nonché dalla teoria
del significato che, separatamente, hanno messo a punto. L‟approccio storico, critico, alla
conoscenza contraddistingue entrambi: Kuhn ha rivoluzionato il modo di intendere il
metodo scientifico, inserendo la scienza nel tempo, rendendola così sensibile al suo
influsso, privandola dello status privilegiato di cui fino a quel momento aveva goduto,
quello cioè dell‟universalità.
Nella prima parte di questo lavoro abbiamo infatti analizzato l‟opera kuhniana facendo
leva proprio sui suoi aspetti più propriamente storici, evidenziando le fondamentali
conseguenze filosofiche che tale innovativo approccio ha comportato in ambito
epistemologico; per quanto concerne la questione inerente la teoria del significato
abbiamo cercato, nel modo più sintetico possibile, di concentrare l‟attenzione sui concetti
focali, come quello di incommensurabilità (concetto chiave la cui evoluzione testimonia
il percorso filosofico kuhniano nel corso delle sue fasi più significative), e di tassonomia.
Sempre nell‟ambito dell‟analisi del lavoro kuhniano abbiamo inserito un confronto tra
l‟opera del filosofo statunitense e quello di un altro importante pensatore, ossia Ludwig
Wittgenstein. Questa comparazione, a nostro avviso, può rivelarsi utile per capire
appieno la reale portata filosofica del pensiero di Kuhn: se è vero che molto della
riflessione di quest‟ultimo, anche a livello terminologico, è in debito verso la teoria del
significato wittgensteiniana, è altrettanto vero che la rielaborazione kuhniana si rivela per
molti versi affatto originale, contribuendo a gettare una luce nuova sul mondo dello
studio della metodologia e della ricerca scientifica, proprio perché in Kuhn il vero
elemento innovativo è la visione storica della scienza.
Del resto, in Vygotskij l‟indagine delle funzioni psichiche non può ritenersi efficace se
non condotta tenendo conto che tutti i processi mentali, compreso il processo di
3
formazione dei concetti, sono frutto di una cooperazione tra il soggetto e l‟ambiente
circostante, rapporto che muta e si evolve anche e soprattutto in funzione del tempo e
delle condizioni storiche e sociali.
“La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall‟essere cosciente, è l‟essere
degli uomini, è il processo reale della loro vita. Se nell‟intera ideologia gli uomini e i loro
rapporti appaiono capovolti come una camera oscura, questo fenomeno deriva dal
processo storico della loro vita. […] Gli uomini che sviluppano la loro produzione
materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il
loro pensiero e i prodotti del loro pensiero.”1
È nel materialismo storico che Vygotskij trova il punto di partenza della propria indagine
in ambito psicologico: l‟apprendimento del linguaggio, così come lo sviluppo dei
processi cognitivi, dipendono dalla cooperazione del soggetto con l‟ambiente che lo
circonda, sono frutto di uno sviluppo oltre che genetico, culturale e socio–storico: questo
è quanto ci siamo proposti di mettere in evidenza nella parte dedicata all‟analisi del
lavoro vygotskiano. Per Vygotskij è la dialettica l‟unico metodo valido per comprendere
il funzionamento delle funzioni psichiche superiori (e qui è evidente il richiamo al
materialismo dialettico): ogni fenomeno va studiato sotto il suo profilo dinamico, come
un processo in trasformazione, evidenziando in particolar modo i cambiamenti di natura
qualitativa.2
Abbiamo esaminato separatamente i due autori, per poter chiarire e mettere in luce i tratti
salienti della loro filosofia, utili alla nostra esposizione; abbiamo anche creduto
opportuno inserire un confronto tra Kuhn e Wittgenstein, al fine di scandagliare
ulteriormente la teoria del significato kuhniana
Le conclusioni cui siamo giunti, che vogliono costituire solo uno spunto di riflessione e
non giudizi definitivi, vista la delicatezza delle questioni affrontate e l‟enorme portata
1 Marx Karl, Engels Friedrich, “Die deutsche ideologie. Kritik der neuesten deutschen philosophie in ihren
reprasentanten Feuerbach, B. Bauer und Stirner, und des deutschen sozialismus in seinen versh iedenen
propheten”; tr. it. , “L‟ideologia tedesca – Critica della più recente filosofia tedesca nei suoi rappresentanti
Feuerbach, B. Bauer e Stirner, e del socialismo tedesco nei suoi vari profeti ”, Editori Riuniti, Roma 1967,
p. 13. 2 Vygotskij Lev Semenovič, “Mind in society – The development of higher psychological processes”,
Harvard University Press, Cambridge, Mass, e Londra 1978; tr. It. di Caterina Ranchetti , “Il processo
cognitivo”, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1980.
4
filosofica degli autori presi in esame, è che sono riscontrabili punti di aderenza
significativi, in particolar modo in ambito metodologico, e che sarebbe auspicabile un
ulteriore approfondimento circa il confronto fra questi due eminenti studiosi.
5
APPROCCIO STORICO E TEORIA DEL SIGNIFICATO
IN KUHN
La struttura de “La Struttura”
Una premessa necessaria al lavoro di analisi che ci proponiamo di svolgere in questa sede
è quella concernente la descrizione dello schema di sviluppo scientifico proposto da
Kuhn nella sua opera filosofica.
Il progresso scientifico, per Kuhn. non è rappresentabile tramite l‟immagine di una linea
retta che percorra senza intoppi il tempo, seguendo la direzione della verità: proprio
perché esso è nel tempo3 il suo sviluppo è invece più complesso e contempla anche punti
di discontinuità significativi. Tali punti individuano dei mutamenti di fase per la scienza
stessa e vengono classificati da Kuhn intorno al - ed in funzione del - concetto di
paradigma4 .
La scienza preparadigmatica, prima tappa, vede diverse scuole in lotta fra loro ed è
caratterizzata dall‟assenza pressoché totale di accordo circa i fondamenti della disciplina
scientifica. Una delle suddette scuole emerge se riesce nel compito di conseguire un
risultato, tale che esso risolva uno o più dei problemi fondamentali al centro della disputa
e possa assumere, fornendo nuovi strumenti concettuali, il ruolo di modello di riferimento
generale nel lavoro di ricerca successivo. La seconda tappa viene invece classificata da
Kuhn come scienza normale: in questa fase, superato il dissenso e affermatasi una delle
scuole in competizione, la funzione chiave è svolta dal paradigma, ovvero dal modello di
riferimento che la scuola, vincendo, ha imposto. Tutte le soluzioni dei problemi che
avevano configurato il paradigma nella prima fase, valgono, ora, quali casi esemplari cui
appellarsi sia per l‟apprendimento della disciplina sia per lo stesso lavoro di ricerca. Nel
periodo di scienza normale, all‟interno della comunità scientifica l‟accordo, il consenso,
sono diffusi, la ricerca si concentra in prevalenza sugli aspetti quantitativi della scienza (e
3 Hacking I. , “Representing and interventing”, Cambridge University Press, Cambridge 1983; tr. it. di
Enrico Prodi, “Conoscere e sperimentare”, Gius.Laterza & Figli, Roma – Bari 1987, p. 10. 4 Il concetto di paradigma verrà discusso e analizzato in modo più ampio nei paragrafi successivi.
6
non su quelli qualitativi, come succede nella fase preparadigmatica), qualificando in tal
modo il lavoro scientifico come sostanzialmente cumulativo. Gli scienziati sono chiamati
a risolvere una serie di rompicapo, frutto di una scelta mirata5, per ampliare il più
possibile la portata del paradigma6. In questo periodo di scienza normale l‟obiettivo non è
né di confermare né di smentire il modello paradigmatico (come invece voleva la
filosofia della scienza positivista): l‟obiettivo è anzi, appunto, di accumulare conoscenza.
Ma il modello adottato, come ogni altra teoria del resto, nasce confutato7. Come prima
illustrato, il lavoro della scienza normale ruota principalmente intorno alla risoluzione di
rompicapo. Questi problemi mettono alla prova gli ingegni della comunità, che nella
maggior parte dei casi riescono a venire a capo del problema in questione, inquadrandolo
nel paradigma. Non sempre però questo avviene: quando un rompicapo si ostina a
rimanere irrisolto, emerge quella che Kuhn definisce anomalia. Nel tempo tali anomalie
si fanno sempre più numerose, e con il crescere del numero di queste aumenta di pari
passo la difficoltà nel far progredire la scienza normale. La presa di coscienza delle
anomalie (che comunque, lo precisiamo, devono riguardare aspetti significativi della
teoria in questione) conduce la scienza, progressivamente, verso il terzo stadio: quello in
cui si verifica una vera e propria crisi del paradigma, crisi che spesso porta a sua volta ad
un nuovo approccio alla scienza8. La fase in cui tale approccio viene ricercato è detta di
scienza rivoluzionaria. Per molti aspetti questa assomiglia alla prima tappa: disaccordo
sui fondamenti della disciplina, disorientamento, e molte proposte alternative per la
sostituzione del modello corrente. La teoria vincente sarà quella in grado di risolvere le
anomalie più rilevanti e di integrare i risultati conseguiti dal vecchio paradigma. Questa
5 “Le discussioni sui paradigmi implicano sempre la questione: quali problemi è più importante risolvere?”,
Kuhn T. S., “The structure of the scientific revolutions”, The University of Chicago Press, Chicago and
London 1962; seconda edizione, 1970, con l‟aggiunta di “Postscript – 1969 ”; terza edizione, 1996; tr. it. di
Adriano Carugo, T . S. Kuhn, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, Einaudi, Torino 1969, 1978 e
1995, p. 138. 6 “La ricerca normale, che è cumulativa, deve il proprio successo alla abilità degli scienziati nello scegliere
regolarmente problemi che possono venire risolti con tecniche concettuali e strumentali strettamente
connesse con quelle che già esistono.”, ibidem., p. 124. 7 Hacking I. , “Conoscere e sperimentare”, op. cit. , p. 11.
8 “Le rivoluzioni scientifiche sono introdotte da una sensazione crescente, anche questa volta avvertite solo
da un settore ristretto della comunità scientifica, che un paradigma esistente ha cessato di funzionare
adeguatamente nella esplorazione di un aspetto della natura verso il quale quello stesso paradigma aveva
precedentemente spianato la strada. […] la sensazione di cattivo funzionamento che può portare a una crisi
è un requisito preliminare di ogni rivoluzione.” , T . S. Kuhn, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”,
op. cit., p. 119 – 120.
7
ridefinizione di campo viene identificata come rivoluzione scientifica, e lo stabilizzarsi
del nuovo modello riconduce la scienza nella sua fase “normale”. La tappa in cui si
svolge la scienza rivoluzionaria è molto delicata ed inerisce ad essa il concetto più
importante (dopo quello di paradigma), nonché più controverso, della filosofia kuhniana:
il concetto di incommensurabilità.
Secondo Kuhn, “paradigmi successivi ci dicono cose differenti sugli oggetti che popolano
l‟universo e sul comportamento di tali oggetti”. Non solo: per Kuhn “l‟aspetto
fondamentale delle rivoluzioni scientifiche” consiste “nella trasformazione della struttura
concettuale attraverso la quale gli scienziati guardano al mondo”9. Ne “La struttura delle
rivoluzioni scientifiche” il concetto di incommensurabilità viene spiegato nei termini di
riorientamento gestaltico: la rivoluzione scientifica, come sopra ribadito, produce un
mutamento della visione della natura e della scienza stessa. Agli occhi dello scienziato
coinvolto nella rivoluzione, il mondo cambierà nella misura in cui egli sarà stato
“persuaso”10
dal nuovo paradigma. Questo perché la sua concezione della realtà è stata
plasmata attraverso l‟acquisizione di un modello fornito dal paradigma stesso: dovrà
essere quindi rieducata la percezione che lo scienziato ha dell‟ambiente in cui si dipana il
suo lavoro di ricerca, occorrerà che impari a vedere una nuova gestalt. “Dopo di che, il
mondo della ricerca gli sembrerà, in varie parti incommensurabile con quello in cui era
vissuto prima.”.11
Mancano dati fissi ( i dati sono carichi di teoria_ cambia la teoria,
cambiano i dati_ ), ecco perché il mutamento di paradigma non può essere identificato
con un processo di reinterpretazione dei dati. L‟ interpretazione funge come strumento di
articolazione del paradigma. Kuhn a riguardo fornisce un esempio molto calzante, ovvero
quello concernente il ruolo svolto dalle ricerche di Giovanni Buridano12
( filosofo e
9 Ibidem, p. 131.
10 Circa l‟analogia tra sviluppo sociale e sviluppo scientifico, Kuhn sostiene che “i partiti impegnati in un
conflitto rivoluzionario devono alla fine far ricorso alle tecniche della persuasione.”, T. S. Kuhn, “La
struttura delle rivoluzioni scientifiche”, op. cit. , p. 121. 11
Ibidem, p. 140. 12
Galileo venne fortemente influenzato nella sua formazione scientifica dalla teoria dell‟impetus di
Giovanni Buridano. Tale teoria venne costruita da Buridano come segue: partendo dalla teoria aristotelica
dei moti violenti si chiede da che cosa sia mosso il proietto una volta uscito dalla mano del proiciente. Le
spiegazioni fornite al riguardo nell‟antichità sono per Buridano del tutto sbagliate: egli propone quindi una
sua ipotesi, quella dell‟impetus appunto: il proiciente imprime al proietto uno slancio, una virtù motrice (vis
motiva) che continua a muovere il proietto anche una volta venuto meno il contatto con il proiciente. La
velocità del proietto aumenterà tanto più forte sarà l‟ “impeto” impresso. L‟oggetto cade a terra perché l‟
“impeto” gradualmente scema, a causa della resistenza dell‟aria, la quale si muove in direzione contraria a
8
scienziato tardo – medioevale) e di Nicola di Oresme sugli sviluppi conseguiti da Galileo
nel campo della meccanica. Il genio di Galileo, secondo Kuhn, non è stato tanto quello di
inventare di sana pianta una teoria, bensì “nell‟utilizzazione che egli fece delle possibilità
percettive rese disponibili da un mutamento di paradigma avvenuto nel medioevo”13
:il
talento di Galileo fu quello di saper sfruttare gli strumenti messi a disposizione dal
paradigma e di aver colto i risultati che in esso in latenza erano contenuti. Questo
esempio sottolinea in modo evidente l‟importanza fondamentale della formazione per il
lavoro di ricerca nell‟ambito delle scienze. Difatti, a ulteriore riprova di quanto finora
esposto, Galileo utilizzò gli esperimenti come verifica di studi già compiuti e di risultati
già previsti da lui stesso sulla carta. Circa le ricerche sulla caduta dei gravi “egli aveva
costruito il suo teorema sull‟argomento e ricavato molte delle sue conseguenze prima di
fare gli esperimenti sul piano inclinato. Quel teorema era un altro modello per descrivere
le regolarità divenute accessibili al genio in un mondo determinato congiuntamente dalla
natura e dai paradigmi sulla cui base Galileo ed i suoi contemporanei erano stati
educati.”14
Anche i dati che vengono presi in considerazione, sullo sfondo di un nuovo
modello, non sono più gli stessi. Se l‟obiettivo primario, infatti, consiste nel raggiungere,
per quanto possibile, un pieno accordo tra natura e paradigma, viene da sé che la scelta di
compiere un determinato tipo di esperimenti piuttosto che un altro, e di focalizzare
quella verso cui muove l‟ “impeto”, fino al punto in cui la gravità dell‟oggetto non vinca lo slancio e lo
faccia cadere verso il suo “luogo naturale”. E quanto più un corpo contiene materia, tanto più potrà ricevere
questo impeto; ecco perché la resistenza dell‟aria vince prima la piuma della pietra: quest‟ultima può
ricevere più impeto in virtù della maggiore quantità di materia che la costituisce. Quindi l‟impetus è
direttamente proporzionale, oltre che alla velocità, alla densità e al volume del corpo, ovvero, stabilendo
un‟analogia con la terminologia moderna, alla massa (visto che posta la massa = m, densità = d, volume =
V si ha che m = d · V ). Ciò a cui è inversamente proporzionale, invece, è la resistenza dell‟aria (oltre che
l‟inclinazione contraria del mobile): se ne può dedurre che in assenza di questa il moto duri
indefinitamente; è spontaneo il collegamento con il principio d‟inerzia (il principio di inerzia, anche detto
primo principio della dinamica, è uno degli assiomi fondamentali della fisica classica e la sua enunciazione
è la seguente: un corpo, a meno che non sia soggetto all‟intervento di una forza esterna ad esso, permane
nel suo stato di quiete, ovvero nello stato di moto rettilineo uniforme). Con l‟idea di impeto è possibile
spiegare anche la caduta libera dei gravi e il perché cadendo accelerino: esso si accresce dapprima in virtù
della gravità naturale dei corpi. Questi acquistano velocità che, a sua volta, aumenta l‟impeto. Non solo:
con la sua ipotesi Buridano riesce a dar conto anche dei fenomeni di rimbalzo elastico (l‟impeto in presenza
di ostacoli produce moto per riflessione) e delle vibrazioni prodotte dalle corde di uno strumento musicale.
Gli studi effettuati da Buridano vennero poi ripresi da Nicola di Oresme e applicati da quest‟ultimo in
modo del tutto originale al caso di una pietra oscillante: questa analisi influenzò Galileo e “oggi si presenta
come la prima discussione del pendolo” (“La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, op. cit. , p. 149). 13
“La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, op. cit., p. 148. 14
Ibidem, p. 154.
9
l‟attenzione su determinate misurazioni piuttosto che su altre, sarà necessariamente
condizionata dal paradigma, e condizionerà essa stessa l‟esperienza immediata.
E‟ per questo che ogni rivoluzione impone un ripensamento del rapporto uomo- natura,
una riformulazione della tradizione scientifica precedente nei termini del nuovo
linguaggio imposto dal paradigma vigente. Le teorie emergono in concomitanza dei fatti
che esse spiegano, e questo rapporto uomo natura viene riformulato proprio in virtù della
sua dipendenza dal paradigma. Ma una riformulazione del genere finisce per distruggere
“il senso che lo scienziato ha della storia della propria disciplina”15
, perché consiste in
un‟operazione che sostanzialmente è tesa a decontestualizzare la teoria passata per
trapiantarla nel paradigma corrente, dandole un aspetto che ad esso s‟addica.
15
Ibidem, p. 168
10
Il concetto di paradigma
Il concetto di paradigma può essere definito senza indugio il perno della filosofia della
scienza di Kuhn. Attorno ad esso s‟addensa tutta la carica innovativa di cui “La struttura
delle rivoluzioni scientifiche”16
è stata portatrice.
Esso sintetizza l‟intera prospettiva scientifica, la costellazione di credenze e valori
condivisi da una comunità scientifica in un dato momento storico, e gli possono essere
attribuiti due significati principali: in primo luogo, individua l‟insieme delle assunzioni
teoriche accettate dai membri della comunità, e, in seconda istanza, si riferisce a quella
gamma di “casi esemplari” che sono costituiti da tutti quei problemi risolti tramite le
assunzioni teoriche sopra chiamate in causa17
. Ma il significato di paradigma non va
confuso con quello di teoria scientifica (anche se, invero, più volte questi due concetti
vengono utilizzati da Kuhn quali sinonimi): il paradigma rappresenta in definitiva la
visione, l‟orizzonte “filosofico”18
, lo scenario in cui si colloca il lavoro di ricerca della
comunità scientifica.
Pubblicata nel 1962, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche” inaugurò una nuova
stagione della filosofia della scienza: come sopra illustrato, nel panorama filosofico
dell‟epoca preponderava una concezione prettamente astorica, figlia della convinzione
che solo la giustificazione di una teoria, e non il processo che conduceva alla sua
16
Op. cit.. 17
Nel Poscritto del 1969, il concetto di paradigma viene ulteriormente ridefinito, in particolare rispetto al
primo dei due sensi in cui secondo Kuhn esso è da intendersi: il paradigma, con valore di insieme di
credenze e valori condivisi, va identificato con una “matrice disciplinare”, composta a sua volta da vari
elementi catalogabili in quattro generi principali. Queste quattro componenti sono nell‟ordine: 1_
Generalizzazioni simboliche, espressioni formali o formalizzabili della matrice, unanimemente accettate,
che hanno le sembianze di leggi della natura. Esse vengono intese anche come simboli che compaiono nelle
generalizzazioni stesse. Aspetto da sottolineare è che il rapporto tra forza legislativa e forza definizionale di
tali generalizzazione non rimane stabile, ma muta con il tempo; 2_ Dogmi condivisi, ovvero credenze in
determinati modelli, i quali forniscono analogie o metafore nell‟ambito del lavoro di ricerca, aiutando
inoltre nel compito di selezione dei rompicapo; 3_ Valori, principi che abbracciano sia i criteri
metodologici propri del lavoro scientifico in quanto tale, sia gli ideali deontologici e morali, nonché i fattori
guida, di solito di natura estetica, utili per la formulazione di un giudizio di preferenza fra due teorie.
Ovviamente l‟applicazione di certi principi sarà soggetta più delle altre componenti all‟influsso della
soggettività dello scienziato; 4_Esemplari, ossia le soluzioni concrete dei problemi: le diversità tra un
gruppo di esemplari da un altro segnano anche i confini della struttura comunitaria della scienza. 18
Si tornerà su tale questione in riferimento al lavoro di Vygotskij e all‟importanza che egli ha attribuito,
nella definizione di un nuovo metodo sperimentale per lo studio delle funzioni psichiche superiori, a quella
da lui stesso definita come “filosofia del fatto”.
11
scoperta, potesse essere ritenuta davvero oggettiva e di conseguenza sottoponibile ad
analisi. Kuhn scombina la situazione, proprio perché le sue premesse metodologiche si
pongono in una posizione letteralmente opposta a quelle del posivitismo logico: come
sottolinea egli stesso nell‟introduzione de “La Struttura”, “lo sviluppo scientifico” non
può essere considerato come “un mero processo di accrescimento”19
, come un semplice
sviluppo cumulativo. C‟è stato un tempo in cui determinate teorie, che oggi a noi
sembrerebbero del tutto infondate, hanno avuto un valore scientifico riconosciuto, e
hanno permesso di inquadrare la realtà entro caselle che la teoria stessa aveva
precedentemente fornito. È questo uno dei punti più delicati e più importanti dell‟opera, e
in generale del pensiero kuhniano: la scienza (quella che viene definita da Kuhn
“normale”) è in realtà un‟attività conservatrice, che mira principalmente a
Esplicare tutte le possibilità latenti insite nella scoperta e nel paradigma;
Risolvere quei “rompicapo” che disseminano la scienza20
Lo scienziato non ha come obiettivo finale quello di scardinare i principi che
quotidianamente lo guidano nel suo lavoro di ricerca, bensì quello, lo ribadiamo, di
spiegare la natura tramite gli strumenti concettuali e pratici impartitigli nel corso della
sua formazione professionale.
Kuhn addirittura spinge le sue idee tanto oltre da affermare, sempre nell‟introduzione a
“La Struttura”, che “la scienza normale sopprime spesso novità fondamentali, perché esse
sovvertono necessariamente i suoi impegni basilari”21
. Impegni basilari tra i quali è
contemplato, primo fra tutti, quello di difendere e convalidare il proprio paradigma.
La storia della scienza perciò si configura, in definitiva, come una successione di periodi
di scienza normale, ognuno dei quali è determinato per l‟appunto da un paradigma.
Il passaggio da un paradigma all‟altro avviene, quando avviene (ovvero raramente), per
mezzo di una rivoluzione scientifica. Quest‟ultima si manifesta a partire dall‟insorgenza
19
Op . cit. , p. 21. 20
Kuhn definisce la nozione di “rompicapo” come “quella categoria di problemi che possono servire a
mettere a prova la ingegnosità o la abilità nel risolverli”, T . S. Kuhn, “La struttura delle rivoluzioni
scientifiche”, op. cit., p. 58. 21
Ibidem, p. 24.
12
di “anomalie”, problemi definiti da Kuhn come dei “rompicapo” (cui abbiamo accennato
sopra) che, nonostante gli sforzi compiuti dalla scienza normale, non si piegano al
paradigma stesso. È a questo stadio che subentra la scienza “straordinaria”, che si aprono
le porte ad un nuovo paradigma, il quale “implica una nuova e più rigida definizione del
campo”.22
Cercare un nuovo sistema di riferimento significa sacrificare del tutto il
modello precedente e affidarsi completamente al nuovo. “Nessuna storia naturale può
venire interpretata in assenza di un insieme anche implicito di credenze metodologiche e
teoretiche intrecciate tra loro che permetta la scelta, la valutazione e la critica”. 23
Quello che Kuhn sostiene con forza è che non è in alcun modo possibile capire la storia
della scienza e la sua metodologia, prescindendo dalle condizioni storiche e sociali in cui
si colloca il lavoro di ricerca: non è lecito dividere la scienza in due tronconi, di cui solo
quello inerente la giustificazione venga ritenuto oggettivo. Kuhn mette in discussione,
con il suo approccio storico, la nozione stessa di oggettività, evidenziando le falle della
concezione positivista. „Contesto della scoperta‟ e „contesto della giustificazione‟
convergono nell‟ambito che il paradigma configura, e sono entrambi influenzati dalla
costellazione di credenze e valori che la comunità scientifica condivide; anzi, senza
questa “unità di misura” la scienza stessa non sarebbe possibile. Non solo: la pretesa
positivista di poter individuare dei fatti osservativi “neutrali”, quale termine ultimo
oggettivo per la risoluzione dei contrasti fra teorie antagoniste, alla luce della prospettiva
kuhniana, si rivela una chimera.
Se è vero che il paradigma orienta tutta l‟attività di ricerca, va da sé che ad essere mirati
saranno anche gli esperimenti e la loro stessa scelta. Le direttive metodologiche e
teoretiche influenzano addirittura anche il modo in cui lo scienziato si rivolgerà
all‟esperimento, il peso che conferirà a certi aspetti piuttosto che ad altri. Più che ad un
risultato scientifico, nell‟ambito della scienza normale, si potrebbe pensare ad una sorta
di risultante, un vettore le cui componenti sono inserite tra gli assi di riferimento che il
paradigma fornisce. I fatti sono perciò impregnati della teoria all‟interno della quale
vengono analizzati.
22
Ibidem, p. 39. 23
Ibidem, p. 36.
13
I concetti scientifici ed il loro significato non possono essere effettivamente compresi se
non rimanendo inseriti nella teoria. Da questa visione olistica consegue che due teorie
successive non possono essere confrontate, perché il farlo implicherebbe un sistema di
riferimento comune, che per quanto illustrato finora non può esserci: “i sostenitori di
paradigmi opposti, praticano i loro affari in mondi differenti” perché quello che si
verifica è “un passaggio tra incommensurabili”.24
D‟altronde, senza un paradigma, i fatti
sono destinati a rimanere “meri fatti”25
, senza alcun rapporto con la teoria, privi cioè di
un significato davvero fruibile ai fini della conoscenza. È la presenza di un solido insieme
di assunti di base che consente l‟esplorazione della natura. Se il paradigma fosse assente,
i fatti che potrebbero rivelarsi proficui per lo sviluppo, risulterebbero posti tutti allo
stesso livello di importanza: ecco perché la fase di raccolta dati avviene in modo casuale
se non condotta sui binari di un sistema condiviso.
Anche il lavoro del singolo scienziato, lo ribadiamo, è profondamente influenzato da
questo sistema: egli si muove nei meandri della ricerca con tale ausilio, che è l‟unico in
grado di garantirgli la certezza di un punto di arrivo. È legittimo avanzare il dubbio circa
le presunte motivazioni che lo spingono a cercare qualcosa di cui già si presuppone
l‟esistenza. Ma se è vero che la scienza normale (all‟interno della quale si dipana la
ricerca “di routine”) non ha come fine quello di “scoprire”, ma di “ripulire”26
, di
incasellare la natura entro certe categorie, di verificare la bontà del paradigma, è pur vero
che “sebbene il suo risultato finale” (si intende quello del problema considerato) “possa
essere anticipato, […], la via da seguire per ottenere quel risultato rimane ancora
sconosciuta”.27
È il modo in cui si raggiunge la soluzione che conta in questo caso: la
comunità scientifica tramite il paradigma ha a disposizione dei criteri per scegliere quali
problemi affrontare e quali invece accantonare, quali vale la pena di analizzare, perché
solubili. Il sistema stabilisce i rompicapo: una volta data la “griglia concettuale” e
assicurato l‟esito, il resto è nelle mani dello scienziato che quotidianamente con tali
rompicapo ha da misurarsi.
24
Ibidem, p. 182. 25
Ibidem, p. 56. 26
Ibidem, p. 44. 27
Ibidem, p. 57.
14
È una sorta di sfida: taglia il traguardo chi è più abile, e “come” ci si arriva è ignoto, è
questo il punto. Non è fondamentale la presenza di regole ferree su come condurre il
gioco: Kuhn a riguardo cita il lavoro di Polanyi28
e la sua nozione di “conoscenza tacita”.
Non è detto che tutto quello che viene appreso possa rivelarsi esprimibile, anzi, proprio la
conoscenza acquisita mediante la prassi risulta impossibile da esplicitare. Polanyi
evidenzia e recupera la componente metafisica come elemento costitutivo del progresso
scientifico, componente, individuata appunto in quella conoscenza tacita sopra chiamata
in causa, risultato di un addestramento pratico mai del tutto esplicabile a livello formale.
In Kuhn il dato empirico è già organizzato preventivamente in una prospettiva e il suo
olismo appare, sottolinea Arcangelo Rossi, una peculiarità propria dell‟esperienza stessa:
come se il sistema deputato a descriverla fosse in un certo senso una proprietà di questa.29
In questa sede non ci proponiamo di operare una disamina puntuale delle delicate
sfumature concettuali che differenziano l‟angolazione di Kuhn da quella di Polanyi, ma è
comunque interessante porre in evidenza come per il primo il modello di riferimento
assurge al ruolo, per lo scienziato che conosce e ricerca, di punto “focale”, mentre per il
secondo questo stesso modello è da intendere, pur riconoscendone l‟importanza
soprattutto da un punto di vista descrittivo, come elemento “sussidiario” all‟interno del
processo conoscitivo.30
28
Polanyi M. , “The tacit dimension”, Doubleday, New York, NY, 1967 e 1983; tr. it. , “La conoscenza
inespressa”, Armando Editore, Roma, 1979. A riguardo anche: Polanyi M. , “Personal knowledge. Towards
a post – critical philosophy”, University of Chicago Press, Chicago 1958; tr. it. , “La conoscenza
personale”, Rusconi Editore, Milano 1990. 29
A. Rossi, “L‟epistemologia personalista di Michael Polanyi e il post – neopositivismo: considerazioni
storico – critiche ”, in “Scienza e filosofia: problemi teorici e di storia del pensiero scientifico: studi in
onore di Francesco Barone”, Giardini editori e stampatori, Pisa 1995, pp. 327 – 344. 30
“[…], potremmo ancora dire in conclusione che le distinzioni generalissime, le norme, le classificazioni,
i modelli di spiegazione, la cui enunciazione, in termini talvolta perfino scolastici, che anche i post –
neopositivisti perseguono, sia pure in termini diversi, ma con le stesse pretese di portata esclusiva ed
universale dei neopositivisti, sono sì da Polanyi pienamente riconosciuti come tali, come oggetti di scelta
possibili, ma mai esclusivi, nel senso che hanno una posizione non già „focale‟come negli altri autori
discussi, ma solo „sussidiaria‟, funzionale a quello che per Polanyi è invece il vero „fuoco‟ dell‟impresa
scientifica, così come del resto della stessa percezione empirica il „fuoco‟ dell‟attenzione non consiste,
come abbiamo visto, negli elementi costitutivi materiali, nei dettagli e nelle qualità particolari o anche
globali, gestaltiche di comune contatto con la realtà e di personale penetrazione del suo significato, che
resta comunque trascendente rispetto a tutti i mezzi e strumenti possibili, premesse, valori, condizioni e
norma con cui nel corso del tempo cerchiamo diversamente di sviluppare tale, inesauribile e mai
completamente specificabile e formalizzabile contatto, tanto nella percezione empirica quanto nella scienza
più matura, astratta e sofisticata della natura. ” (A. Rossi, op. cit., pp. 343 - 344)
15
Per quanto concerne la questione della “regola” e della conoscenza tacita è però
opportuno sottolineare il legame strettissimo che accosta l‟indagine di Kuhn ai risultati
conseguiti da Wittgenstein nell‟ambito della filosofia del linguaggio.31
Gioco linguistico e paradigma
Le “Ricerche filosofiche”32
, come è noto, nascono da un ripensamento radicale da parte
di Wittgenstein circa le tesi fondamentali esposte nella sua prima opera, il “Tractatus
logico - philosophicus”33
: tesi che dall‟autore erano state considerate come definitive per
molto tempo, ma che di fronte ad interrogativi importanti circa la natura più intima del
linguaggio non si erano rivelate in grado di fornire una spiegazione efficace, anzi,
avevano in tal senso mostrato tutta la loro inadeguatezza.
Il primo Wittgenstein considera il rapporto tra linguaggio e mondo nei termini di una
corrispondenza biunivoca: ma tale isomorfismo logico non rende conto delle molteplici
forme linguistiche di cui ci avvaliamo quotidianamente per comunicare. Esso vale solo
per sistemi comunicativi “primitivi”, come quello ad esempio in cui si insegna una parola
ad un bambino indicando l‟oggetto per cui la parola sta, il caso insomma
dell‟insegnamento ostensivo: le “Ricerche filosofiche”34
si aprono proprio con un
riferimento a questo tipo di forma comunicativa rilevando come essa fallisca nel tentativo
di contenere in sé tutto il linguaggio con le sue mille sfaccettature. Se è vero che per i
nomi concreti e per i nomi di persona essa può anche rivelarsi una spiegazione efficace,
nel caso, per esempio, di parole come “cinque”, non riesce in tale compito. Del resto,
anche una forma comunicativa primitiva, per sussistere, deve poter poggiare su un
sistema pre-esistente, costituito dal linguaggio e da tutte le forme di vita di cui esso è
intessuto.35
31
Legame peraltro messo in evidenza dallo stesso Kuhn ne “La Struttura” ( op. cit., pp. 67 – 68 ). 32
Wittgenstein Ludwig, “Philosophische Untersuchungen”, a cura di Gertrude E. M. Anscombe e Rush
Rhees, Basil Blackwell, Oxford 1953; tr. it. di Renzo Piovesan e Mario Trinchero, “Ricerche filosofiche”,
ed. it. a cura di Mario Trinchero, Einaudi, Torino 1967 e 1995. 33
Wittgenstein Ludwig “Tractatus logico - philosophicus”, Routledge and Kegan Paul, London 1961; tr. it.
di Amedeo G. Conte, “Tractatus logico - philosophicus”, ed. it. a cura di Amedeo G. Conte, Einaudi,
Torino 1964, 1974, 1983, 1989, 1995 e 1998. 34
Op. cit. . 35
Ibidem, I 7, p. 13.
16
Gli aspetti più significativi di questa seconda fase riguardano
1. la rinuncia alla dottrina del significato;
2. l‟abbandono della concezione secondo cui la comprensione dei concetti sia
condizione prioritaria rispetto al loro utilizzo, e la riduzione del significato
all‟uso;
3. l‟attenzione per il concetto di uso e per quello di regola;
4. l‟introduzione di una terminologia peculiare che trova nella nozione di “gioco
linguistico” il suo perno.
Nel primo Wittgenstein vi è la convinzione dell‟esistenza di regole stabilite che guidano
rigidamente l‟utilizzo del linguaggio, convinzione retaggio di una tradizione filosofica di
stampo mentalistico, per la quale il significato è definito come rappresentazione mentale
interna: la parola, così come la proposizione, private della loro immagine mentale,
perdono il loro significato, la loro essenza, e si svuotano, diventando segni morti.
Secondo l‟autore, per dare conto del funzionamento del linguaggio occorre partire
dall‟assunto opposto: la parola non “segue” l‟immagine, bensì la imprime nella nostra
mente. La parola, il segno, contengono già in sé il loro significato. Il riconoscimento del
segno presuppone la conoscenza di un sistema di relazioni interne che connettono oggetti
e fatti, i quali perciò sono interdipendenti: capire un concetto vuol dire riuscire a cogliere
la rete in cui esso è intessuto: questa rete è costituita, per l‟appunto, dal linguaggio. La
nozione di “gioco linguistico” è introdotta da Wittgenstein a proposito: nelle “Ricerche
filosofiche”36
essa viene definita come “tutto l‟insieme costituito dal linguaggio e dalle
attività di cui esso è intessuto”37
. Parlare un linguaggio fa parte di una forma di vita.
La parola è inserita in un linguaggio e trae il proprio significato da questa collocazione;
per poter usare la parola occorre essere già padroni di un gioco, occorre già avere
presente l‟interconnessione globale costituita dal linguaggio. Ecco perché il “gioco
linguistico” dell‟insegnamento ostensivo non rende conto dell‟effettivo funzionamento
36
Op. cit. . 37
Ibidem, I 7, p. 13.
17
del linguaggio: per afferrare una definizione ostensiva di una parola bisogna già sapere la
funzione che suddetta parola nel linguaggio svolge, occorre già sapere a cosa la parola
serve , bisogna già avere interiorizzato il paradigma linguistico necessario.
Il primo riferimento al termine paradigma che troviamo nelle “Ricerche filosofiche” si
trova nell‟osservazione 50: “ciò che, a quanto pare, deve esserci, fa parte del linguaggio.
È un paradigma [corsivo mio] del nostro giuoco; qualcosa con cui si fanno confronti. E
costatare ciò può voler dire fare una constatazione importante; ma tuttavia è una
constatazione che riguarda il nostro gioco linguistico – il nostro modo di
rappresentazione”.
Ancora in 55: “ciò che i nomi del linguaggio designano dev‟essere indistruttibile”, e ciò
che corrisponde alle parole “non può essere distrutto, perché altrimenti le parole non
avrebbero significato. […] ciò che corrisponde al nome, e senza il quale il nome non
avrebbe alcun significato, è, ad esempio, un paradigma [corsivo mio] che nel giuoco
linguistico viene usato in connessione con il nome”.
Paradigma come strumento, ma anche modello con il quale operiamo dei confronti, pietra
di paragone, condizione prioritaria del gioco: è il modo (corsivo mio) di rappresentazione,
l‟intelaiatura in cui s‟annodano i fili concettuali del nostro linguaggio. Il paradigma
costituisce la rete di somiglianze che legano un gioco con l‟altro, la famiglia di parentele
che consente di individuare un certo gioco linguistico, di contestualizzarlo, di partecipare
ad esso, in una parola, di capirlo. Il concetto di gioco ha contorni sfumati38
, e proprio
questo ci fornisce la possibilità del suo uso: usare vuol dire aver compreso e l‟importanza
che nel linguaggio riveste la prassi, è sottolineata dal fatto che per trasmettere un
concetto, per insegnarlo, ci avvaliamo dell‟esemplificazione. Uno strumento di siffatta
natura non è affatto un metodo di spiegazione “indiretta”: in questo modo si gioca il
gioco, in questo modo si esperisce il significato.
La teoria del significato di Kuhn parte dai medesimi presupposti. Come è emerso dalle
pagine inerenti lo sviluppo del concetto di “paradigma”, la metafora che accosta le
rivoluzioni scientifiche ai riorientamenti gestaltici è affetta da alcuni difetti sostanziali.
Innanzitutto, il riorientamento gestaltico investe il singolo individuo, mentre, come è
ovvio, una rivoluzione scientifica coinvolge la comunità tutta. In secondo luogo, “in una
38
Wittgenstein L. , “Ricerche filosofiche”, op. cit. , oss. 77.
18
rivoluzione, al contrario di quanto avviene in un riorientamento gestaltico visivo, non
abbiamo alcun accesso agli elementi della visione del mondo quando li astraiamo dal loro
complesso.”39
Di quest‟ultima difficoltà in realtà si era accorto anche Kuhn40
: è per
questo che nella sua prima opera la vittoria di un paradigma su un altro, all‟indomani di
una rivoluzione scientifica, era descritta nei termini di “un progressivo spostamento della
distribuzione della fiducia degli specialisti”.41
La conversione è un processo che per sua
stessa natura riguarda l‟individualità: la possibilità di investire un‟intera comunità le è
preclusa.
La teoria del significato di Kuhn è una teoria per termini empirici e si sviluppa a partire
dallo studio, appunto, dell‟apprendimento di concetti empirici. Il significato di un
concetto si comprende, si padroneggia, quando si è in grado di stabilire le giuste
connessioni tra un concetto e gli oggetti nei quali esso trova il suo luogo di applicazione.
Questi vengono introdotti contestualmente, in modo ostensivo, e tramite i problemi
esemplari, viene illustrato il modo in cui il concetto interagisce con tali oggetti.
Parallelamente agli esempi in cui protagonista è l‟uso del concetto, sono presentati anche
i casi in cui esso non va utilizzato: quello che l‟allievo deve acquisire quindi non è tanto
la definizione del concetto empirico, bensì la rete di somiglianze e dissomiglianze che lo
situano all‟interno di una tassonomia lessicale che la comunità scientifica condivide. Lo
studente, imparando il significato di un concetto, apprende parte di una tassonomia. È qui
evidente il legame con Wittgenstein: possiamo individuare il punto di contatto proprio in
questa rete che lega, intersecandoli o disgiungendoli, i vari concetti, o, più propriamente,
gli oggetti a cui tali concetti si applicano: il rapporto intercorrente potrà essere di
inclusione o di esclusione, a seconda che tali oggetti appartengano al campo di un
concetto piuttosto che a quello di un altro. “In linea di principio ogni caratteristica può
essere utilizzata per identificare gli appartenenti alle rispettive classi – fintanto che la
39
Hoyningen – Huene P., in Kuhn T. S. “Dogma contro Critica_Mondi possibili nella storia della scienza”,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, p. XIX. 40
Kuhn T. S., “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, op. cit., pp. 142 – 143. 41
Ibidem, p. 191.
19
caratteristica è sufficiente per identificare i membri della classe e per distinguerli dai
membri di una classe vicina ”.42
Se quello che lo studente deve acquisire consiste in una tassonomia lessicale, è evidente
come una concezione del significato visto come avulso, isolato dalla rete di cui abbiamo
finora trattato, non sia in grado di rendere conto dell‟uso che facciamo di esso. Il
significato non può essere appreso isolatamente. Un termine avulso dal contesto è un
segno morto, che non significa niente, e questa è una delle considerazioni fondamentali di
Wittgenstein circa la natura del linguaggio.
Va a proposito richiamato il confronto operato fra Kuhn e Polanyi, che ha posto in
evidenza la componente tacita della conoscenza: il fatto che l‟apprendimento consista
nell‟acquisizione di una capacità d‟utilizzo di una pratica (elemento comune sia
all‟epistemologia kuhniana sia alla teoria della conoscenza di Polanyi), ha come
conseguenza l‟irriducibilità del significato dei concetti empirici ad una definizione
esplicita.
I membri di una comunità, è ormai chiaro, condividono una tassonomia lessicale, una rete
di somiglianze e dissomiglianze che consente di individuare i concetti e di usarli: la
condivisione di tale tassonomia è preliminare alla descrizione del mondo e alla possibilità
di comunicare43
, e tale condivisione è possibile grazie all‟ampia gamma di modi
d‟applicazione del concetto leciti. Non importa come il singolo attivi le relazioni,
l‟importante è che la tassonomia cui egli s‟appoggia sia la medesima del suo
interlocutore.
42
Hoyningen – Huene P., in Kuhn T. S. “Dogma contro Critica_Mondi possibili nella storia della scienza”,
p. XXII. 43
Kuhn T. S. “Dogma contro Critica_Mondi possibili nella storia della scienza”, op. cit., p. 140.
20
Il concetto di incommensurabilità
L‟incommensurabilità riguarda la relazione che si instaura tra due teorie scientifiche T1 e
T2: “il termine „incommensurabilità‟ funziona metaforicamente. L‟espressione „ nessuna
misura comune ‟diventa „ nessun linguaggio comune ‟. Affermare che due teorie sono
incommensurabili significa allora affermare che non c‟è un linguaggio, neutrale o di altro
tipo, nel quale entrambe le teorie, concepite come insiemi di frasi44
, possono essere
tradotte senza alcun resto o alcuna perdita. L‟incommensurabilità non implica dunque
l‟incomparabilità.”45
Proprio l‟approccio storico permette a Kuhn di individuare in teorie scientifiche
successive diversi modi di intendere la realtà: la scienza del passato è strutturata con un
lessico che, rispetto al nostro, differisce completamente. Prendendo in prestito, a partire
da una critica sistematica, la terminologia di Quine, Kuhn evidenzia come a molte delle
asserzioni proprie di teorie scientifiche ormai superate non si può avere accesso tramite
una traduzione che sfrutti il lessico corrente. Come sopra accennato, due teorie
scientifiche successive sono incommensurabili nel senso che non c‟è alcun linguaggio
comune in cui entrambe possano essere tradotte senza subire alcuna perdita.
L‟incommensurabilità, quindi, si configura come una sorta di intraducibilità: il lessico
viene così inteso come la chiave per aprire la porta di mondi possibili che questo lessico
stesso è in grado di descrivere. Un lessico porta con sé un insieme di mondi possibili, ed
ogni vocabolario dà accesso ad un nuovo insieme di mondi, i quali sì possono
sovrapporsi e coincidere, ma solo parzialmente, poiché nel passaggio dall‟uno all‟altro
rimane sempre e comunque uno scarto. Coloro i quali condividono un lessico
condividono quindi un insieme di mondi, una struttura, uno stesso strumento di
descrizione della realtà: ecco perché per Kuhn capire e padroneggiare il significato di una
parola equivale innanzitutto a saperlo utilizzare nell‟ambito della comunicazione con gli
altri membri della comunità linguistica alla quale si appartiene. La parola acquisisce il
proprio significato e la propria pregnanza esclusivamente all‟interno di una rete
associativa che coinvolge tutti i termini del lessico: se un termine subisce una modifica
44
Corsivo mio. 45
Kuhn T. S. “Dogma contro Critica_Mondi possibili nella storia della scienza”, op. cit., p. 36.
21
inerente al proprio utilizzo questo comporta necessariamente un cambiamento dell‟intera
intelaiatura lessicale. I termini hanno un ruolo solo all‟interno di un campo semantico
definito in modo elastico: la possibilità della comunicazione tra due interlocutori viene
assicurata proprio da questa caratteristica strutturale del campo. Kuhn spiega questo
punto avvalendosi di una metafora: paragonando il campo semantico ad una mappa, egli
sostiene che conservando le distanze relative tra i vari punti geografici, pur modificando
la scala, esse permetteranno di individuare, quando necessario (ovvero nel caso vi sia una
conversazione) , il medesimo punto. “Due persone possono usare un insieme di termini
interrelati nello stesso modo, ma possono impiegare, nel farlo, differenti insiemi (in linea
di principio insiemi totalmente disgiunti), […], posto che le mappe siano fatte in scala in
modo da conservare le distanze relative fra le voci indicate sulla carta, tutte
permetteranno di localizzare la stessa città. In altre parole, la metrica che accompagna
ogni insieme di coordinate deve essere scelta allo scopo di conservare le relazioni
geometriche strutturali all‟interno dell‟area mappata.”46
Quella che Kuhn delinea è una vera e propria “semantica dei mondi possibili”47
, una
teoria del significato che ha al centro un‟idea del lessico quale prodotto storico, chiave
d‟accesso a una struttura sociale, ad una forma di vita. Il vocabolario che i membri di una
comunità condividono è il risultato di uno sviluppo e sociale e storico, la cartina tornasole
di una specifica visione della realtà.48
Quando si apprende una teoria, i termini vengono introdotti attraverso esempi concreti
che ne spieghino l‟utilizzo effettivo, che rendano conto della loro funzione all‟interno
della teoria stessa, e deputato a questo compito è qualcuno che già fa parte della comunità
linguistica della quale i termini in questione formano la struttura. Del resto, il processo di
apprendimento stesso non può aver luogo se non c‟è, a monte, una conoscenza
preesistente del vocabolario condiviso dalla comunità. Non solo: come chiarisce
efficacemente Kuhn, le “dimostrazioni”, pur essendo esplicabili anche tramite una
descrizione verbale (che usufruisce per l‟appunto dei termini propri del vocabolario
preesistente), contengono comunque un elemento ostensivo e i termini “nuovi” fanno la
46
Ibidem, pp. 103 – 104. 47
Op. cit., p. 98. 48
Vedremo poi quanto sia stretto il legame tra l‟approccio kuhniano allo studio della storia della scienza e
il metodo di analisi dei processi mentali superiori di Vygotskij.
22
loro comparsa venendo inseriti nella rete semantica che il lessico della comunità ha a
disposizione.
“I termini vengono insegnati attraverso l‟esposizione, diretta o mediante una descrizione,
delle situazioni a cui sono applicati. L‟apprendimento che risulta da un simile processo
non riguarda, comunque, soltanto le parole, ma anche, e nella stessa misura, il mondo in
cui esse svolgono una funzione”.49
È perciò evidente che “il processo di apprendimento
connette pertanto un insieme di termini nuovi, dando una struttura al lessico che li
contiene”.50
Apprendere una teoria significa, quindi, acquisire strumenti specifici atti a scandagliare
una realtà che, per il fatto stesso d‟essere investigata tramite questi, assume dei connotati
particolari: da ciò consegue che l‟accesso ad essa, impedisce in linea di principio
l‟accesso ad altre. Un lessico individua un mondo, una gamma di possibilità che solo
all‟interno di quest‟ultimo possono attuarsi.
Ma Kuhn sottolinea che, stemperando in un certo senso la sua posizione, il passaggio non
è comunque del tutto precluso, e il suo metodo ne fornisce le ragioni. Se è vero che non si
può trasporre una teoria passata in termini odierni senza dover sacrificare parte dei suoi
termini, è pur vero che rimane comunque aperta l‟opzione, che d‟altronde è quella che
adopera lo storico, dell‟apprendimento del sistema in sé, dell‟acquisizione del lessico di
quella specifica teoria: si sceglie cioè la via di una sorta di “bilinguismo”51
.
La maggior parte dei termini, evidenzia Kuhn, conservano il loro significato nel tempo, e
solo una parte del lessico viene modificata: questa base terminologica fornisce quindi la
piattaforma per avviare il confronto fra le due teorie, per capire a pieno il cambiamento
qualitativo che ha condotto alla nuova teoria e l‟autentico spirito del sistema passato. Il
confronto che può essere operato però, ed è questo il punto essenziale, non può
prescindere dalle differenze lessicali e sociali tra le due teorie: quanto viene giudicato
durante la comparazione “è il relativo successo dei due interi sistemi nel conseguire un
insieme abbastanza stabile di obiettivi scientifici”, e non coinvolge in alcun modo la
“valutazione di singoli enunciati all‟interno di un sistema dato” 52
. Questo tipo di
49
T. S. Kuhn, “Dogma contro critica”, op. cit., p. 109. 50
Ibidem, p. 110. 51
Ibidem, p. 123. 52
Ibidem
23
valutazione cui Kuhn fa riferimento può avvenire solo tenendo conto del sistema stesso, e
solo all‟interno di questo specifico sistema essa può essere attuata, all‟interno cioè di un
lessico già presente: la valutazione stessa dipende dal lessico. Prescindere da ciò significa
compromettere la comprensione genuina del sistema, vuol dire fraintenderne il senso,
senso che può essere colto solo “recuperando, per alcuni dei termini in questione”, quelli
dai quali dipende appunto la diversità del sistema, “dei significati più vecchi, diversi da
quelli poi divenuti correnti”.53
Il problema della varianza di significato permea tutta l‟indagine filosofica kuhniana: già
in “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”54
, in special modo nel Poscritto del 196955
,
emerge con chiarezza la nozione di incommensurabilità e il concetto di comunità
scientifica. Il Poscritto nasceva dall‟esigenza di sciogliere nodi concettuali presenti ne
“La Struttura”, i quali avevano acceso un vivo dibattito nell‟ambito della filosofia della
scienza: primo fra questi era la nozione di paradigma, posto in un primo momento in
modo effettivamente molto vago.56
In questa sede, lo abbiamo già esposto in precedenza, tale concetto viene ridefinito e
viene anche proposta una nuova visione del concetto di incommensurabilità, che si
profila qui in termini non più percettivi, ma linguistici.
53
Ibidem, p. 139 54
T. S. Kuhn, “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, op. cit. . 55
Ibidem. 56
Kuhn ne “La Struttura delle rivoluzioni scientifiche” utilizza il termine paradigma in ventidue modi
differenti. (M. Mastermann, “La natura di un paradigma”, in “Criticism and the growth of knowledge”,
Cambridge 1970, trad. it. “Critica e crescita della conoscenza”, Feltrinelli, Milano 1976).
24
IL METODO STORICO DI VYGOTSKIJ
I principi basilari a partire dai quali nasce e si sviluppa la concezione vygotskiana dei
processi cognitivi sono essenzialmente i seguenti:
1. Unità funzionale della coscienza: la coscienza costituisce un tutto organico e
le sue attività, pur avendo funzioni distinte, operano in un contesto di
interdipendenza;
2. Rapporto dialettico tra pensiero e parola: questi due elementi non formano
un‟unità indissolubile, sono bensì distinti. Solo ad un certo stadio dello
sviluppo cognitivo le loro linee evolutive vanno ad intersecarsi;
3. Concetto di sviluppo inteso in senso dinamico, inserito in un tessuto sociale,
in un contesto che influenza lo sviluppo stesso;
Ruolo sociale della genesi del significato
“Nello sviluppo culturale del bambino, ogni funzione appare due volte: prima, a livello
sociale, e più tardi, a livello individuale; prima tra persone (interpsicologicamente) e, poi,
all‟interno del bambino stesso (intrapsicologicamente). Questo può applicarsi
ugualmente all‟attenzione volontaria, alla memoria logica, e alla formazione di concetti.
Tutte le funzioni superiori si originano come relazioni fra esseri umani.”57
In questo passo si concentrano gli elementi più significativi della teoria dello sviluppo di
Vigotskji.
Perno della sua concezione, come risulta evidente dal brano citato, è l‟idea per cui lo
sviluppo cognitivo individuale va ricondotto a radici sociali: esso non potrebbe esservi se
non poggiasse sulla base della cooperazione e dell‟interazione sociale. Coerentemente
con tale visione viene proposta di riflesso la spiegazione dell‟apprendimento e dello
57
L. Vygotskij 1988, p. 94, corsivi originali.
25
sviluppo del linguaggio: visto come un prodotto della cultura umana, esso ha innanzitutto
una funzione sociale. È attraverso lo scambio linguistico che per Vigotskij l‟individuo
costruisce la conoscenza (e la consapevolezza) di sé e dell‟ambiente circostante, perché
proprio al linguaggio è deputato il compito di descrivere , di denominare le parti del
mondo e della realtà tutta. È perciò evidente l‟importanza del ruolo rivestito dalle
situazioni comunicative, che Vygotskij fa corrispondere in modo speculare ai tipi di
linguaggio da egli stesso individuati, che sono tre:
1. Il linguaggio orale;
2. Il linguaggio interiore;
3. Il linguaggio scritto;
Al primo tipo corrisponde la comprensione orale interpersonale, situazione comunicativa
in cui il soggetto che comunica ha come scopo principale quello di farsi comprendere dal
destinatario del messaggio: ecco perciò che essenziale sarà la conoscenza dell‟altro, il
ruolo dello sforzo del soggetto comunicante di rendere il più possibile efficace il discorso
verbale, anche tramite l‟ausilio di strumenti quali gesti, intonazione vocale, mimica
facciale (elementi che non entrano in gioco nel caso del linguaggio scritto). In questa fase
del linguaggio la grammatica risulta poco articolata a livello sintattico58
e i concetti
espressi non sono geometricamente definiti. Prevale il senso sul significato: una stessa
parola non solo può assumere diversi significati ma può anche esprimere diverse
sfaccettature dell‟esperienza interiore umana, esperienza che non potrebbe essere
esplicata se la parola non avesse questo carattere sfumato e se il significato non si
configurasse come una sorta di “nube concettuale”. Questo tipo di situazione
comunicativa vede nella polisemia uno dei propri aspetti peculiari: aspetto che peraltro è
caratterizzante anche della seconda specie di comunicazione, quella corrispondente al
linguaggio interiore.
In questa fase linguistica (che è anche fase dello sviluppo cognitivo) manca la necessità
di raffinare lo strumento comunicativo ai fini della comprensione altrui: in assenza di
58
Va fatto notare quanto rilevante sia il ruolo dei soggetti coinvolti, che attraverso strumenti verbali e non
riescono a coordinarsi reciprocamente rendendo il processo comunicativo straordinariamente ricco ed
efficace.
26
questo fattore, il linguaggio viene così ridotto dal soggetto all‟essenziale, arrivando ad
eliminare anche, nel discorso, il soggetto (predicazione assoluta). Rielaborando
personalmente gli elementi appresi grazie all‟interazione con soggetti esterni, il
linguaggio viene interiorizzato e sfruttato per approntare una sorta di dialogo con se
stessi, aumentando così anche il controllo e la consapevolezza su di sé.
Il terzo tipo di situazione comunicativa riguarda il linguaggio scritto, che si differenzia
dai due precedentemente analizzati per la presenza di un alto grado di formalità del
discorso. Quest‟ultimo si dipana nell‟ottica di descrivere fatti ed azioni come se il
soggetto si stesse rivolgendo ad una terza persona, del tutto estranea ai contenuti del
discorso e al soggetto: viene meno quindi la possibilità di coordinazione fra gli attori
dell‟atto comunicativo orale e con essa il vantaggio di avere a disposizione strumenti non
verbali quali gesti, intonazione, mimica facciale. È attraverso il linguaggio scritto che il
mezzo verbale si raffina, potenziando gradualmente la capacità e descrittiva e di
astrazione del soggetto. Questo è un nodo importante della teoria di Vygotskij : qui c‟è il
nesso tra linguaggio e apprendimento.
Nel linguaggio si condensano cultura, natura e società, ed è attraverso esso che l‟attività
mentale dell‟individuo si trasforma, passando per fasi evolutive successive.
Entra qui in gioco un altro concetto fondamentale della concezione dello studioso russo:
il concetto di area di sviluppo potenziale.59
Come prima accennato, vanto del linguaggio è quello di far avanzare le capacità mentali
dell‟individuo: questo avanzamento, ed è qui il giro di boa, non è vincolato da limiti
cronologici, il che sta a significare che l‟individuo, e più precisamente il bambino,
attraverso esercizi mirati, assidui e costanti di tipo linguistico, può sviluppare le proprie
facoltà mentali anticipatamente alle fasi cognitive tradizionalmente e inequivocabilmente
(almeno fino alla comparsa degli studi di Vygotskij) scandite dall‟età anagrafica e da
Piaget.60
Se adeguatamente stimolato, il bambino può imparare molto di più rispetto a quanto la
sua età consentirebbe lui di fare: gli stimoli provengono dall‟ambiente che circonda il
bambino, la famiglia, i compagni di scuola, e, in particolare, gli insegnanti ed il sistema
59
L‟area di sviluppo potenziale viene intesa da Vygotskij come la distanza tra il livello effettivo di sviluppo
e il livello di sviluppo potenziale del bambino. 60
Proprio a Piaget viene contrapposto tradizionalmente Vygotskij.
27
scolastico in generale. L‟apprendimento, lo ripetiamo, per Vygotskij, germoglia
innanzitutto a livello sociale, e solo poi individualmente. Le interazioni con gli altri, così
come il linguaggio o il gioco (altro elemento chiave), sono “strumenti psicologici” che
plasmano il pensiero del bambino, proprio in virtù di quel principio sociale mutuato dalla
filosofia marxista e fatto proprio da Vygotskij (trasponendolo su un piano psicologico) e
che si identifica con la condivisione di cognizioni (che corrisponde ovviamente alla
condivisione dei beni). Ecco perché il linguaggio è un prodotto culturale e in esso la
cultura stessa può specchiarsi.
Ed è sempre riconducibile alla matrice marxista la visione del cambiamento come un
processo di natura precipuamente dialettica: i fenomeni sono caratterizzati da un
dinamismo che li vede sottoposti a continue trasformazioni, tesi verso la sintesi degli
elementi contraddittori. In tal modo viene inteso il procedimento dello sviluppo
cognitivo, questa è l‟impalcatura su cui si poggiano le idee vygotskiane.
L‟ambiente ha quindi una forte responsabilità formativa verso l‟individuo e è ad esso che
va attribuito il ruolo di “insegnante” di vita del bambino.
Torniamo al concetto di area di sviluppo potenziale, che ci è utile per analizzare e
mettere in evidenza la profonda influenza di Vygotskij sugli studi successivi concernenti
la natura della conoscenza.
Come già abbiamo brevemente esposto, l‟idea di area di sviluppo potenziale sottende il
convincimento che l‟apprendimento abbia una natura prima di tutto sociale.
A questo punto, volendo provare a tradurre in pratica i dettami teorici, si configura
all‟orizzonte un nuovo elemento di fondamentale importanza: il gioco. L‟attività ludica
rappresenta una sorta di palestra di vita, uno strumento di crescita cognitiva tramite cui il
bambino apprende come agire, imitando i ruoli. Chiara è la valenza simbolica del gioco61
,
così come la sua funzione educativa: giocando il bambino si impone delle regole ed
61
Anche in riferimento al concetto vygotskiano di gioco ed alla valenza simbolica che nell‟opera filosofica
dell‟autore russo esso riveste, si potrebbe operare un confronto e con l‟indagine di Wittgenstein (che
attorno alla nozione di gioco ha costruito gran parte della impalcatura della sua teoria del significato), e con
la posizione di Kuhn che, come abbiamo fatto notare nelle pagine precedenti, deve molto alla nozione di
gioco wittgensteiniana. Pur non essendo la sede questa per ospitare tale comparazione (vista la
circoscrizione dell‟argomento ai soli temi del metodo e del significato, e considerata la portata che
l‟affronto di un simile oggetto di studio comporterebbe), riteniamo opportuno indicare anche questo
interessante aspetto di similarità.
28
impara a rispettarle sviluppando così il proprio autocontrollo e con esso la capacità di
pensare per schemi astratti (il gioco diviene una metafora della vita). Il bambino si
avvicina così, in modo graduale, alla verità della realtà.
L‟apprendimento presuppone una natura sociale, il linguaggio stesso, lo ribadiamo,
comincia con una funzione sociale e solo poi si mette a servizio dell‟intelletto: il
linguaggio, e con esso la parola, sono finalizzati in primis all‟interazione sociale. Una
buona cooperazione con l‟ambiente esterno infatti, secondo Vygotskij, fornisce la base
dello sviluppo individuale.
In questa prospettiva assume un ruolo fondamentale il segno: la sua funzione è quella di
mediatore tra l‟individuo e il suo contesto. Grazie al segno l‟azione viene
“internalizzata”, perché esso permette il passaggio dallo stadio interpsicologico a quello
intrapsicologico.
Nel linguaggio sono racchiuse natura, cultura, società: esso le riflette e da esso viene
influenzato. Il linguaggio trasforma l‟attività mentale dell‟individuo, facendola passare a
tappe successive di evoluzione anticipatamente alla crescita cronologica. L‟ambiente, il
contesto, rendono lo sviluppo psicologico un processo di interiorizzazione di attività
funzionali allo sviluppo della vita sociale e alla mediazione tra le persone.
Per Vygotskij il tessuto sociale in cui lo sviluppo avviene costituisce il punto di partenza,
l‟elemento imprescindibile ai fini della comprensione delle modalità in cui si manifestano
e si evolvono i processi psichici superiori (ben distinti dai processi mentali elementari, i
cui fattori determinanti sono riconducibili alla maturazione biologica).
Il linguaggio nasce dall‟esigenza della comunicazione , perché fornisce un sistema di
mezzi con i quali trasmettere pensiero ed esperienza.
Fulcro del linguaggio è il significato: la parola, intesa da Vygotskij come referente ad
una classe di oggetti, senza significato, muore, si svuota del proprio contenuto, della
propria identità, smette cioè di essere una parola.
Il significato è innanzitutto una generalizzazione: lo definisce come l‟unità componente
del pensiero verbale, perché esso si configura sia come fenomeno verbale, sia come
fenomeno del pensiero. Esso unisce in sé le funzioni principali del linguaggio, vale a dire
29
quella della comunicazione (funzione delle relazioni sociali), e la funzione del pensiero.
Il linguaggio è il sistema di strumenti che abbiamo a disposizione per attuare la
comunicazione (la quale si fonda, secondo Vygotskij “sulla comprensione razionale e
sulla trasmissione intenzionale”62
) : esso è frutto di una necessità primaria dell‟uomo, la
necessità delle relazioni sociali.
Condizione imprescindibile perché la comunicazione vi sia, è la presenza di un
riferimento, di un orizzonte comune per i parlanti: ovvero di una classe di esperienze
generalizzate tramite il linguaggio, tacitamente condivisa dalla comunità linguistica,
senza la quale la comunicazione dell‟esperienza individuale, proprio perché singola e
individuale, sarebbe impossibile. Gli aspetti più importanti del linguaggio vanno quindi
ricercati nella realtà storica e sociale.
62
Vygotskij Lev Semenovič, “Myšlenie i reč. Psichologičeskie issledovanija”, Gosudarstvennoe Social‟no
– Ekonomičeskoe Izdatel‟stvo, Moskva – Leningrad 1934; tr. it. di Luciano Mecacci, a cura di Luciano
Mecacci, “Pensiero e linguaggio. Ricerche psicologiche”, Gius. Laterza & Figli Editore, Roma – Bari 1990,
1992, p. 15.
30
Ontogenesi del concetto
Nel processo di formazione dei concetti Vygotskij individua tre fasi principali:
1. Fase dei gruppi sincretici
2. Fase del pensiero per complessi
3. Fase del pensiero per concetti
Queste tre fasi sono ulteriormente suddivise in stadi che verranno brevemente esposti nel
corso della descrizione della fase cui appartengono.
Fase dei gruppi sincretici
Questa prima fase è caratterizzata dalla formazione da parte del bambino di gruppi di
oggetti messi insieme alla rinfusa sulla base della percezione: gli oggetti che vanno a
costituire questo “mucchio”, sono privi di relazione interne, e sono tenuti insieme da
legami puramente esterni, riconducibili appunto alla sola percezione. Il raggruppamento
viene effettuato in modo soggettivo, in base a legami di natura emozionale, percettiva (la
scelta ad esempio può rivolgersi ad oggetti che sono vicini, a livello spaziale, al
bambino). Questa fase passa a sua volta attraverso tre tappe successive, durante le quali
l‟immagine sincretica e le relazioni che connettono i vari gruppi di oggetti si evolvono: i
legami vengono rielaborati dal bambino su due piani, all‟inizio raggruppando a casaccio
gli oggetti più disparati “in un‟unica immagine fusa”63
, e poi facendo assurgere al ruolo
di rappresentante del gruppo in questione uno degli oggetti appartenenti ad esso. A tale
rappresentante corrisponde un significato, che a questo stadio invero è ancora molto vago
e incerto, e non ha una direzione precisa.
63
Vygotskij L. S. , “Pensiero e Linguaggio”, op. cit. , p. 149.
31
Fase del pensiero per complessi
Elemento caratterizzante di questo tipo di pensiero è che, a differenza di quanto avviene
nella prima fase, i legami in base a cui gli oggetti vengono uniti l‟uno all‟altro sono di
natura fattuale, concreta, oggettiva.
Questa fase si snoda in cinque momenti ulteriori:
Complesso per associazione
Complesso per collezione
Complesso a catena
Complesso diffuso
Pseudoconcetto
Nel complesso di tipo associativo gli oggetti vengono raggruppati sulla base di
somiglianze, che possono riguardare vari aspetti degli oggetti stessi (la forma, il colore,
ecc.): di importanza fondamentale è che il legame si fonda su una proprietà, seppur
concreta, del mucchio, che in tal modo comincia a perdere la sua caratterizzazione
sincretica. Per quanto concerne la formazione di collezioni, gli oggetti sono riuniti sulla
base del rapporto di mutua complementarità creatosi all‟interno di una situazione in cui
viene svolta un‟attività pratica da parte del bambino: questa reciproca relazione sarà
perciò di natura funzionale e il complesso, a questo livello, si configura come una
generalizzazione fondata sulla funzionalità degli oggetti all‟interno di un‟operazione
pratica.
Il complesso a catena costituisce una delle fasi più importanti del processo di formazione
dei concetti: gli oggetti vengono legati assieme sempre sulla base di relazioni concrete,
ma questa specifica forma è contraddistinta dal fatto che i legami si presentano
sottoforma di anelli. Tali anelli permettono di agganciare un oggetto all‟altro anche sulla
base di tratti sussidiari: il significato viaggia lungo tutta la catena raccordando anche gli
elementi più lontani. Questo si verifica solo nel caso in cui sia possibile un accostamento
degli oggetti a livello fattuale, ma è comunque lecito in forza del fatto che gli oggetti
sono inseriti all‟interno della stessa catena. Aspetto peculiare del complesso a catena è
32
che in questa forma non esiste un centro unico di attrazione attorno al quale gravitino gli
oggetti: tutti i tratti sono equipollenti. Fase successiva al complesso a catena è quella del
complesso diffuso: in questa fase il complesso a catena si ramifica ulteriormente,
andando a formare una vera e propria famiglia “che racchiude in sé una possibilità
infinita di estensione ed inserzione nella tribù di base di oggetti sempre nuovi, seppure
completamente concreti”64
. Ci troviamo di fronte ad un complesso dai contorni sfumati e
vaghi quindi, e in questa fase gli oggetti vengono raggruppati secondo generalizzazioni
sviluppate non più su base concreta, bensì formate all‟interno del pensiero, senza
necessità di verificare la loro bontà tramite l‟esperienza sensibile. La prassi non è più il
referente principale per la costruzione di legami, che ora cominciano a fondarsi su tratti
instabili che possono spesso variare. L‟ultimo passo, che chiude lo stadio del pensiero per
complessi è quello in cui si formano i cosiddetti pseudoconcetti: questi esteriormente
appaiono tali e quali ai concetti, e in forza di questa somiglianza garantiscono la
comunicazione bambino – adulto, ma in realtà, dietro la cortina fenotipica si nasconde un
percorso che invero differisce in modo sostanziale da quello proprio del concetto.
Bambino e adulto nella comunicazione si riferiscono sì agli stessi oggetti, ma per essi le
parole hanno un significato differente.65
Lo pseudoconcetto è ancora un tipo di pensiero concreto ma si affaccia a quello astratto,
costituendo così un vero e proprio ponte verso il pensiero per concetti. La strada percorsa
da questo sviluppo però non si dipana liberamente, secondo la spontaneità del bambino:
essa è piuttosto direzionata dal linguaggio adulto, che appunto orienta le generalizzazioni
formate dal bambino, lasciando integre però le leggi dalle quali tali generalizzazioni sono
governate. Il bambino quindi non crea un proprio linguaggio, ne impara bensì uno già
pronto, trasmessogli dall‟ambiente nel quale si trova. Due aspetti molto rilevanti colti da
Vygotskij circa lo sviluppo del pensiero per complessi sono: 1) che il pensiero per
64
Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 160. 65
A proposito Vygotskij fa un paragone di notevole interesse fra le modalità di sviluppo ontogenetico dei
concetti nella fase del pensiero per complessi e la storia del linguaggio stesso: secondo l‟autore sono
sostanzialmente le stesse. L‟aspetto simile messo in luce è proprio quello riguardante il fenomeno per il
quale il riferimento della parola all‟oggetto può rimanere lo stesso, variando però nel significato. Questo,
secondo Vygotskij, è la norma nell‟evoluzione linguistica, perché una stessa parola può indicare un unico
oggetto, ma nel farlo può seguire vie diverse (l‟esempio lampante addotto è quello dei sinonimi); viceversa
lo stesso oggetto può mantenere intatto il proprio ruolo denotante anche in lingue molto distanti tra loro,
benché le parole utilizzate per riferirsi ad esso possano avere un‟origine semantica affatto diversa.
33
complessi caratterizza non solo le operazioni intellettive del bambino, ma anche quelle
dell‟adulto, che lungi dal pensare sempre per concetti, usa il complesso molto spesso66
; 2)
che formazione del concetto e coscienza del concetto non coincidono, il primo non
presuppone il secondo. Può esservi un concetto, e lo si può utilizzare, senza che ve ne sia
piena consapevolezza: soprattutto nelle prime fasi del percorso evolutivo del pensiero
questo fenomeno appare più come la norma piuttosto che come l‟eccezione. Non solo:
anche una volta acquisito il pensiero più propriamente concettuale, astratto, nell‟uso
quotidiano del linguaggio spesso la coscienza dei concetti impiegati viene meno, è
assente, senza che comunque questa “mancata cognizione” intacchi la funzionalità del
linguaggio stesso ai fini della comunicazione.
Fase del pensiero per concetti
Questa fase è caratterizzata dalla facoltà di astrazione, dalla capacità del soggetto di
esaminare gli oggetti a prescindere dalla loro relazione concreta con l‟esterno.
Anche questa fase si suddivide ulteriormente in momenti:
Concetto per massima rassomiglianza
Concetto potenziale
Concetto
Il primo tipo si forma a partire appunto da una generalizzazione compiuta sulla base della
massima rassomiglianza dei tratti fra due o più oggetti: è una fase che somiglia per molti
versi a quella dello pseudoconcetto, ma se ne discosta in virtù della maggiore attenzione
dedicata ai tratti in quanto tali dell‟oggetto. In questa fase infatti il soggetto deve cogliere
ciò che nell‟oggetto è essenziale: si verificano quindi delle operazioni intellettive di
separazione e astrazione, che nella formazione dello pseudoconcetto invero non sono
presenti. Il concetto potenziale è, lo comunica la definizione stessa, una formazione pre –
66
L‟esempio fornito a proposito è particolarmente calzante: si tratta del riferimento ad espressioni come
“collo della bottiglia”, piuttosto che “braccio del fiume”, o ancora “piede del tavolo”. In tali espressioni si
assiste ad una attribuzione denominativa che procede per somiglianza o per associazione, quindi in base
alle regole proprie del pensiero per complessi. (Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, p. 180)
34
intellettiva che può diventare concetto, perché ne ha le potenzialità, ma che ancora non lo
è, e che si forma all‟interno di una situazione pratica, nell‟ambito del pensiero attivo; tale
concetto ha quindi un significato prettamente funzionale.
Al concetto vero e proprio si ascende nel momento in cui dei tratti separati dall‟oggetto
(o dagli oggetti), vengono isolati e sintetizzati, assurgendo al ruolo di forma del pensiero
atta a guida del pensiero stesso. In questa fase, sottolinea Vygotskij, un ruolo di primo
piano è svolto dalla parola: “è mediante la parola che il bambino dirige la sua attenzione
su alcuni tratti, mediante la parola li sintetizza, mediante la parola sintetizza il concetto
astratto e li utilizza come un segno superiore tra tutti quelli che ha creato il pensiero
umano.”67
D‟altronde anche il pensiero per complessi è impossibile senza la parola, come
si è visto in precedenza.
Lo sviluppo del concetto si configura, quindi, come un processo dinamico in cui si assiste
ad un movimento continuo che passa dal generale al particolare e viceversa, e che non
può essere semplicisticamente ridotto ad un mero associazionismo: piuttosto la
formazione del concetto si presenta come un‟operazione complessa in cui l‟uso
funzionale della parola svolge il ruolo primario: all‟inizio del percorso evolutivo la
parola, il segno, hanno una funzione solo denominativa, servono per indicare l‟oggetto,
per denominare. Solo successivamente acquisiscono la loro funzione più propria,
ovverosia quella significativa: la parola diventa così lo strumento per sintetizzare, per
simbolizzare e soprattutto per dirigere in modo volontario l’attenzione. A riguardo
scrive: “il pensiero stesso nasce non da un altro pensiero, ma dalla sfera motivazionale
della nostra coscienza, che abbraccia i nostri impulsi e le nostre motivazioni, i nostri
affetti e le nostre emozioni. Dietro al pensiero vi è una tendenza affettiva e volitiva.
Soltanto essa può dare una risposta all‟ultimo „ perché ‟ nell‟analisi del pensiero.”68
67
Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 189. 68
Vygotskij L. S. , ibidem, p. 391.
35
Il metodo storico
Alla base dell‟analisi vygotskiana c‟è la considerazione, squisitamente epistemologica,
secondo cui “il significato del fatto dipende dalla sua filosofia”; “i fatti sono intrecciati in
modo indissolubile alla filosofia. […] E chi vuole trovare la chiave in questa ricca
raccolta di fatti nuovi deve anzitutto mettere in luce la filosofia del fatto, la sua ricerca e il
suo significato. Senza ciò i fatti sono muti e morti.”69
Il fatto è legato sempre ad una
teoria, e quando lo si esamina, non si può prescindere da questa: anzi, proprio inserendosi
in un quadro teorico preesistente, il fatto acquista una collocazione e delle relazioni
specifiche, acquista cioè un significato. A riguardo è opportuno citare Maria Serena
Veggetti, che, in riferimento ad un testo “minore” di Vygotskij (comunque poco
conosciuto)70
, scrive: “Ogni avanzamento della scienza presuppone_ sostiene Vygotskij _
sia una critica del concetto nel momento in cui si attua il suo riscontro sul piano del fatti,
sia una critica del fatto una volta che lo si consideri in riferimento al concetto. Nella
scienza si verifica sempre un‟interazione tra concetti e fatti, tra componenti teoriche e
componenti empiriche della conoscenza.”71
Senza la teoria che ci guidi nella conoscenza
del fatto, questo rimane muto, morto.
Pilastro della concezione vygotskiana è anche la convinzione che alla base dell‟indagine
sperimentale della psicologia debba esserci, costante, l‟idea di sviluppo, di cambiamento.
Idea legata a doppio filo con una concezione storica del linguaggio: è questa
l‟impalcatura che supporta la tesi secondo cui pensiero ed attività sono mossi dal bisogno.
Il linguaggio è una forma di adattamento alla realtà ed è guidato dai bisogni: la
conoscenza della realtà non avviene astrattamente, l‟atteggiamento del soggetto nei
confronti dell‟ambiente che lo circonda non è passivo, piuttosto è caratterizzato dalla
pratica, da un incontro attivo con la realtà stessa. E nel processo di sviluppo cognitivo,
che coinvolge l‟apprendimento del linguaggio, l‟ambiente interagisce con l‟individuo
69
Vygotskij L. S. , ibidem , p. 27. 70
Vygotskij L. S. , “Istoričevskij smysl psihologičeskogo krizisa” (“Il significato storico della crisi della
psicologia. Un‟indagine metodologica”), in: Vygotskij L. S. , “Sobranie Sočineija” (Opere), Pedagogika,
Moskva 1982 – 1984: si tratta di un‟opera scritta dall‟autore nel 1930 in collaborazione con uno dei suoi
due colleghi storici, A. R. Lurija, e viene citata da M. S. Veggetti in “Lev Semenovič Vygotskij” (vedi nota
successiva). 71
Veggetti M. S. , “Lev Semenovič Vygotskij”, Giunti Lisciani Editori, Firenze 1994, p. 54.
36
condizionandolo in modo essenziale: non lo fa però in modo costrittivo, come vuole
Piaget72
: come sottolinea puntualmente Vygotskij, questa visione dell‟ambiente sociale
come estraneo, altro dal soggetto che apprende e si sviluppa, riposa sulla convinzione che
primario nel soggetto sia l‟aspetto biologico. Da qui appunto discende lo schema di
Piaget secondo cui il pensiero autistico e non verbale precede le altre forme di pensiero: il
sociale è posto come tappa finale di questo processo di sviluppo; il linguaggio nasce nel
soggetto come un linguaggio “ per sé ”, e solo attraverso l‟azione costrittiva
dell‟ambiente può diventare “ per gli altri ”, perché è l‟ambiente che fornisce al pensiero
le categorie logiche necessarie alla comunicazione. In Vygotskij questa concezione viene
letteralmente capovolta: il linguaggio è essenzialmente, nelle sue fasi iniziali, di natura
sociale, e solo successivamente si differenzia in altre funzioni. Un linguaggio quindi
nasce come linguaggio “ per gli altri ” e solo poi diventa linguaggio “ per sé ”. Il bambino
non crea il proprio linguaggio, piuttosto ne apprende uno già pronto, quello condiviso e
accettato dalla comunità in cui egli nasce e si sviluppa.
L‟ambiente sociale non costringe, ma interagisce con il soggetto che apprende, e proprio
grazie a questo rapporto di cooperazione costante il bambino può sviluppare le funzioni
del linguaggio che coinvolgono la sfera “ privata ”: per arrivare a questa fase è necessaria
l‟interiorizzazione di una prassi precedentemente appresa, “ il linguaggio sociale appare
sulla base di un percorso sociale, quando il bambino trasferisce le forme sociali di
comportamento, le forme di collaborazione collettiva nella sfera delle funzioni
psicologiche personali.”73
Il linguaggio prende forma gradualmente quindi,
manifestandosi dapprima come linguaggio sociale, poi come linguaggio egocentrico74
ed
infine come linguaggio interno.
72
Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 70. 73
Vygotskij L. S. , ibidem, p. 58. 74
Il linguaggio egocentrico secondo Vygotskij è una forma di linguaggio “per sè”, ad alta voce, tipica del
bambino: per comprendere questo tipo di linguaggio bisogna essere a conoscenza preliminarmente della
situazione in cui la comunicazione si svolge, visto che in questa particolare tipologia di linguaggio prevale
la predicatività (omissione nella frase del soggetto a favore del predicato e dei termini ad esso riferiti),
l‟abbreviazione e la frammentarietà. Il linguaggio egocentrico per Vygotskij costituisce l‟anticamera del
linguaggio interno, la tappa di transizione dalla funzione linguistica interpsichica a quella più propriamente
intrapsichica: “Il linguaggio egocentrico è un linguaggio interno per la sua funzione psichica e una
linguaggio esterno per la sua struttura. Il suo destino è quello di trasformarsi in linguaggio interno.”
(Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 351). Al contrario del processo individuato da Piaget,
nel bambino si verifica una individualizzazione progressiva (e non una socializzazione), nata sulla base
della socialità interna del bambino.
37
Ora, se il linguaggio è innanzitutto sociale, va da sé che esisterà una fase del pensiero
preverbale: del resto, visto che il linguaggio è stato configurato da Vygotskij anche nei
termini di un processo che vede la fase di rielaborazione interna come successiva e
conseguente a quella sociale, esiste anche una fase preintellettiva del linguaggio.
Comincia a profilarsi davanti a noi uno degli aspetti chiave della teoria vygotskiana:
quello che vede pensiero e linguaggio come due entità inizialmente separate, la cui
relazione è intesa come “una grandezza variabile, soggetta ad evoluzione”75
: il loro
sviluppo avviene, date le loro radici genetiche differenti, in modo diseguale. Solo ad un
certo punto della vita del bambino (punto che Vygotskij colloca intorno ai due anni di
età) le linee evolutive del pensiero e della parola si intersecano, ed è a questo punto che il
pensiero diventa verbale e il linguaggio diventa intellettivo.
Lo sviluppo ontogenetico è caratterizzato da due aspetti: il primo riguardante la crescita
organica del soggetto (sviluppo biologico) e il secondo concernente l‟interiorizzazione di
significati sociali (sviluppo socio - culturale); nell‟ontogenesi queste due linee di
sviluppo, lo ribadiamo, ad un certo punto del percorso evolutivo del soggetto si
intrecciano. Ma per quanto riguarda il profilo filogenetico, lo sviluppo biologico finisce
quando ha inizio quello storico – culturale: quanto esposto fornisce il supporto teorico per
la tesi secondo cui il pensiero si sviluppa in dipendenza dal linguaggio, per la quale il
carattere del pensiero verbale è essenzialmente storico. Difatti conseguenza
dell‟individuazione di una trasformazione nel processo evolutivo, che modifica il
biologico in culturale, in socio – storico, è che il linguaggio interno viene determinato da
fattori esterni, che “lo sviluppo della logica del bambino […] è funzione diretta del suo
linguaggio socializzato. Il pensiero del bambino […] si sviluppa in modo dipendente
dall‟assimilazione dei mezzi sociali di pensiero, cioè in dipendenza dal linguaggio.”76
È infatti la parola, il segno, il nucleo del processo di formazione dei concetti secondo
Vygotskij.
I metodi di indagine tradizionale, critica l‟autore, si concentrano sul prodotto finito, e non
sul processo stesso.
75
Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 95. 76
Vygotskij L. S. , “Pensiero e Linguaggio”, op. cit. , p. 126.
38
Tra questi c‟è, per esempio, il metodo della definizione, che però ha il difetto di
concentrarsi esclusivamente, o comunque principalmente, sulla parola, nel senso che
l‟indagine viene condotta sul piano verbale, non dando importanza al fatto che il concetto
è legato indissolubilmente alla percezione sensibile, da cui peraltro nasce, e non tenendo
conto che un piano puramente verbale non è proprio del bambino, per ovvi motivi. Si
tralascia quindi ciò che è fondamentale per la ricerca: il rapporto intercorrente tra
concetto e realtà. Di contro, il metodo dell‟astrazione (altro caso esaminato da
Vygotskij), ha il difetto opposto: nel tentativo di ovviare al problema scaturente dal
metodo della definizione, esso si concentra sulle funzioni e sui processi psicologici che
sono a fondamento della formazione dei concetti. Così operando, però, se da un lato
indubbiamente mette al riparo dal pericolo della relegazione dell‟indagine al solo piano
verbale, esso sottovaluta il ruolo della parola, sostituendo ad “un processo sintetico
complesso, un processo elementare, che ne costituisce una parte, […], ignorando il ruolo
del segno nel processo di formazione dei concetti.”77
Più interessante, invece, è il metodo proposto da Ach78
, ovvero il metodo sintetico –
genetico: con esso Vygotskij sostiene si compia un grande passo in avanti nell‟ambito
della ricerca sperimentale.
Il principio basilare di tale metodo consiste nell‟introdurre, nell‟esperimento, parole
artificiali, avulse dall‟esperienza propria del soggetto. Insieme ad esse vengono
“inventati” anche nuovi concetti, sempre a scopo sperimentale, unendo più segni insieme.
Tali parole acquistano gradualmente un significato per coloro che vengono sottoposti
all‟esperimento. Il merito di Ach è quello di aver posto “al centro dell‟indagine le
condizioni funzionali della comparsa del concetto”79
, di aver esaminato il concetto in
relazione ad una situazione di problem – solving.
Ach evidenzia nel processo di formazione dei concetti due aspetti fondamentali:
77
Vygotskij L. S. , “Pensiero e Linguaggio”, op. cit. , p. 130. 78
Ach Narziss Kaspar, psicologo tedesco, esponente della scuola della “psicologia del pensiero” fondata da
Külpe a Würzburg, in Germania. Di grande rilievo il suo metodo di ricerca e le sue osservazioni contro la
teoria associazionistica, viene citato più volte da Vygotskij. Il metodo di Ach viene detto metodo di
“introspezione sistematica”. 79
Ibidem, p. 132.
39
1. Il concetto viene a formarsi all‟interno di una situazione di problem–solving,
ovvero all‟interno di una situazione in cui lo scopo è, appunto, la risoluzione di un
problema.
2. La presenza di quella che Ach definisce “tendenza determinante”: un fattore che
“indirizza” l‟azione e le idee stesse del soggetto e che ha come punto d‟avvio
“l‟idea della meta” che tali idee e tali azioni devono raggiungere, ovvero del
“problema che tale attività è volta a risolvere”80
Ma la presenza di tale tendenza non basta, secondo Vygotskij: non c‟è un unico elemento
determinante, al processo di formazione dei concetti partecipano tutte le funzioni
intellettive fondamentali, tra loro combinate: “non si dà la spiegazione della traiettoria di
un proiettile in base al bersaglio finale colpito da questa palla.”81
La presenza di uno
scopo è condizione sì necessaria, ma non sufficiente perché si presenti “un‟attività
conforme allo scopo”82
. Lo scopo e il compito danno la direzione al processo83
, ma ,
ripetiamo, questi due fattori, benché essenziali, non bastano a determinare essi soli
l‟attività finalizzata. Parte centrale e caratterizzante di questa è “l‟uso del segno come
mezzo fondamentale di direzione e padronanza dei processi psichici”84
. Il segno in
questione è, per l‟appunto, la parola. Ecco che così in le funzioni psichiche superiori si
configurano come processi mediati dal linguaggio.
La parola consente al soggetto di padroneggiare i propri processi psichici, di orientarli
verso la soluzione di problemi: in questo tipo di situazione essi si combinano e
acquisiscono il loro autentico significato funzionale. Il pensiero quindi non si esprime
semplicemente nella parola, ma si incarna in essa, si realizza in essa: ogni pensiero ha un
suo sviluppo e assolve ad una certa funzione, e trova il suo divenire nella parola. Esso nel
linguaggio si modifica, viene riorganizzato in modo funzionale: il rapporto tra pensiero e
linguaggio è per questo di natura essenzialmente dialettica. In origine pensiero e parola,
lo abbiamo ribadito più volte, non erano fusi insieme, solo nel corso dello sviluppo essi si
80
Ibidem, p. 133. 81
Vygotskij L. S. , “Pensiero e Linguaggio”, op. cit. , p. 145. 82
Ibidem, p. 137. 83
Direzione che perciò consiste in un movimento da – a , come voleva Polanyi. 84
Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 137.
40
uniscono, ma preliminare al linguaggio per Vygotskij è l‟azione. Celebre è la sua
citazione della risposta di Goethe alle parole del Vangelo “In principio era il Verbo”, che
l‟autore tedesco metteva in bocca a Faust : “In principio era l‟azione”. La parola è per
Vygotskij “il fine che corona l‟opera”85
, piuttosto che l‟inizio del processo di sviluppo.
Esemplari le parole di chiusura di “Pensiero e linguaggio”86
che sintetizzano
mirabilmente l‟essenza del pensiero vygotskiano: “La parola […] è l‟espressione più
diretta della natura storica della coscienza umana. La coscienza si riflette nella parola
come il sole in una piccola goccia d‟acqua. La parola sta alla coscienza come un piccolo
mondo ad uno grande; come una cellula vivente ad un organismo, come un atomo al
cosmo. Essa è un piccolo mondo della coscienza. Una parola piena di senso è un
microcosmo della coscienza umana.”87
85
Ibidem, p. 395. 86
Op. cit. 87
Vygotskij L. S. , “Pensiero e linguaggio”, op. cit. , p. 396.
41
CONCLUSIONI
Questo lavoro può essere definito sinteticamente, nella sua struttura e nei suoi scopi,
come il tentativo di accostare due lavori lontani per certi versi ma vicini, a nostro avviso,
per molti altri.
È pur vero, però, che l‟importanza filosofica dei due autori in questa sede chiamati in
causa, ci impedisce, per ovvie ragioni, di esprimere opinioni definitive circa le
somiglianze riscontrate fra le loro opere. Questa tesi si propone come uno spunto di
riflessione, come un auspicio a battere ancora il sentiero di questo confronto da noi solo
abbozzato, anche per porre in rilevanza il valore filosofico della riflessione vygotskiana,
finora ancora relativamente poco messo in luce.
Il taglio espositivo scelto, volto a far emergere proprio in corso d‟opera i punti salienti,
consente di lasciare a coloro i quali avranno l‟interesse, e la voglia, di leggere questa tesi,
il compito di individuare da sé gli aspetti che accomunano i due studiosi, aspetti sui quali
(e in funzione dei quali), ripetiamo, abbiamo cercato di far muovere tutto il nostro lavoro.
Ogni ulteriore sottolineatura, precisazione o puntualizzazione, risulterebbe, secondo il
nostro parere ripetitiva e pleonastica.
42
INDICE
INTRODUZIONE 2
APPROCCIO STORICO E TEORIA DEL SIGNIFICATO IN KUHN 5
La struttura de “La Struttura” ............................................................................ 5
Il concetto di paradigma ...................................................................................... 10
Gioco linguistico e paradigma 15
Il concetto di incommensurabilità ...................................................................... 20
IL METODO STORICO DI VYGOTSKIJ 24
Ruolo sociale della genesi del significato ............................................................ 24
Ontogenesi del concetto ....................................................................................... 30
Fase dei gruppi sincretici 30 Fase del pensiero per complessi 31 Fase del pensiero per concetti 33
Il metodo storico ................................................................................................... 35
CONCLUSIONI 41
43
BIBLIOGRAFIA
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