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La misteriosa scrittura grande dei papiri ravennati, tra prassi documentaria pubblica e...

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LR Legal Roots e International Journal of Roman Law, Legal History and Comparative Law L ibellula Libellula Edizioni LR 1 2012 ISSN: 2280-4994
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LRLegal RootsThe International Journal of Roman Law, Legal History and Comparative Law

Libellula

Libellula

Libellula Edizioni

Libellula

LRLegal Roots

The International Journal of Rom

an Law, Legal History and C

omparative Law

1

2012

ISBN: 978-88-6735-019-3

ISSN: 2280-4994

€ 60,00

2012 LR1 Francesco Paolo Casavola

II

Francesco Paolo Casavola 2012 LR1 2012 LR1

Titolo | LR Legal Roots

ISSN | 97888-2280-4994ISBN | 978-88-6735-019-3

Storia e Comparazione LR1 2012

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Storia e Comparazione LR1 2012 LR1 LR

Legal RootsThe International Journal of Roman Law, Legal History and Comparative Law

COMITATO SCIENTIFICO E DI REFERAGGIO INTERNAZIONALE

ILIAS N. ARNAOUTOGLOU (Atene) - PATRICIO CARVAJAL (Santiago) - ALESSANDRO CORBINO (Catania) ADAM CZARNOTA (Sydney) - FEDERICO R. FERNANDEZ DE BUJAN (Madrid)

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2012 LR1 Francesco Paolo Casavola 2012 LR1 2012 LR1 2012 LR1 Salvo Randazzo

Storia e Comparazione LR1 2012 Storia e Comparazione LR1 2012 LR1 Indice LR1 2012

Indice Editoriale di Salvo Randazzo pag. VII

Storia e comparazione nella formazione del giurista contemporaneo di Francesco Paolo Casavola pag. 1 Diritto e geografia: lo spazio del diritto e il mondo della geografia di Mario G. Losano pag. 5 La introducción del concepto de derecho-facultad (“derecho subjetivo”) en la ciencia jurídica y en la política di Alejandro Guzmán Brito pag. 23 Legem ne quis se ignorasse confingat di Salvatore Puliatti - Eugenia Franciosi pag. 63 La misteriosa scrittura grande dei papiri ravennati, tra prassi documentaria pubblica e legislazione di Lorenza Iannacci - Maddalena Modesti - Annafelicia Zuffrano pag. 89 Alla ricerca dell’usureceptio di Franca La Rosa pag. 121 «Litterae dimissoriae sive apostoli». Contributo allo studio del procedimento d’appello in diritto romano di Francesco Arcaria pag. 127 Luxury in Ancient Rome. An Economic Analysis of the Scope, Timing and Enforcement of Sumptuary Laws. di Giuseppe Dari-Mattiacci - Anna E. Plisecka pag. 189 Hard sciences/soft sciences: una dicotomia da oscurare di Laura Solidoro Maruotti pag. 217

2012 LR1 Salvo Randazzo 2012 LR1 Francesco Paolo Casavola Francesco Paolo Casavola 2012 LR1 2012 LR1 2012 LR1 Indice

Dal risarcire all`indennizzare: una cornice semantica di Federico Fernández de Buján pag. 247 Il concetto di costituzione in Franco Modugno, fra positivismo giuridico e “giusnaturalismo”. di Giovanna Razzano pag. 265 Giuliano Crifò e il compito del romanista di Marialuisa Navarra pag. 293 Brevi considerazioni in tema di ‘servitus poenae’ di Tommaso Beggio pag. 299

A proposito di …

Indices e indicia. Contributo allo studio della collaborazione giudiziaria dei correi dissociati nell’esperienza criminale romana (di Carmela Russo Ruggeri) di Antonella Marandola pag. 307 Dolo generale e regole di correttezza (di Paola Lambrini) di Giovanni Di Rosa pag. 313 Gli ‘Scritti di storia del diritto e bibliografia giuridica offerti a Giuliano Bonfanti’

di Massimo Miglietta pag. 315

Strumenti per la didattica I modelli di trasferimento della proprietà dal diritto romano al diritto moderno di Peter Gröschler pag. 319

QR Codes LR Reportages pag. 337

La misteriosa scrittura grande dei papiri ravennati, tra prassi documentaria pubblica e legislazione Lorenza Iannacci – Maddalena Modesti – Annafelicia Zuffrano*

Abstract In 1952 Jan Olof Tjäder was finally able to decipher the so called misteri-

osa scrittura grande that characterizes the first line of four Ravenna papyri containing pro-tocols of the gesta municipalia (AD 504-625) and so recognize its graphic basis in the an-cient roman cursive. In this way he proved that after the fourth century the ancient roman cursive had survived not only in the litterae caelestes reserved only for imperial documents (cfr. CTh. 9.19.3), but also in the initial sections of the records of proceedings of imperial audiences preserved in Egyptian papyri, as Marichal had already pointed out, and, pre-cisely, in one of the protocols of the Ravenna gesta.

Thus the aim of this presentation is to examine Tjäder's theory about the role that Ra-venna's misteriosa scrittura grande played in the history of Latin script, in light of the latest editions of primary sources and of the subsequent studies dedicated to this theme. Our method is to link the graphic element as it emerges from the Ravenna gesta and from the Egyptian records of oral proceedings to a wider historical context through a comparison of documentary sources, legal sources (meaning those relevant to legal interventions directly concerning the writing of public documents), and historiography of manuscripts. In par-ticular, we raise the following questions. What does the misteriosa scrittura grande at Ra-venna represent on the historical and legal level? What relationship can be established be-tween this script on the one hand and lawmaking and public documentary practice on the other?

From this point of view three objectives emerge for research: 1) the relationship be-tween the documents from Ravenna and Egypt and a constitution of Valentinian and Valens dating to AD 367 (CTh. 9.19.3) that reserves the use of litterae caelestes for the im-perial scrinia and prohibits resort to this by lower-level and provincial chancelleries as well as by private parties; 2) the relationship of these documents to Justinian's Nov. 44.2 (536) and Nov. 47 (537); 3) the value and the function(s) of these special scripts.

Keywords: Ravenna, papiri, scrittura grande, legislazione postclassica, gesta.

1. Introduzione Nel 1805 Gaetano Marini, all’atto di licenziare la sua monumentale edizione dei papiri diplomatici, illustrava così la scrittura della prima riga di alcuni papiri ravennati contenenti protocolli dei gesta municipa-lia: «È quivi una riga di roba scritta con lettere grandissime, ed intralciate fra se, che il Mabillone, ed altri tennero fossero cifre inesplicabili, ma che il Cor-rado tentò di leggere, invita Minerva però, secondo che a me pare certamen-

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te. Vestigia di così fatti caratteri si osservano in altri tre Papiri (num. LXXXVIII. XCIV. CXIII.), e tutti scritti per transversum, e a colonnette, e sopra una co-lonna solamente [...]»1.

I testi in questione sono quattro: gli attuali papiri Tjäder 29 (504 d.C.), 8 (564 d.C.), 14-15 (572 d.C.) e 21 (625 d.C.)2 e contengono appunto protocolli dei gesta municipalia, vale a dire quei documenti pubblici in cui – a partire dalla legislazione costantiniana del 316 d.C. (CTh. 8.12.1 e 8.12.3) – dovevano essere registrati donazioni e negozi giuridici per dare ad essi ricognizione uf-ficiale e pubblicità3. All’epoca del Marini ancora nessuno era riuscito a deci-frarli e nonostante in molti si fossero cimentati nel tentativo di lettura, non si era giunti nemmeno a formulare per essi una soddisfacente ipotesi interpre-tativa4. Purtroppo il loro stato di conservazione non è ottimale e si è anzi ul-teriormente deteriorato col tempo, sicché attualmente soltanto il p. Tjäder 8 reca ancora una porzione sufficientemente ampia della riga iniziale. Esso co-munque ci permette di immaginare come doveva presentarsi, in origine, la parte iniziale di tali documenti.

La struttura grafica di questi papiri appare piuttosto complessa. Mentre il testo è scritto infatti nell’elegante e vivace corsiva nuova di tipo ufficiale a-dottata non solo dagli exceptores della curia di Ravenna5 ma di uso generale

* Il seguente contributo riprende e rielabora la relazione dal titolo La misteriosa scrittura ‘grande’: paleografia e storia, tenuta il 14 maggio 2010 in occasione del convegno internazionale Ravenna Capitale. Società, diritto e istituzioni nei papiri ravennati (V-VIII secolo), url: http://www.ravennacapitale.unibo.it/convegni.html. Il lavoro è così suddiviso: Lorenza Iannacci (3.Scritture iniziali e legislazione), Maddalena Modesti (1.Introduzione; 4.Conclusioni), Annafelicia Zuffrano (2.Considerazioni paleografiche).

1 G. MARINI, I papiri diplomatici raccolti e illustrati, Roma-Stamperia della Sagra Congregazione de Propaganda Fide 1805, 267 nt. 2.

2 J. O. TJÄDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri Italiens aus der Zeit 445-700, Lund, Stockholm-C. W. K. Gleerup, P. Åström 1954-1982. I papiri corrispondono ai numeri 113, 80, 88-88A e 94 dell’edizione di G. MARINI, I papiri cit. 171 ss., 124 ss., 135 ss., 146 ss..

3 A partire dall’imperatore Costantino la legislazione in materia di insinuatio apud acta è assai ampia e circostanziata, basti richiamare CTh. 8.12.1 (C. 8.53.25), CTh. 8.12.3, CTh. 3.5.1, CTh. 8.12.5 (C. 8.53.27), CTh. 8.12.6, CTh. 2.29.2 (C. 4.3.1), CTh. 4.4.4 (C. 6.23.18), CTh. 16.5.55 (C. 7.52.6), CTh. 8.12.8 (C. 8.53.27), Nov. Valent.15.3, Nov. Valent.32pr., C. 8.53.30, C. 1.2.14.7, C. 8.53.31pr., C. 8.53.32, Nov.73.7.3.

4 Ripercorre puntualmente la storiografia precedente J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura gran-de” di alcuni papiri ravennati e il suo posto nella storia della corsiva latina e nella diplomatica roma-na e bizantina dall'Egitto a Ravenna, in Studi Romagnoli 3, 1952, 173 ss., 178 ss.

5 Il concetto di scrittura ufficiale è stato coniato da Giorgio Cencetti ad indicare la scrittura «dell’amministrazione e degli uffici romani nei secoli II e III nonché degli scribi professionali estranei

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presso tutti gli uffici burocratici e amministrativi, e cioè è scritto, in sostanza, nella scrittura comune dell’epoca, e mentre la parte finale del documento contenente le dichiarazioni conclusive del magistrato è caratterizzata da una scrittura serrata e allungata, dagli atteggiamenti marcatamente cancellere-schi e di base ancora corsiva nuova, al contrario l’inizio della prima colonna reca una grafia diversa e speciale, che si connota per il formato esagerata-mente ingrandito e per il tracciato tanto elaborato da conferire alle lettere, che a mala pena si riescono a distinguere, un aspetto quasi intrecciato o in-garbugliato (si v. foto 1-2).

Per oltre tre secoli questa singolare e bizzarra scrittura ravennate ha co-stituito uno dei problemi che più «si è mostrato resistente ad ogni tentativo di soluzione», ma che al tempo stesso «tanto più affascinante è apparso a co-loro che se ne sono occupati» proprio «per quel ché di “misterioso” che riu-sciva a conservare»6. Soltanto nel 1952 Jan Olof Tjäder riusciva finalmente a decifrarla svelando così uno degli enigmi rimasti più a lungo insoluti nella storia delle forme grafiche latine, di cui pure è rimasta suggestiva traccia nel

ad essi ma con essi in continuo rapporto» (G. CENCETTI, Note paleografiche sulla scrittura dei papiri latini dal I al III secolo d.C. [1950], in Scritti di paleografia (a cura di G. Nicolaj), Zurigo-Urs Graf 1993, 47 ss. nt. 85) ed è stato adottato poi dal Tjäder anche per la scrittura dei documenti prodotti dai vari officia nel periodo successivo (si v. J. O. TJÄDER, Considerazioni e proposte sulla scrittura latina nell'e-tà romana, in Palaeographica, Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di G. Battelli [a cura della Scuola Speciale per Archivisti e Bibliotecari dell'Università di Roma], Storia e Letteratura, Raccolta di studi e testi, 139, Roma-Edizioni di Storia e Letteratura 1979, 31-62). Sugli exceptores si v. G. CENCET-TI, Tabularium principis, in Studi di paleografia, diplomatica, storia e araldica in onore di Cesare Ma-naresi, Milano-Giuffré 1953, 133 ss.; M. AMELOTTI, L’età romana, in M. AMELOTTI-G. COSTAMAGNA, Alle origini del notariato italiano, Roma-Consiglio nazionale del notariato 1975, 19 ss.; H. C. TEITLER, Nota-rii et exceptores. An inquiry into role and significance of shortland writers in the imperial and ecclesi-astical bureaucracy of the Roman Empire (from the early principate to C. 450 a.D.), Amsterdam-J. C. Gieben 1985, passim. In generale poi, fra i molti studi dedicati alla scrittura dei documenti e dei co-dici ravennati tra tardoantico e altomedioevo si v. anche G. CAVALLO-F. MAGISTRALE, Libri e scritture del diritto nell’età di Giustiniano, in Il mondo del diritto nell’epoca giustinianea: caratteri e proble-matiche, Atti del Convegno tenuto a Ravenna nel 1983 (a cura di G. G. Archi), Ravenna-Edizioni del Girasole 1985, 43 ss.; G. CAVALLO, La cultura scritta a Ravenna tra tarda antichità e alto medioevo, in Storia di Ravenna, II/2. Dall’età bizantina all’età ottoniana (a cura di A. Carile), Ravenna-Marsilio E-ditori 1992, 79 ss.; G. NICOLAJ, Ambiti di copia e copisti di codici giuridici in Italia (secoli V-VII in.), in Le statut du scripteur au Moyen Âge, Actes du XIIe Colloque scientifique du Comité international de pa-léographie latine (réunis par M.-C. Hubert, E. Poulle, M. H. Smith), Paris-École des chartes 2000, 127 ss.; ID., Documenti e libri legales a Ravenna: rilettura di un mosaico leggendario, in Ravenna da capi-tale imperiale a capitale esarcale. Atti del XVII Congresso internazionale di studio sull’alto medioevo, Ravenna, 6-12 giugno 2004 II, Spoleto-CISAM 2005, 761 ss..

6 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 180.

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nome con cui essa da allora è comunemente nota: la misteriosa scrittura grande dei papiri ravennati.

L’analisi diplomatica consentiva infatti allo studioso svedese di capire che essa doveva contenere semplicemente la datazione cronica e topica dell’atto registrato. Oggi sappiamo, pertanto, che gli oscuri segni vergati all’inizio del papiro Tjäder 8 non celano nient’altro che l’indicazione del giorno del mese, dell’indizione e del luogo in cui il protocollo fu registrato, e che un tempo do-veva esservi anche quella dell’anno di impero e di consolato ([…] sub die XVI Kalendarum Augustarum, indictione XII, Ravennae)7.

Lungi dall’aver attenuato l’interesse sulla misteriosa scrittura grande, l’accuratissima indagine del Tjäder ha anzi stimolato un vivace dibattito criti-co, tanto che a distanza di quasi sessant’anni dal suo contributo i papiri ra-vennati non hanno smesso di riservare ancora qualche sorpresa e soprattut-to di sollecitare nuovi interrogativi. Convinti di ciò, abbiamo ritenuto che fos-se utile anzitutto ripartire dalla teoria del Tjäder circa il ruolo che questa pe-culiare tipologia grafica ha avuto nella storia della scrittura latina e fare il punto su di essa alla luce sia degli studi successivi, sia delle più recenti edi-zioni documentarie, che hanno reso accessibile un numero sempre maggiore di fonti (si pensi anzitutto al completamento della prima serie delle Chartae Latinae Antiquiores, ma anche all’edizione dei papiri documentari italiani portata a termine dallo stesso Tjäder)8.

Ma al di là della verifica di un particolare assunto paleografico, si è cerca-to soprattutto di riconnettere il dato grafico che emerge dalle carte ravenna-ti ad un quadro storico-istituzionale più ampio. In quest’ottica la presente ri-cerca muove da alcuni interrogativi di fondo, che potrebbero essere così formulati: che cosa rappresenta sul piano storico-giuridico la misteriosa scrit-tura grande ravennate? Che funzione possiamo riconoscere a questa peculia-

7 Come ricorda il Tjäder, il Marini fu sviato nel suo tentativo di comprensione dal fatto che nel p. Tjäder 21 (Marini 94) la datazione e il luogo erano ripetuti, in corsiva nuova, nella seconda riga del papiro (J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 187). Caratteristica, questa, su cui si avrà modo qui di tornare.

8 Si v. ChLA e J. O. TJÄDER, Die nichtliterarischen cit. (da cui sono state tratte le riproduzioni foto-grafiche dei documenti, mentre per i fac-simili alfabetici si è fatto ricorso a J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. tavv. I-II); R. SEIDER, Paläographie der lateinischen Papyri, in drei Bänden, I Ta-feln, Erster Teil, Urkunden, Stuttgart-A. Hiersemann 1972; molte fonti inoltre sono ora accessibili on-line con riproduzione e riferimenti bibliografici, ad es. sul sito: http://www.papyri.info/ .

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re espressione grafica9? Quali rapporti si possono istituire tra essa, la legisla-zione e la prassi documentaria pubblica?

In questa sede ci riproponiamo quindi di esporre i risultati preliminari di una ricerca più estesa avviata all’interno della Sezione di Paleografia e Di-plomatica del Dipartimento di Paleografia e Medievistica dell’Università di Bologna circa il rapporto tra scrittura di documenti pubblici, legislazione po-stclassica e prassi tardoantica e altomedievale.

A questo scopo abbiamo preso in esame anzitutto le fonti documentarie, assunte come terreno di verifica concreta della teoria elaborata dal Tjäder. In particolare, oltre ai papiri ravennati si è presa in considerazione anche tutta quella parte del patrimonio documentario superstite che può essere fatta ri-salire ad uffici pubblici sia centrali sia provinciali, in un arco cronologico che va grosso modo dal III al VII secolo: quindi i pochissimi documenti imperiali originali superstiti, i documenti delle cancellerie provinciali dell’Impero tar-doantico, i processi verbali egiziani già messi in relazione dal Tjäder con i ge-sta ravennati.

Per quanto riguarda invece l’aspetto legislativo si è cercato di cogliere i riflessi che la norma ha prodotto sull’uso grafico, considerando alcuni degli interventi normativi che per il periodo esaminato interessano direttamente la scrittura dei documenti pubblici e che possono essere messi in relazione con i papiri ravennati. Fra questi un’attenzione speciale merita la nota costi-tuzione di Valentiniano e Valente del 367 d.C. (CTh. 9.19.3), da sempre indi-cata in letteratura come la sanzione ufficiale della frattura fra litterae caele-stes e litterae communes10.

2. Considerazioni paleografiche Ripartiamo dunque dal Tjäder. Tra i molti pregi, il suo contributo sulla scrittura iniziale dei gesta ravennati aveva anche quello di non limitarsi a trascrivere e a descrivere in maniera analitica questa particolare tipologia grafica, ma di cercare anche di spiegare come si fosse venuta formando, mettendola in relazione con altre scritture più note e conosciute. In questo modo la misteriosa scrittura grande di Ravenna, «per quanto artificiale e lontana da ogni altro tipo di uso corrente»11, trovava per

9 Sull’importanza dello studio di forme e funzioni del documento, inteso nella sua natura di prassi giuridica, si fa riferimento a G. NICOLAJ, Lezioni di diplomatica generale. I. Istituzioni, Roma-Bulzoni 2007.

10 Si v. infra § 2. 11 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 194.

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la prima volta una definita collocazione all’interno della storia delle forme grafiche latine.

Nello specifico, lo studioso individuava la base della scrittura iniziale dei papiri ravennati nella corsiva romana antica o ancienne écriture commune secondo la definizione della scuola francese (Mallon, Marichal e Perrat)12, cioè in quella scrittura – che per comodità possiamo dire maiuscola – che a-veva rappresentato il sistema grafico di riferimento dell’intero mondo latino alfabetizzato fino circa al III secolo d.C.. E a sostegno della sua ipotesi il Tjä-der richiamava la scrittura iniziale di alcuni processi verbali egiziani bilingui risalenti ad un periodo di poco precedente rispetto ai papiri ravennati, che va dal 321 d.C. (data del p. Rylands IV, 653) all’incirca fino alla fine del V secolo (488 d.C., data del p. Oxy. XVI, 1877)13. Anche in questi papiri – sui quali nello stesso periodo, ma per altre vie, anche Robert Marichal richiamava l’attenzione14 – la datazione consolare, nella prima riga, è scritta con caratte-ri ingranditi morfologicamente molto vicini a quelli dei gesta di Ravenna, ma con un grado di artificiosità minore, che rende perciò più immediata ed evi-dente in essi la derivazione dall’antica scrittura romana (si v. foto 3). I papiri egiziani non solo offrivano al Tjäder un legame paleografico tra la corsiva an-tica e la scrittura grande di Ravenna, ma mostravano anche «una scrittura di

12 Cfr. J. MALLON, L’écriture de la chancellerie impériale romaine [1948] in De l’écriture. Recueil d’études publiées de 1937 a 1981, Paris-Centre National de la Recherche Scientifique 1982, 167 ss., 170; ID., Paléographie romaine, Madrid-Consejo superior de investigaciones cientificas, Instituto An-tonio de Nebrija de filologia 1952, 105-122; R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie impériale in Aegyptus 32, 1952, 336 ss., dove si parla di cursive récente in opposizione alla ancienne cursive. Sull’antica scrittura romana v. inoltre L. SCHIAPARELLI, La scrittura latina nell'età romana. Note paleo-grafiche, Como-Ostinelli 1921 (ristampa anastatica Torino-Bottega d'Erasmo 1976); G. CENCETTI, Note paleografiche cit. e ID., Ricerche sulla scrittura latina nell’età arcaica [1956-57], in Scritti di paleogra-fia cit. 135 ss..

13 Cfr. ChLA IV, 254 e ChLA XLVII, 1407. J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 201-203, fa il punto sugli studi precedenti relativi agli acta egiziani e aggiorna la lista di fonti già predi-sposta da R. MARICHAL, Paléographie précaroline et Papyrologie, II, L'écriture latine du Ier au VIIe siè-cle: les sources, in Scriptorium 4, 1950, 116 ss., offrendo un elenco di 21 processi verbali egiziani di cui 11 con resti di scrittura iniziale. Nuovi aggiornamenti si devono a O. KRESTEN, Zur Frage der “Litterae Caelestes”, in Jahrbuch der österreichischen byzantinischen Gesellschaft 14, 1965, 13 ss. e ID., Diplomatische Auszeichnungsschriften in Spätantike und Frühmittelalter, in Mitteilungen des In-stituts für Österreichische Geschichtsforschung 74, 1966, 1 ss., in part. 8, e inoltre a D. FEISSEL, Un re-scrit de Justinien découvert à Didymes (1er avril 533), in Chiron 34, 2004, 285 ss., che ha richiamato l’attenzione su un’epigrafe ritrovata presso l’antica Didima contenente la copia di un processo ver-bale bilingue del 533, in cui è riprodotta scrupolosamente su pietra la scrittura della datazione inizia-le. Cfr. infine la bibliografia citata in ChLA XLI, 1188.

14 R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie cit. passim.

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uso perfettamente corrispondente a quello» dei gesta ravennati, tanto da poterne concludere che non si trattava semplicemente di «una scrittura mol-to simile a quella di Ravenna» ma della «stessa scrittura, quale essa si pre-sentava in un periodo più remoto, nei sec. IV e V, in Egitto»15.

L’individuazione della base grafica di queste scritture iniziali ingrandite egiziane e ravennati nell’antica corsiva romana non era senza conseguenze all’interno del più generale quadro evolutivo delle forme grafiche latine. La corsiva antica, infatti, già nel IV secolo era stata abbandonata e sostituita nell’uso comune da un’altra scrittura, ad essa sostanzialmente irriducibile, cioè la cosiddetta corsiva romana nuova o nouvelle écriture commune, carat-terizzata al contrario della prima da forme che per semplificare possiamo di-re minuscole. Come si è accennato, questa nuova scrittura improntava anche l’intero testo dei documenti che stiamo considerando, ad esclusione appunto della prima riga.

Il cambiamento grafico che portò dalla corsiva antica alla nuova fu il frut-to di una cesura verificatasi nell’ambito della cosiddetta scrittura usuale, se-condo la definizione di Giorgio Cencetti16: si trattò comunque, per riprendere direttamente le parole di quest’ultimo, di «un fatto complesso, tecnico, este-tico e culturale insieme»17, al quale concorsero probabilmente molteplici fat-tori, già ampiamente evidenziati dalla storiografia e sui quali pertanto non è il caso di ritornare qui ora18. Il risultato di questa trasformazione, ad ogni

15 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 207. 16 La storiografia tradizionale otto-novecentesca aveva interpretato tale cambiamento nel se-

gno di una continuità di sviluppo che dall'antica maiuscola avrebbe condotto spontaneamente alla nuova minuscola. Merito di L. SCHIAPARELLI, La scrittura latina cit. 36 ss. e 118 ss., è stato l’aver indivi-duato la sede primaria di tale evoluzione nel filone corsivo della scrittura. Cfr. più recentemente B. BISCHOFF, Paleografia latina. Antichità e Medioevo (edizione italiana a cura di G. P. Mantovani, S. Zamponi), Padova-Antenore 1992, 92-93: «Le nuove scritture librarie dell’età romana si formano at-traverso la fissazione (e l’eventuale opportuna modifica) di un determinato stato raggiunto all’interno della corsiva, per mezzo di un’esecuzione ‘calligrafica’». Ma come ha dimostrato il Cen-cetti, il terreno su cui il cambiamento si sviluppò fu «l’intera scrittura “usuale”, non l’uno o l’altro dei rami (documentario e librario) nei quali è per lo più divisa da coloro che non ne riconoscono la so-stanziale unità e non la distinguono dalle scritture canonizzate» (G. CENCETTI, Lineamenti di storia della scrittura latina [ristampa a cura di G. Guerrini], Bologna-Patron 1997, 65). Per il concetto di scrittura usuale si fa riferimento a ID., La paleografia del bibliotecario (parte introduttiva, 1967-1969), in Scritti di paleografia cit. 273 ss., 277; cfr. anche ID., Rec. di L'écriture latine de la capitale à la minuscule (réunis par J. Mallon, R. Marichal, C. Perrat) [1947] e ID., Vecchi e nuovi orientamenti nello studio della paleografia [1948], entrambi in Scritti di paleografia cit. 13 ss., 23 ss..

17 G. CENCETTI, Lineamenti cit. 65. 18 Per quanto riguarda l’ipotesi avanzata dalla scuola francese circa l’incidenza determinante

che su questo sviluppo avrebbe avuto il mutamento dell’angolo di scrittura si v. fra gli altri R. MARI-

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modo, fu che a partire all’incirca dalla fine del III-inizi del IV secolo l’antica corsiva romana scomparve progressivamente dall’uso comune, come è facile constatare osservando la documentazione di quel periodo.

L’antica corsiva tuttavia non morì del tutto, poiché rimase confinata ad un ambito speciale, come ha dimostrato Jean Mallon19, all’interno del quale sopravvisse in forme stilizzatissime e ormai anacronistiche almeno fino al V secolo: quello della cancelleria imperiale, dove essa fu designata con il nome di litterae caelestes e dove fu impiegata in qualità di scrittura esclusiva per la redazione dei documenti imperiali20. A testimoniarlo sta la già menzionata costituzione degli imperatori Valentiniano e Valente del 367 d.C. (CTh. 9.19.3)21, che la critica paleografica ha concordemente riconosciuto come la ratifica ufficiale della contrapposizione tra l’antica corsiva romana – il cui uso era vietato al di fuori degli scrinia imperiali – e quelle che nel testo normativo

CHAL, L’écriture latine et l’écriture grecque du Ier au VIe siècle, in L’antiquité classique 19, 1950, 113 ss., 126 ss.; J. MALLON, Paléographie romaine cit. 81 ss.; per aggiornamenti e una bibliografia di sinte-si su questo problema si v. anche B. BISCHOFF, Paleografia latina cit. 102 nt. 140; M. PALMA, Per una verifica del principio dell’angolo di scrittura, in Scrittura e civiltà 2, 1978, 263 ss.; G. CAVALLO, Proble-mi inerenti all’angolo di scrittura alla luce di un nuovo papiro greco: PSI Od. 5, in Scrittura e Civiltà 4, 1980, 337 ss.. La storiografia successiva ha messo in luce anche altri fattori che giocarono un ruolo importante in questa trasformazione, come il passaggio dal rotolo di papiro al codice in pergamena o il cambiamento della leva scrittoria dal gomito al polso e alle dita riconnesso alla sostituzione dello stilo con il calamo, o ancora più generali cambiamenti nel gusto, cfr. G. CENCETTI, Note paleografiche cit. passim e ID., Ricerche cit. 137 ss.. Tali fattori, tuttavia, sulla scorta del Cencetti, vanno letti alla luce della dialettica continua tra scrittura normale e scrittura usuale, sede, quest’ultima, in cui agi-scono le tendenze grafiche (in questo caso minuscole) che portano gradualmente ad una modifica-zione del canone e dei modelli grafici di riferimento, cfr. supra nt. 16. Fra gli altri interventi sul tema del passaggio maiuscola/minuscola si v. infine E. CASAMASSIMA-E. STARAZ, Varianti e cambio grafico nella scrittura dei papiri latini. Note paleografiche, in Scrittura e Civiltà 1, 1977, 9 ss..

19 J. MALLON, L’écriture de la chancellerie cit. passim. 20 «Cælestes literae, sunt literæ Imperatoriæ» commenta Gotofredo (Codex Theodosianus cum

perpetuis commentariis Iacobi Gothofredi, III, Hildesheim, New York-Olms 1975, 181 nt. f). 21 CTh. 9.19.3: Impp. Valent in ianus et Valens aa. ad Festum proconsulem Afr ica-

e . Serenitas nostra prospexit inde caelestium litterarum coepisse imitationem, quod his apicibus tuae gravitatis officium consultationes relationesque complectitur, quibus scrinia nostrae perennitatis u-tuntur. Quam ob rem istius sanctionis auctoritate praecipimus, ut posthac magistra falsorum con-suetudo tollatur et communibus litteris universa mandentur, quae vel de provincia fuerint scribenda vel a iudice, ut nemo stili huius exemplum aut privatim sumat aut publice. Dat. v id . iun. Trev i -r is Lupic ino et Iovino conss . La subscriptio reca la data 9 giugno 367 Treviri: sulla scorta del dato topico, tuttavia, essa è stata spostata all’autunno del 367 dal Mommsen, ad h. l., al giugno 368 da O. SEECK, Regesten der Kaiser und Päpste für die Jahre 311 bis 476 n. Ch.. Vorarbeit zu einer Pro-sopographie der christlichen Kaiserzeit, Stuttgart-J. B. Metzler 1919, n. 71 e più recentemente al gennaio 368 da Pergami, si v. La legislazione di Valentiniano e Valente (364-375) (a cura di F. Perga-mi), Milano-Giuffrè 1993, 356.

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erano definite litterae communes, cioè appunto la corsiva nuova, impiegata in tutti gli altri ambiti, pubblici e privati22. L’unico originale superstite accer-tato di litterae caelestes sono i frammenti papiracei di due rescritti imperiali, databili fra il 436 e il 450 d.C., conservati a Leida e a Parigi23 (si v. foto 4), mentre per altre possibili testimonianze – pensiamo ad esempio al p. Leid. J 420 (già p. Lugd. Batav. III, Z, 425-450 d.C.) segnalato dal Marichal24 e soprat-tutto al p. Vindob. Lat. 15 (V sec.?) su cui ha richiamato l’attenzione il Kre-sten25 – mancano ancora studi conclusivi.

22 La contrapposizione fra le due scritture nel testo della legge si fonda sulla differenza di api-ces, cioè, secondo J. MALLON, L’écriture de la chancellerie cit. 176, di forme grafiche sostanziali (cfr. il commento di Gotofredo, Codex Theodosianus cit. 181 nt. g). Sul termine apex cfr. anche CTh. 6.35.4, CTh. 10.10.27, C. 1.1.8.6, C. 3.24.3, C. 8.48.5, C. 11.43.11 e i Gesta collationis Carthaginensis (PL XI, col. 1265).

23 F. STEFFENS, Paléographie latine, Paris-Campion 1910, pl. 16; R. SEIDER, Paläographie cit. 60; ChLA XVII, 657; cfr. anche R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie cit. 336; ID., Paléographie précaroline cit. 128 n. 182.

24 R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie cit. 336 nt. 1, ritiene si tratti di un rescritto im-periale autentico recante la sottoscrizione autografa dell’imperatore Teodosio II. Del frammento pe-rò restano visibili solamente poche tracce di lettere latine di grande formato e di lettura incerta nel margine superiore, l’indicazione exemplum precum e la formula di saluto dell’imperatore (bene vale-re te cupimus), mentre il resto del testo è in greco. Cfr. anche ID., Paléographie précaroline cit. 127 n. 170; ChLA XLVI, 1392. Cauto al riguardo si è detto invece J. O. TJÄDER, Et ad latus. Il posto della da-tazione e della indicazione del luogo negli scritti della cancelleria imperiale e nelle largizioni di enfi-teusi degli arcivescovi ravennati, in Studi romagnoli 24, 1973, 91 ss., 106 nt. 36, che afferma: «il pro-blema è che la scrittura in questione non assomiglia molto a quella dei frammenti di Parigi e di Leida […]: è più fiorita e di dimensioni chiaramente più grandi, insomma più ‘spettacolare’ […] e ricorda per questo suo carattere più la ‘scrittura iniziale’ dei protocolli degli acta o gesta, corsiva antica ro-mana, sebbene non sempre pura, anch’essa […]. Tutto sommato gli interrogativi mi sembrano anco-ra essere troppi perché si possa definire questo testo come un ‘originale’ uscito dalla cancelleria im-periale».

25 Cfr. O. KRESTEN, Zur Frage cit. 17-20; ID., Diplomatische Auszeichnungsschriften cit. 3-4, il cui giudizio si fonda sulla presenza di una scrittura ingrandita lungo tutto il documento, la mancanza di tracce di segni abbreviativi e di divisione delle parole e la disposizione del testo per cola et comma-ta, proprio come nei frammenti di Leida e Parigi. Tuttavia un giudizio definitivo è possibile solo pre-cisando la datazione del papiro, assai controversa: il Kresten lo assegna al V sec., mentre più recen-temente P. CHERUBINI-A. PRATESI, Paleografia latina. L’avventura grafica del mondo occidentale, Città del Vaticano-Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatica e Archivistica 2010, 134 propongono di an-ticiparlo alla seconda metà del IV sec., facendone in tal modo «il più antico documento in litterae caelestes ad oggi noto»; J. O. TJÄDER, Et ad latus cit. 106 nt. 34, osserva però che la scrittura del papi-ro ha una foggia arcaica, che potrebbe ricondurlo ad un’epoca (III sec.?) in cui la corsiva antica non era ancora monopolio imperiale, ma era usata correntemente; sempre al III sec. il pezzo è stato as-segnato in ChLA XLIII, 1254, per la vicinanza grafica con il p. Dura 59. Va detto infine che P. CHERUBINI-A. PRATESI, Paleografia latina cit. 131 nt. 2, segnalano fra i possibili esempi di litterae caelestes anche il p. London, British Library, 1763 del 352 (ChLA III, 210, prime due righe della datazione), il p. Oxy. 1868 del V secolo (ChLA III, 213) e il p. London Inv. 2563 forse del 483 (ChLA III, 217): si tratta tutta-

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Su questo sfondo, allora, l’indagine del Tjäder portava alla luce altri due nuovi ambiti di sopravvivenza dell’antica corsiva romana oltre a quello, ri-stretto alla cancelleria imperiale, fino ad allora conosciuto. In altre parole, i papiri ravennati gli consentivano di affermare che l’antica scrittura romana non era sopravvissuta dopo il IV secolo solo nelle litterae caelestes riservate ai documenti imperiali, ma che era possibile individuarne altri due rami, pa-ralleli e indipendenti, nelle scritture iniziali dei processi verbali d’Egitto e, ap-punto, nella scrittura grande dei protocolli dei gesta ravennati. A maggior chiarezza, anzi, lo studioso affermava: «l’alfabeto dei nostri papiri, semplifi-cato [...] è anche identico, in sostanza, a quello dei rescritti imperiali»26.

Alla medesima conclusione, del resto, era arrivato nello stesso periodo, ma limitatamente ai processi verbali egiziani, anche il Marichal: il paleografo francese non solo evidenziava le affinità morfologiche e di stilizzazione tra la scrittura iniziale di questi papiri e le litterae caelestes, ma in aggiunta sottoli-neava come esse richiamassero alla mente proprio quella caelestium littera-rum imitationem contro la quale si era scagliata la legge del 36727.

La ricostruzione del Tjäder può essere considerata ancora oggi valida, a

nostro avviso, sia nella prospettiva d’inquadramento generale del problema, sia nella sostanza delle sue conclusioni. Non c’è dubbio, infatti, che i caratteri ingranditi ed artificiosi della prima riga dei gesta ravennati vadano ricondotti nell’alveo dell’antica corsiva romana. Tuttavia, se torniamo ad analizzare di-rettamente le fonti, è possibile fare alcune osservazioni28.

La dimostrazione paleografica del Tjäder prendeva le mosse dal «tentati-vo di ridurre ad un formato più normale, e ai tratti fondamentali, le singole lettere»29 attraverso il confronto fra le serie alfabetiche delle testimonianze

via, in tutti e tre i casi, di processi verbali bilingui e non di docc. prodotti dalla cancelleria imperiale, per i quali dunque, come ha precisato O. KRESTEN, Zur Frage cit. 14-15 e ID., Diplomatische Auszei-chnungsschriften cit. 9, è improprio parlare di litterae caelestes.

26 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 199. 27 R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie cit. 348-349. 28 Malauguratamente, lo stato di conservazione del p. Tjäder 8 si è aggravato rispetto al mo-

mento in cui il paleografo svedese lo studiò per la prima volta, in occasione del suo contributo sulla misteriosa “scrittura grande” di Ravenna, con la caduta proprio di alcune porzioni della prima riga: non restano più tracce della lettera b che ancora lo studioso intravedeva e nell’indicazione del mese (augustarum) sono cadute le lettere centrali (-ugusta-) (cfr. ChLA XVII, 652). Per esse dunque sarà necessario rifarsi al fac-simile riprodotto dallo stesso J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. tav. I.

29 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 196.

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superstiti. In questa operazione metteva quindi in rilievo alcune lettere (a, m, n, r e s) che a suo dire rappresentavano le più «indicative», insomma le più adatte a lasciar trasparire, dietro il tratteggio artificioso ed arzigogolato, le loro antiche forme corsive; altre lettere (c, d, e, g, i, k, l, t e u) invece, pur at-testate, venivano ritenute meno significative perché «mantenevano nella scrittura corsiva sempre più o meno la stessa forma»30.

Tuttavia, proprio fra queste ultime ve ne sono alcune che nel p. Tjäder 8 mostrano una forma chiaramente derivata dalla corsiva nuova e non dall’antica. Lo dimostrano i casi della e, della g e della u (si v. foto 5): la pri-ma, caratterizzata com’è da un tratto arrotondato di base e da un grande oc-chiello superiore che termina al centro con un filetto orizzontale, appare in-fatti assai più vicina alla forma recente del p. Tjäder 4-5B31, per fare un e-sempio, che non a quella dei frammenti di Leida e Parigi; la u, d’altro canto, nel p. Tjäder 8 è ben lontana dal tracciato in un tempo solo che caratterizza frequentemente la corsiva antica e le litterae caelestes, mentre con la sua forma compressa e allungata si avvicina piuttosto alla u del p. Vindob. L. 31 (già Ranieri 523, 399 d.C., si v. foto 7)32 o del famoso p. Butini (VI sec.)33; lo stesso può dirsi peraltro della g ravennate, tanto chiaramente derivata dalla corsiva nuova che lo stesso Tjäder dovette rilevarlo ipotizzando «un prestito dalla scrittura alta e stretta»34 finale, cioè da quella scrittura altrettanto arti-

30 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 198-199 e cfr. tav. II. 31 ChLA XVII, 653 e ChLA XXIX, 878; cfr. J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. tav. II

col. 9-10. 32 Si v. R. MARICHAL, Paléographie précaroline cit. 127 n. 168; L’écriture latine de la capitale à la

minuscule. 54 planches reproduisant 85 document originaux (réunis par J. Mallon, R. Marichal, C. Perrat), Paris-Arts et Métiers Graphiques 1939, pl. 36; R. SEIDER, Paläographie cit. n. 59; ChLA XLIV, 1264 e bibliografia ivi citata. La datazione del papiro, a lungo attribuito al V sec., è stata riportata al 399 dal Feissel grazie all’integrazione della titolatura del prefetto del pretorio alla r. 1, cfr. D. FEISSEL, Praefatio chartarum publicarum. L’intitulé des actes de la prefecture du prétoire du IVe au VIe siècle, in Travaux et Mémoires 11, 1991, 437 ss., in part. 441-447.

33 Il papiro proviene dalla cancelleria di un comes sacri stabuli (cfr. ChLA I, 5) e la sua scrittura è stata indicata da J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 214-215 nt. 50 come «il primo e-sempio della scrittura alta e stretta in funzione iniziale»; sulla scorta di questo essa è generalmente riconosciuta dai paleografi come il trait d’union fra le scritture cancelleresche provinciali tardoanti-che e la litterae elongatae delle cancellerie altomedievali dei regni di Francia, Italia e Spagna del nord, ma su questo si tornerà.

34 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 215 nt. 50.

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ficiosa e di formato ingrandito, ma di base corsiva nuova, che si riscontra nel-la riga finale dei gesta ravennati35.

La stessa cosa, del resto, può essere agilmente constatata anche nella scrittura iniziale dei processi verbali egiziani, dove si nota che in mezzo ai se-gni – certo preponderanti – della vecchia corsiva romana, sono talvolta pene-trati elementi della nuova: e in questo caso, anzi, ne davano conto sia il Ma-richal, sia lo stesso Tjäder, sia più recentemente il Kresten36.

I papiri egiziani e ravennati non ci mostrano quindi una situazione di con-trapposizione netta e radicale tra due sistemi grafici opposti (corsiva antica e corsiva nuova), che si affronterebbero all’interno dello stesso documento tra la prima riga e il testo, ma riflettono una condizione più sfumata di quanto non possa sembrare in prima istanza. A differenza proprio delle litterae cae-lestes dei frammenti di Leida e Parigi, la misteriosa scrittura grande non mo-stra forme pure riconducibili in toto al sistema della corsiva antica, dimo-strandosi perciò almeno in parte permeabile alle novità delle litterae com-munes. E se è senz’altro vero che tali intrusioni, per così dire, «non mutano la situazione ma provano soltanto che l’alfabeto della corsiva antica non si era esclusivamente imposto nemmeno per la prima parte della riga iniziale»37, ci pare, comunque, che esse siano sintomatiche della estrema complessità che caratterizza queste testimonianze grafiche.

Ciò che più importa sottolineare, allora, è che mentre intorno alla metà del V secolo le litterae caelestes testimoniate nei due rescritti imperiali si presentano in forme ancora sostanzialmente incontaminate e vicine a quelle dei papiri del III secolo – si pensi alla loro stretta somiglianza con la scrittura del p. Dura 59, più vecchia di quasi due secoli (241 d.C.)38 (si v. foto 6) –, al contrario la scrittura iniziale dei processi verbali egiziani e la scrittura grande ravennate mostrano uno sviluppo più articolato, come più recentemente ha

35 Un altro caso è quello della l, assai più vicina con il suo ampio tratto di base alle forme recenti richiamate dallo stesso J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. tav. II col. 10 (scrittura alta e stretta finale del p. Tjäder 4-5B) e col. 11 (Notitia testium del p. Tjäder 35), che non a quella delle litterae caelestes (col. 2).

36 R. MARICHAL, L’écriture latine de la chancellerie cit. 349 nt. 1, rimarcava ad esempio come «le grand nombre des formes de cursive récente qui pénètrent dans cette écriture prouve bien que les scribes ne faisaient qu’un usage restreint des litterae celestes et les connaissaient mal». Cfr. anche J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 205 e tav. II col. 4 = p. Oxy. XVI, 1879, la cui b è chia-ramente corsiva nuova. Ancora si v. O. KRESTEN, Diplomatische Auszeichnungsschriften cit. 8 ss..

37 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 205. 38 ChLA VI, 314.

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sottolineato Otto Kresten39, che si traduce da un lato, appunto, nella pene-trazione di elementi della corsiva nuova, dall’altro nel trattamento delle let-tere sempre più fantasioso ed artificioso.

D’altra parte, proprio questo carattere misto della scrittura, – di cui lo stesso Tjäder sembrava alla fine prendere atto40 – ci pare avvalori ancor di più una delle conclusioni cui il suo studio è pervenuto: e cioè che, tra il VI e il VII secolo, «con la perdita del carattere primitivo della scrittura andava con-seguentemente perduta anche la sua leggibilità»41. Tanto più ci si allontana-va dalla corsiva antica, tanto più forte si faceva nei pochi ambiti in cui essa era sopravvissuta la tendenza ad esasperarne i tratti e l’ornamentazione. In questa prospettiva, la misteriosa scrittura grande non rappresenta altro che la definitiva sclerotizzazione di un sistema grafico che aveva legato la corsiva antica alle litterae caelestes e poi alla scrittura iniziale dei papiri egiziani, fino ad arrivare ai documenti ravennati.

C’è un altro aspetto, però, che va rimarcato, riprendendo quella che ci pare una importante intuizione del Tjäder. Lo studioso notava, di passaggio, che la misteriosa scrittura grande di Ravenna, contrariamente a quanto sem-bra a prima vista, non presenta vere e proprie legature, ma che anzi «se la [...] si esamina da presso, si vedrà che vi è una visibile distinzione generale tra la maggior parte delle lettere, tanto che si ha in qualche punto l’impressione di vedere piuttosto una iscrizione»42. Proprio in questa sua ca-ratteristica corre, a nostro avviso, una delle differenze più forti che separano questa peculiare espressione grafica dalla scrittura comune del tempo e la riconnettono invece al sistema antico43. Lo scriba del papiro Tjäder 8 al posto

39 O. KRESTEN, Diplomatische Auszeichnungsschriften cit. 8. 40 Tornando marginalmente sull’argomento in un suo più tardo intervento, lo studioso afferma-

va: «However, the Ancient Roman cursive did not by any means disappear. It remained in a pure form, presumably until about A.D. 600, as a monopoly script in the Imperial chancery, and, in a sometimes slightly mixed form, it was in use in the first half of the 7th century (cf. p. Tjäder 21, dat-ing from A.D. 625) for the opening line – which contained the indication of date and place – in re-cords of gesta and acta. This was also perhaps in continuation of a earlier practice […]», si v. J. O. TJÄDER, Some ancient letter-forms in the later roman cursive and early mediaeval script and the script of the notarii, in Scrittura e Civiltà 6, 1982, 5 ss., 8.

41 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 206; cfr. anche R. MARICHAL, L’écriture latine de la chancellerie cit. 349 nt. 1.

42 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 208. 43 Nelle litterae caelestes la legatura è prodotta attraverso l’accostamento di piccoli gruppi di

lettere (o tratti di singole lettere) a metà del rigo, in corrispondenza del punto terminale delle lette-re stesse, senza che questo modifichi la forma sostanziale dei segni, cfr. J. MALLON, L’écriture de la chancellerie cit. 169 ss..

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della legatura ricorre all’espediente di sovrapporre tra loro i segni: e proprio da questo artificio deriva quell’aspetto apparentemente intrecciato e legato della scrittura che già il Marini aveva evidenziato. A ben vedere, però, non solo non vi è continuità nel ductus, ma soprattutto la struttura essenziale del-la singola lettera rimane invariata senza quei cedimenti tipici invece della corsiva nuova, dove le lettere, pur di adeguarsi alle legature, modificano an-che di molto la propria struttura fino ad assumere tre o quattro forme diver-se.

3. Scritture iniziali e legislazione. Cercheremo ora di approfondire lo studio di queste testimonianze grafiche alla luce di alcuni possibili richiami alla legislazione tardoantica, teodosiana e giustinianea.

Abbiamo visto come per la dottrina paleografica la corsiva antica fosse scomparsa dall’uso comune già nel III sec. d.C. e tuttavia solo in seguito alla costituzione di Valentiniano e Valente del 367 d.C. essa fosse rimasta appan-naggio esclusivo della cancelleria imperiale (litterae caelestes), mentre le cancellerie provinciali avevano dovuto provvedere altrimenti per la scrittura dei loro atti, facendo ricorso alle litterae communes come già avveniva da tempo in ambito privato44. Ora, evidentemente, l’uso della corsiva antica nei processi verbali egiziani e nei gesta ravennati, cioè appunto in atti prove-nienti da cancellerie minori periferiche, sia pur limitatamente alla prima riga del documento e in forme artificiosamente stilizzate, solleva in relazione a questa norma specifica del Codice Teodosiano alcune questioni di portata più generale, che la critica non ha ancora del tutto risolto. Spostando il pro-blema da un piano prettamente paleografico ad un piano storico-giuridico, è necessario infatti chiedersi se in queste peculiari testimonianze grafiche dobbiamo forse riconoscere esempi concreti di quella imitatio contro cui si scagliò il provvedimento di Valentiniano e Valente. E se sì, ciò significa che la costituzione del 367 nella prassi non fu applicata?

La questione in effetti non è sfuggita al Marichal45, che anzi per primo l’ha intuita e proposta, ed è stata ripresa quindi da Otto Kresten in due occa-sioni: prima in relazione a tre papiri londinesi (p. London, British Library,

44 Cfr. G. CENCETTI, Lineamenti cit. 76-77. 45 Cfr. supra § 2. A proposito delle imitazioni cui fa riferimento la legge J. O. TJÄDER, La misterio-

sa “scrittura grande” cit. 211 nt. 43, si limita a richiamare l’interesse del p. Strassb. 36 = P. Gr. 1777 (ChLA XIX, 686): la datazione troppo precoce del pezzo (II sec.) fa escludere tuttavia questa eventua-lità.

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1763, p. Oxy 1868 e p. London Inv. 2563), citati quali possibili esiti di una imi-tatio non sempre consapevole46; successivamente nel quadro di uno studio più organico sulle Auszeichnungsschriften, dove ha giustamente fatto notare come le scritture iniziali egiziane e ravennati, pur derivando dallo stesso cep-po, siano piuttosto distanti dalle litterae caelestes vere e proprie, e come pe-raltro CTh. 9.19.3 non riguardi i protocolli dei gesta ma altri documenti47.

È possibile quindi tornare sull’argomento e aggiungere qualche elemento utile alla discussione esaminando nuovamente il testo della legge e metten-dolo in relazione a quanto oggi sappiamo grazie alla documentazione super-stite e agli studi condotti su di essa.

Per prima cosa va rimarcato come nel dettato normativo non si parli di imitazione in termini generici ma sia usata l’espressione coepisse imitatio-nem, facendo evidentemente riferimento ad un caso di imitatio recentemen-te verificatosi. Tuttavia l’uso della corsiva antica ingrandita per la datazione consolare è attestato nei processi verbali egiziani già a partire dal 321 d.C. (p. Rylands IV, 653), come si è detto, è cioè di quasi 50 anni precedente rispetto alla costituzione e prosegue d’altra parte con una sostanziale continuità an-che dopo il 367 d.C..

Inoltre va sottolineato che nella costituzione sono richiamate esplicita-mente le consultationes e relationes – cioè quei documenti quibus Principem consulebant super dubiis, vel ad eum quid referebant, come spiega Gotofre-do48 – prodotte nell’ufficio del proconsole dell’Africa Festo. Costui va identi-ficato con quel Iulius Festus Hymetius di antica famiglia senatoria49 che rico-prì la carica dal 366 al 368 d.C. e che al termine del suo proconsolato, secon-do il racconto di Ammiano, fu condannato per crimen repetundarum all’esproprio di una parte del suo patrimonio e poi, nel 370, incorse in una nuova intricata vicenda processuale che lo vide accusato di laesa maiestas per aver ordinato riti magici ad un aruspice allo scopo di ingraziarsi i favori

46 O. KRESTEN, Zur Frage cit. 15 e cfr. supra nt. 25. 47 O. KRESTEN, Diplomatische Auszeichnungsschriften cit. 11, ripreso di recente da P. CHERUBINI-A.

PRATESI, Paleografia latina cit. 134 ss.. 48 Codex Theodosianus cit. 181. 49 Cfr. The prosopography of the later Roman Empire, I (a. D. 260-395) (by A. H. M. Jones, J. H.

Martindale and J. Morris), Cambridge-University press 1971, 447. Come ricorda la Lizzi Testa, Giro-lamo fa discendere Iulius Toxotus, fratello di Festo, direttamente da Enea: «Simili fantasie genealo-giche riflettono la rilevanza goduta allora dalla famiglia, ma pure una certa sua antichità, che sembra farla risalire almeno all’inizio del III secolo [...]. Doveva essere loro nonno il Iulius Festus che compa-re in un elenco di senatori del 300 circa» (R. LIZZI TESTA, Senatori, popolo, papi: il governo di Roma al tempo dei Valentiniani, Bari-Edipuglia, 2004, 237 nt. 101).

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imperiali e quindi condannato all’esilio in Dalmazia fino a quando, dopo la morte di Valentiniano I, non venne riabilitato con tutti gli onori50. Probabil-mente il proconsole, iure quodam seu usurpatione quadam, si era arrogato il diritto di usare la scrittura imperiale per i suoi documenti (o questo, almeno, è il sospetto che ricadde su di lui), dando avvio ad un uso estesosi poi a livello minore presso i giudici e i funzionari subalterni, come chiosa sempre Goto-fredo51. È in questo contesto preciso che dovettero avvenire gli abusi.

È chiaro, allora, che l’obiettivo del provvedimento non doveva essere la scrittura iniziale, il cui uso è da ritenersi con il Marichal52 pienamente legitti-mo, ma un’altra, più preoccupante, forma di imitazione, che si può supporre abbia interessato i documenti nella loro interezza. Proprio per queste ragioni non è possibile riconoscere nella misteriosa scrittura grande ravennate e nei suoi antecedenti egiziani gli esiti di quella imitatio della scrittura imperiale condannata da Valentiniano e Valente, di cui ad oggi non possediamo alcun esempio diretto. Se imitatio vi fu, essa proveniva, come dice la costituzione, dall’officium del proconsole Festo: caso concreto, dunque, e forse circoscrit-to, ma tanto pericoloso da sollecitare una norma di carattere generale.

50 Ammiani Marcellini Rerum Gestarum libri qui supersunt II (edidit W. Seyfarth, adiuvantibus L. Jacob-Karau, I. Ulmann), Leipzig-B. G. Teubner 1978, XXVIII I. 19-23: [...] Amantius haruspex ea tempe-state prae ceteris notus, occultiore indicio proditus, quod ob prava quaedam implenda ad sacrifican-dum ab eodem esset adscitus Hymetio, inductusque in iudicium, quamquam incurvus sub eculeo sta-ret, pertinaci negabat instantia. Quo infitiante, secretioribus chartis ab eius domo prolatis, commoni-torium repertum est manu scriptum Hymetii, petentis ut obsecrato ritu sacrorum sollemnium numine erga se imperatores delenirentur. Cuius extima parte quaedam invectiva legebantur in principem ut avarum et truculentum. Haec Valentinianus relatione iudicum doctus, asperius interpretantium fac-ta, vigore nimio in negotium iussit inquiri. [...] qui cum rem librata iustitia comperisset, eumque ad Boas Delmatiae locum exterminasset, aegre imperatoris iracundiam tulit, perciti vehementer, quod hominem addictum, ut ipse proposuerat, morti, clementiori sententia didicerat plexum. Sul racconto di Ammiano cfr. Ammianus after Julian. The reign of Valentinian and Valens in books 26-31 of the Res gestae (ed. by J. Den Boeft, J. W. Drijvers, D. Den Hengst and H. C. Teitler), Leiden-Brill 2007. Per quanto riguarda l’accusa di magia in cui venne implicato Imezio, si v. Riferimenti normativi e pro-spettive giuspubblicistiche nelle Res gestae di Ammiano Marcellino (a cura di M. Navarra), Milano-Giuffré 1994, 97-99, 231; R. LIZZI TESTA, Senatori cit. 231 ss. e ID., Un’epistola speciale: il ‘commonito-rium’, in Forme letterarie nella produzione latina di IV-V secolo (a cura di F. E. Consolino), Roma-Herder 2003, 53 ss..

51 Codex Theodosianus cit. 181. 52 Cfr. R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie cit. 349: «Le fait que de 322 à 461, tous les

Procès-verbaux dont la date est conserve les ont utilisés, plaide, si peu nombreux soient-ils, en fa-veur de la légalité de cette pratique».

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D’altra parte non abbiamo motivo di credere che la norma non avesse trovato nella prassi concreta applicazione53. Una conferma positiva in tal senso ci viene anzi dal famoso p. Vindob. L. 31 (già p. Ranieri 523), copia di un rescritto indirizzato al praeses della provincia d’Arcadia eseguita dalla pre-fettura della diocesi pochi anni dopo l’emanazione della legge (399 d.C.)54 e scritta con una grafia «cancelleresca fortemente arrotondata e ingrandita»55 ma di base interamente corsiva nuova (la scrittura alta e stretta finale del Tjäder, ovvero le cosiddette litterae officiales del Kresten56), che può essere considerata «espressione concreta di quella koiné scrittoria greco-romana ampiamente diffusa nella prassi documentale di età bizantina, all’interno del-la quale si distingue come significativo modello della perfezione raggiunta dalla corsiva nuova in alcune cancellerie provinciali»57.

Sul problema della ricezione di CTh. 9.19.3 nella prassi documentaria, comunque, si può fare anche un altro rilievo. Sia il Marichal sia il Tjäder han-no evidenziato nelle scritture dei protocolli degli acta egiziani e dei gesta ra-vennati un processo di progressiva alterazione che le portò ad avere un a-spetto sempre più barocco e arzigogolato, lontano dalla loro base grafica ori-ginaria. Questo processo si fa senza dubbio progressivamente più evidente ed accentuato nelle fonti superstiti dopo il 367 (cfr. ad esempio il p. Bouriant 20 del 350 d.C. e i p. Lips. I, 38 del 390 e p. Oxy. XVI, 1879 del 434 d.C., si v.

53 Secondo P. CHERUBINI-A. PRATESI, Paleografia latina cit. 140, invece, «forse si può ritenere che le cancellerie provinciali non si attennero in pieno al precetto imperiale inventando una scrittura d’apparato che era in fondo tanto lontana (per l’origine) dalle litterae caelestes quanto lo era (per l’esecuzione) dalle litterae communes» e richiamano in proposito la perfezionatissima scrittura del p. Butini.

54 Cfr. supra nt. 32. 55 G. CAVALLO, La koiné scrittoria greco-romana nella prassi documentale di età bizantina, in Ja-

hrbuch der Österreichischen Byzantinistik 19, 1970, 27. 56 Cfr. J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 214-215 e O. KRESTEN, Diplomatische Au-

szeichnungsschriften cit. 12 ss.. Quanto alla definizione di litterae officiales adottata da quest’ultimo per distinguere all’interno delle litterae communes la scrittura degli usi privati e correnti dalla scrit-tura degli uffici burocratici e cancellereschi periferici, ci sembra possano essere condivise le osserva-zioni di G. CAVALLO, La koiné scrittoria cit. 6 nt 18, secondo cui essa finisce per conferire all’espressione litterae communes «un significato più ristretto che nel mandato imperiale» limitan-done in un certo senso la portata, mentre invece nella legge del 367 le scritture della prassi quoti-diana e quelle degli uffici minori sono accomunate di fronte al divieto.

57 ChLA XLIV, 1264. grafica greco-latina si v., fra gli altri, M. NORSA, Analogie e coincidenze tra scritture greche e latine nei papiri, in Miscellanea Giovanni Mercati VI, Città del Va-ticano-Biblioteca Apostolica Vaticana 1946, 105-121; R. MARICHAL, L’écriture latine et l’écriture grec-que cit. passim; G. CAVALLO, La koiné scrittoria cit. passim.

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foto 3)58 e questa coincidenza cronologica potrebbe ritenersi in qualche mo-do non casuale. In altri termini, si potrebbe ipotizzare che gli uffici periferici e minori abbiano cercato di aggirare la legge tramite il ricorso ad un escamotage grafico, per così dire, cioè attraverso un trattamento sempre più artificioso utile a dissimulare e rendere meno riconoscibili le loro forme es-senziali. Ma è tutto sommato poco probabile che si sia trattato di un tentati-vo consapevole di superare il divieto normativo; più verosimilmente la legge dovette accelerare quel processo di esasperazione dell’artificio grafico, che era già spontaneamente in atto all’interno di queste scritture per il fatto stesso di essere il residuo di un ramo grafico ormai isterilitosi: frutto di un’evoluzione (o meglio involuzione) naturale proporzionale alla sempre più scarsa leggibilità della scrittura, come ha dimostrato il Tjäder.

Nuova luce sulle scritture iniziali egiziane e ravennati ci viene poi dalla le-gislazione giustinianea: non tanto il Codice, che non recepisce la costituzione di Valentiniano e Valente – segno evidente, sia detto per inciso, che l’emergenza da cui essa era scaturita era rientrata59 –, quanto le Novelle. In riferimento specifico ai nostri papiri il Tjäder ha richiamato infatti il capo 2 della Nov.44 (De tabellionibus ut protocolla dimittant in chartis)60, che ordi-nava ai tabellioni della città di Costantinopoli di usare per i loro documenti una carta nel cui protocollo fossero stati preventivamente scritti il nome del comes sacrarum largitionum e la data di confezionamento della carta stessa. Questi dati dovevano essere indicati, affermava il Tjäder, «in modo tale da

58 Per il p. Bouriant 20 si v. ChLA XVIII, 661; per il p. Lips. I, 38 si v. ChLA XII, 520; infine per il p. Oxy. XVI, 1879 si v. ChLA XLVII, 1409. Non si tiene conto invece del p. Cairo CG 10482, ultimamente retrodatato dubitativamente all’agosto 332, cfr. ChLA XLI, 1188.

59 Cfr. D. FEISSEL, Deux modéles de cursive latine dans l’ordre alphabétique grec, in Documents, droit, diplomatique de l’Empire romain tardif, Paris-Association des amis du Centre d’histoire et civi-lisation de Bysance 2010, 541 ss., 550.

60 Nov.44.2: Illud quoque presenti adicimus legi, ut tabellionem non in alia charta pura scribant documenta nisi in illa quae initio (quod vocatur protocollum) per tempora gloriosissimi comitis sacrarum nostrarum largitionum habet appellationem et tempus quo charta facta est et quaecumque in talibus scribuntur, et ut protocollum non incidant, sed insertum relinquant. Novimus enim multas falsitates ex talibus chartis ostensas et prius et nunc: ideoque licet aliqua sit charta (nam et hoc scimus) habens protocollum non ita conscriptum, sed aliam quondam scripturam gerens, neque illam suscipiant tamquam adulteram et ad talia non opportunam, sed in sola tali charta qualem dudum diximus documenta scribant. Haec itaque quae de qualitate talium chartarum a nobis decreta sunt <et> de incisione eorum quae vocantur protocolla valere in hac felicissima solum civitate volumus, ubi plurima quidem contrahentium multitudo, multa quoque chartarum abundantia est, et licet legali modo negotii uti et non dare occasionem quibusdam falsitatem committere, cui se obnoxios existere demonstrabunt qui praeter haec agere praesumpserint.

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non potersi imitare»: e «in ciò», proseguiva, «si era riusciti bene: la scrittura n-

de di Ravenna e [...] l’espediente, in quanto tale, è lo stesso»61. Accanto a quest’ultimo testo la letteratura paleografica comunemente

riporta anche il testo della Novella 47 del 537 d.C., specificatamente al capo primo (Ut praeponatur imperatoris nomen documentis, et ut latinis litteris apertius tempora perscribantur), con il quale si imponeva di apporre su tutti i documenti pubblici, giudiziarii e anche tabellionali l’indicazione dell’anno di impero e del nomen dell’imperatore accanto alla datazione consolare e all’indizione62.

Pressoché del tutto ignorato dalla analisi paleografica il testo del capo secondo della legge, messo in evidenza invece dal Feissel63. Con esso si stabi-liva che nei documenti processuali (in iudiciis, dice la fonte) la datazione clas-sica, espressa cum incertis illis et antiquis litteris, cioè in lettere antiche e spesso oscure e difficili da leggere, venisse ripetuta in lettere communes su-bito dopo in modo tale da risultare immediatamente comprensibile ai lettori (omnibus notas et quae legi ab omnibus facile possint)64. In aggiunta, sempre per una maggior chiarezza, essa doveva essere scritta in greco se il resto del documento era in greco, in latino, se al contrario la lingua del documento era quest’ultima.

È evidente che questo passaggio della Novella 47 può essere posto in precisa e diretta relazione con le scritture iniziali dei processi verbali egiziani

61 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 213. 62 Nov.47.1: Unde sancimus et eos quicumque gestis ministrant, sive in iudiciis sive ubicumque

conficiuntur acta, et tabelliones qui omnino qualibet forma documenta conscribunt <sive> in hac magna civitate sive in aliis gentibus, quibus non praesidere dedit deus, hoc modo incipere in docu-mentis: Imperii illius sacratissimi Augusti et imperatoris anno toto, et post illa inferre consulis appel-lationem qui illo anno est, et tertio loco indictionem, mensem et diem. Sic enim per omnia tempus servabitur, et pro imperii memoria atque consulatus ordine et reliqua observatione interposita do-cumentis inadulterata haec valde constituuntur […].

63 D. FEISSEL, Deux modèles cit. 550-552. 64 Nov.47.2: Illud quoque adicimus: quoniam hi qui tempus in iudiciis designant, cum incertis illis

et antiquis litteris hoc declarant, observetur in omni iudicio, ut post illas litteras antiquitatis alias subdant, id est has communes et omnibus notas et quae legi ab omnibus facile possint et significare gestorum tempus: ut non fatigentur requirentes id tempus, deinde errantes expectent, donec homi-nem quemcumque comperiant litteras illas pro veritate lecturum. Sed si quidem reliqua etiam post praescriptionem incertarum litterarum graecae sint vocis, graecis litteris subdi tempus; si vero lati-nus quidam totius chartae consistat ordo, latinis quidem perscribatur tempus, interpositis illis incertis elementis, clariorem tamen ordinem habentibus litteris, quas liceat omnibus legere omnino syllaba-rum latinarum <non> ignaris […].

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e con la misteriosa scrittura grande dei gesta ravennati. Esso ci permette quindi di fare una serie di considerazioni, che possono essere articolate come segue.

Anzitutto, il testo normativo dimostra una volta di più che la finalità di queste scritture speciali era eminentemente pratica, offrendo al documento un vero e proprio marchio di autenticità. Altrimenti non si spiegherebbe co-me mai, di fronte al fatto che esse erano divenute patrimonio di una ristret-tissima élite, mentre ai più risultavano incomprensibili, il legislatore non si sia limitato ad abolirle. Tanto più che si aveva da tempo a disposizione un’altra scrittura altrettanto artificiosa e perfezionata, ma più leggibile perché trac-ciata sulla base delle litterae communes, di cui sono testimonianza da un lato i già citati papiri Vindob. L. 31 (già Ranieri 523) del 399 d.C. e Butini del VI sec., dall’altro i numerosi esempi di scrittura alta e stretta finale, come l’ha definita il Tjäder, degli stessi gesta ravennati (si v. foto 7).

In secondo luogo, la Nov.47.2 conferma ulteriormente quanto abbiamo dedotto dal confronto tra le fonti superstiti e il dettato di CTh. 9.19.3, e cioè che il ricorso alle corsive antiche ingrandite e stilizzate da parte degli uffici amministrativi e burocratici minori per scrivere nei loro atti la datazione ini-ziale, era del tutto legale.

Anche in questo caso, inoltre, siamo in grado di affermare che la Nov.47.2 trovò precisa applicazione nella prassi documentaria ravennate. A testimoniarlo con certezza sta il p. Tjäder 2165 del 625 d.C., che dopo la prima riga in scrittura grande presenta la datazione e il luogo ripetuti in scrittura ordinaria: circostanza, questa, che aveva tratto in inganno il Marini sviandolo dalla possibilità di decifrarne la scrittura iniziale e che invece è stato giusta-mente interpretato dal Tjäder66 come il segno della sua ormai totale illeggibi-lità. Il fatto, tuttavia, che non sia rimasta traccia di questo uso nei gesta pre-cedenti può far ipotizzare che nella prassi documentaria della curia di Raven-na la legislazione giustinianea in materia di datazione sia stata recepita con un certo ritardo, in linea con quanto ha constatato il Tjäder nelle carte dei tabellioni ravennati67. In proposito lo studioso ha parlato di «una seconda

65 J. O. TJÄDER, Die nichtliterarischen cit. 352 ss.; cfr. anche ID., La misteriosa “scrittura grande” cit. 210; ChLA XXII, 720; R. MARICHAL, Paléographie précaroline cit. 130 n. 232.

66 J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 210. 67 J. O. TJÄDER, Alcune osservazioni sulla prassi documentaria a Ravenna nel VI secolo, in Il mon-

do del diritto nell’epoca giustinianea. Caratteri e problematiche (a cura di G. G. Archi), Ravenna-Edizioni del Girasole 1985, 23 ss., 31, dove osserva, tra l’altro, che nelle carte dei tabellioni ravennati

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ondata di influsso bizantino sul campo documentario, arrivata a quanto pare intorno al 550 – tuttavia prima della pragmatica sanctio del 554»68. Ma lo stato frammentario e lacunoso di gran parte dei protocolli dei gesta ravenna-ti superstiti non consente di trarre conclusioni definitive al riguardo.

Infine, se la critica paleografica ha da tempo dimostrato che la corsiva antica già agli inizi del IV secolo veniva spesso fraintesa, la Novella 47 con-ferma che nella prima metà del VI secolo essa era ormai divenuta del tutto incomprensibile, tanto da richiedere un intervento ad hoc del legislatore.

4. Conclusioni Resta da affrontare, a questo punto, il problema più generale del valore e della funzione di queste peculiari scritture. È necessario domandarsi, infatti, perché nei gesta ravennati e nei processi verbali egiziani l’intera datazione, o solo alcuni elementi di essa, fossero scritti con caratteri speciali tanto diversi da quelli d’uso comune e che richiamavano invece, in qualche modo, le litterae caelestes imperiali.

A questo proposito va rilevata una tendenza abbastanza diffusa a legge-re queste scritture speciali in chiave di auto-rappresentazione del potere, at-tribuendo loro un valore soprattutto ideologico. Esse sarebbero in sostanza il simbolo grafico dell’autorità da cui lo scritto promana. In questa prospettiva Otto Kresten69, ad esempio, ha interpretato il loro uso da parte della cancel-leria imperiale come una delle tante manifestazioni della regalità imperiale, che si esprimerebbe anche nei documenti tramite forme, non a caso definite caelestes, ammantate di un’aura sacrale. Allo stesso modo, nei processi ver-bali come nei gesta l’adozione di scritture iniziali differenti rispetto a quelle usate per il testo e l’escatocollo sarebbe il frutto di una volontà distintiva: una gerarchia grafica perfettamente corrispondente a quella sociale e politi-ca.

Non appare però improprio richiamare l’attenzione sulla funzione prima di tutto pratico-giuridica che queste scritture dovettero avere. Esse servirono soprattutto ad offrire una solida garanzia di autenticità ai documenti, come già avevano sostenuto il Mallon, il Marichal e il Cencetti e più di recente Gio-vanna Nicolaj70. Anzi, proprio l’adozione di una scrittura ormai completa-

i vari elementi della datazione compaiono in una sequenza diversa da quella prescritta dalla Nov.47.1.

68 J. O. TJÄDER, Alcune osservazioni cit. 34. 69 O. KRESTEN, Diplomatische Auszeichnungsschriften cit. 5 ss.. 70 Cfr. J. MALLON, L’écriture de la chancellerie cit. 177; R. MARICHAL, L'écriture latine de la

chancellerie cit. 349, il quale condivide senz’altro l’idea che il monopolio delle litterae caelestes

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mente in disuso e quasi illeggibile dovette rappresentare, a qualsiasi livello istituzionale, la migliore assicurazione contro il rischio di falsificazioni71. Que-ste grafie speciali, tanto lontane da ogni uso ordinario, erano infatti per loro stessa natura difficilmente riproducibili. Lungi dall’essere questo uno svan-taggio, costituiva al contrario uno dei fattori di maggior attrazione – se così possiamo dire – per amministrazioni e uffici pubblici. Questa considerazione non esclude, del resto, che alla funzione giuridica si accompagnasse anche una valenza ideologica. È bene però non sopravvalutare questo aspetto fino a farne quello prevalente, tale da giustificare di per sé questa pratica grafica e con essa un intero ambito dell’intervento legislativo, che aveva invece nell’imponente lotta intrapresa contro il falso la sua ragione fondamentale.

D’altra parte, illuminante risulta ancora una volta il confronto con CTh. 9.19.3. La caelestium litterarum imitatio veniva giudicata estremamente pe-ricolosa proprio in quanto magistra falsorum, come dice esplicitamente il dettato normativo, e perciò ufficialmente proibita non solo all’utilizzo priva-to, ma anche a quello pubblico. Lo stesso Gotofredo ha insistito su questo aspetto, sottolineando come attraverso l’uso di peculiares apices gli impera-tori falsariis falsi ansam praecidisse visi sunt72, avessero cioè stroncato sul nascere una grave opportunità per i falsari di mettere in pratica la loro arte.

«avait pour principal motif le désir de prévenir les faux», ma nella corsiva antica usata per la datazione consolare dei processi verabli egiziani riconosce anche «une marque de respect à l’égard de ces hauts personnages, parmi lesquels on rencontre souvent l’Empereur lui-même […]»; G. CENCETTI, Dall’unità al particolarismo grafico. Le scritture cancelleresche romane e quelle dell’alto medioevo [1961] in Scritti di paleografia cit. 226 ss.; G. NICOLAJ, Fratture e continuità nella documen-tazione fra tardo antico e alto medioevo. Preliminari di diplomatica e questioni di metodo, in Morfo-logie sociali e culturali in Europa fra tarda antichità e alto medioevo, Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XLV, Spoleto-CISAM 1998, 953 ss., 972; ID., Sentieri di diplomati-ca, in Archivio Storico Italiano 144, 1986, 305 ss., 326, url: http://scrineum.unipv.it/biblio-teca/nicolaj.html.

71 Cfr. già J. O. TJÄDER, La misteriosa “scrittura grande” cit. 212: «[…] la scelta della corsiva antica per la prima riga del protocollo dipende senz’altro dal fatto che essa, non più in voga perché sosti-tuita nell’uso corrente da quella nuova, poteva servire a dare a quei protocolli i desiderati caratteri di autenticità e solennità», insomma «attestava la qualità di originale dei protocolli dei processi ver-bali».

72 Codex Theodosianus cit. 181: Principis subscriptiones sive literas imitari seu fingere maximi criminis semper fuisse nemo nescit [...] Quare & omni opere seu studio huiusmodi falsariis a Principi-bus obviam itum. Sane cum Principes Romani peculiares literas, peculiares apices a communibus lite-ris diversos, sibi scriniisque suis (ex quibus promonabant imperatorum iussiones) reservarunt, non modo maiestatem suam a populi communione vindicarunt, verum etiam falsariis falsi ansam praeci-disse visi sunt, ut h.l. clare indicatur, ceu imitatorum & falsariorum minus habituri, quo pauciores ha-

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Nessuna meraviglia, del resto, poiché la legislazione imperiale in materia di scrittura dei documenti è sempre stata connessa a doppio filo al problema del falso e della fides dei documenti73. Si può ricordare ad esempio, nell’ambito della legislazione pregiustinianea, il provvedimento di Dioclezia-no e Massimiano del 292 d.C. (C. 1.23.3)74, che imponeva l’obbligo della insi-nuatio dei rescritti imperiali solo nella forma degli originali sottoscritti nostra manu dall’imperatore; ovvero, in epoca giustinianea, la costituzione Summa rei pubblice in forza della quale le varie copie autentiche del Codex dovevano essere inviate in singulas provincias nostro subiectas imperio cum nostra di-vina subnotatione75. Ancora, si può menzionare la costituzione di Leone I del 470 d.C. (C. 1.23.6)76, con la quale si stabiliva che tutti gli interventi di mano del sovrano dovessero essere in purpurea tantummodo scriptione, colpendo chi avesse osato violare il privilegio del sacro encausto con la pena capitale. Una prerogativa imperiale, quella dell’inchiostro di porpora, che nella prassi documentaria pubblica altomedievale avrebbe avuto una rinnovata vitalità, come testimonia l’uso di apporre nell’escatocollo dei documenti imperiali più solenni il Legimus purpureo tra croci stilizzate: peculiare forma di sottoscri-

rum literarum ius & communionem haberent: nempe, quae populi usibus exposita sunt, ea falsi ma-teriam facile praebitura videntur [...].

73 Vastissima la bibliografia in tema di falso e di fides del documento. Senza alcuna pretesa di completezza, si possono citare fra i più recenti: M. P. PIAZZA, La disciplina del falso nel diritto romano, Padova-Cedam 1991; S. SCIORTINO, Note in tema di falsificazione dei rescritti, in AUPA 45.2, 1999, 443 ss.; L. FEZZI, Falsificazione di documenti pubblici nella Roma tardorepubblicana (133-31 a.C.), Grassi-na-Le Monnier Università 2003; S. TAROZZI, Ricerche in tema di registrazione e certificazione del do-cumento nel periodo postclassico, Bologna-Bononia University Press 2006; S. SCHIAVO, Il falso docu-mentale tra prevenzione e repressione: impositio fidei, criminaliter agere, civiliter agere, Milano-Giuffré 2007.

74 C. 1.23.3: […] Sancimus, ut authentica ipsa atque originalia rescripta et nostra manu subscrip-ta, non exempla eorum, insinuentur […].

75 Summa rei pubblice.5: Illustris igitur et magnifica auctoritas tua pro innato sibi circa rem pu-blicam nostrasque dispositiones explendas studio ad omnium populorum notitiam eundem codicem edictis ex more propositis pervenire faciat, ipso etiam textu codicis in singulas provincias nostro su-biectas imperio cum nostra divina subnotatione mittendo, ut eo modo ad omnium notitiam esiudem nostri codicis constitutiones valeant pervenire.

76 C. 1.23.6: […] Sacri adfatus, quoscumque nostrae mansuetudinis in quacumque parte pagina-rum scripserit auctoritas, non alio vultu penitus aut colore, nisi purpurea tantummodo scriptione illu-strentur, scilicet ut cocti muricis et triti conchylii ardore signentur: eaque tantummodo fas sit proferri et dici rescripta in quibuscumque iudiciis, quae in chartis sive membranis subnotatio nostrae sub-scriptionis impresserit. Hanc autem sacri encausti confectionem nulli sit licitum aut concessum habe-re aut quaerere aut a quoquam sperare: eo videlicet, qui hoc adgressus fuerit tyrannico spiritu, post proscriptionem bonorum omnium capitali non immerito poena plectendo […]. Contro l’uso di falsis rescriptionibus cfr. anche C. 9.22.3 del 227 d.C..

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zione dell’imperatore «graficamente e cromaticamente distinta»77, docu-mentata oggi da 7 diplomi emessi dalla cancelleria di Carlo il Calvo78.

Concludendo, va ribadito che il processo che portò la corsiva antica a non

essere più né letta, né compresa, né tracciata fu assai complesso e articolato. Senza dubbio già agli inizi del IV secolo l’antica corsiva romana era uscita non solo dall’uso corrente, quotidiano e privato, ma anche da quello generale delle cancellerie provinciali e degli uffici amministrativi e burocratici.

Essa sopravvisse tuttavia in alcuni ambiti assai circoscritti e con funzioni speciali. In primo luogo negli scrinia imperiali, dove l’utilizzo delle litterae ca-elestes doveva essere assai risalente nel tempo79 e dove, secondo un’ipotesi del Cencetti80, operavano alcuni scribi specializzati proprio nell’uso di questa scrittura: gli antiquarii. Costoro lavoravano all’interno dello scrinium memo-riae e secondo quanto prescriveva una costituzione di Leone (C. 12.19.10)81 numquam minus esse quam quattuor. Ma già in precedenza una costituzione di Valentiniano, Valente e Graziano (CTh. 14.9.2)82 aveva stabilito la presenza di altri scribi che si fregiavano dello stesso titolo, quattuor Graecos et tres La-tinos, presso le biblioteche, dove si distinguevano all’interno della categoria

77 ChLA2 XC, Premessa, 6. 78 La documentazione superstite è composta da 5 originali e 2 copie, editi in Recueil des actes

de Charles II le Chauve (commencé par A. Giry, continué par M. Prou, terminé et publié sous la direc-tion de F. Lot et C. Brunel par G. Tessier), Paris-Imprimerie nationale 1952, nn. 167, 239, 338, 364, 378, 425 e in ChLA2 XC, 15. Per una bibliografia di sintesi sull’uso del legimus e sulla ripresa di ele-menti proprii della sacralità regia bizantina da parte della cancelleria di Carlo il Calvo si v. ChLA2 XC, 15.

79 R. MARICHAL, L'écriture latine de la chancellerie cit. 342 ss., ha dimostrato ad esempio che già l’editto De pretiis rerum venalium dioclezianeo del 301 doveva essere scritto in una maiuscola corsi-va molto vicina alle litterae caelestes attraverso l’analisi degli errori e dei fraintendimenti grafici vi-sibili in una copia epigrafica del documento ritrovata a Platea in Grecia (CIL III, 1913); cfr. J. MALLON, Paléographie romaine cit. 118.

80 G. CENCETTI, Tabularium principis cit. 141-142 e 160-161. 81 C. 12.19.10: […] Statutos memoriales praecipimus esse in scrinio quidem memoriae sexaginta

duos, epistularum vero triginta quattuor, libellorum quoque triginta quattuor: antiquarios vero, qui habentur in scrinio memoriae, numquam minus esse quam quattuor. Supra scripti autem memoria-les nullo modo duplici fungatur officio nec geminis chartis inrepserint, ut non occupentur plura in u-num se commoda collaturi nihilque reliquis relicturi. G. CENCETTI, Tabularium principis cit. 160-161, ipotizza tra l’altro che a partire all’incirca dalla metà del IV secolo l’archivio dello scrinium memoriae «abbia finito per concentrare le carte di tutti gli altri uffici della cancelleria, soppiantando gli altri».

82 CTh. 14.9.2: […] Antiquarios ad bibliothecae codices componendos vel pro vetustate reparan-dos quattuor Graecos et tres Latinos scribendi peritos legi iubemus. Quibus de caducis popularibus, et ipsi enim videntur e populo, conpetentes inpertiantur annonae: ad eiusdem bibliothecae custo-diam condicionalibus et requirendis et protinus adponendis […].

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più ampia dei librarii proprio perché addetti alla copiatura e al restauro dei codici più antichi (cfr. ISID. Orig. 6.14; HIERONYM. Ep. ad Florent. 5.1)83: una presenza – si aggiunga qui – che può essere fatta risalire almeno sino ai tem-pi di Diocleziano, che nell’editto De pretiis rerum venalium84 aveva fissato puntualmente il compenso da corrispondersi ad un librarius sive antiquarius.

In secondo luogo, la corsiva antica rimase in uso presso gli uffici giudizia-rii dell’Egitto, dove fu impiegata con una certa continuità almeno fino al V secolo, e nella curia municipale ravennate, dove assunse forme sempre più artificiose e irriconoscibili. Con il papiro Tjäder 21, che nel 625 è l’ultimo fra i gesta municipalia ravennati ad avere la prima riga vergata in misteriosa scrit-tura grande, anche la corsiva antica muore definitivamente.

L’abbandono delle vecchie e isterilite forme non comportò però l’abbandono dell’artificio grafico che le caratterizzava: formato stragrande, contorsione dei segni, contrasto fra singoli tratti di una stessa lettera e verti-calizzazione della scrittura, in una singolare fusione di «stilemi cancellereschi sia orientali sia occidentali»85. Pertanto, se non vi fu continuità fra la scrittura cancelleresca imperiale romana e le cancelleresche provinciali tardoantiche e poi altomedievali quanto al sistema grafico di riferimento, vi fu invece, alme-no in parte, quanto al tipo di artificio applicato, come ha dimostrato Giorgio Cencetti in un suo giustamente celebre contributo86. Così nella scrittura alta e stretta che si osserva nell’escatocollo degli stessi gesta ravennati (si v. foto 8) e che verso la fine del VI secolo si ritrova in modi del tutto perfezionati e

83 ISID. Orig. 6.14, 1: […] Librarii autem iidem et antiquarii vocantur: sed librarii sunt qui et nova scribunt et vetera; antiquarii, qui tantummodo vetera, unde et nomen sumpserunt […]. HIERONYM. Ep. ad Florent. 5.1: […] habeo alumnos, qui antiquariae arti serviant […].

84 Edictum Diocletiani et collegarum de pretiis rerum venalium.7 (De mercedibus operariorum, de aeramento): [...] 67. paedagogo in singulis pueris menstruos quinquaginta; 68. magistro insti-tuto<ri> litterarum in singulis pueris menstruos L; 69. calculatori in singulis pueris menstruos septuaginta quin<que>; 70. notario in singulis pueris menstruos septuaginta quinque; 71. librario sive antiquario in singulis discipulis menstruos quinquaginta; 72. <g>rammatico Graeco sive Latino et geometrae in singulis discipulis menstruos ducentos; 73. oratori sive sophistae in singulis disci-pulis menstruos ducent<o>s quinquaginta [...]; si v. S. LAUFFER, Diokletians Preisedikt, Berlin-W. de Gruyter 1971. È interessante notare che, a quanto pare, all’epoca gli antiquarii potevano avere degli allievi ed insegnare.

85 G. CAVALLO, La cultura scritta cit. 81. 86 G. CENCETTI, Dall’unità al particolarismo grafico cit. 239. Gli artifici delle scritture di cancelleria

rientrano peraltro in quelle «forme di contrassegno, di marcatura, distintive» la cui funzione, vale ribadire, è sempre quella di «caratterizzare e [...] tipizzare il documento in modi immediatamente percepibili e riconoscibili, che ne assicurino la provenienza, la riconoscibilità, la identificabilità d’autore, insomma la validità», come sottolinea G. NICOLAJ, Lezioni di diplomatica cit. 221 e ss..

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con funzione inizale nel p. Butini, si possono intravvedere nitidamente i ger-mi del futuro sviluppo delle cancelleresche dei regna altomedievali (litterae elongatae)87.

I papiri ravennati del VI e del VII secolo, insomma, con la vivace dialettica delle loro forme grafiche antiche e recenti, con le tante resistenze e altret-tante innovazioni che li caratterizzano sul piano grafico come su quello di-plomatistico, ci dischiudono una straordinaria ricchezza di prospettive e si propongono ancora una volta come centrali rispetto al «tema» fondamenta-le «dell’eredità di cultura giuridica lasciata da Roma al nostro mondo occi-dentale, e del ruolo fondamentale di Ravenna nella trasmissione di questa eredità»88. Essi illuminano uno dei capitoli più affascinanti della storia della scrittura latina, consentendo di chiarire, almeno in parte, lo stretto rapporto tra scrittura, prassi documentaria pubblica e legislazione al delicato passag-gio tra l’età tardoantica e l’alto medioevo.

87 G. CAVALLO, La koiné scrittoria cit. 29 ss., ipotizza tuttavia che nelle cancellerie d’Oriente si sia manifestata ad un certo punto una «spiccata tendenza alla rotondità e all’ingrandimento della scrit-tura», assente invece nelle scritture burocratiche degli uffici provinciali d’Occidente dove si continuò ad usare «l’antico artificio dell’allungamento delle lettere».

88 G. NICOLAJ, Documenti e libri legales cit. 761.

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Appendice.

Foto 1 – p. Tjäder 8

Foto 2 – facsimile p. Tjäder 8

Foto 3 – p. Oxy. 1879 = ChLA, XLVII, n. 1409

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Foto 4 – p. Louvre 2404 = ChLA, XVII, n. 657

Foto 5 – Confronto lettere e - g - u

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Foto 6 – p. Dura 59

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Foto 7 – p. Vindob. L 31 = ChLA, XLIV, n. 1264

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Foto 8 – p. Tjäder 4-5 B

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Finito di stampare nel mese di Aprile 2012per conto di Libellula Edizioni

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