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La Caria Bizantina : topografia, archeologia ed arte (Mylasa, Stratonikeia, Bargylia, Myndus,...

Date post: 15-Mar-2023
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Vincenzo Ruggieri

La Caria Bizantina: topografia, archeologia ed arte (Mylasa, Stratonikeia, Bargylia, Myndus, Halicarnassus)

Con la collaborazione di

Franco Giordano Alessandra Acconci

Jeffrey Featherstone

Rubbettino

© 2005 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli (Catanzaro) - Viale Rosario Rubbettino, 10

Tel. (0968) 662034 - www.rubbettino.it

Agnosci nequeunt aevi monumenta prioris: grandia consumpsit moenia tempus edax;

sola manent interceptis vestigia muris, ruderibus latis tecta sepulta iacent.

Non indignemur mortalia corpora solvi: cernimus exemplis oppida posse mori.

(Rutilio Namanzio, De reditu suo I, 409-414)

Indice del volume

Introduzione 9

Bibliografia 13

Cap. I Città e sedi episcopali della Caria 39 Aggiornamento della lista degli episcopati cari 43

Cap. II Lineamenti di topografia cristiana in Caria 55 Introduzione 55 La viabilità 58 Bargylia 63 Kindya 68 Meşelik Köyü 70 Güvercinlik 70 Salih Adası 71 Sıralık 73 Torba, Gölköy, Monastır Dağ, Tavşan adası 74 Side 74 Gündoğan 75 Yalıkavak 78 Kamp Yeri 79 Kara Adası 79 Yalı Cuma 80 Bağla 80 Myndus 81 Kadıkalesi 85 Islamhaneleri 86 Strobilos 86 Mylasa 86 Kafaca Köyü 87 Narhisar 88 Euromos 90 Çiftlik 91 Kasossos 91 Sinuri 93 Stratonikeia 97 Bağyaka (Panamara) 100 Lagina 100 Kurbet Köyü 104 Lab raunda 105

Cap. III La penisola di Halicarnassus: la costa nord nel periodo bizantino 117 Premessa 117

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Il territorio e і viaggiatori 117 Torba 122 Gölköy 136 La chiesa sull'isola di Türkbükü 143 Tavşan adası: la chiesa e le cisterne 145 Monastır dağ: la chiesa 158 La chiesa di Tavşan: l'arredo decorativo 165 La chiesa di Tavşan adası: le iscrizioni negli affreschi 172 La chiesa di Tavşan: gli affreschi 175 L'influenza di Edessa 187 La chiesa di Monastır Dağ: la decorazione 188

Cap. IV Mylasa e la vita di Eusebia, soprannominata Xena 199 Appendice 213

Cap. V Amboni carî: una tipologia d'arredo liturgico 227

A guisa di conclusione 247

Didascalie delle foto, delle piante e dei disegni 257

Indice analitico 263

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Introduzione

Il dispiegarsi della cultura è vasto sulla terra caria, quanto lunghe ed irte sono le catene montagnose che si stendono ininterrotte sul mare. Isole, tante, puntel-lano da vicino о lontano le baie, aperte о ascose che siano, creando una vicissitu-dine abitativa fra il violento entroterra e l'istinto cario, mercenario, di dislocare, adattandosi a nuove forme di insediamento e relazione. Tale lo scorrere delle città, di queste comunità che mai si sono adagiate in una politica centripeta, quanto piuttosto il loro ricorrere alle leghe, alle "synpolitie", alle annuali celebrazioni dei loro dei, le rendeva sempre differenziate, cangianti anche in riferimento alla par-ticolare loro geomorfologia. Dai brandelli della lista attica al formulario, quasi isti-tuzionalizzato, della catalogazione di Hierokles nel sesto secolo, qualsiasi lettore vede permanenze e scomparse; costata ancora, durante і quasi nove secoli che se-parano queste liste, nascita e morte di varie comunità urbane e rurali che hanno così il tempo dei fiori di Cappadocia, scomparsi alla fine d'una stagione.

In archeologia questo dispiegamento culturale è reso tangibile dalla coesisten-za di un apparato poligonale che sostiene spesso lastre di breccia ellenistiche: ot-timo fondamento per l'ulteriore sostegno di strutture di propaganda imperiale che, a loro volta, vanno a reggere il caotico riutilizzo avutosi in tempo cristiano nel fog-giare un imponente edificio ecclesiastico. Le stratificazioni riscontrabili in un tem-pio urbano о in un santuario rurale danno una sintesi di persistenza nella conti-nuità. Non l'unica, certo, ma eloquente è questa sintetica lettura che emerge per questo territorio cario: diventa essa stessa un accordo sintonico con quanto rac-conta l'evoluzione della città, in se stessa e nel rapporto col suo territorio.

La geografia delle pagine che seguono continua quella da me già analizzata relativa al golfo ceramico. Il mare è sempre onnipresente ad ovest, mentre da sud, da nord e da est sono le montagne о gli altipiani a creare confini, labili, in-vero, giacché non sempre s'è certi dove un territorio urbano termina. Infatti, se si possono immaginare і confini relativi a Bargylia, a Myndus e ad Halicarnassus, città che condividono una stessa penisola, leggermente più aspro è il districarsi fra le montagne a nord e ad est di Mylasa per distanziarla da Alabanda e Strato-nikeia. Al lettore deve essere subito detto, tuttavia, che Halicarnassus e Mylasa sono divenute due attivi centri, turistico il primo e chiamato Bodrum, commer-ciale e patologicamente in espansione il secondo: gli sporadici e minuti scavi di questi due centri non toccano assolutamente il plesso centrale antico che per-mane sotto il cemento. Bargylia non ha avuto scavi, ma surveys che, tuttavia, non hanno pubblicato quanto di consistente le strut ture in superficie indiziavano. Myndus resta negletta e negli ultimi anni sta assurgendo a centro turistico, obli-terando lentamente il suo passato. Stratonikeia, invece, benché sotto scavo da varie decadi, non ha mai ricevuto l'onore d'essere riconosciuta, come città cri-stiana, in una pubblicazione adeguata; anche le sue iscrizioni appaiono come sparute parvenze nel corpus epigrafico proprio e in quello relativo al suo terri-torio. V'è ancora da premettere che, se questo è lo status delle città, l'evoluzio-ne e l'uso del territorio ad esse relativo - oggi sembra prediligersi il termine "landscape" e "land-use" - ha assunto una natura totalmente stravolta e irrime-diabilmente persa rispetto al carattere antico conservato fino agli 1950-60: oggi è un alveare crudele di cemento.

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Dopo aver in passato toccato parte del territorio a nord di Bodrum, mi riferisco al tratto che da Torba sale verso l'isola di Tavşan, e parte di quello relativo a Mylasa, m'è sembrato opportuno, tanto per lo studioso della vita provinciale bizantina, quanto per la messa a punto di monumenti e siti in via di cancellazione, riprendere quegli scritti - a loro tempo presentati in Orientalia Christiana Periodica - e rein-tegrarli in un insieme territoriale più consistente. M'ero preoccupato inoltre del-l'aggiornamento delle liste dell'episcopato cario, carente in previe sue pubblicazio-ni, in vista di una più coerente lettura storica delle città: anche questo contributo -una primitiva sua redazione apparve in Revue des Études Byzantines del 1996 - è stato totalmente rivisitato ed ampliato in relazione alle incipienti variazioni, pre-senza e scomparsa, destituzione e creazione, delle città - sedi episcopali. La coesio-ne, se tale termine ha senso all'interno di un discorso di topografia cristiana, degli insediamenti periferici al corpo urbano s'è rinvenuta nel persistente ritorno ad una rivisitazione del sito e, dall'altra parte, al ricorrere soprattutto agli epigrafisti della seconda metà dell'Ottocento - inizi del Novecento. Grazie ad essi si è avuto notizia dell'integrazione nel tessuto cristiano di siti dediti ai culti originari della Caria - si pensi a Lagina, Panamara, Korazôn, Kindya, Sinuri e Labraunda (grazie anche agli scavi). In questo modo si presenta al lettore un iniziale, perché tale resta quanto si offre, tessellato cristiano del territorio cario.

Il lavoro protrattosi in Caria per molti anni mi ha reso esitante nell'attribuire al VI secolo la quasi totalità di quanto è pervenuto. Qualora si volesse pensare ad un termine ante quem per la capacità produttiva di un territorio urbano, credo che si possa arrivare fin entro il VII secolo, prima che il mare divenisse pericoloso e si rendesse necessaria un'opera di revisione sulle mura (il caso di lasos sull'istmo о di Ceramus sulle mura urbiche). Credo, ancora, che dei siti commerciali, come de-gli interventi architettonici siano ascrivibili alla fine del V secolo; differenziato, an-cora, mi sembra lo svolgersi dell'intero VI secolo. Nelle pagine finali s'è tentato di evidenziare momenti culmine di questo secolo e sul come gli eventi abbiano po-tuto radicare una mentalità - si dirà dell'immaginario - ed in più, come gli stessi abbiano potuto scuotere un'economia ed una capacità di investimento costruttivo nella città. Le nervature viarie che si snodano nella penisola di Halicarnassus men-zionano Anastasio, un imperatore conosciuto per le sue attività edilizie e per la cu-ra versata su Rodi al tempo del terremoto. La scansione cronologica delle scultu-re di Bargylia e delle sue iscrizioni s'accorda alla storia costruttiva delle sue chie-se; lo stesso dicasi di lasos, che propone manufatti ed edifici dilazionati fra la fine del V e inizio VII secolo. La piena età giustinianea standardizza delle tipologie - in-travedo gli amboni a rampe gemelle - che saranno ripetute un po' ovunque con leggere varianti. È nella metà del VI secolo о qualche decennio più tardi, comun-que, che saranno dipinti і cicli di Tavşan e di Monastır Dağ: si tratta, almeno al mo-mento questo è da dire, di evidenze particolari non tanto per la qualità degli affre-schi quanto per il posto ove essi sono stati messi in opera. Si resta privi, in effetti, di riscontri urbani in quella data; riscontri se ne ebbero, ma di diversa data e qua-lità, anche nel golfo ceramico.

Mi si conceda, allora, di dire che si è all'inizio di una sistematizzazione di que-sta ampia provincia, facendo ricorso - come non fare altrimenti! - ad una investi-gazione pluridisciplinare. Cnidus aspetta ancora di trovare posto negli interessi de-gli studiosi: non solo le chiese restano senza una ragionevole cronologia, ma an-che le prolifiche sculture e mosaici giacciono ancora in parte non studiati. Non mi è sembrato così opportuno di "catalogare" le sculture о le murature: sono certa-mente operazioni da compiersi, ma solo quando la cornice storica del singolo sito, anzitutto, e poi della sua immissione nell'insieme più ampio del territorio urbano abbiano tracciato dei parametri più realisti e coerenti al vero. Si è certi che questo processo avanzerà grazie al lavoro sul campo che differenti equipes conducono e al nuovo interesse di studiosi intenti a smantellare і depositi marmorei dei musei

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archeologici provinciali. In questa ottica, dunque, non ho inteso alla fine dare del-le "conclusioni", quasi dover sintetizzare о discernere il succo di una composizio-ne che, in vero, è appena iniziata, quanto piuttosto delle costanti che emergevano dai dati raccolti e poste in riferimento al mutato panorama urbano e territoriale. Ho cercato di guardare all'uomo che viveva in questa provincia, città о villaggio che fosse, all'interno di una sua quasi stabilita mentalità ordinaria, scandita da una religiosità divenuta imperante e consolatoria al tempo stesso. Forse in questo con-testo si trova anche il motivo di costruire in fretta un edificio religioso, piccolo о grande che sia; forse in questo, ancora distante, immaginario, ricco di aporie e con-traddizioni, si rinviene l'appiattimento delle culture autonome con la loro entrata nella più comune e similare cultura medioevale.

Con piacere m'è d'uopo ringraziare і tanti amici turchi di Selimiye, Narhisar, Turgut, Milas e l'équipe dirigenziale del museo archeologico di Milas: attenti e di-screti sono essi stati nella loro disponibilità ed incomparabile amicizia. Alla dire-zione delle antichità in Ankara va il mio ringraziamento per і permessi di lavoro sempre accordati; la generosità operosa di Nilgün Sinan del Museo delle Civiltà Anatomiche di Ankara trovi in queste parole il mio sincero ringraziamento. I Dia-ri di R. Wood sono stati consultati grazie alla gentile disponibilità della Hellenic Society Library di Londra. Gli ultimi due periodi di lavoro in Caria sono stati so-stenuti dalla squisita gentilezza di Caterina e Carlo Bodega, generosi e solerti nel-l'aiuto finanziario fornitomi anche nella presente pubblicazione e al sostegno ami-chevole di Matteo Turillo, con me per anni a lavoro nelle contrade carie; a Miche-le Silvestri rivolgo un amichevole ringraziamento per la sua generosità manifesta-mi così spesso in questi anni. A Otto Kreşten, Cyril Mango, Fede Berti e Luca Pie-ralli devo con riconoscenza indizi, note, discussioni per valutare і tanti interroga-tivi che nel tempo emergevano: subitanee e illuminanti erano le loro risposte; un grazie sincero rivolgo ad Alexander Zäh per la sua continua disponibilità e gene-rosità nel rispondere sempre a favori chiestigli. Un ringraziamento doveroso va a Rosina Buscaglia, che ha pazientemente rivisto tutto il presente testo. Vi sono, in-fine, і miei amici, collaboratori, il cui lavoro traspare in queste pagine: Franco Giordano era accanto a me quando si era alle prese con Tavşan adası, Monastır Dağ, Göl e Torba; Alessandra Acconci ha lavorato con perizia ed incisività sui frammen-ti di ambone da me rinvenuti nel corso degli anni; Jeffrey Featherstone mi regalò a suo tempo la doviziosa traduzione inglese della vita di Eusebia di Mylasa. Durante і tanti anni trascorsi nelle contrade carie sono stati con me, intenti in un lavoro minuzioso quanto pesante: Roberta Uberti, Vivalda Diex, Marianna Kekki, Maria Pina Sicuro, Antonio di Rodi, Natale Fabrizio, Giorgio Gonnella, Giuseppe Sbarai-ni, Pietro Chieti, Antonello Furnari: ad essi ancora va la mia amicizia e il mio cor-diale grazie.

V. Ruggieri Roma, aprile 2005

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Capitolo II

Lineamenti di topografia cristiana in Caria

Riconosco che è ardito introdurre il termine di "topografia cristiana" in am-bito cario. Non si tratta di misconoscere un fatto pressoché tangibile, reso tale dalle copiose pubblicazioni relative ai numerosi esempi di siti e monumenti bi-zantini - ben si intenda che quest'ultimo termine traduce il più consueto "cri-stiano" del titolo - quanto piuttosto tentare di applicare in un altro ambito geo-grafico e culturale, quanto in modo più consistente e continuato è avvenuto ed avviene nello studio della geografia cristiana dell'Occidente1. La Caria, che in molti aspetti riflette altre regioni dell'Anatolia, ha una sua propria costituzione culturale allestita su stratificazioni millenarie, variegate e polimorfe in riferi-mento alle differenti geografie culturali del territorio stesso. V'è, inoltre, un'e-voluzione più che secolare nel rapporto intercorrente fra insediamenti urbani e rurali2, città e santuari indigeni legati a villaggi, fra culti locali ancestrali e il nuo-vo pantheon ellenistico e poi romano3; questa logica, inoltre, si diversifica se si affrontano le regioni non prettamente ellenizzate, dove і culti perseverano qua-si immutati per secoli. L. Robert pennella, e con vera maestria, questa diversità geografica e culturale del territorio cario verso la fine della sua lunga esposizio-ne su Kidrama:

"Le pays des Kidraméniens n'était pas déshérité. Les terres de la plaine, les collines au Sud, ont fourni leurs céréales, leurs raisins, leurs fruits, à une po-pulation qui a pu être relativement nombreuse. Les montagnes qui les encer-clent pouvaient donner asile à de grands troupeaux, qui ont pu fournir en abon-dance leur lait et leur laine. Mais l'hiver est rude, à Kidrama comme à Sebasto-polis; la neige s'y attarde. Combien cette Carie est dissemblable de la Carie mé-diterranéenne, de Mylasa avec ses bois d'oliviers, et de la Carie Heureuse, de la vaste plaine aux moissons fécondes d'Alabanda, et même de la Carie centrale, d'Hyllarima avec ses eaux et ses verdures idylliques. La vie a toujours dû être rude et les mœurs primitives; de même qu'aujourd'hui la différence est grande entre ces paysans des plateaux et ceux des plaines ouvertes, leurs habits, leurs mœurs, leurs habitudes sociales, dans l'antiquité les gens de Kidrama, de Se-b a s t o p o l , ont dû être, comme les Tabéniens, feroces ad bellandum viri et ado-rateurs de leurs vieilles idoles"4.

Nel fissare un punto di partenza cronologico con la fondazione di Costantino-poli, la Nuova Roma, nel 324, l'impero è fondamentalmente costituito dalle anti-che città; varie quelle di fondazione ellenistica, poche quelle costruite nel periodo imperiale5. Il nuovo, il "cristiano" del titolo di queste pagine, per і primissimi se-coli non significò una grande rivoluzione nella vita urbana, tanto meno nelle cam-pagne. Il fenomeno, spesso enfatizzato e celebrato, della trasformazione dei tem-pli in chiese6, resta, e deve restare, un processo alieno da facili generalizzazioni e, stando ai dati archeologici ed epigrafici, da ritenersi molto protratto nel tempo e diversificato rispetto alla storia culturale e sociale delle varie province7.

Per quanto strano possa sembrare, і dati in nostro possesso relativi all'intera provincia caria durante l'epoca costantiniana о subito dopo, non hanno consegna-to alcunché di tangibile a proposito di monumenti ecclesiastici о funerari. Certa-

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mente si hanno informazioni relative alle comunità cristiane - si pensi alla corri-spondenza di Ignazio di Antiochia indirizzata ai gruppi cristiani di Magnesia e Tral-ies - e a sparuti martiri legati ad Aphrodisias e Stratonikeia. È vero che bisogna ne-cessariamente supporre strutture ed impianti architettonici di natura cristiana in quelle città ove la presenza episcopale è registrata già nel 325 (a Nicea I), ma, per quanto sappia, a parte sale e mosaici ad Aphrodisias datati e databili al Late-Anti-quey epoca, credo, oscillante tra il IV e V secolo, non si possa e debba generalizza-re troppo sul come sia iniziato il processo di urbanizzazione cristiana di insulae su un ordito precedente8.

Un isolato testo, di natura apologetica e polemica, in verità, accenna a edifici, quasi certamente di natura "martiriale" costruiti, о in atto di essere costruiti, presso il tempio di Apollo Didymo. Il breve accenno che ne fa Sozomeno a ri-guardo9 - imperatore era Giuliano - tocca probabilmente una prassi più di natu-ra apotropaica, vista la vicinanza al tempio (πλησίον του ναοΰ του Διδυμαίου Απόλλωνος), che di consistente intervento urbanistico-architettonico (l'insedia-mento di queste costruzioni non interferisce assolutamente con l'impianto urba-no, perché il tempio non era in città, e tale fu anche il caso àelYApolloneion a Daph-ne d'Antiochia). Queste cappelle martiriali (έπι τιμή μαρτύρων ευκτήριοι ο'ΐκοι10) dovrebbero ritenersi come il primitivo impianto di una necropoli cristiana extra moenia, impianto inteso non solo come corollario alla prassi giuridica della sepol-tura, ma anche come filatterio per vincere il potere demonico esercitato dai gran-di santuari11.

La topografia che segue l'avvento di Costantino conserva, in questo modo, la sua originaria struttura e divisione. Vero che con l'avvento dell'epoca medioevale la città assumerà più un aspetto "rurale", perdendo quelle peculiarità che la ren-devano polis nell'antichità, ma è altresì vero che la fonte affidabile di Teofane ci as-sicura, per il sinodo di Hiereia nel 754, la presenza di 338 vescovi a Costantinopo-li: la stessa fonte continua dicendo che mancavano і rappresentanti delle altre se-di (Roma, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme)12. Si può così ragionevolmente ritenere che molti episcopati (vale a dire, città, pur se "medievali") dell'Asia Mino-re erano presenti ed ancora attivi nella metà dell'VIII secolo. In questo ordito to-pografico sono da immettere quei centri propulsori dell'economia urbana che so-no і siti rurali, siano essi kômai о choria, о piccoli e isolati insediamenti difficili da leggersi a causa dell'apparente mancanza di relazione con il centro maggiore. Il tessellato risulta così completo, ma quasi impossibile da stendere anche su una ipotetica mappa, privati in parte, come si è in Asia Minore, di fonti letterarie о epi-grafiche relative al territorio provinciale13. Una concordanza di fonti, come avvie-ne per la Giordania14, è introvabile sul territorio anatolico15 e questa carenza ov-viamente si riscontra anche per il territorio cario.

Della provincia di Caria, tuttavia, in considerazione di quanto su detto, non si terrà presente tutto il territorio, ma solo quello relativo alle città di Mylasa (Milas), Bargylia, Myndus (Gümüşlük), Halicarnassus (Bodrum) e Stratonikeia (Eskihi sar)16. Estesa e diversificata è la geografia di questa provincia che ha visto inizial-mente l'ellenismo sui territori costieri, prima che la nuova cultura invadesse an-che і suoi confini con la Frigia17. La necessaria restrizione geografica ha facilitato la messa in opera di una forma interdisciplinare di studio18 che consente una più affidabile e completa stesura topografica. L'intento è la "ricostruzione" del territo-rio in periodo bizantino, basandoci sull'archeologia19, sulla toponomastica classi-ca, sull'epigrafia e sulle scarse fonti letterarie bizantine relative alla nostra crono-logia.

La zona costiera di questo territorio è irrimediabilmente perduta, come sparu-ti sono rimasti і superstiti monumenti affiancati о racchiusi dalle strutture alber-ghiere. Il percorso di Bean e Cook, soprattutto lungo tutta l'estensione della peni-sola di Halicarnassus-Mylasa, è praticamente illeggibile a causa delle miriadi di al-

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veari turistici che deturpano scandalosamente lo sno-darsi ondulare delle alte e basse colline di quest'area geografica. L'entroterra continua a coltivare і frutti d'una volta: l'ulivo anzitutto, і fichi, sesamo, miele, frutta e ortaggi20. Nei pianori, quelli creati a quote dif-ferenti nelle vallate degli altipiani (ricorrendo alla tec-nica del terrazzamento), compaiono і cereali e a tratti il tabacco. Ancora presente è il pino; ora il terreno co-stiero abbandona questa pianta per accogliere le case estive fatiscenti. La cittadina odierna di Milas calca per una larga fascia l'area urbana antica e, sporadicamen-te, in modo accidentale durante riassesti viari о edili-zi, si portano alla luce ancora oggi residui di case e de-corazioni passate21. La grande piana di Milas, vigilata ad ovest e nord dai monti, è invasa da costruzioni che ormai, depauperando la col-tura dell'ulivo e della frutta, non solo hanno cancellato molte dimore antiche ex-tra moenia22, ma legano in linea costante la cittadina coi villaggi propinqui, una volta ben separati23. Prima di addentrarci sul tessuto viario di questa regione, pre-me fermare l'attenzione su qualche elemento inerente al nostro discorso volgen-do lo sguardo all'antico acquedotto di Mylasa24.

L'ispezione del condotto idrico, avuta anni or sono, partiva dalla nuova strada che aggira il centro antico di Milas spingendosi per circa 2,5 km verso est, dove scompaiono le imponenti arcate sul declivio collinoso. Certamente opera romana - si dice di II secolo - ma, per quanto sappia, mai studiato in quelli che sono stati і suoi momenti successivi. La sezione occidentale è la più caduca; l'orientale con-serva a tratti la sua maestosità ed eleganza (foto II/l). L'ampiezza delle arcate infe-riori si conserva generalmente su 2,35 m; l'altezza dei pilastri all'imposta degli ar-chi resta sulla stessa misura di 2,35, e la luce degli archi scende a 1,70. Alla rego-larità del registro inferiore risponde una stessa misurata eleganza nelle arcate su-periori, dove tutte le dimensione sono ridotte alla metà (foto II/2); sfortunatamente il corso dello speco è perso in tutte le sezioni del condotto. Il paramento a faccia vista del sacco mostra blocchetti rettangolari - di dimensioni decrescenti in altez-za - con zeppe lapidee tenute da malta; la ghiera offre una maggiore ed ovvia ac-curatezza nel taglio e nel-la posa dei conci; gli in-tradossi, infine, sia nelle arcate inferiori come in quelle superiori ripren-dono la tipologia del fac-cia vista dei pilastri con una maggiore percentua-le di ciottoli. Il cementi-zio originale nella costi-tuzione del sacco contie-ne ciottoli di varie di-mensioni, pietre di picco-lo taglio affogate in una malta grigia, molto tena-ce, con piccoli inerti e forte percentuale di lapil-li, frammenti marmorei e laterizio non ben frantu-mato (malta A). Ad un sacco abbastanza simile

II/l - Milas, veduta dell'acque-dotto.

II/2 - Milas, rapporto fra le ar-cate nell'acquedotto.

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ІІ/З - Milas, particolare di un'ar-cata.

si accoppia una variante di malta color ocra, con forte percentuale di laterizio, piccoli inerti neri e scaglie piccole di marmo (malta B)25. Infine una terza malta appare, avente una consistenza più grossolana, di co-lore grigio, contenente calcare frantumato, inerti e la-pilli, frammenti considerevoli di cocciame che cemen-ta il sacco costituito da ciottoli, pietre di varie dimen-sioni e pezzi di laterizio a luce (malta C).

Questi tre tipi di malta e cementizio sono rinveni-bili a tratti lungo tutto il percorso del condotto ed evi-denziano con altrettanta chiarezza gli stati di rifaci-mento о di intervento sui pilastri о sulle arcate. In ef-fetti, il tipo di malta С è impiegato quando il manufat-to romano ha subito un consistente intervento di re-stauro. Procedendo dalla strada ed inoltrandosi verso est, si notano pilastri che usano elementi marmorei modanati come blocchetti per il paramento a faccia vi-sta; ancora più eclatante è il caso, sempre verso est, di pilastri che hanno perso gran parte della consistenza del sacco e sono stati risarciti con un massiccio utiliz-zo di elementi architettonici classici posti a costituire l'ossatura, la muratura stessa del pilastro (foto II/3). In quest'ultimo contesto costruttivo ricorre in abbon-danza la malta C. È evidente che interventi di consoli-damento e manutenzione dell'intero condotto siano stati messi in opera in epoca antica (ricorso di malta B); è altresì evidente che il ricorso massiccio sia agli elementi architettonici classici come muratura, come alla malta di tipo С appartenga ad una fase che non può

pensarsi antica о tardo-antica. Se si volesse azzardare un'ipotesi, vista la tipologia della muratura, si opta per una data di fine VI - prima metà del VII secolo, almeno.

Infine, si fa notare che per oltre 1,5 km si sono raccolti sotto і pilastri о accan-to ad essi grandi quantità di blocchi perfettamente tagliati di marmo bianco, ele-menti di trabeazione, elementi di stilobati e rocchi di colonne marmoree. Questi elementi, assieme ad un consistente edificio (termale?)26, e all'abbondanza di nu-merosi elementi marmorei classici riutilizzati come muratura nelle case prolifica-te lungo il condotto, fanno pensare ad una considerevole estensione (un quartiere extra urbano?) di domus antiche nella piana ad est27.

La viabilità

Uno dei fattori, fuori dubbio fra і più importanti, nella stesura topografica di un territorio è la sua viabilità28. Si è parlato a lungo su questo soggetto e credo che si possa ritenere, almeno fino alla prima metà del VI secolo, che il sistema viario sta-bilitosi in epoca romana fra le città di questa parte della Caria fosse ben funziona-le. Come si avrà modo di accennare in seguito, qualche città riuscì a legare a sé dei culti particolari risalenti ad epoche precedenti. La ιερά οδός, che vedremo legare Labraunda a Mylasa29, avrà probabilmente avuto (a parte il caso esemplare di Mi-leto-Didyma) un pendant analogo a Bargylia-Kindya, Panamara-Stratonikeia30 e Lagina-Stratonikeia31. Questa viabilità, dovuta ad esigenze cultiche esistenti nel-l'età pre-romana, certamente continuò anche in epoca cristiana, visto che sui san-tuari (Kindya, Panamara, Lagina, Sinuri, Labraunda) sorsero poi delle chiese nel-la prima epoca bizantina. La nervatura centrale, dunque, dei miliaria imperiali ci

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danno lo schema-base della viabilità che, a sua volta, si estendeva о de-viava per toccare siti consacrati a culti particolari da tempi antichi. Va da sé che il seguire passo passo quanto gli epigrafisti ottocenteschi, in modo particolare, hanno visitato comporta una difficoltà non piccola. Benché sia in larga parte leggibile la loro rotta, non sempre lo è il sito di rinvenimento. Il ricorso alla cartografia passata sarà, dunque, uno strumento di costante utilità, pur se non sempre risolutivo per casi ove il dubbio resta ancora fondato32.

Il miliarion di Dörttepe si pone sulla strada Mylasa-Halicarnassus, al bivio ove si accede anche a Sığırtmaç (Kindya), ed aggiunge una no-ta d'un certo interesse per il nostro discorso. La fioritura di episcopa-ti monofisiti in Caria durante il periodo anastasiano, attorno all'anno 500, è ben rilevata nella lista di quelle sedi sotto giudizio all'inizio del regno di Giustino33. Quest'imperatore, tuttavia, pur epurando le radi-ci monofisite dal territorio cario, non si esimeva dall'intervenire sulla viabilità di questa provincia. Άνανεόομαι (άνενέωσεν)34 implica una renovado imperiale col tramite del consularis FI. Procopius, un inter-vento che non solo dilegua possibili ambiguità sull'opera imperiale nei territori dell'impero, pur se alcuni d'essi si erano allontanati dall'orto-dossia durante il precedente imperatore, ma che certifica, almeno fino ad una cer- H/4 - La via sacra a Panamara. ta epoca (la prima metà del VI secolo), la cura imperiale su una rete viaria stesa e stabilita in epoca anteriore. Questa nota sull'intervento imperiale a proposito del-la logistica viaria d'epoca precedente sostanzia il metodo di lettura circa la conti-nuità sull'ordito topografico precedente. Dopo Dörttepe, prima di arrivare a Yoku-şbaşı, v'è ancora un sito tardo-antico sulla costa con vestigia cristiane (Sıralık). L'indicazione di 10 miglia, probabilmente da Halicarnassus, risponde bene alla po-sizione della lastra marmorea35 (su questo sito torneremo in seguito).

L'asse Mylasa - Halicarnassus, ancora, aveva almeno altri due incroci, stando ai dati epigrafici traditi ad oggi. Due miliaria datati al tempo di Anastasio I segnava-no una deviazione dall'asse principale a Torba e a Yokuşbaşı, prima dell'arrivo ad Halicarnassus. A Yokuşbaşı la strada prendeva una direzione est e sud-est, verso Mumcular, Alakışla e Çiftlik; a Torba, invece, la strada saliva in direzione nord per innervare la penisola sia sulla costa settentrionale, sia nell'interno.

Il miliarion a Yokuşbaşı puntella la strada antica che porta a Karaova (Mumcu-lar), strada individuata da Newton e Paton-Myres nell'800 tra le città di Mylasa e Halicarnassus36. V'è, tuttavia, un altro miliarion, d'età tetrarchica e tardo-antica menzionante il nome del governatore Fulvius Asticus (διασημότατος), al miglio II da Halicarnassus, proveniente da Yeniköy ("area of Bodrum")37 che pone qual-che dubbio. Yeniköy ("nuovo villaggio") mostra la reiterata carenza di fantasia nel-l'ossessionante cambiamento toponomastico in Turchia; dando fede al fatto che la pietra è inventariata nel museo di Bodrum, il suddetto villaggio deve necessaria-mente trovarsi nell'area archeologica sottomessa alla giurisdizione di questo mu-seo. L'unico sito che soddisfa questa esigenza è Yeniköy, villaggio sito a ca. 3 km sud di Mumcular, ed appartenente a quella "line of the old road" che nell'800 se-guiva molto da vicino quella del tracciato moderno38. La posizione del villaggio suggerisce una percorrenza verso Mylasa, attraverso l'altopiano; mi resta incerta la presenza о meno, su questo asse viario, della chiesa una volta presente a Çiftlik39. Il villaggio di Çiftlik si trova a 5 km a sud di Karacahisar (Hydisos), città antica e in seguito insediamento bizantino che dall'alto controllava l'asse viario Mylasa-Ce-ramus.

A Torba v'era una deviazione verso nord (Caryanda?) marcata a Gölköy da un miliarion d'epoca tetrarchica40. Questo tratto era ampiamente popolato in età cri-stiana - al tempo di Guidi il villaggio propinquo di Türkbükü era chiamato Rum-bukü! (al tempo di C.T. Newton il nome era Roumeli-Koì) - , e l'occupazione di

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Pianta Il/i - Sezione della Caria (dalla Admiralty Chart NJ 35-11 SW).

questa parte della penisola non solo si spinge fin sull'isola posta a nord (Tavşan Ada-sı), ma s'allarga verso est e sud. Se la strada marcata in età tetrarchica a Gölköy scendesse о meno verso il centro della penisola per raggiungere Myndus, resta una possibilità che, comunque, sembra sia supportata da insediamenti antichi e cri-stiani apparentemente staccati fra loro. A Beypinar, al centro del promontorio, fu rinvenuto un altro miliarion d'epoca tetrarchica e anastasiana che, come giusta-mente notavano al tempo Bean e Cook, marca "a Roman highway"41. Probabil-mente a quest'altezza l'asse principale si avviava verso Myndus, mentre una sussi-diaria deviazione a nord - che si allacciava alla strada proveniente da Gölköy - sa-liva forse all'insediamento cristiano a Yalikavak.

Il ricorso ai miliaria per individuare tracciati da Mylasa verso nord ed est è qua-si inutile42; quanto si potrà desumere dalla fonte agiografica antica, relativa alla città di Mylasa, e dalle notizie relative all'ultima comunità greco-ortodossa resi-dente in città sarà vagliato altrove in quest'opera. L'asse viario Mylasa-Stratonikeia è molto arduo a causa del blocco montagnoso a est-nord-est (il massiccio marmo-reo dell'Aksivri = Sivridağ). Il tracciato antico in salita che si nota seguendo la sta-tale Milas-Muğla (pur se con leggere variazioni di quota), sarà affrontato in segui-to43; probabilmente, anche sull'altopiano, il tracciato moderno segue quello anti-co (Korucuk-Gökçebelen-Karaltı)44, pur con variazioni di quota, fino alla discesa verso Stratonikeia (Eskihisar). I miliaria di Gibye (Djibi, Gibia, Bağcılar, ed anco-ra Yeşil Bağcılar), infine, sono da legare naturalmente a Stratonikeia45. La direzio-ne nord, presunta venendo dalla città a sud, va riferita certamente al santuario di Lagina (presso il villaggio di Leina, oggi Turgut).

Un ultimo accenno alla viabilità terrestre a nord di Mylasa è ancora parzial-mente recuperabile dai percorsi intrapresi dai passati viaggiatori. La comunica-zione delle città di Alabanda e Alinda (poi divenute sedi episcopali), non solo fra lo-ro, ma di ciascuna d'esse con Mylasa e Stratonikeia, è desumibile dalle liste d'invi-to alle città per le festività a Lagina, Panamara e Labraunda, sedi dei culti cari (pianta Il/ii). Il ricorso ai tracciati indicati dai viaggiatori passati è certamente d'au-silio, ma non assicura che essi abbiano solcato sempre percorsi classici, anche se il doppiare la catena montagnosa induce a ritenerli possibili. V'è però qualcosa nel-le descrizioni tramandate che sembra degno di considerazione: spesso vengono ci-tati percorsi "pavimentati" antichi46, oppure si dice che lungo il percorso si incon-travano tombe о monumenti, segno evidente di un passato utilizzo del percorso stesso. La difficoltà per eccellenza propria alla connessione fra il versante nord e l'asse Mylasa-Stratonikeia (ovest-est) - asse che si poneva a sud rispetto ad Alinda ed Alabanda - era dovuta essenzialmente alla doppia catena montagnosa del Gök-bel Dağı (sovrastato a nord dalla fertile pianura di Akçaova) e del Kurukümeş Da-ğı, da una parte, e ad ovest dalle lunghe propaggini del Latmos (Ilbirdağı). Il con-fine orientale è stretto dall'antico Marsyas (attuale Çine çayı), che corre ad est del massiccio del Gökbel Dağı, fiume che in seguito diventa Kameş cayı; ad ovest il la-go di Bafra chiude la grande e fertile vallata che da Mylasa, passando da Selimiye (una volta Mandelia), si stende fino alle propaggini lacustri. All'interno di questa straordinaria geografia, infine, benché alcuni siti restino ben definiti, come su det-to, non si può assolutamente esser certi che і viaggiatori, pur seguendo una stes-sa rotta, abbiano calcato il medesimo itinerario, considerando il labirintico intrec-cio di montagne all'interno di uno stesso settore geografico.

La rotta intrapresa da Chandler era nord-nord-est da Mendelet (Mandelia nell'800) seguendo "les sinuosités d'une petite riviere poissonneuse"; andando ver-so nord, doppiando la catena del Latmos47 e seguendo l'attuale tracciato Narhisar-Çükürköy-Meriçler, "nous nous avançâmes d'abord à l'est, ensuite au sud-est par une route bonne et commode [...], nous arrivâmes sur les midi à Carpuséli, villa-ge distant de 12 heures nord de Mylasa"48. Karpuzlu (una volta Demirderesi) è Alın-da. Nel 1838 ci arriva Ch. Fellow, le cui discussioni sulle culture agricole e tradi-

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Pianta Ii/ii - La Caria (da Paton - Myres 1896).

zionali dei villaggi incontrati restano ancora preziose. L'Inglese, tuttavia, segue una direzione ovest-sud-ovest da Alabanda (Haraphisar, Turgut [Doğanyurt köyü] oggi) costeggiando inizialmente il Karpuz cayı, per entrare nella pianura che a tratti diventa collinosa. Nel discendere verso Mylasa, "we followed and continual-ly crossed and re-crossed an ancient paved road, the large stones differing from those of later days by being wrought and fitted together with the protruding natu-ral rock: the road, in passing ravines, was also built up with solid Greek masonry. This way doubteless continued to the ancient city of Mylasa"49. Laumonier visita Alinda e Alabanda, e a grandi linee ricalca il cammino fatto da G. Cousin nel 1889, benché non risulti chiara la direzione e la successione delle sue visite. Fra An-cınköy e Akçaova rivede una torre bizantina50, e si ha l'impressione che il suo per-corso non sia di manifattura antica, ma che conduca a Labraunda, prima di scen-dere a Mylasa51

Una diversa componente relativa a questo argomento riguarda, infine, la navi-gazione. Se l'archeologia subacquea ha trovato lungo le coste carie molte delle sue iniziali evidenze - facendo del museo archeologico di Bodrum un centro indiscus-so di questa disciplina52 - è altresì evidente la ricchezza monumentale cristiana sulla lunga e frastagliata costa caria. La natura montagnosa degli stessi lunghi pro-montori - ricchi di baie ed insenature di variabile profondità - rendeva impervio l'accesso alla costa dal sistema viario canonizzato. La produttività dell'entroterra (con l'abbondanza di legname) e la molla economica dovuta al commercio sul ma-re ha moltiplicato siti urbani (Gölköy nel golfo di Simi, la città presso Osmaniye, la stessa città di Alakışla) ed ha richiesto anche la fondazione di insediamenti com-merciali (empori о scale) che puntellavano la costa in modo quasi costante. Non in questo contesto si ritornerà sull'importanza del mare, proprio quando le grandi rotte commerciali fra il sud ed il nord camminavano esattamente lungo queste co-ste о doppiavano і capi: il fenomeno della moltiplicazione di insediamenti com-merciali di piccola dimensione con una quasi ricorrente tipologia è un fenomeno ben attestato e documentato non solo lungo la costa caria, ma anche su quella Li-cia fin oltre і "Sette Capi".

La costa resterà, dunque, continuamente una forma di incontro-scontro com-merciale e culturale per la Caria53. Vi saranno le invasioni - quella persiana forse, certamente l'araba - a sgomentare questo equilibrio, ma le necessità, і costumi d'una tradizione difficilmente saranno sradicati. Restano ancora una volta і dati ar-cheologici del periodo medioevale a dare questa certezza, e non solo in riferimen-to alla relazione della Caria con le isole dirimpettaie, ma ancora, con le scale, al traffico sulle grandi rotte. La venuta selgiuchide alla fine dell'XI secolo evidente-mente ha arrecato non piccoli problemi alla compagine sociale di questo territo-rio. La creazione del "tema di Mylasa", poco prima del 1143, riassetta la presenza militare bizantina tale da ritenersi una ripresa del territorio dopo quanto era suc-cesso con le invasioni del 1082-1093/4. Pitture e bei pezzi marmorei decorati, in-fatti, certificano questa ripresa, ma si è ben lungi dal poterne quantificare l'esten-sione da una parte, e valutarne le valenze sociali e artistiche dall'altra54.

Bargylia55

La città antica (pianta II/iii) condivideva con lasos il possesso del golfo di Man-dalya56. Mentre la fortezza bizantina - che resta senza un'approssimativa datazione57

- si situa su una punta della collina, il centro ecclesiastico, che sembra ad oggi co-stituito da due chiese, si pone più verso la riva dell'antico porto, fuori dal circuito el-lenistico. In realtà, La Rocca propende a vederci ancora una terza chiesa nel com-plesso portuale58, probabilmente a causa d'uno stipite con croce incisa (foto II/5) che richiama per tipologia e modalità esecutiva (mediocre) le altre due croci sugli stipi-

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A guisa di conclusione

È improprio ritenere che quanto segue costituisca un'adeguata e coerente con-clusione relativa ai vari aspetti fin qui analizzati о semplicemente intravisti. V'è an-cora tanto lavoro in corso: mi riferisco soprattutto alla città di lasos, che dell'età bizantina ha tramandato varie testimonianze di considerevole importanza, ma an-cora disperse e slegate, staccate da una cornice storica e da una documentata evo-luzione urbana. Le due basiliche, dell'acropoli e dell'agorà,

"Le uniche fatte oggetto di indagine, appaiono correlate da vicissitudini co-muni (distruzione e riedificazione dell'insieme cultuale entro spazi più ridot-ti), da ricondurre probabilmente alla dislocazione stessa degli edifici. Infatti, si trovano in corrispondenza dei poli topografici di maggiore incidenza per la città anche in epoca bizantina: la sommità dell'isola (acropoli) e la piana adiacente all'istmo (agorà)"1.

Lo schizzo che F. Berti traccia della basilica sull'agorà, edificio martoriato nel-la storia degli scavi e, tuttavia, capace di divenire una cartina di tornasole e cam-pione dell'evoluzione urbanistica di lasos, mostra l'incipiente momento "marti-riale" (?) del V secolo, l'edificio ecclesiastico del VI con sepolcreto, la restrizione cultica assunta dall'area orientale della navata centrale (X-XI sec. probabilmente) e la moltiplicazione di sepolture, che arrivano a sovrapporsi su diversi livelli. Al-l'interno di questa scansione cronologica aderente ai dati di scavo, risponde, pur se in modo minuto, l'apparato numismatico. Sembra che dopo il tempo di Costan-zo II bisogna aspettare l'epoca macedone per rivedere la ripresa, minuta, della mo-netazione2. Anche in questo contesto, pur se in una griglia quantitativamente mi-nore (al momento), lasos mostra una perfetta aderenza alla generale situazione monetaria propria delle città durante il periodo altomedievale. In Asia Minore, co-me nei Balcani, le ultime consistenti emissioni monetarie accadono con Costanzo II; per ritrovarne la presenza bisogna attendere l'epoca macedone3. La ripresa nel-la piena età macedone è corroborata, d'altra parte, dal ritorno scultoreo dei pezzi d'arredo liturgico pertinenti al templon della basilica dell'agorà4. Credo, inoltre, che la chiesa fuori delle mura, presso la porta est, sia abbastanza tarda (lascaride?)5.

Nel volgere lo sguardo alla strutture difensive di lasos - qui si è presa in seria considerazione la tecnica costruttiva - і momenti cronologici che derivano dal riassetto delle mura urbiche (certamente in epoca tardoantica), dalla costruzione del castello sull'istmo (attribuibile al VII secolo), dalla torre sul molo di chiusura del bacino occidentale, databile al X-XI secolo, dal castello sull'acropoli, databile al XII - inizi del XIII secolo6 (intervento coetaneo alla chiesa presso la porta est), tut-ti questi dati, in conclusione, ripropongono un excursus і cui punti sono convali-dati da molte prove monumentali viste nel più esteso territorio trattato in queste pagine.

S'è fatto spesso rilevare la natura di "repertorium" assunto dal corpus della IG-SK; il ricorso alle edizioni precedenti, relative soprattutto agli epigrafisti francesi della fine dell'800, diveniva doveroso per trovare, pur se in forma rarefatta, quelle informazioni suppletive ad una lettura più contestualizzata dell'iscrizione. Il cor-pus di Halicarnassus è in fieri, ma ben poco di nuovo si può auspicare a proposito

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di un'edizione partita metodologicamente come "repertorium". Diverso, così sem-bra, è il progetto pensato per il "corpus dilaniato a pezzi e disperso che attende di essere pietosamente ricomposto, sottoposto ad autopsia, restituito ai suoi linea-menti": mi riferisco a quello di lasos7, la cui metodologia d'edizione certamente corroborerà і dati che il lavoro archeologico annualmente produce. Credo, in ef-fetti, che una tale sinergia di intenti e metodi, tipicamente iasensi, possa e debba interferire con la lettura ancora parziale delle città limitrofe qui considerate.

Questo voluto resumé su lasos, città per un certo verso "campione" del territo-rio esaminato, mostra, con buona certezza, l'evoluzione della città antica. Lo sca-vo archeologico ha prospettato un modello evolutivo che in parte о in tutto può es-sere ragionevolmente proposto anche per Myndus e Bargylia. Mylasa e Strato-nikeia, invece, restano mute per il periodo altomedievale8 e in questo è forse da ri-conoscere la mancanza del mare che altrove, invece, ha significato una forma di continuità, pur se in un periodo periglioso. All'interno di questa generale cornice geografica, tuttavia, vi sono delle discrepanze non chiare accanto a eventi oggetti-vamente accertati.

Una costante del VII secolo, all'interno della storia dell'Asia Minore, è il feno-meno delle invasioni; quando, ancora, si voglia restringere questa costante al solo ordito del territorio cario, è necessario considerare il mare come il latore di que-sto pericolo. La prima ondata fu quella persiana e credo che a riguardo, almeno per quanto concerne le lunghe e frastagliate coste del sud-ovest, l'enfasi data mi sem-bra eccessiva9. Le fonti siriache - Teofane ricorda solo la presa di Ancyra10 - si af-fidano a diverse redazioni quando affrontano il periplo sud-occidentale anatolico, mentre si muovono con coerenza e uniformità nello sfaccettare le diverse occupa-zioni in Siria, Cesarea di Cappadocia, regione di Tur'Abdin, Emesa, Damasco, Ge-rusalemme, Egitto11. Anche la presa di Rodi - databile al 619 о 62312 - la si deve, tuttavia, ritenere una razzia isolata, senza alcuna strategia di permanenza con l'in-tento di assicurarsi il controllo della rotta lungo queste coste.

Non si tratta, dunque, di annullare l'arrivo persiano su queste coste lungo la rotta verso nord, quanto di dubitare allorquando si voglia ritenere questa incur-sione come l'inizio di una "widespread catastrophe" e controllo del mare, soprat-tutto lungo il tratto dei promontori. Con una rotta N-N-O, Rodi rientrava nella lo-gica del percorso (lo stesso dicasi per Samos) dopo l'abbordabile costa licia; quan-to resta per me molto improbabile è il pensare che і Persiani abbiano potuto con destrezza avventurarsi nel labirinto dei golfi. Infatti, appartengono alla prima metà del VII secolo (dopo il 626) il relitto dell'isola di Yassa e di quello lungo la peniso-la cnidia, sintomo eloquente della persistenza del traffico marittimo; l'assenza di navi commerciali sulle lunghe rotte, invece, diventa, a quanto sembra, evidente più tardi, verso la fine del VII secolo e per tutto il secolo seguente13. Il cimitero delle navi caratterizza і promontori della costa caria e la pericolosità della navigazione, nel labirinto delle isole e delle secche presso la costa, è dovuta essenzialmente al maltem (vento da N-0 a O-N-O). Un recente survey circa l'odierna navigazione at-torno ai promontori, sottolinea costantemente la presenza di questo vento e la sua pericolosità sulla punta dei promontori con la creazione di onde di considerevole violenza14. Sul territorio cario legato ai promontori e alla loro funzione commer-ciale, ho cercato in passato di sottolineare in che modo e perché la topografia de-gli insediamenti bizantini abbia scelto determinate posizioni ed orientamenti. Dal promontorio di Loryma al tricorno di Bozburun, dal lungo tratto della penisola cnidia all'estensione del golfo ceramico ed infine dal promontorio di Myndus che si piega verso Alagün, questo panorama costiero lungo centinaia di km prospera-va perché gli abitanti, conoscendo bene la natura del mare e del vento, avevano fon-dato і loro centri sulla parte sud e, quando non poteva evitarsi, anche sulla costa nord, ma sempre ricorrendo a rientranze profonde aventi isole di fronte15.

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La presenza che deter-mina, al di là d'ogni dub-bio, un periodo di crisi, sia per la sua strategica permanenza che per la stessa durata, è quella araba. A lungo s'è scritto sulle orde e razzie navali arabe dedite al saccheg-gio e distruzione lungo queste coste. La variazio-ne logistica - dovuta a vo-lontà politica - è dovuta dalla stabilità richiesta da Mu'awiya per le sue trup-pe: per questa logica si scelse Rodi. Il testo di al Tabari lascia pensare alla fine del 672:

VI/1 - lasos, graffito arabo.

"And among the events of this year was the wintering of 'Abd Al Rachman, the son of Um Al Chakham, the Thakafi, in the land of the Romans. And in it Rudus (Rhodes), an island in the sea, was taken; and its captor was Gunada, the son of Abu Umayya, the Azdi; and he settled the Moslems in it, as recorded by Mahomet the son of Omar; and they sowed seed and acquired flocks and herds in it, which they pastured all round it; and, when men approached, they took them into the fortress; and they had watchmen who gave them warning of any-one upon the sea who wished to make war upon them, and they were on their guard against them. And they were the greatest annoyance to the Romans, and they attacked them on the sea and cut off their ships. And Mu'awiya supplied them plaintifully with provisions and pay; and the enemy were afraid of them. And, when Mu'awiya was dead, Yazid, the son of Mu'awiya, removed them."16

Quanto si desume in modo chiaro da questo breve testo, a parte la natura agri-cola assunta dalla guarnigione durante l'occupazione, è la chiara e strategica vo-lontà di controllare il traffico marittimo e, da altre fonti, d'esser facilitati a razzia-re il vicino entroterra. I graffiti di Cnidus sono prossimi a questa data (674-677), come s'è avuto modo di dire in antecedenza; Mu'awiya, prima della spedizione con-tro Rodi, conosceva bene questa rotta che ebbe modo di solcare al tempo del sac-cheggio di Halicarnassus, qualche anno prima17; nell'VIII secolo (forse fine del VII) è stato datato il graffito arabo sull'isola di Karaören (Karazorza); forse alla fine del-l'VIII - metà del IX secolo appartiene l'altra conferma araba a lasos (foto VI/1 e VI/2) che riporta: à f ^ (?*) c À H ("Muhammed Allah (?), mo-schea del venerato (^martire) Hasan (e) Husain(?)")18. La frequentazione araba su questa costa può, forse, anche spiegare la scelta del territorio per il riforni- ^ mento di legname. Teofane menziona Phoinix come luogo scelto dagli Arabi per la fornitura di legno di ci-presso; Anastasio II (Artemios), da parte sua, carica di truppe le sue navi puntando su Rodi come punto di in-contro e di raccolta per distruggere il pied-à-terre ara-bo sulla costa. La scelta imperiale di Rodi e l'uso di barche veloci per il trasferimento delle truppe trovano perfettamente senso se Phoinix di Teofane è Taşlıca (Fenaket), a meno di 10 miglia da Rodi19. Il fenomeno costante, annuale, della presenza araba sulla costa ca-

VI/2 - lasos, graffito arabo su ceramica.

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ria è molto evidente, costituendo così un serio fattore di cambiamento nella vita sociale, urbana ed economica di questo territorio.

Uno sguardo al VI secolo, periodo ancora florido in economia e cultura, rivela, tuttavia, non solo discrepanze di lettura nel suo corso, ma incertezze e sintomi di cambiamento ideologico, forse, detto meglio, di immaginario collettivo marcato profondamente dalla religiosità. Anche nel VI secolo vi sono stati eventi, ben data-ti, che per la loro intensità e tragedia hanno inferto una flessione alla sicurezza e all'abituale lettura del territorio circostante; sono eventi che, comunque, non han-no creato una frattura irreversibile nello svolgimento della vita economica e so-ciale del territorio. Questo secolo ha visto continuare la ricchezza diffusa nel V se-colo; ha visto la ristrutturazione dell'assetto urbano e ha incrementato gli inse-diamenti commerciali e rurali. Accanto a questa continuità, v'è stato poi un perio-do di caduta che ha influenzato sia l'urbanistica costituita, come la tecnica co-struttiva e decorativa. All'interno di questa immagine, per altro comune ad altre province, si sono avuti in questa regione costiera della Caria degli eventi, soprat-tutto nella prima metà del secolo, che hanno foggiato un tipo di mentalità intrisa di incertezza, paura fomentata dalla ανομία umana.

Relativamente recente è l'attenzione rivolta dagli studiosi del mondo bizantino all'ecosistema. Nuove discipline entrano a far parte della riflessione sul mondo an-tico e, elemento sempre auspicabile, resta il nuovo apporto che esse offrono alla comprensione delle fonti scritte e a quelle desunte dagli scavi; si delinea, in que-sto modo, una scala più vasta e più significativa circa l'evolversi di una geografia storica. L'aver costantemente sottolineato, nel corso di quest'opera, la distruttrice mano umana all'opera sulle coste carie, non mirava a catalizzare solo il fenomeno irreversibile della perdita oggettiva del patrimonio antico, ma soprattutto la diffi-coltà (o impossibilità) di recuperare, attraverso un cammino all'indietro, quelle tracce che l'accumulo dei secoli aveva lentamente depositato sulle coste e sul vici-no entroterra. Già è straordinariamente differente il landscape di Mylasa, dell'area di Sinuri, di Ceramus, della penisola di Bodrum al tempo di Guidi e Robert da quel-lo di Bean e Cook; introvabili о irriconoscibili erano divenuti monumenti о siti vi-sti e letti nei primi anni del mio lavoro in Caria (25 anni or sono), al punto che il recupero contestuale del monumento о del suo ambiente è definitivamente per-duto. Si riconosca che v'è una precisa, pressante volontà - motivata dall'industria turistica - che ha in buona percentuale irrimediabilmente distrutto l'originale landscape (in gran parte conservatosi fin verso la metà del secolo scorso) di que-sto territorio cario20.

Non abbiamo, finora dunque, particolari studi geo-archeologici, né progetti di studio sulla Caria marittima, benché molte siano le tracce di variazioni geo-morfo-logiche constatabili sul terreno. Per esemplificare brevemente questo fenomeno, s'è visto, nella geografia trattata, un considerevole abbassamento del livello del ma-re a: lasos21; la palude creatasi attorno a Bargylia; і moli di Salih Adası, il promon-torio di Sıralık; il molo di Torba; la zona paludosa e l'insabbiamento a Gölköy; il molo occidentale sommerso a Myndus; il quartiere a mare di Strobilos22. Ebbi mo-do in passato di indicare il fenomeno sismico come uno dei fattori determinanti lo sviluppo costruttivo dell'architettura medievale bizantina; e non solo. In quel con-testo si legava ai fenomeni tettonici anche quello relativo al cambiamento del li-vello del mare23 che interessava in modo evidente le coste lungo le faglie sismiche anatoliche. La sensibilità e l'attenzione al fenomeno sismico sono divenute più acute oggi rispetto al passato: si pensi solo al soqquadro totale, strutturale (dalla più profonda fibra della soggettività alle macrostrutture sociali) provocato dallo tsunami del 26 dicembre 2004 in Asia e, per fare memoria anatolica, a quanto ac-cadde nel golfo di Gemlik (presso Nicomedia) nel 1999, come nell 'autunno dello stesso anno nel golfo ceramico. Vari e vicini tra loro sono stati і terremoti accadu-ti nel VI nella nostra area geografica24; ad essi si è affiancato anche lo tsunami. I

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tentativi fatti alla ricerca di queste sismiche sea-waves si riportano fondamental-mente ad una causa predominante, cioè: "submarine tectonic movements, crustal tilting, land slides, volcanic action, resonance in oceanic trenches, seismic surfa-ce waves, etc"25.

V'era stato già nel 515 un terremoto che scosse l'isola di Rodi e Anastasio in-tervenne generosamente, dice Malaias, non solo a favore dei sopravvissuti, ma an-che per il riassetto degli edifici urbani26. Molto più consistente e disastroso sembra essere stato il sisma con tsunami che colpì l'isola di Cos nel 554-558. La fonte è Agatia, che sembra sia stato testimone oculare del disastro. Questo il suo testo:

At that time the island of Cos, which lies at the southern end of the Aegean, was almost completely destroyed. Indeed, except for one small part of the island practically nothing was left standing, and the disaster was unprecedented in its scale and complexity. The sea rose up to a fantastic height and engulfed all the buildings near the shore, destroying them together with their contents and in-habitants. The heaving mass was of such enormous proportions that it flung down everything there that its surging crests could not ride over. Almost all the inhabitants perished indiscriminately, whether they happened to have take refuge in place of worship or to have stayed in their homes or gathered togeth-er in some other spot. I happened to have occasion to disembark there myself just after the disaster, when I was sailing back from Alexandria to Constantino-ple (the island is of course on the route). When I set foot on shore I was con-fronted with a spectacle that beggared description. Practically the whole city was reduced to a gigantic heap of rubble, littered with stones and fragments of broken pillars and beams, and the air was murky with thick clouds of dust, so that one could barely surmise the existence of what had once been streets from a few vague hints of their presence. A mere handful of house stood intact, and they were not the ones that had been built with stones and mortar or some such seemingly more solid and durable substance, but only those made in peasant style out of unbaked bricks or mud27. Here and there could be seen a few men whose haggard and dejected faces wore a look of hopeless apathy. On top of all their other ills the entire local water-supply had been contaminated with sea-water and rendered undrinkable. All was ruin and desolation. The only vestige of distinction left to the city was the famous name of the Ascepiadae and its proud boast of having been the birthplace of Hippocrates28.

Prima di trarre qualche considerazione dal testo di Agatia, v'è ancora da ricor-dare una considerevole crisi sismica prodottasi nel Mediterraneo, la cui estensio-ne, tuttavia, non è pienamente valutabile. L'arco di tempo fra il 612 e 621 ha visto una costante e distruttrice energia sismica al lavoro da Creta a Corinto, da Filippi a Tarso ed Efeso29 senza lasciar traccia nelle fonti scritte30. Le nostre coste, senza alcun'ombra di dubbio, hanno risentito di questi tremori che, ironia di questo tem-po, introducono altre paure, quelle delle invasioni. Agatia offre una descrizione vi-vida di quello che è stato l'effetto dell'evento sui monumenti della città; ancor più sintomatica, inoltre, è la descrizione di quell'aria densa di polvere che sovrasta il sito colpito al punto da far apparire і sopravvissuti come figure attonite, stordite, prive di vitalità31. Considerando la distanza di poche miglia che l'isola di Cos ha dalla costa di Myndus e dal golfo di lasos e Bargylia, la scossa descritta e gli effetti considerati sono da applicare anche al territorio cario.

Quest'inaspettato tratto realistico rende concreto ed anche immaginabile quan-to gli abitanti ebbero a vivere in siffatta circostanza. Le incertezze ed ambivalenze di Agatia, benché mosse da un istinto di spiegazione razionale (e storica) del feno-meno sismico, accennano alla percezione più popolare che si ebbe dell'evento e al-le relative paure che ne derivarono32. Il substrato più realisticamente vicino a quel-

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10 che forse creava l'immaginario della popolazione più semplice (la maggiorita-ria) era riflesso, anche perché da esso in parte causato, dal polimorfo mondo reli-gioso33. Vien da chiedersi, inoltre, se questa auto-comprensione degli eventi, suc-cedutasi per alcune generazioni e relativa agli abitanti della città sia applicabile an-che ai rustici, a quelle persone abituate a vivere in un mondo a parte, geografica-mente e culturalmente diverso dagli urbanizzati. Credo che esistesse ancora, nel VI secolo, una differente sensibilità fra il cittadino urbano (e quelli dei piccoli siti portuali gravitanti, data la modesta distanza, sulla città vicina), da quelli che inve-ce conducevano un ritmo di vita più atavico, restio alle diatribe urbane e legato, invece, alla pastura e all'agricoltura dell'interno montagnoso34.

I crolli, il soqquadro idrico, l'inondazione, l 'inquinamento e l'offuscamento del-l'aria erano sintomi della possanza della morte, "l'ira divina sopra di noi"35: una collera che, bel lungi dall'essere ritenuta e riconosciuta come potenza mortale, era un gradino pedagogico verso la επιστροφή e la διόρθωσις del peccatore36, manife-stazione della φιλανθρωπία divina. Questo è l'ordito esplicitato nella preghiera eu-cologica sul terremoto, quando si accetta la versione data dal manoscritto: στήριξον τήν πίστιν, παΰσον τον κλόνον αυτής3 7 .1 testi liturgici, infatti, ripe-tutamente leggono il terremoto come tempo di allerta, folgore che denunzia la po-chezza di fede accusando il cammino del peccatore38.

L'ultima intensa pennellata per quest'affresco devastante è la peste39. Il flagello iniziò a metà luglio del 541, presso Pelusium alla foce del Nilo e possiamo ben con-siderare che per la fine dello stesso anno і suoi effetti si fecero sentire sulle nostre coste40. Le riserve alimentari accumulate nel 541 sostennero probabilmente per parte dell'anno seguente, ma la precarietà scoppia certamente di lì a poco; l'essere questo territorio lungo la costa ha, forse, risentito anche delle altre sporadiche ma-nifestazioni della pestilenza lungo il secolo. L'archeologia non ha ovviamente la-sciato traccia di questa calamità, ma la sferzata sulla produttività è stata notevole; se a questa pestilenza si aggiunge, come accadde, l'evento sismico, si può intrave-dere quale sia stata la situazione generale non solo dell'economia, ma anche di tut-te le altre sfere sociali e produttive. La numismatica e l'architettura danno una li-nea generale di continuità, come anche la permanenza dei piccoli centri commer-ciali marcano questa caratteristica, che si arresterà quando si profila all'orizzonte l'altra manifestazione della οργή του θεοΰ personificata dagli Arabi.

Questo orizzonte temporale marcato da una serie di eventi naturali, la cui por-tata, si ritorna ad asserirlo, non è stata pienamente valutata in alcuni campi della disciplina storico-artistica41, segna non solo lo svolgersi di interventi urbanistici, architettonici ed artistici, ma soprattutto, credo, incide sulla consapevolezza che 11 πλάσμα του Θεοΰ - come l'eucologio e l'agiografia si industriano^Tdefinire la creatura umana - ha di sé, della sua città e del territorio, elementi legati fra loro e cangianti all'unisono42. Uno sguardo subitaneo alla produzione eucologica relati-va alle molteplici preghiere di stampo antico - molte di queste ritengo siano co-niate, pur se con leggere varianti, fra la fine del V e le prime decadi del VII secolo - riassesta il legame dell'uomo col suo territorio. La fraseologia biblica, il lin-guaggio semplice e la stessa struttura letteraria delle εύχαί avevano creato delle forme, associazioni mnemoniche facilmente ripetibili. I requisiti, le richieste oran-ti divenivano associazioni mentali facili da ritenere e ripetere. I legami che si crea-vano, profondi e vitali, riguardavano: la prolificazione del gregge (la sua custodia dalle rapine, dalla golpe43 e da esalazioni velenose provenienti dal suolo) e degli al-tri animali (buoi); la terra, atta a produrre olio, vino; le colline a far crescere il fie-no per gli animali (da soma) e grano, pane e verdura per l'uomo; la ευκρασία (sa-lubrità) dell'aria, che significava acqua piovana regolata, misurata e serena (non alluvionale) con un corso stagionale ben ritmato; і viaggi, per mare e per terra, che fossero sicuri da malviventi, predoni, maltempo, invocando sempre un porto sicu-ro ed una navigazione serena.

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Questo quadro quotidiano era il vissuto umano dei tanti insediamenti intravi-sti sulla costa e nell'entroterra. Vari di questi siti hanno un inizio tardo-antico con-tinuato certamente, almeno sulla costa, in modo florido fin verso la metà del VII secolo. Un dubbio espresso sulle chiese di Bargylia, una differente cronologia, cioè, per le due chiese (A e B) credo possa trovare senso nella brusca frenata urbanisti-ca avutasi nella metà VI secolo. Riterrei che la basilica più piccola (A), più rozza nella tecnica e meno rifinita nel disegno possa essere una voluta risposta all'even-to sismico con maremoto. Posta in alto, ma vicino alla chiesa B, l'edificio era rite-nuto più sicuro e la sua costruzione usufruisce con abbondanza di ottimo mate-riale di spoglio. Non solo Bargylia, ma anche Myndus che, più di tutte le città, ha risentito della crisi sismica, resta buia ed indefinita nel VI secolo: la sua chiesa è un'accozzaglia caotica di grandi frammenti classici e disegna una pianta molto si-mile a quella di Labraunda e Bargylia. Non si tratta di individuare una tipologia ar-chitettonica, che comunque viene messa in opera nello stesso scorcio di tempo, quanto il bisogno di ricorrere in modo quasi totale a materiale già tagliato e pron-to per l'uso. Vedrei in questo processo una flessione dell'attività costruttiva, una carenza di tempo e denaro per tagliare pietra nuova di cava e prepararla per una posa che, invece, si vedeva solo nel periodo precedente (nella chiesa В a Bargylia e in edifici già vagliati del golfo ceramico che si riallacciano ad una tradizione co-struttiva del V secolo - inizio del VI).

Nelle pagine relative alla toponomastica è ritornato il fenomeno ήτοι presente nella liste episcopali, argomento che in passato ho cercato di illustrare. Si tratta di fenomeno topografico che tocca la "scomparsa e/o continuità" di una sede episco-pale, ma che, tuttavia, poco informa sulla vera consistenza della città originale. A questo si accostano fenomeni analoghi, quali la scomparsa di città dopo і primi se-coli (almeno dalle liste) e la creazione di altre che, da parte loro, restano scono-sciute nell'ubicazione. All'interno di questa fluttuazione di territorio urbano si pongono і siti rurali che, quando appaiono, non sono identificabili con una topo-nomastica bizantina. Questi ultimi sono importanti - ne va della vita della città -e si è cercato sempre di individuarli grazie alle prove soprattutto decorative d'epo-ca cristiana. L'intento era di incrementare un puzzle topografico che certamente in seguito riceverà altre interessanti tessere.

Un fenomeno interessante emerge da queste pagine: la riutilizzazione delle aree sacre. Anche qui, a parte il sempre discusso problema della trasformazione del tem-pio in chiesa, si impone una distinzione. Dei templi urbani sappiamo solo di Myla-sa44; di quelli extraurbani, gli antichi cari, solo una parte è stata devoluta, propria-mente parlando, alla nuova sistemazione cristiana. Di questi siti sacri resta lo stret-to legame con l'antica città: certamente le nuove fondazioni di Lagina, Koraza e Pa-namara gravitavano su Stratonikeia; Sinuri e Labraunda restavano di Mylasa, men-tre Kindya probabilmente guardava a Bargylia. Quanto ritengo interessante non è tanto la cristianizzazione di queste aree, quanto la voluta conservazione della sacra-lità dell'area stessa riferita al territorio che originariamente le apparteneva. In que-sta connessione si leggono ancor meglio quelle associazioni libere, mentali, che dan-no luogo alle richieste propiziatorie volte alla (nuova) divinità. Accanto a questo rap-porto se ne pone un altro, d'analoga natura, ma di differente topografia. Sovvengo-no і casi di Tavşan, di Monastır Dağ, di Side dove un'area caria viene occupata da un intervento cristiano che, da parte sua, denota una capacità costruttiva e decorativa non comune. Si intravede in questi casi, almeno nei primi due più documentati, for-se l'opera missionaria monofisita e la mano imperiale che da lontano spingeva. Re-sta questa una mia ragionevole ipotesi di lavoro sostenuta, tuttavia, dai miliaria ana-stasiani, dalle invocazioni epigrafiche e pittoriche a Emmanuel, nonché dalla robu-sta lista di episcopati monofisiti subito epurati da Giustino nel 518.

Il fenomeno, dunque, della trasformazione di aree sacre antiche in cristiane non riveste, al momento, quell'impellente bisogno di rispondere con date esatte, anche

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perché, nella relativa carenza epigrafica di natura cristiana, risulta temerario e for-temente ipotetico l'avanzare date su strutture murarie e impasti di malta che usa-no moduli e composizioni quasi inalterati per almeno un paio di secoli, affidando-si, in carenza di mattoni, alla sola pietra, quest'ultima spesso di riuso. Il fenome-no è elastico, s'è detto, e viene piuttosto letto nella sua interazione col territorio urbano (variazioni urbanistiche ed architettoniche) e rurale (nel lento assesta-mento della cultura). Le aree sacre, pagane e cristiane, restano nel pieno VI seco-lo ancora punti focali di riferimento, di assemblea delle popolazioni rurali, di rap-porto tradizionalmente sentito originario con la divinità - anche se questa per ov-vie ragioni ha cambiato nome. La ricchezza epigrafica relativa a Lagina mostra in modo inequivocabile le procedure del culto rituale politico e delle funzioni assun-te dalle persone e dagli edifici posti nell'encenia del santuario; qualcosa del gene-re si riporta anche a Panamara, e forse è da applicare, nelle variazioni certamente desumibili dai corpi epigrafici, anche agli altri santuari di Sinuri, di Labraunda, di Kindya, probabilmente. Questa visione, relativa al santuario classico, richiama da vicino і grandi santuari terapeutici cristiani che, tuttavia, restano ancora scono-sciuti in questa parte della Caria45.

Resta incipiente la toponomastica agiografica: le iscrizioni di Bargylia e di My-lasa propongono un campionario interessante (richiamando anche Tabai); gli ar-cangeli appaiono spesso (Mileto fa scuola) ed aprono quell'orizzonte apotropaico ben conosciuto nelle vicine province di Frigia e Licia. Di tutto il deposito sculto-reo cristiano s'è presentato quanto era necessario al discorso generale. Si sono rin-venuti, tuttavia, elementi molto peculiari, autonomi nella loro soluzione plastica e figurativa accanto a più tardi momenti esecutivi che risentono oramai dell'im-perante stile della capitale. Si fa così giustizia alle botteghe dei marmorari, che ori-ginariamente sviluppavano una loro provinciale cultura prima di addentrarsi nel-la seriale moltiplicazione avvenuta nel pieno VI secolo. Una retta, più ampia e, cer-tamente, più giusta valutazione di questa cultura artistica sarà possibile, tuttavia, solo quando si metteranno a luce і depositi consistenti dei musei di Bodrum, Mi-las, Muğla, Stratonikeia (lasos è in corso di pubblicazione) - si pensi agli inediti di Aphrodisias - e saranno pubblicati і dati archeologici delle missioni che da anni la-vorano in questo territorio; certamente queste polverose miniere e le nuove infor-mazioni conservano manufatti di interesse, non tanto e non solo per tipizzare gli stili elargiti, quanto e soprattutto per integrare la comprensione di un territorio scarno di fonti scritte. Si è notato, infatti, come degli elementi scultorei siano sta-ti importanti in alcuni casi nel determinare la continuità di un sito, fosse anche piccolo.

A guisa di conclusione - non conclusione - dunque, sono queste pagine che da parte loro intendono schizzare non stili artistici ben fissati о tipi di processi urba-nistici e architettonici sicuramente sostenuti da date e nomi; piuttosto, si è tenta-to d'avanzare momenti e sfaccettature della vita provinciale di un territorio molto ricco, aperto in gran parte al traffico commerciale posto su rotte "internazionali", una terra carica d'eredità culturale propria. La cultura antica s'è trasmessa, pur se in un incipiente cambiamento paesaggistico, fin dentro le fibre di quella cristiana con le sue ambivalenze ideologiche grazie ad un movimento persistente, pur se man mano sempre più debole.

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Note

1 Berti 1993, 241. Un'analoga lettura urbanistica è stata docu-mentata anche a Ceramus.

2 Nel settore nord della "Casa dei mosaici" è stata rinvenuta una moneta di Leone VI (Casa dei Mosaici 12); mentre Levi 1967, 462 trovò una moneta di Basilio II, un'altra di Eraclio ed Eraclio Costantino ed infine una di Costanzo II.

3 Morrisson 2002, spec. 955, figg. 6.4 - 6.9; Morrisson 1986, spec. 156-163; Tondo 1999.

4 I brandelli di affresco presenti nell'abside di questa chiesetta non credo siano anteriori al X sec.

5 È in İstampa la monografia sull'architettura ecclesiastica di lasos. In questa chiesa tarda sono presenti brandelli di affresco ad ovest della navata nord ed un considerevole frammento scultoreo di riuso inserito nel muro meridionale della navata sud. Quest'ul-timo presenta una bella griglia a quadratura geometrica che, as-sieme agli affreschi possono ben situare la cronologia dell'edificio.

6 Masturzo 1995. Non condivido la datazione al periodo medio-bizantino (da intendere, credo, il X-XI sec.) dell'edificio attaccato al lato nord della porta orientale (Masturzo 1995, 157, nota 14); quel particolare tipo di tecnica muraria, applicato ad un edificio con pianta tardoantica, è più aderente ad un riassetto nel pieno VI sec., forse la seconda metà.

7 Maddoli 1995, 67. 8 Non mi risulta esserci stata una specifica pubblicazione rela-

tiva alla monetazione bizantina propria a queste città; carenza cer-tamente più notevole, se così fosse, per Stratonikeia, città sotto scavo da tanti anni.

9 Foss 1975, spec. 746-7; Foss 1994,49-50 (ove si considera an-che il recupero numismatico a Samos); un sunto significativo è of-ferto da Morrisson 2004, 41-3. Come sembra, sia a Cnidus come a lasos non vi sono, dagli scavi, testimonianze certe che accennino a questa data (per Cnidus, cf Brüns-Özgan 2002, 26); al contrario, in ambo le città sono rimaste, invece, tracce epigrafiche arabe.

10 The Chronicle of Theophanes Confessor 434 (anno 618-619)..

11 Michel le Syrien 408, nel 1° anno di Mohammed, 2° di Era-clio, anno 933 (datato prima in Teofane) brevemente accenna alla presa di Ancyra e Rodi; il Chronicon ad annum 724, 113, man-cando di nominare Ancyra, richiama nel 934° anno: "ingressi sunt Persae Rhodum; ibi strategum comprehenderunt et deduxerunt captivos insulae in Persidem". Agapius, Histoire 451 ricorda che nell'anno 15° di Eraclio: "les Perses firent une incursion contre Rhodes et s'en emparèrent"; ib. 458 ritorna la presa di Ancyra e, al-la fine dello stesso anno (Io di Mohammed), v'è la presa di Rodi (la redazione di Agapius coincide con Michel le Syrien in questa vo-ce). Il Chronicon ad annum 1234, 180 (Io anno di Mohamed) ri-porta: "hoc anno expugnavit Šahrbaraz Ancyram Galatiae et etiam insulas plures in mari, et caedes multas commisit." Molto debole è il racconto di Sebeos, Storia 95 dove, enumerando le città già prese, rafforza retoricamente il tono dicendo: "forse nemmeno ora sai che ho soggiogato mare e terra." In questa retorica è dubbia l'attribuzione dell'attacco a Rodi, considerando che si annunciava l'assedio di Costantinopoli.

12 Rodi (o plures insulae) vengono dopo Ancyra ed opterei per la tarda primavera-estate del 619, se si accetta la data di Teofane per Ancyra, oppure la stessa stagione nel 623.

13 Doorninck, van, 2002, 900-902. 14 Heickell 1993, spec. 148 (per l'intero nostro territorio, si ve-

da 137-161). 15 Ruggieri 1989,76 ss; Ruggieri 2003,29 ss; Held-Berger-Her-

da 1999, 191-6 (Berger). 16 Brooks 1898,187; Brooks 1899, 33; De Adm. Imp. 21, 56 ss;

De Adm. Imp. Comm. 77 (sul colosso). 17 De Adm. Imp. 20,10-13; De Adm. Imp. Comm. 75. 18 Rispettivamente: Ruggieri 1992; Foss 1994, 9. per lasos, de-

vo alla gentilezza di F. Berti la conoscenza della pietra e del fram-

mento ceramico; al Dr. Bcheiry Iskandar Korio la lettura dell'iscri-zione. Dopo l'invocazione al Profeta e forse ad Allah, si indica il luo-go di culto ove riposa il martire (o і martiri?) per la fede. Il graffito ceramico resta di difficile lettura. Non ho, purtroppo, visto і graffi-ti arabi sui muri del tempio a Didyma: Özgümüş 1992, 13.

19 The Chronicle of Theophanes Confessor 535 (anno 714-5); Ruggieri 1989,356-8; Ж38, n° 132; Held 2003,83-4; Held-Berger-Herda 1999. Inutile dire che l'accesso arabo da sud (dal mare) sa-rebbe Serçe Limanı, una piccola baia perfettamente nascosta e ri-parata da qualsiasi vento. Un'altra razzia a Rodi, citato dal solo Teo-fane (The Chronicle of Theophanes Confessor 663) e non dalle fon-ti arabe, viene perpetrata nel settembre dell'807.

20 È accettabile la prassi vigente che la disciplina archeologica debba cioè rivolgersi all'industria e alle multinazionali per il sup-porto finanziario; ciò non richiede, tuttavia, che la politica econo-mica di un qualsiasi governo (che si pone su una differente scala politica rispetto ad una holding privata) debba abdicare la sua re-sponsabilità verso l'eredità culturale che gli appartiene. Sulle va-rianti dell'ecosistema, in generale, si veda: Farquharson 1996, spec. 266-8; Geyer 2002, spec. 37-44; Koder 1996, 274-8 (benché non si toccano le "nomadic tribes in Central Asia"). Stranamente questo aspetto non è menzionato nel buon saggio di Özdoğan 1995.

21 Berti-Desantis 2003. 22 Si allunga considerevolmente l'evidenza di questo fenome-

no, da me già in passato analizzato, lungo la costa del golfo cera-mico e di quella pertinente al golfo di Bozburun.

23 Ruggieri 1991,141-153 ove si analizzava la Bitinia con rife-rimento alla costa caria; Ruggieri 1995, 41-43.

24 Guidoboni 1994, 329 ss (per lo tsunami). 25 Ambraseys 1962, 895 e 900. Eventi di questo genere ed en-

tità - vedremo un caso più tardivo - erano letti sempre all'interno di contrastanti ideologie politiche e religiose. Illustre il caso ri-portato da Ammiano Marcellino 26.10. 15-19 e criticamente di-scusso da Kelly 2004. Per questa "forme de pensée propre à By-zance", relativa al sisma, cf la lettura di Dagron 1981, 89-95.

26 Guidoboni 1994, 312; Capizzi 1969, 194-5 e nota 36. La preoccupazione imperiale si riscontra anche a Myra, nel 530: Gui-doboni 1994, 326; questa prassi, comunque, segue il modello im-periale romano: Robert 1978, 400 ss.

27 Interessante questa caratteristica tecnica fatta notare da Agatia: mattoni crudi e fango, applicati a strutture più povere, ren-dono elastici і semplici muri perimetrali tenuti in alto con travi di legno.

28 Guidoboni 1994, 338-9. 29 De Vita 1984, spec. 73-4; De Vita 1986 439; Vetters 1985,

224; Foss 1979, 103-4. Roueché 1989, 150-1 menziona la caduta della via monumentale nella prima metà del VII sec. ad Aphrodi-sias (suggerita forse da un terremoto), ma più acutamente fa no-tare come il cambio di nome della città, in Stauroupolis, accaduta intorno a questa data, suggerisce "a deliberate attempt to gain di-vine protection". Su questa caratteristica, si veda infra.

30 Guidoboni 1994, 356 (n° 238) registra un terremoto fra il 641 e 668 riportato da Zonaras, senza, tuttavia, una precisa loca-lizzazione.

31 Severo, HC XXXI, pp. 652-6 (14 sett. 513) declama una sce-na vivida, relativa al post-sisma, benché egli si riferisca, probabil-mente, al terremoto del 458.

32 Dagron 1981, 90-1 e 95 per qualche testo omiletico e litur-gico.

33 Si veda la ricezione avuta, qualche anno prima, nel 551, del sisma con tsunami sulle coste meridionali della Palestina, del Li-bano e della Siria: Guidoboni 1994, 332-6; Chronicle ofZuqninl, 129-131 ("we wanted to put into writing for the instruction of fu-ture generations").

34 Non è stato e non sarà affrontato in queste pagine il proble-ma suddetto. Ancora oggi, pur se in fase di azzeramento, si nota la persistenza in Caria di una tradizione sciamanica all'interno, men-tre la fascia costiera ha perso quasi totalmente le caratteristiche

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ancestrali turco-anatoliche. Valga solo come richiamo il fenome-no della "evangelizzazione dei pagani" intrapresa dai missionari monofisiti nell'entroterra, per richiesta imperiale (Chronicle of Zuqnin 72; Chronicle ofZuqninl 92-3) e la disparità di recezione del fenomeno della peste fra città (ansia e paura per mancanza di cibo) e villaggi interni (feste e banchetti opulenti) come traspare

' dalla vita di Nicola di Sion in Licia (Vita Nich. Sion I, 40 ss; Vita Nich. Sionl 53 ss.); in questa fonte, tuttavia, v'è da leggere ancora un'altra intenzione).

35 Prato 97-8 (n° 50). 36 Philostorgius, HE X, 10 (p. 147,10); Johannis Eph., HE 208;

utile Hermann 1962, 1096-8. 37 Stranamente gli editori fanno cadere πίστιν del ms. sce-

gliendo κτίσιν riportato da mss di X sec.: Ueucologio Barberini 215 (f. 225v). Su questa linea si pone un inno di Severo di Antio-chia, forse per uso liturgico: James of Emessa, Hymns of Severus 705 (n° 256). Ritengo che la "canonizzazione" della preghiera, la sua entrata nella raccolta eucologica, possa ragionevolmente por-si nel VI sec.

38 Buone le riflessioni a riguardo di Vercleyen 1988, spec. 62; Fioriti 1989.

39 Stathakopoulos 2000 con bibliografia; Zuckerman 2004, spec. 208 ss.

40 Strano, ma mentre la peste invade l'impero, nello stesso tempo appare "la grazia di Dio" a visitare і territori dell'Asia, della Caria, della Lidia e della Frigia, grazie allo zelo del vittorioso Giu-

stiniano: la cristianizzazione dei remoti paesaggi rurali grazie a Giovanni d'Asia. Forse pura coincidenza? Ma v'è qualcos'altro an-cora. Esattamente quando v'è la richiesta di cibo da parte della città di Myra a causa della peste, Nicola di Sion non solo nicchia, ma parte in un tour tra і villaggi che sa di oltraggioso, allietato, com'era, da banchetti opulenti e festivi. Che vi sia una trama non del tutto chiara è provocata anche dalla preghiera di Ueucologio Barberini n° 23, che recita: "colma і loro ripostigli di grano, vino ed olio [esattamente quanto Nicola usava accompagnando la car-ne di bue], fai crescere nelle loro anime pienezza di fede e giusti-zia [causa formale], moltiplica il bestiame e le loro greggi [causa finale]". Ib p. 363.

41 Si ha l'impressione che indiscriminatamente si pone nel VI sec., sic et simpliciter, tutta una serie di produzione architettoni-ca ed artistica senza tener conto delle forti incertezze e discrepan-ze che si sono potute creare all'interno di diverse e fra loro lonta-ne province.

42 Si vedano con profitto le linee schizzate da Patlagean 1990. 43 La ruggine del frumento (από πάσης έρυσίδος, variazione

quest'ultima di έρυσίβη, "ab omni rubigine"). 44 Non appartengono a queste pagine і casi di Mileto, Didyma,

Aphrodisias, Cnidus, Emencik ed altri; sono stati esaminati altro-ve і casi di Ceramus, Kedreai: Ruggieri 2003.

45 Forme religiose ancestrali si ritrovano ancora in Caria nel-l'VIII e nel X sec.: Cosmas, Commentarium 502 e, presso Mileto, Vita Pauli lun. 53-5.

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ІІ/Збс - Kamp Yeri, il mosaico da ovest.

III/22C - Torba, il "mausoleo", mosaico centrale (1996).

III/23C - Torba, il "mausoleo", mosaico del pronao.

III/24c - Torba, il "mausoleo", mosaico centrale, particolare.

III/35c - Gölköy, il "battistero", la croce sulla volta.

III/125c - Tavşan adası, il pannello coi tre santi.

III/127c - Tavşan adası, S. Giorgio, particolare.


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