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Inland Empire. L'illusione e l'assenza

Date post: 27-Nov-2023
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Davide Persico

Inland Empire. L’illusione e l’assenza

© 2010 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l., Romawww.gruppoalbatrosilfilo.it

ISBN 978-88-567-2839-2

I edizione settembre 2010stampato da E.S.S. Editorial Service System srl, Roma

Distribuzione per le librerie Mursia s.p.a.

Inland EmpIrE. l’IllusIonE E l’assEnza

Un ringraziamento particolare va a mia madre per l’aiuto materiale oltre che familiare che è stato indispensabile in questi anni di studio. Per tutto l’affetto che mi ha dato in ventotto anni di vita.

Un ringraziamento speciale va ad Angelo Dolce, Marco Mele, Andrea Bul-garelli, Davide Grieco, Andrea “Sveden” Cristofoli, Silvia Petrianni, Mario e Silvia Coppe, Paolo Rapozzi, Paolo Gruppuso, Michael Cardarelli, Daniele Gessini, Renato Cardarelli, Dario Pedrazzi, Raffaele Puzio, Martina Mugnai, Antonio Lardo, Roberta Bellantuono, Ersilia Gagliardi, Maria Grazia Car-darello e ai veri amici e amiche dell’università per l’amicizia, perché hanno sempre creduto in me, per le serate passate insieme a vedere film, per il supporto e la vicinanza.

Un ringraziamento speciale va al Professor Paolo Bertetto, per la fiducia, la stima e per tutti i consigli e l’aiuto che mi hanno accompagnato in questi anni di studio e in questo mio lavoro di ricerca. Soprattutto è stato grazie alle sue teorie e alle sue posizioni metodologiche che ho trovato gli stimoli e le infor-mazioni necessarie per interpretare il cinema e il mondo intero. Al Professor Mauro Di Donato, per la stima, la fiducia, l’aiuto e l’amicizia dimostratami, per i consigli e per gli stimoli dati in questi mesi passati a lavorare insieme. Un ringraziamento va ai Professori Andrea Minuz e Giorgio Nerone per la fiducia, la stima dimostratami e per le chiacchierate fatte in facoltà.

Un ringraziamento speciale va alla Professoressa S. B., per l’immenso affetto dimostratomi, per la complicità, per l’enorme supporto morale ed emotivo datomi in tanti giorni passati insieme.

Un altro ringraziamento va al più grande amore della mia vita: il cinema e a quei registi che mi hanno fatto appassionare allo studio del cinema in più di quindici anni di visioni cinematografiche: Luis Bunuel, Fritz Lang, Sergej M. Ejzenštejn, Alfred Hitchcock, Michelangelo Antonioni, Orson Welles, Alain Resnais, Jean-Luc Godard, Bernardo Bertolucci e naturalmente David Lynch. Grazie a loro che sono cresciuto così.

L’ultimo saluto e ringraziamento lo riservo a mio padre. All’aiuto dimo-stratomi in tanti anni, all’affetto, alle tante litigate e al fatto che, nonostante siano sei anni che non ci sia più, il ricordo mi ha accompagnato sempre e non mi ha mai abbandonato.

Grazie a tutti voi!

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INLAND EMPIRE

Regia: David Lynch.Sceneggiatura: David Lynch.Fotografia (colore; 35 mm): Old-Geir Saether. Formato: Sony DSR-PD 150, DV, 35 mm (1:1,85).Scenografia: Christina Ann Wilson, Christine Wilson, Wojciec

Wolniac. Costumi: Heidi Bivens Musica: Angelo Badalamenti.Interpreti: Laura Dern (Nikki Grace/Susan Blu), Jeremy

Irons (Kingsley Stewart), Justin Theroux (Devon Berk/Billy Side), Harry Dean Stanton (Freddie Howard), Grace Zabri-skie (prima visitatrice), Julia Ormond, Diane Ladd (Marilyn Levens), Peter J. Lucas (Piotrek Krol), Karolina Gruszka (giovane donna), Jan Ench (Janek), Krzysztof Majchrzak (il fantasma), Ian Abercrombie (Henry), Bellina Logan (Linda), Amanda Foreman (Tracy), William H. Macy, Laura Harring, Michael Parè, Nastassja Kinski, Austin Jack Lynch, Cameron Daddo (menager di Devon Berk), Chamonix Bosch, Charle-ne Harding, Emily Stofle, Erik Crary, Heidi Schooler, Henry-ka Cybulski, Jamie Eifert, Jason Weinberg, Jerry Stahl (agente di Devon Berk), John Churchill, Jordan Ladd, Jamie Elfert, Scott Resier, Micelle Renea, Terryn Westbrook, Kathryn Tur-ner, Eric Crary, Wendy Rhodes (Sally).

Produzione: Studio Canal.Durata: 172 minuti.Visto di censura: 6/02/2007.Prima proiezione: 6 settembre 2006 alla Mostra del Cinema

di Venezia.

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PERCORSO DI ANALISI SU INLAND EMPIRE

Inland Empire è un’esperienza cinematografica di grande in-tensità visiva ed emozionale. È un film complesso ed enigma-tico, un testo ambiguo come tutto il cinema di David Lynch, costruito con dei meccanismi minuziosi e molteplici di grande efficacia narrativa e figurale. È un film sul cinema, è un film sulla morte del cinema, è un film sulla rinascita del cinema, è un film che parla del film stesso, è un film nel film, è un film su un film particolare che viene proiettato ma che è perso in un orizzonte lontano e che ritorna continuamente.

L’orizzonte visivo di Inland Empire è legato ai fantasmi incon-sci, alle formazioni del desiderio, alle allucinazioni percettive, a una dimensione onirica, alle costruzioni del figurale in cui il visibile è assorbito, rimosso per diventare altro, per sviluppare significazione, mistero, enigma, inquietudine, perturbazione. Proprio il perturbante secondo le accezioni di Freud1 si anni-da per emergere in situazioni che hanno un rapporto debole e indiretto con la realtà, il cui unico legame logico, di senso, relazionale, è quello di non essere, non esistere, non essere visto. L’universo simbolico di Inland Empire è l’universo del po-tenziale, del possibile, degli universi paralleli, del soggetto non più come presenza ma come assenza, come potenza capace di scardinare l’intera tradizione positivistica e metafisica del No-vecento; è l’universo dei processi cognitivi e mentali che spin-gono lo spettatore al cinema, a vedere, a scrutare, a costruire un patto finzionale con le immagini proiettate sullo schermo. È l’universo del falso, del simulacro e della simulazione.

Inland Empire è un’esperienza visiva e sensoriale in cui la luce e i colori assumono forza espressiva, culturale di codifi-cazione e interpretazione del visibile. Le funzioni culturali e

1 SIGMUND FREUD, Das Unheimliche, in “Imago”, n. 5, 1919, trad. it. Il per-turbante, in ID, Opere di Sigmund Freud, vol. 9. L’Io e l’Es e altri scritti 1917-1923, Torino, Bollati Boringhieri, 1976-80.

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simboliche del colore, secondo le indicazioni di Ejzenštejn2, vengono potenziate all’infinito, assumendo un ruolo narrati-vo di primissimo piano e una complessità visiva e significante di grande rilievo.

Ma il film di Lynch configura in maniera complessa e par-ticolare il tempo in tutte le sue articolazioni, convenzioni e infrazioni logiche e illogiche, visibili e invisibili. Il tempo si configura in Inland Empire come elemento spaziale e vettoriale di grande fascinazione, che si iscrive nel meccanismo di signi-ficazione dell’intero testo filmico. Negli anni Ottanta, dopo alcune riflessioni sopra i concetti di tempo e spazio nella fi-losofia di Bergson, Gilles Deleuze realizza L’immagine-tempo illustrando le modalità di configurazione e genesi del tempo all’interno dell’immagine filmica3, ponendo alcune problema-tiche che in maniera diretta o indiretta Inland Enpire affronta all’interno del testo.

Inland Empire configura una messa in scena articolata in cui il profilmico si perde definitivamente, divenendo un vero e proprio elemento rimosso dell’immagine filmica4. Nonostan-te il film sviluppi un discorso ambiguo sul film nel film, iscri-vendo lo stesso set cinematografico nell’immagine, la nozione di profilmico viene messa in crisi attuando processi di rimo-zione all’interno del diegetico e suggerendo un nodo teori-co di grande rilevanza, dettato soprattutto dall’utilizzo della cinepresa digitale. Lynch mostra le potenzialità significanti dell’immagine e tutto ciò che può produrre il cinema, nelle sue costruzioni testuali e nelle determinazioni dinamico-visi-ve. Come diceva Deleuze, che il cinema è capace di esprime-re concetti filosofici, è capace di costruire persino delle idee,

2 In proposito alle teorizzazioni sulla funzione del cromatismo si veda: SERGEJ M. EJZENSTEJN, Il colore, Venezia, Marsilio, 1982.

3 Si vedano in proposito due saggi: GILLES DELEUZE, Il bergsonismo e altri saggi, Torino, Einaudi, 1983; ID, L’immage-temps, Paris, Les Editions de Minu-it, 1983, trad. it. L’immagine-tempo, Milano, Ubulibri, 1989.

4 Certo che l’utilizzo della camera digitale ha favorito questa possibilità, regolando di volta in volta le coordinate semiosiche finali, che sono intervenute tra il pro-filmico e l’’immagine filmica finale.

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Inland Empire sviluppa questo orizzonte significante in cui i pensieri e le configurazioni eidetiche si costruiscono come assi strategici del significante simbolico che esprime il film. Con Inland Empire si ritorna a pensare a partire dal cinema e pensare in cinema5.

La meraviglia suscitata dal cinema ai suoi esordi stava nella sua capacità di presentare la vita e aprirsi così verso un nuovo mondo. L’intelligenza di Bergson fu di analizzare il cinema, che interessava soltanto qualche studioso, qualche imprendi-tore e gli uomini di circo, nella dimensione vitale che egli chiama “il meccanismo cinematografico del pensiero” che, lungi dal creare un nuovo pensiero, era soltanto la concretiz-zazione di un pensiero millenario attualizzato nel contesto della proliferazione tecnica della sua epoca e che, per questo, escludeva il cinema dall’ambito artistico6.

Pensare con il cinema significa che il cinema diventa veicolo di filosofia, di riflessione teorica e l’uogo di interpretazione del pensiero, di anticipazione di riflessioni estetiche e filosofi-che, di ermeneutica della società moderna e contemporanea.

Il percorso di analisi che qui verrà proposto per Inland Empi-re si baserà su alcune metodologie particolari. Essendo il film decisamente complesso, sia dal punto di vista della costru-zione narrativa che dal punto di vista significante, si inizierà subito con un analisi dei molteplici e diversi sottotesti che esprime il film; di volta in volta saranno più o meno forti in base alla configurazione delle sequenze, alle dinamiche dello sguardo e degli sguardi che il testo filmico attiva e costruisce. Le strutture formali e le configurazioni immaginarie, simboli-che e tecnico-stilistiche, insieme alle configurazioni narrative degli eventi, saranno prese in considerazione organicamente nell’attività di decostruzione di Inland Empire.

Si prenderanno in considerazione alcuni percorsi interpre-tativi di grande efficacia: riflessioni metacinematografiche e configurazione di un testo autoriflessivo che si destruttura

5 CLAUDINE EIZYKMAN, Far pensare il cinema, in “La Valle dell’Eden”, n. 14, gennaio-giugno 2005, pp.73-89.

6 Ibidem, p. 86.

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e decostruisce su se stesso; la morte del cinema nel sistema hollywoodiano; il dramma psichico inconscio di un soggetto desiderante, la dimensione significante del sottotesto onirico.

Importanti saranno le letture psicoanalitiche sul vedere, lo sguardo, secondo gli studi sul voyeurismo di Freud7. Le teorie sul simbolismo e lo studio della fase dello specchio di Lacan8, la ripresa di queste teorie da parte degli studi di Christian Metz9 sul significante immaginario. Verrà utilizzata l’ermeneutica nel processo di decostruzione del testo filmico, soprattutto le posizioni di Nietzsche e Heiddeger sul falso e il simulacro, e sull’interpretazione in Gadamer e Ricoeur. Allo stesso tempo si guarderà in maniera costante all’ermeneutica del testo, al decostruzionismo di Derrida e allo studio sul vi-sibile, l’immagine e la figura proposto da Lyotard. Di parti-colare importantanza sarà un accurato discorso sul tempo di Bergson e le riflessioni in proposito di Gilles Deleuze.

L’analisi cercherà di mettere a confronto Inland Empire con la produzione precedente di Lynch: Eraserhead (1977), Blu vel-vet (Velluto blu, 1986), Wild Heart (Cuore selvaggio, 1990), Fire walk with me (Fuoco cammina con me, 1992), Lost highway (Strade perdute, 1997), Mulholland Drive (2001). L’ultima attività di interpreta-zione del film sarà l’analisi dello stile, la scelta formale e la fi-gurazione del visibile con il grado significante delle immagini e il regime della messa in scena e della narrazione/configura-zione degli eventi.

7 SIGMUND FREUD, Drei Abhändlungen zur Sexualtheorie, 1905, trad. it. Opere di Sigmund Freud, vol. 4. Tre saggi sulla teoria sessuale e altri scritti 1900-1905, Torino, Bollati Boringhieri, 1976-80.

8 JACQUES LACAN, In memoria di Ernst Jones: sulla sua teoria del simboli-smo; ID, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, in ID, Ècrits, Paris, Edition du Seuil, 1966 trad. it. Scritti, Torino, Einaudi, 1974.

9 CHRISTIAN METZ, Le signifiant imaginaire. Psychanalyse et cinéma, Paris, Christian Bourgois Èditeur, 1977, trad. it. Cinema e psicoanalisi. Il significante immaginario, Venezia, Marsilio, 1980.

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LA STORIA DEL FILM NELLA PRODUZIONE DI InLanD EMPIrE

La genesi del film nel percorso intellettuale e cinema-tografico di David Lynch

Inland Empire è un film particolarmente complesso grazie all’universo filmico che riesce a configurare, all’orizzonte diegetico e figurale, e alla messa in scena che lavora costan-temente sull’ambiguità. Tutto questo si inserisce in un mec-canismo di produzione filmica assai complesso che investe la stessa idea di partenza del film stesso. La realizzazione ma-teriale (cioè finanziaria) del film è stata abbastanza difficile. Produrre un film come Inland Empire non è stata certamente un’operazione facile, ma al contempo piena di rischi e perico-li. È stato lo stesso Lynch a finanziare la produzione del film insieme a Mary Sweeney, sua ex moglie e sua storica collabo-ratrice come montatrice (iniziando con Velluto blu), produttri-ce (da Strade perdute in poi) e sceneggiatrice (solo in Una storia vera). Il film ha potuto contare su un minimo di spese finan-ziarie dalla casa di produzione francese Canal Plus, che ha già finanziato altri tre progetti precedenti di Lynch (Strade Perdu-te, Mulholland Drive, ecc), e che nel contesto cinematografico mondiale spesso negli ultimi dieci anni ha contribuito alla produzione di diverse pellicole internazionali di particolare interesse. Hanno partecipato inoltre come partner produttivi anche gli Stati Uniti (fuori dalle majors e dal sistema di pro-duzione di Hollywood, obiettivo contro cui il film si scaglia), e la Polonia (in quanto fornitrice di alcune locations del film, e per problemi di copyright sulla trama del film).

La macchina produttiva di Inland Empire è stata così abba-stanza complicata da mettere in moto, avvolta perennemente per tutta la lavorazione del film da una costante aria di miste-ro e incertezza. La pre-produzione da questo punto di vista è

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stata anche più incerta e imprevista: Lynch si è costantemente scontrato con il complesso processo produttivo che investe e fagocita il sistema cinematografico americano. In modo par-ticolare la complessa macchina produttiva americana, e non solo americana, nell’ultimo periodo ha fatto sì che i produttori non rischiassero in produzioni complesse, tanto da non essere più disposti a esporsi con soggetti cinematografici partico-larmente difficili che si allontanassero radicalmente dalla co-mune percezione e fruizione del racconto filmico; a investire finanziariamente nella realizzazione materiale di un universo narrativo assai complesso come è appunto Inland Empire, e con esso tutto il cinema di Lynch da Eraserhead a Mulholland Drive, escludendo naturalmente alcune parentesi filmiche più o meno tradizionali e commerciali come il dramma psichico sulla diversità di Elephant man (1980), il racconto fantascientifi-co Dune (1984), e l’originale road-movie Una storia vera (1999).

David Lynch ha avuto sempre difficoltà per finanziare i propri film, nonostante il successo che ne è conseguito, ma ha potuto realizzare le sue ossessioni filmiche grazie al fatto di aver alternato il lavoro di regista cinematografico con l’ide-azione e realizzazione di diversi serial televisivi di notevole successo, collaborazioni differenti a più film, pubblicità, sog-getti e la realizzazione persino di una striscia a fumetti, The angriest Dog in The World sulle colonne del “LA Readers”, non-ché la costruzione di un sito web a pagamento con materiale audiovisivo inedito e raro.

Per quanto riguarda la sua produzione televisiva, il lavoro di Lynch è stato audace e spesso difficile, e ha contribuito nonostante tutto a diffondere le sue ossessioni/riflessioni sul cinema e l’arte. Nella stagione televisiva americana 1990-91 David Lynch, in collaborazione con Mark Frost, realizzò un vero e proprio fenomeno di culto come I segreti di Twin Pea-ks, sperimentando un nuovo modo di fare storie per la te-levisione, anche all’interno dell’universo del noir americano, sbaragliando e convincendo il pubblico televisivo abituato a serie troppo convenzionali. Il successo dell’episodio pilota fu straordinario tanto che persino in Italia, la prima puntata trasmessa su Canale 5 nel 1991, venne seguita da 11 milioni

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di spettatori. In più la stesura da parte della figlia del regi-sta, Jennifer, de Il diario segreto di Laura Palmer (il personaggio ucciso intorno a cui ruota tutta la serie), non fece altro che alimentare un fenomeno cinematografico al limite tra il noir e il fantastico che ancora oggi, pur diventando marginale e un po’ assopito, non riesce a esaurirsi del fascino che eserci-ta, anche in Italia10. Fino al 2001 Lynch ha continuato a svi-luppare ulteriori storie con i personaggi della serie, cercando di realizzare un secondo prequel (dopo Fuoco cammina con me) senza riuscirci. Anche la stessa lavorazione di Twin peaks non è stata certamente lineare, e spesso Lynch si è dovuto scontrare con la produzione. È noto lo scontro che ebbe ai tempi della serie, con i produttori che per operazioni commerciali hanno cercato, riuscendoci, a rivelare il nome dell’assassino di Laura Palmer (facendo calare a picco gli ascolti), e facendo abban-donare a Lynch il set durante la lavorazione. La realizzazione di un secondo prequel, quindi, andava nella direzione di fare giustizia di quella storia iniziale che non si è potuta compiere sullo schermo; e per rianimare una serie le cui ossessioni, i fantasmi, e gli universi che è stata capace di attivare non si sono mai esauriti ma sono entrati a pieno titolo a distanza di anni nell’universo visionario e allucinatorio più grande e più complesso di Lynch. Ciò è potuto avvenire forse perché quel-le allucinazioni non erano il prodotto isolato di Twin Peaks, ma erano il prodotto ragionato e inconscio di David Lynch. Pensiamo semplicemente al sipario rosso che da Velluto Blu, fino a Mulholland Drive si è intersecato nell’universo simbolico con la storia che stava intorno alla città di Laura Palmer. Twin Peaks in definitiva rimane il grande atto mancato di Lynch, almeno per ora.

Ma oltre a Twin Peaks, Lynch si è dedicato ad altre produzio-ni televisive, meno articolate ma pur sempre complesse, che

10 All’inizio degli anni Novanta anche in Italia la serie diventò di culto, basti pen-sare che Il diario di Laura Palmer veniva diffuso come allegato a “TV, Sorrisi e Canzoni”.

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al pubblico italiano sono quasi sconosciute, come On the air11 e il film a episodi Hotel room12.

Entrambe le serie erano costruite intorno a storie che dal punto di vista narrativo si articolavano in una complessa configurazione degli eventi, in cui l’ambientazione, sempre apparentemente noir come per Twin Peaks, si risolveva con la non risoluzione dell’enigma di base, cosa che avviene in quasi tutti i film di Lynch, anche in Inland Empire. Quindi una storia dilatata in più episodi, sviluppata su un arco di tempo abbastanza lungo in cui l’elemento rilevante veniva oggettiva-to nel mistero di partenza per poi essere negato e perdersi in un orizzonte percettivo e visivo ormai destrutturato, ormai rimosso, che si va lentamente decostruendo. Così è stato in Twin Peaks dove la vicenda dell’assassinio di Laura Palmer si perdeva per divenire elemento secondario e non più rilevan-te13 in una struttura complessa, come si era vista per certi versi solo in Chinatown di Roman Polanski, anche se in questo caso l’enigma di partenza veniva risolto nel rush finale. Sempre per I segreti di Twin Peaks, man mano che la narrazione procedeva, venivano introdotti nell’universo diegetico della serie nuovi elementi, nuovi casi, nuovi personaggi che di volta in volta destrutturavano, ampliavano, spiazzavano e riconfiguravano la dimensione significante della serie in maniera multipolare. Così per esempio nel prequel cinematografico Fire walks with me, lo snodo narrativo si costruiva ancora più radicalmente

11 On the Air è una serie tv americana trasmessa nel 1992 dalla ABC , ideata da Lynch insieme a Mark Frost . Negli USA furono trasmessi solo tre dei sette episodi che ne furono girati. L’intera serie è stata invece trasmessa nei Paesi Bassi dalla VPRO. Gli episodi raccontano gli albori di una stazione televisiva degli anni Cinquanta che cerca di produrre un varietà dal titolo The Lester Guy Show con risultati disastrosi. I registi dei sette episodi erano David Lynch, Mark Frost, Jack Fisk, Jonathan Sanger, Lesli Linka Glatter e Betty Thomas.

12 Hotel Room è un film TV del 1992, diretto da David Lynch e James Signorelli. Si tratta di un film a episodi, ambientato nella stanza 603 di un hotel in tempi diversi, commissionato dalla rete televisiva satellitare HBO. I tre episodi sono stati scritti da due celebri scrittori: Barry Gifford e Jay McInerney.

13 Anche se in questo caso non era previsto totalmente nelle intenzioni di Lynch che a causa delle pressioni dei produttori, lasciò la serie a metà.

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enigmatico e misterioso, e gli eventi configurati nell’imma-gine filmica erano affidati non più all’universo del potenziale e del possibile, ma a quello dell’irrazionale e del demoniaco inteso come oggettivazione delle pulsioni e dei fantasmi in-consci dell’essere umano e oggettivazione delle soggettiva-zioni psichiche di Lynch. Nell’universo ossessivo di Lynch sono presenti forti figurazioni degli interni, che sviluppano una chiara funzione simbolica e significante, in cui sono in-scritti di volta in volta oggetti misteriosi e passaggi simbolici che fanno da scena allo spostamento diegetico e immaginario del personaggio inscritto nell’orizzonte del simulacro.

Certamente la configurazione sullo schermo dell’elemen-to irrazionale e demoniaco ritorna continuamente nell’ope-ra cinematografica del regista, come oggettivazione del per-turbante, e quindi come ritorno di un rimosso psichico e di conseguenza visivo che assume un soggetto di volta in volta desiderante e ambizioso (spesso che desidera fare carriera nel mondo del cinema come in Mulhollan drive e Inland Empire, o che le aspirazioni di successo nel mondo dello spettacolo si trasformano in un incubo invisibile ma presente nella sua as-senza come in Velluto blu). Il perturbante si oggettiva in quella che è la complessa macchina produttiva che è il cinema, e che per Lynch diventa quella montagna perennemente statica, immobile e invalicabile che è Hollywood intorno a cui, nono-stante tutto, si “producono” universi possibili e immaginari di grande fascino.

Alcuni film di Lynch sono stati concepiti nella loro fase ini-ziale, come dei serial televisivi. Anche Mulholland Drive doveva essere all’inizio una serie a episodi per la televisione, ma per motivi materiali è stato realizzato come film per le sale cine-matografiche. Inland Empire non ha una vera e propria idea di partenza. Lynch ha detto diverse volte che la realizzazione del film sarebbe stata sperimentale e rischiosa soprattutto per il fatto che il soggetto non era ancora definito nelle sue articola-zioni peculiari, ma esistevano solamente pochi elementi, an-che se abbastanza particolari, con cui si poteva costruire una storia. Il materiale di partenza con cui Lynch ha dovuto fare i conti è stato molteplice, certamente i temi cari e ricorrenti

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al regista sono stati un importante terreno fertile di acquisi-zione, connessi a fantasmi inconsci anche legati alla sua pro-duzione precedente, come per esempio i conigli di rabbits14 e le porte di Hotel room. Nelle intenzioni di Studio Canal, In-land Empire doveva essere pronto per il Festival del Cinema di Cannes del 2006, ma il film non è stato ultimato in tempo per l’occasione. La proiezione in anteprima mondiale è avvenuta il 6 settembre 2006 al Festival del Cinema di Venezia, come film fuori concorso. Nell’occasione Lynch è stato premiato con il “leone d’oro” alla carriera. Anche la distribuzione del film non è stata semplice, soprattutto negli Stati Uniti, e an-che per questo Lynch ne ha dovuto curarne personalmente la distribuzione.

Lynch ha finanziato di persona la distribuzione del film ne-gli Stati Uniti e in Canada raggiungendo un accordo con Stu-dio Canal, grazie al quale ha acquisito i diritti di distribuzione di Inland Empire, sia per via digitale che tradizionale.

Nel percorso intellettuale di forte ricerca dei più importanti fantasmi inconsci, Inland Empire è per Lynch un punto di po-tenziamento, di riaffermazione e di approdo, una tappa fon-damentale in cui tutti le visioni e gli orizzonti visivi e immagi-nativi, i temi e le inquietudini che hanno da sempre attraver-sato il suo pensiero si riconfigurano di nuovo sullo schermo, si oggettivano per perdersi e ritornare come un eterno ritorno secondo le accezioni di Nietzsche15, come un qualcosa che

14 Rabbits è una serie di nove cortometraggi scritta e diretta da David Lynch nel 2002. È stata pubblicata solo sul sito ufficiale del regista: http://www.davi-dlynch.com per i membri registrati. Ogni episodio si svolge in una singola stanza abitata da tre conigli (interpretati da Naomi Watts, la Betty di Mulholland Drive, Laura Harring e Scott Coffey) che si muovono e interagiscono in modo bizzar-ro. Il format è quello di una sitcom, con tanto di risate del pubblico registrate. Negli episodi, però, non ci sono battute divertenti e il pubblico applaude e ride in momenti insoliti. L’azione è minima e lunghe pause intercorrono nei dialoghi tra i personaggi. La colonna sonora originale è di Angelo Badalamenti.

15 Nietzsche affronta il tema dell’eterno ritorno partendo dalla considerazione che in un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combinazione può ripetersi infinite volte. Ma il film di Lynch si riallaccia alla filosofia di Nietzsche non solo per questo, e la riflessione sul tempo che ne consegue. Cosa che per altro già Resnais aveva fatto anche se in questo caso come giustamente ha fatto notare

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viene di volta in volta rimosso non solo nel processo seconda-rio di elaborazione psichica, ma anche nell’orizzonte figurale del visibile. Come è stato detto più volte in questo saggio, Lynch ha creato un soggetto difficile da produrre. Certamen-te l’uscita di Inland Empire, la genesi, la macchina pubblicitaria che si è messa in moto, è stata molto particolare, quasi in sordina, avvolgendo il film in un ampio alone di mistero. Le prime notizie sull’esistenza di Inland Empire risalgono al 2005, quando David Lynch al Festival di Cannes dichiarò di aver speso oltre un anno nelle riprese del suo nuovo film, e che per girarlo ha utilizzato una telecamera semiprofessionale, una Sony PD-150.

Per quanto riguarda il trailer cinematografico, esso ha mo-strato alcune sequenza del film, fornendo allo spettatore una parte del materiale visivo e narrativo. La presentazione del film non è stata a scatola chiusa, come è stato invece per il caso di Mulholland Drive, in cui il trailer era costituito da uno zoom in avanti sulla scritta notturna “mullholland dr.”, avvolgendo il film di mistero, tensione ed enigma. Ma da un altro versante, il trailer di Inland Empire, costituendosi attraverso il carattere più irrazionale e perturbante, si è così inscritto in una dimen-sione di attrazione e di grande fascinazione dell’immaginario. Lynch ha descritto il film come: “un mistero su una donna in pericolo16”. In un’altra intervista ha parlato del metodo che ha

Deleuze nell’Immagine-Tempo, il cinema di Resnais si collega alle riflessioni di Bergson sul tempo sul concetto della conservazione dei passati e del tempo inte-sa come entità percettiva e spaziale, che è stata assorbito nell’immagine-cinema prima ancora del movimento ma Inland Empire, dicevamo a proposito della filosofia di Nietzsche si riferisce in quella che giustamente Bertetto ha definito immagine-simulacro in relazione ai concetti di realtà, rappresentazione e falso nella configurazione del sistema delle immagini creato dal cinema. In proposito si guardi, oltre al già citato saggio di Deleuze che sviluppa le posizioni sia di Nietzsche che di Bergson; anche gli studi di quest’ultimo che ha dedicato ai due filosofi: G.DELEUZE, Nietsche e la filosofia, Torino, Einaudi, 1978; Si vedano: F. NIETZSCHE, Così parlò Zarathustra; ID, La gaia scienza; ID, Il crepuscolo degli idoli, in ID, Nietzsche werke, Kritische Gesamtausgabe, Herausgegeben von Giorgio Colli und Mazzino Montinari, Berlin, Walter de Gruyter, 1967 trad. it. Opere, Milano, Adelphi, 1972-1973.

16 Articolo di Healthy Weathly N’ Wise su David Lynch.

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usato per girare il film dichiarando: “Non ho mai lavorato a un progetto come questo prima. Non so esattamente come si rivelerà alla fine [...]. Questo film è molto diverso perché non ho un copione. Ho scritto le cose scena per scena e molte di loro sono già state girate, ma non ho molto se non qualche indizio su come finirà. È un rischio, ma ho questa sensazione che tutto sia collegato, questa idea in questa stanza è in qual-che modo legata a quella idea in quella stanza17”.

Il cast del film è stato molto numeroso e particolare. Oltre a lavorare con attori polacchi come Karolina Gruszka, Lynch ha diretto anche suoi attori storici come ad esempio Laura Dern (Velluto blu, Cuore selvaggio), Justin Theroux (Mulholland Drive), Harry Dean Stanton (Fuoco cammina con me), e un esor-diente nell’universo lynchiano come Jeremy Irons.

Il titolo del film, Inland Empire, si riferisce al nome dell’area metropolitana a est di Los Angeles, dove è ambientata la sto-ria; come per Mulholland Drive, che si riferisce a una strada di Los Angeles in cui per Lynch si infrangono e muoiono i sogni del cinema (la sequenza iniziale dell’incidente).

Per quanto riguarda le locations di Inland Empire, il film è stato girato nella maggior parte in Polonia, nella città di Lódź, lavorando con diversi attori locali. Successivamente Lynch ha girato a Los Angels e dintorni, e poi nuovamente in Polonia per terminarne le riprese.

Il lavoro di post-produzione è stato curato da Lynch stesso, effettuando il montaggio del film e, come è stato detto, distri-buendolo. Oltre un anno di lavoro per realizzare il film.

Inland Empire è il luogo fisico e mentale di passaggio, il bivio davanti al quale il cinema dovrà fare i conti per molto tempo se vuole rinascere o morire per sempre, se vuole vivere o se vuole riprodursi su stesso senza nessun esito soddisfacente.

17 Articolo di Variey.com sulla distribuzione di Inland Empire.

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LA MESSA IN SCENA E LA COSTRUZIONE DELL’UNIVERSO SIGNIFICANTE

Inland Empire e la morte del cinema/ Il cinema e la costruzione formale del testo filmico

Inland Empire costituisce, nella storia del cinema e nella car-riera di David Lynch, un esperimento filmico di straordinaria importanza, un film epocale, un percorso obbligato nell’azio-ne di vedere e nel modo di vedere il cinema. Esso si configura fin da subito come un testo filmico di straordinaria comples-sità formale che investe l’intero universo simbolico e figurale del film, sviluppando una complessa riflessione sul cinema in generale. Inland Empire è testo complesso e ambiguo, equivo-co, che fa dell’atto interpretativo la configurazione particolare di un sottotesto latente, inscrivendo l’esigenza dell’interpre-tazione nella propria struttura testuale. L’atto interpretativo è per Ricoeur: “ogni intelligenza del senso specificatamente indirizzata alle espressioni equivoche18” e il testo il: “luogo di significazioni complesse in cui un altro senso nello stesso tempo si dà e si nasconde in un senso immediato19”. Da molto tempo non si vedeva un film come questo, che avesse ingloba-to questa particolare caratteristica, inserendo tale riflessione nella sua stessa configurazione e nell’orizzonte del visibile.

A cinque anni di distanza da Mulholland Drive, Lynch re-alizza appieno la sua ossessione sul cinema, ampliando un discorso sul testo e il linguaggio filmico. Lo sguardo, le di-namiche dello sguardo, l’azione del vedere, del percepire il film, sono ascrivibili a un universo autoriflessivo e metaci-

18 PAUL RICOEUR, De l’intrprétation, essai sur Freud, Paris, , Èditions du Seuil, 1965, trad. it. Dell’interpretazione. Saggio su Freud, Milano, Il Saggiatore, 2002, p. 20.

19 Ibidem, p. 19.

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nematografico che si configura metaforicamente nel sistema hollywoodiano, ma che va oltre per superarlo e non essere più lì, per disarticolarlo e distruggerlo in tutte le sue componen-ti, i suoi codici, per riconfigurarsi in un altro luogo, nel non luogo cinematografico, in quell’“inland empire” che si confi-gura come impero dell’inesistente, del mentale, del percettivo, e dell’assente. Inland Empire è già un’interpretazione, è in un certo senso un’operazione di ermeneutica applicata, è uno dei tanti percorsi possibili, metodologicamente e scientificamente fondati. Ogni testo, sia scritturale che filmico, fornisce all’in-terprete già alcune delle direzioni utili per procedere all’in-dagine e proprio l’immagine filmica si costituisce essa stessa come forma interpretativa. Da questo punto di vista proprio uno dei padri dell’ermeneutica ontologica, Gadamer, affer-mava che: “Chi vuole comprendere, non potrà abbandonarsi fin dall’inizio alla casualità delle proprie presupposizioni, ma dovrà mettersi, con la maggiore coerenza e ostinazione possi-bile, in ascolto dell’opinione del testo, fino al punto che questa si faccia intendere in modo inequivocabile e ogni compren-sione solo presunta venga eliminata. Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile all’alterità del testo. Tale sensibilità non presuppone né un’obiettiva ‘neutralità’, né un oblio di se stessi, ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie pre-supposizioni e dei propri pregiudizi. Bisogna esser consa-pevoli delle proprie prevenzioni perché il testo si presenti nel-la sua alterità e abbia concretamente la possibilità di far valere il suo contenuto di verità nei confronti delle presupposizioni dell’interprete20”.

Il film attiva strategie visive e narrative di grande intensità e fascinazione, mette in scena una simbologia enigmatica e nuovamente fascinativa che configura e ri-figura l’orizzonte incerto e ambiguo del visibile. Che tipo di narrazione filmica è presente in Inland Empire? Quale universo narrativo confi-

20 HANS-GEORG GADAMER, Warheit und Method, vol. I-II, Mohr, 1960, 1972, trad. it. Verità e metodo, vol. I-II, Milano, Bompiani, 1983, p. 316.

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gura? Esiste una storia vera e propria, che si possa riassume-re e sintetizzare? Esiste una struttura narrativa e scritturale facilmente riconoscibile e identificabile? Assolutamente no, almeno in un ambito narrativo tradizionale, che il Novecento ha scardinato in tutte le sue forme e le sue varianti ideologiche e teoriche. Nel cinema, come nella letteratura, la narrazione di una storia, di un evento, di un avvenimento è stata sempre un’azione molteplice, particolarmente articolata e complessa, affidata agli autori che di volta in volta hanno potuto interve-nire nel lineare o regolare sviluppo di una storia, del tempo, dei regimi narrativi o della messa in scena. In letteratura è stata una scelta che si è sviluppata fin dalle origini, quando la tradizione era unicamente orale21. Basta citare semplicemen-te l’Odissea di Omero, che sviluppa particolari strutturazio-ni e rapporti tra il tempo della storia e il tempo del raccon-to22 Successivamente, con il passare dei secoli e dei contesti storico-culturali, e soprattutto con la nascita del cinema e le influenze che ha avuto, si è potuto leggere romanzi sperimen-tali e d’avanguardia e allo stesso modo vedere e interpretare determinati film in maniera inedita e originale. Il romanzo moderno degli anni Sessanta con Marguerite Duras e Robbe-Grillet, e la scrittura filmica moderna di Alain Resnais attra-verso opere quali Hiroshima mon amour (1959)23 e L’année dernière a Marienbad (L’anno scorso a Marienbaud, 1961), hanno entrambe configurato testi inseriti in un orizzonte narrativamente com-

21 Non è obiettivo di questo saggio parlare delle differenze e/o delle analogie tra narrazione e mostrazione, tra linguaggio scritturale e linguaggio filmico. Esisto-no diversi testi utili a riguardo. Uno di questi, pur sviluppando delle contrad-dizioni a riguardo e non fornendo una risposta esauriente al problema, è utile come approccio e punto di partenza. Si veda quindi: ANDRÉ GAUDREAULT, Du littéraire au filmique. Système du recit, trad. it. Dal letterario al filmico. Siste-ma del racconto, Torino, Lindau, 2006.

22 Si veda in proposito: GERARD GENETTE, Figures III, Paris, Èditions du Seuil, 1972 trad. it. Figure III. Discorso del racconto, Torino, Einaudi, 1976.

23 Hiroshima mon amour è uno dei quattro film che danno il via alla scrittura filmi-ca moderna a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, introducendo un nuovo regime della narrazione. Insieme al film di Resnais, fanno parte del gruppo: Pickpocket (1958) di Robert Bresson, About de souffle (Fino all’ultimo respiro, 1960) di Jean-Luc Godard, e L’avventura (1960) di Michelangelo Antonioni.

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plesso e articolato. Quell’orizzonte è apparso fin da subito difficile e misterioso, in cui le regole linguistiche, che sem-bravano essere definitivamente acquisite, venivano messe in discussione per lasciare spazio all’esperimento, all’imprevedi-bile, a ciò che si manifestava come meccanicamente perfetto nei suoi aspetti funzionali, ma incomprensibile allo spettatore e al lettore, mettendone in gioco la propria capacità interpre-tativa. Infatti: “una delle istanze prioritarie della pratica in-terpretativa [...] è la persuasione che ogni testo presenti, nella sua stessa configurazione, ora in modo più palese ora meno palese, una componente rilevante di autoanalisi e di auto de-costruzione. [...] Il testo contiene già in sé le marche forti di un possibile smontaggio interpretativo24”.

Inland Empire configura un universo significante di grande rilevanza emozionale e visiva. Il film si apre con la messa in scena di un particolare procedimento cinematografico extra-diegetico, iscrivendo nell’immagine fin dall’inizio il dispo-sitivo filmico come elemento e sistema metacinematografi-co e riflessivo di grande livello significante e semiologico, e come vettore di costruzione dell’universo testuale. Vediamo in dettaglio di intraprendere uno studio ampio e dettagliato di Inland Empire, delle sue componenti formali, della struttu-ra significante e dell’universo immaginario e simbolico, delle configurazioni dello sguardo, dei regimi narrativi e della mes-sa in scena.

Inland Empire inizia con il nero. L’immagine schermica è nera e c’è una musica di sottofondo particolarmente misterio-sa. Il nero è elemento particolare e complesso nell’immagine filmica esso è “anche la traccia di quella occultata sospensio-ne della visione che caratterizza la proiezione e la percezione del film25” ed emerge dopo pochi secondi una luce posta in angolatura diagonale e in direzione orizzontale che va a in-

24 PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione. Ermeneutica e decostru-zione, in PAOLO BERTETTO (a cura di), Metodologie di analisi del film, Bari, Laterza, 2006, p. 203.

25 PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo divenu-to fiaba, Milano, Bompiani, 2007, p. 88.

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frangersi verso sinistra proiettandosi su di un altro schermo differente dallo schermo principale, su cui lo spettatore vede il film. Solo questa particolare messa in scena mette in condi-zione lo spettatore non di comprendere cosa sia il film che sta per vedere o di svelare in una dimensione ancora fortemente ambigua alcune particolarità; ma di avviare un percorso, uno dei tanti possibili e attivabili, di comprensione del film. Inland Empire, è stato detto fin dall’inizio, è un film sul cinema, che proietta il cinema, che configura il dispositivo cinematogra-fico26 e il suo funzionamento, la macchina significante e for-male che è il cinema. Inland Empire è il cinema. L’immagine-filmica, la più importante sintesi estetica, culturale e artistica del Novecento, emerge dal nulla, dal nero, e questa particolare caratteristica nella microsequenza di apertura di Inland Empire è configurata in modo metacinematografico assumendo una caratterizzazione extradiegetica.

Il nero costituisce parte integrante della pellicola insieme e allo stesso modo uguale e differenziale del fotogramma im-presso, quello su cui nel processo semiosico di configurazio-ne della luce che impressiona l’immagine, registra il profilmi-co, separando l’evento di riferimento (che non esiste, che è rimosso, che è invisibile) dall’immagine filmica finita questo preocesso fornisce all’immagine un grado significante più o meno forte, ma che costituisce quel testo formale e signifi-cante che ha assorbito la complessità, cioè il film stesso.

La luce costituisce il secondo elemento, il successivo pro-cesso semiosico del cinema che viene attivato dopo il proces-so di messa in scena in preparazione del profilmico. La luce configura l’immagine filmica ed essa non è altro che il pro-dotto della sua configurazione. La luce quindi è configurata nello statuto stesso di funzionamento, di esistenza e di illuso-rietà e verosimiglianza dell’immagine filmica e dell’immagine schermica. La luce mostrata nel film configura la perdita di ogni referente dal segno, di ogni punto di riferimento con il

26 Sul concetto di dispositivo cinematografico si veda: JEAN-LUOIS BAUDRY, Effets idéologiques produits par l’appareille de base, in «Cinétique», n. 7-8, 1970; ID, L’effet cinéma, Paris, Editions Albatros, 1978.

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mondo reale, su cui è iscritta una dinamica dialetticamente e inversamente proporzionale di visibile e invisibile, di presen-za e assenza. In questo passaggio iniziale di Inland Empire non c’è nessun referente tra il nero dello schermo e la luce proiet-tiva che emerge dal nero. La luce diventa un tracciato rimosso del figurale, quello che secondo Lyotard27 costituisce la figura matrice, che riemerge per assumere la dimensione di tracciato regolatore che è per sua stessa natura visibile e invisibile, ma non più rimosso. Applicando alcuni paradigmi psicoanaliti-ci, e caricando il figurale di connotati simbolici, si può dire che esso costituisce il ritorno del rimosso per configurarsi nell’orizzonte onirico e fantasmatico del cinema, nell’orizzon-te visivo dell’irrazionale e dell’inconscio, del perturbante per l’appunto28. Il figurale è come se fosse uno schermo infranto che si configura nell’altro, nel doppio, nell’altro schermo, che per Metz29 è costituito dallo specchio e dall’immagine della madre che trova stimolo e realizzazione nella posizione di Lacan30 sullo specchio e la teoria dei simboli.

Il cinema è ed è stato tutto questo, soprattutto nella stagio-ne delle avanguardie storiche degli anni Venti, ma non solo, anche nel periodo precedente. Esso si è costituito fin da su-bito come il mezzo privilegiato di proiezione e registrazione dell’inconscio, dei suoi fantasmi e delle sue potenzialità che purtroppo, tranne pochi casi come Inland Empire, si è andato perso configurando il mentale e lo psichico unicamente nella dimensione narrativa e non figurale. Qualsiasi uso della psi-coanalisi come metodo di interpretazione dei film deve trala-sciare, come riteneva già Metz31, qualsiasi approccio nosogra-

27 JEAN-FRANÇOIS LYOTARD, Discours figure, Paris Klincksieck, Discorso, figura, 1971, trad. it. Discorso, figura, Milano, Unicopli, 1989.

28 SIGMUND FREUD, Il perturbante, cit.

29 CHRISTIAN METZ, Cinema e psicoanalisi. Il significante immaginario, cit.

30 JACQUES LACAN, In memoria di Ernest Jones: Sulla sua teoria del Simboli-smo; Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’io, in JAC-QUES LACAN, Scritti, cit.

31 Metz condannò esplicitamente questo approccio in quanto riduceva i film a semplici o complesse nevrosi o sintomi del regista: CHRISTIAN METZ, Cine-

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fico ai problemi che intercorrono tra cinema e psicoanalisi, anche quando la dimensione biografica e personale è forte-mente presente. L’analisi del film, intesa come interpretazione di un testo molteplice, in cui si intrecciano complessità e am-biguità, non può essere in nessun caso uno studio del mate-riale psichico del regista, se non come individuazione di quel materiale all’interno dell’immagine filmica stessa, e cioè dal grado significante e simbolico che essa esprima. L’esempio più pertinente è quello di Ejzenštejn, in cui le schegge dell’in-fanzia (pensiamo allo studio decisamente psicoanalitico di Requena su Ottobre32), sono configurate in una forte dimen-sione formale e figurale, stando attento all’orizzonte eidetico.

In Inland Empire lo schermo principale configura prima an-cora di proiettare sullo schermo, l’anticipazione di alcuni ele-menti formali che nel film continuamente ritorneranno sotto aspetti e figurazioni molteplici. C’è di nuovo un meccanismo di significazione costruito secondo un modello extradiege-tico di grande riflessione sul dispositivo cinematografico. L’immagine filmica è un’immagine che viene proiettata e si perde nel tempo e nello spazio, ciò che la proietta e la semio-tizza, nasconde le sue regole di produzione alla visione dello spettatore. Non a caso il fascio di luce dell’inizio ha in Inland Empire un’origine misteriosa, enigmatica, ma allo stesso tem-po di grande intensità visiva, di grande intensità seduttiva e fascinativa. Fin da subito quella luce che proietta la luce stessa cambia forma, perde la sua origine, proprio come la realtà perde qualsiasi rapporto con l’immagine-filmica.

Anche Lynch sviluppa nel suo cinema una radicale e com-plessa configurazione dell’eidetico e del figurale, portandolo alle estreme conseguenze in Inland Empire, riflettendo attra-verso i suoi film le capacità e potenzialità espressive del cine-ma. I film di Lynch si potrebbero definire come l’oggettiva-

ma e psicoanalisi, cit., p. 34.

32 JESÚS GONZÁLES REQUENA, Ejsenštejn. Lo que solicita ser escrito, Ma-drid, Cátedra, 1992. Si veda per quanto riguarda Ejzenštejn uno studio oramai superato ma dai forti connotati nosografici: DOMINIQUE FERNANDEZ, Ejsenštejn, Paris, Grasset, 1975.

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zione di teorie e riflessioni sul cinema, non proprio dei film-saggio alla Godard33. In Inland Empire la riflessione è su cosa deve essere il cinema e su come può rinascere, e la risposta è inscritta nella messa in scena del film. Il cinema può rinascere solo se riflette su stesso, sulle proprie potenzialità illimitate e sui propri ostacoli intriseci a cominciare dal meccanismo di produzione.

L’assenza dell’oggetto e il nulla come presenza

L’immagine filmica non è altro che il prodotto semiosico della configurazione della luce, in cui registrando il profilmi-co, l’unica fase che ancora ha qualche rapporto diretto con l’evento di riferimento e con l’orizzonte indefinibile del reale, lo trasforma in un immagine uguale e differenziale34. Inland Empire, già nella prima inquadratura, nella micro-sequenza iniziale realizza e mostra il dispositivo cinematografico, in-scrivendolo nell’immagine e configurandone il suo funziona-mento nascosto. Ma cosa viene proiettato nell’altro schermo? Che tipo di immagine è configurata attraverso l’immagine schermica proiettata diagonalmente rispetto allo schermo principale? Che costruzione significante si realizza nella con-figurazione di un doppio schermo simbolico? La luce proietta il titolo del film: InLanD EMPIrE e la scritta sembra esse-re in rilievo, come se fosse un’immagine dotata di consistenza

33 È famosa l’affermazione che fece Jean-Luc Godard nel ‘62 durante un’intervista ai Chaiers du Cinéma. Egli affermò: “Invece di scrivere una critica faccio un film, salvo introdurvi poi la dimensione critica. Mi considero un saggista, faccio saggi in forma di romanzo o romanzi in forma di saggio: solo che li filmo invece di scriverli”, in AA.VV., Jean-Luc Godard, Roma, Gianluca & Stefano Curti Editori, 2005.

34 Sull’importanza della luce nella produzione dell’immagine filmica si veda il già citato Lo specchio e il simulacro e poi si veda anche: JEAN-MARIE FLOCH, Les formes de l’empreinte, Périgueux, Fanlac, 1986, trad. it. Forme dell’impron-ta, Roma, Meltemi, 2003; DAVID BORDWELL, Figures traced in light, Cali-fornia, U. P. Berkeley, 2005.

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materica e tangibile. Tutto il materiale filmico di Inland Empire è in funzione della riflessione sul cinema, e anche la presen-tazione del titolo assume questa funzione autoriflessiva. D’al-tronde l’immagine filmica stessa è costituita per suo statuto, proprio da una doppia riflessività.

Dal nero del titolo l’immagine che appare, la prima imma-gine del film, introduce un elemento di grande ambiguità che si inscrive nell’orizzonte enigmatico e metacinematografico del film. L’immagine è in bianco e nero, e viene mostrato un grammofono che sta riproducendo un disco su cui è in-cisa una vecchia trasmissione radiofonica. L’epoca della sto-ria sembra non essere quella. Non sappiamo ancora nulla del film, né la storia, né tanto meno il contesto storico in cui si svolgono i fatti, però già abbiamo un’informazione che non è l’epoca in cui Lynch ha realizzato il film e che lo spettatore sta guardando. Lo speaker annuncia l’inizio di una soap opera. Questa micro-sequenza di Inland Empire configura nel signifi-cante immaginario del film il tempo come vettore significan-te forte. Il tempo diviene forma possibile, universo simbolico del visibile, ri-figurazione dello sguardo. Il tempo nella rifles-sione sul cinema assume un ruolo privilegiato e ampio, dove lo studio e la teoria del cinema si fondono con la ricerca filo-sofica. Da Bergson a Deleuze35 lo studio del tempo è sempre stato connesso allo studio del cinema, ai procedimenti men-tali, alle relazioni percettive e alle strutture comunicative. La durata come “percezione interiore estesa all’insieme del mon-do materiale, continuo e in mutamento senza transizioni36”, e proprio la percezione trasforma la durata in spazio.

Il tempo però non è il solo elemento capace di configurare il segmento filmico che si sta analizzando, non è l’unico elemen-to tracciato nell’immagine iniziale di Inland Empire. L’assenza di qualsiasi elemento antropomorfico e la prevalenza dell’og-

35 Si veda in proposito nell’opera di Bergson il famoso testo L’evoluzione creatrice, in cui sono spiegate le connessioni tra l’attività psichica e il cinema, e dove viene analizzato in particolar modo anche la strutturazione del tempo connessa ai processi mentali e filmici: HENRY BERGSON, Oeuvres, Paris, P.U.F., 1991.

36 CLAUDINE EIZYKMAN, Ibidem, pp. 78-79.

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getto sull’antropologico, su di un possibile soggetto umano, configura un altro testo filmico latente, un altro sottotesto. Il grammofono del segmento iniziale oggettiva l’assenza dell’an-tropologico nel cinema. La presenza dell’antropologico, della figura umana è nel profilmico in una dimensione biunivoca di visibile e invisibile, di presenza e assenza che costituisce lo statuto significante del dispositivo cinematografico in que-stione. L’elemento antropologico è occultato alla visione, c’è solo la sua voce, il suo riflesso indiretto, il suo scarto, la sua traccia.

L’universo di Lynch è l’universo del possibile, è l’universo cinematografico configurato, nascosto e mostrato nell’oriz-zonte del visibile e oltre il visibile stesso. Il grammofono di In-land Empire oggettiva il suono nel film in maniera particolare, iscrivendolo nella stessa storia del cinema. Questo segmento, oltre a configurare il suono nell’immagine filmica attraverso un meccanismo di significazione complessa, sviluppa l’intro-duzione del suono nel cinema come elemento del passato e configura l’uso del dispositivo tecnologico per la riproduzio-ne del suono attraverso l’inscrizione del grammofono nell’im-magine e quindi della tecnologia on disc37. Il cinema conserva la sua storia nei film, la contestualizza, la custodisce e la fa ri-vivere in maniera inedita e molteplice, e Inland Empire attiva la riflessione sul cinema come la latenza più radicale e ossessiva, configurandola come il proprio orizzonte significante.

37 La tecnologia on disc utilizza il suono su di un supporto esterno all’immagine filmica. Si tratta di un normale disco che riproduce il suono dei dialoghi e dei rumori presenti nel film sincronizzati a ciò che avviene sullo schermo. Successi-vamente verrà introdotta con l’utilizzazione della registrazione ottica attraverso fluttuazione luminosa, della tecnologia on film. Per i problemi relativi allo studio del suono nel cinema e alla sua introduzione, rimando al testo di Michael Chion e allo studio comparativo nell’ambiente digitale di Mauro Di Donato: MICHEL CHION, La voix au cinéma, Paris, Editions de L’Etoile, 1982, trad. it. La voce nel cinema, Parma, Pratiche, 1991; ID, Le son au cinéma, Paris, Editions de L’Etoile, 1985; MAURO DI DONATO, La spazializzazione acustica nel cinema contemporaneo, Roma, Onyx, 2006. Per quanto riguarda un approccio teorico ai problemi del suono si rimanda a: ANDREA BOSCHI, L’avvento del sono-ro in Europa. Teoria e prassi del cinema degli anni della transizione, Bologna, CLUEB, 1994.

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Questa prima sequenza del film di Lynch è costituita da un montaggio complesso che si costruisce immediatamente come configurazione dell’ambiguo ed evocazione del rimosso.

Ci sono quattro inquadrature unite da tre dissolvenze incro-ciate che mostrano in dettaglio il disco che gira sotto la punta del grammofono. La prima inquadratura presenta un’ombra simmetrica della puntina, che assume forma moltiplicata con-figurando il doppio. La luce va e viene, è alternata come nella mdp (macchina da presa) o nel proiettore che impressiona la pellicola cinematografica grazie al dispositivo costituito dalla croce di Malta38, o la riproduce attraverso la luce cromati-ca; la seconda ha perso l’iscrizione del simmetrico e la mdp attraverso uno zoom all’indietro mostra ancora l’andamen-to del disco, la luce è fissa e non più alternata come prima. Seconda dissolvenza incrociata, il disco nel grammofono sta scomparendo, ma le sue tracce rimangono per un po’ nell’im-magine ed è introdotta una figura indefinibile, forse la testa di un uomo con i capelli bagnati e si sente pronunciare: «Le scale sono buie» per poi attraverso la terza dissolvenza incro-ciata vedere di nuovo il disco sul grammofono questa volta simmetricamente moltiplicato. Questa serie di inquadrature non narrative e apparentemente illogiche fanno emergere il doppio come immagine psichica, fantasmatica, rimossa, con-tinuamente configurato e ri-figurato nell’orizzonte del visibile del film e il figurale si oggettiva nuovamente come figura-ma-trice, cioè come tracciato rimosso secondo appunto il sistema elaborato da Lyotard39.

38 Per quanto riguarda le informazioni relative al funzionamento della macchina da presa e le modalità di impressione della pellicola, e tutti gli aspetti tecnici relativi all’apparecchiatura cinematografica la bibliografia è ampia e articolata. Si segna-lano i seguenti testi di rilievo: OSCAR GHEDINA, Ottica fotografica, Milano, Hoepli, 1980; PAOLO UCCELLO, Le plaisir des yeux, Paris, Cahier du ciné-ma, 1987; trad. it. Il piacere degli occhi, Venezia, Marsilio, 1988; RICCARDO ROVESCALLI, Il cinema e le sue sorelle. L’evoluzione digitale nella tecnica e nel linguaggio del cinema, della televisione e della radio, Milano, Franco Angeli, 2000; VINCENZO BUCCHERI, Il film. Dalla sceneggiatura alla distribuzione, Roma, Carocci, 2003.

39 Secondo lo studio di Lyotard la figura-matrice è invisibile per principio, è ri-mossa e mischiata al fantasma originario. Va da sé che le inquadrature prese

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L’ultima dissolvenza incrociata introduce, sempre in bianco e nero, attraverso un totale, un corridoio stretto, illumina-to con ai lati due porte. Il corridoio oggettiva un insieme di percorsi possibili e alternativi. Sono configurati nell’imma-gine schermica due persone, un uomo e una donna, con i volti censurati, in cui i contorni di definizione del volto sono irriconoscibili e le caratteristiche somatiche perse. La don-na nelle inquadrature successive afferma in lingua polacca di non ricordare il posto dove si trova, né di avere le chiavi che si scopre successivamente essere state date all’uomo, e dice: «Dove ho la testa» e insieme attraversano la prima porta collocata sulla sinistra del corridoio. Secondo la semiotica di Pierce40 i segni sono persi e dilatati in quanto le differenzia-zioni simboliche, iconiche e indexicali, sono negate e ridotte ai minimi termini in una semiotizzazione sospesa e una ri-configurazione semiotica inscritta in un universo infinito e continuo semiotizzante. La funzione dei segni semiotici è, in questa sequenza di apertura di Inland Empire, quella di non attivare nessuna funzione semiotica, ma di ri-figurazione del nulla. I volti censurati inscrivono nell’immagine la perdita di identità del soggetto assente, e oggettivano sullo schermo la perdita del segno dal proprio referente, dal proprio punto di riferimento. In questo modo l’immagine filmica configura il proprio rapporto con la realtà e la perdita di quel rappor-to e la riconfigurazione dell’ente principale. Per Heidegger:

in analisi di Inland Empire e da me definite come figure-matrici, sono visibili nell’orizzonte immaginario del film ma si configurano come elemento rimosso e invisibile nell’orizzonte significante del film. La sequenza è rimossa e invisibile non allo spettatore,ma al soggetto diegetico che si muove nello spazio simbolico dominato da una particolare configurazione del tempo e soprattutto del passato che vedremo essere un aspetto particolarmente interessante di Inland Empire.

40 Si veda: CHARLES SANDER PEIRCE, Collceted Papers, Harvard University Press, 1931 trad. it. Semiotica, Torino, Einaudi, 1980. Per quanto riguarda gli studi sul cinema che applicano la semiotica di Peirce, si vedano in particola-re: PETER WOLLEN, Sign and Meaning in the Cinema, London, Secker & Warburg, 1969; GIANFRANCO BETTETTINI, L’indice del realismo, Milano, Bompiani, 1971.

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“l’ente appare, ma si presenta come qualcosa che non è41”. Il nascondere nell’ermeneutica ontologica è il simulare. Ma sul concetto di simulare e su quello di simulazione ci torneremo più avanti, sulla parte dedicata allo studio del film nel film, in cui la simulazione si configura attraverso forme particolari e intensive.

Il volto dei due personaggi è deformato attraverso un pro-cesso compositivo che si chiama sfocato, e in particolare lo sfocato interno o parziale presente nel film di Lynch assume significazioni nuove che ribaltano il suo normale utilizzo. Lo sfocato viene utilizzato al cinema o in fotografia per divi-dere una parte rispetto a un’altra e fornirla di significazione nuova, di importanza e valore. Questo procedimento da un lato deforma l’ambiente e il mondo stesso che sta all’interno dell’immagine, e dall’altro lato configura l’isolamento del sog-getto circondato da un mondo indefinito che ha perso i suoi punti di riferimento. Le sfocature sono istanti di ambiguità che rendono difficile la lettura dell’immagine filmica e che producono per questa deformazione, nuovi significati, nuovi sensi. Lo sfocato è: “un meccanismo del piano dell’espressio-ne che lavora per dispersione dei contorni e per dissipazione della densità figurativa delle figure. Questa definizione può giungere a fino alla deformazione-sfigurazione totale, a volte per saturazione, per eccesso di precisione o di luminosità, a volte per offuscamento e rarefazione, e lo sfocato diventa un meccanismo di addensamento e con/fusione delle figure, un ritorno alle sostanze dell’espressione42”.

Il volto censurato, negato, nascosto, deformato assume il connotato di cifra tecnico-stilistica di Lynch in una sorta di genealogia del volto. L’introduzione nei film di Lynch, so-prattutto nelle sequenze iniziali di volti deformati, allucina-tori e surreali, ritorna sempre come elemento perturbante e

41 MARTIN HEIDEGGER, Holzwege, Klosterman, Frankfurt a/Mein, 1950, trad. it. Sentieri interrotti, Firenze, La Nuova Italia, 1968.

42 NICOLA DUSI, Sfocata/mente, “Segnocinema”, 1997, in GIUSEPPE MELE-DANDRI, La Fotografia Pubblicitaria di Moda. Una foresta di simboli, Roma, Edizioni Nuova Cultura, 2007, p. 105.

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mistificatorio dal forte carattere simbolico. Velluto Blu con i volti sorridenti dei pompieri; Fuoco cammina con me con il vol-to di una scimmia nascosto dietro il volto di un uomo che grida, introducendo il problema della maschera43; i volti di Mulholland Drive che all’inizio del film nella sequenza del ballo si moltiplicano per poi rimanere solamente tre con lo sguar-do rivolto verso un orizzonte perduto e misterioso44. In tutti questi film la microsequenza dei volti iniziali non introduce la storia in modo diretto, ma si oggettiva in un’immagine iso-lata che ritornerà solo successivamente nello snodo narrativo del film, in cui le coordinate conoscitive delle immagini e del visibile non sono ancora identificabili. L’immagine iniziale però, nonostante questo, assume una funzione spiazzante del-le coordinate percettive e di fruizione narrativa, fornisce allo spettatore delle coordinate conoscitive rimosse che lo condu-cono nell’operazione di decifrarle, interpretarle, nel processo di indagine interpretativa del complesso testo filmico. Il tutto assume una dimensione simbolica e auto-interpretativa. Lo spettatore in questo particolare ambiente visivo da passivo diventa attivo. La prima immagine è la configurazione del significante-cinema che trasla dall’immaginario per iscriversi nell’universo simbolico ed ermeneutico del film.

In Inland Empire però questa oggettivazione della percezio-ne rimane elemento rimosso e negato nella configurazione della perdita/assenza del soggetto. L’interpretazione del te-sto filmico, l’operazione di ermeneutica del film può attivarsi solo in presenza di un interprete: “l’interpretazione è pensa-

43 Si veda l’interessante posizione di Nietzsche nelle Considerazione inattuali che riprende Vattimo nel suo saggio sulla liberazione del dionisiaco in: GIANNI VATTIMO, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, Milano, Bompiani, 1974, p. 18.

44 Sullo studio di Mulholland Drive e in particolare sullo studio del volto nel film si vedano i due studi di Bertetto: PAOLO BERTETTO, Il riflesso, la lacrima e il nero, in GIULIA CARLUCCIO, FEDERICA VILLA, Il lavoro sul testo. La post-analisi, Torino, Kaplan, 2005; PAOLO BERTETTO, L’analisi interpreta-tiva. “Mulholland Drive” e “Una femme mariée”, In PAOLO BERTETTO, Metodologie di analisi del film.

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ta all’interno dell’analitica esistenziale: la comprensione è un esistenziale dell’esserci, ossia è una componente strutturale dell’essere al mondo, e quindi dell’individuo45”. All’interno dell’universo diegetico del film (e in quasi tutto il cinema di Lynch) non esiste nessun interprete che decostruisce la strut-tura narrativa, l’evento di partenza che introduce il mistero e l’enigma iniziale. Non c’è un vero e proprio indagatore dell’enigma, anche se sempre tutti i personaggi di Lynch cer-cano di capire l’universo enigmatico, lo spazio diegetico in cui si trovano ad agire. Solo in Mulholland Drive, attraverso una pista falsa la presenza di un falso interprete, si oggettiva nel personaggio di Betty, che cerca di disvelare l’enigma di Rita, ma entrambe sono delle configurazioni oniriche di un personaggio, delle costruzioni inconsce, e nella seconda parte del film l’interprete diegetico assume un’identità, una funzio-ne narrativa differente pur avendo il volto di Betty.

La dinamica di presenza/assenza anche dell’interprete die-getico è quindi una costante dell’universo cinematografico potenziale ed enigmatico di Lynch, e in Inland Empire viene di nuovo radicalizzata, come discorso extradiegetico di rifles-sione sul dispositivo cinematografico. Al cinema non c’è la presenza né della persona, né dell’oggetto filmato, ma è con-figurata nell’immagine filmica proprio la sua assenza.

Il concetto di presenza al cinema è la configurazione di un’assenza, del visibile e dell’invisibile, è la riconfigurazione di un simulacro46, cioè di una copia differenziale, di una copia

45 PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione. Ermeneutica e decostru-zione, p. 182.

46 Il simulacro secondo l’accezione di Mario Perniola: “non è né icona né visione: esso non ha un rapporto di identità con l’originale, col prototipo, né implica la lacerazione di tutte le apparenze e la rivelazione di una pura verità sostanzia-le. Il simulacro è un’immagine priva di prototipo, l’immagine di qualcosa che non esiste”. (MARIO PERNIOLA, La società dei simulacri, Bologna, Cappelli, 1980, p. 121-122). È quindi una copia differenziale di una copia differenziale senza origine. Per quanto riguarda il concetto di simulacro, la riflessione filo-sofica ha prodotto interessanti studi in merito. I più interessanti sono riportati nello studio di Bertetto, Lo specchio e il simulacro, cit. Per gli studi sul cinema, il simulacro è analizzato in PAOLO BERTETTO, Il gattopardo. La figurazione, il simulacro, in VERONICA PRAVADELLI (a cura di), Il cinema di Luchino Vi-

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differenziale senza origine. Metz a proposito fornisce un’in-teressante esempio su come le modalità di configurazione di presenza/assenza si iscrivono nello statuto stesso dell’imma-gine filmica. Egli afferma che: “La specificità del cinema non va ricercata nell’immaginario che eventualmente può rappre-sentare, ma in ciò che il cinema è innanzitutto, in ciò che lo costituisce come significante [...]. Lo sdoppiamento (possibi-le) che instaura l’intento della finzione si trova preceduto, nel cinema, da un primo sdoppiamento, sempre già compiuto, che instaura il significante. L’immaginario, per definizione, combina in sé una certa presenza e una certa assenza. Nel cinema non è solo il significato della finzione, se ce n’è uno, a rendersi così presente nelle modalità dell’assenza, ma, prima ancora, il significante stesso47”.

E continua Metz delineando i concetti di doppio e fantasma quando dice: “Così il cinema ‘più percettivo’ di certe arti, se consideriamo l’elenco dei suoi registri sensoriali, è ugualmen-te ‘meno percettivo’ di altre arti appena si considera lo statuto di quelle percezioni e non più il loro numero e la loro diver-sità: perché le sue percezioni, in un certo senso, sono tutte ‘false’. O piuttosto, l’attività di percezione è reale (non è il cinema il fantasma), ma ciò che viene percepito non è l’ogget-to reale, è la sua ombra, il suo fantasma, il suo doppio, la sua riproduzione, un nuovo tipo di specchio48”.

Lynch in questa sequenza iniziale di Inland Empire oggetti-va nuovamente i concetti di simulacro, presenza/assenza, pre-senza/potenza, falso e illusione che vanno a infrangere una tradizione molto consolidata negli studi sul film (pensiamo all’esagerata influenza che ha avuto Bazin e le sue concezioni sul cinema come specchio della realtà). Ma la tradizione che il

sconti, Venezia, Roma, Fondazione Scuola Nazionale di cinema, 2000; PAOLO BERTETTO, L’immagine-simulacro, in “Bianco e nero”, n. 553/03, 2005; ID, Lo specchio e il simulacro. Nell’ultimo testo sono interessanti da questo punto di vista gli studi su The woman in the window (La donna del ritratto, 1944) di Fritz Lang, e Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) di Alfred Hithcock.

47 CHRISTIAN METZ, Cinema e psicoanalisi, p. 56.

48 Ibidem, p. 56.

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film infrange, e con esso la prospettiva ermeneutica che lo so-stiene e che lo aiuta nell’opera di distruzione, è una tradizione di pensiero che trova i propri referenti culturali e filosofici nel positivismo e nella metafisica di provenienza hegeliana, contro cui già Nietzsche, nel momento in cui faceva il suo ingresso nel mondo filosofico, si scagliava49 fortemente; e proprio per-ché queste posizioni, queste tradizioni sono sopravvissute in maniera diversa al Novecento, sono ancora propense a con-fondere e deviare l’analisi del film intesa come interpretazione e decostruzione di un testo formale e significante che è il film. Le riflessioni che emergono da questo studio sono già presenti a livelli diversi in Mulholland Drive, e vengono affrontate come primo approccio a un problema ampio e controverso che Lynch ha affrontato e su cui continua a riflettere nuovamente da una prospettiva simile ma diversa in Inland Empire, che come vedre-mo si pone in un’ottica radicale rispetto al film precedente.

Paolo Bertetto nel suo ultimo studio sullo statuto di simu-lacro dell’immagine filmica afferma che: “Quello che viene oggettivato nell’immagine non è un oggetto, ma una somi-glianza a un oggetto. E questa somiglianza è il prodotto di una simulazione [...]. L’oggetto è assente50”. È un oggetto che viene interpretato e che potrebbe essere così secondo l’interpretazio-ne, ma che non è oggettivamente così. È una configurazione sostitutiva dell’oggetto. Tutto ciò al cinema si configura nella qualificazione dell’immagine filmica, i cui elementi sono:

a) il supporto su cui è inscritta;b) il carattere di simbolizzazione (o semiosi), cioè il grado

significante che esprime l’immagine;c) la differenza particolare dall’oggetto. Essa “diventa vettore significante, cioè qualcosa che è orien-

tato verso il senso, che lavora per il senso51”.

49 Si veda il tentativo di autocritica 5 presente ne La nascita della tragedia, in FRIE-DRICH NIETZSCHE, Nietzsche werke, Kritische Gesamtausgabe, Herausge-geben von Giorgio Colli und Mazzino Montinari, Berlin, Walter de Gruyter, 1967 trad. it. Opere, Milano, Adelphi, 1972-1973.

50 PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simulacro, p. 80.

51 Ibidem, p. 106.

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I due personaggi che vengono presentati all’inizio di questa particolare sequenza di Inland Empire non esistono nemme-no nell’orizzonte logico-diegetico del film che ancora non è stato avviato compiutamente. Sono presentificati e assenti, sono potenzialmente mostrati, anche perché i loro volti sono nascosti e negati allo spettatore. Dietro la deformazione po-trebbe esserci qualsiasi personaggio, qualsiasi persona, qual-siasi essere potenziale. Essa configura la perdita dell’identità del soggetto e l’impossibilità del riconoscimento dell’oggetto proiettato sullo schermo e collocato nell’universo cinemato-grafico52.

Inland Empire, come è stato detto diverse volte in questo sag-gio, è un film sul cinema che si costituisce come film-simula-cro, cioè come il film che più di tutti gli altri film sul cinema53 simula e configura il funzionamento del dispositivo cinema-tografico ed è capace di attivare riflessioni speculari sull’im-magine e il suo statuto finzionale e illusivo. C’è un particolare film di Alexander Kluge del 1981, Die Macht der Gefhule (La forza dei sentimenti, 1981), che configura il nero inscritto nello statuto dell’immagine filmica, ma Inland Empire va oltre, non si ferma a riflettere su di un solo aspetto del sistema-cinema, ma cerca attraverso meccanismi complessi di significazione di riflettere in maniera organica e completa su tutto quello

52 Si veda l’interessante studio condotto da Ferrari e Nancy sul volto e perdita dei referenti nel processo di riconoscimento e identità: FEDERICO FERRARI, JEAN-LUC NANCY, Iconografia dell’autore, Roma, Sossella, 2006.

53 I film che riflettono sul cinema sono molti e differenti. Spesso si articolano come riflessioni personali del regista che configura la sua stessa esperienza sullo schermo: questo è il caso di 8 e mezzo (1963) di Federico Fellini; Le Mépris (Il disprezzo, 1963) di Jean-Luc Godard; La Nuit Americaine (Effetto Notte, 1973) di François Truffaut; Identificazione di una donna (1982) di Michelangelo Anto-nioni; Der Stand der Dinge (Lo stato delle cose, 1982) di Wim Wenders; Lisbon Story (1994) di Wim Wenders. A volte come interpretazione storica di alcuni nodi importanti della storia del cinema: Singin’ in the Rain (Cantando sotto la pioggia, 1952) di Gene Kelly e Stanley Donen; I Fratelli Skladanowsky di Wim Wenders. Altre volte i film sul cinema assumono un carattere metaforico ed ei-detico L’uomo con la macchina da presa (1929) di Dziga Vertov; Rear Window (La finestra sul cortile, 1954) di Alfred Hithcock; Blow-Up (1966) e Professione: reporter (1974) di Michelangelo Antonioni; Mulholland Drive (2001) di David Lynch.

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che c’è e soprattutto non c’è, perché nascosto nell’universo simbolico e immaginario del cinema54.

Proprio per questa particolare proprietà il film in questione deve e dovrà sempre essere studiato e analizzato in relazione ai nodi teorici e concettuali che nella storia del cinema sono sempre stati affrontati e quasi mai risolti. La teoria e l’inter-pretazione dei film si connette necessariamente con il testo significante, esprimendo il carattere ermeneutico nella fase di precomprensione del testo che attiva inizialmente l’interpre-tante nel percorso di analisi dell’interpretabile.

Il processo di analisi del testo deve tener conto sempre delle dinamiche dello sguardo, della configurazione delle se-quenze, dei ritmi di montaggio. In più si deve connettere alla dimensione simbolica che il testo filmico esprime nell’oriz-zonte significante, formale e linguistico in cui si struttura. La sequenza in questione, oltre a oggettivare attraverso un meccanismo di significazione complesso l’assenza, configura il passaggio, il varco come figura significante e ricorrente in grado di presentare e permettere di attraversare mondi pos-sibili e ri-figurare il visibile. In questo modo si costruisce il soggetto inteso sia come presenza che come sguardo proietti-vo e percettivo, cosa che avviene ad esempio nel momento di configurazione dell’immagine del soggetto diegetico proietta-to in una superficie specchiante55. Il soggetto viene collocato in un universo potenziale e immaginario di forte incertezza e mistero in cui lo sguardo assume funzioni molteplici e con-traddittorie, contribuendo a costruire il testo filmico come configurazione enigmatica.

54 Secondo il parere di chi scrive, che potrebbe essere azzardato, ma efficace, Inland Empire potrebbe essere analizzato unicamente attraverso il testo di Bertetto Lo specchio e il simulacro che più volte ho utilizzato per spiegare e approfondire questioni di assoluta importanza che nell’analisi del film sono emerse. Sembra quasi che Lynch abbia realizzato il suo film tenendo conto dello studio e degli studi di Bertetto, ipotesi certamente di fantasia ma alquanto suggestiva.

55 Si veda a proposito il saggio di Lacan sulla fase dello specchio in: JACQUES LA-CAN, Scritti, cit.; in ogni modo si guardi anche il capito 6 del saggio di Bertetto, Lo specchio e il simulacro, dal titolo: Immagini e forme eidetiche.

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La sequenza di apertura di Inland Empire mostra, come ab-biamo visto sopra, due persone senza connotati. Il dialogo che sviluppano è in lingua polacca, e la donna sembra es-sere una prostituta in quanto l’uomo si rivolge a lei dichia-randole l’intenzione forzata di avere un rapporto sessuale. Egli con tono verbalmente arrabbiato e offensivo le dice “sai cosa fanno le puttane?”. Lynch in questo dialogo oggettiva quello che Nietzsche chiama “volontà di potenza56” nell’uni-verso simbolico del film. È in un certo senso uno dei vari sottotesti latenti del film. La volontà di potenza è uno degli elementi comuni all’uomo che il cristianesimo ha represso, condannandolo a una vita ascetica e repressa delle proprie passioni. L’uomo che insulta la donna all’inizio di Inland Em-pire configura questa posizione nietzschiana di volontà, una volontà di reificazione dell’individuo che è capace di decidere del destino e della volontà altrui. Ma quello che della filoso-fia di Nietzsche viene oggettivato nell’universo diegetico del film di Lynch, sono i concetti stessi di simulacro, di falso, di mondo come rappresentazione e luogo senza verità domina-to dalle potenze del falso, che ritornano sempre di continuo nella dimensione diegetica, narrativa e nell’orizzonte visivo del film. Posizioni che riprenderà e amplierà successivamente dopo Nietzsche l’ermeneutica ontologica con Heidegger nello scritto degli anni Trenta Essere e Tempo57; e con Verità e Metodo del suo allievo Gadamer.

In questa sequenza del film che si sta analizzando, la donna si spoglia e ha il rapporto sessuale con l’uomo, il tutto av-viene attraverso un primo piano censurato della donna, che dice: «Ho paura» ripetendolo per una seconda volta. Rispetto al percorso configurato dal corridoio principale, ci sono altri percorsi secondari, che inscrivono nel carattere potenziale del

56 Per quanto riguarda il processo di definizione dell’oltreuomo nella filosofia niet-zschiana si consigliano le quattro opere conclusive su tale argomento del filoso-fo tedesco: La volontà di potenza; Ecce homo; L’anticristo, Il crepuscolo degli idoli in: FRIEDRICH NIETZSCHE, Opere, cit.

57 MARTIN HEIDEGGER, Sein und Zeit, Halle, Niemeyer, 1927, trad. it. Essere e tempo, Milano, Bocca, 1953.

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testo filmico lo stesso soggetto collocato nell’orizzonte diege-tico e immaginario. Inland Empire configura universi possibili, alternativi, trasgressivi, che si intersecano e si confondono l’uno nell’altro. Tutto l’universo filmografico di Lynch (alme-no da Velluto Blu, e prima ancora in Erashed), è una costan-te porta aperta su vari mondi possibili e alternativi, in cui l’immaginario e l’eccesso si connettono a figure inconsce di grande complessità latente e a figure simulacrali. Inland Empire è da questo punto di vista la messa in scena perfetta di un simulacro.

Il comportamento dei due personaggi nell’universo diegeti-co del film oggettiva una doppia pulsione sadomasochistica, elemento che ricorre spesso nell’orizzonte filmico di Lynch come fantasma e figura intensiva, ossessiva e delirante del de-siderio e della trasgressione. L’eccesso e il delirante si configu-rano nell’immaginario del film come fantasma psichico di ele-vata intensità emozionale e significante, in grado di produrre angoscia, inquietudine, paura. È una doppia pulsione perché è sadica e masochistica, ed è configurata da due personaggi diversi. Ma non solo, la pulsione al piacere sadomasochistico è doppia in quanto sadismo e masochismo sono strettamen-te legati, il masochismo è la trasformazione o sublimazione di un desiderio sadico, è la riconfigurazione dell’oggetto ses-suale, dell’oggetto desiderato, e della proiezione deviante, del soggetto desiderante. Il masochismo, per dirla con Freud, è il “prolungamento del sadismo rivolto sul soggetto stesso, il quale, in questo modo, prende il posto dell’oggetto sessuale58”. È interessante notare che il sadico è sempre e comunque un masochista, ed è interessante notare come in questo segmento di Inland Empirte la doppia componente della pulsione sessuale si realizza in una relazione consapevole tra i due personaggi. Freud sempre nel suo studio sulle aberrazioni sessuali, dice che: “Una persona che prova piacere a produrre del dolore in qualche altra durante una relazione sessuale è anche in gra-do di avvertire come piacere un dolore che da quel rapporto gli possa derivare. Un sadico è sempre al tempo stesso un

58 SIGMUND FREUD, Tre saggi sulla sessualità, cit., p. 34.

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masochista, per quanto l’aspetto attivo o quello passivo della perversione possa essere in lui più decisamente sviluppato, al punto da rappresentare la sua attività sessuale predominan-te59”. Vedremo come in Inland Empire le figure pulsionali di tipo sadomasochistico ricorrono continuamente nel delirio psichico del soggetto desiderante principale del film

La sequenza si conclude con il campo medio di una stanza con la macchina da presa collocata diagonalmente rispetto all’asse spaziale, in cui sono mostrati un divano e una pol-trona. La stanza è il segno ricorrente, luogo rimosso e ricon-figurato come spazio simbolico e potenziale di intersezione semiotica e figurale, assumendo i connotati di una dimensio-ne fantastica ed enigmatica. La stanza è il luogo dell’assenza e della presenza, è il luogo del fantasma60.

Lo sguardo, la maschera

Come abbiamo visto, in questa sequenza di Inland Empire i volti dei due personaggi sono nascosti da un alone che si presenta come un sostituto di una maschera, in quanto è li-mitato al volto. Sul concetto di maschera le scienze umane61 si sono espressi diverse volte, soprattutto in ambito filosofico e psicoanalitico, intrecciandosi con gli studi sulla letteratura,

59 Ibidem, p. 34.

60 Per quanto riguarda lo studio di queste figure, si veda PAOLO BERTETTO, David Lynch. L’immaginario, l’eccesso, in PAOLO BERTETTO, David Lynch, Venezia, Marsilio, 2008. All’interno del testo è presente un piccolo saggio di Andrea Bellavita su Inland Empire pur non condividendone alcune premesse metodologiche, in quanto a mio giudizio l’analisi del film che esso propone si pone unicamente nell’ottica dello studio del linguaggio filmico, soffermandosi eccessivamente sul rapporto dello spettatore con il suo oggetto; è interessante nell’interpretazione che propone.

61 Con studi culturali qui non intendo riferirmi ai cultural studies che nell’ambito della teoria del cinema sono stati avviati a cavallo tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta. Si veda su questo argomento: FRANCESCO CASETTI, Teorie del cinema.1945-1990, Milano, Bompiani, 1993; ROBERT STAM, Teorie del cine-ma (2 Voll.), Roma, Dino Audino, 2005.

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il teatro e naturalmente il cinema. Da Pirandello a Vattimo la maschera in tutte le sue forme e configurazioni ha suscita-to grande interesse, ponendo interrogativi e a volte fornendo delle risposte che hanno definito, caratterizzato e interpreta-to attraverso forme molteplici tutta la cultura occidentale del Novecento.

La maschera all’interno della filosofia di Nietzsche, e in particolare già dalla sua prima opera La nascita della tragedia62, assume forme e significati molteplici in cui è inscritto il sog-getto individuale. La maschera diventa il segno dell’impos-sibilità di un mondo ordinato, l’esempio dell’inconciliabilità tra essere e apparenza, tra forma e contenuto, tra interno ed esterno. E la maschera è capace persino di assumere le pos-sibili configurazioni dell’intelletto in un mondo che è solo rappresentazione di sé: “L’intelletto, come un mezzo per la conservazione dell’individuo, sviluppa le sue forze principali nella finzione; poiché questo è il mezzo, col quale si conser-vano gli individui più deboli, meno robusti, come coloro ai quali è interdetto di condurre una lotta per l’esistenza con le corna o coi denti aguzzi degli animali da preda63”. È Gian-ni Vattimo che, nello studio dell’opera del filosofo tedesco in rapporto alla maschera, dà un’interessante definizione del concetto di maschera, finzione e travestimento: “Nell’uomo moderno, il travestimento viene assunto per combattere uno stato di paura e di debolezza [...] il travestimento nasce dun-que dall’insicurezza, la quale, per l’uomo moderno, ha radici specifiche nell’eccesso di cultura storica e nell’affermarsi del sapere scientifico come forma spirituale egemone [...] l’uomo è indicato esplicitamente come quell’animale che, trovandosi a essere più debole di altri e delle forze naturali soverchianti,

62 FRIEDRICH NIETZSCHE, Opere, cit.

63 FRIEDRICH NIETZSCHE, Uber Wahreit und Lüge im aussermoralischen Sinne, in Nietzsche werke, Kritische Gesamtausgabe, Herausgegeben von Gior-gio Colli und Mazzino Montinari, Berlin, Walter de Gruyter, 1967 trad. it. Ope-re, Milano, Adelphi, 1972-1973, trad. it. Sulla verità e la menzogna in senso extramorale, trad. it. di E. Lo Gatto, in FRIEDRICH NIETZSCHE, Scritti minori, Napoli, Ricciardi, 1916.

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ha adottato come sola possibile arma di difesa la finzione64”.In una prospettiva necessariamente ermeneutica la masche-

ra è la configurazione dell’intelletto dell’uomo che si esprime attraverso la finzione e da cui emerge il bisogno della difesa di se stessi in una civiltà ostile. Essa è collocata così in una dimensione fortemente e radicalmente tragica. Le inquadra-ture che in Inland Empire inscrivono il volto censurato nel vi-sibile connotandolo come sostituto della maschera, configu-rano così l’eccesso come enigma, il tragico come orizzonte incerto del visibile e come luogo del figurale. In Inland Empire la maschera, che tornerà anche successivamente nel film in altre sequenze in modo palese o latente, è l’oggettivazione dell’immagine del soggetto negata allo sguardo forma e di un figurale totalmente rimosso. Ma andando oltre è lo stesso Nietzsche che in una prospettiva antihegeliana, che antici-pa il distacco da Schopenhauer, sceglie la maschera, e quindi l’apparenza come forza creatrice e metaforizzante, prenden-do in considerazione la funzione del linguaggio, nel processo di liberazione del dionisiaco. Vattimo dice che: “Nietzsche prende partito per le apparenze: se il dionisiaco è il flusso della vita che divora le forme, l’esistenza è concepita come uno sforzo, sostanzialmente destinato allo scacco, di soprav-vivere, fermando o anche solo dimenticando per un attimo la terribile realtà del passare e del perire. Se invece il dionisiaco è anzitutto una forza ‘liberamente poetante’, anche la lotta per l’esistenza (quella in vista della quale, per esempio, viene inventata la scienza) diventa solo un caso particolare in una vicenda più vasta, che è la generale produzione di apparenze, di simboli, di forme sempre nuove65”.

L’affermazione di Vattimo è in sintonia con le posizioni di Luigi Pirandello secondo cui il mondo è dominato da forme in cui manca la vita, e ciò si connette così alla dimensione simulacrale di Inland Empire e negli universi deliranti e alluci-natori configurati in tutti i film di Lynch.

64 GIANNI VATTIMO, Il soggetto e la maschera. Nietzsche e il problema della liberazione, cit., pp. 17-18.

65 Ibidem, p. 28

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Le emozioni, il falso e la percezione dell’assenza

Abbiamo visto quindi come Inland Empire configuri delle pulsioni psichiche inconsce deviate direttamente nell’imma-ginario di grande intensità emotiva La sequenza successiva introduce in una doppia articolazione una configurazio-ne biunivoca del ruolo e dell’azione che lo spettatore attiva quando vede il film. Lynch oggettiva però questo ruolo dello spettatore cinematografico trasferendolo al mezzo televisivo, come se ponesse la questione al giorno d’oggi, riflettendo su quello che può essere l’istituzione cinematografica in epoca moderna, e di conseguenza la perdita del rito collettivo del cinema e della necessità di un immagine schermica ampia, ca-pace di fagocitare lo spettatore non solo come soggetto passi-vo, ma come pulsione desiderante e pulsionale. Nel saggio di Christian Metz del 1977 Cinema e psicoanalisi, viene introdotto il concetto di “istituzione cinematografica”, considerandolo non solo in rapporto all’industria cinematografica, ma in rap-porto a un comportamento dell’uomo moderno all’interno degli ambienti culturali. Egli afferma che l’istituzione cine-matografica non è: “solo l’industria del cinema (che funziona per riempire le sale, e non svuotarle), ma anche i meccanismi mentali – altra industria – che gli spettatori ‘abituati al cine-ma’ hanno storicamente interiorizzato e che li rende atti a consumare film (l’istituzione è fuori di noi e dentro di noi, in-distintamente collettiva e intima, sociologica e psicoanalitica, alla stessa maniera per cui la proibizione generale dell’incesto ha per corollario individuale l’Edipo, la castrazione, o forse, in altri stadi della società, delle figure psichiche diverse ma che, a loro modo, imprimono ancora l’istituzione dentro di noi)66”.

Dopo la microsequenza iniziale, che già introduce delle configurazioni significanti del film, una dissolvenza incrocia-ta introduce l’immagine questa volta a colori di un obiettivo cinematografico di fronte all’obiettivo della macchina da pre-

66 CHRISTIAN METZ, Ibidem, p. 15.

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sa principale, per presentare attraverso una nuova dissolvenza il totale di una stanza con una ragazza vestita di rosso posta di fronte alla televisione. In una dinamica complessa di cam-po-controcampo, si alternano l’inquadratura di una ragazza che piange con lo sguardo rivolto verso qualcosa che l’inqua-dratura non mostra e che risulta essere celata all’occhio del-lo spettatore. La seconda inquadratura mostra uno schermo televisivo in cui non si vede nulla, non c’è segnale e quindi risulta tutto disturbato67, l’immagine è negata, rimossa e di nuovo ha perso il proprio referente, la sua traccia. Alternando nuovamente l’immagine della ragazza che vede lo schermo, una nuova dissolvenza, questa volta nello schermo televisivo viene trasmesso un episodio della situation comedy di Lynch rabbits.

La dissolvenza incrociata assume in Inland Empire funzione eidetica e simbolica capace di configurare e concatenare po-tenzialmente i diversi universi possibili. In questa particolare struttura delle inquadrature Lynch configura il suo univer-so fantasmatico e allucinatorio prendendo il materiale visi-vo dall’immaginario non solo cinematografico, ma da tutto l’immaginario audiovisivo personale che si riconfigura su se stesso, negando radicalmente il reale e la realtà e mostrando il visibile, il semiotizzato, e di nuovo l’immaginario.

L’episodio della situation comedy trasmessa sullo schermo mostra all’interno di un soggiorno, una famiglia composta da tre conigli antropomorfi: due sono seduti su di un diva-no con i volti rivolti verso lo schermo e un terzo coniglio, posto sullo sfondo dell’immagine, dietro il divano intento a stirare dei panni su di un’asse da stiro. I due conigli che sono seduti sul divano, presentati per gli abiti che indossano come un maschio e una femmina, probabilmente marito e moglie, imbastiscono un dialogo pronunciando frasi apparentemen-te senza senso, misteriose, di cui non si conosce la relazione logica con i personaggi, né l’evento di riferimento descritto in esse. Il coniglio maschio comunica di avere un segreto. Il coniglio femmina è consapevole di ciò cui sta parlando l’altro.

67 Si veda su questo aspetto anche il film di Godard Detective (Francia, 1985).

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Anche questo dialogo inscrive l’enigma, il mistero all’interno dell’universo non solo visivo del film, ma anche narrativo. E inscrive l’illogico come elemento di configurazione creativa e significativa. La natura delle frasi sembra essere più un invito a qualcuno:

a) alla spettatrice diegetica che piange nel campo preceden-te;

b) allo spettatore extradiegetico che vede il film e osserva la dinamica del campo-controcampo;

c) al testo filmico stesso considerandolo come un organi-smo autonomo, in quanto produttore significante e regolatore dei meccanismi di significazione68 (il meganarratore cinema-tografico che regola il campo/controcampo della sequenza);

d) ai conigli diegeticamente presenti nell’immagine scher-mica;

e) al coniglio visivamente assente come forma ma presente come quarta ombra sul muro;

f) a se stesso come identificazione soggettiva e oggettiva di una pulsione rimossa che ritorna.

Questa ulteriore micro sequenza del film oggettiva nuova-mente la tematica presenza/assenza e presenza/potenza che era stata affrontata precedentemente in questo saggio. È con-figurato all’interno dell’immagine un quarto coniglio che si mostra come quarta ombra proiettata sul muro. La messa in scena privilegia ancora una volta la traccia e la perdita del suo referente nell’universo visivo e formale del film come antici-pazione della perdita sia del centro che dell’identità dei perso-naggi successivi.

La micro-sequenza ricorda molto sia dal punto di vista si-gnificante e sia dal punto di vista della configurazione della luce, i quadri di Coolidge sui cani antropomorfi e conferisce all’universo di riferimento del film un carattere di forte ambi-guità che evoca ossessioni misteriche e ancestrali, che ripor-tano l’attenzione sul carattere del perturbante come credenze della civiltà da tempo superate e rimosse.

68 Su questo aspetto di fondamentale importanza si veda: ROLAND BARTHES, S/z, Paris, Édition du Seuil, 1970, trad. it. S/z, Torino, Einaudi, 1973.

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Questo segmento ha un carattere fortemente enigmatico e inquietante, in cui è iscritto una valenza possibile e molteplice del perturbante freudiano e di quelle forme apparenti e meta-forizzanti di cui il mondo ne è solo un’immagine rappresen-tativa secondo la posizione che abbiamo visto di Nietzsche. Nel 1919, quando Freud scrive il famoso saggio Das Unhimlich, egli si sofferma in particolare non solo sulla definizione del termine, ma sulle possibili manifestazioni e aspetti formali in cui il perturbante si muove simbolicamente. Una di queste possibili manifestazioni si inscriveva negli oggetti inanimati che prendono vita. Freud si riferiva agli oggetti che hanno un ruolo particolarmente rilevante nell’infanzia come bambole e pupazzi, che nell’elaborazione psichica del bambino si con-figurano come oggetti viventi e inquietanti e che producono una dinamica ambigua sul problema della morte, il complesso di castrazione e i processi di rimozione.

Anche se da adulti il carattere perturbante dell’oggetto in-fantile viene collocato psichicamente nell’inconscio, esso non viene mai eliminato e la vista di tali oggetti, che hanno un potere rievocativo di quell’esperienza, di quel trauma, svilup-pano un carattere perturbante più o meno radicale attraver-so il ritorno del rimosso, cioè del materiale psichico relegato nella sfera dell’inconscio. Ma il loro carattere perturbante si inscrive a loro volta nel rapporto che hanno i soggetti con la morte, e si inscrive nuovamente nella riconfigurazione di concezioni e superstizioni superate da una civiltà. Pensiamo al carattere totemico69 e che in passato ha avuto e può ancora avere la figura animale per alcune civiltà, per alcune popola-zioni di ordine tribale.

Il segmento dei conigli di Inland Empire, che ritroveremo anche successivamente nel film, pur avendo intrinsecamente un carattere misterioso, sviluppa delle configurazioni signi-ficanti molteplici anche in relazione alla storia del cinema e a quella delle formazioni culturali, artistiche e immaginarie

69 Per la definizione del significato psicoantropologico di Totem anche: SIG-MUND FREUD, Opere di Sigmund Freud, vol. 7. Totem e tabù e altri scritti 1912-1914, Torino, Bollati Boringhieri, 1976-80

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dell’occidente. Questo segmento costruisce un meccanismo di significazione attraverso codici simbolici, iconologici e fi-gurali di grande rilevanza eidetica, di oggettivazione del vi-sibile e del figurale stesso. Gli elementi configuranti sono: da un lato la funzione enigmatica e inquietante dell’ombra; dall’altro la figura ambigua e molteplice del coniglio a livello sociale e immaginario.

Nel cinema tedesco d’avanguardia degli anni Venti, l’om-bra assume un carattere di figurazione enigmatica del desti-no di un personaggio nell’orizzonte simbolico del visibile e nell’orizzonte degli eventi del film. Il carattere anticipatorio dell’evento oggettivato nell’immagine filmica è inscritto nel-la formazione della messa in scena. Così anche la perdita di qualsiasi referente del segno si inserisce nella dimensione spa-ziale come inscrizione dell’altro, quale elemento eterogeneo e non assorbito nello spazio. Pensiamo all’ombra del vampiro che sale le scale in nosferatu (1922) di Murnau, o all’immagine della falsa Maria, anch’essa intenta a salire le scale in Metropo-lis (1926) di Lang, o ancora alle figurazioni complesse delle ombre nell’opera di defigurazione del visibile in Das Cabinet der Doctor Galigari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1919) di Robert Wiene70.

Ma Inland Empire oggettiva la dimensione configurante dell’ombra connettendola a una figura come quella del coni-glio, presente a volte in modo palese, altre in maniera laten-te, nell’immaginario filmico classico e moderno, ma anche nell’immaginario letterario e fantastico occidentale. Il coniglio nella storia dell’uomo ha assunto significati molteplici, rassi-curanti, inquietanti e soprattutto contraddittorie. La figura del coniglio campeggiava sopra gli scudi dei cavalieri araldici, as-sumendo significato di fertilità presso i popoli primitivi..

Nell’immaginario moderno l’immagine del conigio bianco per esempio indica un evento inaspettato che porta alla com-prensione di una realtà consolidata mettendola fortemente in crisi.

70 PAOLO BERTETTO, CRISTINA MONTI, Robert Wine. Il gabinetto del dot-tor Caligari, Torino, Lindau, 1999.

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La figura del coniglio si oggettiva nel film connettendosi nel perturbante freudiano come elemento rimosso che ritor-na continuamente nell’immaginario cinematografico. È una figura rimossa e inconscia presente nell’orizzonte del visibile e dell’immaginario del cinema americano, del cinema euro-peo, e dello stesso Inland Empire come configurazione altera e possibile del perturbante. In Shining (1980) di Stanley Ku-brick nella sequenza in cui Wendy si aggira spaventata per i corridoi dell’Overlock Hotel, è mostrato attraverso una sog-gettiva della donna un uomo travestito da un animale simile al coniglio che guarda verso la macchina da presa dopo aver avuto probabilmente un rapporto orale con un uomo anzia-no, configurando in questo modo una pulsione sessuale ri-mossa ed emersa anche in questo caso come formalizzazione del perturbante; in Donnie Darko (2001) di Richard Kelly è presente un coniglio antropomorfico che interagisce con il personaggio principale del film come allucinazione percettiva e delirante, che disvela e introduce in mondi paralleli e uni-versi immaginari. Persino in un film più commerciale come Matrix (1999) dei fratelli Wachowsky, nell’universo diegetico presente un coniglio dal forte connotato simbolico ed enig-matico, che si configura come elemento simulacrale forte. Ma il coniglio, oltre a far parte dell’orizzonte immaginario del cinema, è presente in un’ampia tradizione letteraria fantastica soprattutto per ragazzi, pensiamo a un libro come Le avventure di alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carrol, in cui il coni-glio assume la funzione oltre che di elemento fantastico, an-che in questo caso di introduzione in un mondo alternativo e trasgressivo. Nella maggior parte di questi esempi il coniglio è la figura enigmatica, inquietante che prolunga l’immagina-rio, cioè l’unione “tra immagine e immaginazione” secondo la definizione di Morin71, verso orizzonti inesplorati, rimossi dell’inconscio e del pulsionale, del desiderio e della trasgres-sione.

In Inland Empire la dinamica di campo e controcampo che

71 EDGAR MORIN, Le cinema ou l’homme imaginaire, Paris, Minuit, 1956, trad. it. Il cinema o l’uomo immaginario, Milano, Feltrinelli, 1982.

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abbiamo visto tra la ragazza piangente e l’episodio di rabbits assume una valenza particolare di configurazione complessa, in quanto non inscrive lo sguardo né nell’orizzonte di funzio-namento del campo/contro campo, né nell’orizzonte diegeti-co del testo filmico, ma lo inscrive nell’immagine schermica, nella pulsione scopica come anticipazione di una tendenza voyeuristica. Freud, nello scritto del 1905 sulle aberrazioni sessuali contenuto nei Tre saggi sulla sessualità72, affermava che la pulsione scopica, cioè la pulsione che fa provare piacere (libido) si basa su una consapevolezza del vedente e un incon-sapevolezza del soggetto veduto, cioè quello che si configura come oggetto del desiderio. Questo meccanismo di funzio-namento voyeuristico viene oggettivato nello stesso mecca-nismo di funzionamento del dispositivo cinematografico73, in cui lo spettatore è consapevole di vedere un qualcosa (assente) che non sa di essere visto, in quanto non è presente, ma è inserito in un tempo passato, e che attraverso le due semiosi fondamentali del cinema (la messa in scena e la luce) configu-ra un’illusione di presenza. Cosa che invece come possiamo facilmente intuire non avviene all’interno del meccanismo di funzionamento che configura la macchina teatrale.

Il campo della ragazza che piange oggettiva sullo schermo il carattere emozionale e intensivo che è in grado di produrre l’immagine filmica, grazie ai livelli significanti e formali che evoca e continuamente rimuove nel suo statuto di figura74. L’immagine filmica è una delle possibili configurazioni del falso, e il falso insieme alla simulazione è l’unica possibile formazione significante in questo senso. Nel cinema il rap-porto con la realtà può essere più o meno forte, può essere assunta come scelta del regista, ma non è mai la realtà ciò che è inscritta nell’immagine filmica, non c’è il mondo oggetti-

72 SIGMUND FREUD, cit.

73 Si veda in proposito il saggio di Metz: CHRISTIAN METZ, Cinema e psicoa-nalisi, cit.

74 Si veda in proposito lo studio condotto da Lyotard sulle figure e il figurale e il loro carattere significante: JEAN-FRANÇOIS LYOTARD, Discorso, figura, cit.

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vo e ordinato proiettato sullo schermo. L’immagine filmica è un’interpretazione del mondo, non è mai il mondo stesso, né la realtà e ciò chiarisce la forte relazione che il cinema instau-ra con la filosofia e soprattutto con ermeneutica. Al cinema è tutto falso, ciò che è vero sono unicamente le emozioni del pubblico, le emozioni dello spettatore cinematografico e i processi di identificazione. Già precedentemente in Mulhol-land Drive Lynch aveva inscritto nella sequenza di Rita e Betty al Club Silencio questa particolare caratteristica del sistema cinema.

Ma questa particolare configurazione costruisce il terreno di riflessione sulle pulsioni spettatoriali di tipo sadico secon-do Metz, o di tipo masochistico secondo Gaylyn Studlar75, che spingono lo spettatore al cinema e soprattutto a vedere il film. Proprio Metz nel suo saggio sul significante immagina-rio sostiene che esiste una particolare relazione d’oggetto tra il film e lo spettatore cinematografico.

È una relazione che fa percepire allo spettatore il film come oggetto buono, e dietro di questo c’è una particolare pulsio-ne sadica, in cui la fascinazione e la seduzione dell’immagine filmica sono forti e biunivoche nel processo di percezione e nel processo cognitivo di fruizione del film stesso e del testo significante latente. Per Studlar, invece, il meccanismo di fru-izione dell’oggeto-film è configurato secondo una pulsione masochistica. Entrambe le posizioni sono legittime ma con-trastanti e Inland Empire investe l’azione ermeneutica anche nel complesso rapporto tra seduzione e fascinazione che l’og-getto-film è capace di attivare nel rapporto con lo spettatore cinematografico.

È interessante che i film di Lynch infrangono questo pat-to con lo spettatore costringendolo alla visione di percorsi

75 GAYLYN STUDLAR, In the Realm of Pleasure. Von Stenberg, Dietrich and the masochistic Aesthetic, cit.; ID, Il masochismo e i piaceri perversi del cinema, in GIULIA FANARA, VERONICA GIOVANNELLI (a cura di), Eretiche ed erotiche. Le donne, l’identità, il cinema, Napoli, Liguori, 2004. La posizione dell Studlar si rifà allo studio sul masochismo di Deleuze. Si veda in proposito: GIL-LES DELEUZE, Masochism: An Interpretation of Coldness and Cruelty, New York, George Braziller, 1971, trad. it. Il freddo e il crudele, Milano, SE, 1996.

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inquietanti e ambigui che non producono un piacere, e non inducono lo spettatore a percepire il film come oggetto buo-no. È uno spettatore “dominato dall’angoscia e quindi da un’esperienza di non piacere76”.

La messa in scena di questa particolare sequenza certa-mente oggettiva sullo schermo una complessità formale nel processo di configurazione dei concetti di fascinazione e si-mulazione. La seduzione è qualcosa di volontario, in cui il soggetto che viene investito dal desiderio e si configura come oggetto del desiderio è cosciente di questo, è consapevole e si lascia appunto sedurre. Mentre il processo di fascinazione è invece contrario. Il soggetto investito non è consapevole, ma subisce la fascinazione che nel cinema (ma non solo) si oggettiva attraverso lo sguardo percettivo. Quello della fasci-nazione spettatoriale e dei meccanismi di funzionamento ha sempre attraversato direttamente il cinema e i dibattiti teorici che intorno a esso si sono sviluppati. Da Munstenberg a Ca-setti77, fino a oggi, i meccanismi che conducono lo spettatore al cinema sono complessi e diversificati. Fascinazione e sedu-zione sono all’interno dell’universo diegetico di Inland Empire, elementi che ricorrono più volte come continuazione della ri-flessione sul cinema che Lynch intraprende più volte in tutta la sua carriera. Proprio in Inland Empire la configurazione del campo e controcampo oggettiva queste due pulsioni. Non è un caso che la ragazza soffra attraverso lo sguardo, e la messa in scena della sequenza costruisce il patto spettatoriale come scena psichica di grande intensità emozionale.

Successivamente la macchina da presa si stringe sull’occhio piangente della ragazza, e di nuovo mostra l’episodio di rab-bits. Si sentono dei passi provenire probabilmente al di là della porta, in una stanza sottratta allo sguardo dello spettatore

76 PAOLO BERTETTO (a cura di), David Lynch, cit, p. 11.

77 Su questo dibattito le teorie del cinema hanno attivato diverse conoscenze, so-prattutto di tipo psicologico e psicoanalitico. Dalle teoriche sommerse fino alle teorie di campo ai cultural studies, hanno sempre affrontato questo tema e la bibliografia in proposito è vasta e disparata. Anche se non viene affrontato or-ganicamente ma getta le basi per una ricognizione sul problema, si veda a più riprese: FRANCESCO CASETTI, Teorie del cinema.1945-1990, cit.

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che incuriosiscono il coniglio maschio che esce di scena attra-versando la porta. Il tutto avviene in campo totale con la mdp fissa sul soggiorno. Lo stacco che introduce l’inquadratura successiva mostra una stanza buia in cui l’unica luce che si vede proviene da alcune finestre con delle mantovane collo-cate alla destra dello schermo. È una luce soffusa, che colloca tutta la scena in un orizzonte di mistero e angoscia, evocan-do una moderna natura morta78. Il coniglio apre la porta ed entra nella stanza rimanendo immobile con la porta aperta e lo sguardo rivolto di fronte lo spettatore facendo entrare un’altra luce. La luce illumina e costruisce a livello formale un quadrato al cui interno sono presenti il coniglio e la porta. Una nuova luce, proveniente da un lampadario sul soffitto della stanza buia, si illumina. La luce investe l’intera stanza che si scopre essere un soggiorno con i divani simili a quelli dell’inquadratura finale della sequenza precedente, e il coni-glio scompare. Questo segmento configura sullo schermo di nuovo il meccanismo di funzionamento del dispositivo cine-matografico, oggettivando la luce come elemento creativo e distruttivo delle immagini. La luce è l’elemento semiosico che registra e trasforma gli oggetti, il vettore che crea e distrug-ge tutto al cinema, l’elemento configurante del simbolico e del visibile. In questo segmento, quindi, il meccanismo di si-gnificazione costruisce la luce come vettore significante di grande intensità visiva e figurale. Tutto il cinema di Lynch si costruisce come scontro, riflesso, e riconfigurazione signifi-cante della luce. La capacità di Lynch di costruire un universo immaginario che scinde il soggetto nelle sue pulsioni psichi-che si realizza nei significati che assume la luce e nelle sue funzioni simboliche e culturali nell’oggettivazione del bene e nel male, e nella riconfigurazione dell’enigma come elemento di limpidezza del mistero.

78 Per quanto riguarda il concetto di natura morta nel cinema, l’opera di Yazushiro Ozu si connette a questa concezione particolare dell’immagine e della messa in scena. Si veda: GILLES DELEUZE, L’immagine-tempo, cit.

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La riflessione sull’oggetto filmico e il percorso inter-pretativo del testo

Il segmento successivo configura sullo schermo il meccani-smo autoriflessivo del testo filmico, riconoscendo la propria ambiguità strutturale e invitando lo spettatore di nuovo ad attivarsi verso l’atto interpretativo. Una dissolvenza da nero a bianco introduce un primo piano di un uomo, e successi-vamente un altro uomo sempre attraverso un primo piano. Il primo sembra essere tranquillo, l’altro invece è visibilmente agitato. La mdp attraverso uno stacco introduce con un totale i due uomini nella stessa stanza in cui precedentemente la luce aveva configurato e defigurato, occultandolo, il coniglio. L’uomo seduto chiede all’altro se cerca un ingresso, e l’atro conferma il desiderio.

Entrambe i personaggi si costruiscono come configurazione simbolica della struttura testuale e comunicativa di Inland Em-pire, evocando la funzione dello spettatore cinematografico di interprete del film e quella di un possibile interprete che cerca di penetrare e di entrare all’interno dei meccanismi di signi-ficazione del film. È la stessa complessità strutturale del film che interpella lo spettatore cinematografico a cercare un var-co, un ingresso per entrare nel meccanismo di significazione e ricercarne il senso, oltre a configurare un doppio costituito dai due personaggi e dalle funzioni extradiegetica che espri-mono. È in questo segmento oggettivato una delle posizioni dell’ermeneutica ontologica di Heidegger e Gadamer. Come è stato detto anche precedentemente, le posizioni espresse dai due pensatori tedeschi sono fondamentali nell’operazione di interpretazione dei testi filmici, e la struttura ambigua di In-land Empire oggettiva sullo schermo questa esigenza, configu-randosi come vero e proprio film-saggio a carattere didattico pur mantenendo una struttura formale e narrativa come film di finzione con una propria coerenza diegetica. Il testo filmico non crea da solo il senso, esso emerge e viene rivelato attra-verso il lavoro analitico, il percorso interpretativo che viene messo in campo. E l’indagine, nel momento in cui si struttu-

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ra presentando il suo percorso interpretativo, definisce la di-mensione simbolica e formale del testo filmico. Ma la ricerca del senso e la sua individuazione implicano necessariamente la presenza di un interprete. L’interpretazione stessa è inserita in un’ermeneutica dell’esserci che configura questa esigenza. Come afferma Heidegger nel suo testo fondamentale Essere e Tempo: “Comprensione e interpretazione rappresentano la costituzione dell’essere79”.

Questo avviene perché l’atto interpretativo, implicando la presenza del soggetto interpretante, allarga le possibilità esi-stenziali configurando l’interpretazione come esistenziale. Cogito ergo sum, penso dunque sono della filosofia cartesiana, diventa “interpreto dunque sono”, quindi esisto, sono un soggetto all’interno di un mondo, all’interno di un universo ambiguo che ha prodotto “forme apparenti80” secondo Niet-zsche, in cui cerco il senso e ne comprendo i meccanismi di funzionamento, significazione e configurazione. L’esistenza quindi diventa impossibile al di fuori dell’interpretazione. E proprio l’attività ermeneutica, cioè interpretativa, mi fa esi-stere. Senza interpretazione non ci sarebbe interprete. Tutto questo meccanismo di significazione viene oggettivato in ma-niera particolare all’interno di Inland Empire, in cui la struttura fortemente ambigua, che supera radicalmente la tradizione narrativa e il regime di messa in scena, pone l’esigenza dell’in-terpretazione e il problema della decostruzione del testo81.

Il dialogo che viene configurato in questo segmento di In-land Empire si è visto come sviluppi una particolare costru-

79 MARTIN HEIDEGGER, Essere e tempo, cit., p. 165.

80 FRIEDRICH NIETZSCHE, Opere, cit.

81 Il sistema filosofico di Jacques Derrida è incentrato sul concetto di “decostru-zione” collegandolo al problema della scrittura. Obiettivo della sua indagine è quello di mostare il carattere frammentario e differenziale dei testi e dei problemi sollevati dalla filosofia occidentale, radicando la forma aporetica nella scrittura, cioè nella stessa modalità di trasmissione degli stessi. Sul sistema decostruzioni-sta si veda in particolar modo: JACQUES DERRIDA, L’écriture et la différence, Paris, Editions du Seuil, 1967, trad. it. La scrittura e la differenza, Torino, Einau-di, 1971; ID, De la grammatologie, 1967, trad. it. Della grammatologia, Milano, Jaca Book, 1987.

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zione del processo comunicativo, in cui il dialogo stesso, che apparentemente si articola tra i due interlocutori, assume una valenza simbolica molto forte e complessa che investe lo spet-tatore andando oltre nella configurazione di un falso diege-tico.

Il dialogo si configura tra il film stesso, che prende forma autonoma e particolare, e lo spettatore cinematografico, che è ormai diventato uno spettatore attivo. Secondo il sistema della comunicazione di Jakobson82, la comunicazione implica sei elementi, sei fattori necessari e sufficienti:

1) messaggio;2) destinatore;3) destinatario;4) contesto;5) codice;6) contatto.In Inland Empire il destinatore è inscritto nella funzione in-

terpellativa che produce il testo filmico, è il film stesso che configura la comunicazione, attivando, producendo e ripro-ducendo il modello comunicativo. Il destinatario certamente è oggettivato e soggettivato nello spettatore cinematografico come fruitore del messaggio di partenza, che in questo caso si configura nell’enunciato: “cerca un ingresso” e nel suo dop-pio che è riconfigurato nuovamente nell’uomo in piedi nel soggiorno. Il codice assume invece valenza molteplice e am-bigua, costruendosi come vettore significante di grande pre-gnanza simbolica in quanto l’enunciato si esprime attraverso codici diversi: il codice verbale, visivo, della messa in scena e del montaggio, la banda sonora e la banda visiva.

Questo segmento di Inland Empire, concludendo l’insieme delle micro sequenze meno narrative e più ambigue del film, introduce però un ulteriore elemento di riflessione sull’esi-genza dell’interpretazione intrinseca nel testo. Sono passati dall’inizio del film pochi minuti, e lo spettatore divenuto at-

82 ROLAND JAKOBSON, Essais de linguistique générale, Paris, Les Editions de Minuit, 1963, trad. it. Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli, 1966, pp. 209-48.

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tivo, si domanda qualcosa, si chiede qualcosa, cerca di imba-stire un’interpretazione, pone nuovamente e continuamente l’esigenza di cercare e trovare un senso al film, di districare la complessità della struttura testuale.

È la stessa struttura di Inland Empire a porre l’accento sull’autointerpretazione, a mostrarsi e a richiedere allo spet-tatore l’operazione ermeneutica. La sequenza però configura l’interpellazione attraverso una configurazione metaforica del meccanismo di significazione. È oggettivato sullo schermo il film e il suo spettatore, il film e il suo sguardo autoriflessivo che sospende lo scorrere ambiguo dell’azione, delle micro-sequenze, e dà allo spettatore un’informazione non definibi-le, ma cifrata, enigmatica, misteriosa. Oggettiva la possibilità derridariana he il testo filmico può non essere capito e le in-terpretazione non può andare oltre, mettendo in discussione: “la possibilità di realizzare una relazione di comprensione effettiva tra l’interpretazione e il testo83”. Ma l’ambiguità del film, la particolarità della struttura, la radicalità della messa in scena, oggettivano non senza contraddizioni il dispiegarsi di percorsi interpretativi, la necessità di coglierli ed entrare nel-la struttura formale e significante, nell’orizzonte testuale, per poterne capire i meccanismi di funzionamento e analizzarli. La necessità che si pone per analizzare Inland Empire è di an-dare oltre a ciò che afferma Bergson, secondo cui in filosofia la verità si basa prima sul: “trovare il problema e poi di porlo, più ancora che di risolverlo84”. La necessità è di entrare nel testo e risolvere i nodi problematici, le ambiguità, gli enigmi presenti nella struttura testuale multipolare e decostruita.

Il tutto si conclude ritornando al segmento del coniglio nella stanza, la potenza configurante della luce e quindi del cinema. Lynch in Inland Empire sembra andare oltre il suo di-scorso sugli universi possibili, costruendo così una messa in scena della differenza in cui sussistono materiali espressivi radicalmente diversi, e in cui l’elemento di differenziazione

83 PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione, cit., p. 189.

84 HENRY BERGSON, Pensiero e movimento, Milano, Bompiani, 2000, p. 43.

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dall’orizzonte del reale si frammenta e deframmenta, emer-gendo da un mondo del quotidiano abitabile dai soggetti in quanto proiezioni fascinative della mente.

Il film nel film e la struttura degli universi possibili. I processi molteplici dell’identificazione

Dopo questa sequenza particolarmente significativa in cui inconscio, figurale e configurazione dinamico-visive si fondono in una dimensione intensiva dell’eccesso, il regime precedente cambia per lasciare spazio a una narrazione più lineare ma mai tradizionale. Il passaggio da un regime della narrazione a un altro non implica in Inland Empire il ritorno a una struttura narrativa tradizionale, ma la riaffermazione dell’enigma di partenza, e della ri-figurazione in maniera dif-ferente dell’impossibilità di penetrare nella storia stessa. In più, l’enigma di partenza viene scisso e duplicato continua-mente, e allo stesso tempo se ne aggiungono di nuovi, di di-versa intensità e carattere significante che risultano di diffici-le individuazione all’occhio dello spettatore. Il testo filmico produce, come in una scissione cellulare, diversi elementi che pongono problemi alla comprensione e all’individuazione del senso, e lo fa andando oltre la stessa fase di pre-comprensione. Viene posto il problema e messa in discussione la compren-sione effettiva tra il testo e l’atto interpretativo da un lato, e la mancata ricerca del vero senso del testo, secondo le posi-zioni decostruzioniste di Derrida85 dall’atro. Il testo filmico ha configurato (e riconfigurato) fin qui una serie di materia-li espressivi fortemente eterogenei, che apparentemente non hanno un legame logico tra loro e tra gli eventi mostrati sullo

85 Sul processo di comprensione in senso decostruzionista, è utile vedere lo studio che fa Derrida su Nietzsche, connettendolo a una prospettiva di studio della scrittura del testo: JACQUES DERRIDA, Éperos. Les styles de Nietzsche, Pa-ris, Flammarions, 1978.

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schermo, ma che contribuiscono alla funzionalità dell’intrica-ta rete significante di Inland Empire.

Il meccanismo di significazione investe la configurazione del racconto nella re-inscrizione dell’orizzonte temporale, la configurazione della narrazione nella rifigurazione del tempo oggettivando la celebre posizione di Ricoeur86. Ma il nuovo regime della messa in scena e la nuova configurazione narra-tiva non fanno altro che riaffermare l’orizzonte enigmatico e l’esigenza dell’interpretazione del testo significante. Attra-verso un procedimento metacinematografico, il film interpel-la lo spettatore a cercare di comprendere, di decostruire la struttura, di trovarne il senso. È un universo possibile slegato dall’orizzonte del reale ma inscritto in una dimensione forte-mente simulata che si presenta come determinazione sospe-sa.

La sequenza si apre nuovamente attraverso un procedi-mento particolare che riconfigura l’orizzonte potenziale degli eventi attraverso quella che sembra una dissolvenza da nero a bianco, presentando il dettaglio di un albero e configurando così il frammento come traccia significante di riconnessione e inscrizione del testo87 e oggettivando nuovamente l’assenza dell’elemento umano. Ma l’apertura dell’inquadratura inscri-ve nuovamente il falso nella dimensione spaziale e visiva del film, e lo fa tramite un’infrazione del raccordo sull’asse88 tra il dettaglio di partenza dell’albero, scarsamente illuminato da

86 PAUL RICOEUR, Temps et récit, vol. III, Paris, Seuil, 1985, trad. it. Tempo e racconto, Milano, Jaka Book, 1988.

87 Sul concetto di traccia all’interno del testo filmico lynchiano si veda: ANDREA MINUZ, Lost Highway, in PAOLO BERTETTO (a cura di), David Lynch, cit. Per quanto riguarda la traccia e il frammento filmico nel cinema in generale si veda: RAYMOND BELLOUR, Analisi del film, Torino, Kaplan, 2005.

88 Sulla questione dei raccordi e le regole di composizione seriale del film si veda: VINCENZO BUCCHERI, Il film, cit. per un esempio di infrazione di raccordo in una prospettiva interpretativa più ampia, si veda: ANDREA MINUZ, Il con-cetto di falso raccordo/il falso raccordo come concetto. Alcune considerazioni sull’autoriflessività nell’opera di Jean-Luc Godard, in “La Valle dell’Eden”, anno VII, n. 14, gennaio-giugno 2005, pp. 115-34.

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una luce fioca, e l’albero che emerge dall’oscurità nell’imma-gine successiva in modo da riconfigurare l’albero stesso. Que-sto semplice micro-segmento, apparentemente irrilevante, oggettiva nuovamente gli universi possibili e potenziali che coesistono all’interno della medesima dimensione spaziale e nello stesso orizzonte percettivo del visibile. Nell’universo figurale immediatamente percettibile di Inland Empire si con-figura una superficie stratificata che rimanda alla struttura, anch’essa a strati, attivata dal testo filmico stesso89. Tra l’altro anche nel mondo onirico è presente un orizzonte stratificato, in quanto si ha più di un significato. “Essi (i sogni, nda) [...] includono parecchie soddisfazioni di desideri, l’una accan-to all’altra; inoltre, una successione di significati o di soddi-sfazione di desideri può essere sovrapposta a un’altra, dove quella profonda è la soddisfazione di un desiderio della prima infanzia90”. Questo è pertinente in un testo filmico come In-land Empire, che lavora su un materiale infantile rimosso che riaffiora come esperienza traumatica. Quell’universo figurale a cui si è accennato prima è una configurazione del potenziale che oggettiva in modo originale lo statuto di funzionamen-to di un’altra componente inconscia dell’immagine filmica, il figurale per l’appunto, rievocando al tempo stesso l’orizzonte metalinguistico come un fantasma psichico e semiotizzato di riferimento costante del testo filmico in questione.

L’inquadratura successiva di Inland Empire introduce un personaggio enigmatico, presentandolo fin dall’inizio come vettore significante carico di ambiguità e di mistero, che non verrà mai risolto, ma rimarrà in una dimensione di sospen-sione del senso. Una donna inquadrata in MF (mezza figura) che si muove lungo un viale alberato dirigendosi verso una casa. Il micro-segmento è configurato in tre inquadrature, e la costruzione formale del micro-segmento oggettiva un regi-

89 In proposito si veda la posizione di Greimas sul “modello stratificato” del te-sto: JULIEN ALGIRDAS GREIMAS, Du sens, Paris, Seuil, 1970, trad. it. Del senso, Milano, Bompiani, 1974; ID, Du sens II – Essais sémiotique, Paris, Seuil, 1983, trad. it, Del senso II, Milano, Bompiani, 1984.

90 SIGMUND FREUD, L’interpretazione dei sogni, cit., p. 166.

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me di messa in scena molto particolare. La messa in scena in questione, comune all’intera sequenza, è costruita in modo da attivare un specifico rapporto con il reale, non più disartico-lato come si è visto nei segmenti precedenti, ma ricomposto in funzione di una narrazione sempre ambigua nei cui statuti visivi ma anche negli enunciati verbali, si inscrivono l’enigma e il mistero, e riattivando il problema, sempre presente in In-land Empire, dell’interpretazione.

La donna, dopo aver percorso il viale, si sofferma inizial-mente davanti alla porta d’ingresso di una villa con le mura rosse e le colonne in marmo, per poi spingere la porta ed entrare nell’abitazione.

Inland Empire si struttura come testo filmico della differen-za in cui elementi e codici espressivi differenti convivono nello stesso piano intensivo, nella stessa immagine, assem-blandosi in un’immagine schermica di grande efficacia. Allo stesso tempo la messa in scena si configura come vettore della differenza e dell’enigma assoluti. Inland Empire e il ci-nema di David Lynch in generale prendono come punto di riferimento un materiale cinematografico molto eterogeneo e trasversale che va dall’avanguardia francese, soprattutto per ciò che riguarda lo sperimentalismo linguistico (soprat-tutto per i riferimenti alla parte più radicale della nouvelle vogue francese91), fino ad approdare al noir americano con-figurandolo e rifigurandolo all’infinito, nelle sue componen-ti fondamentali. Lynch è uno dei registi che più di tutti ha lavorato sull’immaginario e sulla dimensione enigmatica dei suoi testi filmici, e proprio da questa particolarità è riscon-trabile una forte influenza che ha esercitato Brakhage92 su di

91 In questo senso il riferimento al cinema di Alan Resnais e Robbe-Grillet è fon-damentale soprattutto nella complessità strutturale del testo filmico, soprattutto in L’anne dérniere a Marienbaud (L’anno scorso a Marienbaud, 1961). Allo stes-so modo Lynch si connette all’esperienze cinematografiche di Luis Bunuel e in particolar modo a film come Un chien andalou (1929) o Le charme discret de la bourgeoisie (Il fascino discreto della borghesia, 1972).

92 In questa prospettiva è utile lo studio di: STAN BRAKHAGE, Metaphors on vision, in “Film Culture”, n. 41, 1966, trad. it. Metafore della visione, Milano, Feltrinelli, 1970. Pur essendo il testo abbastanza eterogeneo nella struttura, è

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lui, e su tutto il cinema sperimentale americano degli anni Settanta.

Le inquadrature successive riguardano l’interno della vil-la e configurano una struttura narrativa particolare, in cui la differenza e l’eterogeneo si ripresentano attraverso dei movimenti di macchina dal carattere fortemente ambiguo. L’ingresso all’interno della villa della donna vista all’esterno avviene attraverso un montaggio narrativo che unisce due in-quadrature. Ma l’inquadratura B, cioè l’inquadratura che do-vrebbe registrare l’entrata della donna nella villa, configura una falsa soggettiva che si inscrive nella struttura complessa e ambigua del testo.

L’uso della falsa soggettiva inscrive sullo schermo nuo-vamente la perdita del segno, del referente, e la configura-zione di un simulacro. Ma la scelta di aprire la sequenza in soggettiva senza dare nessuna informazione allo spettatore sull’effettivo soggetto di investimento dello sguardo, nessun punto di riferimento del soggetto di inscrizione nella dimen-sione spaziale del film, si connette alla necessità per Lynch di rendere lo spettatore sempre più sconvolto dall’esperienza visiva e quindi percettiva che sta producendo in lui il film e, come avevamo visto precedentemente, configurare la visio-ne del film come esperienza angosciante e negativa per lo spettatore, cioè per il soggetto che esercita lo sguardo fuori dell’universo diegetico. Il meccanismo significante di questa determinazione dinamico-visiva è da ascriversi a un processo forte e radicale di identificazione spettatoriale che investe la mdp e il soggetto diegetico. La soggettiva in assenza di punti di riferimento configura in modo più diretto l’identificazione tra lo spettatore e il soggetto filmico che si muove nello spa-zio. La soggettiva è il prolungamento in questo senso, delle potenzialità e possibilità dello sguardo dello spettatore nella ri-figurazione di un desiderio di azione e di identificazione,

interessante nelle riflessioni estetiche e programmatiche dell’autore. Per uno stu-dio più sistematico delle avanguardie americane, si veda: PAOLO BERTETTO, Il grande occhio della notte. Cinema d’avanguardia americano 1910-1990, Tori-no, Lindau, 1992.

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trasformandosi in soggetto intradiegetico attivo che soppe-risce a una mancanza, a un’assenza nonostante non riesce a soggettivarsi diegeticamente. È un momento particolare di identificazione dello spettatore con il personaggio del film che perde ogni suo connotato e referente diegetico identifica-tivo. Al cinema, secondo Balázs: “Ci identifichiamo, mediante lo sguardo, con i personaggi del film. Osserviamo ogni cosa con la loro prospettiva, non possediamo un nostro punto di vista93”. Pur non essendo questa la sede per una polemica teo-rica sulla soggettiva e i processi d’identificazione, la posizione di Balázs viene indirettamente contrastata dalla formulazione di Metz secondo il quale: “Identificandosi con se stesso come sguardo, lo spettatore non può fare altro che identificarsi an-che con la macchina da presa, che ha guardato prima di lui ciò che egli sta guardando adesso, e la cui posizione (= inqua-dratura) determina il punto di fuga94”. Questa duplice identi-ficazione tra la mdp e lo spettatore implica necessariamente un doppio processo di funzionamento psichico che configura lo stesso processo identificativo all’interno del visibile. La vi-sione, infatti, configura secondo Metz un doppio movimento che è proiettivo e introiettivo, che configura a sua volta due schermi (lo schermo della sala e la retina dello spettatore), e tre tracce della differenza (quella proiettata dal proiettore sullo schermo, dallo spettatore sullo schermo, e quella che parte dallo schermo per andare a inscriversi nella percezio-ne soggettiva dello spettatore95). Ma il processo identificativo

93 BELA BÁLAZS, Der film. Werden und Wesen einer neuen Kunst, Werden und Wesen einer neuen Kunst, Wien, Globus Verlag, trad. it. Il film. Evoluzione ed essenza di un’arte nuova, Torino, Einaudi, 1952, p. 39.

94 CHRISTIAN METZ, Cinema e psicoanalisi, cit, p. 61.

95 Senza rispolverare la solita polemica sulla persistenza retinica, sappiamo che ormai questa concezione è stata scientificamente superata nel corso degli anni con il famoso “effetto φ” o fenomeno del movimento apparente. Purtroppo la maggior parte dei manuali tecnici di cinema ritiene invece ancora valida la prima concezione di produzione del movimento al cinema. Si veda in proposito: AA.VV., Lectures du film, Paris, Albatros, 1975, trad. it. Attraverso il cinema, Milano, Longanesi, 1978.

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che investe lo spettatore va oltre, fino ad arrivare alla confi-gurazione di un feticcio96. Prima di ritornare all’analisi diretta di Inland Empire, è utile concludere il discorso sui processi identificativi. L’identificazione si configura come variante ci-nematografica a segno codificato, in cui lo spettatore investe il proprio desiderio, il proprio sguardo, in delle identificazioni molteplici che di volta in volta possono essere deboli o forti97. Le identificazioni deboli, come si è visto, sono quelle con la mdp o i personaggi diegetici. Le identificazioni forti si attiva-no invece attraverso i personaggi fuori campo che guardano in soggettiva. È certo che l’identificazione debole con la mac-china da presa assume valenza radicale e intensiva in alcuni casi specifici, come quando, ad esempio, viene inscritta nella struttura a piano-sequenza di The rope (nodo alla gola, 1948) di Alfred Hitchcock98, cosa che invece avviene in maniera de-bole per Citizen Kane (Quarto potere, 1941) di Orson Welles, in quanto i piani sequenza non sono le sole componenti filmiche che si articolano lungo tutta la struttura del film.

Questa particolare costruzione della messa in scena, emer-sa dal segmento di Inland Empire, oggettiva sullo schermo una riflessione sullo stato del cinema, inscrivendo le nozio-ni quanto mai azzardate e metodologicamente inadeguate di classico e moderno99 in relazione alla configurazione si-gnificante della luce. È quasi scontata l’inscrizione di questo testo filmico all’interno dei rapporti significanti del cinema moderno, anche se Lynch riprende, come si è visto preceden-

96 Sul concetto di feticcio ci ritorneremo più avanti, nel momento in cui l’analisi del testo filmico lo richiederà. Per ora si veda un’introduzione molto pertinente al problema in: STEFANO MISTURA (a cura di), Figure del feticismo, Torino, Einaudi, 2001. Nel saggio sono contenuti alcuni saggi di Freud anche inediti in Italia, molto importanti nella definizione scientifica del problema.

97 L’uso delle espressioni forte e debole non implica in questo caso nessuna con-nessione con lo strong textualism di Rorty. Sull’argomento si veda però: RI-CHARD RORTY, Consequences of pragmatism, Minneapolis, University of Minnesota Press, 1982, ID, Scritti filosofici II, Roma-Bari, Laterza, 1993.

98 Su questi aspetti si veda oltre al saggio di Bellour anche: GIORGIO GOSETTI, Alfred Hitchcock, Milano, Il castoro, 2001.

99 PAOLO BERTETTO, Metodologie di analisi del film, cit., p. VIII.

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temente, un materiale filmico (soprattutto nelle atmosfere e nella costruzione dei personaggi) del noir classico americano alla Hawks100, e inscrive nell’intera sequenza due film parti-colarmente significativi e radicalmente diversi nelle modalità di messa in scena: Bronenosets Potyomkin (La corazzata Potemkin, 1925) di Ejzenštejn101 e Lost Highway dello stesso Lynch. Pro-prio il riferimento a se stesso e a Ejzenštejn oggettiva la ripro-posizione di un fantasma mai rimosso carico di significato e ambiguità visiva. Come vedremo Lynch tiene costantemente in considerazione il riferimento a Ejzenštejn, non tanto per il montaggio, che nonostante tutto gioca un ruolo non irri-levante nell’universo lynchiano, ma soprattutto per quanto riguarda il ruolo e la funzione “culturale” del colore102, che va oltre una semplice prospettiva iconografica del testo filmico.

La costruzione della luce nel segmento preso in analisi con-figura il quotidiano come dimensione significante dell’enig-ma, slegando radicalmente il simbolico dall’immaginario. La micro-sequenza certamente prolunga l’orizzonte immagina-rio, ma lo fa in modo particolare, oggettivando ed evocando in un certo senso il cinema di tipo amatoriale. L’uso della cinepresa digitale da parte di Lynch, oltre a rispondere a inte-

100 Sarebbe utile da questo punto di vista uno studio comparativo tra il cinema di Lynch e la produzione americana di Lang, soprattutto in film quali Fury, Il grande sonno e The woman in the window (La donna del ritratto, 1944). Per Hithcock il rapporto comparativo investe i film a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta come Rear Window (La finestra sul cortile, 1954), Vertigo (La donna che visse due volte, 1958), Psycho (1960) e The birds (Gli uccelli, 1963).

101 Il testo complesso costituito da La corazzata Potemkin è configurato attraverso riferimenti metalinguistici sulle dinamiche di sguardo, e sulla prospettiva della disarticolazione/occultamento/illusione della visione filmica e dell’immagine stessa. In riferimento in Inland Empire al film di Ejzenštejn avviene anche at-traverso l’iscrizione, nella sequenza che si sta analizzando, della statua del leone, vicino alle colonne della villa. Certamente queste problematiche che oggettiva il film sono ascrivibile agli importantissimi nodi teorici sul montaggio in gene-rali sollevati da Ejzenštejn. Si veda in proposito: SERGEIJ M. EJZENŠTEJN, Teoria generale del montaggio, Venezia, Marsilio, 1985; PAOLO BERTETTO (a cura di), Ejzenštejn, Vertov, Feks. Teoria del cinema rivoluzionario. Gli anni venti in Urss, Milano, Feltrinelli, 1975.

102 SERGEJ EJZENŠTEJN, Il colore, cit.

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ressi meramente produttivi, sviluppa un rapporto significante di grande riflessione sulla quotidianità e sulla capacità che tale dimensione formale, spaziale, e diegetica ha di evocare i fantasmi inconsci e di configurare determinazioni intensive di angoscia ed eccesso. Non è un caso che Enrico Carocci nel suo saggio su Lost Highway afferma che: “Lynch raggiunge i suoi risultati più sottili, perché arriva ad affermare dimen-sioni parallele fin dentro l’esperienza quotidiana, mostrando il carattere fondamentalmente allucinatorio e onirico di ogni esperienza103”. E possiamo affermare che Inland Empire è la continuazione dei fantasmi inconsci e delle ossessioni pul-sionali delle esperienze visive e latenti dei film più radicali di Lynch (Erasered, Blu velvet, Fire walk with me, Lost Highway, Mulholland Drive). Tra l’altro l’uso della macchina da presa di-gitale instaura un rapporto particolare con gli oggetti inscritti nell’immagine. Non siamo più alla sola e semplice deforma-zione dell’oggetto, ma alla deformazione/riconfigurazione del visibile.

Vediamo nello specifico le componenti filmiche e i mecca-nismi di significazione che producono il senso verso l’oriz-zonte del simbolico e dell’immaginario.

La prima parte della sequenza si svolge in esterno, in un luogo difficilmente collocabile nello spazio diegetico, ma che presenta dei punti di riferimento, delle caratteristiche abba-stanza riconoscibili. Vediamo come la donna con la mano destra accarezza la statua del leone presente davanti la porta della villa, e come con la stessa mano suona il campanello. Il leone configura un riferimento al film La corazzata Potemkin di Ejzenštejn, e penetra nella stessa struttura formale del testo filmico. Nel film di Ejsenštejn il leone si muoveva risvegliato dai colpi di cannone della rivoluzione, attraverso componenti visive ambigue. In Inland Empire il leone è immobile e si muo-ve solamente la donna, configurando un regime narrativo e un orizzonte visivo naturali di istituzionalizzazione del reale.

Le seguenti inquadrature riguardano l’interno della villa e,

103 ENRICO CAROCCI, Tormenti ed estasi. Strade perdute di David Lynch, Tori-no, Lindau, 2007, p. 17

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come si è accennato precedentemente, presentano un forte grado di ambiguità e di incertezza dell’orizzonte del visibile. Sono settantacinque inquadrature in cui la narrazione si fa più pesante, dilatata, e in cui la riconfigurazione dell’enigma tramite enunciati verbali evidenzia dagli stati d’animo a sensa-zioni di angoscia dei soggetti collocati nello spazio diegetico. Ma la riconfigurazione dell’enigma si oggettiva nella funzione significante e destrutturata della soggettiva. L’intera sequenza è importante non solo per l’iscrizione di una falsa soggettiva nel visibile, ma questa scelta compositiva si configura come elemento radicale di assorbimento dell’intero universo signi-ficante del testo filmico e di emersione potenziale del falso nella struttura narrativa. Questo procedimento è potenzia-to poi attraverso un’articolazione complessa delle dinamiche dello sguardo.

Nella storia del cinema la costruzione della soggettiva ha avuto in pochi casi configurazioni radicali come quella pre-sente in Inland Empire. Oltre a oggettivare componenti forti di identificazione spettatoriale e metalinguistiche, la falsa sog-gettiva, cioè la soggettiva in assenza di punti di riferimento, destruttura la stessa configurazione dello sguardo e delle po-tenzialità che può assumere la visione.

Almeno tre film hanno inscritto la soggettiva nell’orizzonte di negazione del visibile, nel processo significante di configu-razione dell’immaginario, attraverso l’emersione di un punto di vista radicale e assoluto. Tre esperienze filmiche inscritte nei regimi di messa in scena del cinema americano. Lady in the lake (Una donna nel lago, 1947) di Robert Montgomery, The dark passage (La fuga, 1947) di Delmer Daves, Halloween (Hal-loween – la notte delle streghe, 1978) di John Carpenter. L’ultimo film va oltre nel suo discorso sulla soggettiva, oggettivando un’esperienza radicale e intensiva, costruendo la soggettiva senza punti di riferimento fin dalla prima inquadratura del film. Nel caso del film di Carpenter, la soggettiva configura, oltre al punto di vista dell’assassino, uno stato pulsionale allu-cinatorio dello stesso104. John Carpenter e David Lynch, pur

104 Questa particolare caratteristica è stata spesso utilizzata anche da Dario Argento

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essendo due registi che prediligono opzioni differenti di mes-sa in scena, hanno certamente degli elementi di convergenza. Carpenter sviluppa un cinema della figurazione underground inscritta all’interno dell’universo moderno, riconfigurando costantemente il western e mischiandolo a figure e tematiche ricorrenti del genere horror nella realizzazione dell’attesa e della differenza, come oggettivazione della suspense e della paura105. Lynch invece configura una messa in scena della dif-ferenza e della ripetizione in cui possono convivere ed essere inscritti nello stessa dimensione spaziale e nello stesso oriz-zonte visivo, elementi allucinatori, psichici, pulsionali e fan-tasmatici radicalmente diversi. Si può affermare che il punto di incontro di Carpenter verso Lynch, o l’orizzonte comune, è rappresentato da due film: The thing (La cosa, 1982) e In the mouth of madness (Il seme della follia, 1994), film che lavorano sul simulacro e la traccia da un lato e la decostruzione del sog-getto dall’altro.

Ritorniamo al segmento in questione di Inland Empire e alle determinazioni significanti che configura il testo. La donna che si muoveva fuori la casa si scopre essere una vicina di casa106. Attraverso tre inquadrature viene introdotto nella se-quenza il soggetto che abita la casa, Nikki Grace, interpretato da Laura Dern, attraverso una carrellata orizzontale e un PP della donna. La sequenza in questione è strutturata in modo particolare. È possibile scomporla in ulteriori micro-sequenze di particolare rilevanza in cui l’enigma è di nuovo rifigurato, ma allo stesso tempo rimosso. L’enigma, inscritto nell’univer-so visivo e metalinguistico del testo filmico, assume valenza

nella composizione del punto di vista del soggetto criminale. Si veda in partico-lar modo su questo aspetto: GIULIA CARLUCCIO, GIACOMO MANZOLI, ROY MENARINI, L’eccesso della visione. Il cinema di Dario Argento, Torino, Lindau, 2003.

105 Il cinema di Carpenter in modo particolare ha costantemente riconfigurato i fantasmi ricorrenti del cinema di Hitchcock insieme a quelli di Hawks nell’evo-cazione di un genere ibrido dai connotati fortemente ambigui. Si veda: GIU-SEPPE GARIAZZO (a cura di), John Carpenter. La visione oltre l’orrore, Roma, Sentieri Selvaggi, 1995;

106 Viene accreditata nei titoli di coda del film, come “prima visitatrice”.

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molteplice, ma viene nuovamente negato nel procedimento di messa in scena e costantemente attraversato dall’interpreta-zione del film. Come nella migliore tradizione noir, l’enigma è irrisolto, ma posto solamente in evidenza come problema con cui lo spettatore e il soggetto diegetico dovranno fare i con-ti; esso emerge come elemento precedentemente rimosso dal testo, ma non viene decifrato nelle sue componenti specifiche e nei meccanismi di funzionamento e di configurazione del senso. Ci troviamo di fronte ancora una volta a un testo fil-mico in cui il processo di decostruzione investe direttamente il senso. All’interno della storia del cinema ci è si è trovati spesso di fronte a testi filmici molti complessi che investivano invece il testo e la struttura visiva e narrativa come vettore di decostruzione107, ma nel caso di Inland Empire il discorso è ra-dicalmente invertito. Proprio questa inversione del meccani-smo di significazione, che emerge dal testo di Lynch, radica-lizza ed enfatizza il nodo interpretativo di ricerca dell’enigma e di interpretazione dell’orizzonte significante, inscrivendolo e occultandolo, come un’immagine-matrice, nelle molteplici configurazioni che assume.

Il segmento appare, a una prima osservazione, non parti-colarmente rilevante, ma in realtà configura scelte formali di grande pregnanza simbolica nel lavoro sulla messa in scena e nelle configurazioni sullo sguardo. Tali scelte sono inscritte in due segmenti.

Nell’inquadratura numero sette abbiamo la carrellata oriz-zontale dell’interno della casa. Qui la mdp segue il movi-mento di Nikki che, camminando dietro una parete con delle finestre, si colloca in mezzo alla portafinestra aperta che separa l’ingresso dalla sala. La donna è posta di fronte la mdp in stato di attesa. Questa inquadratura evoca scelte formali e simboliche molto forti. In particolar modo c’è un forte riferimento al lavoro di messa in scena e di costruzio-

107 In particolar modo ci troviamo di fronte a testi particolarmente decostruzionisti per molti film di Godard, due in particolare: Una femme mariée (Una donna sposata, 1964) e Deux ou Trois choses que je sais d’elle (Due o tre cose che so di lei, 1967). Si vedano su l’analisi di questi due film: PAOLO BERTETTO, Metodologie di analisi del film, cit., pp. 256-76.

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ne del profilmico nel cinema di Max Ophüls108, in cui tra il soggetto inscritto nello spazio e la mdp vi è un ostacolo che si contrappone a essi, e in cui le dimensioni tra oggetto e soggetto, collocati nella stessa dimensione spaziale secondo l’organizzazione dello spazio filmico, sono invertite a svan-taggio del secondo in una logica di configurazione di un falso visivo109. Secondo Bertetto: “Se esercitiamo il lavoro dello sguardo, della contemplazione, ci accorgiamo che, al di là della sua struttura di simulacro, l’immagine filmica può produrre illusioni e inganni visivi proprio grazie alla sua configurazione specifica e al suo uso di procedure tecnico-linguistiche particolari. Si tratta di un modo assolutamente particolare e specifico di produrre l’illusione, l’impressione di falso, un modo che non investe l’orizzonte diegetico, ma riguarda le forme e gli inganni del vedere110”.

La seconda scelta formale che emerge dal lavoro di mes-sa in scena di Lynch è l’iscrizione di Nikki sulla porta fine-stra aperta, a metà strada tra l’ingresso e il resto della casa. La costruzione dello spazio filmico in Inland Empire ogget-tiva sullo schermo, come si è visto anche precedentemente, il problema dei percorsi potenziali, che distruggono il reale per configurarsi nell’orizzonte dell’immaginario. Sono veri e propri universi stratificati, che assumono la forma di prodot-to psichico allucinatorio di natura onirica. In questo senso il lavoro di Lynch è particolarmente ambiguo e lavora su delle tracce equivoche che conferiscono alla narrazione un senso fortemente onirico pur mantenendo un’apparenza di realtà, rispetto ad esempio ad altre sequenze fortemente ambigue.

108 Per quanto riguarda il cinema e i film di Ophüls, ci sono numerosi studi. Si veda nelle pubblicazioni recenti: GIORGIO TINAZZI (a cura di), Dossier Max Ophüls, in “La valle dell’Eden”, n. 7, maggio-agosto 2001.

109 Certamente non si può fare nessun paragone tra Ophüls e Lynch, anche se il famoso regista tedesco, naturalizzato francese, è stato ammirato e assunto a maestro da registi che hanno lavorato molto sulla messa in scena in ambito mo-derno come Kubrick e Bertolucci, soprattutto per il film Le plaisir (Il piacere, 1952).

110 PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simulacro, cit., p. 204.

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Proprio sulle traccie di realtà Žižek afferma: “il frammento di esperienza decontestualizzato [...] non sono semplicemente il punto di riferimento reale che ci rende capaci di ridurre il fan-tasma alla realtà ma[...], il punto in cui la realtà stessa tocca il fantasma [...] – qui, in questo straordinario incontro, la realtà appare più onirica dei sogni stessi111”.

Allo stesso modo la dimensione spaziale oggettiva la co-esistenza attraverso i procedimenti semiosici, di tanti uni-versi paralleli che scindendosi dall’immaginario si iscrivono nell’ordine simbolico.

Il soggetto quindi ha una doppia funzione all’interno dello spazio. Da un lato è una figura antropologica inscritta nello spazio filmico, dall’altro è un soggetto collocato all’interno di bivi rimossi e negati alla visione che oggettivano percorsi possibili, che inscrivono il molteplice e il possibile nei mec-canismi di configurazione del significante. Nel film come ve-dremo è lo stesso psichico che proietta nello spazio la scissio-ne dell’io e della psiche secondo la tripartizione freudiana112. E proprio questa configurazione di un soggetto che si iscrive in uno spazio potenziale oggettiva e trasforma il personag-gio in un possibile soggetto interpretante all’interno di un testo potenzialmente interpretabile. Lungo tutto il film si ve-drà come il personaggio di Laura Dern pur non assumendo del tutto questa funzione, inserendosi in maniera privilegiata nella scomposizione, decostruzione del mistero inserito nel

111 SLAVOJ ŽIŽEK, In his bold gaze my ruin is writ large, in ID, Everything you always wanted to know about Lacan (but were afraid to ask Hitchcock), Verso, 1992, trad. It. L’universo di Hitchcock, Milano, Mimesis, 2008.

112 Freud nella sua formulazione della teoria psicoanalitica suddivide il soggetto e l’inconscio in una partizione a tre. Il soggetto è diviso in tre istanze agenti: io, es, e superio; mentre l’inconscio è suddiviso in tre topoi: conscio, inconscio e pre-conscio. Si veda in proposito: SIGMUND FREUD, Opere di Sigmund Freud, Vol. 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1916-1917, Torino, Bollati Boringhieri, 1976-80, Milano, Fabbri, 2007; per quanto riguarda la psicoanalisi in relazione allo studio del cinema si veda: ROBERT STAM, ROBERT BUR-GOYNE, SANDY FLYTTERMAN-LEWIS, Semiologia del cinema e dell’au-diovisivo, Milano, Bompiani, 1999.

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testo filmico e nella dimensione psichica del soggetto113. I segmenti successivi mostrano la vicina che entra nello spa-

zio filmico costituito dall’interno della villa. Il meccanismo di significazione che viene utilizzato è molto complesso e la co-struzione della messa in scena formalizza una determinazione dinamico-visiva parzialmente rimossa. Il regime della narra-zione è anche qui frammentato in una configurazione meta-linguistica di oggettivazione del dispositivo cinematografico e della struttura testuale114. Il testo è frammentato, come è frammentato ogni singolo segmento, come sono disarticola-ti tutta la struttura e l’orizzonte visivo e logico-semantico115

113 Secondo Lacan, l’inconscio si struttura come un linguaggio al pari di altre con-figurazioni narrative. Sarebbe opportuno fare il confronto tra questa posizione e la tesi di Metz sulle implicazioni linguistiche del cinema. Nel 1964 Christian Metz, scrisse il famoso saggio Cinema: lingua o linguaggio, che sarà alla base del convegno di Pesaro e che darà il via a uno studio sul cinema di carattere metodologico. Il contesto culturale in cui si inserisce l’articolo di Metz è quello di una definizione di una teoria e di un nuovo approccio allo studio dei proble-mi che pone il testo filmico. Proprio questo interesse venne già inaugurato dai famosi studi semio-psicanalitici di Bellour su alcuni film di Hitchcock. In con-trapposizione alla posizione di Lacan sull’inconscio come linguaggio, fu Lyotard a sviluppare il famoso saggio sulla connotazione del figurale come elemento dell’immaginario. Si vedano secondo queste prospettive teoriche qui espresse i seguenti saggi: JACQUES LACAN, Funzione e campo della parola e del lin-guaggio in psicoanalisi, in ID, Scritti, cit., pp. 230-316; CHRISTIAN METZ, Le cinéma: langue o language, in “Communications”, n. 4, 1964 ; LYOTARD, Discorso, figura, cit. Si veda per allargare ulteriormente la prospettiva teorica in relazione all’immagine: MAURICE MERLEAU-PONTY, Le cinéma et la nou-velle psychologie, in “Les Temps modernes”, n. 26, vol. 3, , 1947, ora in ID, Sens et non-sens, Paris, Éditions Gallimard; ID Phénoménologie de la perception, Paris, Éditions Gallimard, 1945, trad. it. Fenomenologia della percezione, Mi-lano, Il Saggiatore, 1972; ID, Le visible et l’invisible, Paris, Éditions Gallimard, 1964, trad. it. Il visibile e l’invisibile, Milano, Bompiani, 1969.

114 In questo senso il concetto di struttura testuale va a scontrarsi con le teorie di Derrida espresse nella formulazione del testo aperto. JACQUES DERRIDA, Della grammatologia, cit. In questo senso sono utili anche i saggi di Umber-to Eco che si concretizzano nello studio del testo: UMBERTO ECO, I limi-ti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990; ID, Sei passeggiate nei boschi narrativi, Milano, Bompiani, 1994. Per un discorso d’insieme su questi aspetti della definizione del testo e dell’analisi testuale si veda: PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione. Ermeneutica e decostruzionismo, cit.

115 Secondo Bellavita invece, bisogna considerare due livelli significanti per l’inter-

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di Inland Empire. Successivamente il testo filmico oggettiva e ri-figura lo spazio, iscrivendo la separazione psichica dell’io, la configurazione dell’inconscio del testo all’interno dell’im-magine schermica, secondo una logica simbolica e formale di grande interesse.

Altre sei inquadrature configurano sullo schermo l’attesa e una forte costruzione della dinamica dello sguardo, come vettore di conoscenza.

Vediamo nel dettaglio come è composto ulteriormente il micro-segmento:

1) carrellata orizzontale dell’interno della casa. La mdp se-gue nel movimento una donna che si sposta dietro un muro con delle finestre e va a collocarsi sulla porta finestra aperta che separa l’ingresso dalla sala. La donna è posta di fronte la mdp in attesa;

2) TOT dell’interno della casa spazialmente opposto allo spazio precedente. Un maggiordomo è ripreso di spalle che si dirige verso la porta;

3) PA della donna che attraversa la porta finestra spostan-dosi verso sinistra dello schermo con lo sguardo rivolto verso la mdp. La mdp è posta leggermente con un angolatura dal basso verso l’alto;

4) MF del maggiordomo, con le spalle rivolte alla mdp, che apre la porta e dialoga con la donna che aveva bussato. Lei afferma di essere la nuova vicina, gli dice di abitare nella casa in fondo alla strada;

5) PP di Laura Dern, che risponde con un cenno del capo alla richiesta del maggiordomo di fare entrare la vicina di casa;

6) TOT dell’interno. Il cameriere apre la porta e fa entrare la vicina di casa;

7) PP di Laura visibilmente sconvolta che si dirige verso destra dello schermo;

8) Piano-sequenza. Laura si dirige verso la vicina. Riman-

pretazione di Inland Empire. Il primo viene definito estetico-sintattico e l’altro semantico-narrativo. Si veda su questo aspetto: PAOLO BERTETTO (a cura di), David Lynch, cit., pp. 127-28, in cui è contenuta l’analisi di Bellavita.

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gono fermi in profondità di campo Laura, la vicina e il mag-giordomo in posizione diagonale rispetto all’ingresso, sotto-lineando così la dimensione spaziale dell’ambiente. Laura e la vicina si dirigono nella sala e si siedono sulle poltrone vicino a un tavolino. Laura ordina al maggiordomo due caffè e que-sti esce dall’inquadratura.

Dopo la carrellata precedentemente analizzata, c’è il tota-le della casa che non fa altro che registrare e configurare la dimensione spaziale dell’ambiente. Anche lo spazio diegeti-co che emerge appare fortemente frammentato e i soggetti sono iscritti individualmente nell’orizzonte del visibile. Nelle inquadrature tre e cinque, i personaggi di Nikki, del maggior-domo e della vicina di casa sono iscritti singolarmente in ogni inquadratura, mentre nell’inquadratura quattro, pur essendo collocati nella stessa immagine, sono in due spazi differen-ti (l’interno e l’esterno della villa). Ma quello che colpisce in questi tre segmenti è il concatenamento delle inquadrature, il passaggio morbido dei campi e dei piani: da PA/MF a MF/PP, che ricorda lo stesso procedimento utilizzato per la struttura visiva di Bringing up baby (Susanna, 1938) di Howard Hawks116. La struttura di Inland Empire incomincia a configurarsi come struttura della fluidità visiva e narrativa, in cui solo lo sguardo riesce a produrre dinamiche e collegamenti tra il soggetto e lo spazio filmico. Non esiste altro rapporto di continuità al di fuori dello sguardo percettivo, dello sguardo che registra gli eventi e gli oggetti della visione. Dopo un ulteriore totale, e un primo piano di Nikki, che inscrive il soggetto in una po-sizione dominante all’interno dell’orizzonte immaginario del film, abbiamo l’incontro tra i due vettori significanti (Nikki

116 È da notare come Inland Empire, pur essendo un film incontestabilmente mo-derno, evoca allo stesso tempo un materiale di riferimenti che rimanda al cinema classico americano. Per lo studio di Bringing up baby si vedano i seguenti saggi: JIM HILLIER, PETER WOLLEN (a cura di), Howard Hawks American Artist, London, British Film Institute, 1996; VERONICA PRAVADELLI, “Susanna” e le strutture formali della classicità, in PAOLO BERTETTO, L’interpretazione dei film, Venezia, Marsilio, 2003; si veda anche l’originale saggio: STANLEY CAVELL, Leopardi nel Connecticut, in ID, Pursuits of happyness. The Hol-lywood comedy of remarriage, trad. it. Alla ricerca della felicità. La commedia hollywoodiana del rimatrimonio, 1999.

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e la vicina), e successivamente la messa in scena oggettiva la scissione psichica e dell’io nella parte iniziale del piano se-quenza. Nell’immagine sono così iscritti i tre soggetti, po-sti in diagonale nello spazio. Questa soluzione formale della messa in scena configura, come si è visto, la scissione tra Io, Es, e Superio, (o se si vuole tra conscio, preconscio e incon-scio) in cui Nikki costituisce l’io e la parte conscia che rivolge il proprio sguardo alle altre componenti psichiche. La vici-na si configura come Es, il maggiordomo come Superio, in quanto elemento simbolicamente ordinatore. Tutto è confi-gurato nella continuazione del piano sequenza, e i tre soggetti infrangono l’ordine spaziale, riconfigurandosi nell’orizzonte visivo e nelle potenzialità del visibile. Da questo particolare opzione di messa in scena emerge in maniera particolare un discorso sull’inconscio inteso come elemento latente, come sottotesto latente del film, come sottotesto del testo.

La micro sequenza successiva è strutturata in sessanta in-quadrature, di cui cinquantaquattro configurano la dinamica di campo e controcampo attraverso primi piani di Nikki e primissimi piani della vicina di casa in angolatura interna se-condo la regola dei triangoli usato per la continuità visiva117. La vicina, secondo questo procedimento di messa in quadro, si iscrive nell’orizzonte significante come elemento ambiguo, indefinibile in quanto ha perso i contorni della propria figura iscritta nell’immagine, mentre Nikki è configurata come sog-getto frammentato ma non indefinibile (e questa peculiarità si vedrà molto bene in altre sequenze del film). Il dialogo che avviene tra le due donne è particolarmente ambiguo e confi-gura e ri-figura continuamente il senso del testo anticipando in maniera velata alcuni aspetti del film attraverso un mecca-nismo di significazione autoriflessivo del testo giocato su al-lusioni e provocazioni. Esso si oggettiva come procedimento metacinematografico che investe il senso e la ricerca continua di esso. La vicina inizia a parlare con sicurezza della parte che Nikki ha ottenuto in un film. Nikki le risponde di non esserne certa, e tutto il lungo dialogo che articolano oggettiva

117 Sul sistema del triangolo si veda: VINCENZO BUCCHERI, Il film, cit.

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questa forte sicurezza della vicina di casa, a scapito dell’in-certezza che man mano diventa paura e angoscia di Nikki, visibilmente sconvolta da ciò che dice la vicina. La natura del dialogo investe alcuni argomenti, e molti di essi non trovano risposta da parte di Nikki. In alcune sequenze lei arriva persi-no a negare e rifiutare di rispondere a ciò che la vicina di casa domanda. Questa particolare caratteristica di Nikki mostra l’inizio di un’allucinazione percettiva, che inizia attraverso la relazione di un soggetto con l’altro. Avevamo già visto come il personaggio di Nikki si configura nell’orizzonte visivo del film in vettore dell’individualità del soggetto, in quanto in-scritto singolarmente in un’inquadratura dal forte livello di ambiguità e che i rapporti tra il maggiordomo e la vicina di casa avvengono in una dimensione spaziale differente. È pro-prio l’iscrizione dei tre soggetti nel medesimo spazio filmico che attiva (oggettivandola) una scissione psichica che dà ini-zio all’allucinazione psichica e percettiva (dei fenomeni e del-lo sguardo) di Nikki. Questa scissione è l’elemento scatenante di tutto l’orizzonte narrativo e del visibile che verrà configu-rato nel testo filmico. Gli argomenti che investe il dialogo le due donne sono:

a) la casa della vicina che è difficile da vedere dalla strada;b) il film che Nikki deve fare; c) il primo argomento del film: il matrimonio e il tradimen-

to; d) il secondo argomento del film: l’omicidio; e) il coinvolgimento di suo marito nel film; f) prima storia del bambino che va a giocare e sulla nascita

del male; g) seconda storia della bambina che va a giocare e che si

perde dietro alla piazza del mercato; h) discorso sul tempo, se oggi fosse domani; i) discorso sulla dimenticanza; j) discorso sulle conseguenze delle azioni.Vediamo di interpretare e di sviluppare gli elementi che

vengono configurati nel dialogo, elementi che assumono una complessità e un significazione rilevante.

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La casa della vicina si configura come un fuori campo im-maginario secondo la definizione di Burch118 ed elemento virtuale inscritto nell’orizzonte immaginario degli eventi. La casa in fondo alla strada evoca in maniera particolare il fantasma figurale di tutto il cinema di Lynch. È la casa che all’inizio e alla fine di Lost Highway sostiene l’intera struttura del film, pur essendo un elemento capace di assumere conno-tati in parte fisici (nell’orizzonte diegetico del film) e in parte immaginari, simbolici, fantasmatici, virtuali (nell’orizzonte significante). In Inland Empire però la casa descritta dalla vici-na si configura come orizzonte del molteplice, dell’ambiguo in maniera plurisignificante. La casa è un elemento ambiguo rimosso, immaginario, è una costruzione simbolica, un vet-tore che ha assorbito il tempo, luogo di passaggio di universi potenziali che portano nel proprio statuto il desiderio per-cettivo del visibile. È elemento temporale e percettivo. La casa infatti assume configurazioni diverse, e diventa struttura centrale di configurazione di un simulacro. Proprio lo statuto di simulacro della casa oggettiva, attraverso un meccanismo metalinguistico di evocazione, il procedimento della messa in scena cinematografico e il carattere semiosico della luce inscritti nello statuto di funzionamento del cinema. La casa è l’elemento immaginario e fantasmatico, è l’elemento profil-mico del set cinematografico, è la costruzione fisica ma allo stesso tempo inesistente e immaginaria che sta all’interno della messa in scena. La collocazione fisica della casa, dello spazio in generale evocato da questa sequenza (e non solo), è inscritta in dinamiche molto radicali di presenza/assenza, visibile/invisibile, occultamento/disvelamento del visibile e del regime visivo-percettivo posto dall’orizzonte diegetico del film. Queste caratteristiche assumeranno configurazioni più evidenti in altri parti del testo di Inland Empire. Ci troviamo ancora in un orizzonte significante, in un luogo ambiguo di preparazione alla storia. È tutto ancora ambiguo e sospeso nel tempo. Ancora deve delinearsi il concretamente la storia.

Si è visto come Inland Empire (come allo stesso modo gli

118 NOEL BURCH, (1969) Prassi del cinema, Parma, Pratiche, 1980.

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ultimi film di Lynch), sia un film sul cinema, sulla funzione del cinema, e sulle caratteristiche di un determinato tipo di cinema. E abbiamo visto come il film cerchi di oggettiva-re dei nodi teorici di particolare importanza che ne fanno un’opera di netta svolta epocale. La scelta del film nel film è infatti molto particolare, in quanto attiva sensi e significan-ti forti dell’immaginario e del visibile. Deleuze in proposito scriveva ne L’immagine-tempo: “Era fatale che il cinema, con la crisi dell’immagine-azione, passasse attraverso malinconiche riflessioni hegeliane sulla propria morte; che, non avendo più storie da raccontare, prendesse se stesso a oggetto e potesse raccontare ormai soltanto la propria storia119”. Deleuze defi-nisce questi film che parlano di se stessi come delle immagini allo specchio, e che: “l’opera nell’opera è stata spesso legata alla considerazione di una sorveglianza, di un’indagine, di una vendetta, di una cospirazione o di un complotto120”. È la stessa atmosfera di indagine, di cospirazione e di complotto che si riconosce in tutto Inland Empire.

Per quanto riguarda invece il discorso sul film che Nikki dovrà interpretare, si può tranquillamente prendere in con-siderazione questo aspetto come la configurazione dell’oriz-zonte concettuale del film, il materiale eterogeneo che va a iscriversi nella dimensione spaziale e diegetica, l’oggettivazio-ne di uno scambio simbolico e allucinatorio di situazioni, di significazioni di elevata rilevanza. Il discorso del film di Nik-ki investe quattro aspetti di particolare importanza. C’è in un certo senso un’anticipazione di quello che avverrà nell’oriz-zonte visibile di Inland Empire, ma emerge allo stesso tempo un discorso particolare dei rapporti tra film e realtà, tra reale e immaginario che i due film attivano. Questo rapporto, que-sta relazione è particolare ed è capace di disarticolare tutti i piani e tutti gli orizzonti di significazione. È in un certo

119 GILLES DELEUZE, L’immagine-tempo, cit., p. 91.

120 Ibidem, p. 91. Deleuze si riferiva in modo particolare a L’anno scorso a Marien-bad di Resnais. Per un introduzione allo studio del film e all’opera di Resnais, si veda: PAOLO BERTETTO, Il sistema Marienbad, in “Centrofilm”, n. 38, 1966; ID, Alain Resnais, Torino, Il Castoro, 1975.

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senso un processo infinito di configurazione di uno sguardo allucinatorio e pulsionale in cui il desiderio assume i conno-tati di un vettore a forte valenza significante, e oggettiva una dimensione fascinativa di realizzazione ed emersione dei fan-tasmi psichici all’interno del visibile.

Il dialogo tra Nikki e la vicina di casa pone in rilevanza in un’ottica metacinematografica, il problema dello statuto di funzionamento dei regimi di messa in scena all’interno del cinema nelle diverse epoche. Infatti il problema che il testo solleva è proprio la distinzione tra cinema classico e cinema moderno, distinzione che, come si è visto precedentemente, risulta alquanto problematica e difficile da affrontare. Questo problema è oggettivato dall’affermazione della vicina di casa nei confronti di Nikki, quando dice: «Un’azione, qualunque azione ha delle conseguenze. Ciò nonostante ci resta la ma-gia». In questa formulazione verbale, il testo filmico cerca di riflettere sul rapporto di causa ed effetto nel tessuto narrativo del cinema; problema che in passato fu posto attraverso la separazione tra cinema classico e moderno, separando le pra-tiche di messa in scena le une dalle altre in base ai periodi121. Uno degli aspetti più importanti che definiva i procedimenti di messa in scena del periodo classico era il rapporto di causa ed effetto. A ogni azione, a ogni evento configurato nell’uni-verso diegetico del film, corrispondeva un effetto, stabilendo così un rapporto diretto tra i due elementi. Successivamente questo rapporto (alquanto schematico e meccanicistico) va in crisi nel cosiddetto cinema della modernità, in cui non sempre

121 Su questo aspetto, particolarmente controverso, la storia del cinema ha di vol-ta in volta smentito il tentativo troppo schematico e frettoloso di classificare il cinema e le pratiche di regia. Il carattere tassonomico di questa pratica si è scontrato con opere di grande rilevanza tecnico-linguistica, in periodi in cui si considerava classico un film moderno. L’esempio più pertinente è forse Quarto potere di Welles e l’ingenuo e superato studio di Bazin in proposito. Il problema in finale è che, anche nel periodo classico del cinema, abbiamo opere segnate da un ricerca stilistica e da una pratica linguistica di tipo moderno, e anche in periodo moderno, si possono vedere molti film che rifiutando non solo lo sperimentalismo, ma anche un regime di messa in scena che potremmo definire formale, si collocano in direzione di una forma narrativa e visiva di tipo classico e tradizionale.

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a un’azione corrisponde la sua conseguenza logica e spesso è proprio il contrario, l’opposto, la configurazione dell’immagi-nario e dell’allucinatorio, dello psichico o del fantasmatico o del desiderio, la simbolizzazione di un universo possibile che si configura anche attraverso rapporti fittizi e artificiali.

Questa particolare caratteristica, oggettivata dal micro-seg-mento del dialogo tra Nikki e la vicina, ri-figura l’orizzon-te immaginario e potenziale che è presente in Inland Empire. Vengono poste questioni particolari che investo il soggetto principale della sequenza, cioè Nikki, divenendo oggetto di investimento non solo dello sguardo della vicina, ma confi-gurazione di un materiale psichico e allucinatorio rimosso, che sta emergendo nell’orizzonte del visibile. Non a caso, du-rante la conversazione, la vicina di casa ricorda a Nikki, dopo averle raccontato due storie angoscianti su dei bambini, che è normale che non può ricordare questi avvenimenti e che c’è un conto in sospeso da pagare. Sono elementi, questi, che vengono posti in rilevanza dal testo, ma non risolvono nessun mistero che invece viene continuamente alterato, ampliato e continuamente riconfigurato negli aspetti formali e diegetici in generale.

Inland Empire costruisce e presenta un materiale che ha a che fare non semplicemente con un dramma psichico122 del soggetto iscritto nello spazio, ma con l’allucinazione di un soggetto che proietta all’esterno i propri fantasmi, le proprie angosce, i propri pezzi mnestici, i propri sentimenti, disarti-colando e riconfigurando lo spazio filmico e il visibile come sguardo della differenza, dell’eterogeneo, dell’altro e di un doppio riconfigurato e moltiplicato. L’orizzonte del visibile di Inland Empire è l’orizzonte di uno sguardo che non registra l’evento, ma ne proietta le sue configurazioni, le sue interpre-tazioni, i suoi desideri, l’illusione della continua ricerca del reale e della verità. La dimensione spaziale è radicalmente al-terata secondo una logica interna apparentemente assente e sottratta persino all’immaginario.

122 Del resto, di questi film che hanno come storia il dramma psichico del protago-nista ne è pieno il cinema in tutte le epoche. Basterebbe citare Antonioni.

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Infine questo segmento del film pone in rilevanza il pro-blema del tempo. Inland Empire non è incentrato unicamente sull’inconscio e le sue potenzialità significanti, o su una strut-tura narrativa dal carattere fortemente ambiguo, ma anche su di una particolare costruzione del tempo attraverso un mec-canismo di significazione molto complesso di fusione e disar-ticolazione, oggettivando in particolar modo le posizioni di Bergson sul tempo.

Già precedentemente è stato accennato come Henry Berg-son nella sua opera L’evoluzione creatrice123 individui le molteplici e complesse configurazioni che il tempo è capace di assume-re. Il tempo diventa per Bergson una componente percettiva che emerge da una grandezza fisica. Ma il tempo è capace inoltre di costruirsi come vettore significante che emerge dall’immagine filmica. È noto come Bergson concepisse il funzionamento della mente umana simile al meccanismo di funzionamento cinematografico, soprattutto per quel che riguarda il pensiero e sue formazioni. Claudine Eizykman, in proposito, riprendendo la teoria di Bergson afferma che: “il pensiero cinematografico nasce dalla giustapposizione di istantanee immobili e dal movimento prodotto dalla macchi-na124”, ribadendo il nesso significante e percettivo dello stesso dispositivo cinematografico che, come si è visto fin qui in questo studio, interessa in modo particolare lo stesso Lynch e investe le stesse relazioni significanti (simboliche e metafori-che) di Inland Empire. Ma quello che più interessa sul discorso del tempo e delle potenzialità che esso assume nel testo filmi-co in questione, è la posizione che Bergson rielabora succes-sivamente, ponendo l’accento sui cristalli di tempo e le falde di passato. Questa posizione teorica molto importante viene approfondita e sviluppata, in relazione all’immagine filmica,

123 HENRY BERGSON, L’evoluzione creatrice, Milano, Cortina, 2002; si veda an-che: ID, Matière et mémoire. Essai sur la relation du corps à l’esprit, Alcan, Paris 1896, trad. it. Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito, Bari-Roma, Laterza, 1996. Su Bergoson si veda anche: GILLES DELEUZE, Le bergsonisme, Parigi, P.U.F., 1966, trad. it. Il bergsonismo, Milano, Feltrinelli, 1983.

124 CLAUDINE EIZYKMAN, Far pensare il cinema, cit., p. 73.

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da Gilles Deleuze, nel suo L’immage-temp, più volte citato in questo studio. Deleuze si colloca con questo saggio all’inter-no di un discorso teorico molto particolare sul cinema e sui rapporti che esso instaura con il tempo. In sostanza i rapporti avvengo tra cinema e movimento e tra cinema e tempo. La questione fondamentale, però, è in che modo, a partire dalla complessità della proposta bergsoniana, il cinema e l’immagi-ne che da esso scaturisce possono far emergere il tempo.

L’immagine-filmica ha in sé per sé assorbito il tempo e le sue possibili configurazioni. L’emersione del tempo al cinema si è però confrontata e scontrata con una tradizione filosofi-ca consolidata di tipo positivistico, facendo emergere diverse posizioni e linee teoriche nuove scontrandosi radicalmente con le precedenti. Quello che afferma Deleuze e il suo studio sull’argomento, è che il tempo all’interno dell’orizzonte filmi-co scaturisce prima del montaggio e non dopo, come nel sag-gio precedente tentava di asserire125. Per Deleuze il cinema, attraverso il montaggio, può dare un’immagine del tempo che può essere diretta o indiretta. Diretta se legata all’immagine-tempo126, indiretta se legata all’immagine-movimento e ai rapporti capaci di emergere e strutturare. Inland Empire, se-condo questa prospettiva, oggettiva in modo diretto e indi-retto queste caratteristiche. La struttura spazio-temporale del film è l’esempio più radicale di oggettivazione delle teorie sul tempo di Bergson e di Deleuze nell’epoca della modernità127.

125 GILLES DELEUZE, L’immagine movimento, Milano, cit. La questione indub-biamente è particolarmente complessa e non può essere risolta in questa sede. Si analizzi in particolar modo il saggio di Deleuze qui menzionato, confrontandolo anche con l’evoluzione che avverrà pochissimo tempo dopo nel suo pensiero con L’immagine tempo.

126 Secondo Deleuze il tempo è direttamente rappresentabile poiché l’immagine-tempo ha la capacità di esprimere la natura tempo, il fuggevole in una forma compiuta. Al cinema la realizzazione complessa dell’immagine-tempo si realizza solo se il reale si colloca all’esterno di essa, e l’immagine che ne deriva è un’im-magine doppia in cui è iscritta l’indiscernibilità tra attuale e virtuale, presente e passato, reale e immaginario, vero e falso. Questo carattere di indiscernibilità non si produce all’interno dello spettatore, ma è un carattere oggettivo dell’im-magine stessa.

127 Sia chiaro che il film di Lynch non è il primo né l’unico testo che oggettiva que-

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Vediamo di analizzare nel dettagio gli enunciati delle storie, che emergono nel discorso della vicina di casa.

La vicina di casa dice: «Un bambino un giorno andò fuori a giocare, quando aprì la porta di casa, egli vide il mondo. Nel passare attraverso la porta per uscire egli causò un riflesso. Il male era nato. Il male era nato... e seguiva il bambino». Suc-cessivamente dopo aver visto l’espressione di Nikki perplessa, continua dicendo: «Una fanciullina andò fuori a giocare. Si perse nella piazza del mercato. Come una creatura incomple-ta. Cioè, non era la piazza del mercato... lei lo sa, vero? Ma era nel vicolo dietro la piazza del mercato... quella è la via che conduce al palazzo».

Nella prima storia emergono alcuni elementi che ricor-reranno per tutto il film come porte e passaggi. È come se Lynch mettesse lo spettatore in grado di avere informazioni, come se offrisse elementi nuovi per la soluzione dell’enigma di partenza, ma si tratta semplicemente di un’illusione fun-zionale a rendere lo spettatore sempre più attivo. Gli elementi da ritenere interessanti nel primo racconto sono: il bambino, il fuori, il mondo, il riflesso, il male.

Tutti questi elementi diventano configurazioni significanti di grande valenza simbolica. Il meccanismo di significazione è particolare, si affida unicamente a un enunciato di natura verbale e alla capacità di evocazione figurale che esso può attuare. Il bambino è da considerarsi come un riferimento a una prospettiva psicoanalitica in cui il ritorno dell’infanzia, la regressione e la perdita dell’innocenza vengono oggettivati come fantasmi dell’accadere psichico. Il bambino, e quindi l’infanzia, sono la configurazione di un rimosso che affiora in maniera indiretta al di fuori del soggetto stesso; ma diventa il responso di una figura psicoanalizzante (l’analista) a un sog-getto psicoanalizzato (il paziente) in assenza di una seduta di analisi e di una confessione128. I soggetti antropici nel cinema

ste posizioni. Prima ci sono stati Welles e Resnais, con i loro film, cosa tra l’altro che riconosce lo stesso Deleuze.

128 Si veda in proposito: S. FREUD, Costruzioni nell’analisi (1937), in Opere, vol. XI, Torino, Bollati Boringhieri, , 1979.

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di Lynch sono costantemente vettori di sofferenza, che por-tano iscritti nella propria carne, nel proprio corpo l’eccesso e il dolore. In particolar modo in film come Eraserhead, Elephant man, Blu velvet, questa caratteristica emerge dalla messa in sce-na e dalla configurazione narrativa di tutti gli elementi del film. In Inland Empire la scelta di presentare i personaggi come vettori di sofferenza è affidata all’utilizzo di un meccanismo di significazione particolare e nuovo. Innanzitutto, essendo Inland Empire il radicale esperimento ermeneutico di Lynch, i soggetti umani inscrivono nella propria condizione materiale più orizzonti significanti, rimandano continuamente ad altro, a orizzonti eterogenei di alterità, evocando e nascondendo ulteriori aspetti, ulteriori caratteristiche, nascondendo (come il dispositivo cinematografico) le possibili configurazioni. Ma l’elemento particolare, il meccanismo di significazione, il ca-rattere configurante e delineabile del dolore, è affidato a un processo di riflesso, di rifrazione del dolore e dei dolori. Già nella storia enunciata dalla vicina di casa di Nikki troviamo il riflesso e il mondo, il male e l’alterità. Tutti questi elementi rimandano continuamente a un orizzonte irrimediabilmente psicoanalitico di interpretazione del testo filmico che, come si è già visto, cerca di oggettivare le teorie di Freud e di Lacan, in particolar modo sullo specchio come riflesso configurante del soggetto, e nel caso del film, di un soggetto che diventa sempre più allucinato e delirante che perde il proprio origina-rio stato psichico.

L’enunciato “mondo” pone un problema assolutamente centrale all’interno dell’orizzonte diegetico ed extradiegetico di Inland Empire. Il mondo del film è un mondo non più or-dinato, è un mondo in cui tutto è mera rappresentazione e illusione di se stesso, è un mondo in cui non esiste presenza ma solo potenza, è in definitiva un mondo di simulacri. Il problema qui non è tanto quello del carattere simulacrale del cinema e dell’immagine filmica che si è visto in precedenza essere un aspetto fondamentale e centrale per tutte le rifles-sioni teoriche sulla settima arte. La questione posta da Lynch è quella di un mondo che nega l’orizzonte del reale in termini semantici e costitutivi, non solo metaforici ed evocativi. È un

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mondo che si connette inevitabilmente a un altro mondo di simulacri che è il mondo moderno, mediatico e tecnologico, un mondo in cui si sono persi referenti semiotici, in cui l’ente e l’essente di tipo heideggariano sono in continua lotta non per la ricerca dell’esserci (del dasein129), e in cui tutto rimanda a un altro segno, a un mondo ipersemiotizzato, è un mon-do in cui: “nel divenire rappresentazione, [...] l’ente perde in certo modo il suo essere. Ma questa perdita si fa radicale quando, esplicitando il carattere pratico, di dominio [...] l’immagine del mondo si moltiplica in immagini contrastanti in lotta tra loro130”. L’universo significante di Inland Empire e dell’intero cinema di Lynch è incentrato interamente sul fantasma e sul-lo psichico come configurazioni dell’alterità e del negativo, come proiezione di un fantasma di crudeltà. Il concetto di crudeltà emerge necessariamente dal testo di Inland Empire e da quasi tutti i film di Lynch. Secondo Artaud la crudeltà è: “appetito di vita, rigore cosmico, di necessità implacabile, nel

129 Dasein è un termine filosofico coniato da Martin Heidegger nella sua opera più famosa Sein und zeith. La traduzione del termine dal tedesco all’italiano, è alquanto problematica. Infatti il termine da in tedesco sta a indicare uno spa-zio ideale a metà strada fra l’immediatezza del “qui” e la distanza propria al “lì”. Nella prima traduzione italiana fatta dell’opera heideggariana, nel termine “esser-ci”, ci non sta a indicare una semplice dimensione spaziale, ma qualcosa di più ambiguo e complesso, ovvero il modo in cui concretamente (fenomeno-logicamente) l’Essere si dà nella storia e nell’esistenza dell’uomo. Quindi dasein diventa sinonimo di esistenza, da non confondersi con il soggetto. Il dasein non è il soggetto collocato nella storia, in quanto il soggetto è inscritto unicamente in un tempo presente. Su questo particolare aspetto l’ermeneutica ontologica si è interrogata più volte. Soprattutto Heidegger con la formulazione di quella che egli considera la domanda prima: “Perché vi è in generale l’essente e non il nulla?” definendola al tempo stesso la domanda più vasta, più profonda e più originale che possa essere posta. Si veda in proposito: MATIN HEIDEGGER, Enfürung in die methaphisik, trad. it. Introduzione alla metafisica, Milano, Mur-sia, 1990. Si veda inoltre un altro saggio del 1946 di Heidegger sull’argomento che, recuperando le posizioni di Nietzsche sulla filosofia greca, ripercorre la questione dell’ente e dell’essente e della contrapposizione tra il non-essente e il non-ente, partendo da una frase di Nietzsche contenuta ne La filosofia nell’età tragica dei greci (1873): ID, Il detto di Anassimandro, in Sentieri interrotti, cit. ; ID, Essere e tempo, cit.

130 GIANNI VATTIMO, Oltre l’interpretazione. Il significato dell’ermeneutica per la filosofia, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 34.

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significato gnostico di turbine di vita che squarcia le tenebre, nel senso di quel dolore senza la cui ineluttabile necessità la vita non potrebbe sussistere; il bene è voluto, è la conseguenza di un atto131”. Il riferimento allo specchio, qui ancora evocato, si riconnette al carattere riflessivo dell’immagine filmica e alla caratteristiche che l’iscrizione dello specchio nell’immagine riesce a configurare132, alle capacità di simulare e dissimulare lo specchio nell’immagine e di creare altro. Più avanti, nel delinearsi della narrazione del film, lo specchio oggettiverà la la fase dello specchio di Lacan133.

Gli ultimi due enunciati esposti dal primo discorso della vicina, cioè il “fuori” e il “male”, sono legati l’uno all’altro e riconfigurano, attraverso un meccanismo di significazione di natura verbale, il problema fondamentale della struttura significante del film stesso. Da un lato il problema di ciò che sta al di fuori dell’immagine, cioè di quel senso latente che non si manifesta perché si trova altrove, in un altro luogo, nell’impero della mente, dei processi cognitivi dello spetta-tore cinematografico, in quello che Eric Rohmer chiamava spazio filmico134; dall’altro lato il male diventa oggettivazio-

131 ANTONIN ARTAUD, Le Théâtre et le son double, Paris, Editions Gallimard, 1964, trad. it. Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 1968, p. 217. La citazio-ne che faccio, pur essendo presa da uno dei più importanti teorici del teatro, è pertinente qui allo studio del film di Lynch, in quanto le sue teorie si basavano su di una prospettiva che potremmo definire a metà strada tra la semiotica e la de-costruzione, inscrivendo alcune posizioni di Nietzsche, successivamente riprese da Deleuze. Non a caso proprio Derrida intervenne a Parigi nel 1966 a un con-vegno su Artaud e il teatro universitario. Si veda su questo aspetto: JACQUES DERRIDA, L’écriture et la différence, cit. Sulla questione della crudeltà ci sono diverse posizioni di indubbio interesse che vanno, come si è visto, da Artaud a Derrida e interessano in maniera particolare anche Deleuze riconfigurando la crudeltà in un’ottica masochistica. Si veda: GILLES DELEUZE, Il freddo e il crudele, cit.

132 Su questo aspetto si rimanda al capitolo sull’immagine riflessa di: PAOLO BER-TETTO, Lo specchio e il simulacro, cit.

133 JAQUES LACAN, Scritti, cit.

134 Eric Rohmer importante critico dei Cahier du Cinéma e regista della Nouvelle Vogue, parla di spazio filmico a proposito del film di Murnau, Faust. Egli so-stiene che esistono tre spazi: uno pittorico, uno architettonico e uno filmico. Lo

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ne meta-testuale ed extradiegetica del patto con lo spetta-tore attraverso una scrittura che, oltre a superare le forme strutturali della classicità, fugge verso una scrittura dell’an-goscia in cui il patto tra il film e lo sguardo dello spettato-re non può che essere di fastidio, di paura, di fascinazione assoluta e quindi inquietante, proprio perché si configura in assenza della volontà dello spettatore e in questo modo abbandona le forme della seduzione. Quest’ultimo aspetto può essere definito come la configurazione di un orizzonte di sensualità lineare, di quella dimensione erotica tout court dell’orizzonte visivo. È “un piacere doloroso, una sensazio-ne contraddittoria di fascino e fastidio135”. Il particolare e contraddittorio rapporto tra lo spettatore e il suo oggetto di piacere viene portato alle estreme conseguenze Inland Em-pire, tanto da trasformare quel rapporto in una pulsione di morte nel rapporto di godimento con l’oggetto filmico, cioè con l’oggetto di piacere, in un’ottica spesso contrastante, che ripropone alcune posizioni importanti di Freud e Bataille in una relazione di scambio complesso e originale tra eros e thanatos136, poche volte affrontato negli studi sul cinema. E

spazio filmico è lo spazio in cui: “lo spettatore non ha l’illusione di uno spazio filmato, ma di uno spazio virtuale ricostruito nella sua mente, sulla base degli elementi frammentari che il film gli fornisce” (ERIC ROHMER, L’organisation de l’espace dans le “Faust” de Murnau, Paris, Union Générale d’Editions, 1977, trad. it. L’organizzazione dello spazio nel “Faust” di Murnau, Venezia, Marsilio, 1984, p.19).

135 ANDREA BELLAVITA, Inland Empire, in, PAOLO BERTETTO (a cura di), David Lynch, cit., p.128. Sul problema del piacere visivo in relazione al proble-ma dell’immagine e della figurazione si veda: PIER LUIGI BASSO, Interpreta-zioni tra mondi. Il pensiero figurale di David Lynch, Pisa, ETS, 2007.

136 Questa questione è particolarmente complessa e meriterebbe uno studio a parte per risolvere nodi teorici di particolare importanza e difficoltà. Come è stata da me proposta la questione, si tratta di analizzare e confrontare da un lato le teorie sul sadomasochismo di Freud contenute nei Tre saggi sulla sessualità, il ruolo centrale della pulsione di morte che Freud elabora in Al di là del principio del piacere, con le posizioni di Bataille sul masochismo e il concetto di negati-vo riprese e studiate da Perniola. Si veda: SIGMUND FREUD, Tre saggi sulla sessualità, cit.; ID, Al di là del principio del piacere, cit.; MARIO PERNIOLA, Philosphia sexualis. Scritti su George Bataille, Verona, Ombre Corte, 1998; ID, Il sex appeal dell’inorganico, Torino, Einaudi, 1994.

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allo stesso tempo il rapporto mette in luce come problema interpretativo la questione del perturbante freudiano iscrit-to nella stessa struttura testuale e nei rapporti che il testo instaura con gli elementi significanti della narrazione137.

Il successivo racconto della vicina di casa di Nikki è in-centrato sul alcune particolarità. È importante soffermarsi su questo passaggio del racconto, quello in cui si afferma: «Come una creatura incompleta. Cioè, non era la piazza del mercato... lei lo sa, vero? Ma era nel vicolo dietro la piazza del mercato... quella è la via che conduce al palazzo». Il raccon-to, oltre a evocare nuovamente mondi misteriosi segnati dal possibile e dal potenziale, evoca un problema interpretativo legato a questi mondi: la coesistenza nella stessa dimensio-ne spaziale di orizzonti, mondi e universi di significazione molteplice. Già in Mulholland Drive Lynch aveva configurato questo aspetto in alcune sequenze narrativamente lente, af-fidandolo a particolari effetti speciali che emergevano dalle inquadrature. In quel film, infatti, l’orizzonte visivo era se-gnato dall’uso della sovrimpressione di due immagini simili per il materiale inscritto, ma differenziali rispetto agli angoli di ripresa, alla collocazione della mdp e dell’oggetto. L’effetto prodotto è quello della coesistenza dei due mondi, non trami-te sovraimpressione continua, ma attraverso una dissolvenza incrociata delle due immagini, così da creare anche la vici-nanza e la separatezza dei due mondi che si incontrano. In questo modo l’orizzonte del visibile risulta allo stesso modo del testo, segnato da una struttura stratificata priva di consi-stenza, di dimensione, di profondità, inscritta nella potenzia-lità del mondo e dei mondi ripresi. Non abbiamo più un mon-do primario che nasconde un mondo secondario, un mondo di partenza e uno di arrivo, ma abbiamo una molteplicità di

137 La struttura perturbante del testo, sulla quale insisto, non ha nulla a che vede-re con il problema posto dalla Studlar nella definizione in senso masochistico della struttura narrativa dei film di Sternberg. In questa prospettiva l’orizzonte interpretativo di quei film, è chiaramente metacinematografico, in quanto il plot risulterebbe già di per sé di difficile assimilazione da parte dello spettatore ci-nematografico. Si veda in proposito: GAYLYN STUDLAR, In the realm of pleasure. Von Sternberg, Dietrich and the masochistic aesthetic, cit., cap. 8.

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mondi possibili che si configurano nella stessa immagine, nello stesso statuto visivo, da cui partono delle rette vettoriali che non hanno né punti di arrivo, né punti di partenza, ma solo di comunicazione. L’universo di Inland Empire, e di Lynch in generale, non ha più punti di riferimento, ed è un universo in cui è difficile (se non impossibile) aggrapparsi a certezze e modelli consolidati. Questo è l’universo del tutto e del nulla, del visibile e dell’invisibile, del segno e della sua negazione, è l’universo che configura e si inscrive nella modernità. È un universo aperto e decostruito, radicalmente destrutturato. È esso stesso la modernità. La vicina di casa, personaggio quanto mai ambiguo, vedendo Nikki sempre più sconvolta dalla storia, afferma: «Questa non è una cosa che lei si possa ricordare».

A questo punto, ci si pone alcune domande: Chi è Nikki? Che cosa si deve ricordare? È lei la fanciullina della storia? C’è un rimosso che sta riaffiorando? Perché la vicina di casa conosce tutti questi aspetti oscuri? Chi è la vicina di casa? Naturalmente il film nelle sue configurazioni non rispon-de ancora alle domande poste, e nemmeno un interprete attento può ancora rispondere in modo esauriente ma solo formulare delle ipotesi, come si è fatto finora. L’aspetto più originale del testo filmico di Inland Empire è che, dopo la formulazione delle domande da parte dell’analista, vengono poste altre questioni che riformulano nuovi enigmi e mi-steri e riconfigurano quelli già esistenti da cui si era partiti. Inland Empire supera in maniera decisamente più radicale i presupposti teorici e interpretativi di Mulholland Drive, e si ha la sensazione che l’enigma di partenza, l’enigma narrativo e figurale dell’inizio, possa non essere risolto nemmeno alla fine del film.

Riprendiamo il segmento in questione. Dopo le due storie inquietanti, la vicina di casa incomincia a fare delle afferma-zioni senza senso, che all’interno della diegesi del film as-sumono carattere misterioso e fortemente ambiguo. La vici-na accenna senza mai approfondire, ma lasciando il tutto in un’atmosfera sospesa ad alcuni punti importanti. Accenna al fatto che:

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– la dimenticanza capita a tutti;– c’è un omicidio nel film in cui Nikki probabilmente avrà

la parte; – c’è un diverbio che nasce tra le due;– non si ricorda se oggi è oggi;– non si ricorda se è ieri o due giorni fa;– dice di mettere il caso che oggi fosse domani, lei (Nikki)

non si ricorderebbe di avere un conto in sospeso ancora da pagare;

– dice che ogni azione ha delle conseguenze;– che nonostante tutto ci resta la magia;– che se fosse domani lei sarebbe seduta su quel divano,

indicandolo con il dito.La vicina, in questo modo, cerca di mettere a conoscenza

dello spettatore alcuni elementi specifici lungo cui il film ten-denzialmente si muoverà, soprattutto nell’aspetto significan-te. Il film si trova ancora sospeso in un prologo ambiguo, e proprio questo aspetto è un’ulteriore conferma del carattere radicale di superamento del racconto tradizionale, andando oltre persino a diversi esperimenti d’avanguardia del cinema europeo e americano a cui si è accennato precedentemente. Il carattere delle azioni raccontate pongono l’accento sul carat-tere di funzionalità e falsità del film. È la configurazione di quelle che Deleuze chiamava “potenze del falso138”, attraver-so però l’uso di un enunciato verbale. Dopo questa sequenza il visibile e le sue configurazioni molteplici e incerte domine-ranno completamente il testo filmico, dettando le regole in uno scambio simbolico e ambiguo con le componenti cine-matografiche e i codici filmici139.

Notiamo fin da subito che quattro affermazioni su otto sono legate ad aspetti temporali del film, e le altre quattro agli aspetti narrativi. Viene fornita l’informazione su una possibile

138 GILLES DELEUZE, L’immagine-tempo, cit., pp. 143-74.

139 Per quanto riguarda la nozione di componenti cinematografiche e di codice fil-mico si veda: FRANCESCO CASETTI, FEDERICO DI CHIO, Analisi del film, Milano, Bompiani, 1990, cap. 3, L’analisi delle componenti cinematografi-che.

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trama del film, che si preannuncia come un film giallo, o co-munque un thriller, ma tutto ciò è inscritto nella dimensione del falso. In particolar modo questa dimensione è oggettivata nell’affermazione: «Ogni azione ha delle conseguenze» che suona al quanto dubbiosa in un universo significante domi-nato dal potenziale, dall’incerto, dal non rivelato. Nell’oriz-zonte formale di Lynch, a ogni azione non corrisponde più una conseguenza diretta, ma corrisponde l’incerto, il nulla, l’astratto, in una prospettiva di riconfigurazione del tempo e configurazione del narrativo. Il rapporto di causa-effetto vie-ne messo in crisi come fattore della modernità e della ricerca del senso in ambito decostruzionista.

Dopo l’affermazione sul tempo, la vicina di casa indica un divano. Nikki muove la testa e vede se stessa sul sofà in com-pagnia di due amiche. Lo sguardo di Nikki in questo pas-saggio si configura palesemente come sguardo proiettivo del desiderio e non come sguardo percettivo dell’evento. In più lo sguardo della donna assume valenza onirica e fantasma-tica perché rielabora visivamente il tempo attraverso la pro-pria pulsione desiderante, e contemporaneamente rielabora se stessa come immagine iscritta nel mondo. L’intero testo fil-mico che produce Inland Empire è legato, come abbiamo visto, a una narrazione all’interno della quale il tempo viene conti-nuamente disarticolato attraverso modalità radicali della mes-sa in scena, e attraverso decostruzioni dell’orizzonte visivo e della dimensione spaziale inscritta nell’immagine. Il tempo nel film si sostituisce allo sguardo diegetico, in quanto viene investito di un processo percettivo forte, mentre lo sguardo inscrive questo elemento in maniera debole fino a negarlo e rimuoverlo in uno sguardo dell’inconscio, uno sguardo inte-riore140. È uno sguardo in cui: “l’occhio scopre il mondo, sco-pre nel mondo un’altra dimensione, ma questo processo non è solo estroflessione, recupero dell’oggettivo, ricognizione del

140 Questa particolarità dello sguardo presente nel film ribadisce ulteriormente il legame profondo tra Lynch e l’avanguardia americana, in particolar modo alla teoria dello “sguardo interiore”. Si veda in proposito: STAN BRAKHAGE, Me-tafore della visione, cit.

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visibile: è anche introspezione, sguardo all’interno e dall’in-terno, occhio interiore, mind’s eye141”. La micro-sequenza che viene configurata subito dopo pone però l’accento sul di-scorso dello sguardo e della soggettiva, iscrivendola in un di-scorso di gender molto particolare. Il soggetto femminile fin qui iscritto nel visibile, cioè Nikki, passa da una carattere di soggetto di uno sguardo percettivo (nella dinamica di campo e contro campo oggettivata dal dialogo con la vicina) alla de-finizione di soggetto dello sguardo proiettivo e allucinatorio (la visione sul divano) fino a configurarsi nell’orizzonte fan-tasmatico delle immagini come nuovo oggetto dello sguardo, del marito, che si pone nella dimensione spaziale della micro sequenza e diviene oggetto occultato e osservatore esterno. Quindi abbiamo tre livelli significanti che assume il soggetto in relazione allo sguardo. La particolarità della messa in scena in questo passaggio del film configura il soggetto maschi-le come prodotto dello sguardo e della mente della donna, ribaltando il concetto che per molto tempo si era dibattuto nell’ambito della femminist film theory, secondo cui la donna nel cinema è l’oggetto dello sguardo dell’uomo. Senza adden-trarci in questo discorso, che richiederebbe una analisi più approfondita e più specifica, la questione dello sguardo, e quindi della soggettiva, è legata a una definizione di un sog-getto psichico sessuato142, un soggetto con un proprio carat-tere di desiderio, di sessualità, di sguardo. Basterebbe vedere The woman in the window (La donna del ritratto, 1944) di Fritz

141 PAOLO BERTETTO, L’immagine eidetica, in “La valle dell’eden”, anno VII, n. 14, gennaio-giugno 2005, p. 33.

142 Su questo aspetto si veda lo studio condotto da Veronica Pravadelli sulla FFT in relazione al cinema classico americano e sui concetti di scrittura femminile e soggettiva sessuata. VERONICA PRAVADELLI, Feminist film theory e gen-der studies, in PAOLO BERTETTO, Metodologie di analisi del film, cit.; VE-RONICA PRAVADELLI, Alfred Hitchcock, Notorius, Torino, Lindau, 2003. Si veda in particolar modo il capito intitolato Soggettiva e identità. Dinamiche di sguardo, dinamiche di “gender”; si veda anche il testo fondamentale della feminist film theory: LAURA MULVEY, Visual pleasure and narrative cinema, in “Screen”, vol. 16, autunno 1975, pp. 6-18, trad. it. Piacere visivo e cinema narrativo, in “Nuova dwf ”, n. 8, luglio-settembre 1978, pp. 26-41.

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Lang, per capire le configurazioni, le potenzialità, e le pro-blematiche che oggettiva questa posizione143. Dall’altronde, in ambito psicoanalitico, le pulsioni sadiche, masochistiche e sadomasochistiche144 sono legate all’orizzonte visivo, allo sguardo e alla dimensione dello spettacolo, dell’esibizione. Il micro-segmento inoltre pone accenti sullo sguardo maschile in modo particolare e duplice. Oltre al marito di Nikki che la spia da sopra le scale, c’è anche il maggiordomo che si muove all’interno delle inquadrature in maniera insolita e con uno sguardo ambiguo che sembra non percepire alcunché. L’inte-ra sequenza quindi pone in maniera radicale la rottura dello sguardo, configurandolo come processo legato alla perversio-ne e alla sessualità.

143 Si veda in proposito: PAOLO BERTETTO, Il riflesso, la lacrima e il nero, cit; ID, Lo specchio e il simulacro; il capitolo La fascinazione dello sguardo di ID, Fritz Lang, Metropolis, Torino, Lindau, 1990; sulle caratteristiche dello sguar-do in Lang, cosa che peraltro non rientra nell’economia di questo studio, la bibliografia è sterminata, si veda però altri testi di Bertetto, che sviluppano una prospettiva di analisi simile a quella di chi scrive. Si veda il rapporto tra le forme della messa in scena e le dinamiche dello sguardo in relazione a Clockwork oran-ge (Arancia meccanica, 1971), Doctor Mabuse. Des spieler (Il Dottor Mabuse, 1922) in: PAOLO BERTETTO, Clockwork orange. Le forme della messa in scena, In GIORGIO DE VINCENTI, Overlock Kubrick.

144 Questo è un aspetto molto particolare e controverso su cui la feminist film theory e i più recenti studi di matrice femminista e di genere hanno affrontato con una certa eterogeneità e spregiudicatezza. In particolare gli studi della Stu-dlar hanno affermato in un’ottica deleuziana, contrapponendosi a Freud, Lacan e Metz, una prospettiva masochistica che può fare a meno della dimensione sadica. Oltre al già citato saggio di Laura Mulvey, si vedano anche: SIGMUND FREUD, Un bambino viene picchiato: contributo alla conoscenza dell’origine delle perversioni sessuali, in ID, Opere, vol. IX, Torino, Bollati e Boringhieri, 1966-1980. Visto che Freud ha sviluppato la teoria masochistica come impulso primario legato all’istinto di morte si veda altri tre saggi: SIGMUND FREUD, Tre saggi sulla sessualità, cit.; ID, Jenseit des Lustprinzips, in “Internationaler Psychonalysticher Verlag”, Wien und Zürich, Leipzig, 1920, trad. it. Al di là del principio di piacere, in Psicologia e metapsicologia, Roma, Newton Compton, 1970; ID, Triebe und Triebschicksale, in “Internationaler Zeitschift für ärztliche Psychonalyse”, 3, 1915, trad. it. Pulsioni e loro destini, in, ID, Opere, vol. IV, cit.

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Il film nel film e la struttura degli universi possibili: il simulacro e l’allucinazione

La sequenza successiva, che verrà analizzata nelle sue com-ponenti specifiche, è divisa in ulteriori micro-sequenze di grande importanza in cui vengono iscritte in maniera diffe-rente le coordinate di comprensione ulteriore del film. La par-ticolarità più originale della pratica di messa in scena adottata da Lynch in questa sequenza, è la configurazione di un regi-me narrativo simile a quello di una ripresa amatoriale, e ciò avviene nel momento in cui emergono in modo più esplicito sia i meccanismi formali della narrazione che le configurazio-ni possibili della storia narrata.

Lo sguardo e l’estasi

La prima sequenza è costituita da ventitré inquadrature, di queste solamente la prima è girata in esterni, e le altre ventidue in interni. Abbiamo un campo lungo delle colline di Beverly Hills a Los Angeles dove campeggia la scritta “Hollywood”. La mdp, con una panoramica all’indietro, relega la scritta a sfondo per inscrivere nell’immagine il capannone degli studi cinematografici hollywoodiani numero 32. Lo stage 32 è il luogo in cui si svolgerà gran parte della sequenza. Già la pri-ma inquadratura, pur essendo alquanto semplice dal punto di vista della messa in scena, fa emergere alcune particolarità di rilevante importanza nell’orizzonte significante del film. La configurazione di diversi significati, che emerge già in que-sta singola inquadratura, pone diversi problemi e questioni che investono l’orizzonte simbolico e immaginario di Inland Empire, orizzonti che costantemente si separano e riconnet-tono insieme in un meccanismo di significazione totalmente complesso e articolato, di grande importanza e intensità. In primo luogo la scelta di un’opzione metalinguistica e metafo-

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rizzante in cui Hollywood diventa l’universo contro cui Inland Empire e le sue determinazioni simboliche si scagliano. Lynch contesta in maniera alquanto estrema la fabbrica dei sogni del cinema americano e l’industria de-umanizzata, de-estetizzata che c’è dietro, con modalità tipiche di una struttura testuale o di un testo significante-comunicativo. In fondo Lynch, in questa particolare opzione di messa in scena, utilizza un pro-cedimento di assoluta fagocitazione metaforica del cinema. È un procedimento significante che Lynch tende a esibire e occultare costantemente per tutta la durata del film e dei film che sono presenti all’interno. L’immagine percepita di Hollywood e del cinema in generale è radicalmente differente dalla sostanza, da quell’immagine figurale che si nasconde e tende a negare la sua essenza, la sua stessa esistenza e fun-zionalità, proprio come fa nelle sue componenti essenziali il dispositivo cinematografico. Ma l’inquadratura introduce an-che il luogo di svolgimento della sequenza: gli studi cinema-tografici. Sono molteplici i livelli significanti di un’inquadra-tura come questa, che all’apparenza risulta essere irrilevante. Hollywood è l’apice, la vetta in cui vengono prodotti quegli universi significanti, immaginari e simbolici con cui Lynch ha continuamente fatto i conti in quasi tutto il suo cinema. In questo caso il meccanismo di significazione assume un chiaro aspetto che va oltre la semplice diegesi. In più la scel-ta del movimento di macchina che relega la scritta a sfondo fino a farla scomparire del tutto, lascia nell’immagine solo lo stage 32 e oggettiva il meccanismo occultante del cinema. Allo stesso modo il meccanismo di significazione riprende e affida livelli di significanza e di rilevanza a materiali eteroge-nei che pongono il problema su cosa sia rilevante e cosa non lo sia nell’orizzonte di riferimento dei fenomeni, degli even-ti, della configurazione dell’immagine filmica. L’opzione di messa in scena che qui utilizza Lynch e il problema che essa pone non ha nulla a che vedere con il discorso che fa Godard dove: “in a bout de souffle l’irrilevante diventa evento, in Deux ou trois choses l’irrilevante diventa visibile145”. Qui non si tratta

145 PAOLO BERTETTO, L’analisi interpretativa. “Mulholland Drive” e “Une fem-

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solamente dell’occultamento del dispositivo di funzionamen-to del cinema, che in Inland Empire gioca un ruolo impor-tantissimo venendo continuamente oggettivato, ma si tratta dell’occultamento della visione nel cinema, nel testo filmico e nello sguardo. È lo sguardo del nulla in cui la vista come polo sensorio entra in crisi nella propria dimensione conoscitiva e interpretativa. Non è un caso che le successive inquadrature siano dominate da una forte e ambigua dinamica dello sguar-do che mette in crisi lo sguardo stesso come finora era stato mostrato al cinema. Vediamo come si articola la sequenza in questione, che introduce il personaggio di Kingsley, il regista del film che Nikki dovrà interpretare:

1) PP di Kingsley con lo sguardo rivolto verso la sinistra dell’inquadratura. Esprime a parole la propria contentezza di avere Nikki per il suo film;

2) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp legger-mente spostato a destra;

3) TOT della stanza con al centro Kingsley, a destra dell’im-magine ci sono quattro persone in piedi che guardano l’uomo al centro. Due donne e due uomini disposti con alternanza donna-uomo-donna-uomo. Le donne tengono in mano un copione a testa. A destra del’immagine ci sono tre uomini se-duti su un divano, uno è posto frontalmente rispetto la mdp, e ha sopra la testa un quadro con una cornice prestigiosa, gli altri due sono leggermente di profilo e possono guardare Kingsley. Uno dei due ha la testa tagliata dal margine dell’in-quadratura;

4) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp legger-mente spostato a destra, muove la testa per guardare legger-mente verso la sinistra dell’inquadratura;

5) PP di Kingsley nella stessa posizione di Nikki;6) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp legger-

mente spostato a destra; 7) MF di Devon ripreso con la mdp leggermente spostata in

diagonale. Inizialmente guarda frontalmente e poi si sposta verso la sinistra dell’inquadratura (non c’è nessun riferimento

me mariée”, cit., pp. 272-73.

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che si tratti di un campo e controcampo e che stia guardando Nikki);

8) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso sinistra dell’in-quadratura;

9) PP di Kingsley che alterna per due volte lo sguardo: pri-ma a destra e poi a sinistra;

10) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp leg-germente spostato a destra;

11) PP di Kingsley che alterna velocemente lo sguardo: pri-ma a destra e poi a sinistra;

12) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp legger-mente spostato a destra (Nikki cambia espressione da allegra e sorridente a inquieta e cupa sentendo le parole di Irons che parla del film e del mondo in cui si stanno per immergersi);

13) PP di Kingsley che alterna per due volte lo sguardo: prima a sinistra e poi a destra;

14) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp leg-germente spostato a destra;

15) PP di Kingsley che alterna per quattro volte lo sguardo: prima a sinistra e poi a destra;

16) PPP di Nikki con lo sguardo rivolto verso la mdp leg-germente spostato a destra (è di nuovo sorridente e dice: «Facciamolo» intendendo il film);

17) PP di Kingsley che alterna una volta lo sguardo: prima a sinistra e poi a destra;

18) MF di Devon ripreso con la mdp leggermente spostata in diagonale. Lo sguardo è a destra e poi lo sposta a sinistra dell’inquadratura;

19) PP di Kingsley, muove lo sguardo da destra a sinistra dell’inquadratura;

20) PPP di un signore misterioso con lo sguardo rivolto leggermente a sinistra e lo alterna verso il centro e verso si-nistra;

21) MF di Devon ripreso con la mdp leggermente spostata in diagonale. Lo sguardo è a destra;

22) PP di Nikki inquadrata con lo sguardo verso sinistra;23) Dissolvenza in nero. Come si vede dalla scomposizione, la micro-sequenza è

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costituita da particolari dinamiche dello sguardo iscritte in un orizzonte simmetrico e differenziale, orizzonte particola-re per la significazione e la ricerca del senso nel film. Inoltre il segmento presenta degli elementi eterogenei nonostante sia incentrata sugli sguardi tra Nikki e Kingsley Stewart. Si inseriscono poi nella configurazione del segmento cinque elementi eterogenei presenti nelle inquadrature tre, sette, di-ciotto, venti e ventuno, e cioè alcuni soggetti differenti che si immettono nelle immagini intorno a Kinglsley. Essi sono Devon Berk (Justin Theroux, attore co-protagonista del film nel film) e un uomo misterioso iscritto nell’inquadratura ven-ti. Questa micro-sequenza presenta una certa ambiguità com-positiva di grande rilevanza all’interno del testo significante del film, ambiguità che investe non solo questo segmento, ma tutto l’orizzonte significante di Inland Empire, a comin-ciare (come già si è visto precedentemente) dal testo stesso, investendo anche le componenti più strettamente tecnico-stilistiche. È particolarmente ambigua la disposizione dei soggetti all’interno dello spazio diegetico. Kingsley Stewart è collocato frontalmente rispetto a Nikki e Devon, e le dinami-che che intercorrono tra gli sguardi sono ambigue in quanto si soffermano in modo rilevante sui tentativi di sguardo e di interazione intersoggettuale tra Nikki e Kingsley; mentre Devon pone il suo sguardo in maniera diversa e oppositiva rispetto soprattutto al regista diegetico. Lo stesso uomo mi-sterioso non guarda a destra e a sinistra come fanno gli altri tre soggetti, ma configura lo sguardo verso il centro e verso sinistra, cioè verso Kingsley e Nikki, ponendo un ulteriore elemento di forte ambiguità del visibile. Nell’orizzonte dello spazio fisico, dove è collocato l’uomo misterioso? Le coordi-nate spaziali degli sguardi non sono mostrate e con esse non viene mostrato nemmeno l’ambiente dell’azione per intero, relegandolo nella propria iscrizione schermica in un primo piano di Kingsley. Solo l’inquadratura tre presenta una por-zione di ambiente più definito, che viene però abbandonato nelle inquadrature successive. Con questa particolare disposi-zione “a traccia” tutti i soggetti si perdono come tracce nello spazio filmico, a eccezione del personaggio di Kingsley, che

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assume un ruolo privilegiato e di rilevanza nell’orizzonte del visibile, assumendo in questo modo particolari connotazioni simboliche. Tutti i soggetti rivolgono lo sguardo a Nikki e al regista. Nikki invece infrange questa logica, va oltre quella dinamica, oltre quelle coordinate logiche, oltre i rapporti tra i soggetti146 e le loro funzioni sintattico-diegetiche. Nell’in-quadratura numero dieci, spostando lo sguardo verso destra, Nikki cosa guarda? Cosa c’è che cattura la sua attenzione? Non c’è nessuno, almeno nessun soggetto presentato dal te-sto, non c’è nessun oggetto, nessuna azione, nessuna pertur-bazione, nessun cambiamento della situazione iniziale. Nem-meno l’uomo misterioso potrebbe essere collocato lì, perché la dinamica del suo sguardo è ambigua e differente rispetto a un’eventuale collocazione in quello spazio. Nikki infrange la dinamica scopica e la determina ponendosi in questa logica sospesa, come personaggio fondamentale, come protagonista indiscusso del film, nell’orizzonte diegetico di Inland Empire. Solo lei può esercitare uno sguardo oltre, che vede e non vede, che percepisce parzialmente il visibile e lo supera nell’oriz-zonte inconscio e fantasmatico, uno sguardo che proietta e distrugge il reale, uno sguardo dell’immaginario. D’altronde il carattere di protagonista che denota il personaggio di Nikki è da rintracciare in alcune particolarità che il testo oggettiva, come ad esempio il numero di iscrizione nell’inquadrature di una sequenza, l’incipit nella sequenza della vicina di casa, il carattere fortemente emozionale, la configurazione dello

146 Inland Empire non è un’indagine o un’inchiesta sui rapporti personali e sociali, sui soggetti e sull’ambiente alla maniera di Godard di Questa è la mia vita, Una donna sposata, Due o tre cose che so di lei, Made in U.S.A. È anche una rifles-sione su questi aspetti, in maniera velata e non esplicita; aspetti che investono nodi filosofici profondi in una chiara prospettiva, come più volte si è detto, di natura ermeneutico-decostruzionista, di natura analitico-interpretativa. L’am-biente circostante è il luogo di inscrizione dell’oggetto e in particolar modo del soggetto, e questo assume in Lynch un’importanza fondamentale. È un elemen-to che ha giocato un grande interesse conoscitivo nella formazione culturale del regista, riconfigurandolo nel proprio sguardo come luogo dell’astrazione e del desiderio estetico, come luogo riempitivo. Su questo aspetto si veda: DAVID LYNCH, Catching the Big Fish, Bobkind, Inc., 2006, trad. it. In acque profonde. Meditazione e creatività, Milano, Mondadori, 2008, p. 15.

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sguardo, aspetto quest’ultimo di rilevanza fondamentale in tutto il film.

Vediamo di interpretare più accuratamente il segmento in questione. Il segmento configura la condizione frammentaria, individuale e alienante del soggetto moderno, e in particolar modo del soggetto inserito in un mondo estetico, fatto d’arte, costretto però ad agire in un’epoca dominata dalla modernità delle relazioni estetico/creative. Kingsley davanti a sé ha sola-mente un materiale umano frammentato, incompleto, difficile da configurare e da trasformare per esigenze di copione, come dimostrano le due donne alle sue spalle con lo script in mano, indicando il sottotesto metacinematografico e metaforico del film. Nikki e Devon in opposizione hanno semplicemente un regista, solo un regista che sovrasta e domina il loro orizzonte visivo. La particolarità più rilevante del micro-segmento è la costruzione significante che attua la messa in scena. Ciò che è inscritto nell’inquadratura non è un corpo completo, e mai viene presentato come tale, ma un soggetto umano diviso a metà, incompleto, deformato che si configura come vettore di riflessione ed emozione, dove l’azione diventa l’elemento irri-levante per lasciare spazio alle emozioni, alle sensazioni che diventano un orizzonte rilevante, l’unico orizzonte rilevante possibile. Proprio questo particolare aspetto è fondamentale in Lynch. Spesso i suoi film presentano soggetti che svilup-pano la funzione riflessiva ed emozionale nel momento in cui vengono posti di fronte a oggetti, orizzonti, configurazioni a carattere enigmatico, interrogativo, inquietante. Non si vuole dire che il cinema di Lynch sia un film della non-azione o che rinuncia alla configurazione dell’evento, anzi i soggetti lyn-chani sono immersi in situazioni ed eventi dal carattere reale o pulsionale, illusivo e traumatico, in situazioni che implicano la reazione da parte degli stessi in un orizzonte visivo domi-nato dal fantasma e dall’inconscio. È una condizione imma-ginaria legata alla presenza del soggetto, all’esserci in quanto soggettività che si riallaccia a una tradizione filosofica che

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va dall’analitica dell’esserci di Heidegger147 al primo Sartre148. Come afferma Bertetto: “Il mistero che spesso avvolge i per-sonaggi lynchani è in fondo anche segnato da questo carattere di improvvisa emergenza di attanti che appaiono catapultati in situazioni preesistenti, a volte estremamente difficili, che sembrano destituiti di ogni retroterra, privi di ogni garanzia e di ogni valore, immersi in un mondo sovente ostile e irragio-nevole, che si presenta come l’altro solidamente strutturato che il soggetto fatica a comprendere149”.

Si diceva che la particolarità della messa in scena in que-sto micro-segmento si articola attraverso la negazione di uno spazio unitario e la negazione di un soggetto intero (eccetto Kingsley nell’inquadratura tre), che oggettiva una condizione di frammentarietà150 dell’esistenza del soggetto attante diviso tra emozioni contrastanti. Non esiste una dimensione spa-ziale unica in cui i soggetti sono iscritti nello stesso istante, ipotecando così pesantemente i loro rapporti intersoggettuali, dissolvendoli e sospendendoli in un orizzonte sempre cari-co di ambiguità. In particolar modo, lungo tutta la micro-sequenza, Nikki non fa altro che mostrare sul proprio volto delle emozioni, delle sensazioni opposte in ogni inquadratu-ra, che cambiano a seconda dell’argomento di cui parla il re-

147 MARTIN HEIDEGGER, Essere e tempo, cit.

148 JEAN PAUL SARTRE, L’être et le Néant. Essai d’ontologie phénoménolo-gique, Paris, Gallimard, 1943 trad. it. L’essere e il nulla, Milano, Il Saggiatore, 1965.

149 PAOLO BERTETTO (a cura di), David Lynch, cit., p. 22.

150 Il problema della frammentarietà dell’essere umano è una costante che l’imma-ginario cinematografico configura attraverso varie possibilità. È forse la costan-te che più di tutte ha assunto ruoli e forme trasversali nella storia del cinema mondiale, disgregando anche la distinzione tra classico e moderno. Dal noir americano degli anni Quaranta, al neo-noir degli anni Nontava, passando per la nouvelle vogue francese e il free cinema inglese, e andando oltre, la frammen-tarietà del soggetto investe le forme della messa in scena, delle configurazione delle sequenze e dei ritmi del montaggio. La bibliografia su questo argomento è vesta, si consiglia però per un inquadramento generale del problema: JEAN-FRAÇOIS LYOTARD, La condition postmoderne. Rapport sur le savoir, Paris, Les Editions de Minuits, 1979, trad. it. La condizione post-moderna, Milano, Feltrinelli, 1998.

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gista rivolta a lei e a Devon. In questo modo il testo filmico presenta un grado di auto-decostruzione molto particolare, in cui non sono i corpi nella loro interezza a essere decostruiti, ma i soggetti a essere incompleti, frammentari e frammen-tati. È negato, infatti, alla visione dello spettatore, il corpo nella sua completezza e nei suoi frammenti, eccetto i volti, considerati come vettori delle emozioni, delle sensazioni, de-gli stati d’animo iscritti nei bordi dell’immagine filmica. In più Nikki, attraverso i primissimi piani, sembra configurare la condizione di assenza di libertà del protagonista. Anche precedentemente, nella sequenza della vicina di casa, pur se in maniera differente, la condizione di assenza di libertà era og-gettivata nella condizione emozionale di Nikki. In entrambe i casi ci troviamo di fronte a configurazioni del rapporto tra il soggetto Nikki e l’altro, tra il soggetto Nikki e il suo doppio. Il problema del doppio si configura continuamente nel film come un’assenza151. Il doppio è la presenza di Nikki seduta sul divano con le amiche che nega la Nikki del dialogo. Il doppio si configura anche nell’evocazione di una Nikki semiotizzata all’interno della semiosi filmica, cioè nella trasformazione si-gnificante da Nikki Berk (attrice) a Susan Blue (personaggio del film nel film che vedremo successivamente).

Ci sono diverse configurazioni simmetriche che assumono una particolare importanza nell’universo diegetico del film. Sono soprattutto le configurazioni di simmetria attivate dal testo di Inland Empire a investire una doppia valenza signi-ficante. La prima è di tipo testuale e investe direttamente il testo e le articolazioni del senso che scaturiscono dalle scelte tecnico-linguistiche. Per esempio l’uso costante dei primi pia-ni che, pur assumendo di volta in volta dimensioni significan-ti più o meno diverse, indica sempre l’assenza di libertà, l’op-pressione, l’alienazione, la sopraffazione. È quindi un’espres-sione del carattere latente dei testi. La seconda è di tipo più direttamente significante, è il carattere simmetrico che si og-gettiva nella funzione cooperante, nella natura relazionale e

151 Su questo aspetto si veda nuovamente: PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simulacro, cit., pp. 31-36.

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intertestuale, nell’attenzione al contesto e alle relazioni possi-bilmente attivabili tra testi152. Per quanto riguarda il segmento in questione, non bisogna andare oltre i confini, in quanto le relazioni di Inland Empire si instaurano con i testi precedenti di Lynch. Il meccanismo relazionale si attua attraverso l’iscri-zione di elementi evocativi già inscritti nei film precedenti153, attivando l’elemento citazionistico che conferirebbe il caratte-re post-moderno154 del film.

Il micro segmento in questione, poi, configura il carattere frammentario non solo dei personaggi, e quindi dei sogget-ti diegetici, ma anche e soprattutto dell’orizzonte linguistico e di emersione del senso che il testo filmico attiva. La scel-ta di negare i corpi all’occhio della mdp e dello spettatore è funzionale alla configurazione di un orizzonte concettuale,

152 Su questo aspetto che fa parte della svolta oltre-essenzialista e semio-pragma-tica degli anni Ottanta, si veda: FRANCESCO CASETTI, Dentro lo sguardo, Milano, Bompiani, 1986; LORENZO CUCCU, AUGUSTO SAINATI (a cura di), Il discorso del film, Napoli, ESI, 1988; GIANFRANCO BETTETINI, La conversazione audiovisiva, Milano, Bompiani, 1984; CHRISTIAN METZ, L’énonciation impersonelle ou le site du film, Paris, Klincksieck, 1995, trad. it. L’enunciazione impersonale o il luogo del film, Napoli, ESI, 1995; ROGER ODIN, Pour une sémio-pragmatique du cinéma, in “Iris”, n. 1, 1983; ID, La sémio-pragmatique du cinéma sans criseni désillusions, in “Hors Cadre”, n. 7, 1989; ID, Della finzione, Milano, Vita e Pensiero, 2004; FEDERICA VILLA, Oltre la semiotica. Testo e contesto, in PAOLO BERTETTO (a cura di), Meto-dologie di analisi del film, cit.

153 Già nella sequenza precedente il carattere intertestuale e relazionale di Inland Empire si era configurato nel dialogo tra Nikki e la vicina di casa. Infatti il mi-cro-segmento in questione evocava nel secondo racconto la dimensione spaziale che si connetteva alle coordinate spazio-temporali della strada della penultima sequenza di Lost Higway, quando cioè Fred entra nell’inquadratura opposta a quella in cui esce (cioè: “quella villa in fondo alla strada”) e citofona a casa sua, annunciando la morte di Dick Laurant. Allo stesso modo Inland Empire può ritenersi il seguito teorico e concettuale, ma non diegetico e narrativo di Mulhol-land Drive.

154 Il concetto di cinema post-moderno è abbastanza controverso e il problema na-sce nel momento in cui si debba indicare cronologicamente il periodo di nascita o almeno il film che per primo oggettiva e presenta quegli elementi di ricono-scimento. Si veda in ogni caso: LAURENT JULLIER, L’écran post-moderne. Un cinéma de l’allusion et du feu d’artifice, Paris, L’Harmattan, 1997, trad. it. Il cinema post-moderno, Torino, Kaplan, 2006.

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significante e visivo, dominato dal frammento e dalla trac-cia, che costantemente e ossessivamente ritorna. Una corretta analisi di impostazione ermeneutico-decostruzionista, come si è applicata fino a ora, deve riflettere sulla traccia come ele-mento centrale non solo della modernità, cosa che appare fin da subito alquanto evidente; ma come elemento e luogo di significazione privilegiato per la definizione del senso e delle determinazioni dinamico-visivo. La traccia come chiave di lettura delle determinazioni del testo filmico è secondo Der-rida: “l’origine assoluta del senso155”.

Questa della traccia è una posizione che indaga in particolar modo Marie-Claire Ropars-Wuilleumier156 che, pur partendo dalle ben note posizioni di Derrida sulla traccia, non l’assume come vero e proprio modello di riferimento, rimanendo in un certo senso ai margini delle teorie ermeneutiche sul cinema. Secondo la posizione di Derrida, una traccia implica necessa-riamente un’altra traccia: “La traccia è... per definizione, arti-colazione di un’altra traccia, in cui l’origine si sottrae157”. Sul concetto di frammento nel cinema di Lynch, è lo stesso regista a dare una definizione alquanto suggestiva. Egli afferma, rial-lacciandosi ai processi di produzione creativa del soggetto del film, che: “Sarebbe fantastico se il film venisse concepito tutto in una volta. Nel mio caso, invece, arriva un frammento dopo l’altro. Il primo è come la stele di Rosetta: il tassello del puzzle che lascia intravedere tutto il resto. Un tassello promettente158”. La posizione che esprime Lynch in questa sua dichiarazione pone ulteriori problemi sulla riflessione che investe l’autore nel momento in cui crea una storia un film. Si ha come la sensa-zione che Lynch voglia ritornare di nuovo alle formulazioni teoriche delle avanguardie europee del Novecento. In partico-lar modo il riferimento è al surrealismo e alle teorizzazioni da

155 JACQUES DERRIDA, Della grammatologia, cit., p. 95.

156 MARIE-CLAIRE ROPARS-WUILLEUMIER, Le texte divisé, Paris, PUF, 1981.

157 Ibidem, p. 21.

158 DAVID LYNCH, In acque profonde. Meditazione e creatività, cit.

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parte di Breton sulla scrittura creativa159, pratica di grande inte-resse anche per le sue implicazioni con la psicoanalisi.

In conclusione, il micro-segmento configura e presenta Ni-kki come soggetto intensivo ed emozionale, come soggetto e prima ancora come volto desiderante, come schermo di pro-iezione del desiderio, dell’angoscia, della paura e dell’ambizio-ne. È un volto su cui è inscritta l’ambizione forte di fare car-riera, di ottenere prestigio sociale e materiale grazie al mondo dello spettacolo160. È un soggetto diegetico che configura una doppia articolazione voyeristica, da un lato percettiva di un oggetto assente che insiste sulle forme del desiderio, e dall’al-tro una proiezione del desiderio attraverso procedimenti di condensazione e spostamento al limite del lavoro onirico descritto da Freud161. Già Metz in Cinema e psicoanalisi aveva

159 La scrittura creativa viene teorizzata da Andrè Breton nel primo Manifesto del Surrealismo edito a Parigi nel 1924. Si veda su questo argomento: ANDRÉ BRETON, Manifestes du Surréalisme, Paris, chez J.-J. Pauvert, 1962, trad. it. Manifesti del Surrealismo, Torino, Einaudi, 1966; ARTURO SCHWARZ, L’av-ventura surrealista. Amore e rivoluzione, anche, Milano, ErreEmme, 1997. Sulla scrittura automatica in ambito cinematografico si veda: PAOLO BERTETTO, L’enigma del desiderio. Bunuel, Un chien andalou e L’age d’or, Venezia, Marsi-lio, 2001.

160 Soffermiamoci un attimo su questo aspetto, che è anche l’obiettivo di critica contro cui va il film di Lynch. Nikki utilizza la propria condizione di soggetto cinematografico di tipo diegetico, per ottenere dei riconoscimenti in un universo che è totalmente legato allo spettacolo. È un certo senso essa stessa soggetto spettacolare e della visione spettacolare, in quanto il cinema, e il mondo dello spettacolo in generale, diventa il luogo per affermarsi ed emergere socialmente. Anche il rituale televisivo, tutto ciò che sta dietro al cinema, la pubblicità, gio-cano un ruolo importante in questa scalata sociale di Nikki. In particolar modo l’orizzonte audio-visivo svolge un ruolo importante in tutto il film di Lynch. Soprattutto la televisione diventa l’orizzonte di riflessione e di scambio relazio-nale con il cinema in generale. È uno scambio che, parafrasando Baudrillard, si connette a un orizzonte simbolico e di morte. Il cinema di Lynch, riconfigura il patrimonio audio-visivo-dinamico del Novecento a più riprese, ma l’orizzonte televisivo non diventa mai l’unico orizzonte significante di riferimento, cosa che fa invece Michael Mann. Questo luogo dello spettacolo, questo universo cine-matografico, diventa per Nikki anche il luogo del desiderio e dell’immaginario per l’emersione dei fantasmi e dei traumi rimossi, visto che il cinema è il mezzo più efficace di oggettivazione dei fantasmi.

161 SIGMUND FREUD, L’interpretazione dei sogni, cit.; CHRISTIAN METZ,

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indagato accuratamente questo lavoro all’interno delle artico-lazioni linguistiche del testo cinematografico, connettendolo secondo l’influenza di Lacan, a prospettive di tipo semiotico e soprattutto linguistico-semiologiche. Riprendendo in par-ticolare le posizioni di Lacan, la metafora si definisce freu-dianamente come lavoro di condensazione onirica e la me-tonimia come spostamento e il loro orizzonte di riferimento si trova nel simbolico, luogo di significazione su cui si basa la complessa struttura edipica lacaniana162. Queste posizioni sono oggettivate dal testo filmico che si sta interpretando, in modo da connetterle all’eterno problema dello sguardo nel cinema e in particolar modo alla struttura testuale e signi-ficante del film stesso. È da notare come Nikki si emozio-ni in modo particolare a tutte le battute verbali di Kingsley, battute che parlano del film e che cercano di dare ulteriori sensi e informazioni sulla natura del film che stanno per fare. Il meccanismo di significazione è sempre legato al carattere autoriflessivo e metalinguistico del film. Inland Empire mette a dura prova lo spettatore, e prima ancora l’interprete, grazie una particolare configurazione dello sguardo, strutturata at-traverso meccanismi di significazione molto complessi e in buona parte occultati, i quali contribuiscono alla complessità non solo della struttura testuale del film, ma anche della stes-sa ricerca e individuazione dei sensi latenti.

Lo sguardo, l’identità e l’orizzonte del perverso

Il secondo micro-segmento configurato da questa terza se-quenza non è particolarmente importante dal punto di vista intensivo ed emozionale delle immagini, né dal punto di vista

Cinema e psicanalisi, cit.

162 CHRISTIAN METZ, Ibidem, cit., p. 174. Si veda per affrontare in modo più or-ganico la questione della trasposizione linguistica del lavoro onirico, tutto il cap. IV del testo di Metz dal titolo: Metafora/metonimia o il referente immaginario.

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degli eventi che determina, ma la sua importanza risiede nelle potenzialità del linguaggio cinematografico, della costruzio-ne dello sguardo e del suo doppio, nel sostrato significante dell’enunciato verbale, nelle determinazioni autoriflessive e referenziali che attiva. Anche nel micro-segmento precedente si è visto come l’enunciato verbale di Kingsley si configurasse come vettore significante di modificazione dello stato emo-zionale del soggetto femminile, cioè Nikki. Allo stesso modo, in questo micro-segmento lo stato interiore di Nikki subisce dei cambiamenti umorali che risultano allo spettatore poco chiari e avvolgono il personaggio nuovamente in un denso alone di mistero e di inquietudine, riaffermando così il carat-tere oscuro del film e dei soggetti iscritti nell’immagine. La domanda che le immagini provocano spontaneamente è: cosa pensa Nikki? Che pensiero attiva? Che carattere significante e intensivo ha questo pensiero così da modificare la natura psi-chica di partenza? Naturalmente la messa in scena di Lynch ancora non vuole fornire nessuna risposta, come allo stesso modo nel micro-segmento precedente era stata disattesa la domanda sull’oggetto di sguardo di Nikki e le sue potenziali implicazioni che intercorrevano in relazione agli stessi enun-ciati verbali.

Questo micro-segmento nei suoi aspetti rilevanti e nelle sue possibili ed effettive articolazioni è composto da ven-tiquattro inquadrature. Anche in questo caso, come quelli precedentemente articolati, la prima inquadratura è estranea all’universo diegetico dell’azione in cui si svolge l’ambiente, e ha la funzione di spiazzare le coordinate di riconoscimen-to e di attesa dello spettatore cinematografico che si instaura tra l’immagine e la percezione spettatoriale. Nell’immagine è inscritta una lampada, in particolare un proiettore di luce con lenti Fresnel163, capace di concentrare il flusso lumino-so in un’unica direzione attraverso un sistema complesso di lenti a cerchi concentrici. È un tipo di proiettore che viene usato come “luce chiave”, cioè come una luce fondamentale

163 Su questo particolare aspetto e sulle funzioni delle luci nel cinema si veda: VIN-CENZO BUCCHERI, Il film, cit., pp. 111-15 e pp. 198-207.

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capace di formare ombre e contorni nell’immagine. Il questo caso svolge la funzione di riferimento al carattere autorifles-sivo e metacinematografico del film, ma anche quella di rife-rimento al carattere riconfigurante della luce e delle ombre che si incontrano e si intersecano tra loro nell’orizzonte del visibile e nella dimensione significante di Inland Empire. Non ci troviamo di fronte allo scontro tra la luce e l’ombra come metafora della lotta tra il bene e il male che caratterizza il cinema di Murnau164, ma siamo alla funzione configurante e riconfigurante di quegli elementi iscritti nella dimensione spaziale dell’immagine, inseriti in un contesto mediatico e fortemente autoreferenziale, in un terreno di riflessione e di costante ricerca formale che iscrive gli oggetti nell’orizzonte eidetico dell’immagine. Infatti, proprio il carattere eidetico che emerge da questa inquadratura configura l’oggetto come elemento misterioso e falsificante, come oggetto interno ed esterno all’orizzonte diegetico, all’orizzonte degli eventi. Ma, allo stesso modo, la luce oggettiva in maniera del tutto inedita lo scontro vettoriale tra orizzonte del reale e orizzonte finzio-nale. La costruzione dell’immagine, al cui interno è mostrata la lampada, si presenta come immagine autonoma rispetto all’immagine successiva, ma allo stesso tempo, grazie al sono-ro, è inserita necessariamente all’interno del diegetico. Questo carattere, questo livello significate, ripropone il carattere for-temente ambiguo del visibile. Ogni sequenza del film si apre con una diversa inquadratura ambiguante, di spaesamento dell’orizzonte percettivo dello spettatore del film165. Come si è

164 Oltre al già citato saggio di Rohmer sul Faust, si veda: MICHAEL HENRY, Il cinema espressionista tedesco. Un linguaggio metaforico, Milano, Marzora-ti, 1974; PAOLO BERTETTO, SERGIO TOFFETTI (a cura di), Incontro ai fantasmi. Il cinema espressionista, Roma, Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, 2008.

165 Su queste particolari inquadrature e sul loro carattere ambiguante nel cinema di Lynch, si veda: OFELIA CATANEA, Velluto blu, In PAOLO BERTETTO, David Lynch, cit., pp. 50-69. Come nel saggio di Bellavita contenuto nel volume di Bertetto, anche in questo caso, la posizioni metodologiche, del tutto legittime, sono alquanto discutibili e non condivisibili secondo il punto di vista di scrive. In particolare l’errore che fa il saggio di Catanea, è da ascriversi a una prospettiva analitica e interpretativa troppo rigida. In particolar modo la prospettiva rigida-

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detto sopra, è un elemento interno ed esterno. Dalla luce che esce dalla cinepresa nella prima inquadratura del film, pas-sando per l’albero sovraimpresso, fino alla scritta Hollywood sulla montagna di Los Angeles che diventa sfondo dello sta-ge, annunciano qualcosa di simile e differente, simile perché non si discostano dall’orizzonte concettuale dell’immagine concatenata a loro, differente perché configurano l’evento indirettamente come se fosse estraneo, differenziale ma mai completamente alternativo. Il carattere di estraneità è mostra-to dalle inquadrature successive, ambientate nello stage 32 in cui Kingsley/Irons, con ambiguità verbale, parla del film, dei film, della storia che deve girare come regista con Nikki e Devon e quello in cui è inscritto come personaggio diegetico, cioè Inland Empire. La scritta Hollywood non sembra interes-sare poi tanto. È vero che Hollywood è nell’immaginario del Novecento sinonimo di cinema, ed è pertinente agli eventi configurati nella sequenza, ma proprio questa configurazione assume caratteri misteriosi, alteri, in cui due mondi convivo-no, due mondi concettuali con le proprie regole e le proprie strutture formali. In Mulholland Drive, ad esempio, questa fun-zione veniva svolta dal cartello stradale al buio, come luogo significante della totalità. Allo stesso modo l’inquadratura del proiettore Fresnel anticipa la possibilità di un orizzonte degli eventi collegato direttamente al cinema, ma in realtà configu-ra un orizzonte mediatico-televisivo dal carattere ambiguo, fittizio e patetico. Tutto esiste in funzione e grazie alla luce e, come già visto, a una luce configurante e semiosica. Già nel prologo l’orizzonte televisivo era stato direttamente collegato alla sfera emozionale e intensiva del soggetto, in quel caso si trattava di una ragazza di fronte a un televisore senza imma-gini, senza visione.

La micro-sequenza che introduce l’immagine della lampada di Fresnel configura uno studio televisivo in cui sono presenti

mente femminista e masochista che utilizza impedisce uno studio approfondito sulle dinamiche sadiche e soprattutto sadomasochistiche di tipo freudiano che emergono dal testo di Velluto blu, e l’attivazione delle dinamiche dell’Edipo. In più un altro errore è, a mio avviso, quello di non andare oltre il semplice approc-cio post-moderno e post-classicista in cui colloca totalmente il film di Lynch.

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su di un divano Nikki e Devon che si preparano ad andare in onda per quella che sarà una trasmissione televisiva su di loro e il loro film. I due soggetti sono inscritti contemporane-amente nell’inquadratura attraverso un Campo Medio. L’in-quadratura successiva mostra la conduttrice del programma, Marilyn Levens, anch’essa in preparazione per la trasmissio-ne, circondata da quattro truccatori che la stanno preparando. Questo segmento oggettiva un importante rapporto di sim-metria. È importante notare la particolarità di questo rappor-to di simmetria: Nikki e Devon, che sono presenti nella stessa inquadratura, hanno due truccatori a testa, mentre Marilyn ne ha ben quattro. Questo particolare delle due immagini, ol-tre a sviluppare un rapporto complesso di doppia simmetria, configura la funzione di Marilyn come soggetto assorbente, riconfigurante e come personaggio simulacrale. Essa infatti, fuori dal suo mondo, cioè dal mondo delle immagini televisi-ve, dello spettacolo, non esiste, nonostante che nell’inquadra-tura successiva è iscritta nella stessa immagine di Nikki e De-von. La stessa questione, che è alquanto rilevante, non si pone però per gli altri due soggetti. L’articolazione delle sequenze successive dimostrerà come entrambe sono dentro e fuori a quell’universo simbolico e significante che è lo spettacolo, e in particolar modo lo spettacolo televisivo inteso come tutto ciò che sta attorno alla macchina del cinema. Sono soggetti mobili, vettori di spostamento da un orizzonte formale all’al-tro, flâner inconsapevoli di realtà immaginarie e deliranti, in cui vi è inscritto un trauma rimosso, un fantasma originario. I personaggi di Inland Empire sono tutti, a differenza di Nikki, ambigui, sospesi tra il reale e l’immaginario, configurati nel simbolico, iscritti nel desiderio e nello sguardo di chi li vede. Hanno un carattere nettamente ambiguo, come la natura si-gnificante delle loro azioni. Sono personaggi misteriosi in cui la loro conoscenza degli avvenimenti è nettamente maggiore di Nikki. Essi sono (o vengono) a conoscenze di tutte storie e dei possibili sviluppi dell’accadere narrativo, degli eventi e della varie conseguenze; ma allo stesso tempo non si conosce, e forse non lo conoscono neanche loro, il motivo, la ragione per cui sono a conoscenza di questi avvenimenti, inconsape-

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voli della loro capacità di conoscere e riconfigurare il tempo e la narrazione. Sono soggetti immaginifici, sono proiezioni dell’inconscio, del desiderio perverso e delle pulsioni sadi-che e masochistiche oggettivate nel testo filmico. Nemmeno Nikki, pur svolgendo un ruolo differente e radicalmente più intenso, è immune e impassibile a queste caratterizzazioni dei personaggi. Il livello significante è differente, e Nikki si connota di ulteriori funzioni e particolarità sia come perso-naggio della diegesi, sia come attante funzionale alla narra-zione. Queste caratteristiche specifiche si vedranno meglio in rapporto a ulteriori questioni teoriche e metodologiche che emergeranno dal testo.

Ritornando al segmento in questione, si può affermare che l’articolazione di un doppio sguardo e di una doppia determi-nazione del soggetto scopico si oggettivi come testo latente di grande pregnanza strutturale. La definizione di soggetto scopico interviene lungo tutto il film, a indicare un rapporto di grande complessità formale che si instaura tra i protagoni-sti (e in particolar modo Nikki) e i soggetti che interagiscono con loro. Il problema che qui viene posto è fondamentale e di importanza capitale per lo studio e l’emersione del senso e del sottotesto del film, ma soprattutto per i nodi teorici incentrati sulle dinamiche dello sguardo in Inland Empire e nel cinema in generale. Nikki, e in maniera leggermente inferiore Devon, si presentano fin dall’inizio, nel momento in cui emergono dalle immagini del film, come attori, divi, personaggi dello spetta-colo, del jet set, e questa caratterizzazione avviene attraverso enunciati di natura verbale e visiva, e attraverso le articola-zioni del testo. Nikki e Devon, essendo divi, essendo soggetti di sguardi di mondi differenti, invitano gli altri a guardare e a essere guardati. La loro presenza determina lo sguardo, la tendenza al vedere degli altri soggetti diegetici e naturalmen-te extra-diegetici. È uno sguardo che si configura e determina in relazione a un soggetto spettacolare, che esibisce il proprio essere, la propria presenza speculare, ri-figurandosi come im-magine significante, cioè come immagine filmica, come figu-

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ra di un immagine166. In poche parole, senza un oggetto/sog-getto da vedere non vi può essere sguardo167. Laura Mulvey su questo aspetto teorico afferma che: “È importante il fatto che sia un’immagine a costituire la matrice dell’immaginario, del riconoscimento/misconoscimento e dell’identificazione, e quindi della prima articolazione dell’io e della soggettività168”. Il carattere di esibizione, che è oggettivato da questo partico-lare segmento del film, si scontra però con la posizione ini-ziale della Mulvey, soprattutto per ciò che riguarda il concetto di donna come spettacolo ed esibizione contenuto nel famoso studio del ‘75, in relazione alla fascinazione della figura uma-na. La Mulvey allora era intenta a negare qualsiasi possibilità per lo sguardo femminile di realizzarsi negando al contempo il desiderio e qualsiasi ipotesi dell’esistenza di una spettatrice in ambito cinematografico. Essa relegava la principale atti-vità scopico-voyeristica al soggetto maschile, ma col passare del tempo altre studiose, tra cui la stessa Mulvey, nell’ambito della feminist film theory, ammetteranno l’esistenza, dopo un decennio di indagini e ricerche, di un ruolo spettatoriale e voyeuristico della donna e la connotazione di soggetto de-siderante, in relazione a una prospettiva di indifferenziazio-ne sessuale del piacere masochistico169. Uno degli aspetti più

166 Il problema non è di facile soluzione. Si rimanda per le questioni relative all’im-magine al già citato: LYOTARD, Discorso, figura, cit.

167 È un argomento alquanto controverso perché al cinema non esiste un solo tipo di sguardo, tantomeno uno sguardo unicamente percettivo, cioè che registri semplicemente ciò che si vede, oggetti, soggetti, eventi. Allo stesso modo lo sguardo al cinema, funziona in termini extradiegetici, in quanto si configura come sguardo e orizzonte visivo iscritto nel funzionamento della macchina ci-nema. La mdp oltre a registrare il profilmico, proietta sullo schermo il risultato della semiosi, cioè il materiale trasformato. Lo sguardo dello spettatore oltre a registrare il visibile, oggettiva una doppia proiezione, sullo schermo e nel pro-prio inconscio.

168 LAURA MULVEY, Piacere visivo e cinema narrativo, cit., pp. 30-31.

169 L’argomento è abbastanza vasto in tutte le sue differenziazioni teoriche. Si veda comunque oltre ai testi già precedentemente citati, anche: JUDITH BUTLER, Gender trouble, Feminism and subversion of identity, New York, Routledge, 1990, trad. it. Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Firenze, Sansoni, 2004; TERESA DE LAURENTIS, Sui generis. Scritti di teoria femminista, Mi-

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importanti di questo segmento è che l’oggetto dell’esibizio-ne non è solamente femminile, secondo le teorie della Mul-vey, ma è anche maschile. Il soggetto maschile, cioè Devon, diventa in questo segmento soggetto di piacere, soggetto di sguardo che perde però il proprio potere di identificazione. Devon diventa oggetto erotico di fascinazione per la condut-trice della trasmissione Marilyn Levens, divenendo allo stesso tempo fonte e origine di contemplazione femminile. Questo non basta, proprio perché Devon è oggetto dello spettacolo e dell’esibizione, diventa per Marilyn un oggetto ambiguo di identificazione, un vettore identificatorio rimosso, ma è per lo spettatore cinematografico luogo di identificazione, in una particolare configurazione della duplicità del soggetto come spettacolo e feticcio di piacere per Marilyn e identificazione di natura pre-edipica e masochista, sospendendo in maniera ambigua una pulsione omosessuale.

In questo passaggio del film il soggetto spettacolare, che esibisce il proprio essere, la propria presenza speculare in im-magine significante, è la conduttrice del talk show Marilyn Levens, che diventa un doppio soggetto a capacità scopica di grande rilevanza significante. Le inquadrature che seguono alternano immagini di Marilyn che guarda a destra o a sini-stra e immagini di Nikki o Devon, e inquadrature con Ma-rilyn che guarda verso il centro. Marilyn si costituisce come soggetto dello sguardo e come oggetto multiplo dello sguar-do. Abbiamo già visto il carattere di forte ambiguità che ha in sé. Il proprio sguardo è rivolto verso Nikki e Devon, in par-ticolare verso la donna, alla quale fa continuamente domande imbarazzanti sul film, sulla possibilità di rimanere fedele al proprio marito in quanto sta lavorando insieme a Devon nel film. L’attività scopica e voyeristica di Marilyn è supportata da un’eccitazione del volto che configura una particolare morbo-sità psichica della donna posta di fronte a un soggetto di fa-scinazione spettacolare come Nikki. In più, le domande pro-vocatorie, ammiccanti, ambigue che fa a Nikki ripropongono,

lano, Feltrinelli, 1996; LAURA MULVEY, Cinema e piacere visivo, Roma, Edi-tori riuniti, in corso di pubblicazione.

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in maniera differente ma sostanzialmente uguale, le stesse domande della vicina di casa, gli stessi enunciati evocativi e misteriosi non disvelati della micro-sequenza di Kingsley, gli stessi problemi di fondo inscritti nell’orizzonte narrativo e si-gnificante del film, le stesse strutture enigmatiche che forma-no e configurano l’enigma. Proprio il carattere di soggetto scopico si configura nella trasformazione di Marilyn in sog-getto-sguardo. Lo sguardo allucinato nel momento in cui si proietta sull’oggetto modifica pesantemente lo stato psichico ed emozionale dell’oggetto destinatario dello sguardo, che in questo caso è al tempo stesso oggetto e soggetto del desiderio femminile. Questa particolarità della messa in scena e della costruzione del meccanismo di significazione investe in par-ticolar modo uno stato pulsionale e desiderante di Marilyn. C’è nel comportamento e nel potere psichico assoggettante di Marilyn la configurazione di un desiderio di sostituzione all’altro, cioè a Nikki attraverso un’oggettivazione nella (dop-pia) protagonista del film, cioè in colei che è diventato il suo oggetto di sguardo. Attraverso un meccanismo di significa-zione molto complesso, Lynch lavora alla configurazione di uno specchio dissimulato che trasferisce continuamente il senso ai due poli antropici inscritti nell’immagine. Secondo una struttura di tipo onirica, classicamente freudiana, Ma-rilyn proietta il proprio desiderio in Nikki, attraverso un pro-cedimento di condensazione, e quindi attraverso la sovrappo-sizione e sostituzione di immagini complesse e universali che hanno le caratteristiche connotative di più soggetti sovrappo-sti e messi assieme. Freud parla ne L’interpretazione dei sogni di “figura collettiva”, figura che si può creare nella condensazio-ne “unendo effettivamente i tratti di due o più persone in un’unica immagine onirica170”. Questi aspetti di cui parla Freud sono riscontrabili in alcuni elementi in comune tra Ni-kki e Marilyn, come se questa ultima indicasse una madre simbolica per una figlia simbolica, che è Nikki. Questo carat-tere familiare non è configurato in questo segmento del testo, ma oltre, in un altro luogo che supera l’impalcatura formale di

170 SIGMUND FREUD, L’interpretazione dei sogni, cit., p. 220.

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Inland Empire. Si è detto fin dall’inizio, nelle premesse meto-dologiche del piano di lavoro di questo saggio, che Inland Em-pire verrà studiato, scomposto e analizzato in rapporto agli altri film di Lynch. Questo approccio è funzionale oltre all’emersione dei sensi latenti del film, allo scambio e al con-fronto con un universo visivo di grande suggestione che è il cinema di Lynch, ed è importante per l’emersione di partico-larità e importanti relazioni del senso, di molteplici configu-razioni significanti che il solo testo non esprime, cercando così di andare verso un’interpretazione completa ed efficace del film. In questa prospettiva, il processo di simbolizzazione che si è visto sopra tra Nikki e Marilyn come figlia e madre potenziale, è accennato e timidamente evocato per Inland Em-pire, ma realizzato in Wild at hearth (Cuore selvaggio, 1990), film di Lynch in cui le due attrici di Inland Empire interpretano madre e figlia. È vero che Lara Dern e Diane Ladd interpre-tano in Cuore selvaggio due personaggi che non hanno nulla a che vedere con i personaggi interpretati in Inland Empire, che non hanno nessun legame di senso, ma il rapporto, la relazio-ne di scambio si attua nel momento in cui si considera Inland Empire come il massimo e più radicale (almeno per adesso) punto di approdo del cinema di David Lynch, come configu-razione del materiale filmico e ossessivo del regista, come fu-sione dei molteplici e possibili orizzonti del visibile e dell’im-maginario filmico lynchano. Quindi in questo segmento, e non solo, Inland Empire configura la sua natura di testo rela-zionale e intertestuale in un ambiente comunicativo domina-to dal contesto e dalla relazione. Questo approccio analitico, che qui viene formulato e proposto al lettore per l’interpreta-zione del film, si riallaccia alle teorie che inaugura la seconda semiotica171 nel decennio 1967-1977172, dominate dal desiderio

171 Sul fondamentale passaggio dalla prima alla seconda semiotica si veda: FRAN-CESCO CASETTI, Teorie del cinema, cit.

172 È interessante notare come questa svolta avvenga nel momento in cui Lynch inizia la sua conoscenza del mezzo cinematografico girando i suoi primi corti, approdando proprio nel 1977 con il lungometraggio Eraserhead. Per vedere un elenco dei film e dei lavori di carattere diverso realizzati da Lynch, si veda la parte dedicata alla filmografia curata da Andrea Minuz nel saggio: PAOLO

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di guardare oltre il testo, di andare oltre il testo stesso, nono-stante si rivendichi il concetto di testualità. In questa prospet-tiva analitica il testo filmico, che si apre al suo contesto stori-co, geografico e comunicativo, diventa un luogo di significa-zione e di emersione del senso non più sufficiente, inadeguato e inadatto nell’attività interpretativa. “L’idea di testualità, le-gata ai caratteri di unicità, coerenza e compattezza, è venuta meno e ha preso il sopravvento un’attenzione particolare al legame che il testo instaura con il proprio contesto di appari-zione e di appartenenza, facendo così leva su una sostanziale perdita di autonomia e mettendo in campo invece la natura relazionale del testo173”. Questa riflessione teorica, di partico-lare importanza negli studi del cinema, ha però i suoi svan-taggi. Se è vero che l’interpretazione del film deve andare ol-tre i confini del testo e tentare tutte le strade coerenti e possi-bili per la determinazione del senso, è anche vero che l’ap-proccio semio-pragmatico e oltressenzialista qui discusso tende per sua natura a considerare unicamente il contesto co-municativo come luogo di emersione del senso, e relegare il testo in secondo piano. È noto, ad esempio, che Roger Odin, uno degli esponenti più autorevoli di quella svolta semiotica, ritenesse che il senso di un film si trovava fuori dal testo, fa-cendo in questo modo arretrare gli studi sul cinema che negli anni Sessanta, con l’avvento di nuove prospettive analitiche di tipo scientifico (soprattutto lo strutturalismo), hanno inco-minciato a considerare il film come testo. L’analisi del film che si rifà a un modello interpretativo di tipo ermeneutico e decostruzionista, prospettiva metodologica dominante in questo studio su Inland Empire, considera il testo come luogo privilegiato di analisi e di configurazione del senso di un film, ma considera al tempo stesso il testo filmico come un luogo indefinito di relazione, dai confini labili e indefiniti, in cui il senso passa da un luogo all’altro, perde i propri punti di rife-rimento, divenendo, secondo la definizione di Eco, un testo

BERTETTO, David Lynch, cit.

173 FEDERICA VILLA, Oltre la semiotica, cit., p. 29.

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aperto. Il motivo per cui in questo saggio di volta in volta ci si sofferma continuamente sui nodi teorici è ascrivibile a di-versi ordini di ragione. Prima di tutto il testo significante di Inland Empire è un testo problematico che suscita domande e interrogativi che per forza di cose non posso prescindere da un rapporto stretto con la teoria. Secondo, in alcune sequen-ze è il testo stesso a richiedere una discussione sugli aspetti teorici che il film solleva. Terza ragione, è che l’analisi del film, una corretta analisi del film, non può non fare i conti con riflessioni teoriche differenti che nella storia del cinema si sono affrontate e scontrate nei dibattiti che a più riprese si sono tenuti nel corso del Novecento. Quarta ragione, è che l’analisi del film, il processo di interpretazione del testo filmi-co, si inscrive a un sapere scientifico, culturale, filosofico e metodologico che è patrimonio dell’umanità e che è inscritto in una prospettiva conoscitiva e intellegibile, che secondo Gadamer174, è fondamentale per la comprensione dei testi e per l’emersione del senso e dei sensi. Questi quattro presup-posti sono, a giudizio di chi scrive, delle regole importanti e fondamentali per l’analisi del film.

Ritorniamo al film e riprendiamo al concetto di condensa-zione onirica da cui si è partiti per questa riflessione teorica. La condensazione, intesa come un aspetto del lavoro onirico, investe la stessa architettura narrativa e la stessa logica del sen-so che Inland Empire attiva. La condensazione diventa luogo di significazione di tutta la vicenda psichica e diegetica del film, investendo anche la natura di Nikki come soggetto e perso-naggio anch’esso diegetico, inscritto nell’enigma e portatore esso stesso dell’enigma. Inland Empire configura Nikki come soggetto iscritto nell’immagine filmica e come personaggio iscritto nella diegesis narrativa che assume diverse identità, capaci di destrutturare e sovrapporre l’intero soggetto fem-minile. Nikki Grace/Susan Blue, sono solo due delle possibili configurazioni che assume il soggetto femminile che ha gli stessi elementi somatici e fisiognomici di Nikki, o Susan o in

174 Su Gadamer e il suo pensiero si veda: HANS GEORG GADAMER, Verità e metodo, cit.; FRANCO BIANCO, Introduzione a Gadamer, Bari-Roma, 2004.

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senso extra-diegetico Laura Dern; ma all’interno della narra-zione di Inland Empire queste caratteristiche non bastano più a indicare un soggetto che non solo cambia e sovrappone iden-tità o nome, ma cambia continuamente inscrizione temporale dello stesso personaggio, modifica orizzonti di significazione, luoghi del senso, costruzioni desideranti, mondi possibili in cui è ancorato il rimosso che ritorna in una cornice pertur-bante, un soggetto inscritto in più universi configuranti che modifica gli sguardi e gli oggetti dello sguardo fino a cambia-re il suo stesso status di voyeur, fino a modificare le proprie configurazioni allucinatorie pur mantenendo gli stessi fanta-smi psichici.

Abbiamo visto come il segmento sia dominato da una logica di condensazione del sogno che tende a sovrapporre caratteri-stiche di soggetti differenti per creare figure collettive legate all’immaginario. Il lavoro di condensazione è un processo che investe il lavoro del sogno, ma non è l’unico, e nell’orizzon-te teorico del cinema il processo di condensazione si lega a un altro processo onirico importante che è il lavoro di spo-stamento. Già Metz, riprendendo Freud, nell’elaborazione di una sua teoria psicoanalitica sul cinema175, vede entrambi i lavori del sogno strettamente correlati e di importanza fon-damentale per il cinema, iscrivendoli in un orizzonte, questa volta lacaniano, di tipo tecnico-linguistico, legato alle arti-colazioni del linguaggio cinematografico, aspetto questo che ha sempre svolto un ruolo centrale nelle elaborazioni metzia-ne. Il lavoro onirico di spostamento e condensazione fin qui esplicato è oggettivato in questo segmento del film, e assume l’aspetto di un continuo e ossessivo scambio simbolico in un processo di configurazione e riconfigurazione dove è impos-sibile delineare dei confini e dei limiti certi. Lo spazio fisico e immaginario del film, come la struttura più nettamente fisica del testo, ha perso i suoi confini, non ha più limiti di signifi-cazione ed è aperto a qualsiasi scambio, a qualsiasi intervento da un fuori, da un’alterità che il proprio specifico all’interno, in un movimento che pone in risalto il carattere centrifugo

175 CHRISTIAN METZ, Cinema e psiconalisi, cit.

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dell’immagine filmica e soprattutto dell’immagine schermica che infrange i propri confini, i propri limiti del quadro.

Ritorniamo un attimo al problema dello sguardo e dei sog-getti/oggetti di sguardo che vengono configurati in Inland Empire.

Oltre alla funzione e alla caratterizzazione di soggetto dello sguardo all’interno dello spazio dello studio televisivo, Marilyn si configura come doppio oggetto di sguardo e soggetto di uno sguardo assente e negato, irrimediabilmente rimosso nelle con-figurazioni del testo filmico. Marilyn è l’oggetto dello sguardo percettivo di Nikki e Devon, e allo stesso tempo è l’oggetto di uno sguardo particolare di un pubblico particolare. Il pubblico configura il segmento in relazione a Marilyn come proprio og-getto di sguardo, come proprio oggetto del piacere assume gli stessi connotati, le stesse caratteristiche e funzioni dello spetta-tore cinematografico per diversi ordini di ragione:

– lo spettatore è definito come vedente e non come veduto;– lo spettatore si identifica attraverso lo sguardo del sogget-

to inscritto nell’immagine attraverso la soggettiva;– lo spettatore si identifica attraverso la macchina da presa.In tutti e tre i casi le identificazioni configuranti dello spet-

tatore cinematografico fanno in modo che il soggetto scopico extradiegetico (lo spettatore) eserciti la propria pulsione vo-yeuristica senza il proprio controllo, investendo lo sguardo su degli oggetti iscritti nell’immagine e scelti senza la propria volontà, senza la propria consapevolezza. Si assiste quindi a un ulteriore investimento, a una successiva identificazione (meno radicale) con l’autore, con il metteur in scene, con le scelte espressive del regista e quindi di Lynch. Lo spettato-re non sceglie autonomamente l’oggetto del proprio sguardo, ma lo fa attraverso un’imposizione perversa e masochistica. Questo carattere di identificazione oggettiva in particolar modo la posizione della Studlar secondo cui: “lo spettatore deve comprendere le immagini, ma le immagini non possono essere controllate. A questo livello di piacere lo spettatore ri-ceve, ma non vengono avanzate rivendicazioni rispetto all’og-

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getto176”. Proprio questa assenza di controllo, questa assenza di possedere l’oggetto del desiderio, cioè l’oggetto che investe la percezione dello sguardo da parte dello spettatore, genera il piacere masochistico, e lo sguardo diventa una delle cinque implicazioni teoriche177 di maggiore importanza nella defini-zione dell’estetica masochistica.

Sulla questione dello sguardo, Freud sviluppa questo aspetto particolare in relazione alla formulazione di nuovi scopi sessua-li provvisori. Nel suo saggio sulle aberrazioni sessuali, connette la sua analisi con alcune particolarità dello sguardo andando in direzione del visibile. Egli ritiene infatti che: “le impressioni visive rimangono il sentiero più frequente lungo il quale viene eccitata la libido178”. In relazione a uno stato allucinatorio e de-lirante, aspetto questo che interessa per le implicazioni con In-land Empire e l’oggettivazione della teoria psicoanalitica, Freud rivela il possibile carattere negativo e patologico dello sguardo, affermando: “il piacere di guardare (scopofilia) diventa una per-versione [...] se, invece di costituire una funzione preparatoria del normale scopo sessuale, lo sostituisce179”. Nikki è sempre pervasa, nei segmenti fin qui analizzati, da uno stato psichico e pulsionale fortemente allucinatorio, e allo tempo si configu-ra come vettore di dolore e d’angoscia, oggettivando in modo ambiguo il carattere traumatico della nevrosi.

176 GAYLYN STUDLAR, Il masochismo e i piaceri perversi del cinema, cit., p. 204.

177 In senso generale abbiamo visto come già Deleuze avesse definito dei caratteri di riconoscimento e di teorizzazione dell’ottica masochistica in senso psicoana-litico e letterario, e proponendo una propria definizione estetica. Per la Studlar, la questione dello sguardo diventa una questione di fondamentale importanza nella definizione in senso metodologico e teorico di un’estetica masochistica in relazione con il cinema. Ma questa particolare ambito di riflessione lo fa in rapporto costante ad altri aspetti anch’essi di particolare rilevanza. Questi aspetti fondamentali sono: 1) La donna definita come mancanza; 2) Lo sguardo ma-schile definito dal controllo (ribaltando le posizioni di Metz e della Mulvey); 3) La causa e la funzione del disconoscimento e del feticismo; 4) Lo schermo del sogno; 5) L’identificazione, in particolare l’identificazione con il sesso opposto.

178 SIGMUND FREUD, Tre saggi sulla sessualità, cit., p. 32.

179 Ibidem, p. 32

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Marilyn è quindi in uno scambio ambiguo e metaforico con lo spettatore e con molteplici spettatori potenziali, il soggetto vedente che percepisce i due soggetti-attanti ma non riesce né a guardare né a vedere il pubblico, che nella finzione cinema-tografica e nell’universo diegetico coincidono con il pubblico televisivo e quello cinematografico in senso meta-linguistico. In entrambi i casi lo spettatore è configurato come soggetto vedente di un universo, in cui il visibile è diventato mediati-co ed è costantemente mediatizzato. In questa dinamica così complessa di sguardi e di configurazione dei soggetti è da notare come il processo identificatorio diegetico di Marilyn produce dei traumi nei confronti di Nikki, come già in pre-cedenza aveva fatto la vicina di casa oggettivando il trauma come agente interno in contatto con uno stimolo esterno, e cioè come stato interno al soggetto psichico. E come osser-va sempre Freud, il trauma: “sfocia in uno sviluppo d’ango-scia180”, angoscia che Nikki esprime nel suo volto, nel gioco delle espressioni.

Inland Empire è un’esperienza estetica dal forte carattere trau-matico, che inscrive il trauma non solo nelle azioni del sogget-to-agente, negli eventi configurati dal testo e dalla narrazione, ma soprattutto nei caratteri di delineazione, di riconoscimento, nell’essenza stessa del personaggio, e inscrive il trauma diretta-mente nell’orizzonte del visibile e nelle articolazioni significanti del testo. D’altronde Thomas Elsaesser, teorico di primo pia-no del post-moderno ritiene che ogni manifestazione estetica della modernità sia attraversata dal trauma, e che sia di matrice traumatica ogni manifestazione culturale del soggetto contem-poraneo collocato nella modernità181, configurando in questo senso il trauma come orizzonte di significazione privilegiato, come orizzonte della creazione estetica.

180 SIGMUND FREUD, Volesungen zur Einführung in die Psichoanalyse (1915-1917) Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psichoanalyse (1932), Frankfurt am Main, S. Fischer Verlag GmbH, trad. it. Introduzione alla psicoa-nalisi, Torino, Bollati e Boringhieri, 1978 , P. 440

181 THOMAS ELSAESSER, Postmodernism as mourning work, in “Screen”, Vol. 42, n. 2, 2001.

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L’identificazione che si è vista precedentemente, quella che sovrappone l’oggetto in figure di complessità latente, pone la sostituzione e la completa distruzione di esso in un meccani-smo di forte complessità formale e concettuale, oggettiva in modo così evidente la pozione di Freud sulla scomposizio-ne della personalità. È giusto citare l’intero passaggio, in cui dice che l’identificazione è: “L’assimilazione di un io a un io estraneo, in conseguenza della quale il primo io si comporta sotto determinati riguardi come l’altro, lo imita, lo accoglie in certo qual modo in sé. [...] L’identificazione è stata paragonata all’incorporazione orale, cannibalesca, della persona estranea. [...] Se il fanciullo si identifica con il padre, egli vuole essere come il padre; se lo fa oggetto della sua scelta, lo vuole avere, possedere; nel primo caso il suo io viene modificato secondo il modello del padre, nel secondo caso ciò non è necessario. [...] Ci si può tuttavia identificare anche con una persona che, ad esempio, è stata assunta come oggetto sessuale, e modifi-care secondo essa il proprio io182”.

Nikki è scossa dallo sguardo di Marilyn e da ciò che lei dice. Avviene in questo caso una distruzione della propria identi-tà e del proprio essere, che nelle sequenze successive, e nel-le articolazioni narrative che il testo esprimerà, si configura come metafora radicale della perdita di punti di riferimento, della traumatizzazione dell’intero orizzonte visivo e psichico del soggetto protagonista, della perdita dell’identità stessa (e delle possibili identità) e quindi della sostituzione di Nikki con qualcun altro o qualcos’altro difficilmente riconoscibile e identificabile. D’altronde la perdita di identità, con tutte le proprie implicazioni filosofiche e psicoanalitiche, attraversa tutto il testo di Inland Empire come tutto il cinema di Lynch. È un problema con cui si scontrano le avanguardie del Nove-cento e che dovranno fare i conti tutti gli artisti e intellettuali del mondo. Non vi è in fondo nessuna opera letteraria, pit-torica, cinematografica che non abbia affrontato più o meno direttamente il problema del soggetto e la perdita di identità di questo, elevandolo a metafora della modernità e della crisi

182 SIGMUND FREUD, Introduzione alla psicoanalisi, cit., p. 470.

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della società massificata. Nelle ultime inquadrature della micro-sequenza, Marilyn è

posta di fronte alla mdp con lo sguardo in macchina e invia baci e saluti per la fine del talk show, in uno stato pulsionale dalla forte ambiguità sessuale e significante, in cui pone ulte-riori problemi nella definizione della dimensione emozionale del soggetto iscritto nell’immagine filmica. Come si era visto in Mulholland Drive nella sequenza del Club Silencio, e come si è visto precedentemente per Inland Empire, la questione fon-damentale è che al cinema tutto è finto e solo le emozioni del pubblico sono vere, qui però il pubblico è negato allo sguar-do, è semplicemente evocato e lo spettatore cinematografico configura questa assenza attraverso una presenza evocativa e mai effettiva nemmeno all’interno della finzione diegetica. Quindi, se in questo segmento l’universo spaziale e signifi-cante di riferimento è quello televisivo, allora il problema si pone in questi termini: se al cinema tutto è finzionale tranne le emozioni dello spettatore, in televisione è tutto finzionale, illusivo, artefatto, comprese le emozioni dello spettatore.

Il simmetrico e la decostruzione della logica

La complessità testuale e significante di Inland Empire risie-de nella complessità stessa del meccanismo di significazione e di occultamento del senso. È una complessità questa del film così forte e radicale che produce all’interno delle artico-lazioni testuali, dei continui cambi, movimenti e scivolamenti del senso. Per questo motivo il lavoro dell’interprete e delle metodologie che esso utilizza nel processo di interpretazione del film diventa un lavoro difficile e accurato, in cui proprio lo strumento metodologico assume rilevanza particolare e fondamentale nell’interpretazione e ricerca del senso. Questo sistema di scambio che intercorre nel testo, comune d’altron-de ad altri testi filmici, grazie all’applicazione di determinate metodologie di analisi, può essere analizzato e l’applicazio-

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ne di saperi, conoscenze e metodologie diverse permette di cogliere delle reti simboliche latenti al cui interno è iscrit-to il senso, e inscritta una possibilità e una variante di sen-si nascosti, occultati in un orizzonte significante dominato dal visibile e dall’invisibile. Queste reti si possono definire reti rizomatiche183, in un’accezione leggermente differente da quella adoperata da Deleuze e Guatteri, ma pur sempre come luoghi di dinamismo del senso, come spazi del nomadismo in cui le unità si perdono per lasciare spazio a direzioni di mo-vimento e quindi a direzioni del senso. Questo continuo spo-stamento, come abbiamo visto nelle sequenze e nei segmenti precedenti, pone problemi sull’individuazione di quello che Metz chiama significante immaginario, e cioè nell’individua-zione di un significante complessivo dell’intero testo filmico. Questo orizzonte dell’immaginario si basa sull’affermazione di Morin184, e cioè alla fusione di immagine e immaginazione, e l’orizzonte significante si realizza nel momento in cui av-viene la scissione del simbolico dall’immaginario, nell’ottica lacaniana di individuazione/definizione dei soggetti psichici di fronte al problema dell’Edipo e del soggetto stesso e del linguaggio185.

183 Sugli aspetti sollevati dai due studiosi francesi, si veda: GILLES DELEUZE, FELIX GUATTERI, Rhizome, Paris, Minuit, 1976; ID, Mille plateaux. Capi-talisme e schizophrénie, Paris, Minuit, 1980, trad. it. Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, Roma, Istituto della Enciclopedia Treccani, 1987.

184 Edgar Morin definiva l’immaginario come l’unione tra immagine e immagina-zione, in rapporto naturalmente al cinema. Prima di Morin, già altri studiosi, in particolare Bachelard e in maniera diversa Lacan, hanno indagato le caratteri-stiche dell’immaginario da punti di vista diversi dal rapporto con il cinema. Si veda: EDGAR MORIN, Le cinema ou l’homme imaginaire, Paris, Minuit, 1958, trad. it. Il cinema e l’uomo immaginario, Milano, Feltrinelli, 1982; JACQUES LACAN, Scritti, cit.; JEAN-PAUL SARTRE, L’immaginaire, Parsi, Gallimard, 1940, trad. it. Immagine e coscienza, Torino, Einaudi, 1948; GASTON BA-CHELARD, La psychanyse du feu, Paris, Gallimard, 1980; ID, La poétique de la réverie, Paris, PUF, 1960; GILBERT DURAND, L’immaginario. Scienza e filosofia dell’immagine, Como, Red, 1996. Per quanto riguarda il cinema si veda: PAOLO BERTETTO, L’immaginario cinematografico: forme e meccanismi, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, Vol. I, 2003.

185 Su questo aspetto di notevole importanza si veda oltre ai saggi di Lacan più strettamente connessi con la teoria psicoanalitica del cinema, anche l’importante

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Nella micro-sequenza successiva il problema della simme-tria ricompare nuovamente come nodo significante di grande rilevanza per la configurazione di universi potenziali. Ci sono delle inquadrature di Devon in un camerino che viene aiutato a vestirsi e che fa dei commenti su Nikki, insieme ai tre uomi-ni che stavano nello studio di Kingsley. Queste persone che sono nel camerino lo avvertono di non provarci, lo mettono in guardia da non tentare nessun approccio sessuale, perché se il marito di Nikki lo scoprisse succederebbero dei guai terribili. Questo piccolo passaggio non ha nessuna rilevanza dal punto di vista della messa in scena, ma semmai conferma tutto ciò che era stato anticipato dalla vicina di casa, e da Ma-rilyn, attraverso delle insinuazioni dal carattere decisamente provocatorio sul tradimento di Nikki con Devon.

Il problema in Inland Empire non è tanto se la struttura nar-rativa sia costruita attraverso rapporti di causa ed effetto, ma è vedere come i rapporti di causa ed effetto, particolarmente legati al cinema della classicità, in che modo entrano in crisi. Tutto l’evento configurato nel visibile è stato già annunciato verbalmente a Nikki dalla misteriosa vicina, e l’evento narra-to entra progressivamente in crisi nelle micro-sequenze suc-cessive, configurando in una struttura altamente complessa il linguaggio in senso lacaniano, come vettore che crea l’evento e sradica i rapporti di causa ed effetto. Questa anticipazione e conferma dell’enunciato verbale, cioè della potenzialità di configurazione dell’evento da parte del linguaggio, si riscon-tra anche nelle inquadrature successive in cui Nikki ritorna a casa accompagnata dalla sue amiche in taxi, e che esita di entrare in casa, visibilmente alterata nei gesti, oggettivandosi come portatrice di un trauma forte che sta per manifestarsi in tutta la sua violenza. La configurazione narrativa del film si realizza attraverso un’atmosfera di costante attesa, di dilata-zione del tempo e delle azioni, della paura di un qualcosa che sta per avvenire, che avverrà molto presto. È una narrazione a tappe, in cui lo stato psichico di Nikki si sta alterando e

studio di Flitterman-Lewis sullo studio della teoria: SANDY FLITTERMAN-LEWIS, Psicoanalisi del cinema, cit. pp. 163-225.

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modificando sempre di più, inquadratura dopo inquadratura, sequenza dopo sequenza, fino al momento culmine di emer-sione di tutto il materiale fantasmatico di cui lei è portatrice. Allo stesso modo, l’orizzonte narrativo del film è irrimedia-bilmente segnato da una forte ambiguità del tempo che lo configura come elemento potenziale e possibile, destruttu-randone la natura convenzionalmente ordinaria dello stesso. Ma questa ambiguità si riflette non solo nel visibile, ma anche nella dimensione spaziale del film e nella costruzione dei per-sonaggi che interagiscono con Nikki. In Mulholland Drive il vi-sibile, pur essendo configurato in maniera ambigua nel testo, assumeva un carattere più facilmente assimilabile e decifrabi-le, nell’orizzonte percettivo e interpretativo. In Inland Empire il discorso viene portato alle estreme conseguenze, e in questo caso il rapporto di sostituzione perversa di Marilyn con Nik-ki, o viceversa, secondo l’ambiguità dei rapporti intersogget-tivi, avviene in maniera differente con la vicina di casa. Nikki fa lo stesso percorso, da punti di vista e di sguardo differenti rispetto alla vicina, sostituendosi appieno a lei. Inoltre il tem-po è ambiguizzato in quanto ripropone il rapporto di causa ed effetto, nonostante l’abbia disgregato pochi secondi prima nell’insieme delle inquadrature di Devon. Infatti sembra che il tempo configuri questo rapporto precedentemente distrut-to attraverso procedimenti di rimozione testuale, separando la causa dall’effetto all’interno delle articolazioni temporali. A ogni causa non segue immediatamente un effetto, il tutto è lasciato alle leggi e alle regole che governano i mondi possibi-li, potenziali e ambigui, ma mai alternativi al reale. È proprio Bellavita a dare sulla struttura sintattica di Inland Empire, la risposta più interessante. Egli afferma: “Le sequenze o le sin-gole scene, funzionano come tessere di un domino. Ciascuna è collegata alla precedente e alla successiva da una specie di vicinanza al limite, in cui soltanto i lembi della scena comba-ciano, ma il contenuto può rappresentare un ribaltamento e uno stacco rispetto ai moduli visivi e narrativi adiacenti. C’è una relazione metonimica tra i vari livelli, che si congiungo-no per adiacenza fisica: ci sono dei corpi o degli oggetti che passano tra un mondo e l’altro, cioè tra una tessera di ripresa

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e l’altra. Gli snodi più importanti del film sono costellati da questa relazione fisico-spaziale186”.

Mondi e universi possibili che destrutturano l’orizzonte del reale e inscrivono nel visibile i propri elementi di riconosci-mento, sovrapponendo in un orizzonte di condensazione oni-rica elementi visivi, meccanismi di funzionamento, oggetti alterati, strutture deformanti, deformazioni temporali, distru-zione dello spazio e della prospettiva visiva, tutto questo è Inland Empire. È vero che gli oggetti passano e si scambiano di collocazione rispetto ai vari universi di appartenenza, ma nel testo questo continuo scambio, questo dinamismo perma-nente, arriva al punto di confondere gli elementi, gli oggetti stessi, fino a perdere l’universo di appartenenza, l’orizzonte spaziale e visivo di origine. È la perdita di ogni punto di rife-rimento, di ogni referente possibile, fino alla completa disar-ticolazione del segmento e la riconfigurazione dell’immagine (e del visibile) in una traccia disarticolata.

Nell’universo cinematografico di Lynch questi mondi sono dominati dall’inquietante, dall’alterità, da soggetti che si di-stanziano dall’umano e si configurano come creature mo-struose e deformi, dalla sofferenza, dal dolore, dall’assenza di rapporti di logicità, dal possibile, dal potenziale. Sono mondi che esistono solo come potenza, secondo la celebre frase di Heidegger, che si iscrivono non solo in una tradizione filoso-fica e teorica novecentesca molto importante, ma investono anche orizzonti culturali, estetici e mediatici che si ripetono e confondono ripetutamente. Universi che hanno un ruolo pri-vilegiato con il cinema e con l’immaginario collettivo che il cinema ha contribuito a produrre in maniera non secondaria. Sono allo stesso modo mondi misteriosi che nascondono e occultano i propri oggetti simbolici, che sviluppano una fa-scinazione perversa nell’invisibile più che nel visibile. Che fis-sano inconsciamente le proprie regole di funzionamento nella dinamica visibile/invisibile, nel vedere/non vedere. Sono luo-ghi di fantasmi e di configurazioni rimosse. Sono mondi fatti di simulacri secondo Deleuze, sono società dello spettacolo

186 ANDREA BELLAVITA, Inland Empire, cit., p. 135.

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come dimostrava Guy Debord nel suo film187, sono mondi e universi mediatizzati che hanno perso lo statuto classico di realtà oggettiva. Sono i mondi della mente e soprattutto sono luoghi della morte, del mistero e dell’enigma.

Questa dimensione di mistero che pervade tutto il film è oggettivata in questa inquadratura di Nikki che sta per entra-re a casa sua, in una configurazione ripetitiva, simmetrica ed evocativa della vicina di casa. A questo punto è corretto pro-porre un interrogativo: la donna che nella seconda sequenza si presenta a casa di Nikki, è poi davvero la sua vicina di casa? Brevemente si può rispondere di no, e la motivazione di tale risposta è da ricercare nella fitta rete di rifrazioni e di identificazioni speculari e desideranti in cui è organizzato l’intero testo filmico posto qui in analisi. Il problema di fondo però, quello che interessa in misura evidentemente maggiore l’interprete e lo spettatore, è: cosa si cela oltre quella porta? Che universo possibile è configurato oltre quella soglia? Se è mutato il regime della messa in scena e con esso il regime narrativo tramite il passaggio da una sequenza all’altra, allora anche i passaggi, le soglie, i varchi cambiano nel loro rapporto con lo spazio fisico e filmico di riferimento, rielaborando in termini di significazione e di logica spaziale, lo stesso oriz-zonte del reale, orizzonte che nell’universo di Inland Empire e di Lynch disgrega le proprie coordinate di riferimento, come già era avvenuto con il visibile. In più questa particolare op-zione narrativa evoca e suggerisce sempre un fuori campo, che si inscrive in maniera occultata, misteriosa, nell’immagi-ne filmica. È l’invisibile, l’assenza che si configura come pre-senza invisibile, impercettibile che va oltre l’immagine, oltre la conoscenza. Le domande che sono state formulate prima sono legittime perché è il film stesso che in questo particolare passaggio le rivolge direttamente al soggetto che vede e inter-preta, che nel caso di Lynch è tutt’uno. Queste domande sem-brano tirate fuori allo spettatore o all’osservatore più attento in quanto i luoghi di passaggio, le soglie che dividono spazi e dimensioni immaginarie, assumono grande rilevanza nell’im-

187 La société du spectacle (La società dello spettacolo, 1973).

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maginario filmico lynchiano. Le porte sono, parafrasando William Blake188, dei luoghi oscuri di percezione psichica in cui sono fissate e liberate le pulsioni inconsce, portatrici, gra-zie a un meccanismo di significazione complesso, dell’intero sistema psichico189, con tutte le fonti e gli stimoli possibili.

In questo passaggio è presente una struttura di forte sim-metria in cui i raggi e le linee di comunicazione spaziale con-vergono tutti a un centro ambiguo di grande capacità meta-forizzante. Quel centro è dominato dalla forza psichica del soggetto principale. Per dirla semplicemente, il centro è Ni-kki e tutto ciò che riguarda lei instaura relazioni con l’altro, con l’esterno, con gli oggetti e i soggetti esterni portatori di alterità. Il varco, la soglia, il passaggio oggettiva ciò che Lyo-tard chiama figurale, cioè qualcosa che sta al di là dell’imma-gine stessa, qualcosa che è per sua natura invisibile, che tende a rimuovere e negare il proprio statuto di funzionamento e a negarsi allo sguardo di colui che vede. Un oggetto conti-nuamente e ossessivamente segnato da rapporti di visibile e invisibile, che non mostra il suo essere, non mostra la cosa ma quello che Marleau-Ponty chiamava “visibilità della cosa190”. Nikki, che sta per entrare nella casa, è visibilmente inquieta, incerta, e mostra ancora una volta un carattere di passività, di inettitudine, di sofferenza interiore che ha caratterizzato fino-ra tutti i segmenti del film in cui essa è presente. Certamente non è possibile dire che il soggetto in questione sia in balia

188 È famosa l’affermazione di Blake sulle porte della percezione, così tanto da diventare a più riprese un punto di riferimento nella cultura (soprattutto d’avan-guardia e underground) del Novecento, cultura che Lynch riprende e ri-figura spesso nel suo cinema. Egli affermava in The marriage of heaven and hell che: “Se le porte della percezione venissero sgombrate, tutto apparirebbe all’uomo come in effetti è, infinito”. Da un punto di vista più scientifico, si veda: AL-DOUS HUXLEY, The doors of percection. Heaven and hell, London, Chatto e Windus, 1954, trad. it. Le porte della percezione, Milano, Mondadori, 2005.

189 Su questo particolare aspetto si veda: SIGMUND FREUD, L’interpretazione dei sogni, cit., cap. 7.

190 Su questa problematica di fondamentale importanza, si veda: MAURICE MER-LEAU-PONTY, L’oeil et l’esprit, Paris, Gallimard, 1964, trad. it. L’occhio e lo spirito, Milano, SE, 1989.

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degli eventi e che assume una posizione totalmente passiva, pur avendo delle caratteristiche che lo facciano pensare. Il soggetto in questione, già nelle sequenze precedenti, seppur in maniera lieve e non completa, mostra il suo carattere di soggetto attivo che si configura come attante principale, so-prattutto in base alle relazioni intersoggettuali in cui Nikki si è vista costituirne il centro originario, il nodo rizomatico.

In questo segmento, la mdp evidenzia questo stato di alte-razione e di paura del personaggio attraverso due campi che esprimono paradossalmente, pur essendo continui nella mi-cro-sequenza, due pratiche di messa in scena, riaffermando così il carattere autonomo e indipendente di ogni inquadra-tura: un campo medio di Nikki in cui, congedandosi dalle amiche nel taxi, si dirige verso la casa; e una mezza figura della donna che va verso la soglia. I due modi di messa in scena si configurano nella ripresa, che potremmo definire amatoriale, della prima inquadratura in cui è utilizzata una macchina a mano, e la ripresa è costantemente soggetta a movimenti e sbalzi che rendono alquanto faticosa l’identifi-cazione dello spettatore. La seconda inquadratura aumenta lo stato di tensione, configurando la presenza provenire da un lampione dietro Nikki che scompare, nel momento in cui lei entra nella casa. Nikki perde gli elementi di riconosci-mento del volto, perde i sui tratti fisiognomici, configuran-dosi come non-soggetto che si confonde nell’ambiente, che si configura semplicemente come potenza, come possibilità, come vettore di emersione del fantasma e del rimosso. Nikki in questa determinazione sembra come andare incontro al nero, al buio che fagocita, distrugge e smarrisce il personag-gio, mettendo in crisi la sua essenza e la sua stessa iscrizione nell’immagine. Su quest’ultimo punto, cioè l’iscrizione del soggetto nell’immagine, è giusto riflettere appieno, perché in questo caso abbiamo un elemento in più di caratterizza-zione del personaggio di Nikki, elemento che mette in crisi il discorso precedentemente formulato sulla rete dei rappor-ti che il testo e Nikki configurano.

Questa rete di rapporti pone dei dubbi sul ruolo della don-na nella narrazione del film, e si caratterizza come simulacro

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del personaggio, e allo stesso modo pone interrogativi sulla capacità del simulacro di interagire nel mondo potenziale in cui è esso stesso presente ed elemento centrale. Proprio per-ché è un simulacro all’interno di un universo di simulacri, la configurazione narrativa si pone in un’ottica differente, mettendo in discussione che il carattere delle inquadrature fin qui viste non siano il prodotto diretto di un racconto, o di una configurazione inconscia di Nikki. Visto che il testo filmico mette in forte in crisi le nozioni di tempo e spazio, il meccanismo di significazione mette in evidenza, ogget-tivandola, la posizione di Deleuze sul tempo in relazione all’immagine filmica. In conclusione, la coppia di inquadra-ture che si è tentato di analizzare si pone in ottica di ricon-figurazione ulteriore dell’enigma e del mistero di partenza, riconnettendosi al problema della comprensione del testo. L’interpretazione, come ricorda giustamente Umberto Eco, si fa all’interno del testo e non al di fuori di esso. Quello che interessa all’interprete è il testo e tutto ciò che sta all’interno di esso e che il testo può attivare in maniera palese e latente. Ermeneuticamente, cioè secondo un sapere metodologico specifico, all’interprete interessa il testo e non il discorso che si fa sul testo, qualsiasi discorso attivabile su di un testo esula da una comprensione e dalla pre-comprensione effet-tive del testo, ma si attesta semplicemente a un uso non cor-retto e arbitrario del testo, andando oltre e non ricercandone il senso191.

191 Su questo particolare e delicato aspetto si veda: UMBERTO ECO, Il limite dell’interpretazione, cit. Sul problema dell’interpretazione dei testi in relazione al discorso e alla dia logicità del testo, si veda: UMBERTO ECO, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa dei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979. Per quanto riguarda la posizione teorica espressa da Eco nel saggio, su può metterla in relazione con il testo filmico lynchiano e ai problemi dell’interpretazione in particolare il capitolo 8, intitolato: Strutture di mondi. Va ricordato che Eco non sposa una prospettiva totalmente ermeneutica, ma si riallaccia alla cooperazione testuale, che il libro teorizza.

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La simulazione e la distruzione dell’ordine fenomenico

La sequenza successiva è particolarmente importante per diversi aspetti e svolge una funzione di pre-comprensione del testo che configura alla luce delle riflessioni degli ultimi film di Lynch, un discorso pertinente e di grande efficacia sulla mac-china cinematografica, e sullo statuto di simulacro dell’imma-gine filmica. D’altronde, il problema della pre-comprensione del testo è, in ambito interpretativo, una vera e propria tappa obbligata degli studi sul testo atta a ricercare e far emergere le molteplici latenze del testo, e in questo caso di un testo anco-ra più complesso e articolato nelle sue specificità e nella strut-tura linguistica, cioè il testo filmico. La pre-comprensione è infatti per Vattimo, che rilegge Heidegger: “un certo orizzon-te preliminarmente aperto e disponibile che, più che limitare la libertà della comprensione, la rende possibile192”.

La sequenza si apre in esterni con due inquadrature dello Stage 4, configurando nuovamente l’ambiente cinematografi-co come orizzonte di riferimento degli eventi del film. Il mec-canismo di significazione che si realizza in questa apertura di sequenza, non iscrive la simmetria dell’immagine, ma riaf-ferma quel carattere sintatticamente ambiguo del linguaggio cinematografico presente nel testo. Nikki si reca allo Stage 4 e la mdp, dopo un campo lungo presente nella prima inquadra-tura, si sofferma sul dettaglio del numero 4 nell’inquadratura successiva, conferendo non solo alla micro-sequenza, ma alla singola immagine un carattere misterioso e ambiguo di forte coinvolgimento emozionale da parte dello spettatore nel mo-mento in cui viene riaffermato il mistero, l’enigma. L’intero testo significante di Inland Empire è dominato dai numeri, da numeri che perdono significato o che assumono significati occulti, particolarmente inquietanti in una dimensione di for-te simbolizzazione del visibile, e che pongono interrogativi sull’individuazione del senso e nella ricerca del significato.

192 GIANNI VATTIMO, Introduzione a Heidegger, Roma-Bari, Laterza, 1971, p. 19.

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Sono significanti che assumono più significati. Questo oriz-zonte del visibile che viene configurato dal film è dominato da simboli, immagini e figure, è retto da segni di varia natura, di diverso livello significante, come ad esempio i numeri. In questa sequenza poi, nel segmento interno, il numero domi-na l’orizzonte non solo del visibile, ma anche del diegetico, configurandosi per la sua natura come elemento eidetico in-certo, incompleto, ibrido in quanto il numero diventa ogget-to di iscrizione di orizzonti radicalmente differenti, opposti, che si intrecciano e si incontrano in una traccia rizomatica costituita dal numero. Il numero attrae diversi orizzonti di significazione e di senso che vanno dalla matematica alla chimica, dalla magia alle credenze popolari. Il numero è il luogo in cui si incontrano immaginario e simbolico, in cui si incontrano orizzonti conoscitivi e prospettive di conoscenza radicalmente opposte, in cui scienza e magia si confondono e si ibridano a vicenda in continui scambi di significato. Il numero è l’universo della logica e del testo, di interpretazione razionalistica e, per questo motivo, rigida e apparentemente assoluta. In questa sequenza di Inland Empire il numero “4” apre e introduce qualcosa di misterioso. Il numero “4” por-ta in sé dei significati diversi di cui molti si connotano in senso negativo, che abbracciano diverse culture, alcune della quali culture ibride e ambigue. Nella cultura giapponese, ad esempio, il “4” viene spesso associato alla morte, in quanto nella pronuncia a cui è associato l’ideogramma, ha un suono simile alla pronuncia che si indica per la morte, viene quindi considerato sfortunato. D’altronde il dialogo che viene svolto nel segmento all’interno del set esprime in maniera inequivo-cabile questo significato di sfortuna che la cultura giappone-se attribuisce al “4”. Ma la cultura giapponese non è la sola ad attribuire ai numeri dei significati specifici. Il numero “4” configura universi incerti e infiniti, differenti e contradditto-ri, in cui le differenze si perdono. Non è un caso che il testo filmico oggettivi questo aspetto inscrivendo il simbolo al di fuori dell’universo significante, cioè l’immagine esterna dello Stage, indicando un luogo di paura, di morte, con particolari aspetti inquietanti. L’indicazione attraverso la connotazione

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simbolica del numero “4” è una configurazione ambigua e ambivalente, in quanto il luogo di morte viene configurato in maniera evocativa, e si configura come orizzonte di ambigui-tà e di finzione visiva e diegetica.

Inland Empire è certamente un testo di grande complessità, un testo che inscrive in maniera del tutto palese il cinema nel suo orizzonte di significazione e nel tessuto di funzionamen-to dei propri meccanismi di senso, in maniera particolare. La riflessione sul dispositivo cinematografico avviene in maniera costante sia nella trama del film stesso (un film nel film), sia nella messa in scena che oggettiva diversi livelli di latenze e determinazioni, sia nel diegetico che nell’extradiegetico. Que-sti due luoghi di significazione si configurano anche come orizzonti di significato di grande importanza per il cinema, in quanto scelgono di nascondersi e mostrarsi in maniera diffe-rente193, cioè di occultarsi e disvelarsi nella realizzazione dello spettacolo cinematografico. La seconda inquadratura che ri-guarda lo Stage 4 è una panoramica verticale dal basso verso l’alto lungo l’intera altezza dello stabile. La mdp, dopo un’in-frazione di raccordo rispetto all’inquadratura precedente, si muove lentamente fino a inscrivere nell’immagine l’assenza di un sole nella propria traccia luminosa che confonde lo spet-tatore, e rende la visione dell’immagine fastidiosa e difficile. La luce diventa l’elemento dominate e configurante di grande potenza, ma in questo segmento abbandona tale peculiarità per svolgere una funzione opposta, differenziale, che inscrive nuovamente il tempo in maniera particolare e occultandolo in maniera alquanto ambigua. L’immagine filmica, è stato detto più volte, è il prodotto di due semiosi di cui una è la luce, e la luce, oltre ad avere il potere di configurare un’immagine complessa dotata di significanza latente, è capace allo stesso tempo di de-figurare e distruggere la stessa immagine, ma mai di azzerarla completamente. Non vi può essere un gra-do zero della scrittura dell’immagine filmica, cosa che inve-

193 Su questi aspetti si vedono i primi tre capitoli del saggio di Bertetto sull’imma-gine simulacro: L’immagine simulacro; La messa in scena e la simulazione; La configurazione della luce.

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ce teorizza approfonditamente Barthes194, in quanto qualsiasi immagine (non solo filmica), pur essendo dominata dal nero e non dalla luce cromatica, contiene in sé diversi gradi, mol-teplici livelli di significazione e di lettura. Al cinema si parla del potere configurante della luce e del nero, di emersione dell’immagine dal nero, ma in questa immagine invece la luce diventa luce solare, monocromatica, configurazione luminosa metaforizzante che impedisce la visualizzazione dell’imma-gine e la sua esistenza, in quanto oggettiva in maniera meta-forica la perdita dell’immagine nella sala cinematografica per la troppa esposizione alla luce. La troppa esposizione evoca il tempo cinematografico come un tempo percettivo della durata di ventiquattro fotogrammi al secondo195, ed evoca la perdita o perlomeno la crisi del visibile cinematografico, la crisi dell’orizzonte visivo del cinema di Lynch. Negli studi sull’immagine in ambito pittorico e anche cinematografico196, la luce contiene nel suo essere non solo la capacità di configu-rare un’immagine, ma il potere di creare l’oggetto, il soggetto e il visibile. La luce quindi determina l’esistenza stessa di un qualcosa, la possibilità di essere e di esserci di un qualcosa che è visibile ma assente. Senza la luce il film sarebbe sempli-cemente un rullo di pellicola senza movimento, contenente una quantità diversa di fotogrammi, simili a delle normali fotografie197. Ma la luce, come viene oggettivata in questo

194 ROLAND BARTHES, Le degré zéro de l’ecriture, Paris, Èdition de Seuil, 1953, trad. it. Il grado zero della scrittura, in Elementi di semiologia, Torino, Einaudi, 1966.

195 Godard in Vive sa Vie (Questa è la mia vita, 1962), fa dire a un attore: «Se la fotografia è verità, il cinema è la verità ventiquattro fotogrammi al secondo». Naturalmente la nozione di verità al cinema è carica di ambiguità sotto tutti i punti di vista. Su questo si veda: PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simula-cro, cit., pp. 202-40.

196 Su questo aspetto si veda: JACQUES AUMONT, L’oeil interminabile. Cinéma et peinture, Paris, Séguier, 1989, trad. it. L’occhio interminabile. Cinema e pit-tura, Venezia, Marsilio, 1998; ANTONIO COSTA, Cinema e pittura, in ID, Il cinema e le altre arti visive, Torino, Einaudi, 2002; LEONARDO DE FRAN-CESCHI, Cinema/pittura. Dinamiche di scambio, Torino, Lindau, 2003.

197 Questo però è un aspetto controverso e abbastanza delicato perché si presta a

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segmento del film, distrugge la stessa immagine e la stessa percezione dell’immagine da parte dello spettatore, facendo perdere referenti e punti di riferimento, facendo perdere in definitiva l’ente stesso, l’orizzonte di riferimento degli eventi.

La panoramica verticale della mdp introduce un ulteriore aspetto nel nostro discorso sulla luce con particolare atten-zione alla teoria del cinema. Attraverso una dissolvenza in-crociata, l’immagine del sole (negato) con la luce rivolta verso lo schermo della mdp emerge il dettaglio dello script del film con il titolo On high in blue Tomorrow, cioè Il buio cielo del domani. La panoramica continua verso destra, andando sempre più avanti fino a inquadrare unicamente la parola “tomorrow” dello script, cioè “domani”. Si nota fin da subito il carattere incerto della scritta, e i contorni spezzettati dei caratteri che compongono la parola conferiscono un senso di frammen-tarietà del diegetico e del testo filmico in generale che si sta interpretando. Il domani si configura quindi come vettore temporale del film, e l’inscrizione del tempo nell’immagine avviene attraverso la parola, cioè attraverso quello che Casetti chiama “tracce grafiche198”.

In Inland Empire il tempo viene prima dell’azione e viceversa, tutto è affidato però a un prima, ma ciò che viene mostrato è il dopo. Così è al cinema, in cui lo spettatore, immerso nella visione di un film, vede un qualcosa proiettato sullo schermo dopo essere stato registrato e inscritto sulla pellicola. Ma lo spettatore vede un qualcosa, un orizzonte visivo composto da immagini, soggetti, oggetti ed eventi che si svolgono in quel momento sotto i proprio occhi, ma che nella realtà sono

facili equivoci. Una fotografia da sola non configura necessariamente un rac-conto, mentre due fotografie giustapposte l’una all’altra invece incominciano a delineare un racconto. Si veda: ANDRÉ GAUDREAULT, Dal letterario al filmico, cit., cap. II e III. Da questo punto di vista è utile citare la sequenza di Blow-Up di Michelangelo Antonioni in cui il personaggio principale Thomas ricostruisce la sequenza narrativa dell’omicidio, giustapponendo le fotografie scattate al parco.

198 FRANCESCO CASETTI, FEDERICO DI CHIO, Analisi del film, cit., pp. 87-89. Sulle tracce grafiche si veda anche: JACQUES AUMONT, JEAN-LOUIS LEUTRAUT, Théorie du film, Paris, Albatros, 1980.

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avvenuti, collocati e registrati dalla mdp precedentemente. Questo meccanismo particolare, che riesce a configurare il dispositivo cinematografico, sospende e relega il tempo in un orizzonte indefinito. Il tempo è molteplice e convenzionale. Molteplice perché per lo spettatore il tempo in cui si realiz-zano gli eventi proiettati sullo schermo coincide con il tem-po della proiezione; convenzionale perché la configurazione narrativa del film si svolge in un tempo inscritto nel film, ma che configura un arco temporale vasto e accettato come tale dallo spettatore, pur sapendo che il tempo effettivo è quello compreso tra l’inizio e la fine della proiezione, tra lo spegni-mento delle luci in sala e la successiva accensione, quindi non nell’immagine stessa. Deleuze invece sosteneva il contrario, ritenendo che la stessa immagine filmica producesse il tempo e gestisse il tempo al suo interno. Il tempo di Inland Empire è un tempo sospeso, apparentemente cronico, ma sostanzial-mente acronico. In Inland Empire il discorso sul tempo acroni-co è radicalmente differente rispetto a testi filmici come The killing (rapina a mano armata, 1956) di Stanley Kubrick, Once upon a time in america (C’era una volta in america, 1984) di Sergio Leone o ai film di Quentin Tarantino, in cui l’interruzione cronologica del tempo viene affidata alla diversa collocazione di sequenze temporalmente chiuse e cronologicamente de-finite ma mostrate in maniera differente rispetto al loro ef-fettivo svolgimento. Il cinema di Lynch, invece, lavora sulla de-configurazione del tempo in cui differenti configurazioni temporali vengono inscritte nello svolgimento narrativo della storia del film o addirittura nella stessa immagine. Oltre a di-versi universi possibili, nell’orizzonte schermico (e narrativo) di Inland Empire e di Lynch, convivono molteplici orizzonti temporali, diverse articolazioni del tempo. La realizzazione dell’enigma di partenza che interessa i film di Lynch si rea-lizza in un “domani” successivo rispetto al momento in cui i soggetti compiono la propria azione, agiscono nello spazio, e si muovono per risolvere l’enigma. I personaggi di Lynch quindi lottano, agiscono, si scontrano contro un enigma che si realizza domani, contro un’avversità, un ostacolo, un mi-stero che ancora deve avvenire, che non si è ancora svolto e

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mostrato nelle sue specificità e complessità. Se questo enigma ancora deve formarsi, perché lo farà domani, allora ancora non esiste, e se non esiste l’azione dei soggetti dovrebbe poter impedire, evitare eventi e conseguenze, secondo una logica di causa ed effetto che il film, come è stato detto finora, mette in crisi in maniera radicale. Questo tempo che viene inscrit-to nella struttura del film è un tempo ambiguato, acronico, decronologizzato, decostruito impossibile anche a essere mi-surato, ed evoca in maniera problematica il tempo del sogno. Freud ha teorizzato che nel lavoro onirico l’inconscio svilup-pa un particolare tipo di tempo non lineare, un tempo che in termini di semiotica del cinema possiamo chiamare tempo non vettoriale, cioè: “caratterizzato da un ordine disomoge-neo, fratturato, turbato da soluzioni di continuità199”. Quindi un tempo non gerarchico, soggetto a interruzioni, interferen-ze di ordine interno ed esterno, che sradica la linearità e i caratteri della logica e dei rapporti di causa ed effetto.

Se il tempo configurato nel mondo dei sogni dal lavoro oni-rico è un tempo legato all’inconscio, a ciò che non è cosciente e che va fuori dal suo controllo all’interno del sistema psichi-co, è comunque sempre un tempo soggetto a una dominazio-ne da parte della mente, e quindi del sognante che percepisce e riconfigura il tempo in maniera personale e non gerarchica, che omette, come se fossero ellissi, le parti di eventi e di av-venimenti vissuti o desiderati, omettendo quindi parti di tem-po. In questa prospettiva il discorso sul tempo oggettiva il carattere di rilevanza e irrilevanza dell’evento, e cioè il livello significante del visibile. Il tempo, quindi, oggettivando le po-sizioni di Bergson, è costantemente dotato di una grandezza percepibile, e diventa semplice percezione soggettiva di colui che sogna, di colui che è immerso nell’universo onirico, ma è una percezione complessa, subcosciente e quindi psichica. Si è di fronte a una configurazione di un tempo psichico che tende a scontrarsi con il reale, con quell’orizzonte che il cine-ma di Lynch continua a mettere in crisi e disintegrare nelle

199 FRANCESCO CASETTI, FEDERICO DI CHIO, Analisi del film, cit., p. 145.

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sue componenti specifiche, riconfigurando opzioni e scelte forti di messa in scena.

Inland Empire, come si è visto, lavora sul tempo in manie-ra particolare, un tempo disarticolato e decronologizzato, un tempo problematico e complesso che si connette con partico-lari questioni sollevate dalla filosofia e dagli studi teorici sul cinema.

Bertetto considera l’immagine filmica priva di movimen-to, in quanto è costituita da fotogrammi fissi, ma allo stesso tempo crea un’illusione abbastanza forte di movimento le-gata ai processi cognitivi dello spettatore (effetto φ). All’in-terno de L’immagine-tempo Deleuze afferma che non è più il movimento a produrre il tempo. Al cinema il movimento è dato dalla macchina libera (in particolare il piano-sequenza di Welles in Citizen Kane) e dal montaggio, visto che l’immagine-movimento include il tempo indirettamente; ma il tempo si colloca nell’immagine-tempo prima dello stesso movimento che cambia di segno al tempo200. È, insomma, qualcosa che anticipa, che sta prima, che va oltre in un luogo temporale precedentemente collocato, prima dello stesso movimento, e questo avviene perché all’interno dell’immagine-tempo, es-sendo un’immagine che include direttamente il tempo, “si vede l’eterna fondazione del tempo, il tempo non cronologi-co, Kronos e non Chronos201”.

Abbiamo visto come Inland Empire riesca a oggettivare que-sti aspetti, e la particolarità che emerge dall’inquadratura in-contra sempre una specifica concezione del cinema e di con-seguenza del tempo. Questa oggettivazione avviene anche sul discorso del tempo acronico e sulla configurazione dell’even-to e del fenomeno “dopo” e non “prima” lo scaturire e il di-spiegarsi dell’azione. Il testo filmico, abbiamo visto, configura il tempo come un prima e un dopo differenziali, che sospen-dono il discorso sui diversi passati come era stato anticipa-to da Bergson. Il tempo si sdoppia in presente e passato per

200 Si veda entrambe le posizioni espresse da Deleuze. GILLES DELEUZE, L’im-magine-movimento, cit.; ID, L’immagine-tempo, cit.

201 GILLE DELEUZE, L’immagine-tempo, cit., p. 96.

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riconfigurarsi, secondo Deleuze, in un’immagine-cristallo, cioè un’immagine in cui coesistono diverse soglie del tempo. Sempre secondo il teorico francese, che riprende il sistema sul tempo già elaborato da Bergson202, le tesi sul tempo sono:

– il passato coesiste con il tempo presente che è stato;– il passato si conserva in sé, come passato in generale (non-

cronologico);– il tempo si sdoppia a ogni istante in presente e passato,

presente che passa, passato che si conserva203.Certamente, in alcune inquadrature del film in questione,

non sembra configurare nulla di tutto questo, ma l’immagi-ne filmica e il segmento si presentano a prima vista come se fossero privi di senso. Ma un’inquadratura è un’entità che si collega attraverso rapporti complessi a un’altra inquadratura, costituendo il tessuto narrativo e significante del film. Tut-to questo avviene grazie al montaggio. Il montaggio diventa come diceva Ejzenštejn il “mezzo per riplasmare la natura204”, il mezzo per riconfigurare il visibile e rifigurare il tempo. Quin-di le inquadrature di Inland Empire sono per loro natura legate non da rapporti diretti di senso, ma grazie a una particolare e complessa struttura di rapporti evocativi, di convergenza e differenza. Comunque in Inland Empire le inquadrature riesco-no a configurare in maniera del tutto evidente la coesistenza e sovrapposizione di spazi temporali differenti all’interno della stessa situazione visiva o, se si vuole, all’interno della stessa situazione ottica e sonora per riprendere il linguaggio di De-leuze. È l’intero universo diegetico del film a essere caratte-rizzato da questa natura fortemente ambigua e ambiguante, capace cioè di assorbire e rendere ambiguo tutto ciò che è iscritto al proprio interno: soggetti, corpi, dimensioni, spazi e volumi plastici, sensi e istanze latenti, complessità rimosse. Man mano che si procede nell’analisi del testo il problema del

202 HENRY BERGSON, L’evoluzione creatrice, cit.

203 GILLES DELEUZE, Ibidem, p. 97.

204 SERGEJ M. EJZENŠTEJN, Dal teatro al cinema, in ID, La forma cinematogra-fica, Torino, Einaudi, 1964, p. 5.

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tempo e della struttura narrativa del film assume configura-zioni particolari, e per certi versi sconcertanti, rispetto a una tradizione narrativa e visiva che, come si è detto fin dall’inizio di questo studio, Lynch cerca in tutti i modi di disarticolare e disgregare nelle sue strutture e nei sui meccanismi significan-ti e di funzionamento. Con le successive micro-sequenze, dal carattere ambiguo e irrilevante, emergono nuovamente dei problemi sulla struttura narrativa del film, sulle funzioni e particolarità del testo filmico stesso, su possibili formulazioni di teoria del cinema che il testo di Inland Empire richiede pre-potentemente allo spettatore e all’interprete.

Ritornando alla micro-sequenza che si svolge all’interno dello Stage 4, notiamo che è costruita secondo una logica compositiva assai complessa, perché introduce diversi proble-mi di analisi e di interpretazione del testo filmico. Il segmen-to è costruito secondo modalità che rilanciano l’ambiguità del film inscrivendola in giochi e rapporti di simmetria e rifrazio-ne, aumento della tensione narrativa, campi e controcampi, dinamiche complesse dello sguardo, conferimento allo sguar-do di caratteri angoscianti e dinamiche extratestuali. All’in-terno del capannone dove è situato il set ancora in costruzio-ne vengono introdotti Nikki e Devon che fanno colazione e incominciano a parlare, a conoscersi. Quello che avviene in questo segmento è un momento importante di conoscenza tra i due, lontano da tutti, senza dividere l’inquadratura con altri soggetti e soprattutto senza mediare la loro conoscenza con altri e soprattutto con l’universo mediatico in cui sono entrambe collocati. Successivamente si vedrà come il film svi-lupperà in maniera sempre più pressante il rapporto tra i due, facendo emergere configurazioni ambigue e pulsioni deside-ranti di grande significazione. Dopo le prime inquadrature c’è una soggettiva di Nikki, soggettiva dall’alto verso il basso che inscrive un set dismesso ancora in fase di costruzione, luogo in cui verrà ambientato Il buio cielo del domani; altre due inqua-drature dei due personaggi e poi di nuovo una soggettiva di Nikki che prosegue la visione del set. Lo sguardo di Nikki è particolare perché è dotato di grande intensità, come già si era visto in altri segmenti del film. In questo micro-segmento

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Nikki non fa altro che registrare il pro-filmico, il primo strato nascosto dell’immagine filmica, quel “prima” che sta davanti la mdp e che attraverso le due semiosi realizza quel “dopo” che è l’immagine filmica, quell’intensiva immagine simulacro che è il cinema stesso. Contemporaneamente lo sguardo di Nikki si configura come elemento d’angoscia, di paura, di inquietu-dine e di perturbazione205. Questo passaggio del film pone un problema in quanto la mdp è assente diegeticamente e negata allo sguardo extra diegetico del soggetto spettatoriale. Il film da questo punto di vista configura l’assenza/occultamento della mdp, oggettivando la distruzione di qualsiasi confine tra universi differenti. Sono iscritti in questo micro-segmento due universi paralleli, due universi che tendono a confonder-si, in cui lo spettatore e i soggetti sono immersi attraverso due livelli significanti e complessi. Un universo diegetico do-minato dal mondo seducente e inquietante di Inland Empire e dei fantasmi di Lynch da un lato; un universo extradiegetico, sensibile e fascinativo dominato dalle sensazioni e dalle pul-sioni desideranti e fantasmatiche dello spettatore che diventa altro da sé nel momento in cui si immerge con la vista e i sensi nella visione del film. I confini dell’immagine vanno oltre il quadro stesso, mettendo in crisi la stessa nozione di imma-gine schermica. I confini dell’immagine filmica vanno oltre l’immagine stessa e la figurazione del visibile, configurandosi in una dimensione spaziale che allo stesso tempo è reale e immaginaria, fisica e simbolica, oggettiva e pulsionale, de-fo-calizzata e fantasmatica. Tutto è finto, artificiale e fittizio, e il micro-segmento, attraverso un meccanismo di significazione particolare, lo fa emergere disvelando in maniera ambigua il meccanismo di funzionamento del cinema, facendo emergere quell’eterno rimosso della macchina cinematografica. Ma lo

205 Freud nel suo saggio sul perturbante, mette in evidenza il carattere inquietante legato alla visione e alla duplice configurazione dello sguardo tra un vedente e un veduto. In più Freud assegna allo sguardo carattere sostitutivo dell’oggetto del desiderio, in quanto estensione fallica e fissazione di scopi sessuali diversi e alternativi. Si veda su questo aspetto di particolare importanza saggio di Freud sulle aberrazioni sessuali contenuto all’interno dei Tre saggi sulla sessualità, più volte citato in questo studio.

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sguardo sul set introduce e immette nell’immagine ulteriori elementi carichi di ambiguità. Alla fine della seconda sog-gettiva di Nikki, la panoramica verticale finisce inscrivendo nell’immagine e nello sguardo, una serie di quattro numeri “10” disposti in modo verticale che conferiscono all’intero segmento un carattere di forte mistero e di radicale ambigui-tà. L’immagine configura il numero come elemento ambiguo e molteplice, in quanto i numeri si sdoppiano e moltiplicano tra loro, stabilendo relazioni di complessità. Vi sono quattro dieci che sommati insieme danno come risultato il numero “40”. Quindi “10” e “40”, ma prima c’era il “4”. Il numero “40” diventa il prodotto matematico che coinvolge il “4” e il “10”, coinvolgendolo in maniera ambigua, ma allo stesso tempo affascinante, misteriosa ed ermeneutica, in quanto stimola all’interpretazione e alla comprensione del simbolo come segno semiotico. Tutto è enigmatico in Inland Empire, ma nulla è lì per caso, non c’è nessuna casualità in quell’uni-verso radicale e possibile che configura il film. C’è, allo stes-so tempo, la capacità metaforica ed extradiegetica del testo filmico che prende come riferimento continuo e ossessivo il cinema, e in particolar modo il cinema d’avanguardia. Lynch guarda sempre alle teoriche sul cinema, soffermandosi sul-le riflessioni sul montaggio di Ejzeštejn. Secondo il regista sovietico, dall’unione di due rappresentabili nasce un irrap-presentabile, un qualcosa cioè che si perde nell’orizzonte dei fenomeni e del visibile, diventando qualcosa che si inscrive nell’inconscio del testo, ed emerge nell’inconscio dello spet-tatore. D’altronde le determinazioni eidetiche sono presenti nei film di Ejzenštejn come in quelli di Lynch, pur scegliendo opzioni di messa in scena differenti e regimi narrativi diffe-renti anche in relazione al periodo di formulazione e realiz-zazione. Questo tipo di montaggio teorizzato e praticato da Ejzenštejn, viene snaturato e de-configurato in Inland Empire, applicandolo alla dinamica narrativa e al meccanismo di si-gnificazione del testo stesso. Il “40” è il prodotto di almeno due diverse operazioni matematiche che interessano i nume-ri “4” e “10”, oggettivando il carattere potenziale dell’intero mondo configurato dal film.

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All’interno del capannone, oltre a Nikki e Devon, dopo al-cune inquadrature arriva anche Kingsley accompagnato da un suo collaboratore di nome Freddie Howard (interpretato da Henry Dan Stanton). Dopo uno scambio di battute sul tè (battuta che ricordano quelle di uno dei fratelli Castigliani sul caffè in Mulholland Drive), tutti e quattro i personaggi, se-dendosi, si collocano ai lati di un tavolo in modo da forma-re due coppie una opposta all’altra. La collocazione spaziale dei soggetti è importante perché la mdp li riprende sempre dall’alto verso il basso attraverso una Mezza Figura, con un angolo di ripresa laterale che divide l’immagine secondo una retta diagonale coincidente con il bordo del tavolo. Questa particolare opzione di messa in scena inscrive nell’immagine gli universi potenziali e differenti che coesistono nella stes-sa immagine, con un meccanismo di significazione alquanto ambiguo e complesso nelle sue dinamiche di funzionamento. La particolarità dell’inquadratura nel suo grado significante è tutta affidata alla divisione di questi due mondi paralleli e op-posti. Sono ancora mondi separati nonostante nelle sequenze precedenti avevano oggettivato il carattere di indistinzione e ambiguità del mondo configurato dal film. Ma questa se-paratezza dei due mondi viene allo stesso tempo negata dal testo anche in questo particolare e complesso segmento, in cui i meccanismi di significazione risultano alquanto com-plessi, rimuovendo i confini dimensionali allo sguardo del-lo spettatore. Per comprendere la separatezza dei due mondi paralleli e contrapposti, e vedere come avviene la rimozione, bisogna analizzare la dinamica degli sguardi che interviene in questa sequenza, facendo attenzione alle origini delle fonti degli sguardi e alle configurazioni molteplici che assumono secondo coordinate spaziali di grande rilevanza e particolari-tà. Abbiamo visto come la separatezza sia data dalla colloca-zione dei soggetti nello spazio inscritti lungo una diagonale che coincide in parte con il bordo del tavolo e in parte con gli angoli dell’immagine schermica. Proprio l’uso di una linea diagonale configura il carattere impreciso della disgiunzio-ne dei mondi, come se le due entità spaziali e significanti (e ambiguamente temporali) si separino in modo trasversale e

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quindi non chiaro. Ma questo carattere labile, fragile della separazione viene oggettivato dall’elemento plastico costitu-ito dal bordo del tavolo. Il tavolo si caratterizza quindi come elemento facilmente trasportabile, intercambiabile nello spa-zio, capace di delineare e controllare i contorni e i confini dei mondi. La realizzazione di questa particolarità significante è però affidata alla mdp, e su questo aspetto vale la pena di ri-flettere. È la mdp che configura la divisione degli universi e la loro negazione, in quanto la collocazione e l’angolo di ripresa, la scelta dell’inquadratura determinano non solo l’immagine (con il carattere significante da cui emerge il senso), ma l’inte-ro orizzonte del visibile. È proprio la mdp che determina una divisione trasversale e quindi fragile degli orizzonti di signifi-cazione in cui si inscrivono il simbolico e l’immaginario. Ma il carattere fragile di questa divisione e la confusione dei due mondi si realizza anche attraverso un’esibizione/rimozione delle configurazioni dello sguardo. La complessità delle di-rettrici di sguardo, che investe tutti e quattro i soggetti iscritti nell’immagine, tende a intersecare, a sovrapporre e allo stesso tempo a confondersi e penetrare nel tessuto di ordinamento e creazione degli universi, eliminando definitivamente questa separazione. Kingsley e Freddie incrociano continuamente il loro sguardo con Nikki, configurandosi come due vettori di sguardo più o meno forti. Kiglsey, oltre a intersecare il proprio sguardo con Nikki che forma una retta diagonale, lo incrocia in maniera ambigua e complessa anche con Fred-die e Devon. Allo stesso modo Kingsley diventa l’estremità da cui partono altre direttrici di sguardo che si configurano perpendicolarmente creando la distruzione/rimozione della divisione dei mondi. La configurazione perpendicolare degli sguardi si insinua così in un orizzonte significante di grande intensità emotiva, che fa emergere costantemente un signi-ficante immaginario iscritto nel testo filmico. Certamente i mondi possibili e potenziali che i film di Lynch hanno sempre proiettato sullo schermo non sono l’unico significante imma-ginario di Inland Empire, come non sono l’unico senso latente che rimuove il testo filmico nel proprio inconscio. Quindi, ritornando sul problema dello sguardo, in questo segmen-

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to del film, attraverso un meccanismo di significazione che privilegia il carattere meta-linguistico della messa in scena, i soggetti iscritti nell’immagine sono incapaci di infrangere i confini dello spazio, i limiti dei mondi che l’immagine iscrive al proprio interno e che la mdp configura. Sono entità im-mobili che sono incapaci, da un punto di vista tecnico, di procedere verso lo scavalcamento di campo con il proprio corpo, ma che affidano allo sguardo ciò che essi come totalità non fanno. È l’oggettivazione di un desiderio fascinativo. An-che in questo segmento il soggetto che assume la centralità in questa struttura è Nikki, perché si propone sempre come vettore di sofferenza, di sguardo e di evocazione scopica. Lo sguardo quindi, ancora una volta, pur avendo oltrepassato le teorizzazioni del Novecento e nonostante le teorizzazioni sul post-moderno, rimane al cinema un mezzo privilegiato di co-noscenza e determinazione configurante, il mezzo di ogget-tivazione e proiezione dell’inconscio e di soddisfazione dei propri desideri. Lo sguardo in Inland Empire diventa l’estensio-ne, il feticcio del visibile. Lo sguardo quindi è capace, oltre a configurare orizzonti possibili e immaginari, anche di deter-minare i confini spaziali del mondo grazie al proprio grado di percezione degli eventi. Lo sguardo configurato in questo segmento è uno sguardo sempre più proiettivo e fascinativo, allucinatorio e fantasmatico, legato costantemente al deside-rio e al molteplice.

Il segmento in questione si articola lungo una serie di inqua-drature complesse che pongono in evidenza le problematiche dello sguardo. La sequenza introduce nel tessuto narrativo al-cuni elementi di analisi di grande importanza per l’interpreta-zione del film, su cui vale la pena di soffermarci e riflettere.

Nelle inquadrature successive Kingsley invita Nikki e De-von a lavorare un po’ sul copione, in particolar modo sulla scena trentacinque. Il segmento mostra un particolare proce-dimento metaforico e autoreferenziale sul rapporto tra autore e attore al cinema, configurando in maniera oggettiva la tra-sformazione degli attanti in soggetti diegetici, nel momento in cui, nel processo di semiosi filmica dovuto alla messa in scena, perdono la propria identità per acquistarne un’altra differente,

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per assumere desideri e pulsioni differenti, eterogenee, estra-nee alla propria natura. Nikki presenta un volto attraverso una fascinazione, che tale scena è la sua preferita, relegando in un orizzonte misterioso e fantasmatico il motivo della sua attrazione, evocando un processo identificativo e desiderante che già in altre sequenze del film era stato oggettivato dalla protagonista femminile. Man mano che incominciano a re-citare, la macchina da presa, attraverso primi piani sempre più stretti e pressanti nei confronti dei due attori, defigura i confini della realtà diegetica confondendoli con l’orizzonte della storia che i due personaggi recitano. La recitazione lascia lo spazio a una confusione delle parti, non potendo distin-guere per i due attori ciò che è per loro reale dalla finzione recitativa. Diventano immagini e figurazioni di maschere di spettacolarità, ma la spettacolarità è da ricondurre al carattere drammatico e intensivo dei volti. In questa sequenza viene introdotto però un ulteriore nodo metodologico e interpreta-tivo sulla macchina cinematografica nei suoi aspetti specifici, quello cioè della direzione degli attori e indirettamente della recitazione cinematografica.

Nel corso della storia del cinema, il problema dell’attore è stato spesso affrontato tenendo presente il problema del divi-smo, o comunque della performance del singolo attore, senza indagare i modelli e i regimi della recitazione cinematografica in relazione ai grandi modelli di messa in scena del Novecento, e all’inscrizione dell’attore nel visibile filmico. Una tradizione abbastanza consolidata negli studi sulla recitazione cinema-tografica ritiene che gli attori, nel momento in cui recitano una parte, si immedesimino nel personaggio e convergano emotivamente con lo spazio fittizio che evocano, configuran-do così un rapporto di rifrazioni e dinamismo. La recitazione diventa quindi una doppia immedesimazione, perché implica l’identificazione all’interno della diegesi del film, e la confi-gurazione di una nuova soggettività inscritta in un orizzonte visibile fortemente alternativo. Ma questa concezione risente in maniera diretta e indiretta dell’influenza che il teatro ha esercitato sul cinema e sulle riflessioni teoriche-critiche che fin dalla nascita del cinema si sono succedute, non solo in

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ambito recitativo. Soprattutto gli studi sul teatro, che hanno influenzato quelli sul cinema, hanno privilegiato la recitazio-ne degli attori sulla messa in scena, mettendola quasi sempre in secondo piano o addirittura non considerandola proprio. Tra l’altro questa particolare concezione, che non può essere approfondita nell’economia di questa analisi di Inland Empire, risente delle teorizzazioni sul cinema come specchio della re-altà di Bazin, eccessivamente prese a modello da troppi studi sul cinema. In contrapposizione a questa teorizzazione si pone un’altra posizione molto più efficace e pertinente, che spazza via le influenze teatrali e realiste, e si allaccia a tradizioni teo-riche e filosofiche che hanno considerato il cinema come un mezzo che infrange il dato di realtà e come mezzo e luogo di emersione di fantasmi inconsci e riconfigurazione del visibile. Paolo Bertetto206 affronta il problema in maniera dettagliata e pertinente, affermando che la recitazione cinematografica è un problema di simulazione. Il lavoro attorico non è affidato a un mero comportamento dell’attore, ma a una performance, un gesto performativo di grande complessità che deve fare i conti con il dispositivo cinematografico e con i limiti dell’im-magine schermica. Ma la performance, questo gesto riflesso dell’attore, non è vero, non è un’immedesimazione radicale che fa perdere all’attante la consapevolezza della propria in-scrizione nel simbolico e nel simulativo, è “un’azione riflessa, funzionale allo sviluppo di una narrazione per immagini, ca-pace di essere configurata sullo schermo e disegnata secondo le esigenze visivo-dinamiche definite dal progetto di messa in scena e dunque dal regista stesso207”. Quindi esigenze visive, cioè di visione, atte a configurare il visibile, oggettivando i fantasmi inconsci, non solo dello spettatore che si identifica con l’attore/personaggio, ma anche quelli del regista che diri-ge, che trasforma il personaggio e lo inscrive nell’immagine,

206 PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simulacro. Il cinema nel mondo diven-tato favola, cit., pp. 51-82; ID, La direzione dell’attore. Il lavoro del set e la configurazione dell’immagine, in ID (a cura di), Azione! Come i grandi registi dirigono gli attori, Roma, Minimum Fax, 2007, pp. 13-59.

207 Ibidem, p. 34.

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coerentemente con il proprio progetto di messa in scena. Il carattere simulativo della performance d’attore configura e trasforma il soggetto inscritto nell’immagine in oggetto dello sguardo, di uno sguardo futuro che viene dopo la prova d’at-tore. Infatti: “Nel cinema l’attore è un soggetto che davanti alla macchina da presa effettua gesti, movimenti, parla, sa-pendo di compiere una prestazione destinata a un pubblico. Il fatto di non recitare davanti agli spettatori, ma davanti a un’équipe tecnica e all’occhio immutabile della macchina da presa, non è un elemento secondario. L’attore è insieme più libero, ma anche iscritto in un meccanismo più astratto, non sente il pubblico, ma può essere più apertamente guidato dal regista. Lavora per qualcosa che non deve guardare, ma che gli sta davanti e intorno con tutto il peso dell’apparato208”.

Questo aspetto non fa che riaffermare il carattere di simu-lazione e di simulacro del cinema. L’attore non fa altro che oggettivare, tramite la propria simulazione performativa, l’in-dicazione del regista, e il fatto che la sua prova d’attore viene fissata per sempre assume un carattere che va persino oltre i concetti di simulazione e mondo fittizio, facendo emergere così nuove problematiche teoriche e interpretative. Quindi: “La direzione d’attore e la recitazione cinematografica ferma-no nel tempo la fragilità di un’ombra che sovverte la logica del divenire. Per questo la performance dell’attore è così im-portante. Perché è una lotta contro la morte, perché è un’op-posizione alla distruttività del tempo209”.

La citazione ampia dei passaggi del saggio di Bertetto si ren-de necessaria alla comprensione di alcuni aspetti che vengono sollevati dalle sequenze di Inland Empire. Il carattere riflessivo del film si connette a studi metodologici e scientifici sui pro-blemi oggettivati sullo schermo.

Se il cinema è un mezzo di finzione, che al cinema tutto è falso tranne le emozioni del pubblico (e i processi di identifi-cazione), allora anche la recitazione è la configurazione di una

208 Ibidem, pp.34-35.

209 Ibidem, p. 38.

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simulazione e quindi di un’interpretazione del mondo, fin-zionale ma diegeticamente considerato vero o fittizio. Ma il problema sulla recitazione e la direzione d’attore che qui vie-ne sollevato da Bertetto si connette al problema direttamente sollevato dal testo filmico e dall’universo figurale e formale di Inland Empire. L’orizzonte di significazione e di realizzazione in cui si compie e configura il mondo e lo spazio diegetico di Inland Empire destruttura prepotentemente il reale, e la con-fusione avviene, come abbiamo visto precedentemente, con il mondo illusorio e fantasmatico anch’esso diegetico che viene attivato dal testo. Il meccanismo di significazione oggettiva nel testo, nelle sequenze e nei ritmi di montaggio, la perdita di qualsiasi referente e punto di riferimento che rende possibile la distinzione tra realtà e finzione, tra reale diegetico e l’evo-cazione dell’orizzonte fittizio in cui si realizza il film nel film. Anche l’attore si perde nelle configurazioni spaziali del film, trasformando il suo corpo in immagine figurale da guardare e da interpretare, fondendosi con l’irreale, con il bidimensiona-le, con i fantasmi psichici oggettivati. Fino a ora lo spettatore e i soggetti inscritti nell’immagine non sono ancora immersi in maniera così radicale in questo orizzonte di significazio-ne, ma qualcosa nel tessuto testuale sta cambiando, anche nei processi cognitivi dello spettatore. Si sta incrinando la per-cezione della realtà diegetica e si stanno mettendo in crisi le coordinate spaziali e temporali in maniera radicale.

Mentre recitano, a un certo punto Nikki, proprio perché l’universo in cui si immerge è differente da quello della realtà (diegetica), incomincia a piangere in un’estasi di fascinazione emotiva e intensità emozionale. Il fascino che emerge dal-la recitazione perde la propria identità originale, in quanto è iscritto in un mondo di simulacri, di copie e tracce senza origine. Essendo la recitazione basata su una simulazione, ed essendo frammentata per natura del dispositivo filmico, è inscritta in un mondo di simulacri in cui non c’è nulla di ordinato, e la perdita dei referenti semiotici diventa metafora assoluta della perdita di identità. Quindi la recitazione confi-gurata dal segmento del film oggettiva la perdita di identità e il passaggio a una nuova identità. È una trasmutazione inden-

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titaria, in un’articolazione simbolica di nodi e alterità. Questa particolare determinazione è confermata dal fatto che lungo tutto il testo di Inland Empire il personaggio di Nikki Grace si sdoppierà in altri due personaggi simili per certi versi a Mulholland Drive, ma il testo filmico nelle singole determina-zioni dinamico-visive nasconderà e occulterà, fino a impedire di comprendere qual è in effetti il personaggio principale, il personaggio originario, l’origine dei doppi. Questo non fa che confermare sia un’atmosfera di incertezza che domina tutto il film in ogni singola parte, sia lo statuto di simulacro del film, del testo, del visibile, e persino degli stessi orizzonti de-gli eventi. Il meccanismo di significazione in Inland Empire è ancora più complesso in quanto il significante si inscrive in un orizzonte radicalmente incerto e ambiguo, il cui senso si confonde e si trasforma esso stesso in un simulacro, confi-gurandosi a sua volta come esperienza visiva completamente allucinatoria e percettiva.

In Mulholland Drive, ad esempio, i due soggetti principa-li (Betty e Rita) vengono presentati nella prima parte con un’identità specifica che nella seconda parte cambia, ma il cambio delle identità è inscritto e affidato a due regimi nar-rativi e visivi totalmente differenti, uno di carattere onirico e l’altro di carattere fenomenico. In Inland Empire invece i vari personaggi che provengono dalle scissioni identitarie e cor-poree di Nikki Grace sembrano essere concrezioni fantasma-tiche portatrici di significanti presenti nelle pieghe temporali e narrative del testo. Sono identità simmetriche e differenziali di carattere allucinatorio e psichico in cui si intrecciano pul-sioni desideranti e fantasmi dell’inconscio di grande efficacia e ambiguità.

All’interno del segmento, la recitazione simulata che Nikki e Devon realizzano sotto lo sguardo progressivamente ecci-tato di Kingsley, viene interrotta da un rumore che sembra provenire dal set e che modifica l’attenzione di Fred come soggetto di sguardo.

La sequenza poi si scompone in un micro-segmento che oggettiva il carattere autoreferenziale del film, configurando il sistema di visione dello spettacolo cinematografico in una

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rifigurazione della simulazione direttamente nella messa in scena. Il testo configura costantemente un doppio differen-ziale anche in questo segmento, e lo fa attraverso modalità particolari e molteplici, con gradi plurisignificanti che inve-stono soggetti, eventi, orizzonti riflessivi, regimi narrativi e recitativi, simulazioni e significazioni metaforiche e allusive al lavoro di messa in scena. In questo segmento è proprio il lavoro di messa in scena e di direzione degli attori a configu-rarsi come doppio significante, in un orizzonte di riferimento che, come si è visto, è sempre dominato dalla simulazione e dal simulacro. La micro-sequenza si compone di diciannove inquadrature di grande complessità formale in cui il ritmo narrativo incomincia a muoversi e fa aumentare la tensione narrativa in maniera macroscopica. La micro-sequenza è arti-colata in questo modo:

1) MF di Kingsley e Freddy che guardano i due attori. Fred-dy si accorge di qualcosa;

2) PP di Nikki che si asciuga le lacrime, sembra come se si fosse svegliata da uno stato di trans;

3) CM dei quattro soggetti seduti sul tavolo. Devon si alza e va (di fronte alla mdp) verso il set per vedere se c’è qualcuno lì;

4) Panoramica in avanti che si pone sempre più vicina a una porticina del set;

5) Carrellata in avanti di Kingsley, Freddy e Nikki che guar-dano Devon;

6) Dal buio del set entra Devon;7) Panoramica in avanti che si pone verso il set;8) MF di Devon che corre verso la mdp;9) TOT della casetta. Devon arriva lì, posto di spalle rispet-

to alla mdp;10) MF di Devon di spalle che cerca di aprire la porta;11) PP di Devon rivolto verso la mdp, attraverso il vetro

della casetta, che cerca di vedere all’interno;12) Inquadratura sfocata di una soggettiva di Devon che

non riesce a vedere dentro;13) PP di Devon rivolto verso la mdp che cerca di vedere

qualcosa. La mdp è collocata all’interno della casetta, dietro il vetro della finestra;

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14) TOT di Devon che se ne va dalla casetta ed esce di scena;

15) CL di Devon che esce dal set;16) PP di Devon che vede qualcosa;17) Inquadratura da dietro il set. Si vede una specie di per-

corso (soggettiva di Devon);18) PP di Devon che se ne va;19) PP di Nikki e Freddi di spalle che vedono Devon arri-

vare;20) CM di Devon che torna. In basso a sinistra si vede la

testa di Nikki di profilo.La micro-sequenza si mostra fin da subito abbastanza

complessa nelle componenti filmiche e nella determinazio-ne del senso, configurando l’alterità e l’inquietante all’inter-no dell’orizzonte visibile del film. Già precedentemente si era accennato al fatto che l’universo di Lynch, con i suoi ordi-namenti, regole, configurazioni e molteplicità, è un univer-so che si determina dal quotidiano, che emerge dal visibile, come aveva giustamente osservato Carocci nell’analisi di Lost Highway210. Allo stesso modo, il visibile costruito nel film, è dominato da un profondo grado di alterità, che diventa sensa-zione inquietante e misteriosa, oggettivazione dell’angoscia e dell’enigma, configurazione del perturbante. Pur riconoscen-do l’immagine e il visibile contenuto in essa, c’è un elemento impercettibile, visivamente assente, negato allo sguardo che supera il visibile e la visibilità, iscrivendosi nell’immagine come figurale cioè come elemento presente nell’immagine, ma che non si vede e che va oltre le regole e le modalità di percezione visiva. È l’inscrizione di una figura matrice, cioè di una figura che è invisibile per principio in quanto è il pro-dotto di una rimozione originaria connessa con il fantasma originario211. Lo stesso testo del film è continuamente con-nesso alla rimozione, divenendo esso stesso, nel proprio sta-tuto di funzionamento, il fantasma di se stesso, l’immagine

210 ENRICO CAROCCI, Tormenti ed estasi, cit.

211 Si veda: PAOLO BERTETTO, Ibidem, p. 182

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fantomatica e allucinatoria che ritorna secondo una prospet-tiva palesemente autoriflessiva.

Nel momento in cui Devon va verso il set in allestimento, egli non fa altro che dirigersi e inscriversi in un simulacro, come è a sua volta già inscritto all’interno di quel simulacro che è l’immagine filmica, evocando sempre e comunque il doppio come significante immaginario del testo e luogo di emersione del senso. Tutto, qualsiasi elemento del testo, è un doppio di qualcosa e questo oggettiva il forte livello di incer-tezza che domina l’universo del film, come destrutturazione e de-figurazione del visibile, dei processi cognitivi di ricono-scimento e quindi delle identità. Il set è quindi un simulacro, cioè una copia differenziale di una copia differenziale senza origine. Il set si configura come simulacro in quanto è inscrit-to in un tempo narrativo che, come l’immagine filmica, ha assorbito il tempo in maniera acronica secondo le modalità di realizzazione del testo. Siccome il tempo di Inland Empire è un tempo particolare che viene continuamente rifigurato all’interno della narrazione, il set dismesso, ancora in allesti-mento, non può essere in nessun caso l’originale delle due copie differenziali. L’originale si perde e ogni elemento può assumere il carattere di origine e referente, traccia e articola-zione mnestica, simulacro e fenomeno. Ogni elemento costi-tutivo del testo, persino gli stessi codici cinematografici, per-dono la propria connotazione e assumono caratteri e forme diverse, spostando i significati e i confini da un significante all’altro, in un processo che Peirce chiama “semiosi infinita o illimitata212”. Quello di Inland Empire è quindi un orizzonte di significazione incerto, in cui l’atmosfera è quasi sospesa, tesa come un nastro tirato che precedentemente nell’orizzonte fil-mico di Lynch ha assunto le forme e i contorni del nastro di Moebius213. Il testo, oggettivandosi secondo la metafora del

212 CHARLES SANDERS PEIRCE, Collected papers, cit., p. 339. Sulla questione della semiosi infinita, si veda anche: UMBERTO ECO, Lector in fabula, cit. in particolar modo il paragrafo intitolato Semiosi illimitata e pragmatica, pp. 44-46.

213 Il nastro di Möbius è una superficie geometrica non orientabile. Le superfici

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nastro, tende a dilatare il tempo e con esso la tensione narra-tiva del film, configurando la durata come elemento irreale e il tempo come fattore soggettivo. Si tratta dell’oggettivazione del tempo come elemento percettivo basato su una conven-zione, su di un patto tra soggetti o tra un’intera comunità di soggetti. Il tempo come percezione soggettiva della durata e della forma, come formulava Bergson.

All’interno dell’immagine è configurato in maniera diffe-rente ma con un certo grado di similarità, quello che aveva narrato la vicina di casa di Nikki nella filastrocca. La vicina di casa aveva accennato a una casa, a una strada in cui avveniva un qualcosa di misterioso e spaventoso che riguardava una bambina. Devon va proprio incontro a questa casetta, e lo fa attraversando una strada immaginaria che separa il tavolo dove sono seduti Nikki, Kingsley e Freddi e il set in allesti-mento. Quindi la strada, che qui riappare in forma visiva e differente rispetto all’enunciato verbale della vicina misterio-sa, oggettiva il carattere creativo e dissimulativo dell’immagi-nario. Il livello significante di questo segmento è poi affidato agli sguardi attenti, maniacali dei tre personaggi che osserva-no Devon mentre va incontro al set e sparisce in vie e bivi che si diramano vicino alla casetta. L’immaginario dei tre soggetti sembra configurare un nuovo orizzonte del reale, in cui ciò che investe il loro sguardo non è la registrazione semplice e diretta di una realtà o di uno spazio, ma è la proiezione incon-scia e percettiva di un desiderio. Soprattutto Kingsley e Nikki sviluppano questa particolare configurazione dello sguardo

ordinarie, intese come le superfici che nella vita quotidiana siamo abituati a os-servare, hanno sempre due “lati” (o meglio, facce), per cui è sempre possibile percorrere idealmente uno dei due lati senza mai raggiungere il secondo, sal-vo attraversando una possibile linea di demarcazione costituita da uno spigolo (chiamata “bordo”). Nel caso del nastro di Möbius, invece, tale principio viene a mancare: esiste un solo lato e un solo bordo. Nell’interpretazione di Lost Hi-ghway, Henry ha ritenuto che la struttura testuale del film si potesse associare al Nastro di Möbius in cui per ritornare alla situazione di partenza, all’inizio della storia, bisogna percorrere il nastro due volte. Su questo aspetto si: MICHAEL HENRY, Le ruban de Moebius. Entretien avec David Lynch, in “Positif ”, n. 431, 1997, pp.8-13. Si veda anche: ANDREA MINUZ, Lost Highway, cit., pp. 90-108.

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per diversi ordini di motivazioni: Kingsley proietta su Devon e la scenografia tutte le dinamiche possibili del film che ha in mente, e con esse proietta il proprio orizzonte significante e il proprio visibile, le proprie scelte formali e le regole di funzio-namento della messa in scena. Devon si muove oggettivando in maniera ambigua il fantasma desiderante del regista; Nikky proietta qualcos’altro, una traccia rimossa che affiora, un ma-teriale inconscio e traumatico in cui proietta il proprio fanta-sma originario oltre i confini del visibile, in cui sono mischiati i suoi desideri e le proprie angosce, oggettivando così le due tipologie che per Freud assume il sogno214.

Questo segmento riconfigura l’orizzonte visivo di Inland Empire come insieme di mondi contorti e di difficile delimi-tazione, come universo del contorto e del perverso. Non è un caso che la parte del copione che i due attori provano a reci-tare davanti al regista riguarda una sequenza accanto a una finestra, proprio come quella del set, e che suscita in Nikki interesse e piacere nell’interpretare la parte, asserendo che è proprio la sua scena preferita. Nel segmento Devon cerca di entrare all’interno della casa, così come lo spettatore cerca di entrare all’interno del testo, ma entrambi non ci riescono per diversi ordini di motivi che più avanti verranno rivelati. De-von si sposta nello spazio e va a collocarsi davanti alla fine-stra, affidandosi alla capacità, unicamente percettiva, del suo sguardo. Devon, attraverso un meccanismo di significazione altamente simbolico e metaforizzante, gira intorno al pro-blema di partenza e sceglie di non affrontarlo direttamente, optando per percorsi differenti e alternativi, così come nello spazio diegetico sceglie di non entrare nella finta casetta del set. Il meccanismo di significazione qui presente è formida-

214 Freud divide i sogni in due tipi: sogni di desiderio e sogni d’angoscia. In en-trambi i casi, anche quando i sogni sono d’angoscia o di dolore sono sempre e comunque appagamento di un desiderio latente, inconscio, che spesso assume forme distorte e deformate. La mente per Freud è dominata da due forze di carattere psichico in cui una configura e forma il desiderio e la seconda lo castra, lo reprime nelle sue manifestazioni. Su tutti questi aspetti si veda: SIGMUND FREUD, L’interpretazione dei sogni, cit., in particolar modo il 4 capitolo dal titolo La deformazione nel sogno.

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bile nell’oggettivare il lavoro dell’interprete e le pulsioni dello spettatore che si trovano di fronte alla complessità di Inland Empire. Tutte queste pulsioni vengono oggettivate in un oriz-zonte fortemente autoriflessivo ed evocativo di immagini e figure, di azioni ed eventi possibili. Alla stessa maniera di Devon, l’interprete sceglie un percorso possibile per entrare all’interno del testo filmico, di qualsiasi testo comunicativo più o meno complesso, e sceglie diverse prospettive analiti-che. In questo caso la capacità evocativa e metaforica della messa in scena di Lynch è davvero sorprendente in quanto, pur configurando il lavoro di interpretazione del testo, non lo porta fino in fondo, ma lo oggettiva come semplice discorso sul testo. Devon, non entra nel testo, ma segue discorsi che stanno attorno al testo e non i possibili discorsi che il testo filmico è capace di attivare. In questo passaggio viene ogget-tivata proprio la posizione formulata da Eco sul problema dell’interpretazione, problema di fondamentale importanza che si presta spesso a incomprensioni e fraintendimenti: “Eco difende [...] l’integrità del testo come orizzonte di confronto e di verifica di ogni interpretazione, contro le opzioni discorsi-ve che non puntano tanto a una comprensione del testo quan-to a un suo uso: [...] l’uso punta a considerare il testo come pre-testo per parlare d’altro e sostenere altre argomentazioni (o altri impieghi), che hanno il centro fuori dal testo215”.

Diegeticamente l’atteggiamento di Devon è da considerarsi in relazione al mondo potenziale che configura la messa in scena del film. Il problema infatti è proprio di messa in sce-na e di potenzialità configuranti. Già si è visto che Devon configura l’iscrizione del soggetto all’interno del profilmico, andando incontro così alla messa in scena e al suo carattere significante. Questa oggettivazione autoreferenziale e meta-forica della messa in scena è presente lungo tutto il film, in quanto c’è sempre il riferimento alla recitazione, alle riprese, alle discussioni del film nel film e Devon ne è parte integrante di questo sistema.

Dopo aver mostrato l’impossibilità di entrare nello “spazio

215 PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione, cit., p. 186.

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testuale”, Devon sceglie un discorso alternativo, uno dei bivi possibili che collegano il set a un mondo inscritto misteriosa-mente nel fuori campo. Proprio questa evocazione di un fuori campo avviene attraverso meccanismi di grande ambiguità formale che lungo tutto il film riguardano costantemente, con modalità differenti, il rapporto tra la casa e il soggetto, tra lo spazio e il visibile. Già nelle sequenze precedenti il fuori campo era stato configurato in maniera evocativa, come ad esempio nel discorso della vicina di Nikki, in cui si parlava di una casa misteriosa in fondo alla strada. Nel segmento am-bientato nel set, gli orizzonti spaziali vengono capovolti iscri-vendoli differentemente nelle dinamica ambigua di campo e fuori campo. La casa viene inscritta nell’immagine e non più semplicemente evocata e relegata al fuori campo come nella sequenza della vicina. È un oggetto che non si nega a nessuno sguardo, è un oggetto allo stesso tempo irreale dal carattere evocativo e potenzialmente interpretante. È esso stesso un’in-terpretazione possibile sul mondo e del mondo. La casetta del set verso cui Devon si dirige e cerca di entrare configura un particolare aspetto che ritorna ossessivamente lungo tutto il testo filmico, e cioè la configurazione di un universo poten-ziale. L’universo di Inland Empire sancisce definitivamente la morte del mondo fenomenico, di un mondo ordinato e re-golato secondo regole logiche e oggettive, per lasciare spazio a un’ambiguazione significante e allucinatoria di un mondo potenziale che è immagine di se stesso e sua negazione, che è desiderio e fenomeno, che è fantasma e simbolo, negazione di negazione di un mondo dominato dal segno e allo stesso tempo governato da una semiotizzazione infinita del segno. Gli oggetti, i soggetti e i fenomeni, sono elementi fittizi e configurazioni di segni. Il visibile si trasforma in simulacro e la visione diventa un’esperienza traumatica e fascinativa di grande intensità. Gli oggetti sono attraversati da un carattere di irrealtà e antinaturalismo che investe e assorbe gli stessi caratteri realistici dello spazio in cui i soggetti sono costretti a vivere e muoversi. Tutto diventa un codice, un segno semi-otico da dissimulare, un codice da decodificare.

La scelta della casa di essere un elemento che cambia con-

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tinuamente natura e statuto all’interno del proprio orizzonte di riferimento, è legata al carattere significante che esprime e alle relazioni che è in grado di produrre con le intere strut-ture spaziali che vengono continuamente destrutturare e de-figurate dal testo.

Devon si muove in questo orizzonte e non riesce a pene-trare all’interno, escludendo così la conoscenza di quel mon-do disomogeneo. Il suo sguardo poi oggettiva la posizione di Marleau-Ponty sul vedere e il guardare. Devon guarda, ma non vede nulla, e questo impedimento rimane ancora-to a questo dato di ridefinizione allucinatoria o ridefinizione indefinibile, in quanto egli non si configura come soggetto psichico forte. È oggetto di sguardo di altre persone, di al-tri soggetti che hanno un potere configurante forte nell’oriz-zonte diegetico ed extra-diegetico del film, dei due film che ossessivamente si iscrivono e attivano sullo schermo. Devon è quindi un burattino moderno che si muove non nelle mani del suo padrone, ma attraverso il suo sguardo, senza cambiare identità palesemente e rimuovendo il carattere mistificatorio della maschera. Nonostante il carattere allucinatorio del suo sguardo, egli non va oltre un orizzonte di delirio psichico che potrebbe investirlo direttamente dall’interno per far emerge-re i propri fantasmi inconsci. È Nikki che, attraverso lo sguar-do, e attraverso la recitazione e l’osservazione di un soggetto psichico debole, riesce a far emergere il proprio fantasma, a oggettivare e configurare il proprio fantasma di rimozione originaria e di natura traumatica.

Il segmento qui posto in analisi, attraverso una particolare e radicale concettualizzazione dello sguardo, riesce a confi-gurare un soggetto che non solo è assente dall’immagine e dall’orizzonte stesso del visibile, ma diventa un soggetto che sta al di fuori dallo stesso orizzonte dei fenomeni. È l’ogget-tivazione dell’essere di Heidegger delle problematiche che ne derivano, che sta all’interno del mondo non più come presen-za ma come potenza. Lynch, configura il nulla, l’oblio, come soggetto di sguardo, come vettore di significazione estrema. In questa micro-sequenza infatti Devon, oltre a configurarsi come oggetto dello sguardo dei tre soggetti presenti (Nikki,

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Kingsley e Fred), diventa l’oggetto di sguardo di un soggetto che non è presentato, che non ha origine, di un soggetto che è assente e non è presente nell’immagine e nel diegetico. Sullo schermo è oggettivata la paura del nulla, di essere guardati da qualcosa che non esiste o che esiste ma non può essere visto; cioè di una figura matrice che per sua natura è rimossa e negata alla vista, che non è inscritta nel visibile. Allo stesso tempo il fatto che Devon diventa l’oggetto di sguardo di un qualcosa che è assente dall’orizzonte visivo dello spettatore e che non emerge nemmeno nel testo, oggettiva ed evoca il carattere di oltreuomo della filosofia nietzschiana. Nietzsche infatti nel suo al di là del bene e del male, nell’Aforisma 146, dice: “Chi lotta contro i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro. E se tu riguarderai a lungo in un abisso, anche l’abisso vorrà guardare dentro di te216”. Il film quindi oggettiva questa asserzione nel segmento in cui Devon cerca di vedere all’interno della finestra, oltre il vetro, configurando allo stesso tempo la soggettiva del soggetto-assente-negato, senza punti di riferimento, senza rivelare il soggetto che guarda, proprio perché è qualcosa, un’entità che sfugge non solo alla nozione di assenza, ma alla nozione di soggetto. È in un certo senso l’ente inteso come “essere nel mondo”, ma la struttura ambigua e complessa di Inland Empire oggettiva questo passaggio prendendo alla lettera la nozione di Heidegger dell’essere come temporalità, e questa configu-razione particolare del tempo in cui vi è collocato l’essere (in cui per Heidegger ne determina la temporalità come momen-to di contestualizzazione della problematica dell’essere217), è fortemente ambigua e non lineare, in quanto viene rivelata ed emerge molto più avanti nella narrazione.

Devon non può entrare nella casa artificiale perché essa è

216 FRIEDRICH NIETZSCHE, Jenseits von Gut und Böse, Lepzig, Druck und Verlag, 1886, trad. it. Al di là del bene e del male, in Nietzsche werke, Kritische Gesamtausgabe, Herausgegeben von Giorgio Colli und Mazzino Montinari, Berlin, Walter de Gruyter, 1967 trad. it. Opere, Milano, Adelphi, 1972-1973.

217 Per una definizione più esauriente dei termini formulati da Heidegger, oltre a vedere il già citato Essere e tempo, si veda: GIANNI VATTIMO, Introduzione a Heidegger, cit.

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una configurazione di Nikki, il simulacro del visibile, il luogo di oggettivazione dei fantasmi interni, cioè il cinema e i pro-cessi psichici che attiva. La casa infatti presenta una serie di finestre di vetro che oggettivano lo schermo cinematografico attraverso un meccanismo di forte simbolizzazione dello spa-zio, che il testo configura in una relazione ambigua di avanti e dietro. Se dall’altra parte del vetro schermico è configurata una presenza negata, che si mostra nella sua funzionalità nel momento in cui Devon guarda dall’altra parte della finestra; il rapporto che viene oggettivato dal testo è un rapporto di simmetria non solo tra soggetti differenti, ma un rapporto di simmetria tra universi significanti che perdono il loro caratte-re di alter natività, di alternativa possibile tra mondi e imma-gini del mondo. Devon continua ad andare intorno alla caset-ta, a girare intorno al problema dell’interpretazione, a cercare nuove e differenti strade analitiche che sono “perdute” e han-no una capacità di assorbimento così forte da fare perdere il visibile e ciò che vi è immerso dentro. Le soggettive di Devon che si schiudono nella micro-sequenza registrano il nulla e il simulacro, ma non lo specchio simmetrico che lo proietta e lo configura. È quindi un orizzonte di forte metaforizzazione, di artificialità inquietante e misteriosa che attraversa la stessa funzione diegetica di Devon.

Successivamente, dopo questo viaggio nel nulla in una prospettiva extra-testaule di grande valenza simbolica, tutti i quattro soggetti della sequenza si ritrovano al tavolo dove precedentemente stavano provando la parte. Adesso si apre una nuova prospettiva per il testo e per lo spettatore posto di fronte a esso, e in un certo senso si può dire che ora si apre il film vero per lo spettatore (o uno dei film possibili). In effetti questa affermazione non è poi tanto provocatoria o azzardata, e il momento in cui viene formulata è pertinente in quanto i regimi di messa in scena che fino a ora si erano sus-seguiti, avevano tutti un rimando, un riferimento a qualcosa di diverso, differente l’uno dall’altro. Ma questo segmento poi è di grande rilevanza perché introduce nettamente il film in maniera alquanto particolare e ossessivamente riflessiva, non che prima, soprattutto nella sequenza iniziale, il carattere au-

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toriflessivo e metacinematografico del film non si sia fatto sentire, non emergendo dalle configurazioni del testo. D’ora in poi il carattere metaforico di oggettivazione non solo del dispositivo cinematografico, ma della doppia messa in scena, è radicale più di quanto non lo fosse prima. Il film infatti ini-zia, dal punto di vista narrativo, nel momento in cui gli attori si preparano facendo delle prove di recitazione. È vero però che fino a qui alcune sequenze avevano una continuità e una coerenza logico-formale che il segmento in analisi non fa che ribadire; ma quello che segna un passaggio, il punto di sutura, uno dei punti di sutura possibili all’interno del testo, è che in questa sequenza viene svelato un particolare non irrilevante della storia del film diegetico in cui sono iscritti i personaggi, e del film extradiegetico che sta vedendo lo spettatore. Sul concetto di sutura in ambito filmico Elena Degrada affer-ma che ogni porzione di campo che determina l’immagine schermica: “Si prolunga, al di qua della ‘quarta parete’ che dovrebbe chiuderlo in uno spazio immaginario che non si dà a vedere ma da cui è visto. A ogni campo corrisponde quindi un campo invisibile, definito [...] campo dell’Assenza. Ed è in questo campo invisibile che si colloca lo spettatore (la sua fi-gura immaginaria, definita l’Assente). [...] In questo consiste la sutura: nell’abolizione dell’Assente attraverso la sua materia-lizzazione in qualcosa d’altro, nella conversione dell’Assenza posta dal significante in una presenza che la salda e la chiu-de218”.

Attraverso questo procedimento di sutura, ma non solo, tutto l’orizzonte narrativo e testuale del film si relazionerà a questo aspetto delle doppie storie interne al film, delle doppie messe in scena, di una micro-messa in scena iscritta in una macro-messa in scena. Non si risolve l’enigma di partenza, ma proprio la riaffermazione dell’enigma con caratteristiche e formulazioni più nitide e ampie da parte di un soggetto diegetico aumenta la tensione in un procedimento di messa in scena molto funzionale alla suspense. È un procedimento che

218 ELENA DEGRADA, L’analisi testuale del film. Uno sguardo storico, In PAO-LO BERTETTO (a cura di), Metodologie di analisi del film, cit., p. 20.

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utilizza frequentemente un regista come Hitchcock, in cui la suspense viene attuata non attraverso dei colpi di scena ma mettendo a conoscenza lo spettatore e alle volte il soggetto attante dell’imminente accadimento di un qualcosa. Lo spet-tatore già sa che può avvenire qualcosa, che una bomba può esplodere o un uomo essere assassinato, e la tensione narrativa grazie a queste informazioni viene portata all’eccesso facendo così in modo che lo spettatore si identifichi ancora di più nel personaggio del film, in quanto vuole vedere in che modo l’accadimento si manifesterà, come risolverà, come agirà.

Se Lynch usa l’accorgimento di fornire informazione al sog-getto iscritto nell’immagine, al soggetto collocato nello spa-zio filmico, egli si distacca però da Hitchcock nella configu-razione del ritmo delle sequenze e nella costruzione narrativa. Le sequenze di Inland Empire (e di buona parte del cinema di Lynch) nel più delle volte non configurano un ritmo narrativo serrato e incalzante, ma passano continuamente da momenti di quiete a momenti di esasperazione, fino a configurare l’al-terità e l’eccesso (con forti connotati narrativi). Lynch è più fedele alla lezione di Ejzenštejn sul “momento aggressivo del-lo spettacolo219” in quanto la sua è una scrittura dell’eccesso, del dolore, del conflitto di mondi esterni e interni, psichici e fenomenici, diegetici ed extradiegetici, oggettivati secondo le regole del potenziale e del desiderio che si configura ma non si realizza. È un mondo dell’eccesso e della crudeltà, è in forme inedite un cinema della crudeltà, che riprende in parte Artaud ma lo supera grazie al mezzo espressivo e al dispo-sitivo tecnologico che ha a disposizione, grazie alle capacità configuranti e allucinatorie della macchina-cinema.

Attraverso un’articolazione complessa della sequenza, Lynch fa parlare Kingsley a Nikki e Devon del soggetto del film che dovranno interpretare. Il segmento configura diversi elementi di grande importanza per far emergere i sensi latenti del testo e configurare in maniera ambigua tutto l’orizzonte

219 SERGEIJ M. EJZENŠTEJN, Montaz Aktraccionov, in “Lef ”, n. 1, 1923, trad. it. in ID, Il montaggio, Venezia, Marsilio, 1986.

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enigmatico del film nel film220. L’enunciato verbale si scom-pone in questi frammenti:

– la non originalità del soggetto;– il titolo precedente;– il soggetto originario e la sua provenienza;– la fine delle riprese del film precedente perché è successo

qualcosa;– il brutale assassinio degli attori protagonisti del film pre-

cedente.Nel momento in cui Kingsley sviluppa e approfondisce que-

sti elementi, il suo stato emozionale muta continuamente di forma, passando da eccitazione a prudenza e viceversa. Cer-chiamo ora di penetrare accuratamente negli enunciati e ve-diamo di interpretarli facendo attenzione ai sensi di cui sono portatori e le relazioni testuali che attivano in maniera più o meno palese. La non originalità del soggetto del film Il buio cie-lo di domani oggettiva ossessivamente il carattere di simulacro del cinema, oltrepassando la stessa immagine filmica e scher-mica. La micro-sequenza che si svolge nel set in allestimento inizia proprio con la panoramica dello script del film, oltre-passandolo e immergendo lo sguardo all’interno dello Stage 4, cioè all’interno del testo stesso. Questo processo si realizza attraverso un orizzonte metaforico e autoreferenziale di gran-de capacità evocativa che riflette sullo statuto di funziona-mento del cinema, sulle modalità di stratificazione del senso latente e del testo stesso, sui procedimenti di occultamento dei propri elementi, caratteri e codici semiotici, sui modelli di emersione del senso. L’uso di figure retoriche all’interno del segmento è funzionale alla complessità del testo, e Lynch lavora costantemente con figure di complessa latenza (indi-pendentemente se inscritte o meno in una dimensione onirica

220 È facilmente intuibile che i due universi significanti separati, che corrispondono alle due messe in scena, tendono sempre più a fondersi e confondersi in un uni-co orizzonte significante che destruttura il visibile e lo rende sempre più irreale luogo di oggettivazione del fantasma. Lynch opta per un visibile che configura l’inconscio fin dentro le proprie strutture di significazione e negli stessi mecca-nismi di funzionamento della macchina testuale.

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come fa ad esempio Bunuel221). La non originalità del sogget-to diventa la metafora di un mondo che, oltre a non essere ordinato, è dominato dalla copia e dalle tracce, da frammenti di immagini che si costituiscono come immagini esse stesse, come unica realtà oggettiva in un mondo (quello del cinema) in cui non esiste realtà, ma che tende a rendere fragile i propri limiti e confini con una realtà fenomenica ed extradiegetica anch’essa fragile e incerta.

Sulla questione del titolo del film precedente, che l’enun-ciato verbale configura, il discorso è più complesso perché intreccia saperi differenti e merita una trattazione più ampia e organica. Quello che il testo oggettiva in questo segmento è il problema degli universi possibili e molteplici, di universi paralleli che si intrecciano e si confondono totalmente. Gli universi non sono più solamente entità pulsionali e psichiche inscritte nel desiderio dei soggetti che negano l’esistenza di una sola realtà oggettiva, configurando un mondo che secon-do Nietzsche è mera rappresentazione di se stesso e non sono nemmeno unicamente entità in cui si iscrivono differenti configurazioni del tempo. Sono entità culturali che configu-rano mondi astratti con tratti di reale, in quanto investono caratteri geografici ed etnici esistenti. Sono universi in cui il grado di verosimiglianza e di reale è un’opzione minima che si perde nelle sue figure e immagini potenziali. D’altronde al cinema il rapporto con il reale è unicamente un’opzione di messa in scena, una delle tante possibili che sceglie il regista. Ritornando sulla questione dei mondi come entità eteroge-nee, il discorso cambia se si considerano questi aspetti etnici, geografici e culturali, ordinati nel visibile del film. Quella che si vede nel film non siamo sicuri che sia veramente Hollywo-od, che siano i veri studios cinematografici, che sia veramente la cittadina polacca di Łódź, ma nella diegesi del film viene configurata come tale, è tutto un universo di mera apparenza e simulazione che assume la centralità del visibile. Anche il

221 Sulle figure significanti che infestano il cinema di Bunuel, si veda: PAOLO BER-TETTO, Figure. Immagini dell’inconscio nel cinema di Bunuel, in “La Valle dell’Eden”, n. 3, settembre-dicembre, 1999.

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set, contenuto all’interno di un falso diegetico dal carattere potenziale, è dominato dalla simulazione, dalla fascinazione che la simulazione suscita e che trasforma gli oggetti insieme ai confini e alle forme di questi oggetti (e di tutte le immagini iscritte nel visibile) in altri oggetti che perdono la loro origine e la propria funzionalità.

La casetta del set, nonostante sia capace di organizzare il visibile e di diventare vettore di significazione e di emersio-ne del senso, è essa stessa falsa, finta, un simulacro. È tutto illusivo, e i mondi possibili e radicali, essendo artefatti, sono carichi di ambiguità e complessità. Questi aspetti si vedono bene nel testo, in diverse sequenze, e in questo segmento in particolare vengono oggettivati dal testo attraverso degli enunciati verbali. D’altronde lo stesso “Stage 4” è dominato da questa dinamica configurante degli universi, da questo ca-rattere ambiguo e assorbente dei mondi, dal carattere creativo dell’inesistente. Non è un caso che la casetta del set assuma molteplici valenze significanti, configurazioni metaforiche e metacinematografiche di grande fascinazione ed enigmatici-tà, proprio a indicare e rimarcare il carattere ambiguante e artificiale.

Nell’enunciato verbale che Kingsley formula ai due attori, viene rivelata l’origine del soggetto del film che stanno realiz-zando, affermando che si tratta:

di un remake; – di una leggenda di zingari polacchi. Il carattere significante di remake oggettiva la riflessione

sul tempo che era stata fatta precedentemente in questa sede, soffermando l’attenzione sul tempo narrativo in Lynch e la distruzione degli ordinamenti cronologici. Il remake diventa quindi un’interpretazione del tempo e degli eventi verificati in quel determinato arco di tempo, che nella semiosi e nella diegesi di Inland Empire diventa interpretazione di un univer-so assente e separato dal fenomenico, in cui si inscrivono e riconfigurano immaginario e simbolico in modalità ossessive e perturbanti.

Sulla questione invece del vero soggetto del film, la leggen-da degli zingari polacchi rivela finalmente il problema posto

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fin dall’inizio del film, e cioè quello dei corpi senza identità che erano inscritti nella prima sequenza e il perché parlassero in polacco. Questo disvelamento di un enigma, non fa altro che introdurre un nuovo enigma che crea ulteriori problemi all’analisi. Riprendendo la sequenza iniziale del film, notiamo delle incongruenze all’interno del testo. L’enunciato verba-le di Kingsley sulla leggenda degli zingari polacchi pone un problema di iscrizione e di logicità del testo. Se prendiamo le due sequenze in questione e le mettiamo a confronto, no-tiamo che la prima sequenza inscrive il soggetto del film in maniera differente rispetto al nesso logico e temporale del film. Va bene che Lynch sgretola la logica e i caratteri di causa ed effetto della narrazione classica, ma Inland Empire, pur por-tando in maniera radicale un discorso particolare di riflessio-ne sul cinema, è pur sempre un film narrativo. Non è un film d’avanguardia o underground, pur se attraverso una comples-sità molto forte, configura e attinge da quel materiale e da quegli orizzonti formali. La prima sequenza del film, quella in cui un uomo e una donna che parlano polacco entrano in una stanza d’albergo e consumano un rapporto sessuale, dovrebbe almeno in apparenza configurare al proprio inter-no il soggetto del film che stanno reinterpretando Devon e Nikki. Il problema è lo spazio filmico e gli oggetti inscritti al proprio interno. Se il film in questione fosse effettivamente un remake di un soggetto originale che trattava di zingari polacchi, l’ambientazione della prima sequenza non dovrebbe mostrare uno spazio formale dominato dalla modernità dei mobili, simile a quello per esempio che viene inscritto nella parte finale del segmento dei conigli. Lo spazio dovrebbe es-sere caratterizzato da mobili e orpelli antichi e non da luci al neon. È uno spazio formale dal livello altamente simbolico, che riconnette il proprio orizzonte di riferimento all’orizzon-te filmico di Lynch.

Il corridoio della prima sequenza di Inland Empire è uguale e differenziale al corridoio della casa di Fred e Renee e al corri-doio nella casa di Andy presente in Lost Highway. Sono diffe-renziali nella loro relazione extrafilmica per il semplice fatto che, mentre il corridoio di Lost Highway tende a trasformare i

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soggetti in nuove identità possibili legate al desiderio e a una duplice pulsione di piacere e di morte, in Inland Empire il cor-ridoio diventa l’orizzonte visivo e spaziale della perdita tota-le e definitiva dell’identità e quindi dell’identificazione con il nulla o, per dirla con l’espressione di Julia Kristeva, dell’abiet-to222, cioè di un’essenza inquietante che non ha connotati e che è impossibile sapere persino se esiste o no, che è impos-sibile vedere, di cui non si conosce nulla, nemmeno l’imma-gine. Proprio questa assenza d’immagine di un’entità astratta che afferma la propria presenza attraverso le false soggettive, configura dei doppi molteplici, si identifica con i soggetti che guarda, diventa soggetto assente/presente di sguardo ma non è mai oggetto dello sguardo. È un oggetto che viene guardato ma non visto, che infrange il rapporto percettivo. È un’entità che nega la percezione.

Ritornando al discorso della leggenda degli zingari polacchi è vero che l’affermazione di Kingsley rompe un enigma di partenza, ma la rottura è funzionale alla configurazione di altri enigmi e nodi problematici del testo. Tutte le sequenze e i segmenti che lungo tutto il film configurano riferimenti alla Polonia e alla cultura polacca in generale, sono una spiegazio-ne dei problemi che precedentemente erano stati sollevati dal testo. I due personaggi con i volti negati che parlano polacco, ma anche riferimenti che questo saggio affronterà più avanti, sono elementi che confermano la risoluzione del primo enig-ma. Inland Empire, e in generale il cinema di David Lynch, ha abituato lo spettatore a enigmi di partenza irrisolvibili, col-locati in un film dalla struttura fortemente complessa in cui, anche se vengono risolto uno o più enigmi durante tutta la narrazione del film, non è detto che la fine del film coincida con la risoluzione di tutti gli enigmi incontrati. È un proce-

222 Si veda: JULIA KRISTEVA, Pouvoirs de l’horreur. Essai sur l’abjection, Paris, Éditions de Seuil, 1980, trad. it. Poteri dell’orrore. Saggio sull’abiezione, Mila-no, Spirali Edizioni, 1981; BARBARA CREED, Kristeva, Feminity, Abjection, in ID, The Monstrous-Feminine. Film, Feminism, Psychoanalysis, London and New York, Routledge, 1993, pp. 8-15, trad. it. ID, Krisetva, la femminilità, l’abie-zione, in GIULIA FANARE, FEDERICA GIOAVNNELLI (a cura di), Ereti-che ed erotiche, cit., pp.175-83.

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dimento decisamente ossessivo e che fa risultare, soprattutto Inland Empire, l’esperimento filmico più difficile per lo spet-tatore e l’interprete, il punto di non ritorno per Lynch e per tutte le riflessioni sul cinema e sui testi significanti passate e a venire.

Un altro aspetto fondamentale configurato dal discorso di Kingsley è l’interruzione delle riprese del film precedente perché all’epoca avvenne qualcosa. Kingsley, come si è vi-sto, tenta nel suo discorso di creare una specie di suspense nei confronti di Nikki e Devon, che si sostituiscono in un procedimento extradiegetico allo spettatore cinematografico. Kingsley, da regista diegetico del film, si trasforma in oggetto di spettacolo fascinativo all’interno del diegetico. La suspen-se è realizzata in quella sospensione non convenzionale del racconto cinematografico in cui la risposta, l’informazione, avvengono dopo diversi passaggi narrativi. Così avviene in questo segmento in cui in termini testuale Kingsley oggettiva la precedente funzione di Devon in relazione alla casetta del set, e cioè l’uso del testo (e nel caso precedente del profil-mico) in contrapposizione al discorso sul film. Kingsley gira intorno al problema che cerca di sollevare, ma ancora non riesce a configurare la soluzione, a risolvere il mistero dell’in-terruzione delle riprese. Tra l’altro il procedimento di messa in scena configura un meccanismo di significazione di grande complessità, ma soprattutto di radicale ambiguità in relazio-ne ai processi di oggettivazione di alcune riflessioni teoriche. L’impossibilità da parte di Kingsley di svelare il motivo per cui le riprese sono state interrotte oggettiva un atto mancato ma in maniera alquanto ambigua. Tale procedimento è porta-tore di ambiguità perché oggettiva l’atto mancato non in ma-niera completa, proprio perché poco dopo ne svela il motivo, la ragione su cui si regge l’impalcatura teorica del discorso di Kingsley. Ma l’oggettivazione dell’atto mancato è funzionale a quello che avviene successivamente nel testo, e cioè la rive-lazione dell’omicidio, del motivo evocato ma non palesato. Il motivo latente è da ascrivere alla realizzazione di un’atmosfe-ra di inquietudine e di configurazione di un perturbante, cioè di una figura dell’eccesso e dell’angoscia. L’iscrizione dell’as-

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sassinio dei due protagonisti oggettiva il perturbante freudia-no mettendolo in relazione all’atto mancato, relazione forzata in quanto negli scritti di Freud non c’è alcuna relazione chiara effettiva tra l’atto mancato e il perturbante.

Esiste però un punto di incontro tra i due fenomeni psichi-ci, in quanto l’atto mancato si rivela dominato da due forze conflittuali, una che crea l’intenzione di fare una determinata azione, e una che si oppone sostituendola con un’altra azio-ne involontaria, prodotta nell’inconscio. Questa lotta tra due forze produce un conflitto psichico. In modalità differente, l’inconscio crea il perturbante in relazione a elementi rimossi e a concezioni che si credevano superate e represse. Quindi, in ultima istanza, l’atto mancato rivela un conflitto inconscio tra un’intenzione cosciente che viene perturbata e un’inten-zione perturbante che agisce sotto il livello della coscienza. Anche Freud in questo senso, nel più volte citato saggio del 1919, si pone una domanda che può stabilire un punto di con-tatto sui rapporti tra i due fenomeni psichici. Egli infatti dice: “Se la teoria psicoanalitica è nel giusto quando sostiene che qualsiasi lotta che qualsiasi stato affettivo pertinente a un im-pulso emotivo, se rimosso, si trasforma, a prescindere dalla sua natura, in angoscia, si deve allora trovare, tra gli esempi di eventi paurosi, un gruppo per il quale si può dimostrare che l’elemento spaventoso è costituito da qualcosa di rimosso che si ripresenta223”. Da questo punto di vista si può dire che l’atto mancato diventa una possibile manifestazione del perturban-te, perché oggettiva l’inquietudine e, nel nostro caso, inscrive il simbolico nell’orizzonte di significazione del testo filmico.

Per quanto riguarda il problema del massacro dei due pro-tagonisti sollevato dal discorso di Kingsley, esso è funzionale alla realizzazione di un elemento fortemente ricorrente nel cinema e nella messa in scena di Lynch, e cioè quello della scrittura dell’eccesso e dell’inscrizione del perturbante nella figurazione del visibile stesso. Come si è visto già nelle analisi precedenti, possiamo dire che il perturbante è l’oggettivazio-ne alterica di un doppio rimosso che ritorna e che si configura

223 SIGMUND FREUD, Il perturbante, cit., pp. 239-240.

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e ri-figura nel visibile e nell’orizzonte immaginario. Questo eccesso, questo vettore di paura e inquietudine preso dalla psicoanalisi, oggettiva ancora una volta un simulacro che si identifica in quell’entità assente che nel testo viene evocata come presenza latente, come orizzonte di significazione, come fantasma rimosso, capace di attivare relazioni intersoggettua-li e fenomeniche, nonostante per sua natura rimuova qualsiasi evento di riferimento. L’inscrizione del perturbante è quin-di funzionale alla realizzazione di una visione orrorifica che riflette sull’inquietudine del soggetto come assenza e come negazione di sé. La negazione di sé è da considerarsi come negazione e de-umanizzazione di qualsiasi comportamento umano, e il perturbante diventa la manifestazione simbolica e immaginaria di un’alterità profonda, demoniaca, delirante e allucinatoria mischiata ai fantasmi psichici. L’assenza del soggetto in questo caso non è da intendere come la configu-razione di un orizzonte significante dominato da un mondo potenziale che trasforma gli stessi soggetti umani in potenze, ma è la negazione di qualsiasi carattere umano, attraverso un meccanismo metaforico di un soggetto che ha perso defini-tivamente i suoi connotati fisici e psichici, e diventa soggetto (assente) portatore di pericolo e morte. In questo senso c’è un orizzonte di riferimento ben preciso che è di tipo meta-forico, in cui si realizza questo meccanismo, oggettivando la psicoanalisi freudiana in rapporto al piacere dell’individuo e, nel nostro caso, rispetto al soggetto iscritto nell’immagine. Questo aspetto viene attuato attraverso un meccanismo di significazione che agisce per metafore e associazioni di idee e che affianca simbolicamente l’inconscio con l’azione del film. In finale questa presenza “assente” dalle molteplici forme e configurazioni sta a indicare la perdita dell’umano in favore non solo dell’artificiale, ma di un simulacro, e in questo caso a vantaggio dell’oblio e del nulla, cioè della propria origine e della propria traccia originaria perduta.

Si è visto nel segmento che Kingsley, parlando dell’in-terruzione delle riprese del film, introduce nel discorso un problema sulla sospensione dell’azione inscritta nel tempo, lasciando spazio così a una riflessione sulla sospensione del-

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la durata del tempo e del tempo come divenire. È qui og-gettivata una sospensione dell’ellissi temporale, non una vera propria realizzazione dell’ellissi, in quanto a una situazione spazio-temporale allo stacco dell’azione, pur corrispondendo-ne un’altra differente rispetto alla precedente, l’azione viene semplicemente sospesa innescando una frattura temporale che più avanti nel testo si vedrà. Attraverso l’ellissi “senza alcuna soluzione di continuità, il racconto passa da una de-terminata situazione spazio-temporale a un’altra, omettendo completamente la porzione di tempo compresa far le due224”. Nel caso di Inland Empire, la porzione di tempo che di nor-ma viene omessa fra le due parti, è invece inscritta tra i due segmenti, separandoli e sospendendo così l’azione. In fin dei conti questo tipo di configurazione temporale presente nel te-sto, non è una vera e propria ellisse, ma è la riconfigurazione della stessa, la cui funzione viene assunta da un’azione divisa in due, che assume la funzione dell’ellisse, cioè una funzione diversa dalla propria.

In questo modo, attraverso un’ellisse riconfigurata, Lynch relega l’azione stessa a un tempo indeterminato, configurando il testo filmico come oggetto infinito da cui emerge un tempo infinito. Ma l’esistenza, o la presunta esistenza di un ogget-to infinito, implica necessariamente l’esistenza o presenza di un testo finito che crei una relazione di scarto nell’ordine del simbolico. In termini freudiani tutto ciò si può riallacciare al fatto che l’inconscio non esaurisce il conscio, ma sviluppa una relazione topica e transazionale di continuo scambio e tra-sformazione (apparente) dell’oggetto. Si oggettiva quindi, in

224 FRANCESCO CASETTI, FEDERICO DI CHIO, Analisi del film, cit., pp. 150-151. Sul concetto di ellisse, si veda anche: FRANCESCO CASETTI, I bor-di dell’immagine, in “Versus”, n. 29, 1981. Per il concetto di tempo in ambito testuale e filmico si veda: GERARD GENETTE, Figures III, cit.; PAUL RICO-EUR, Temps et récit I, Paris, Seuil, 1983, trad. it. Tempo e racconto I, Milano, Jaka Book, 1986; ID, Temps et récit II, Paris, Seuil, 1984, trad. it. Tempo e racconto II, Milano, Jaka Book, 1987; ID, Temps et récit III, cit.; DAVID BOR-DWELL, Narration in Film Fiction, Madison, University of Wisconsin Press, 1985; GIULIA CARLUCCIO, Lo spazio e il tempo, Torino, Loescher, 1988; GIANFRANCO BETTETINI, Tempo del senso, Milano, Bompiani, 1979.

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questo micro-segmento, la teoria dell’oggetto transazionale225 di Winnicott e la scuola neofreudiana.

Il discorso che fa Kingsley configura un ultimo aspetto che merita di essere interpretato, e cioè il titolo del film preceden-te. Egli afferma che questo titolo precedente era: Vir sieben, Quattro sette, e che questo numero porta sfortuna. Il carattere di sfortuna che emerge dal discorso di Kingsley è da inten-dere come oggettivazione del carattere magico di tutti i film che vengono configurati dal testo di Inland Empire. Il carattere magico del film non è presente attraverso l’inscrizione di ele-menti fantastici ed esoterici all’interno dell’immagine filmica, anche se il testo presenta determinati a differenti elementi irrazionali; ma è presente attraverso:

– l’evocazione tramite enunciati verbali di avvenimenti ma-gici o comunque irrazionali che avvengono all’interno del film;

– il carattere misterioso e oscuro del visibile;– l’inscrizione di elementi designificati di normale utilizzo

che si configurano come nuovi significanti portatori di signi-ficati alterati (i numeri ad esempio). Cosa alquanto normale in un universo dominato da una continua semiotizzazione del visibile.

Lynch è sempre attento alle discipline filosofiche orientali, cosa che ha spesso inserito nei suoi film come riferimenti, as-sociazioni di idee, allusioni. Questo carattere magico, questo interesse, è presente nei testi lynchani e in particolar modo in Inland Empire, in cui emerge un tipo di magia nera che si connette a un particolare cinema americano d’avanguardia (in particolare Kenneth Anger226), che configurava l’esoteri-co e l’occulto nell’orizzonte di riferimento degli eventi, nel visibile stesso. Già si è visto come il cinema di Lynch prende

225 Si veda su questo aspetto alquanto controverso: DONALD WOOD WINNI-COTT, Gioco e Realtà, Roma, Armando Editore, 1974.

226 Sul cinema esoterico di Anger si veda: ALICE L. HUTCHISON, Kenneth An-ger: A demonic visionary, London, Blacl Dog Publishing, 2004. Si veda anche sul cinema underground americano: PAOLO BERTETTO, Il grande occhio della notte, cit.

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come riferimento questo particolare cinema sperimentale che si pone ai limiti della narrazione, riscrivendo (in termini di scrittura filmica) la continua sospensione narrativa nella rifi-gurazione della “a-narratività” cinematografica227. Il procedi-mento che attiva il testo di Inland Empire in particolare è una configurazione narrativa a ostacoli, cioè una narrazione che si interrompe continuamente a causa della presenza di elementi eterogenei che scuotono il normale svolgimento della storia, affermando il carattere aperto e frammentario del testo nar-rativo e significante. Questa caratteristica non è prerogativa assoluta di Inland Empire, ma nel film viene portata all’estremo dalle possibilità e dalle determinazioni visivo-dinamiche del testo. Si tenga presente che il carattere magico, inquietante e misterioso del film, non è da intendere come oggettivazione e configurazione diretta dell’occulto e dell’esoterico, ma l’oc-culto e l’esoterico diventano metaforizzazioni sostitutive di un particolare aspetto del testo e delle molteplici figurazioni del significante immaginario. L’obiettivo di Lynch con questo film non è l’occulto, ma la radicalizzazione spietata di una cri-tica alla macchina produttiva cinematografica di Hollywood, e l’emersione del carattere inquietante e misterioso che emer-ge. La scritta di Hollywood d’altronde è costantemente inseri-ta nel visibile sia come immaginario che come oggetto diege-tico, ma viene successivamente rimossa, in quanto il cinema rimuove e occulta il proprio funzionamento per far emergere i fantasmi. Il discorso che si sta facendo va oltre l’immagine filmica (non solo in termini di figurale), abbracciando quindi il processo produttivo. Sia chiaro però che non si va oltre il testo per utilizzarlo in prospettiva diversa rispetto a quello che si è fatto finora, si va oltre il testo perché è lo specifico del testo che lo richiede per continuare il discorso interpretativo precedente. Questo è uno dei tanti aspetti carichi di comples-sità e difficoltà interpretativa presenti nel testo.

227 Il termine di “a-narratività” qui utilizzato, si riferisce a una configurazione del-la narrazione ai limiti, molto marginale, che concepisce il testo filmico quasi unicamente come esibizione di oggetti inscritti nell’immagine. il termine non si riferisce alla sospensione della narrazione che investe diversi testi filmici (o letterari), di particolare sperimentazione o avanguardia.

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Oltre agli interrogativi qui analizzati, ci sarebbe un nuovo interrogativo che il testo pone alla fine di questa sequenza ma che il discorso di Kingsley tralascia e non affronta, e cioè il motivo per cui gli attori polacchi vennero assassinati. La messa in scena di Lynch certamente mette in dubbio, come lo stesso testo ha più volte confermato, la probabile e plausibi-le risposta a qualsiasi interrogativo, inscrivendo nuovamente l’irrilevante nell’orizzonte dei fenomeni, diventando esso stes-so uno dei possibili orizzonti del visibile.

Sia chiaro che l’irrilevante di cui parla Lynch, a differenza di quello di Godard, è un orizzonte presente/assente all’interno di un universo rilevante e fenomenico con diversi gradi di in-tensità e significazione. Ma il testo filmico in questa sequenza costruisce un nuovo enigma, un nuovo mistero che in ma-niera ambigua crea sconcerto e incertezza. Da un lato c’è una riaffermazione dell’enigma di partenza che dall’inizio del film era stato oggettivato sullo schermo e ossessivamente evocato in maniera ambigua come latenza; dall’altro lato l’enigma di partenza viene disatteso e negato, perdendosi negli stessi rife-rimenti connotativi. Ma in fondo, il testo di Inland Empire che enigma di partenza aveva configurato? Lynch lavora su di un materiale così eterogeneo e plurisignificante che è capace di assorbire e destrutturare qualsiasi cosa e qualsiasi orizzonte del senso. È il testo filmico che si fa enigma radicalizzando il suo normale statuto di funzionamento fatto di complessità e latenze molteplici. L’enigma di partenza è quindi il testo stesso nelle sue articolazioni e configurazioni autoreferenzia-li, è la maniera della scrittura filmica, il ragionamento sulle problematiche del linguaggio, è lo studio delle figure, degli oggetti, dei soggetti in relazione e in rapporto con lo spazio e il visibile.

In Inland Empire il testo filmico tende a rimuovere, oltre ai meccanismi di funzionamento e significazione, anche l’oriz-zonte degli eventi e il visibile, la narrazione. Il film si confi-gura come eterno e continuo ritorno del rimosso. Abbiamo già visto come Freud affida al rimosso che ritorna il carattere perturbante. Analizzando la configurazione narrativa di In-land Empire ci si accorge che il perturbante è inscritto nella

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struttura narrativa del film, nella scelta dei regimi narrativi e nelle possibilità di messa in scena, nel carattere inquietante del visibile, ma anche nella narrazione dilatata e sospesa che rende l’oggetto percepibile in maniera angosciante e ossessi-va, cioè perturbante.

Il doppio e la pulsione di morte

Abbiamo visto come la sequenza precedente configuri la si-mulazione in rapporto alla recitazione e al processo di messa in scena. Il testo ora presenta due micro-sequenze che possia-mo considerare di raccordo, poste tra la sequenza che prece-dentemente era stata analizzata e una successiva sequenza che verrà indagata nel paragrafo successivo.

Nel primo caso la mdp mostra l’interno della casa di Nik-ki. All’interno ci sono, oltre alla padrona di casa e suo mari-to, anche due persone anziane, precisamente un uomo e una donna che si rivolgono a Nikki in lingua polacca. Dopo un po’ l’uomo si rivolge a Nikki in lingua inglese chiedendole se parlasse polacco. Nikki gli risponde con sicurezza di no, e l’uomo si rivolge al marito di lei, dicendogli: «Una metà...». Il marito afferma: «Credo che lo capisca molto di più di quanto lasci intendere» e Nikki gli risponde con disinvoltura all’illa-zione dicendo «... Ma non lo parlo». Dopo questo breve scam-bio di battute tra i due, Nikki viene guardata in silenzio con un espressione oscura da suo marito e dalla donna anziana. C’è da parte del marito un’espressione che potremmo definire preoccupata e allo stesso tempo meravigliata. Un misto di curiosità e rabbia. È difficile dire con chiarezza cosa stia pen-sando il marito e il motivo, ma l’espressione lascia intendere ed evocare un orizzonte negativo che sembra confermare gli avvertimenti rivolti a Devon dai collaboratori nella micro-sequenza del camerino. Pur se precedentemente il marito di Nikki veniva configurato verbalmente come soggetto potente e pericoloso, ora assume in questo segmento delle caratteri-stiche contrastanti e differenti di scontro tra due pulsioni, si

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configura come soggetto impotente incapace di reagire. Lynch trova nel marito di Nikki un soggetto capace di oggettivare le due forze psichiche (i due bisogni) che regolano la mente umana secondo Freud: una forza che tende verso il piacere e un’altra che la reprime, o in altri termini una che crea il desi-derio e un’altra che lo reprime. Proprio in questo segmento il marito di Nikki, infatti, sembra essere attraversato da queste due dinamiche; egli desidera reagire e rispondere a Nikki ma attua una repressione del desiderio, e proprio la sua espres-sione enigmatica sta a indicare un’alterazione psichica dovuta allo scontro di queste sue forze psichiche: il desiderio e la sua negazione, il piacere e la sua repressione228. Visto che il sog-getto in questione è attraversato dal piacere e dal suo raggiun-gimento in relazione a una risposta o un gesto nei confronti di Nikki, si può ipotizzare che il desiderio represso sia da inscrivere in una pulsione di tipo sadico e quindi voyeuristica nella continua ricerca di un controllo sul soggetto femminile. Questo controllo è attivato attraverso lo sguardo, nonostante intervenga una repressione di quell’istanza desiderante.

L’importanza di questo segmento non sta tanto nella dina-mica degli sguardi che articola, pur assumendo una rilevanza dirompente nell’analisi testuale, ma l’importanza sta proprio nella configurazione di sequenza di raccordo in relazione a qualcosa di nuovo che non è visibile nell’orizzonte figurale, ma emerge con forte inquietudine da quell’orizzonte ambiguo e complesso. Le due persone anziane pongono nuovamente altri interrogativi che si vanno ad aggiungere a tutti i prece-denti che fin qui il testo ha suggerito nelle sue articolazioni.

– Chi sono quell’uomo e quella donna?– Cosa sanno l’uomo anziano e il marito di Nikki che lei

non sa?– Per quale motivo Nikki conosce la lingua polacca o co-

munque perché dovrebbe conoscerla?

228 Oltre ai già citati saggi di Freud, Mulvey, Metz e Stam, si veda su questo argo-mento del piacere l’esposizione della teoria psicoanalitica in relazione ai testi letterari in: TERRY ENGLETON, Literary Theory: An Introduction, Minnea-polis, University of Minnesota Press, 1983.

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– Cosa meraviglia e sconvolge il marito di Nikki e la signora anziana da guardare la donna in maniera ossessiva?

A questi interrogativi non corrispondono delle risposte vere e proprie, e nemmeno la formulazione di ipotesi è utile alla ri-sposta e alla comprensione del segmento. Possiamo dire che, tenendo presente l’orizzonte culturale lynchiano e tenendo presente costantemente l’orizzonte interpretativo fino a qui utilizzato, il segmento oggettiva sia un ritorno del rimosso in termini freudiani e quindi psicoanalitici, e sia un eterno ritorno di carattere nietzschiano. La leggenda degli zingari polacchi, che era diventato il soggetto di partenza della pri-ma versione del Buio cielo di domani, infatti sembra che ritorni in maniera alquanto ambigua e forte, investendo situazioni e riconfigurando orizzonti memoriali di grande intensità e fa-scinazione. Proprio la fine delle riprese del film, a causa del brutale assassinio dei due protagonisti, immette sui personag-gi di Inland Empire una sensazione di malessere e inquietu-dine di carattere pulsionale, e precisamente di una pulsione di morte o comunque legata anche indirettamente alla morte e alla sofferenza (non in termini direttamente masochistici però). La questione dell’eterno ritorno di Nietzsche229 è invece oggettivata sulla problematica che Lynch esaspera sul tem-po e sul problema dell’orizzonte fenomenico. Nel film infatti sembra che ogni evento che sia effettivo, accennato o imma-ginato sembra già essere vissuto in una sequenza distorta e ricomposta che è diversa dal suo effettivo svolgimento, come se venisse interpretata. Tra l’altro il soggetto principale che viene investito da questa particolarità è proprio Nikki che si relaziona con gli altri soggetti attraverso riferimenti ad av-venimenti che si sono verificati in un tempo passato o che

229 L’eterno ritorno è una delle più importanti formulazioni della filosofia di Niet-zsche, e si basa sulla convinzione che ogni evento che può essere vissuto da un uomo, è già stato vissuto e potrà essere vissuto all’infinito per tutta la sua esistenza. Infatti: “In un sistema finito, con un tempo infinito, ogni combina-zione può ripetersi infinite volte”, e il testo di Inland Empire, nel modo come configura il tempo, non fa altro che oggettivarla questa posizione. Su questo argomento si veda: FRIEDRICH NIETZSCHE, La gaia scienza; ID, Così parlò Zarathustra.

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devono ancora verificarsi in un tempo futuro. Non a caso la struttura del tempo, che precedentemente era stata proposta in questo studio, configura l’evento di riferimento prima che questo effettivamente avvenga, e prima ancora di poter inte-ragire con l’universo significante e su ciò che vi è inscritto.

La sequenza poi oggettiva anche un altro tipo di ritorno che ha che fare con i processi mentali di rimozione e con le pulsioni desideranti che investono la protagonista, cioè il ritorno del rimosso. Nikki in ogni sequenza del film si mo-stra sempre come soggetto capace di provare emozioni e sen-sazioni prima degli altri e soprattutto in maniera più sentita degli altri, di tutti gli altri personaggi che vengono attraversati dai medesimi eventi che cambiano o scuotono l’orizzonte del film. Nikki appare scossa o spaventata perché ha già vissuto quegli eventi, quelle situazioni che si presentano in maniera differente ai suoi occhi, e i soggetti con cui interagisce accen-nano costantemente a questo, al non ricordare alcune cose, a non sapere o a far finta di non conoscere, proprio come in quest’ultima micro-sequenza. Questa particolarità viene con-fermata anche dalle successive scissioni dell’identità di Nikki, scissioni non solo psichiche, ma anche fisiche e connotati-ve. È giusto ricordare che questo personaggio principale si sdoppierà in atri due soggetti diversi e contrapposti e inscritti in mondi diversi, in cui il tempo ritorna a suo piacimento impedendo di capire cosa si scinde da cosa, e quindi qual è il soggetto originario, cioè l’inizio di tutto.

C’è però una questione importante da sottolineare riguardo le relazioni memoriali che instaura Nikki con gli altri per-sonaggi e viceversa. Si è visto come tale soggetto si inscrive in questa ottica della memoria e della rimozione dell’evento configurandosi come elemento significante principale da cui dipende in parte l’orizzonte degli eventi; e si è visto come questa particolare caratteristica di Nikki si possa collegare al processo di scissione del soggetto stesso che la psicoanalisi ha individuato in Es, Io e Superio. È da notare però che la me-moria e l’evento rimosso che ritorna nello spazio, o che viene semplicemente evocato, instaura un rapporto di forte ambi-guità con il set cinematografico e con l’universo spettacolare

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in generale, configurando così il cinema come macchina per l’oggettivazione della memoria, come mezzo di emersione dell’inconscio, come luogo di disgregazione dei confini tra i mondi. Ma il testo di Inland Empire i mondi e gli universi potenziali vengono creati seguendo due direzioni concettuali diverse: da una parte il cinema è il luogo di creazione di mon-di del desiderio e della fantasia in cui si scontrano i propri fantasmi ed emergono orizzonti immaginari forti che, come nel sogno, si distanziano radicalmente e simbolicamente dal reale, in cui lo sguardo diventa proiezione e luogo di emersio-ne e conoscenza della mente230; dall’altro è il mondo stesso, in quanto ente non ordinato, a creare altri mondi, mondi che sono fantastici e alterati e che allo stesso tempo sono difficil-mente separabili dai processi percettivi dello sguardo, e dalla fine sia delll’essere come presenza e sia dell’unicità dell’imma-gine del mondo.

Il secondo segmento inserito in questa “micro-sequenza di raccordo” è ambientato all’interno di una stazione di poli-zia. Qui ci sono due persone, un agente visibilmente calmo e all’opposto una donna visibilmente agitata che si siedono e iniziano a parlare. La donna, rispondendo alle domande dell’agente, rivela che qualcuno l’ha ipnotizzata per farle com-mettere un omicidio, e che non ricorda né chi sia l’uomo che l’ha ipnotizzata, né la vittima che deve uccidere.

L’atmosfera, come lo stesso regime narrativo, si presentano alquanto tesi, anche perché l’articolazione del segmento è fatta attraverso primissimi piani dei due soggetti inscritti nell’im-magine, i quali configurano due stati emozionali differenti e contrapposti che si scontrano dal punto di vista significante. A ogni risposta della donna data in maniera agitata, l’agen-te risponde con domande poste sempre in maniera rilassata, come se non si stesse rendendo conto cosa stia succedendo diegeticamente. La donna a un certo punto rivela che la sua vittima sarà uccisa con un cacciavite e la mdp, con un movi-

230 Su questo aspetto Lynch ha indagato la mente come luogo di rimozione totale in cui non riaffiora nulla del film del Eraserhead 1977. Si veda il saggio dedicato al film in: PAOLO BERTETTO (a cura di), David Lynch, cit.

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mento dall’alto verso il basso, rivela chi è la vittima designata, cioè se stessa. L’inquadratura infatti fa vedere la donna che si alza la maglietta e mostra un cacciavite conficcato nell’ad-dome. È svelato quindi il motivo della sua agitazione, ma la cosa più importante, ai fini dell’analisi del film, è l’inscrizione dell’eccesso all’interno delle dinamiche del film e la continua disgregazione dell’identità che, come si è visto, in tutto il testo non è prerogativa unica di Nikki.

Lynch lavora costantemente sull’eccesso, proprio inscriven-do figure di sofferenza o di morte direttamente nell’imma-gine non solo prettamente filmica, ma direttamente scher-mica, oggettivando così quella che Freud chiama “pulsione di morte231”. Questa seconda micro-sequenza presenta però un carattere di simmetria con l’universo filmico di Lynch, in particolare con la sequenza di Mulholland Drive ambienta-ta nella tavola calda, instaurando così un rapporto di natura oltressenzialista, cioè che va oltre il testo stesso232. Nel film

231 Secondo Freud l’essere umano, oltre a tendere al piacere e ricercarne la soddi-sfazione di questo piacere attraverso molteplici oggetti e sostituti, tenderebbe alla morte, e spesso il fine della propria ricerca va in direzione della morte. Per Freud addirittura esisterebbe un vero e proprio istinto di morte che si contrap-pone all’istinto di piacere. La pulsione di morte può essere spiegata: “Designa una categoria fondamentale di pulsioni che si oppongono alle pulsioni di vita e tendono alla riduzione completa delle tensioni, cioè a ricondurre l’essere vivente allo stato inorganico. Rivolte dapprima verso l’interno e tendenti all’autodistru-zione, le pulsioni di morte verrebbero successivamente dirette verso l’esterno, manifestandosi allora sotto forma di pulsione di aggressione o di distruzione”. (JEAN LAPLANCHE, JEAN-BERTRAND PONTALIS, Vocabulaire de la psychanalyse, Paris, PUF, 1967, trad. it. Enciclopedia della psicoanalisi, Roma-Bari, laterza, 1981, pp. 464-5). Su questi argomenti si veda oltre all‘Enciclopedia di Laplanche e Pontalis, anche: SIGMUND FREUD, Al di là del principio del piacere, cit.

232 In questa visione oltressenzialista che precedentemente è stata affrontata in que-sto saggio, sembra così porre un ulteriore problema al metodo interpretativo. Certamente l’analisi del film per ricercare il senso di un testo filmico può utiliz-zare differenti metodologie e affrontare nodi teorici di particolare importanza. Allo stesso modo può attingere diversi materiali sul discorso che si vuole fare che vanno dal contesto culturale al processo produttivo, ma sempre basandosi su di un testo. Un testo filmico sia detto chiaramente che può attivare al proprio interno molteplici sottotesti latenti, e in alcuni casi può andare oltre il testo stes-so e attingere da altri testi del medesimo autore.

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precedente, infatti, un soggetto che si comporta come uno psicologo ascolta il suo paziente sui sogni che questi fa, e sempre con fare agitato e impaurito il paziente afferma che fuori dal fast food, dietro l’angolo, c’è qualcosa di misterioso e che vuole andare a vedere proprio come era avvenuto nel sogno. Dietro l’angolo c’è un senzatetto sporco in viso e il pa-ziente alla vista dell’uomo (che appare all’improvviso) rimane talmente sconvolto da avere un attacco cardiaco e morire. In Inland Empire la pulsione di morte non si realizza direttamente fino a essere soddisfatta completamente, ma in una prospet-tiva simmetrica con il film precedente essa viene inscritta nel visibile come configurazione possibile, come elemento poten-ziale di articolazione significante.

Entrambi i personaggi e gli ambienti dei due segmenti di Inland Empire non hanno rapporti logici con l’universo diege-tico dei due film. Questo aspetto del film oggettiva il caratte-re sospeso e ambiguo di Inland Empire, e configura l’orizzon-te fenomenico e l’universo significante come ossessivo atto mancato, come coazione a ripetere “intramondana”, come configurazione di mondi che si incontrano, si uniscono e si separano. Diversi mondi si mischiano e confondono per oggettivare la crisi dell’immagine e del mondo come luogo ordinato. Ogni immagine ha la sua contro-immagine, il suo negativo speculare che può emergere, ma non necessariamen-te. Spesso questa contro-immagine si nega nell’oggettivazio-ne di una coazione a ripetere che lascia spazio a qualcosa di inquietante, a una configurazione del perturbante, cioè del riaffiorare del fantasma rimosso. Freud mette in relazione il perturbante non solo con dei comportamenti psichici di par-ticolare rilevanza significante, ma anche in relazione a figure spaventose o inquietanti che inscrivono la morte nel proprio corpo come automi, giocattoli e soprattutto figure inanimate. In questa sequenza del film non esiste nulla di tutto questo, ma avviene una sostituzione ambigua che stimola alla rifles-sione sul problema del soggetto contrapposto all’oggetto e al problema dell’identità in rapporto alla propria immagine per-cepita. La particolarità della messa in scena ribalta i termini della questione. Non è più il soggetto umano che si sostitui-

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sce mediante l’oggetto inanimato, l’automa; è l’automa stesso che si sostituisce all’uomo in quanto l’essere umano ha perso ogni sua funzione, identità, immagine in rapporto al mon-do. L’uomo diventa quindi simulacro, ma tale oggettivazione in Inland Empire diventa più problematica perché non viene configurato l’universo onirico che in Mulholland Drive, invece, diventava luogo di inscrizione delle presenze del demoniaco e dell’angoscia. Non che Inland Empire non lavori sull’onirico e le sue configurazioni, ma le due modalità di oggettivazione sono differenti e nel film che si sta analizzando assumono connotazioni differenziali e radicali sul problema dell’incon-scio e dell’orizzonte onirico. Il concetto di simulacro che qui emerge è da intendere in relazione all’orizzonte signifi-cante del visibile che viene configurato nel testo. Cioè, detto in altri termini, e almeno fino a ora, il simulacro si inscrive come oggetto rimosso per il soggetto umano assumendo dei connotati di esistenziale. Se l’esistenza secondo Heidegger è etimologicamente “stare fuori”, lasciando intendere così un oltrepassare radicale della realtà, e quindi una distruzione di tale realtà (o perlomeno messa in forte crisi); allora bisogna considerare questa esistenza di un soggetto nel mondo (che nel nostro caso è inscritto in diversi mondi possibili) come superamento del corpo. Il soggetto che oltrepassa il corpo, questo ente, diventa tale, cioè soggetto inscritto nel mondo, in quanto ha oltrepassato il corpo, e diventa essere non come presenza ma come poter essere, cioè come possibilità dell’es-sere. Il superamento del corpo diventa per questo essere, su-peramento del reale. Attraverso questa prospettiva il sogget-to (l’uomo) inscritto nell’immagine filmica è tale in quanto simulacro, in quanto simulacro che esiste in un mondo di simulacri. La sequenza qui posta in analisi, così come si pre-senta nella sua articolazione, non configura immediatamente e palesemente il concetto di simulacro. La configurazione del simulacro investe l’intero testo filmico, e ogni determinazione dinamico-visiva rimanda a esso e ad altro da sé, in una pro-spettiva altamente simbolica e di forte complessità. In effetti, che rapporto esiste tra i due segmenti e l’universo in cui sono iscritti Nikki, Devon e Kingsley? Nessuna. Allo stesso modo

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di Mulholland Drive entrambi i segmenti oggettivano nel testo sia il simulacro in tutte le sue dinamiche e configurazioni, sia nell’inscrizione di una pulsione di morte che porta confi-gurazioni sadiche e masochistiche nel visibile. Lynch lavora costantemente su questa sofferenza, su questo eccesso in tutti i suoi film, non solo in Inland Empire, e questa connotazione è sempre legata a un fantasma ambiguo che ritorna e crea in-quietudine in differenti maniere. L’eccesso, l’oblio, il pertur-bante (in tutte le sue manifestazioni) sono la cornice fluida in cui nascono i mondi, si confondono e l’oltrepassano, proprio come vettori esistenziali.

Il segmento però configura, secondo una prospettiva au-toreferenziale e metalinguistica, anche la macchina cinema-tografica in maniera alquanto complessa, oggettivando al tempo stesso l’azione del vedere il film in maniera ambigua e problematica. Come lo spettatore al cinema che guarda il film non agisce con tutti gli elementi iscritti nel visibile, allo stes-so modo il poliziotto non è agente diegetico ma osservatore, spettatore passivo, vettore di sguardo e di percezione scopica solamente alla fine del segmento, cioè durante l’emersione del simbolico (il cacciavite). Per tutto il segmento l’agente inte-ragisce con la donna, anche se sempre in maniera eccessiva-mente tranquilla, e soprattutto senza produrre emozioni Il meccanismo di significazione lavora costantemente sull’ambi-guità visiva e testuale del film in maniera metaforica e figura-le. Come il figurale di Lyotard che è rimosso, il simbolico che è costituito dal cacciavite conficcato nella pancia delle donna che riemerge e si rende visibile, diventa un tracciato rimosso che ritorna, o comunque si configura come tracciato non del tutto rimosso, quindi soggetto a una repressione formale av-venuta nell’inconscio. Il cacciavite assume connotati simboli-ci in quanto configura l’eccesso e soprattutto una pulsione di morte. La donna confessa all’agente che è stata ipnotizzata e che deve uccidere una persona con un cacciavite, quindi è og-gettivata una pulsione di morte attraverso la configurazione di un doppio rimosso. Sullo schermo non è inscritto un dop-pio palese della donna ma viene solamente evocato. Non es-sendo riconoscibile attraverso lo sguardo, il doppio è rimosso

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in ambito figurale in un rapporto di ambiguità con il visibile. In questo modo la pulsione di morte che è stata oggettivata instaura un rapporto diretto con l’orizzonte psichico del film. Il problema del segmento resta però quello delle relazioni con il diegetico, con la storia del film, e con lo sguardo che il film pone ma non risolve.

Il doppio regime della messa in scena e la perdita dei confini tra reale, fittizio e immaginario

I mondi presenti proiettati e configurati in Inland Empire sono molteplici e complessi, e tendono a confondersi l’uno nell’altro, allo stesso modo anche l’orizzonte fenomenico su-bisce un’alterazione che va nella direzione di una confusione profonda delle azioni, sia dal punto di vista spazio-temporale, e sia in quello dell’inscrizione del visibile. In questa successiva sequenza la perdita di punti di riferimento utili a riconoscere e distinguere diversi orizzonti significanti è oggettivata dall’in-scrizione di due messe in scena nello stesso orizzonte del visi-bile. Secondo un procedimento dai connotati fortemente au-toreferenziali, vediamo Devon e Nikki in un giardino. Attra-verso diverse articolazioni delle inquadrature e dello sguardo, i due affrontano il problema della loro relazione clandestina, del pericolo che ne può derivare in quanto entrambe sono sposati. Nikki è intenta a voler finire la relazione per la troppa paura, confermando l’aura di persona pericolosa e misteriosa che nel film continuamente assume suo marito, mentre De-von, con convinzione, vuole il contrario con un aria di sfida e di fascinazione per il rischio che lo fa diventare un autentico soggetto attivo dell’orizzonte diegetico. Mentre i due parlano, Nikki si rivolge all’uomo con il nome di Billy, svelando che si tratta del film che stanno interpretando. I due all’interno delle doppia finzione cinematografica delle due messe in sce-na assumono un’altra identità, quelle cioè di Susan e Billy, e questo scambio di identità viene intensificato ossessivamente perché non esiste nessun punto di riferimento che possa far

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distinguere allo spettatore la distinzione dei due mondi: quel-lo di Nikki e Devon e quello di Susan e Billy. Il segmento si articola in brevi inquadrature, dopo di che vediamo un totale di Kingsley insieme a una troupe cinematografica, che da lo “stop” riaffermando il carattere ambiguo dell’immagine fil-mica. Il segmento oggettiva una chiave di lettura che iscrive il profilmico alla stessa maniera di come viene trattato nella semiosi cinematografica. Quello che lo spettatore vede è già direttamente l’immagine filmica configurata e, nonostante il segmento si concluda con l’inscrizione di Kingsley in con-trapposizione ai due attori svelandone il carattere di messa in scena, non viene configurato nessun profilmico, perché tutto il visibile rimane entro i bordi dell’immagine schermica e, dal punto di vista spaziale, il profilmico non viene mostrato ma solo inscritto davanti a una mdp inscritta a sua volta nell’im-magine filmica codificata. La mdp diventa essa stessa oggetto di sguardo e non solo elemento in cui si identifica o prolunga (secondo Vertov) lo sguardo dello spettatore. L’immagina-rio filmico molteplice e complesso che riesce a configurare Lynch attraverso diversi aspetti della messa in scena e nello sfruttamento del profilmico, oggettiva ed evoca il modello di Gertrud (1964) di Carl Theodor Dreyer, soprattutto nella se-quenza in cui i due amanti si incontrano al giardino e parlano senza mai guardarsi. Il film di Dreyer è stato spesso ricono-sciuto come un nodo problematico e teorico di particolare importanza all’interno della storia del cinema, tanto che per Deleuze diventò il luogo di incontro di tutte le riflessioni sul tempo e il movimento. Non è un caso che Lynch inscriva questo passaggio in un film come Inland Empire, in cui tempo, movimento e teoria del cinema ricorrono continuamente in maniera forte e ossessiva. Se Gertrud è l’atto finale del cinema di Dreyer, un cinema problematico e complesso che mette-va inizialmente al primo posto il soggetto e il volto e poi la configurazione dialogica e verbale dell’evento; Inland Empire diventa l’atto di nascita di un nuovo modo di fare cinema e di pensare il cinema, un nuovo luogo dell’immaginario e di inscrizione del desiderio in cui il soggetto perde centralità as-soluta ed entra in una crisi irreversibile della propria identità.

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Entrambi i film configurano il desiderio e l’impossibilità di soddisfazione di una pulsione desiderante che investe non solo l’oggetto di questa pulsione, ma lo stesso nodo esisten-ziale e psichico che produce il desiderio. Siamo di fronte a un universo significante e immaginario che inscrive e mi-schia fantasmi variegati che, grazie al cinema, possono essere oggettivati e fatti incontrare nel medesimo luogo simbolico: l’immagine filmica. Il segmento finisce con la mdp che si sof-ferma su Nikki che guarda compiaciuta e attratta Devon.

Successivamente a questo segmento il testo presenta ulte-riori micro-sequenze di forte ambiguità significante. Nella prima inquadratura vengono iscritti Nikki e Devon seduti sulle sedie. Insieme a loro c’è anche Freddie che è colloca-to al centro dei due personaggi, anch’egli seduto su di una sedia. La particolarità della micro-sequenza è legata alla ca-pacità di inscrizione del simbolico all’interno del visibile e di conseguenza dell’immagine. L’orizzonte del simbolico che viene configurato in Inland Empire è alquanto complesso ed è inscritto nel testo attraverso un costante e contraddittorio scontro vettoriale con l’immaginario. Come si è visto, il film presenta addirittura delle sequenze in cui il simbolico viene sospeso e riconfigurato nella propria assenza per lasciare spa-zio all’immaginario e alle sue correlazioni con lo sguardo. Qui invece il simbolico viene inscritto dietro il visibile (cioè die-tro Nikki e Devon) come elemento codificato e significante dal carattere enigmatico e complesso, e viene inscritto in un ambiente spaziale dominato da particolari giochi di simme-tria e figurazione che attestano il carattere visivo e configu-rante del cinema. Dietro Nikki è posto un proiettore di luce che imprime una nuova identità, cioè una nuova condizione del soggetto all’interno del mondo e ne valorizza il carattere di soggetto forte sia psichicamente, come si è visto finora, che simbolicamente. Proprio la luce che viene proiettata dalla lampada contro Nikki rende i contorni del soggetto ambigui e incerti, cosparsi di un alone alquanto evidente. In questo modo è evidenziata e posta in primo piano l’inscrizione del soggetto nell’ambiente e viene accentuato il carattere di Nik-ki come soggetto estraneo non solo al visibile ma alla stessa

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immagine filmica. Essa è collocata in una dimensione spazia-le impercettibile e dominata dalla rimozione dell’alterità. Il segmento è dominato dal nero, e il meccanismo significante riesce a configurare l’alterità e cioè tutto ciò che è inscritto nell’ambiente e nell’immagine, come emersione di un rimos-so, come affioramento dall’oblio e dal nulla, come configu-razione della luce. Proprio il proiettore di luce collocato alle spalle di Nikki indica il carattere configurante e semiosico della luce, il potere configurante del fascio cromatico della luce cinematografica secondo una prospettiva fortemente e costantemente autoreferenziale.

Il nero, oltre a indicare la perdita di ogni riferimento visibile e antropomorfo, pone l’accento sul problema del frammento e della traccia come unico elemento e segno di testimonianza del soggetto umano perso e rimosso. La perdita dei referenti investe la stessa perdita di identità del soggetto umano, e in Inland Empire avviene la messa in crisi della nozione di sog-getto e di essere umano nell’epoca della modernità. Proprio il cinema nega la presenza dell’essere umano, mostrandone solamente una copia differenziale di quel soggetto attraverso i diversi aspetti dell’immagine filmica, cioè attraverso un si-mulacro, e configurando a sua volta un altro simulacro. È il soggetto umano a essere un simulacro in quanto è inscritto nella modernità e collocato nell’orizzonte immaginario e sim-bolico del cinema.

Anche dietro Devon è presente qualcosa, è il numero 7 che assume forti connotati simbolici in relazione a quello di cui parla Freddie. Egli infatti, con lo sguardo perso nel vuoto, mostrato con un PP della mdp, accenna a diversi argomenti che come si è visto hanno interessato il testo filmico fin dalle prime sequenze. Egli afferma che lì fuori c’è un groviglio di possibilità, configurando così sia il carattere complesso e in-tricato del testo e sia la natura aperta della struttura testuale che più volte è stata sottolineata. Ma il discorso di Freddie, seppure in maniera alquanto frettolosa e minimale, accenna al problema del fuori campo che in Inland Empire, e in buona parte del cinema di Lynch, assume configurazioni di forte connotazione simbolica ed enigmatica. D’altronde, come già

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si è visto nelle sequenze precedenti, il fuoricampo allude sem-pre a una prospettiva ermeneutica che investe il soggetto col-locato in un mondo non ordinato e potenziale, che mette in crisi il soggetto stesso e gli stessi orizzonti visivi e figurali per stare fuori dalla realtà e superarla in maniera concettuale.

Ritornano nel discorso di Freddie, anche le prime sequenze del film, quando parla di aver allevato i cani e i conigli, evo-cando palesemente la sequenza di rabbits e ponendo il proble-ma del coniglio antropomorfo non solo come universo altera-to, ma come prodotto di un mondo dalle regole ben precise. Quindi l’accenno ai conigli, oltre a essere un riferimento che ritorna al testo stesso, è da intendere anche come allusione a due forze contrastanti che dominano l’universo: natura e cul-tura. Sia chiaro, qui non si tratta della contrapposizione dei due termini nella stessa maniera di Kubrick, e quindi in una prospettiva che potremmo definire semio-sociologica con di-versi gradi di analisi filosofica; in Inland Empire è da intendere come un discorso evolutivo ed evoluzionistico che non ha più basi scientifiche certe, ma una costruzione sempre e comun-que di mondi che coesistono con proprie regole che sfuggono alla logica del mondo fenomenico che siamo abituati a cono-scere. In tutta questa micro-sequenza, dominata dal nero e dall’oscurità, lo sguardo di Freddie, essendo perso nel vuoto, cioè nel fuori campo, non registra e non proietta nulla, solo il suo discorso evoca qualcosa ma non configura nulla nel visi-bile. L’articolazione di due regimi, non solo narrativi, ma del-la messa in scena, separa il soggetto dal mondo fenomenico facendolo piombare inconsapevolmente in un mondo senza referenti e senza più realtà oggettive ben precise.

Il discorso è decisamente complesso e richiederebbe uno studio specifico in proposito, ma possiamo dire che l’inscri-zione di un micro-regime di messa in scena in un macro-re-gime è da considerarsi come la frattura insanabile del cinema in rapporto con il vero e il falso, con il diegetico e l’extra-diegetico, con il fenomeno effettivo e la sua finzionalità ri-configurata.

L’ambiguità testuale si riflette anche nella struttura narrativa e nei ritmi di montaggio che ne derivano. Come la micro-se-

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quenza della stazione di polizia analizzata nel paragrafo pre-cedente non aveva nulla a che vedere con la storia principale del film, allo stesso modo e in maniera differenziale abbiamo un’altra micro-sequenza dal carattere ambiguo ma inscritto nell’universo di riferimento principale del film. Abbiamo in-fatti un PP di Nikki con la mdp non messa a fuoco. La pro-tagonista viene truccata e una voce over parla di una donna di novant’anni che si era domandata chi facesse la parte di Smithy, e contemporaneamente la mdp incomincia a mettere a fuoco il volto di Nikki. Il nome di Smithy era stato intro-dotto nel segmento in cui Nikki e Devon provano la parte davanti a Kingsley e Freddie, e il fatto che ritorni di nuovo attraverso questo espediente visivo della voce over è da inter-pretare come fragilità degli universi possibili e come capacità di attraversamento di questi universi possibili da parte di sog-getti ed entità rimosse. Non a caso il film va sempre di più verso la direzione e la prospettiva di confondere lo spettatore attraverso sia l’inscrizione di elementi eterogenei nello stesso orizzonte visibile che appartengono a mondi differenti, e sia perché la distinzione tra il mondo fenomenico e il “film nel film” perde ogni confine attraverso un meccanismo di signi-ficazione ambiguo e contraddittorio, che vedremo di spiegare successivamente. Tra l’altro, come è stato affrontato nei para-grafi precedenti, la stessa struttura narrativa del film dal forte carattere ambiguo, a-cronico e duplice, si riscontra proprio in questi inserti che esplicano in maniera più o meno palese alcuni elementi ambigui del testo.

Nella micro-sequenza successiva Nikki si trova a casa sua cercando il marito e gli altri camerieri, si rivolge a uno de-gli inservienti chiamandolo “Piotrek”, svelando in questo senso le domande che ci eravamo fatte in precedenza, e cioè il perché Nikki avrebbe dovuto conoscere la lingua polac-ca. Naturalmente la messa in scena di Lynch pone l’esigenza dell’interpretazione, della ricerca del senso e del disvelamento dell’enigma, ma non risolve nulla di tutto questo. Il fatto che l’inserviente di Nikki si chiami Piotrek aggiunge solamente un elemento in più per l’analisi, ma non esaudisce nulla ri-spetto alle determinazioni del testo e alle richieste dell’inter-

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prete. È tutto accennato, posto e suggerito, ma nulla viene risolto nell’orizzonte di significazione del film.

Andando avanti con l’analisi ritroviamo la stessa confusio-ne tra mondo fenomenico e mondo finzionale, utilizzando lo stesso meccanismo di significazione precedentemente utiliz-zato da Lynch. All’interno di una casa Billy cerca di sedurre con un drink Susan, e ci riesce convincendola a sedersi e bere insieme a lui, la micro-sequenza finisce con l’inscrizione della mdp nell’immagine e il disvelamento della finzione cinema-tografica sul visibile. Allo stesso modo, dopo alcune inqua-drature che coincidono diegeticamente con la pausa in attesa dell’inizio delle riprese, Devon invita Nikki a un ristorantino dopo che le riprese siano finite del tutto. Lo sguardo di Nikki è eccitato e compiaciuto come nella micro-sequenza del film quando stava recitando nei panni di Susan Blue, e accetta l’in-vito di Devon. In entrambi i case le emozioni che vengono configurate dai due personaggi/attori sono determinate attra-verso una dinamica degli sguardi non complessa ma intensi-va, che oggettiva la vista come unico mezzo sensoriale che veicola le emozioni, gli stati psichici e i sentimenti. Il fatto che in entrambi gli universi le emozioni e le sensazioni rimanga-no sempre intense e non cambino di natura pur cambiando il regime della messa in scena e minimamente della narrazione, indica che gli universi di Inland Empire si stanno sempre più fondendo, e oggettiva la natura dinamica e instabile di que-sti universi molteplici. La seduzione di Devon varca persino i confini diegetici andando ad attivare nello spettatore una pulsione erotica di grande fascinazione e intensità.

La natura di questi mondi possibili che ritornano continua-mente nel testo è psichica, e al proprio interno oggettiva la posizione psicoanalitica sul desiderio. È proprio il desiderio che viene oggettivato nella lunga sequenza e in diverse parti del film a collegare il mondo fenomenico configurato da In-land Empire e il mondo finzionale, artificiale configurato da Il buio cielo del domani. Le emozioni, e in questo caso il desiderio nelle sue possibili articolazioni, collegano e fondono gli uni-versi, mischiando nell’orizzonte significante l’immaginario, il

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simbolico, per mettere in crisi il reale233. Sia in Inland Empire che ne Il buio cielo del domani siamo sempre in un orizzonte fittizio che trascende le proprie regole di funzionamento, che destruttura la realtà e, i due mondi, hanno confini troppo fra-gili per poter essere inscritti in orizzonti significanti differen-ti e contrapposti. In entrambi i casi sono simulacri, e la natura di simulacro viene oggettivata e inscritta anche dalla natura ambigua e complessa del tempo che, come abbiamo visto, il testo filmico configura, riconfigura e defigura all’infinito.

Il corpo e il frammento

Il carattere di confusione e di indistinguibilità dei mondi, e l’incapacità di non discernere questi confini, vengono og-gettivati da altre tre micro-sequenze che intensificano sia il carattere ambiguo di questi mondi e sia il rapporto che si sta creando tra Nikki/Susan e Devon/Billy. I soggetti umani perdono ogni referente e carattere di riconoscimento, e i due personaggi, anche quando sono fuori dal set, si comportano esattamente allo stesso modo di quando recitano la parte.

Anche i loro corpi e i loro volti non subiscono trasforma-zioni radicali nel passaggio dal set al mondo fenomenico e viceversa, configurando ancora di più un carattere di ambi-guità esibita dal testo che pervade il visibile e tutti gli og-getti inscritti all’interno. Il tutto viene introdotto da King-sley rivolto verso la mdp che guarda nel mirino di un’altra cinepresa di cui non si vede l’obiettivo, in quanto è abbassato oltre i bordi dell’immagine schermica. Anche la cinepresa ha un carattere di frammentarietà, come del resto qualsiasi cosa presente nel film, ma in questo caso la collocazione della ci-nepresa rispetto ai confini del visibile filmico è da intendere

233 Questa distinzione tra immaginario, simbolico e reale viene fatta da Lacan nel ‘49 nel famoso saggio sullo specchio e li definisce come i tre registri psichici che regolano l’esperienza umana. Si veda: JACQUES LACAN, Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, cit., p. 88.

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come prolungamento della visione oltre i confini dell’imma-gine, configurando allo stesso tempo un carattere figurale, nel nostro caso di una figura dal carattere simbolico che è stata rimossa ma emerge attraverso un’evocazione visiva. Il segmento successivo vede Susan e Billy avere un approccio di carattere sessuale, la particolarità della messa in scena è quella di frammentare i due soggetti inscritti nell’immagine. Entrambi sono tracce di corpi che si toccano instaurando un nuovo tipo di conoscenza sensoriale. Se l’ermeneutica onto-logica teorizza la conoscenza come rapporto con il mondo, in questo passaggio del film viene oggettivata questa cono-scenza attraverso quelli che Deleuze chiama “tatsegni” cioè dei segni tattili che formano “un’immagine sensoriale pura, a condizione che la mano rinunci alle proprie funzioni prensili e motrici per accontentarsi di un puro toccare234”.

Entrambi si toccano attraverso le proprie mani, e la mdp non fa altro che mostrare queste mani che sfiorano i corpi dell’altro, intensificando la natura del desiderio. Ci troviamo di fronte al superamento delle teorie di Bataille235 sulla natura dell’amore e il raggiungimento dell’oggetto sessuale, e que-sto superamento è funzionale alla disintegrazione dei confini del mondo. Proprio la scelta di inscrivere frammenti di corpi, che dal punto di vista del linguaggio filmico sono particolari dei corpi stessi, configura la perdita della dimensione spazia-le come luogo preciso dai confini e dai punti di riferimento chiari.

I frammenti mostrati dalla mdp sono di soggetti che non hanno identità visiva e significante, che evocano sia Billy e Susan, e allo stesso tempo Devon e Nikki. Possono essere due soggetti di due mondi differenti e differenziali, anche perché lo spazio è ambiguo e non ascrivibile né all’orizzonte filmico, né all’orizzonte fenomenico di riferimento. Il visibile assume carattere di assoluta ambiguità significante mostran-do il frammento nudo che, oltre a perdere la traccia di rife-

234 GILLES DELEUZE, L’immagine-tempo, cit., p. 23.

235 GEORGES BATAILLE, L’érotisme, Paris, Pauvert, 1957, trad. it. L’erotismo, Milano, ES, 1962; ID, Friandise cannibale, in “Documents”, 4, 1929.

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rimento, perde la sua stessa natura diegetica evocando nelle relazioni e nei processi di identificazione qualcosa di altro, di alternativo e alterato. Per l’interpretazione di questa sequenza è utile prendere come punto di riferimento la sequenza inizia-le di Une femme mariée di Jean-Luc Godard.

Dal punto di vista dell’interpretazione la messa in scena di Godard configura un soggetto frammentato, scisso e deco-struito sotto molteplici aspetti. Allo stesso modo Lynch, nel segmento preso in analisi, fa la stessa operazione, inscriven-do soggetti scissi in maniera radicale e forte. In Godard il soggetto è frammentato attraverso parti di corpo ed è subito presentato in questo modo, cioè nel suo “non essere” sogget-to pieno; in Lynch il soggetto viene presentato solo attraverso mani che toccano e sfiorano frammenti di parti di corpo. In entrambi i casi il testo filmico assume prospettive decostru-zioniste forti, ma in Inland Empire il testo supera la stessa so-glia della decostruzione così come la intendeva Deridda. Tra l’altro, il segmento del film di Lynch evoca direttamente un altro grande passaggio della storia del cinema in cui vengono inscritti dei corpi frammentati nell’immagine, e cioè l’inizio di Hiroshima mon amour di Resnais. Sia nel film di Lynch che in quello di Resnais, il carattere temporale e memoriale emerge sempre dal testo, anche se in maniera differente e contrap-posta. In Hiroshima mon amour il carattere frammentato e de-costruito dei soggetti è connesso con i frammenti di memo-ria personale e collettiva dei personaggi di fronte all’evento storico della bomba atomica su Hiroshima e le reazioni di un soggetto scisso all’interno di una società anch’essa fram-mentata di fronte all’elaborazione della perdita e della trage-dia; in Inland Empire la frammentazione e la decostruzione sono riconducibili a un mondo potenziale e simulato in cui il soggetto si nega come presenza, ma viene configurato come potenza significante.

Tra l’altro in Inland Empire questa caratteristica del testo si connette a un fantasma allucinatorio che fa emergere il “tat-segno” (la mano) come oggetto di interpretazione testuale e come prospettiva significante di realizzazione e ri-figurazio-ne dell’immaginario. Deleuze teorizza ad esempio che: “La

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mano raddoppia la propria funzione prensile (d’oggetto) con una funzione connettiva (di spazio); è dunque l’occhio tut-to intero a raddoppiare la propria funzione ottica con una funzione propriamente “aptica” [...] che designa un toccare proprio dello sguardo236”.

Proprio questo tipo di relazione con l’oggetto rimanda a un concetto fondamentale dell’ermeneutica. La mano inscritta in questo segmento del film si presenta come “tatsegno” secon-do la formulazione di Deleuze, quindi è in senso generale un segno, e in quanto segno porta in sé i caratteri di utilizzabilità e rimandabilità che, secondo Heidegger, sono gli strumenti che costituiscono il mondo, e sono strumenti che rimandano continuamente alla propria funzione intramondana. Proprio grazie a questi segni, l’essere dispone del mondo, in quanto dai segni emerge il significato, ed è proprio la significatività che “costituisce la struttura del mondo237”. Per Heidegger in-fatti il segno è contemporaneamente qualcosa che: “manife-sta la struttura ontologica dell’utilizzabilità, della totalità dei rimandi, della mondità238”.

Nel segmento di Inland Empire quindi tutto questo discorso sui segni e sulla funzione che essi esprimono è da intendere non solo come statuto di funzionamento del mondo, ma an-che come chiave d’accesso per il disvelamento della struttura del mondo, per l’entrata nel mondo stesso, per la conoscenza sensoriale (e non fenomenica) del mondo. Vedremo succes-sivamente come, attraverso la strumentalità funzionale e ri-mandabile del segno tattile, Nikki entrerà in un altro mondo radicale e fortemente allucinatorio rispetto a quello fenome-nico del reale o a quello simulativo della semiosi cinemato-grafica, innescando così una frattura nell’orizzonte visivo, narrativo e significante del film.

Dopo questo segmento di particolare rilevanza dal punto di vista formale e significante, il testo presenta ancora un al-

236 GILLES DELEUZE, L’immagine tempo, cit., p. 24.

237 MARTIN HEIDEGGER, Essere e tempo, cit., 165.

238 Ibidem, p. 159.

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tro segmento, in cui il processo di confusione narrativa tra i due mondi arriva al punto di non ritorno, iniziando quella che si potrebbe definire una fagocitazione degli universi l’uno nell’altro fino al proprio annullamento esistenziale.

Nikki, che è inscritta in piedi in un interno simile a quello dove stanno girando il film, si trova insieme a Devon seduto su una poltrona di fronte a lei che ascolta quello che ha da dire. Lei è preoccupata che il marito sappia qualcosa di loro due, cioè che sia a conoscenza della relazione clandestina, così come era stata fatta prima mentre discutevano nel giardino di “Gertrud”. A un certo punto qualcosa interrompe e scuo-te l’universo diegetico in cui sono inscritti i due personaggi, in quanto Nikki afferma: «Sembra che il dialogo sembra sia preso dal nostro copione». Kinglsey in voce off dà lo stop e chiede cosa stia succedendo. Nikki è disorientata e sconvolta e la mdp iscrive un’altra cinepresa. L’iscrizione di una mdp fin dentro l’immagine e l’assenza di un’altra mdp che la riprende, che assume un carattere fortemente autoreferenziale, corri-sponde alla disgregazione oltre del regime narrativo anche del diegetico, configurando la perdita di un altro confine spa-ziale. Non solo il confine tra mondo allucinatorio e mondo fenomenico è infranto, ma anche il confine tra mondo die-getico e mondo extradiegetico viene messo in crisi andando a superare quelli che sono i confini dell’immagine schermica fino a raggiungere il mondo fenomenico extradiegetico. Il vi-sibile quindi esce fuori dallo schermo e pone lo spettatore in un’ottica di identificazione e immersione dello sguardo in chiave ancora più radicale di quanto è stato abituato a fare normalmente al cinema. È un procedimento intensivo quello che utilizza Lynch, utile per portare avanti il suo discorso visionario sul cinema.

Come è stato detto più volte, il testo di Inland Empire è il punto di svolta della storia del cinema, e ogni sequenza, ogni elemento che emerge dalle immagini assume la forma di nodi teorici di grande portata concettuale e metodologica con cui il processo di interpretazione del film deve fare i conti e af-frontare in maniera diretta.

Saltando qualche segmento che non è particolarmente ri-

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levante ai fini dell’analisi, ci imbattiamo in un passaggio che formalmente assume connotati molteplici e di forte significa-zione e intensità emozionale. La micro-sequenza è così scom-posta:

1) PP di Nikki che alza la testa verso l’alto. Devon si avvici-na a lei per baciarla (angolo esterno239);

2) PP di Devon che bacia Nikki, ripresi con angolatura dif-ferente rispetto all’inquadratura precedente;

3) PP di Nikki e Devon che si baciano (angolo parallelo).Il momento del bacio viene enfatizzato da un rallentamento

del tempo dell’azione, dal rumore in sottofondo, e dalla scelta delle luce e del modo di illuminazione dei personaggi e del visibile. Questo indica un particolare stato emozionale e la mdp sottolinea che questa particolare situazione psichica è direttamente legata a Nikki. Il volto della donna infatti è più illuminato e inscritto in maniera nitida nella prima inquadra-tura e anche nell’ultima, quando cioè parallelamente entram-bi si baciano. Queste tre inquadrature imprimono una svolta al rapporto spaziale e simbolico dei due soggetti, in quanto ritornano a stare insieme nello stesso spazio (attraverso un primo piano) insistendo in questo senso sia sulla soggettivi-tà psichica, che sul loro rapporto intensivo ed emozionale. Precedentemente, escluse solo alcune eccezioni, Nikki e De-von sviluppavano una relazione spaziale di distanza o, affida-ta unicamente alla dinamica dei loro sguardi, configurando però costantemente delle azioni che si caratterizzavano fin dall’inizio come gioco di seduzione dell’uno sull’altra, crean-do nello spettatore l’attesa del bacio e oltre. Il meccanismo di significazione utilizzato da Lynch per far emergere la sedu-zione e la nascita del loro rapporto clandestino ha portato l’at-tesa verso nuove direzioni, provocando un’esasperazione del tempo della narrazione grazie al fatto che anche nel “film nel film” Susan e Billy hanno una storia clandestina. Emerge così

239 Non ci troviamo di fronte un campo/contro campo tradizionale, però anche in questo passaggio si può applicare il “sistema del triangolo” per dare la continu-ità visiva. Si veda su questo aspetto della regia cinematografica: VINCENZO BUCCHERI, Il film, cit., pp. 165-168.

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il gioco della seduzione, come gioco perverso di esaspera-zione erotica capace di disorientare psichicamente il soggetto umano. Non è un caso infatti che l’enfatizzazione della messa in scena pone l’accento su Nikki nelle inquadrature analizzate poco fa, e che Nikki da ora in poi sarà capace di proiettare inconsciamente tutte le sue pulsioni sessuali e desideranti in maniera radicale ma pur sempre ambigua, tanto da disgregare e riconfigurare il visibile e l’immaginario infinite volte.

Il bacio tra Nikki e Devon segna quindi un punto di svolta e di non ritorno a livello psichico nel soggetto femminile, anche perché il gioco della seduzione si è concluso con il rag-giungimento dell’oggetto del desiderio e dello scopo libidico che verrà mostrato e confermato nelle inquadrature succes-sive.

Dopo una dissolvenza incrociata, ci troviamo all’interno di una camera scarsamente illuminata, e la mdp si sofferma su di un letto in cui sotto le coperte si muovono e si agitano due persone. Tramite un’inquadratura all’interno delle coperte si scopre che all’interno vi sono Nikki e Devon che parlano mentre stanno avendo un rapporto sessuale. La costruzione sintattica della dissolvenza indica una continuità logico-con-sequenzuale in cui al bacio proposto dalle tre inquadrature precedenti si arriva alla successiva sequenza nella camera da letto, configurando così un rapporto di consequenzialità se-condo una prospettiva significante che fa del divenire il senso profondo e latente del proprio funzionamento. Questa co-struzione performativa della sequenza, e le relative determi-nazioni che ne derivano, confermano tra l’altro tutte le paure di Nikki/Susan in rapporto alla sua relazione clandestina e al fatto che il marito possa averla scoperta insieme al suo aman-te. Infatti qualche inquadratura dopo il marito è lì che guarda il letto e ascolta i dialoghi dei due amanti.

La sequenza è alquanto significativa sotto l’aspetto sia simbo-lico che immaginario. Dal punto di vista simbolico la sequen-za oggettiva un orizzonte edipico dal carattere allucinatorio, in quanto la scena primaria è negata allo sguardo tramite la coperta e quindi non viene più esibita in quanto tale come pro-cesso visivo e immaginario. In più, non avendo caratteristiche

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di sguardo, impedisce al soggetto vedente (il marito di Nikki) di procedere all’identificazione con il padre e a cercare la sosti-tuzione con esso nel desiderio di riconnettersi alla madre. Nel film non c’è mai una relazione forte di natura sessuale e deside-rante tra Nikki e suo marito, viene solo esibita ed evocata una pulsione vagamente sadica di controllo sulla donna. Tra l’altro proprio questa necessità di controllo, questo desiderio fascina-tivo è centrale nel soggetto maschile nei confronti della donna e si esercita a livello sostitutivo attraverso lo sguardo. Come si era visto prima, l’uomo è impotente nei confronti di Nikki, e il controllo che esercita sulla donna non è riscontrabile in un dato di realtà, ma come atto mancato che viene continuamente evocato da soggetti esterni e ai limiti dell’immagine inscritti nell’universo diegetico ma non figurale. È un azione simbolica più che fenomenica, e il fatto che il proprio sguardo si esercita di volta in volta su Nikki in maniera ambigua o come in que-sto caso assente, oggettiva una pulsione masochista ambigua e radicalmente costruita. Nei fatti il marito di Nikki configura più una pulsione masochistica di non controllare l’oggetto per rimuoverlo in un certo senso come vero oggetto del desiderio. In termini simbolici si potrebbe intendere Devon/Billy come soggetto che tenta di connettersi alla madre (si vede che Nikki e Devon hanno una certa differenza d’età) sostituendosi al pa-dre, uccidendolo simbolicamente nella rimozione visiva dello stesso e rimuovendo la stessa lotta inconscia che ne deriva. Devon come soggetto simbolico avvia questo processo affin-ché il padre ne prenda atto e rimanga a contemplare la scena primaria in maniera ambigua e rimuovendola esso stesso dal proprio immaginario grazie alla barriera del lenzuolo in cui nessuno può vedere l’altro. Per quanto riguarda Devon, egli non può considerarsi, in ambito masochistico, il bambino che ritorna dalla madre per riconnettersi a quell’Io ideale della fase pre-edipica, in quanto lo scopo libidico del proprio desiderio è proprio l’atto sessuale con essa e non la rimozione dell’atto240.

240 Oltre al già citato saggio della Studlar si veda su questo aspetto in chiave esplici-tamente cinematografica: JEAN-LOUIS BAUDRY, The Apparatus, in “Camera Obscura”, vol. 1, autunno 1976, pp. 105-126.

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La sequenza porta in sé particolari caratteristiche che ri-affermano il carattere enigmatico del testo filmico e confi-gurano nuovamente l’attesa e l’ambiguità come orizzonte di grande significazione e di emersione del senso. Nikki e De-von durante l’atto sessuale si parlano di un qualcosa di strano che sta succedendo. Nikki introduce l’argomento ricordando che la scena che avevano recitato sul set in cui si fondevano insieme realtà e finzione non è avvenuta ieri, ma che ieri è domani, ricordando a Devon una misteriosa stradina. L’af-fermazione di Nikki riafferma la complessità strutturale del film e dello spazio diegetico in cui sono inscritti e configurati soggetti ed eventi, e conferma quello che la vicina di casa nella seconda sequenza di Inland Empire le aveva detto a pro-posito del tempo e della stradina. Attraverso il meccanismo di significazione e la scelta formale adoperata da Lynch, la narrazione del film, nelle sue diverse articolazioni, diventa ossessiva, radicale, tanto da provocare angoscia e turbamento nello spettatore stesso, da cui emerge anche in questo caso una pulsione masochistica di grande rilevanza significativa in cui la narrazione è pesante ed eccessiva, ma lo sguardo dello spettatore è costantemente rivolto al film.

Il processo interpretativo

Arrivati a questo punto di particolare svolta narrativa e for-male il film assume connotati differenti di particolare impor-tanza ai fini dell’analisi. Siamo arrivati esattamente a quella che potremmo definire la seconda parte del film, ed è giusto provare a giustificare le scelte di lavoro e di ricerca per l’inter-pretazione del testo. Come procedere arrivati a questo punto di particolare importanza?

Sarebbe inopportuno continuare ad analizzare sequenza per sequenza le due ore rimanenti del film, sia per una que-stione pratica e sia per una questione di utilità concettuale nel lavoro di interpretazione del testo. Dal punto di vista pratico si rischierebbe con ogni probabilità di ripetere ciò che è stato

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detto sui sottotesti latenti di Inland Empire e sulla prospettiva ermeneutica che si è utilizzata per interpretare il film.

Dal punto di vista dell’utilità interpretativa, si circoscrive-ranno gli aspetti fondamentali del testo, ai fini di una com-prensione certamente generale e organica del film, ma soprat-tutto degli aspetti concettuali, simbolici e filosofici inscritti nella prospettiva interpretativa di tipo ermeneutico-decostru-zionista. Quello che interessa in questa analisi di Inland Empire è verificare la posizione di partenza secondo cui il film e il mondo di Lynch siano la configurazione di mondi possibili che oggettivano una vasta e articolata tradizione ermeneuti-ca che va da Heidegger e arriva fino a Baudrillard, tendenza sempre rivolta con lo sguardo a Nietzsche, a Freud, e al pen-siero contemporaneo.

Proprio perché l’orizzonte di riferimento culturale generale affonda le proprie radici in Nietzsche e in quella tradizione che direttamente e indirettamente deriva, si interpreterà que-sta seconda parte, anche se più ampia e complessa dal pun-to di vista sia della durata effettiva del film, che degli snodi significanti e concettuali che si porranno di fronte all’inter-prete, come l’oggettivazione dell’eterno ritorno, e proprio per questo le letture che sono state date precedentemente risulta-no essere una buona base per l’interpretazione delle sequenze successive. Il lavoro di analisi da adesso in poi sarà dinamico e si soffermerà unicamente sugli aspetti che in precedenza erano stati affrontati e sulle sequenze interpretate.

L’analisi del film è tanto più efficace e pertinente non perché analizza tutti gli aspetti di un testo, cosa che a livello pratico sarebbe impossibile e si scadrebbe in un’eccessiva analisi che abbraccia aspetti anche secondari e in un certo senso inutili ai fini del lavoro sul testo. L’errore che si potrebbe fare sareb-be un elenco di posizioni metodologiche e teoriche diverse e, peggio ancora, contrapposte che si escludono a vicenda, relegando così l’analisi del film a un mero esercizio di artico-lazione di posizioni metodologiche, delle più disparate scuole di pensiero non solo cinematografiche e filmiche ma anche culturali in genere. È inutile procedere con una lista di po-sizioni su un determinato aspetto della messa in scena o del

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montaggio, della narratologia o dello sguardo, dell’immagine o della figura, della figurazione o del figurale, del visibile o del reale, del significante o del reale, questa non è una corretta interpretazione del film. È vero che l’analisi del film si basa anche un su di un confronto tra posizioni analitiche storica-mente attivate su un determinato testo, ma è anche vero che si basa anche su strategie testuali e interpretative consolidate e verificabili alla luce della teoria del cinema e della ricerca del senso all’interno del testo, grazie soprattutto alle prospettive di riferimento.

Il lavoro dell’analisi del film deve andare oltre il testo stes-so, ma non nel senso che deve parlare di altro e imbastire discorsi che trascendono lo studio del testo filmico. Il lavoro di analisi deve andare oltre il testo stesso in modo da poter formulare un discorso di carattere filosofico e intellettuale che già il film di per sé produce, anticipando problemi affron-tati di volta in volta dalle discipline umanistiche e non solo. Il film non parla unicamente di filosofia, ma addirittura antici-pa problematiche filosofiche di grande rilevanza. Non a caso il film è per sua natura una forma interpretativa che si con-figura come interpretazione del mondo. Infatti: “Il cinema non deve soltanto diventare terreno di applicazione di metodi mutuati da altri orizzonti del sapere: deve invece diventare interpretazione dinamica del mondo che si estende progressi-vamente e parla alle altre discipline e alla comprensione della contemporaneità. Non è soltanto la filosofia che può parlare al cinema. È il cinema che deve sapere parlare alla filosofia. E l’interpretazione del film deve muoversi in questa dimensione dinamica, in cui le forme simboliche diventano orizzonti per interpretare il mondo241”.

Questa posizione è anche per chi scrive emblematica per lo sviluppo e l’utilizzo di diverse metodologie di analisi. La pro-spettiva interpretativa è costantemente inscritta in un oriz-zonte di simulacri che produce e riconfigura il mondo stesso secondo modalità inedite.

Il mondo diegetico di Inland Empire è l’oggettivazione del

241 PAOLO BERTETTO (a cura di), L’interpretazione dei film, cit., p. 12.

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mondo teorizzato negli anni Venti da Heidegger nel suo te-sto fondamentale, e forse più importante per quanto riguar-da l’impatto filosofico e culturale europeo: Essere e Tempo. Il mondo come potenza che investe in questa sua natura anche l’essere, confermando quella che all’interno del Novecento è stata una tendenza molto importante nell’estetica e nelle for-mazioni artistiche, quella cioè della perdita del soggetto. Di volta in volta, dalla maschera che sostituisce il personaggio e trasfigura il soggetto umano diventando configurazione mor-fologica della retorica, fino alla negazione visiva e spaziale di questo soggetto, il processo di disgregazione dell’umano mes-so in crisi dal mondo stesso mostra a sua volta la crisi stessa dell’uomo e di una realtà che perde continuamente credibilità fenomenica e oggettiva.

Heidegger stesso pone la questione del mondo come po-tenza, definendolo un mondo dominato da strumenti, da significati e rimandi. In questi tre elementi sono contenute sia le chiavi di lettura per interpretare Inland Empire (secondo una prospettiva ermeneutico-decostruzionista), sia come re-lazione profonda e inversamente proporzionale con il mondo diegetico configurato dai testi filmici di Lynch (compresi Lost Highway e Mulholland Drive). Questo è il mondo di Lynch, il mondo allucinato di Inland Empire che verrà interpretato d’ora in avanti solo in alcune sequenza di grande rilievo concettua-le e simbolico.

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Il ritorno del rimosso come configurazione molteplice del doppio e riconfigurazione dello spazio

Dopo aver visto la configurazione di un Edipo interrotto e negato in termini di immaginario, troviamo visivamente la sequenza cui Nikki accenna a Devon, mentre fanno l’amore, quella relativa alla misteriosa stradina in cui è avvenuto qual-cosa di altrettanto misterioso.

Questa sequenza esprime una complessità sorprendente per il cinema di Lynch, ancorandosi a certe soluzioni espressive di carattere avanguardistico e sperimentale che pongono ulte-riori e continue riflessioni sul cinema e su ciò che deve essere. In un certo senso Lynch sembra rispondere indirettamente alla domanda di Bazin su cosa sia il cinema, e gli risponde chiaramente e senza equivoci di nessun genere: il cinema è lo specchio del nulla e non del reale. Specchio perché è legato ai fantasmi inconsci che è capace di configurare, alla proiezione dello schermo e alla costruzione di un soggetto inscritto in un orizzonte di simulacri.

Dopo la svolta narrativa e visiva che è intervenuta con la scena del bacio e la scena primaria tra Nikki e Devon, il film prosegue configurando ciò che era stato affermato da Nikki sotto le coperte mentre faceva l’amore con Devon, e cioè che ieri è domani e che lei sta passeggiando lungo una stradina. Il meccanismo significante di questa sequenza è costruito se-condo una logica simmetrica e ossessiva che ripropone un materiale filmico e visivo che si deforma progressivamente a ogni passaggio successivo.

La donna viene attratta da una scritta misteriosa e a prima vista incomprensibile (axxon n.) su di una porta, ed entran-do si immerge in un ambiente buio che oggettiva, grazie al tipo di sottofondo musicale, il verificarsi di un qualcosa di importante e forse anche drammatico ai fini del racconto.

Da ora in poi la messa in scena di Lynch e i tratti caratte-ristici del suo cinema ritornano in maniera ossessiva conti-nuando a essere inscritti in un orizzonte espressivo di forte sperimentazione dei codici e del linguaggio cinematografico.

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Attraverso un carattere simmetrico della messa in scena e a una configurazione ambigua delle dinamiche dello sguardo diegetico interno (l’uso dello sfocato e della messa a fuoco), Nikki è posta dall’altro lato dello spazio. Viene quindi svela-ta l’identità del soggetto che guardava Devon nella sequenza ambientata nel set, quando cioè egli andava a guardare all’in-terno della finestra della casetta, ed emerge anche il perché Nikki guardava Devon che a sua volta guardava nella finestra con un’aria agitata e preoccupata. Qui è percepibile l’oggetti-vazione, seppur ambigua e fortemente costruita, di un rimos-so che ritorna. Nikki infatti era agitata perché inconsciamente e non visivamente percepiva un elemento perturbante che si presentava ambiguamente agli occhi dello spettatore ma non ai suoi, e diveniva doppio simmetrico di se stessa. Nikki per-cepisce a livello di sensazione se stessa come doppio, ma non visivamente, instaurando un rapporto frammentario di cono-scenza con il mondo. Nei segmenti che compongono succes-sivamente la sequenza essa si configura come doppio inscritto dall’altra parte del mondo, dall’altra parte dello spazio, anche se guarda all’interno di superfici riflettenti non percepisce mai la sua immagine ma sempre il doppio di qualcosa. Devon, ad esempio, che ritorna diverse volte nella sequenza come im-magine oggettiva o immaginaria, è il doppio di un ricordo relegato a un tempo ambiguamente interrotto dall’acronicità temporale di Inland Empire, è cioè il ricordo di un’altra realtà che ormai essa stessa percepisce come persa per sempre.

Nikki mentre vede Devon, lo chiama con il nome di Billy, cioè con il nome del personaggio de Il buio cielo di domani, e questo procedimento oggettiva in maniera radicale la perdita dell’identità ma anche e soprattutto la perdita della consape-volezza della propria identità. In termini psiconalitici ci tro-viamo di fronte a un’oggettivazione riconfigurante dell’imma-ginario opposto al simbolico e configura quindi: “il desiderio come puro effetto di mancanza e inseguimento senza fine242”, che si ricollega a tutti gli eventi della sequenza e alla struttu-ra generale del film. Il simbolico viene inscritto immediata-

242 CHRISTIAN METZ, Cinema e psicoanalisi, cit., p. 10.

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mente nel momento in cui Nikki sta per entrare in una casa (questa volta dalle fattezze più reali) posta dietro alla casetta del set, e vede dalla finestra, dove prima vedeva e chiamava Devon/Billy, affacciarsi il marito che la guarda. L’inscrizione del marito nel visibile percettivo di Nikki è da intendere come doppio significante. Da un lato esso si configura come sim-bolo della coscienza, dall’altro come anticipazione dell’evento o comunque di un cambiamento dell’orizzonte finzionale del mondo che acquista valenza simbolica in quanto indossa in-dumenti differenti rispetto allo stato sociale dell’uomo, così come era stato presentato nella prima parte del film.

La sequenza presenta un grado di riflessività e metaforiz-zazione meta-linguistica del testo di grande importanza in quanto Nikki, che è inscritta in questo ambiente ambiguo dal carattere di sospensione e transitorietà, oggettiva il ca-rattere stratificato sia dell’universo cinematografico e sia del testo di Inland Empire. L’azione di Nikki oggettiva anche il problema dell’interpretazione del film e della penetrazione in uno stadio più nascosto del testo nella ricerca dei sensi latenti. Infatti, nel momento in cui Nikki varca la soglia, essa non fa altro che entrare nello strato successivo del testo fino a entrare nel luogo di funzionamento dello stesso. La donna in sostanza varca la soglia ed entra fin dentro l’inconscio del testo, entrando il quella complessità ossessiva che costituisce la struttura di Inland Empire, e l’inconscio del testo corrispon-de sorprendentemente con l’inconscio di Nikki. La casa in cui la donna entra e in cui si muove configura un ulteriore livello di potenzialità del mondo da considerarsi come realtà coesistenti e fusionali di forte ambiguità logica. Nikki vede dalla finestra un ambiente differente, in cui ci sono un prato e un cancello, e in cui lei stessa entra ed esce dalla porta, og-gettivando nel proprio gesto la possibilità sia di un’azione e sia la configurazione di un mondo come possibilità e scelta. Mentre vaga per i corridoi (dopo essere rientrata nella casa), la soggettiva di Nikki si costruisce come enigmatica e sogget-ta a scissioni della percezione del soggetto umano, pur regi-strando il visibile. Questo soggetto, secondo un’ottica di forte simmetria speculare e riconfigurante, si pone come agente di

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sguardo nei confronti della sequenza della camera da letto, quella cioè della realizzazione del tradimento. La camera è scarsamente illuminata grazie alla luce soffusa delle due lam-pade poste sui due comodini. Come il misterioso marito di Nikki guardava i due amanti, allo stesso modo Nikki guarda un letto da una posizione fortemente voyeuristica ma messa in crisi dalla negazione di una pulsione sadica sull’oggetto di sguardo, in quanto visivamente non è iscritto nessun ogget-to. L’oggettivazione dell’assenza del soggetto, inteso sempre e costantemente come potenza di un mondo anch’esso poten-ziale, si connette a una pulsione desiderante, in quanto entra nell’inquadratura il marito di Nikki, che indossa gli stessi abiti di poco fa, si mette a letto e spegne una delle lampade e con-figura così (grazie sempre alla pulsione della donna) la perdita della propria identità di volta in volta riformulata nei propri aspetti visivi. Le lampade in effetti configurano sia un segno ambiguamente iconico di due soggetti (Nikki e Devon), da intendere come testimone di una presenza potenziale, ma an-che un soggetto che si intende simbolizzato nella propria as-senza dei caratteri antropologici di riconoscimento. L’inscri-zione dell’uomo che si mette a letto si sostituisce a Nikki nel nuovo universo configurato, confermando però il grado di impotenza che precedentemente era stato sollevato in questa sede. Il segmento oggettiva quindi una rimozione della pul-sione sessuale da parte dell’uomo nei confronti della donna, configurando il soggetto come sadico, ma non effettivamente capace di realizzare questa caratteristica. Anche nella sequen-za in cui lui si poneva come artefice dello sguardo, l’uomo osserva semplicemente i due amanti segreti, senza instaurare un rapporto di controllo, nemmeno una propria eccitazione perversa, probabilmente sostituendosi a Devon, ma ponen-dosi nello stesso spazio di Nikki.

L’ambiguità del testo e del segmento in questione suggeri-sce una pulsione omosessuale dell’uomo, che si scontra però con il segmento successivo, quello cioè in cui appaiono nella stanza dal nulla delle ragazze che raccontano a Nikki delle proprie avventure sessuali con un uomo misterioso. L’uomo misterioso dal forte carattere perturbante, di cui è pieno l’im-

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maginario filmico lynchano, diventa questa volta un soggetto umano non chiaramente deforme o dai tratti ambigui come poteva essere il nano o il cow-boy in Mulholland Drive e l’uo-mo-mistero di Lost Highway. L’ambiguità e la deformazione psichica sono in questo caso affidate alla capacità/incapacità espressiva del marito di Nikki che lo fa diventare l’uomo del mistero, ma comunque sempre impotente e incapace di rela-zionarsi in modo diretto con gli altri soggetti umani presenti e potenziali iscritti nel visibile. Le ragazze che parlano di un uomo a cui piacciono determinate pratiche sessuali oggettiva un elemento di rimozione inconscio di Nikki, e cioè la paura o il senso di sconforto per un marito misterioso che potrebbe rivelarsi un adultero, un traditore.

Il testo di Inland Empire non esplicita mai direttamente la professione del marito di Nikki, ma si capisce da diverse se-quenze del film che egli ha a che fare con il mondo del cine-ma, che forse è un produttore a cui le attrici si concedono per ottenere il successo, visto che Devon viene avvertito della potenza anche malefica dell’uomo. È proprio questo a porre problemi sulla dicotomia potenza/impotenza che interviene nel film in relazione alle due differenti dimensioni spaziali, ai due differenti mondi che si contrappongono.

D’altronde, la ricerca del successo nel mondo dello spetta-colo è uno dei sottotesti più espliciti del film, da cui non è im-mune nemmeno Nikki, e le ragazze che si rivolgono a Nikki si configurano come una sorta di prostitute di Hollywood, oggetto contro cui Lynch si scaglia nella sua radicale critica all’istituzione cinematografica, esasperando molto la propria critica atraverso scelte formali e metaforizzazioni intense.

Il segmento successivo si compone di diversi micro-segmen-ti che re-immettono alcuni enigmi di partenza e in parte sug-geriscono una risoluzione, soluzione che diventa più ambigua e per certi versi indecifrabile dell’enigma stesso. Una delle ra-gazze rivolta a Nikki, le dice: «Ti troverai nel futuro in un so-gno come se stessi dormendo e ti troverai un viso familiare». La protagonista si mette delle mani sugli occhi (in soggettiva) e quando le toglie si ritrova immersa in un altro luogo, per l’esattezza una strada di un paesaggio invernale (nevica) con

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dei palazzi appartenenti a un’altra epoca, che si scoprirà poi essere quella in cui avviene la vicenda dell’originale Il buio cielo di domani. L’uso della soggettiva, con le mani che ostacolano la visione e la percezione del visibile, oggettiva il carattere confi-gurante e proiettivo della mdp. È proprio la mdp che proietta l’eterogeneo e l’ambiguo, l’illusione costante di un qualcosa che, oltre a non esistere, è assente, e la mdp si fonde con lo sguardo di Nikki, o viceversa è l’umano che si fonde con il tecnologico secondo la prospettiva teorica dell’esperienza di Brunette e Wills243 che: “insistono sulla lontananza del film dalla realtà e dal modello mimetico e leggono il cinema come esperienza tecnologica che modifica radicalmente il rapporto tra percezioni e fenomeni244”.

La ragazza che aveva parlato con Nikki, e che insieme a un’altra è inscritta anche lei nel nuovo luogo, le indica di an-dare: «Giù, intorno alla via» oggettivando l’enigma posto dal-la vicina di casa di Nikki quando parlava di una villa in fondo alla strada e di alcune filastrocche misteriose che riguarda-vano una bambina che incomincia a essere identificata con Nikki, confermando quindi il motivo per cui lei non poteva ricordarsi quella storia della vicina a causa della giovane età.

Il regime narrativo e il tipo di messa in scena cambiano radicalmente, riallacciandosi a quel materiale filmico che era stato alla base dell’inizio di Inland Empire. Altri segmenti ete-rogenei rispetto alla logica della sequenza configurano sia la molteplicità e l’ossessività dei mondi possibili che si ricom-pongono nel visibile, sia l’eccesso e la perdita di ogni referen-te, di ogni punto di vista nell’orizzonte del film. Tutto questo diventa una specie di prova di fronte agli occhi dell’interprete perché, ogni volta che sembra arrivare al nodo centrale, al senso latente del film, appaiono nuovi elementi, nuovi punti di vibrazione che mettono in crisi l’interpretazione stessa.

Ricompare il dettaglio del disco che gira e riproduce una

243 PETER BRUNETTE, DAVID WILLIS, Screen/Play. Derrida and Film Theo-ry, Princeton, Princeton University Press, 1989.

244 PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione. Ermeneutica e decostru-zione, cit., p. 201.

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trasmissione radiofonica che si era visto all’inizio del film e attraverso diversi stacchi, secondo una logica del montaggio di carattere concettuale ma non analogico o di contrasto, ab-biamo:

a) la ragazza che al’inizio del film vedeva la televisione pian-gendo;

b) volti assenti dei personaggi dell’inizio;c) apparizione della donna che piange come immagine so-

vraimpressa che dice: «Voglio vedere»;d) volto di Nikki sovraimpresso sul disco;e) sovraimpressione della ragazza che le dice in una logica

di campo/controcampo di indossare un orologio e di fare un buco con la sigaretta e di vedere all’interno di quel buco;

f) Nikki nella casa insieme alla ragazza.Il segmento si connota come costruzione ricca di signifi-

cato, oggettivando una connessione extrasensoriale ed extra-temporale tra Nikki e la ragazza, come se quest’ultima volesse comunicare qualcosa o porre un avvertimento. Il carattere di ambiguità questa volta non è affidato solo alla partico-larità della messa in scena e alla costruzione formale delle immagini, in cui viene espressa un inscrizione del figurale alquanto intensivo dal punto di vista emozionale e significan-te. L’ambiguità si realizza nel volto della donna che indica a Nikki di vedere, che assume i tratti fisici della spettatrice che si emoziona e che ritornerà poco dopo come soggetto che guarda continuamente, vedendo un’altra donna che litiga con un uomo, cioè i due personaggi dell’inizio (questa volta con i volti mostrati) che dialogavano in lingua polacca. Lynch mo-stra come la sequenza si svolge nel televisore inscrivendo fin dentro l’immagine i bordi del televisore, consacrando in un certo senso il carattere di immagine schermica di tutto l’oriz-zonte mediatico moderno. La donna polacca che litiga è la stessa donna che piange e che parla con Nikki sovraimpressa sul disco che gira. Questo elemento suggerisce e conferma il carattere di vero e falso, di reale e simbolico al cinema: tutto è finto tranne le emozioni del pubblico... e le identificazioni. La spettatrice si identifica con il soggetto del film, quello cioè inscritto nell’immagine fino a sovrapporre e sostituire il suo

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volto all’originale. Ma qui ci troviamo di fronte a un’ogget-tivazione di quello che Freud chiama condensazione e che in termini linguisto-psiconalitici Lacan fa corrispondere alla metafora.

L’identificazione spettatore-personaggio in questo passag-gio del testo è compiuta. Prima invece non era possibile, in un certo senso la negazione dei volti degli attori stava pro-prio a indicare questa iniziale mancanza di identificazione da parte della ragazza davanti alla TV, anche perché il soggetto femminile veduto si pone come essere senza desiderio, e l’uo-mo avendo un volto negato, ha a suo tempo una particolare negazione dello sguardo, rimuovendo la visione del proprio oggetto del desiderio e quindi rimuovendo il proprio desi-derio simbolico. Secondo Lacan245 il desiderio si configura come desiderio dell’altro, e l’identificazione dell’altro avviene solo se egli è un soggetto desiderante quindi l’uomo rimuo-ve il proprio desiderio proprio perché l’altro, cioè il soggetto femminile non lo ha, a causa della sua condizione passiva, ma questo non fa altro che problematizzare ulteriormente la questione in senso masochista.

Subito dopo che la donna dice a Nikki di fare un buco, at-traverso un procedimento anche questa volta simmetrico che evoca in chiave extra-testuale il punto di rottura e di passag-gio dei regimi della messa in scena di Mulholland Drive, Nikki si configura come altro, come alterità visiva, come donna dai caratteri sociali ed esistentivi246 differenti, in quanto ora lei è Susan Blue, ed esegue l’operazione di bruciatura della seta e del guardare all’interno di essa. Il buco all’interno del pezzo di stoffa corrisponde, in chiave autoriflessiva, a una penetrazione all’interno del tessuto narrativo del testo in chiave metaforica, e viene realizzata attraverso un vettore significante come lo

245 JACQUES LACAN, Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali del-la psicanalisi, Torino, Einaudi, 1985.

246 Utilizzo il termine esistentivo rifacendomi alla formulazione che fa Heidegger in Essere e tempo ed è da intendere come il problema dell’esistenza all’interno della stessa esistenza che corrisponde al problema della vita quotidiana e i pro-blemi concreti dell’esistenza.

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sguardo. Ma allo stesso modo il buco che viene fatto nella sete che Nikki con il suo sguardo e il suo corpo oltrepassa, confi-gura sempre in ottica metacinematografica quello che Bellavi-ta chiama “lacerazione del tessuto” e “buco nero del linguag-gio247”. In fondo la lacerazione del tessuto narrativo mette in crisi lo stesso linguaggio filmico, conferendo al testo un’ulte-riore grado di complessità e indecifrabilità, e allo stesso tempo inscrive direttamente nell’esperienza spettatoriale un’esaspera-zione emotiva e d’angoscia di forte intensità. La tensione è forte proprio lì dove si produce l’enigma che inquieta mag-giormente l’esperienza del guardare da parte dello spettato-re. Questo avviene perché il testo inscrive ed evoca orizzonti fantasmatici e perturbanti presi proprio dal materiale psichico e onirico di ognuno di noi. È qualcosa di rimosso che riaffiora nell’immaginario e nell’esperienza analitica dell’essere umano, e che quindi perturba l’esperienza percettiva/proiettiva.

Il carattere psichico della lacerazione narrativa è legato co-stantemente al potere dello sguardo e all’azione della visione che riunisce (o tenta di farlo) l’immaginario e il simbolico, sia come esperienza spettatoriale che ritorna ed è esplicitata direttamente nel testo, sia come proiezione dell’inconscio del soggetto inscritto nel visibile, verso cui lo spettatore si iden-tifica totalmente in maniera complessa e anche inedita. Nel testo si susseguono rapidamente diversi modelli di messa in scena e molteplici regimi della narrazione che articolano ed esasperano procedimenti di forte simbolizzazione.

La prima cosa che vede Nikki dal buco sono semplicemente le maglie di un tessuto, probabilmente a causa di un’impossi-bilità della messa a fuoco del suo sguardo, e anche per un fan-tasma di castrazione del marito che la segue nel viaggio verso il nuovo mondo. Lo sbattimento delle palpebre configura la perdita di questo fantasma che aleggia nello spazio diegetico, e l’autonomia di Nikki è segnata dalla capacità di vedere oltre lo sguardo, di vedere al di là dello spazio, di andare oltre il te-sto. È lo sguardo di Nikki che costruisce il mondo potenziale e non si limita a percepire cosa c’è nell’orizzonte.

247 ANDREA BELLAVITA, Inland Empire, cit., p. 136.

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A questo punto nel testo avvengono crasi e scissioni, confi-gurazioni e riconfigurazione molteplici in cui lo sguardo as-sume livelli significanti forti e nuovi che modificano radical-mente la sempre più labile e complessa immagine lynchiana.

Ci troviamo di fronte all’ambiente configurato fin dall’ini-zio del film, in quel salotto borghese in bianco e nero carico di ambiguità, dove soggetti diversi passano e lo attraversa-no, mentre da fuori ha le sembianze di una camera d’albergo o di una semplice stanza di un mondo fittizio. Questa volta però l’inquadratura che mostra questo salotto è a colori ed è il continuo del frammento precedente in cui un uomo e una donna (presumibilmente una prostituta e il suo cliente) discu-tevano in lingua polacca e successivamente consumavano un rapporto sessuale. L’intensità del micro-segmento, che risulta essere il continuo di quello precedente con l’aggiunta di altri segmenti di vicende analoghe, viene amplificata dall’iscrizio-ne di due immagini schermiche, differenti per statuto e grado di intensità emozionale. Abbiamo quindi un televisore acceso in cui continua il segmento in un orizzonte visivo e figurati-vo differente, e abbiamo due bordi dell’immagine, due con-fini separati di universi che tendono e cercano di immergersi l’uno nell’altro, è in definitiva una configurazione mediatica di una riconfigurazione del cinema. Rivediamo allo stesso modo la donna che piange con lo sguardo rivolto allo scher-mo televisivo.

Quel luogo misterioso che evoca una tranquillità borghese assume diversi significati, in quanto la sua funzione risulta ambigua nella diegesi del film e configura prospettive extra-diegetiche con funzioni più o meno definite ma pur sempre ambigue: una camera d’albergo, il luogo dove il coniglio ma-schio assume connotati reali, lo spazio diegetico potenziale in cui Nikki entra e si perde.

In questo viaggio psichico in cui si fondono allucinazione perversa e desiderio rimosso, Nikki fa i conti con i propri fantasmi e con il complesso di castrazione che sublima in una sostituzione pulsionale di morte, che vediamo confessare in-direttamente all’uomo nascosto dietro le quinte. In altre pa-role, il fantasma di castrazione che in Inland Empire si connette

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all’impotenza del marito di Nikki, questa volta assume una valenza duplice. Da un lato il marito si sostituisce all’uomo che Nikki da bambina acceca come difesa di un tentativo di stupro, oggettivando in pieno la teoria di Freud sull’acceca-mento come sostituto della castrazione248. Dall’altro lato essa si sostituisce a quelle ragazze disinibite che erano andate a letto con il misterioso uomo del cinema, rivivendo quindi le stesse motivazione per cui aveva sposato suo marito, oppu-re trovando le motivazioni che aveva rimosso nell’inconscio. Giustifica in un certo il proprio adulterio vedendo un marito da coem esso è.

Tutti i segmenti successivi sono costruiti attraverso una ri-visitazione del trauma che assume configurazioni visive di grande forza dal punto di vista formale e figurale. È il trauma che domina il film nel momento in cui Nikki/Susan brucia l’abito di seta, ed è un trauma proprio perché è connesso a una figura ambigua di feticcio rimosso che assume configura-zione apparentemente irrilevanti nel visibile. Da questo punto in poi del testo filmico, Inland Empire diventa palesemente la storia di un soggetto femminile che rivive il proprio trauma attraverso la fusione con figure del desiderio rimosso a episo-di di vita vissuta.

Dopo aver attraversato il sipario rosso (elemento stilistico di riconoscimento del cinema di Lynch) Nikki/Susan entra ancora più nel profondo del suo inconscio e confessa a un uomo seduto dietro a una scrivania momenti passati in cui continuano a manifestarsi fantasmi di castrazione più o meno espliciti, in cui attraverso processi di sublimazione e sposta-mento il marito castrato di Nikki si mescola all’atto mancato di un tentativo di stupro da parte di un uomo misterioso, e allo stesso tempo si fonde alla pulsione erotica deformata della donna, che si trasforma in una pulsione di morte nei confronti dello stupratore e di un desiderio sadico di control-lo sul soggetto.

Dopo aver raccontato questo la donna, che ormai è nei fatti Susan, simbolo e testimonianza corporea della perdita della

248 SIGMUND FREUD, Il perturbante, cit.

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propria identità originaria, si ritrova nella stessa situazione di partenza prima di bruciare l’indumento di seta (che vede sul pavimento insieme a una sigaretta accesa), eludendo in un certo senso l’atto mancato stesso. La “rimozione” dell’at-to mancato è tale perché Susan si muove in un mondo fitti-zio, frutto del suo inconscio, e in cui articolazioni moltepli-ci dell’onirico coesistono all’interno di una stessa situazione spaziale e visibile dal carattere anch’essa onirica e fantasmati-ca. L’atto mancato non è tale, anche perché Susan vede l’indu-mento e la sigaretta accesa che assumono in termini semiotici la testimonianza dell’avvenimento, e anche se la costruzio-ne del segmento e dei rapporti sintattici del testo risultano assai complessi, ritornano le ragazze/prostitute viste prece-dentemente. L’inscrizione nuovamente di queste ragazze che parlano di delusioni d’amore e ascesa sociale grazie alla loro spregiudicatezza erotico-sessuale è da intendere come un’al-lucinazione di Susan, che ripropone un evento forse vissuto in passato da Nikki/Susan stessa. E questo è confermato dal-la presenza di una ragazza molto simile per tratti e modi di vestire alla donna. Il meccanismo di significazione opera per contrasto e opposizione, inscrivendo l’alterità nel visibile che corrisponde con la soggettiva di Susan. La ragazza simile è in termini simbolici Susan stessa, perché ha delle caratteri-stiche fisiche diverse rispetto alle altre. La ragazza infatti è bionda, mentre le altre hanno tutti capelli castani, non parla mai durante lo svolgimento della sequenza, riproponendo lo stesso atteggiamento che ha Susan di osservatrice, e ripropo-nendo anche le dinamiche ambigue dello sguardo in rapporto alla configurazione di oggetto passivo di sguardo e soggetto (semi)attivo dello sguardo. Il carattere allucinatorio e sogget-tivo è palesato dalla scomparsa improvvisa, dopo il ballo, di tutte le ragazze, che ri-oggettiva il carattere potenziale dell’es-sere e riconfigura il problema spazio-temporale che in Inland Empire rimane aperto e senza soluzione dall’inizio alla fine del film. Durante i titoli di coda le ragazze riappariranno quasi a indicare l’inscrizione delle stesse in una nuova dimensione spazio-temporale, che nell’orizzonte lynchiano corrisponde a un altro mondo possibile. Tutto questo meccanismo di si-

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gnificazione, in termini metacinematografici e meta-testuali, diventa un’alternativa al mondo diegetico del film, e un oriz-zonte riflessivo di forte significazione.

Il desiderio dell’altro e il principio del piacere

Dopo questi ulteriori segmenti, Inland Empire pone l’accento sulle relazioni della maternità rispetto al desiderio e al piace-re, e lo fa attraverso una costruzione ambigua. Tutto in Inland Empire subisce modifiche e deformazioni radicali che confe-riscono gradi più o meno elevati di ambiguità e complessità alla narrazione e al testo stesso. Questo particolare aspetto si palesa anche nelle scelte di montaggio che fa Lynch, e che in Inland Empire, forse proprio perché è un’ulteriore e complicata riflessione sul cinema, assumono caratteri di forte ambiguità e novità rispetto alla propria sintassi filmica. Un discorso sul montaggio del film era inizialmente previsto in questo saggio, ma avrebbe meritato un volume a parte o comunque una trat-tazione più specifica che avrebbe fatto risultare troppo pesan-te e di difficile lettura il lavoro.

Dicevamo che nei successivi micro-segmenti, il film iscrive la maternità fin dentro il visibile, ma lo fa attraverso moda-lità di messa in scena alquanto ambigue e radicali dal punto di vista percettivo sia del visibile che della narrazione stessa. Questa ambiguità si realizza nel momento in cui Susan, a casa con il marito, confessa di aspettare un figlio, provocando lo sconcerto e la sorpresa dell’uomo che si scoprirà successiva-mente di non poterne avere. Il carattere più radicalmente am-biguo e intensivo dal punto di vista significante è realizzato nel micro-segmento del prato durante il barbecue in cui il marito di Susan si sporca il grembiule di salsa rossa. Lynch at-traverso questo espediente conferisce all’uomo una pulsione di carattere omosessuale che conferma quindi la sua impo-tenza nel mondo diegetico di Nikki, e configura il problema dell’identità in maniera complessa. L’uomo oggettiva questa componente di impotenza e di omosessualità attraverso la

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soggettiva di Susan, che si sofferma sulla macchia attraverso il proprio sguardo, ed emerge così un carattere di somiglian-za rispetto al soggetto doppio diegetico ed extra-diegetico. Il carattere di impotenza e la pulsione omosessuale249 sono più o meno identiche in tutti e due i soggetti, sia quando è il marito di Nikki che quando è il marito di Susan, ed emerge in entrambe i casi in relazione a Nikki/Susan, nei rapporti o nella percezione scopica della donna e con la donna.

Questo particolare aspetto oggettiva e conferma la posi-zione della Mulvey in cui la donna è portatrice di un’istanza castrante dei processi di identificazione dello sguardo al ci-nema. È proprio in rapporto alla donna che l’uomo all’in-terno dell’immaginario filmico perde qualsiasi espressione di mascolinità, di azione e di movimento che, nelle ultime due componenti, la donna sembra compensare appieno. In fin dei conti questa condizione di impotenza e passività in cui si trova il soggetto maschile in relazione al soggetto femminile attraversa negli ultimi tempi il cinema di Lynch, assumendo di volta in volta configurazioni visive differenti. È da notare come questa condizione si oggettiva in Lost Highway e in In-land Empire in ambienti familiari convenzionali dominati da un rapporto esclusivamente a due, dall’assenza dei figli e da un rapporto amoroso tra i coniugi privo di fascinazione ero-tica. In Mulholland Drive il discorso è diverso perché l’impo-tenza maschile è da considerarsi come mediazione psichica e desiderante di un soggetto che sogna e configura le relazioni di genere all’interno dell’orizzonte cinematografico e spetta-colare. È in quel caso un orizzonte di significazione in cui si cerca di trasformare la realtà in desiderio e di impedire la realizzazione dell’atto mancato.

Ma nella macchia rossa che ritorna ossessivamente da que-sta parte fino alla fine del film, Susan con il suo sguardo va oltre proiettando o registrando (il carattere dubitativo è di

249 La pulsione omosessuale dell’uomo si palesa anche nell’incapacità di agire e in una morbosità voyeuristica dal carattere fortemente ambiguo e patologico che inconsciamente desidera l’identificazione con il soggetto maschile attivo ma è incapace di sostituirsi a esso.

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obbligo nel film) la famosa spettatrice, quella lost girl che si perde simbolicamente in tutti gli angoli e le articolazioni del testo. Questa volta però la lost girl ha dei caratteri nuovi sia nelle modalità di inscrizione dell’immagine e sia nella funzio-ne narrativa e simbolica. Infatti la mdp mostra la ragazza in primo piano con indosso un velo nero e nella parte inferiore dell’immagine delle candele. Il viso presenta un’aria di osses-sione psichica e trasporto emotivo così forte che recita una specie di supplica non si sa bene a chi rivolta. La ragazza in-fatti dice: «Allontana questo sogno peccaminoso che si è im-padronito del mio cuore» e ripropone l’ambiguità e il mistero che le conferisce soprattutto in questo piccolissimo segmento un carattere quasi esoterico e mistico che Inland Empire fino a questo momento presentava in maniera minore. Il carattere penitente e angosciato della donna viene superato dalla rea-lizzazione della pulsione di morte nei confronti dell’altro, di un altro dai connotati fortemente misteriosi. La lost girl in-fatti, nel segmento successivo, si addentra nei meandri di un palazzo con un coltello in mano, e la mdp non mostra quello che avviene dopo, ma solo delle urla che si riconoscono esse-re di una voce femminile. La mdp con uno stacco mostra una donna sul pianerottolo morta, con un rivolo di sangue che le esce dal ventre. Il segmento assume chiaramente dei risvolti simbolici ma pur sempre carichi di ambiguità soprattutto nei confronti della struttura narrativa e nelle determinazione dei rapporti di senso. Chi è questa donna misteriosa? Si saprà, grazie al signore polacco che è sempre con la lost girl, che quest’ultima conosceva la donna assassinata, ma nulla di più. È tutto avvolto nel mistero, come ad esempio il fatto che l’uo-mo, appena la donna esce in strada, già sa dell’omicidio, riaf-fermando così sia l’ossessiva ambiguità del film, ma soprattut-to la configurazione temporale di Inland Empire e del mondo diegetico che vi è iscritto. Questo carattere ambiguo assume connotazioni più radicale ed eccessive immediatamente dopo la conversazione tra i due, con la mdp che mostra il cadavere del marito di Susan nella stessa posizione sul pavimento, as-sassinato allo stesso modo della donna.

Da questo punto di vista il lavoro di interpretazione viene

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ancora una volta messo alla prova, e questo nuovo elemen-to diventa problematico ai fini della ricerca del senso vero e proprio. Quello che è proiettato sullo schermo è una configu-razione allucinatoria di Nikki che investe quello che diegeti-camente sembrerebbe essere suo marito, che investe i ricordi dell’infanzia e alcuni aspetti del suo desiderio, attraverso una cornice di forte ambiguità. La sostituzione al cadavere del-la donna con il cadavere del marito conferma innanzitutto quel carattere omosessuale che era stato ravvisato poco prima nell’uomo. In fondo l’uomo si sostituisce a una donna, e il fatto che venga ucciso oggettiva in maniera alquanto proble-matica sia un carattere di rifiuto della propria omosessualità, sia l’intervento esterno della donna a porre fine all’incertezza sessuale del marito, e sia anche il carattere di rifiuto da parte della donna dell’omosessualità del marito. È un meccanismo narrativo e simbolico decisamente complesso e di difficile percezione che scuote profondamente l’esperienza spettato-riale.

Non si può considerare questa struttura e le determinazioni dinamico-visive che ne scaturiscono in relazione alla perce-zione spettatoriale, alla luce delle teorie di Bordwell250, in cui lo spettatore ricostruisce la storia del film a partire dall’intrec-cio. Nell’esperienza fruitiva ed emozionale di Inland Empire, lo spettatore può pure tentare di intraprendere questa strada proposta da Bordwell, ma senza avere un’adeguata conoscen-za interpretativa si troverà ad affrontare orizzonti concettuali e teorici di difficile interpretazione. Il lavoro dell’interprete è scientifico e sofisticato, indirizzato non solo alla comprensio-ne, ma alla ricerca dei sensi latenti.

250 DAVID BORDWELL, Narration in the Fiction Film, London, Routledge, 1985.

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Sovrapposizioni e ricomposizioni: l’atto mancato e l’ir-rilevante

Dopo il segmento dell’omicidio, il testo di Inland Empire configura tre percorsi narrativi che si intersecano e si contrap-pongono grazie anche a soluzioni di montaggio particolari, mostrando e oggettivando il carattere ossessivo dei mondi, e soprattutto la loro potenzialità. Inoltre, la scelta di costruire questi segmenti narrativi in relazione alla vicenda principale di Susan, è da considerare come oggettivazioni di illusioni e allucinazioni ossessive che destrutturano e frammentano il mondo stesso e l’esistenza dei soggetti iscritti. È tutto incerto, e i percorsi narrativi che vengono configurati si intersecano tutti con Nikki/Susan sovrapponendosi alla vicenda princi-pale e configurando possibili ricomposizioni.

Le ricomposizioni sono da intendere come possibili rior-ganizzazioni della storia. Questi diversi segmenti narrativi, mostrati attraverso un montaggio alternato, tendono a ricom-porre la vicenda principale e a dare un senso a tutto il ma-teriale filmico che viene inscritto nell’immagine. Queste ri-composizioni non risolvono nulla, nessun enigma di partenza viene superato, e l’esperienza fruitiva e interpretativa va verso quella che si potrebbe definire un’implosione della narrazio-ne, che scardina qualsiasi punto di riferimento e strappa i fili intricati che fino a poco prima erano stati percorsi.

Andando avanti con il film, questi fili narrativi che si inter-secano andranno verso una direzione ossessiva di esaspera-zione dei caratteri ambigui del testo verso il tentativo finale di risolvere il tutto, tenendo sempre presente l’ossessione del visibile e dell’immaginario per Lynch nell’orizzonte di Inland Empire.

Abbiamo visto quindi come il marito di Susan sia impoten-te e ha in sé una pulsione omosessuale latente che lo contrap-pone al desiderio della moglie. Dopo aver mostrato l’uomo macchiato con una salsa rossa e aver mostrato la proiezione di Susan su quella macchia, il testo articola tre segmenti in cui l’uomo misterioso si muove in contesti narrativi che sem-

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brano fornire soluzioni al film, ma che nei fatti portano da tutt’altra parte l’attenzione dello spettatore e dell’interprete.

Vediamo l’uomo portare al barbecue una serie di persone che Susan non conosce e che si scopre essere artisti baltici, probabilmente artisti di strada, giocolieri e persone del cir-co. L’atteggiamento dell’uomo è quello di protezione, come se fosse un impresario, e in questo modo il meccanismo di significazione riconfigura le informazioni relative all’uomo in maniera particolare. Nella prima parte del film, nel mondo diegetico di Nikki Grace, il marito della donna era conosciuto come persona potente e misteriosa legata al cinema, sollevan-do l’ipotesi che fosse un produttore con determinate perver-sioni, oggettivate successivamente dalle ragazze dell’allucina-zione. Nel nuovo mondo di Susan, egli diventa un uomo di cui non si sa nulla, piccolo-borghese, che esprime il desiderio di proteggere gli artisti di strada come ricordo rimosso che riaffiora della potenziale vita precedente. La problematica è però legata proprio alle dinamiche del desiderio e dal suo for-marsi.

Ci troviamo di fronte a una formazione desiderante e allu-cinatoria prodotta non dal marito, ma da Nikki/Susan. Nel momento in cui la donna varca la soglia di un altro mondo, essa configura il desiderio di degradare socialmente suo ma-rito, probabilmente per un trauma infantile che spesso viene accennato nelle confessioni che lei fa all’uomo nella stanza buia, e che sembra coinvolgere in maniera indiretta il marito. Nikki/Susan è quindi portatrice di un trauma che riaffiora in maniera deformata e che condiziona tutta la sua esistenza, di-sgregando anche la stessa prospettiva cinematografica, auto-referenziale e metalinguistica. Il trauma investe indifferente-mente la donna in entrambe le identità che assume ma, men-tre nel primo mondo diegetico Nikki è incapace di investire appieno i suoi desideri e le sue proiezioni inconsce sull’uomo, conferendogli unicamente un’aria di mistero, nel secondo mondo diegetico, quando ormai la donna assume l’identità di Susan, l’uomo viene appunto investito di connotazioni for-ti e simboliche di grande rilevanza ai fini della definizione dell’identità dell’uomo stesso. Già è stato detto che alla fine

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il testo di Inland Empire non andrà oltre la semplice approssi-mazione dei caratteri dell’uomo, configurando anche un atto mancato da parte di Susan, incapace quindi di conoscere sia il marito che di conferirgli connotati ben precisi legati al suo trauma e alla sua situazione psichica, inscrivendoli quindi in una dimensione fantasmatica e immaginaria.

Nei segmenti che compongono la sequenza del marito di Nikki/Susan, l’atto mancato investe direttamente l’uomo, fondendo il processo psichico con un’opzione di messa in scena che lavora sull’irrilevante. Inland Empire a più riprese ha mostrato eventi irrilevanti sia dal punto di vista narrativo che da quello dell’interpretazione e della ricerca del senso, ma in questo caso specifico l’irrilevanza dell’evento è da intendere come saldata a un orizzonte che dovrebbe concludere tutto e risolvere i vari enigmi di partenza. Nelle sequenze precedenti, invece, questo aspetto era funzionale a un carattere ossessivo della narrazione e all’oggettivazione di un mondo fittizio do-minato dai simulacri.

Nel secondo segmento l’uomo è alla ricerca di un personag-gio misterioso che conosce bene solo lui e che lo spettatore in tutto il film non ne ha mai sentito parlare: Gordy. Sappiamo solamente che quest’uomo è polacco, che il marito di Susan lo conosce e che anche egli parla polacco, ma non sappiamo il perché di tutto questo, né soprattutto il motivo della ricerca di quest’uomo. Sappiamo solo che si trova verso Inland Empire, il nome della via di Los Angeles che dà il titolo al film e che racchiude in se tutto il mistero di Nikki, di Susan, della lost girl, ma non vi è permesso entrare a nessuno, né allo spettato-re e né ai personaggi. Lo spettatore, e con esso Nikki/Susan, entrano in luoghi misteriosi per la ricerca di qualcosa sempre di misterioso, ma non entrano mai in Inland Empire, girano intorno a questa via nella speranza di risolvere l’enigma e dare un senso a tutto ciò che si pone di fronte a loro. Come nel primo mondo diegetico Devon era incapace di vedere oltre la finestra, allo stesso tempo la protagonista femminile che guida lo spettatore nell’esperienza filmica è incapace di risol-vere e vedere fin dentro Inland Empire, configurando così un ulteriore problema ai fini della definizione dello spettatore al

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cinema nel doppio ruolo attivo e passivo di fronte al film.L’ultimo segmento ha un carattere di grande ambiguità

affidato a una messa in scena sapientemente organizzata. A un tavolo sono sedute delle persone in età avanzata e al cen-tro una donna. Dopo aver conversato in polacco entra nella stanza il marito di Susan, un uomo gli chiede se vede quella donna e lui gli dà una risposta negativa, e conversa con un si-gnore anziano in polacco a proposito di un qualcosa di colore rosso avvolta nel mistero e che rimarrà tale. Il marito di Susan prende una pistola e se ne va. La sequenza è alquanto stra-na. Sembra che l’uomo debba commettere un omicidio e che forse la vittima sia proprio Susan, ma l’importanza di questo segmento sta proprio nell’irrilevanza di tutto ciò. Dopo aver preso la pistola ed essere uscito dalla stanza, non rivedremo più il marito di Susan e non sapremo mai dove sia andato, for-se a uccidere Gordy, ma anche questa ipotesi si scontra pro-prio con le configurazioni del testo. Gordy viene citato anche dall’uomo nella stanza buia mentre sta parlando al telefono.

È tutto sospeso, e l’incapacità del marito di Susan di vedere la donna, che poco dopo sparirà dall’orizzonte del visibile, è da ritenere come una configurazione forte e radicale della sua impotenza, della sua incapacità di agire. È incapace quindi sia di vedere la donna e precedentemente l’oggettivazione della scena primaria con Nikki e Devon nel letto sotto il lenzuolo, è incapace di agire in questa scena primaria, ed è incapace persino di commettere l’omicidio di Gordy.

L’unico momento in cui quest’uomo si mostra attivo è in un ricordo di Susan che la picchia quando lei era incinta. An-che qui però il problema rimane. Ci troviamo in un ulteriore mondo configurato dallo sguardo di Nikki/Susan e tutto ciò che viene inscritto nel visibile è frutto dell’attività fantasma-tica della donna, quindi il ricordo, il flashback è da intendere anche in questo caso come desiderio di un atto mancato. Su-san vorrebbe che l’uomo non fosse più impotente e reagisse di fronte al tradimento, cosa che non avviene in nessuna delle configurazioni intramondane, nemmeno nel momento in cui c’è una forte emersione di questo evento. Egli non può vede-re, è impossibilitato a vedere. Come Freud teorizzava la paura

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dell’accecamento come sostituto del complesso di castrazione, allo stesso modo questo complesso è oggettivato dal non ve-dere, dall’impossibilità di attivare lo sguardo. L’uomo quindi è un soggetto castrato perché non è capace di vedere, perché è incapace di instaurare una relazione di conoscenza con la dimensione spaziale e con il visibile.

All’opposto si vedrà come la moglie di Billy sia un soggetto fortemente ambiguo e che porta con se un’istanza castrante e una pulsione di morte radicale, fino a colpire a sangue Susan con un cacciavite nella sequenza della walk of fame.

Sovrapposizioni e ricomposizioni: Nikki, Susan, l’illu-sione e l’assenza

Dopo aver varcato la soglia della casetta semiotizzata e ri-configurata dalla luce, ed essere entrata in un nuovo mondo in cui ha persino assunto una nuova identità, la donna prota-gonista di Inland Empire vaga in un mondo allucinato di cui non riesce a discernere nulla e in cui si trova a dover fare i conti con fantasmi e ossessioni, con traumi e con l’emersio-ne del proprio inconscio, che ritorna stimolato dal visibile e dall’evocazione di determinate figure.

I segmenti che compongono il filo narrativo di Nikki/Susan sono livelli significanti differenti di grande complessità, ma che possono essere riassunti in due soli livelli. Da una parte abbiamo la confessione in maniera quasi da analisi psicoa-nalitica all’interno di quella stanza buia che si trova nascosta nel luogo misterioso in cui entra dalla strada poco illuminata; dall’altra parte abbiamo il tentativo di Susan di agire con lo spazio circostante e di capire cosa avviene attraverso il suo sguardo in diversi ordini di eventi che vengono configurati dal testo.

Nel primo caso la donna confessa all’uomo i suoi traumi infantili, il tentativo di stupro, e li mette in relazione al mari-to e al suo carattere misterioso e sessualmente ambiguo. Poi racconta della perdita del figlio e del modo di vedere il mondo

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dopo questa perdita, oggettivando in maniera verbale alcune posizioni di Lacan sul problema del desiderio in relazione alla mancanza dell’oggetto251.

Nel secondo caso troviamo eventi diversi come il foro nella seta e il desiderio di guardare oltre il visibile, la fuga, l’entrata nel locale tappezzato di rosso, l’uccisione, il ritorno al mondo di Nikki, l’entrata nella camera 47 e la fine di tutto. E trovia-mo soprattutto la sovrapposizione tra la vicenda psichica ed emozionale di Susan e quella della lost girl, in particolar modo nell’iscrizione del perverso, costituito appunto dal fantasma della prostituzione che investe entrambe le donne. Tutte e due le donne si ritrovano sul marciapiede come prostitute, configurando due finzioni cinematografiche. In fondo la so-vrapposizione investe due film nel film e non solamente uno, quindi tre film, come tre punti di vista, tre gradi di focaliz-zazione della storia. Abbiamo quindi Inland Empire come film di David Lynch, Il buio cielo di domani come film di Kingsley Stewart ( Jeremy Irons), e il misterioso film polacco Vier Siben di cui non sono finite le riprese, ma i cui frammenti vagano all’interno dei mondi fino ad arrivare ai processi cognitivi e identificativi dello spettatore.

Lynch riesce a mettere in scena il simulacro nella sua essen-za. I tre film hanno confini labili e incerti e allo stesso modo ognuno si distingue come fase del lavoro cinematografico, come evento di riferimento, profilmico e immagine filmica, cioè copia differenziale di una copia differenziale senza ori-gine, ma tutto è avvolto in un’aria di mistero e di complessità forte che crea ulteriori nodi problematici.

Alla fine del film c’è l’illusione che abbia tutto origine con le allucinazioni spettatoriali della lost girl, che lei sia l’origine di Nikki, di Susan di quei mondi potenziali e di quegli orizzonti interrotti proiettati sullo schermo, ma se fosse così, l’inizio e la fine del film corrisponderebbero, e invece tutto questo non avviene.

L’assenza del soggetto umano è da intendere quindi come copia di un’ulteriore potenza, Nikki non esiste, è mera illu-

251 JACQUES LACAN, Scritti, cit.

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sione, ma allo stesso modo non esiste nemmeno la lost girl intesa come spettatrice, che diventa solo e unicamente con-figurazione della luce catturata dalla macchina da presa. La mdp è inscritta all’inizio del film come fascio di luce e allo stesso tempo anch’essa si presenta come assenza di una trac-cia. All’inizio infatti la mdp viene configurata come traccia del fascio di luce che iscrive il diegetico sullo schermo.

Il testo di Inland Empire però inscrive la mdp in diverse oc-casioni, anche in modalità doppie e ambigue fino al ritorno nell’altro mondo di Nikki, quando cioè, ferita a morte dalla moglie di Billy, si accascia sul marciapiede e passa da Susan a Nikki, riappropriandosi di un’identità perduta. Su questo segmento del film vale la pena di soffermarsi perché è utile a determinare un ulteriore senso latente del film.

Troviamo Susan che vaga per la walk of fame inseguita da una copia di se stessa, un doppio differenziale su cui i molte-plici sguardi diegetici ed extradiegetici si soffermano breve-mente, senza poter conoscere approfonditamente l’altro. A un certo punto viene ferita dalla moglie di Billy che era stata vista in una precedente sequenza, e mentre vaga ormai moribon-da si accascia vicino a un gruppo di ragazzi senza tetto che parlano di cose apparentemente senza senso, ma che invece si connettono alle vicende dei due personaggi femminili che attraversano gli universi possibili e su cui forse si potrebbe riconfigurare nuovamente la trama e il senso del film. Susan si accascia a terra e muore, e dopo un po’ si vede inscritta una mdp a destra dell’inquadratura oggettivando sia l’ambiguità del visibile filmico e sia la finzione come orizzonte significan-te del film e del cinema in generale. Si sente pronunciare in voce over “stop”, tutti si alzano e si scopre che è un set cine-matografico come nella prima parte del film. Ma l’inscrizione del dispositivo cinematografico pone ulteriori problemi alla comprensione di Inland Empire, e soprattutto alla definizione del senso e dei sensi che in questa analisi sono stati proposti, configurando così almeno tre punti di vista, tre mondi pos-sibili, tre sensi.

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Sovrapposizioni e ricomposizioni: la lost girl e l’identi-ficazione assoluta.

Abbiamo visto come Inland Empire configuri l’enigma e il mistero in ogni sua costruzione formale, in ogni suo angolo, in ogni sua inquadratura e immagine, e abbiamo visto come questo mondo diegetico dai confini labili e imprecisi sia at-torniato da figure misteriose che creano angoscia, paura, ten-sione narrativa ed emozionale di grande intensità. Si è visto come questo mondo, questi mondi molteplici e potenziali ab-biano al proprio interno figure antropomorfiche dominate da forte enigmaticità e doppiezza, che varcano soglie o stanno ferme nei confini, in attesa di qualcosa. Sono figure che va-gano e si trasformano fino a venire deformate radicalmente in un orizzonte allucinatorio e fantasmatico forte, capace di inscrivere il desidero e l’eccesso. Come è stato più volte det-to, la scrittura filmica di Lynch è una scrittura dell’eccesso, dell’estremo, e anche i personaggi portano con sé queste spe-cifiche determinazioni.

In Inland Empire c’è in particolare un soggetto, una figura femminile che porta con se configurazioni enigmatiche mol-to forti e radicali: la lost girl.

Questo personaggio è in fondo una ragazza persa per di-versi ordini di motivi. Innanzitutto la vediamo a più riprese in’epoca passata che fa la prostituta in Polonia, la vediamo in un probabile presente che vede Nikki e Susan al televisore, rabbits alla tv, o se stessa nascosta o mostrata e in entrambe i casi si emoziona. La vediamo che comunica con Nikki in una situazione onirica invitandola a vedere, ad andare oltre lo sguardo.

È un personaggio carico di ambiguità che assume diversi ruoli e diverse funzioni all’interno del meccanismo di signifi-cazione del film, che configura e riconfigura continuamente il senso attraverso differenti allucinazioni di cui sembra essere essa stessa il prodotto. Come Nikki che, varcando la soglia di un altro mondo si trasforma in Susan, allo stesso modo la lost girl assume altre identità, ma a differenza dei personaggi

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interpretati da Laura Dern, essa assume identità codificate in base alla dimensione spaziale e soprattutto in base alle esi-genze di sovrapposizione e ricomposizione del testo filmico. La dimensione spaziale per questo personaggio è indistinta, in quanto le identità che di volta in volta assume sono indi-pendenti dai mondi configurati da Nikki e Susan. È però pre-sente più di un legame, più di una relazione tra questa donna e quella che abbiamo considerato la protagonista del film, e merita di essere analizzato.

La lost girl è fin dall’inizio del film intenta a vedere la tv, ponendosi immediatamente come sostituto dello spettatore. In tutto il film in diverse sequenze riappare, sempre come spettatrice, riconfigurando un nuovo tipo di spettatorialità in epoca moderna, epoca dominata dalla tecnologia e dalla fruizione del cinema in ambiente domestico. Quindi la lost girl riproduce l’esperienza spettatoriale in ambito televisivo come oggettivazione dell’esperienza cinematografica all’inter-no dell’esistenza quotidiana. I processi identificativi non solo rimangono uguali rispetto alle analisi di Metz o Casetti252, ma il discorso viene portato all’estremo inscrivendolo fin dentro l’immagine, e riconnettendo l’esperienza cinematografica di-rettamente al desiderio.

Inland Empire configura al proprio interno diversi aspetti del cinema e del mondo che vi è intorno, e si potrebbe dire che il nocciolo della questione sia proprio quel mondo visto attra-verso tre punti di vista, e cioè quello di Nikki come attrice, quello di Susan come personaggio immaginario e prodotto diretto del film e della sua finzione, quello della lost girl come spettatrice morbosamente attiva che ripercorre e proietta sul-lo schermo e sul soggetto il proprio trauma e il proprio desi-derio.

La messa in scena di Lynch da questo punto di vista è for-midabile e spiazza nuovamente la reale conoscenza e com-prensione dello spettatore cinematografico.

Si è detto più volte in questo saggio che i regimi narrati-

252 FRANCESCO CASETTI, Lo spettatore calcolato, in ROGER ODIN, Della finzione, Milano, Vita & Pensiero, 2004.

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vi di Lynch sono frammentari, complessi e che disgregano i rapporti di causa ed effetto tipici del cinema classico, ma qui bisogna invece ritornare su questo aspetto. Se è corretto affermare che il film configura tre punti di vista in relazione al mondo del cinema, bisogna dire che Inland Empire è un film che configura meccanismi narrativi moderni e privi di una lo-gica consolidata, ma che al suo interno rimuove la narrazione classica, non la elimina del tutto, e la riconfigura come traccia mnestica che muove tutta l’architettura del film. In che modo lo fa? Attraverso il desiderio. È il desiderio che muove la nar-razione, e nel nostro caso il desiderio assume le forme della volontà di affermazione (Nikki Blu), di trasformazione della propria identità (Susan e la lost girl). Ma questo desiderio lo configura sotto molteplici aspetti formali proprio questa lost girl, che perde veramente la sua identità originaria.

Alla fine del film vediamo che questa donna, dopo aver visto il film ed essersi identificata con Nikki e con Susan, ritorna alla sua vita normale, riabbraccia il marito (l’uomo mi-sterioso del film) e il figlio, e in un certo senso ritrova il suo essere, ma tutto questo alla fine della comprensione del film solleva ulteriori problemi.

In definitiva il film è la storia del potere configurazionale dello spettatore cinematografico, che attiva processi identifi-cativi ed emozionali forti e di grande intensità visiva. Al cine-ma non esiste nulla, solo mondi potenziali configurati dallo sguardo e dal desiderio dello spettatore. Non esiste persino un trama, una storia che possa essere autonoma e autosuffi-ciente, tutto è il frutto dell’immaginario, cioè della proiezione del proprio inconscio, dei propri fantasmi, dei propri desideri. L’esperienza cinematografica è quindi un’esperienza dell’im-maginario, di un rimosso che ritorna e che fa i conti con i propri fantasmi irrisolti, di un desiderio e un inconscio che riemergono e reagiscono a delle immagine e a delle figure. In definitiva è la capacità dello sguardo di proiettare qualcosa e di andare oltre la semplice immagine, di varcare la soglia come fa Nikki.

Alla fine si scopre che Nikki non è nessuno, è quindi il nul-la, l’oblio, il non essere, è un soggetto che abbiamo visto es-

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sere potenza e non presenza, che si è configurato alla fine per quello che in realtà è: vettore di identificazione e allucinazio-ne. Inland Empire è il nulla, luogo di significazioni molteplici. Ma lo spettatore in fin dei conti che esperienza ha prodotto? È in misura minore un’esperienza spettatoriale soggettiva, ma è mediata dallo sguardo della spettatrice simbolizzata nel-la lost girl. Il regime narrativo ha prodotto una crisi non solo nel processo di percezione, ma soprattutto nel processo di configurazione e oggettivazione dei fantasmi.

Lynch ha costruito un’esperienza filmica radicale e nuova che si connette al progetto di partenza grazie a cui emerge il senso latente, e cioè la teorizzazione di un nuovo tipo di cinema, di un nuovo modo di fare cinema, pensare, riflettere con il cinema e per il cinema.

Se l’orizzonte diegetico di Inland Empire è l’orizzonte signi-ficante di un’esperienza spettatoriale che crea un nuovo tipo di visibile e di orizzonte di significazione, il problema si pone in relazione non tanto al genere, quanto all’inscrizione del dispositivo cinematografico.

Abbiamo visto come, nel momento in cui Susan Blu muore nella doppia finzione cinematografica, vi è inscritta nell’in-quadratura una cinepresa in direzione della scena, e che l’oriz-zonte degli eventi che avevano investito Susan perdono di valore e consistenza fino a essere riconfigurati nella finzione del film e relegati nel mondo immaginario del cinema. Se tut-to il film si risolve con la non-esistenza diegetica di Nikki e di Susan e di quegli universi, in quanto prodotto allucinato-rio e identificativo della spettatrice, perché vi è l’iscrizione del dispositivo cinematografico fin dentro l’immagine e fin dentro la formazione delirante e onirica della donna? Vi sono due ipotesi, entrambe fondate e pertinenti ai fini dell’inter-pretazione corretta del film. Da una parte la riconfigurazio-ne dell’enigma e l’impossibilità dell’interpretazione, dall’altra l’immaginario e il cinema.

Per quanto riguarda il primo aspetto, l’iscrizione della mdp fin dentro l’inquadratura ripropone il carattere enigmatico del testo filmico. L’illusione del film è credere che tutto sia il prodotto della fantasia e dell’allucinazione della lost girl,

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ma se fosse così non ci sarebbe nessuna cinepresa inscritta nell’inquadratura, nessuna mdp inscritta nelle determinazio-ni fantasmatiche della ragazza, visto che il cinema rimuove il suo dispositivo. La mdp oggettiva il problema dell’inter-pretazione, problema che è stato affrontato già da Derrida secondo la sua prospettiva decostruzionista. Per Derrida non può esservi effettiva comprensione tra un’interpretazione e un testo, e allo stesso tempo non vi è un vero senso del testo in quanto l’interprete non può conoscere le reali condizioni che hanno determinato il prodursi di quel determinato testo. Questa posizione di particolare importanza è oggettivata ap-pieno da Inland Empire in questo segmento e in ogni parte del testo. L’iscrizione della mdp oggettiva l’interpretazione come atto infinito, in quanto la mdp non registra il mondo e il visi-bile, ma interpreta il mondo. La mdp è ripresa a sua volta da un’altra mdp che non è iscritta nel visibile, ma che determina identificazioni forti e ambigue, evocando così atti interpre-tativi molteplici e infiniti, evocando molteplici mdp che ri-prendono molteplici mdp. In questo caso: “l’interpretazione decostruttiva è infinita, senza regole, in ogni caso legittima e capace di aprire nuove infinite prospettive del senso e in-sieme di oltrepassarle e di negarle253”. Quindi l’affermazione di Bertetto mostra la correttezza dell’approccio ermeneutico-decostruzionista all’analisi del film, mostrando come secondo questa prospettiva e secondo il testo, Inland Empire apre infini-ti orizzonti di analisi, e secondo la posizione di chi scrive, alla luce delle teorie di Bertetto, il discorso di Lynch sul cinema si connette apertamente alla filosofia e alle capacità di anticipa-re, oggettivare e formulare concetti filosofici importanti per l’interpretazione del mondo.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, il cinema e il dispo-sitivo cinematografico sono diventati parte integrante della cultura di massa, e da questo punto di vista costruiscono la forma dell’immaginario più diffusa del Novecento. Non solo il cinema inteso come star system e pellicole, ma il cinema

253 PAOLO BERTETTO, L’analisi come interpretazione. Ermeneutica e decostru-zione, cit., p. 190.

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come oggetto di indagine del visibile e del mondo, come ele-mento di fascinazione visiva intensa ed emozionale che ha se-gnato profondamente l’immaginario moderno. Quindi Lynch, in una prospettiva dichiaratamente autoreferenziale, inscri-ve la mdp nel visibile e nell’inquadratura stessa in funzione dell’immaginario e in relazione al problema del fare cinema. Abbiamo detto più volte in questo articolato studio come In-land Empire sia un manifesto teorico di grande importanza sulle possibilità molteplici del cinema, e abbiamo visto come Lynch insista molto su questo aspetto spesso toccato solo dal cinema d’avanguardia o dai film indipendenti. Il cinema può rinascere dalla sua morte grazie al mostrarsi in tutte le sue componenti, non occultando e nascondendo il meccanismo di funzionamento, i suo meccanismi invisibili. Il cinema può rinascere dalla sua morte grazie alla riflessione teorica su se stesso, grazie all’inscrizione nell’orizzonte del visibile delle sue componenti. Può farlo solamente se sceglie un discorso forte proprio sul visibile, sulla deformazione dell’immagine, sul figurale, sull’immaginario. L’immaginario moderno non può esistere senza il cinema.

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LO SGUARDOE LA DOPPIA CONFIGURAZIONE DEL NULLA

In una sequenza di particolare importanza di Inland Empire, la lost girl si rivolge a Nikki dicendole: «Voglio vedere». Il pro-blema della visione è quindi di fondamentale importanza nel film, configurando l’esperienza filmica come esperienza dello sguardo. Già Luis Bunuel in Cet obscure objet du désir (Quell’oscu-ro oggetto del desiderio, 1977), faceva dire a Fernando Ray: «Vieni a vedere» chiudendo così la sua carriera cinematografica254. In entrambi i casi i due film invitano esplicitamente lo spet-tatore a guardare, a esercitare la propria funzione di sguardo e ad andare oltre l’immagine stessa, secondo una prospettiva eidetica e fascinativa. In entrambi i casi lo sguardo è da rite-nersi come componente intensiva ed emozionale di grande rilevanza.

Il problema dello sguardo è il nodo teorico fondamentale del cinema e dei film255, e di tutti gli studi che ne sono de-rivati. È un problema che investe molteplici aspetti e mette in gioco componenti eterogenee, scelte compositive differen-ti, modalità di messa in scena particolari. Lo sguardo è la componente di conoscenza del film che viene esercitata dallo spettatore, dalla macchina da presa, dai personaggi inscritti nello spazio diegetico. Lo sguardo si configura come vettore

254 Su questo aspetto si veda: “Vieni a vedere”: il fascino indiscreto dello sguardo, in VALENTINA CORDELLI E LUCIANO DE GIUSTI, L’occhio anarchico del cinema. Luis Bunuel, Milano, Il Castoro, 2001, pp. 180-185.

255 Proprio perché è l’elemento fondamentale del cinema, la bibliografia sullo sguardo e sulle problematiche da esso sollevate, è sterminata e alquanto amplia e complessa. Essa investe la stessa storia del cinema e riguarda tutte le riflessioni sul mezzo cinema che dalla fine del XIX secolo fino ai giorni nostri si sono succedute e sono state elaborate. A ogni modo si consigliano una serie di in-dicazioni bibliografiche che non risolvono il problema che suscita ancora oggi lo sguardo, soprattutto in un contesto culturale dominato ossessivamente dal digitale e dalla manipolazione radicale della realtà. Si veda: FRANCESCO CA-SETTI, Dentro lo sguardo. Il film e il suo spettatore, Milano, Bompiani, 1986

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di significazione, come luogo di proiezione ed emersione del senso e spazio di allucinazione, proiezione di un fantasma e ri-configurazione dell’inconscio. Lo sguardo diventa anche l’elemento di costruzione dell’immaginario e di ricerca del vi-sibile e di tutti gli elementi che emergono da esso.

Nel cinema di David Lynch da Eraserhead fino a Inland Em-pire, lo sguardo si configura come momento di allucinazione in cui si inscrive il desiderio e il perverso, in cui si instaurano determinazioni e relazioni di senso di particolare significa-zione che superano strutture e infrangono realtà tradizionali alquanto consolidate. Lo sguardo d’altronde assume un ca-rattere demiurgico e creativo, in quanto proietta il desiderio e l’inconscio. Non solo registra l’evento e i corpi, ma configura e crea un orizzonte potenziale e non più fenomenico, creando mondi dominati dalla possibilità e dal segno costante, oriz-zonti di significazione governati dalla perdita di qualsiasi re-ferente semiotico e confine diegetico. Lo sguardo per Lynch è il mezzo di configurazione di un simulacro e di riconfigura-zione del codice, in quanto proietta desideri e deforma il rea-le, in quanto tenta un’interpretazione di un mondo artificiale e dominato da un’iper-realtà256 e che instaura rapporti e rela-zioni complesse con il principio assoluto di simulazione. È un mondo che configura simulacri e si fa dominare da essi.

Partendo dalla considerazione che Inland Empire è l’esperi-mento estetico e formale più importante e assoluto per Lynch, in cui continua le riflessioni teoriche sul cinema delle opere precedenti, il discorso sullo sguardo, che nel film diventa un vero e proprio nodo problematico di grande importanza, si arricchisce di nuovi elementi riflessivi rispetto ai testi prece-denti e pone nuovi interrogativi di carattere filosofico e con-cettuale.

Il testo presenta una complessità delle dinamiche dello

256 Sul concetto di iper-realtà si veda: JEAN BAUDRILLARD, Lo scambio sim-bolico e la morte, cit., cap. II: L’ordine dei simulacri, pp. 61-98. Baudrillard in questo saggio affronta anche il problema del principio di simulazione, ma non si può considerare per Inland Empire totalmente oggettivato dal testo, o comun-que l’oggettivazione nel film assume caratteri troppo ambigui e complessi da riferirli completamente al pensiero del filosofo francese.

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sguardo fin dall’inizio del film, che articola diverse modali-tà di inscrizione dello sguardo nel visibile e determina com-ponenti dinamico-visive che vanno oltre l’immagine. Inland Empire configura cinque diversi tipi di sguardo che possono essere indicati in questo modo:

a) Sguardo percettivo;b) Sguardo proiettivo;c) Sguardo allucinatorio; d) sguardo assente; e) sguardo negato.Non si tratta solamente di indagare sulle dinamiche dello

sguardo presenti nel film per suscitare l’interesse del lavoro di interpretazione, si tratta di vedere che tipo di dinamiche vengono iscritte nel testo e il loro carattere evocativo, si tratta di vedere che aspetti assume lo sguardo e come interviene nel testo per produrre il senso e realizzare l’interpretazione dell’orizzonte significante del film. Si tratta di vedere in che modo lo sguardo riesce a porre l’attenzione su orizzonti signi-ficanti di grande intensità teorica e analitica.

Quello che interessa in questo studio è l’analisi di un testo filmico complesso, quindi l’interpretazione del film connessa con lo studio dello sguardo deve essere condotta verso tale prospettiva, e cioè nel disvelamento di un testo enigmatico e fortemente ambiguo, nella ricerca dei molteplici sensi latenti. L’interpretazione di una struttura testuale, come è quella del film, può essere più corretta se si guarda alla costruzione dello sguardo e alla complessità delle dinamiche che intercorrono.

Gli sguardi proiettivi e percettivi sono diversi all’interno del film e oggettivano la dinamica di sguardi e di scambi che avviene durante la visione del film tra lo spettatore e ciò che è proiettato sullo schermo. La chiave di lettura di queste due particolari tipologie di sguardi è quella dell’autoriflessione. Se il testo filmico, come si è visto, guarda se stesso uscendo fuori dai suoi stessi confini, allo stesso modo l’articolazione com-plessa del testo, con le sue determinazioni e aspetti, parla di se stessa in più riprese, decostruendosi da sola e suggerendo un percorso ermeneutico che sarà la strada che intraprenderà l’interprete nel suo lavoro di ricerca del senso. Proprio questa

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complessa articolazione dei due tipi di sguardi pone ulterio-ri interrogativi sul carattere meta-testuale e autoriflessivo di Inland Empire, e naturalmente sulla funzione dello sguardo in senso diegetico ed extra-diegetico. Il film presenta degli sguardi proiettivi e percettiva di natura ambigua, che non fanno altro che incrementare l’aria di mistero che pervade tutta la storia. Proprio la prospettiva metacinematografica spiega anche il carattere autoriflessivo di questi sguardi e ne svela la natura ambigua.

Al cinema lo spettatore, attraverso il proprio sguardo, per-cepisce tutto ciò che viene inscritto sullo schermo, e allo stes-so tempo proietta su quello schermo (e su tutto ciò che vi è iscritto) desideri, figure inconsce rimosse che riemergono, fantasmi di natura differente. Questo lavoro complesso lo spettatore lo esercita attraverso lo sguardo. Questa duplice funzione della macchina cinematografica, se la si vuole con-frontare con i diversi aspetti del film, deve tener conto di diverse opzioni che potrebbero deviare da una corretta inter-pretazione del film. Prima di tutto bisogna sempre tenere pre-sente la natura molteplice dello sguardo. Quello che interessa nel film non è solo la dinamica dello sguardo di Nikki o degli altri personaggi del film, ma sono gli sguardi metacinenema-tografici della mdp, e quelli extra-diegetici dello spettatore che vengono messi in relazione tra di loro. Seconda cosa da mettere in evidenza è che nel testo filmico che è stato analiz-zato, il rapporto tra i due tipi di sguardi (proiettivo e percetti-vo) non è direttamente proporzionale, ma è in parte rimosso dalle determinazioni dinamico-visive del film. A uno sguardo palesemente percettivo non sempre corrisponde uno sguardo proiettivo. Infatti nel film notiamo come Nikki percepisce attraverso lo sguardo ciò che avviene intorno a lei, ma nono-stante essa sia un soggetto psichico forte, spesso non proietta uno sguardo che si iscrive in un’immagine ben precisa dotata di significato. È possibile considerare questa particolare dina-mica del vedere che investe Nikki e la sua funzione, come una rimozione del significante e del significato. Se si riconnette tutto questo discorso a una prospettiva autoriflessiva che più volte è stata utilizzata, potremmo considerare questa doppia

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configurazione dello sguardo come la metafora della svolta che avvenne negli anni Settanta all’interno della seconda on-data semiotica degli studi sul cinema, in cui a un significante non corrisponde necessariamente un significato, ma più si-gnificati. Nel nostro caso, che è il caso delle determinazioni dinamico-visive che compongono il testo di Inland Empire, al significante, che spesso è messo in crisi o riconfigurato in maniera ambigua, il significato non corrisponde automatica-mente né in maniera diretta. Va da sé che nei film questi rap-porti non sono sempre e necessariamente proporzionali, ma nel film di Lynch la particolare struttura del testo e l’ambigua dinamica degli sguardi percettivi e proiettivi, riconfigura in maniera palese il carattere enigmatico del film.

Oltre agli sguardi percettivi e proiettivi, in Inland Empire vi sono altri tipi di sguardo su cui vale la pena di riflettere, per-ché sono capaci di produrre senso e instaurare rapporti signi-ficanti fondamentali per una corretta analisi del film. Uno di questi è lo sguardo allucinatorio.

Il mondo diegetico configurato nel film, proprio per il fat-to di essere estremamente complesso e articolato oggettiva diversi livelli di comprensione e percezione dell’orizzonte vi-sivo, alternando il fenomenico con il fantastico, l’immagina-rio con il simbolico, il sogno con il desiderio, la percezione del reale con la proiezione di un qualcosa che ha perso ogni suo legame con la realtà largamente intesa. Proprio perché è l’orizzonte del visibile a essere luogo di riflessione profonda, lo sguardo si trova di fronte a un’ambiguità formale che in-terroga le stesse strutture percettive/cognitive di quello che si presenta come soggetto di sguardo.

A causa dell’ambiguità del mondo visibile lo sguardo del soggetto è allucinatorio, è cioè sottoposto a una deformazio-ne della visione; ma questa deformazione del visibile è un po-tenziamento soggettivo di una deformazione oggettiva. Lo sguardo allucinatorio che attua una deformazione dell’oriz-zonte visivo parte da un materiale che è già di per sé ambiguo, incerto e potenzialmente deformabile: il visibile. Il soggetto che esercita il proprio sguardo procede a un’ulteriore defor-mazione dell’orizzonte del visibile. Esso è deformato per tre

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ordini di ragione: prima di tutto perché lo sguardo è costretto a percepire una realtà fortemente ambigua in cui gli eventi di riferimento e gli orizzonti di conoscenza sono mutati e si trasformano costantemente, configurando orizzonti pos-sibili e molteplici di forte ambiguità e mistero. Inland Empi-re è sostanzialmente la storia di più sguardi di un soggetto ben preciso che esplora mondi e universi interni ed esterni a se stesso, sono universi verosimili e apparenti legati ai pro-pri desideri e alle proprie rimozioni inconsce di tipo infan-tile che ritornano e configurano un materiale visivo oscuro e altamente simbolico. Nikki attiva uno sguardo allucinato-rio, anche se al suo interno esprime emozioni violentemente contrapposte: soprattutto angoscia e fascinazione. Il carattere scisso del soggetto, che si è visto come in Inland Empire esplori le regioni più remote di questa frattura mentale e corporea, viene oggettivato dal proprio sguardo che assume i connotati di un allucinazione inscritta in una dimensione chiaramen-te onirica e fantasmatica di forte intensità visiva e figurale. Lo sguardo che si configura come vettore di allucinazione e portatore di ambiguità deve fare i conti con l’oggettivazione dei propri desideri, che si presentano come determinazioni latenti e rimosse, talvolta perturbanti e talvolta deformate. Il problema della deformazione dello sguardo, che è il problema della deformazione del visibile, si connette alla capacità di de-formazione potenziale inscritta nello sguardo della macchina da presa. La scelta di Lynch di girare Inland Empire attraverso una macchina digitale, assicura una totale deformazione del visibile e un’assoluta manipolazione del reale, sempre che si possa chiamare ancora reale e realtà quella che ha a che fare con l’orizzonte filmico e cinematografico.

Il carattere allucinatorio dello sguardo, che è sempre lo sguardo di Nikki, al di là delle configurazioni corporee e identitarie possibili che assume di volta in volta, si inscrive in un orizzonte diegetico di riferimento che è quello cinemato-grafico, inteso come mondo dello spettacolo. Inland Empire, nelle sue articolazione più evidenti e nascoste, fa una critica radicale al sistema hollywoodiano sia come luogo per la co-struzione di storie, e sia come sistema culturale di domina-

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zione dell’immaginario. Tale sistema è retto su di una logica perversa che investe e “rimuove” soggetti, individualità e cor-pi, in cui tende a nascondere tutto ciò che c’è dietro di esso, così come lo stesso dispositivo cinematografico nasconde il proprio meccanismo di funzionamento. Lo sguardo alluci-natorio percepisce quindi un visibile che è esso stesso alluci-natorio e perverso, dominato da falsi miti e desideri effimeri oggettivati come allucinazioni angoscianti. C’è un passaggio di grande importanza nel film in cui questo aspetto assume configurazioni fortemente palesi e intensive, e cioè quando Nikki si trova in una stanza e appaiono dal nulla, attraverso la luce a intermittenza di una lampada posta su di un comodino, alcune ragazze che confidano di rapporti sessuali con gente importante per poter lavorare nel mondo del cinema. Qui è presente tutta la critica radicale che fa Lynch a quel tipo di sistema. Egli trasforma le attrici (o le aspiranti) in un qualco-sa che si avvicina di gran lunga a delle prostitute e che, pur essendo rimosse nella loro fisicità, emergono dallo spazio. La sequenza però rimuove il problema del divismo e dello star system, che invece è inscritto costantemente nel personag-gio di Nikki. La donna percepisce queste ragazze, dalle loro esperienze e delusioni nel mondo dello spettacolo, in maniera morbosa, attraverso un’allucinazione, e osservandole in ma-niera alterata ed emotivamente ambigua. Non c’è una vera e propria interazione tra loro, se non di natura verbale, ri-affermando così il carattere di impotenza di Nikki e quello potenziale dei soggetti, che in questo caso sono soggetti se-condari e minori all’interno della diegesi; e allo stesso modo il segmento conferma ulteriormente la centralità dello sguardo all’interno dell’orizzonte filmico. Tra l’altro questo sguardo pone l’atto di vedere nei confronti di un orizzonte che non è solamente deformato e allucinatorio, ma nei confronti di un orizzonte del visibile che si configura come immagine po-tenziale in cui coesistono diversi livelli di significazione e in cui, oltre a inscriverne elementi diversi e ambigui, inscrive un qualcosa di indefinibile che emerge direttamente dall’imma-gine stessa, oggettivando così il carattere simulativo e poten-ziale del mondo.

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Inland Empire, proprio in quanto esperienza visiva di grande intensità e fascinazione, configura lo sguardo come elemen-to essenziale di forte rilevanza simbolica e significante, assu-mendone così la centralità nella stessa costruzione del testo. Proprio per questo la configurazione dello sguardo assume aspetti molteplici e complessi, che non possono essere sem-plificati nell’attività percettiva e proiettiva dello sguardo. Ci sono infatti altre tipologie di sguardo complesse e problema-tiche ai fini dell’interpretazione del film e nella costruzione teorica e concettuale che il testo pone e invita a formulare. Sono lo sguardo assente e negato.

Ora però, per definire e spiegare questi tipi di sguardo, sor-ge spontaneamente una domanda: lo sguardo assente è tale perché viene rimosso allo sguardo della mdp, o perché ne viene rimossa visivamente la fonte di questo sguardo, l’origi-ne di configurazione visiva, l’organo sensoriale, pur esistendo in quanto tale?

La seconda opzione è di gran lunga la più plausibile ai fini di un’ermeneutica del film ed è ascrivibile alla passione e l’in-teresse di Lynch per la meditazione trascendentale, oltre che per la sua ricerca sul cinema. La rimozione della fonte di ori-gine dello sguardo è da considerarsi come la perdita dei sensi e la rinascita delle funzioni sensoriali intese come totalità di sensazioni e percezioni che trascendono in maniera inedita lo sguardo pur esaltandolo, e andando oltre la semplice figura e i suoi confini. In altri termini, l’origine dello sguardo risulta as-sente perché c’è un’immersione profonda in dimensioni spa-ziali e sensoriali complesse e assolute che rendono superflua la percezione del mondo solo attraverso lo sguardo, nonostante lo sguardo sia una componente centrale e fondamentale nel film e nel cinema di Lynch. Proprio tale percezione che si realizza attraverso l’immersione del soggetto all’interno della propria coscienza, e quindi della propria psiche, implica uno sguardo negato perché, pur essendo una configurazione visi-va, nega lo sguardo. Si tratta di una costruzione di immagini mentali di grande complessità che emergono dall’inconscio in una configurazione dinamico-visiva ambigua e fortemente onirica che gioca e si relaziona con l’immaginario.

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Da questo punto di vista l’ambiguità del testo di Inland Em-pire è evidente anche nella maniera in cui costruisce questo particolare sguardo all’interno dell’orizzonte diegetico e si-gnificante. Lo sguardo è talmente articolato all’interno del testo da risultare, il più delle volte, come una componente non percepibile in maniera palese, oggettivata in una narra-zione che potremmo definire “ordinaria”, senza particolari accelerazioni del ritmo o configurazioni formali di grande intensità visiva. Allo stesso modo lo sguardo negato e assen-te, in alcuni segmenti del film risulta essere l’opposto di una narrazione “ordinaria”, lavorando molto sui differenti aspetti del visibile e riconfigurando le coordinate di percezione dello spazio. È il caso, ad esempio, di Devon che cerca di vedere all’interno della casetta del set, e si scopre che qualcun altro lo sta osservando, che si scoprirà più avanti con la narrazio-ne essere Nikki. L’ambiguità del segmento è tale da risultare che l’origine dello sguardo è presente, ma è il soggetto dello sguardo a venire rimosso.

Lo sguardo negato e rimosso non solo nega la sua origine, rimuovendola nell’orizzonte spaziale e in tutte le determina-zioni del testo, ma è capace di rimuovere lo stesso soggetto come elemento inscritto nel visibile. Già è stato visto e dimo-strato come all’interno di Inland Empire il corpo diventa luogo privilegiato di indagine e ricerca, componente fondamentale per l’analisi del mondo e per l’interpretazione del mondo at-traverso lo sguardo. Lo sguardo presente nel film segna in definitiva la crisi del mondo e al contempo coglie e conferma questa crisi del mondo fenomenico a vantaggio del mondo dei simulacri. Persino lo sguardo quindi configura la perdita e l’assenza di se stesso, proiettando l’assenza dell’oggetto, del soggetto, e dello sguardo come unico orizzonte visibile del mondo, di un mondo che, come già si è visto, non è altro che potenza come tutto ciò che vi è iscritto al proprio interno.

C’è un ultimo livello di sguardo all’interno del film che por-ta con sé delle problematiche di definizione alquanto com-plesse. È uno sguardo fascinativo, che si muove per tutte le diramazioni del testo in maniera trasversale e assumendo for-me diverse e ingannando lo spettatore lungo tutto il film.

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Questo sguardo fascinativo si inscrive direttamente nell’im-maginario, cioè in quell’orizzonte complesso e dinamico che Inland Empire configura, ma che allo stesso tempo separa dalle più svariate determinazioni del testo per riconnetterle al sim-bolico in una complessa prospettiva psicoanalitica.

Questa prospettiva di emersione del senso e di definizione dello sguardo in relazione alla fascinazione si basa su deside-rio e sulla definizione dell’inconscio secondo la struttura freu-diana e in parte lacaniana257. E allo stesso modo si basa sui procedimenti di proiezione e identificazione dello spettacolo cinematografico nella definizione di una teoria dello spetta-tore. Su questo punto Morin anticipa il carattere “fusionale” e simbiotico della macchina cinematografica, che svilupperà in maniera più organica Metz nella sua definizione del signifi-cante immaginario. Morin afferma: “Il cinema è proprio que-sta simbiosi: un sistema che tende a integrare lo spettatore nel flusso del film; un sistema che tende a integrare il flusso del film nel flusso psichico dello spettatore258”.

La configurazione del desiderio oggettiva il carattere fusio-nale dell’immaginario secondo la posizione di Morin, per cui l’immaginario è il punto di coincidenza di immagine e imma-ginazione, e si oggettiva allo stesso tempo come componente vettoriale di grande significazione utile all’interpretazione del film. Contemporaneamente questa natura “fusionale” e sim-biotica dell’immaginario è da intendere in rapporto al concet-to di figurale nell’orizzonte di significazione dell’immagine filmica come luogo delle teoria del cinema. Abbiamo visto a più riprese in questo saggio come l’immagine filmica sia per sua natura composta da diversi livelli significanti e da mol-teplici articolazioni del senso, e che proprio per questo essa si considera una struttura interpretativa, ma non nel senso

257 Per Lacan l’inconscio è un vero e proprio linguaggio mentre chi scrive ritiene l’inconscio una componente psichica fondamentale che riesce a superare e tra-scendere il suo stesso problema ontologico. Pur essendo vero che in una pro-spettiva di interpretazione di tipo ermeneutico, il linguaggio assume un carattere dirompente e di fondamentale importanza; all’interno dell’analisi del film, l’in-conscio in nessun caso assume le caratteristiche del linguaggio.

258 EGDGAR MORIN, Il cinema o l’uomo immaginario, cit. p. 111.

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che stimola lo spettatore all’interpretazione, bensì per il fat-to che essa presenta caratteri più o meno forti di ambiguità e per essere compresa deve essere interpretata. Allo stesso modo il carattere interpretativo dell’immagine filmica è da considerarsi in relazione al mondo. L’immagine non è una rappresentazione del mondo, ma è una sua configurazione, e questa configurazione si realizza attraverso un rapporto con il mondo di natura interpretativa. Quindi ciò che viene in-scritto nell’immagine è un’interpretazione del mondo e allo stesso modo del visibile, e contemporaneamente essa è una struttura di forte ambiguità formale in cui l’inscrizione delle componenti significanti va oltre essa e supera i propri confini più diretti.

Tenendo presente il concetto di figurale elaborato da Lyo-tard possiamo dire che lo sguardo fascinativo configurato dal testo di Inland Empire supera i limiti dell’immagine non solo in senso centrifugo, cioè uscendo fuori dai confini dell’imma-gine schermica ma andando oltre l’immagine filmica stessa. Il figurale è: “dentro e oltre l’immagine, ma esiste come tale proprio dentro l’immagine: non c’è figurale senza immagine (o testo)259”. Quindi il figurale è qualcosa di irrappresentabile ma di percepibile proprio perché ragiona con l’inconscio nei processi cognitivi e di percezione, ma allo stesso tempo si con-figura come elemento di regolazione dell’immagine, inscritto nello stesso statuto di funzionamento e di essere dell’imma-gine. In Inland Empire questo tipo di sguardo che emerge dal testo in relazione alla configurazione dell’immagine è spes-so accennato nella dinamica ambigua dello sguardo di Nikki in relazione a tutto ciò che è presente nello spazio e a tutto ciò che non c’è, che è impossibile percepire. Come il figurale che è irrappresentabile e spesso non registrabile, allo stesso modo lo sguardo fascinativo diventa impercettibile a un altro sguardo che assume caratteristiche di forte ambiguità, cioè lo sguardo dello spettatore; ma proprio in quanto figurale, esso all’interno dell’immagine filmica, e in generale del mondo e delle sue determinazioni immaginarie, instaura una relazione

259 PAOLO BERTETTO, Lo specchio e il simulacro, cit., p. 187.

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ambigua con la propria esistenza e con la propria presenza invisibile, e cioè con fantasma originario che lo rimuove.

Proprio dal punto di vista dell’interpretazione, lo studio delle possibili configurazioni dello sguardo sono state utili a determinare relazioni tra tutte le componenti del testo filmi-co e a trovare i sensi latenti che in una struttura come quella di Inland Empire assumono configurazioni inedite e radicali. Si è trattato in definitiva di un lavoro complesso di grande intellezione e analisi. Ma il problema dello sguardo nel film, accennato fin dall’inizio, rimane ancora aperto e di difficile soluzione.

I differenti tipi di sguardo che vengono oggettivati in In-land Empire non si configurano unicamente come quelli di un soggetto che guarda un altro soggetto o che guarda un altro oggetto. Non sono nemmeno gli sguardi di un soggetto che osserva il visibile e ciò che vi è inscritto al proprio interno. E alla stessa maniera non sono semplicemente gli sguardi della mdp, che nel testo svolge un ruolo non secondario e tutt’altro irrilevante. In Inland Empire è presente la configurazione di uno sguardo complesso e ambiguo come il testo stesso, che si inscrive in una prospettiva metaforica, metacinematografica ed extra-testuale di continui scambi e rimandi con la struttura del testo.

È in prima istanza uno sguardo che sta dentro e fuori il testo, che attiva grazie a questo un orizzonte significante ambiguo, una prospettiva ermeneutica e decostruzionista di emersione dei sensi latenti. È uno sguardo che ha messo in crisi radicalmente gli stessi concetti lacaniani di immaginario e simbolico all’interno dell’inconscio del testo. È uno sguardo che ha destrutturato il reale e ne ha messo in crisi lo stesso concetto di definizione. È uno sguardo che in sostanza trava-lica gli stessi confini del testo, che lo esplora attraverso la vi-sione e la conoscenza percettiva che ne deriva, e che si esplora da solo come sguardo che vede e percepisce.

Il testo guarda se stesso, come se avvenisse una scissione della propria psiche, e le immagini proiettate sullo schermo (che costituiscono il testo filmico stesso) assumono valenza onirica e allucinatoria, senza più sottomettersi a gerarchie

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spazio-temporali e logiche di causa ed effetto. Questo pro-cedimento ha a che fare con il regime narrativo generale del film, e lo sguardo mette in crisi sia il concetto di narrazio-ne proposta dai formalisti russi (la fabula e l’intreccio), sia la narrazione lineare basata su macro-modelli orizzontali di Bordwell260. Quella che viene oggettivata è la posizione di Branigan261, e in particolar modo il concetto di mondo nar-rativo che conferma ancora una volta come il film lavori co-stantemente sulla configurazione di mondi paralleli che si distanziano dal mondo reale. In più si attua un riferimento all’ambiente onirico in cui quelle gerarchie precedentemente accennate si perdono, e il testo attraverso lo sguardo mostra il suo inconscio nelle proprie determinazioni dinamico-visive e nella riconfigurazione narrativa e disarticolazione del tempo, o come dice Ricoeur nella: “configurazione narrativa nella rifigurazione del tempo262”.

La dimensione spaziale si costruisce come luogo di figu-razione onirica e fantasmatica in cui, attraverso lo sguardo, si esplora il proprio inconscio e si cercano i mondi possibili dove si realizzano i propri desideri. Questo carattere onirico, in cui lo sguardo e il mondo configurato dal testo filmico lavorano costantemente sul sogno e il desiderio, è oggettivato dal nero come elemento fondamentale dell’immagine e come elemento altamente configurante.

In Inland Empire il nero diventa l’elemento totale che assorbe figure e visioni, che spegne la luce del cosciente e lascia spazio alla proiezione onirica sullo schermo e all’oggettivazione dei propri fantasmi rimossi, avviando così un complesso scambio fatto di rimandi e scarti tra l’inconscio dello spettatore (as-sente direttamente nel testo, ma metaforizzato ed evocato dal film) e l’inconscio del testo filmico. Questo procedimento è inscritto in un’ottica metacinematografica simmetrica, come

260 Su questo aspetto si veda: DAVID BORDWELL, Narration in the Fiction Film, London, Routledge, 1985.

261 EDWARD BRANIGAN, Narrative Comprehension and Film, New York, Routledge, 1992.

262 PAUL RICOEUR, Tempo e racconto, cit., pp.183-184.

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riferimento al buio della sala cinematografica durante la pro-iezione di un film e alla capacità del buio di contrapporsi tra le luci accese della sala e la luce cromatica che proietta il film. Il nero si costruisce come elemento di divisione psichica e quindi di emersione inconscia e configurante dell’orizzonte onirico.

Lo sguardo di Inland Empire è segnato da una mancanza dovuta a una perdita. Esso registra, a livello percettivo, la per-dita di ogni punto di riferimento, di qualsiasi referente reale o simbolico, di ogni modello autosufficiente, dell’incapacità del visibile di riconnettere i propri frammenti e di oggettivare la traccia e le sue articolazioni. Di fronte lo sguardo non si trova un orizzonte del visibile ordinato e semplificato, si trova un orizzonte complesso in cui l’ente risulta ambiguo e l’es-sente diviene incapace di decifrarlo. Quello che ha di fronte lo sguardo è un simulacro, cioè la perdita dell’origine, di un mondo vero che si è trasformato in mera copia, affermando così la continua crisi del mondo moderno.

Il film oggettiva lo sguardo attraverso un meccanismo di significazione che mette in discussione a livello teorico tutte le posizioni sul post-moderno e la perdita dello sguardo al ci-nema263. Lo sguardo è e rimane il mezzo sensoriale per eccel-lenza al cinema, non solo perché instaura un rapporto parti-colare e complesso con la visione e il figurale, ma soprattutto perché lo sguardo è strumento di conoscenza del visibile e dell’universo configurato sullo schermo, e diventa il mezzo di esplorazione degli spazi filmici attraverso l’immaginario e l’identificazione scopica sia con la mdp che con lo sguar-do dello spettatore. Andando oltre i movimenti che aprono e chiudono la dimensione spaziale del film, esso infrange i confini dimensionali e figurali dell’immagine, per varcare i limiti mondo immediato e approdare ad altri mondi e ad altri universi di significazione.

263 Su questo aspetto in ottica post-moderna si veda: GIANNI CANOVA, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Milano, Bompia-ni, 2000.

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Lo sguardo, proprio perché rimane lo strumento di cono-scenza al cinema, si connota come strumento di interpreta-zione, ma non nel senso di contrapposizione con l’oggetto, quanto come articolazione della conoscenza nel mondo. Lo sguardo diventa rapporto con il mondo, perché è esso stesso strumento di interpretazione del mondo.

Nel film di Lynch lo sguardo configura mondi possibili dif-ferentemente articolati, varca i confini dell’immagine, andan-do oltre e superandola. In una sequenza importante di Inland Empire, Nikki con una sigaretta accesa buca un pezzo di stof-fa rosa, guardando al suo interno in soggettiva, la mdp entra dentro il foro e vi appare un altro mondo in cui la stesso sog-getto vi è entrato ed è inscritto. Lo sguardo diventa elemento simbolico e immaginario che anticipa l’inscrizione fisica del corpo nello spazio e va oltre i limiti fisici del proprio corpo, configurandoli come immagine. Questo andare oltre oggetti-va ciò che Freud definisce deviazioni dello scopo sessuale, e la messa in scena di Lynch ne fa un’oggettivazione ambigua. La pulsione scopofila di Nikki viene soddisfatta in pieno anche in assenza dell’oggetto su cui riverserebbe il proprio scopo sessuale264. Lo sguardo non le basta più, risulta insufficiente al raggiungimento del desiderio, per questo vuole essere inscrit-ta essa stessa nel nuovo mondo come corpo e soggettività allo stesso tempo. Lo sguardo passa dallo stato di prolungamen-to anatomico a quello di anticipatore dell’entità fisica, ma si configura anche come vettore di spostamento in un orizzonte onirico decisamente ambiguo ed enigmatico. La sostituzione di Nikki dello scopo libidico diventa sostituzione dell’iden-tità e sdoppiamento, configurando così un doppio che cerca la soddisfazione del desiderio. Tutto ciò è configurato dallo sguardo attraverso dinamiche particolarmente complesse che abbracciano diverse prospettive analitiche e interpretative di grande pertinenza nella ricerca del senso. Come l’immagi-ne filmica è una forma interpretativa del mondo, allo stesso modo lo sguardo con le sue determinazioni all’interno e fuori

264 Su questo aspetto si tenga sempre presente: SIGMUND FREUD, Tre saggi sulla sessualità, cit.

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del film diventa uno strumento, e la forma significante di in-terpretazione del testo filmico. Anche lo sguardo è in ultima istanza una configurazione interpretativa.

Lo sguardo di Inland Empire non è inscritto solamente nell’orizzonte del visibile, ma è inscritto nelle stesse configu-razioni narrative del testo.

Abbiamo visto come in tutta l’analisi del film il personag-gio principale, il soggetto che più di tutti esercita in maniera intensiva lo sguardo, è proprio Nikki, e abbiamo visto che lo sguardo che di volta in volta esprime è differente, pone delle domande e dei dubbi sulle motivazioni di questo sguardo, no-nostante ci sia un filo conduttore dal punto di vista emozio-nale: l’angoscia e l’eccesso. Nikki non è solo un osservatore, che spesso può sembrare esterno all’universo micro-diegetico che si configura, non è un voyeur tout court che oggettiva i procedimenti sadici di controllo dell’oggetto del desiderio. Essa vaga fisicamente e immaginariamente in un universo che da un lato è ambiguo e deformato, dall’altro incerto e ordinario. Questo vagare, questo viaggio spaziale e intramon-dano, prima di essere un viaggio fisico, attraverso il proprio corpo, è un viaggio che inizia con lo sguardo, con la visione e la capacità di vedere di fronte a un visibile significante e deformato, e potenzialmente deformabile attraverso il vedere. Lo sguardo rende questo orizzonte del visibile, deformato, riconfigurato, in cui avvengono scarti e scambi di carattere simbolico che interrompono qualcosa come sostiene Baudril-lard, un qualcosa legato al passato e consolidato. L’interru-zione non è nello sguardo e nel vedere, ma nella capacità di vedere e non vedere, nell’abitudine di vedere immagini e con-figurare l’immaginario, nell’orizzonte percettivo che scardina il fisico, il corporeo, il sensibile.

Lo sguardo assume quindi i connotati di vettore in grado di infrangere e bucare sia il mondo (come quando Nikki guarda nel foro di sigaretta), sia l’immagine stessa (quando appaiono delle donne nella stanza dal nulla e Nikki le guarda). Allo sguardo viene attribuita una valenza plurima, una doppia configurazione significante per l’emersione del senso, e per la creazione del senso stesso. Questa doppia configurazione

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è articolata in questo modo: da un lato lo sguardo si trova a percepire e registrare un mondo che non è ordinato ed è pura copia di se stesso, cioè un simulacro al cui interno non vi è nessuna presenza dell’essere ma solo la sua potenza; dall’al-tro lo sguardo diventa luogo di significazione e proiezione di fantasmi, configurazione di mondi potenziali che diventano l’unica realtà oggettiva e che si sovrappongono ai mondi pre-sistenti.

Ma lo sguardo di Inland Empire, tutti gli sguardi che vengo-no configurati dal testo non sarebbero tali se non ci fosse un altro sguardo a produrre tutto il visibile, cioè tutta la super-ficie da guardare. Questo è lo sguardo emozionale della lost girl, che di fronte allo schermo televisivo proietta e oggettiva tutti i propri fantasmi dell’inconscio, costruendo un’esperien-za spettatoriale nuova diegetica ed extra-diegetica, mediando con la propria funzione delegata lo sguardo dello spettatore reale e riconfigurandone il desiderio e l’immaginario, svol-gendo persino una funzione di affidamento di nuove identità e quindi di nuove esperienze filmiche.

Lo sguardo in Inland Empire è lo sguardo rivolto a un simu-lacro di grande intensità formale e fascinativa, in cui di volta in volta si possono dare interpretazioni di carattere simbo-lico o immaginario, ma pur sempre fittizie e artificiali. È lo sguardo inscritto nell’immagine filmica, cioè nel simulacro più importante della modernità.

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Indice

Indice

Inland EmpIrE. l’IllusIonE E l’assEnza

9 InLanD EMPIrE10 PERCORSO DI ANALISI SU InLanD EMPIrE14 LA STORIA DEL FILM NELLA PRODUZIONE DI InLanD EMPIrE22 LA MESSA IN SCENA E LA COSTRUZIONE DELL’UNIVERSO SIGNIFICANTE235 LO SGUARDO E LA DOPPIA CONFIGURAZIONE DEL NULLA

253 BIBLIOGRAFIA


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