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Il rilievo con i popoli etruschi: proposta di ricostruzione e interpretazione

Date post: 30-Nov-2023
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IL RILIEVO CON I POPOLI ETRUSCHI: TERPRETAZIONE PAOLO LIVERANI Gli scavi condotti nell'area della Caere romana nel 1840 restituirono, assieme alla nota serie di ritratti della famiglia giulio-claudia, il famoso rilievo con personifi- cazioni di popoli etruschi. Tale rilievo 1 è ricavato da una lastra di marmo lunense (alt. cm. 78, largh. cm. 75, spess. cm. 15) mancante della parte sinistra della fac- cia principale, ma che conserva, in maniera più o meno completa, gli altri tre margini. Sul lato principale sono tre figure: la prima da sinistra è un personaggio ma- schile nudo stante, posto in una nicchia accanto a un pino, il braccio destro è levato in alto, il sinistro scende lungo il corpo e sostiene un lungo timone. La seconda è una figura femminile con il capo velato, seduta su una sorta di trono collocato su un basamento rialzato, nella destra reca un oggetto di difficile identificazione; la terza è un togato stante, anch'esso su un basamento. Sotto a ogni figura è incisa un'iscrizione che la identifica: Ve- tulonenses, Vulcentani, Tarquinienses, mentre al di sopra si trova un amorino volante che sostiene due ghirlande. Si tratta dunque, come si è intuito fin dalla scoperta, delle personificazioni di tre dei populi che costituivano la lega etrusca. Il retro della lastra è liscio, ma all'estremità sinistra presenta una stretta fascia decorata con un verro su un'ara e un albero di alloro sullo sfondo; va notato che la parte non decorata non è lisciata, ma mostra sempli- cemente la superficie originaria della lastra di marmo cosl come fu segata dal blocco. Lo spessore dell'estremità conservata, infine, è decorato con un motivo vegetale. L'importanza storica di questo rilievo fu immedi a- tamente compresa e finora sono state avanzate varie proposte per ricostruire il monumento di cui faceva par- te e per spiegarne la funzione. Le prime ipotesi furono di vedervi parte del rivestimento di una base di statua o di un'ara 2 ; ben presto, però, si affermò la ricostru- zione del Canina 3 , che vi vedeva parte di un trono su cui sarebbe stata posta la statua colossale seduta di Claudio rinvenuta negli stessi scavi. Tale idea è stata accettata dalla maggioranza degli studiosi fino a pochi anni fa, e ciò sia per la indubbia suggestione del disegno ricostruttivo del Canina, sia perché ben si armonizzava con quanto sappiamo sugli interessi antiquari, e in par- ticolare etruscologici, dell'imperatore. Eccezione quasi del tutto isolata nel panorama degli studi è costituita da un fondamentale contributo del Bor- mann 4 che ripropose l 'in terpretazione del rilievo come parte di ara o di base. Più recentemente vi si è voluto I PROPOSTA DI RICOSTRUZIONE E IN- rttr 2 vedere il coronamento di un altare o di un piccolo re- cinto sacro 5 In questa sede si vuole affrontare questo rilievo non tanto da un punto di vista stilistico e iconografico, quan- to piuttosto di quello strutturale e storico, aspetti inscin- dibilmente legati che si illuminano reciprocamente. Punto di partenza obbligato è proprio l'analisi strut- turale che consideri innanzitutto la lastra di marmo come tale. Il rilievo, infatti, mentre presenta il lato inferiore completamente liscio e privo di tracce, mostra in quello superiore due incassi, particolare essenziale per la rico- struzione. Il primo si trova al centro dello spessore ori- ginario della cornice, esattamente al di sopra della figura dei Vetulonenses, ed è quanto resta di un foro da oli- vella, come si deduce dal suo lieve allargarsi verso il basso 6 ; il secondo, posto in corrispondenza della figura seduta, serviva per alloggiare una grappa a « pi greco » che fissava la lastra a una struttura che si trovava sul retro (fig. 144). La mancata lavorazione di buona parte della faccia posteriore e la presenza della grappa permette di capire che la lastra si trovava addossata a un nucleo costruito, in muratura o in blocchi, e che da questo nucleo spor- geva solo per la parte che presenta sul retro il rilievo col verro sull'ara. Possiamo quindi già abbandonare le ipo- tesi che vi vedevano il coronamento di un altare o di un piccolo recinto sacro. È inoltre possibile ricostruire lo spessore della lastra accostata alla nostra ad angolo ret- to, spesso re che era condizionato da una parte dal limite della fascia sul retro lavorata con la piccola scena di sa- crificio, dall'altro dalla grappa a « pi greco » di anco- raggio al nucleo costruito. Questa seconda lastra doveva essere relativamente sottile, forse quattro o cinque cen- timetri, molto più sotti le dunque di quella rimastaci (cm. 15). Non sembra perciò possibile che recasse un rilievo: si sarà trattato piuttosto di un'epigrafe. Abbiamo fortunatamente elementi sufficienti per ri- costruire le dimensioni originali della la stra di cui il frammento rimastoci faceva parte: il foro da olivella, infatti, doveva necessariamente trovarsi esattamente a metà della lunghezza e la stessa dimensione è ipotizza- bile in base a considerazioni fondate sull'esame delle figurazioni: l'amorino volante che regge le due ghir- lande (di tipo diverso l'una dall'altra) doveva avere un compagno nella porzione perduta e ciò fa porre l'asse di simmetria del rilievo al centro della nicchia della statua dei Vetulonenses. Ciò aiuta a comprendere lo M. Fuchs, P. Liverani, P. Santoro, Caere 2. Il teatro e il ciclo statuario giulio-claudio, Roma 1989
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IL RILIEVO CON I POPOLI ETRUSCHI: TERPRETAZIONE

PAOLO LIVERANI

Gli scavi condotti nell'area della Caere romana nel 1840 restituirono, assieme alla nota serie di ritratti della famiglia giulio-claudia, il famoso rilievo con personifi­cazioni di popoli etruschi. Tale rilievo 1 è ricavato da una lastra di marmo lunense (alt. cm. 78, largh. cm. 75, spess. cm. 15) mancante della parte sinistra della fac­cia principale, ma che conserva, in maniera più o meno completa, gli altri tre margini. Sul lato principale sono tre figure: la prima da sinistra è un personaggio ma­schile nudo stante, posto in una nicchia accanto a un pino, il braccio destro è levato in alto, il sinistro scende lungo il corpo e sostiene un lungo timone. La seconda è una figura femminile con il capo velato, seduta su una sorta di trono collocato su un basamento rialzato, nella destra reca un oggetto di difficile identificazione; la terza è un togato stante, anch'esso su un basamento. Sotto a ogni figura è incisa un'iscrizione che la identifica: Ve­tulonenses, Vulcentani, Tarquinienses, mentre al di sopra si trova un amorino volante che sostiene due ghirlande.

Si tratta dunque, come si è intuito fin dalla scoperta , delle personificazioni di tre dei populi che costituivano la lega etrusca.

Il retro della lastra è liscio , ma all'estremità sinistra presenta una stretta fascia decorata con un verro su un'ara e un albero di alloro sullo sfondo; va notato che la parte non decorata non è lisciata, ma mostra sempli­cemente la superficie originaria della lastra di marmo cosl come fu segata dal blocco. Lo spessore dell'estremità conservata, infine, è decorato con un motivo vegetale.

L'importanza storica di questo rilievo fu immedia­tamente compresa e finora sono state avanzate varie proposte per ricostruire il monumento di cui faceva par­te e per spiegarne la funzione. Le prime ipotesi furono di vedervi parte del rivestimento di una base di statua o di un'ara 2

; ben presto, però, si affermò la ricostru­zione del Canina 3, che vi vedeva parte di un trono su cui sarebbe stata posta la statua colossale seduta di Claudio rinvenuta negli stessi scavi. Tale idea è stata accettata dalla maggioranza degli studiosi fino a pochi anni fa, e ciò sia per la indubbia suggestione del disegno ricostruttivo del Canina, sia perché ben si armonizzava con quanto sappiamo sugli interessi antiquari, e in par­ticolare etruscologici, dell'imperatore.

Eccezione quasi del tutto isolata nel panorama degli studi è costituita da un fondamentale contributo del Bor­mann 4 che ripropose l'interpretazione del rilievo come parte di ara o di base. Più recentemente vi si è voluto

I

PROPOSTA DI RICOSTRUZIONE E IN-

rttr 2

vedere il coronamento di un altare o di un piccolo re­cinto sacro 5•

In questa sede si vuole affrontare questo rilievo non tanto da un punto di vista stilistico e iconografico, quan­to piuttosto di quello strutturale e storico, aspetti inscin­dibilmente legati che si illuminano reciprocamente.

Punto di partenza obbligato è proprio l'analisi strut­turale che consideri innanzitutto la lastra di marmo come tale.

Il rilievo, infatti, mentre presenta il lato inferiore completamente liscio e privo di tracce, mostra in quello superiore due incassi, particolare essenziale per la rico­struzione. Il primo si trova al centro dello spessore ori­ginario della cornice, esattamente al di sopra della figura dei Vetulonenses, ed è quanto resta di un foro da oli­vella, come si deduce dal suo lieve allargarsi verso il basso 6; il secondo, posto in corrispondenza della figura seduta, serviva per alloggiare una grappa a « pi greco » che fissava la lastra a una struttura che si trovava sul retro (fig. 144).

La mancata lavorazione di buona parte della faccia posteriore e la presenza della grappa permette di capire che la lastra si trovava addossata a un nucleo costruito, in muratura o in blocchi, e che da questo nucleo spor­geva solo per la parte che presenta sul retro il rilievo col verro sull'ara. Possiamo quindi già abbandonare le ipo­tesi che vi vedevano il coronamento di un altare o di un piccolo recinto sacro. È inoltre possibile ricostruire lo spessore della lastra accostata alla nostra ad angolo ret­to, spessore che era condizionato da una parte dal limite della fascia sul retro lavorata con la piccola scena di sa­crificio, dall'altro dalla grappa a « pi greco » di anco­raggio al nucleo costruito. Questa seconda lastra doveva essere relativamente sottile, forse quattro o cinque cen­timetri, molto più sottile dunque di quella rimastaci (cm. 15). Non sembra perciò possibile che recasse un rilievo: si sarà trattato piuttosto di un'epigrafe.

Abbiamo fortunatamente elementi sufficienti per ri­costruire le dimensioni originali della lastra di cui il frammento rimastoci faceva parte: il foro da olivella, infatti, doveva necessariamente trovarsi esattamente a metà della lunghezza e la stessa dimensione è ipotizza­bile in base a considerazioni fondate sull'esame delle figurazioni: l'amorino volante che regge le due ghir­lande (di tipo diverso l'una dall'altra) doveva avere un compagno nella porzione perduta e ciò fa porre l'asse di simmetria del rilievo al centro della nicchia della statua dei Vetulonenses. Ciò aiuta a comprendere lo

M. Fuchs, P. Liverani, P. Santoro, Caere 2. Il teatro e il ciclo statuario giulio-claudio, Roma 1989

] 44. Rilievo con personificazioni di popoli etruschi , parte supe­riore della lastra con tracce del foro da olivella e del­l'incasso della grappa.

14'5. Assonometria ricostruttiva del monumento.

l: __ : _____ ::.:::tr_· ___ L~

o 50 100 cm

144.

n 1<..-~___,___.~...__~socm

145.

schema compositivo ongmario: avremmo una nicchia centrale ai cui lati sono disposte due figure per parte e la lastra cosl ricostruita misura esattamente quattro piedi.

Tenendo conto del fatto che le figure dei quindici populi Etruriae 7 vanno distribuite su tre lati invece che su quattro, si deve pensare a tre lastre con cinque perso­nificazioni ciascuna. Mantenendo gli stessi spazi che in­tercorrono tra le figure conservate si può ricostruire per­ciò un monumento con una base di m. 1,20 X 1,20

(cfr. l'assonometria alla fìg . 145: alcuni particolari come per esempio il nucleo in blocchi, sono ovviamente solo indicativi); qualora invece si preferisca pensare a una spaziatura più elastica, ferma restando la dimensione della profondità, si può ipotizzare una maggiore lar­ghezza 8.

Le interpretazioni possibili di una struttura di que­sto tipo sono allora essenzialmente due: base o altare. A favore della seconda sta la raffigurazione del verro sull'ara nella piccola fascia sul retro del rilievo; in questo caso dovremmo forse preferire una ricostruzione a pianta rettangolare, in quanto gli altari romani mostrano solita­mente un rapporto tra larghezza e profondità di 2: 1 o di 3: 2 9

Sull'alternativa base-ara si potrà ritornare più tardi; prima di ciò bisogna esaminare le ipotesi alternative proposte finora e quindi affrontare i problemi connessi con l'interpretazione del monumento.

Come s'è detto, l'interpretazione più accreditata del rilievo è quella del Canina 10

, che vi vedeva il trono della statua di Claudio. È innegabile che l'idea sia ingegnosa e che da un punto di vista strettamente strutturale sia anche possibile. Si potrebbe perfino citare a confronto il trono della statua di Asklepios della Ny Carlsberg Glyptothek 11

, che presenta una forma compatibile con quella ipotizzata da Canina e una decorazione vegetale sulla fronte delle ante paragonabile a quella che orna lo spessore del nostro rilievo.

Come però è stato osservato da Torelli 12, sui troni

sono attestate figurazioni mitiche, ma niente è parago­nabile non solo alle personificazioni dei populi Etruriae, ma semplicemente alla scena del sacrificio, che molto meglio si accorderebbe con un altare. A questo si può ag­giungere un'osservazione di altro genere e cioè che il ri­lievo del verro sull'ara nell'ipotesi del trono verrebbe na­scosto dalle gambe e dal manto della statua dell'impera­tore. Infine va sottolineato il fatto che il collegamento tra il presunto trono e la statua di Claudio (o anche, eventualmente, con quelle di Tiberio o di Augusto 13 è del tutto arbitrario. La lavorazione trascurata della parte posteriore di questa statua 14 o almeno della sua testa, vi­sta la sua assai dubbia pertinenza al torso 15

, nonché le forti e intenzionali asimmetrie del volto calcolate per un preciso punto di vista, non permettono di ipotizzare altro che una visione frontale e probabilmente l'inseri­mento in una nicchia; niente di simile è pensabile invece per un monumento come quello sopra ricostruito che andava letto su tutti i lati 16

146-147. Base di Pozzuoli (foto Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta).

148-149. Base di Pozzuoli, particolari (foto Soprintendenza Ar­cheologica di Napoli e Caserta).

Risolti i principali problemi strutturali resta da esa­minare la questione dell'ordinamento secondo il quale sarebbero stati raffigurati i popoli etruschi sulle lastre che decoravano il monumento.

Il fatto che il nostro rilievo sia stato rinvenuto in associazione con un così importante ciclo di statue della famiglia imperiale, unito alla considerazione delle sue stesse caratteristiche, autorizza a considerarlo un do­cumento ufficiale e come tale sottoposto a canoni figu­rativi protocollari. Che in base a quanto resta, un quinto appena delle figure presumibilmente rappresentate, sia realmente possibile elaborare una proposta a riguardo, è altra questione, anzi si può essere piuttosto pessimisti se si fa il confronto con l'unico monumento paragona­bile al nostro, la base di Pozzuoli 17 (fìgg. 146-149). Que­st'ultima infatti ci conserva per intero la serie delle quattordici città dell'Asia Minore aiutate da Tiberio nel­la ricostruzione successiva ai terremoti che le distrus­sero; è copia, sia pure con adattamenti, di un documento ufficiale, ossia del basamento della statua colossale eretta in onore dell'imperatore nel foro di Cesare a Roma, sta­tua che ci è nota sia da fonti letterarie che numismati­che 18

; si presenta perciò alla nostra lettura in condi­zioni incomparabilmente migliori del rilievo di Caere . Eppure nonostante ciò non è possibile riconoscervi alcun evidente ordinamento delle città raffigurate 19

Ma passiamo a esaminare le due ipotesi avanzate ri­guardo ali' ordine di raffigurazione dei popoli del rilievo cerite, ipotesi che dobbiamo confrontare con quanto s'è potuto ricostruire del monumento cui era pertinente.

La prima, formulata dal Bormann 20, proponeva di

riconoscere in base ai nomi conservati, da destra a si­nistra T arquinienses - Volcentani - Vetulonenses, un or­dinamento alfabetico basato sulle iniziali dei toponimi 21

L'ordinamento alfabetico è effettivamente utilizzato in un limitato numero di documenti d'età imperiale e anzi s'è anche proposto come responsabile diretto o indiretto di questo criterio Varrone 22

In particolare i testi più interessanti, in quanto me­glio confrontabili col nostro caso, sono l'elenco dei cd. populi Albenses 23

, l'elenco delle città coalizzate contro Roma prima della battaglia del lago Regillo 24 e la di­scriptio I taliae augustea conservataci nel settore geogra­fico dell 'opera di Plinio il Vecchio 25

• In tutti questi casi notiamo appunto che l'ordine alfabetico (digestio in lit­teras 26

) è limitato alle sole iniziali, il che spiegherebbe l'inversione Volcentani - V etulonenses. Purtroppo la ri­costruzione proposta dal Bormann 27 in base a questo cri-

150. Ricostruzione ipotetica della disposizione dei popoli Etru­schi sul monumento secondo l'ordine alfabetico.

terio è da rifiutare in quanto la lista dei popoli etruschi da lui compilata è oggi superata . Né la situazione mi­gliora se proviamo a coniugare il criterio di Bormann con la lista che, su basi più solide anche se ancora in parte ipotetiche, ha proposto Torelli 28

, tanto più che nella no­stra ricostruzione non possiamo porre personificazioni di città sulla lastra che si congiunge ad angolo retto col frammento rimastoci poiché, come s'è detto, questa do­veva avere uno spessore abbastanza esiguo. Adattando la lista proposta da Torelli all'ipotesi di Bormann avremmo una sequenza che inizia in un punto privo di risalto su una lastra posta sul retro del monumento e che, com­piuto il giro, andrebbe a terminare sulla stessa lastra in un punto non molto più significativo (v. schema fig. 150).

Scartata dunque la prima ipotesi passiamo a esa­minare quella formulata nel recente contributo di Torelli appena citato.

L'idea è quella di riconoscere nella serie T arqui­nienses - Volcentani - V etulonenses un ordinamento di periplo. La prima difficoltà da risolvere è la mancata menzione di Roselle tra Vulci e Vetulonia spiegabile, se­condo l'autore, ricorrendo a una lista arcaica in cui Ro­selle non sarebbe stata compresa in quanto messa econo­micamente in ombra dalla vicina e potente Vetulonia. L'argomento è interessante, ma non spiega quale sarebbe stato poi effettivamente il posto di Roselle nel rilievo cerite, visto che comunque la città sarebbe stata inclusa nella lega d'età imperiale, allargata a quindici popoli. Inoltre se si accetta questa spiegazione si pone il pro­blema analogo della presenza di Pisa e di Populonia, la cui ascesa in epoca più recente è nota. In particolare per Populonia esiste un'esplicita attestazione che la esclude dall'originaria lista dei populi Etruriae 29

• Più semplice quindi sarebbe pensare che Roselle si trovi elencata su­bito dopo Vetulonia in quanto era questo l'ordine con cui le due città si presentavano al navigante che entrava nel Lacus Prile presso Salebro, l'ordine dunque degli antichi portolani 30

Non è questa però la difficoltà principale: va osser­vato infatti che con un ordinamento di periplo possiamo elencare da sud a nord, con il ritocco di Roselle, solo una metà delle città della lega: Caere, T arquinii, Volei, Vetulonia, Rusellae, Populonia, Pisae; le altre otto città più interne secondo quale ordine sarebbero state elen­cate? Se prendiamo ad esempio il sistema usato da Plinio 31 dovremmo pensare che dopo Pisae si sia ricorso all'ordinamento alfabetico. La lista pliniana è però un confronto con il quale il nostro rilievo non può avere

14. Volaterrani

13. Veientani

12 . Vetulonenses ......

15. Volsinienses

1. An·etini

2. Caereta ni

3. C lu sini

4. Co 1· tone11ses

5 . Faesulani

6. Perus i11i

7. Pisani

8. Populonen sc

9. Rusellani ~~: ;:~:eu~~~::ses il·!·,..:------. 15

diretta parentela: l'ordinamento delle città rappresentai sul rilievo, infatti, sembrerebbe procedere da sud vers nord mentre Plinio elenca le città in senso opposto, pc nendo inoltre tutte e tre le città raffigurate sulla last1 cerite tra quelle dell'interno e per di più in un ordine d verso: Tarquinia ( ... ) Vetulonia ( .. . ) Vulci. Allo stes~ modo anche Strabone e Tolomeo collocano le tre ciu tra quelle dell'interno 32

Resta infine da chiedersi dove fosse collocata sul mi numento la raffigurazione di Caere. Se adottiamo la stru tura sopra ipotizzata dovremmo porre Caere all'estrem i1 anteriore della lastra opposta a quella conservata e pe1 sare che, partendo da questa, senza considerare la facc anteriore del monumento, priva come s'è detto di rilie' si continuasse con Tarquinia fino a terminare il giro su l stessa lastra di Caere (v . schema fig. 151); un ordi n mento, dunque, di cui sfuggirebbe la logica come nel Cl '

sopra esaminato dell'ipotesi di Bormann. Per aggirare l'ostacolo dovremmo pensare che Ca(

non fosse raffigurata nella sequenza in quanto il mon mento, posto in questa città, avrebbe mostrato solo ~ altri quattordici popoli della lega, ipotesi ad hoc dii cilmente sostenibile che non sembra avere altra giu s1 ficazione che quella di eludere il problema: sarebl assai più logico attendersi il contrario, ossia un partic lare risalto accordato alla personificazione dei Ceretani

Come si vede quindi anche seguendo la teoria di t

ordinamento geografico ci si addentra in una serie t ;

di difficoltà da rendere la strada impraticabile, cosiccl sembra più onesto rinunciare a costruire altre ipotL su elementi tanto ridotti.

151. Ricostruzione ipotetica del monumento secondo l'ordine di periplo integrato con quello alfabetico.

6. Populonenses

5. Rusellani

4. Vetulonenses

7. Pisani

8. A rret ini

9. Clusini

10. Cortonenses

11. Faesulani

12. Perusini

J 3. Veientani

14. Volaterrani

~: ;::.::~:~::1ses 1:·:1:r-!----~ 15. Volsinienses

1.Caeretani

151.

Esaurite le questioni più strettamente legate alla immediata lettura del rilievo, bisogna cercare di inserire il monumento cui apparteneva in un contesto più am­pio evidenziando le connessioni non solo tipologiche, ma anche ideologiche e storiche che lo rendono cosl signi­ficativo come documento della sua epoca.

Va intanto osservato che rilievi con raffigurazioni di statue non sono rari nel mondo romano, ma anzi esi­stono vari altri esempi coevi: oltre alla base di Pozzuoli, si possono citare anche un rilievo da Falerii Novi del Museo Gregoriano Profano, la nota ara degli Uffizi, il rilievo con Venere, Marte e il Divus I ulius del museo di Algeri, probabile riproduzione di un gruppo statuario cultuale nel tempio di Marte del Foro di Augusto, una base triangolare del Louvre e un nucleo di lastre Cam­pana 33

Da un punto di vista strettamente iconografico le statue riprodotte nel rilievo non mostrano caratteristiche che le differenzino in maniera particolare dagli schemi più collaudati, e d'altronde hanno alle spalle la conso­lidata tradizione ellenistica delle tychai di città. Si po­trebbe anzi notare che la figura dei Vetulonenses ripete un tipo già utilizzato come personificazione: sulla base di Pozzuoli Tmolus è raffigurata nelle vesti di un Dio­niso, vestito solo di una nebride gettata sulla spalla, nella stessa posizione col braccio destro alzato, con una pianta di vite al posto del pino e ovviamente senza il remo (fig. 149).

Non ci si deve però limitare alla ricerca di puntuali confronti iconografici, ma vanno invece esaminate le testimonianze di altri monumenti che, sia pure con nu­merose differenze, presenta!lo tutti la caratteristica es-

senziale di riunire una serie di personificazioni di popoli o città attorno all'imperatore.

Tra tutti il più vicino al monumento cerite è la già citata base di Pozzuoli. Questa , come s'è detto 34

, si rifà a un monumento romano con il colosso di Tiberio attor­niato da statue di città personificate realizzato dopo il terremoto del 17 ma entro il 22-23, quando il colosso dell'imperatore è raffigurato in un sesterzio con la dici­tura civitatibus Asiae restitutis. La base doveva soste­nere una statua dell'imperatore, probabilmente diversa dal colosso romano. Sulla faccia principale è l 'iscrizione dedicatoria inquadrata tra le personificazioni di Sardi e di Magnesia, le città che maggiormente avevano sublto i danni del terremoto e che quindi avevano ricevuto l'aiuto imperiale più consistente; sugli altri tre lati si di­spongono le altre dodici personificazioni, tutte identifi­cate dalle iscrizioni incise sul listello di base.

Passando alle province settentrionali va invece consi­derata l'ara di Lione, un momento essenziale nel quadro della riorganizzazione augustea delle Gallie. Strabone ce la descrive posta nel santuario dedicato ad Augusto che sorgeva appena fuori Lugdunum, alla confluenza del Ro­dano e della Saona. Si trattava di un altare con iscritti i nomi dei sessantaquattro popoli celtici e le statue di ciascuno di essi 35 Era stato consacrato a Roma e ad Augusto da Druso il primo agosto del 12 a. C. 36 e ogni anno, nella stessa data, si riuniva in quel luogo il consi­glio dei popoli celtici per solenni celebrazioni 37

La documentazione molto più avara ci impedisce di fare affermazioni recise, ma è forse pensabile che qual­cosa di analogo potesse avvenire per i popoli della Ger­mania attorno all'Ara Ubiorum 38

Sia a Roma (e a Pozzuoli) che a Lione ritorna dun­que la stessa immagine e la stessa idea, pur nelle diffe­renze di dettaglio: la presentazione cioè dell'imperatore come polo di aggregazione e momento unificante di co­munità, costituite da popoli o città, accomunate in unità più vaste da legami culturali e di sangue 39

Se si fa il raffronto con la situazione della lega etru­sca e con il monumento ceretano è evidente che il le­game tra le città dell'Asia Minore era quasi casuale, mo­tivato dalla comune disgrazia, e molto tenue doveva es­sere quello intertribale nelle province settentrionali, mentre quello tra le città etrusche aveva radici storiche molto più profonde e vitali e tra l'altro ci è meglio do­cumentato a causa della vicinanza di questa regione a Roma e della provenienza da essa di molti personaggi legati alla casa imperiale o comunque partecipi in qual-

che misura della gestione della cosa pubblica. Tuttavia è innegabile la somiglianza della soluzione che sembra aver goduto di una certa fortuna in quanto mi pare vada riconosciuta anche in un monumento di un secolo posteriore, nelle raffigurazioni cioè delle province del tempio del Divo Adriano a Roma, dedicato nel 145 da Antonino Pio 40

Bisogna quindi concludere per analogia che anche la figurazione presente sul monumento cerite va letta nel contesto del culto imperiale. Il messaggio trasmesso at­traverso il rilievo risulta allora chiaro: i quindici po­poli della rinnovata lega etrusca ritrovano la loro unità raccogliendosi per rendere onore all'imperatore.

Se quanto s'è detto serve a mostrare come, pur par­tendo da situazioni storiche molto particolari e da an­tiche tradizioni italiche, sia possibile identificare nella propaganda imperiale schemi ed elementi impiegati an­che nelle province, resta da sottolineare il processo in­verso , cioè come la rivalutazione politica dell'antiquaria e delle tradizioni etrusco-italiche e la particolare atten­zione della casa giulio-claudia verso gli antichi centri della penisola 41 non abbia interessato unicamente l'Ita­lia, cogliendosene echi anche nel resto dell'impero.

Converrà partire da un passo di Tacito forse non sufficientemente valorizzato. Nel 26 d. C. undici città dell'Asia Minore per mezzo dei loro legati si disputano di fronte all'imperatore l'onore di erigergli un tempio vantando l'antichità della loro stirpe e la loro fedeltà a Roma. Vengono scartati i vari pretendenti fino a re­stringere la scelta tra Sardi e Smirne. Sarà quest'ultima a prevalere, ma è interessante ascoltare le ragioni di Sardi: « Sardiani decretum Etruriae recitavere ut consanguinei: nam Tyrrhenum Lydumque Atye rege genitos ob mul­titudinem divisisse gentem; Lydum patriis in terris rese­disse, Tyrrheno datum novas ut conderet sedes; et du­cum e nominibus indita vocabula illis per Asiam, his in Italia; auctamque adhuc Lydorum opulentiam in Grae­ciam populis, cui mox a Pelope nomen » 42

Si tratta dunque di un decretum della lega etrusca, che istituisce un rapporto di parentela tra i due popoli in base alla ben nota tradizione tramandata da Erodoto 43

,

e ripetuta in quell'epoca da Strabone 44 e Dionigi di Alicarnasso 45

, sull'origine lidia degli Etruschi, secondo una versione che non era certamente l'unica esistente, ma che a quanto pare era per lo meno la più seguita, se non proprio quella « ufficiale ». Quanto alla datazione di questo documento è stato proposto di collocarlo in un periodo anteriore alla sottomissione romana delle

città dell'Etruria 46, ma è un giudizio difficilmente ac­

cettabile. È verosimile che il terremoto del 17 47 non avesse distrutto gli archivi di Sardi e questi, d'altronde. dovevano contenere documenti di una certa antichità, in quanto gli stessi rappresentanti della città oltre che al decretum Etruriae si richiamavano anche a litterae im­peratorum evidentemente d'età repubblicana, nonché al­l'alleanza in occasione della III guerra macedonica, ma sembra improbabile pensare a relazioni di questo tipo per un'epoca che dovrebbe risalire al più tardi alla prima metà del III sec. a. C. Considerando invece il carattere antiquario di questo recupero e il riecheggiamento dell a stessa tradizione in epoca augustea da parte di Strabone, di Dionigi e perfino di Virgilio 43

, giudicherei molto più verosimile una collocazione del decreto in quest'epoca, al momento della rinascita della federazione etrusca vo­luta dall'imperatore.

A questo decreto vanno inoltre accostate altre due testimonianze relative anch'esse a Sardi. Torniamo an­cora alla base di Pozzuoli: Spinazzola in un vecchio con­tributo 49

, sottoponendo questo monumento a un at­tento esame, riconsiderava anche la personificazione di Sardi e l'iscrizione al di sotto di essa. Il rilievo, posto sul lato principale accanto alla dedica a Tiberio, mostra una figura femminile con lungo chitone che posa la mano de­stra sul capo di un fanciullo al suo fianco e sostiene con il braccio sinistro un elemento sfigurato da un danno e di assai difficile lettura (una cornucopia? un bambino?) (fig . 152). Sotto di essa è l'iscrizione alquanto danneggiata Sa[ rde ]s preceduta e seguita da altre lettere di incerto significato, per lo meno nella lezione riportata in CIL X 1624. Spinazzola riuscì a migliorare la lettura e a inte­grarla in [Tyr ]rhenia. Sa[ rde ]s. Peloponnesos. Colle­gando la sequenza al passo di Tacito sopra citato poté proporre una nuova interpretazione molto attraente: il fanciullo alla destra di Sardi sopra alla parola [Tyr ]rhe­nia non sarebbe né Ploutos, né Trittolemo, né il elio locale Tylos 50, ma, in maniera assai più convincente. Tyrrhenos fanciullo, il futuro fondatore dell'Etruria, o meglio della Tyrrhenia, partito da Sardi di cui quindi può figuratamente essere considerato figlio, mentre l'ele- ; mento sorretto sul braccio sinistro sarebbe il piccolo i

Pelope, anch'esso di origine lidia, secondo almeno quell a : parte della tradizione recepita dal decretum, che avrebbe in seguito dato il nome al Peloponnesos.

Il monumento romano da cui deriva la base è data- . bile come s'è detto 51 dopo il terremoto del 17, ma en-

' ' tro il 22-23, un momento dunque solo di pochi anni

152. Base di Pozzuoli, particolare con la personificazione di Sardi (foto Soprintendenza Archeologica di Napoli e Ca­serta).

152.

anteriore alla disputa per 1 'erezione del tempio impe­riale, che riflette coerentemente e in maniera molto chia­ra la stessa politica di Sardi, città capace di adeguarsi abilmente alla propaganda romana.

L'ultimo tassello di questo piccolo mosaico lo si ha osservando il nome di un personaggio di spicco di Sardi , nominato fugacemente a proposito di torbidi scoppiati in questa città in un momento non meglio precisabile tra l'età di Claudio e quella di Traiano: si tratta ancora una volta di un Tyrrhenos che non è troppo azzardato so­spettare di tendenze filoromane, visto che è colpito dal­l 'odio di un tal Pardalas, che arrivò a suscitare un'in­surrezione a Sardi domata nel sangue dall'intervento romano 52

. Evidentemente anche nella scelta dei nomi

personali la classe dei notabili di Sardi m quest'epoca era influenzata dal clima politico.

In possesso ormai di un quadro di riferimento più definito è possibile ritornare al problema dell 'interpreta­zione del monumento cerite.

Come s'è detto le due alternative che si proponevano al termine dell'analisi strutturale erano di vedervi una base o un'ara. Le considerazioni e i confronti sopra esposti, uniti alla presenza della piccola scena di sacri­ficio sulla faccia posteriore della lastra, credo autorizzino a vedere in questo monumento un'ara per il culto impe­riale 53 e un ultimo indizio in questo senso può ricavarsi da un riesame del complesso del materiale dei due scavi ceretani del 1840 e 1846, che prescinda dalle vecchie ipotesi accolte ormai nella vulgata, ma in realtà non suf­ficientemente motivate.

Consideriamo separatamente i due nuclei. I mate­riali del 1840 sono molto coerenti: tutti ritratti di per­sonaggi della famiglia imperiale giulio-claudia oltre na­turalmente al nostro rilievo. Molto più eterogeneo tipo­logicamente e cronologicamente è il nucleo dei reperti del 1846. In esso si mescolano sculture ornamentali (i due sileni dormienti, l 'Apollo tipo Anzio 54

, la testa for­se di un altro Apollo 55

, la testa perduta di Eracle, la base rotonda con Pan e Ninfe), monumenti ufficiali (la testa colossale di Augusto), dediche a personaggi della famiglia imperiale e infine elementi che sembrano ri­mandare all'ambito privato (il cd. Caligola e il cd. Bri­tannico). Inoltre uno sguardo al materiale epigrafico mo­stra come questo si distribuisca variamente in un arco di tempo abbastanza vasto nonostante il numero relativa­mente ridotto delle iscrizioni 56

. Va poi ricordato che non solo i due rinvenimenti avvennero in terreni differenti, ma anche che, mentre le sculture dello scavo 1840 fu­rono rinvenute fuori posto ammassate in un ambiente sotterraneo, sembra dalle relazioni che quelle del 1846 siano state trovate sostanzialmente in situ 57

• Per i rinve­nimenti del 1846 si ha dunque l'impressione di scavi di­sordinati che, oltre al teatro, abbiano interessato strut­ture di diverso tipo e destinazione.

Per la collocazione originaria delle statue del ciclo di ritratti imperiali invece non abbiamo nessun elemento che ci orienti verso la tradizionale ipotesi della loro de­stinazione teatrale e neanche l'ambiente sotterraneo in cui furono rinvenute pare avere niente a che fare con il teatro. Questa attribuzione fu formulata all'epoca dello

scavo dal Grifi ed è stata accettata senza che fosse possi­bile sostenerla con un qualsiasi indizio 58

In mancanza di altri elementi sarebbe a mio giudizio molto più verosimile e normale riferire le statue impe­riali in via di ipotesi all'augusteum di Caere del quale abbiamo probabile menzione come templum divorum in una epigrafe del 113 d. C. 59

Trovare dunque un'ara per il culto imperiale con le personificazioni dei componenti della lega etrusca nel-1' augusteum di una delle più gloriose città etrusche, la più vicina a Roma per geografia e storia, mi sembra un fatto del tutto logico e coerente cosicché direi che le due ipotesi, quella del templum divorum e quella dell'ara, pure indipendenti l'una dall'altra, si sostengono e si com­pletano a vicenda: separando i rinvenimenti del 1840 da quelli del 1846 si recupera il vero senso dei primi e il legame non episodico che esiste t ra i ritratti impe­riali e il rilievo, legame sentito fin dalla prima scoperta, ma finora non sufficientemente messo a fuoco.

Prima di concludere questo contributo ritengo sia necessario affrontare un'ultima questione, quella del mo­dello ispiratore della nostra ara . Il raffigurare sul ri­lievo personificazioni accostate paratatticamente e poste su basi non credo possa essere interpretato altrimenti che come una « citazione », cioè come un rinvio a scul­ture realmente esistenti UJ .

Di fronte a questa constatazione sono possibili due soluzioni. La prima consiste nel ritenere che le personi­ficazioni sul rilievo derivino da singole statue poste in ciascuna delle città della lega come simbolo delle rispet­tive comunità civiche. Questa teoria si scontra però contro una serie di difficoltà. Innanzitutto si dovrebbe pensare a una uniformità davvero notevole nei costumi civici, che abbia portato ciascuna delle quindici città a erigere una statua di equivalente significato politico.

In secondo luogo è difficile immaginare concreta­mente il modo in cui il committente e lo scultore del rilievo avrebbero potuto progettare e realizzare l 'opera. Oltre infatti a dover immaginare un committente dotato di una discreta erudizione, che conoscesse l'esistenza nelle varie città delle statue delle personificazioni, an­drebbe presupposta o una conoscenza diretta dei proto­tipi da parte dello scultore, il che sembra poco verosi­mile data la loro dispersione per tutta l 'Etruria , oppure un accordo tra le quattordici città di inviare a Caere un cartone raffigurante il proprio simulacro, il che comporta un impegno davvero sproporzionato alle dimensioni e al-

l'importanza del monumento. D 'altronde non sembr.1 pensabile che si fosse trattato di personificazioni larg.1 -mente conosciute e d'impiego usuale e consolidato tanw da rientrare nel bagaglio figurativo dello scultore, coml' potrebbe essere per esempio il caso della lupa con i ge­melli per Roma.

Infine si potrebbe obiettare che, di fronte alla precis:1 volontà di citazione da parte del committente e dello scultore, non sarebbe stato possibile che il fruitore ri ­conoscesse altro che una piccola parte delle personifica­zioni, quelle cioè visibili nella sua città e nei centri vi ­cmi.

Si avrebbe insomma un divario tra le ridotte dimen­sioni del monumento cerite e il livello non molto ele­vato della sua realizzazione da un lato, l'impegno ri­chiesto per la sua progettazione e l 'importanza dei mes­saggi e dei significati di cui è carico dall'altro.

Resta dunque un'altra e assai più interessante pos­sibilità. Si potrebbe cioè pensare che si tratti di un caso simile a quello della base di Pozzuoli e che il ri­lievo cerite possa derivare da una serie di statue dedi­cate dalle città etrusche 61 a Roma o eventualmente in un luogo di particolare importanza per la lega 62

, ma ve­rosimilmente sempre in un contesto legato al culto im-periale. ..

Non solo si verrebbe allora a colmare il divario so­pra rilevato tra impegno progettuale e importanza del­l'opera, ma ci si troverebbe dinanzi alla « citazione » d i un intero complesso, il che farebbe passare in secondo piano agli occhi del fruitore la riconoscibilità dell 'ico­nografia della singola statua rispetto a quella dell 'insieme delle figure.

Nel quadro di tale ipotesi è possibile valorizzare al­cuni dettagli ai quali forse non si è prestata sufficiente attenzione e che risultano evidenti, per contrasto, nel raffronto con la base di Pozzuoli. Questa infatti è oper.i di uno scultore certamente più abile, che probabilmente si comporta con una certa libertà nei confronti del suo modello ; è difficile infatti definire quanto dell'immagine che questa base ci trasmette sia già presente nel proto­tipo e quanto sia invece dovuto al copista, che ha dovuto tradurre in due dimensioni un monumento tridimensio­nale. In ogni caso l 'effetto che ne risulta è di una inte­grazione reciproca tra le varie figure e la trasposizione risulta così ben riuscita che difficilmente si sarebbe ri­conosciuta la derivazione da un originale statuario in mancanza delle iscrizioni.

Ben diversa è la prospettiva dello scultore del rilievo cerite, la cui attenzione è assorbita proprio da quei particolari che rimandano all'origine statuaria del proto­tipo. Le figure sono poste su piedestalli oppure, come nel caso della personificazione dei Vetulonenses, in una nicchia che potrebbe essere letta come parte della cor­nice architettonica in cui si inquadrava la dedica pane­trusca. La didascalia che identifica ogni personificazione non è «fuori campo», come nella base di Pozzuoli, ma è inserita nella figurazione, sulla base della statua o, se collocata sul listello di base, come nel caso dei Vetu­lonenses, isolata entro una tabella. Il kyma lesbico che incornicia il rilievo si interrompe bruscamente sul mar­gine inferiore per non interferire con i basamenti delle statue (e perfino con l'ara del piccolo sacrificio sul retro) e per evitare di rappresentarli staccati da terra , con uno sforzo di realismo piuttosto ingenuo e goffo. Le basi delle statue sono inoltre sfalsate tra di loro e ogni figura mantiene gelosamente la propria autonoma individualità, senza rispettare neanche 1 'uniformità delle dimensioni (si noti soprattutto la figura del T arquinienses più pic­cola delle altre due). Infine l'amorino volante che so­stiene le ghirlande, che a un primo esame potrebbe

I L. CANINA, Bulllnst 1840, pp 92-94; BRAUN, 1842, pp . .37-40, tav. d'aggiunta C: C. CwEDONI, Bulllnst 184.3, p. 174; GRIFI, 1855, pp . .32.3, .327; G. DENNIS, Bulllnst 1847, p. 9.3; CANINA, 1846, pp. 28-.34, tav. II, incisione sul frontespizio; GARRUCCI , 1861, pp. 19-2.3, tav. X; BENNDORF-SCHONE, 1867, p. 1.30, n. 212; BORMANN, 1887, pp. 104-107, 124-126; CIL XI .3609; P. GARDNER, Countries and Cities in Ancient Art, ] HS IX, 1888, p. ì1; HELBJG, 1963, n. 650 (Il ed. 1899, n. 677; III ed. 1912, n. 117.3); ]. MARTHA, in C. DA­REMBERG - E. SAGLIO, Diction11aire des antiquités grecques et romaines II 1 (1892), p. 823, fig. 2771, s. v. Etrusci; SORDINI, 1894, pp. 1.3-15 ; \YJ. R. von HARTEL - F. WICK.liOFF, Die wiener Genesis, Prag-Wien­Leipzig 1895, p. 41 = F. \YJ1cK.liOFF, Schriften III, Berlin 1912, p. 81; L. A. MILAN!, Museo topografico dell'Etruria, Firenze-Roma 1898, fig. a p. 19 ; I LS 6576; L. A. MILAN!, Il Regio Museo archeologico di Firenze, I , Firenze 1912, pp. 18, 332, nota 16, fig. 1; O. WASER, in W. H. ROSCHER, Ausfiihrliches, Lexikon der griechischen und romischen Mythologie, V (1916), col. 109, s. v. Tarchon; MARUCCHI, 1922, p. 36, n. 361; STRONG, 1923, pp. 94·95, fig. 66; Ross TAYLOR, 1923, pp. 232-23.3; M. PALLOTTINO, RendLinc s. VI, voi. VI, 1930, pp. 66-67, fig. 6; R. MENGARELLI, Caere e Roma in base alle scoperte archeologiche antiche e agli scavi recenti, Atti II Congresso Nazionale Studi Ro­mani I, Bologna 19.34, tav. XII, 6; M. PALLOTTINO, Tarquinia, MonAL XXXVI, 1937, col. 236; GIULIANO, 1957, p. 34, tav. 23; S1MON, in HELBJG, 196.3, p. 757, n. 1054; ScuLLARD, 1967, pp. 140, 283-284; Lrnu, 1969, p. 91; n. 4, p. 96 e tav. a fronte; TORELLI, 1985, pp. 38-40, tav. I (TORELLI, 1987, pp. 97-115); CRISTOFANI, 1985, p. 161; P. LI­VERANI, Civiltà degli Etruschi, Milano 1985, p. 257, n. 9.22; M. PAL­LOTTINO, Storia della prima Italia, Milano 1984, p . 198, tav. XXXV; Gli Etruschi di Tarquinia, Milano 1986, p. 38, n. 1, fig. 15 (scheda non firmata); TORELLI , 1987, pp. 12-13; M. FUCHS, supra, scheda n. 1.

Parte di una quarta personificazione pare sia stata rinvenuta, ma non sembra ~ia stata acquistata per il Museo del Laterano ed è ora

154

sembrare l'unica aggiunta del copista al suo modello, vista la preoccupazione di una fedeltà quasi « fotogra­fica » che anima lo scultore, potrebbe invece essere letto come trasposizione di elementi della decorazione archi­tettonica della struttura in cui era posto il « donario », come già è sembrato possibile per la nicchia dei Vetu­lonenses.

Qualora si accetti questa ricostruzione sembrerebbe di poter concludere che il complesso di statue da cui il rilievo deriva, pur nascendo da un unico progetto ma­turato all'interno della logica del culto imperiale, sa­rebbe il frutto di una serie di commissioni contempo­ranee, ma indipendenti, da parte di ciascuna delle città della lega privo dunque di una concezione unitaria.

In definitiva mentre nella base di Pozzuoli l'inten­zione era quella di rinviare direttamente all'atto munifico compiuto dall'imperatore, senza passare per la media­zione del monumento che è servito da modello, nel caso del rilievo cerite all'intenzione di onorare l'imperatore si sovrappone una commemorazione di secondo grado, se così si può dire, il ricordo, cioè, del monumento tra­mite il quale la lega etrusca già aveva reso questi onori in forma più solenne.

dispersa, cfr. L. CANINA, Bulllnst 1840, p. 94: «un piccolo frammento d'alcuna delle figure ch'erano scolpite negli altri Iati si è diggià rin­venuto»; GRIFI, 1855, p. 327: «che i bassorilievi fossero per ornare le quattro bande di un'ara oltre alla fattura loro, era consolidato da un frammento uguale al già ritrovato»; Rapporto Commissione AA.BB.AA. del 22.4.1840: «s'è trovato un altro frammento di figura a queste [le altre tre personificazioni] simili»; cfr . SANTORO, supra, p. 5).

2 CANINA, Bul!Inst 1840, pp. 92-9.3; BRAUN, 1842, p. 37; GRIFI, 1855, p. 282.

3 CANINA, 1846, tav. II.

4 BoRMANN, 1887, pp. 10.3-126. Va segnalato però anche SORDINI, 1894, pp. 14-15, nota 1, che, respingendo l 'ipotesi di Canina, già rico­struiva una lastra con cinque figure e proponeva di riconoscervi un ordinamento geografico.

s SJMON in HELBIG, 1963, n. 1054; To1<.ELLI, 1985, p . .39.

6 Tracce del genere non sono insolite e per esempio possono essere rilevate sul margine superiore dei rilievi della Cancelleria o dell' « Ara dei Vicomagistri »: dr. F. MAGI, I rilievi flavi del Palazzo della Can­celleria, Roma 1945, fig. 4 (A3 sopra), 5 (B3 sopra); Io., in G. LIPPOLD, Die Skulpturen des Vaticanischen Museums III, 2, Berlin 1956, p. 505; P. LIVERANI, Ancora sulla ricostruzione dell'« Ara dei Vicomagistri », BMonMusPont VIII, 1988, pp. 5-19.

7 !. improbabile che l'aumento da 12 a 15 del numero dei membri della lega etrusca sia avvenuto in età posteriore a quella giulio-claudia, condivido le argomentazioni di M. TORELLI, Per la storia dell'Etruria in età imperiale, RivFil 99, 1971, pp. 489-501.

8 Quando avevo già steso l 'essenziale del presente contributo ho avuto il piacere di constatare, nel corso di un casuale scambio di idee, una sostanziale identità di vedute su questa ricostruzione col prof. T. HéiLSCHER, che ha affrontato il problema in un articolo - Beobach­/1111gen :.u romischen historische11 Denkmiilern III, AA 1988, pp. 528-530, del quale ho potuto prendere visione in anticipo grazie alla cortesia dell'Autore.

9 Elenco e misure in HERMANN, 1961.

to Cfr. supra, nota 3.

li PouLSEN, 1951, pp. 88-89, n. 93; N. BoNACASA, ArchCl XIII, 1961, p. 137, tav. LXVI; probabilmente è una copia della statua crisoelefantina eseguita da Trasymedes per il tempio di Epidauro.

t2 TORELLI, 1985, p. 39, alla cui bibliografia aggiungi adesso anche R. CoHON, Boreas 8, 1985, pp. 92-104; M. E. M1CHELI, Boreas 10, 1987, pp. 63-80.

13 Per la presenza di una statua di Augusto cfr. supra, pp. 4 ss.

t4 Come di quasi tutte le altre: l 'unica statua del gruppo che sembra destinata a una visione ~a ogni lato è quella acefala loricata, scheda n. 5, che mostra un alto livello e una grande accuratezza d'ese­cuzione anche sul retro.

1s Cfr. rnpra, p. 137.

t6 Si potrebbe infine aggiungere un'ultima osservazione: la statua di Claudio non sembra separabile dalle altre e dal programma di glori­ficazione dinastica, mentre un trono siffatto e un cosl forte accento sul legame tra Claudio e la quindecapoli stonerebbe col disegno gene­rale e con la parallela proposizione delle statue di Augusto e Tiberio, presentate in atteggiamenti simili e complementari a quello della statua di Claudio.

t7 O. JAHN, Vber die puteolanische Basis, Berichte siichs. Ge­sellschaft III, .1851, pp. 119-151; CIL X 1924; SPINAZZOLA, 1902; J. SJEVEKING, m H. BRUNN - F. BRUCKMANN, Denkmiiler der griechi­scher tmd romischer Sculptur, Berlin 1906, tav. 575; L. MARIANI, in A. RuESCH, Guida illustrata del Museo Nazionale di Napoli, Na­poli s.d. (1908), pp. 22·24, n. 82 (inv. 6780); STRONG, 1923, pp. 93·94, tav. XVIII; C. T. SELTMAN, CAH plates IV, Cambridge 1934, p. 138 b; HANFMANN, 1978, pp. 180-181, fig. 472; C. C. VERMEULE, The Basis /rom Puteoli: Cities o/ Asia Minor in ) ulio·Claudian ltaly, in Coins, Culture, a11d History in the Ancient World, Studia in honorem B. L. Trel/, Detroit 1981, pp. 85-101; FROVA, 1961 , pp. 188·189, fig. 142; P. MtNGAZZJNJ, La datazione della base di Pozzuoli, RM 83, 1976, pp. 425-429, tavv. 148-149; T . HéiLSCHER, Staatsdenkmal und Pu­blikum, Xenia 9, Konstanz 1984, p. 32, fig. 55; R. AMEDICK, Friihkaiserxeitliche Bildhauerstile im alten Rom, Rheinfelden 1987, pp. 17-19 , fig . 5; C. GtALANELLA - V. SAMPAOLO, Pozzuoli, in AA.VV., I Campi Flegrei, Napoli 1987, p. 236, fig. 86.

ts La statua è menzionata da Phlegon Trallianus, F.Gr.Hist. II B, fr. 36, XIIJ ed è raffigurata in un ~esterzio del 22/23 d.C.: MATTJNGLY, 1976, I, p. 129, nn. 70-73, tav. 23, 16, pp. cxxxm-cxxx1v ; conio ripristinato da Tito, ibid. II, p. 285, n. 282-283, tav. 54, 10. Cfr. S. B. PLATNER - T. AsHBY, A Topographical Dictionary o/ Ancient Rome, London 1929, pp. 226-227, s. v. Forum Iulium ; L. POLACCO, Il volto di Tiberio, Padova 1955, pp. 34-35; D. MAGIE, Roman Rute in Asia Minor, Princeton (New Jersey) 1950, I , p. 500; II, pp. 1358-1359, nota 23.

t9 Le città raffigurate su questa base sembrano sfuggire a ogni evidente ordinamento, non si può infatti applicare né quello alfabetico né quello geografico, mentre non sarebbe stato difficile elencarle se­guendo le valli dell'Hermus e dei suoi affluenti, lo Hyllus e il Cogamis, lungo i quali erano quasi tutte disposte (si veda A. H. M. )ONES, The Cities of the Eastern Roman Provinces, Oxford 1971 (Il ed.), carta Il, Asia Minor). Né maggior successo si ha con la stessa lista nella ver­sione di Tacito (Ann. II 47), priva ovviamente di Efeso e Cibyra che subirono il terremoto in un secondo tempo. Dal confronto delle due

155

versioni. della ~tessa lista emerge solo la preminenza di Sardi e: , M~gnes1a. ad. Stpyl~m, e!e_ncate ai primi due posti da Tacito 3 rnu­de1 ,?1a~gwn danni sub1tt. e raffigurate nella faccia anteriore ai I.i · dell 1scnz1one nella base d1 Pozzuoli.

20 BORMANN, 1887, pp. 103-126.

_2t L'ipotesi non è più stata ripresa successivamente ; TORt:J 1 r 198), p. 40 la scarta senza tentarne una puntuale confutazione.

22 L. W/. DALY, A Common Source in Earl)• Ro111a11 HiJf r,1 · A]Ph 8-1, 1963, pp. 68-71.

23 Plin. Nat. Hist. III 5, 69.

2~ Dion. Hai. V 61, 3.

25 . Nat. Hist. III 38-138; come è noto l'ordinamento alfabctic• non viene seguito per la . descrizione della IX e della XI regi on< Cfr. R. Tt;iOMSE!'1, The Italtc Regions, Kobenhaven 1947. Questo ord1 n~me~to e ,segua.o ~alvolta anche da Strabone, cfr. l 'elenco dei cent r mmon dell Etruna interna V 2, 9.

26 Plin. Nat. Hist . III 46.

27 Op. cit., p. 126.

28 TORELLI, 1985, pp. 37-53.

29 Serv. ad Aen. X 172.

30 CRJSTOFANJ, 1985, p. 162. Tale soluzione non sembra essei< stata accolta da TORELLI, 1987, pp. 12-13.

3t Nat. Hist. III 50-52.

32 Strabone (V 2) descrivendo !'Etruria segue molto liberamen1 , uno schema paragonabile a quello di Plinio: anch'egli infatti elenc. le città sulla costa da nord a sud e non considera città costiere m Tarquinia né Caere, mentre addirittura ignora Vetulonia. Tolome<' pur ordinando le città secondo le coordinate geografiche, distingu, quelle sulla costa tirrenica (Geogr. III 1, 4) da quelle dell'intern, (III l, 43) ed è tra queste che comprende le tre città del nostro rilie\'l>

,· 33 Sul fenomeno dei rilievi riproducenti statue cfr. STRONG, 192 '

p. 94; FROVA, 1961, p . 186 sgg. Rilievo da Falerii Novi: E. S1MON, i1 HELBIG, 1963, n. 1122 (inv. 2916); I. Dr STEFANO MANZELI .\ MemPontAcc. XII.2, 1979, pp. 94-95, n. 30, figg. 241·242 (m01t. d iscutibile G. HAFNER, RM 94, 1987, pp. 241·265). Ara dc!!! Uffizi: G. A. MANSUELLI, Galleria degli Uffizi, Le sculture, I , Rom. 1958, pp. 203-206, n. 205, fig. 198, a-d. Rilievo di Algeri: P. ZANKJ • Forum Augustum, Tiibingen 1968, pp. 19·20, fig. 47, n. 109: l l JucKER, in Mélanges P. Collart, Lausanne 1976, pp. 243·244 , fig. b Z. K1ss, L'iconographie des princes julio·claudiens a11 temps d'August I

et de Tibère, Varsovie 1975, pp. 28, 73, 158, figg. 22-23. Base triar golare del Louvre: H. DE V1LLEFOSSE - E. M1CHON, Musée du Loun c Catalog11e sommaire des marbres antiques, Paris 1922, p. 19, n. 35~ A. ALFOLDI, Die zwei Lorbeerbiiume des Aug11stus, Bonn 1973, p. 5-cav. XXVI, 2; H. R. GoETTE, AA 1984, pp. 575-585. Lastre Campan.1 P. HARTWIG, O}h 6, 1903, pp. 16·31; \ION ROHDEN - WIKNFELD, 19 11 po. 144·152, figg. 268·278, pp. 275, 280-281. 306·307, fig. 515, ta\' LXXXl.1, LXXXII-LXXXIII, CXLII.2, CXLIII.1-3 (con bibl.); J. S11 VEKJNG, Die Terrakotten der Sammltmg Loeb, Miinchen 1916, 11 pp. 56-57, fig. a p. 57, tav. 113; G. BENDINELLI, Studi i11 onore ., A. Calderini e R. Paribeni III, Milano 1956, pp. 557·563 (interpret .. zione come aedes Herculis Musarum, inaccettabile); C. C. VERMEL'Ll BM11sFA LXI, 1967, n. 342, pp 179-180, figg. 5-6 (da respinger l'interpretazione dell 'iscrizione Octavi sulla base di una statua d Hermes ivi raffigurata come indicazione di un ritratto di Ottavian. nelle vesti del dio. Si tratta invece evidentemente del nome del prt prietario della figlina, noto anche dal bollo CIL XV 2548 e da altt • lastre Campana (voN RoHDEN-WINNEFELD, 1911, pp. 20*, 133·134 B. M. FELLETTI MAJ, La tradizione italica nell'arte romana I, Rom 1977, pp. 281-282); forse ipotizzabile un rapporto con i numero­Octavii produttori di ceramica sigillata italica (A. OxÈ - H. CoMFORl

Corpus \lasomm Arretinorum, Bonn 1968, nn. 1157-1165); inverosi­mile per ragioni di cronologia un collegamento con l'omonimo produt­rore di Firmalampen (CIL XV 5683; B. BAILLY, CahLig 11, 1962, p. 113)); L. N1STA, Xenia 13, 1987, p. 41, fìg. 2.

Si vedano per un'epoca successiva le statue di divinità raffigurate sui candelabri Barberini dei Musei Vaticani (W. FucHs, in HELBIG, 1963. n. 143) o in età ancora successiva le raffigurazioni sui sarcofagi (cfr. P. KRANZ, ]ahresi.eiten-Sarkophage, Berlin 1984, nn. 6-7, 9, 21 , 23, tavv. 18.1-2, 15.2, 94.4, 10, 9.1).

3-1 Cfr. supra, p. 148 e nn. 17-18.

35 Strabo IV 3, 2: -r6 7E ltpòv 7Ò &.vcxSt !z0i:v i.rr:ò ;:Ò'.v7c..>V zowfl 7Wv I':xì.:x7r~Jv I\cdmxpL 7(> ~E~:Xa7<:> ;:pò 7cxu-:-r,; i'Spu7CXL •~ç ;:ò).Ewç id 7?, auµ~o).'ij -:c-;,v 7r07CX[J.wv· Ea7l SÈ ~c..>µÒ~ cif;t6).oyoç Èraypcxqi·ì;v Ézwv -:<~v i6v<7>v t;7}%ov-:ct 7Òv àpLOµòv xcd. et~6vtç -:oU-:-wv Éx&a-:ou µ(cx , zcxl &iJ.oç µfy:xc;.

Il numero di 60 popoli è probabilmente un arrotandamento; quello di 64 si ricava da Tac. A1111. III 44; Serv. ad Aen. I 286; Prol. Geogr. II 7-9.

36 Liv. epit. CXXXIX; Cass . Dio LIV 32; Suet. Claud. 2 (dà la data probabilmente erronea del 10 a.C.) .

37 Fonti in O. H!RSCHFELD, CIL XII, pp. 227-230; per i riscontri archeologici cfr. A. AUDIN, Essai sur la topographie de Lyon, Lyon 1956, pp. 152-154; R. TURCAN, L'Autel de Rome et d'Auguste 'Ad Confluentem ', ANRW Il 12.1 (1982), pp. 607-644. L'ara venne raf­figurata in numerose emissioni monetali giulio-claudie della zecca di Lugdunum: MATTINGLY, 1976 (II ed.), pp. 92-93, nn. 548-560, tav. 20,20; pp. 94-96, nn. 565-588, tavv. 21 ,1-2, 21,4-5; p. 127, nn. 62-6-l, tav. 26,10; p. 196, n. 227, tav. 37,10; p. 395, n. 587 bis.

38 Tac. Ami. I 39, 1; 57, 2; cfr. anche I 36, 1 (Ubior11111 oppi­dum). V. i commenti al tesro di Tacito di E. KOESTERMANN I , Heidel­berg 1963, p. 161 e F. R. D. GooDYEAR I, Oxford 1972, p. 27, nora 2; cfr. inoltre O. DoPPELFELD, Das romische Koln. I. Ubier-Oppidum und Colonia Agrippinensium, ANR\\7 II 4 (1975), pp. 720, 725.

39 Cfr. infine il gruppo di rilievi della collezione Della ValJe­Capranica, ora a Villa Medici, d'età claudia rilavorato in età tetrarchica. La frammentarietà di quanto ci è rimasto non permette di precisare l'interpretazione, ma sembra di poter riconoscere due province nelle figure femminili con corona turri ta che, assieme a personificazioni di­verse, rendono omaggio all'imperatore (conservato solo parzialmente e r ilavorato forse sotto Diocleziano); dr. H. P . LAUBSCHER, ArqlS Novus 1111d Arcus Claudii, Zwei Triumphboge11 an der Via Lata in Rom, NachrAkGott 1976, pp. 69-108; G. M. KoEPPEL, B]b 183, 1983, pp. 119-123, nn. 26-28, figg. 31-32.

-I-O V. ultimamente PAIS, 1979. Non sono quindi d'accordo con l 'interpretazione che ne viene data come ideali sostegni dell 'edificio imperiale (cfr. per es. SIMON, in HELBIG, 1966, n. 1437; R. BIANOII BANDINELLI, Roma. L'arte romana al centro del potere, Milano 1969, p. 283), né con quella di M. CIPOLLONE, Le province dell'Hadrianeum, un tema dell'ideologia imperiale romana, AnnPer11gia XVI, 1978-79, pp. -ll-47, che collega queste raffigurazioni con i simulacro esibiti nelle processioni trionfali tardorepubblicane e nei f unera imperiali. Questi confronti possono valere solo da un punto di vista tipologico, quanto allo spirito della cosa non mi paiono pertinenti in quanto si tratra di nazioni captae al seguito del vincitore, mentre nei casi sopra esaminati vediamo popoli ormai inseriti nel mondo romano che si uniscono «spontaneamente» attorno al princeps. Da respingere inoltre anche il confronto con le 14 starue di nationes che secondo alcuni si sarebbero trovare disposte atrorno alla statua di Pompeo nel teatro di que­st'ultimo a Roma (S!MON, in HELBIG, 1966, n. 1437, ripresa letteral­mente da PAIS, 1979, p. 37). I n questo caso, oltretutto, c'è an­che un equivoco nell'interpretazione delle fonti : Plinio infatti (Nat. Hist. XXXVI 41) ci parla delle 14 starue opera di Copo­n io quae sunt circa Po111peiu111, ma la frase, d i lezione non del tutto certa (è auestato anche Pompeii), sia che si voglia pensare a una corruzione del tesw, sia che si preferisca intendere Pom­pei11m come « il complesso monumentale di Pompeo», va intesa

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«circa Pompeii theatrum » e non «circa Pompeii slatuam », come si deduce anche da Suet. Nero 46 « ( ... ) a si11111lacris gentium ad Pompeii thealrum dedicatarum » (dr . per brachilogismi simili Porpbyr. in Hor. Sat. I 9, 35. Sulle sculture del complesso di Pompeo cfr. più in gene­rale F. CoARELLI, Re11dP011tAcc XLVI, 1971-72, con le modifiche dello stesso autore in L'area sacra di Largo Argentina l , Roma 1981, p. 27 e nota 2); ricordo inolrre che è probabilmente inesistente la porticus ad nationes, denominazione che sembra sorta da una cattiva letrura di Plin. Nat. Hist. XXXVI 5, 39 da parte di Serv. ad Aen. VIII 721: cfr. F. CASTAGNOLI, RendLinc s. VIII, vol. XXXVII, 1982, pp. 124-125. L'unico precedente in qualche modo confrontabile porrebbe essere la pompè di Tolomeo II (Athen. V 201 D-E; E. E. R1cE, The Grand Procession o/ Ptolemy Philadelphus, Oxford 1983, pp. 102-110). Per la corretta interpretazione delle province del tempio di Adriano si ricordi però che, se sorgono difficoltà per collocarle lungo il peri­metro esterno del podio o sul coronamento, altrettanto problematica è la teoria che le vuole a decorare le pareri interne della cella attorno alla statua dell'imperatore divinizzato (V. PASSARELLI , Rilievo e studio di restituzione dell'Hadrianeum, Alti 1 Il conv. 11az. st. architettura 1938, Roma 1940, p. 130, fìgg. 7-8; PAIS, 1979, pp. 99-101) in quanto, stando alla ricostruzione più attendibile, vi sarebbe posto per solo 16 figure di fronte alle 21 o 22 conservate, numero che potrebbe forse salire almeno fino a 25.

Si tenga presente infine anche il confronto con la situazione del­l'Olympieion di Atene dove «ogni città ha dedicato una statua all'imperatore Adriano» (Paus. I 18, 6; cfr. le relative basi ivi rinve­nute IG II 479-486, e con il fregio con personificazioni di citrà del monumento panico antonino di Efeso (W. 0BERLEITNER, in Fui<de aus Ephesus und Samothrake, Wien 1978, pp. 72-73, 83-87).

4! Su questo tema dr. M. TORELLI, Elogia tarq11i11iensia, Firenze 1975, pp. 192-197.

42 Tac., Ann. IV 55. Si confronti una situazione simile in Tac., Ami. IIJ 60-63.

43 I 94.

44 V 2, 2.

45 I 27.

46 E. KoESTERMANN, nel suo commento agli Annali di Tacito, Heidelberg 1965, Il, p. 171; E. GABBA, Mirsilo di Meti11111a, Dionigi e i Tirreni, Re11dLi11c s. VIII, vol. XXX, 1975, p. 42, nora 16.

47 Tac., Ann. II 47.

48 M. PALLOTTJNO, in E11ciclopedia \lirgilia11a II (1985), pp. 411-415, s. v. Etruschi.

49 SPINAZZOLA, 1902.

so Così di recente anche A. GALLINA, EAA VII, p. 47, s. v. Sardi. La proposta di Spinazzola mi sembra ancora la più convincente ed è l'unica, nel nostro secolo, basata su un'attenta autopsia; opinioni di­verse esprimono W. M. RAMSAY, ]]urP 11, 1882, p. 144; G. Mc N. RusHFORTH, Latin Historical lnscriptions illustrating the History o/ the Early Empire, Oxford 1930 (II ed.), p. 123, n. 95; HANFMANN, 1978, pp. 180-181, che propongono di leggere nella prima parola Euthe11ia e nell'ultima Koron o simili, soluzioni che mi paiono poco soddisfacenti da un punto di vista epigrafico; non vedo inoltre come quest'interpretazione possa essere rafforzata dalla scoperta di una de­dica ai figli di Kore, Euposia e Koros (HANFMANN, 1978, pp. 180-181, 178-179, n. 277, fig. 470), trattandosi oltretutto di un'iscrizione di due secoli più tarda (211-212 d.C.).

5l Cfr. rnpra, p . 150.

52 Plut., Praec. ger. r. p. 813 F, 825 C-D; dr. il commento di J.-C. CARRIÈRE all'edizione de Les Belles Lettres, Paris 1984, p. 32.

53 In questo caso dovremmo integrare la ricostruzione della fig. 1 con una cornice al di sotto e una al d i sopra del rilievo e con un coronamento, difficile peraltro da ricostruire nei dettagli.

Per altare con due ante sulla fronte d r . l'ara dedicata ai Lares Augusti CJL Vl 30954; \Y/. ALTMANN, Die Romischen Grabaltiire der Kaiserieit, Berlin 1905, p. 179, n . 238, fig. 144; HERMANN, 1961, p. 117, n. 49; M. HANo, ANRW' lI 16,3 (1986), p. 2343, n. 9, mv. III,5.

54 Definito « Sauroctonos » dagli scavatori. Si tratta di una copia speculare, simile in questo particolare alla replica conservata all'Anti­quarium del Palatino (H. VON STEUBEN, HELBJG, 1966, n. 2091) da inserire nelle liste di questo tipo statuario (ultimamente cfr. E. SIMON, in Lexicon ikonographicum mythologiae classicae II , Ziirich und Miinchen 1984, pp. 380-381 , s. v. Apollon/Apollo, n. 56, che esclude però !'es. cit. del Palatino). I dubbi sull'identificazione di questa statua sollevati da BENNDORF - ScHONE, 1867, p. 162, n. 243 e da GIULIANO, 1957, p. 24 sono superabili in base ai documenti relativi al restauro del 1852 (cfr. P. SA:-;TORO, supra, p. 11 0).

ss Sovrapposta nel restauro alla statua dell'Apollo tipo Anzio.

56 Si riassumono qui di seguito i dati cronologici ricavabili da questo materiale:

- CIL XI 3616, l'ara di C. Manlio, augustea; - CIL XI 3595, augustea, databile al 12 a.C.-14 d.C. per la men-

zione del pontificato massimo; - CIL XI 3596, augustea; se è giusta l'integrazione del pontificato

massimo è allora databile come la precedente; - CIL XI 3597, claudia (la datazione si deduce dal dedicante,

che, grazie all'ultima riga, può essere riconosciuto nell'imperatore [T}i. Cl[ a11di11s]. Per la prima riga è stata giustamente proposta l'alternativa tra Germanico, console per la seconda volta nel 18 d.C. assieme a Tiberio, e il figlio di quest'ultimo Druso Minore, console per la seconda volta nel 21 con il padre. L'ultima lettera della seconda riga (p, b o r) potrebbe forse far preferire questa seconda ipotesi con la seguente integrazione (in parte solo indicativa): [Druso. Caesari. pontifici / auguri. sodali. augustali / c]os. 11. cum. Ti. Ca[ es. divi. A11g. /] / Augusto. p[ atri. suo / a]d. prod[ - - - / T ]i. Cl[ audius. Drusi. f] / C[ aesar. Augustus / Germanicus. poni. max / trib. poi. - - - imp. - - - cos. - - -});

- CJL XI 3598, databile tra il 38 d.C. (morte di Drusilla) e il 41 (morte e damnatio memoriae di Caligola);

- CIL XI 3600, databile tra il 50 d.C. (assunzione del titolo di Augusta da parte di Agrippina Minore) e il 54 (morte di Claudio);

- CIL XI 3601, probabilmente giulio-claudia; si può certamente

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escludere la sua pertinenza alla precedente (ipotesi di G11RRUCCJ, 1861 . p. 24 , r ipetuta anche da BoRMANN nel Cl Le da G1U LI A1'0, J 957, p. 23. lo spessore d ella lastra di Cl L XI 3600 è leggermente maggiore. m.1 soprattutto l 'apicatura superiore delle a, il tratto orizzontale delle 1. le p roporzioni della p sono diverse, le lettere della 3600 sono piìi slanciare e incise con un tratto più sottile, infine alla 3601 manc:im> gli apici sulle vocali lunghe e il punto al termine delle righe. L"iscri­zione è attribuita a Caligola da FucHs, 1987, p. 78, B ]] 2, p. 170. ma senza validi motivi);

- Cl L XI 3604, decisamente più tarda per paleografia (la man­canza di acclamazioni imperiali contemporanea alla menzione di due potestà tribunizie e del pontificato massimo, che porrebbe far pcnsarc ad Antonino Pio (138/139), a Settimio Severo (193) o a un imperawrl di III sec., non è in realtà un elemento utilizzabile in quanto le accl.1 mazioni imperiali, anche se poco frequentemente, possono figurarl anche prima degli altri titoli come per esempio proprio a Caere in un;1 dedica a Vespasiano CIL XI 3606, cosicché qui potrebbero in real1;ì trovarsi in lacuna. In ogni caso, per quanto è possibile giudicare in base alla paleografia, scarterei la datazione in età claudia proposta d:i fuCHS, 1987, p. 79, B II 4);

- CIL XI 3620, perduta.

57 Sui dati ricavabili d ai documenti d'archivio relativi agli sca\·i si veda P . SANTORO, supra, pp. 20-21.

ss L'ipotesi sostenuta da GRIFI, 1855, p. 324, è accettata ultima­mente da FucHs, 1987, p. 83; cauto H. G. N!EMEYER, S111die11 -::111 statuarischen Darstellung der romischen Kaiser, Berlin 1968,' p. 3-l : giustamente contrari H. VON HEINTZE, Gnomon 32, 1960, p. 155; M. CRISTOFANI, BdA 35-36, 1986, p. 8; P. SANTORO, in Archeologia della Tuscia II, Roma 1986, p. 23, nota 45.

59 CJL XI 3614, r. 10.

60 Come per esempio già è stato ipotizzato per il rilievo di Algeri (cfr. supra, nota 33); cosl già TORELLI, 1985, p. 40.

61 Tale ipotesi, già avanzata da ScULLARD, 1967, p. 283 e T AYLOR , 1923, p. 232, è stata esposta più estesamente da HOLSCHER, citato alla nota 8.

6l A puro ti tolo d 'ipotesi si potrebbe per esempio pensare anche al Fanum Voltumnae. ·


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