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La funzione delle metafore in Salvatore NIffoi

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Studi Medievali e Moderni La metafora da Leopardi ai contemporanei a cura di Antonella Del Gatto In questo numero La metafora nel pensiero e nell’opera di Leopardi Atti del convegno di Chieti, 1-2 dicembre 2014 Premessa di Antonella Del Gatto; MARCO MANOTTA Similitudini proprie e raccorciate: annotazioni sul paradigma comparativo leopardiano; ANDREA BONAZZI, LISA GAMBET- TA, MARIA CHIARA JANNER, NUNZIO LA FAUCI Metafora in Leopardi: variazione lingui- stica sul tema; PAOLA CORI L’attenuazione in Leopardi: lingua, diritto e storia delle idee; PATRIZIA LANDI Il male, il nulla e un giardino. Descrizione e pensiero nello Zibal- done; COSETTA VERONESE The metaphors used to describe the Zibaldone; ANDREA MA- LAGAMBA Il corpo dice la mente: sui movimenti corporei come metafore dei moti inte- riori nella scrittura di Giacomo Leopardi; MARGHERITA CENTENARI Ospitare gli antichi. Per una ricognizione sulle metafore del tradurre negli scritti giovanili di Giacomo Le- opardi (1815-1817); LAURA MELOSI Declinazioni metaforiche (e non) della nautica in Leopardi; FLORIANA DI RUZZA Metafore sondate alla lettera. Qualche considerazione sulle Operette morali; ANDREA LOMBARDINILO Leopardi e il Machiavello della vita so- ciale: una lezione (metaforica) per i moderni Metafora e comunicazione nella letteratura moderna e contemporanea Atti del Congresso annuale dell’American Association for Italian Studies (Zurigo, Romanisches Seminar, 25 maggio 2014) EMILIANO PICCHIORRI La metafora nella poesia barocca: soluzioni linguistiche e stilisti- che; ANNALISA CIPOLLONE «Vano è pugnar contro la rossa croce». La metafora nel Pascoli ‘medievale’; PATRIZIA PIREDDA La funzione filosofica della metafora nei Sei personaggi in cerca d’autore; ANDREA GIALLORETO «Retore delle tenebre e del fuoco»: spazi metaforici e immagini allegoriche in Amore di Giorgio Manganelli; DOMINIQUE BUDOR “Metafora viva” e “Metafora morta”: il caso paradigmatico de La Sicilia come metafora; LAURA NIEDDU La funzione delle metafore in Salvatore Niffoi; ANDREA BO- NAZZI E NUNZIO LA FAUCI Mangiar tropo XX I 2016 I Studi Medievali e Moderni arte letteratura storia Anno XX, I/2016 Iniziative EDITORIALI 978-88-99306-22-9
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La metafora da Leopardi ai contemporanei a cura di Antonella Del Gatto

In questo numero

La metafora nel pensiero e nell’opera di LeopardiAtti del convegno di Chieti, 1-2 dicembre 2014

Premessa di Antonella Del Gatto; Marco Manotta Similitudini proprie e raccorciate: annotazioni sul paradigma comparativo leopardiano; andrea Bonazzi, Lisa GaMBet-ta, Maria chiara Janner, nunzio La Fauci Metafora in Leopardi: variazione lingui-stica sul tema; PaoLa cori L’attenuazione in Leopardi: lingua, diritto e storia delle idee; Patrizia Landi Il male, il nulla e un giardino. Descrizione e pensiero nello Zibal-done; cosetta Veronese The metaphors used to describe the Zibaldone; andrea Ma-LaGaMBa Il corpo dice la mente: sui movimenti corporei come metafore dei moti inte-riori nella scrittura di Giacomo Leopardi; MarGherita centenari Ospitare gli antichi. Per una ricognizione sulle metafore del tradurre negli scritti giovanili di Giacomo Le-opardi (1815-1817); Laura MeLosi Declinazioni metaforiche (e non) della nautica in Leopardi; FLoriana di ruzza Metafore sondate alla lettera. Qualche considerazione sulle Operette morali; andrea LoMBardiniLo Leopardi e il Machiavello della vita so-ciale: una lezione (metaforica) per i moderni

Metafora e comunicazione nella letteratura moderna e contemporaneaAtti del Congresso annuale dell’American Association for Italian Studies (Zurigo, Romanisches Seminar, 25 maggio 2014)

eMiLiano Picchiorri La metafora nella poesia barocca: soluzioni linguistiche e stilisti-che; annaLisa ciPoLLone «Vano è pugnar contro la rossa croce». La metafora nel Pascoli ‘medievale’; Patrizia Piredda La funzione filosofica della metafora nei Sei personaggi in cerca d’autore; andrea GiaLLoreto «Retore delle tenebre e del fuoco»: spazi metaforici e immagini allegoriche in Amore di Giorgio Manganelli; doMinique Budor “Metafora viva” e “Metafora morta”: il caso paradigmatico de La Sicilia come metafora; Laura nieddu La funzione delle metafore in Salvatore Niffoi; andrea Bo-nazzi e nunzio La Fauci Mangiar tropo

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2016I

Studi Medievali e Moderniarte letteratura storia

Anno XX, I/2016

Iniziative EDITORIALI978-88-99306-22-9

Studi Medievali e ModerniAnno XX – n. 1/2016

LA METAFORA DA LEOPARDI AI CONTEMPORANEI

a cura di Antonella Del Gatto

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Studi Medievali e ModerniAtti di convegni internazionaliAnno XX – n. 1/2016“International Peer-Rewiewed Journal. ANVUR: A Letteratura Italiana”

DirettoreGianni Oliva

Comitato direttivoFabio Benzi, Giancarlo Quiriconi, Stefano Trinchese

Comitato scientifico-redazionaleMaria Giulia Aurigemma, Rossella Bianchi, Francesco Caccamo, Maria Careri, Iole Carlet-tini, Mario Cimini, Maria Grazia Del Fuoco, Antonella Del Gatto, Antonella Di Nallo, Irene Fosi, Andrea Gialloreto, Valeria Giannantonio, Francesco Leone, Mirko Menna, Roberto Paciocco, Alessandro Pancheri, Luciana Pasquini, Paola Pizzo, Giovanni Pizzorusso, Ales-sandro Tomei, Ilaria Zamuner

Comitato esteroSimon Ditchfield (University of York), Silvia Fabrizio-Costa (Università di Caen-Basse Nor-mandie), Vicente Gonzales Martìn (Università di Salamanca), Martin McLaughlin (Univer-sity of Oxford), Giuseppe Mazzotta (Yale University), Marina Viceljia (Università di Spalato)

Segreteria amministrativaAlessandra Mammarella.Periodico semestrale finanziato dal Dipartimento di Lettere Arti e Scienze sociali, Università “G. D’Annunzio”, Via Pescara, 66013 Chieti Scalo – Tel. 0871 3556525-3556524, fax 0871 563019

e-mail: [email protected] [email protected]

Abbonamento annuo: per l’Italia euro 40,00; per l’estero euro 50,00Costo di un fascicolo: per l’Italia euro 25,00; per l’estero euro 30,00

ISSN 1593-0947 edizioni e stampeISSN 2499-0671 edizioni digitali in vendita su torrossa.itISBN 978-88-99306-22-9Autorizzazione n. 4/96 del Tribunale di ChietiIscritta al Registro Nazionale della Stampa in data 29-07-1985 al n. 1635

Direttore responsabileGabriele Di Francesco

© 2016 by Paolo Loffredo Iniziative editoriali srlvia Ugo Palermo, 6 80128 [email protected]

INIZIATIVEEDITORIALI

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Studi Medievali e Moderni XX – 1/2016

INDICE

5 Premessa di Antonella Del Gatto

La metafora nel pensiero e nell’opera di LeopardiAtti del convegno di Chieti, 1-2 dicembre 2014

11 MARCO MANOTTA

Similitudini proprie e raccorciate: annotazioni sul paradigma comparativo leopardiano

23 ANDREA BONAZZI, LISA GAMBETTA, MARIA CHIARA JANNER, NUNZIO LA FAUCI

Metafora in Leopardi: variazione linguistica sul tema

43 PAOLA CORI

L’attenuazione in Leopardi: lingua, diritto e storia delle idee

63 PATRIZIA LANDI

Il male, il nulla e un giardino. Descrizione e pensiero nello Zibaldone

85 COSETTA VERONESE

The metaphors used to describe the Zibaldone

111 ANDREA MALAGAMBA

Il corpo dice la mente: sui movimenti corporei come metafore dei moti interiori nella scrittura di Giacomo Leopardi

129 MARGHERITA CENTENARI

Ospitare gli antichi. Per una ricognizione sulle metafore del tradurre negli scritti giovanili di Giacomo Leopardi (1815-1817)

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INDICE

149 LAURA MELOSI

Declinazioni metaforiche (e non) della nautica in Leopardi

155 FLORIANA DI RUZZA

Metafore sondate alla lettera. Qualche considerazione sulle Operette morali

165 ANDREA LOMBARDINILO

Leopardi e il Machiavello della vita sociale: una lezione (metaforica) per i moderni

Metafora e comunicazione nella letteratura moderna e contemporanea

Atti del Congresso annuale dell’American Association for Italian Studies (Zurigo, Romanisches Seminar, 25 maggio 2014)

205 EMILIANO PICCHIORRI

La metafora nella poesia barocca: soluzioni linguistiche e stilistiche

219 ANNALISA CIPOLLONE

«Vano è pugnar contro la rossa croce». La metafora nel Pascoli ‘medievale’

237 PATRIZIA PIREDDA

La funzione filosofica della metafora nei Sei personaggi in cerca d’autore

255 ANDREA GIALLORETO

«Retore delle tenebre e del fuoco»: spazi metaforici e immagini allegoriche in Amore di Giorgio Manganelli

271 DOMINIQUE BUDOR

“Metafora viva” e “Metafora morta”: il caso paradigmatico de La Sicilia come metafora

281 LAURA NIEDDU

La funzione delle metafore in Salvatore Niffoi

293 ANDREA BONAZZI E NUNZIO LA FAUCI

Mangiar tropo

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LAURA NIEDDU

LA FUNZIONE DELLE METAFORE IN SALVATORE NIFFOI

«Niffoi sa narrare attraverso una prosa metaforica, caleidoscopica e vivace»1. «[Niffoi] si muove in un mondo pieno di magie e metafore che odora di campi d’avena e ovili»2. «I racconti ricchi di metafore, costruiti con un linguaggio colorito, iperbolico, sono la trama che ci conduce in un mondo quasi senza tempo»3. «Sono numerosissime, le metafore in Nif-foi, e si susseguono a cascata ammiccando ad una simpatia segreta tra la struttura della metafora e quella della vendetta»4. Queste sono solo alcu-ne delle definizioni adoperate dai critici per descrivere l’opera di Salva-tore Niffoi, uno dei romanzieri più in vista del panorama sardo contem-poraneo, e non è un caso che tutte mettano l’accento sull’aspetto metafo-rico della sua scrittura, dato l’accurato e ricco lavoro stilistico che l’auto-re opera sulle sue storie. Si tratta di uno scrittore particolarmente proli-fico (quindici romanzi pubblicati in quindici anni), che si è fatto conosce-re a livello nazionale dopo aver ottenuto il premio Campiello nel 2006 con il romanzo La vedova scalza. Nelle sue opere vengono presentati diversi aspetti di una società molto conservatrice, quella della Barbagia, regione

1 F. ROAT, Un viso scolpito a bulino, ne «L’indice», anno XXVI, n. 7/8, p. 17.2 B. SCHISA, Così racconto le donne della mia Sardegna, ne «La Repubblica», 7 aprile

2006, ora nel sito Ilmiolibro.it (http://ilmiolibro.kataweb.it/booknews_dettaglio_recen-sione.asp?id_contenuto=1498930).

3 M. BARBONAGLIA, Recensione a Ritorno a Baraule, ne «Il Sole 24 Ore», 16 marzo 2007, consultabile all’indirizzo: http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tem-po%20libero%20e%20Cultura/2007/03/ritorno-baraule.shtml?uuid=70c8ef46-d3c6-11db-808c-00000e25108c.

4 F. OTTAVIANI, Una via di fuga dall’isola maledetta, ne «Il Giornale», 14 marzo 2006, consultabile all’indirizzo: http://www.ilgiornale.it/news/niffoi-fuga-dall-isola-maledetta.html.

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che si sviluppa intorno a Nuoro e di cui Niffoi è originario. Nelle sue nar-razioni, egli racconta le tradizioni, il carattere chiuso e diffidente delle comunità ritratte, l’importanza delle radici nella vita di ciascuno, l’appor-to fondamentale della memoria e della religione, di una religione sui ge-neris che tiene in conto le credenze popolari e gli usi assimilabili ai culti pagani, fortemente radicati nella natura e in un mondo fantastico fonda-to su miti e leggende. Aldilà delle storie e delle tematiche, la peculiarità più evidente dei suoi romanzi è lo stile, che si contraddistingue principal-mente per la mescidanza linguistica tra sardo e italiano, caratteristica vi-stosa, quasi lussureggiante, e oggetto di autocompiacimento.

Questo elemento ha una doppia funzione: permette allo scrittore di esprimere concetti appartenenti alla sua cultura, con parole pregnanti di significati profondi, e allo stesso tempo, grazie ai suoni evocativi del sar-do, cattura il lettore in un mondo affascinante, ricco di esotismo e di mi-stero.

È proprio sul principio del fascino che si vuole mettere l’accento per analizzare il suo stile, perché, come si vedrà, le sue scelte stilistiche hanno come obiettivo quello di attirare il lettore e di introdurlo nei meandri del-la realtà sarda.

Si dice che i sardi del centro dell’isola siano diffidenti e riservati, poco inclini alle facili chiacchiere, ma taglienti nel momento in cui si pronun-ciano su qualcosa. Ebbene, Niffoi esalta questo aspetto dei sardi, di po-che parole ma efficaci, concreti e allo stesso tempo fantasiosi nel loro mo-do di esprimersi, poiché la lingua sarda, attraverso modi di dire o prover-bi, propone spesso significati distinti da quelli letterali. A delineare più nettamente il profilo della società barbaricina, descritta in tal senso da Niffoi, contribuisce un altro scrittore fondamentale nel panorama sardo, Marcello Fois. Anche lui barbaricino, anche lui profondamente attaccato alle storie e all’ambiente della sua terra, in uno dei suoi gialli, Dura Ma-dre, scrive che i personaggi si muovono «in una civiltà dove la gente ra-giona per metafore e parabole»5. Si lascia qui intendere che il modo di parlare dei sardi sia poco diretto e molto figurato, esattamente l’aspetto che emerge dalla lettura delle opere di Salvatore Niffoi.

Essendo i romanzi del nostro autore estremamente ricchi in termini di figure stilistiche, questa analisi verterà principalmente sullo studio delle

5 M. FOIS, Dura madre, Torino, Einaudi, 2001, pp. 197-198.

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prime pagine di dieci delle opere finora pubblicate da Niffoi6, al fine di mostrare in che modo lo scrittore si serva di diverse figure retoriche all’in-terno della sua produzione. La scelta di studiare le prime pagine dei suoi romanzi è legata anche al fatto che, quasi sempre, i primi paragrafi fun-gono da esplicita introduzione sul contenuto e l’andamento generale del-la storia. Spesso già dalle prime righe, infatti, si capisce che tipo di opera ci si accinge a leggere, sia dal punto di vista linguistico e stilistico, sia per quel che riguarda la tematica. Emblematico, in tal senso, è Il viaggio degli inganni, il suo primo romanzo, pubblicato nel 1999; l’incipit è un benve-nuto al lettore nel mondo di Niffoi, una sorta di dichiarazione di poetica: «Del giorno che venni al mondo ricordo ancora gli odori e le voci»7. Il narratore li ricorda e li trasmette da subito ai lettori, i quali vengono ine-briati dai profumi della terra e dai suoni che la animano. Non ci sono dubbi, siamo in Sardegna: a riceverci, già nella prima pagina, ci sono il mirto e il «pane crasau»8, assieme a nonno Bantine, che accoglie il nuovo nato, voce narrante del romanzo: «Bene vénniu Ninè e bona vortuna àppasa!»9. Tale augurio risuona quasi come un benvenuto più generale agli ospiti nell’universo niffoiano e il «bene vénniu» accoglie il lettore nell’isola, o meglio nell’isola di Niffoi.

La sua scrittura è densa di immagini, non solo di odori e voci; il suo è uno stile ricco di figure retoriche, che a volte si impongono a ostacolare la fluidità del testo. Se riprendiamo la lettura dell’incipit del romanzo leg-giamo: «Del giorno che venni al mondo ricordo ancora gli odori e le voci e il suono di una campana che pigra e indolente annunciava l’inizio della novena natalizia nell’ora del vespro. L’aria era sazia del profumo aspro dei mandarini»10. In queste poche righe si possono rilevare la personifi-cazione della campana, descritta nella sua lentezza, la metafora dell’aria carica, ‘sazia’, di profumi e in più la sinestesia, data dall’associazione

6 Le opere prese in considerazione sono: Il viaggio degli inganni, Nuoro, Il Maestra-le, 1999; Il postino di Piracherfa, Nuoro, Il Maestrale, 2000; Cristolu, Nuoro, Il Maestra-le, 2001; La sesta ora, Nuoro, Il Maestrale, 2003; La leggenda di Redenta Tiria, Milano, Adelphi, 2005; La vedova scalza, Milano, Adelphi, 2006; Ritorno a Baraule, Milano, Adelphi, 2007; Collodoro, Milano, Adelphi, 2008; L’ultimo inverno, Milano, Adelphi, 2009; La quinta stagione è l’inferno, Milano, Feltrinelli, 2014.

7 S. NIFFOI, Il viaggio degli inganni, op. cit., p. 17.8 Tipico pane fine e croccante, originario della Barbagia.9 S. NIFFOI, Il viaggio degli inganni, op. cit., p. 17, letteralmente: Benvenuto Ninetto

e che tu abbia buona fortuna nella vita.10 Ibidem.

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dell’aggettivo ‘aspro’ al profumo dei mandarini. Nello scrivere le sue sto-rie, Niffoi manifesta una preferenza particolarmente marcata per le figu-re retoriche e le figure di parola e in generale per tutto ciò che può deco-rare le sue narrazioni in maniera a volte eccessiva, al limite del barocco.

La lettura delle sue opere fa emergere una notevole frequenza dell’u-tilizzo delle metafore, che si presentano nella maggior parte dei casi come metafore di invenzione, atte a stupire il lettore e a provocare quasi un sen-so di straniamento. Tuttavia, possiamo riscontrare altri artifici retorici as-similabili alla metafora, quali immagini allegoriche estese, o ancora meta-fore esplicite sotto forma di similitudini, per cui Niffoi rivela una vera e propria predilezione. Al fine di raccontare la Sardegna e di catturare chi legge dentro il suo mondo, lo scrittore cerca di proiettare vivide immagi-ni sulle sue pagine, attraverso paralleli con elementi poco noti al suo pub-blico o addirittura talmente specifici della realtà sarda da rendersi diffi-cilmente decifrabili per un lettore nazionale.

Entra qui in gioco la nozione di mistero, che aleggia su tutta la produ-zione di Niffoi e che ha contribuito alla sua fama di narratore di una ter-ra violenta e inaccessibile, legata a tradizioni ataviche e fortemente esoti-che. L’atmosfera leggendaria e quasi impenetrabile che si respira nei suoi romanzi intriga i lettori, che si perdono in fatti sospesi in un’epoca non ben precisata, che mettono in scena personaggi dal carattere forte e con un codice d’onore d’altri tempi. L’obiettivo dello scrittore è quello di at-tirare il pubblico in una sorta di ragnatela di ignoto e forti passioni, com-posta da un miscuglio linguistico affascinante, da storie che rasentano il mito e uno stile rigoglioso di metafore, allegorie e altri artifici stilistici, atti ad evocare una realtà suggestiva.

Nelle sue opere, Niffoi crea un legame chiaro ed esplicito tra le vicen-de narrate e l’ambiente in cui i personaggi si muovono. In effetti, gran parte delle immagini proposte sotto forma di metafore sono legate alla natura o alla società che l’autore ben conosce e che vuole presentare at-traverso i suoi romanzi. Ne Il viaggio degli inganni leggiamo: «un lastrone di nuvole scure e gonfie come zecche», oppure «io passai di mano in ma-no come un bicchiere pieno», e ancora «i loro volti tirati in una smorfia di sfida cattiva avevano il colore scarlatto degli zipponi da cerimonia» e «le sughere maestose e secolari che in silenzio osservavano le tortore e i colubri abbeverarsi»11. Questi brevi estratti raccontano, attraverso meta-

11 Ibidem, rispettivamente pp. 19, 20, 21 e 22.

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fore di varia forma, qualcosa del luogo in cui si svolge la storia; l’autore non ci parla solo di un clima presago di tempeste, ma anche della fami-liarità con le zecche; non ci parla solo di un bambino che viene preso in braccio da più persone, in segno d’affetto, ma anche dell’uso di bere in compagnia; non descrive solo i visi di due personaggi in preda a un sen-timento di animosità, ma ci parla anche di un elemento della tradizione sarda, lo zippone, ovvero il corsetto che compone il costume tipico per la festa; Niffoi ci racconta, inoltre, della natura sarda, con le sughere in pri-mo piano, che si impongono con la loro maestosità, quasi a farsi esse stes-se personaggi. Gli elementi costitutivi delle metafore vanno, dunque, ol-tre il significato superficiale della frase, arricchendo la descrizione, sulla base del principio esposto da Umberto Eco, secondo cui la metafora è uno strumento di conoscenza additiva e non sostitutiva12. In questo sen-so, possiamo leggere le scelte stilistiche e espressive di Niffoi come una serie di porte, atte a far entrare il lettore nel mondo descritto. Ne Il viag-gio degli inganni, le metafore e le figure retoriche corredano il racconto (quasi autobiografico) della vita del protagonista nella sua comunità, ag-giungendo colori, odori e sapori laddove per un “continentale13” è com-plicato immaginarli.

Se si legge un altro incipit, quello di Ritorno a Baraule, si comprende ancora meglio in che senso le metafore, soprattutto quelle usate in aper-tura di un romanzo, siano utilizzate per accogliere il lettore in una nuova comunità e in un nuovo universo e completino il senso di una descrizio-ne:

La prima cosa che Carmine Pullana vide quando arrivò a Barau-le fu una vecchia che salutava tutti quelli che passavano toccandosi i genitali imbrattati di argilla rossa. [...] Il suo volto sembrava dise-gnato sulla sabbia, con i lineamenti sfatti dal tempo, la fronte sca-vata da una scacchiera di rughe; una gora le solcava le guance da parte a parte, come se qualcuno le avesse dato un colpo di falce in bocca. Nella piana uno sciame d’uomini vestiti di bianco si muove-va in fretta sollevando lembi di polvere ocrata. Erano scalzi e suda-

12 U. ECO, Semiotica e filosofia del linguaggio, Torino, Einaudi, 1984.13 Il termine «continente» è usato dai sardi per designare il resto d’Italia (cfr. C. LA-

VINIO, Italiano regionale in Sardegna, p. 243, in L’infinito e oltre. Omaggio a Gunver Skytte, a cura di H. JANSEN, P. POLITO, L. SCHOSLER, Odense, Odense University Press, 2002, pp. 241-255).

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ti, gabbiani stanchi che riportavano la statua in paese, inseguiti dall’alito di pirati invisibili14.

La donna descritta non ha un ruolo esplicito a livello narrativo, ma preannuncia con la sua lascivia e il suo stato di abbandono la realtà che il protagonista troverà al suo arrivo nel paese di Baraule. Le metafore e le similitudini utilizzate per descrivere i personaggi in questo estratto sono di tipo marino (il volto della vecchia disegnato sulla sabbia e gli uomini simili a gabbiani), perché Niffoi si allontana dagli scenari soliti del centro Sardegna per avvicinarsi alla costa15. Di conseguenza, si adatta all’ambien-te della sua narrazione anche nella scelta delle immagini metaforiche, pre-parando così chi legge, soprattutto se si tratta di un suo fedele lettore, ad una storia insolita a livello di sfondo e di atmosfera.

In altri casi, le metafore servono ad aumentare il senso di tragicità di una scena o di una storia. È il caso de La vedova scalza, del 2006, la cui protagonista, Mintonia, racconta, attraverso una lettera alla nipote, la sua dolorosa vicenda di amore con Micheddu, di cui vendicherà l’assassinio. L’incipit è violento: «Me lo portarono a casa un mattino di giugno, spo-iolato e smembrato a colpi di scure come un maiale»16. La frase è secca e fredda, malgrado la presenza della nota di luce data dal mattino di giu-gno. L’immagine è forte e il paragone col maiale non fa che accentuare l’efferatezza della scena, come anche gli aggettivi ‘spoiolato’ e ‘smembra-to’, con i suoni graffianti delle ‘s’. Aldilà delle sonorità dure, l’aggettivo ‘spoiolato’ è fondamentale per accentuare la gravità dell’incipit. Difatti, il termine proviene dal sardo spojolai, letteralmente ‘sgozzare’, verbo che si usa per descrivere in che modo si uccidono i maiali e se ne recupera il sangue. ‘Spoiolato’ è dunque una forma metaforica meno lampante, che accompagna la palese similitudine col maiale. La descrizione del cadave-re in questione continua con un altro paragone, «era rigido come un tron-co di sughera»17, che suona come una forma inconsueta, rispetto alla si-militudine di uso corrente «rigido come un tronco d’albero»; la scelta di

14 S. NIFFOI, Ritorno a Baraule, op. cit., pp. 11-12.15 Per un’analisi sulla relazione di diffidenza, distanza e paura che esiste tra i personaggi

niffoiani e il mare, si rimanda al saggio di L. NIEDDU, Il mare come limite di paura in Salvatore Niffoi, in Between, rivista on line, maggio 2011, vol. 1, n. 1 (http://ojs.unica.it/index.php/between/article/view/142).

16 S. NIFFOI, La vedova scalza, op. cit., 2006, p. 13.17 Ibidem.

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Niffoi è legata alla volontà di avvicinare il lettore all’ambiente sardo, nel quale il sughero ricopre un ruolo importante per gli utilizzi che di esso vengono fatti.

Ad accompagnare le vicende di morte descritte intervengono anche gli elementi naturali, perché lo sfondo non è mai muto e impassibile, ma par-tecipa delle storie narrate; in questo caso, «un vento rovente che inchio-dava l’astore al nido» e «il sole che sembrava una palla di vetro incande-scente, dove toccava bruciava»18 prendono parte al momento di profonda rabbia di Mintonia per l’assassinio di Micheddu e l’estate «mala», cattiva, così come definita nel testo, aggrava il tormento della protagonista e ne diventa lo specchio. Niffoi non ama le narrazioni scevre di fronzoli, pre-ferisce colorare le sue storie e finanche appesantirle: per questo le prefi-che venute a piangere Micheddu non elevano urla e litanie di circostanza, ma le «spalmano sui muri calcinati in fretta di bianco», i curiosi venuti a vedere il corpo non hanno approfittato semplicemente dello spettacolo, ma «hanno visto il cinema gratis», Mintonia non ha soltanto un senso di agitazione in tutto il corpo, ma decisamente «lo stomaco pieno di blatte pelose che sgambettano»19. L’autore non si permette di essere banale, af-ferma lui stesso di fare accurate ricerche su sinonimi e lessico della flora e della fauna, per non utilizzare mai immagini prevedibili o già viste20.

Le figure retoriche, e in particolare le metafore, fungono, dunque, da complementi narrativi fondamentali per rendere vivo e partecipe lo sfon-do e aggravare il senso di tragicità del racconto, come succede anche nell’incipit de Il postino di Piracherfa: «Il latrare dei cani si spalmava sui vetri delle case di Piracherfa come una maschera latteosa e urticante. Il vento, che spazzava per le strade le ultime foglie ingiallite perse dai per-golati, trasportava lamenti di anime morte sino alla stanza da letto di Me-lampu Camundu. Bel regalo per il giorno del suo cinquantesimo com-pleanno»21. Il regalo di cui parla Niffoi per il suo protagonista rappresen-ta la metafora della stessa esistenza di Melampu, solitaria e accompagna-ta unicamente dai suoi fantasmi. Stesso effetto per l’incipit di Cristolu:

18 Ibidem, p. 14.19 Ibidem, rispettivamente pp. 15, 16 e 17.20 Niffoi dichiara di essere molto pignolo con se stesso e di fare attenzione a non usare

similitudini e metafore già utilizzate, servendosi per far ciò di molti dizionari di sinonimi e contrari. (Cfr. A.M. AMENDOLA, L’isola che sorprende. La narrativa sarda in italiano (1974-2006), Cagliari, CUEC, 2006, p. 242).

21 S. NIFFOI, Il postino di Piracherfa, op. cit., 2000, p. 11.

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«Dopo l’estate avara di piogge arrivò finalmente l’autunno ricco di nuvo-le grasse. Per più di un mese un’acqua oleosa si stese come un velo tra le tegole e i campi di Orotho, prima di perdersi in un intrico di rivoli che gonfiarono il fiume Colovru, fino a farlo somigliare ad una grassa biscia»22. Niffoi prepara il lettore ad una vicenda intricata come la rete di rivoli cre-ata dalla pioggia e l’immagine iniziale degli abbondanti scrosci, che co-prono tutto, diventa simbolo e anticipazione delle lacrime che verranno versate nel corso della storia.

Similitudini e metafore servono, inoltre, a dare maggiore spessore a personaggi che altrimenti resterebbero bidimensionali. Prendiamo una figura tra le tante descritte da Niffoi, tratta da La sesta ora, Mannoi (non-no) Iscusorgiu: «[...] dei mille volti della paura aveva paura solo di quel-la maschera senza occhi che gli toglieva il sonno con rumore di spuma che sbatte sugli scogli. Lo immaginava come un’immensa pila di scialli blu il mare, che si sovrapponevano e lo avvolgevano con mani invisibili fino a togliergli il respiro»23. Attraverso questa rappresentazione allego-rica del mare ci viene raccontato un uomo che non ha familiarità con l’elemento marino, che lo teme e che, per provare a comprenderlo, lo rapporta a concetti a lui conosciuti, come «un’immensa pila di scialli blu». L’uomo ha novantasei anni, «sputa monconi di sigari sul passato e cerca la strada per l’aldilà a colpi di bastone nel cortile, come quei sen-sitivi che cercano l’acqua nel deserto»24. La personalità di Mannoi Iscu-sorgiu viene pertanto esplorata attraverso immagini trasversali, che pos-sano avvicinare chi legge a questo vecchio, figura fondamentale dell’o-pera, in quanto si tratta di colui che narra e tramanda la storia al centro del romanzo.

Altre volte, invece, le figure retoriche sono il pretesto per fornire una visione più ampia del mondo in cui si muovono i protagonisti, perché vengono tirati in ballo altri personaggi, marginali nello svolgimento della trama, ma utili per creare l’idea di comunità. Si prenda, ad esempio, un estratto de La vedova scalza: «Il nome del mandante e dell’assassino (di Micheddu) erano il segreto del banditore, sconosciuto come la mercanzia che Licanza Zaccapiusu nascondeva tra le mutande sporche dei suoi amo-

22 S. NIFFOI, Cristolu, op. cit., p. 11.23 S. NIFFOI, La sesta ora, op. cit., pp. 10-11.24 Ibidem.

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ri clandestini»25. Tale similitudine ci parla di una sorta di segreto di Pul-cinella, presentato, tuttavia, in maniera più colorita.

L’idea di comunità non si basa solo sull’insieme dei suoi membri, ma anche sui suoi valori, sulle tradizioni e sulle regole non scritte, tra le qua-li quelle legate alla concezione della morte, come ne La leggenda di Re-denta Tiria: «Ad Abacrasta di vecchiaia non muore mai nessuno, l’agonia non ha fottuto mai un cristiano», perché a un certo punto uomini e don-ne sentono la chiamata del destino e si uccidono, impiccandosi. Ecco per-ché «nelle tanche di Abacrasta non c’è albero che non sia diventato una croce»26. Il parallelo significativo tra albero e croce non solo indica la grande quantità di personaggi che hanno in comune la “chiamata” al sui-cidio e la predilezione per la corda o la cinta, ma anche lo stretto legame esistente tra uomini e natura. Difatti, quest’ultima, come già accennato nell’analisi degli estratti de La vedova scalza, non funge solo da spettatri-ce delle vicende tragiche messe in scena, ma vi partecipa attivamente. A questo proposito, si prendano in considerazione gli incipit de L’ultimo inverno e di Collodoro, nei quali la descrizione della natura impervia e bruciante preannuncia la tragicità del romanzo. Ne L’ultimo inverno si legge: «L’occhio infuocato del sole bruciava la piana di Scolovè spargen-do bagliori d’oro sulle messi di grano saraceno e sulle strade morte di se-te. Non pioveva da mesi. Una polvere sottile velava il fiume Tapiceddu. L’acqua verde moccio delle magre piscine fermentava in schiuma bolleg-giante, impastata dei resti di bisce e carpe»27. Niffoi catapulta sin dalle prime righe il lettore nella desolata realtà del paese di Pirocha, che, come tutta l’isola di Degnasàr e la totalità delle terre emerse, è vittima di un’ar-sura senza precedenti. Non piove da mesi e i paesaggi descritti sono al li-mite del desertico; l’atmosfera appare sospesa nell’afa, immobile, fino a quando finalmente torna la pioggia, che all’inizio suscita l’entusiasmo del-la rinascita, ma poi si trasforma in un diluvio, che sommerge tutto, natu-ra e uomini. Della comunità di Pirocha si salvano solo un uomo e cinque donne, i prescelti che si rifugiano insieme in un monastero abbarbicato sulla montagna, in attesa di una nuova primavera, per poter riprendere una vita normale e ripopolare la terra. Il romanzo, dalla profonda impron-ta religiosa, è definito da Bruno Quaranta come un «Ecclesiaste barbari-

25 S. NIFFOI, La vedova scalza, op. cit., p. 16.26 S. NIFFOI, La leggenda di Redenta Tiria, op. cit., pp.15 e 16.27 S. NIFFOI, L’ultimo inverno, op. cit., p. 9.

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cino, dove c’è un tempo per la siccità [...] e un tempo per il diluvio»28. L’incipit, con il suo tono a tratti solenne e apocalittico («l’occhio infuo-cato del sole»), a tratti stomachevole («l’acqua verde moccio delle magre piscine fermentava in schiuma bolleggiante»), nel suo annunciare la scia-gura preannuncia anche la struttura della narrazione, realizzata su due livelli, quello alto, di un’interpretazione religiosa, e quello basso, dato delle infime manifestazioni dell’umanità.

Un’analoga lettura può essere svolta sull’esordio di Collodoro: «Le nu-vole se ne stavano appese in cielo a dondolare come fiocchi da lutto e un sole rachitico iniziava a cajentare le pietre. Seduto sotto un corbezzolo, Antoni Sarmentu cantava la sua tristura inseguendo la voce del vento che dalla valle di Gardu Mele saliva neniando verso i monti»29. L’incipit, in questo caso, non ha solo il compito di introdurre sulla scena il protago-nista del romanzo, ma rende la natura premonitrice di sventura, con le nuvole paragonate ai fiocchi da lutto e una personalizzazione di un sole miserabile, descritto come rachitico, e di un vento penoso, che si lamenta tra le montagne con un suono funereo, processo retorico, quello della personalizzazione degli elementi della natura, molto sfruttato dallo scrit-tore per aggiungere pathos e forza alle sue narrazioni dal fondo tragico.

Gli estratti scelti mostrano che lo stile di Niffoi è uno strumento che permette allo scrittore non solo di distanziarsi dal banale, ma anche di af-fermare con forza lo stretto legame esistente tra tutti gli elementi messi in scena, che questi siano animati o meno. L’utilizzo, talvolta smodato, di metafore, similitudini, sinestesie o personificazioni, permette di rafforza-re il senso di mistero e di rendere più intense le simbologie e le emozioni suscitate dalle narrazioni, perché queste non vengano percepite come semplici successioni di fatti, ma come veri e propri percorsi di crescita e di ricerca del senso profondo della vita.

Alla luce di quanto visto, si può fare una considerazione di carattere generale: l’autore parla al lettore con un tono quasi intimo, complice, co-me se lui fosse a conoscenza delle storie della comunità per poterne co-gliere il senso. Tuttavia, è vero il contrario. Nel confronto tra lo scrittore,

28 B. QUARANTA, In una fantastica Barbagia tra siccità e diluvio. Anime salve sul monte, L’ultimo inverno: cinque donne e un malfatato invocano il nuovo salvatore del mondo in «Tuttolibri – La Stampa», 23 giugno 2007.

29 S. NIFFOI, Collodoro, op. cit., p. 13.

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sardo per le storie, lo sfondo e la lingua, e il lettore nazionale interviene un altro elemento di distinzione, il fatto che le comunità di Niffoi si reg-gano non solo su un codice etico sui generis, ma anche su storie di paese, pettegolezzi, che non è dato conoscere agli estranei. Come suggerisce Um-berto Eco, l’interpretazione metaforica nasce dall interazione tra un in-terprete e un testo metaforico, ma il risultato di questa interpretazione è permesso sia dalla natura del testo, sia dal quadro generale delle cono-scenze enciclopediche di una certa cultura30. Ebbene, non esistendo in nessuno dei romanzi di Niffoi un’enciclopedia realmente comune tra chi narra e chi legge, la decodificazione delle metafore e delle similitudini ap-pare complicata, ma non sempre necessaria. In fondo, l’obiettivo dell’au-tore, come si è già detto, è quello di creare una fitta rete di riferimenti at-ti a imprigionare il lettore, che viene attirato e idealmente ipnotizzato dal mistero delle sue storie e del suo stile, composto principalmente da im-magini inusuali e originali, anche se non esclusivamente da queste. Difat-ti, nel corso della sua produzione si può rilevare un’evoluzione: nelle sue prime opere, la caratterizzazione locale è predominante, poiché i suoi ro-manzi sono impregnati di sardità in ogni loro aspetto, dall’ambientazione all’elaborazione espressiva, dalle tradizioni alle atmosfere, passando dalle immagini scelte per creare metafore di diversa foggia. Lentamente, però, quella che possiamo definire una sorta di fondamentalismo identitario si stempera, lasciando spazio ad una maggiore comprensibilità della lingua e delle storie. Questa trasformazione riguarda anche le sue scelte stilisti-che, poiché dalle forme talvolta sovrabbondanti, che caratterizzavano le sue prime opere, si passa ad una scrittura più scorrevole e meno arzigo-golata. I suoi libri continuano ad essere intrisi di numerose figure retori-che, ma queste risultano essere meno ricercate e più usuali. A dimostra-zione di ciò, si prenda in considerazione l’ultimo romanzo pubblicato da Salvatore Niffoi, La quinta stagione è l’inferno; al suo interno si possono riscontrare similitudini più familiari, d’uso comune, come «essere chiuso dentro come un topo», «sabbia fina come zucchero a velo» o «passegge-ro come un acquazzone estivo»31. Tali forme coesistono con costruzioni più complesse e insolite, assimilabili alle metafore riscontrate nelle opere precedenti, come quella presente nell’incipit del romanzo: «Il tempo scor-reva lentamente dal tubo di ferro arrugginito della fontana di Su Can-

30 U. Eco, I limiti dell’interpretazione, Milano, Bompiani, 1990.31 S. NIFFOI, La quinta stagione è l’inferno, op. cit., rispettivamente pp. 28, 32 e 45.

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tareddu»32, dove si rileva ancora la volontà di caratterizzare il testo come sardo, non fosse altro che per il toponimo in lingua locale. In generale, si può affermare che, se i testi erano in precedenza resi criptici dal sardo, ma anche dalle complicate similitudini o dalle metafore fortemente evo-cative, ora lo scrittore sembra voler andare maggiormente verso i suoi let-tori nazionali, verso la loro “enciclopedia”, per dirla con Umberto Eco, semplificando la sua scrittura a livello stilistico, e, forse, banalizzandola.

32 Ibidem, p. 15.

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