+ All Categories
Home > Documents > Il pensiero di Teofrasto sui metalli secondo i frammenti delle sue opere e le testimonianze greche,...

Il pensiero di Teofrasto sui metalli secondo i frammenti delle sue opere e le testimonianze greche,...

Date post: 27-Nov-2023
Category:
Upload: dicospe
View: 1 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
109
Rend. Fis. Acc. Lincei s. 9, v. 12:133-241 (2001) Il pensiero di Teofrasto sui metalli secondo i frammenti delle sue opere e le testimonianze greche, latine, siriache ed arabe Memoria (*) di Annibale Mottana Abstract. Theophrastus’ thought about metals according to his surviving fragments and to Greek, Latin, Syriac and Arabic testimonies. An inspection of Theophrastus’ writings, namely his book «On stones» (De lapidibus ), his three major books and eleven of his fragments, all of which came down to us either directly in Greek or through Syriac and Arabic translations, shows as many as 42 statements which concern metals. Moreover, a survey of the works of Greek, Latin, Syriac and Arabic authors adds another 24 quotations concerning metals taken from Theophrastus’ teaching as well as 34 references inspired by him, but reported anonymously. All statements are short, and most of them are even cryptic. Nevertheless, on the basis of such a meagre, random evidence, an attempt is made at reconstructing Theophrastus’ treatise «On metals» (De metallis ), which was already lost in antiquity despite having been mentioned by Diogenes Laertius and later Greek authors down to the 11th century AD. Such a treatise is shown to have been written in between 323 and 315 BC for teaching purposes, and to have included inquiries performed in the years 340-335 BC according to Aristotle’s method of investigating natural facts, but still under the influence of Plato’s theoretical opinions by which Theophrastus had been imbued when attending his school (354-347 BC). The treatise consisted of at least two sections: a mining one concerning winning and dressing of metal- bearing ores, and another, metallurgical one concerning their refinement and the treatment of the extracted metals, as well as, possibly, giving some examples of their applications. It is pointed out that Theophrastus never adhered strictly to Aristotle’s theory that metals are the result of underground condensation of the wet exhalation reacting with earth, but maintained a belief in Plato’s thought that metals are solid forms of the watery element. Indeed, Theophrastus always emphasised their property of melting i.e., turning to liquid, when submitted to fire, with subsequent changes in their properties, such as shading in their color due to alloying i.e., entering solution with other metals. This agrees with his style of endeavouring explanation of natural phenomena by the direct way of simple observations. Key words: Metal; History of Sciences; Mineralogy; Metallurgy; Greece. Riassunto. — Sulla base di un sistematico esame di 42 passi di Teofrasto contenuti sia nel suo trattato «Sulle pietre» (De lapidibus ), sia nelle tre opere maggiori, sia in altri undici opuscoli che ci sono pervenuti pi ` u o meno frammentari o per trasmissione diretta oppure per il tramite di traduzioni siriache ed arabe, ed inoltre di altre 24 testimonianze dirette e di 34 riferimenti indiretti, anonimi ma a lui riconducibili, contenuti nelle opere di autori greci, latini, siriaci ed arabi d’et` a compresa tra III sec. a.C. e XIII sec. AD, si ` e tentato di ricostruire il pensiero di Teofrasto riguardo ai metalli ed il contenuto del perduto suo trattato «Sui metalli» (De metallis ). Il trattato fu scritto probabilmente tra il 323 e il 315 a.C., quando Teofrasto prese su di s´ e l’insegnamento al Liceo, ma riflette osservazioni dirette da lui compiute tra il 340 e il 335 sotto l’influenza del metodo di indagine naturalistica propugnato da Aristotele, tuttavia ancora nel ricordo dell’insegnamento teorico ricevuto alla scuola di Platone (354-347). ` E risultato impossibile ricostruire l’esatta struttura del trattato sulla base delle evidenze raccolte, perch´ e sono troppo sparse, ma si pu` o ugualmente intuire che esso doveva consistere di una parte mineraria, relativa all’estrazione e alla preparazione di grezzi metalliferi, e di (*) Presentata nella seduta del 9 febbraio 2001.
Transcript

Rend. Fis. Acc. Linceis. 9, v. 12:133-241 (2001)

Il pensiero di Teofrasto sui metallisecondo i frammenti delle sue opere e le

testimonianze greche, latine, siriache ed arabe

Memoria (*) di Annibale Mottana

Abstract. — Theophrastus’ thought about metals according to his surviving fragments and to Greek, Latin,Syriac and Arabic testimonies. An inspection of Theophrastus’ writings, namely his book «On stones» (Delapidibus ), his three major books and eleven of his fragments, all of which came down to us either directlyin Greek or through Syriac and Arabic translations, shows as many as 42 statements which concern metals.Moreover, a survey of the works of Greek, Latin, Syriac and Arabic authors adds another 24 quotationsconcerning metals taken from Theophrastus’ teaching as well as 34 references inspired by him, but reportedanonymously. All statements are short, and most of them are even cryptic. Nevertheless, on the basis ofsuch a meagre, random evidence, an attempt is made at reconstructing Theophrastus’ treatise «On metals»(De metallis ), which was already lost in antiquity despite having been mentioned by Diogenes Laertius andlater Greek authors down to the 11th century AD. Such a treatise is shown to have been written in between323 and 315 BC for teaching purposes, and to have included inquiries performed in the years 340-335BC according to Aristotle’s method of investigating natural facts, but still under the influence of Plato’stheoretical opinions by which Theophrastus had been imbued when attending his school (354-347 BC).The treatise consisted of at least two sections: a mining one concerning winning and dressing of metal-bearing ores, and another, metallurgical one concerning their refinement and the treatment of the extractedmetals, as well as, possibly, giving some examples of their applications. It is pointed out that Theophrastusnever adhered strictly to Aristotle’s theory that metals are the result of underground condensation of the wetexhalation reacting with earth, but maintained a belief in Plato’s thought that metals are solid forms of thewatery element. Indeed, Theophrastus always emphasised their property of melting i.e., turning to liquid,when submitted to fire, with subsequent changes in their properties, such as shading in their color due toalloying i.e., entering solution with other metals. This agrees with his style of endeavouring explanation ofnatural phenomena by the direct way of simple observations.

Key words: Metal; History of Sciences; Mineralogy; Metallurgy; Greece.

Riassunto. — Sulla base di un sistematico esame di 42 passi di Teofrasto contenuti sia nel suo trattato«Sulle pietre» (De lapidibus ), sia nelle tre opere maggiori, sia in altri undici opuscoli che ci sono pervenuti piuo meno frammentari o per trasmissione diretta oppure per il tramite di traduzioni siriache ed arabe, ed inoltredi altre 24 testimonianze dirette e di 34 riferimenti indiretti, anonimi ma a lui riconducibili, contenuti nelleopere di autori greci, latini, siriaci ed arabi d’eta compresa tra III sec. a.C. e XIII sec. AD, si e tentato diricostruire il pensiero di Teofrasto riguardo ai metalli ed il contenuto del perduto suo trattato «Sui metalli»(De metallis ). Il trattato fu scritto probabilmente tra il 323 e il 315 a.C., quando Teofrasto prese su di sel’insegnamento al Liceo, ma riflette osservazioni dirette da lui compiute tra il 340 e il 335 sotto l’influenzadel metodo di indagine naturalistica propugnato da Aristotele, tuttavia ancora nel ricordo dell’insegnamentoteorico ricevuto alla scuola di Platone (354-347). E risultato impossibile ricostruire l’esatta struttura deltrattato sulla base delle evidenze raccolte, perche sono troppo sparse, ma si puo ugualmente intuire che essodoveva consistere di una parte mineraria, relativa all’estrazione e alla preparazione di grezzi metalliferi, e di

(*) Presentata nella seduta del 9 febbraio 2001.

134 a. mottana

una parte metallurgica, relativa al loro trattamento minerurgico e alle modalita di utilizzazione del metalloche n’era estratto. Quanto al pensiero, Teofrasto non appare aderire strettamente alle teorie di Aristotele,che fa dei metalli il risultato della condensazione sotterranea dell’esalazione umida reagente con l’elementoterra, ma, pur senza rifiutare decisamente la teoria del suo maestro, se ne discosta alquanto e si riallacciaalle idee di Platone, secondo il quale i metalli sono una forma solida dell’elemento acqua e sono pertantocaratterizzati al meglio dalle proprieta che presentano quando sono sottoposti a fusione. In particolare, certeloro proprieta si spiegano tramite la formazione di leghe, vale a dire con una forma di reciproca soluzionead alta temperatura. Tutto cio ben s’inquadra nel modo di ragionare tipico di Teofrasto, che consiste nelcercare sempre la spiegazione piu semplice dei fenomeni osservati in natura.

Introduzione

Teofrasto da Ereso (ca. 372 - ca. 287 a.C.) (fig. 1) e indubbiamente il pensatorescientifico piu influente dell’antichita classica, anche se non il piu originale (1). Se nonproprio il primo, infatti, egli fu per certo uno tra i primi e piu importanti dosso-grafi: quei pensatori che, pur capaci di sviluppare un loro pensiero originale, vollerodedicare tempo e sforzi anche a raccogliere informazioni sulle nozioni scientifiche degliautori precedenti, ad organizzarle, condensarle, rielaborarle in forma propria e, infine,a trasmetterle in una forma piu accettabile ai loro contemporanei, cosı da renderle unpatrimonio duraturo della cultura greca. Teofrasto sta, quindi, alla radice di un’interasequenza di «eruditi ed insegnanti che avevano scarsa (2) attitudine per la ricerca scien-tifica, ma che erano diventati piuttosto abili a rendere comprensibili agli studenti e aiprofani le opere altrui» (Stahl, 1974: p. 33). Al tempo stesso, egli produsse una serie diopere originali strettamente connesse nel metodo della ricerca con quelle di Aristoteleda Stagira, il suo maestro, di cui adotto anche i criteri da seguire per l’insegnamento, alpunto da apparirne il piu fedele interprete, oltre che il continuatore ed il divulgatore.

L’importanza di Teofrasto si ricava facilmente dal numero di volte in cui e citato nellamonumentale Naturalis Historia («Storia naturale ») con cui Plinio il Vecchio, scrivendotra il 72 e il 77 AD, riassunse tutto lo scibile naturalistico accumulato in Grecia ea Roma durante i sei secoli precedenti. Ne e prova l’intero primo libro dell’opera(cfr. Barchiesi et al., 1982), dedicato all’indice generale e pertanto arido e trascuratodalla maggioranza dei lettori. L’indice e articolato nei 36 libri che costituiscono la partedescrittiva dell’opera enciclopedica e fornisce per ciascun di essi l’elenco dei dati, delle

(1) Non e certo positiva la valutazione che ne da Cicerone: «Non e forse mediocre il piacere cheda [la lettura di] Teofrasto, quando tratta argomenti gia trattati da Aristotele?» (De finibus, 1.6). Questavalutazione, che appare basarsi sull’originalita del pensiero, e pero contraddetta da Teofilatto Simocatta (VIIsec. AD), modesto studioso, ma migliore interprete dell’opinione comune durante la prima eta bizantina;egli, infatti, definisce Teofrasto un «oceano di conoscenza» (Quaestiones physicae, 19), sicuramente perchepoteva trovare nei suoi lavori una miriade di informazioni che gli parevano degne di compilazione e diulteriore trasmissione. Purtroppo per noi, gli interessi di Teofilatto non erano tali da portarlo a recensirelavori mineralogici e metallurgici.

(2) Questa critica si riferisce ai dossografi in generale, non a Teofrasto che, se anche opero come tale,lo fece per creare le premesse storiche per lo sviluppo del proprio pensiero; questo, poi, ebbe caratteristichedi originalita inferiori, sicuramente, a quelle di capiscuola quali sono, ad esempio, Democrito o Platone oAristotele, ma tali tuttavia da tenerlo in una posizione nettamente piu elevata rispetto alla massa.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 135

Fig. 1. – Ritratto di Teofrasto: litografia seicentesca incisa da Giacinto Calandruccio e ripresa da un bustoantico ritrovato negli scavi di Roma (da Bellori, 1685: tav. 38).

notizie e delle osservazioni che vi sono riportate: complessivamente ben 34.173 (e questonumero e per difetto perche non e riportato il dato numerico relativo a qualcuno deilibri iniziali, cfr. Ferraro, 1975). E proprio in questo primo libro che Plinio mette inevidenza quale sia l’importanza che ha per lui Teofrasto. L’indice, infatti, elenca anchetutti gli autori utilizzati come fonti (ben 500), distinti non solo per libri, ma anchetra romani e stranieri: ebbene, Teofrasto vi e secondo per numero di citazioni solo aMarco Terenzio Varrone, il piu erudito tra i Romani, ed e citato molto piu spesso dellostesso Aristotele, suo maestro (3). In ogni caso, egli e sempre in posizione di assolutapreminenza: figura, infatti, come fonte di ben 27 dei 36 libri; anzi, e indicato comefonte principale di 11 di essi (per gli alberi [libri XII e XIII], i fiori [XXI], le erbe [XXIIe XXV-XXVII] e i medicamenti di origine vegetale [XXIII e XXIV]; per i metalli, ma

(3) Per altro, Plinio manifesta per Aristotele la piu alta considerazione («summo in omni doctrina viro »:Nat. Hist., VIII.17), anche se non sembra apprezzare in pieno le motivazioni filosofiche della sua ricerca e,all’atto pratico, gli preferisce Teofrasto, di cui condivide il pragmatismo (cfr. French, 1999: p. 257).

136 a. mottana

solo per quelli preziosi [XXXIII] e non per quelli di uso comune; e, viceversa, per lepietre comuni [XXXVI], ma non per quelle preziose).

E ben vero che, spesso, Plinio (compilatore sempre meticoloso, ma spesso non acuto)non si dimostra all’altezza di capire la Scienza contenuta nelle opere di Teofrasto (4);tuttavia, con queste sue frequentissime citazioni, egli ne ha in ogni caso garantito lacontinua presenza per tutta la residua antichita greco-romana ed anche per il Medioevo(cfr. Schmitt, 1971; Sharples, 1984). Nello stesso tempo, pero, il fatto che il pen-siero di Teofrasto fosse stato reso accessibile in latino dalla traduzione parziale fattaneda Plinio ha contribuito alla perdita o alla rarefazione dei testi originali, poiche hadissuaso gli amanuensi dal trascrivere, e quindi dal trasmettere, i manoscritti greci.Ecco allora che, a fronte di 224 opere di Teofrasto, per un totale di 232.850 ri-ghe di scrittura, che potevano ancora essere visionate alla meta del III sec. AD, sesi vuol credere alla testimonianza (5) di Diogene Laerzio (Vitae philosophorum, 5.36-57, cfr. l’edizione critica di M.G. Sollenberger, 1985: pp. 16-39, piu precisamente5.50 a p. 39), ce ne sono pervenute, per tradizione diretta, solo 11 abbastanza inte-gre. Di altre vi sono frammenti sparsi, dei quali solo alcuni sono di una dimensionesufficiente da rendere possibile la ricostruzione approssimativa del pensiero dell’autore(Regenbogen, 1940: coll. 1368-1374; cfr. Wimmer, 1854-62, 1866 (6) e, ancora,

(4) Fin la primissima citazione (Nat. Hist., III.57-58, in Barchiesi et al., 1982: pp. 411-413) esintomatica dell’inadeguatezza di Plinio, o per una sua insufficiente conoscenza del greco o per la sua eccessivafretta: quella fretta di procedere che e sottolineata dal nipote, anche se benevolmente. Plinio, infatti, traedalla Historia plantarum (V, 8.3) una frase in base alla quale ritiene che Teofrasto avrebbe affermato che,all’epoca in cui scriveva (ca. 315 a.C.), il Circeo era un’isola distante 80 stadi dalla costa laziale, quandoinvece, correttamente, e lo possiamo dire con sicurezza perche l’originale completo della Historia plantarumci e pervenuto direttamente tramite la tradizione manoscritta (cfr. Amigues, 1988: pp. XLI-XLIX), egliscriveva che e un promontorio, che riteneva che anticamente fosse stato un’isola con una circonferenza di 80stadi e che la spiaggia che lo congiungeva alla terra era stata accumulata dai fiumi. Plinio addirittura peggiorale cose aggiungendo di suo che tutte le terre che alla sua epoca (77 AD) collegavano il Circeo all’Italia sidovevano essere aggiunte dopo l’epoca in cui Teofrasto scriveva, ipotizzando cosı un avanzamento dellacosta di 10 miglia (15 km) in meno di 4 secoli! Altri esempi di distorsione del pensiero di Teofrasto da partedi Plinio sono discussi piu avanti nel testo e in dettaglio dallo Steinmetz (1964: pp. 107-110) e dal Lloyd(1987: pp. 141-147). Vedremo piu oltre, pero, un’altra possibile ragione dei fraintendimenti di Plinio(cfr. p. 203).

(5) Diogene potrebbe avere ripreso le sue informazioni da quanto aveva lasciato scritto Aristone daIulide (anche detto da Ceo), che fu il quinto scolarca del Peripato (dal 225 al 185 a.C.) e che compilo lebibliografie e le biografie dei primi quattro scolarchi trascrivendone anche i testamenti.

(6) Wimmer e drastico nella sua sottovalutazione della sopravvivenza dell’opera di Teofrasto. Consideracomplete due sole opere (Historia plantarum e De causis plantarum ); altre 12 le considera excerpta et fragmenta.Di questi, cinque sarebbero libelli, cioe frammenti estesi piu o meno completi, e cioe II: Libellus de lapidibus;III: Libellus de igne; IV: Libellus de odoribus; V: Libellus de ventis; VI: Libellus de signis pluviarum, ventorum,tempestatus et serenitatis (piu in breve: De signis tempestatum ). Altri cinque sarebbero invece fragmenta,cioe frammenti minori, e precisamente VII: Fragmentum de lassitudine; VIII: Fragmentum de vertigine;IX: Fragmentum de sudore; X: Fragmentum de animi defectione; XI: Fragmentum de nervorum resolutione.Wimmer non spiega perche ai due testi che egli numera come I: De sensu et sensibilibus e XII: Metaphysica nonfaccia precedere nessuna qualifica. In ogni caso, continua poi la sua edizione definitiva (1866) con numerosialtri frammenti, numerandoli senza interruzione e senza titolo fino al Fr. CXC, con la sola eccezione del Fr.CLXXI: De piscibus in sicco degentibus (questo frammento, pero, era stato lasciato senza titolo nella relatiocritica ) che ha un’estensione particolarmente ragguardevole. L’edizione didotiana dei testi di Teofrasto

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 137

Schneider, 1818-21 (7)).Negli ultimi tempi, tuttavia, il meticoloso esame (o riesame) dei manoscritti greci e

latini conservati in varie biblioteche minori e come tali prima sfuggiti agli umanisti epoi trascurati dagli eruditi dell’Ottocento, il fortunato ritrovamento di papiri in Egittoe, infine e soprattutto, l’apertura agli studiosi di archivi ricchi di manoscritti arabi esiriaci, ed in particolare di quelli custoditi in un paese come l’India (di grande tradizioneculturale, ma rimasto a lungo isolato dalla ricerca filologica classica (8)), hanno portatoalla scoperta di nuovi testi, che in parte ripetono semplicemente quelli gia noti, mache talvolta presentano novita e servono percio di completamento alla conoscenza delpensiero scientifico di Teofrasto.

Grazie ad un progetto internazionale, che e durato dodici anni e si e concluso conun’edizione di tutti i brani attribuiti esplicitamente a Teofrasto (oppure a lui riferibili)nelle fonti greche, latine, siriache e arabe, divisi per soggetti e integrati da una traduzionein inglese (Fortenbaugh et al., 1992: I e II; cfr. Introduction: p. 5), il corpus teofrasteoora contiene (pur avendo volutamente escluso gli undici trattati pervenutici direttamentein greco attraverso la trasmissione manoscritta ellenistica, alessandrina e bizantina) 741frammenti e testimonianze, cui sono state aggiunti altri nove brani anonimi e quindidubbi, ma che sono stati considerati plausibili.

prodotta dal Wimmer (1866) altro non e se non la ripresa della sua precedente edizione teubneriana (1854-62) privata dell’apparato critico e del commento; quindi, benche completa e molto accurata dal punto divista grafico, e senz’altro meno rigorosa della precedente sotto l’aspetto filologico. Essa presenta, inoltre,alcune strane incongruenze: ad esempio i frammenti X e XI sono molto piu brevi dei frammenti LXXXIX(Motus melodica ) e CLIX (De aquis ) eppure sono titolati (v. supra ), mentre questi ultimi non lo sono (losono stati solo da filologi posteriori). Resta, infine, del tutto non spiegato per quale motivo il Wimmer(che afferma di voler editare tutte le opere superstiti di Teofrasto, e lo fa, tanto e vero che la sua edizione1866 del testo greco affiancato dalla traduzione latina e tuttora il testo di riferimento: il piu autorevole incircolazione) non abbia preso in considerazione i Characteres. L’unica spiegazione possibile e che, nella seriedei classici pubblicata dalla casa editrice Didot, per cui egli scriveva, essi erano stati affidati a F. Dubner ederano gia usciti nel 1860. Aggiungo, qui, che recentemente e invalso l’uso tra i filologi di chiamare tuttigli scritti di Teofrasto di piccole dimensioni (ma non minime) col nome collettivo di opuscula: l’esempiopiu evidente di questa tendenza e dato dal Burnikel (1974: p. XX), che e stato anche il primo a mettere inevidenza varie deficienze dell’edizione curata dal Wimmer. Queste deficienze sono ora ben chiarite nellesuccinte considerazioni iniziali della recente edizione critica del De odoribus a cura di Eigler e Wohrle (1993:p. 8).

(7) I primi quattro volumi, pubblicati nel 1818, contengono il testo greco collazionato sulla basedell’editio princeps di Aldo Manuzio (1497), dei due codici Medicei e di quello di Vienna; contengono,inoltre, la traduzione latina, che pero riproduce quelle parziali, cinquecentesche, del Furlano e del Turnebo.Il quinto volume, pubblicato nel 1821, apporta correzioni testuali sulla base del codice Vaticano Urbinate61 e ha in piu commenti, indici e una serie di frammenti collazionati da C.A. Brandis. Wimmer (1866: p. I)riconosce allo Schneider che la sua edizione era quanto di meglio per dottrina e attenzione fosse possibilefare all’epoca e gli attribuisce personalmente il merito di aver reso Teofrasto finalmente intelligibile agli altristudiosi. Per certi studiosi moderni, l’edizione dello Schneider sarebbe decisamente da preferire alle dueedizioni del Wimmer, che praticamente ne sono una copia con pochissime modifiche congetturali, spessonon sostenute dall’esame dei codici (Wilson, 1962); tuttavia, essa ha il difetto di una scarsa reperibilita.

(8) Questa mia affermazione va intesa nel senso che per lungo tempo in India non sono stati studiatialtri testi se non quelli sanscriti e che, comunque, godono di priorita negli interessi degli studiosi quelli inqualche modo legati alla filologia indoeuropea, mentre sono stati piuttosto trascurati altri manoscritti, puregualmente interessanti, che hanno relazioni di affinita col mondo islamico.

138 a. mottana

E ora in corso, come ulteriore fase dello stesso progetto internazionale, il commentodi tutte le testimonianze raccolte. Il loro esame procede molto lentamente, ma sie gia concluso proprio per quelle relative alla Fisica, tra cui figurano anche quelleche concernono i metalli e i minerali (Sharples, 1998). Cio non di meno, rimanemolto da fare, perche anche questo utilissimo commento, volutamente, non tiene alcunconto degli opuscoli teofrastei che ci sono stati tramandati dalla tradizione manoscritta(cfr. Sharples, 1998: p. VII) e quindi si autoriduce proprio la dove piu sicuro puorisultare il riferimento al pensiero dell’autore, cosı rischiando, addirittura, di arrivare aconclusioni arbitrarie.

Il contributo di Teofrasto alla conoscenza dei metalli

Tra i testi di Teofrasto pervenutici per trasmissione diretta e per esteso, anche seforse non del tutto integri, vi e il De lapidibus («Sulle pietre »), un opuscolo poco noto, omeglio: molto meno noto dei due trattati di Botanica (9) su cui si fonda la reputazione diTeofrasto come scienziato originale (Steinmetz, 1964: pp. 329-334), ma non certo la suafama che, presso i piu, appare piuttosto affidata ai suoi Characteres («I caratteri » (10)).L’importanza scientifica del De lapidibus, anche se piuttosto trascurato da filosofi estorici della Scienza, e indubbia. Concepito, sembra, come dispensa ad un corso diinsegnamento tenuto nell’anno in cui Prassibulo era arconte ad Atene (315-4 a.C.), e ilprimo trattato scientifico interamente dedicato a minerali, rocce e terre che sia mai statoscritto; come tale, rappresenta il fondamento di tutte le discipline naturalistiche legate inqualche modo alla Mineralogia oppure derivate da essa (Mottana e Napolitano, 1997).

E tuttavia accertato che il De lapidibus non fu il primo testo su materiali inorganicinaturali elaborato e scritto da Teofrasto, e che non ne contiene tutto il sapere (cognizionisistematiche e pensiero teorico). Lo attesta Teofrasto stesso che, proprio all’inizio delDe lapidibus (I.1.5-6, in Mottana e Napolitano, 1997: p. 158), afferma:

Essendo stati i metalli presi in considerazione altrove, qui tratteremo delle pietre e delleterre.

Questa concisa affermazione e stata interpretata in modo differente dai commentatori.Anzitutto, nel senso che Teofrasto aderiva alla bipartizione proposta da Aristotele deimateriali inorganici naturali (Meteorologica, III, 378a 21, in Pepe, 1982: p. 141): oryktaper quelli di superficie oppure ricavati da scavi superficiali a cielo aperto, e metalleutaper quelli estratti dal sottosuolo in galleria (fig. 2). Da questa affermazione, in secondoluogo, una parte dei commentatori ulteriormente estrapola una sua divisione tra mineralilitoidi e minerali metalliferi o anche, tout-court, tra pietre e metalli (e.g., Lee, 1978:

(9) Sono il De causis plantarum («Sulle cause delle piante») e la Historia plantarum («Studi sulle piante»).(10) E appena il caso di ricordare che, dopo la loro ripresa da parte di Jean de La Bruyere nel 1688, essi

diedero spunto a una serie di imitazioni che arrivano fino al nostro secolo. Ne esiste, in italiano, un’ottimaedizione recente con traduzione e commento (Vilardo, 1989).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 139

Fig. 2. – Lavori minerari nella Grecia arcaica (VII sec. a.C.), da sinistra verso destra: discesa nello scasso etrasporto del materiale in superficie tramite un tronco d’albero ramificato, raccolta del materiale abbattuto inun cesto da parte dell’aiutante, minatore all’opera sul fronte d’abbattimento; al centro: anfora con l’acquada bere (tavoletta fittile ritrovata a Penteskuphia presso Corinto, ora nel Museo di Berlino; da Muller,

1976: I, p. 178, fig. 28).

p. 287; Halleux, 1974: pp. 37-38 (11)). Certi altri ancora traggono un altro tipo diconclusione e ne deducono che Teofrasto aveva trattato questi ultimi, appunto, in unaltro suo libro. Questa, di fatto, e l’opinione della maggior parte dei commentatorimoderni (e.g., Mieleitner, 1922: p. 431; Caley e Richards, 1956: p. 64; Eichholz,1965: p. 87). Non mancano pero alcuni che, invece, interpretano il passo nel sensoche i metalli erano stati trattati gia da Aristotele e che Teofrasto non intendeva neripetere ne – tanto meno – rielaborare le idee di questo (e.g., Eichholz, 1949: p. 146;Vallance, 1988: p. 26). In realta, nei Meteorologica («I fenomeni celesti ») di Aristotelevi e un’illustrazione teorica dell’origine dei corpi litoidi e di quelli metalliferi (III, 378a13-378b 6, in Mottana e Napolitano, 1997: pp. 171-172) che e molto breve e allaquale, pero, Teofrasto sostanzialmente si attiene nel De lapidibus, che riguarda appuntole pietre. Manca del tutto, invece, un libro di Aristotele sui metalli. A dire il vero, latradizione manoscritta non ce ne ha trasmesso neppure uno di Teofrasto, ma dalla suaaffermazione riportata piu sopra io deduco che, se egli ha voluto dedicare alle pietreuna trattazione sistematica specifica che ci e pervenuta, non c’e ragione di continuaread aver dubbi sul fatto che abbia dedicato un’analoga trattazione ai metalli, anche se ne

(11) Halleux (1974) discute a lungo (pp. 18-34) le modificazioni di significato subite nel tempo dametallon (e da metallum in latino) prima di arrivare a questa conclusione: dopo di che e categorico inproposito.

140 a. mottana

Fig. 3. – La fusione dei metalli nella Grecia arcaica (VI sec. a.C.), da sinistra a destra: il fabbro con letenaglie introduce nel forno un pezzo di metallo, l’aiutante attizza il fuoco con un mantice operando colpiede; in alto: vari attrezzi d’uso (vaso a figure nere rinvenuto in localita sconosciuta, ora al British Museum

di Londra; da Forbes 1993a: p. 60, fig. 30).

abbiamo solo l’attestazione degli antichi e non ne rimane piu un’evidenza diretta (12).E dunque per un’indicazione di Teofrasto stesso che, prima di dare inizio ad un

esame delle sue idee sulle sostanze minerali in genere, dobbiamo cercare di appurarequale sia stato il suo pensiero sui metalli: materiali solidi che allo stato naturale siritrovano solo in minima parte come tali (metalli nativi ), mentre per lo piu si presentanoin una forma combinata (minerali metalliferi, soprattutto solfuri e ossidi) da cui i singolimetalli sono ricavati tramite procedimenti di estrazione che rappresentano il risultato piuo meno ingegnoso dell’abilita tecnologica sviluppata dall’umanita. Essi sono altrettantointeressanti sotto l’aspetto metallurgico quanto lo sono sotto quello minerario (fig. 3):meno rilevante per la Mineralogia, il primo, ma ad essa collegato, almeno nella praticae nel pensiero antichi (cfr. Hunt, 1976: p. 24; Healy, 1993: p. 7). In ogni caso, i

(12) Come, pero, nel Medioevo vi fu un qualcuno come Alfredo l’Inglese che, essendo insoddisfatto diquanto di mineralogico leggeva nei Meteorologica I-III e non avendo a disposizione ne il Meteorologica IVtradotto da Enrico Aristippo ne il De lapidibus di Teofrasto, penso bene di inventarsi un liber de mineralibusAristotelis traendone le idee da un trattato arabo di Avicenna (cfr. de Mely, 1894; Ruska, 1912; Holmyard eMandeville, 1927), cosı esistette forse anche qualcun altro che sviluppo a suo modo gli spunti di Aristotelerelativi ai metalli e, analogamente, si invento un libro di Teofrasto sui metalli (v. infra ). Di questi libriapocrifi non ci e rimasta, tuttavia, traccia. Il primo trattato di Arte mineraria e Metallurgia di cui attualmentedisponiamo e il Bermannus di Giorgio Agricola (1546, ma di fatto gia 1530), a meno che non si vogliaattribuire la priorita ai ben modesti Bergwerk- e Probierbuchlein apparsi in Germania all’inizio del ’500. Inrealta, il primo trattato veramente significativo sulla materia e il De re metallica di Giorgio Agricola, apparsopostumo (1556). Nella prefazione di questo libro, sottoscritta a Chemnitz il 1 dicembre 1550, Agricolafa cenno all’assoluta rarita di opere di Metallurgia, non solo tra i classici (ricorda solo Stratone, Filone ePlinio), ma anche tra i moderni (per i tempi suoi). Tra questi, pero, cita un certo Pandulfus Anglus, cheavrebbe scritto in tedesco un libro «sulle vene» prima del 1477: libro, questo, che nessuno ha rintracciatofinora.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 141

due tipi di materiali erano sicuramente collegati nelle concezioni di Teofrasto, per ilquale (come abbiamo visto) i metalli vengono prima dei minerali e devono essere giaconosciuti prima di impostare lo studio sistematico di questi ultimi, anzi per poterloaffrontare secondo il suo metodo, che procede per esemplificazioni e per confrontisuccessivi, prima di proporre idee unificanti.

Ricostruire il pensiero di un autore su un argomento di cui e andato perduto iltesto di riferimento potrebbe apparire velleitario se non si trattasse proprio di Teofrasto,una caratteristica del cui modo di insegnare fu quella di ripetere lo stesso tema in piudi un trattato, sia pure in esempi differenti e con diversi intenti (Steinmetz, 1964:pp. 322-324; cfr. Gottschalk, 1985: I, p. 547; Sharples, 1988: p. 43, 1998: p. XVI).Evidentemente egli lo faceva per ottenere il massimo risultato dal suo insegnamento,scopo per cui non esito ad altre forme anche perspicue di esibizione, alcune delle qualipersino un po’ ridicole (come quelle riferite da Ateneo: Deipnosophistae, I.38 21A-B, inTurturro, 1961). Le sue ripetizioni risultano essere ora utili, perche rendono possibilela ricostruzione almeno parziale dei temi trattati e, se non le argomentazioni specifiche,almeno certe deduzioni affini. Cosı, se del suo testo di riferimento sui metalli ci sonopervenuti solo pochi frustoli, possiamo integrare questi e farci un’idea delle teorie cheTeofrasto proponeva tramite vari brani in cui egli fa menzione dei metalli che troviamosparsi in altri trattati (Steinmetz, 1964: pp. 302-304). Tutto cio chiaramente non bastaa coprire il soggetto nella sua interezza, ma puo forse bastare come premessa: in pratica,puo essere sufficiente a darci un’idea delle sue teorie piu generali, cioe quelle che ciservono di supporto per passare ad un esame da vicino delle sue idee sulla materia e aaddentrarci poi specificamente nelle idee relative ai minerali.

Lo studio piu approfondito dedicato fino a questo momento alla tecnologia metal-lurgica greco-romana e, ancora, quello classico di Hugo Blumner (1979) che pure e– e non puo non esserlo – superato nelle sue nozioni di Mineralogia e Giacimentologia.Un ulteriore contributo, piu recente, ma molto piu sintetico, si deve a Mikhail Rostovt-sev (1966, 1973, 1980: in quest’ultimo volume soprattutto pp. 305-316), che, graziealla sua preparazione culturale poliedrica, ha potuto riassumere opere di varie scuole,orientandole pero tutte in funzione del suo approccio allo studio del mondo antico, chee socio-economico. Lavori ancor piu recenti hanno solo marginalmente perfezionato iquadri delineati dal Blumner e dal Rostovtsev, nonostante il maggiore numero di infor-mazioni che le ricerche archeologica e archeometrica hanno saputo fornire (cfr. Tylecote,1992; Healy, 1993; Ramin, 1977b ; Conophagos, 1980; Domergue, 1989; Bachmann,1990; Marabelli, 1995; Tsaımou, 2000). A mio parere, in molti di questi lavori recentisembrano mancare o la capacita di intendere il significato reale del dato tecnico minera-rio e metallurgico – per alcuni, oppure la volonta di intuire quanto di concettualmenteoriginale e di foriero di sviluppo moderno, anche se ancora limitato nella sostanza, eracontenuto nelle fonti antiche – per altri.

Qualcuno, in realta, ha intuito l’utilita delle due linee di approccio e ha cercato ilmodo di coniugarle. Il miglior tentativo recente in questo senso, compiuto nel quadro diun piu ampio studio sull’evoluzione del concetto stesso di metallo e delle teorie relativeai metalli nella Scienza greca, e dovuto a Robert Halleux (1974). Tuttavia, proprio per

142 a. mottana

quanto riguarda Teofrasto (ivi, pp. 115-122 e, soprattutto, Annexe I alle pp. 171-177),esso non appare piu adeguato, ora, perche e basato sui materiali documentari raccolti eediti dal Wimmer (1866) e dal Rose (1967: pp. 204-209): un insieme scelto molto bene,all’epoca, ed anzi per certi versi sovrabbondante (oltre a quelli di Teofrasto, comprendetutti i passi sui metalli riferibili ad Aristotele, anche se con una grossa percentuale diincertezza), ma che appare datato ed e senz’altro suscettibile di essere migliorato, adesso,dopo il gran lavoro di raccolta e selezione compiuto dal progetto internazionale.

I possibili frammenti del De metallis

Un trattato di Teofrasto in due volumi sui materiali metalliferi (13) esistette sicura-mente (cfr. Halleux, 1974: p. 172, «l’existence : : : est irrecusable»), non solo percheegli stesso vi allude e gli fa riferimento, ma anche perche un De metallis («Sulle mi-niere » oppure «Sui metalli ») e attestato da Diogene Laerzio (Vitae Philosophorum, 5.44,in Sollenberger, 1985: p. 22), ribadito espressamente da Alessandro di Afrodisia e daOlimpiodoro ed infine e citato ancora dalla Suda (14) (n. 199, in Fortenbaugh et al.,1992: I, p. 48). Fino al primo dopoguerra, pero, non se ne conosceva quasi nulla equel pochissimo sembrava provenire esclusivamente dalla tradizione indiretta (cfr. Re-genbogen, 1940: coll. 1416-1418), con cio confermando la sconsolata conclusione che«[die Schrift uber die Metalle] ging schon fruh verloren und PLINIUS kannte sie nichtmehr» (Mieleitner, 1922: p. 445).

1. La chiusa del De odoribus. — Solo con molte incertezze, infatti, puo essereattribuito (15) al De metallis un passo isolato riportato in coda al De odoribus («Sugliodori »), che e uno degli opuscoli di Teofrasto che ci e pervenuto per trasmissionediretta, ma che riguarda tutt’altro soggetto (cfr. Eigler e Wohrle, 1993: p. 11). Il passo

(13) Il titolo preciso in greco puo essere stato tanto «Perı metallon », cosı come e attestato da DiogeneLaerzio e dalla Suda e inoltre da Arpocrazione, Olimpiodoro e Simplicio, oppure «Perı to metalliko », comee attestato da Polluce ed Esichio (v. infra ). Nell’autocitarsi (De lapidibus, I.1), pero, Teofrasto parla di un«Perı ton metalleuomenon » e questo e pure il titolo menzionato da Alessandro di Afrodisia (q.v.). Non emio compito elaborare congetture sull’evoluzione di significato che i tre diversi titoli sottintendono, purriferendosi sempre allo stesso libro. Per questo si veda l’analisi filologica ed ermeneutica contenuta nellamemoria del Halleux (1974: pp. 37-44) ed anche il conciso, ma densissimo capitolo dello Steinmetz (1964:pp. 299-304).

(14) Tra Diogene Laerzio (meta del III sec.) e la Suda (fine del X sec.) intercorre un lungo periododurante il quale la trasmissione diretta delle opere di Teofrasto dovette subire una riduzione traumatica:dalle 224 opere citate dal primo si passa alle solo 9 della seconda, il cui compilatore pero aggiunge ancheun laconico: «e altre». La ricerca di quanto resta di queste «altre» e appunto cio che ha innescato il progettointernazionale surriferito (Fortenbaugh et al., 1992: p. VI; cfr. Fortenbaugh et al., 1985: p. VII). Va inoltrerilevato che il libro sui metalli citato dalla Suda puo essere un apocrifo: in effetti, la contemporanea listaaraba dei libri scritti da Teofrasto (Ibn al-Nadım, Kitab al-fihrist, 7.1) cita solo 6 opere e tra queste non c’eun De metallis.

(15) A mia conoscenza, il primo ad avanzare questa attribuzione e stato O. Regenbogen (1940: col.1418). Recentemente, essa e stata confermata da R.W. Sharples (comunicazione scritta a G. Wohrle, inWohrle, 1988: p. 12, nota 12) e risulta definitivamente accettata in Eigler e Wohrle (1993: pp. 14-15).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 143

e brevissimo (16) ed e linguisticamente astruso (17), anche perche ne esistono due diverseletture tra loro non esattamente confrontabili. Tuttavia, in ciascun caso, esso e tale dapresentare un senso compiuto e trasmettere senz’altro un’informazione (18).

1a. (sezione 71 di Wimmer, 1866: p. 376):

’AqhnÑsi legein e’iV tauta calkon koilon ’emballesqai sidhron‘omoiwV ’eruqron kai leukon. Eÿinai de tina logon proV ton kat-titeron¨ sumballesqai d’ o ’u megeqouV carin ’alla thV pikrothtoV: : :

[Riferiscono] che ad Atene dicono che in queste cose e gettato bronzo cavo (concavo?lavorato?), ferro ugualmente rosso e bianco. Che c’e una qualche regola rispetto allostagno: e unito non per la grandezza, ma per l’odore pungente : : :

1b. (§71 di Eigler e Wohrle, 1993: p. 56; n. 200 di Fortenbaugh et al., 1992: I,pp. 370-371):

’AqhnÑsi legein e’iV panta calkon koilon ’emballesqai sidhron‘omoiwV ’eruqron kai leukon. eÿinai de tina logon proV ton kat-titeron. ’emballesqai d’ o ’u megeqouV carin ’alla thV puknothtoV: : :

[Riferiscono] che ad Atene dicono che in tutte le cose e gettato bronzo cavo (concavo?lavorato?), ferro ugualmente rosso e bianco. Che c’e una qualche regola rispetto allostagno: e unito non per la grandezza, ma per la densita : : :

Questa frase riguarda certamente i metalli, ma e veramente oscura e talmente genericanel contenuto da poter essere tratta da qualsiasi testo di Teofrasto e non necessariamentedal De metallis. Tuttavia, e quanto di piu prossimo ad esso per argomento che si possaricavare dalla tradizione manoscritta diretta e, soprattutto, e di sicura attribuzione aTeofrasto: figura, infatti, fin nel suo codice piu antico e piu autorevole che si conosca(il Vaticanus graecus 1302, della prima meta del XIV sec., Burnikel, 1974: pp. XXXII-XXXIII e 66-70; cfr. Burnikel e Wiesner, 1976: p. 142). Anche lı, pero, appare del tuttoslegata dal contesto, cosı come avviene, del resto, per il passo che immediatamente laprecede (19) (sezione 70 di Wimmer, 1866: p. 376; n. 364 di Fortenbaugh et al., 1992:

(16) Regenbogen (1940: col. 1418) lo definisce un «[ein] winziger Rest».(17) L’icastico giudizio che ne da il Wohrle (1988: p. 5) e: «completely incomprehensible». Cio

malgrado, egli lo ha riportato nell’edizione critica del De odoribus (Eigler e Wohrle, 1993): il passo inquestione, pero, viene sı trascritto, ma non e tradotto ne, tanto meno, commentato (p. 77). Ancora piunegativo e l’atteggiamento dello Hort (1926): non solo non lo riporta, ma afferma di non tentarne neppurela traduzione, sia per le difficolta che presenta, sia poiche lo sforzo non e in alcun modo giustificato, nonavendo l’argomento nulla a che fare con gli odori. Senza volerlo, egli cosı indica di non ritenere corretta laversione del Wimmer.

(18) Dove possibile, nel riportare passi tradotti dal greco e dal latino, mi sono rifatto a traduzionieffettuate in tempi recenti da specialisti, sempre riportandone il nome. Tutte quelle che, invece, nonpresentano alcuna indicazione sono mie. Esse sono state riviste, per la correttezza e l’attinenza all’originale,dalla Prof.ssa Carla Triulzi.

(19) E una singola frase che riguarda i pesci fossili. Essa potrebbe trovare posto, piu correttamente, nelFr. CLXXI (De piscibus in sicco degentibus; Wimmer, 1866: pp. 455-458).

144 a. mottana

II, pp. 164-165; §70 di Eigler e Wohrle, 1993: pp. 56-57). E come se l’amanuense,trovandosi a copiare un originale gia ridotto in pezzi, abbia voluto comunque trascrivernetutto cio che gli era possibile (lodevolmente) e l’abbia fatto senza badare a quale affinitaalcuni brani che si trovava di fronte avessero col contenuto dell’opuscolo che avevatrascritto fino a quel momento (20).

Fortenbaugh et al. (1992: I, p. 370) sono coloro che meglio di tutti documentano iproblemi di lettura di questa chiusa. Essi fanno riferimento, nell’intestare il loro fram-mento n. 200, all’edizione del Wimmer (1866), ma in realta stampano un testo diversosenza fornirne altra spiegazione se non in modo criptico nell’apparato critico superiore:al «tauta » del Wimmer e della lettura comune (vulg.) sostituiscono un «panta » giu-stificandolo con una nuova lettura dei manoscritti non altrimenti testimoniata (codd.);e inoltre al «pikrotetos » del Wimmer sostituiscono «pyknotetos ». Data la grande diffe-renza di significato che deriva da quest’ultima variazione, qui l’apparato critico fornisceuna spiegazione articolata, affermando che «pyknotetos » e il testo tradito dai codici A;«kukrotetos » quello tradito dai codici L; «pikrotetos » quello comunemente accettato (vulg.)e infine «stereotetos » quello che era stato congetturato dal Vascosano (21).

L’edizione di Fortenbaugh et al. (1992), essendo piu recente di quella del Wimmer(1866), dovrebbe anche essere quella piu valida sotto l’aspetto filologico, tanto piuche concorda perfettamente (22) con quella di Eigler e Wohrle (1993: pp. 56-57), ilprimo dei quali ha riletto tutti i manoscritti del De odoribus, o direttamente o sumicrofilm (Eigler e Wohrle, 1993: p. 7), per poterne effettuare un’edizione criticaaggiornata. Questa, poi, e stata basata «quasi esclusivamente» (Eigler e Wohrle, 1993:p. 9) sull’autopsia del Vaticanus Graecus 1302, che gia il Burnikel (1974: p. 84) avevaindicato essere non solo il «Codex vetustissimus », ma anche il «Codex unicus » da cuidipende tutta la tradizione dei nove opuscula teofrastei che ci sono pervenuti. Tuttavia,ho ritenuto opportuno riportare ancora la versione preferita dal Wimmer (1866), anchese e stata messa ora in dubbio nella sua correttezza filologica, perche essa, grazie allasua antichita, ha assunto un carattere quasi di ufficialita per i testi minori di Teofrasto.Per conseguenza, ne ho riportato anche la traduzione ed inoltre riporto per entrambe

(20) Secondo lo stemma ricostruito dal Burnikel (1974: p. 145), cio puo essere avvenuto in un qualsiasimomento compreso tra l’VIII sec. AD, data presumibile dell’archetipo da cui discendono tutti gli opuscoli,e il XIV, data della scrittura del piu antico codice che ci rimane, appunto il Vaticanus graecus 1302. IlDe odoribus che ci e pervenuto e di sicuro il frammento di un’opera piu lunga. A differenza del De igne,ad esempio, che ha una chiusa ben definita («ma di queste cose s’e detto abbastanza: eventualmente neridiscuteremo in altro luogo»; cfr. Wimmer, 1866: p. 364), il De odoribus inizia con una affermazione diprincipio ben impostata, ma termina in modo del tutto tronco, senza neppure aver esaurito l’argomento,alla sezione 69 che tratta di unguenti artificiali. Dopo di questa, appunto, seguono le due sezioni 70 e71 suddette, slegate dal soggetto iniziale. Su questo problema si veda la discussione del Burnikel (1974:pp. 89-91) e anche l’accenno di Eigler e Wohrle (1993: pp. 14-15). Sul problema se il De odoribus siarealmente un trattatello indipendente, oppure un pezzo della Historia plantarum, v. infra.

(21) Si tratta di un erudito della fine del Cinquecento, collaboratore del Furlanus (1605), la cui emendatioera gia stata rifiutata dallo Schneider (1818).

(22) Concorda talmente bene che mi sorge il dubbio che non si tratti di una comunicazione dell’Eigler,il lettore dei codici del De odoribus, nelle remore della pubblicazione del testo di questo.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 145

le letture (tra parentesi tonde ed in forma interrogativa) possibili diverse interpretazionidel senso di una medesima parola greca.

La chiusa del De odoribus, infatti, si presenta oscura sotto tutti i punti di vista:linguistico, anzitutto, e poi anche storico, ma anche metallurgico e mineralogico. Apparesubito chiaro che essa riguarda un processo metallurgico in cui e fatto uso di metallo direcupero, in luogo di metallo fresco, vale a dire ricavato per la prima volta da mineralegrezzo proveniente dalla miniera. Cio che, anzitutto, crea oscurita e l’interpretazionedella frase in cui si precisa che l’aggiunta al fuso riguardava un metallo tanto «rosso»quanto «bianco».

Se si tratta del «sıderos » (come e, dal punto di vista grammaticale, poiche questo eil sostantivo piu vicino), il brano ha un significato veramente fuori del comune: ferro«rosso» (= ossidato? arrugginito?) diventerebbe un apax, mentre per «bianco» dovrebbeintendersi o un ferro lustro e splendente (= intatto) oppure l’acciaio, venendo cosı aconfigurare un secondo apax. Questa, ad ogni modo, e l’interpretazione preferita dalWimmer (1866: p. 376) nella sua traduzione latina, in cui la frase e considerata unintercalare, adottando un certo tipo di punteggiatura per l’originale greco.

Se, invece, la frase si riferisce al «chalkos » (l’altro sostantivo, ma piu lontano), «rosso»starebbe a specificare che si trattava di rame praticamente puro, secondo una specificaaggettivale gia usata altrove da Teofrasto (De lapidibus, VIII.57, in Mottana e Napo-litano, 1997: pp. 166, 217-218: qui «chalkos » e un bronzo quasi totalmente fatto dirame, con meno del 4% di impurezze di altri metalli); per bronzo «bianco» dovrebbeintendersi una lega di rame con un elevato tenore di stagno, del tipo usato dai Greci peri loro specchi. In effetti, un bronzo e gia biancastro quando contiene piu del 25% distagno ed e sicuramente «argenteo» quando ne contiene il 30-35%, come certi specchiantichi, lucentissimi e durissimi. Con i due aggettivi «rosso» e «bianco» verrebbero,in pratica, indicati i due estremi di tutta la gamma di leghe a base di rame usate inGrecia nella preparazione del bronzo. Questa seconda interpretazione e quella preferitadai lessicografi (e.g., Liddell et al., 1990: p. 1974; Montanari, 1995: p. 2207) e peressa sembrano optare anche Fortenbaugh et al. (1992: I, p. 371) nella loro traduzione,anche se adottano una costruzione inglese che si presta ad ambiguita.

Il risultato finale dell’intero processo eseguito ad Atene sarebbe, comunque, un fusodi bronzo che, essendo stato ottenuto dal recupero e dalla mescola di oggetti di ramestagnato di vario tenore con oggetti di ferro, doveva essere alla fine corretto secondo unaqualche proporzione tramite un’aggiunta di stagno, se si voleva usarlo per una lavorazioneper colata, che doveva basarsi sulle sue caratteristiche di fluidita pur mantenendo lecaratteristiche di durezza che gli induceva l’aggiunta del ferro.

Quando i Greci intendevano usare il bronzo per statue o suppellettili d’uso, utilizza-vano di solito una lega con circa il 10% di stagno (Giardino, 1998: p. 142) e dovevanoin un qualche modo ridurne la velocita di raffreddamento mantenendone elevata la re-sistenza meccanica, perche questa lega, che pure ha una temperatura di fusione di ca.1000 ◦C, cola male negli stampi essendo densa e si presta male a mantenere le formeavendo una bassa durezza Brinell (tra 70 e 100 HB: Weisner et al., 1982). Normalmentela si portava ad uso ottimale tramite una martellatura alternata ad un processo ritenuto

146 a. mottana

analogo alla tempra (23), ma tenuto tanto segreto da risultare proverbiale (Eschilo, Aga-memnon, 612, in Savino, 1995: p. 47). Ad Atene era stato probabilmente scopertoche lo stesso risultato (anzi: migliore) poteva essere ottenuto aggiungendo al bagno difusione un certa quantita di un metallo altofondente come il ferro (24), ma correggendopoi il tutto con un’aggiunta di altro stagno che servisse a diminuire la temperatura delfuso e a mantenerne la giusta fluidita: basta un altro 10% di stagno, infatti, per abbas-sare a 798 ◦C la temperatura di fusione della lega (questa e la cosiddetta fase α, chevaria in composizione da Cu puro fino a contenere 27 % di Sn: Hansen e Anderko,1958; cfr. Heller, 1996: p. 311, figg. 6-23). Il massello solido che deriva dalla colataha pero una durezza Brinell eccessiva (140-160 HB), poiche, oltre che la fase α, risultacontenere una serrata compenetrazione di grani di tre altre fasi (β, γ, δ), tutte dure,anche se ognuna con una sua durezza diversa, nell’insieme rese tenaci dalla mutua asso-ciazione. Questa lega mista, una volta completamente fredda, contiene solamente le fasiα e δ ed e sicuramente poco adatta agli usi metallurgici, perche la presenza della fase δ,che e fragile, ne limita fortemente la deformabilita, soprattutto se la massa e incruditadalla lavorazione meccanica, che provoca un aumento della durezza Brinell fino a 210HB (Heller, 1996: p. 312). Per la sua utilizzazione pratica si richiede, percio, un nuovoriscaldamento a piu di 586 ◦C, che converte la fase δ in fase β, seguito da una rapidatempra. Questo duplice trattamento ha l’effetto che la fase β, duttile e malleabile, siconserva in modo metastabile e prevale anzi quantitativamente sulla fase α (con residuidi fase δ), conferendo cosı al bronzo la voluta durezza Brinell. Questa interpretazione,pero, potrebbe perdere completamente di significato se l’aggiunta di ferro (non piu prati-cata nei bronzi moderni) avesse come effetto di alterare completamente le caratteristichedei fusi rispetto a quelle sperimentalmente osservate nei bronzi Cu-Sn binari.

Un’interpretazione in questo senso del brano porta, in ogni caso, a concludere cheil De metallis conteneva nozioni avanzate di tecnica metallurgica derivate da esperienzecompiute in fonderie artistiche. Teofrasto poteva esserne venuto a conoscenza percheera un frequentatore di artisti e un appassionato di toreutica. Infatti, nel suo testa-

(23) Non poteva trattarsi di tempra, poiche essa induce nel bronzo un addolcimento che puo essererecuperato solo con una nuova martellatura, ma il segreto con cui i metallurgisti antichi circondavano laloro attivita lasciava spazio al pensarla cosı.

(24) Non abbiamo alcuna prova archeologica di cio, ma ne esistono prove documentarie. Plinio, infatti,riferisce (Nat. Hist., XXXIV.140, in Corso et al., 1988: pp. 257-259) che lo scultore rodio Aristonida ( fl.258 a.C.) uso una lega di rame e ferro per ottenere un bronzo di una particolare tonalita di colore rossastro conla quale voleva evidenziare nel personaggio ritratto il rossore dovuto alla vergogna. Ferri (2000: p. 140, nota140), pero, riporta nel suo commento un giudizio negativo di Th.B. Amelung, che considera l’affermazionecome una manifestazione di «scienza da ciceroni». Tuttavia, Callistrato (un giureconsulto del III sec. AD)afferma che l’aggiunta di ferro al bronzo per ottenere il rossore dell’incarnato era gia stata sperimentataanche da Prassitele, il grande scultore ateniese secondo di questo nome, attivo tra il 370 e il 330 a.C. (Ferri,2000: p. 93, nota 50) e che ebbe il suo periodo culminante tra il 364 e il 361 a.C. (cfr. Corso et al., 1988:p. 259, nota 3). Il procedimento era senz’altro intenzionale: il trattamento di fusione tramite il qualeveniva estratto il rame dai suoi minerali, infatti, non lascia residuo di ferro nel metallo, ma lo concentratutto nella scoria. A dimostrazione di cio basti un esempio complementare: le scorie etrusche dell’impiantometallurgico annesso alla miniera di rame della Fucinaja presso Campiglia Marittima (LI) contengono inmedia 35% di FeO, mentre in loro resta solo un 2% di Cu2O (Simonin, 1858: p. 577).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 147

mento, riferitoci da Diogene Laerzio (Vitae philosophorum, 5.52, in Sollenberger, 1985:p. 40), egli diede, tra l’altro, disposizioni sulla sistemazione di varie statue da lui com-missionate, tra cui una a grandezza naturale che aveva ordinato (e gia pagato) a unPrassitele (25), ma che non era stata ancora completata. Sicuramente questo passo ciillumina sul fatto che ad Atene nel V secolo a.C. oltre a Silanione (26), lo scultore cheaveva mescolato argento al bronzo per rendere il pallore del volto di Giocasta morente(Plutarco, Quaestiones conviviales, V.1.2, in Mariano e Tirelli, 1992: p. 68), c’eranoaltri che sperimentano nuove leghe e nuove tecniche metallurgiche per ottenere effettispeciali. Di qui, avanzo un’ulteriore deduzione (che riconosco essere del tutto arbitra-ria): i procedimenti metallurgici descritti nel De metallis erano forse talmente nuovi edimportanti da aver indotto qualcuno a occultare il libro per evitare la divulgazione disegreti, contribuendo cosı alla sua scomparsa.

Una spiegazione alternativa per «bianco», ma riferendolo – assieme a «rosso» – albronzo, e stata avanzata da Caley e Richards (1956: p. 166): sarebbe una lega dirame con arsenico (il tombacco, cfr. Dies, 1967), che e di colore chiarissimo anche pertenori di arsenico piuttosto bassi. Questa spiegazione e quasi un’illazione, ma trova uncerto appoggio in una frase del De lapidibus (VIII.49, in Mottana e Napolitano, 1997:p. 165) in cui Teofrasto parla di un bronzo che sarebbe stato ottenuto mescolando alrame una «terra» particolare, sempre che per questa «terra» non s’intenda la cadmea (27),che in lega col rame produce l’ottone, il cui colore, pero, e tendenzialmente giallovivace. Inoltre, questa interpretazione alternativa trova un sostegno nel De mirabilibusauscultationibus («Racconti meravigliosi »; Giannini, 1965 (28)) dello pseudo-Aristotele, ilcui cap. 62 descrive l’aspetto bianchissimo e lucentissimo del bronzo prodotto da unapopolazione del Ponto, i Mossineci (29), che l’ottenevano aggiungendo al rame non lo

(25) Non si tratta del sopraccitato grande scultore ateniese autore dell’Afrodite Cnidia (Prassitele II),dato che egli morı nel 326 a.C., ma di un altro membro della stessa famiglia: probabilmente dell’omonimonipote (quindi il III), attivo dopo il 300 a.C.

(26) Scultore ateniese autodidatta, fiorito tra il 360 e il 320 a.C., in particolare nella 113a olimpiade(Nat. Hist., XXXIV.51, in Corso et al., 1988: pp. 166-167), tanto scrupoloso da rompere le sue statuegia finite se non era soddisfatto del risultato raggiunto e percio soprannominato «il Pazzo» (Nat. Hist.,XXXIV.81-82, in Corso et al., 1988: pp. 204-207).

(27) Questo vocabolo e interpretato, in genere, con «calamina» (cfr. Nat. Hist., XXXIV.2, in Corso etal., 1988: p. 113). Si tratta di un termine minerario ancora in uso per descrivere un insieme di prodotti dialterazione di solfuri misti di metalli vari tra cui anche zinco, oppure di un termine mineralogico antiquatocon cui era indicata l’emimorfite, Zn4[(OH)2 | Si2O7] · H2O, un silicato che perde meta della sua acquaa 550 ◦C, ma che non si decompone liberando zinco neppure a 1200 ◦C. Piu probabilmente, quindi, lacadmea degli antichi era smithsonite, Zn[CO3], oppure idrozincite, Zn5[(OH)3 | CO3]2, due carbonatifrequentemente associati tra loro che sono facilmente decomponibili liberando zinco se sono riscaldati giaa 400 ◦C (Ramin, 1977a: p. 183).

(28) Oltre a questa edizione critica con traduzione latina e commento, esiste ora un’edizione con lostesso testo greco accompagnato da traduzione in italiano e commento (Vanotti, 1997). Non sempre latraduzione mi ha convinto, non perche non scorra, ma perche mi lascia dubbioso sulla scelta di certi terminitecnici. Tuttavia me ne sono avvalso (v. infra ), anche perche nel commento allegato sono rispecchiate leopinioni del Flashar (1972).

(29) Questa popolazione in epoca storica (cfr. Strabone, Geographica, XI, XIV.5; XII, III.18, in Nicolaie Traina, 2000: pp. 180-181, 244-245) abitava l’entroterra anatolico tra Trebisonda (odierna Trabzon) eFarnacia (odierna Giresun).

148 a. mottana

stagno, ma una certa loro «terra» (v. infra, 9.12). A questo testo rinvia anche Eichholz(1965: p. 122), nel discutere l’affermazione di Teofrasto nel De lapidibus, e lo fa perinvertirne la relazione di dipendenza proposta da Caley e Richards (1956): secondo luie lo pseudo-Aristotele che avrebbe tratto le sue affermazioni dal De metallis (30).

Due fatti, pero, rendono poco probabile l’interpretazione di Caley e Richards (1956):

a) nel processo di arrostimento preliminare dei solfuri di rame, che sono i mineralipiu comuni di questo metallo e quelli abitualmente estratti dalle miniere (per lo piucalcopirite, CuFeS2-I 4 2d , si devono raggiungere temperature piuttosto alte (ca. 400-450 ◦C) per eliminare lo zolfo: a una simile temperatura vaporizza anche tutto l’arsenicoeventualmente presente (a meno di 300 ◦C, con forte odore di aglio, cfr. Bargel eSchulze, 1994: p. 256), sia che esso sia vicariante dello zolfo nella calcopirite sia che siacontenuto in minerali accessori suoi propri eventualmente presenti in quantita accessoria(ad es. arsenopirite, FeAsS-P21=c , ma piu probabilmente, essendo le miniere dell’epocasuperficiali, un qualche arsenato); successivamente, il globulo metallico ottenuto deveessere scaldato a temperature ancora piu alte (ca. 800 ◦C) per separare il rame dalferro prima della riduzione su carbone, rendendo con cio irreversibile la perdita deglieventuali elementi volatili. Se, quindi, per bronzo «bianco» si deve intendere una legadel tipo del Corinthium aes varieta candidum descritto da Plinio (Nat. Hist., XXXIV.6-8,in Corso et al., 1988: pp. 117-119), contenente oro (1-4 %) e argento (ca. 1%) comelo «shakudo» giapponese (Giardino, 1998: pp. 94-96), ma anche arsenico (0.3-1,0%),bisogna allora ritenere che i Mossineci avevano sviluppato una tecnologia intenzionale eche non si trattava di una combinazione accidentale di rame e di «terra» opportuna;

b) sul versante settentrionale della penisola anatolica, dove si trova il Ponto, i mineralidi arsenico sono molto meno diffusi di quelli di antimonio, la cui lega col rame haanch’essa un colore chiarissimo, decisamente biancastro (Giardino, 1998: p. 182). Lastibnite, Sb2S3-Pbnm, e un minerale relativamente diffuso in zone vulcaniche (comeil Ponto) ed inoltre l’uso di leghe Cu-Sb con tenori di antimonio che arrivano al20% e archeologicamente documentato (cfr. Forbes, 1966: p. 137; Charles, 1967;Giardino, 1998: pp. 181-182), nonostante l’eccessiva fragilita che un tale bronzo dovevacertamente acquisire quando il suo tenore in antimonio eccedeva il 3-7% (Giardino,1998: p. 181).

In base a queste due considerazioni, ritengo improbabile tanto l’interpretazione diCaley e Richards (1956) quanto quella di Eichholz (1965) e rimando a piu oltre lapossibile spiegazione del bronzo bianchissimo e splendente prodotto dai Mossineci. Inquesto brano, attribuisco percio l’appellativo «bianco» al ferro, considerando che si in-tenda come tale un ferro lustro, ripulito cioe dell’eventuale ruggine che un normalemateriale di scarto potrebbe presentare in superficie dopo il recupero.

Un secondo problema linguistico contenuto nella breve, ma ostica chiusa e rappre-sentato dall’aggettivo «coılon » riferito al bronzo: e tradotto come «cavo» sia da Wimmer

(30) E con lui concorda la grande maggioranza degli antichisti (v. infra ).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 149

(1866: p. 376, cavum ) sia da Fortenbaugh et al. (1992: I, p. 371, hollow ), ma po-trebbe anche indicare che il bronzo era gettato in forma di lastra piu o meno incurvata.Infatti, concavo oppure ricurvo verso l’interno ne e il senso quando l’aggettivo e usatoper sbarre e lamine metalliche (Montanari, 1995: p. 1104), soprattutto se si tratta dimetalli nobili (Liddell et al., 1990: p. 967). In alternativa, e sempre con riferimentoai metalli nobili, poteva trattarsi di bronzo lavorato in modo artistico (31). Dal puntodi vista della Metallurgia, intesa come tecnica di lavorazione dei metalli, o a caldo oa freddo, per conferire loro una certa forma o qualita, cio non fa gran differenza: siaper la statuaria (cava perche gettata su un’anima di argilla), sia per le lastre (concaveper poterne ricavare recipienti e vasi tramite lavorazione a martello), sia per l’oggettisticaminuta, sbalzata o no che fosse, si usava bronzo dello stesso tipo (Healy, 1993: p. 241).Che poi gli Ateniesi dell’epoca l’ottenessero da altri bronzi di recupero e che per renderloutilizzabile l’arricchissero con una certa quantita di ferro e, in relazione a cio, dovesseroulteriormente correggere la mescola con altro stagno, tutto cio e la descrizione di unprocedimento che interessa non la Mineralogia, ma la Metallurgia, appunto.

Infine, vi e un terzo problema che affronto per ultimo perche e di tipo filologicoe quindi non mi compete, ma che non posso trascurare perche influenza non di pocola comprensione del brano sotto l’aspetto scientifico: le due parole lette in modo dif-ferente dagli editori. Per la prima (un neutro plurale, che indica trattarsi di cose, dioggetti) la differenza e irrilevante: «tutte» (Fortenbaugh et al., 1992: I, p. 371, all ),contro «queste» (Wimmer, 1866: p. 376, haec ) e una semplice precisazione in sensoestensivo. La seconda, invece, ha come conseguenza un’enorme differenza di significato,perche comporta una diversa valutazione delle proprieta fisiche del prodotto metallurgicofinale (32).

Nel testo di Wimmer (p. 376), il motivo per cui al bagno fuso e aggiunto ferroe indicato nel fatto che se ne ottiene un miglioramento della «pikrotes » (amaritudinis[causa ]). Il vocabolo astratto, che deriva dall’aggettivo «pikros », contiene in se il signi-ficato di amaro, pungente, acre, se riferito a cose, e solo in senso traslato, riferito apersone, puo assumere quello di duro o aspro (Rocci, 1987: p. 1499; Montanari, 1995:

(31) Probabilmente da intendersi nel senso di lavorazione a sbalzo o «repousse »: questo spiegherebbe il«cesellato» proposto come traduzione dal Rocci (1987: p. 1061).

(32) Qui sono obbligato a ricordare, anzi ad evidenziare, che non sono un grecista, ma un mineralistae uno storico delle Scienze mineralogiche. Le mie deduzioni dipendono in gran parte da cio che i filologihanno accertato del linguaggio dell’autore che cito e, in particolare per questa fase precoce della Scienzagreca, anche del grado di precisione allora raggiunto dalla terminologia tecnica relativa alla materia in esame.Quando trovo incoerenze rispetto alla terminologia tecnica attuale, il mio dovere e di porle all’attenzionedegli specialisti, nell’augurio che vogliano dirimere la questione. Cio che io posso fare, umilmente, e soloavanzare soluzioni ipotetiche alternative. Mai come in questi momenti mi sento confermato nell’opinioneche ho gia avanzato (cfr. Mottana e Napolitano, 1997: p. 154, nota 1) che solo dall’interazione costantee dalla stretta collaborazione tra specialisti di diverse discipline si puo ottenere uno scatto di qualita nellostudio della Scienza antica. Finche filologi, filosofi e storici della Scienza (umanisti in genere) insisterannoa lavorare ciascuno per se senza curarsi degli scienziati, e viceversa gli scienziati non si cureranno di rendersiconto delle motivazioni filologiche delle traduzioni su cui ragionano, i risultati continueranno ad esseredubbi. Sono quindi estremamente grato a chi mi ha coadiuvato nella lettura e traduzione dei testi originalidi Teofrasto e mi ha guidato attraverso gli intricati cammini della loro ricostruzione filologica.

150 a. mottana

p. 1584; Liddell et al., 1990: p. 1404). Nessuno dei vocabolari mette in relazione«pikros » o «pikrotes » con i metalli e, non di meno, questo senso e plausibile, non soloperche il brano chiude un trattato che e dedicato agli odori, ma anche perche trovariscontro, in un contesto analogo, nell’odore particolare, pungente o acre, che permettedi distinguere l’oro dall’ottone (cfr. De mirabilibus auscultationibus, 49: v. infra, 9.8).

Fortenbaugh et al. (1992: I, p. 370) preferiscono, invece, la lezione «pyknotes » etraducono: «[for the sake of] the density [of the bronze]» (p. 371). L’aggettivo «pyknos »,da cui e tratto il vocabolo astratto, ha in se il senso di denso, serrato o compatto, seriferito a oggetti, oppure di folto o fitto, se riferito a persone ed animali, ma per leprime puo acquistare anche il senso traslato di frequente e perfino di assennato (e.g.,Montanari, 1995: pp. 1765-1766; Liddell et al., 1990: pp. 1552-1553; Rocci, 1987:pp. 1625-1626).

Con la loro scelta, e con la conseguente traduzione, Fortenbaugh et al. (1992) optano– probabilmente a ragione – per cambiare il risultato finale del processo metallurgico:da quello di indurre nel bronzo un carattere sensoriale sgradevole (un risultato negativo)a quello di conferirgli una precisa proprieta tensile (un risultato positivo), anche se nonmolto significativa: un’aggiunta di 10% di ferro farebbe infatti scendere la densita delbronzo da 8;42 g · cm−3 (per un miscuglio di fase α e fase β in rapporto 70:30) a8;36 g · cm−3 solamente, ma cio bastava per migliorarne la colata. Inoltre, il bronzocosı ottenuto si caratterizzava per il suo colore rossiccio e, quando fosse stato usatonella toreutica, cio poteva essere utile a conferire alla statua un’apparenza che davaall’osservatore un’emozione particolarissima (cfr. nota 24).

In ogni caso, dunque, la controversa chiusa al De odoribus, sia essa tratta dal Demetallis o no, contribuisce ben poco alla nostra comprensione del pensiero scientifico diTeofrasto sui metalli: e, infatti, una notizia interessante di ardua interpretazione, ma dipoco conto. Si tratta di uno dei tanti esempi tratti da situazioni familiari o da oggetticomuni che egli era solito introdurre quando voleva chiarire un punto didatticamentedifficile (Kidd, 1992: p. 300). Tuttavia, il brano ha un indubbio valore documentario,sia per il suo contenuto intrinseco sia perche conferma quell’interesse di Teofrasto perla tecnologia (in questo caso metallurgica) che gia lo Schnayder (1962: p. 259) avevarilevato in altre sue opere; in particolare, ne conferma il gusto per quelle descrizioni deitrattamenti chimici e fisici apportati a pietre e grezzi metalliferi a scopo migliorativo chesi ritrovano sparse nel De lapidibus (ad esempio VIII.56-57, in Mottana e Napolitano,1997: p. 166).

2. Il frammento bernese. Nell’appendice II del suo studio comparativo dei nove opu-scoli scientifici minori di Teofrasto, Walter Burnikel (1974: pp. 156-169) ha propostodi riferire al De metallis un altro passo (33), anch’esso slegato da qualsiasi contesto, chee riportato in fondo al Codex Bernensis (34) Graecus 402 (al fol. 138r vv. 1-6) che ha

(33) Alcuni antichisti sono discordi su tale attribuzione anche sotto il punto di vista della correttezzalinguistica (cfr. P.M. Huby, in Sharples, 1988: p. 60, nota 89).

(34) Eigler e Wohrle (1993: p. 10) citano questo stesso codice col nome di Bongarsianus Graecus 402

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 151

per titolo «opuscula quaedam theophrasti » (Burnikel, 1974: p. XX). Esso recita (Burnikel,1974: p. 156; app. 3 in Fortenbaugh et al., 1992: I, pp. 462-463):

stomwma de ginetai kai “otan ‘o pepurwmenoV sidhroV e’iV to yucro-taton bapthtai “udwr. ‘h gar tou “udatoV yucrothV, ’aqrowV prospe-sousa ’ektoV kai ’iscuousa, ’wqe i to qermon ’entoV kai proV tokentron, œÉ per to ‘ugron ’akolouqe i. ’eke i de to qermon, kaidia thn tou yucrou ’antiperistasin ’iscusan pleon, to ple istontou ‘ugrou sunexatmizei kai ’analiskei. dio xhroteroV ginomenoV ‘osidhroV mallon sklhrunetai, kai dunatai ‘radiwV kai ton ”allonsidhron teme in. paraskeuazontai de kai tecnÑ tini “udata toiauta—a kai qaumastwV stomoun ton sidhron dunatai.

E ferro acciaioso si produce anche quando il ferro arroventato e immerso in acqua moltofredda. Infatti, la freddezza dell’acqua, piombando addosso tutt’insieme dall’esterno eavendo gran forza, spinge il caldo dentro e verso il centro, la dove l’umidita lo segue. E lı ilcaldo, che e ancora di piu a causa della rafforzata concentrazione dell’umidita, fa evaporaretutt’insieme e consuma la maggior parte dell’umidita. Per la qual cosa, il ferro diventatopiu asciutto si indurisce ancora di piu e facilmente ha la forza di tagliare anche l’altroferro. E preparano con una qualche tecnica anche acque particolari che hanno un poteredi temprare il ferro anche in modo straordinario.

Secondo l’attentissima analisi del Burnikel (1974: pp. 167-169), questo passo, benchesia anonimo nel manoscritto bernese, sarebbe tipico di Teofrasto per linguaggio e stile;inoltre, il processo di indurimento del ferro tramite tempra in acqua che vi e descrittorichiamerebbe molto da vicino la formulazione teorica dell’azione del freddo sulle so-stanze che Aristotele aveva sviluppata nei Meteorologica, anche se in questo libro eglil’aveva applicata principalmente ai casi dell’acqua e del ghiaccio (I, 348b 16-19; IV,382a 8-14, cfr. Pepe, 1982: pp. 65, 153) e solo marginalmente vi faceva riferimentonella sua descrizione del modo di preparare il ferro acciaioso (35) (IV, 383a 28-383b4, cfr. Pepe, 1982: pp. 156-157). Nel frammento bernese, in ogni caso, la teoria ari-stotelica e utilizzata in modo tale da rendere indubbio che il brano vada consideratosicuramente come opera di un seguace del Peripato (Burnikel, 1974: p. 169) e quindi,in ultima istanza, di Teofrasto, che fu a capo del Liceo per un quarantennio dopol’allontanamento di Aristotele da Atene nel 323 a.C. Tuttavia il codice bernese, oltreche lacunoso, e anche miscellaneo (Burnikel, 1974: p. 156), per cui le notizie in essoraccolte potrebbero derivare anche da una fonte peripatetica diversa da Teofrasto: adesempio da Stratone da Lampsaco, che del Liceo fu lo scolarca dalla morte di questofino al 270 ca. e che, secondo Diogene Laerzio (Vitae philosophorum, 5.58-64, in Gi-gante, 1993), scrisse anche lui un De [rebus] metallicis (36). E ben noto (Wehrli, 1969)

della Burgerbibliothek di Berna, e lo datano tra 1480 e 1500.(35) Ho usato questo binomio per tradurre «stomoma », ben conscio che si tratta di una locuzione

antiquata, ma incapace di trovarne un’altra che si presti ad indicare il ferro indurito in superficie daltrattamento metallurgico. Come noto, oltre che con la tempra, questo stesso risultato, anzi uno migliore,si ottiene con la cementazione del ferro tramite carbonio, che e il solo che porta alla formazione della legachiamata – a pieno titolo – acciaio.

(36) Secondo Forbes (1966: p. 144) solo tre autori antichi avrebbero scritto qualcosa di piu di semplici

152 a. mottana

che molti dei concetti di Fisica che nei Meteorologica di Aristotele sono contenuti solocome spunti furono poi sviluppati proprio da Stratone.

A questo proposito, bisogna accennare anche al fatto che a Stratone alcuni studiosiaddirittura attribuiscono la paternita del IV libro dei Meteorologica, sottraendola ad Ari-stotele che sarebbe invece l’autore dei primi tre (Hammer-Jensen, 1915; cfr. Wehrli,1969: pp. 53-55). Altri, invece, che pure concordano nel non ritenere opera di Ari-stotele tale libro, pensano che ne sia autore Teofrasto, oppure che egli ne sia statol’estensore sulla base di idee di Aristotele contenute in un altro libro di questi andatoperduto (Zurcher, 1952: p. 189; Gottschalk, 1961: p. 76). Tuttavia, un piu recenteconfronto lessicale e terminologico ha portato alla conclusione che tutti i quattro libridei Meteorologica nel loro insieme formino un trattato unico e «autenticamente aristo-telico» (Baffioni, 1981: p. 255): le affinita che esso presenta con le opere di Teofrastoe di Stratone sarebbero l’ovvia conseguenza dalla comune matrice culturale (Baffioni,1981: p. 372).

Il brano del codice bernese descrive uno solo dei procedimenti usati dai Greci perincrudire il ferro in modo da renderlo duro ed in particolare piu duro del bronzo: latempra. Omette l’altro metodo, piu comune e piu efficace: la forgiatura, che consiste inuna martellatura sull’incudine alternata con un arroventamento a contatto col carbonedella fucina (Forbes, 1993a: p. 59; Healy, 1993: p. 264). Cio, probabilmente, nonperche questa fosse ignota all’autore, ma perche l’aveva trattata prima (oppure l’avrebbetrattata in seguito), giacche i due procedimenti quasi sempre erano effettuati insiemeed in alternanza. L’indurimento superficiale di un qualsiasi attrezzo di ferro (come unalama) sottoposto a tempra non e dovuto al raffreddamento rapido per se stesso, ma alfatto che il raffreddamento rapido conserva metastabilmente la microstruttura raggiuntain superficie per effetto della diffusione in esso del carbonio, con cui il ferro e venuto acontatto nella forgia, e della successiva sua distribuzione su tutta la superficie dell’attrezzoper effetto della martellatura, che ha l’ulteriore vantaggio di ridurre i vuoti dovuti allaporosita che il metallo acquista durante la fusione, che allora nel caso del ferro era incom-pleta (Schneider, 1992: pp. 80-87). L’interno dell’attrezzo rimaneva allo stato iniziale,piu espanso, piu vacuolare e quindi piu tenero. In realta, affinche un ferro tempratopossa tagliare un ferro dolce (durezza Brinell 60-80 HB), non occorre che abbia rag-giunto la durezza dell’acciaio p.d., a base di martensite (con 1,5% di carbonio e con unadurezza pari a ca. 600 HB), ma deve, in ogni modo, acquistarne una maggiore di 200

accenni sull’estrazione mineraria in Grecia: Teofrasto, Stratone e Filone da Bisanzio. Del primo ci epervenuto il solo De lapidibus, degli altri due niente altro se non i titoli dei loro libri e qualche sparsareliquia (Halleux, 1974: pp. 122-128). In pratica, dopo quattro secoli di ricerca filologica sui manoscritti,Forbes non ha potuto far altro che confermare quanto gia aveva riscontrato Agricola (v. nota 12). Devofare qui rilevare che Rostovtsev (1980: III, p. 305) da una diversa versione delle ricerche di questi dueautori: Stratone avrebbe scritto un’opera sulle macchine di miniera (De machinamentis metallicis ) e Filone– che egli identifica, anche se dubitativamente (?), con un discepolo di Aristotele e non con l’autore delleBelopoika menzionato da Ateneo (Deipnosophistae, VII.322A, in Friedrich e Nothers, 1999) – un non meglioconosciuto Metallicum. Non ho approfondito questi spunti, soprattutto perche esulano dal mio programmaattuale (cfr. Repellini, 1993: pp. 334-343).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 153

HB almeno, per risultare preferibile nell’uso ad un buon bronzo (85% Cu + 15% Sn),la cui durezza Brinell e 120-150 HB (Weisner et al., 1982). Queste sono le proprietache un ferro acciaioso acquista quando arriva a contenere ca. 0.15% di carbonio.

Nel brano del codice bernese l’autore preferisce evidenziare come un fabbro espertopossa rendere il ferro particolarmente duro anche solamente tramite l’immersione inacque speciali: un’opinione, questa, del tutto infondata, ma tipica degli antichi, chericomparira anche in Plinio (Nat. Hist., XXXIV.144, in Corso et al., 1988: pp. 260-261). Quali fossero queste acque, l’autore non lo dice: probabilmente non lo sapeva,trattandosi di un segreto ben custodito da caste di «artefici», alcuni delle quali quasileggendarie come i Telchini e i Calibi o Cabiri (Strabone, Geographica, XII, III.19-23,in Nicolai e Traina, 2000: pp. 246-255; Apollonio Rodio, Argonautica, II.1001-1008,in Paduano e Fusillo, 1986: pp. 350-351; cfr. Detienne e Vernant, 1999: pp. 104-105,206-207). A posteriori, pero, noi possiamo farcene un’idea dalle ricette riportate daipapiri di Leida e di Stoccolma (Halleux, 1981), che riflettono lo stato delle conoscenzemetallurgiche di un’epoca piu tarda (III-IV sec. AD), ma che sono ancora pienamenteinserite nella tradizione tecnologica ellenistica: si trattava di acque cui erano aggiuntiastringenti come allume, aceto e perfino orina.

L’autore, inoltre, omette di accennare alla terza operazione che un fabbro espertodeve eseguire: il rinvenimento finale del metallo, di nuovo a caldo nella forgia, senzaun controllo attento del quale la lama, anche se superficialmente durissima, potrebberisultare inadatta allo scopo perche troppo fragile, e per il fatto di non essere non suf-ficientemente flessibile. L’autore non accenna neppure, in questo brano, ad un altroconvincimento degli antichi: che l’oggetto di ferro risultasse di qualita diversa a se-conda della provenienza del ferro con cui era prodotto. Questo fatto era ben noto aTeofrasto (v. infra, 9.7.1), anche se non poteva sapere che deriva dalla diversita deglielementi minori presenti nella lega metallica, per cui certi ferri al manganese (comequello proveniente dal Norico, cfr. Plinio, Nat. Hist., XXXIV.145, in Corso et al.,1988: pp. 262-263) si prestavano a certi usi ed altri, come il candido ferro «serico»(ibidem, pp. 261-262), ritenuto cinese, ma di provenienza indiana (Curzio Rufo, Derebus gestis Alexandri Magni, IX.8.1, in Giacone, 1989: pp. 620-621), erano piu adattiad altre applicazioni.

Se esaminiamo il frammento bernese piu da vicino sotto l’aspetto del contenuto,non puo sfuggire all’attenzione il fatto che esso ricalca, applicandola alla tempra delferro, la dottrina della contrapposizione tra caldo e freddo, come causa primaria per latrasformazione della materia, che fu tipica di Stratone. Anche se questa dottrina none qui sviluppata sotto l’aspetto di una maggiore o minore compattazione dei pori (odel vuoto ad essi associato), cosı come Stratone era solito fare, riprendendo Democritodi Abdera, secondo un’attestazione di Erone di Alessandria (fr. 56 Wehrli, in Baffioni,1981: pp. 259-260; cfr. Furley, 1985: p. 606), lo e sotto quello della migrazionedella materia sottoposta all’impeto sopravveniente di uno dei due fattori, cioe secondoun suo modo di fare alternativo di cui abbiamo una testimonianza, molto piu tardaed indiretta, da parte di Seneca (Naturales quaestiones, VI.13,2-4, in Vottero, 1989:pp. 610-613).

154 a. mottana

Non abbiamo, invece, alcuna testimonianza antica che possa comprovare la deriva-zione del frammento bernese dalle dottrine insegnate da Teofrasto, se non un indirettorichiamo di Seneca (Naturales quaestiones, II.17, in Vottero, 1989: pp. 312-313) e inol-tre un possibile accenno, per altro molto vago, da parte di Plutarco (Aetia physica, 13915B, in Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 173, pp. 336-337) che l’avrebbe tratto dal Deigne («Sul fuoco »):

: : : come Teofrasto pensa, il caldo si ritrae di fronte al freddo e si comprime : : :

L’esame del De igne, che si e conservato per intero nella tradizione manoscritta(Wimmer, 1866: pp. 350-364; Coutant, 1971), per quanto contenga chiare affermazionisul vigoroso ruolo costrittore del freddo rispetto al caldo e contenga vari riferimenti aimetalli (v. infra ), non sembra confermare in pieno l’affermazione di Plutarco. Perconseguenza, l’anonimo frammento del codice bernese perde valore ai nostri fini deltentativo di valutare il pensiero di Teofrasto sull’argomento, oltre che per una suaassegnazione al De metallis. Al pari del frammento precedente, senza dubbio rientraanch’esso nell’ambito delle dottrine peripatetiche (37), intuite inizialmente da Aristotele,da lui suggerite ai suoi discepoli come temi da elaborare con ricerche specifiche e infinesviluppate in vari tempi da loro (Regenbogen, 1940: coll. 1417-1418; Solmsen, 1960:p. 402), ma non ne puo essere definita con sicurezza la collocazione temporale.

Giustamente, quindi, gli ultimi editori delle testimonianze di Teofrasto collocano ilframmento bernese solo in un’appendice, assieme a pochi altri brani che essi consideranodubbi, ma che sono stati attribuiti «con un qualche grado di plausibilita» a Teofrasto eche, quindi, possono rappresentare «material of especial importance to anyone interestedin reconstructing the thought of Theophrastus» (Fortenbaugh et al., 1992: I, p. 6).

I riferimenti ai metalli negli altri trattati

Un certo numero di riferimenti ai metalli (ma non al De metallis ) si trova neinon numerosi trattati di Teofrasto che ci sono pervenuti per trasmissione diretta. Laloro data di composizione e spesso incerta e, forse, e realmente variabile, nel sensoche essi furono rielaborati ed aggiornati durante tutto il quarantennio durante il qualeTeofrasto fu lo scolarca del Liceo (dal 323 al 287 a.C.). Solo alcuni di loro, infatti,fanno parte della categoria dei testi sicuramente «essoterici», secondo la suddivisione deitrattati di Aristotele proposta da Aulo Gellio (Noctes atticae, XX.5,2, in Rusca, 1992: II,p. 1317), cioe furono scritti con l’intenzione di essere pubblicati al di fuori del Liceo e,pertanto, vennero rifiniti nella struttura e nel linguaggio direttamente dall’autore. Glialtri sono testi «acroamatici» (Noctes atticae, XX.5,3) (38): erano, cioe, dispense oppure

(37) L’interpretazione epicurea del fenomeno e invece descritta da un mirabile verso di Lucrezio (Dererum natura, VI.967): «Umor aquae porro ferrum condurat ab igni » («l’umidita dell’acqua invece indurisceil ferro [estratto] dal fuoco»). Queste poche parole di un poeta ispirato servono a rendere comprensibile lateoria degli opposti elementi (fuoco-caldo; acqua-umido) meglio di qualsiasi trattazione scientifica.

(38) Alcuni studiosi preferiscono definirli «esoterici». Io preferisco evitare questo termine per evitare

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 155

brogliacci per le lezioni mattutine, poco ordinati fin dall’inizio perche concepiti soloper uso interno, e ci sono pervenuti scomposti e frammentari per essere sempre statitali, non solo a causa delle complesse traversie subite nella fase della loro conservazione,prima della loro riscoperta e dell’edizione definitiva (v. infra ). Tutti questi trattatisono stati collazionati ed editi in un modo cosı autorevole dal Wimmer (1866) daindurre Fortenbaugh et al. (1992: I, p. 5) a desistere, almeno per il momento, dauna riedizione secondo principi moderni, che pure risulterebbe molto utile, visto che icontinui progressi compiuti dalla Filologia e dall’Antichistica hanno evidenziato sempredi piu le manchevolezze dell’edizione del Wimmer (39).

3. L’unico accenno a metalli, nelle tre opere di Teofrasto che si considerano essercipervenute quasi complete, si trova nel De causis plantarum («Sulle cause delle piante »),scritta di sicuro dopo il 314/3 e prima del 310 a.C. (Amigues, 1988: pp. XVIII-XX). Dopo aver discusso in termini teorici delle possibili cause che inducono saporeed odore, Teofrasto passa ad esempi pratici ed afferma (III.30-37, in Wimmer, 1866:p. 292; cfr. Amigues, 1989; Hort, 1916):

: : : Gh de kai liqoV ”acuma plhn ’ean tina toiauthn labÑ mixin. : : :Ta de dh metalleu omena kai liqwn ”enia genh kai ’osmaV ”eceiproV to iV cumoiV. “Apanta d’ oÿun tauta mixei tini kai ’alloiwsei”egcuma fainetai kai ’osmwdh.

: : : Terra e pietra sono prive di sapore, a meno che non si trovino per caso mescolate conqualcosa d’altro. : : : ma le cose che vengono estratte dalle miniere e certi generi di pietrehanno non solo sapore, ma anche odore. Tutte queste cose, dunque, per effetto di unaqualche mescolanza e mutazione sembrano diventare saporose e profumate.

L’espressione usata da Teofrasto (metalleuomena ) piu che ai metalli qui si riferiscealle miniere, ma nel senso appunto di luoghi in cui vengono estratti, nel sottosuolo,i minerali metalliferi (cfr. De lapidibus, I.1). Essa serve non solo a confermare, conun riscontro incrociato, la paternita teofrastea dei due trattati, ma evidenzia anche chel’attenzione dell’autore non va solo agli oggetti dell’estrazione, ma anche ai luoghi doveessa avveniva. Quanto poi all’affermazione stessa, sarebbe eccessivo volerne dedurre cheTeofrasto aveva percezione del ruolo giocato da certi elementi chimici (in particolaredai metalli di transizione) nell’imprimere particolari caratteri fisici estrinseci ai minerali:nel caso specifico al loro odore e sapore, proprieta di cui poco ancora si sa, almeno perquanto concerne i composti inorganici. Tuttavia, e certo che l’argomento lo interessava,ed infatti egli lo riprese nello stesso trattato al volume VI, dove discute delle differenzeche esistono tra gli odori e sapori naturali e i loro corrispondenti artificiali. Questo hafatto ipotizzare al Regenbogen (1940: col. 1452) e a Einarson e Link (1976: p. XIII)

confusioni con quell’esoterico che e diventato abbastanza frequente anche nel linguaggio comune con unsignificato del tutto diverso.

(39) Per vero dire, c’e chi dissente dagli autori americani: infatti, la Historia plantarum e apparsa inedizione critica con traduzione in francese ad opera della Amigues (1988, 1989) e il De odoribus in edizionecritica con traduzione in tedesco da parte di Eigler e Wohrle (1993). Questi ultimi spiegano anche come edove Wimmer (1866) risulti inadeguato (v. supra ).

156 a. mottana

che i volumi VII e VIII dello stesso trattato, che Diogene Laerzio testimonia (Vitaephilosophorum, 5.46, in Sollenberger, 1985: p. 28), ma che sono andati perduti nellatrasmissione manoscritta, siano da identificare con il De odoribus, che ci e sı pervenuto,ma in una forma contorta e frammentaria (40). Ultimamente, cio e stato confermatoproprio da Eigler e Wohrle (1993), i quali senza mezzi termini affermano (p. 11) che ilDe odoribus da loro edito e il volume VIII e ultimo del De causis plantarum (cfr. Sharples,1985: p. 184; Sollenberger, 1988: p. 18). Inoltre, stando ad una testimonianza diAlessandro di Afrodisia (In Aristotelis De sensu 4 441b 3-7, in Fortenbaugh et al.,1992: I, n. 212, pp. 380-381), Teofrasto avrebbe ripreso l’argomento ancora una voltain un altro trattato: il De aquis («Sulle acque »), in tre libri (Diogene Laerzio, Vitaephilosophorum, 5.45, in Sollenberger, 1985: pp. 22-23), anch’esso perduto; in questotrattato egli discuteva quali siano i sapori che acquistano le acque di pozzi filtrantiattraverso diversi tipi di terreno.

Che a Teofrasto l’odore differenziale dei diversi metalli interessasse e, per altro,indirettamente confermato da un riferimento al cattivo odore sviluppato dall’ottonebagnato che e contenuto nel De mirabilibus auscultationibus (49, cfr. infra, 9.8). Inquesto caso, la sua interpretazione che l’odore si sviluppi solo quando si e in presenzadi una mescolanza di materiali diversi ne sarebbe confermata, almeno sotto l’aspettofenomenologico, perche nella realta la causa effettiva (una reazione elettrochimica) glisfuggiva completamente e sarebbe stata ancora incompresa per i venti secoli a venire.

4. Piu frequenti sono i riferimenti ai metalli negli opuscoli e nei testi consideratilacunosi o frammentari. Trascurando per il momento gli sparsi, ma ripetuti accennicontenuti nel De lapidibus (v. infra ), gia nel De sensu et sensibilibus (41) («Sui sensi esulle sensazioni») Teofrasto, esponendo la teoria atomistica di Democrito ed in partico-lare, analizzando le spiegazioni che egli proponeva circa la densita e la durezza, riporta(XIII.62, in Wimmer, 1866: pp. 333-334):

4.1. — Diaferein d’ ”eti thn qesin kai thn ’enapoleiyin twnkenwn tou sklhrou kai malakou kai bareoV kai koufou. Diosklhroteron men eÿinai sidhron, baruteron de molubdon ˙ ton mengar sidhron ’anwmalwV sugke isqai kai to kenon ”ecein pollachkai kata megala pepukn wsqai kai kata ”enia, ‘aplwV de pleon”ecein kenon. Ton de molubdon ”elatton ”econta kenon ‘omalwVsugke isqai kata pan ‘omoiwV, dio baruteron men malakwterond’ eÿinai tou sidhrou.

4.1. — Una qualche differenza tra il duro e il molle, il pesante e il leggero concerne laposizione e la distribuzione dei vuoti. Pertanto, il ferro e piu duro, mentre il piombo epiu pesante. Il ferro e costituito in modo anomalo e contiene il vuoto in molte sue parti

(40) Nell’opinione di altri, il VII libro potrebbe essere quello indicato da Diogene Laerzio col nome«Sul vino e sull’olio di oliva», mentre il «Sugli odori» sarebbe il libro VIII (cfr. Fortenbaugh et al., 1992: II,p. 193).

(41) Questo e il titolo datogli dal Wimmer (1866). Baltussen (1992: p. 1), ed altri dopo di lui,preferiscono usare il plurale De sensibus, per distinguere questo libro da uno di Aristotele intitolato De sensusolamente.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 157

e in quantita non trascurabile, mentre in certe parti e piu compatto, ma, comunque, haassolutamente piu vuoto rispetto al piombo, che ne contiene meno, essendo costituito piuregolarmente e ugualmente in tutte le parti, cosı da essere piu pesante e piu molle del ferro(trad. di M. Andolfo, in Andolfo, 1999 : p. 221 ).

Riguardano i metalli anche due passi successivi dello stesso trattato in cui Teofrastoespone la teoria di Democrito sul colore. Il filosofo presocratico ammetteva l’esistenzadi quattro colori semplici (bianco, nero, rosso e verde) che possono essere tra loromescolati e, in particolare, legava il colore dei materiali ad altre proprieta fisiche tantodi massa come il calore, quanto di superficie come la levigatezza e la lucentezza (XIII.75,in Wimmer, 1866: pp. 336-337):

4.2. — ’Eruqron d’ ’ex o“iwnper to qermon, plhn ’ek meizonwn.’Ean gar a‘i sugkriseiV ÿwsi meizouV ‘omoiwn twn schmaton mallon’eruqron eÿinai. Shme ion d’ “oti ’ek toioutwn to ’eruqron˙ ‘hmaV te garqermainomenouV ’eruqrainesqai kai ta ”alla ta puroumena mecriV–an oœu ”ech to tou puroeidouV. ’Eruqrotera de ta ’ek megalwn ”ontaschmatwn oœion thn floga kai ton ”anqraka twn clwrwn xulwn–h twn a”uwn. Kai ton sidhron de kai ta ”alla ta puroumena˙lamprotata men gar eÿinai ta ple iston ”econta kai leptotatonpur, ’eruqrotera de ta pacuteron kai ”elatton. Dio kai œhttoneÿinai qerma ta ’eruqrotera˙ qermon men gar to lepton.

4.2. — Il rosso si compone di figure dello stesso tipo di quelle del caldo, anche se dimaggiori dimensioni ... Prova ne e che quando siamo accaldati arrossiamo e la stessa cosasuccede a tutti i corpi infuocati, fintanto che posseggano il carattere igneo ... lo stesso valeper il ferro e per le altre realta infuocate: quelle che posseggono moltissimo e sottilissimofuoco sono le piu brillanti mentre piu rosse sono quelle che contengono minor fuoco e piuspesso. Pertanto i corpi piu rossi sono meno caldi, in quanto il caldo corrisponde al sottile: : : (trad. di M. Andolfo, in Andolfo, 1999 : p. 231 ).

e piu oltre (XIII.76, in Wimmer, 1866: p. 337):

4.3. — oœion to men crusoiedeV kai to tou calkou kai pan totoiouton ’ek tou leukou kai tou ’eruqrou˙ to men gar lampron”ecein ’ek tou leukou, to de ‘uperuqron ’apo tou ’eruqrou˙ pipteingar e’iV ta kena tou leukou tÑmixei to ’eruqron.

4.3. — Per esempio, il colore oro e quello del bronzo, nonche ogni altro colore a questiaffine, si compongono del bianco e del rosso, ricevendo dal bianco la lucentezza e dal rossola tonalita rossastra, in quanto il rosso, nel mescolarsi al bianco, si dispone negli spazi vuoti(trad. di M. Andolfo, in Andolfo, 1999 : p. 231 ).

Questi brani riguardano sı i metalli, ma non contengono nulla che riporti esplicita-mente il pensiero di Teofrasto: sono solo un suo sommario delle opinioni di Democritosulle proprieta dei materiali, con le relative applicazioni ad alcuni metalli presi a titolodi esempio. Possono quindi essere trascurati: se, infatti, nell’esposizione di Teofrastonon risulta contenuta alcuna critica alle teorie di Democrito, non vi appare neppurenulla che possa lasciar pensare che egli le abbia fatte proprie (cfr. McDiarmid, 1960:p. 28; Baldes, 1978).

158 a. mottana

5. Precisi riferimenti a metalli si trovano nel De igne, che e considerato da molti unlavoro giovanile di Teofrasto, scritto ad Asso tra il 347 e il 345 a.C. (Coutant, 1971:pp. IX-X; Battegazzore, 1984: p. 38, nota 21; Gaiser, 1985: pp. 34-35, 47-50) e poiripreso piu di una volta nel corso degli anni, fino quasi alla fine (Steinmetz, 1964:pp. 9-12). Il primo riferimento riguarda il loro comportamento meccanico, duttileoppure fragile, in funzione delle condizioni termiche, e cosı recita (II.17, in Wimmer,1866: p. 353; cfr. Coutant, 1971: p. 15):

5.1. — “Oti de ’iscuron e’iV to sunagage in kai sunaqro isai toqermon shme ion kai ta thkomena kai ta ‘rhgnumena twn ’elatwnkai cutwn˙ kattiteron kai molibdon ”hdh takhnai ’en tÉ PontÉpagou kai ceimwnoV ”ontoV neanikou, calkon de ‘raghnai.

5.1. — Che il freddo sia efficace a raccogliere e a radunare il calore, sono prova tra i metalliduttili e fusibili quelli liquefatti e frammentati. Dicono infatti che nel Ponto lo stagno e ilpiombo siano liquefatti per effetto del gelo e per il freddo che e robusto, mentre il bronzova in pezzi.

Halleux (1974: p. 121) osserva che il fenomeno qui descritto (e che sara poi ri-badito in 9.9) e ben conosciuto sotto il nome di «peste (o malattia) dello stagno»(cfr. Wunsche, 1887: pp. 131-133). Essa e legata alla transizione allotropica tra Sn-β(stagno bianco: tetragonale I41/amd , duttile e malleabile, non sonoro, ma che emetteun caratteristico stridore o «pianto» quando e piegato, durezza 2, lucentezza metallica,densita 7;29 g · cm−3) e Sn-α (stagno grigio: cubico Fd 3m, fragile e friabile, du-rezza 2 1

2 , semiconduttore, lucentezza submetallica, molto piu leggero essendo la densita5;77 g · cm−3). Questa transizione, che avviene a + 13 ◦C a pressione atmosferica eche quindi si verifica invariabilmente nel passaggio dalla stagione calda a quella freddanei nostri climi, quando il metallo e conservato all’aperto, comporta un aumento divolume del 27% e si manifesta con un rigonfiamento caratteristico: si tratta di mac-chie tonde poco percettibili se il metallo e in masse considerevoli (lingotti) e invece diprotuberanze emisferiche ben evidenti se e in lastre sottili. Da un materiale splendentee tenero, appena un po’ piu duro del piombo e scissile, facile da tirare in fili, la tran-sizione allotropica produce un materiale un po’ piu duro sı, ma fragile, che tende aframmentarsi e che diventa sempre piu incoerente e granulare (perdendo cosı anche displendore) quanto piu la temperatura si abbassa, fino a disgregarsi spontaneamente equasi tumultuosamente in una polvere grossolana a ca. −40 ◦C (Suri e Banerjee, 1996:p. 32).

Se questa transizione puo spiegare il comportamento attribuito da Teofrasto allo sta-gno, non puo certo spiegare l’analogo comportamento che egli attribuisce al piombo (42),che non presenta cambiamenti strutturali tra + 40 e −40 ◦C, ne al bronzo. Per que-st’ultimo puo valere, forse, l’illazione di Halleux (1974: p. 122, n. 31) che Teofrastosia stato tratto in inganno dall’aver visto rompersi un vaso (tappato) pieno di acqua al

(42) Si puo ipotizzare un errore di iterazione di un copista bizantino che conosceva il latino? In latino,infatti, lo stagno e anch’esso plumbum (album invece che nigrum ).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 159

momento in cui gelava. Ma per il primo, cio non e possibile, perche la sua malleabi-lita lo porterebbe piuttosto a deformarsi. Dobbiamo quindi pensare che qui Teofrastoriferisca un’informazione inesatta ricevuta da altri, anche perche sappiamo che egli nonando mai nel Ponto.

Il secondo e il terzo passo del De igne riguardano l’effetto del fuoco su certi metalli(e altri materiali, questi ultimi refrattari) e la conseguente acquisita loro capacita diriscaldare altri corpi dopo essere stati convenientemente scaldati. Inoltre, vi viene postoin risalto come, per ottenere un fuoco di calore adeguato a certi scopi tecnici, sianecessario ricorrere a fonti che gia di per se contengono molto calore potenziale (IV.34-35 e IV.37, in Wimmer, 1866: pp. 356-357; cfr. Coutant, 1971: pp. 32-35):

5.2. — to gar ’en tÉ gewdei kai stereÉ pur qermotaton, o ’uk’aporreon ‘omoiwV ’all’ ’apostegomenon, ’apo te qermothtoV ”econto kaustikon. Swmata de sterea kaustikwtera dia sklhrothtapurwqenta, kaqaper sidhroV, calkoV, liqoV, ”ostrakon “a tÑ fuseiscedon yucrotata, stegei gar ’en a ’uto iV malista kai thre i toqermon, “wst’ e ’ulogwV kaustikwtata thV sarkoV.

5.2. — Il fuoco, infatti, nella materia solida e densa e caldissimo, poiche non si disperdeugualmente, ma e bloccato e ha in conseguenza del calore la capacita di bruciare. I corpisolidi una volta arroventati sono i piu capaci di bruciare a causa della loro durezza, comeil ferro, il bronzo, la pietra, il coccio, che per natura sono piu o meno freddissimi; infatti,racchiudono e conservano in se il calore, cosicche sono i piu caustici per la carne.

5.3. — AœiV d’ “wsper biaiotera tiV crhsiV “wsper tÑ calkeutikÑthn sfodrotathn. Dio kai touV ”anqrakaV touV gewdestatouV kaipuknotatouV lambanousi, : : :

5.3. — : : : e quelle [arti] per cui e necessario che [il calore] sia piu forte, come l’arte deifabbri, usano un calore fortissimo. Di conseguenza scelgono anche carboni che siano i piupieni di terra e compatti, : : :

Puo senz’altro applicarsi ai metalli (43) il passo descrittivo con cui Teofrasto cercadi dare una sua spiegazione teorica del processo di fusione (V.42, in Wimmer, 1866:pp. 357-358; cfr. Coutant, 1971: pp. 38-40):

5.4. — E’iV men oÿun ta toiauta crhsimon [plhn] ’en ‘ugrothti kaimeq’ ‘ugrothtoV to qermon, e’iV de taV thxeiV to ‘ugron ’acre ion.A”ition de “oti to thkton “udatoV –on fusei xhraV de itai qermothtoVe’iV thn dialusin˙ to gar —omoion ‘upo tou ‘omoiou ’apaqeV. “Ama dekai ‘h ’asummetria twn porwn ’enantioutai proV to mh dexasqai˙ me-galomereV gar. O‘uc oœion te de ”aneu tou ‘ugrou cwrisqen e’isienaito qermon˙ ”eti de ’asqenesteron “wste dio ixai touV porouV puknwnkai sunecwn ”ontwn twn ”exwqen. Dia dh touq’ ‘h xhra qermothV‘armottei proV taV thxeiV kai a ’uth lambanousa tina summetrian˙

(43) Questa e l’opinione dello Steinmetz, che ne fornisce un’estesa traduzione (1964: p. 304) in cui al«chresimon» del testo greco tradotto con liquabilia dal Wimmer (p. 357) fa corrispondere senza esitazionealcuna il tedesco «Metalle».

160 a. mottana

e’i gar pleiwn ’ekkaiei˙ ta de kai “olwV katakaiei prin e’iVdialusin ’agage in.

5.4. — Dunque per tali cose [scil. cuocere i cibi] e utile il calore in presenza di umiditae insieme ad umidita, mentre invece per le fusioni l’umidita e inutile. La causa e che cioche e fusibile, essendo per natura di acqua, ha bisogno di calore per lo scioglimento: infattiil simile non e soggetto a mutare per opera del simile. Contemporaneamente, anche lamancanza di simmetria dei pori si oppone ad accoglierlo [scil. il calore]: infatti e formatodi grandi parti. Non e possibile che il calore entri separatamente dall’umidita. E ancora[il calore] e piu debole ad aprire i pori quando le parti esterne [scil. del materiale] sonocompatte e ben congiunte. Percio il calore secco e che di per se ha una giusta proporzionesi adatta alle fusioni: infatti, se brucia troppo, brucia interamente il materiale prima diportarlo allo scioglimento.

L’interpretazione di questo passo e tutt’altro che semplice, soprattutto perche Teo-frasto cambia qua e la di soggetto in maniera quasi casuale. Tuttavia, anche se apparissearbitraria l’interpretazione dello Steinmetz (1964: p. 304) che Teofrasto sta parlando dimetalli, il suo pensiero e chiaro: i corpi solidi non fondono a meno che non si applichiloro il calore combinandolo con l’umidita. Sembra proprio un’anticipazione delle mo-derne teorie (e.g., Goranson, 1931; Yoder, 1958; ecc.) sul ruolo che ha la fase volatilenel facilitare la fusione (e piu, in generale, le reazioni) delle fasi solide, non perche essaserva a trasportare il calore, quanto piuttosto perche facilita il movimento delle particelleche costituiscono il solido e che il calore pone in vibrazione, fino a liberarle del tutto(farle scorrere, che e l’essenza della fusione).

Piu oltre, Teofrasto descrive anche l’effetto di riflessione/concentrazione che i metallihanno sul calore solare (XIII.73, in Wimmer, 1866: p. 363; cfr. Coutant, 1971: p. 67):

5.5. — ’Exaptetai de ’apo te thV ‘uelou kai ’apo tou calkou kaitou ’argurou tropon tina ’ergasqentwn, o ’uc, “wsper GorgiaV fhsikai ”alloi de tineV o”iontai, dia to ’apienai to pur dia twn porwn.

5.5. — [Il calore del sole] si accende, inoltre, col vetro, il bronzo, l’argento, fabbricati inun certo modo e non, come dice Gorgia e alcuni altri ritengono, perche il fuoco si libera(oppure: si spegne) attraverso i vuoti.

Quest’ultima citazione e di grande interesse scientifico, non tanto per i metalli chevi sono menzionati, quanto piuttosto perche sottintende conoscenze di ottica di gradopiuttosto elevato, oltre che una lunga sperimentazione pratica che porta a considerareinapplicabili certe teorie precedenti. Non e, tuttavia, del tutto chiaro se la concentrazionedei raggi solari fosse ottenuta tramite una lente oppure con uno specchio metallicoconcavo o sferico. Poiche Teofrasto «accenna sia al vetro sia al bronzo e all’argento, sipuo pensare che si riferisca ad entrambe le possibilita» (Russo, 1996: p. 152, n. 139).

Infine, sempre nel De igne, vi e un passo in cui, per quanto non siano direttamentenominati i metalli, certamente si descrivono le dure condizioni in cui erano allora estrattii grezzi metalliferi (III. 24, in Wimmer, 1866: p. 354; cfr. Coutant, 1971: p. 20):

5.6. — Dia touto de kai ton pnigmon poie i to iV ’ergazomenoiV ‘o’ahr “oti pacuV te kai ’hremwn˙ o ’u gar diadidwsi tÑ ’ekpnoÑ. Dio

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 161

kai ta yucagwge ia poiousin “opwV leptunhtai tÑ kinhsei kai“amametaballwn didÉ cwran : : :

5.6. — Per questo motivo [negli scavi] l’aria produce soffocamento a coloro che vi lavorano,perche e densa e ferma e non concede l’uscita al respiro. Percio, dunque, aprono spiragli,affinche [l’aria] si assottigli col movimento e anche, cambiando, dia posto [al respiro]. Echiaro e detto in una sola parola che l’aria densa e difficile da respirare : : :

Qui Teofrasto sta descrivendo le diverse cause che portano un fuoco ad estinguersi esegnala, tra queste, prima l’assenza di aria e, subito dopo, l’immobilita e la gravezza diquesta: esse sarebbero due delle cause che soffocano il fuoco. Tra i luoghi in cui l’aria epiu greve, egli cita appunto le gallerie di scavo, che mi piace interpretare essere quelle diminiera (44). Accenna, pero, anche al fatto che i minatori, ripristinando la circolazionedell’aria tramite l’apertura di spiragli (o cunicoli laterali), ottengono condizioni miglioridi aerazione. E particolarmente interessante, per un mineralista qual io sono, l’insisteredi Teofrasto sul danno respiratorio che provoca l’aria grassa e ferma tipica di luoghichiusi come, appunto, le miniere di solfuri metallici.

6. Se si prescinde dalla sezione 71 posta in coda (v. supra, 1), nel De odoribus (che,probabilmente, e la parte finale del De causis plantarum e va quindi datato a poco primadel 310 a.C., cfr. Amigues, 1988: p. XX) i metalli sono citati una sola volta, cosı comelo sono i minerali (nello stesso capoverso). Questo ben si accorda con un’affermazioneche Teofrasto fa all’inizio: che tra i sensi umani il meno affidabile, a scopo diagnostico,e proprio l’olfatto (cfr. Wimmer, 1866: I.4, p. 364; Eigler e Wohrle, 1993: §4, pp. 22-23, con commento a p. 62). Il brano che riguarda i metalli (IX.41, in Wimmer, 1866:p. 371; §41, in Eigler e Wohrle, 1993: p. 42 (45)) recita cosı:

6. — Dio kai e’iV ’agge ia molubda ’egceousi kai touV ’alabastrouVzhtousi toioutou liqou˙ yucron gar kai puknon kai ‘o molubdoVkai ‘o liqoV ‘o toioutoV˙ kai ”aristoV to iV muroiV ‘o malistatoioutoV. “Wste di’ ”amfw throusi, kai tÉ yucrÉ kai tÉ puknÉ,mhte diienteV ”exw thn ’osmhn mhq’ “olwV ’epidecomenoi mhden. Kaigar ‘h ’anapnoh fqeirei kai to ”exwqen ’epeision kai ’allotrion˙’epei kai ta pneumata fqeirei kai katanaliskei kaqaper ’elecqhtaV ’osmaV : : :

6. — : : : Per questo motivo ripongono [gli unguenti] in vasi di piombo e cercano boccetteper unguenti fatte di alabastro: infatti freddo e denso e tanto il piombo quanto quella pietra,e una [pietra] di quel tipo e la piu idonea agli unguenti. E infatti [i vasetti di alabastro]conservano [gli unguenti] per questi due motivi: e per il freddo e per la densita, senzalasciar passare all’esterno l’odore e senza ricevere assolutamente nulla in aggiunta. Infattirovinano [gli unguenti] sia l’emanazione [verso l’esterno] sia cio che entra [dall’esterno] ede estraneo : : :

Il contesto riguarda l’effetto che il calore ha sul profumo e, in particolare, narracome tanto il vino e i succhi quanto gli unguenti mantengano meglio il loro profumo

(44) L’osservazione che questo passo del De igne puo indicare che nell’Attica i minatori spesso finivanosoffocati e gia stata fatta da Vallance (1988: p. 37).

(45) Le due letture di questo brano non presentano differenze se non nella punteggiatura.

162 a. mottana

quando sono conservati al fresco. Sorprende un poco il fatto che Teofrasto metta sullostesso piano le densita dell’alabastro e del piombo, mentre non puo sorprendere che idue materiali possano sembrare simili ad un esame puramente tattile: entrambi sono,infatti, lisci e freddi. Teofrasto non era in grado di accorgersi che il loro comportamentosimile derivava dalla dimensione minuta delle particelle costituenti i due materiali che,rendendoli entrambi ugualmente compatti, li rende anche altrettanto impermeabili tantoai vapori esalati dai liquidi in essi contenuti quanto all’inquinamento da parte di vaporiesterni; quindi li rende anche in grado di conservare perfettamente la fragranza.

Puo apparire strano che, in un contesto come questo, Teofrasto non abbia descrittoi diversi odori che emanano i metalli quando sono sfregati, o bagnati, oppure scaldati.Probabilmente il passo relativo, se mai ci fu, ando perduto quando l’archetipo del Decausis plantarum perse i due libri finali, lasciando l’ultimo di essi (l’attuale De odoribus )allo stato di frammento tanto palesemente incompleto da indurre un amanuense vo-lonteroso ad aggiungervi a caso tutti i brani sparsi che gli erano capitati sotto mano(v. supra, 1).

7. Non ci sono altri riferimenti a metalli negli altri opuscoli pervenutici tramite lecopie greche e bizantine, siano essi quelli di contenuto naturalistico (dedicati ai ventie a una serie di manifestazioni atmosferiche) oppure quelli di argomento psicologico emetafisico. Ce ne sono pero parecchi in un altro testo di Teofrasto non specificamentededicato ai metalli (e neanche alle pietre), ma che pure contiene una serie di preciseosservazioni su di essi. Questo testo era ritenuto perduto, ma ci e stato restituito par-zialmente, all’inizio del secolo, attraverso una tradizione manoscritta diretta del tuttodiversa da quella dei testi precedenti e ne e stato riconosciuto il gran valore solo moltorecentemente, dopo l’edizione critica completa curata da Hans Daiber (1992: pp. 166-293). Si tratta dei Metarsiologikon («[Libri] di fatti meteorologici»), citati da DiogeneLaerzio (Vitae philosophorum, 5.45, in Sollenberger, 1985: p. 24), ma successivamentepersi in greco (non sono piu citati dalla Suda) e sopravvissuti solo grazie alle traduzionisiriaca e araba (46). Rinvio al Daiber (1985: p. 107; 1992: pp. 218-222) per la com-plessa storia delle diverse edizioni, traduzioni ed interpretazioni succedutesi nel tempo,da quando il Bergstrasser (1918), per primo, riconobbe la derivazione da Teofrasto diun breve compendio in arabo di Bar Bahlul (X sec. AD) fino a quando lo Steinmetz(1964: pp. 53-60, 172-217) ne fece uso, assieme ad altre versioni, trovate successiva-mente e purtroppo anch’esse incomplete, per cercare di ricostruire l’intero pensiero fisicodi Teofrasto. Rilevo, pero, che e solo grazie ai nuovi, recenti ritrovamenti e all’acribia

(46) Il titolo arabo ricostruito dal Daiber e «Trattato su fenomeni meteorologici», che corrisponde moltobene con quello di Diogene Laerzio anche sotto l’aspetto lessicale (metarsiologikon e un aggettivo neutroplurale al genitivo). Appare meno preciso il sostantivo metarsıon usato da Plutarco (Quaestiones graecae 7292C, in Fortenbaugh et al., 1992: I, p. 282, n. 137, sub 15d). E pero da notare che Diogene Laerziomenziona anche un’altra opera di Teofrasto con titolo affine: un Tes metarsioleskıas («Sulla meteorologia»),in un libro, che potrebbe adattarsi ancor meglio del citato Metarsiologikon (in due libri, secondo DiogeneLaerzio) all’unico libro tramandato dalla traduzione siriaco-araba. E invece un sinonimo arbitrario il Meteoracitato da Olimpiodoro e da Proclo.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 163

filologica del Daiber che abbiamo ora a disposizione una traduzione completa e conse-quenziale, che da un lato serve di integrazione ai Meteorologica di Aristotele, dall’altrochiarisce i rapporti di pensiero intercorrenti tra Teofrasto e il suo maestro (v. supra, einoltre Badawi, 1968: pp. 79-80, 88-89).

L’edizione critica del Daiber e basata sulla collazione di tre manoscritti relativamenterecenti (XVII-XIX sec. AD) che sono conservati in India (a Rampur, Aligarh e Hy-derabad) e che sono tutti derivati dalla traduzione in arabo (X sec.) eseguita da Ibnal-H

˘ammar (47) a partire da una traduzione in siriaco di ignoto autore (forse il nesto-

riano Giobbe da Edessa, della prima meta del IX sec.; cfr. Daiber, 1992: pp. 174,282). Da questa traduzione in siriaco, secondo lo stemma ricostruito dal Daiber (1992:p. 227), sarebbero derivate prima l’epitome araba di Bar Bahlul (v. supra ), poi la tra-duzione completa e fedele eseguita da Ibn al-H

˘ammar. Quest’ultima, in conclusione,-

e stata definita: «the best substitute for the Greek text and its Syriac translation» (Daiber,1992: p. 219).

In un trattato che ha per scopo lo studio dei fenomeni meteorologici, i riferimentiai metalli non possono essere altro che sparsi, ovviamente, e quindi poco consequenziali(cosı come lo sono i riferimenti alle pietre e ai minerali, d’altronde). Tuttavia, anchecosı essi sono ugualmente utili a permetterci di approfondire alcuni aspetti del pensierodell’autore (48):

7.1. — [1.10-11] Possiamo osservare qualcosa di simile tra noi: quando un fabbro buttaun ferro arroventato nell’acqua, ne risulta un gran rumore (p. 261).

7.2. — [1.32-33] Analogamente, possiamo vedere tra le cose che sono visibili certe chenon producono nessun rumore, come un vaso di argilla e il piombo (p. 261).

(47) Abu ‘l-H˘

ayr al-Hasan ibn Suwar Ibn al-H˘

ammar, un nestoriano nato a Baghdad nel 942 o 943 AD e-morto nel 1030 ca. dopo una vita che lo porto di corte in corte e durante la quale ebbe modo di incontrare,tra gli altri, Avicenna. E noto come traduttore dal siriaco all’arabo. La sua traduzione, in un libro, dell’operameteorologica di Teofrasto doveva essere stata completata piuttosto presto, perche il suo titolo e gia citatonello «Indice» (Kitab al-fihrist, 7.1) di Ibn al-Nadım, che fu pubblicato nel 987 AD.

(48) Effettuo la mia traduzione italiana sulla base della traduzione inglese del testo arabo collazionatocon quello siriaco, entrambi a cura del Daiber (1992: pp. 261-271).

164 a. mottana

7.3. — [2.11-12] Possiamo osservare qualcosa di simile tra noi: quando il fabbro immergeferro arroventato in acqua, produce del fuoco (p. 262).

7.4. — [6.4-5] : : : se [il fulmine] cade su sottobosco o legna, lo brucia e gli da fuoco; mase cade su oro o argento, lo cola e lo fonde. Questi effetti sono tipici del fuoco (p. 263).

7.5. — [6.85-91] Quando poi qualcuno ci domanda la ragione per cui il fulmine, quandocade su una borsa contenente dinari, non intacca la borsa, ma attacca e fonde i dinari, noipossiamo dare questa risposta. La borsa e porosa, e per conseguenza da spazio al fulmine perpenetrare. Ma, poiche i dinari sono densi e non danno [passaggio] al fulmine, il risultatoe che il violento fulmine si ferma di colpo dentro di essi. Per questa ragione esso non hanessuna influenza sulla borsa, ma attacca e fonde i dinari (p. 266).

In questi passi non c’e nulla di nuovo quanto ai tipi di metallo citati (ferro, piombo,oro e argento; manca lo stagno, che pure Teofrasto distingueva: cfr. 1, 5.1): tutti ecinque, in ogni caso, erano conosciuti nel mondo greco fin dal tempo di Omero edEsiodo. Non vi e nulla di sostanzialmente nuovo neppure nell’accenno al suono striduloche si produce quando il ferro e temprato per immersione: a questo procedimento siriferisce il frammento bernese (2) e, in ogni modo, la conoscenza di quel suono eattestata nel mondo greco fin dai primordi, tanto che Omero ne fa un uso in metafora(Odissea, IX.391-394, in Privitera, 1991: p. 269) nel descrivere lo sfrigolio che si odequando l’aguzzo palo di olivo infuocato da Ulisse penetra nell’occhio di Polifemo. Euna novita, invece, l’aver preso il piombo ad esempio per porre l’accento come in certesostanze solide la percussione non riesca a sviluppare una distinta reazione sonora: l’uditonon e certo tra i sensi che si siano dimostrati di particolare utilita per la Mineralogia,ma l’uso di strumenti musicali (cembali, sistri, ecc.) che utilizzano il suono prodottoper vibrazione da un metallo sottoposto a percussione si perde nella notte dei tempi.Nota e, infine, anch’essa da epoca immemorabile, la facilita con cui fondono i metallinobili oro e argento e la loro disponibilita ad essere colati nelle forme per ottenerne

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 165

lingotti, oppure oggetti grezzi da rifinire poi con una lavorazione a freddo (49). Ne puoessere considerata una novita l’aver segnalato che i metalli fondono e colano quandosono colpiti dal fulmine: cio era gia stato affermato da Esiodo (Theogonia, 862-863,in Colonna, 1993: p. 111). L’interpretazione del fulmine, che brucia il legno, comeun oggetto fatto di fuoco trova inoltre conferma nell’introduzione del De igne, in cuiTeofrasto afferma (I.1, in Wimmer, 1866: p. 350; cfr. Coutant, 1971: p. 1):

Il fuoco : : : [si crea] perfino dall’aria nelle nubi per adunamento e compressione: i lorourti, infatti, sono violenti per cui da esse escono i lampi e i fulmini.

Tuttavia, anche la nozione che il fulmine sia fuoco dal cielo sembra essere statada sempre presente nel pensiero greco: si mitizzava, anzi, che fosse l’arma primor-diale che i Ciclopi avevano fucinato per Giove quando venne a lotta col padre Saturno(Esiodo, Theogonia, 141, in Colonna, 1993: p. 69). Puo essere originale di Teo-frasto la teoria che il fulmine si produca per sfregamento di masse di aria e quasisicuramente propria di lui pare essere la teoria successiva: che la fusione dei due me-talli nobili e dovuta al brusco fermarsi (o accumularsi?) del fuoco in essi, in quantocorpi densi e pesanti, laddove la stoffa non brucia perche, poco consistente e aperta,lo lascia disperdere rimanendo integra. Ritroveremo questa stessa nozione, riferita inmodo anonimo, nell’opera scientifica di Seneca (Naturales quaestiones, II.52,1, in Vot-tero, 1989: p. 361). Certo sarebbe stata piu interessante per noi una qualche indi-cazione sul modo usato dagli orafi greci dell’epoca per fondere i metalli nobili senzatroppa perdita di peso: anche se Teofrasto gia dimostra di sapere che dai vari combu-stibili vegetali si ottengono fiamme che hanno capacita calorica diversa (De igne, IV.33,in Wimmer, 1866: p. 356; Coutant, 1971: p. 32), la prima descrizione scritta dell’usodella paglia di grano per ottenere una fiamma gentile che eviti all’oro di volatilizzaredurante la fusione dovra attendere Strabone di Amasea (Geographica, III, 2.8, in Trotta,1996: p. 105).

8. Infine, a titolo di completamento, e opportuno ripetere qui i riferimenti aimetalli contenuti nel De lapidibus, anche se sono gia stati resi disponibili qualche tempofa (Mottana e Napolitano, 1997: pp. 158-168):

8.1. — Twn ’en tÑ gÑ sunistamenwn ta men ’estin “udatoV, ta de ghV.“udatoV men ta metalleuomena kaqaper ”arguroV kai crusoV kaitÿalla

(49) Il dinaro (dınhar ) portato ad esempio era una moneta araba d’oro che fu coniata per la prima voltadal califfo ‘Abd al-Malik nel 696 AD, ad imitazione del denarius aureus romano, introdotto da P. QuinzioFlaminino nel 196 a.C. e rimasto in uso durante tutto l’impero romano prima e bizantino poi. E evidenteche questo esempio, tipicamente teofrasteo nell’espressione (se ne trova un accenno nel De igne VI.45, incui pero si parla piuttosto di «nomısmata » cioe monete), e stato adattato dal traduttore arabo (o siriaco)alla realta del suo tempo. Probabilmente, Teofrasto aveva fatto uso del termine chrysos, a lui ben noto, nonsolo perche era una moneta diffusa ad Atene, ma perche era di uso comune in Ionia, regione da cui egliproveniva, almeno fin dai tempi della sua prima coniazione ad opera di Creso di Lidia (ca. 550 a.C.).

166 a. mottana

8.1. — Di acqua sono formati i materiali metallici estratti da miniera, come argento, oroe cosı via (I.1.2-3).

8.2. — peri men oÿun twn metalleuomenwn ’en ”alloiV teqewrhtai˙peri de toutwn nun legwmen.

8.2. — Essendo stati i metalli presi in considerazione altrove, qui tratteremo delle pietre edelle terre (I.1.5-6).

8.3. — “eteroi d’ ‘olkhn tina poie in, o‘i de basanizein ton crusonkai ton ”arguron “wsper “h te kaloumenh liqoV ‘Hrakleia kai ‘hLudh.

8.3. — : : : altre [pietre] ancora [hanno] quella [capacita] di saggiare l’oro e l’argento, comela pietra lidia (I.4.7-8).

8.4. — gluptoi gar ”enioi kai torneutoi kai pristoi, twn de o ’ude“olwV “aptetai sidhrion, ’eniwn de kakwV kai moliV.

8.4. — : : : alcune pietre non sono in alcun modo lavorabili con arnesi di ferro, altre astento (I.5.5-6).

8.5. — Kata dh thn purwsin o‘i men thkontai kai ‘reousin “wspero‘i metalleutoi. ‘re i gar “ama tÉ ’argurÉ kai tÉ calkÉ kaisidhrÉ kai ‘h liqoV ‘h ’ek toutwn, e”it’ oÿun dia thn ‘ugrothta twn’enuparcontwn e”ite kai di’ a ’utouV˙

8.5. — Per effetto di riscaldamento alcune pietre fondono e scorrono, ad esempio i mineralimetallici. Il processo di liquefazione coinvolge, insieme all’argento, al rame e al ferro, anchela pietra che si trova in associazione con essi, tanto a causa dell’umidita dei suoi componentiquanto per l’azione degli stessi metalli; : : : (II.9.14).

8.6. — ginetai de ’en to iV ’en ’efiktÉ kai gnwrimoiV topoiV dittacoumalista peri te Kupron ’en to iV calkwruceioiV kai ’en tÑ nhsÉ tÑ’epikeimenÑ Calkhdoni. kai ’idiwterwV e‘uriskousin ’en tautÑ˙ me-talleuetai gar “wsper tÿalla kai ‘h fusiV, kata ‘rabdouV teinousa’en KuprÉ a ’uth kaq’ a‘uthn pollaV.

8.6. — [lo «smeraldo» ] si trova soprattutto in due luoghi ben accessibili e noti, a Cipro, nelleminiere di rame, e nell’isola antistante a Calcedonia. Qui il rinvenimento ha caratteristicheparticolari: la pietra e estratta dalle miniere allo stesso modo che gli altri minerali, mentrea Cipro si estende da sola in numerose vene (IV.25.4-7).

8.7. — e‘uriskontai de spaniai megeqoV ”ecousai sfragidoV ’all’’elattouV a‘i pollai, dio kai proV thn kollhsin a ’utÑ crwntaitou crusiou˙ kollÅ gar “wsper ‘h crusokolla. kai ”enioi ge dhkai ‘upolambanousi thn a ’uthn fusin eÿinai˙ kai gar thn croanparomoiai tugcanousin. ’all’ ‘h men crusokolla dayilhV kai ’ento iV cruseioiV kai ”eti mallon ’en to iV calkwruceioiV “wsper ’ento iV peri åtoutouVç touV topouV.

8.7. — : : : [gli smeraldi] per la maggior parte sono piu piccoli, e vengono per questoutilizzati per la saldatura in lega dell’oro, dal momento che lo «smeraldo» salda altrettantobene quanto la «crisocolla». Alcuni pensano anzi che «smeraldo» e «crisocolla» possiedanola stessa natura e, in effetti, quanto a colore si assomigliano molto. La «crisocolla», pero, si

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 167

trova in abbondanza nelle miniere d’oro e ancor piu in quelle di rame, come avviene, adesempio, proprio nei luoghi suddetti (IV.26.1-7).

8.8. — “elkei gar “wsper to ”hlektron, o‘i de fasin o ’u monon karfhkai fulla ’alla kai calkon kai sidhron ’ean ÿÑ leptoV, “wsper kaiDioklhV ”elegen.

8.8. — : : : [il «lingurio» ] possiede una proprieta particolare, quella di attrarre corpi,come l’ambra, e non soltanto, come dicono alcuni, fuscelli e foglie, ma anche, come dicevaDiocle, pezzi di rame e di ferro, purche piccoli (V.28.2-4).

8.9. — malista de dhlonoti å“elkeiç kai fanerwtaq’ ‘h ton sidhron”agousa.

8.9. — : : : la pietra che attira il ferro : : : e rara e difficile da trovare : : : (V.29.3-4).

8.10. — ’en LamyakÉ de pot’ ’en to iV cruseioiV e‘ureqh qaumasthliqoV

8.10. — Nelle miniere d’oro di Lampsaco venne trovata un giorno una pietra straordinaria(V.32.1-2).

8.11. — Twn de liqwn pollai tineV a‘i fuseiV kai twn metal-leuomenwn. ”eniai gar “ama cruson ”ecousi kai ”arguron, profanhde monon ”arguron˙

8.11. — Molte sono anche le varieta di pietra estratte dalle miniere. Alcune di esse hannoinsieme oro e argento, ma solo l’argento e visibile; si tratta di pietre di peso notevole e diodore forte (VII.39.1-2).

8.12. — ”eniai de liqoi kai taV toiautaV ”ecousi dun ameiV e’iV tomh pascein, “wsper e”ipomen, oœion to mh glufesqai sidhrioiV ’allaliqoiV ‘eteroiV.

8.12. — Alcune di esse possiedono anche le sopra descritte capacita di non reagire, comequella di non poter essere incise da arnesi di ferro, ma da altre pietre (VII.41.1-2).

8.13. — kai œÑV ge dh tineV qaumazousi thn ‘omoiwsin tÉ ’argurÉmhdamwV o”ushV suggenouV.

8.13. — : : : [la qui presente «steatite»,] : : : la cui somiglianza con l’argento, per quantoin realta non abbia nulla a che fare con esso, e da taluni rilevata con stupore (VII.41.6-7).

8.14. — o‘i men toioutoi panteV prosdecontai thn tou sidhroudunamin˙ ”enioi de liqoiV ”alloiV glufontai, sidhrioiV d’ o ’udunantai kaq aper e”ipomen. o‘i de sidhrioiV men ’ambluteroiV de˙kai e’isin å”allai diaforai ( ?)ç. paraplhsiwV de kai ”atopon toå’eniouVç mh temnesqai åtÉç sidhrÉ˙ [kaitoi ta sterewtera å“olwVç’iscuroteron temnei kai å‘oç sidhroV liqou sklhroteroV ”wn.]

8.14. — Tutte le pietre di questo tipo ammettono l’azione del ferro; ve ne sono peroalcune che, come s’e detto, possono essere incise da altre pietre, ma non da arnesi di ferro;altre ancora possono essere incise da arnesi di ferro, ma solo se smussati. Vi sono poi altredifferenze specifiche. Ed e quasi altrettanto strano che certe pietre non sono estratte conarnesi di ferro. [Eppure in generale le sostanze piu riluttanti le taglia il ferro meglio dellapietra, essendo piu duro] (VII.43.1-3).

168 a. mottana

8.15. — ”atopon de k ’ake ino fainetai dioti ‘h men ’akonh ka-tesqiei ton sidhron, ‘o de sidhroV tauthn men dunatai diaire in kai‘ruqmizein, ’ex œhV d’ a‘i sfragideV o”u.

8.15. — : : : che la cote da un lato corrode il ferro, dall’altro che il ferro, da parte sua, puofendere in forme proporzionate e regolari la cote (VII.44.1-2).

8.16. — qaumasth de fusiV kai thV basanizoushV ton cruson˙ : : :o ’u gar ton a ’uton tropon dokimazei, ’alla to men pur tÉ tacrwmata metaballein kai ’alloioun, ‘o de liqoV tÑ paratriyei˙

8.16. — : : : mirabile anche la natura della pietra che saggia l’oro : : : In realta, la pietra diparagone e il fuoco non saggiano l’oro allo stesso modo: il fuoco ne cambia e ne altera ilcolore, la pietra saggia per sfregamento (VII.45.1-4).

8.17. — e‘urhsqai de fasi nun ’ameinw polu thV proteron “wste mhmonon ton ’ek thV kaqarsewV ’alla kai ton katacalkon crusonkai ”arguron gnwrizein : : : ’elaciston de ginetai [kriqh, eÿitakolluboV, eÿita] tetarthmorion –h ‘hmiwbolion, ’ex œwn gnwrizousi tokathkon.

8.17. — : : : una pietra di qualita assai migliore rispetto alle precedenti, e come tale nonsoltanto riconosce l’oro raffinato, ma anche l’oro e l’argento in lega con rame, e quanto oroe contenuto in ogni statere di lega (VII.46.1-3) : : : per mezzo di queste unita di misura siriesce a individuare la quantita di oro contenuta nel provino (VII.46.5-6).

8.18. — thketai men gar å“amaç to iV cuto iV kai ’orukto iV “wsperkai ‘o liqoV˙

8.18. — La pietra, infatti, fonde insieme ai metalli fusi e agli altri materiali con cui e inassociazione (VIII.48.4-5).

8.19. — ’idiwtath d’ ‘h tÉ calkÉ mignumenh˙ proV gar tÉ thkesqaikai mignustai kai dunamin ”ecei peritthn “wste tÉ kallei thVcroaV poie in diaforan.

8.19. — Una qualita di terra del tutto particolare e quella mescolata al rame: essa, oltre aandare soggetta a fusione e a mescolamento, possiede l’inusuale capacita di intensificare labellezza del colore (VIII.49.2-3).

8.20. — e‘urisketai dh pant’ ’en to iV metalloiV to iV ’argureioiV tekai cruseioiV, ”enia de kai ’en to iV calkwruceioiV

8.20. — Luogo di ritrovamento sono, per tutti questi tipi [di terra di natura particolare],le miniere di argento e di oro, per alcuni anche quelle di rame (VIII.51.1-2).

8.21. — ‘h men oÿun ’ek twn metallwn, ’epeidh kai ta sidhre ia ”eceimilton. ’en de tÉ mikrÉ åmetallÉç metalleuetai kaq’ a‘uthn.

8.21. — : : : si trova ocra rossa anche nelle miniere di ferro. Nella miniera piccola e estrattada sola (VIII.52.6-7).

8.22. — tauta te dh tecnÑ ginetai kai ”eti to yimuqion. tiqetaigar molubdoV ‘uper ”oxouV ’en piqoiV ‘hlikon plinqoV. “otan de labÑpacoV, lambanei de malista ’en ‘hmeraiV deka, tot’ ’anoigousin,eÿit’ ’apoxuousin “wsper e ’urwta tina ’ap’ a ’utou, kai palin tiqeasi

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 169

kai palin, “ewV –an katanalwswsi. to d’ ’apoxuomenon ’en tripthritribousi kai ’aphqousin ’aei, to d’ ”escaton ‘ufistamenon ’esti toyimuqion.

8.22. — Artificialmente si prepara allo stesso modo anche la biacca. Un pezzo di piombogrande quanto un mattone viene posto in orci al di sopra d’aceto; quando il piombo acquistaspessore, il che si verifica in circa dieci giorni, si aprono gli orci e si raschia dal piombo comeuna sorta di muffa, indi lo si rideposita negli orci, e questo piu volte fino al suo completoesaurimento. Il materiale raschiato viene pestato in un mortaio e filtrato piu volte; quantorimane alla fine e la biacca (VIII.56.1-7).

8.23. — paraplhsiwV de kai ‘o ’ioV ginetai˙ calkoV gar ’eruqroV‘uper trugoV tiqetai kai ’apoxuetai to ’epiginomenon a ’utÉ, å’epeiç’epifainetai ginomenoV å‘o ’ioVç.

8.23. — Il verderame si prepara piu o meno allo stesso modo: si pone un pezzo di ramerosso su un fondo di feccia di vino e, una volta formatosi, il verderame viene raschiato viadalla superficie (VIII.57.1-3).

8.24. — tauthn de triyanteV “olwV ’en ’aggeioiV liqinoiV leiotathnplunousin ’en calkoiV

8.24. — : : : questa [sabbia] e polverizzata in vasi di pietra, poi lavata per decantazione invasi di rame (VIII.58.5-6).

8.25. — katade ixai de fasi kai e‘ure in thn ’ergasian Kalliantina ’Aqhnaion ’ek twn ’argureiwn, “oV o’iomenoV ”ecein thn ”ammoncrusion dia to lampurizein ’epragmateueto kai sunelegen.

8.25. — : : : si dice che tale processo di preparazione [del cinabro] sia stato scoperto e diffusoda un certo Callia ateniese, uno di quelli delle miniere di argento, il quale, credendo che lasabbia, per il suo luccicare, contenesse oro, la raccolse e la studio (VIII.59.1-4).

8.26. — cuton ”arguron. ”esti gar tiV creia kai toutou. poie itai de“otan åkinnabariç trifqÑ met’ ”oxouV ’en ’aggeiÉ calkÉ kai doidukicalkÉ.

8.26. — [l’argento vivo] : : : si produce pestando cinabro con un pestello di rame insiemecon aceto in un mortaio di rame (VIII.60.4-6).

Da quanto or ora riportato, appare chiaro che c’e molto di piu sui metalli nelsolo De lapidibus (libro in cui Teofrasto espressamente afferma di volerli trascurare perdedicarsi alle pietre e alle terre) di quanto non ce ne sia pervenuto in tutto il restodella tradizione manoscritta diretta. Se, da un lato, cio puo farci amaramente rifletteresu quanto grave per la Scienza sia stata la perdita del De metallis e su come risulti, ora,impossibile ricostruirne tutto il contenuto per il tramite della scarsa documentazionetrasmessaci dall’Antichita, dall’altro lato cio spinge ancora di piu a tentare di ricostruirnealmeno il contenuto e l’influenza, tramite le testimonianze, e non solo quelle espresse,ma anche quelle indirette: quelle, cioe, in cui non figura il nome di Teofrasto, mache per il tipo di pensiero che esprimono possono essere a lui riferite con una certaaffidabilita.

170 a. mottana

Le testimonianze di altri autori

Le informazioni riportate da Teofrasto sui metalli furono certamente molteplici, nonsolo nel perduto De metallis, ma anche in altre sue opere. Tuttavia, esse erano spessooscure nel significato e talvolta, perfino, di difficile interpretazione sotto l’aspetto lin-guistico. La loro diffusione nel mondo classico dovette essere, nel complesso, piuttostoscarsa (50), anche perche ad un certo punto la Fisica (studio della realta naturale) vi persesempre di piu di importanza rispetto alla Metafisica (speculazione sul trascendente), perpoi risultare ignorata quasi del tutto quando vi prevalsero le dispute dottrinali tra cri-stiani e pagani, prima, e tra le varie sette cristiane poi. Tutto cio spiega perche letestimonianze del De metallis siano rare, anche se non del tutto assenti: Fortenbaugh etal. (1992: I, p. 285) ne citano solo una dozzina (ma quelle al De lapidibus sono ancorameno: solo otto!).

A. Testimonianze greche.

9. Prima di riportare testimonianze in cui ricorre, espressamente, il nome di Teo-frasto oppure il riferimento al De metallis, devo ricordare che, secondo molti filologie storici della Scienza, il De mirabilibus auscultationibus, il gia citato trattatello checi e pervenuto per tradizione diretta sotto il nome di Aristotele, e ricavato in largamisura da opere di Teofrasto anche se il nome di lui non vi compare mai. Si ri-tiene, infatti, che, nei primi 77 capitoli almeno, ma forse anche nei capitoli finalisecondo qualcuno, «viene utilizzato : : : materiale teofrasteo di analogo carattere e pro-venienza» (Sassi, 1993: p. 457; cfr. Regenbogen, 1940: coll. 1405-1408; Flashar,1972: pp. 141-145; Huby, 1985: p. 320). In particolare, secondo Rose (1967:pp. 280-281) deriverebbero dal De metallis i capitoli 42-50 e 61-62, e cosı pure se-condo Giannini (1965), Flashar (1972) e Halleux (1974: p. 175). Secondo Regen-bogen (1940: coll. 1407, 1416), poi, oltre a quelli gia citati, forse anche il ca-pitolo 58 riproporrebbe, almeno in parte, nozioni riconducibili a Teofrasto. In so-stanza, quindi, la parte dell’opera in cui si parla di metalli deriverebbe quasi tutta daTeofrasto (51).

L’eta della prima composizione (52) del De mirabilibus auscultationibus (consideratoda tutti un’opera composta nell’ambito del Peripato) viene indicata come il III sec.a.C.: per alcuni in epoca di poco precedente alla seconda guerra punica (ca. 265-250 a.C., Vanotti, 1997: p. XIII), ma per altri nella seconda meta del secolo (Sassi,1993: p. 458). Come luogo della sua composizione, i piu suggeriscono Alessandria

(50) Scarsa e sempre stata, d’altra parte, l’attenzione rivolta dagli studiosi antichi della natura agliargomenti di Mineralogia e Metallurgia.

(51) Regenbogen (1940: col. 1416), pero, fugacemente accenna anche alle incertezze manifestare dagrammatici ellenistici, quali Antigono da Caristio e Callimaco da Cirene, nel distinguere tra le fonti leinfluenze rispettive di Aristotele e di Teofrasto.

(52) L’opera contiene interpolazioni che in certi casi sono di poco posteriori e riferibili a scrittoriellenistici quali Antigono e Callimaco, ma, in altri, sono addirittura riferibili a molto piu tardi (v. infra;cfr. Regenbogen, 1940: coll. 1407-1408; Sassi, 1993: p. 458).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 171

e non Atene, per l’indulgere al meraviglioso di cui tutto il libro e pervaso: un gustoche e considerato improprio per la cultura greca classica, lucidamente razionalista, ecaratteristico, piuttosto, dell’ambiente ellenistico.

Di fronte al consensus di tanti studiosi, non mi resta che riferire i passi del Demirabilibus auscultationibus relativi ai metalli traendoli dall’edizione critica piu recente(Giannini, 1965: pp. 222-313), ma riportandoli nell’unica traduzione a me nota initaliano (Vanotti, 1997). Voglio prima sottolineare, pero, che, a mio parere, vi e unvincolo storico che suggerisce di riportarne la compilazione verso la data piu antica eforse anche a una data ancor piu prossima a quella di redazione del De metallis rispetto aquella che i filologi mostrano di preferire su basi puramente stilistiche (53). E infatti noto(Strabone, Geographica, XIII,1.54, in Fortenbaugh et al., 1992: I, pp. 90-93) che nessunperipatetico ebbe accesso, almeno ad Atene, agli scritti didattici di mano di Aristotele edi Teofrasto nel periodo che va dalla morte di quest’ultimo (287 a.C.), quando il suonipote ed erede testamentario Neleo, furioso per non essere stato nominato scolarca, liasporto dal Liceo tornando a Scepsi, fino a quando Apellicone da Teo li riporto ad Atene(ca. 100 a.C., e comunque prima dell’86) dopo averli acquistati, danneggiati dall’acquae dai topi, dai lontani eredi di Neleo, discendenti di quelli che li avevano nascosti in unsotterraneo per evitare di doverli cedere forzosamente a Eumene II di Pergamo che volevaarricchirne la sua biblioteca (ca. 195 a.C.). Parrebbe, quindi, che per la sua redazionedel De mirabilibus auscultationibus lo pseudo-Aristotele (chiunque esso sia) abbia dovutobasarsi o su materiale di Teofrasto che aveva a disposizione (quindi quando il maestro erain vita) oppure su ricordi e appunti piu o meno precisi presi alle lezioni. Questi appunticertamente esistettero (54), perche Teofrasto arrivo ad avere circa duemila allievi (DiogeneLaerzio, Vitae philosophorum, 5.37, in Sollenberger, 1985: p. 23). Furono probabilmentequesti gli scritti che, assieme a quelli essoterici di Aristotele, Demetrio Falereo porto conse ad Alessandria ad arricchire la Biblioteca fondata da Tolomeo I Sotere. Ne consegueche l’opera dovrebbe essere stata compilata dopo il 307 (anno in cui Demetrio fuggı daAtene per rifugiarsi in Egitto) e prima del 250 a.C., se ne e autore un discepolo direttodi Teofrasto attivo ad Alessandria. Una data posteriore e ammissibile solo se si ritieneche rimasero a lungo in circolazione altri appunti trascritti con un discutibile grado diaccuratezza.

(53) Questo, naturalmente, per la sola parte che si ritiene venga ripresa da Teofrasto. Esistono nel-l’opera passi che derivano da Posidonio (Flashar, 1972: p. 46) e forse anche da Strabone. L’operetta,quindi, potrebbe aver subito interpolazioni e rielaborazioni fino in eta imperiale. E questa anche l’epocain cui comincia ad esser data per sicura la sua composizione da parte di Aristotele (Ateneo, DeipnosophistaeXII.541a).

(54) Canfora (1990: p. 450) osserva – a mio avviso giustamente – che nel Liceo dovevano certamenteesistere copie dei testi di Teofrasto e di Aristotele e che i libri asportati da Neleo devono essere intesi come glioriginali, preziosissimi poiche postillati e modificati dai due maestri fino all’ultimo stadio di evoluzione delloro pensiero, ma di fatto solo parzialmente aggiornati rispetto ad edizioni precedenti che potevano esserestate copiate o compilate dagli allievi. L’eclisse del Peripato per due secoli (dal 287 al 84 a.C.) ha, quindi,altre cause del solo trasporto degli originali a Scepsi ad opera di Neleo: la filosofia ellenistica si era «fattaun’idea del pensiero di Aristotele essenzialmente sulla base dei dialoghi [essoterici] e, ovviamente, sulla basedella letteratura secondaria, di scuola, che ne rispondeva il pensiero» (Canfora, 1990: p. 451).

172 a. mottana

Questa incertezza sul reale valore del materiale didattico a disposizione e stata uti-lizzata come una delle possibili cause atte a spiegare il grave calo di influenza cui andoincontro lo stesso Aristotele per un paio di secoli, fino alle edizioni delle sue opereacroamatiche ritrovate a Scepsi (Moraux, 1973). Queste edizioni furono curate primaad Atene (maldestramente) da Apellicone da Teo che le aveva recuperate, e poi a Roma(un po’ meglio, ma ancora con molti difetti) da Tirannione di Amiso (ca. 80 a.C.)che le aveva avute in affidamento da Silla che se ne era impossessato come bottino diguerra (85 a.C.). Entrambi, pero, non furono sempre in grado di distinguere tra cioche era stato scritto da Aristotele e cio che era invece di Teofrasto (Lord, 1986: p. 149;cfr. Gottschalk, 1987), quindi, da quel momento in poi, comincio l’uso di considerare idue pensatori sempre insieme, anzi di fare di Teofrasto il primo e piu sicuro interpretedel pensiero di Aristotele. Tutte le successive testimonianze greche di cui disponiamosi rifanno, ora, all’edizione definitiva curata dal filosofo Andronico da Rodi, forse tral’80 e il 60 oppure tra il 40 e il 20 a.C. (Gigon, 1959: p. 144 (55); cfr. Moraux, 1973:I, pp. 46-50). E infatti Andronico che ha messo ordine e ripartito in modo razionale«riunendo tra loro gli argomenti affini» non solo tutta l’opera di Teofrasto, ma anche– qui soprattutto sta il suo merito – quella di Aristotele (Porfirio, Vita Plotini, 24, inFaggin, 1992: p. 41).

Dal De mirabilibus auscultationibus, dunque, si ricavano questi riferimenti ai me-talli (56):

9.1. — Peri FilippouV touV ’en MakedoniÅ eÿinai legousi metalla,’ex œwn ta ’ekballomena ’aposurmata a ’uxanesqai fasi kai fueincrusion, kai tout’ eÿinai faneron.

9.1. — Raccontano che presso Filippi in Macedonia vi siano delle miniere, dalle qualivengono estratte scorie che dicono aumentino di grandezza e producano oro, e che cio evisibile (cap. 42).

9.2. — Fasi de kai ’en KuprÉ peri ton kaloumenon Turriancalkon “omoion gignesqai. katakoyanteV gar, ‘wV ”eoiken, e’iVmikra speirousin a ’uton˙ eÿiq’ ‘udatwn ’epigenomenwn a ’uxanetai kai’exanihsi kai o“utwV sunagetai.

9.2. — Dicono che anche a Cipro presso la citta chiamata Tirria esista un bronzo

(55) La datazione «bassa» mi sembra la piu accettabile, sulla base degli argomenti sostenuti dal Gigon.Nel caso di una datazione «alta» (ca. 70 a.C.), Andronico pote lavorare direttamente sugli originali ottenutiin prestito da Tirannione; nell’altro caso, egli dovette lavorare su copie, perche e accertato che gli originalifurono spostati da Roma a Pozzuoli per ordine di Fausto Silla prima della primavera del 55 a.C., quando liconsulto lı Cicerone (ad Atticum, IV, 9.1).

(56) La silloge di Fortenbaugh et al. (1992) non contiene alcun riferimento diretto al De mirabilibusauscultationibus, per il principio adottato dagli autori (p. 6) di riportare solo i passi in cui viene espressa-mente fatta menzione di Teofrasto. Invece Halleux (1974: pp. 174-176) ne accetta e discute i frammentiriprendendoli dal Rose (1967). Io seguiro l’esempio suo e degli altri autori citati, facendo pero riferimentoal Giannini (1965) e riportando la traduzione della Vanotti (1997). Omettero, inoltre, i capp. 59 e 60 che,se anche sono teofrastei, non fanno riferimento ai metalli.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 173

[chalkos ] (57) con analoghe caratteristiche. Infatti, a quanto pare, dopo averlo tagliatoin piccole parti, lo seminano, poi lo cospargono di acqua e allora aumenta, si accresce ecosı viene raccolto (cap. 43).

9.3. — Fasi de kai ’en MhlÉ tÑ nhsÉ ’en to iV ’exorussomenoiV topoiVthV ghV palin ’anaplhrwmata gignesqai.

9.3. — Dicono che anche nell’isola di Milo, in luoghi che sono stati scavati, la terra tornidi nuovo a riempirsi (cap. 44).

9.4. — a) Peri Paionian legousin, “otan sunece iV ”ombroi genwntai,e‘uriskesqai perithkomenhV thV ghV cruson ton kaloumenon”apuron.b) Legousi d’ ’en tÑ PaioniÅ o“utw crusizein thn ghn, “wste pollouVe‘urhkenai kai ‘uper mnan crusiou ‘olkhn. tÉ de basile i fasine‘urontaV ’anenegke in duo bwlouV, ton men tre iV mnaV ”agonta, tonde pente˙ o“uV fasin ’epi thV trapezhV a ’utÉ parake isqai, kai ’ep’’ekeinwn prwton, e”i ti ’esqiei, ’aparcesqai.

9.4. — a) Dicono che in Peonia, quando ci sono piogge continue, sia possibile trovarenella terra melmosa dell’oro chiamato apiro [apyron ]. b) Aggiungono che in Peonia la terrasia cosı ricca di oro che molti riescono a trovare delle pepite piu pesanti di una mina (58).Dicono che avendole trovate ne portarono al re due zolle, l’una del peso di tre mine, l’altradi cinque. Esse si trovano sulla sua tavola e, se si mangia, innanzi tutto si fanno libagionisu quelle (cap. 45).

9.5. — 1. Fasi de kai ’en BaktroiV ton ÿWxon potamon katafereinbwlia crusiou plhrh. 2. polla kai ’en ’IbhriÅ de ton kaloumenonQeodwron potamon ’ekbrassein te polu peri ta ceilh crusion[‘omoiwV de kai kataferein].

9.5. — 1. Dicono che nella terra dei Battri il fiume Oxo trasporti zolle piene di oro. 2.Anche il fiume chiamato Teodoro in Iberia ne deposita molte, insieme a molti pezzi di oro,sulle sponde (cap. 46).

9.6. — Legousi de kai ’en PieriÅ thV MakedoniaV ”ashmon ticrusion katorwrugmenon ‘upo twn ’arcaiwn basilewn, casmatwntettarwn ”ontwn, ’ex ‘enoV a ’utwn ’anafunai [crusion] to megeqoVspiqamia ion.

9.6. — Dicono che anche in Pieria di Macedonia fu seppellito dagli antichi re dell’orogreggio in quattro voragini, da una di queste venne alla luce oro grande una spanna (cap. 47).

9.7. — 1. Legetai de ’idiwtathn eÿinai genesin sidhrou tou Calu-bikou kai tou ’Amishnou. sumfuetai gar, “wV ge legousin, ’ek thV”ammou kataferomenhV ’ek twn potamwn. tauthn d’ o‘i men ‘aplwVfasi plunantaV kamineuein, o‘i de thn ‘upostasin thn genomenhn’ek thV plusewV pollakiV pluqe isan sugkaiein, paremballein de

(57) Ho ritenuto opportuno inserire in questo testo alcune delle parole greche perche non concordo concerte scelte nelle traduzioni (Vanotti, 1997: pp. 17-25). Ad esempio, nell’uso di rame rispetto a bronzo,oppure di solfato di rame per un non meglio specificato «fiore». Mi riservo di ritornare sull’argomento insede di discussione, dove tutte le testimonianze saranno messe a confronto tra loro.

(58) Una mina attica del III sec. a.C. corrispondeva a 436,6 g.

174 a. mottana

ton purimacon kaloumenon liqon – eÿinai d’ ’en tÑ cwrÅ polun –2. oœutoV d’ ‘o sidhroV polu twn ”allwn ginetai kalliwn. e’i de mh’en miÅ kaminÉ ’ekkaieto, o ’uden ”an, ‘wV ”eoike, diefere t ’arguriou.monon de fasin a ’uton ’aniwton eÿinai, o ’u polun de ginesqai.

9.7. — 1. Si dice che sia molto singolare la produzione di ferro dei Calibi e degli Amiseni.A quanto dicono, infatti, esso si trova mescolato alla sabbia trasportata dai fiumi. Gli uniaffermano semplicemente che dopo averla risciacquata la lavorano alla fornace. Gli altriinvece sostengono che bruciano quello che resta dopo il lavaggio avendo piu volte immersola sabbia a bagno, e che ad essa uniscono una pietra chiamata purimaco [pyrimachon ] chesi trova in abbondanza nel territorio circostante. 2. Questo ferro e di gran lunga miglioredegli altri. Se non fosse bruciato in un’unica fornace, a quanto pare, non differirebbe perniente dall’argento. Dicono che solo esso non arrugginisce, ma non ve n’e molto (cap. 48).

9.8. — Fasi de kai ’en ’Indo iV ton calkon o“utwV eÿinai lampronkai kaqaron kai ’aniwton, “wste mh diaginwskesqai tÑ croÅ proVton cruson, ’all’ ’en to iV Dareiou pothrioiV batiakaV eÿinai tinaVkaphlouV, “aV, e’i mh tÑ ’osmÑ, ”allwV ÿhn diagnwnai poteron e’isicalkai –h crusai.

9.8. — Dicono che anche presso gli Indi il bronzo sia cosı luccicante, puro e inossidabileche non si puo distinguere per colore dall’oro; tra i bicchieri di Dario vi sono alcuni caliciin metallo vile, che in nessun altro modo si puo riconoscere se siano in bronzo o in oro, senon per l’odore (cap. 49).

9.9. — Ton kassiteron ton Keltikon thkesqai fasi polu tacionmolubdou. shme ion de thV e ’uthxiaV, “oti thkesqai doke i kai ’entÉ “udati˙ crwzei goun, ‘wV ”eoike, tacu. thketai de kai ’en to iVyucesin, “otan genhtai pagh, ’egkatakleiomenou ’entoV, “wV fasi,kai sunwqoumenou tou qermou tou ’enuparcontoV a ’utÉ dia thn’asqeneian.

9.9. — Dicono che lo stagno celtico si liquefaccia molto piu velocemente del piombo.Segno della buona liquefazione e che, a quanto sembra, si scioglie anche nell’acqua. Sicolora anche, a quanto pare, rapidamente. Si liquefa anche a freddo, quando sopravvieneil gelo, poiche rimane racchiuso all’interno, come dicono, e compresso il calore in essoesistente, per malleabilita (cap. 50).

9.10. — 1. DhmonhsoV ‘h Kalkhdoniwn nhsoV ’apo Dhmonhsoutou prwtou ’ergasamenou thn ’epwnumian e”ilhfen˙ ”ecei d’ ‘o topoVkuanou to metallon kai crusokollhV. tauthV d’ ‘h kallisthproV crusion e‘uriskei timhn˙ kai gar farmakon ’ofqalmwn ’estin.2. ”esti de a ’utoqi calkoV kolumbhthV ’en duo in ’orguia iV thVqalasshV˙ “oqen ‘o ’en Sikuwni ’estin ’andriaV ’en tÉ ’arcaiÉneÉ tou ’ApollwnoV kai ’en FeneÉ o‘i ’oreicalkoi kaloumenoi.’epigegraptai d’ a ’uto iV «’HraklhV ’AmfitruwnoV ÿHlin ‘elwn’aneqhken»˙. a‘ire i de thn ÿHlin, ‘hgoumenhV kata crhsmon gu-naikoV, œhV ton patera A ’ugeian ’apekteinen. 3. o‘i de ton calcon’oruttonteV ’oxuderkestatoi ginontai kai o‘i blefaridaV mh ”econteVfuousi˙ paro kai o‘i ’iatroi tÉ ”anqei tou calkou kai tÑ tefrÅtÑ FrugiÅ crwntai proV touV ’ofqalmouV.

9.10. — 1. Demoneso isola dei Calcedoni prese il nome da Demoneso, che fu il primoa coltivarla. Il luogo ha una miniera di lapislazzuli [kyanos ] e di malachite [chrysokolle ].La migliore di questa ha lo stesso valore dell’oro. E infatti e un farmaco per gli occhi. 2.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 175

Qui si trova rame sommerso per due braccia di mare. Di questo rame c’e una statua aSicione nel vecchio tempio di Apollo e un’altra a Feneo, entrambe sono chiamate oricalche[oreıchalkoi ]. Su di esse vi e un’iscrizione: «Innalzo Eracle, figlio di Anfitrione dopo avercatturato l’Elide». : : : 3. Quelli che estraggono il rame sono molto acuti di vista e a quelliche non le hanno crescono le ciglia. Percio i medici si servono del solfato di rame [anthostou chalkou ] e della cenere frigia per curare gli occhi (cap. 58).

9.11. — Qaumaston de ti fasin ’en ’Indo iV peri ton ’eke i molubdonsumbainein˙ “otan gar takeiV e’iV “udwr katacuq Ñ yucron, ’ekphdan’ek tou “udatoV.

9.11. — Dicono che qualcosa di mirabile accada presso gli Indi al piombo locale. Quandoinfatti viene immerso liquefatto nell’acqua fredda, risale a galla dall’acqua (cap. 61).

9.12. — 1. Fasi ton Mossunoikon calkon lamprotaton kaileukotaton eÿinai, o ’u paramignumenou a ’utÉ kassiterou, ’alla ghVtinoV a ’utou ginomenhV kai suneyomenhV a ’utÉ. 2. legousi de tone‘uronta thn krasin mhdena didaxai˙ dio ta progegonota ’en to iVtopoiV calkwmata diafora, ta d’ ’epigignomena o ’uketi.

9.12. — 1. Dicono che il rame [chalkos ] dei Mossineci sia estremamente risplendente ebianco, non perche gli si unisce lo stagno, ma perche gli si unisce la terra stessa di estrazione.2. Raccontano che colui che ha scoperto la mescolanza non l’ha insegnata a nessuno; perciogli utensili in rame prodotti in quei luoghi piu anticamente risultano diversi, i successivinon piu (cap. 62).

Riporto, inoltre, un capitolo che gli autori sopra citati non considerano derivatodal De metallis, ma che, per affinita con una testimonianza di Plinio sulla soda (Nat.Hist., XXXI.106), e – a mio parere – di Teofrasto. Esso riguarda un tipico infortuniominerario e si trova intercalato ai passi che gli autori hanno riferito al De metallis.Se anche dovesse apparire che e tratto da un’altra opera teofrastea (forse il De aquis ),per il suo contenuto e per la sua posizione nel De mirabilibus auscultationibus vienea rappresentare un fortissimo sostegno all’attribuzione a Teofrasto dei passi limitrofi aquesto, che sono proprio quelli che stati riferiti al suo De metallis.

9.13. — ’En to iV peri Ludian metalloiV to iV peri Pergamon, “adh kai Kro isoV e’irgasato, polemou tinoV genomenou katefugono‘i ’ergazomenoi ’ep’ a ’uta, tou de stomiou ’epoikodomhqentoV’apepnighsan˙ kai “usteron cronÉ pollÉ twn metallwn ’anakaqar-qentwn e‘ureqh oœiV ’ecrwnto ’aggeioiV proV taV ’upo ce ira creiaV’apoleliqwmena, oœion ’amfore iV kai ta toioutotropa. tauta dh,peplhrwmena oœu tinoV ”etucon ‘ugrou, ’eleliqwto, kai proseti ta’osta twn ’anqrwpwn.

9.13. — Nelle miniere di Lidia, presso Pergamo, che erano gia state sfruttate da Creso,scoppiata una guerra, si erano rifugiati dei minatori; ma, ostruitasi l’apertura, essi morironosoffocati e dopo molto tempo, quando furono ripulite le miniere, furono trovati i recipientidi cui i minatori si servivano per le necessita consuete completamente pietrificati, qualianfore e altri contenitori simili. Erano pietrificate anche quelle riempite di qualsivoglialiquido, e cosı pure le ossa degli uomini (cap. 52).

176 a. mottana

Il confronto tra i passi relativi ai metalli contenuti nel De mirabilibus auscultationibuse nel De lapidibus conferma la pressoche unanime opinione dei commentatori modernisulla loro derivazione teofrastea, che e basata non tanto su argomenti stilistici quantopiuttosto di contenuto: tra questi passi ve ne sono molti di piu e molto piu vari di quelliriferiti ai metalli specificamente riportati or ora (per esempio vi sono vari riferimentibotanici). Per i metalli, in particolare, gia lo Schmidt (1858-68: IV, 1864, pp. 5, 172,in Halleux, 1974: p. 177, n. 29) aveva attirato l’attenzione sul fatto che il De mirabilibusauscultationibus contiene alcuni termini tecnici che non trovano altro riscontro che inTeofrasto e che cosı ci sono stati poi trasmessi da Esichio (v. infra ).

Rimane pero il fatto che, a parte l’indubbia derivazione teofrastea del soggetto trat-tato, non e certo che i passi relativi ai metalli del De mirabilibus auscultationibus proven-gano proprio dal De metallis, come vorrebbero tanti autori dal Rose in poi. Questi passi,infatti, hanno un carattere aneddotico e, per di piu, sono riportati isolati da qualsiasicontesto. Potrebbero, quindi, derivare da aneddoti riferiti in altri trattati di Teofrasto,cosı come abbiamo visto per certi passi che sono contenuti tanto nel De lapidibus quantoaltrove. Tuttavia, se pure questi passi non sono atti a documentarci sul contenuto esullo sviluppo del De metallis, sono, ad ogni modo, utili ad illuminarci sul pensiero diTeofrasto. In particolare, trova in essi conferma la sua costante disposizione a separarenettamente cio che egli conosce per esperienza diretta e cio che riferisce per sentito dire:della qualita migliore di stagno allora conosciuta, infatti, sono ribadite senza esitazione letre proprieta gia affermate in 5.1 e cioe di liquefarsi piu velocemente del piombo (il cuipunto di fusione e 327 ◦C, che e ben di piu dei 232 ◦C dello stagno), di degenerarsia bassa temperatura (cfr. discussione a p. 158) e di entrare facilmente in lega con altrimetalli assumendone il colore (cfr. 1), mentre solo con una precisazione cautelativa («aquanto sembra») e affermato che si scioglie in acqua: cosa, appunto, non vera. Ana-logamente falsa, ma purtroppo priva di alcuna precisazione cautelativa, e l’affermazioneche in India esiste un piombo che galleggia sull’acqua.

Le successive testimonianze della tradizione manoscritta greca pervenuteci con unaprecisa attribuzione al De metallis sono tutte contenute nelle opere dei commentatoridi Aristotele, per l’invalsa consuetudine, appunto, di considerare Aristotele e Teofrastosempre insieme.

10. La piu antica di tutte queste testimonianze (59) si deve a Plutarco da Cheronea(ca. 46 - ca. 125 AD). Scritta all’inizio del II sec. dell’impero (ca. 100 AD), essa recita(De primo frigido, 16 952A-B, in Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 174, pp. 336-337):

10. — ’en de to iV dusceimeroiV klimasi polla ‘rhgnuei toyucoV ’agge ia kai calka kai keramea˙ kenon d’ o ’uden ’allapanta plhrh, biazomenou tÑ yucrothti tou “udatoV. kaitoi fhsiQeofrastoV ton ’aera ‘rhgnunai ta ’agge ia tÉ ‘ugrÉ kaqaper “hlÉcrwmenon˙ “ora de mh touto komywV mallon ”h ’alhqwV e’irhmenon

(59) In realta ne esiste una un po’ piu antica (Dioscoride, Materia medica, V.83), ma si riferisce ad unsoggetto del De lapidibus (pietra pomice) in cui non si fa alcun riferimento a metalli.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 177

ÿÑ˙ ”edei gar ta pitthV gemonta mallon ’rhgnusqai ‘upo tou ’aeroVkai ta galaktoV.

10. — Nelle regioni in cui gli inverni sono duri il freddo rompe molti vasi, tanto dibronzo quanto di terracotta – nessuno quando e vuoto, ma solo quelli pieni, poiche l’acquaesercita una forza per mezzo della freddezza. Tuttavia, Teofrasto dice che e l’aria cherompe i vasi, usando l’umidita come se fosse un chiodo. Ma stai attento che questa nonsia un’affermazione ingegnosa, piuttosto che veritiera; perche, se fosse vera, vasi pieni dipece dovrebbero essere rotti dall’aria molto piu facilmente di quelli pieni di acqua, e anchequelli pieni di latte.

In questo libro («Sul principio del freddo») che, con altri due, rappresenta quantoci e rimasto di cio che egli ha scritto di storia naturale (60), Plutarco discute approfon-ditamente la natura del freddo e le sue proprieta per dimostrare che e un principioprimo, e non una conseguenza della mancanza di calore (cfr. Longo, 1992: p. 227).Per questo, non puo non osservare come il freddo possa, tra le altre sue azioni, ancherompere varie sostanze e cita ad esempio come il suo potere sia tale da rompere unvaso di bronzo, normalmente infrangibile. L’idea riferita a Teofrasto, che le particelle diacqua, gelate, rompano i materiali perche agiscono come se fossero aculei quando sonospinte dalla forza dell’aria (vento?), e degna di attenzione, non perche suggerisca che egliavesse conoscenze di pneumatica, ma perche lascia intendere che egli era a conoscenzadel fatto che un corpo in movimento rapido puo indurre su altri corpi effetti molto piuenergici di quando e applicato lentamente. A ben vedere, non si tratta altro se non diun’ingegnosa estrapolazione del ben noto colpo applicato con la mano chiusa a pugno,il cui effetto e ben piu efficace, se e portato con rapido gesto dall’intera distanza delbraccio, di quanto non sia quando e impresso lentamente e da vicino. Meno ingegnosae convincente e la critica che ne da Plutarco, che nel complesso del suo trattato discutetutta la fenomenologia senza troppe pretese teoriche, al livello delle cause immediate,cosı come aveva fatto quando aveva voluto sostenere che l’aggiunta di palline di piombonell’acqua la renderebbe piu fredda (Quaestiones conviviales, VI.5. 690f-691c, in Marianoe Tirelli, 1992: pp. 103-106). In entrambi i casi, pero, Plutarco dimostra di distaccarsidalla sua consueta astrazione filosofica di derivazione platonica e di prestare una certaattenzione alle dottrine peripatetiche, anche la dove il nome di Teofrasto non compare(cfr. Donini, 1992: pp. 110, 114). In effetti, il problema descritto da Plutarco si collegabene con quanto sappiamo delle idee di Teofrasto, anche se non figura tra i suoi fram-menti e ci e ignoto il testo in cui egli avrebbe sviluppato la teoria dell’umidita (per altroda lui gia usata per spiegare la migrazione del calore nella tempra del ferro: v. supra, 2)come mezzo di penetrazione del freddo. Quindi, il valore di questa testimonianza restadubbio: essa puo sı essere riferita al De metallis, ma e possibile che derivi da qualchealtra opera, o forse da piu di una. Vi sono, anzi, argomenti validi per indicare che unapossibile fonte della teoria sia un altro trattato teofrasteo che non ci e pervenuto, ma

(60) Nel cosiddetto «catalogo di Lampria» (una compilazione di 227 titoli di opere di Plutarco eseguitaprobabilmente nel XIV sec. AD, di cui sono conservate 80 e i frammenti di altre 18), questo testo figuracol numero 61.

178 a. mottana

che figura nel catalogo di Diogene Laerzio, come ad esempio quello «Sul caldo e sulfreddo» (cfr. Sollenberger, 1985: pp. 20-21), testimoniatoci anche da Galeno. Plutarco,di sicuro, conosceva bene varie opere di Teofrasto, come dimostrano, tra l’altro, alcunesue operette in cui e elaborata in forma estesa una qualche macchietta presentata neiCharacteres (e.g., Lukinovich e Rousset, 1991).

11. Piu specifica e un’altra testimonianza, alquanto posteriore, di Alessandro diAfrodisia, che e uno tra i massimi commentatori greci di Aristotele (Sharples, 1990:p. 83) e insegno ad Atene tra il 198 e il 211 AD. Nel terzo libro del suo commentoall’opera meteorologica (61) (In Aristotelis meteorologicorum libros commentaria, 3.6 378b5-6, in Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 197A, pp. 366-367) egli riporta quanto segue:

11. — e’ipwn de tauta kaqolou men fhsi kai koinwV e’irhsqaiperi a ’utwn twn te ’oruktwn kai twn metalleutwn, tiV te a ’utwn‘h diafora kai poqen ’h genesiV kai pou˙ ’idiÅ de de in fhsin“ekaston twn e’irhmenwn genwn proceirizomenouV ta o’ike ia a ’uto iV’episkope in. peri œwn QeofrastoV pepragmateutai ”en te tÉ Peritwn metalleuomenwn kai ’en ”alloiV tisin [peri twn thktwn].

11. — Dopo aver detto queste cose, [Aristotele] dice che egli ha parlato in generale e inuna forma universale sia delle cose che sono scavate dalle cave sia di quelle che sono estrattedalle miniere – in che cosa consista la differenza tra loro e da dove e come esse traggonoorigine. Ed egli dice che bisogna che ognuna delle cose che sono state menzionate vengatrattata separatamente, e che ne vengano considerate le proprieta particolari. Teofrasto hatrattato queste cose nel suo «Sulle cose che vengono estratte dalle miniere» e in certi altri[trattati attorno alle cose fuse].

Questa testimonianza ha un duplice significato: (i) attribuisce ad Aristotele la for-mulazione della teoria generale sull’origine dei metalli e delle pietre (e cio appare chia-ramente confermato dal passo dei Meteorologica riportato a riferimento, di cui abbiamoil testo originale) ed inoltre l’impostazione del modo di trattarne l’esame e le partico-larita individuali; (ii) indica che si deve a Teofrasto l’attuazione pratica del programmascientifico delineato da Aristotele e segnala il testo in cui egli ha assolto questo suocompito. Che poi il titolo di esso sia quasi identico a quello al quale Teofrasto stessofa riferimento nel De lapidibus (I.1) e, viceversa, differente da quello che riportera piutardi Diogene Laerzio nel suo elenco, non ha importanza alcuna: forse Alessandro citavaa memoria o forse la titolazione delle numerose opere prodotte nell’ambito del Peripatoalla sua epoca non era ancora pienamente assestata. Tuttavia, e indicativo dell’atten-zione con cui Alessandro svolse il suo lavoro di commentatore il fatto che si sia accortocome Teofrasto abbia contribuito al programma generale sui metalli e sulle pietre volutoda Aristotele non solo in quel particolare testo, ma anche «in certi altri [trattati] (62) ».

(61) Il numero di commentatori antichi e medievali ai Meteorologica (detti Meteora da alcuni) e elevatis-simo: Baffioni (1981: pp. 412-430) ne cita almeno cento, e probabilmente e in difetto.

(62) Per quanto il testo di Alessandro sia qui incompleto, una testimonianza posteriore di Gennadio(v. infra ) lascia pensare che si tratti del «Sulla solidificazione e la liquefazione» citato da Diogene Laerzio(v. supra ).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 179

Questo riconoscimento, precoce e del tutto indipendente, dell’approccio basato su rife-rimenti incrociati, da me seguito in questo studio, me ne conferma l’intrinseca validita:continuero percio a mettere in discussione tutti i brani relativi ai metalli contenuti neidiversi opuscoli e nelle testimonianze e cerchero di ricostruire il pensiero di Teofrasto apartire da tutti loro, per poi estrapolare le linee essenziali di quello che poteva essere ilcontenuto del perduto De metallis.

12. Immediatamente successiva e la fondamentale testimonianza di Diogene Laer-zio, biografo e scrittore di ignota origine fiorito nella prima meta del III sec. AD,probabilmente a Roma (Gigante, 1986). Le sue Vitae philosophorum in 10 libri sonoautorevolissime e, in particolare, la sua Vita Theophrasti (5.36-57, ora in edizione criticaa cura di M.G. Sollenberger, 1985: pp. 1-62; rist. con trad. ingl. in Fortenbaugh etal., 1992: I, pp. 21-46) e quanto di piu completo abbiamo sul nostro autore, di cuiriporta l’elenco delle opere e il testamento, con una serie di dettagli tali da indurre adescludere non solo che si tratti di sue invenzioni, ma che egli riporti dati compilatida altri (ma v. nota 5) e che non abbia direttamente visto egli stesso cio che afferma.Purtroppo, l’intera opera contiene un solo brevissimo riferimento ai metalli (una riga discrittura) ed e il titolo stesso del trattato, con la sua struttura:

12. — Peri metallwn a′b′

12. — De metallis, primo [e] secondo [libro].

13. Lo storico Olimpiodoro da Tebe di Egitto, che visito Atene nel 415 ed era giamorto nel 433 AD, in un suo commento (In Aristotelis meteora commentaria, 1.1 338a20,in Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 197C, pp. 368-369) cita:

13.1. — ’epei de twn ‘omoiomerwn sunqetwn ’emnhsqhmen, crh mene’idenai, “oti twn sunqetwn ta men ‘omoiomerh, ta de ’anomoiomerh.kai ‘ekateron toutwn tritton ’esti˙ sunqeta ‘omoiomerh ”ayuca,“aper didaskei ’en tÉ perati tou tritou logou thV paroushV prag-mateiaV kai ’en tÑ monobiblÉ Peri metallwn ’epigegrammenÑ.

13.1. — E dato che abbiamo ricordato le cose composte omogenee, bisogna anche sapereche delle cose composte alcune sono omogenee e altre eterogenee. E che ciascuna di questee triplice. [Alcune sono] composte, omogenee, prive di vita, quelle appunto che [egli]insegna nella [sezione] finale del terzo trattato della presente ricerca e nell’opera scritta inun solo libro sui metalli.

ma lo considera di Aristotele e anzi l’associa al terzo libro dei Meteorologica, che indiscu-tibilmente furono scritti da lui (v. supra ). Nello stesso commento, piu oltre (3.6 377a29, in Sollenberger, 1985: p. 24, nota 143), egli afferma anche che Teofrasto avevascritto:

13.2. — peri ‘ekastou metallou

13.2. — a proposito di ciascun metallo.

180 a. mottana

In altre parole, mentre assegna ad Aristotele la formulazione del trattato fondamen-tale, Olimpiodoro attribuisce a Teofrasto di averne sviluppato i particolari in formasistematica. Si noti che con Olimpiodoro inizia la trasformazione del significato dimetallon da luogo di estrazione di minerali metalliferi a metallo vero e proprio: que-sto cambiamento sara finalmente completo all’inizio dell’epoca bizantina (Halleux, 1974:pp. 50-51). Con lui inizia, anche, la serie di coloro che, non disponendo piu di edizionicomplete, tendono non tanto ad associare, quanto piuttosto a confondere (letteralmente)i contributi scientifici di Teofrasto con quelli di Aristotele, senza pero riconoscere quantosi debba effettivamente all’uno e quanto all’altro. Questi testimoni hanno prolungatol’interesse degli uomini di cultura per Teofrasto garantendone cosı la fama e la soprav-vivenza, ma ne hanno svilito il contributo alla Scienza.

14. Questo e il caso di Giovanni Filopono, grammatico, filosofo e teologo monofisitadi Alessandria di Egitto (nato poco prima del 500 e morto dopo il 567 AD, Verrycken,1990: pp. 244-254). Egli cita in due diverse sue opere il De metallis, pero con lo stessotitolo gia usato da Olimpiodoro:

14. — pragmateian peri metalleutwn

14. — trattato sui metalli [oppure: sulle miniere]

e attribuendolo, come lui, non a Teofrasto, ma ad Aristotele (In Aristotelis De gene-ratione et corruptione commentaria 1, prooemium; In Aristotelis Physica commentaria 1,prooemium, in Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 197C, pp. 368-369).

15. Per il filosofo neoplatonico Simplicio della Cilicia, che insegno ad Atene primache un decreto di Giustiniano nel 529 AD impedisse a tutti i filosofi non cristiani diinsegnare in pubblico, e che fu costretto ad emigrare, ma, dopo un breve soggiorno inPersia, torno ad Atene come docente privato e come commentatore, sopravvivendo finoal 580 ca. (Hadot, 1987), il De metallis non e niente piu che un nome. Egli lo cita inrelazione a due opere fisiche di Aristotele (In Aristotelis De caelo commentaria 1, prooe-mium; In Aristotelis Physica commentaria 1, prooemium, in Fortenbaugh et al., 1992: I,n. 197B, pp. 368-369), considerandolo come uno scritto di quest’ultimo specificamentededicato a cose inanimate e trascurando completamente Teofrasto. Simplicio ha il grandemerito culturale di averci tramandato numerosi passi di filosofi (soprattutto presocratici),ma questo suo comportamento ha fatto sorgere in alcuni esegeti moderni il sospetto cheegli abbia saccheggiato le Physikai doxai (63) di Teofrasto o altre opere dossografiche dicompilazione che a queste si rifacevano (cfr. Torraca, 1961: pp. 259-280) e abbia vo-lutamente eluso di citarne il nome per salvaguardare la propria reputazione di erudito.

15. — Peri twn metallwn

15. — sui metalli.

(63) Su quest’opera di Teofrasto e sul suo significato per la storia della cultura greca, v. infra.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 181

16. Dopo un lunghissimo periodo privo di testimonianze, il nome di Teofrastoe ripreso da Gennadio II (Giorgio Kourtesios, nato nel 1400 ca. e morto nel 1468oppure, secondo altri nato nel 1405 e morto nel 1472), che fu prima un funzionariobizantino e divenne patriarca di Costantinopoli per volonta di Maometto II a partire dalgiorno successivo alla presa della citta e complessivamente tre volte (1454-56, 1462-63e 1464-65). Come tale, egli fu uno strenuo difensore dell’Ortodossia, mentre primaaveva partecipato agli incontri di Firenze durante i quali fu stabilita l’unione tra lechiese latina e greca (1439). Nel suo commento In Aristotelis Meteorologica, 3.6 378b5-6 (cfr. Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 137.20a, p. 284), composto appunto in questoperiodo, quando ancora era un laico, ma aveva preso profonda dimestichezza con laScolastica e con le opere di San Tommaso d’Aquino, egli afferma che Aristotele e nonTeofrasto avrebbe scritto un:

16. — twn genhtwn kai fqartwn ta men ’en to iV metewroiV dia twnMetewrologikwn paradedwken, twn de ’en gÑ sunqetwn ta men ’estin”emyuca, ta de ”ayuca. kai peri men twn ’ayucwn ta Peri metallwngegrammena didaskei.

16. — trattato sulle cose che sono estratte dalle miniere

riprendendo con una piccola variazione di termini la testimonianza di Alessandro diAfrodisia e in un modo tale da lasciar facilmente capire che era solo questa che egliconosceva, non l’originale.

Dalle opere dei commentatori di Aristotele si evince, dunque, che la notorieta delDe metallis perduro a lungo, ma non il testo (che era, forse, ancora leggibile in unaqualche biblioteca greca di Roma nel III sec., ma non lo era certamente piu nell’orientegreco nel V sec. AD, e neppure a Costantinopoli), ne la fama del suo autore che, anzi,con l’andar del tempo, perse sempre piu rilievo rispetto ad Aristotele, prima risultandoconfuso con lui e poi addirittura restandone obliterato, fin anche nelle opere botaniche.

Testimonianze di tutt’altro tipo, ma ugualmente valide al fine di mostrare una certapersistenza dell’opera di Teofrasto soprattutto ad Alessandria, dove continuava la grandetradizione di studi nella Biblioteca, si trovano nei lessici di alcuni eruditi di eta impe-riale. Si tratta per lo piu di spiegazioni di parole singole, le cui peculiarita e tecnicitafilologiche, pero, sono tali da assicurare che esse sono state estratte, almeno in una primabattuta, dal vaglio dell’opera originale.

17. Il lessico greco piu antico che ci e pervenuto e quello di Giulio Polluce daNaucrati (ca. 140-200 AD), prima precettore di Commodo a Roma e poi insegnantead Atene. Nel suo Onomasticon («Nomenclatore» (64) ), che e un estratto del ponderosolessico in 95 volumi di Panfilo di Alessandria (un grammatico vissuto a cavallo della metadel I sec. AD), l’intero libro VII (scritto tra il 173 e il 176 AD) riguarda l’artigianato edin particolare gli oggetti di metallo: il perı metallon vi e menzionato una volta (n. 99) e

(64) Lo cito non secondo l’edizione piu recente (Bethe, 1967), ma secondo gli estratti relativi ai richiamia Teofrasto riportati da Fortenbaugh et al. (1992).

182 a. mottana

qui Polluce si dichiara incerto se e stato scritto da Teofrasto o da Aristotele. Viene poicitato di nuovo piu oltre, al n. 149 del libro X, che e datato come di poco posterioreal 178 AD. Questa volta Teofrasto ne e citato espressamente come l’autore, mentreil riferimento e leggermente diverso: «nel metallico» («en to metallico »). Qui Polluceriferisce e spiega i nomi di due attrezzi propri dei minatori-metallurgi che operano nellosfruttamento dei minerali ferrosi (in Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 198, pp. 368-369;cfr. Rose, 1967: p. 207, fr. 261):

17.1-17.2. — metallewV skeuh qulakeV, periodoV, salax˙ kai qu-lakofore in men touV metalleaV o‘i kwmÉdoi legousin, periodonde kai salaka QeofrastoV ’en tÉ MetallikÉ, periodon men to’agge ion ÿÉ katakerannuousi ton sidhron, salaka de to twn me-tallewn koskinon.

17.1. — «perıodos » [e] il recipiente in cui essi mescolano il ferro

(probabilmente con il fondente, per poi scaldarlo e portarlo alla fusione), cioe il crogiolo;

17.2. — «salax » [e] il crivello dei minatori

(attraverso il quale vagliano il grezzo metallifero frantumato col martello, prima di passarealla selezione manuale dei frammenti piu ricchi (65) ).

Sono due apax esclusivi del gergo minerario e metallurgico ed e significativo cheper questi due termini tecnici Polluce debba riferirsi a uno scritto di quasi 500 anniprima, che egli non conosceva direttamente e di cui non sapeva esattamente dire chifosse l’autore. E chiaro che egli non aveva letto il libro, ma si rifaceva a Panfilo; non echiaro invece se cio sia dovuto al suo adeguarsi alla malsana prassi degli epitomatori dicopiare senza verificare, oppure se dipenda dal fatto che gia al suo tempo il libro nonera piu disponibile. L’assenza di sinonimi piu recenti ai quali Polluce abbia potuto fareriferimento indica, ad ogni modo, la decadenza che ebbe l’industria mineraria in Greciadopo che l’espansione macedone su tutto il Mediterraneo orientale aveva rese accessibilifonti di approvvigionamento piu ricche (66).

Polluce, inoltre, cita e spiega due altri termini inconsueti che si riferiscono alla qualitadel metallo (Onomasticon, VII.99, in Rose, 1967: p. 206, fr. 258):

17.3-17.4. — tou crusou to ”anqoV ’adamanta [ ’wnomazon] kai ton twn’arguriwn koniorton kercnon

17.3. — «adamas » [chiamano] il fiore dell’oro

cioe la sua parte migliore;

(65) Secondo altri, pero, la fonte di entrambi questi termini sarebbe Aristotele (fr. 261 Rose).(66) Nello stesso paragrafo X.149 Polluce ricorda, inoltre, che i minatori si contraddistinguono per il

loro «thulakophoreın » cioe «portare la sacca», ma attribuisce questo verbo ai commediografi (forse Aristofane;cfr. fr. 789 Koch) e non a Teofrasto. Lo stesso termine sara ripreso poi da Esichio e, ancor piu tardi, daFozio.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 183

17.4. — «kerchnos » [chiamano] la parte piu pura in argento

del materiale estratto dalla miniera.Il primo termine richiama indiscutibilmente lo «adamante» di Platone (Thimaeus,

59B), per altro travisandolo: la si trattava, infatti, del «nodo dell’oro, diventato durissimoe di color nero per la sua densita» (Mottana e Napolitano, 1997: p. 169), cioe di ferro odi una lega di ferro con platino (+ Rh + Os? cfr. Mottana e Napolitano, 1997: p. 179)che costituiva il residuo non utilizzabile di un processo di raffinazione dell’oro eseguitoa caldo. Il secondo termine comunemente sta a significare un’escrescenza, un grumo ingola, e da Ippocrate viene anche usato in senso traslato per indicare la raucedine nellavoce, ma doveva aver assunto un significato speciale nel gergo dei minatori, pur conuna certa distorsione nella forma (v. infra ).

18. Un poco piu tardo di Polluce e Valerio Arpocrazione di Alessandria, che fiorıdal 200 ca. AD fino ad un anno imprecisato ancora nel pieno della moda linguisticain favore dell’atticismo. Nel suo «Lessico dei dieci oratori (attici)» alla voce «kenchreon »egli mette a confronto gli usi che ne fanno Demostene nell’orazione contro Pantenetoe Teofrasto nel De metallis (in Rose, 1967: p. 206, fr. 258). Nel gergo dei minatori sichiama

18. — kegcrewn˙ DhmosqenhV ’en tÑ proV Pantaineton para-grafÑ˙ «k”apeit’ ”epeise touV o’iketaV touV ’emouV kaqezesqai e’iVton kegcrewna», ’anti tou e’iV to kaqaristhrion, “opou thn ’ek twnmetallwn kegcron dieyucon, ‘wV ‘uposhmainei QeofrastoV ’en tÉPeri metallwn.

18. — «kenchreon »: luogo di purificazione, la dove il granulato [estratto] dalle miniere [e]asciugato all’aria

cioe il piazzale in cui viene effettuata la cernita del tout-venant della miniera estraen-done (67) i frammenti minuti (kenchros = grano di miglio) piu ricchi in metallo (inFortenbaugh et al., 1992: I, n. 201, pp. 370-371 (68) ).

19. Riferimenti al De metallis non potevano certo mancare nella piu vasta compi-lazione lessicografica che ci ha tramandato l’antichita: il Lexicon («Lessico») di Esichiodi Alessandria (V sec. AD), che comprende oltre 500.000 vocaboli (69), anche se e soloun’epitome ricavata dalla compilazione di Diogeniano di Eraclea (II sec. AD), che a suavolta riprendeva, ma aveva drasticamente ridotto, l’immensa raccolta di Panfilo (v. su-pra ). Esichio menziona tre termini (s.v. ), facendo riferimento a un «en [to ] metallico »

(67) Un’estrazione che, ovviamente, era fatta a mano o al piu sul residuo del lavaggio e non perflottazione, come spiega Halleux (1974: p. 174), arbitrariamente estendendo all’antichita un metodo che estato introdotto alla fine del secolo scorso.

(68) Il testo di Arpocrazione usato da Fortenbaugh et al. (1992) e quello ottocentesco di W. Dindorf, mane e stata effettuata recentemente una riedizione migliorata (Keaney, 1991) alla quale preferisco attenermi.

(69) Questo ponderoso lessico e stato edito recentemente solo in parte (Latte, 1953-66), mentre per laseconda meta occorre appoggiarsi ancora sull’edizione ottocentesca a cura dello Schmidt (1858-68); e inquesta seconda parte (1861-62; 1864) che sono contenuti i vocaboli attribuiti a Teofrasto.

184 a. mottana

in ciascun caso e, per il primo di essi, citando anche per nome Teofrasto: percio nonvi e dubbio che, almeno per questo termine, si tratti del De metallis di questo autore enon del De metallicis di Stratone; per gli altri, vale il summenzionato caveat del Halleux(1974: p. 174), nonostante il parere favorevole dello Schmidt (v. supra ). Il primodi questi termini (Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 199, pp. 368-369; cfr. Rose, 1967:p. 205, fr. 255) e:

19.1. — prosfanh˙ QeofrastoV ’en MetallikÉ crusiou surroaV.

19.1. — «prosphane » : [e un] concentrato d’oro.

La spiegazione che ne da Esichio sarebbe da intendersi (Eichholz, 1965: p. 24, nota 2;Halleux, 1974: p. 174), che si tratta dell’agglomerato pesante che rimane sul fondodella batea al termine del lavaggio per decantazione, la dove confluiscono le particelled’oro disperse nella sabbia alluvionale. Il termine e messo in relazione da Rose (1967:p. 205) con il passo del De mirabilibus auscultationibus dello pseudo-Aristotele in cui sidescrivono le miniere d’oro macedoni (9.1 e 9.6) e si attribuisce all’oro in esse contenutodi aggregarsi e crescere fino a rendersi «phaneron » vale a dire visibile (Vanotti, 1997:p. 17; cfr. manifestum: Giannini, 1965: n. 42, pp. 238-239). Un termine molto simile(«prophane ») si ha nel De lapidibus (8.11), ma in questo caso e riferito al solo argento,perche ben visibile in un grezzo minerario in cui e presente anche oro, ma in formadisseminata e quindi non percettibile alla vista, ma recuperabile dopo il trattamento(Mottana e Napolitano, 1997: p. 163). Il significato effettivo del termine, quindi,appare dubbio a certi lessicografi moderni (cfr. Liddell et al., 1990: p. 1529).

Un altro termine tecnico che figura nell’opera (Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 202,pp. 370-371; cfr. Rose, 1967: p. 207, fr. 260) e:

19.2. — skarfwn˙ eÿidoV kaminou ’en tÉ MetallikÉ.

19.2. — «skarphon »: tipo di fornace.

Di che tipo si tratti, pero, non abbiamo alcuna indicazione. Liddell et al. (1990:p. 1605) non ritengono di riportare questo lemma, forse perche troppo raro.

E infine (Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 203, pp. 370-371; cfr. Rose, 1967: p. 208,fr. 262):

19.3. — suzwsma˙ ’en tÉ MetallikÉ ton ’ekreonta calkon.

19.3. — «syzosma »: il bronzo che fluisce fuori.

Si tratta, ovviamente, del bronzo che defluisce dal crogiolo, cioe allo stato fuso.Anche questo lemma non e riportato da Liddell et al. (1990: p. 1671).

La terminologia greca relativa alle arti mineraria e metallurgica e conosciuta tal-mente poco da rendere preziose persino queste poche testimonianze (cfr. Forbes, 1966:tav. XIII, pp. 202-204). Esse, certamente, non servono un gran che allo scopo di il-luminarci sul pensiero di Teofrasto: servono solo a confermare che il suo interesse per

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 185

gli argomenti tecnologici era tale da indurlo non solo a informarsi sulle tecniche fusoriedegli artisti e degli artigiani qualificati (cfr. Schnayder, 1962: p. 286), ma persino araccogliere il gergo dei minatori e dei fabbri. Da questo egli traeva termini spesso tal-mente poco comprensibili ai piu da indurre grammatici eruditi a darne una spiegazione.Non e improbabile che alcuni di questi termini siano semplici trasposizioni grecizzatedi parole usate da maestranze provenienti dall’Asia Minore o dalla Tracia, paesi noti perle loro miniere fin dalla lontana Preistoria (Forbes, 1993b: pp. 605-608; Detienne eVernant, 1999: pp. 206-207). Che molte delle parole della lingua greca potessero avereessere di derivazione straniera era, del resto, gia ben chiaro agli stessi pensatori greci piuilluminati (cfr. Platone, Cratilo, XXV, 410B).

20. La spiegazione del vocabolo «kenchreon » (s.v. ) come piazzale di cernita si ri-trova ancora nel «Lessico» scritto o nel 842 oppure nel 867 (non e ben chiaro) dalpatriarca Fozio (ca. 820-891 AD), senza pero che siano ricordati come fonte ne Teo-frasto ne, tanto meno, il De metallis. Evidentemente, all’epoca, neppure un bibliofilocome Fozio, che pure aveva a sua disposizione l’intera biblioteca del Patriarcato di Co-stantinopoli, doveva essere piu in grado di trovarne una copia! Che, ad ogni modo,il termine fosse abbastanza diffuso, forse per il suo ovvio significato descrittivo, lo di-mostra il fatto che si ritrova, traslitterato (cenchron ), in Plinio (Nat. Hist., XXXVII.57,in Corso et al., 1988: p. 778), dove assume pero un significato del tutto diverso: va-rieta «degenere» di diamante delle dimensioni di un grano di miglio (cfr. Corso et al.,1988: p. 779).

21. La grande enciclopedia bizantina che va sotto il nome di Suda (70) (X sec.AD) dedica a Teofrasto un breve passo di carattere biografico (n. 199, in Fortenbaughet al., 1992: I, n. 2, pp. 46-48) in cui e citato il De metallis assieme ad altri novelibri. E dubbio, tuttavia, che il De metallis menzionato dalla Suda sia veramente quelloscritto da Teofrasto: molto piu probabilmente si trattava di un apocrifo, scritto daun alchimista, sul quale torneremo tra poco. La stessa Suda riporta, inoltre, anche ilvocabolo «kenchreon » (s.v., n. 1221), ma in forma anonima.

In conclusione, le testimonianze greche sul pensiero di Teofrasto relativamente ai me-talli sono relativamente rare, molto meno frequenti che quelle relative ad altri argomentisu cui esercito la sua ricerca, ed in particolare di quelle relative a soggetti botanici (71).Talvolta, pero, e proprio da libri dedicati al commento di testi riguardanti argomentidel tutto diversi che ci arrivano testimonianze utili, anche se impensate.

22. Cito, per questo, una testimonianza di Ateneo da Naucrati, scritta tra il 193e il 197 AD (Deipnosophistae, II.15-17 42B, in Wimmer, 1866: Fr. CLIX, p. 452;Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 214A, pp. 384-385) che afferma di averla tratta daltrattato De aquis di Teofrasto:

(70) Non cito l’edizione della Adler (1967-71), ma gli estratti relativi a Teofrasto riportati da Fortenbaughet al. (1992).

(71) Wimmer (1866) elenca 36 autori da cui ha tratto le sue 179 testimonianze. Questo numero vieneportato da Fortenbaugh et al. (1992: I e II) a ben 253 autori per un totale di 741 testimonianze.

186 a. mottana

22.1. — Ta de proV to iV peri Paggaion metalloiV tou men ceimw-noV thn kotulhn ”agousan ”ecei ’ennenhkonta —ex, qerouV de tes-sarakonta —ex. Sustellei de a ’uto kai puknoi mallon to yuxoV,dio kai ’en to iV gnwmosi ‘reon o ’uk ’anadidwsi taV “wraV ’en tÉceimwni ’alla peritteuei braduteraV o”ushV thV ’ekrohV dia to pacoV.

22.1. — Le [acque] vicine alle miniere attorno al Monte Pangeo pesano 96 [dracme] percotile (72) di inverno, ma 46 di estate. Il freddo le fa contrarre e le rende piu dense. E perquesta ragione, quando [l’acqua] scorre nella clessidra, non marca correttamente le ore ininverno, ma le fa piu lunghe, essendo il suo defluire piu lento perche e piu densa.

L’indicazione e sicuramente falsa: la densita dell’acqua e sempre intorno a 1,00kg/l e non puo, in nessuna circostanza, avere variazioni superiori del doppio del valoreteorico, a meno che non si tratti piu di acqua vera e propria (sia pure con qualcheione in soluzione), ma di una sospensione molto torbida e densa, cioe di un fango.Tuttavia, questa falsa affermazione risulta interessante per chi studia i metalli, giacchefa riferimento alle miniere di uno dei principali distretti auriferi della Macedonia, cheTeofrasto aveva quasi certamente visitato e dove, forse, aveva avuto modo di eseguiremisure sui fanghi in uscita dalle tavole di lavaggio su cui era fatto aderire l’oro in polveresfuggito per le sue dimensioni alla cernita effettuata a mano (73).

Un’altra osservazione, a prima vista ancor meno in relazione coi metalli della prece-dente, e la seguente (Deipnosophistae, VII.95 314B-C, in Wimmer, 1866: Fr. CLXX-VIII, p. 461; Fortenbaugh et al., 1993: II, n. 369, pp. 172-173):

22.2. — Q. ’en tÉ peri twn fwleuontwn dia to yucoV fhsi thnnarkhn kata ghV duesqai. ’En de tÉ peri twn daketwn kai blh-

(72) L’unita di misura di peso non e specificata nel testo, ma e stata congetturata da Fortenbaugh et al.(1992: I, nota 3, p. 385) seguendo le indicazioni metrologiche dello Hultsch (1882: pp. 107-109) relative alvalore ponderale della moneta nel sistema euboico-attico (1 dracma = 4,37 g). In modo analogo per l’unitadi volume per liquidi che, invece, e espressamente indicata essere il cotile, essi assumono il valore di 0, 274 l(Hultsch, 1882: p. 80). I valori di densita che ne risultano (1,53 e 0,73 kg/l) sono del tutto inaccettabili.Adottando invece per la dracma il peso di 6,025 g (che ne e il valore ponderale nelle transazioni merceologichedi carattere non monetario: un centesimo della mina cosiddetta «emporica», cfr. Hultsch, 1882: p. 232),si ottiene che l’acqua invernale peserebbe 578 g e quella estiva 277 g, valori che, per uno stesso volume di0,274 l, porterebbero a densita corrispondenti rispettivamente a 2,11 e 1,01 kg/l: perfettamente adeguataalla realta quest’ultima, pressoche impossibile la prima a meno che non si tratti di un fango piuttosto denso.In alternativa, e forse con un’affidabilita maggiore, si puo pensare che Teofrasto si esprima in termini didracma eginetica secondo il criterio definito «ellenico in senso lato» (Breglia, 1967: p. 182) e quindi piuaderente alla realta della Macedonia in cui si trova il Pangeo. In questo caso, essendo il peso della dracmaeginetica ca. 6,16 g (Breglia, 1967: p. 101), le densita risultanti sarebbero, rispettivamente, 2,16 e 1,03kg/l: un po’ piu alta di quella dell’acqua pura, quest’ultima, ma ancora accettabile per lo scarico di unaminiera, sempre riferibile a un denso fango la prima.

(73) Una testimonianza piu breve, ma quasi identica, e riportata da Plutarco (Aetia physica, VII 914A;cfr. Wimmer, 1866: Fr. CLXI, p. 453; Fortenbaugh et al., 1992: I, n. 214C, pp. 388-389): «In Tracia,nella regione del Monte Pangeo, Teofrasto registra che c’e una sorgente; se uno e lo stesso vaso e riempitodi acqua e pesato, in inverno pesa il doppio che in estate»), ma non fa alcun riferimento alle miniere ed eanzi modificata nel significato Per questo e stata omessa ad locum. L’affermazione di Teofrasto, tuttavia,potrebbe essere interpretata anche nel senso che d’estate i reflui delle miniere erano ricchi di acqua, mentred’inverno consistevano quasi solamente di fango, essendo gelata per il freddo l’acqua che doveva contribuirealla diluizione dei particolati solidi originati dal trattamento.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 187

tikwn diapempesqai fhsi thn narkhn ’ap’ a ’uthV dunamin kai diatwn xulwn kai dia twn triodontwn, poiousan narkan touV ’encero in ”econtaV.

22.2. — Teofrasto : : : nel suo libretto «Sugli [animali] che sono cacciati col morso o colcolpo» (74) dice che la torpedine trasmette lontano da se la forza anche attraverso i legni ei tridenti, e che fa diventare torpidi coloro che li tengono in mano.

Questo passo non parla ne di metalli ne di miniere e tuttavia va preso in conside-razione, poiche, in realta, il tridente di cui si parla per la caccia alla torpedine non puoessere che di metallo (presumibilmente di ferro all’epoca di Teofrasto, ma forse anchedi bronzo). Questi due metalli, comunque, trasmettono la scossa elettrica molto megliodel legno, che per se sarebbe isolante, ma che diventa un conduttore se e impregnatodi acqua, specie se salata. Molto indirettamente, Teofrasto qui ci da una prova dellasua conoscenza della trasmissione dell’elettricita attraverso un conduttore metallico, maal tempo stesso dimostra di non sapere mettere in relazione l’effetto triboelettrico, cheegli descrive in altro luogo a proposito del «lingurio» e dell’ambra (8.8), con quelloelettrofisiologico generato dall’organismo vivente.

A dispetto della relativa rarita delle testimonianze, e tuttavia sicuro che il De metallisgodette di una notevole notorieta, fino al punto da andare oltre a quello che dovevaessere il suo contenuto originale. Ce lo dimostra il fatto che a Bisanzio, qualche secolopiu tardi, un anonimo, Eliodoro e Michele Psello non esitarono a attribuire a Teofrastouna competenza sui metalli o, meglio, sulla loro trasmutazione presa in senso alchemico:competenza che di sicuro egli non ebbe, neppure lontanamente. Le tre testimonianzesono interessanti, anche se vaghe nel contenuto.

23. L’anonimo alchimista (ritenuto del VI-VIII sec. AD) il cui testo e ripreso nelCodex Parisinus Graecus 2327 al fol. 195v (in Fortenbaugh et al., 1992: I, al n. 205,pp. 372-373), afferma:

23. — Ginwske, ÿw file, ta ’onomata twn poihtwn : : : QeofrastoV : : :

23. — Conosci, o amico, i nomi dei facitori [d’oro] : : : Teofrasto : : :

24. Un poeta del sec. VIII AD, che si presenta col nome (oramai improbabile perl’epoca) di Eliodoro, attribuisce a Teofrasto questi versi (Theophrasti de arte sacra versusiambici, 33-35, in Fortenbaugh et al., 1992: I, al n. 139, pp. 292-293):

24. — kai twn liqwn taV croiaV e”idh kai topouV,kai taV metallwn, ”enqa ginontai, safwV”egnwmen ’wfeleiaV ‘wV kai taV blabaV.

24. — e delle pietre noi conosciamo esattamente colori, tipi e luoghi, e dei metalli glieffetti benefici cosı come quelli dannosi, dove essi si producono.

(74) De iis [scil. animalibus] quae morsu aut ictu venenata sunt.

188 a. mottana

25. Il poligrafo e uomo di stato Michele [Costantino] Psello da Nicomedia (1018-1079 AD), in uno scritto polemico contro il patriarca di Costantinopoli Michele Ce-rulario preparato nel 1058 AD, su richiesta dell’imperatore Isacco I Comneno, perprovocarne la deposizione, ma poi non pronunciato a causa della sua morte (Accusatiopatriarchae, in Fortenbaugh et al., 1992: I, al n. 204, pp. 372-373; cfr. Bidez, 1928:p. 86), per metterlo in cattiva luce come studioso l’accusa dicendo:

25. — “wsper de tÿalla e’idwV, —a nomoV e’idenai, kai taV metabolaVtwn ‘ulwn periÑei zhtwn kai deinon ’epoie ito, e’i mh ton men calkon”arguron, ton de ”arguron cruson ’apergasaito. ’entauqa toinunmonon Zwsimoi te autÉ ’espoudazonto kai Qeofrastoi kai ‘h kat’’energeian ’ezhteito ”ekdosiV˙ o“utw gar ’epigegraptai ta biblia.

25. — egli andava in giro cercando le trasformazioni dei materiali, e si arrabbiava se nonpoteva mutare il rame in argento e l’argento in oro. Qui percio il suo entusiasmo erainteramente per lavori quali Zosimo e Teofrasto e cercava la pubblicazione sull’energia;cosı infatti erano sovrascritti i libri.

Quest’ultima testimonianza e particolarmente importante, malgrado la sfacciata disin-voltura di Psello, che arrivo a prontamente convertire la sua requisitoria in un encomionon appena la morte ebbe tolto di mezzo l’invadente patriarca (Criscuolo, 1990 (75)).Michele Psello e, infatti, un competente non solo di alchimia (Bidez, 1928; Albini,1988), ma piu in generale di Mineralogia. Egli fu l’autore, tra l’altro, di un De la-pidum virtutibus [libellus ] («Le virtu delle pietre»: Galigani, 1980) che e il principaletrattato bizantino sull’argomento. In esso, pero, Psello dimostra di non conoscere ne ilTeofrasto del De metallis ne quello del De lapidibus. Anzi, il suo citarlo, qui, assiemea Zosimo da Panopoli, uno dei maggiori alchimisti alessandrini e il primo di cui sianosopravvissuti gli scritti autentici (III-IV sec. AD, cfr. Patai, 1997: p. 38), puo esserepreso a dimostrazione che, all’epoca, del Teofrasto scienziato si era ormai persa ogniconoscenza reale, anche se ancora ne persisteva la fama.

Tutti e tre gli autori bizantini, infatti, affibbiano a Teofrasto conoscenze di tipoalchemico del tutto intempestive per il primo e piu fedele seguace di Aristotele. Eevidente, quindi, che i loro riferimenti non fanno altro che riflettere una forma diinquinamento apportato alla trasmissione del pensiero scientifico greco classico che edovuta a un ben noto artificio usato dagli alchimisti alessandrini: quello di chiamare,falsamente, a sostegno delle loro idee i grandi nomi del passato (Holmyard, 1957: p. 28).Proprio per raggiungere questo scopo, tuttavia, essi dovevano fingere un fondamentooggettivo per la loro pretesa e cioe fare appiglio a un testo di un autorevole scienziatoche fosse di importanza riconosciuta, ma che fosse gia, in quel momento, difficilmentereperibile e quindi non verificabile. In tale modo, senza volerlo, ne assicurarono peroanche la notorieta per i secoli a venire.

Tutto cio ci permette anche di evidenziare il calo di interesse per lo studio dellesostanze solide naturali che si e verificato nelle fasi finali della civilta greca (e latina)

(75) Il commentatore interpreta come ironico questo enfatico encomio, ma questo non fa che confermarel’ambiguita della figura di Psello.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 189

e che comporto quella trasmutazione della Scienza dei minerali verso il favoloso che,cominciata gia in epoca ellenistica con i De mirabilibus auscultationibus e continuata poiad Alessandria nei lapidari tardo-antichi a sfondo medico e magico (cfr. Halleux, 1981),porto, anche col contributo degli arabi, ai lapidari medievali (cfr. Mottana, 1999), eproseguı fin anche nel Rinascimento, quando la Mineralogia rinacque come Scienzasistematica per il tramite e col determinante contributo dei primi testi sperimentali diGemmologia (Leonardi, 1502; de Boot, 1609).

B. Testimonianze latine.

Le testimonianze in assoluto piu antiche a noi pervenute sono quelle della tradizioneculturale latina, che in ogni periodo storico ebbe un filone di carattere piu scientifico-tecnico (anche se altrettanto compilativo) della contemporanea cultura greca, da cui perosempre trasse ispirazione e argomenti (76). Tuttavia, in queste testimonianze sui metallic’e poco o nulla che ne indichi sicuramente la derivazione proprio dal De metallis.

26. Teofrasto e citato due sole volte per nome da Marco Vitruvio Pollione (ca.84 - ca. 20 a.C.) nel trattato De architectura («Sull’architettura», cfr. Migotto, 1990;Fensterbusch, 1991 (77); Ferri, 1960 (78)), che alcuni ritengono scritto prima del 31a.C. e altri tra il 27 e il 23 a.C. (Migotto, 1990: p. XXIX). La prima citazione e intermini del tutto generali (VI, prooemium 2, in Migotto, 1990: p. 251) e la secondalo indica come una delle fonti, in un elenco di sette autori greci tra cui egli figura inprima posizione (VIII, 3.27, in Migotto, 1990: p. 385). Si tratta in entrambi i casi dibanalita, ma anche, in ogni caso, delle due prime citazioni di Teofrasto a noi note inordine di tempo, per quanto riguarda la sua opera scientifica (79).

Sicuramente, pero, il suo influsso su Vitruvio non finisce certo qui, poiche o per viaindiretta (grazie a citazioni di Plinio relative allo stesso argomento in cui Teofrasto eespressamente nominato, cfr. Fortenbaugh et al., 1992: II, p. 704), oppure dal confrontodiretto tra il De architectura e le opere di Teofrasto che sono sopravvissute, e facileaccorgersi che egli l’ha sempre ben presente, almeno nei suoi libri successivi al sesto, a

(76) Lo Stahl si esprime con troppa asprezza quando afferma: «quando poi si ha a che fare con icompilatori latini, le citazioni non sono quasi mai attendibili» (1974: p. 77), giustificando il suo giudiziocol fatto che essi in realta citavano come loro fonti i nomi di autori che non avevano letto, ma che eranole fonti delle compilazioni greche dalle quali effettivamente traducevano (p. 96)! Le citazioni latine diTeofrasto che ho potuto sottoporre ad un esame comparativo con l’originale sono corrette ed esaurienti,anche se rielaborate in vari modi: da tecnico bene informato quando chi le fa e Vitruvio, da moralistaquando e Seneca e da enciclopedista coscienzioso, ma sbrigativo, quando e Plinio. Proprio Plinio, pero, piud’una volta da l’impressione di seguire Vitruvio e non Teofrasto.

(77) L’edizione del Migotto e basata sul testo latino a cura del Fensterbusch e, pur essendo l’unicacompleta e recente in italiano, si presenta come parca di note. Di conseguenza, ho sempre ripreso da essa lecitazioni testuali, ma per l’interpretazione mi sono basato prevalentemente sull’ampio commento dell’autoretedesco.

(78) L’edizione del Ferri e solo parziale e percio arbitraria, ma presenta importanti spunti, soprattuttostorico-artistici, utili a capire il modo seguito da Vitruvio nell’usare gli autori precedenti.

(79) Precedenti citazioni di Teofrasto nella letteratura latina si devono a Cicerone (ca. 45 a.C.), ma sonodi argomento letterario o retorico (cfr. Fortenbaugh et al., 1992: II, pp. 646-648).

190 a. mottana

partire dal quale la trattazione acquista maggior respiro e quella architettonica piu tecnicapuo dirsi, in pratica, conclusa. Resta dubbio, tuttavia, se alcuni casi di corrispondenzatra i testi di Teofrasto e di Vitruvio siano veramente dovuti all’imitazione del primo daparte del secondo e non piuttosto ad una semplice uguaglianza di competenze. Questo,per esempio, e il caso del metodo di preparazione della calce (II,5.1, in Migotto, 1990:p. 79) e successivamente della sua messa in opera (VII,3.7, in Migotto, 1990: p. 321):Vitruvio in entrambi i casi appare ben piu esperto di Teofrasto e, conscio di questasua esperienza, non doveva sentirsi particolarmente disposto a far opera di pedissequaimitazione, anche se l’afferma, all’inizio del suo trattato, motivandola con ragioni di stile(I,1.18, in Migotto, 1990: p. 21).

Richiama, invece, Teofrasto da vicino ed anzi lo amplia notevolmente sulla base diuna conoscenza piu approfondita (8.24-25; cfr. Mottana e Napolitano, 1997: pp. 166-167), il capitolo sul «minium », termine col quale Vitruvio designa un colorante mineraleche non e il nostro minio [Pb2+

2 Pb4+O4], ma il «kinnabaris » teofrasteo e cioe l’odiernocinabro [HgS] (VII,8.1-4; VII,9.1-4):

26.1. — 1. Ingrediar nunc minii rationes explicare. Id autem agris EphesiorumCilbianis primum esse memoratur inventum. Cuius et res et ratio satis magnashabet admirationes. Foditur enim glaeba quae dicitur, antequam tractationibusad minium perveniant, vena uti ferrum, magis subrufo colore, habens circa serubrum pulverem. Cum id foditur, ex plagis ferramentorum crebras emittitlacrimas argenti vivi, quae a fossoribus statim colliguntur. 2. Hae glaebae, cumcollectae sunt in officinam, propter umoris plenitatem coiciuntur in fornacem,ut interarescant, et is qui ex his ab ignis vapore fumus suscitatur, cum resedit insolum furni, invenitur esse argentum vivum. Exemptis glaebis guttae eae, quaeresidebunt, propter brevitates non possunt colligi, sed in vas aquae converrunturet ibi inter se congruunt et una confunduntur. Id autem cum sint quattuorsextariorum mensurae, cum expenduntur, invenientur esse pondo centum. 3.Cum in aliquo vase est confusum, si supra id lapideum centenarium pondusinponatur, natat in summo neque eum liquorem potest onere suo premere necelidere nec dissipare. Centenario sublato si ibi auri scripulum ponatur, nonnatabit, sed ad imum per se deprimetur. Ita non amplitudine ponderis sed generesingularum rerum gravitatem esse non est negandum. 4. Id autem multis rebusest ad usum expeditum. Neque enim argentum neque aes sine eo potest recteinaurari. Cumque in vestem intextum est aurum eaque vestis contrita proptervetustatem usum non habeat honestum, panni in fictilibus vasis inpositi supraignem comburuntur. Is cinis coicitur in aquam, et additur eo argentum vivum.Id autem omnes micas auri corripit in se et cogit secum coire. Aqua defusa cum id inpannum infunditur et ibi manibus premitur, argentum per panni raritates propterliquorem extra labitur, aurum compressione coactum intra purum invenitur.

26.1. — Il minio (cinabro ). – 1. Parlero ora del minio. Si dice che per la prima volta vennescoperto nei campi di Cilbio presso Efeso. La sua natura e la sua preparazione presentanoaspetti assai singolari. Si estrae infatti una specie di zolla che, a quanto si dice, presenta le

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 191

caratteristiche di una vena ferrosa di colore rossastro ricoperta di una polvere rossa. Durantela fase di estrazione essa emana, sotto i fitti colpi di piccone, delle gocce di argento vivo,che vengono prestamente raccolte dai minatori. 2. Queste pietre vengono ammassate inofficina e gettate nella fornace per farle seccare e per asciugarne l’umidita. Il vapore chese ne sprigiona si condensa e si deposita poi sul piano del forno sotto forma di argentovivo. Levate le pietre, le gocce che rimangono sono troppo piccole per poter essere raccolte;vengono quindi rimescolate dentro un vaso di acqua dove si uniscono e si fondono tra loro.Il tutto acquista un peso considerevole: cento libbre per una misura di quattro sestarii (80).3. Versato il mercurio in un vaso, se vi si colloca sopra una pietra di cento libbre, que-sta galleggia in superficie senza schiacciare ne dividere o disperdere quel liquido. Ma se ilpeso viene sostituito con uno scrupolo d’oro, esso non restera a galla e andra subito a fondo.E chiaro che la gravita dei singoli corpi non dipende dal peso, ma dalla loro qualita (81). 4.L’argento vivo si presta a molteplici impieghi; e indispensabile per dorare bene l’argento eil bronzo. Inoltre quando si voglia ricuperare l’oro con cui e stata intessuta una veste ormaiinservibile perche vecchia e logora, i panni posti sul fuoco vengono bruciati dentro vasi dicreta e la cenere che resta viene versata in acqua cui va aggiunto argento vivo; esso attiratutte le particelle d’oro e fa sı che si uniscano a lui; filtrata poi l’acqua attraverso un pannoche verra strizzato, si notera che mentre l’argento vivo, essendo liquido, passera attraverso lemaglie del panno, l’oro puro restera ammassato dentro il panno stesso (trad. di L. Migotto,con alcune modifiche; cfr. Migotto, 1990: pp. 336-339 ).

26.2. — 1. Revertar nunc ad minii temperaturam. Ipsae enim glaebae, cumsunt aridae, contunduntur pilis ferreis, et lotionibus et cocturis crebris relictisstercoribus efficiuntur, ut adveniant, colores. Cum ergo emissae sint ex minio perargenti vivi relictionem quas in se naturales habuerat virtutes, efficitur teneranatura et viribus inbecillis. (omissis ). 4. : : : Quae autem in Ephesiorummetallis fuerunt officinae, nunc traiectae sunt ideo Romam, quod id genus venaepostea est inventum Hispaniae regionibus, [e ] quibus metallis glaebae portanturet per publicanos Romae curantur.

26.2. — La preparazione del minio. – 1. Ma torniamo alla preparazione del minio. Dopola cottura il materiale va pestato con mazze di ferro; in seguito, attraverso vari processi dilavaggio ed essiccazione, vengono eliminate tutte le impurita e si ottiene un colore che,avendo perso la caratteristica naturale conferitagli dalla presenza dell’argento vivo, divienetenero e malleabile. (omissis ). 4. : : : Quelle officine che sorgevano un tempo in prossimitadelle miniere di Efeso ora si sono trasferite a Roma, dato che sono stati individuati filoni diquesto materiale anche in alcune zone della Spagna da dove esso viene importato : : : (trad.di L. Migotto, con alcune modifiche; cfr. Migotto, 1990: pp. 338-341 ).

(80) Cento libbre romane equivalgono a ca. 32,8 kg; quattro sestari a 2,18 l. Da questi valori risulta unadensita del mercurio liquido pari a 15,0 che si accorda ragionevolmente con il dato sperimentale moderno

di 13,596 g · cm−3. L’incertezza del risultato antico deriva in parte dal fatto che non si conosce l’esattopeso della libbra romana dell’epoca di Vitruvio. Lo scrupolo era un sottomultiplo della libbra equivalentea 0,11 g.

(81) Vitruvio riprendera questa sua considerazione piu oltre (IX, praef. 9-12, in Migotto, 1990: pp. 407-409) quando descrivera per esteso il metodo idrostatico usato da Archimede per determinare quanto fossestato adulterato con argento l’oro della corona di Ierone di Siracusa. Qui pero si sbaglia di grosso: l’oro nonscompare alla vista perche va a fondo a causa della sua densita, ma sparisce, semplicemente, perche entra inamalgama col mercurio.

192 a. mottana

Poco piu oltre Vitruvio indica anche un metodo per riconoscere il colorante ottenutocon cinabro genuino da quello adulterato (VII, 9.5):

26.3. — Vitiatur minium admixta calce. Itaque si qui velit experiri id sinevitio esse, sic erit faciendum. Ferrea lamna sumatur, eo minium inponatur, adignem conlocetur, donec lamna candescat. Cum e candore color mutatus fueriteritque ater, tollatur lamna ab igni, et sic refrigeratum si restituatur in pristinumcolorem, sine vitio esse probabit; sin autem permanserit nigro colore, significabitse esse vitiatum.

26.3. — Il minio puo essere adulterato mescolandovi della calce, quindi per saggiarne lagenuinita si procedera cosı : se ne ponga un po’ su una lamina di ferro che verra riscaldata alfuoco fino a diventare incandescente; quando il minio avra cambiato colore facendosi scuroda chiaro che era, si levi la lamina dal fuoco e se raffreddandosi esso tornera ad assumereil colore originario vorra dire che e genuino, se invece restera nero allora significhera che eadulterato (trad. di L. Migotto, in Migotto, 1990: pp. 340-341 ).

Se confrontiamo questi passi con quanto afferma Teofrasto nel De lapidibus (8.26)ci accorgiamo subito della maggiore informazione trasmessaci da Vitruvio, che esponevari dettagli sia metallurgici sulla raccolta del mercurio, sia minerari sull’estrazione delcinabro. Il richiamo a Teofrasto pero c’e ed e preciso: i campi Cilbiani presso Efeso,che sono conosciuti anche grazie a un riferimento di Strabone (Geographica, XIII, 1.13)e che un geologo tedesco avrebbe individuati in una localita nella valle del fiume Caistro– attuale Kucuk Menderes – nei pressi della moderna cittadina turca di Tire (cfr. Caleye Richards, 1956: p. 197). Essi sono ripresi pari pari dal De lapidibus (VIII.58), dovepero si parla di sabbia brillante scarlatta e non di vena polverosa rossastra di aspettoferroso. Sempre nel De lapidibus (VIII.60) si descrive anche come ricavare il mercuriopercuotendo il cinabro: il metodo descritto da Teofrasto, anzi, appare piu complicatoed efficace rispetto a quello rudimentale riferito da Vitruvio, in quanto il granulatodi cinabro, una volta raccolto, viene sottoposto a percussione in un idoneo ambienteacido, tramite pestelli di rame in mortai di rame contenenti aceto, con cio ottenendoil mercurio per una riduzione chimica del solfuro facilitata dall’essere questo tenuto incontatto con un metallo piu attivo.

Viceversa, nel De lapidibus non si parla mai del procedimento di estrazione delmercurio tramite la condensazione dei vapori ottenuti sublimando il cinabro nei fornie neppure dell’utilizzazione del cinabro come pigmento pittorico. Forse questi furonoprogressi tecnologici conseguiti solo piu tardi, in epoca ellenistica: essi infatti sono notia Dioscoride di Anazarba (Materia medica, V.110, in Mattioli, [1557] 1984: p. 634).La stessa cosa si puo dire dell’uso del mercurio per recuperare l’oro intessuto nelle vestitramite l’amalgama. Non possiamo pero escludere che tutte queste notizie figurasserogia nel De metallis, oppure in qualcuno degli altri libri in cui Teofrasto indulgeva nel suometodo di descrivere fatti e fenomeni tramite esempi tratti dal mondo minerale e chesono poi andati persi nella trasmissione manoscritta. Certo, i due capitoli surriportaticontengono anche materiale di prima mano di Vitruvio, come l’esempio del degrado

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 193

della pittura a base di cinabro nella casa sull’Aventino fatta affrescare dallo scrivanoFaberio (VII,9.2) e le notizie sul trasferimento a Roma degli operatori delle miniere diEfeso per meglio sfruttare il cinabro spagnolo (VII,9.4): questo trasferimento dev’essereposteriore almeno alla conquista della Betica da parte dei Romani (206 a.C.) oppure,piu probabilmente, dopo l’acquisizione del regno di Pergamo, lasciato in eredita a Romada Attalo III nel 133 a.C. Pero altri procedimenti descritti, come quello di stabilizzaretramite encausto il colore a base di cinabro usato negli affreschi, operazione della qualeVitruvio specificamente riporta il nome greco (VII, 9.3), possono benissimo essere trattidal nostro autore.

Un caso analogo e rappresentato dal capitolo VII, 12.1:

26.4. — De cerussa aerugineque, quam nostri aerucam vocitant, non est alienum,quemadmodum comparetur, dicere. Rhodo enim doleis sarmenta conlocantes acetosuffuso supra sarmenta conlocant plumbeas massas, deinde ea operculis obturant,ne spiramentum obturatum emittatur. Post certum tempus aperientes inveniunte massis plumbeis cerussam. Eadem ratione lamellas aereas conlocantes efficiuntaeruginem, quac aeruca appellatur.

26.4. — Val la pena di accennare a come si ottengono la biacca e il verderame che noichiamiamo aeruca (82). A Rodi si usa porre dei sarmenti dentro un grande vaso in cui vienepoi versato dell’aceto; quindi vi si sistemano dei pezzi di piombo e si chiude ermeticamenteil vaso per evitare che ne fuoriescano le esalazioni. Dopo un po’ aprendo il recipiente sipuo notare che il piombo si e trasformato in biacca. Seguendo lo stesso procedimento emettendo al posto del piombo delle lamine di rame si ottiene il verderame detto appuntoaeruca (trad. di L. Migotto, in Migotto, 1990: pp. 344-345 ).

In questo caso Teofrasto sembra essere il piu prolisso ed esauriente (cfr. De lapidibus,VIII.56-57: 8.22 ), ma di fatto non lo e perche descrive solo l’attacco chimico del me-tallo tramite vapori acidi sviluppati dall’aceto tramite i quali si ottiene l’acetato basico dipiombo, [Pb(C2H3O2)2 ·2PbO + H2O], che non e ancora la biacca. Per arrivare a que-sta occorre trasformare l’acetato in carbonato basico di piombo, [2PbCO3 · Pb(OH)2],e cio si ottiene facendo assorbire anidride carbonica all’acetato o direttamente dall’ariaoppure da un apposito strato di materiale organico in fermentazione (metodo «olan-dese»). Vitruvio, difatti, accenna alla presenza di «sarmenti» nel complesso dell’impiantodi produzione, mentre Teofrasto li ignora.

Vitruvio poi continua (VII,12.2) descrivendo la trasformazione termica della biacca(«cerussa ») in sandracca («sandaraca »):

26.5. — Cerussa vero, cum in fornace coquitur, mutato colore ad ignem [incendi]efficitur sandaraca – id autem incendio facto ex casu didicerunt homines – et eamulto meliorem usum praestat, quam quae de metallis per se nata foditur.

(82) Questa precisazione e tipica di Vitruvio: non contento di scrivere il nome latino classico (aerugo),dove puo aggiunge anche il nome comune, in uso nel gergo tecnico (aeruca). Analogamente, Teofrastoaveva usato nei suoi libri alcuni termini del linguaggio dei minatori, di cui i lessici ci hanno tramandato soloi cinque sopraccitati.

194 a. mottana

26.5. — La biacca, se cotta in fornace, cambia tinta per effetto del calore e diventa sandracca;pare anzi che la sua scoperta sia dovuta al caso, in seguito al fuoco [di un incendio]; essa sirivela di qualita molto migliore all’uso di quella che si estrae gia pronta dalle miniere (trad.di L. Migotto, in Migotto, 1990: pp. 345-347 ).

Il testo di Teofrasto al riguardo non ci e pervenuto, ma ce ne rimane un accennoindiretto nel De lapidibus (VIII.50) e inoltre, proprio in questo libro, vi e un pre-ciso riferimento all’incendio per effetto del quale un tale Cidia (83) (VIII.53) si sarebbeavvisto per primo del cambiamento di colore da giallo a rosso porpora dell’ocra semi-combusta. In realta, pero, e Vitruvio che qui fa confusione e peggiora sensibilmentel’informazione, gia essa stessa alquanto confusa, di Teofrasto (cfr. Mottana e Napolitano,1997: p. 221). Anzitutto la trasformazione conseguente all’incendio che e menzionatada Teofrasto riguarda non la biacca, ma l’ocra, un materiale ben noto a Vitruvio (chetraduce il termine greco con «sil »: VII, 7.1 in Migotto, 1990: pp. 334-335). Riscal-data, l’ocra si disidrata e passa da gialla [idrossido di ferro, FeOOH-Pnma, goethite,oppure «limonite»] a rossa [sesquiossido di ferro, Fe2O3-R 3c , ematite]. Invece, l’acetatobianco prodotto della reazione tra piombo e aceto (che non e la nostra biacca (84) ) see riscaldato, diventa rosso poiche si trasforma in minio.

Conviene a questo punto riportare per esteso anche cio che Vitruvio scrive a propo-sito dell’ocra (VII,7.1-2), non solo perche richiama analoghe affermazioni di Teofrasto(De lapidibus, VIII.51-52), ma anche perche si comprendera meglio come sia nata laconfusione tra due sostanze che mostrano cambiamenti di colore simili per effetto delcalore:

26.6. — Primum autem exponemus, quae per se nascentia fodiuntur, uti sil,quod graece ωχρα dicitur. Haec vero multis locis, ut etiam in Italia, invenitur;sed quae fuerat optima, attica, ideo nunc non habetur, quod Athenis argentifo-dinae cum habuerunt familias, tunc specus sub terra fodiebantur ad argentuminveniendum. Cum ibi vena forte inveniretur, nihilominus uti argentum per-sequebantur; itaque antiqui egregia copia silis ad politionem operum sunt usi.2. Item rubricae copiosae multis locis eximuntur, sed optimae paucis, uti PontoSinope, et Aegypto, in Hispania Balearibus, non minus etiam Lemno, cuius in-sulae vectigalia Atheniensibus senatus populusque Romanus concessit fruenda.

26.6. — Per prima cosa parliamo di quei colori che si ricavano gia pronti all’uso come ilsil che i Greci chiamano «ochra » e che si puo trovare in varie localita come del resto anchein Italia. La qualita migliore di sil era pero quella di provenienza attica, oggi introvabile.Quando ad Atene le miniere pullulavano di schiavi e si scavavano gallerie sotterranee allaricerca di argento, se per caso si scopriva una vena [di ocra] se ne seguiva il filone quasi fosse

(83) Identificato da Caley e Richards (1956: p. 181) sulla base di un accenno di Plinio (Nat. Hist.,XXXV.130, in Corso et al., 1988: p. 437) con il pittore di Cinto che fiorı durante la 104a Olimpiade(364-361 a.C.).

(84) Viene da domandarsi se una certa responsabilita nella confusione non spetti anche al traduttoreitaliano. Se cosı fosse, comunque, un’altrettale responsabilita risulta avere anche l’editore e traduttoretedesco del testo vitruviano.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 195

di argento; gli antichi infatti facevano molto uso di questo materiale per rifinire i lavoridi intonaco. 2. Anche le terre rosse si possono trovare in abbondanza in varie zone, masono rare quelle di ottima qualita, che si trovano a Sinope nel Ponto, in Egitto, in Spagna,alle Baleari e anche all’isola di Lemno, i cui proventi derivanti da questa produzione lostato romano lascio in godimento agli ateniesi (trad. di L. Migotto, in Migotto, 1990:pp. 334-335 ).

Il testo di Vitruvio e una libera riscrittura di quello di Teofrasto, semplificata in certipunti (le miniere sono solo quelle ateniesi di argento del Laurio e non, genericamente,tutte quelle d’oro, di argento e di rame; mancano le precisazioni sui diversi colori e sullediverse consistenze delle masse ocracee; manca ogni riferimento al rischio di soffocamentodei minatori) e ampliata in altri (la provenienza di nuova ocra dall’Egitto, dalla Spagnae dalle Baleari, oltre che la conferma di quella gia nota da Sinope e dall’isola di Lemno,sta a dimostrare l’esaurimento delle miniere attiche). Vi e anche una precisa divergenza:per Vitruvio l’ocra migliore e quella attica, per Teofrasto quella dell’isola di Ceo (Delapidibus, VII.52, in Mottana e Napolitano, 1997: p. 165).

Non ho riscontrato altri riferimenti ai metalli in Vitruvio che appaiano derivaredecisamente da Teofrasto, ma noto che tutto cio che vi e nel De architectura, o che vi edescritto per esteso in modo tale che io lo possa confrontare con i testi noti dell’autoregreco, si richiama sempre al De lapidibus. In pratica, non vi e un solo ampio branorelativo ai metalli, nel De architectura, che si rifaccia ad un altro degli opuscoli teofrasteinoti e neppure, chiaramente, a un altro testo, a noi non pervenuto, ma unitario, comeil De metallis doveva certamente essere.

27. Lucio Anneo Seneca (Cordova, ca. 2 a.C. - Roma, 65 AD) nelle Naturalesquaestiones scritte nel 62-63 AD (Vottero, 1989: p. 21) fa spesso riferimento alle ideedi Teofrasto, ma sempre in una forma cosı generica e con una finalita cosı moraleggianteda non renderne facile l’accostamento ad un argomento cosı specifico come i metalli.

Seneca cita Teofrasto per nome nove volte, soprattutto nel terzo libro in cui trattadelle acque terrestri e quindi anche di fenomeni geomorfologici (III.11,2-4; III.25,4-7 e III.26.1, cfr. Fr. CLIX, De aquis, in Wimmer, 1866: pp. 452-453; III.16,5,cfr. Fr. CLXXI, De piscibus in sicco degentibus, in Wimmer, 1866: pp. 455-458). Locita anche, sempre direttamente, per altri fenomeni naturali come la piena estiva delNilo (IVa.2,16, cfr. Fr. CLIX, De aquis, in Wimmer, 1866: pp. 452-453) e le comete(VII.28,3, cfr. De signis tempestatum, in Wimmer, 1866: pp. 389-398, vedi p. 394).Inoltre, Seneca riporta in traduzione un passo sulla teoria delle esalazioni (VI.13,1), cheper se riguarda la Meteorologia, ma che per noi assume interesse in quanto si svilupperanella teoria metallogenica adottata da tutto il Peripato:

27.1. — In hac sententia licet ponas Aristotelem et discipulum eius Theophrastum(non, ut Graecis visum est, divini, tamen et dulcis eloquii virum et nitidi sinelabore). Quid utrique placeat exponam: «Semper aliqua evaporatio est e terra,quae modo arida est, modo umido mixta; haec ab infimo edita et in quantumpotuit elata, cum ulteriorem locum in quem exeat non habet, retro fertur atquein se revolvitur : : : ».

196 a. mottana

27.1. — Fra coloro che condividono questa opinione puoi mettere Aristotele e il suodiscepolo Teofrasto : : : Esporro quale sia la teoria di entrambi: «Dalla terra si leva sempreuna qualche evaporazione, che talora e secca, talora e mista a umido; essa proviene dalleregioni piu profonde e si solleva quanto piu puo verso l’alto, e quando non trova uno spazioulteriore in cui espandersi, e risospinta indietro e si ripiega su se stessa : : : » (trad. di D.Vottero, in Vottero, 1989: pp. 610-611 ).

Per il Vottero (1989: p. 750), si tratterebbe di un frammento incertae sedis deiMeteorologica di Teofrasto, che egli non conosceva. Noi, forti della recente pubblicazionedella traduzione dall’arabo, possiamo confermare la stretta affinita di questo passo colcapitolo [15](10-15) (85) del Metarsiologikon (Daiber, 1992: pp. 270-271).

La presenza di informazioni originanti da Teofrasto nel trattato di Seneca e perosicuramente maggiore di quanto egli non dichiari. Gia il Vottero (1989: p. 750) neidentifico due, riguardanti le acque, tra quelle da Seneca riportate in forma anonima(III.25,1, tratto dal Fr. CLX, in Wimmer, 1866: p. 453; III.25,3, tratto dal Fr.CLXII, in Wimmer, 1866: p. 453). Io osservo, in aggiunta, che nel passo III.25,12Seneca attribuisce genericamente a «Greci (86)» l’introduzione del termine «krystallos »per designare il cristallo di rocca (= quarzo), quando sappiamo bene che la sua primaattestazione e in Teofrasto (De lapidibus, V.30, in Mottana e Napolitano, 1997: pp. 196-199), avendo Aristotele adoperato sı il termine, ma nel suo significato originario dighiaccio (87), come gia Omero (Iliade, XXII.152, in Calzecchi Onesti, 1990: p. 771).

Vari altri sono i casi di evidente affinita tra certe idee discusse da Seneca e quellecontenute negli opuscoli di Teofrasto, anche dove quest’ultimo non e nominato (88). Perconseguenza, tutto cio pone il problema delle fonti usate da Seneca, entrando cosı in undibattito tra antichisti, annoso e mai del tutto concluso. Essi sono concordi nel ritenereche l’autore latino, nel tempo relativamente breve dedicato all’elaborazione del suo libronaturalistico, non abbia potuto avere il tempo materiale ne di studiare direttamente iproblemi sul campo, ne di documentarsene adeguatamente se non attingendo ad unasola fonte greca gia ben organizzata (Vottero, 1989: p. 32). Si dividono, tuttavia, intre gruppi nel tentativo di stabilire quale fosse questa fonte; in particolare, nessunosembra volere prendere in considerazione Teofrasto, per una serie di ragioni che nonsta a me riepilogare (cfr. Vottero, 1989: pp. 24-39). Se, pero, ne il filosofo stoicoPosidonio di Apamea (ca. 131-50 a.C.) ne il suo discepolo Asclepiodoto da Nicea (Isec. a.C.) risultassero essere le fonti delle Naturales quaestiones, come sostengono i piu,

(85) Non riporto questo brano, non solo perche decisamente simile al testo di Seneca, ma anche perchenon e strettamente riferito ai metalli.

(86) In maggioranza si tratta di termini tecnici della Meteorologia che si ritrovano in opere dei Presocraticie di Aristotele e quindi anche in quelle di Teofrasto e Stratone e in generale in tutte le opere che traggonoorigine dall’attivita svolta nel Peripato. Termini introdotti da Teofrasto che siano poi rimasti allo stato diapax sono molto rari (cfr. Baffioni, 1981: pp. 370-372). Tra quei pochi, i piu rari sono proprio alcuniattinenti le arti mineraria e metallurgica (v. supra ).

(87) Vocabolari come il Liddell et al. (1990: p. 1000) e il Montanari (1995: p. 1137) misconosconoquesta priorita e come autore della prima attestazione menzionano Strabone (Geographica, XV, 1.67).

(88) Rimando per queste all’apparato critico che il Vottero (1989) riporta nelle note, non avendo esse,per lo piu, alcuna attinenza con minerali e metalli.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 197

ma piuttosto i cosiddetti Vetusta placita (89), come sostenne molto tempo fa HermannDiels (1879: Prolegomena, pp. 214-215), allora la derivazione di Seneca da Teofrastosarebbe praticamente sicura. I Vetusta placita («Opinioni antiche»), infatti, non sono altrose non una rielaborazione della meta del I sec. a.C. ad opera di un certo Ario Didimodi Alessandria delle Physikai doxai (90) raccolte da Teofrasto, su probabile indicazione diAristotele, per servire da premessa ad un vasto programma di studi di storia naturale(Mansfeld, 1992: p. 67). L’esistenza di questa raccolta, in 18 libri, e attestata daDiogene Laerzio (Vitae philosophorum, 5.46, in Sollenberger, 1985: p. 26), ma si pensache essa non dovesse essere disponibile a Seneca se non gia in forma di epitome. Se,dunque, quest’ipotesi (91) fosse giusta, nelle Naturales quaestiones e riflesso il pensiero diTeofrasto anche in vari luoghi dove egli non e citato per nome. Pero, nel valutarne ilvalore come testimonianza, dobbiamo tenere conto che il suo pensiero ha certamentesubito una distorsione, in funzione non solo di quanto ne aveva capito Seneca, maanche Ario Didimo prima di lui, ed inoltre in relazione allo sviluppo etico che Senecagli volle dare, secondo la sua forma mentis filosofica stoica.

Nelle Naturales quaestiones ho riscontrato in tutto 28 citazioni di metalli (92) e altri 11passi che hanno attinenza con essi. Sicuramente, un certo numero di questi riferimentinon puo essere ricondotto a Teofrasto, a cominciare dalla teoria stessa dell’origine dellemineralizzazioni che Seneca dimostra di preferire (III.15,2-3):

27.2. — : : : sic in terra quoque sunt umoris genera complura: quaedam quaemature durantur (hinc est omnis metallorum fructus, ex quibus petit aurumargentumque avaritia), et quae in lapidem ex liquore vertuntur; in quaedamvero terra umorque putrescunt, sicut bitumen et cetera huic similia.27.2. — : : : anche nella terra esistono parecchi tipi di umore: alcuni che ben prestosolidificano (da cio dipende ogni possibilita di sfruttamento delle miniere, dalle qualil’avidita umana estrae oro e argento) e che da liquidi si trasformano in pietra; alcuni invece,come il bitume e altre sostanze che gli assomigliano, traggono origine dalla putrefazionedella terra e dei suoi umori (trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989: pp. 406-407 ).

Questa frase, anche prescindendo dal tono moralistico che e proprio di Seneca anchenella sua opera scientifica, richiama in parte, ma non ricalca esattamente le idee di

(89) Il nome e stato ipotizzato dal Diels (1879: Prolegomena, p. 215), ma di essi non possediamoassolutamente nulla. Possono esserne considerate loro evidenze due tarde e lacunose «epitomi di epitomi»eseguite prima dallo pseudo-Plutarco (II sec. AD) e poi da Giovanni Stobeo (V sec. AD). Rimando per laquestione ai lavori del Torraca (1961) e dell’Andolfo (1999).

(90) Il titolo effettivo di quest’opera e discusso dal Mansfeld (1992) che propende per questo (= Opinioninaturalistiche) in contrasto con quanto ci e stato trasmesso da Diogene Laerzio: «Physikon doxai » (= Opinionidei naturalisti).

(91) L’ipotesi e stata adombrata inizialmente dal Galdi (1924) e ha trovato una prima conferma nelGiusta (1965) per quanto riguarda le opere filosofiche di Seneca relative all’Etica. Ora e accettata dalDonini (1979) anche per le opere fisiche. La correlazione tra Naturales quaestiones e Doxographi graeci (iltesto di riferimento in cui il Diels raccolse non solo le epitomi dello pseudo-Plutarco e di Giovanni Stobeo,ma anche le testimonianze di numerosi altri autori greci e latini) e sviscerata a fondo dal Vottero (1989:pp. 33-35, nota 1)

(92) Si tratta dei soliti cinque: argento (5 volte), bronzo (9), ferro (7), oro (6) e piombo (1).

198 a. mottana

Aristotele (Meteorologica, III, 378a 13-378b 6, in Pepe, 1982: pp. 141-142), che postulası lo stesso meccanismo di genesi intratellurica dei minerali, ma per il quale non di umoribensı di esalazioni di tratta, e non di un solo tipo bensı di due tipi. Teofrasto non ci halasciato alcuna sua teoria sull’argomento, ma solo quell’asserzione di generica adesionealle idee dello Stagirita che e proprio Seneca a riferire per esteso (VI.13,1: qui sopra27.1 ). L’origine della teoria che Seneca sembra adottare (almeno nel cap. III.15) e,quindi, da ricercarsi altrove: forse in Posidonio oppure in Asclepiodoto. Precisamente aquest’ultimo, in particolare, Seneca attribuisce una breve descrizione di un’esplorazionedi miniere di oro abbandonate, voluta da Filippo II di Macedonia (V.15, 1-4, inVottero, 1989: pp. 552-555), che contiene una vivace rappresentazione di una minierain galleria, ma che e piuttosto immaginifica in alcune delle sue parti ed e costantementeintercalata da osservazioni deprecatorie di stampo etico.

Decisamente derogatorie nei confronti dell’estrazione mineraria sono altre afferma-zioni di Seneca, come quella che segue (I praef., 7):

L’anima raggiunge la perfezione e la pienezza del bene che e proprio della condizioneumana allorquando : : : penetra profondamente nel seno della natura. Allora : : : gioiscenel deridere : : : tutta quanta la terra con il suo oro; e mi riferisco non soltanto a quello chee stato estratto e consegnato alla zecca per essere coniato, ma anche a quello che ancora sinasconde nelle sue viscere per l’avidita dei posteri (trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989:pp. 212-213 ).

e ancora (I.17,6):

Quando poi un popolo piu corrotto si sprofondo nelle viscere della terra deciso a cavarfuori cio che bisognerebbe sotterrarvi, il ferro fu dapprima in uso (e gli uomini l’avrebberoestratto senza loro danno, se fosse stato l’unico metallo ad essere estratto), poi in seguitofurono usati altri malefici prodotti della terra : : : (trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989:pp. 284-285 ).

Teofrasto non avrebbe mai scritto nulla di simile, preoccupato com’era di descriverecon la massima precisione e attendibilita le caratteristiche del materiale di miniera e diriportare i fatti che lo riguardano, cioe di farne Scienza oggettiva, senza trarne valutazionidi sorta, e tanto meno etiche!

Parimenti, non sembra possibile che risalgano a Teofrasto le osservazioni che Senecariferisce sul comportamento fisico dei metalli nel clima torrido dell’Etiopia (IVa.2,18):

: : : l’argento si libera dal piombo; le saldature delle statue si squagliano; nessuna coperturadi oggetti placcati puo resistere in superficie (trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989: pp. 494-495 ).

Gia da molto tempo in Grecia si favoleggiava dell’impressionante calura delle regionia Sud dell’Egitto (93), ma all’epoca di Teofrasto non se ne conoscevano maggiori dettagli

(93) Mercenari greci erano ad Abu Simbel nel 594-589 a.C. e ne hanno lasciato testimonianza con ungraffito sulla gamba di uno dei colossi di Ramesse II.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 199

di prima, anche poiche mai Alessandro era sceso con i suoi Macedoni fin oltre Siene,cosı da raccogliere e far arrivare ad Aristotele notizie nuove e realistiche che gli potesseroservire per i suoi studi, come aveva fatto per l’India. Le notizie (erronee) riportate daSeneca non sono certamente piu antiche dell’occupazione romana dell’Egitto (cfr. ancheIVa.2.7).

Viceversa, potrebbero derivare da Teofrasto le considerazioni che Seneca fa sull’inte-razione tra fulmine e metalli (III.31,1):

27.3. — Ceterum mira fulminis, si intueri velis, opera sunt nec quicquam dubiirelinquentia, quin divina sit illius ac subtilis potentia: loculis integris, [ac] illaesisconflatur argentum; manente vagina gladius ipse liquescit; et inviolato ligno circapila ferrum omne destillat.

27.3. — Mirabili sono : : : gli effetti del fulmine e non lasciano alcun dubbio sulla suapotenza straordinaria e penetrante: un pezzo di argento si fonde mentre il recipienterimane integro, illeso; persino una spada si liquefa senza che il fodero si deformi; e in cimaai giavellotti tutto il ferro gocciola mentre il legno non riceve alcun danno : : : (trad. di D.Vottero, in Vottero, 1989: pp. 330-331 ).

ed inoltre (II.52,1-2):

27.4. — Pauca adhuc adiciam ad enarrandam vim fulminis, quae non eodemmodo omnem materiam vexat. Valentiora, quia resistunt, vehementius dissipat,cedentia nonnumquam sine iniuria transit; cum lapide ferroque et durissimisquibusque confligit, quia viam necesse est per illa impetu quaerat: itaque facitqua effugiat; at teneris et rarioribus parcit, quamquam flammis oportuna videan-tur, quia transitu patente minus saevit. Loculis itaque integris, ut dixi, pecunia,quae in his fuit, conflata reperitur, quia ignis tenuissimus per foramina occultatranscurrit, quicquid autem in tigno solidum invenit et contumax, vincit. [2].Non uno autem, ut dixi, modo saevit, sed quid quaeque vis fecerit, ex ipso genereiniuriae intelleges et fulmen opere cognosces. Interdum in eadem materia multadiversa eiusdem fulminis vis facit, sicut in arbore quod aridissimum urit, quoddurissimum et solidissimum est terebrat et frangit, summos cortices dissipat, inte-riores libros rumpit ac scindit, folia pertundit ac stringit. Vinum gelat, ferrum etaes fundit.

27.4. — Aggiungero ancora poche considerazioni volte a spiegare la forza del fulmine:essa non flagella allo stesso modo ogni materia. I materiali piu solidi, poiche oppongonoresistenza, li distrugge con maggiore violenza, quelli cedevoli li attraversa talora senzadanneggiarli; entra in conflitto con la pietra e il ferro e tutti i materiali piu duri, poichedeve necessariamente cercare con la forza una via di uscita attraverso di loro: e cosı si apreun passaggio per il quale fuggire; ma risparmia i materiali teneri e meno consistenti, benchesembrino esposti alle fiamme, poiche, essendo aperto il passaggio, infuria meno. E cosımentre il recipiente, come ho detto, rimane integro, la moneta che conteneva si ritrovafusa, poiche il fuoco molto sottile passa veloce attraverso i pori nascosti, ma ha la megliosu tutto cio che trova di solido e resistente in una trave di legno. : : : l’energia dello stessofulmine produce effetti molto diversi : : : fa ghiacciare il vino, fa fondere il ferro e il bronzo(trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989: pp. 360-361 ).

200 a. mottana

Non richiamano forse, queste prolisse ed enfatiche affermazioni di Seneca, le sec-che parole dei Metarsiologikon (7.5, qui sopra)? Per conseguenza, anche il passo ano-nimo (II.17):

27.5. — Nam ne ferrum quidem ardens silentio tinguitur sed, si in aquamfervens massa descendit, cum multo murmure extinguitur.

27.5. — : : : neppure il ferro rovente si tempra in silenzio ma, se la massa incandescente etuffata nell’acqua, si raffredda con grande sfrigolio (trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989:pp. 312-313 ).

puo derivare dallo stesso libro (7.1). Ed inoltre, le considerazioni sul suono generatodalla vibrazione di un metallo percosso (II.29):

27.6. — Item tympana et cymbala sonant, quia illa repugnantem ex ulterioreparte spiritum pulsant, haec, et [si ] icta, aere non nisi cavo tinniunt.

27.6. — : : : analogamente risuonano timpani e cembali, poiche gli uni fanno vibrare l’ariatesa che offre resistenza dalla parte opposta, gli altri anche «se» colpiti non squillano se ilbronzo non e cavo (trad. di D. Vottero, in Vottero, 1989: pp. 328-329 ).

hanno una precisa affinita col passo 7.3. Indirettamente, dunque, esse forniscono unsupporto (seppur tenue) anche a chi vuol sostenere l’appartenenza al De metallis delframmento 71 in appendice al De odoribus (1, qui sopra).

Riassumendo, Seneca dimostra di ricavare molte delle sue informazioni naturalistichedalla tradizione teofrastea (rielaborata, probabilmente, e non direttamente da Teofrastostesso). Vi e ben poco in esse, pero, che possa fare pensare ad una sua conoscenza– diretta o mediata – del De metallis, forse non piu disponibile alla sua epoca nellebiblioteche romane, cosı come, apparentemente, non era risultato disponibile neppure aVitruvio.

28. Caio Plinio Secondo, il Vecchio (Como, 23 o 24 AD - Stabia, 24 agosto 79)fa di Teofrasto uno dei riferimenti principali della sua Naturalis Historia, ma sembratrascurarlo proprio nei due libri dedicati ai metalli: il XXXIII relativo all’oro e all’argentoe il XXXIV al bronzo (cfr. Corso et al., 1988; Ferri (94), 2000). In questi due libri prevaleun sentimento storico-artistico che riflette l’influsso esercitato su Plinio da quella chefu la sua effettiva fonte principale: Senocrate di Atene, altro discepolo di Aristotele(cfr. Harari in Ferri, 2000: p. 11). Eppure, almeno nominalmente, Teofrasto figuracome fonte straniera principale del primo di questi due libri (cfr. Barchiesi et al., 1982:pp. 188-189), anche se vi viene citato per nome solo tre volte, di cui due di seguito,anche se non nello stesso paragrafo:

(94) L’edizione curata dal Ferri (originariamente nel 1946) e molto parziale e, in larga misura, arbitrariaperche prende in considerazione solamente i riferimenti alla toreutica. Tuttavia contiene spunti moltointeressanti anche a fini metallurgici.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 201

28.1. — Theophrastus LXXXX annis ante Praxibulum Atheniensium magistra-tum – quod tempus exit in urbis nostrae CCCXLVIIII annum – tradit inventumminium a Callia Atheniense initio sperante aurum excoqui posse harenae rubentiin metallis argenti; hanc fuisse originem eius, reperiri autem iam tum in Hi-spania, sed durum et harenosum, item apud Colchos in rupe quadam inaccessa,ex qua iaculantes decuterent; id esse adulterum, optimum vero supra EphesumCilbianis agris harena cocci colorem habente; hanc teri, dein lavari farinam etquod subsidat iterum lavari; differentiam artis esse, quod alii minium faciantprima lotura, apud alios id esse dilutius, sequentis autem loturae optimum.

28.1. — Teofrasto riferisce che il minio fu scoperto 90 anni prima dell’arcontato diPrasibulo ad Atene – data che corrisponde all’anno 349 della nostra citta [Roma, cioeall’anno 405 a.C.] – dall’ateniese Callia, il quale all’inizio sperava che si potesse ottenereoro dalla cottura della sabbia rossa delle miniere di argento. Teofrasto dice che questafu l’origine del minio, ma che gia al suo tempo se ne trovava in Spagna, pur se duro egranuloso, e anche in Colchide, su una certa rupe inaccessibile da cui lo facevano caderecolpendolo da lontano; che questo e un minio falso, mentre il migliore si trova sopraEfeso, nel territorio dei Cilbiani, dove la sabbia ha il colore scarlatto della cocciniglia; chequesta sabbia si trita, poi si lava la polvere ottenuta e si lava una seconda volta il depositoformatosi; e che c’e una differenza di procedimento, perche alcuni ottengono il minio alprimo lavaggio, mentre presso altri esso risulta piuttosto diluito e diventa invece ottimo allavaggio successivo (XXXIII.113-114, trad. di G. Rosati, in Corso et al., 1988: pp. 72-73 ).

28.2. — Auri argentique mentionem comitatur lapis, quem coticulam appellant,quondam non solitus inveniri nisi in flumine Tmolo, ut anctor est Theophrastus,nunc vero passim. Alii Heraclium, alii Lydium vocant. Sunt autem modici,quaternas uncias longitudinis binasque latitudinis non excedentes. Quod a solefuit in iis, melius quam quod a terra. His coticulis periti cum e vena ut limarapuerunt experimentum, protinus dicunt, quantum auri sit in ea, quantumargenti vel aeris, scripulari differentia, mirabili ratione non fallente.

28.2. — Alla menzione dell’oro e dell’argento si accompagna quella della pietra di paragone,che una volta di solito non si trovava se non nel fiume Tmolo, come attesta Teofrasto, mache oggi si trova un po’ dappertutto. Alcuni la chiamano eraclea, altri lidia. Queste pietresono di dimensioni limitate, e non superano quattro once in lunghezza e due in larghezza.La parte di esse che era rivolta verso il sole e migliore di quella verso la terra. Quando gliesperti, usando questa pietra di paragone come una lima, hanno preso un campione dauna vena, dicono subito quanto oro vi si trova, quanto argento o rame, con un margine dierrore di uno scrupolo, in base a un procedimento mirabile e infallibile (XXXIII.126, trad.di G. Rosati, in Corso et al., 1988: pp. 78-81 ).

In entrambi i casi, pur invertendone l’ordine, Plinio segue molto da vicino quantoe esposto da Teofrasto nel De lapidibus (8.25 e 8.3, 8.16-17, rispettivamente cfr. Mot-tana e Napolitano, 1997: pp. 166 e 164), ma introduce alcune interessanti modifiche.Afferma, ad esempio, che Callia intendeva ricavare oro dalla sabbia rossa estratta dauna miniera di argento arricchita in «minio» (95) tramite una cottura, quando invece,

(95) Cinabro, in realta. Plinio, seguendo nella terminologia Vitruvio (De Architectura, VII, 8, 1-4),

202 a. mottana

secondo Teofrasto, la miniera non era per niente di argento ed egli operava l’arricchi-mento tramite un procedimento di lavaggio e sospensione. Questo dimostra che Plinioseguiva sı il De lapidibus (8.22-23), ma in realta stava tenendo sott’occhio il De Ar-chitectura di Vitruvio (96), dove si parla appunto di cottura del cinabro in fornace perfarne sublimare il mercurio (26.2). Inoltre Plinio, seguendo Vitruvio, interpreta l’Iberiadi Teofrasto come Spagna, quando invece si tratta (Strabone, Geographica, XI, III.4,in Nicolai e Traina, 2000: pp. 94-96; cfr. Caley e Richards, 1956: p. 195 (97)) diuna regione del Caucaso vicino alla Colchide, una parte dell’attuale Georgia (Mottanae Napolitano, 1997: p. 193). Con questa identificazione, i due naturalisti Romanidimostrano di essersi lasciati influenzare nella loro interpretazione di Teofrasto dal fattoche ben conoscevano la ricchissima regione cinabrifera acquisita con la conquista dellaBetica.

Plinio, infine, dimostra di non avere idea di come realmente si saggi l’oro tramite lostriscio sulla pietra di paragone, giacche ritiene che sia questa ad essere maneggiata comeuna lima (98), quando invece e il metallo da saggiare che vi e sfregato sopra in modo dalasciarvi una linea o traccia. Plinio pero era un compilatore, non uno sperimentatore,ne poteva, vista la sua elevata condizione sociale, accedere ai laboratori di fabbri, orafie artigiani come invece Teofrasto sembra usasse fare, nella sua curiosita di conoscere.Ovviamente, poi, ne Teofrasto ne Plinio accennano alla parte conclusiva dell’operazione,cosı com’e attualmente eseguita, vale a dire all’attacco chimico della traccia tramite unapposito acido (solitamente l’acido nitrico): all’epoca, l’operazione si concludeva conun’analisi a vista del colore della traccia stessa e, eventualmente, con l’esecuzione di unaseconda traccia di confronto, eseguita con una verghetta a caratura nota (De lapidibusVII.46; cfr. fig. 9, in Mottana e Napolitano, 1997: p. 204). Per finire, rispetto al testoteofrasteo Plinio mette insieme la pietra «eraclea», che e la calamita, e la pietra «lidia»,che e la pietra di paragone.

Inoltre, vi sono in Plinio numerose informazioni che ripetono affermazioni di Teo-frasto, ma che sono anonime (o che sono attribuite, genericamente, ai Greci). Traqueste:

[28.3] quali siano i luoghi di rinvenimento della «crisocolla» e che uso facciano diessa gli orafi per saldare l’oro (cfr. 8.7; Nat. Hist., XXXIII.86 e 94, in Corso et al., 1988:pp. 58-63), secondo un metodo che converte questo metallo, lungo la connessione, neltipo detto «argentato», distinto dal tipo «ramato» di cui non c’e cenno nelle opere diTeofrasto a noi pervenute, ma che l’evidenza archeologica indica essere gia noto ai Greci;

[28.4] come i Greci abbiano coniato il nome «metalla » nel senso di luoghi in cuii filoni che contengono minerali metalliferi non sono mai soli, ma si susseguono uno

afferma espressamente di tradurre «kinnabaris » con «minium » (Nat. Hist., XXXIII.115, in Corso et al.,1988: pp. 74-75) e quindi non commette alcun errore: chi erra, semmai, e il traduttore italiano.

(96) Senza citarlo, secondo un malcostume introdotto proprio dai Romani del periodo classico e perdu-rato a lungo, in una certa misura anche finora (cfr. Stahl, 1974: p. 19).

(97) Eichholz (1956: pp. 125-126) la pensa diversamente e crede anche lui che si tratti della Spagna.(98) Plinio cambia anche l’unita di misura: dall’obolo greco allo scrupolo romano.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 203

vicino ad un altro (Nat. Hist., XXXIII.96, in Corso et al., 1988: pp. 62-65); questisciami di vene nei campi filoniani erano gia noti a Teofrasto, benche li abbia descrittiin tutt’altro contesto di quello della Spagna che era noto a Plinio (De lapidibus, IX.63,in Mottana e Napolitano, 1997: p. 167 e fig. 10, p. 218);

[28.5] quali siano i modi di preparare il verderame, con varie modifiche rispettoal metodo originalmente descritto dal nostro autore (cfr. 8.23), e inoltre quali siano iprocedimenti in uso per falsificarlo (Nat. Hist., XXXIV.110-112, in Corso et al., 1988:pp. 240-241); qui Plinio va molto oltre a quanto gia innovava Vitruvio (cfr. 26.4) econ cio dimostra (contro il parere di alcuni come, ad esempio, Stahl, 1974: p. 332)che la Scienza progrediva, seppure piano e in una forma pratica, anche durante l’Imperoromano;

[28.6] fa ripetute affermazioni che le miniere abbandonate si riempiono di nuovo(cfr. 9.1 e 9.6) e rinascono piu ricche, anche se le valutazioni economiche in propositosono tratte da esempi della sua epoca (Nat. Hist., XXXIV.165, in Corso et al., 1988:pp. 274-277);

[28.7] come si producano artificialmente dal piombo la biacca (Nat. Hist., XXXIV.175, in Corso et al., 1988: pp. 280-283) e la sandracca (Nat. Hist., XXXIV.177,in Corso et al., 1988: pp. 282-283): per entrambe, Plinio non solo ripete quanto sitrova in Teofrasto (cfr. 8.22), ma indica anche altri metodi, in parte gia contenuti inVitruvio (cfr. 26.4-5) ed anche nuovi (Greenaway, 1986): questi, forse, erano contenutinel De metallis, ma in una parte che a noi non e pervenuta. Tuttavia, in ogni caso,i luoghi di produzione che Plinio indica e gli usi farmacologici che egli propone perquesti minerali sembrano indicare che egli si rifa ad opere posteriori (in particolare aDioscoride, Materia medica, V.103 e 121, in Mattioli [1557] 1984) piu che a testicontemporanei di Teofrasto.

Resta poi assolutamente in sospeso da quale autore greco Plinio abbia tratto le infor-mazioni su materiali come «stima », «stibi », «helcysma », «molybdaena », per citarne soloalcuni (Nat. Hist., XXXIII.101-105, in Corso et al., 1988: pp. 66-68): probabilmenteegli si riferiva ad autori relativamente a lui vicini, perche ne esalta le qualita terapeutichee ne trascura le proprieta tecnologiche o la preparazione, come fa invece quando de-scrive altri materiali come l’ocra rossa e il cinabro, citati anche da Teofrasto (cfr. 8.25),oppure quando descrive la «diphrygis », non citata da Teofrasto, ma preparata secondoun metodo che era gia fattibile alla sua epoca (Healy, 1986: p. 134).

In conclusione, a parte alcuni riferimenti al De lapidibus (che, per altro, spesso ap-paiono mediati attraverso Vitruvio), Plinio non sembra conoscere molto delle operescientifiche di Teofrasto dedicate ai materiali inorganici e tanto meno di quelle conte-nenti informazioni di carattere metallurgico (cfr. Ramin, 1977a; Healy, 1986). Pare,anzi, che molte delle sue informazioni provengano da opere a lui piu vicine nel tempo,in particolare da Dioscoride, anche se non lo menziona tra le sue fonti, cosı come,d’altra parte, fa per Vitruvio, preferendo piuttosto riferirsi ad una fonte piu autore-vole come Varrone (cfr. Della Corte, 1978), nei confronti del quale, pero, non ci e

204 a. mottana

possibile effettuare alcun riscontro approfondito, essendo la sua opera principale andataperduta.

Dopo Plinio, nella letteratura latina non si accenna piu ne a Teofrasto mineralistane al De metallis. Chiaramente, non ne valeva la pena: se anche il libro era disponibilea Roma in una qualche biblioteca (ma la cosa non e ne certa ne probabile; per esempio,non vi accenna mai Diodoro Siculo, che pure afferma di aver perso un bel po’ di tempoa documentarsi nelle biblioteche della capitale dell’impero, cfr. Bibliotheca historica, I,IV.2-3, in Canfora, 1986: p. 8), sicuramente non valeva la pena di farvi riferimento,quando si potevano trovare tante piu informazioni utili nel monumentale trattato diPlinio (cfr. Healy, 1986: pp. 111-146). Ed infatti la maggior parte dei compilatorilatini piu tardi non cita piu Teofrasto, fuorche Solino (III sec. AD), ma non per imetalli, quanto piuttosto per confermare con la sua testimonianza la favola del «lingurio»tramandata anche da Ovidio e da Plinio (Walter, 1963; cfr. Mottana e Napolitano,1997: p. 202).

29. La sua stessa testimonianza sara ripresa ancora una volta da uno scrittore chesi nasconde sotto il nome di Tommaso d’Aquino (ca. 1225-1274), con le medesimeparole e con la precisa menzione di Alessandro di Afrodisia, oltre che di Teofrasto:quindi, sicuramente, sulla base del testo del commentatore e non dell’originale (99).Con questo Tommaso il ricordo di Teofrasto autore di opere su miniere e mineralitornera a fare capolino nella letturatura colta dell’Occidente, dopo un lunghissimo oblio,tanto profondo da non essere stato neppure citato nel Mineralia di Alberto Magno (ca.1190-1280) che pure e il primo libro scritto con velleita scientifiche, cioe fondatosu osservazioni dirette e non su citazioni erudite, dell’Occidente latino (cfr. Wyckoff,1967: p. XLI). Il vero Tommaso era sicuramente entrato a conoscenza dell’esistenza diTeofrasto per il tramite delle traduzioni dei trattati di Aristotele eseguite direttamente dalgreco (su sua richiesta) da Guglielmo da Moerbeke. E quindi grazie a due Domenicaniche Teofrasto pote riprendere ad essere conosciuto e stimato dai cultori di Scienza (e.g.,Agricola, 1546, 1556).

Difatti, e in questo periodo che riaffiora dalla grande, tragica maceria in cui si eraridotta la civilta antica qualche raro testimone e «gli intellettuali dell’Europa occidentaleebbero una seconda possibilita di conoscere direttamente i classici greci» (Stahl, 1974:p. 344). Tra i testi rinvenuti e portati in Occidente, che sono prevalentemente filosofici,riemerge anche il primo testimone di Teofrasto mineralista: il codice Vaticanus Graecus1302, che fu trascritto, probabilmente a Costantinopoli, all’inizio del XIV secolo apartire da un lontanissimo originale, verosimilmente del VIII secolo, di cui si e persaogni traccia (Burnikel, 1974: pp. XXXII-XXXIII, 66-70; Burnikel e Wiesner, 1976:p. 142).

(99) La traduzione greco-latina del commento di Alessandro di Afrodisia ai Meteorologica di Aristotele,in cui viene citato anche Teofrasto, fu compiuta a Nicea il 24 aprile 1260 da Guglielmo da Moerbeke(Grabmann, 1946: p. 39). In questa opera e contenuta la prima citazione di Teofrasto nel mondo latino,dopo un oblio durato almeno otto secoli, ed essa e di seconda mano. Tommaso e esplicito in proposito:«Et Theophrasti quidem libros non vidi » (Grabmann, 1946: p. 82).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 205

C. Testimonianze arabe.

Per forza di cose le testimonianze arabe sono molto piu recenti di quelle greche elatine, ma non per questo sono meno indicative del pensiero di Teofrasto sui metalli (econtemporaneamente della sopravvivenza dell’interesse per l’autore presso gli scienziati);anzi, spesso rivestono maggiore importanza per la ricostruzione del pensiero dell’autoregreco perche ne riportano piu esattamente il testo, senza la distorsione indotta da unasua interpretazione eticheggiante piu o meno libera. Se pure esse ci sono pervenuteattraverso l’intermediazione delle traduzioni in siriaco, queste furono sicuramente moltopiu rispettose del testo originale di quelle latine, anche perche erano dovute non a scien-ziati, ma a traduttori professionali che si gloriavano di aver saputo trovare, trascrivere einterpretare con precisione il loro autore greco in modo da essergli fedeli in ogni suoparticolare costitutivo (cfr. al-Gah. iz., Kitab al-h. ayawan, pp. 76-78, in Cassarino, 1998:pp. 91-96). Gli studiosi nestoriani di lingua siriaca avevano poi trasmesso a quelli mus-sulmani di lingua araba il loro senso di venerazione verso il testo greco, secondo unprincipio che ne rendeva conservativa la trasmissione pur passando attraverso due lingue(Badawi, 1968: pp. 16-34). Se ne avvantaggera anche la cultura naturalistica occiden-tale di lingua latina quando in Spagna comincera l’epoca delle traduzioni dall’arabo(cfr. Mottana, 1999: p. 134).

30. Un’importante testimonianza e contenuta in un passo del capitolo relativo alpiombo della «Raccolta di informazioni sulle pietre preziose» (Kitab al-gamahirfı ma‘arifat al-gawahir ) di al-Bırunı (100), che e stato tradotto in inglese dal Daiber(1985: p. 109; anche n. 183 in Fortenbaugh et al., 1992: I, pp. 340-341, con lievimodifiche):

30. — Nei Problemata physica di Teofrasto [si dice quanto segue]: se singoli vasi sonoriempiti con trucioli di piombo, essi sono piu pesanti di quanto lo sarebbero se fosseroriempiti con oro e argento.

Questa brevissima testimonianza e particolarmente importante, non solo perche fratutti gli scienziati del Medioevo islamico al-Bırunı fu senz’altro il piu profondo studiosodel peso specifico, raggiungendo risultati sperimentali che non differiscono in modosostanziale da quelli moderni grazie anche ad un particolare tipo di picnometro diforma conica da lui stesso inventato (Hilmi, 1995: p. 112), ma anche perche e l’unico

(100) Abu ‘l-Rayhan Muh. ammad ibn Ah. mad, detto al-Bırunı, persiano (973-1048 AD), astronomo,medico, matematico e geografo. E autore di oltre un centinaio di opere in arabo tra cui un canone diastronomia e una descrizione dell’India, quest’ultima resagli possibile dalla sua conoscenza del sanscrito.Ebbe accesso ai lavori greci molto di piu di altri studiosi arabi suoi coevi, grazie al fatto che aveva avuto curadi imparare anche il siriaco.

206 a. mottana

riferimento che possediamo a un altro testo scientifico di Teofrasto del tutto sparito.Un trattato dal titolo «Sui problemi naturali» figura, in effetti, nell’elenco di DiogeneLaerzio (Vitae philosophorum, 5.48, in Sollenberger, 1985: p. 33), ma non risulta maicitato da alcun autore successivo, ne greco ne latino.

La citazione di al-Bırunı e troppo circostanziata per non essere veritiera (Haschmi,1965: p. 30). Per conseguenza, deve sicuramente essere stata tratta da un testo diquel nome (101) o, per meglio dire, dalla sua traduzione in siriaco. A questa seguı,forse, anche una traduzione in arabo, giacche quel titolo (Kitab al-ma‘adin ) e men-zionato anche da Ibn Abı Us.aybi‘a (102) nel cap. IV, 69.20 del repertorio «Principaliinformazioni sulla classe dei medici» (‘Uyun al-anba’ fı t.abaqat al-at. ibba’). Egli, pero,attribuisce il trattato ad Aristotele. Attualmente non si conoscono ne l’una ne l’altra tra-duzione, ma non e per niente impossibile che prima o poi esse ritornino alla luce nellagrande congerie, ancora in gran parte inesplorata, dei manoscritti islamici conservatiin India.

L’importanza di Teofrasto nella Scienza araba puo essere valutata anche dal fatto chegli sono state attribuite opere certamente non sue, ma frutto di compilazioni piu tarde,siriache oppure arabe. Spesso autori rispettabilissimi lo citano in perfetta buona fede:cosı per esempio fa Rhazes (103) nel capitolo sull’elettro del suo Kitab al-h

˘awas.s. («Libro

delle proprieta magiche»), dove figurano affermazioni che ometto perche non trovanoalcun riscontro con cio che di ragionevolmente sicuro ci e stato trasmesso del pensierodell’autore greco.

Discussione

Dopo aver collazionato quanto piu vi sia di cio che Teofrasto ha lasciato scrittoriguardo ai metalli (42 passi) integrandolo con le affermazioni a lui attribuite daautori antichi (24 passi) ed aver cercato di armonizzare tutto cio con quante piudocumentazioni (anonime, ma ragionevolmente a lui riferibili) mi sia stato possi-bile raccogliere (34 riferimenti o citazioni), e ora arrivato per me il momento di me-ditare su tutto cio che ho a disposizione (tab. I) per dedurne, almeno nelle suelinee essenziali, il pensiero dell’autore sull’argomento e di qui passare a generaliz-zare.

In questo modo ritengo di poter ricavare, alla lunga e per grandi linee, un profilodello stato di sviluppo della Scienza greca relativamente alle sostanze inorganiche naturali:quello che e, appunto, il mio programma di studio.

(101) Steinmetz (1964: p. 10) preferisce pensare che si tratti di un nome collettivo, cioe di una sillogein cui erano raccolti testi vari di Teofrasto relativi ai materiali, vale a dire il De lapidibus, che ci e pervenutoper altra via, il De metallis ed altri scritti ancora.

(102) Muwaffaq al-Dın Abu ’l-‘Abbas Ah. mad ibn al-Qasim ibn Abı Us.aybi‘a, di Damasco (1203-1269AD), medico e storico della Scienza.

(103) Abu Bakr Muh. ammad ibn Zakariyya’ al-Razı, persiano vissuto tra il 864 e il 925 o 935 AD. E ilmaggiore studioso islamico di minerali, non perche ne fosse interessato da naturalista, ma perche ne facevaun uso farmaceutico.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 207

Tabella I. — Distribuzione temporale dei dati informativi delle idee di Teofrasto sui metalli.

Secolo Anni Originali Testimonianze Riferimenti, rielaborazioni

IV a.C. 347-345? De igne323-315 sezione 71 al De odoribus315/4 De lapidibus314/3-310 De causis plantarum frammento bernese?ca. 310 De odoribus? De sensu? Metarsiologikon

III a.C. 265-250 pseudo-Aristotele:De mirabilibus auscultationibus

II a.C.

I a.C. (31) 27-23 Vitruvio: De Architectura Vitruvio

I AD 62-63 Seneca: Naturales Senecaquaestiones

70-77 Plinio: Naturalis Historia Plinio

II 100-125 Plutarco: De primo frigido173-178 Polluce: Onomastikon193-198 Ateneo: Deipnosophistae

III 198-211 Alessandro: In Aristotelismeteorologicorum libroscommentaria

200-230 Arpocrazione: Lexeis

IV

V Olimpiodoro: In Aristotelismeteora commentariaEsichio: Lexicon Giovanni Filopono

VI Simplicio

VII anonimo alchimista parigino

VIII Eliodoro

IX 842 o 867? Fozio? Giobbe da Edessa

X Suda: Lexicon Bar Bahlul: epitome< 987 Ibn al-H

˘ammar

XI ca. 1030 al-Bırunı: Kitab al-gamahir1058 fı ma‘arifat al-gawahir Michele Psello

XII Ibn Abı Us.aybi‘a

XIII pseudo Tommaso d’Aquino

XIV Vaticanus Graecus 1302 Gennadio II

208 a. mottana

Struttura del trattato.

Per il fine che mi sono proposto, non ha importanza se il De metallis fosse costituitoda due libri oppure da uno solo; non ha, quindi, alcun significato concreto neppurela discordanza che esiste tra le due testimonianze di Diogene Laerzio e di Olimpiodorocitate sopra, che sembra costituire un assillo per i filologi (cfr. Sharples, 1998: p. 21).Cio che basta e ordinare in forma sistematica tutto il materiale che e rimasto disponibile(tabb. II, III) e trarne le deduzioni conseguenti.

Sulla base delle evidenze complessive, sembra certo che il De metallis comprendessealmeno due parti distinte (cfr. Regenbogen, 1940: col. 1417):

(a) una relativa all’estrazione dei grezzi metalliferi e al loro trattamento preliminare,quindi di carattere minerario, e

(b) una relativa alla raffinazione ed all’utilizzazione dei metalli, sia puri sia in lega,quindi di carattere metallurgico.

Questa divisione in due parti (forse corrispondenti ai due libri citati da Diogene Laer-zio, ma forse anche interna all’unico libro citato da altri) si basa sulle sole testimonianzeaccertate, che sono molto poche (1, 11, 12, 13, 14, 17, 18, 19 e, dubitativamente, 2,9 e 21), mentre per la ricostruzione dei loro contenuti rispettivi faro ricorso a tutti iriferimenti ai metalli contenuti nei vari trattati e frammenti teofrastei sopravvissuti e,inoltre, ai riferimenti ad essi nei testi degli autori successivi, oltre che, ovviamente, alletestimonianze: purtroppo, in ogni caso, si tratta di accenni sporadici, sempre concisi espesso anche vaghi.

Natura dei metalli.

Gli sporadici accenni ai metalli (contenuti soprattutto nel De lapidibus e nei Metar-siologikon, ma anche negli altri frammenti) acquistano migliore comprensibilita se sonoinquadrati nella teoria generale sulla natura e l’origine di tutte le sostanze di interesseminerario (metalli e pietre) a partire dalle due emanazioni: secca e umida. Questa teo-ria e dovuta ad Aristotele, ma Teofrasto tacitamente la riprende nel De lapidibus (104) eappare farla sua propria nei Metarsiologikon, sia pure in una forma molto abbreviata eper di piu indiretta, poiche modificata ed adattata ad uno degli argomenti da lui spe-cificamente trattati in quel libro, vale a dire alla formazione delle nubi (Daiber, 1992:p. 264):

[6.] (42) : : : Quei due vapori che emanano dalla terra sono mescolati, (43) in altre parole ilvapore denso e il vapore sottile. Se emanano, (44) allora quello dei due che e di tipo sottilesale rapidamente verso l’alto, perche si avvicina al suo posto naturale. : : : Per cui, ogni qualvolta il vapore sottile (48) emana, ha un movimento veloce. E poiche il vapore denso nonpuo (49) accelerare la sua ascensione in modo simile, i due si separano e di conseguenza(50) il [vapore] sottile precede quello denso.

(104) Steinmetz (1964: p. 81) e dopo di lui Sharples (1998: p. 169) non sono d’accordo su questa miainterpretazione: essi ritengono evidente che Teofrasto si discosta fortemente dalle opinioni di Aristotele,ritornando alle posizioni di Platone.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 209

Con queste sue affermazioni Teofrasto conferma, implicitamente, di ritenere commi-ste le due emanazioni quando sono ancora nel sottosuolo dominato dall’elemento terrae di concepirne la separazione (una sorta di distillazione frazionata) solo quando fuo-riescono dalla Terra (come sfera) e vengono a contatto con l’aria. Se ne puo dedurre,volendo, che Teofrasto mette in relazione minerali e metalli solo con l’elemento acqua,che e in relazione con l’emanazione umida e densa, mentre esclude una loro connessionecon l’elemento aria, che e sottile e secca.

Aristotele si esprime molto piu chiaramente perche va diritto al punto, non senzapero avere prima disquisito anche lui molto a lungo dei fenomeni meteorologici, lecui cause apparenti (la cui spiegazione era immediatamente comprensibile anche pergli osservatori non esperti) gli servivano come premessa fenomenologica all’estrapola-zione logica. Esauriti, dunque, gli argomenti strettamente meteorologici, egli afferma(Meteorologica, II, 378a 13-378b 6):

Questo dunque completa la nostra lista degli effetti prodotti dall’esalazione nelle regioni aldi sopra della superficie terrestre. Descriviamo ora quelli che essa produce all’interno dellaterra. Produce due differenti tipi di corpi, perche essa stessa e doppia come lo e nelle regionisuperiori. Poiche ci sono due tipi di esalazioni, come abbiamo detto, una vaporosa e unafumosa, e ci sono due tipi di corpi che nascono nella terra: materiali di scavo e di miniera.L’esalazione secca per azione del suo calore produce tutti i materiali di scavo, per esempio,tutti i tipi di pietre che sono infusibili, il realgar, l’ocra, l’ocra rossa, lo zolfo e tutte le altresostanze simili. La maggioranza dei materiali di scavo sono polvere colorata o una pietraformata di simile composizione, come il cinabro. L’esalazione vaporosa produce invece imateriali di miniera, che sono o fusibili o duttili, come il ferro, l’oro, il rame. L’esalazionevaporosa produce questi materiali quando e racchiusa nel suolo, e soprattutto nelle pietre,ove condensa e solidifica, come rugiada o brina, quando viene separata. In questo caso,pero, i materiali in questione si formano prima della separazione. Per questo motivo, essisono in un certo senso come acqua, ma per un altro verso non lo sono: in potenza, infatti,la loro materia era quella dell’acqua, ma non lo e piu, e non provengono neanche da acquatrasformatasi per qualche accidente : : : Non e cosı, invece, che si formano rame e oro, mavengono prodotti per congelamento dell’esalazione prima che si formi acqua. Per questomotivo, tutti questi materiali sono combustibili e contengono terra: essi racchiudono,infatti, l’esalazione secca; soltanto l’oro non e combustibile (trad. di M. Napolitano, inMottana e Napolitano, 1997: pp. 171-172 ) (105).

A parte le differenze terminologiche che esistono tra i due brani or ora riportati, chesono quasi certamente dovute alle due traduzioni (106), il loro confronto decisamente

(105) Che questo passo rifletta il pensiero di Aristotele sui metalli e incontrovertibile: e, infatti, il passodi chiusura del libro III dei Meteorologica, ritenuto autentico da tutti i commentatori. Segue poi la frase: «Sie detto cosı in generale di tutti questi corpi, ma bisogna indagare in modo piu adeguato esaminandone ognitipo» (trad. di Lucio Pepe, in Pepe, 1982: p. 142) con cui il libro si conclude lasciando pensare a molti cheAristotele intendesse continuare descrivendo in dettaglio minerali e metalli. Il libro IV che segue, di fatto,non continua in questa direzione. Da qui l’ipotesi che non sia di Aristotele oppure che costituisca (o facciaparte) un altro trattato. Di qui anche l’interpolazione medievale del De mineralibus tratto da Avicenna(v. supra).

(106) Esalazione fumosa e vapore sottile sono da considerarsi la stessa cosa, e cosı pure esalazionesecca e vapore denso, ma non possiamo avere di cio una conferma diretta, non solo perche il testo grecodei Metarsiologikon e perduto, ma anche perche le numerose traduzioni intermedie che hanno finalmente

210 a. mottana

conferma – a mio parere – quanto da vicino Teofrasto dipenda nel suo pensiero daAristotele. Questo fatto era ben noto gia agli antichi, come dimostra la testimonianzadi Seneca (Naturales quaestiones, VI.13,1: qui sopra 27.1 e 27.2).

E dunque da considerarsi pacifico che Teofrasto porti avanti sı un suo pensiero ori-ginale, ma solo e sempre partendo da premesse teoriche concepite da Aristotele e daquesti sviluppate solo parzialmente. Il procedimento cognitivo di Teofrasto consistevaanzitutto nel portare conferme alle teorie del maestro con l’aggiungervi una serie diesempi e di testimonianze tratti dall’esperienza (107); successivamente, egli personalizzavala teoria con l’apportarle, se e dove era il caso, modificazioni che solo raramente acqui-stano uno sviluppo considerevole (108). Cosı, per i metalli, alle due proprieta distintivedei prodotti dall’esalazione vaporosa nel sottosuolo citate da Aristotele (di essere o fusi-bili o duttili, e come esempi gia lui indica tre dei piu noti metalli: cfr. 378a 27, quisopra) Teofrasto aggiunge di suo poche altre proprieta, sempre introducendole tramiteesempi esplicativi (v. infra ).

Il confronto tra i due testi di Teofrasto e di Aristotele or ora riportati con quanto eaffermato da Platone (Timaeus, 59A-B; 60B-C, in Mottana e Napolitano, 1997: p. 169)non conferma la netta discrasia che alcuni studiosi moderni vogliono vedere tra le duescuole accademica e peripatetica, ma anzi ne precisa gli stretti rapporti iniziali, ai qualifa seguito cio che io non esito a definire un normale sviluppo logico per vie distinte,questo sı, ma non alternative. Platone aveva interpretato i metalli (piu esattamentel’oro e il rame) come una forma solida particolare dell’elemento acqua contenente soloscarse tracce dell’elemento terra. Aristotele e Teofrasto fanno lo stesso, solo insistendoancora di piu sul fatto che i metalli non sono costituiti unicamente da acqua (8.1),ma debbono necessariamente contenere anche una percentuale (variabile caso per caso,ma importante, perche serve a caratterizzare ciascuno di essi) di terra, cioe di impurezze(cfr. De igne, I.8, in Wimmer, 1866: p. 352). Sembrerebbe farne eccezione unicamentel’oro (Timaeus, 59B, in Sartori e Giarratano, 1990: p. 408; Meteorologica, III, 378b4,in Pepe, 1982: p. 142), ma non era forse implicito che anch’esso puo essere impuroquando gia Platone affermava che e presente in esso un «nodo»: l’adamante, da luiconcepito come un’impurezza contenuta nello stesso oro che puo esserne liberato raffi-nandolo a partire dallo stato fuso? E non conferma tutto cio anche Aristotele, quandoafferma che il comportamento metallurgico anomalo del ferro (che, a differenza deglialtri metalli, nessuno riesce a fondere, ma solo a rammollire, per cui gli resta sempreaderente una certa porzione di scoria: Meteorologica, IV, 382b 28-383b 17, in Baf-fioni, 1981: pp. 104-111), e dovuto al fatto che contiene una porzione significativadell’elemento terra (Meteorologica, IV, 383a 31, in Baffioni, 1981: p. 114)? E che,invece, tutti gli altri metalli, che ne hanno di meno, si caratterizzano per essere fusi-

consentito di arrivare alle due versioni italiane qui sopra riportate hanno contribuito a variarne la lettera,senz’altro, ma per fortuna non il senso.

(107) E anche tratti da altri autori piu antichi, cosı venendo a rappresentare per noi la fonte di moltedelle nostre conoscenze sui Presocratici (cfr. Mansfeld, 1992: pp. 63-111).

(108) Tutto cio si avverte soprattutto nei trattati botanici (cfr. Steinmetz, 1964; Amigues, 1988, 1989).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 211

bili, vale a dire per il fatto che, fortemente scaldati, si convertono del tutto in unafase liquida? Probabilmente a questo fine Teofrasto riporta le false informazioni checerti metalli siano talmente facili a liquefarsi da sciogliersi nell’acqua (stagno: 9.9) eche certi altri, buttati liquidi nell’acqua, ritornino a galla come se fossero olio (piombo:9.11). E, sempre per confermare la stretta affinita di pensiero tra i tre maestri, nonfa forse Teofrasto appello all’umidita contenuta nelle pietre mercurifere per spiegarel’origine dell’argento vivo, che se ne deposita, fluido, come condensa dopo essersenesublimato quando esse sono state scaldate ed asciugate (26.1)? Indubbiamente, il fattostesso che esistesse una sostanza come il mercurio che e liquida, ma che ha il compor-tamento e le proprieta di un metallo, era una ragione valida per abbracciare la teoriadelle emanazioni. In seguito, infatti, e per oltre un millennio, il mercurio costituirauno delle due sostanze prime prese a caposaldo (109) delle elucubrazioni degli alchimisti(cfr. Holmyard, 1957).

Proprieta dei metalli.

La fusibilita e, sicuramente, la proprieta dei metalli su cui anche Teofrasto si soffermadi piu (110), forse perche era stata espressamente citata come caratteristica peculiare siada Aristotele sia da Platone. Egli la mette in relazione non solo col fuoco applicatoartificialmente dall’uomo, ma anche con quel fuoco naturale che e, per lui, il fulmine.Non bisogna dimenticare, a questo proposito, che proprio sul comportamento rispettoalla fusione si basa gran parte della classificazione delle sostanze minerali impostata daTeofrasto nel De lapidibus, per non parlare di quasi tutta la tecnologia degli antichi(cfr. Blumner, 1979; Longo, 1992: p. 226). Del fatto che tutti i metalli fondano egliparla a piu riprese (5.1, 8.5, 8.16, 8.18, 8.19, 9.9, 9.11, 19.3, 27.3, 27.4), talorapero anche erroneamente, come quando interpreta come una fusione l’effetto che hail gelo di disgregare lo stagno (5.1). Alcune sue osservazioni sono, per altro, acute;ad esempio, egli pone l’accento sull’utilita di aggiungere una particolare ganga (terrosao litoide) per accelerare la fusione (8.5, 9.7): talora questa «terra» agisce solo comecatalizzatore esterno e diminuisce il punto di fusione del metallo, ma talvolta reagiscecon esso e forma una lega particolare che ne esalta certe caratteristiche oppure apportaal prodotto nuove proprieta, perfino eccezionali (8.19, 9.12).

Ben piu interessante, pero, per farci capire come Teofrasto intenda il processo difusione, e il suo fare ricorso alla «densita » per spiegare il diverso modo di comportarsidella stoffa e del legno (materiali soffici) e dell’oro e del ferro (metalli) quando sonocolpiti dal fuoco del fulmine (7.5, 27.4 (111) e inoltre 7.4, 27.3). In realta, non di

(109) L’altra e lo zolfo.(110) Egli fu anche autore di un trattato specifico «Sulla solidificazione e la liquefazione» (Diogene

Laerzio, Vitae philosophorum, 5.45, in Sollenberger, 1985: p. 37), di cui pero non conosciamo altro che iltitolo.

(111) Seneca qui parla di durezza e non di densita, ma si tratta di un’evidente incomprensione delpensiero della sua fonte. Tuttavia, durezza e coesione sono in un certo modo piu vicine tra loro di quantonon sia quest’ultima con la densita, che in un materiale, se e intesa come peso di volume, e invece in relazionecon la compattezza.

212 a. mottana

Tabella II. — Passi riportati con riferimenti alle proprieta dei metalli.

Proprieta Riferimento nel testo

attrazione 8.8 - 8.9

brillantezza/lucentezza 4.2 - 9.7 - 9.8 - 9.12

calore 4.2 - 5.1 - 5.2 - 5.3 - 5.4 - 5.5 - 5.6 - 9.9 - 26.5

capacita visiva 9.10

colore 4.2 - 4.3 - 8.7 - 8.16 - 8.19 - 9.8 - 26.2 - 26.3 - 26.5 - 26.6

costituzione interna 2 - 4.1 - 4.3 - 27.4

cura degli occhi 9.10 - 24

definizioni 11 - 12 - 13 - 14

densita (= coesione) 1 - 4.1 - 4.2 - 6 - 7.5 - 8.11 - 9.11 - 26.1 - 30

dimensione 1 - 9.1 - 9.2 - 9.3 - 9.4a - 9.4b - 9.5 - 9.6

durezza 2 - 4.1 - 5.2 - 27.4

duttilita 5.1estrazione 5.6 - 8.6 - 9.1 - 9.2 - 9.3 - 9.6 - 9.13 - 26.1 - 26.2 - 26.6 - 28.1

fragilita 5.1 -10

fusibilita 5.1 - 5.4 - 8.5 - 8.16 - 8.18 - 8.19 - 9.9 - 9.11 - 17.1 - 19.3

lavorabilita 8.4 - 8.14 - 8.15

malleabilita 9.9 - 26.2

odore 3 - 6 - 8.11

reazione chimica 8.22 - 8.23 - 8.24 - 8.26 - 9.7 - 26.4 - 28.4 - 28.6

rumore 7.1 - 7.2 - 7.3 - 27.6

saggio al fuoco 26.3

saldatura 8.7 - 28.3

sapore 3

sonorita 7.1 - 7.2 - 7.3 - 27.6

striscio 8.3 - 8.16 - 8.17 - 28.2

termini metallurgici 17.1 - 17.3 - 19.2 - 19.3

termini minerari 17.2 - 17.4 - 19.1

tipi di lega 1 - 8.17 - 9.12

trattamento metallurgico 26.1 - 26.2 - 27.5

umidita 2 - 25.1 - 26.1 - 26.2 - 26.5

densita in senso moderno si tratta (cioe di massa per unita di volume), ma di un qualcosadi non ben definito che sta a mezzo tra la coesione (cioe la forza che tiene riunite tra lorole parti costitutive del materiale) e la compattezza (cioe l’aggregazione piu o meno strettatra le particelle di un materiale che ne riduce lo spazio vuoto inevitabilmente presenteall’interfaccia tra i grani). Quando questa «densita» e scarsa, come nei corpi eterogenei,il fulmine passa (e quindi la stoffa non ne risulta danneggiata), ma quando e alta, come

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 213

nell’oro (che e un corpo omogeneo), il fulmine e costretto a un brusco arresto che nelibera tutto il «fuoco» contenuto e questo, a sua volta, venendo incorporato dal metallo,ne produce il surriscaldamento e l’immediata fusione. Il fenomeno e descritto in unmodo particolarmente enfatico quando il metallo fuso dal fulmine e il ferro (27.3): nonsi dimentichi, infatti, che la siderurgia antica non riusciva quasi mai a produrre un ferrodel tutto fuso (112), ma doveva fare ricorso, per renderlo di pratico uso, a metodologiealternative (Forbes, 1993b: pp. 603-605) (fig. 4).

Fig. 4. – La fucina di un fabbro nella Grecia arcaica (VI sec. a.C.), da sinistra a destra: l’attrezzo da forgiare etenuto fermo da un aiutante con lunghe tenaglie mentre un altro aiutante lo colpisce con un’ascia seguendole indicazioni del capo-operaio; in alto: vari attrezzi finiti in esposizione (vaso a figure nere rinvenuto ad

Orvieto, ora nel Museo di Boston; da Muller, 1976: I, p.183, fig. 32).

A proposito della fusione dei metalli e dei materiali ad essi associati, la documen-tazione presenta una strana incoerenza che non e tanto di carattere lessicale, quantopiuttosto epistemologico: Teofrasto sembra considerare che fuoco e calore (e vale a direcausa ed effetto) siano la stessa cosa, tanto e vero che prima si sforza di dimostrare cheil fulmine e fuoco (7.4), poi assimila la natura di questo al suo effetto piu evidente chee quello di bruciare le sostanze combustibili e di fondere quelle fusibili (7.4, 7.5). Eglisapeva benissimo che legno e stoffa bruciano, se esposti al fuoco; eppure non esita a

(112) Il ferro puro fonde a 1550 ◦C, cioe ca. 150-200 ◦C piu della massima temperatura che gli antichierano in grado di raggiungere, anche usando carbone forte (5.3) e fuoco ossigenato con mantici. L’aggiuntadi carbonio tramite la forgiatura, producendo ferro acciaioso, abbassa il punto di fusione a 1300-1400 ◦C.Cio rendeva possibili lavorazioni a martello sicuramente molto piu faticose di quelle a getto (come quellein uso per il bronzo, il cui punto di fusione e di ca. 900-1000 ◦C), ma comunque praticabili.

214 a. mottana

sottolineare il fatto che il fulmine (fuoco allo stato concentrato) non li danneggia nep-pure mentre fonde il metallo in loro contenuto: evidenzia, anzi, che il fulmine sembraconcentrare la sua azione sul materiale piu solido (o compatto, o coeso) in un modo chee tanto piu selettivo quanto piu il fatto e improvviso. Dal contesto, sembra chiaro cheTeofrasto vuole differenziare il diverso comportamento del fulmine sui materiali non inbase al calore applicato, ma, in primo luogo, sulla base del tempo in cui avviene l’azione(brusco arresto) e, solo in secondo luogo, sulla base della «densita» caratteristica della so-stanza in cui il suo effetto viene a svilupparsi (compatto, il metallo, in contrapposizionealla stoffa, rada).

Invece, al-Bırunı fa seguire la breve citazione in cui accenna alle idee di Teofrastosulla «densita» (30) con una lunga analisi critica (113) dalla quale si evince che egli neaveva un’idea del tutto moderna e, quindi, intendeva confutare Teofrasto anche sulpiano teorico, ritenendo le sue idee viziate perche basate su assiomi di cui riconoscevala probabile derivazione dalle teorie atomistiche di Democrito. Teofrasto cita, infatti,senza alcuna critica, queste teorie (che riguardano la presenza di interstizi pieni di ariatra i singoli grani massivi costitutivi dei metalli e che coinvolgono la coesistenza stessa dipieni e di vuoti) per spiegare non solo la «densita» e la durezza (2), ma anche il colore(4.1, 4.3, 6, 27.4). Secondo al-Bırunı, invece, che ragionava gia da sperimentatore eche su questa base ottenne risultati vicini a quelli attuali, se Teofrasto avesse tentato direalizzare l’esperimento, si sarebbe accorto che la sua riuscita non dipendeva dalla densitadei metalli, quanto piuttosto dalle dimensioni dei due ugelli di cui doveva munire ilvaso: uno per versarvi i metalli fusi e l’altro per fare uscire l’aria che vi sarebbe altrimentirimasta intrappolata. Se il primo, in particolare, fosse stato troppo sottile, il metalloversato avrebbe fatto in tempo a raffreddare prima di riempire il vaso scacciandone l’ariae di conseguenza ne sarebbe risultato un valore della densita piu basso del vero.

Teofrasto mostra di avere un’idea, seppure vaga, dei concetti di contenuto di caloree di conduzione termica, quando osserva che corpi freddi compatti (di vario tipo e nonsolo metallici) possono incamerare molto calore fino a diventare surriscaldati e sono poicapaci di trasmetterlo ad altri corpi per tempi anche lunghi (5.2). E anche a conoscenzadel fatto che una maggior compattezza dei materiali (metallici e non) permette loro ditrattenere piu efficacemente non solo il caldo, ma anche il freddo (6); inoltre, che unmetallo e rosso quando e meno caldo e diventa sempre piu bianco e brillante quanto piula sua temperatura cresce (4.2). Si tratta, evidentemente, di una serie di idee miscellaneeche gli derivano da informazioni ricevute dai tecnologi dell’epoca cioe, sostanzialmente,da fabbri e da fonditori. E da questi e da altri tecnici, probabilmente, che egli e venutoa conoscenza di altri tipi di effetto che il calore produce sui metalli: cosı descrive ilsaggio al fuoco per determinare il titolo dell’oro (8.18), un metodo proprio degli orafi;pero lo considera di secondo piano rispetto ai meravigliosi risultati che si ottengonocon lo striscio sulla pietra di paragone (8.3, 8.17), metodo questo tipico dei gioiellieri.Che vari aspetti delle alterazioni che il calore indotto dal fuoco provoca nei materiali gli

(113) Che non riporto, ma che e anch’essa tradotta dal Daiber (1985: p. 109).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 215

fossero, del resto, ben noti, lo si apprezza ancora negli esempi che da del cinabro (26.3)e della biacca (26.5), quando descrive come distinguere il prodotto genuino dall’imi-tazione. Non cerca, pero, di spiegare il perche dei cambiamenti di colore o di statoosservati: ovviamente, alla sua epoca, egli non poteva neppure lontanamente immagi-nare il tipo di reazione avvenuto. Quando poi vuole offrire una qualche spiegazione,lo fa nel quadro delle teorie di Democrito (v. supra ), senza originalita e senza insistereparticolarmente.

Altra proprieta distintiva dei metalli citata da Teofrasto e la duttilita (5.1), che eglipero pone in minore risalto di quanto non faccia Aristotele (v. supra ) e alla quale anzicontrappone la fragilita, come una proprieta altrettanto caratteristica di alcuni metalli,seppure in condizioni estreme (5.1, 10). Egli ricorda appena la malleabilita (9.9, 26.2)e sottolinea invece la sonorita (7.1, 7.2, 27.6), cioe la maggiore o minore attitudinedei metalli a produrre un clangore come risposta ad una sollecitazione meccanica, incio differenziandoli dalle pietre e dalle terre, decisamente sorde. Tuttavia, mette inguardia sul fatto che la massima resa sonora si ha quando si utilizzano strumenti diforma opportuna (27.6) e, in tal modo, sembra voler implicare che la forma e piuimportante del tipo di metallo usato per la progettazione e la costruzione di strumentimusicali.

Poca importanza, invece, sembra avere per lui la durezza (2, 4.1) o almeno cosıpotrebbe apparire dallo scarso numero di volte che e citata (sempre in relazione alferro). In realta non e cosı, perche egli si sofferma alquanto sul ruolo svolto dallatempra nell’aumentare le caratteristiche tensili del ferro acciaioso e cio non solo nelframmento dubbio (2), ma anche in vari frammenti certi (4.1, 7.1, 7.3, 8.5) e inuna testimonianza (27.5). Il pensiero di Teofrasto su questo argomento e dunquericostruibile con precisione, poiche e ribadito, anche se la sua migliore espressione sitrova nel frammento dubbio (2): il calore superficiale del metallo dell’attrezzo messo acontatto improvviso con l’acqua fredda si ritira verso l’interno di esso trascinando conse l’umidita, poi la fa evaporare, forzando cosı la massa del metallo ad indurirsi perl’aumento della coesione (o compattezza) che ne deriva.

Delle varie proprieta sensoriali, Teofrasto s’interessa solo dell’odore e del sapore, tra-scurando completamente il tatto, che pure nei metalli ha un suo ruolo, anche se nonaltrettanto importante di quanto lo ha per i minerali e per le rocce. Non ripeto quantoho gia commentato ad locum (3, 6) su odore e sapore, per attirare piuttosto l’attenzionesulla breve, ma efficace descrizione non solo ponderale, ma anche e soprattutto olfat-tiva che Teofrasto ci propone di un grezzo minerario a solfuri misti contenente argento(8.11). Egli ne rileva l’elevato peso e l’odore acre, dovuto all’ossidazione superficiale deisolfuri; queste due caratteristiche suggeriscono che si trattasse prevalentemente di galenaargentifera associata ad altri solfuri tra cui pirite, noto portatore dell’oro. Si noti cheegli parla sempre di elevato peso, non di elevata densita (114), com’e caratteristico della

(114) Va tuttavia osservato che nel linguaggio comune ancora oggi si confonde il peso (una proprietaestensiva dei materiali, che dipende cioe dalle dimensioni del pezzo che si considera) con il peso specifico(peso per unita di volume, analogo concettualmente alla densita a meno della costante g ) che e proprieta

216 a. mottana

galena (7;58 g · cm−3): il concetto di densita sara intuito solo un secolo piu tardi, daArchimede da Siracusa (287-212 a.C.). Sorprendentemente, tutto cio che ci e pervenutoda Teofrasto non contiene il minimo accenno ai fumi gialli di anidride solforosa cheun osservatore attento come lui deve pure aver rilevato quando i solfuri erano sottopostiad arrostimento, in quella che e la fase preliminare dell’intero processo di estrazionedel metallo, prima della riduzione in forno chiuso dell’ossido che se ne ottiene (Forbes,1993b: p. 592). Nelle miniere ateniesi del Laurio, i fiumi solforosi non dovevano essereabbondanti, poiche il minerale di piombo argentifero trattato era ancora in prevalenzala cerussite (Pb[CO3]-Pmcn, Conophagos, 1980: p. 161) anche se le miniere erano invia d’esaurimento (Conophagos, 1980: p. 120), ma la presenza di galena nelle scoriesemicotte mostra che qualche emanazione gialla e tossica doveva ancora verificarsi conbuona evidenza.

Sorprende, infine, in questi suoi riferimenti alle proprieta sensoriali dei metalli,quanto poco Teofrasto si soffermi sul loro colore, che nel loro caso e, spesso, un ele-mento caratteristico (115): esistono, infatti, differenze cromatiche sensibili tra metalloe metallo che ne permettono una facile ed accurata distinzione. Il fatto e tanto piusorprendente poiche, per Teofrasto, il colore rappresentera poi un elemento diagnosticofondamentale della sua classificazione delle «pietre», con risultati, per altro, che nonottemperano ai moderni criteri di distinzione tra le specie (116). Nel caso delle «pietre»,Teofrasto dimostra, ad ogni modo, molta attenzione e una fine sensibilita, fin nella ter-minologia (117) delle piu sottili sfumature (De lapidibus, I.1, in Mottana e Napolitano,1997: p. 158; v. anche Capelle, 1958). Viceversa, nel caso del gia menzionato grezzodi miniera contenente galena, Teofrasto fa solamente un indiretto accenno al colore,quando riferisce che «solo l’argento e visibile» (8.11): piu esattamente, la galena mostraalla frattura fresca un colore grigio argenteo, brillante sul piano di sfaldatura, che con-trasta nettamente col grigio plumbeo della sua superficie alterata. Questo caratteristico«lampo di argento» del grezzo ha sempre rappresentato per il prospettore un indiziodella possibile presenza di argento, metallo che in realta e invariabilmente presente nellegalene e nelle cerussiti del Laurio, anche se in quantita subordinate e tuttavia tali darenderle economicamente valide (Ardaillon, 1897; Conophagos, 1980).

Tralasciando quanto riferitoci da Vitruvio sull’uso fattone per riconoscere il cinabro el’ocra genuini dalle loro imitazioni (26.2, 26.3, 26.5, 26.6), Teofrasto tratta del colore,nei passi relativi ai metalli, sotto due aspetti ben distinti:

indipendente dalle dimensioni ed intrinseca del materiale considerato.(115) I metalli sono idiocromatici quando sono puri e il loro colore si modifica gradualmente col crescere

del tenore di un altro metallo che venga messo in lega con il primo. I minerali, invece, sono di normaallocromatici.

(116) Molte delle «pietre» descritte da Teofrasto sono varieta ex-colore della stessa specie mineralogica(cfr. Mottana e Napolitano, 1997: p. 199). Valga per tutti l’esempio dei diversi nomi assegnati al quarzo,parecchi dei quali sono tuttora in uso tra i mineralisti sistematici e i gemmologi.

(117) Per quanto assurda possa apparire allo scienziato moderno la distinzione tra «maschio» e «femmina»(cfr. Mottana e Napolitano, 1997: pp. 182, 213), essa e pur sempre un tentativo di introdurre le differenzedi colore tra gli elementi utili alla classificazione delle pietre.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 217

a) accennando alle tinte speciali che i metallurgisti ottengono legando metalli diversitra loro (1, 9.8), oppure combinando un metallo con una terra (8.19);

b) riportando la teoria di Democrito sui quattro colori fondamentali (4.2, 4.3).

Quanto al primo, e indicativo delle grosse incomprensioni che esistevano in Greciasulla reale natura delle leghe metalliche il fatto che Teofrasto conosca l’oricalco (9.10),ma lo consideri un tipo di rame del tutto eccezionale e non piuttosto una lega (118). Unalega metallica con quelle caratteristiche, evidentemente, era ottenuta solo saltuariamentee quasi per caso, ad una temperatura relativamente alta, in un forno sigillato in cuinel rame gia purificato era fatto diffondere (senza peraltro comprendere cio che stavaavvenendo) lo zinco contenuto in forma combinata in una «terra» particolare (cadmea =smithsonite o idrozincite: v. supra, p. 147), sfruttandone la proprieta di questo metallodi vaporizzare a temperature piuttosto basse. Indubbiamente, l’oricalco costituiva unararita anche perche la terra con la quale si doveva far reagire il rame era eccezionale,essendo irriconoscibile a se stante. La lega risultante (ottone) era tanto rara da essereconsiderata o il prodotto della tecnologia molto avanzata di alcuni fabbri di una regioneinterna dell’Asia Minore (119) che avevano avuto cura di tenerla segreta fino al punto didimenticarne essi stessi la scoperta (9.12), oppure il risultato conseguito da un artigianatoremoto, quasi favoloso (120) che (come spesso e accaduto in tempi anche recenti) eraassociato ad una regione altrettanto remota ed inaccessibile come l’India (9.8). Ciononostante, e indicativo che i Greci gia conoscessero (almeno per sentito dire) cheoro ed ottone possono essere distinti, se non per il colore che e aureo per entrambi,per i loro diversi odori (9.8), soprattutto quando sono bagnati da un liquido: l’oro,metallo nobile, e inattaccabile ed e pertanto inodoro; l’ottone sembra invece emettereuno sgradevole odore che e dovuto ad una sorta di reazione elettrochimica del ramevenuto a contatto con l’umidita. E da notare, ancora una volta, che una semplice misuradella densita sarebbe servita molto meglio a distinguere tra i due metalli (121), ma perquesta misura bisognera attendere l’intuizione di Archimede!

Quanto alla teoria democritea dei quattro colori, Teofrasto la fa propria e l’utilizzacome parte integrante di quella atomistica dello stesso Democrito e sempre con gli stessifini: spiegare tramite un’alternanza di pieni e vuoti non solo i colori con le loro diversesfumature e col loro cambiare alle diverse temperature (4.2), ma anche alcune altreproprieta dei metalli: il peso [specifico] e la durezza (4.1) e, inoltre, la lucentezza (4.3).Su questa teoria e sull’uso che ne fa Teofrasto non mi dilungo, poiche essa e gia stataoggetto di un validissimo studio dello Steinmetz (1964).

(118) Cio e comunque un progresso rispetto a vari scrittori prima di lui (Omero, Hymnus VI ad Aphro-ditam, 9, in Cassola, 1988: p. 283; Esiodo, Scutum, 123, in Colonna, 1993: p. 317) per i quali l’oricalcoera un metallo a se stante.

(119) Gli stessi capaci di forgiare un ferro lucente che non arrugginiva (9.7).(120) Non a caso Platone descrive come fatto di oricalco il muro dell’acropoli di Atlantide (Crizia, 116C)

e la colonna del tempio di Poseidone, sempre in Atlantide (Crizia, 119D). In ogni caso pero ne accennacome di un qualcosa «che ora solo si nomina» (Crizia, 114E; trad. di C. Giarratano), cioe che non c’e piu.

(121) L’oro fino ha densita 19,3 g · cm−3; l’ottone da 8,2 a 8,4 a seconda del tenore di zinco. Unapersona esperta puo distinguere tra i due semplicemente soppesando un pezzo.

218 a. mottana

Infine, vi sono due altre proprieta dei metalli cui Teofrasto accenna, dandone una de-scrizione fenomenologica senza pero tentarne alcuna spiegazione: conducibilita elettricae attrazione magnetica.

La conducibilita elettrica e accennata solo in modo molto indiretto, quando Teofrastofa notare come la scossa elettrica prodotta dalla torpedine si trasmette attraverso gliattrezzi da pesca (di metallo e legno bagnati) fino ad arrivare a provocare un effettoparalizzante nell’uomo che li impugna (22.2). Le prime sperimentazioni sull’elettricitasono del XVIII sec. AD e non puo quindi sorprendere che Teofrasto veda il fenomenosolamente nei suoi aspetti strano e meraviglioso.

Sull’attrazione magnetica, invece, egli si sofferma alquanto, sempre pero vedendolacome proprieta passiva: ferro e rame, in pratica, sono citati da lui come materialiche sono attratti dalla meravigliosa pietra (8.8, 8.9) che ha lo stesso comportamentodell’ambra, senza che egli si renda conto del fatto che l’interazione tra ferro e calamita ereciproca, e che il ferro stesso e reso capace di attrarre se e magnetizzato dalla calamita,cosı che l’attrazione si trasferisce dal magnete attraverso il ferro per induzione senza subireuna sostanziale diminuzione e l’attrezzo di insieme, nonostante la distanza maggiore,risulta ancora in grado di attrarre altro materiale.

Si noti che Teofrasto non distingue tra l’attrazione elettrostatica dell’ambra e del«lingurio» e l’attrazione magnetica della calamita: su questo argomento, pero, non e ilcaso di insistere, perche le modalita in cui si manifestano le proprieta elettromagnetichedei materiali (per non parlare della teoria che ne sta alla base) sono una scoperta ancorapiu recente delle precedenti.

Tecnologia dei metalli.

Almeno sei sono gli aspetti relativi alla tecnologia dei metalli su cui Teofrasto cifornisce informazioni: allegazione, fusione, saldatura, forgiatura, tempra e lavorazione.

All’allegazione si riferisce l’unico passo che, per quanto dubitativamente, si puo ri-tenere facesse parte del De metallis (1). Questo breve passo descrive una lega ternariaCu-Fe-Sn del tutto eccezionale per la metallurgia greca del bronzo, per cui si puo pen-sare che sia sopravvissuto forse proprio per la sua eccezionalita, anche se lo troviamoallo stato di frammento scompagnato. Da questo passo si evincono due informazionidi carattere generale:

1) ancora all’epoca di Teofrasto i Greci facevano uso del bronzo in misura mag-giore del ferro e sempre con una gestione improntata ad oculata parsimonia, vale adire recuperandone tutti i possibili scarti, rigenerandolo e rifondendolo nei modi piuopportuni per garantire al meglio il suo nuovo impiego. Per questo, essi sperimentavanoanche nuove leghe, di cui erano ottimizzati i risultati estetici senza pero trascurarne gliaspetti negativi (9.8). L’importanza annessa alla metallurgia del bronzo aveva portato,di riflesso, allo sviluppo di una terminologia tecnica specifica (19.2, 19.3), come d’altraparte era avvenuto anche per il ferro (17.1), ma in misura minore. Erano inoltre notevarie altre leghe, come Au-Cu e Ag-Cu (8.17) e Cu-Zn (8.19), e si conoscevano almenodue metodi alternativi per valutarne il titolo: il saggio al fuoco e lo striscio.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 219

Fig. 5. – L’officina di uno scultore in bronzo della Grecia classica (V sec. a.C.); da sinistra a destra partendodall’alto: il forno fusorio curato da un operaio e con l’addetto al mantice seminascosto, vari pezzi finiti,un operaio che mette insieme le varie parti di una statua gia fusa; da destra a sinistra partendo dal basso:un cliente che osserva due operai che stanno rifinendo la superficie della statua gia assemblata e un altrocliente (in alto tutt’intorno), vari attrezzi (bacile metallico fuso e cesellato rinvenuto a Vulci, ora nel Museo

di Berlino; da Muller, 1976: I, p.183, fig. 32).

2) Non esisteva una documentazione codificata delle sperimentazioni eseguite. Moltepratiche di allegazione erano lasciate al caso; molte altre erano il risultato di circostanzefortuite e, infine, tutte erano mantenute per quanto possibile sotto segreto, al puntoda risultare, eventualmente, perdute con la scomparsa dello stesso scopritore (9.12) che,molto spesso, era un fabbro oppure un artista (fig. 5). E sintomatico che Teofrasto,nello stesso momento in cui c’informa di una lega che considera particolare (1), non ein grado di indicare ne quanto ferro fosse aggiunto al bronzo di recupero ne quale fosseil rapporto tra la mescola di bronzo+ferro cosı ottenuta e lo stagno nuovo da aggiungeread essa, per fare sı che il fuso avesse la fluidita voluta. Forse cio era realmente unsegreto del fonditore, ma e anche possibile che tutto il metallo fosse graduato di volta

220 a. mottana

in volta in modo grossolanamente empirico durante la fusione, cosı come un cuoco salaun cibo man mano che procede la cottura.

Un tipo anomalo di lega e l’amalgama tra mercurio e oro, menzionata da Vitruvionella parte finale della testimonianza 26.1, ma mai citata altrove negli scritti sicuramentedi Teofrasto. E dubbio, quindi, che questa informazione sia veramente sua: certi storicidella Scienza, anzi, ritengono che il solo processo conosciuto dai greci per estrarre epurificare l’oro e l’argento fosse la liquazione e che quello per amalgamazione sia statoun ritrovato della tecnica romana (e.g., Derry e Williams, 1993: p. 124).

Strettamente legata con la sperimentazione di nuove leghe e la ricerca di metodiefficaci di fusione, sia per estrarre metallo nuovo dal grezzo della miniera, sia per portareallo stato fuso metalli recuperati. Teofrasto ci indica che, oltre ad aumentare la tem-peratura del fuoco facendo uso di carboni forti (5.3) scelti per la loro compattezza (oper il loro peso specifico elevato?), affinche la fusione avvenisse a temperature praticabilierano aggiunti al materiale vari tipi di fondente, per lo piu sotto forma di terre (8.18),spesso quelle stesse che formavano la ganga (122), oppure anche di materiali litoidi comeil «pirimaco» (9.7) (123). A volte, a processo completato, si potevano anche avere pia-cevoli sorprese perche, entrando anche questi fondenti in leghe del tutto inaspettatecol metallo principale, il risultato finale ottenuto appariva piu pregevole, in certe suecaratteristiche, di quello consueto (8.19, 9.12). Collegati alle varie fasi dell’operazionedi fusione sono anche tre termini tecnici (17.1, 19.2, 19.3). Quanto poi alla teoriadella fusione, Teofrasto mostra – comprensibilmente – di avere idee confuse (5.4), matali da poter apparire anche antesignane di teorie moderne sul ruolo della fase volatilenell’accelerazione del processo.

Per quanto riguarda la saldatura, l’informazione che ci trasmette Teofrasto si limitaai metalli nobili ed in particolare all’oro (8.7): il metallo di apporto a basso punto difusione da lui preso in considerazione era il rame. Il procedimento consisteva nell’appli-care una pasta a base di «smeraldo» (probabilmente malachite, Cu2(CO3)(OH)4-P21=a,in Mottana e Napolitano, 1997: p. 215) oppure di «crisocolla» (un miscuglio di sili-cato idrato di rame amorfo, Cu2H2[Si2O5](OH)4, con vari carbonati prevalentemente

(122) Queste terre, piu che ganga vera e propria, erano probabilmente prodotti di alterazione del mineralemetallico estratto in cui era presente lo stesso metallo che si voleva ricavare, sotto forma di un composto dibassa temperatura facilmente fusibile. La sua fusione poi serviva a catalizzare quella dei composti primarialtofondenti. In giacimenti superficiali come quelli sfruttati dai Greci, la tavola d’acqua, col suo movimentoverticale in funzione del ciclo stagionale, altera i solfuri e gli ossidi primari dando origine a croste di mineralisecondari idrati o carbonati. Cosı, per esempio, nel Laurio, la galena viene alterata in laurionite e fosgenitenella discarica in zona di ossidazione di superficie dove si ha l’azione dell’acqua marina, e in cerussite inquella di cementazione (un po’ piu profonda e interessata solo da acqua dolce). Nelle gallerie di miniera piuprofonde di 10 m si incontra gia galena inalterata, per lo piu associata a cerussite. Questa e l’unico mineraledi piombo presente nel livello III, che e il piu ricco e profondo, cosicche la cerussite era sfruttata in parimisura dai Greci (Ardaillon, 1897; Conophagos, 1980).

(123) Di questa roccia parla anche Aristotele (Meteorologica, IV, 383b 5, in Baffioni, 1981: p. 110)descrivendo il trattamento siderurgico del ferro. Non e stato ancora chiarito di che roccia si tratti: forse unvetro vulcanico oppure una selce (Eichholz, 1965: p. 94), oppure ancora una roccia carbonatica (Caley eRichards, 1956: p. 77). Sicuramente errata e l’identificazione con la pirite, che e stata sostenuta dal Mieli(1925: p. 100, nota 2). Per un accenno di discussione cfr. Mottana e Napolitano, 1997: p. 211.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 221

di rame, in Mottana e Napolitano, 1997: p. 219) sui due lembi metallici da giuntare enello scaldare a fuoco concentrato: la decomposizione pene-contemporanea dei carbonati(a partire da ca. 315 ◦C) e del silicato (a partire gia da 200 ◦C), liberando il rame incondizioni riducenti sotto forma di metallo, lo faceva entrare in lega con l’oro e portavaalla giunzione permanente delle due parti del gioiello, lasciando una traccia di se solonel fatto che in corrispondenza della giuntura l’oro acquistava una sfumatura di colorerossastro (cfr. Maryon, 1936: pp. 88-95). Nei frammenti di Teofrasto rimastici nonrisulta alcuna indicazione a proposito delle saldature del bronzo e del ferro, che pure iGreci sapevano eseguire (Maryon, 1936).

Fugacissimo e il riferimento che Teofrasto fa alla forgiatura (5.3) e scarse, anche seinteressanti, sono le sue delucidazioni sul modo in cui era effettuata la tempra del ferro(2, 7.1, 7.3, 27.5). Egli sembra interessato quasi solamente a fare rilevare il rumoreprodotto dal ferro arroventato quando e immerso nell’acqua e solo come postilla alla suateoria – che l’indurimento avviene per azione della migrazione dell’umidita nel metallosottoposto ad un brusco sbalzo termico – ci fornisce l’informazione che i fabbri greciavevano gia allora messo a punto soluzioni acquose contenenti sostanze astringenti perottenere tempre particolarmente efficaci (2).

Teofrasto, inoltre, si dimostra incuriosito sul modo di lavorare di certi attrezzi dimetallo e, ancor di piu, su come certe pietre si lascino lavorare dai metalli ed altre no(8.4, 8.12, 8.14, 8.15). In particolare, rileva come la lavorazione di una pietra nondipenda tanto dalla bonta del filo della lama metallica che le viene applicata quantopiuttosto dall’attitudine della pietra stessa a lasciarsi lavorare (8.15). Osserva cosı che lacote, ottima per fare il filo, puo venire sagomata e tagliata dalla medesima lama che leistessa aveva resa affilata.

Tra i diversi modi di utilizzo dei metalli lavorati, infine, Teofrasto accenna allafabbricazione degli specchi (5.5), in particolare degli specchi ustori. La sua estremaconcisione non ci consente di capire di che forma fossero tali specchi per arrivare aconcentrare efficacemente il calore del sole. Certamente non si trattava di specchipiani, ma sarebbe comunque interessante poter disporre di informazioni piu precise sullacurvatura applicata alla lastra per determinare la posizione del fuoco nel caso di unospecchio curvo, soprattutto se era sferico e quindi reso ottimale alla concentrazione delcalore. Purtroppo, Teofrasto si limita a ricordare solo quali siano i metalli migliori perottenerla: l’argento (potere riflettente 97%) e il bronzo, il cui potere riflettente aumentacol tenore di stagno contenuto, fino a un massimo di 83% per il bronzo «bianco»trovato negli scavi archeologici (v. supra, p. 146). In ogni caso, la sua affermazione estoricamente importante perche precede di un secolo il ben noto episodio dell’incendiodelle navi romane da parte di Archimede durante l’assedio di Siracusa (212 a.C.).

Estrazione dei metalli.

Se la documentazione direttamente pervenutaci dal De metallis per la parte metallur-gica e scarsa (un solo passo, per di piu solo presumibile, e tre termini del linguaggiotecnico), praticamente nulla e quella relativa alla sua parte mineraria: nessuna informa-zione di alcun genere, ma solo cinque termini tecnici (17.2, 17.3, 17.4, 18, 19.1 e,

222 a. mottana

come ripetizioni, 20, 21). Tuttavia, proprio il fatto che questi termini tecnici esistono euna prova che il De metallis doveva contenere una parte mineraria relativa all’estrazionedi grezzi dal sottosuolo e al loro trattamento preliminare; inoltre – ipotesi ragionevolepiu che certezza – questa parte mineraria probabilmente precedeva la parte relativa allaraffinazione e alla lavorazione dei metalli ricavati dai grezzi stessi.

Teofrasto descrive molto brevemente come si presentavano al suo tempo le miniere(5.6, 9.13), soprattutto per metterne in evidenza la pericolosita. Le sue descrizioni,per quanto documentate, non danno un’idea adeguata di quello che doveva essere illavoro del minatore nella fase di transizione tra epoca classica ed epoca ellenistica. Peruna descrizione altrettanto ben documentata e molto piu colorita si dovra attendere ilcelebre passo di Diodoro Siculo (Bibliotheca historica, III, XII-XIV, in Canfora, 1986:pp. 139-140), che pero descrive le operazioni minerarie nell’Egitto tolemaico.

Cio malgrado, dai frammenti e dalle testimonianze e possibile ricostruire un quadrogeografico e giacimentologico ragionevolmente preciso delle attivita minerarie operativeall’epoca di Teofrasto.

Per il rame, Teofrasto cita specificatamente due sole miniere (8.6): Cipro e l’isoladi fronte a Calcedonia. Per quanto riguarda la prima (che, per le sue dimensioni,e piuttosto da definire un distretto minerario), Teofrasto precisa che lo «smeraldo»,cioe la malachite (in cristalli, secondo Eichholz, 1965: p. 106), si rinviene in venemonomineraliche che attraversano la roccia. Egli configura, cosı, una mineralizzazione infrattura generatasi per rimobilizzazione tardiva da parte di fluidi idrocarbonici del ramepresente nel giacimento primario profondo in una forma combinata, ma disseminato(probabilmente come solfuro tipo pirite cuprifera o calcopirite), e una successiva suadeposizione sotto forma di carbonato basico nelle zone superficiali attraversate da fratturebeanti. Questa descrizione si accorda bene con le conoscenze attuali sulla genesi deigiacimenti cupriferi in rocce basiche ed ultrabasiche dell’isola di Cipro (e.g., Hall, 1992;Adamides, 1987), tutti ancora attivi ed economicamente di rilievo. Ovviamente, nulladi scientifico si puo dire sul fenomeno della crescita spontanea del metallo seminatoe innaffiato che si sarebbe verificata presso la localita di Tirria (9.2): e interpretabile,probabilmente, come un’esagerazione fantasiosa con cui i Greci cercavano di spiegare lastraordinaria ricchezza di rame dell’isola di Cipro, ma, per un’interpretazione alternativa,v. infra.

Per quanto riguarda l’isola di fronte a Calcedonia (odierna Kadikoy), la testimonianza9.10 precisa trattarsi di Demoneso (odierna Kinali Ada, una delle isole dell’arcipelagodi Kizil Adalar, nel Mar di Marmara quasi all’imbocco del Bosforo: Caley e Richards,1956: p. 183) a circa 20 km da Scutari (odierna Uskudar, Eichholz, 1965: p. 105).La testimonianza e rilevante, anche se solleva qualche perplessita il fatto che contenganozioni di tipo farmacologico sull’uso dei minerali che non sono presenti in nessuntesto accertato di Teofrasto e che entreranno in voga in Grecia solo tre secoli piu tardi(Dioscoride, Materia medica, in Mattioli [1557] 1984). Le coltivazioni minerarie sutale isola, ancora in parte visibili (Caley e Richards, 1956: p. 104), si estendevano inprofondita e lateralmente cosı da passare dalla terraferma fin sotto al mare (9.10.2 ): none chiaro, pero, se la frase voglia indicare che alcune gallerie erano sottomarine oppure che

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 223

i minerali di rame erano visibili anche sott’acqua perche il fondo roccioso e basso. Laminiera sfruttava una mineralizzazione massiva (8.5) di cui era estratta la parte superiorecompatta e litoide, costituita da un’intima associazione di azzurrite, Cu3(CO3)2(OH)2-P21=c , con malachite, Cu2(CO3)(OH)4-P21=a, e forse anche crisocolla (9.10.1 ). Lapresenza simultanea di azzurrite e di malachite nel materiale estratto sta ad indicareche il soggiacente corpo minerario principale (probabilmente un misto di solfuri tipopirite e calcopirite) era alterato verso l’alto in modo uniforme, con formazione di unesteso cappellaccio, a causa di un’infiltrazione per descensum di acque omogeneamentediffusa; inoltre, essa suggerisce anche un regolare movimento in su e in giu della tavoladi acqua (forse connesso con ritmi stagionali, oppure con le maree) capace di farecristallizzare assieme, ed anche di conservare in equilibrio tra loro, i due carbonati dirame a diverso grado di idratazione. Su questo deposito, attualmente abbandonato eprobabilmente lasciato abbandonato da moltissimo tempo, perche nel Medio Evo leisole erano state trasformate nel luogo di residenza coatta dei principi potenzialmenteaspiranti al trono imperiale bizantino (da cui il nome di «Isole dei Principi»), non horintracciato informazioni scientifiche recenti.

Infine, Teofrasto menziona senza descriverle le miniere di rame del Ponto, sul ver-sante centro-orientale dell’Asia Minore prospiciente il Mar Nero, dalle quali i Mossineci(9.12.1 ) ottenevano un bronzo particolarmente bello fondendo il rame assieme con laterra stessa in cui e inglobato nel giacimento (cfr. anche 8.19). Si tratta per lui di unararita e non cerca di darne alcuna spiegazione, ma solo un’informazione per sentito dire,che non si estende a dettagli sul modo di estrazione. Attualmente, nella parte orientaledel Ponto, la miniera di Morgul sfrutta un giacimento di rame di origine vulcanica che,alterato per effetto di un tardo idrotermalismo, si e arricchito in oro e vari altri metallitra cui anche zinco (Ozgur e Palacios, 1990). Dagli scarsi dati forniti da Teofrasto,tuttavia, non e possibile estrapolare alcunche e tanto meno fare un raffronto tra localita.

Sull’oro Teofrasto si sofferma numerose volte, di solito calcando la mano su ritrova-menti di pepite eccezionali (9.1, 9.4.b, 9.5, 9.6), ma fornendoci cosı i nomi di varielocalita minerarie in Macedonia, Tracia e sulla sponda egea dell’Asia minore (8.10,9.1, 9.4, 9.6, 9.13). Solo per due casi si rifa a localita dell’Asia centrale percorsa daAlessandro Magno (9.5), in cio facendo buon uso, probabilmente, delle informazioniinviate da Callistene ad Aristotele (124). Egli sa benissimo che tracce d’oro sono presentiin moltissime miniere di solfuri, tanto di rame (8.7, 8.20), quanto di argento (8.11,8.20), ma ne parla solo casualmente, perche il metallo nobile non vi e «visibile» (8.11,9.1) e si rende tale solo dopo il trattamento metallurgico del grezzo, vale a dire quando

(124) Dal 334 al 327 a.C. arrivarono al Liceo e quindi principalmente ad Aristotele, ma anche a Teofrasto,numerosissime informazioni naturalistiche su tutte le regioni dell’Asia Minore, la Mesopotamia, l’Egitto epersino l’India percorse da Alessandro Magno. Il flusso di informazioni, voluto da Alessandro stesso perassecondare il suo vecchio maestro, non ebbe fine neppure quando egli si sbarazzo di Callistene da Olinto,il nipote di Aristotele che organizzava la raccolta e il trasferimento dell’informazione. Teofrasto trovo mododi ringraziare Callistene esaltandolo come martire della Scienza in uno scritto che e andato perduto, ma chee ricordato da Diogene Laerzio («Callisthenes sive De luctu »; cfr. Vitae philosophorum , 5.44, in Sollenberger,1985: p. 22).

224 a. mottana

se ne e stata raffinata la scoria (9.1) prodotta dall’arrostimento o della pirite cupriferaoppure della galena argentifera e ne e stato gia ricavato il metallo principale.

Dove Teofrasto e meno parco di informazioni e nella descrizione dei depositi tipoplacer, che sono tuttora il tipo di giacimento aurifero piu comunemente sfruttato almondo in regioni di bassa tecnologia. L’informazione piu rilevante non e tanto quellarelativa alle grandi pepite che allora si potevano trovare (fino a 2,5 kg), quanto all’e-sistenza di una vera e propria alimentazione costante di oro di elevato titolo trascinatodai fiumi dalle zone montuose della Tracia fino alla costa della Peonia, tutte le volteche avveniva una copiosa pioggia (9.4.a). Il termine apyron, col quale questo oro echiamato (125) e che e stato tradotto con «grezzo, non trattato col fuoco» (Montanari,1995: p. 310) perche tipico di pepite e polvere d’oro (Liddell et al., 1990: pp. 231-232,unsmelted ), sta ad indicare che esso era talmente puro da poter essere smerciato tal qualee senza essere prima raffinato con un trattamento di fusione: sulla base di ritrovamentiarcheologici, si deve ipotizzare un titolo vicinissimo ai 24 carati, cioe una situazione chein natura e per se eccezionale giacche la maggior parte dell’oro contiene o argento inmisura considerevole («elettro») oppure rame (Giardino, 1998: pp. 151, 157). La mo-tivazione scientifica della purezza della polvere d’oro della Peonia sta, presumibilmente,nel fatto che i giacimenti primari da cui essa proveniva erano molto lontani, nel cuoredei Balcani da cui originano lo Strimone (attuale Strimonas o Struma) e il Nesto (attualeNestos o Mesta), cosicche nel lungo e a tratti turbinoso percorso di questi fiumi l’orooriginariamente impuro si andava depurando progressivamente dell’argento e del rameinizialmente contenuti per effetto di una lisciviazione selettiva (Park e MacDiarmid,1982: pp. 502-504). Anche per i Greci doveva risultare relativamente facile distinguerel’oro puro della Peonia da altri piu impuri e, in particolare, tanto da quello ricavato daigiacimenti primari della regione attorno al Monte Pangeo (9.1, 9.6) quanto da quellodella Scizia, probabilmente secondario, ma contenente il «nodo» nero e durissimo diadamante di cui parla Platone (Timaeus, 59B).

Quanto all’oro trascinato dai fiumi Oxo (odierno Amudarja o Darya-ye Panj, rispet-tivamente in kazako e in tadjiko) e Teodoro (126), che scendono rispettivamente dallemontagne del Pamir e del Caucaso, non ho rintracciato nulla nel primo caso e solodati molto indiretti, di poca utilita ai fini di questa Memoria, nel secondo (Shcherbaket al., 1991; Balogh et al., 1991). Da essi, risulterebbe che nel Caucaso l’oro primario econtenuto in vene idrotermali di quarzo che attraversano le rocce granitoidi alterate diun complesso intrusivo. Tuttavia, a titolo di confronto, faccio osservare che in Turchia,nella parte piu orientale della catena Pontica prospiciente al Caucaso, l’oro primario edisseminato assieme ad argento nativo e a vari solfuri ed ossidi in vene idrotermali diquarzo che attraversano, pero, rocce sedimentarie e vulcaniche (Tuysuz e Akcay, 1997)

(125) Questo aggettivo era gia stato usato da Erodoto (Historiae, III, 97.3) per caratterizzare l’oro cheera offerto dagli Etiopi come tributo al re di Persia.

(126) L’identificazione del Teodoro non e semplice, poiche nessun fiume di questo nome e citato daStrabone nella sua descrizione particolareggiata dell’Iberia (Geographica, XI, III.4, in Nicolai e Traina, 2000:pp. 94-96). Puo forse trattarsi dell’antico Fasis (odierno Rioni) oppure di uno dei suoi affluenti di destra.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 225

ed e anche presente, in piccole quantita, nelle mineralizzazioni vulcanogeniche di rame(Ozgur e Palacios, 1990; Ozgur, 1991). In ogni caso, un oro primario di questo tiponon poteva certo essere oggetto di sfruttamento da parte degli antichi per le minutissimedimensioni delle sue particelle (5-50 mm); essi, percio, dovevano sfruttare i giacimentisecondari, in cui l’oro raggiunge dimensioni da appena visibili a cospicue grazie all’ade-sione che si verifica tra le particelle stesse una volta liberate dalla loro ganga, per effettoprima dell’azione meccanica di frantumazione dovuta al clima e poi di quella delle acquedilavanti con successivo trascinamento da parte dei fiumi.

Secondo i termini teofrastei preservatici da Esichio, al trattamento di arricchimentodei placers auriferi si provvedeva tramite lavorazioni manuali con la batea (19.1), ma eanche probabile che fossero usate altre forme piu elaborate di lavaggio. Cosı, la notiziarelativa al modo in cui era trattato l’oro a Filippi (9.1), correttamente interpretata,puo forse spiegare il procedimento usato per arricchire i minerali di rame nell’isola diCipro (v. supra, 9.2). La «scoria» polverizzata (in realta si trattava dello sfrido finementemacinato) era sparsa uniformemente su un piano orizzontale e sommersa con un velodi acqua. Questa poi era insufflata con aria (tramite mantici?) cosı da gonfiare eschiumare. Cio faceva sı che la frazione litoide della polvere (fango leggero) galleggiassee quella metallica pesante restasse sul fondo. Questo metodo di lavaggio, che fa unuso intelligente delle diverse proprieta di adesione superficiale che presentano le scheggelitoidi rispetto ai granuli metallici, trova riscontro in recenti scoperte archeologiche alLaurio, dove sono state rinvenute intere laverie per la galena argentifera (Tsaımou,2000), e sara poi ampiamente usato dai Romani (Plinio, Nat. Hist., XXXIII.75-77, inCorso et al., 1988: pp. 50-53) rimanendo saltuariamente in uso fino a tempi recenti(Micheletti, 1982: p. 96).

Una descrizione piu dettagliata, anche se ancora breve, di un giacimento alluvionaledel tipo placer ci e offerta quando Teofrasto riferisce del ferro prodotto dai Calibi edagli Amiseni (9.7.1 ) in una regione non ben definita, ma all’interno dell’Asia Mi-nore (127). Il placer era una sabbia fluviale tanto ben classata che bastava, in genere,un lavaggio per liberare i granuli del minerale ferroso, pesante, dai clasti litoidi, piuleggeri. La, poi, dove la sabbia non era gia ben classata, bastava un passaggio al cri-vello (17.2) seguito da un lavaggio per decantazione per separare i granuli del mineraleferroso dalla ganga silicatica (cfr. Partington, 1935: p. 379). Il tipo di ferro che se neotteneva (lucente come l’argento e inattaccabile alla ruggine: 9.7.2 ) identifica questominerale ferroso con un ossido contenente titanio oppure con un’associazione di ossidiferro-titaniferi tra loro concresciuti, riferibili sia alla magnetite (varieta «titanomagnetite»,

(127) Molti archeologi e storici riferiscono i Calibi all’Urartu, regione di provenienza del ferro secondole piu antiche testimonianze mesopotamiche, e questa regione, a sua volta, all’Armenia che pero, in epocastorica, era ben piu vasta della repubblica attuale e incorporava buona parte dell’Anatolia centro-orientale. Lareputazione di cui godevano i Calibi come fabbri era altissima e generale tra i greci, i quali pero, solitamente,li associavano tanto agli Amiseni quanto ai Mossineci (v. supra ) e identificavano il luogo delle miniere daloro sfruttate nella zona compresa tra Amiso (odierna Samsun) e Trebisonda (odierna Trabzon) sul mare egiu nell’entroterra dell’altopiano anatolico fino all’Eufrate (Rostovtsev, 1980: III, pp. 264-265), cioe all’areacui per un lungo periodo fu dato il nome di Ponto.

226 a. mottana

Fe(Ti; Fe)2O4-Fd 3m) sia all’ematite (varieta «ilmoematite», Fe2O3-FeTiO3-R 3c) se nonaddirittura all’ulvospinello, TiFe2O4-Fd 3m. Tutti questi ossidi complessi possono es-sere presenti, tanto isolatamente quanto coesistenti tra loro, come minerali accessorirelativamente abbondanti nelle rocce vulcaniche calco-alcaline; in particolare, essi sonoampiamente attestati nelle daciti ed andesiti dei vulcani allineati lungo la faglia nord-anatolica che costituisce il margine della Catena Pontica nell’Anatolia centro-orientale(Yalcin et al., 1998: p. 314 (128); cfr. Przeworski, 1939: p. 92). La situazione idrograficae geomorfologica di questa ben si addice alla formazione di placers di minerali ferrosi:essa e caratterizzata da festoni di catene montuose parallele alla costa del Mar Nero, conforti declivi, percorse da fiumi temporanei turbinosi aventi grande capacita di carico equindi in grado di asportare un minerale pesante (129) dai depositi vulcanici, che sonoprevalentemente scoriacei. Questi fiumi sfociano in ampie valli piane anch’esse parallelealla costa (Adiyaman et al., 1998: fig. 2; cfr. Rostovtsev, 1966: I, p. 595), interrotte quae la da bacini interni spesso a quote elevate, e vi formano meandri convoluti nelle cuianse le acque, ormai tranquille, persa la loro capacita di carico, depositano le sabbie se-lezionandole sia per gravita sia per granulometria, rendendo cosı possibile la formazionedi placers altamente selezionati, anche se piccoli, ideali per uno sfruttamento integrale inun procedimento di bassa tecnologia da parte della popolazione locale. L’altopiano gode,inoltre, di un clima piuttosto piovoso in inverno e quindi, sul suo bordo settentrionale,il Ponto e ricco di quei boschi che sono indispensabili per il legno forte col quale siottiene la fusione (almeno parziale) del concentrato sabbioso e la preparazione del blumodi ferro-titanio tramite un semplice crogiolo (17.1). I Calibi vi usavano come fondenteil pyrimachos, che trovavano abbondante nei dintorni (9.7.1 ): un vetro vulcanico, quasisicuramente, di composizione dacitica (Yalcin et al., 1998), oppure – forse – una rocciadolomitica.

Quanto al mercurio, con un rapido riferimento alla sabbia rossa cinabrifera dei CampiCilbiani presso Efeso (8.25), Teofrasto ci tratteggia un altro deposito sedimentario tipoplacer, probabilmente anch’esso di tipo alluvionale oppure, forse, eluviale (Park e Mac-Diarmid, 1982), reso possibile dall’elevata densita del cinabro (8;20 g ·cm−3) combinatacon la sua perfetta sfaldatura in romboedri regolari e facilmente classabili. Questo ri-ferimento sara ampiamente travisato sia da Vitruvio (26.1) sia da Plinio (28.1). Essitrattano tanto gli aspetti minerari della coltivazione del giacimento di cinabro quantoquelli del procedimento di estrazione del mercurio da esso (Nat. Hist., XXXIII.99, inCorso et al., 1988: pp. 64-65) prendendo le mosse dalle informazioni che essi avevanosui ricchissimi giacimenti primari di Sisapone nella Betica (odierna Almaden), dove ilcinabro associato a pirite e mercurio nativo si presenta sotto forma di tre grandi corpi

(128) Le analisi riportate in questo lavoro indicano rapporti Fe/Ti molto variabili (da 1,15 a 6,65) edinoltre tracce di manganese e di magnesio. L’acciaio risultante doveva avere caratteristiche notevoli, mavariabili, di durezza ed elasticita.

(129) Dei minerali utili, la densita massima e quella della magnetite: 5,20 g · cm−3; quella minima equella dell’ulvospinello: 4,72 g · cm−3; per confronto, una dacite ha densita 2,74 g · cm−3: quindi e moltopiu leggera e facile da trasportare via.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 227

lenticolari di impregnazione intercalati tra due livelli di quarzite (Saupe, 1990). Non epero un caso di attaccamento alla tradizione se Plinio riprende da Teofrasto l’afferma-zione che il cinabro migliore si trova presso Efeso (28.1): e verissimo che i giacimentidell’Asia Minore occidentale, benche molto piu piccoli di quelli spagnoli ed italiani,presentano un cinabro di altissima qualita. Infatti, il cinabro e presente sotto forma dicristalli centimetrici che costituiscono il riempimento di fratture (Akcay et al., 1997) eviene anche ora raccolto artigianalmente, sia estraendolo direttamente dalla roccia madresia, dilavato da essa, quando si concentra nelle sabbie dei fiumi; se ne fa un uso localecome colorante.

Nei passi rimasti non sono contenuti elementi su cui impostare un valido discorso aproposito delle miniere da cui all’epoca di Teofrasto si estraevano argento (8.11, 8.20,25.6), piombo (26.6) e stagno (9.9). Nel caso del primo e del secondo, la cosa non sor-prende, perche agli abitanti di Atene non necessitavano descrizioni sulla loro estrazione,essendo le miniere del Laurio in pratica da sempre gestite privatamente, ma sotto gliocchi di tutti (Tucidide, Historiae, II, 55.1; Senofonte, De vectigalibus, 4.1-8; Aristotele,Atheniensium respublica, XLVII, 2.1-7; Demostene, Contra Pantenetum, 16-29; cfr. Hop-per, 1953), e neppure sulla loro lavorazione, che era ben nota ai cittadini liberi che nericavavano un lauto reddito annuale (Erodoto, Historiae, VII, 144.1-5; Aristotele, Athe-niensium respublica, XXII, 7.1-4) (130). Inoltre, ne aveva trattato Aristotele, pochi anniprima (131), seppure in modo fugace, e quindi Teofrasto non poteva provare nessunostimolo a rielaborare un’opera alla quale forse aveva anche partecipato, almeno nella fasedi raccolta dei dati (Pokrowsky, 1895: p. 467). Nelle miniere del Laurio l’argento era,per valore, il principale prodotto, ma per ricavarlo occorrevano complessi accorgimentidi estrazione e raffinamento, fino alla coppellazione, che coinvolgevano non solo ungran numero di manodopera schiavile (Lauffer, 1979), ma anche grandi masse di una«terra argentifera» che era costituita per la maggior parte dei due minerali di piombogalena (PbS-Fm3m, Forbes, 1966: pp. 151-152) e cerussite (Pb[CO3]-Pmcn, Conopha-gos, 1980), spesso associati con minerali di ferro e zinco (pirite, FeS2-Pa3 e smithsonite,Zn[CO3]-R 3 c , cfr. Bromehead, 1993: pp. 2-5).

Nel riferimento che Teofrasto fa allo stagno, invece, e interessante l’attributo «cel-tico» usato, perche sta ad indicarne la provenienza, almeno in parte, dai paesi abitatidai Celti: probabilmente si tratta o della Bretagna, oppure della Cornovaglia, frequen-tate gia da secoli dai commercianti Fenici nonostante la loro lontananza e, all’epoca,in piena espansione nello sfruttamento delle mineralizzazioni alluvionali di cassiterite,SnO2-P42=mmm (Forbes, 1993b: p. 599; 1993a: pp. 47-48). L’altro paese abitato da

(130) E stato calcolato che le 10 dracme che, secondo Erodoto, ciascun cittadino ateniese dell’inizio delV sec. a.C. riceveva ogni anno come quota parte dei profitti statali sull’argento del Laurio, corrispondanoa 1600 US$ attuali (Treister, 1996).

(131) La composizione della Atheniensium respublica («La costituzione degli Ateniesi») e, come al solito,controversa, ma in ogni caso e delimitata tra un terminus post quem che si colloca nel 335-334 e uno antequem nel 325-324 (Santoni, 1999: p. 6). Si tratta del primo di una serie di 167 studi sulle costituzionidegli stati greci e barbari concepita da Aristotele, ma che e frutto di un lavoro collettivo di tutto il Peripato,anche se e poi stata materialmente stesa dal maestro.

228 a. mottana

Celti che puo essere preso in considerazione, in eta ellenistica, e la Galazia, al centrodell’Asia Minore (dove piccole manifestazioni stannifere erano state sfruttate fin dall’Etadel Bronzo). Pero esso fu occupato da una popolazione migrante di origine celtica solonel 278 a.C., vale a dire dopo la morte di Teofrasto, mentre le importanti miniere dellaGalizia (in Spagna) e del Portogallo non sembra rientrassero, nelle conoscenze grechedell’epoca, nel territorio abitato da Celti.

Conclusioni

Il De metallis di Teofrasto e irrimediabilmente scomparso, forse in gran parte gianel periodo in cui gli scritti dell’autore (con quelli di Aristotele) erano finiti sotterrain luogo umido di Scepsi per nasconderli agli Attalidi che li volevano per la bibliotecache stavano organizzando a Pergamo. Se pure ebbe modo di entrare a far parte delleedizioni curate da Apellicone da Teo e dai suoi emuli, quanto ne rimaneva in ognicaso scomparve non molto tempo dopo, visto che non pote essere utilizzato neppure daVitruvio. Ne rimasero, al piu, alcuni frustoli che per qualche ragione avevano suscitatol’interesse dei copisti. Vano, quindi, e tentare di ricostruirlo oggi nella sua struttura sulleinfide basi degli scarsi ed incerti frammenti sparsi, dei riferimenti ai metalli contenutinel resto del corpus che c’e stato tramandato e delle rare e talora perfino contraddittorietestimonianze.

Tuttavia, se il trattato non e piu ricostruibile nel suo sviluppo espositivo, il pensierodi Teofrasto sui metalli lo e, almeno nelle linee fondamentali.

Teofrasto si era interessato dei metalli sotto due aspetti:

(1) quello dell’estrazione e della preparazione minerarie,(2) quello della tecnologia metallurgica.

Quanto al primo, e veramente poco cio che la trasmissione indiretta ha lasciatoarrivare fino a noi: cinque termini del gergo dei minatori, per di piu sconnessi traloro e privi di un contesto che li renda completamente comprensibili; alcuni aneddotisui pericoli connessi con la lavorazione e la vita nel sottosuolo e una serie di nomi dilocalita minerarie, generalmente giacimenti sedimentari, sia di alterazione sia detritici deltipo placer.

Quanto al secondo aspetto, l’interesse per la tecnologia, che Teofrasto dimostra diavere in altri suoi trattati (Schnayder, 1962), si estendeva anche ai metalli, sia pure inun modo piuttosto diverso e inaspettato: non tanto per le loro applicazioni (un tipo diinteresse che porto Vitruvio a trattare dei pigmenti coloranti a base metallica e Plinio adescriverne l’utilizzo nelle opere di arte, sia di scultura sia di pittura), quanto piuttostoper le modalita della loro preparazione e del trattamento. Non e un caso se quelloche, molto probabilmente, e l’unico brano dei De metallis che e sopravvissuto fino anoi (1: il brano in coda al De odoribus ) descrive la preparazione di un particolare tipodi lega ternaria rame-stagno-ferro, raramente usata nella toreutica greca in bronzo senon per ottenere effetti cromatici speciali e, di fatto, testimoniata solo per Prassitele eAristonida.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 229

Il primo di questi due artisti era vicino nel tempo a Teofrasto, anzi forse gli fufamiliare al punto che un suo omonimo nipote figura nel testamento di questi; quindi,se veramente fu Prassitele l’artista che fornı a Teofrasto le informazioni sul modo dimescolare tra loro vari oggetti bronzei e aggiungervi ferro per fondere quel particolaretipo di bronzo rossastro capace di suscitare un effetto emotivo, allora la sua acme (chePlinio fissa nella 104a Olimpiade, cioe nel 364-361 a.C., cfr. Nat. Hist., XXXIV.50,in Corso et al., 1988: pp. 164-165) potrebbe, e la sua morte (ca. 326) certamentedovrebbe, rappresentare il termine post quem della redazione del De metallis. Il lorotermine ante quem, invece, e senz’altro il 315-314 a.C., anno in cui Teofrasto scrisse ilDe lapidibus e vi dichiaro di aver gia dedicato ai metalli un trattato a parte.

Questa forbice temporale puo essere ulteriormente ristretta. Il ritorno di Aristotelead Atene dopo il soggiorno in Macedonia, e la conseguente fondazione del Liceo, e del335 a.C. ed e da quel momento in poi che anche per Teofrasto si presento la necessitadi preparare appunti di lezione. Comincio solo allora, infatti, a collaborare intensamentenel programma didattico del maestro e non solo a portargli contributi di informazioneper sviluppare l’attivita scientifica, come aveva fatto prima. In ogni caso, poi, egli dovetteassumersi tutto il carico dell’insegnamento dal 323, anno in cui Aristotele fu costretto afuggire da Atene, che si era ribellata al controllo dei Macedoni alla notizia della mortedi Alessandro (132). L’attivita di Teofrasto come scolarca divento preminente, allora,e continuo per quarant’anni. Tuttavia, pur senza essere uno specialista di filologia equindi senza volermi peritare in valutazioni sull’evoluzione stilistica di Teofrasto, sonopropenso ad anticipare la data di composizione del De metallis ad un periodo precocedella sua attivita come didatta per una motivazione di carattere scientifico.

Tutta la vita personale e scientifica di Teofrasto e strettamente legata a quella diAristotele. Come lui, era un meteco ad Atene, dove era venuto allo scopo di seguire lelezioni di Platone una decina di anni piu tardi di Aristotele (ca. 354 a.C.). Con lui sen’era allontanato nel 347, quando l’Accademia era passata sotto la guida di Speusippoper disposizione testamentaria dello stesso Platone. Il giovane Teofrasto, quindi, eracresciuto e si era maturato nella Scienza imbevuto della dottrina platonica e, in parti-colare, era stato testimone dell’elaborazione del Timeo, il dialogo in cui Platone avevatravasato tutto cio che di teorico aveva meditato sulla natura (Diogene Laerzio, Vitaephilosophorum, 3.50). Il Timeo fu anche il piu tardo degli scritti di Platone ed era giastato criticato, all’epoca della preparazione, da Aristotele che cominciava a sviluppare unproprio pensiero indipendente, ma non era stato da lui ripudiato. Dell’intervallo tra il347 e il 335 a.C. Teofrasto condivise con Aristotele solo un breve periodo: non quelloda lui trascorso ad Atarneo e ad Asso (dal 347 al 345; cfr. Pavese, 1961; Gaiser, 1985),

(132) In questo torbido periodo di prolungata incertezza politica, anche Teofrasto ebbe i suoi problemi.Nel 318 fu accusato di empieta e riuscıa scamparla solo per l’affetto di cui era circondato ad Atene puressendo uno straniero (Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, 5.37, in Sollenberger, 1985: p. 11). Nel308 fu perfino costretto ad allontanarsi dalla citta per una legge che impediva ai filosofi di insegnare senzaspeciale permesso, ma vi torno l’anno seguente quando la legge fu revocata per un ricorso presentato daun discepolo, Filone, che era anche un influente politico (Diogene Laerzio, Vitae philosophorum, 5.38, inSollenberger, 1985: p. 12).

230 a. mottana

ma solo il triennio in cui si trasferı a Mitilene (fino al 342). Non lo seguı, invece,durante il biennio trascorso alla corte di Filippo II di Macedonia come precettore diAlessandro (342-340). Durante questo nuovo periodo di distacco Teofrasto, che eratornato ad Asso, si dedico a ricerche geologiche e botaniche, imitate nel metodo empi-rico da quelle zoologiche che Aristotele stava svolgendo in quel periodo (Gaiser, 1985:p. 23), ma legate ancora nella teoria alle idee platoniche in cui si era formato (Bat-tegazzore, 1984). Reminiscenze platoniche sono ancora evidenti perfino nella Historiaplantarum (Regenbogen, 1934: p. 88; Amigues, 1988: p. X), un’opera scritta suppergiunel 310 a.C. in cui si descrivono molte piante di Lesbo e della prospiciente regione delMonte Ida.

Fu solo dopo che Alessandro, sedicenne, comincio la sua attivita politica e Aristotele,lasciato in liberta, pote riprendere i suoi studi (ca. 340) che Teofrasto si riunı a lui inMacedonia. Ne abbiamo la prova negli scritti stessi di Teofrasto, sia sotto la forma dinumerose descrizioni di piante della Pieria e della regione tra lo Strimone e il Rodope(e.g., Historia plantarum, III.11, 1-2; III.14, 4; cfr. Amigues, 1989), sia nelle frequentisue citazioni di miniere e minerali della costa tracia (e.g., De lapidibus, II.12,17, inMottana e Napolitano, 1997: pp. 159-160) e nei suoi aneddoti sulle miniere macedoni(De mirabilibus auscultationibus, 42; cfr. 9.1). E probabilmente a questo soggiorno inMacedonia (ca. 340-335) che si debba attribuire proprio la raccolta di molte delleinformazioni relative all’estrazione dei minerali metalliferi che sono confluite nel Demetallis, mentre e da riferire ai suoi due soggiorni in Atene, prima a quello dal 354al 347 e poi a quello dal 335 al 315, la raccolta dei dati relativi al loro trattamentometallurgico.

Resta, quindi, mia convinzione, ma non la posso provare in alcun modo, che la ste-sura del De metallis si sia resa necessaria a Teofrasto solo dopo il 323, quando dovettesostituire Aristotele nell’insegnamento, ma che nel brogliaccio che allora egli stese per lesue lezioni abbia confluito anche una serie di brani scritti precedentemente, quando eraancora sotto l’influenza del pensiero teorico di Platone. E unanimemente ammesso daicritici che gli scritti didascalici («acroamatici») di Aristotele non furono mai resi siste-matici dall’autore perche non erano destinati alla pubblicazione: perche non ammetterelo stesso anche per quelli di Teofrasto? E perche non ammettere, anche, proprio com’estato fatto per Aristotele, che circolassero versioni dei suoi scritti trascritte dagli studentio loro appunti presi durante le lezioni, che tramandassero il pensiero del maestro, mache non ne rappresentavano la versione definitiva?

Il materiale a disposizione per altro conferma un aspetto del processo intellettivodi Teofrasto gia chiaramente percettibile nella lettura del De lapidibus (cfr. Mottana eNapolitano, 1997: p. 174): le sue estreme razionalita e concretezza. In nessun casol’influenza che puo avere avuto su di lui l’immaginifica visione teoretica di Platone lo haindotto ad uscire dai rigorosi confini della verifica sperimentale idealmente tracciati daAristotele nel suo programma scientifico di studio della Natura. Ecco che allora egli rife-risce senza alcuna traccia di dubbio certe particolarita anche strane dei metalli che avevapotuto controllare di persona, ma riporta sempre con una serie di clausole cautelative(«si dice», «dicono», «a quanto sembra», ecc.) nozioni di cui e stato informato da altri

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 231

o che poteva aver trovato in scritti altrui, ma che non era stato in grado di controllare.Questo lasciava spazio ancora a casi insoliti e a fenomeni incomprensibili (che in effettinella Scienza ancora abbondano), ma ne limitava notevolmente l’aspetto mirabolante.

L’impostazione data da Teofrasto alla sua trattazione dei metalli e dei minerali nonebbe, ad ogni modo, fortuna: il De metallis scomparve molto presto, prima ancora dipoter essere consultato da Vitruvio, Seneca e Plinio, a Roma, dove era stata portata laversione finale. Forse ne rimase una copia, preliminare ed incompleta, ad Alessandria,dove ancora nel III sec. AD sembra che Diogene Laerzio abbia potuto consultare gliscritti di Teofrasto. Certamente ne rimase la fama e una serie di estratti trascritti daidiscepoli secondo le loro inclinazioni, alcuni dei quali confluirono nel De mirabilibusauscultationibus e finirono con l’essere conservati per il gusto del meraviglioso che sidiffuse durante l’Ellenismo ed altri furono conservati dai grammatici, ma solo come nomiisolati. Le trattazioni piu strettamente scientifiche si persero, mentre le descrizioni di casistraordinari confluirono presto in compilazioni letterarie paradossografiche, cosicche il Delapidibus (benche considerato mutilo da molti, oppure ridotto alla sola parte descrittiva)divenne ed e rimasto l’unico testo greco di impostazione scientifica dedicato ai materialidel sottosuolo. Anzi, per dirla piu correttamente, furono gli estratti che ne ricavo Plinioe che furono poi ripresi da Solino quelli che rimasero l’unico trattato mineralogico diriferimento in latino per tutto il Medio Evo, fino al 1254-1262 AD, allorche AlbertoMagno scrisse il suo Mineralia (Wyckoff, 1967: p. XLI).

Il De metallis scomparve non tanto perche materialmente distrutto dall’umidita edai vermi nel sotterraneo di Scepsi in cui l’avevano nascosto gli eredi di Neleo, quantopiuttosto perche era risultato troppo poco interessante, sia per gli scrittori greci posterioripiu orientati verso altri aspetti dello studio della natura, sia per il pubblico colto, piuinteressato al meraviglioso e all’aneddotico che agli aridi tecnicismi della Scienza. Nerimasero pochi frammenti autentici, e il suo posto fu preso, molto probabilmente, daun testo alchemico apocrifo, che ne usurpo il nome ammantandosi della rinomanza delsuo autore e che ebbe una certa fortuna fino alla fine del XI sec. AD. Dopo di chescomparve anch’esso.

Tutto cio lascia pensare che siano stato il disinteresse dei lettori e l’incapacita degliuomini di Scienza a capirne il contenuto a provocare la scomparsa degli scritti contenentilo scibile greco di carattere minerario e metallurgico. Forse il De metallis esisteva ancorain una qualche biblioteca di Roma, all’epoca di Plinio, ma egli non trovo ne utile neinteressante epitomarne il contenuto, troppo tecnicamente metallurgico, attratto com’erapiuttosto dall’uso dei metalli per la toreutica e l’oreficeria. Certo e, pero, che ne Strabonene Diodoro, piu o meno contemporanei di Plinio e che pure dimostrano un certointeresse per le miniere, riportano citazioni metallurgiche derivate da Teofrasto, anzinon ne riportano affatto! Resta, dunque, da domandarsi che cosa abbia effettivamentevisto Diogene Laerzio nel III sec. AD ad Alessandria: di quale De metallis pote eglivedere due libri e conteggiare le righe di scrittura? Forse egli vide il testo alchemicoarbitrariamente attribuito a Teofrasto, oppure baro, semplicemente, e diede per vistecose che, di fatto, aveva solo trovate descritte da Aristone da Iulide o elencate nelcatalogo della Biblioteca!

232 a. mottana

Tabella III. — Passi in cui sono menzionati i diversi metalli.

Metallo Passo del testo

argento 5.5 - 7.4 - 8.1 - 8.3 - 8.5 - 8.11 - 8.13 - 8.17 - 8.20 - 8.25 - 9.7 - 17.4 - 25 -26.1 - 26.6 - 27.2 - 27.3 - 28.1 - 28.2 - 30

argento vivo (= mercurio) 8.26 - 26.1 - 26.2

bronzo (rame) 1 - 4.3 - 5.1 - 5.2 - 5.5 - 8.5 - 8.6 - 8.7 - 8.8 - 8.17 - 8.19 - 8.20 - 8.23 - 8.24- 8.26 - 9.2 - 9.8 - 9.10 - 9.12 - 10 - 19.3 - 25 - 26.1 - 26.4 - 27.4 - 27.5 -28.2 - 28.4

ferro 1 - 2 - 4.1 - 4.2 - 5.2 - 7.1 - 7.3 - 8.4 - 8.5 - 8.8 - 8.9 - 8.12 - 8.14 - 8.15 -8.21 - 9.7 - 17.1 - 26.1 - 26.2 - 26.3 - 27.3 - 27.4 - 27.5

oricalco (= ottone) 9.10

oro 4.3 - 7.4 - 8.1 - 8.3 - 8.7 - 8.10 - 8.11 - 8.16 - 8.17 - 8.20 - 8.25 - 9.1 - 9.4- 9.5 - 9.6 - 9.8 - 9.10 - 17.3 - 19.1 - 23 - 25 - 26.1 - 27.2 - 28.1 - 28.2 -28.3 - 30

piombo 4.1 - 5.1 - 6 - 7.2 - 8.22 - 9.9 - 9.11 - 26.4 - 28.6 - 30

stagno 1 - 5.1 - 9.9 - 9.12

Ringraziamenti

Il reperimento dei testi di e su Teofrasto mi e stato reso possibile anzitutto grazie ad un contributo dellaCommissione per i Musei naturalistici e Musei della Scienza dell’Accademia, ed inoltre dalla cortesia di variepersone: le Dott.sse Anna Capecchi ed Enrica Schettini Piazza della Biblioteca Corsiniana di Roma, il PadreAndrea Bellebono del Collegio Mellerio Rosmini di Domodossola, il Prof. Massimo Peri del Dipartimentodi Scienza dell’Antichita dell’Universita di Padova, il Dott. Gian Carlo Parodi del Museum Nationald’Histoire Naturelle di Parigi, il Dr. Brent T. Poe del Bayerisches Geoinstitut der Universitat Bayreuth, ilDr. Rasmus Brandt dell’Accademia di Norvegia in Roma, il Prof. Carlo Santaniello, la Dott.ssa ClaudiaRomano e il Dott. Fabio Bellatreccia. Non voglio omettere di esprimere qui tutto il mio apprezzamento perl’eccellente organizzazione della Green Library dell’Universita di Stanford, California, dove mi sono statimessi a disposizione libri altrove irraggiungibili, senza neppure aver bisogno di avanzare richieste che nonfossero assolutamente secondo le norme generali. La Prof.ssa Carla Triulzi ha accuratamente rivisto le mietraduzioni dal greco e dal latino e la Dott.ssa Valentina Sagaria Rossi ha corretto l’ortografia delle parolearabe. Un sincero grazie, infine, alla Dott.ssa Gianna Benigni per la sua attenta, meticolosa e costante operadi preparazione per la stampa, durante la quale mi ha segnalato varie imprecisioni. Quanto resta di scorrettoo di poco chiaro e quindi una responsabilita tutta mia.

Bibliografia

Adamides N.G., 1987. Diverse modes of occurrence of Cyprus sulphide deposits and comparison with recentanalogues. Geological Survey of Canada Paper, 85(29): 153-168.

Adiyaman O., Chorowicz J., Kose O., 1998. Relationships between volcanic patterns and neotectonics inEastern Anatolia from analysis of satellite images and DEM . Journal of Volcanology and GeothermalResearch, 85: 17-32.

Adler A., 1967-71. Suidae Lexicon. Edidit A.A. (5 voll.). Ristampa stereotipa, Teubner, Stuttgart (1a

ed.:Teubner, Lipsiae 1928-38).Agricola G., 1546. De ortu et causis subterraneorum lib. V. De natura eorum quae effluunt ex terra lib.

IIII. De natura fossilium lib. X. De ueteribus et novis metallis lib. II. Bermannus sive De re metallicadialogus. Interpretatio germanica uocum rei metallicae, addito indice foecundissimo. [Per HieronymumFrobenium et Nic. Episcopium], Basileae, 487 pp. (trad. it. di M. Tramezzino: De la generatione de le

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 233

cose, che sotto terra sono, e le cause de’ loro effetti e nature. Lib. V. De la natura di quelle cose, che da la terrascorrono. Lib. IIII. De la natura de le cose fossili, e che sotto la terra si cauano. Lib. X. De le minere antichee moderne. Lib. II. Il Bermanno, o de le cose metallice, dialogo. Sybilla, Vinegia, MDL, n.n.+ 468 pp.).

Agricola G., 1556. De re metallica libri XII. Quibus Officia, Instrumenta, Machinae, ac omnia denique adMetallicam spectantia, non modo loculentissime describuntur, sed & per effigies, suis locis infertas, adiunctisLatinis, Germanicisque appellationibus ita ob oculos ponuntur, ut clarius tradi non possint. Eiusdem DeAnimantibus Subterraneis Liber, ab Autore recognitus: cum Indicibus diuersis, quicquid in opere tractatumest, pulchre demonstrantibus. (l.s. Froben), s.i.e., Basileae, XXIV + 538 + varie pp. (trad. it. di M. Florio:De l’arte de metalli partita in XII. libri, ne quali si descrivano tutte le sorti, e qualita degli uffizzij, degli strumenti, delle macchine, e di tutte l’altre cose attenenti a cotal arte, non pure con parole chiare, maeziandio si mettano a luoghi loro le figure di dette cose, ritratte al naturale, con l’aggiunta de nomi di quelle,cotanto chiari, e spediti, che meglio non si puo desiderare, o havere. Aggiungesi il libro del medesimo autore,che tratta de gl’ nimali di sotterra, da lui stesso corretto, & riueduto. Per Hieronimo Frobenio et NicolaoEpiscopio, Basilea, n.n. + 542 pp.; rist. anast. a cura e con introduzione di P. Macini e E. Mesini.Edizioni ANIM, Segrate 1994, XXXII + 542 + varie n.n. pp.).

Akcay M., Moon C.J., Ozkan H.M., Spiro B., 1997. Fracture controlled and stratabound stibnite and cinnabardeposits of western Turkey: a genetical approach. In: H. Papunen (ed.), Mineral deposits: Research andexploration. Where do they meet ? Balkema, Rotterdam: 37-40.

Albini F., 1988. Michele Psello. La crisopea, ovvero come fabbricare l’oro. Traduzione, introduzione e com-mento di F.A. (Nuova Atlantide). ECIG, Genova, 77 pp.

Amigues S., 1988-89. Theophraste. Recherche sur les plantes. Texte etabli et traduit par S.A. (2 tomes). LesBelles Lettres, Paris (tome I, livres I-II, 1988, LVIII + 143 pp.; tome II, livres III-IV, 1989, VIII + 183pp.).

Andolfo M., 1999. Atomisti antichi. Testimonianze e frammenti secondo la raccolta di H. Diels e W. Kranz .Introduzione, traduzione, note, parole-chiave e appendice bibliografica a cura di M.A. Testo greco afronte. Rusconi, Milano, 572 pp.

Ardaillon E., 1897. Les mines du Laurion dans l’antiquite. Thorin, Paris, 216 pp. (riprodotto con identicaimpaginazione in: D.A. Kounas (ed.), 1972. Studies on the ancient silver mines at Laurion. CoronadoPress, Lawrence KS, 312 pp.).

Bachmann H.G., 1990. The ancient metallurgy of copper: archeology - experiment - theory. Institute forArcheo-Metallurgical Studies, London, XXI + 191 pp.

Badawi A., 1968. La transmission de la philosophie grecque au monde arabe. Vrin, Paris, 199 pp.Baffioni C., 1981. Il IV libro dei «Meteorologica» di Aristotele. Bibliopolis, Napoli, 459 pp.Baldes R.W., 1978. Democritus on the nature and perception of black and white. Phronesis, 23: 87-100.Balogh K., Ravasz-Baranyai I., Dudauri O., Tagonidze M., 1991. Dating the ore mineralization in the

Kelasuri Massif, Great Caucasus, Georgia, U.S.S.R.. Chemie der Erde, 51: 107-108.Baltussen H., 1992. Peripatetic dialectic in the De sensibus. In: W.W. Fortenbaugh, D. Gutas (eds.),

Theophrastus. His psychological, doxographical, and scientific writings (Rutgers University Studies inClassical Humanities, vol. 5). Transaction Books, New Brunswick - London: 1-19.

Barchiesi A., Centi R., Corsaro M., Marcone A., Ranucci G., 1982. Gaio Plinio Secondo. Storia Naturale.I. Cosmologia e geografia. Libri 1-6 . Einaudi, Torino, LXXIV + 847 pp.

Bargel H.J., Schulze G., 1994. Werkstoffkunde. 6a ed., VDI-Verlag, Dusseldorf, 266 pp. (1a ed.: 1949).Battegazzore A.M., 1984. Aristotelismo e anti-aristotelismo del De igne teofrasteo. Elenchos, 5: 45-102.Bellori Io.P., 1685. Veterum illustrium philosophorum poetarum rhetorum et oratorum imagines ex vetustis

nummis, gemmis, hermis, marmoribus, alijsque antiquis monumentis desumptae. Apud Ia. de Rubeis,Romae, 5 p. l., 20 pp., 1 l., 16 pp., 1 l., 15 pp., 92 figg.

Bergstrasser G., 1918. Neue meteorologische Fragmente des Theophrasts, arabisch und deutsch. mit Zusatzenvorgelegt von F. Boll. Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, philologische-historische Klasse, 9: 1-30.

Bethe E., 1967. Pollux Julius Naucratis Onomasticon. E codicibus ab ipso collatis denuo edidit et adnotavitE.B. (3 voll.). Teubner, Stutgardiae (ristampa; 1a ed.: Teubner, Leipzig 1900-37).

Bidez J., 1928. Psellus reproche a Cerulaire d’avoir fait de l’alchimie. In: J. Bidez (ed.), Michel Psellus. Epitresur la Chrysopeee; Opuscules et Extraits sur l’alchimie, la meteorologie et la demonologie. En Appendice:

234 a. mottana

Proclus, Sur l’art hieratique (Catalogue des manuscrits alchimiques grecs, 6). Lamartin, Bruxelles:71-89.

Blumner H., 1979. Technologie und Terminologie der Gewerbe und Kunste bei Griechen und Romern. 4 voll.,Arno Press, New York (rist. anast.) (1a ed.: Teubner, Leipzig 1879-87, vol. I, 1879; vol. II, 1884; vol.III, 1884; vol. IV, 1887; 2a ed. del solo vol. I: Teubner, Leipzig-Berlin 1912).

Boot A.B. de, 1609. Gemmarum et lapidum historia quam olim edidit A.B.B. Brugensis, Rudolphi II.Imperatoris Medicus. (rist. 1636: Nunc vero recensuit, a mendis repurgavit, Commentariis, & pluribus,melioribusque Figuris illustravit & multo locupletiore indice auxit, Adrianus Toll Lugd.-Bat. M.D.Lugduni Batavorum, ex officina Joannis Maire, 576 pp. + indice).

Breglia L., 1967. Numismatica antica. Storia e metodologia. Feltrinelli, Milano, 332 pp.Bromehead C.N., 1993. La tecnica delle miniere e delle cave fino al diciassettesimo secolo. In: C. Singer, E.J.

Holmyard, A.R. Hall, T.I. Williams (eds.), Storia della tecnologia. Vol. II. Le civilta mediterranee e ilMedioevo (circa 700 a.C. - 1500 d.C. ) (Gli Archi). Tomo I, Bollati Boringhieri, Torino: 1-40 (1a ed. it.nella collana «Grandi opere», Bollati Boringhieri, Torino 1962; Titolo originale: A history of technology.Vol. 2, Clarendon Press, Oxford 1956).

Burnikel W., 1974. Textgeschichtlichen Untersuchungen zu neun Opuscula Theophrasts (Palingenesia, 8).F. Steiner, Wiesbaden, XXXIX + 172 pp.

Burnikel W., Wiesner J., 1976. Der Vaticanus 1302 - Konvergenz einer Diskussion. Mnemosyne, 29: 136-142.

Caley E.R., Richards J.F., 1956. Theophrastus on stones. Introduction, Greek text, English translation, andcommentary. Ohio State University, Columbus, VII + 238 pp.

Calzecchi Onesti R., 1990. Omero. Iliade. Prefazione di F. Codino, traduzione di R.C.O, testo a fronte.Einaudi, Torino, XVII + 931 pp. (ristampa; 1a ed.: Einaudi, Torino 1950).

Canfora L., 1986. Diodoro Siculo. Biblioteca storica. Libri I-V . Introduzione di L.C. Sellerio, Palermo, XXV+ 319 pp.

Canfora L., 1990. Storia della letteratura greca. Nuova ed. ampliata, Laterza, Roma-Bari, 786 pp. (1a ed.:Laterza, Roma-Bari 1986, 580 pp.).

Capelle W., 1958. Die Farbenbezeichnungen bei Theophrast . Rheinisches Museum fur Philologie, 101: 1-41.Cassarino M., 1998. Traduzioni e traduttori arabi dall’VIII all’XI secolo. Salerno, Roma, 158 pp.Cassola C., 1988. Inni omerici. 4a ed., Fondazione Lorenzo Valla, Milano, LXXVI + 644 pp. (1a ed.: 1975).Charles J.A., 1967. Early arsenical bronzes: a metallurgical view. American Journal of Archeology, 71: 21-26.Colonna A. (a cura di), 1993. Esiodo. Opere: Teogonia - Catalogo delle donne - Opere e giorni - Poemetti

pseudo-esiodei. Testo greco a fronte. TEA, Milano, 361 pp. (ristampa; 1a ed.: UTET, Torino 1983).Conophagos C.E., 1980. Le Laurium antique et la technique grecque de la production de l’argent . Ekdotike

Hellados, Athenes, 458 pp.Corso A., Mugellesi R., Rosati G., 1988. Gaio Plinio Secondo. Storia naturale. V. Mineralogia e storia

dell’arte. Libri 33-37 . Einaudi, Torino, 966 pp.Coutant V., 1971. Theophrastus. De igne. A post-aristotelian view of the nature of fire. Edited with intro-

duction, translation and commentary by V.C. Van Gorcum, Assen, XXVI + 72 pp.Criscuolo U., 1990. Michele Psello. Epistola a Michele Cerulario. Testo critico, introduzione, traduzione e

commentario a cura di U.C. (Hellenica et Byzantina Neapolitana, 15). Bibliopolis, Napoli, 60 pp.Daiber H., 1985. A survey of Theophrastean texts and ideas in Arabic: some new material . In: W.W. Forten-

baugh, P.M. Huby, A.A. Long (eds.), Theophrastus of Eresus. On his life and work (Rutgers UniversityStudies in Classical Humanities, vol. 2). Transaction Books, New Brunswick: 103-123.

Daiber H., 1992. The Meteorology of Theophrastus in Syriac and Arabic translation. In: W.W. Fortenbaugh,D. Gutas (eds.), Theophrastus. His psychological, doxographical, and scientific writings (Rutgers UniversityStudies in Classical Humanities, vol. 5). Transaction Books, New Brunswick: 166-293.

Della Corte F., 1978. Il debito di Plinio verso Varrone. In: AA.VV., Varron. Grammaire antique et stylistiquelatine. Melanges pour Jean Collart. Les Belles Lettres, Paris: 149-158.

Derry T.K., Williams T.I., 1993. A short history of technology from the earliest times to A.D. 1900 (rist.anast.). Mineola, Dover, XVIII + 782 pp. (1a ed.: Oxford University Press, Oxford 1960).

Detienne M., Vernant J.-P., 1999. Le astuzie dell’intelligenza nell’antica Grecia. Trad. it. di A. Giardina.Laterza, Roma-Bari, XIV + 251 pp. (Titolo originale: Les ruses de l’intelligence. La metis des Grecs.Flammarion, Paris 1974, 337 pp.).

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 235

Diels H., 1879. Doxographi graeci. Collegit, recensuit, prolegomenis indicibusque instruxit H.D. Reimer,Berolini, X + 854 pp. (rist. anast.: de Gruyter, Berolini 1958).

Dies K., 1967. Kupfer und Kupferlegierungen in der Technik. Springer Verlag, Berlin-New York, XVI + 857pp.

Domergue C. (ed.), 1989. Minerıa y metalurgia en las antiguas civilizaciones mediterraneas y europeas: coloquiointernacional asociado, Madrid 24-28 octubre 1985 (2 voll.). Ministerio de Cultura, Madrid.

Donini P.L., 1979. L’eclettismo impossibile. Seneca e il platonismo medio. In: P.L. Donini, G.F. Gianotti(eds.), Modelli filosofici e letterari. Lucrezio, Orazio, Seneca. Pitagora, Bologna.

Donini P.L., 1992. I fondamenti della fisica e la teoria delle cause in Plutarco. In: I. Gallo (a cura di), Plutarcoe le scienze. Atti del IV Convegno plutarcheo (Genova - Bocca di Magra, 22-25 aprile 1992). SAGEP,Genova: 99-120.

Eichholz D.E., 1949. Aristotle’s theory of the formation of metals and minerals. The Classical Quarterly, 43:141-146.

Eichholz D.E., 1965. Theophrastos. De lapidibus. Introduction, translation and commentary. ClarendonPress, Oxford, VII + 141 pp.

Eigler U., Wohrle G., 1993. Theophrastus. De odoribus. Edition, Ubersetzung, Kommentar mit einembotanischen Anhang von B. Herzhoff (Beitrage zur Altertumskunde, 37). Teubner, Stuttgart, 102 pp.

Einarson B., Link G.K.K., 1976-90. Theophrastus. De causis plantarum (3 voll.). Heinemann, London -Harvard University Press, Cambridge Mass. (vol. I, 1976, 430 pp.; vol. II, 1990, 368 pp.; vol. III,1990, 474 pp.).

Faggin G., 1992. Plotino. Enneadi. Porfirio. Vita di Plotino. Traduzione con testo greco a fronte, introdu-zione, note e bibliografia. Iconografia plotiniana a cura di G. Reale. Rusconi, Milano, XXXVI + 1603pp.

Fensterbusch C., 1991. Vitruv. Zehn Bucher uber Architektur . Ubersetzt und mit Anmerkungen versehenvon C.F. 5a ed., Primus, Darmstadt, 596 pp. (1a ed.: Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt1976, 591 pp.).

Ferraro V., 1975. Il numero delle fonti, dei volumi e dei fatti della Naturalis Historia di Plinio. Annali dellaScuola Normale di Pisa, n.s., 3: 519-534.

Ferri S., 1960. Vitruvi de Architectura. Palombi, Roma, 303 pp.Ferri S., 2000. Plinio il Vecchio. Storia delle arti antiche. Introduzione di M. Harari. Testo critico, intro-

duzione e commento di S.F. Testo latino a fronte. B.U.R., Milano, 250 pp. (ristampa dell’ed. 1946:Palombi, Roma).

Flashar H., 1972. Aristoteles. Werke in deutscher Ubersetzung, Bd. 18 Opuscula T. 2 Mirabilia. AkademieVerlag, Berlin, 154 pp. (ristampa: 1981).

Forbes R.J., 1993a. Metallurgia. In: C. Singer, E.J. Holmyard, A.R. Hall, T.I. Williams (eds.), Storiadella tecnologia. Vol. II. Le civilta mediterranee e il Medioevo (circa 700 a.C. - 1500 d.C. ) (Gli Archi).Tomo I, Bollati Boringhieri, Torino: 41-82 (1a ed. it. nella collana «Grandi opere», Bollati Boringhieri,Torino 1962; titolo originale: A history of technology. Vol. 2, Clarendon Press, Oxford 1956).

Forbes R.J., 1993b. Estrazione, fusione e leghe. In: C. Singer, E.J. Holmyard, A.R. Hall, T.I. Williams(eds.), Storia della tecnologia. Vol. I. Dai tempi primitivi alla caduta degli antichi imperi (fino al 500 a.C.circa ) (Gli Archi). Tomo I, Bollati Boringheri, Torino: 581-609 (ristampa della 1a ed. nella collana«Gli Archi», Bollati Boringhieri, Torino 1992; titolo originale: A history of technology. Vol. I, ClarendonPress, Oxford 1954).

Forbes R.J., 1966. Studies in ancient technology. 2a ed., vol. VII, Brill, Leiden, 259 pp. (1a ed.: Brill, Leiden1963, 234 pp.).

Fortenbaugh W.W., Huby P.M., Long A.A. (eds.), 1985. Theophrastus of Eresus. On his life and works(Rutgers University Studies in Classical Humanities, vol. 2). Transaction Books, New Brunswick, IX+ 355 pp.

Fortenbaugh W.W., Huby P.M., Sharples R.W., Gutas D. (eds.), 1992. Theophrastus of Eresus. Sources forhis life, writings, thought and influence. Part I: Life, writings, various reports, logic, physics, metaphysics,theology, mathematics. Part II: Psychology, human physiology, living creatures, botany, ethics, religion,politics, rhetoric and poetics, music, miscellanea (2 voll.). Brill, Leiden - New York - Koln, VIII + 465 +705 pp.

236 a. mottana

French R., 1999. Gli antichi e la natura. Historiae meravigliose e storia naturale. Trad. it. di C. Spinoglio.ECIG, Genova, 395 pp. (Titolo origunale: Ancient natural history. Histories of nature. Routledge,London - New York 1994, 356 pp.).

Friedrich C., Nothers T., 1998-99. Athenaios. Das Gelehrtenmahl (2 voll.). Buch I-VI (1998), VII-X(1999). Eingeleitet und ubersetzt von C.F.; kommentiert von T.N. Hiersemann, Stuttgart, XXXIX +667 + 451 pp.

Furlanus D., 1605. Theophrasti Eresii peripeticorum post Aristotelem principis, pleraque antehac Latine num-quam, nunc Graece et Latine simul edita interpretibus Daniele Furlano Cretensi, Adriano Turnebo. Acces-serunt liber De innato spiritu, Aristotelis attributus et Danielis Furlani uberes ad omnia commentarii.Typis Wechelianis, apud Claudium Marnium et haeredes Ioannis Aubrii, Hanoviae.

Furley D.J., 1985. Strato’s theory of the void . In: J. Wiesner (ed.), Aristoteles: Werk und Wirkung. PaulMoraux gewidmet (2 voll.). de Gruyter, Berlin-New York: 594-609.

Gaiser K., 1985. Theophrast in Assos. Zur Entwicklung der Naturwissenschaft zwischen Akademie und Peripatos(Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse; Jg.1985, Abh. 3). Winter, Heidelberg, 120 pp.

Galdi M., 1924. De Senecae «Naturales quaestiones» varia iudicandi ratione. Rivista Indo-Greco-Italica, 8.Galigani P., 1980. Il de Lapidum virtutibus di Michele Psello. Introduzione, testo critico, traduzione e

commento di P.G. Nardini, Firenze, 126 pp.Giacone A. (a cura di), 1989. Quinto Curzio Rufo. Storie di Alessandro Magno. Con un’appendice di O.

Botto. Testo latino a fronte. TEA, Milano, 741 pp. (1a ed.: UTET, Torino, 739 pp.).Giannini A., 1965. Paradoxographorum graecorum reliquiae, recognovit, brevi adnotatione critica instruxit,

latine reddidit A.G. Istituto Editoriale Italiano, Milano, 430 pp.Giardino C., 1998. I metalli nel mondo antico. Introduzione all’archeometallurgia. Laterza, Roma-Bari, XII

+ 277 pp.Gigante M., 1986. Biografia e dossografia in Diogene Laerzio. Atti del Congresso internazionale 1985 su

Diogene Laerzio. Elenchos, 7: 7-102.Gigante M., 1993. Diogene Laerzio. Vite dei filosofi. 3a ed., Laterza, Roma-Bari, CXVIII + 642 pp. (1a ed.:

1983).Gigon O., 1959. Cicero und Aristoteles. Hermes, 87: 143-162.Giusta M., 1964-67. I dossografi di etica (2 voll.). Giappichelli, Torino, 434 + 606 pp.Goranson R.W., 1931. Solubility of water in granitic magmas. American Journal of Sciences, 22: 481-502.Gottschalk H.B., 1961. The authorship of Meteorologica, Book IV . Classical Quarterly, n.s., 55: 67-79.Gottschalk H.B., 1985. Prolegomena to an edition of Theophrastus’ fragments. In: J. Wiesner (ed.), Aristoteles:

Werk und Wirkung . Paul Moraux gewidmet (2 voll.). de Gruyter, Berlin-New York, vol. I: 543-556.Gottschalk H.B., 1987. Aristotelian philosophy in the Roman world from the time of Cicero to the end of

the second century A.D. In: H. Temporini (ed.), Aufstieg und Niedergang der romischen Welt; Geschichteund Kultur Roms im Spiegel der neueren Forschung. de Gruyter, Berlin-New York, vol. II, cap. 36.2:1079-1174.

Grabmann M., 1946. Guglielmo di Moerbeke O.P. il traduttore delle opere di Aristotele. Pontificia UniversitaGregoriana, Roma, XI + 193 pp.

Greenaway F., 1986. Chemical texts in Pliny. In: R. French, F. Greenaway (eds.), Science in the EarlyRoman Empire. Pliny the Elder, his sources and influence. Croon Helm, London-Sidney: 147-161.

Hadot I. (ed.), 1987. Simplicius. Sa vie, son oeuvre, sa survi. Actes du Colloque international de Paris (28sept.-1er oct. 1985). de Gruyter, Berlin-New York, X + 406 pp.

Hall J.M., 1992. Interaction of submarine volcanic and high-temperature hydrothermal activity proposed forthe formation of the Agrokipia volcanic massive sulphide deposits of Cyprus. Canadian Journal of EarthSciences, 29: 1928-1936.

Halleux R., 1974. Le probleme des metaux dans la science antique. Les Belles Lettres, Paris, 236 pp.Halleux R., 1981. Les alchimistes grecs. Tome I. Papyrus de Leyde. Papyrus de Stockholm. Fragments de recettes.

Les Belles Lettres, Paris, XV + 237 pp.Hammer-Jensen I., 1915. Die sogennante IV. Buch der Meteorologie des Aristoteles. Hermes, 50: 113-136.Hansen M., Anderko K., 1958. Constitution of binary alloys. McGraw-Hill, New York, 52 pp.Haschmi M.Y., 1965. Die griechischen Quellen des Steinbuches von al-Beruni. Annales archeologiques de

Syrie, 15: 11-45.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 237

Healy J.F., 1986. Pliny on mineralogy and metals. In: R. French, F. Greenaway (eds.), Science in the EarlyRoman Empire. Pliny the Elder, his sources and influence. Croon Helm, London-Sidney: 111-146.

Healy J.F., 1993. Miniere e metallurgia nel mondo greco e romano. A cura di L. Pirzio Biroli Stefanelli, trad.it. di M.J. Strazzulla, «L’Erma» di Bretschneider, Roma, XI + 322 pp. (Titolo originale: Mining andmetallurgy in the Greek and Roman world. Thames & Hudson, London 1978).

Heller W., 1996. Copper-based alloys. In: R.W. Cahn, P. Haasen, E.J. Kramer (eds.), Materials scienceand technology. Vol. 8: Structure and properties of nonferrous alloys (a cura di K.H. Matucha). VHC,Weinheim - New York - Basel - Cambridge - Tokyo: 280-346.

Hilmi M.E., 1995. Islam e scienza: l’approccio di un geologo. In: C. Sarnelli Cerqua, O. Marra, P.G. Pelfer(a cura di), La civilta islamica e le scienze. CUEN, Firenze: 109-114.

Holmyard E.J., 1957. Alchemy. Penguin, Harmondsworth, 288 pp.Holmyard E.J., Mandeville D.C., 1927. Avicennae de congelatione et conglutinatione lapidum being sections

of the Kitab al-shifa’ . The Latin and Arabic texts edited with an English translation of the latter andwith critical notes. Librerie Orientaliste Geuthner, Paris, VIII + 86 pp.

Hopper R.J., 1953. The Attic silver mines in the fourth century B.C . Annual of the British School at Athens,48: 200-254.

Hort A.F., 1916-1926. Theophrastus. Enquiry into plants and minor works on odours and weather signs. Editedwith an English translation by A.F.H (2 voll.). Harvard University Press - Heinemann, CambridgeMass. - London (vol. I, 1916, Books I-V, XXVIII + 476 pp.; vol. II, 1926, Books VI-X and Minorworks, IX + 499 pp.) (5a rist., 1948).

Huby P., 1985. Theophrastus in the Aristotelian corpus, with particular reference to biological problems. In: A.Gotthelf (ed.), Aristotle on nature and living things: philosophical and historical studies presented to DavidM. Balme on his seventieth Birthday. Mathesis Publications Inc. - Bristol Classical Press, Pittsburgh, Pa- Bristol: 313-325.

Hultsch F., 1882. Griechische und Romische Metrologie. Weidmann, Berlin, XIV + 745 pp. (1a ed.: Weid-mann, Berlin 1862, XI + 328 pp.; rist. anast., Berlin 1971).

Hunt L.B., 1976. The oldest metallurgical handbook. Recipes of a fourth century goldsmith. Gold Bulletin, 9:24-31.

Keaney J.J. (ed.), 1991. Harpocration. Lexeis of the ten orators. Hakkert, Amsterdam, XXXI + 293 pp.Kidd I.G., 1992. Theophrastus’ Meteorology, Aristotle and Posidonius. In: W.W. Fortenbaugh, D. Gutas

(eds.), Theophrastus. His psychological, doxographical, and scientific writings (Rutgers University Studiesin Classical Humanities, vol. 5). Transaction Books, New Brunswick - London: 294-306.

Ladeira E.A. (ed.), 1991. Brazil Gold ’91. The economics, geology, geochemistry and genesis of gold deposits.Balkema, Rotterdam-Brookville, XVIII + 823 pp.

Latte K. (a cura di), 1953-66. Hesychii Alexandrini Lexicon recensuit et emendavit K.L. (3 voll.). Munk-sgaard, Hauniae (voll. I-II: LVIII + 509 + 823 pp.).

Lauffer S., 1979. Die Bergwerksslaven von Laureion. Steiner, Wiesbaden, X + 322 pp.Lee H.D.P., 1978. Aristotle. VII. Meteorologica. With an English translation by H.D.P.L., Harvard University

Press - Heinemann, Cambridge Mass. - London, XXXIV + 433 pp. (3a ristampa; 1a ed.: 1952).Leonardi C., 1502. Speculum lapidum clarissimi artium et medicinae doctoris C.L. Pisaurensis physici. per

Joannem Baptistam Sessam, Venetiis, LCVI ff.Liddell H.G., Scott R., Jones H.S., 1990. A Greek-English Lexicon. Clarendon Press, Oxford, XLV + 2042

pp. (With a supplement 1968, XI + 153 pp.) (ristampa della 9a ed.).Lloyd G.E.R., 1987. Scienza, folklore, ideologia. Le scienze della vita nella Grecia antica. Trad. it. di A. e B.

Fiore. Bollati Boringhieri, Torino, 225 pp. (Titolo originale: Science, folklore and ideology: Studies inthe life sciences in ancient Greece. Cambridge University Press, Cambridge 1983, XI + 260 pp.).

Longo O., 1992. La teoria plutarchea del «Primum Frigidum». In: I. Gallo (a cura di), Plutarco e le scienze.Atti del IV Convegno plutarcheo (Genova - Bocca di Magra, 22-25 aprile 1992). SAGEP, Genova:225-230.

Lord T.C., 1986. On the early history of the Aristotelian corpus. American Journal of Philology, 107: 137-161.

238 a. mottana

Lukinovich A., Rousset M. (a cura di), 1991. Plutarco. Come distinguere l’adulatore dall’amico. Con unanota di L. Canfora, testo greco a fronte, con De differentia veri amici et adulatoris parafrasi latina di G.Veronese a cura di V. Nason. Sellerio, Palermo, 188 pp.

Mansfeld J., 1992. Physikai doxai and Problemata physica from Aristotle to Aetius (and beyond). In: W.W.Fortenbaugh, D. Gutas (eds.). Theophrastus. His psychological, doxographical, and scientific writings(Rutgers University Studies in Classical Humanities, vol. 5). Transaction Books, New Brunswick -London: 63-111.

Marabelli M., 1995. Conservazione e restauro dei metalli d’arte (Contributi del Centro Linceo Interdiscipli-nare «Beniamino Segre», 92). Accademia Nazionale dei Lincei, Roma, 198 pp.

Mariano G., Tirelli A. (a cura di), 1992. Plutarco. Precetti coniugali. Ed. critica con testo greco a fronte.D’Auria, Napoli, 120 pp.

Maryon H., 1936. Soldering and welding in the Bronze and Early Iron Ages. Technical Studies in the Fieldof the Fine Arts, 5: 75-108.

Mattioli P.A., [1557]. I discorsi di P.A.M. medico sanese ne i sei libri della materia medicinale di PedacioDioscoride Anazarbeo. Con i veri ritratti delle piante & de gli animali, nuovamente aggiuntivi dalmedesimo. Valgrisi & Costantini, Vinegia, n.n. + 741+ n.n. pp. (rist. anast.: Forni, Bologna 1984).

McDiarmid J.B., 1960. Theophrastus De sensibus 61-62: Democritus’ theory of weight . Classical Philology,55: 28-30.

Mely F. de, 1894. Le lapidaire d’Aristote. Revue des etudes grecques, 7: 181-191.Micheletti T., 1982. La miniera d’oro piu antica del mondo. Bollettino della Associazione Mineraria Subal-

pina, 19: 93-100.Mieleitner K., 1922. Zur Geschichte der Mineralogie - Geschichte der Mineralogie im Altertum und im

Mittelalter . Fortschritte der Mineralogie Krystallographie und Petrographie, 7: 427-480.Mieli A., 1925. Manuale di storia della scienza. Antichita. Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma, XXX +

568 pp.Migotto L., 1990. Marco Vitruvio Pollione. De Architectura libri X . Testo latino a fronte. Edizioni Studio

Tesi, Pordenone, XXXVIII + 588 pp.Montanari F., 1995. Vocabolario della lingua greca. Loescher, Torino, 2298 pp.Moraux P., 1973-84. Der Aristotelismus bei den Griechen von Andronikos bis Alexander von Aphrodisias. de

Gruyter, Berlin-New York, 2 voll. (vol. I, 1973, Die Renaissance des Aristotelismus im I. Jh. v. Chr., XX+ 535 pp.; vol. II, 1984, Der Aristotelismus im I. und II. Jh. n. Chr., XIX + 825 pp.).

Mottana A., 1999. Oggetti e concetti inerenti le Scienze Mineralogiche ne La composizione del mondo conle sue cascioni di Restoro d’Arezzo (anno 1282). Rend. Fis. Acc. Lincei, s. 9, 10: 133-229.

Mottana A., Napolitano M., 1997. Il libro «Sulle pietre» di Teofrasto. Prima traduzione italiana con unvocabolario dei termini mineralogici. Rend. Fis. Acc. Lincei, s. 9, 8: 151-234.

Muller R. (ed.), 1976. Kulturgeschichte der Antike. I. Griechenland . Akademie-Verlag, Berlin, 534 pp.Ozgur N., 1991. Gold contents of the Akarsen copper deposit, E-Pontides, Turkey. In: E.A. Ladeira (ed.),

Brazil Gold ’91. The economics, geology, geochemistry and genesis of gold deposits. Balkema, Rotterdam-Brookville: 477-480.

Ozgur N., Palacios C.M., 1990. Geochemical proximity indicators of the Morgul volcanogenic copper deposit,East Pontic metallotect, NE Turkey. Mineral Research and Exploration Bulletin, 111: 53-64.

Paduano G., Fusillo M., 1986. Apollonio Rodio. Le Argonautiche. Trad. di G.P. Introduzione e commentodi G.P. e M.F. Testo greco a fronte. B.U.R., Milano, 717 pp.

Park C.F., MacDiarmid R.A., 1982. Giacimenti minerari. Trad. it. a cura di B. De Vivo e F. Ippolito,Liguori, Napoli, 760 pp. (Titolo originale: Ore deposits. Freeman, San Francisco 1975, X + 529 pp.).

Partington J.R., 1935. Origins and development of applied chemistry. Longmans-Green, London-New York,XII + 597 pp.

Patai R., 1997. Alchimisti ebrei. Storia e fonti. Trad. it. di G. Busi, ECIG, Genova, 589 pp. (Titolo originale:The Jewish alchemists. A history and source book. Princeton University Press, Princeton N.J. 1994, XIV+ 617 pp.).

Pavese C., 1961. Aristotele e i filosofi ad Asso. La Parola del Passato, 77: 113-119.Pepe L., 1982. Aristotele. Meteorologica. Introduzione, traduzione e note di L.P. Giunta, Napoli, 134 pp.Pokrowsky M., 1895. Uber das Verhaltnis der Aθηναιων Πoλιτεια zu den naturwissenschaftlichen Studien

des Aristoteles. Neue Jahrbucher fur Philologie und Padagogik, 151: 465-476.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 239

Privitera G.A., 1991. Omero. Odissea. Traduzione di G.A.P., introduzione di A. Heubeck, indici a curadi D. Loscalzo. Testo a fronte. Mondadori, Milano, XLII + 820 pp. (ristampa; 1a ed.: FondazioneLorenzo Valla, Mondadori, Milano 1981).

Przeworski S., 1939. Die Metallindustrie Anatoliens in der Zeit von 1500-700 v. Chr., Rohstoffe, Technik,Produktion (Internationales Archiv fur Ethnologie, Suppl. 36). Brill, Leiden, XII + 206 pp.

Ramin J., 1977a. Les connaissances de Pline l’Ancien en matiere de metallurgie. Latomus, 36: 144-154.Ramin J., 1977b. La technique miniere et metallurgique des anciens (Collection Latomus, 153). Latomus,

Revue d’etudes latines, Bruxelles, 223 pp.Regenbogen O., 1934. Theophrast-Studien. I. Zur Analyse der Historia Plantarum. Hermes, 69: 75-105.Regenbogen O., 1940. Theophrastos. Paulys Real-Encyclopadie der classischen Altertumwissenschaft. Neue

Bearbeitung begonnen von G. Wissowa, fortgefuhrt von W. Kroll & K. Mittelhaus. Metzler, Stuttgart,Supplementband, VII: coll. 1354-1562.

Repellini F.F., 1993. Matematica, astronomia e meccanica. In: G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza (a curadi), Lo spazio letterario della Grecia antica. Vol. I: La produzione e la circolazione del testo. Tomo II:L’ellenismo. Salerno, Roma: 305-343.

Rocci L., 1987. Vocabolario Greco Italiano. 33a ed., Societa Editrice Dante Alighieri, Citta di Castello, XX+ 2074 pp.

Rose V., 1967. Aristotelis qui ferebantur librorum fragmenta collegit V.R. Teubner, Stutgardiae1967, 463pp. (rist. anast. 3a ed.; 1a ed.: Aristoteles pseudoepigraphus. Teubner, Lipsiae 1863, 728 pp.; 3a ed.:Aristotelis qui ferebantur librorum fragmenta. Teubner, Lipsiae 1886, 463 pp.).

Rostovtsev M., 1966-1980. Storia economica e sociale del mondo ellenistico. Trad. it. della 2a ed. (1953-57,rivista da P.M. Fraser) di M. Liberanome e G. Sanna (3 voll.). La Nuova Italia, Firenze (vol. I, 1966,XLI + 630 pp.; vol. II, 1973, X + 370 pp.; vol. III, 1980, VIII + 596 pp.) (Titolo originale: Social andeconomic history of the hellenistic world. 3 voll., Oxford University Press, London 1941).

Rusca L., 1992. Aulo Gellio. Notti attiche. Introduzione di C.M. Calcante. Traduzione e note di L.R. Testolatino a fronte (2 voll.). B.U.R., Milano, 1498 pp. complessive.

Ruska J., 1912. Das Steinbuch des Aristoteles: mit literaturgeschichtlichen Untersuchungen nach der arabischenHandschrift der Bibliotheque nationale. Winter, Heidelberg, 183 pp.

Russo L., 1996. La rivoluzione dimenticata. Il pensiero scientifico greco e la scienza moderna. Feltrinelli,Milano, 383 pp.

Santoni A., 1999. Aristotele. La costituzione degli Ateniesi. Alle radici della democrazia occidentale. Cappelli,Bologna, XXX + 232 pp.

Sartori F., Giarratano C. (a cura di), 1990. Platone. Opere complete (8 voll.). Vol. VI: Clitofonte, LaRepubblica, Timeo, Crizia. Laterza, Roma-Bari, XII + 469 pp.

Sassi M.M., 1993. Mirabilia. In: G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza (a cura di), Lo spazio letterario dellaGrecia antica. Vol. I: La produzione e la circolazione del testo. Tomo II: L’ellenismo. Salerno, Roma:449-468.

Saupe F., 1990. Geology of the Almaden mercury deposit, province of Ciudad Real, Spain. Economic Geology,85: 482-510.

Savino E., 1995. Eschilo. Orestea: Agamennone, Coefore, Eumenidi. 4a ed., introduzione di U. Albini, notastorica, traduzione e note di E.S. con testo a fronte. Garzanti, Milano, 276 pp. (1a ed.: 1989).

Schmidt M. (a cura di), 1858-68. Hesychii Alexandrini Lexicon (5 voll.). Jena (vol. IV: 1864; vol. V: 1861-62)(rist.: Hakkert, Amsterdam 1965).

Schmitt C., 1971. Theophrastus in the Middle Ages. Viator, 2: 251-270.Schnayder J., 1962. Technologisches in den Werken des Theophrastos. Eos, 52: 259-286.Schneider H., 1992. Einfuhrung in die antike Technikgeschichte. Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darm-

stadt, XII + 258 pp.Schneider I.G., 1818-21. Theophrasti Eresii quae supersunt opera et excerpta librorum quatuor tomis com-

prehensa. Ad fidem librorum editorum et scriptorum emendavit, Historiam et libros VI De causisplantarum coniuncta opera D.H.F. Linkii, excerpta solus, explicare conatus est Io. Gottlob Schneider,Saxo. Sumptibus Frid. Christ. Guil. Vogelii, Lipsiae (tom. I-IV, 1818, XL + 896, VI + 630, 843, 873pp.; tom. V, 1821, LXVI + 549 pp.).

Sharples R.W., 1984. Some medieval and renaissance citations of Theophrastus. Journal of the Warburg andCourtlaud Institutes, 47: 186-190.

240 a. mottana

Sharples R.W., 1985. Theophrastus on tastes and smells. In: W.W. Fortenbaugh, P.M. Huby, A.A. Long(eds.). Theophrastus of Eresus. On his life and works (Rutgers University Studies in Classical Humanities,vol. 2). Transaction Books, New Brunswick: 183-204.

Sharples R.W., 1988. Some aspects of the secondary tradition of Theophrastus’ Opuscula. In: W.W. Forten-baugh, R.W. Sharples (eds.), Theophrastean studies. On natural sciences, physics and metaphysics, ethics,religion, and rhetoric (Rutgers University Studies in Classical Humanities, vol. 3). Transaction Books,New Brunswick: 41-64.

Sharples R.W., 1990. The school of Alexander ? In: R. Sorabji (ed.). Aristotle transformed. The ancientcommentators and their influence. Duckworth, London: 83-111.

Sharples R.W., 1998. Theophrastus of Eresus. Sources for his life, writings, thought and influence. Commentaryvolume 3.1. Sources on Physics (texts 137-223 ) with contributions on the Arabic materials by D. Gutas.Brill, Leiden - Boston - Koln, XVII + 302 pp.

Shcherbak N.P., Bartnitsky Ye.B., Dudauri O.Z., Stepanyk L.M., Togonidze M.G., 1991. U-Pb andRb-Sr-isotope dating results for some geological formations, Goreb-Kelasuri intrusive complex, Caucasus.Chemie der Erde, 51: 103-106.

Simonin L., 1858. De l’exploitation des mines et de la metallurgie en Toscane pendant l’Antiquite et le MoyenAge. Annales des Mines, 14: 557-615.

Sollenberger M.G., 1985. Diogenes Laertius 5.36-57: the Vita Theophrasti. In: W.W. Fortenbaugh, P.M.Huby, A.A. Long (eds.), Theophrastus of Eresus. On his life and works (Rutgers University Studies inClassical Humanities, vol. 2). Transaction Books, New Brunswick: 1-62.

Sollenberger M.G., 1988. Identification of titles of botanical works of Theophrastus. In: W.W. Fortenbaugh,R.W. Sharples (eds.), Theophrastean studies. On natural sciences, physics and metaphysics, ethics, religionand rhetoric (Rutgers University Studies in Classical Humanities, vol. 3). Transaction Books, NewBrunswick: 14-24.

Solmsen F., 1960. Aristotle’s system of the physical world. A comparison with his predecessors. Cornell UniversityPress, Ithaca, XIV + 468 pp.

Stahl W.H., 1974. La scienza dei Romani. Trad. it. di I. Rambelli, Laterza, Roma-Bari 1974, VII + 398pp. (Titolo originale: Roman science. Origins, development and influence to the later Middle Ages. TheUniversity of Wisconsin Press, Madison 1962, 308 pp.).

Steinmetz P., 1964. Die Physik des Theophrastos von Eresos (Palingenesia, 1). Gehlen, Berlin-Zurich-BadHomburg, 367 pp.

Suri A.K., Banerjee S., 1996. Tin. In: R.W. Cahn, P. Haasen, E.J. Kramer (eds.), Materials scienceand technology. Vol. 8: Structure and properties of nonferrous alloys (a cura di K.H. Matucha). VHC,Weinheim - New York - Basel - Cambridge - Tokyo: 25-70.

Torraca L., 1961. I dossografi greci. CEDAM, Padova, 504 pp.Treister M.Y., 1996. The role of metals in ancient Greek history. Brill, Leiden-New York, XIV + 481 pp.Trotta F., 1996. Strabone. Geografia. Iberia e Gallia, libri III e IV . B.U.R., Milano, 388 pp.Tsaı mou C.G., 2000. Metals in ancient times. The ancient mining and metallurgical technology. Athens, 237

pp.Turturro G., 1961. Ateneo. I deipnosofisti: o, sofisti a banchetto. Libri 1-2. Testo riveduto con note critiche

e traduzione italiana a fronte con commento di G.T. Adriatica Editrice, Bari, X + 323 pp.Tuysuz N., Akcay M., 1997. The gold occurrences in the volcanic arc of the eastern Pontides, NE Turkey. In:

H. Papunen (ed.), Mineral deposits: Research and exploration. Where do they meet ? Balkema, Rotterdam:331-334.

Tylecote R.F., 1992. A history of metallurgy. The Institute of Materials, London 1992, XII + 205 pp. (1a

ed.: Metals Society, London 1976, IX + 182 pp.).Vallance J., 1988. Theophrastus and the study of the intractable: scientific method in De lapidibus and De

igne. In: W.W. Fortenbaugh, R.W. Sharples (eds.), Theophrastean studies. On natural sciences, physicsand metaphysics, ethics, religion, and rhetoric (Rutgers University Studies in Classical Humanities, vol.3). Transaction Books, New Brunswick: 25-40.

Vanotti G., 1997. [Aristotele] De mirabilibus auscultationibus. Testo greco a fronte. Edizioni Studio Tesi,Pordenone, XXXV + 164 pp.

Verrycken K., 1990. The development of Philoponus’ thought and its chronology. In: R. Sorabji (ed.), Aristotletransformed. The ancient commentators and their influence. Duckworth, London: 233-274.

il pensiero di teofrasto sui metalli : : : 241

Vilardo M., 1989. Teofrasto. Caratteri. Mondadori, Milano, XLV + 182 pp.Vottero D., 1989. Seneca. Questioni naturali. A cura di D.V. Testo latino a fronte. TEA-UTET, Torino,

867 pp.Walter H., 1963. C. Iulius Solinus und seine Vorlagen. Classica et Mediaevalia, 24: 87-157.Wehrli F., 1969. Die Schule des Aristoteles. Texte und Kommentar. 5. Straton von Lampsacos. Schwabe,

Basel-Stuttgart, 83 pp. (1 ed.: 1950).Weisner E., Buchen W., Kleinau M., Bach H.G., 1982. Guß aus Kupfer und Kupferlegierungen. Gesamt-

verband Deutscher Metallgießereien,Dusseldorf.Wilson N.G., 1962. The manuscripts of Theophrastus. Scriptorium, 16: 96-102.Wimmer F., 1854-62. Theophrasti Eresii opera quae supersunt omnia. Ex recognitione F.W. MDCCCLIV:

Tomus I historiarum plantarum continens, LII+262 pp.; Tomus II de causis plantarum libri VIcontinens, 356 pp.; MDCCCLXII: Tomus III fragmenta continens. Accessit Prisciani Lydi metaphrasisin Theophrasti libros De sensu et De phantasia ) Lipsiae. Sumptibus et typis B.G. Teubneri. XXXIII+330pp. (rist. anast. complessiva: Klostermann, Frankfurt am Main 1964).

Wimmer F., 1866. ΘEOΦPAΣTOΣ Theophrasti Eresii opera, quae supersunt, omnia. Graece recensuit, latineinterpretatus est, indices rerum et verborum absolutissimos adjecit F.W. Doct. Philos. Parisiis, editoreAmbrosio Firmin Didot, Instituti imperialis Franciae typographo, XXVIII + 547 pp. (rist. anast.:Didot, Paris 1931).

Wohrle G., 1988. The structure and function of Theophrastus’ treatise De odoribus. In: W.W. Fortenbaugh,R.W. Sharples (eds.), Theophrastean studies. On natural sciences, physics and metaphysics, ethics, religion,and rhetoric (Rutgers University Studies in Classical Humanities, vol. 3). Transaction Books, NewBrunswick: 3-13.

Wunsche O., 1887. Das Mineralreich (5a ed. rielaborata del vol. V del trattato di H.O. Lenz: GemeinnutzigeNaturgeschichte). Gotha, Thienemanns, 348 pp.

Wyckoff D., 1967. Albertus Magnus. Book of minerals. Clarendon Press, Oxford, XLII + 309 pp.Yalcin H., Niyazi Gundogdu M., Gourgaud A., Vidal P., Ucurum A., 1998. Geochemical characteristics

of Yamadagi volcanics in central east Anatolia: an example from collision-zone volcanism. Journal ofVolcanology and Geothermal Research, 85: 303-326.

Yoder H.S. jr., 1958. Effect of water on melting of silicates. Carnegie Institution of Washington Year Book,57: 189-191.

Zurcher J., 1952. Aristoteles’ Werk und Geist . F. Schoningh, Paderborn, 191 pp.

Pervenuta il 5 gennaio 2001.

Dipartimento di Scienze GeologicheUniversita degli Studi di Roma Tre

Largo S. Leonardo Murialdo, 1 - 00146 Roma


Recommended