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Il referendum in Scozia: tra devolution e indipendenza

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di Eleonora Mainardi Laureata in Scienze politiche Sapienza Università di Roma Il referendum in Scozia: tra devolution e indipendenza 10 SETTEMBRE 2014
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di Eleonora Mainardi Laureata in Scienze politiche

Sapienza – Università di Roma

Il referendum in Scozia: tra devolution e indipendenza

1 0 S E T T E M B R E 2 0 1 4

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Il referendum in Scozia: tra devolution e indipendenza*

di Eleonora Mainardi Laureata in Scienze politiche

Sapienza – Università di Roma

«An elastic constitution, so it seems, implies an elastic use of the referendum. But this gives rise to a problem. In Britain, if use of the referendum lies at the discretion of government, it can

be used to augment the power of government rather than limiting it, by allowing a government to bring the people into play against Parliament.. The referendum could then become a tactical device,

‘the Pontius Pilate’ of British politics». [Prof. V. Bogdanor]

Sommario: 1. Premesse storiche di un processo di devolution 2. La Scozia e il Regno

Unito: dall’Act of Union agli Scotland Acts 3. Dalle rivendicazioni di un local

government alla devolution of power 4. Verso il referendum: la posta in gioco

dell’indipendenza 5. Breve confronto con la questione catalana 6. Lo Scottish

Independence Referendum Bill 7. Scenari giuridici di una Scozia sovrana: i negoziati

con Regno Unito ed Unione europea 8. La “terza via” della devolution max.

Abstract: Il 18 settembre i cittadini scozzesi saranno chiamati a decidere le sorti della

propria nazione: l’indipendenza dal Regno Unito e l’acquisto della piena sovranità

saranno oggetto del quesito referendario indetto dal Parlamento scozzese. Dalla volontà

dell’Assemblea di Edimburgo di ottenere una “more devolution”, ovvero una maggiore

autonomia fiscale, è nata una sfida dal profilo assai più elevato e dagli esiti incerti: un

* Articolo sottoposto a referaggio.

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semplice ‘sì’ potrebbe metter fine a trecento anni di unione. Il presente articolo intende

analizzare i possibili scenari di una Scozia effettivamente indipendente e sovrana: una

campagna referendaria costruita essenzialmente su dati economici, che indicano una

finanza pubblica più florida se slegata da quella inglese, sembra non aver posto la dovuta

attenzione alle conseguenze giuridiche di una secessione ottenuta nel 2014. Il governo

scozzese si mostra certo del mantenimento della stessa membership di cui gode

attualmente sotto il Regno Unito sia nell’Unione europea che in organizzazioni

internazionali quali l’ONU, la NATO e il Consiglio d’Europa. Nei paragrafi che seguono, si

cercherà di riportare sia l’oggetto delle trattative successive ad un esito referendario

positivo – sarà eventualmente l’articolo 48 o il disposto dell’articolo 49 del TUE a

rendere la Scozia il 29° Stato membro? – sia la strada che verrà intrapresa nel caso di

bocciatura del quesito – verso la “devolution max”? Essendo infatti escluso il

mantenimento dello status quo, la consultazione referendaria di settembre ha

comunque lo scopo indiretto di stimolare il Governo di Westminster a rimettere in gioco

l’assetto ordinamentale di tutto il Regno Unito.

1. Premesse storiche di un processo di devolution

Should Scotland be an independent country?

Dovrebbe la Scozia essere un Paese indipendente? È questa la domanda alla quale i

cittadini scozzesi potranno rispondere, con un sì o un no, nella consultazione

referendaria stabilita per il prossimo 18 settembre e che potrebbe rimettere in gioco

l’assetto istituzionale non solo di una Scozia nuovamente sovrana, ma di tutto il Regno

Unito.1

1 Il lavoro di ricerca compiuto per la stesura del presente articolo si è basato preliminarmente su un approfondimento dottrinario che ha permesso la ricostruzione dell’evoluzione politico-istituzionale dell’ordinamento inglese, e dei rapporti intercorsi con la Scozia a partire dall’Act of Union. Nelle note del testo verranno citati volumi, saggi e articoli redatti e curati da: TORRE A., Democrazia rappresentativa e referendum nel Regno Unito, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2012; Id., Devolution e regionalismo nel Regno Unito: nuove strutture istituzionali ed esperienze di politica estera, in Buquicchio M., Studi sui rapporti internazionali e comunitari delle Regioni, Bari, Cacucci, 2004, pp. 79-108; Id., Un referendum per tutte le stagioni: sovranità del Parlamento e democrazia diretta nel Regno Unito, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2005, 1338 e ss.; Id., Scozia: devolution, quasi-federalismo,indipendenza?, in AIC, Rivista n. 2/2013; PAROLARI S., Il regionalismo inglese: «the dark side of devolution», Padova, CEDAM, 2008; DEL CONTE F., La devolution nel Regno Unito. Percorsi di analisi sul decentramento politico-costituzionale d’oltremanica, Torino, Giappichelli, 2011; RUGGIU I., Devolution scozzese quattro anni dopo: the bones… and the flesh, in Le Regioni n.5, 2003, pp. 737-786; CARAVALE G., Devolution scozzese e nuovi assetti costituzionali in Gran Bretagna, in Le Regioni in Europa. Esperienze costituzionali

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Quest’ultimo, già per definizione, consiste in un insieme di territori: il fondamento

storico-politico del sistema ‘devoluzionistico’ britannico è rintracciabile già negli Acts

(sostanzialmente tre) che contribuirono alla formazione della sua attuale fisionomia: il

Tudor Act del 1536 che sancì l’annessione del Principato del Galles al Regno di

Inghilterra, secondo il volere unilaterale del parlamento inglese; l’Act of Union del 1707

che costituzionalizzò l’incorporazione della Scozia all’Inghilterra, attraverso la fusione

dei due parlamenti, inglese e scozzese, in unico centro di potere legislativo con sede a

Westminster. Infine l’Union with Ireland Act del 1800 con il quale si trasferì ed incorporò

il legislativo irlandese a Londra, dove centotrè deputati e ventotto Lords avrebbero

rappresentato il popolo irlandese: un Lord Liutenant, rappresentate la Corona, e un Chief

Secretary, membro del Cabinet britannico, avrebbero amministrato e diretto l’isola2.

Situazione questa che si mantenne, con le criticità e le violenze ben note, fino

all’approvazione del Government of Ireland Act (23 dicembre 1920), la legge sulla home

rule che istituzionalizzò la divisione politica dell’isola in una parte settentrionale ed una

meridionale, ciascuna con un proprio Parlamento – rispettivamente a Stormont e a

a confronto, CARAVITA B. (a cura di), Giampiero Casagrande Editore, 2000; QVORTRUP M., The British Constitution: continuity and Change. A Festschrift for Vernon Bogdanor, Oxford, Portland, Hart, 2013; DICEY A., Thoughts on the Union between England and Scotland, Londra, MacMillan&CO, 1920; Id., Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese, A. Torre (a cura di), Bologna, Il Mulino, 2003. Per una ricostruzione storica delle tappe fondamentali del Regno Unito si rimanda ad autori italiani quali: BIANCHI D., Storia della devoluzione britannica: dalla secessione americana ai giorni nostri, Milano, Franco Angeli, 2005; ed inglesi come DAVIES N., Isole: storia dell'Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell'Irlanda, Milano, Mondadori, 2007; DEVINE T.M., The Scottish Nation. A modern history, Penguin Books, 2012. Per un’analisi specifica della questione scozzese si rimanda a autori quali: MCLEAN I., LODGE G., GALLAGHER J., Scotland's Choices: The Referendum and What Happens Afterwards, Edinburgh, Edinburgh University Press, 2013; MAXWELL S., Arguing for Independence: Evidence, Risk and the Wicked Issues, Edinburgh, Luath Press, 2012; DIXON H., The In/Out Question: Why Britain should stay in the EU, marzo 2014. Di preziosa utilità report e White Paper redatti da esperti sia del Governo scozzese (www.scotland.gov.uk) che inglese (www.gov.uk). Copiosa la documentazione fornita da personalità autorevoli del mondo accademico ed istituzionale inglese, tra i quali si ricorda LEYLAND P., Devolution in the United Kingdom: a case of perpetual metamorphosis, in Istituzioni del federalismo: rivista di studi giuridici e politici, n. 1-2, 2010; CRAWFORD J., BOYLE A., Referendum on the Independence of Scotland – International Law Aspects, febbraio 2013; AVERY G., Could an independent Scotland join the European Union?, pubblicato da European Policy Centre, 28 maggio 2014; SHAW J., Citizenship in an indipendent Scotland: legal status and political implications, CITSEE Working Paper n. 2013/34, University of Edinburgh, 2013; GUERRA SESMA D., Autodeterminación y secesión en el ordenamiento internacional. Los casos de quebec, escocia y cataluña, in AECPA, settembre 2013; FURBY D., A long and winding road? Scottish Independence and EU accession, pubblicato da Business for New Europe, maggio 2014; ORMSTON R., CURTICE J., More devolution: an alternative road?. Da ultimo, per il reperimento delle informazioni aggiornate alla data della stesura del presente articolo, è opportuno menzionare testate giornalistiche quali The Economist, Financial Time, The Independent, The Guardian, Herald Scotland. 2 DAVIES N., Isole: storia dell'Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell'Irlanda, Milano, Mondadori, 2007, pp. 514-515.

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Dublino – pur sempre subordinati a Westminster. Decisivi in senso indipendentista il

successivo Irish Free State Act del 1922 e soprattutto l’Ireland Act del 1949, che sancì la

nascita dell’Eire quale Stato indipendente e sovrano. Il Nord dell’isola, sotto la corona

inglese, fu retto invece dall’Act del 1920 fino al 1972, anno in cui iniziarono le violenze e

gli scontri civili che resero vani i molteplici tentativi intergovernativi tra Regno Unito e

Repubblica d’Irlanda per favorire una soluzione pacifica del conflitto. Quest’ultima

giunse solo con l’ascesa del partito laburista che, con la firma del cosiddetto Good Friday

Agreement e del Northern Ireland Act del 1998, riaffermò l’appartenenza dell’Ulster al

Regno Unito, prospettando l’ipotesi di recesso solo per volontà della maggioranza della

popolazione, e dispose il ripristino dell’Assemblea legislativa che, sulla scia di una

democrazia cosiddetta consociativa, si strutturò in modo da garantire una relativa

stabilità politico-istituzionale3.

Questo accenno essenziale è necessario per poter collocare e ripercorrere le tappe

salienti che hanno caratterizzato la storia politico-sociale scozzese, da regno

indipendente a “nazione” incorporata alla corona britannica. Sebbene sia possibile

individuare delle “clausole di salvaguardia” del nazionalismo scozzese nello stesso Act of

Union che nel 1707 abbatté il Vallo di Adriano e pose la periferia celtica sotto la corona

inglese, le prime ed effettive rivendicazioni, mosse sul piano istituzionale, risalgono alla

seconda metà dell’Ottocento, quando avanzarono una maggiore autonomia per le

strutture locali. Solo in concomitanza con lo sviluppo dello Stato sociale post-bellico e

con la fortuna elettorale del partito nazionalista, iniziò ad affacciarsi sulla scena politica

una prima ipotesi di devolution of power.

2. La Scozia e il Regno Unito: dall’Act of Union agli Scotland Acts

La nascita della Scozia quale realtà storico-politica a sé stante viene collocata

convenzionalmente nell’anno 843 quando, dall’unione dei territori dei Piti e degli Scoti,

favorita dalla diffusione del cristianesimo, nacque il Regno di Alba la cui estensione

giunse fino a comprendere gran parte del territorio della Scozia odierna.

3 LIJPHART A., Le democrazie contemporanee, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 51-68.

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A partire però dal 1034, anno della morte del “primo re scozzese”, inizia il lungo e

violento contrasto con la vicina Inghilterra: necessita menzione, quanto meno per

l’importanza folkloristica che ricopre, la prima battaglia per l’indipendenza condotta nel

1297 dal “patriota” William Wallace contro gli inglesi e che aprì la strada alla firma del

Trattato di Northampton (1328) con il quale il sovrano inglese Edoardo III riconobbe,

almeno formalmente, l’indipendenza del Regno di Scozia. Di fatto però, nei secoli che

precedettero l’unione dei due regni, contrasti e violenze non furono certo messi da

parte: una serie di crisi di successione portarono al trono la dinastia Stuart e fu proprio

alla morte di Elisabetta I d’Inghilterra (1603), che il figlio Giacomo VI di Scozia assunse

la reggenza delle due corone con il nome di Giacomo I.

Si dovrà comunque aspettare un secolo per l’effettiva unificazione: sarà infatti l’Act of

Union del 1707 a porre fine ad una reggenza fondata solo sulla persona del sovrano, e a

realizzare quella che è stata definita una “union by incorporation”4, con la fusione dei due

organi legislativi nel palazzo di Westminster. Questa fu ritenuta – da ambo le parti – la

soluzione ottimale per le difficoltà economiche in cui versava la Scozia e per le crisi

politiche (e religiose) in corso tra le due entità sovrane5.

4 L’articolo 1 del Atto di Unione statuisce che «the two Kingdoms of Scotland and England shall upon the first day of May next ensuing the date hereof, and for ever after, be united into One Kingdom by the Name of GREAT BRITAIN; And that the Ensigns Armorial of the said United Kingdom be such as Her Majesty shall appoint, and the Crosses of St Andrew and St George be conjoined, in such manner as Her Majesty shall think fit, and used in all Flags, Banners, Standards and Ensigns, both at Sea and Land», Act of Union, 16 gennaio 1707, reperibile in www.legislation.gov.uk/aosp/1707/7. Interessante anche il dibattito sorto intorno alla natura giuridica dell’Act e alla posizione ricoperta nel diritto internazionale, nonché in merito agli effetti da esso prodotti: si creò una nuova entità statale – i l Regno Unito di Gran Bretagna – o piuttosto si produsse una “semplice” incorporazione della Scozia all’Inghilterra la quale, albeit under a new name, continuava ad essere il soggetto giuridico internazionale di riferimento? CRAWFORD J., BOYLE A., Referendum on the Independence of Scotland – International Law Aspects (annex 1), in Scotland analysis: devolution and the implications of Scottish independence, presentato al Parlamento dal Secretary of State for Scotland, febbraio 2013. 5 KIDD C., The Union and the Constitution, 1 settembre 2012 reperibile in www.historyandpolicy.org. Nel secolo successivo alla morte di Elisabetta I, i regni di Scozia ed Inghilterra erano uniti solo formalmente sotto la figura del Re, continuando a mantenere ognuno una propria autonomia istituzionale ed amministrativa. Non tardò però a farsi sentire la predominanza inglese sia sul piano politico che economico. Una Scozia già fiaccata da un secolo di guerre civili di religioni, fu costretta ad ammettere apertamente la necessità di un’unione completa ed effettiva con Westminster quando, alla fine del ‘600, vide il fallimento anche del cosiddetto “schema di Darién”, disastroso tentativo espansionistico nel canale di Panama, duramente osteggiato dal governo inglese. Emblematici i versi di una canzone attribuita al poeta Robert Burns – «We’re bought and sold for English gold» – con i quali si esprime il risentimento per la “svendita” della propria nazione: Westminster “comprò” i voti di non pochi parlamentari scozzesi accettando di accollarsi il debito creatosi a seguito della spedizione in America Centrale. Situazione questa

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Sebbene dal principio della Sovereignty of Parliament ne beneficiasse maggiormente

l’originaria Assemblea di Westminster, come conferma anche l’esiguo numero dei Lords

(sedici su duecentosei) e l’elezione ‘di facciata’ dei Comuni scozzesi6, è possibile

affermare che la Scozia abbia sempre goduto di una maggiore autonomia, rispetto alle

altre “nazioni” annesse al Regno.

L’autonomia di quest’ultima, infatti, non venne mai meno, fungendo peraltro da terreno

fertile per le spinte autonomistiche che a partire dall’Ottocento iniziarono a far sentire la

loro voce. Come accennato, lo stesso Atto di Unione presentava delle “clausole di

salvaguardia” di alcuni nuclei essenziali del nazionalismo scozzese, inteso quale

devozione (affection) del popolo verso la propria terra, le proprie istituzioni, le proprie

leggi, la propria religione e i propri eroi7, e che hanno permesso, di fatto, il

mantenimento del peculiare assetto giuridico-istituzionale scozzese. Così, al divieto di

revisione delle leggi riguardanti il diritto privato (art. 18 dell’Act), o di soppressione

della Corte di Giustizia (art. 19 dell’Act), faceva seguito il mantenimento dei rights and

privileges dei Royal Burghs e soprattutto delle istituzioni radicate nel tessuto civico e

religioso e tra loro strettamente connesse, quali la Chiesa di Scozia – «Calvinist in its

official documents… Presbyterian in order»8 – e i centri universitari, informati appunto ai

principi presbiteriani. A questo periodo risale anche la fondazione della Banca di Scozia

che ha fornito una ‘giustificazione’ più che valida alla firma dell’Act of Union, ponendo fine a un secolo di rifiuti da parte del Parlamento scozzese (precisamente nel 1606, 1667, 1689). In particolare DEVINE T.M., The Scottish Nation. A modern history, Penguin Books, 2012, osserva proprio come «la Scozia fosse ben lontana dall’essere uno Stato indipendente» dal momento che, nel 1603, la politica estera scozzese si ‘trasferì’ a Londra con il re Giacomo VI, risultando ben presto sfruttata per il solo soddisfacimento delle esigenze inglesi. Per un approfondimento sulla storia della Scozia e del Regno Unito si rimanda a DAVIES N., Isole, op. cit. 6 I deputati scozzesi venivano selezionati in funzione delle direttive dell’élite inglese, e se già l’esiguo numero (45 su 558) non avrebbe potuto in alcun modo intaccare la linea politica di Westminster, con tale “procedura” si rendeva pressoché nullo il dissenso. La forte discrepanza tra i collegi elettorali scozzesi e i rispettivi rappresentanti a Londra giustificava pertanto i non pochi episodi di voto a favore dell’operato della corona, come nel caso della guerra di indipendenza americana, laddove all’appoggio degli insorti dimostrato dalla popolazione scozzese faceva da contraltare l’approvazione delle repressive misure governative da parte dei 45 deputati. ALICINO F., La “struttura ecclesiastica” dello Scottish Enlightenment. Le origini dell’illuminismo scozzese fra religione naturale e teologia razionale, in Idee e principi costituzionali dell’Illuminismo scozzese, Giornale di Storia costituzionale, n. 20 (2/2010), a cura di A. Torre, eum, 2010. 7 Devozione che Dicey paragona a quella che un uomo prova verso la propria famiglia, reputando tale sentimento, a prescindere dal motivo che lo suscita (sia esso storico, etnico o religioso), un vero e proprio “moral value”. DICEY A.V., RAIT R., Thoughts on the Union between England and Scotland, Londra, MacMillan&CO, 1920, p. 326, reperibile in www.archive.org 8 ALICINO F., op. cit.; MACINTYRE A., Giustizia e razionalità. Dall’illuminismo scozzese all’età contemporanea, CALABI C. (a cura di), Milano, Anabasi, 1995

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(1625), tutt’ora attiva nell’emissione della sterlina inglese. Indenne ne uscì fuori anche

l’impostazione pre-unitaria del sistema scolastico regolato dall’Education Act del 1696, il

quale, sebbene abbia ricevuto non poche critiche in merito alla sua reale efficienza,

continua ad essere considerato uno tra i più validi sistemi di istruzione attuati a partire

dal XVII secolo9.

Significativa a tal riguardo, è l’impostazione stessa del sistema giuridico scozzese (Scots

Law), frutto delle influenze della normativa civilistica romana e della tradizione inglese.

Sebbene abbia elementi in comune con i sistemi giuridici dell’Inghilterra, del Galles e

dell’Irlanda (del Nord) – questi ultimi rientranti quasi in toto nell’ambito del common

law – presenta fonti ed istituzioni proprie: l’originaria impostazione romanistica è

dovuta alla tarda diffusione dei centri universitari (intorno al XV secolo) e la

conseguente formazione dei primi giuristi scozzesi nelle accademie giuridiche francesi,

tedesche e fiamminghe. Da ciò deriva il ruolo marginale ricoperto dalla giurisprudenza

rispetto alle altre fonti del diritto, caratteristica invece essenziale del common law, e

l’importanza delle corti ecclesiastiche (diritto canonico) nella risoluzione delle

controversie in materia di famiglia e di successione10.

Sebbene l’Atto di Unione abbia indubbiamente favorito la progressiva interazione tra i

due sistemi giuridici, evidenziandone la forte influenza inglese, il diritto scozzese ha

mantenuto per lungo tempo impostazioni differenti rispetto a quelle dei giudici di

Londra11. Significativa la considerazione generale che sottostà all’utilizzo massiccio dei

9 KNOX W.W., A history of the Scottish People. The Scottish Educational System 1840-1940, reperibile in www.scran.ac.uk. Come evidenzia MIDDLETON A.R., Presbyterianism and Schools. The Education Act of 1696, in www.middletome.com, il sistema scolastico in questione costituisce le fondamenta del moderno sistema d’istruzione scozzese, nato dalla commistione dei principi della riforma protestante calvinista e dei dogmi presbiteriani. 10 Le lacune di una giurisdizione e applicazione del diritto ancora feudale e frammentata, formalmente in mano al monarca, sostanzialmente gestita dai local sheriffsi, venivano colmate attraverso un ricorso al (uniforme) diritto canonico. Inoltre, come in precedenza accennato, la connessione tra il mondo ecclesiastico e quello accademico era fortissima, dovendosi la fondazione di alcuni tra i più importanti centri universitari (giuridici) a personalità di spicco della curia romana. Da menzionare l’università di St Andrews fondata nel 1413 dal vescovo Wardlaw, l’università di Glasgow inaugurata dal vescovo Turnbull nel 1451 e quella di Aberdeen istituita dal bishop Elphinstone nello stesso periodo. Per un’analisi dettagliata sull’evoluzione del sistema giuridico scozzese, con particolare riguardo alla componente romanistica dello stesso, si rimanda al saggio di GORDON W., Roman Law in Scotland, in Evans-Jones R., The Civil Law Tradition in Scotland, vol. 2, Edinburgh, 1995, pp 13-40, ora reperibile in www.iuscivile.com. 11 Tra il XII e il XIX, possono essere individuate almeno tre differenze essenziali tra i due apparati giuridici: il sistema dei writs, base fondante del common law inglese, era estraneo all’iter processuale scozzese, risultando quest’ultimo più semplice sia nell’accesso che nello svolgimento. Conseguente a ciò, la non

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precedenti giurisprudenziali da parte dei tribunali scozzesi: il case law è ritenuto una

risorsa fondamentale, funzionale a facilitare l’interpretazione e l’applicazione ai singoli

casi delle norme e dei principi generali contenuti nella legge. La tendenza ad attenersi

sempre più ai precedenti giurisprudenziali origina dalla trasformazione della House of

Lords in giudice di ultima istanza (ruolo assunto dal 1° ottobre 2009 dalla Supreme

Court12), le cui decisioni informavano i tribunali di tutto il Regno. Da riportare il ruolo

rilevante ricoperto dai giudici scozzesi rispetto a quelli inglesi, nell’interpretazione e

nella conseguente formulazione dottrinaria del diritto dell’Unione Europea, per sua

natura diritto di civil law13.

Lo stesso processo di devolution, che a partire dagli anni ’70 interessa profondamente

l’impostazione governativa (e “costituzionale”) britannica, non ha fatto altro che

riconfermare la parziale ma sostanziale autonomia dei due sistemi ordinamentali.

3. Dalle rivendicazioni di un local government alla devolution of power

Conseguentemente all’espansione dell’Impero britannico, all’aumentare delle attività

legislative di Westminster, e all’estensione del suffragio elettorale con i Reform Acts del

1867 e del 1884, si sentì sempre più l’esigenza, anche nei palazzi londinesi, di costruire

un moderno sistema di local government strettamente connesso alla politica di home

rule 14 . Non a caso, la prima mozione contenente proposte di avanzamento

dell’autonomia scozzese risale al 1889, nella quale si fa riferimento all’idea di devolution

e si evidenzia che «the House does its work very badly and inadequately, and that

something is required to be done to enable Parliament to discharge its duty to the whole

country»15. Sebbene la mozione non venne accolta, la creazione di organismi locali

formazione all’interno del sistema scozzese dell’istituto dell’equity. Anche la giuria, quale giudice “finale” del processo, non ha fortuna nei tribunali del nord britannico. MANSON-SMITH D., The Legal System of Scotland, 4° Ed., 2008, reperibile in www.consumerfocus.org.uk. 12 Istituita con il Constitutional Reform Act del 2005 e composta da 12 giudici nominate da Sua Maestà con garanzie di indipendenza. 13 AA.VV., Sistemi giuridici nel mondo, Torino, Giappichelli, 2010, pp. 205-208. 14 Scrive il parlamentare Lord J.H. Dalziel nella mozione del 29 marzo 1895 sull’opportunità di istituire assemblee legislative locali «…in order to give speedier and fuller effect to the special desires and wants of the respective Nationalities constituting the United Kingdom, and with a view to increase the efficiency of the Imperial Parliament to deal with imperial affairs, it is desirable to devolve upon Legislatures in Ireland, Scotland, Wales, and England respectively the management and control of their domestic affairs», reperibile online in www.hansard.millbanksystems.com. 15 Come riportato da KENDLE J., Ireland and the Federal Solution: The Debate over the United Kingdom Constitution 1870-1920, McGill-Queen's Press, 1989, p. 66.

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preposti all’elaborazione e attuazione di politiche territoriali, quali lo Scottish Office

(1885) e lo Scottish Grand Commitee (1894), evitarono l’inasprirsi dei toni da parte dei

nazionalisti.

I due conflitti mondiali rappresentarono una parentesi di sostanziale staticità del

dibattito inerente le rivendicazioni “devoluzionistiche”16, il quale, al contrario, si

riaccese successivamente al secondo dopoguerra, quando l’espansione e il

consolidamento del Welfare State mostrò l’urgenza di una modernizzazione dell’assetto

governativo territoriale, in funzione razionalizzante ed equilibratrice. Non a caso,

proprio negli squilibri che affliggevano il sistema economico del Regno, con le aree

periferiche maggiormente depresse, è possibile rinvenire l’origine del consenso

elettorale e della fulminea crescita dei partiti nazionalisti, quali lo Scottish National Party

(Snp) e il Plaid Cymrum gallese17. Ad accendere ancor più il dibattito, sia in ambito

istituzionale che civile, contribuirono l’ingresso del Regno Unito nell’allora Comunità

Economica Europea, che spinse i nazionalisti scozzesi a ipotizzare i benefici e i vantaggi

economici che una Scozia “più autonoma” avrebbe potuto godere, data la politica

europea favorevole alla maggiore regionalizzazione, e la contestuale scoperta dei

giacimenti petroliferi al largo delle coste scozzesi. La campagna “it’s our oil” promossa

dallo Scottish National Party muoveva proprio dall’assunto di ottenere la gestione

dell’area petrolifera al fine di favorire l’aumento della ricchezza della regione senza

dover passare per le casse londinesi, le quali ritrasferivano, in misura notevolmente

ridotta, gli enormi introiti prodotti dall’estrazione dei giacimenti. In questo clima di

revival nazionalistico, l’hung Parliament del 1974 con una maggioranza laburista assai

ristretta spinse Wilson, Premier di un Governo di minoranza, ad assicurarsi il sostegno

dei partiti nazionalisti promuovendo la stesura del primo di una lunga serie di White

16 Se si eccettua la Speaker’s Conference on devolution svoltasi nel 1919 durante la quale si discusse seriamente dell’opportunità di istituire vere e proprie assemblee elettive cui devolvere un determinato numero di poteri. BIANCHI D.G., Storia della devoluzione britannica: dalla secessione americana ai giorni nostri, Milano, Franco Angeli, 2005, p. 76. 17 Lo SNP nasce nel 1934 dall’unione di due movimenti estremisti – lo Scottish Party e il National Party of Scotland – su iniziativa di uno studente universitario, John MacCormick, con l’obiettivo di riaprire un dialogo pacifico e costruttivo che portasse alla restaurazione del parlamento scozzese. Il Plaid Cymru venne fondato nel 1925 e sebbene avesse la veste di partito politico, in realtà gli obiettivi che ne contraddistinguevano il manifesto erano riconducibili a quelli di un movimento di intellettuali in lotta per la preservazione dell’identità linguistica e culturale del Galles, dove la questione del self-government, ovvero delle rivendicazioni autonomistiche, era marginale.

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Papers – “Democracy and Devolution: Proposals for Scotland and Wales” – che recepiva

parzialmente le proposte presentate dalla Royal Commission on the Constitution,

incaricata nel 1969, di formulare delle ipotesi di revisione “costituzionale” dell’assetto

amministrativo dell’intero Regno Unito, con speciali focus sulla questione delle

autonomie territoriali18.

Si giunse così alla tornata referendaria del 1° marzo 1979, che vide il trasferimento al

corpo elettorale scozzese (e gallese) della scelta di approvare o meno il progetto di

devolution – differenziata in quanto ponderata sulle specifiche caratteristiche delle due

regioni – contenuto rispettivamente nello Scotland Act e nel Wales Act del 1978.

L’esito negativo delle urne, vincolato al raggiungimento del quorum pari al 40%19, al di

là della caduta del Gabinetto Callaghan, sfiduciato dai nazionalisti scozzesi, provocò una

battuta d’arresto alla campagna pro-devolution, la quale, attraversando “in sordina” il

periodo unionista thatcheriano, tornò alla ribalta negli anni ’90. È nel 1989 che viene

infatti istituita la Scottish Constitutional Convention, attraverso cui rappresentanti di

partiti politici, sindacati ed esponenti delle comunità locali elaborarono un progetto,

confluito nel documento Scotland’s Parliament: Scotland’s Rights, per la creazione di un

parlamento scozzese con potestà legislativa primaria e possibilità di variazione delle

18 Importante e centrale il ruolo svolto dalla Royal Commission che per la prima volta affrontò la questione della “multiformità” caratterizzante l’assetto costituzionale inglese, dando avvio alla redazione dell’attuale impostazione autonomistica, che ad una devolution asimmetrica affiancata ad un sistema assai articolato di local government. Per un’analisi dettaglia sulla questione del regionalismo inglese si rimanda a PAROLARI S., Il regionalismo inglese: «the dark side of devolution», Padova, CEDAM, 2008; LEYLAND P.; Devolution in the United Kingdom: a case of perpetual metamorphosis, in Istituzioni del federalismo: rivista di studi giuridici e politici, n. 1-2, 2010, pp. 175-199. 19 Secondo quanto riportato da Torre, per la prima volta nella storia parlamentare britannica «un Act of Parliament recava in sé la previsione di un’ulteriore fase integrativa della propria efficacia», in quanto l’inserimento in appendice ai due bills della previsione di un referendum preventivo comportava di fatto «un’estensione extraparlamentare del public vote delle Camere», operando in funzione sospensiva anche a seguito dell’acquisizione della piena efficacia da parte delle due leggi attraverso il Royal assent. TORRE A., Un referendum per tutte le stagioni: sovranità del Parlamento e democrazia diretta nel Regno Unito, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2005, 1355. Per ciò che concerne invece il cosiddetto Cunningham amendment, ovvero l’aver stabilito di vincolare l’efficacia delle due leggi al consenso favorevole di almeno il 40% degli aventi diritto di voto, numerose sono state le critiche sollevate sia dai nazionalisti scozzesi che dai liberali: il 40% era un quorum assai elevato e per giunta calcolato in base al registro elettorale stilato per le elezioni parlamentari, le cui modalità di registrazione non potevano essere considerate affidabili per il calcolo della soglia di partecipazione referendaria degli aventi di diritto di voto. Quest’ultima si attestò al 32,9% in Scozia, e solo al 20,03% in Galles. Cfr. The 40% Rule at the 1979 Devolution Referendum, reperibile in www.scottishpoliticalarchive.org.uk; CAIELLI M., La devolution scozzese: il referendum sullo Scotland Act 1978 del 1° marzo 1979, in Frosini O. J., Torre A. (a cura di), Maggioli, 2012, pp. 223-233.

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aliquote fiscali. Proposte sì significative vennero successivamente riprese e riprodotte

nel libro bianco Scotland’s Parliament, redatto dal governo laburista di Tony Blair, che

della questione della devolution nel Regno Unito ne fece il principale messaggio della sua

campagna elettorale20. Tratti salienti del documento vennero riprodotti nello Scotland

Bill che, insieme al Government of Wales Bill (corrispettivo legislativo del libro bianco A

Voice for Wales), predisponeva una forma avanzata di devolution legislativa, laddove alla

neo-nata Assemblea scozzese si assegnava potestà legislativa residuale in tutte le

materie non espressamente riservate a Westminster (schedule 5)21. Anche in questo caso,

l’avvio delle riforme devolutive fu rimesso all’esito positivo delle due consultazioni

referendarie sebbene il Referendum (Scotland and Wales) Act del 31 luglio 1997 le

qualificasse come advisory22. La legittimazione popolare ai bills governativi era ritenuta

imprescindibile, emblema stesso del processo di maggiore democratizzazione

istituzionale che il Regno Unito si apprestava ad avviare. Fu così che l’11 settembre

1997, il 74,3% degli aventi diritto di voto si espresse a favore sia dell’istituzione di uno

Scottish Parliament sia della possibilità per quest’ultimo di avere il potere di variazione

dell’aliquota base dell’imposta sui redditi. Il tornout della consultazione referendaria fu

del 60,2%, sebbene non fosse stato imposto nessun vincolo sul genere della “40% rule”.

A seguito delle elezioni tenute nel maggio del 1999, i 129 membri eletti con sistema

elettorale misto (73 eletti con sistema uninominale maggioritario e 56 con il

20 Assai ambizioso il programma politico presentato in campagna elettorale dal leader laburista Blair che, forte della coincidenza dei propositi in materia di devolution tra il proprio partito e quello dei liberali e dunque della possibilità di posizionare al “terzo posto” i conservatori, era disposto a riconoscere un’autonomia politico-costituzionale alle aree sub-statali della Scozia e del Galles e a ripristinare l’Assemblea di Stormont in Irlanda del Nord. 21 Sia nel libro bianco che nello stesso Act di devolution viene ribadito e specificato che tale devoluzione non incide sulla supremacy di Westminster, ovvero sul potere per il parlamento centrale di legiferare anche sulle materie devolute (section 27.7 dello Scotland Act). Un limite a tale principio di primazia dell’apparato centrale si incontra nella cosiddetta Sewel Convention (dal nome del ministro promotore della motion, Lord Sewel) in base alla quale il Parlamento britannico può sì esercitare potestà legislativa nelle devolved matters ma solo previo accordo con il legislativo scozzese. Per il Galles si prefigurò invece una executive devolution, ovvero una potestà legislativa secondaria: tale asimmetrico assetto devolutivo rispetto a quello scozzese è ribadito dall’impostazione stessa del Government Act laddove il criterio residuale è a favore del parlamento inglese, che ha competenza su tutte le materie che non sono espressamente attribuite all’Assemblea gallese. 22 Nel capitolo 11 del libro bianco scozzese si stabilisce che «the Government plans, in the event of a positive referendum result, to introduce before the end of the year legislation to implement the proposals set out in the White Paper».

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proporzionale)23 iniziarono la loro attività in una struttura posta innanzi all’antica sede

dell’Assemblea scozzese pre-unitaria, l’Holyroodhouse Palace.

Prese così avvio quel processo di rolling devolution, mutuato dall’esperienza

nordirlandese24, e che con sempre maggior vigore si andò configurando quale “antitesi

storica e costituzionale” del processo di unione iniziato trecento anni fa. Infatti, l’Act of

Union e lo Scotland Act, secondo un’impostazione legislativa antitetica, hanno prodotto

entrambi una modifica nell’assetto statale del Regno, incidendo sulla configurazione del

Legislativo in senso unitario nel primo caso, devolutivo nel secondo25. Da aggiungere

ovviamente, l’impostazione asimmetrica della soluzione devolutiva che, ponderata in

funzione delle specificità territoriali (ed identitarie), ha legittimato e legittima le spinte

indipendentiste scozzesi.

4. Verso il referendum: la posta in gioco dell’indipendenza

Il primo decennio successivo alla riforma è stato caratterizzato dalla sorprendente e

sempre più rapida ascesa dello Scottish National Party che attraverso un impegnativo

manifesto politico, riassunto nello slogan “YES Scotland”, è riuscito ad ottenere prima la

maggioranza relativa (alle elezioni del 2007) e poi quella assoluta nella tornata

elettorale del 2011. La conquista di 65 seggi su 129, ha rafforzato il commitment del

Premier scozzese Alex Salmond per «l’organizzazione in questa legislatura di un

referendum che vi affidi il futuro costituzionale della Scozia». A suo favore ha giocato

anche la drammatica congiuntura economica e politica internazionale e soprattutto

23 Per un’analisi del sistema elettorale introdotto dallo Scotland Act e con riguardo alla composizione interna delle strutture devolute e ai rapporti intergovernativi si rimanda a DEL CONTE F., La devolution nel Regno Unito. Percorsi di analisi sul decentramento politico-costituzionale d’oltremanica, Torino, Giappichelli, 2011. L’esecutivo scozzese è composto da un First Minister che dalle fila del Parlamento nomina gli altri membri dell’esecutivo, e da due Law Offices (Lord Advocate e Solicitor General for Scotland) posti a garanzia del corretto espletamento delle funzioni parlamentari, ovvero il rispetto della ripartizione delle competenze tra i due parlamenti. 24 Come ci ricorda Torre, il concetto di rolling devolution viene coniato con il Government of Northern Ireland: a working paper for a conference del 1979, con il quale si ipotizzava l’istituzione di un’assemblea che, fondata sul principio dello sharing power, permettesse l’equilibrata presenza politica degli esponenti delle due comunità protestante e cattolica. Nel Northern Ireland: a framework for devolution del 1982 si cercò di dare attuazione concreta a tale ipotesi attraverso il criterio della progressiva devolution, che di fatto vide la luce solo con il Northern Ireland Act del ’98. TORRE A., Pluralismo e asimmetrie in uno stato unitario: istituzioni, caratteri e politiche della devolution nel Regno Unito, in Federalismi a confronto: dalle esperienze straniere al caso veneto, Benazzo A. (a cura di), CEDAM, 2010, pp. 145-146. 25 TORRE A., Scozia: devolution, quasi-federalismo,indipendenza?, in AIC, Rivista n. 2/2013, p. 160.

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europea che ha provocato un calo dei consensi sia sul fronte dei New Labour che dei

conservatori di David Cameron, attuale Primo Ministro. Il rispettivo elettorato si è

spostato infatti, progressivamente su posizioni più estremiste, raccolte appunto dai

movimenti nazionalisti. D’obbligo è il rimando allo United Kingdom Independence Party,

che nelle elezioni per il Parlamento europeo dello scorso maggio si è qualificato come

primo partito inglese con il 27,5% dei voti. Il paragone deve però essere limitato al

piano del “revival nazionalista”, dal momento che l’essenza estremamente conservatrice

ed antieuropeista dell’Ukip si discosta dall’impostazione europeista - e di sinistra - dello

Snp26.

Il programma politico dello Snp è stato totalmente improntato al sempre maggior

coinvolgimento dei cittadini sulla possibilità di ampliare lo spettro di azione della

devolution, fino a prendere in considerazione l’ipotesi dell’indipendenza.

La National Conversation, consultazione pubblica lanciata nell’agosto del 2007 dal

partito di Salmond, mirava proprio a favorire la diretta partecipazione dei cittadini:

preceduta da un documento che ne spiegava le finalità, ha portato, il 30 settembre 2009,

alla pubblicazione di un progetto di legge contenente le possibili strade del processo

devolutivo, ovvero le effettive conseguenze di un esito positivo del proposto

referendum27.

Al fine di contrastare tale progetto e perseguire le proposte devolutive secondo canali

istituzionali e sotto l’egida di Westminster, le forze di opposizione rappresentate dallo

Scottish Labour Party, dallo Scottish Conservative and Unionist Party e dagli Scottish

Liberal Democrats, hanno istituito un organismo indipendente incaricato di rivedere

26 L’impostazione social-democratica dello Scottish National Party può essere spiegata ripercorrendo le tappe antecedenti la fondazione del partito, laddove l’anima liberale del movimento che primo diede impulso alle rivendicazioni autonomistiche – la National Association for Vendication of Scottish Rights – fece da “mediatrice” tra le ideologie dei partiti che si unirono per dar vita nel 1934 allo Snp: lo Scottish Party, di stampo conservatore, e il National Party of Scotland, attestato invece su posizioni “socialdemocratiche”. Nationalist Movements In Scotland History Essay, reperibile su ukessays.com 27 Il documento esplicativo le finalità della consultazione pubblica (che si è dimostrata essere«the biggest ever public consultative exercise of its kind», avendo visto la partecipazione di oltre 15000 cittadini) è stato pubblicato online il 14 agosto 2007 con il titolo “Choosing Scotland’s Future. A National Conversation: Independence and responsibility in the modern world”. Il White Paper “Your Scotland, Your Voice: a National Conversation” redatto a seguito della predetta consultazione, riportava i quattro possibili scenari per il futuro della Scozia: mantenimento dello status quo; l’avvio di un’ulteriore processo di devolution, definita “full” o “max”; l’indipendenza, spiegando nel dettaglio le conseguenze che ciascuna di queste ipotesi comporterebbe “for every area of Scottish public life”.

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l’assetto stabilito dieci anni prima dallo Scotland Act e formulare diverse proposte,

soprattutto in materia finanziaria. Il dibattito sull’istituzione della Calman Commission –

dal nome del suo Presidente, Sir Kenneth Calman, rettore dell’Università di Glasgow –

venne aperto nel dicembre 2007, a seguito della mozione del leader laburista del

Parlamento scozzese28, e si concluse, nel marzo successivo, con la nomina formale da

parte del governo inglese dei membri componenti la stessa. Il lavoro di ricerca compiuto

da autorevoli personalità del mondo giuridico, accademico e politico vicine all’ala

laburista, ha portato alla redazione, dopo poco più di un anno, di un final report dal titolo

emblematico “Serving Scotland better: Scotland and the United Kingdom in the 21st

century”29. Le proposte sono confluite ben presto in un altro documento stilato dal

governo inglese e che, con alcune modifiche relative soprattutto alla materia fiscale,

venne tradotto in bill e presentato alla House of Commons il 30 novembre 2010.

Dopo poco più di un anno, si giunse così all’approvazione dello Scotland Act del 2012

attraverso cui si cercarono di definire quelle “issues” che inizialmente non vennero

ritenute prioritarie né dall’agenda politica scozzese né (tantomeno!) da quella inglese:

stabilire la natura e i limiti della potestà fiscale del settentrione britannico. Un iter

procedurale, quello del bill, fatto di continue “navette” ed emendamenti e che ha

impegnato sia i membri di Westminster che quelli dell’organo assembleare scozzese:

l’approvazione definitiva dell’Act ottenuta con il Royal Assent il 1° maggio 2012, non ha

comunque fatto cessare le critiche e le obiezioni sorte. Infatti, se da un lato il nuovo

documento prevede maggiori competenze in ambito finanziario e fiscale (previsioni che

28 Nelle prime pagine della mozione S3M-976, presentata dal leader laburista Wendy Alexander, si esplica l’essenziale ruolo della Calman Commsion «To review the provisions of the Scotland Act 1998 in the light of experience and to recommend any changes to the present constitutional arrangements that would enable the Scottish Parliament to serve the people of Scotland better, that would improve the financial accountability of the Scottish Parliament and that would continue to secure the position of Scotland within the United Kingdom», The Commission on Scottish devolution – the Calman Commission, House of Commons, 4 giugno 2010. 29 Le principali proposte delineate riguardarono soprattutto l’aspetto finanziario della devolution: la commissione ha, tra le varie ipotesi, prospettato la possibilità di aumentare il limite entro cui il Parlamento scozzese può variare l’aliquota dell’imposizione fiscale, dall’attuale 3% al 10%. Non poche le critiche mosse, soprattutto perché un simile aumento avrebbe comportato inevitabilmente una maggiore pressione fiscale. Si veda in proposito il paper “Fiscal Sustainability of an Independent Scotland”, redatto dall’Institute for Fiscal Studies nel novembre 2013 (Chapter 4), laddove si sono attentamente analizzati gli effetti che un’indipendenza economica dal Regno Unito comporterebbe sulla pressione fiscale scozzese, il cui crescere potrebbe verificarsi o attraverso un taglio della spesa o un aumento della tassazione. Si rimanda inoltre a CUTHBERT M., CUTHBERT J., Calman White Paper Makes Things Worse On Tax, dicembre 2009. Il testo del final report è reperibile in www.commissiononscottishdevolution.org.uk/uploads/2009-06-12-csd-final-report-2009fbookmarked.pdf

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entreranno in vigore dal 2016), dall’altro esclude la gestione della politica

macroeconomica da parte del governo scozzese e non assicura un percorso strutturato

per una crescita economica effettiva.

Non sorprende pertanto che il Partito Nazionalista di Salmond abbia spinto ancor di più

per trovare un rapido accordo con Westminster per la ‘calendarizzazzione’ del

referendum e abbia inserito le cosiddette “missed opportunities”, ovvero le questioni non

menzionate nel documento legislativo, nelle 670 pagine del White Paper “Scotland’s

Future. Your guide to an Independent Scotland”, il programma pubblicato nel novembre

2013 e contenente gli obiettivi da raggiungere nel caso di vittoria del sì.

Pertanto pochi mesi dopo (il 15 ottobre 2012) è stato firmato l’Edimburgh Agreement30,

l’intesa tra i due Primi ministri che ha permesso di trasferire al Parlamento scozzese il

potere di approvare la legge per l’indizione del referendum e i criteri di

regolamentazione: la data, l’elettorato, la formula del quesito e i termini della campagna

referendaria. Infatti, attraverso la procedura prevista dalla Section 30 dello Scotland Act

199831, è stato possibile operare una vera e propria delega legislativa, devolvendo una

materia altrimenti di potestà inglese (secondo lo schema della Schedule 5).

Come avvenne in Québec per ben due volte32, anche in questo caso il consenso del

governo inglese all’indizione del referendum – che, anche in caso di esito negativo,

30 Per il testo dell’accordo si rimanda al sito dello Scottish Government www.scotland.gov.uk Sul dibattito sorto in merito alla natura giuridica dell’atto in questione si veda il paper di BELL C., The Legal Status of the 'Edinburgh Agreement', reperibile sul sito www.scottishconstitutionalfutures.org 31 La Section 30 prevede infatti l’utilizzo dell’Order in Council, ovvero di quello strumento legislativo che, discusso ed approvato da entrambi i rami del Parlamento, permette il trasferimento di alcuni poteri dal governo centrale alle assemblee delle regioni devolute. 32 Anche la storia della secessione del Québec comincia negli anni ’60 del XX secolo, quando con la cosiddetta quiet revolution ha iniziato ad avanzare prerogative speciali sul piano politico e giuridico. Il 20 maggio 1980 si è svolta la prima consultazione referendaria, il cui esito negativo affondò il progetto di negoziazione della propria sovranità con il Governo federale. Poco più di un punto (49,4 la percentuale dei voti favorevoli) causò la bocciatura anche del secondo tentativo referendario indetto nel 1995: è in questa occasione che la Corte Suprema venne chiamata ad esprimersi sulla costituzionalità di una secessione per via referendaria. Con la nota pronuncia Re Secession of Québec del 1998, la Corte ha dichiarato inammissibile una secessione unilaterale, seppur suffragata dal consenso popolare, essendo necessaria una revisione costituzionale, frutto del duty of negoziate tra le componenti federali. Sebbene nel 2006 la Camera dei deputati abbia approvato una mozione del partito conservatore, con la quale si riconosce il Québec una “nazione in seno al Canada unito”, l’entusiasmo della popolazione sulla prospettiva di una propria sovranità sembra sia scemato. Andamento confermato ampiamente anche dall’esito delle ultime elezioni per l’Assemblea nazionale (il 7 aprile) che hanno visto una netta sconfitta del partito conservatore e indipendentista (con ben 24 seggi in meno) e la schiacciante vittoria dei liberali, la

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potrebbe comportare una rivalutazione dell’attuale struttura devolutiva del Regno – è

stato favorito dall’assenza di una Costituzione scritta33 e dall’utilizzo (aumentato negli

ultimi quarant’anni) degli strumenti della democrazia diretta34.

In relazione a quest’ultimo aspetto è stato fatto notare35 come, sebbene i referendum

britannici possiedano natura advisory, in ossequio al principio della Sovereignty of

Parliament, il ruolo rilevante che hanno assunto nell’iter di acquisizione dell’efficacia di

alcuni importanti atti parlamentari – in occasione ad esempio della rinegoziazione delle

clausole di adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea nel 1975, del

primo progetto devolutivo del 1978 e del secondo del 1997 – potrebbe far intravedere

un carattere mandatory degli stessi: l’effettiva operatività delle riforme in questione è

stata infatti rimessa all’esito (favorevole) della urne36.

Inoltre nel caso specifico, come lo stesso Premier Cameron ha ricordato, negare la

possibilità di indire un referendum si sarebbe tradotto nel non riconoscimento della

cui campagna elettorale si è concentrata invece sui temi che al momento premono di più ai cittadini della vasta provincia canadese: economia, occupazione e riforma del sistema sanitario (anche la professione del nuovo Primo Ministro, neurochirurgo, ha giocato sicuramente a favore dell’intero partito). Preoccupazioni queste, in un certo senso confermate da uno studio effettuato dalla Royal Bank of Canada che fotografa una situazione economica di stallo rispetto alle altre province, con un tasso di disoccupazione al di sopra della media canadese (Provincial Outlook, June 2014, RBC Economics Research,reperibile in www.rbc.com). Per il risultato delle elezioni si rimanda a Le Directeur général des élections du Québec, 7 aprile 2014; inoltre cfr. PASSANITI G., Il Quèbec è una nazione: una passo verso la riconciliazione o la secessione?, 24 gennaio 2007, in www.federalismi.it 33 Nel rapporto pubblicato dalla House of Lords Select Committee on the Constitution, Referendum in the United Kingdom, Report with evidence, 12th Report on Session 2009-2010, si sono tentati di definire i cd. fundamental constitutional issues, ovvero quelle materie di carattere costituzionale. Pertanto, un elenco non tassativo enumera le seguenti sette “questioni”: abolizione della monarchia e delle due Camere del Parlamento; secessione di alcune delle nazioni costitutive del Regno Unito e l’uscita dall’Unione Europea dello stesso; riforma del sistema elettorale della Camera dei Comuni; adozione di una costituzione scritta; modifica del sistema monetario britannico (Chapter 3 par. 94, p. 27). prescindendo però dalla tassatività dell’elenco, date le difficoltà che un simile lavoro presenta e che sono state ampiamente dibattute nei paragrafi precedenti la lista delle materie (Chapter 3, pp- 21- 30). 34 Come è stato ricordato «The UK is a union of separate nations with historically distinct identities: morally and practically it can only be kept together on the basis of consent […]the British brand is built around tolerance, the rule of law and democracy. There is no better demonstration of those values than the Scottish referendum», Scotland can be a model for how to handle separatism?, G. Rachman, The Financial Times, 17 febbraio 2014. 35 TORRE A., FROSINI O. J., (a cura di), Democrazia rappresentativa e referendum nel Regno Unito, Santarcangelo di Romagna, Maggioli, 2012, pp. 146-147. 36 Scrive Peter Leyland «[…] at the time when democracy is under threat with low voter turnouts and cynicism about the political classes the referendum has been appearing as a part of a new package of checks and balances which should, at least according to some supporters, in combination with other mechanisms provide the citizen with an antidote to elective dictatorship and local authorities out of touch with local communities», LEYLAND P., The case for the Constitutional regulation of referendums in the UK, in Democrazia rappresentativa e referendum nel Regno Unito, op. cit., pp. 125-138.

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volontà degli elettori, i quali, dal 2011, hanno conferito la maggioranza assoluta dei seggi

del Parlamento di Edimburgo allo Scottish National Party37.

5. Breve confronto con la questione catalana

A questo punto appare opportuno operare un breve rimando alla questione

dell’indipendenza rivendicata dal popolo catalano, laddove proprio la presenza di una

Costituzione scritta che sancisce la unitarietà della Nazione spagnola, ha segnato una

battuta d’arresto nel percorso verso la soberanía del Pueblo de Cataluña e l’indizione di

un referendum consultivo, che al pari di quello scozzese, avrebbe rimesso nelle mani del

popolo catalano il futuro della propria regione38.

Se infatti la delega legislativa all’Assemblea scozzese per l’indizione della consultazione

referendaria è stata operata con il pieno assenso del Governo centrale, la medesima

richiesta da parte del Parlamento catalano39 si inserisce in un contesto politico-

istituzionale ostile.

Appena due mesi dopo l’avanzamento della richiesta, il Tribunal Constitucional ha

bocciato infatti l’indizione unilaterale del referendum promossa dalla Generalitat

catalana (sentenza n. 42, del 25 marzo 2014)40.

La decisione della Consulta muove dall’impugnazione da parte del governo centrale41

della “Declaración de Soberanía y del derecho a decidir del Pueblo de Cataluña”42

37 È lo stesso Cameron a ribadire la volontà di favorire una reciproca collaborazione affinchè «in the light of the [referendum] outcome, whatever it is, we can work constructively together in the best interests of the people of Scotland and of the rest of the United Kingdom». 38 L’iniziale progetto di convocazione di un referendum consultivo in materia venne espresso nell’accordo siglato tra i partiti fautori dell’indipendenza nel dicembre 2012, i quali avrebbero collaborato al fine di predisporre la consulta entro la fine del 2014 «con la excepción de que el contexto socioeconómico y político requiriese una prórroga. En todo caso, la fecha será pactada, al menos, por las dos partes firmantes» (par. 5, Acord per a la transició nacional i per garantir l’estabilitat parlamentària del Govern de Catalunya). Il 12 dicembre 2013, Artur Mas, Presidente della Generalitat de Cataluña, annunciò la data (9 novembre 2014) e il quesito del referendum, composto da due domande, una consequenziale all’altra: «¿Quiere que Cataluña sea un Estado?» e «En caso de respuesta afirmativa, ¿quiere que este Estado sea independiente?». Incerto ancora se la consultazione avrà effettivamente luogo. 39 Con la Resolución 479/X (Bopc n. 239, del 17 gennaio 2014) il Parlamento catalano accorda la richiesta al Congreso de los Diputados di una delega legislativa per autorizzare l’indizione del referendum, in virtù dell’articolo 150, c. 2 della Costituzione, laddove si prevede che lo Stato possa trasferire o delegare alle Comunità autonome, mediante legge organica, determinate facoltà in una materia di competenza statale che, per loro natura, siano suscettibili di trasferimento o di delega. 40 Pubblicata sul Boletín Oficial n. 87, del 10 aprile 2014. 41 Ricorso promosso in conformità all’articolo 161, c. 2 della Costituzione – che prevede la possibilità per il Governo centrale di «impugnar ante el Tribunal Constitucional las disposiciones y resoluciones adoptadas por los

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attraverso cui «il Parlamento della Catalogna inizia il processo per promuovere il diritto

dei cittadini della Catalogna di decidere collettivamente il suo futuro politico». Nel

pronunciare l’incostituzionalità della dichiarazione, evidenzia come i principi enunciati

dall’Assemblea catalana contrastino con l’essenziale unitarietà della Nazione spagnola,

patria común e indivisible, la cui sovranità è attribuita al popolo nella sua interezza (così

gli artt. 1, c. 2 e 2 della Costituzione).

Nonostante la fermezza di tale decisione, il Tribunale sembra comunque aver operato

un’interpretazione flessibile del “diritto a decidere” qualora l’iter procedurale dello

stesso permanga nel marco della legalità costituzionale, ovvero la legittima aspirazione

politica catalana si realizzi attraverso una revisione della Carta fondamentale secondo le

modalità e procedure (aggravate) previste43.

Nonostante ciò, si può comunque affermare come il Tribunale abbia riconfermato

sostanzialmente la posizione di “forte diffidenza”44 mostrata già a chiare lettere con la

sentenza n. 31, del 28 giugno 2010, attraverso cui ha ‘neutralizzato’ la valenza

riformatrice contenuta nel nuovo Statuto di Autonomia della Catalogna, impugnato dal

Governo centrale il giorno seguente l’approvazione45. Nella pronuncia in questione, la

Corte infatti ha insistito sul significato del termine “nazione”, dandone

un’interpretazione priva di valore giuridico-istituzionale, come invece risulta dalla Carta

costituzionale, e attribuendole per contro, una valenza puramente sociologica, storica e

culturale (STC 31/2010, par. 18). Parimenti privo di valore giuridico, ritiene essere

anche il preambolo che statuisce il «diritto inalienabile della Catalogna all’autogoverno»

e la sovranità popolo catalano, considerando queste formule indicative del diritto

all’autonomia di entidades colectivas che, riconosciute costituzionalmente quale

órganos de las comunidades autónomas» – e agli artt. 76 e 77 della Ley organica del Tribunal Constitucional n. 2 del 1979. 42 Resolución 5/X del Parlamento de Cataluña, de 23 de enero de 2013, por la que se aprueba la Declaración de soberanía y del derecho a decidir del pueblo de Cataluña, pubblicata nel Bopc n. 13, del 24 gennaio 2013. 43 L’eventuale proposta di riforma costituzionale che potrebbe essere presentata dal Parlamento catalano in virtù del potere di iniziativa legislativa riconosciuta dagli articoli 86, c. 2 e 166 della Cost., godrebbe della considerazione del Governo centrale in ossequio al “deber de auxilio recíproco, mutua lealtad”, confluente nel più generale dovere di fedeltà alla Costituzione, che caratterizza i rapporti tra i pubblici poteri (STC 247/2007, de 12 dicembre, FJ 4). Così al par. 4, lett. c) della sentenza 42/2014 del Tribunal Constitucional. 44 Così il Prof. Marc Carrillo dell’Università di Barcellona “Pompeo Fabra”, al Convegno Internazionale “Sovranità popolare, corti e pluralismo normativo: il referendum come via alla secessione?”, Verona, 30 maggio 2014. 45 Ley Orgánica 6/2006, de 19 de julio, de reforma del Estatuto de Autonomía de Cataluña, pubblicata sul Bollettino Ufficiale n. 172, del 20 luglio 2006.

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Comunidades Autónomas (art. 143.1 CE), sono comunque parte integrante di una stessa

ed unitaria Nazione (par. 19).

6. Lo Scottish Independence Referendum Bill

Ritornando alla differente impostazione politico-istituzionale (e sociale) del governo

inglese, e alla delega legislativa accordata secondo la Section 30 dello Scotland Act del

1998, l’Assemblea di Edimburgo ha potuto presentare, il 21 marzo 2013, lo Scottish

Independence Referendum Bill.

Tale documento, dopo essere stato attentamente analizzato dalla Referendum (Scotland)

Bill Committee, dibattuto ed emendato in Assemblea, è divenuto Act a seguito

dell’approvazione parlamentare (14 novembre) e del Royal Assent (17 dicembre).

Tenendo conto delle disposizioni previste dalla Part 7 del Political Parties, Elections and

Referendums Act del 2000, che disciplina le procedure referendarie indette dal

Parlamento inglese, il documento in questione stabilisce le modalità e le procedure di

svolgimento della consultazione referendaria e della campagna elettorale. Ruolo

rilevante è stato rivestito dalla Electoral Commission in merito alla valutazione del

quesito referendario, la cui formula avrebbe dovuto rispondere ai criteri di massima

chiarezza, semplicità e neutralità: «easy for voters to use and understand»46.

Sulla linea della imparzialità si è ovviamente strutturata anche l’intera campagna

elettorale, iniziata formalmente lo scorso 30 maggio47. Secondo le direttive, gli slogan

46 Referendum on independence for Scotland. Advice of the Electoral Commission in the proposed referendum question, published by Electoral Commission, January 2013, pp. 29- 37. Per quanto riguarda l’attributo della neutralità, la Commissione elettorale ha suggerito di modificare l'iniziale proposta governativa "Do you agree that Scotland should be an independent country?”, ritenendo la formula “Do you agree” una leading question, ovvero tendenzialmente capace di guidare il consenso dell’elettore verso il sì (by using positive language ). “Should” rappresenta, per contro, un incipit più neutrale. BLACK A., Scottish independence: SNP accepts call to change referendum question, 30 gennaio 2013. Da notare come la suddetta impostazione risulti totalmente in contrasto con la formula referendaria sottoposta agli elettori del Québec nelle consultazioni del 1980 e del 1995 che, prima di rispondere, dovettero leggere rispettivamente di 101 parole e 43 parole, così KAY J., Scotland shows Quebec what an intelligent and mature independence movement looks like, 24 marzo 2014, National Post. 47 Alle iniziali dieci settimane previste dalla Commissione Elettorale ne sono state aggiunte altre sei al fine di favorire la più ampia diffusione possibile delle informazioni da parte delle due campagne. Tale periodo non deve esser confuso con il cosiddetto “purdah period”, indicante invece i 28 giorni antecedenti la data del referendum durante i quali vengono sospese le attività legislative del Parlamento (inglese e scozzese) che potrebbero influenzare la scelta degli elettori. La Section 9, schedule 3 dello Stage 1 Report on the Scottish Independence Referendum Bill data l’inizio del periodo al 21 agosto 2014. BLACK A., Scottish independence: What is the 16 week referendum period for?, 30 maggio 2014.

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televisivi possono essere trasmessi solo a cura o con il permesso degli organizzatori

registrati: della registrazione se ne occuperà sempre la Electoral Commission, che tra le

sue funzioni ha anche quella di garantire, assieme alle emittenti televisive e alla

Independent Regulator and Competition Authority for the UK Communications Industries,

l’imparzialità delle trasmissioni nel periodo della campagna (così al par. 11-16 dello

Scotland Referendum Act).

Stabiliti e ripartiti anche i costi e i finanziamenti (Section 10 and schedule 4 – “campaign

rules”): fissato un tetto massimo per ciascuna delle due opposte campagne – “YES

Scotland” dei sostenitori dell’indipendenza, “Better Together” degli unionisti – che

ammonta a 1,5 milioni di sterline, con una ripartizione interna tra i partiti basata sulla

percentuale di voti rispettivamente ottenuta nell’ultima elezione dell’Assemblea

legislativa (2011). Per i restanti attivisti è previsto un finanziamento di 150.000 sterline,

purché risultino iscritti al registro della Commissione Elettorale48.

Altro importante punto raggiunto con l’intesa tra i due primi ministri è stata

l’individuazione del corpo elettorale: la partecipazione non spetterà soltanto agli aventi

diritto di voto alle elezioni per il Parlamento scozzese e a quelle locali (ovvero britannici,

irlandesi, cittadini del Commonwealth e cittadini dell’Unione europea che siano

residenti in Scozia), bensì potranno accedere alle urne tutti coloro che il 18 settembre

avranno compiuto sedici anni e si siano iscritti correttamente al registro elettorale entro

il 2 settembre 201449. Decisione questa che probabilmente non inciderà in maniera

determinante sull’esito del voto, ma presenta comunque un profilo interessante sul

piano politico-sociale.

Come accennato, i due schieramenti sono così ripartiti: i sostenitori dell’indipendenza –

l’Snp di Alex Salmond, il Partito dei Verdi e il partito socialista – si sono riuniti sotto lo

slogan “YES Scotland”, aprendo la campagna elettorale il 25 maggio 2012. Sul fronte

opposto, quello degli unionisti, si ritrovano i tre principali partiti inglesi – i Conservatori

di David Cameron, i laburisti di Ed Milliband e i Liberal-democratici di Nick Clegg, 48 PHIPPS C., Scottish independence live blog: official referendum campaign starts, The Guardian, 30 maggio 2014; BLACK A., Scottish independence: What is the 16 week referendum period for?, 30 maggio 2014. 49 Come stabilito sia nella Section 2 “Franchise” dello Scottish Independence Referendum Act 2013, che dal disegno di legge predisposto ad hoc dal Governo di Edimburgo, lo Scottish Independence Referendum (Franchise) Bill 2013. Si veda inoltre il draft information booklet redatto dalla Commissione Elettorale, reperibile sul sito www.electoralcommission.org.uk

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nonché l’Ukip di Nigel Farage. Dal momento che i conservatori non godono dell’appoggio

degli scozzesi – all’Assemblea di Hoolyroad siede un solo membro tory50– mentre i

laburisti e i libdem possono contare da sempre su di un vasto bacino elettorale, la

posizione assunta da questi ultimi è sicuramente più cauta e meno intransigente rispetto

alla campagna portata avanti da Cameron. È bene ricordare infatti, che l’avvio dell’iter

procedurale per la formulazione e approvazione dello Scotland Act del 2012 si deve alla

volontà laburista di favorire una maggiore autonomia scozzese e allontanare

(inizialmente) l’ipotesi referendaria.

In questi due anni le due opposte “fazioni” non hanno fatto altro che smentire

reciprocamente i dati e le cifre prospettanti il futuro economico e politico di una Scozia

indipendente: alle stime ‘rosee’ del governo di Salmond, fiducioso che una gestione

totalmente autonoma delle risorse petrolifere scozzesi possa giovare all’economia ‘delle

sue terre’51, fanno da contraltare le previsioni del governo britannico che reputa tali

prospettive miopi e fondate su implausible assumptions. Non poche proposte di Salmond,

presentano infatti evidenti difficoltà di attuazione: come ha fatto notare il governatore

della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, l’unione monetaria con il rUK (rest of the United

Kingdom), come desiderata dal governo di Edimburgo, è alquanto improbabile dal

momento che, alla luce delle vicende europee, un’unione monetaria “di successo”, stabile

e duratura, implica anche e soprattutto un’unione fiscale, bancaria e alcune cessioni in

termini di sovranità nazionale52.

Nonostante ciò, lo Snp ha continuato a costruire la propria campagna referendaria

principalmente su dati economici: non sono certo mancati i richiami agli antichi valori

del nazionalismo scozzese, gli stessi che hanno modellato la storia della nazione –

compassion, equality, an unrivalled commitment to the empowerment of education,

50 Apparterrà alla colonna del gossip, ma è sicuramente significativo l’episodio riportato dall’Economist secondo cui, durante una manifestazione, alcuni sostenitori nazionalisti abbiano indossato un costume da panda per ricordare al Primo Ministro Cameron come ci siano più panda nello zoo di Edimburgo (2) che esponenti del suo partito nel Parlamento scozzese (1, David Mundell). Don’t leave us this way. Why we hope the people of Scotland will vote to stay in the Union, The Economist, 12 luglio 2014. 51 10 key economic facts that prove Scotland will be a wealthy independent nation, Gray M., Business for Scotland, gennaio 2014. 52 “The economics of currency unions”, discorso tenuto da Mark Carney, Governatore della Banca di Inghilterra, presso lo Scottish Council for Development & Industry, Edimburgo, 29 gennaio 2014, pp. 6-9.

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passion and curiosity for invention – ma non è certo sulla freedom di William Bruce che si

è costruito il percorso verso l’indipendenza.

Le 670 pagine dello Scotland’s Future, la ‘guida’ di una Scozia indipendente redatta dal

Governo di Edimburgo e pubblicata il giorno dopo l’approvazione dello Scottish

Independence Referendum Bill, riporta le modalità e il percorso che il Governo scozzese

seguirà per poter assicurare la piena ed effettiva indipendenza del Paese entro marzo

2016.

Nell’ipotesi di vittoria, diciotto saranno infatti i mesi durante i quali la Scozia si troverà a

negoziare, nel concreto, i termini della propria sovranità: i dieci capitoli del documento

firmato da Salmond affrontano tutte le questioni fondamentali che un Paese sovrano, in

un mondo globalizzato e soprattutto in qualità di attuale membro dell’Unione europea,

dovrà gestire. Se il primo chapter espone le motivazioni a favore dell’indipendenza –

«people who live here will able to build a different and better Scotland… based on the

principles of democracy, prosperity and fairness» – quelli successivi si concentrano

essenzialmente sulle questioni economiche e i benefici che una Scozia indipendente

trarrebbe da un’autonoma gestione delle proprie risorse.

Per facilitare questa fase iniziale di auto-organizzazione, il Governo di Edimburgo ha

pubblicato anche una bozza della Costituzione da applicare nel caso di una

consultazione con esito positivo: l’introduzione di una Carta Fondamentale scritta è

funzionale, per altro, ad evidenziare ancor più il distacco che si andrebbe a produrre con

il Regno Unito.

Come si legge nel “preambolo”, il documento dovrebbe infatti guidare le istituzioni

scozzesi nel periodo di transizione (ovvero dei negoziati) e fornire le linee guida per la

redazione di una Carta Costituzionale permanente ad opera di una Constitutional

Convention, da istituire tramite atto del Parlamento e che lavorerà «on behalf of the

people of Scotland» (par. 33)53.

53 Scottish Independence Bill (Draft), giugno 2014, reperibile in www.scotland.gov.uk Il paragrafo 33 “Provision for a permanent constitution” evidenzia come «The Scottish Parliament must, as soon as possible after Independence Day, make provision by Act of the Parliament for the establishment of an independent Constitutional Convention to be charged with the task of drawing up a written constitution for agreement by or on behalf of the people of Scotland» e tiene a precisare la necessaria indipendenza dei membri della “Costituente” «free from

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La bozza prende in considerazione tutti gli aspetti fondamentali che disciplinano i

rapporti istituzionali e sociali del nuovo Stato: così al par. 7 si stabilisce la forma di stato

– constitutional monarchy – e di governo – parliamentary democracy – continuando a

riconoscere la Regina Elisabetta quale Capo di Stato, così come i suoi eredi (par. 9), e

rimettendo la sovranità al popolo scozzese (par. 2-3)54. Stabilisce altresì i criteri con i

quali riconoscere la cittadinanza scozzese, sia al momento dell’indipendenza che

successivamente (par. 18)55; conferma la diretta incorporazione del diritto europeo allo

Scots law (par. 24), mentre specifica le modalità per il recepimento o meno degli accordi

internazionali (par. 21-22) e ribadisce il nuclear disarmament (par.23). Diretto è inoltre

il riferimento alla Convenzione europea dei diritti umani (par. 26-27), andando in tal

modo a superare le controversie sorte in merito all’applicabilità della CEDU

nell’ordinamento scozzese attraverso lo Human Rights Act 199856. In ultimo si dichiara

abrogato l’Union Act del 1707 (par. 35).

7. Scenari giuridici di una Scozia sovrana: i negoziati con Regno Unito ed Unione

europea

Nell’annoverare potestà legislative e manovre macroeconomiche di una Scozia

indipendente, sia il White Paper governativo che la Costituzione “provvisoria” sembrano

aver dato per certa ed immediata l’adesione all’Unione europea, forte dell’allargamento

consentito negli ultimi anni a Paesi le cui situazioni interne si presentavano borderline

the direction or control of the Scottish Government or any of its members, and the Scottish Parliament or any of its members». 54 La statuizione del paragrafo 2 «In Scotland, the people are sovereign» si articola in quello successivo disponendo che «the people have the sovereign right to self-determination and to choose freely the form in which their State is to be constituted and how they are to be governed. All State power and authority accordingly derives from, and is subject to, the sovereign will of the people, and those exercising State power and authority are accountable for it to the people. The sovereign will of the people is expressed in the constitution […] and it is limited only by the constitution and by the obligations flowing from international agreements to which Scotland is or becomes a party on the people’s behalf, in accordance with the constitution and International Law». 55 Sulla scia di quanto già affermato nel White Paper “Your Scotland. Your Voice” in cui si stabiliva che la cittadinanza in una Scozia indipendente fosse basata su di un «inclusive model designed to support economic growth, integration and promotion of diversity […] that could recognise the complex shared history of Scotland and the United Kingdom by offering shared or dual citizenship». Per un approfondimento sulla questione si rimanda a SHAW J., Citizenship in an indipendent Scotland: legal status and political implications, CITSEE Working Paper n. 2013/34, University of Edinburgh, 2013, in particolare pp. 24-36. 56 TORRE A., Scozia, op. cit., pp. 155-156-157.

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rispetto ai parametri di Copenaghen57. Il Premier Salmond, nel ribadire che la Scozia fa

parte dell’Unione europea da oltre quarant’anni e come questa partecipazione risulti

fruttuosa per entrambe le parti, ritiene che tali rapporti e la posizione della Scozia

all’interno dell’Unione non possano essere compromessi dall’eventuale indipendenza

della prima, bensì dalla consultazione referendaria che il Governo di Cameron ha

intenzione di indire per decidere sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’UE58.

Di fatto, però, le sue parole non sembrano certo aver persuaso le istituzioni europee,

preoccupate più che altro delle conseguenze che un’eventuale indipendenza scozzese

possa provocare in un’Europa contrassegnata dall’aumento, qualitativo e quantitativo, di

movimenti separatisti all’interno di diversi Paesi membri.

A rendere ancora più complessa la situazione, e poco chiara la posizione stessa dei

vertici comunitari59, è l’assenza nei Trattati di previsioni riguardanti, nello specifico, la

situazione in cui una regione di uno Stato membro diventi indipendente e sovrana, e

quale pertanto debba essere la procedura da seguire al fine di permettere a tale nuova

entità di continuare a far parte, qualora richiesto, dell’Unione. Non si annoverano infatti

precedenti in tal senso.

La via suggerita dal governo scozzese – membership priva di interruzioni e caratterizzata

dalla medesima formula di cui gode attualmente sotto il Regno Unito – è stata ben presto

criticata dalle considerazioni di esperti del mondo politico, economico ed istituzionale.

Facendo infatti leva sulla compliance della Scozia e delle sue strutture istituzionali e

sociali ai valori cardini enunciati dall’articolo 2 del Trattato dell’Unione europea60, in

57 Appare opportuno ricordare la dibattuta annessione della Repubblica di Cipro, che sebbene abbia il territorio nord dell’isola occupato (anche militarmente) da un Paese terzo (la Turchia) con un governo privo di riconoscimento internazionale, sia comunque entrata a far parte dell’Unione il 1° maggio 2004. 58 “Scotland’s Place in Europe”, discorso del Primo ministro scozzese Alex Salmond, Collegio d’Europa, Bruges, 28 aprile 2014, p. 4. 59 Le recenti parole del neo Presidente della Commissione Jean Claude Juncker sono risultate poco chiare e fatte oggetto di differenti e contrastanti interpretazioni, laddove nel ritenere quella scozzese una questione squisitamente interna all’ordinamento inglese, da svolgersi nel pieno rispetto dei principi democratici, ha comunque dichiarato la non previsione di ulteriori allargamenti nei prossimi cinque anni. Se questo statement è stato inizialmente considerato un messaggio per Salmond, la sua portavoce si è premurata di chiarire come i riferimenti fossero rivolti essenzialmente a Paesi quali il Kosovo e dell’area orientale. 60 Recita l’art. 2 del TUE: «L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società

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quanto già membro UE, il Governo di Salmond ha prefigurato una smooth and timely

transition fondata sull’articolo 48 del TUE: attraverso una revisione dei Trattati si

andrebbe a notificare l’eventuale secessione e a riconoscere alla Scozia lo status di 29°

Paese membro. Procedimento questo che, sin da una prima lettura, sembrerebbe

configurare un trattamento sui generis e “preferenziale” per la nazione del nord

britannico.

Non solo, il Governo di Edimburgo reputa il rifiuto di Bruxelles di continuare a

considerare una Scozia indipendente Stato membro a tutti gli effetti, come contrario al

principio di leale cooperazione che informa i rapporti tra le istituzioni e gli Stati

partner61.

Nel discorso tenuto al Collegio d’Europa di Bruges, del 28 aprile 2014, il Premier

Salmond ha ribadito infatti che, stante la necessità di negoziare on specific terms la

posizione di una Scozia sovrana all’interno dell’Unione, questa debba comunque

fondarsi sul principio della “continuità degli effetti”, ovvero sul mantenimento degli

stessi termini di adesione in vigore per il Regno Unito62. L’applicazione di tale principio

vorrebbe significare, nel concreto, il mantenimento della opting-out clause, la clausola di

esenzione che garantisce al Regno Unito l’esclusione dalla terza fase dell’unione

economica e monetaria e il relativo mantenimento della sterlina, nonché la non adozione

della Convenzione Schengen. Da non dimenticare la richiesta di lasciare valido anche il

tanto discusso “rebate on budget contributions” con il quale il Regno Unito gode di uno

“sconto” sui contributi da versare all’Unione europea63, e la possibilità di continuare a

caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». 61 Così si è espresso Sir David Edward, ex giudice britannico presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il quale riprendendo l’articolo 4, c. 3 del TUE, ricorda il dovere alla sincere cooperation che obbliga gli Stati membri ad adottare «ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'Unione». 62 “Scotland’s Place in Europe”, discorso del Primo ministro scozzese Alex Salmond, Collegio d’Europa, Bruges, 28 aprile 2014, p. 5. 63 Quando nel 1984, il governo della Thatcher criticò duramente i criteri di contribuzione finanziari imposti dall’Unione, destinati per l’80% alla Politica Agricola Comune (PAC) di cui ne beneficiavano principalmente i Paesi continentali e del Mediterraneo, riuscì ad ottenere il cosiddetto rebate, tuttora unico nel suo genere, e che prevedeva il rimborso dei due terzi del contributo netto versato dalle casse inglesi. Tale concessione venne sostenuta anche in relazione alla situazione economica del Regno Unito che, negli anni Ottanta, risultava essere il secondo Paese membro più povero.

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beneficiare di un’IVA allo zero per cento su alcuni prodotti (ad esempio su quelli

alimentari, di abbigliamento per bambini e sui libri).

Per converso, la posizione di Bruxelles è stata chiarita dallo statement rilasciato dall’ex

Presidente della Commissione, José Manuel Barroso secondo cui «If part of the territory

of a Member State would cease to be part of that state because it were to become a new

independent state, the Treaties would no longer apply to that territory»64. In pratica,

qualora la Scozia si separasse dal Regno Unito, andrebbe a perdere anche lo status di

membro, dovendo presentare domanda di adesione ex novo, come qualsiasi altro Paese

terzo. È bene sottolineare comunque, come le parole di Barroso non siano nuove: già

Romano Prodi, a capo della Commissione dal 1999 al 2004, rilasciò un’analoga

affermazione nel rispondere alla written question «Could the Commission confirm

whether a newly independent region would have to leave the EU and then apply for

accession afresh?»65.

Per controbattere a tale posizione con argomentazioni dal profilo strettamente

giuridico, il Premier Salmond ha riportato le considerazioni di Sir David Edward, ex

giudice inglese della Corte di Giustizia UE, il quale individuerebbe nell’esclusione

unilaterale della Scozia da parte delle istituzioni europee, una violazione dell’articolo 50

del TUE, laddove si stabilisce che il recesso di uno Stato membro debba seguire ad un

accordo in tal senso siglato volontariamente da ambo le parti66.

64 «In other words, a new independent state would, by the fact of its independence, become a third country with respect to the EU and the Treaties would no longer apply on its territory», dalla lettera dell’ex Pres. della Commissione europea all’ex Commissario europeo al bilancio, Lord Tugendhat, dicembre 2012. Posizione questa ribadita attraverso un’intervista rilasciata dall’ex Presidente alla BBC, nel febbraio scorso, dopo nette risuonano le parole «extremely difficult, if not impossible for an independent Scotland to join the European Union» secondo la procedura più rapida prevista dall’articolo 48 del TUE: secondo l’istituzione europea una Scozia indipendente dovrà infatti presentare domanda di adesione secondo la disciplina ordinaria ex art. 49 TUE. Scottish independence: Barroso says joining the EU it would be difficult, 16 febbraio 2014, BBC.com 65 Written Question P-0524/04 by Eluned Morgan (PSE) to the Commission, 17 February 2004; «The European Communities and the European Union have been established by the relevant treaties among the Member States. The treaties apply to the Member States… a newly independent region would, by the fact of its independence, become a third country with respect to the Union and the treaties would, from the day of its independence, not apply anymore on its territory», answer given by Mr Prodi on behalf of the Commission, 1 March 2004. 66 L’ex giudice prosegue sostenendo che la funzione dell’articolo 50 del TUE non si esaurisce solo nella sua diretta e letterale applicazione, bensì rileva anche nel guidare la risoluzione del caso conformemente allo spirito generale dei Trattati, informato ai principi di cooperation and mutual respect. “Scotland and the European Union”, reperibile sul sitto dello Scottish Constitutional Futures Forum.

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Queste le premesse di una disputa tutt’ora aperta e che ha coinvolto un numero sempre

maggiore di personalità autorevoli del mondo istituzionale e accademico67.

Facilmente individuabile l’oggetto principale del dibattito: con riferimento ai Trattati

istitutivi, quale dovrebbe essere la procedura legale da seguire per il ‘rinnovo’ della

membership scozzese nell’ipotesi di indipendenza?

Come accennato infatti, due sono le disposizione normative che qui rilevano: al già citato

articolo 48 del TUE, che attraverso una modifica dei Trattati (con revisione ordinaria

anziché semplificata)68, renderebbe la Scozia il 29° Stato membro, viene contrapposto

l’articolo 49 che disciplina invece, la procedura ordinaria di adesione secondo cui, previa

valutazione della domanda di ammissione da parte della Commissione e del Parlamento,

l’accordo di adesione deve essere sottoposto a votazione unanime del Consiglio e

all’approvazione, sempre all’unanimità, da parte di tutti gli Stati membri69.

Partendo dunque dall’elemento in comune tra i testi dei due articoli – l’approvazione

unanime del testo di revisione dei Trattati nel primo caso, dell’accordo di adesione nel

secondo – si è cercato di individuare quale tra le due previsioni fosse quella

realisticamente esperibile nel caso di una Scozia indipendente, ovvero quella che riduca

al minimo l’uso del veto da parte dei Paesi partner.

67 Lo Scottish Constitutional Futures Forum, iniziativa lanciatada alcune università scozzesi, ha cercato di raccogliere le considerazioni più rilevanti, di esperti del mondo accademico, politico ed istituzionale, con riguardo alla posizione giuridica che una Scozia indipendente andrebbe ad acquisire nel consesso europeo 68 Così il secondo comma “procedura di revisione ordinaria” dell’art. 48 TUE « Il governo di qualsiasi Stato membro, il Parlamento europeo o la Commissione possono sottoporre al Consiglio progetti intesi a modificare i trattati. 3) Qualora il Consiglio europeo, previa consultazione del Parlamento europeo e della Commissione, adotti a maggioranza semplice una decisione favorevole all'esame delle modifiche proposte, il presidente del Consiglio europeo convoca una convenzione composta da rappresentanti dei parlamenti nazionali, dei capi di Stato o di governo degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione. 4) Una conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri è convocata dal presidente del Consiglio allo scopo di stabilire di comune accordo le modifiche da apportare ai trattati. Le modifiche entrano in vigore dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali». 69 Così l’articolo 49 TUE «1) Ogni Stato europeo che rispetti i valori di cui all'articolo 2 e si impegni a promuoverli può domandare di diventare membro dell'Unione. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati di tale domanda. Lo Stato richiedente trasmette la sua domanda al Consiglio, che si pronuncia all'unanimità, previa consultazione della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, che si pronuncia a maggioranza dei membri che lo compongono. Si tiene conto dei criteri di ammissibilità convenuti dal Consiglio europeo. 2) Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da essa determinati, formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali».

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Pertanto, alla luce di tale necessità si possono ricostruire le principali motivazioni, di

carattere essenzialmente politico piuttosto che tecnico-giuridico, che hanno portato alla

quasi certa esclusione della procedura ex articolo 48, per individuare invece nel 49 la

suitable legal route70.

In primo luogo, richiamandosi alle considerazioni della Corte di Giustizia europea

secondo cui le disposizioni a carattere specifico hanno priorità su quelle di carattere

generale – quale qui figura il disposto del 48 – l’articolo da prendere in considerazione

per il caso scozzese è il 49, in quanto l’unico del Trattato a prevedere la procedura per

l'ammissione di un nuovo Stato71.

In secondo luogo, il secondo comma dell’articolo 48, stabilendo che sia uno Stato

membro, il Parlamento o la Commissione europea a presentare la proposta di modifica

dei Trattati, genererebbe un’ulteriore difficoltà procedimentale, di natura propriamente

politica e non facilmente aggirabile. Infatti, stando alla lettera del testo, in caso di esito

positivo della consultazione referendaria, la Scozia dovrebbe appoggiarsi a Westminster

per far giungere, per vie legali, la sua richiesta (di modifica dei Trattati) a Bruxelles.

Infatti, anche nell’ipotesi della piena collaborazione tra i due governi, come enunciata

negli Accordi di Edimburgo, appare alquanto improbabile che il governo inglese si faccia

promotore di una revisione dei Trattati per conto di una Scozia, la cui indipendenza,

qualora sanzionata dal corpo elettorale, dovrebbe comunque essere costruita ex novo sul

piano politico, economico e istituzionale. E, come è stato accennato nei precedenti

paragrafi, non sono poche le problematiche su questo piano: dati i contrasti in materia

soprattutto economica e finanziaria72, appare spontaneo chiedersi come ci si aspetti che

il governo del Regno Unito, in fase di negoziazione, si faccia promotore di una modifica

70 Così si esprime Jean-Claude Piris, ex Legal Counsel presso il Consiglio europeo, nel parere richiesto dalla Scottish European and External Affairs Committee nell’ambito dell’indagine “The Scottish Government's proposals for an independent Scotland: membership of the EU”, written evidence from Jean-Claude Piris, 12 gennaio 2014. 71 Dello stesso parere il Prof. Armstrong, laddove afferma che «…there must be a genuine and objective connection between the purpose of the legal basis and that of the act adopted», Written evidence From Prof. Kenneth Armstrong, Director of the Centre For European Legal Studies, Faculty Of Law, University Of Cambridge, 16 gennaio 2014, par. 11. 72 Lo sfruttamento del petrolio nel Mar del Nord, la (nuova collocazione) della flotta sottomarina equipaggiata con artiglieria nucleare (cosiddetti missili Trident), attualmente di stanza a Faslane, vicino Glasgow, la questione dell’assunzione di una quota del debito pubblico britannico a fronte del permanere nella sterlina, la questione relativa alle fees universitarie che i cittadini inglesi pagano nelle università scozzesi a differenza di questi ultimi.

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dei Trattati che in qualche modo possa andare a screditare la posizione dei propri

cittadini e delle proprie finanze73.

Da ultimo, è stato rilevato come la revisione dei Trattati potrebbe verosimilmente non

limitarsi alla “sola” aggiunta della Scozia quale nuovo Stato membro, bensì ulteriori

proposte di modifica potrebbero essere avanzate anche da altri Stati membri (in primis il

Regno Unito) che implicherebbero un allungamento sostanziale dei tempi di

negoziazione dell’accordo finale. Tale ipotesi smentirebbe peraltro, la convinzione

dell’Esecutivo scozzese della maggiore rapidità di tale iter rispetto a quello previsto

dell’articolo 4974.

Nonostante ciò, anche qualora sia vera l’ipotesi di un prolungamento del tempo

necessario all’adesione formale di una Scozia indipendente ex articolo 4975, l’adozione

della procedura specifica per l’ingresso di nuovi Paesi favorirebbe, verosimilmente, un

maggior consenso degli Stati membri, laddove l’obbligo di conformità ai parametri di

Copenaghen non permetterebbe il mantenimento della posizione “privilegiata” di cui

gode attualmente con il Regno Unito.

Ad esempio, verrebbe totalmente scartata l’ipotesi avanzata dal governo scozzese

secondo cui il budget europeo concluso per il periodo 2014-2020 resti invariato: una

separazione dal Regno Unito comporterebbe infatti, il ricalcolo dello stesso sulla base

dei soli dati economici inglesi. Data per certa anche l’esclusione della Scozia dal tanto

prezioso rebate76.

Inoltre, il rifiuto del Governo inglese di dare vita ad un’unione monetaria77 che permetta

al nord britannico il mantenimento della sterlina, rimetterebbe in discussione anche la

posizione degli scozzesi contrari all’adozione dell’euro78. In questo caso infatti, gli altri

Stati membri potrebbero polemizzare appellandosi alla previsione dell’articolo 8 del

73 Così Aidan O’Neil nel written evidence for the European and External Relations Committee of the Scottish Parliament, 23 gennaio 2014. 74 Scotland in the European Union, pubblicato dallo Scottish Government, pp. 85-86-87. 75 Se come optimistic benchmark si assume l’iter di negoziazione e adesione della Finlandia – il più rapido in assoluto, con soli 2 anni e 9 mesi – la prima e più plausibile ipotesi di adesione di una Scozia indipendente potrebbe essere il 2019. 76 FURBY D., A long and winding road? Scottish Independence and EU accession, pubblicato da Business for New Europe, maggio 2014, pp. 16-17. 77 Chancellor on the prospect of a currency union with an independent Scotland, discorso pronunciato da George Osborne, Cancelliere dello Scacchiere, 13 febbraio 2014. 78 Scotland in the European Union, pubblicato dallo Scottish Government, pp. 90-95.

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Protocollo di Schengen, laddove si stabilisce che «l'acquis e le ulteriori misure adottate

dalle istituzioni nell’ambito del suo campo d’applicazione devono essere accettate

integralmente da tutti gli Stati candidati all’adesione».

La domanda che sorge è infatti, per quali ragioni la Scozia dovrebbe entrare a far parte

dell’Unione secondo termini e condizioni più favorevoli (in ossequio al principio della

“continuità degli effetti” richiamato da Salmond)? Il fatto che le sue istituzioni (e azioni)

siano già informate ai principi di cui all’articolo 2 del TUE e che già faccia parte

dell’Unione sotto l’ala del Regno Unito, non sembra una motivazione sufficientemente

valida, sia dal punto di vista giuridico che politico, da non provocare il veto degli altri

Stati membri e la reazione negativa di Bruxelles79.

Nonostante ciò, anche qualora si adottasse l’articolo 49, l’esito positivo della procedura

non sarebbe comunque assicurato: diversi Stati membri (in primis Spagna e Belgio)

potrebbero votare contro l’accordo di adesione, preoccupati di legittimare un

precedente pericoloso per la propria integrità territoriale.

Per concludere, è opportuno ricordare anche le possibili trattative che una Scozia

sovrana dovrà avviare per negoziare la sua posizione all’interno delle organizzazioni

internazionali di cui al momento è membro sotto l’egida del Regno Unito. Se è infatti

vero che sarà il resto della Gran Bretagna ad esser considerato lo Stato continuatore del

Regno, la Scozia dovrà presentare la propria richiesta di adesione (o permanenza)

seguendo le peculiari regole procedurali di ciascuna entità: così per l’ingresso nell’ONU,

nel Consiglio d’Europa e nella NATO (diffidente la posizione verso quest’ultima

organizzazione).

Da quanto brevemente esposto, si deduce chiaramente quanto potrebbe essere lunga e

tortuosa la strada da intraprendere nell’eventualità dell’indipendenza e alquanto

irrealistici risulterebbero essere i tempi stimati dall’Esecutivo scozzese, desideroso di

concludere tutte le trattative entro marzo 2016, in modo tale da consentire ai propri

cittadini di eleggere, nel maggio successivo, un parlamento totalmente sovrano.

Al momento, e in attesa dell’esito del referendum, l’unica cosa (giuridicamente) certa è

che il Regno Unito continuerà ad essere il soggetto internazionale di riferimento, ovvero

79 Nonostante ciò, sembra non essere stata colta l’osservazione posta da Sir Edward, ovvero della necessità di un assenso di ambo le parti per il recesso dall’Unione (ex art. 50 TUE)79.

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colui che rappresenterà i cittadini scozzesi in seno alle istituzioni europee nell’ipotetico

periodo di transizione80. Ma anche qui, la situazione si complica ulteriormente se si

considera la posizione che il Regno Unito ha assunto nei confronti dell’Europa, con un

progetto di legge in procinto di essere ripresentato alla Camera dei Comuni81 al fine di

promuovere l’indizione di un referendum per sciogliere il dubbio della maggioranza di

governo sulla questione dell’in or out dall’Unione82.

A questo punto, sorge quasi spontaneo chiedersi se il ricorso alla consultazione

referendaria da parte dell’establishment inglese (e scozzese) risponda più a criteri di

democraticità e grande considerazione dell’opinione pubblica, quale corpo pienamente

maturo83, o piuttosto all’esigenza di individuare una via di uscita, o comunque una sua

80 AVERY G., Could an independent Scotland join the European Union?, pubblicato da European Policy Centre, 28 maggio 2014. 81 Il progetto di legge per l’indizione di un referendum sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione europea, presentato dal parlamentare conservatore James Wharton, ha ottenuto l’assenso dei Comuni il 5 luglio 2013 ma, a seguito di diversi dibatti in cui sono stati proposti alcuni emendamenti anche da parte della Electoral Commission (come ad esempio la modifica del testo del quesito), ha subìto una battuta d’arresto in terza lettura alla Camera Alta, il 29 novembre 2013. Nonostante siano state introdotte ulteriori proposte di modifica nel gennaio 2014, di fatto «no further progress on the Bill is expected this session». Sebbene il Cancelliere Osborne avesse ipotizzato l’inserimento di un riferimento al bill nel Queen’s Speech del 4 giugno, gli unici passaggi della Regina in merito all’Unione europea riguardano la continuità della cooperazione per la sicurezza e la pace e la promozione delle riforme istituzionali. L’unica via esperibile resta quella proposta dal Premier Cameron, ovvero by-passare l’opposizione laburista e dei llibdem attraverso il ricorso alla provisions dei Parliament Acts. Per ulteriori dettagli si veda European Union (Referendum) Bill 2013-14-progress of the bill, 5 marzo 2014; Standard Note 675 on The Parliament Acts, 24 febbraio 2014, par. 3.8 82 Al momento gli ultimi sondaggi effettuati rilevano che, su un campione di circa 2000 persone, il 41% è contrario all’uscita, il 38% favorevole e sul 16% si attestano gli indecisi (YouGov/The Sun Survey del 14 luglio). Anche per il caso inglese, esperti del settore confutano l’idea del Governo di Cameron, smentendo nettamente che uno “splendido isolamento” del Regno Unito possa giovare alla sua economia. In tal senso, Appare quasi paradossale la situazione in cui il Premier David Cameron prima si appella agli scozzesi mostrando loro come la soluzione migliore sia una crescita condivisa, affiancata magari da una maggiore ripartizione dei poteri, ma pur sempre in un ‘regno’ unito, e poi rinneghi quelle stesse parole nei discorsi pro-uscita dall’Unione europea. Infatti, oltre ad un impatto economico negativo, legato soprattutto al calo delle esportazioni, essendo l’Unione europea «the UK’s main trade partner», la Gran Bretagna perderebbe anche la potenza negoziale che possiede al momento, ritrovandosi comunque a definire i termini di un accordo di libero scambio e a non poter avanzare formule di opt-out di cui gode al momento. Per approfondimenti si veda The economic consequences of leaving the EU. The final report of the CER commission on the UK and the EU single market, pubblicato dal Centre for European Reform, 9 giugno 2014, pp. 28-31. Si rimanda inoltre a DIXON H., The In/Out Question: Why Britain should stay in the EU, marzo 2014. 83 GIANFRANCESCO E., Devolution e referendum in Galles. Uno sguardo dal continente, in Democrazia rappresentativa e referendum nel Regno Unito, op. cit., p. 307.

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indicazione, a questioni troppo complesse e delicate, che inciderebbero sui cittadini

dell’intera Unione (e non solo).

Inoltre, qualora il referendum sull’Europa si dovesse tenere84, il voto dell’elettorato

scozzese (non indipendente) avrebbe certamente il suo peso: come abbiamo visto, il

Parlamento di Edimburgo ha ribadito prontamente la sua ferma volontà di restare a far

parte dell’Unione, con o senza sovranità85.

8. La “terza via” della “devolution max”

Stante tutte le evidenti e forse insormontabili difficoltà nel portare avanti le trattative

per una Scozia sovrana, si potrebbe affermare che lo Scottish National Party abbia voluto

puntare “in alto”, ovvero all’indipendenza, per poter attrarre nuovamente l’attenzione

del Governo inglese sulla richiesta di una maggiore autonomia fiscale rimasta disattesa

nelle trattative che hanno condotto allo Scotland Act del 2012.

Nel caso di una sconfitta, non si prevede infatti il mantenimento dello status quo

istituzionale: verosimile la ripresa dei lavori per la costruzione della “third way”, ovvero

della c.d. “devolution max” menzionata dai labours e rilanciata dal Premier Cameron

proprio per fronteggiare l’avanzata dei nazionalisti86.

Il termine (“devo-max” o “devo-plus”), emerso nel 2011, fa riferimento proprio all’ipotesi

di una full fiscal autonomy scozzese, che aumenti la responsabilità di Edimburgo in

materia fiscale, lasciando invariata la ripartizione inerente i settori più delicati, laddove

Westminster continuerebbe ad avere la piena gestione in politica estera, sicurezza e

difesa. Inoltre, la devo-max potrebbe risultare anche come soluzione per la cosiddetta

84 Si ricorda che l’indizione della consultazione referendaria è pur sempre vincolata all’esito delle general elections previste per il maggio 2015: il progetto del referendum potrebbe essere portato avanti solo nel caso di una riconferma della maggioranza tory al Governo. È innegabile però, che in questa partita giocherà un ruolo rilevante anche l’Ukip di Nigel Farage, il partito euro-scettico ed “estremamente” conservatore, che ha assunto un peso politico di forte rilievo nelle elezioni europee dello scorso maggio. 85 “Scotland’s Place in Europe”, discorso del Primo ministro scozzese Alex Salmond, Collegio d’Europa, Bruges, 28 aprile 2014, p. 4. 86 Nell’annuale discorso tenuto ad Edimburgo nel marzo 2014, il Premier Cameron apostrofa i nazionalisti con un «Let me be absolutely clear: a vote for No is not a vote for “no change”. We are committed to making devolution work better still, not because we want to give Alex Salmond a consolation prize if Scotland votes No but because it’s the right thing to do…Giving the Scottish Parliament greater responsibility for raising more of the money it spends».

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West Lothian Question, una sorta di “neo istituzionale”, contraddizione dovuta all’innesto

della riforma devolutiva su una struttura costituzionale fondata su principi unitari87.

Da ultimo è opportuno considerare, seppur brevemente, le reazioni che la situazione fin

qui descritta potrebbe suscitare nelle altre due “nazioni” costitutive il Regno Unito: il

Galles e l’Irlanda del Nord. Infatti, sebbene le posizioni espresse dalle due assemblee

periferiche non risultino ancora chiare, è possibile ipotizzare una loro richiesta di

ulteriore autonomia (un decentramento federale?88) rispetto al Governo centrale.

A somme fatte, la prospettiva di lunghe e complesse trattative incrociate tra Scozia,

Regno Unito (con Galles ed Irlanda del Nord) ed Unione europea, con l’incertezza di un

risultato che risponda ai desiderata del Governo di Salmond da un lato, e la più rosea

ipotesi di una devo-max dall’altro, fa pendere l’ago della bilancia a favore degli unionisti.

Non a caso, il fronte del no è aumentato con l’avvicinarsi della consultazione

referendaria, attestandosi, nell’ultima settimana di agosto, al 48%, contro il 42% dei

sostenitori del sì e un 11% di indecisi89.

Proprio con l’intento di dissipare i dubbi dei don’t know e polarizzare la percentuale tra i

contrari e i favorevoli, il 5 agosto, a poche ore dal dibattito televisivo tra il Premier

scozzese e il leader della campagna unionista Better Together, Alistair Darling, i leaders

dei tre principali partiti – conservatore, laburista e dei liberaldemocratici – hanno

riaffermato lo joint commitment dello scorso giugno, impegnandosi a favorire, in caso di

vittoria dei no, una more devolution per la Scozia. Se resta unanime il consenso per un

maggior tax power (“full power over income tax rates and bands”), differenti sono le

prospettive per una concreta revisione dei rapporti tra centro e periferia: dalle più caute

previsioni dei Tories e dei Labours, prendono le distanze i Lib Dems che rilanciano

l’ipotesi di una vera e propria riforma dell’assetto ordinamentale in senso federalista.

87 La West Lothian Question, il cui nome deriva dal deputato del collegio scozzese del West Lothian che per primo la portò all’attenzione dell’ambiente politico e accademico degli anni ‘70, indica quella anomalia per cui, a seguito della riforma devolutiva, un deputato appartenente ad una circoscrizione scozzese continua a votare a Westminster su questioni e leggi la cui applicazione è limitata alla sola Inghilterra. Questa palese violazione del principio di reciprocità, non è stata sanata nemmeno con la riforma del 2004 quando, attraverso lo Scottish Parliament (Constituencies) Act, si è ridotto il numero dei parlamentari scozzesi (da 72 a 59) cercando così di attenuarne anche il peso politico all’interno di Westminster. The West Lothian Question, House of Commons Library, 23 marzo 2011; si rimanda inoltre a PAROLARI S., op. cit., pp. 42-47. 88 TORRE A., Scozia, op. cit., p. 179. 89 www.whatscotlandthinks.org

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Attenendosi al report stilato nell’ottobre del 2012 – Federalism: the best future for

Scotland90 – considerano infatti, la strada della Home rule (non solo scozzese) in un

Regno Unito federale l’alternativa più opportuna “to serve best all UK citizens, wherever

they live”.

Pertanto, in ragione delle considerazioni fin qui esposte, è possibile affermare che, a

prescindere dall’esito delle urne, la formula per una risoluzione definitiva della

questione scozzese è tutt’altro che chiara ed univoca: lunghe e complesse trattative sono

richieste non solo per la costruzione di un eventuale nuovo Stato (come normale che

sia), ma anche per il mantenimento di un’unione effettivamente democratica, in grado di

rispondere alle istanze e alle specifiche esigenze delle realtà sociali, politiche ed

economiche che la compongono.

90 Il testo del report è reperibile sul sito www.scotlibdems.org.uk


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