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Le città fortificate di Sassari e Castel Aragonese in Sardegna all'epoca di Carlo V (1515-1555)

Date post: 30-Mar-2023
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LE CITTÀ FORTIFICATE DI SASSARI E CASTEL ARAGONESE INSARDEGNA ALL’EPOCA DI CARLO V (1515-1555)Luigi Agus

Il 4 aprile 1297, papa Bonifacio VIII investì il re d’Aragona Giacomo II il Giusto deltitolo di Re di Sardegna e Corsica. Questo titolo venne istituito perché lo stesso re arago-nose rinunciasse al trono di Re di Sicilia che, dopo la guerra dei Vespri, era andato a Car-lo I d’Angiò. Di fatto però la Sardegna in quell’epoca era ancora suddivisa in quattro sta-ti autonomi, i giudicati, né peraltro lo stesso Giacomo II intraprese azioni immediate peruna conquista dell’isola.

Già allo scorcio del XII secolo e in tutto il successivo, tre dei quattro giudicati sardierano di fatto in mano straniere: quello di Calari e quello di Gallura in mani pisane, men-tre quello di Torres rimaneva in mani genovesi, compreso il Comune di Sassari istituitonel 1270. Autonomo era invece il giudicato d’Arborea.

Solo dopo la pace di Cartabellotta del 1302 Giacomo II prese in considerazione l’ideadi realizzare concretamente il regno di “Sardegna e Corsica” che, con il ducato di Atene eNeopatria, s’inseriva perfettamente nel disegno dell’espansione mediterranea della Coronad’Aragona. Per questo si alleò con Ugone II d’Arborea, coi Doria e coi Malaspina inviandonel 1323 nell’isola l’infante Alfonso. Questi, dopo aver posto sotto assedio la città minerariadi Villa di Chiesa, piegatasi dopo sette mesi, si diresse verso Castel di Cagliari, dove si scon-trò con l’esercito pisano che subito dopo si arrese. L’infante decise quindi di insediarsi il lo-calità Bagnaria (attuale Bonaria), dove costruì in breve tempo una città fortificata cinta damura e torri che stava di rimpetto a quella fortificata pisana. La città di Castel di Cagliari fuinfine espugnata nel 1327, anche se gli aragonesi lasciarono praticamente intatte le fortifica-zioni pisane realizzate per lo più dall’architetto Giovanni Capula all’inizio del XIV secolo. Lacittà di Bagnaria fu definitivamente abbandonata nel 1331.

Nonostante questa prima conquista che sanciva di fatto la nascita del Regno di Sar-degna, ben presto gli Aragonesi dovettero affrontare una lunga lotta con Mariano IV d’Ar-borea, che si rifiutò di presenziare al I Parlamento Generale convocato da Pietro IV a Ca-gliari nel 1355. Mariano infatti voleva essere considerato alla pari del re aragonese, comesovrano e non come feudatario1.

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1 Per la conquista aragonese e la formazione del Regno di Sardegna, si veda: F. C. CASULA, Profilo storicodella Sardegna catalano-aragonese, Cagliari 1982, pp. 7-128; R. MUNTANER, Pietro IV d’Aragona, La conquista del-la Sardegna nelle cronache catalane, a cura di G. MELONI, Nuoro 1999, pp. 25-64; a cui si rimanda per la relativabibliografia.

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La guerra, tra alterne vicende, durò fino al 1410 quando venne stipulata tra le partiin causa la pace di S. Martino. Faceva eccezione la città fortificata di Castel Genovese, chefu infeudata dopo la sconfitta di Nicolò Doria nel 1448, divenendo Castel Aragonese2.

All’infeudazione della città dei Doria segue, a distanza di poco tempo, quella dellostato d’Oliva, che costituiva il feudo più grande dell’isola e che comprendeva gran partedell’Anglona e del Monte Acuto, praticamente il territorio fino ad allora controllato daCastel Genovese3. Il feudo, con la creazione del titolo di conte d’Oliva, fu concesso a Fran-ceso Gilalberto de Centelles con decreto emesso a Napoli il 14 aprile 1449 da Alfonso V

d’Aragona4. In questo grande feudo ricadeva per intero la diocesi di Ampurias, la cui se-de episcopale venne trasferita a Castel Aragonese nel 15065, con bolla Aeque principaliterdi Giulio II nella quale si prevedeva l’unione delle due diocesi di Ampurias e Civita rica-denti nel nord-est dell’isola. Questa decisione pontificia, fortemente voluta dagli spagno-li ma osteggiata dal clero locale6, rientrava nell’ambito più vasto del riordino delle dioce-si sarde iniziato già nel XV secolo e che fu sancito dalla bolla Aequum reputamus del 1503.Il riordino, nel nord dell’isola, consistette nel creare la nuova diocesi di Alghero, che in-globò le vecchie di Castra, Ottana e Bisarcio più una porzione di quella metropolitana diSassari, la quale a sua volta inglobò quelle di Ploaghe e Sorres, mentre la sede di quella diAmpurias, come si è detto, veniva trasferita a Castel Aragonese (attuale Castelsardo)7.

Le città di Castel Aragonese e Sassari divennero i centri dove in quegli anni, pro-babilmente, confluì la popolazione delle campagne non adeguatamente protette dalle in-cursioni nemiche, soprattutto arabe, così che le vicende di Sassari, Alghero e Castel Ara-gonese, che formavano il tessuto della storia per il dominio del Capo del Logudoro,risultano estremamente connesse tra loro8. In quest’ambito l’azione svolta dai Centelles,potente famiglia d’origine valenzana9, dal 1421 signori del Goceano, Monte Acuto, An-glona, Osilo e Mesolongo10, risulta fondamentale soprattutto per quanto riguarda i rap-porti con i loro vassalli sardi, regolati con un concordato già dal 142811 e poi dalla con-cessione del libero allodio nel 146212, ma anche per l’amministrazione delle città di Castel

2 I. F. FARAE, In Sardiniae Chorographiam, Liber II, intr. di E. Cadoni, Sassari 1992, p. 176, 14-16.3 S. RATTU, Bastioni e torri di Castelsardo, Sardegna, Torino 1953, p. 8.4 Archivo Histórico Nacional de Madrid (=AHN), Sección Nobleza (=SN), Osuna, c. 597, d. 1.5 Il problema della collocazione esatta della cattedrale di S. Pietro d’Ampurias è tuttora dibattuto dalla

storiografia, l’ultima testimonianza di questo tempio risale, infatti, al Fara che, sul finire del Cinquecento, la de-scrisse come “prisca structura insigne, divo Pietro dicatum et episcopali digitate decoratum” (I. F. FARAE, cit., p.176, 3-4). Per quanto riguarda invece la traslazione dei beni dalla vecchia alla nuova cattedrale, che prendeva posto nell’antica parrocchiale di S. Antonio di Castel Aragonese, bisognerà aspettare il vescovo Sanna alla fine delXVI secolo e oltre, secondo quanto risulta dalle fonti consultate dal prof. Turtas, che in questa sede doverosamenteringrazio, presso l’Archivio Segreto Vaticano e gentilmente segnalatemi. (vd. anche F. SEGNI PULVIRENTI, A. SA-RI, Architettura tardogotico d’influsso rinascimentale, collana “Storia dell’arte in Sardegna”, p. 124).

6 R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna dalle origini al Duemila, Roma 1999, p. 327.7 Ibidem, p. 328; il FARA (cit., p. 176, 11-13) riporta la data 1502 quando “Alexandro VI sedes traslata ad

contermine regionis maritimae ecclesiam Sancti Antonimi, prioratus ordinis *** Castri Genuensis”. 8 S. RATTU, cit., p. 8.9 I Centelles furono baroni di Nules, un centro situato tra Valencia e Castellón de la Plana, già nel 1309

(AHN, SN, Fernán Núñez, c. 2053, d. 1-19), titolo poi confermato da Pietro IV nel 1342 (AHN, SN, FernánNúñez, c. 1, d. 49) e nel 1418 da Alfonso V (AHN, SN, Fernán Núñez, c. 32, d. 12).

10 AHN, SN, Osuna, c. 1010, d. 6; c. 633, d. 2.11 AHN, SN, Osuna, cp. (antigua) 76, d. 6.12 AHN, SN, Osuna, c. 633, d. 1.

Aragonese e Sassari, delle quali lo stesso Francesco Gilalberto divenne, rispettivamente, al-calde il 12 settembre 145313 e castellano il primo gennaio 145414.

Il problema principale tuttavia rimaneva quello delle continue incursioni dei mori15,con cui però Francesco Gilalberto stipulò un accordo nel 1475 che sanciva i suoi dirittisui possedimenti ricevuti in feudo dai re aragonesi16.

Francesco Gilalberto moriva nel 148017, lasciando il mayorazgo al suo secondogeni-to Francesco, che poi lo passò, in assenza di eredi, al terzogenito Serafino. I Centelles inquesto modo perdettero le alcaldías di Castel Aragonese e Sassari, concesse da Ferdinan-do II, assieme a quelle di Alicante e Caudete, a Gaspare de Espés il 20 marzo 148618:questa decisione del sovrano cattolico si inquadrava bene nella sua politica di redreç,varata già da qualche tempo19. Tuttavia il predominio di questa famiglia nel nord dell’iso-la rimase e, anzi, per certi versi si rafforzò soprattutto per le politiche matrimoniali sia diparte maschile che femminile. La primogenita Isabella si sposò infatti con Gaspare Fabra,signore del Barigadu, mentre la più piccola andò in sposa a Pedro Maza y Carroz de Ar-borea, marchese di Terranova20. Nulla sappiamo dei matrimoni contratti dai due figli ma-schi Francesco e Serafino, tuttavia la presenza dello stemma della famiglia Guzmán nel re-tablo del Maestro di Castelsardo21, proveniente molto probabilmente dall’antica cattedraledi Ampurias22, potrebbe essere un segno indicatore di politiche matrimoniali rivolte so-prattutto verso signori Castigliani che già nell’isola avevano messo radici attraverso un ra-mo della famiglia Santa Cruz, residente a Cagliari23, che ordinò al medesimo artista un re-tablo per la parrocchiale della loro signoria di Tuili, pagato nell’anno 150024.

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13 AHN, SN, Osuna, cp. (antigua) 168, d. 14.14 AHN, SN, Osuna, cp. (antigua) 168, d. 15; Osuna, c. 1010, d. 3.15 Per il problema della pirateria e dei mori in Sardegna si veda: P. MARTINI, Storia delle invasioni degli ara-

bi e delle piraterie dei barbareschi in Sardegna, Cagliari 1861; P. AMAT DI SAN FILIPPO, Della schiavitù e del servag-gio in Sardegna. Indagini e studi, Torino 1894.

16 AHN, SN, Osuna, c. 630.17 AHN, SN, Osuna, c. 1004, d. 1-65.18 Archivo de la Corona de Aragón (=ACA), Diversos, Sástago, c. 05, p. nº 247 (lig. 015/004).19 O. SCHENA, Sassari e il potere regio nei secoli XV-XVI, in: Studi in onore di Massimo Pittau, Sassari 1995,

p. 89.20 AHN, SN, Osuna, c. 668, d. 3-26.21 Lo stemma della famiglia Guzmán, famiglia nobile d’origine leonese (C. ÁLVAREZ ÁLVAREZ, Linajes no-

biliarios y oligarquías urbanas en León, in: La Nobleza Peninsular en la Edad Media, “VI Congreso de Estudios Me-dioevales”, Fundación Sáncez Albornoz, León 1999, p. 43), è inserito al centro dello scudo retto dall’ArcangeloMichele, nel bordo del quale è una epigrafe in rilievo che è stata letta come firma dell’autore e che porterebbe an-che la data: Jachi Cavaro 1490 (L. AGUS, Gioacchino Cavaro, Il Maestro di Castelsardo, Cagliari 2000, p. 43-44). Ladatazione potrebbe tornare bene con il periodo in cui fu Conte d’Oliva Serafino Centelles, ossia tra il 1489 ed il1503, quando a lui succedette il figlio Pietro Cherubino. Lo stemma, qua per la prima volta riconosciuto, è fa-cilmente individuabile così come descritto e raffigurato nella Heráldica Castellana del periodo dei Re Cattolici:“El duque de Medinaçidonia y conde de Nyebla. Trae de azul con dos calderas escaquetadas de oro y de gulas concuatro fasas de platta y en los cabos de las asas cuatro cabeças de serpientes” (M. DE RIQUER, Heráldica Castella-na en tiempo de los Reyes Católicos, Barcelona 1986, p. 284 e fig. 19), si tratta quindi del ramo della Famiglia Guz-mán insignita fin dal 1444 del titolo di duchi di Medinasidonia (E. CABRERA, Nobleza y Señoríos en Andalucía du-rante la baja Edad Media, in: La nobleza, cit., p. 106).

22 L. AGUS, cit., p. 113.23 AHN, SN, Osuna, cp. (antigua) 81, d. 13.24 C. ARU, La pittura sarda nel rinascimento II, documenti d’archivio, in: “Archivio Storico Sardo”, XVI,

1926, p. 212.

Si tratta molto probabilmente di politiche familiari che rientrano nel quadro più ge-nerale dei rapporti tra Corona d’Aragona e Castiglia25, in cui la Sardegna non solamentesvolgeva un ruolo strategico, ma anche economico e politico di rilievo soprattutto all’in-terno dell’area di influenza aragonese26.

Alla morte di Serafino Centelles il mayorazgo fu ereditato da Pietro Cherubino chegovernò dal 1504 al 1511. Di questo discendente abbiamo scarse notizie, solo sappiamoche nel 1506 vennero stipulati dei capitoli sulla ripartizione degli allodii del Conte d’Oli-va tra cristiani e mori27. Non sappiamo in effetti di quali territori si tratti, anche se si puòsupporre fossero quelli continentali, comunque da questo documento si evince come lapressione dei mori fosse notevole in tutta l’area mediterranea anche dopo la conquista diGranada nel 1492. La Sardegna in quest’ambito era uno dei territori più a rischio, so-prattutto il nord dell’isola in cui lo spopolamento di vaste aree favoriva la penetrazione in-disturbata di genti d’ogni provenienza. La preoccupazione era tanta che già il 23 maggio1488 papa Innocenzo VIII con un breve diretto ai re cattolici aveva chiesto che venisseequipaggiata e mantenuta una flotta per vigilare i mari di Sardegna e Sicilia28, così come,già nel 1481, il sovrano ordinò la soppressione dell’ufficio di capitano di Sassari, a condi-zione che il suo salario, pari a 200 lire, venisse utilizzato per il rafforzamento di Porto Tor-res e della sua torre29. Nei primi anni di governo di Carlo V la preoccupazione per possi-bili invasioni turche, ritenute sempre più concrete, portarono i rappresentanti delle cittàdi Cagliari, Iglesias, Sassari, Alghero, Castel Aragonese e Oristano a presentare una peti-zione al sovrano, nel 1519, dove si chiedeva che “per amore della passione di Cristo e perla tranquillità della sua regale coscienza”, si desse ordine alle galere della squadra del Re-gno di Napoli che “almeno ogni anno durante l’estate abbiano l’obbligo di controllare eproteggere quest’isola”30.

Tuttavia altri fatti avrebbero portato l’imperatore Carlo V a prendere le prime deci-sioni su una pianificazione delle fortificazioni sarde, anche se non su larga scala.

Fu in particolare durante l’anno 1527 che si susseguirono diverse incursioni, sia dipirati che, più tardi, da parte di truppe francesi. Il 3 aprile di quell’anno alcuni pescatoridi corallo furono assaliti dai pirati nelle vicinanze dell’Isola Piana, così che, subito dopo,fu eretta una rocca ad illorum tutiorem, dietro licenza reale31, licenza che arrivava dopoquasi dieci anni dal momento in cui la città di Sassari, nel 1518, aveva lamentato come giàda tempo il commercio con Genova, prima molto intenso, fosse completamente crollatoa causa soprattutto del prolungato stazionamento di imbarcazioni pirata e dei loro equi-paggi nell’isola dell’Asinara e come, non minori danni ricevesse la pesca del corallo, le cuiimbarcazioni venivano spesso catturate32. Le incursioni tuttavia si intensificarono: il 26

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25 J. PÉREZ, Los hijos de la Reina, la política de alianzas, in: AA.VV., Isabel la Católica, reina de Castilla, acura di P. NAVASCUÉS PALACIO, Barcelona 2002, p. 54.

26 P. CHAUNU, La España de Carlos V, Barcelona 2005, pp. 15, 111.27 AHN, SN, Osuna, c. 598, d. 2 (doc. 4).28 Archivo General de Simancas (=AGS), Patronato Real, c. 60, doc. 21.29 F. LODDO CANEPA, Alcune istruzioni inedite del 1481 nel quadro della politica di Ferdinando II in Sarde-

gna, in: “Archivio Storico Sardo”, XXIV, 1954, p. 459-460; O. SCHENA, cit., p. 91. Sulle problematiche relative al-la difesa dell’isola sotto Ferdinando il Cattolico si veda: S. CASU, A. DESSÌ, R. TURTAS, Le piazzeforti sarde du-rante il regno di Ferdinando il Cattolico, in: “XIV Congresso di Storia della Corona d’Aragona”, Sassari-Alghero19-24 maggio 1990, Sassari 1990, pp. 185-248.

30 S. CASU, A. DESSÌ, R. TURTAS, cit., p. 20431 I. F. FARAE, De Rebus Sardois, liber IV, intr. di E. CADONI, Sassari 1992, vol. 3, p. 274, 23-24.32 S. CASU, A. DESSÌ, R. TURTAS, cit., p. 205.

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aprile cento nobili sassaresi, guidati da Francesco Cano, appena sbarcati in Sardegna fu-rono assaliti da otto navi da guerra turche, dalle quali sbarcarono 400 soldati; i sassaresiscavarono un vallo ed una trincea a propria difesa e strenue pungnantes obsidione se libera-runt, quinquaginta ex illis occisis multisque vulneratis 33.

Nello stesso periodo, forse per un disperato tentativo di reperire fondi da stanziareper la protezione dell’isola, il viceré Villanova dispose la confisca di tutti i beni che gliebrei possedevano in Sardegna, mentre tra Sassari e Alghero iniziava una contesa per i di-ritti di pesca del corallo34. Questi fatti, per quanto gravi, costituirono solo un’avvisaglia diquello che successe durante il lungo inverno a cavallo tra il 1527 ed il 1528.

Dopo la battaglia di Pavia, Francesco I di Francia, rivale di Carlo V, si alleò, nellacosiddetta “Lega Santa”, con il papato, l’Inghilterra, il duca di Milano e la Repubblica diVenezia. La Sardegna, posta al centro del Mediterraneo Occidentale, non poteva non es-sere al centro degli interessi della Lega, che inviò una flotta capitanata da Andrea Doria,via mare, e Renzo Ursino di Ceri, via terra, che sbarcò a metà novembre in Gallura con4.000 fanti, invadendo la parte settentrionale dell’isola e assediando la città fortificata diCastel Aragonese35. Se poté avvenire un così rapido sbarco era senz’altro perché, come te-stimonia il Fara, Angelus Villanova prorex caeterique Sardiniae gubernatores Sardos armare,muros urbium reficere et arces praesidiis munire non curant, sed oscitantes perinde ac si nihilmali insulae immineret defensioni illius consulere neglexerunt 36; solo il sassarese Antonio Ar-ca, inviato a Genova dell’amministrazione civica, procurò bocche da fuoco per la difesadell’Isola Piana e di Porto Torres.

La reazione degli isolani, capeggiata da Francesco de Sena governatore del Logudo-ro, fu immediata. Da Sassari, sotto il comando di Giacomo e Angelo Manca, partironotutte le truppe (appena 80 soldati) di cavalleria e fanteria dirette a Castel Aragonese, vistoche la città era sguarnita e ab omni plebe destitutum 37; entrate nella rocca si riunirono coni maggiorenti locali per stabilire le misure più urgenti per fronteggiare l’avanzata nemica.Intanto il 13 dicembre Renzo Ursino si era già diretto verso la città saccheggiando e de-predando quanto incontrava lungo il suo cammino, mentre Andrea Doria con 30 navi daguerra ed altro naviglio entrava in porto pretendendo, per diritto dinastico, il possessodella città. Castel Aragonese non si arrese, ma anzi schierò sulle mura le guarnigioni nelfrattempo rinvigorite dall’arrivo dell’esercito, equipaggiato di tutto punto, di GoffredoCervellón38.

Castel Aragonese fu pesantemente bombardata il 14 dicembre via mare e via terra.I danni furono ingenti: buona parte delle mura crollò assieme ad una torre, mentre leguarnigioni resistevano a stento. Con l’arrivo della notte cessarono anche i combattimen-ti: rimanevano a terra 18 vittime, mentre la rocca risultava praticamente devastata39. Lamattina del 15, fortunatamente, scoppiò una violenta tempesta che costrinse la flotta diAndrea Doria a riparare nell’isola dell’Asinara; Renzo Ursino, nel frattempo abbandona-

33 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 274, 28-30.34 Ibidem, p. 276, 3-5.35 E. COSTA, Sassari, vol. II, Sassari 1992, p. 734.36 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 276, 7-10.37 Ibidem, p. 276, 20-23.38 Ibidem, pp. 276, 25-32; 278, 1-5.39 Ibidem, p. 278, 5-15.

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ta l’impresa contro Castel Aragonese, via terra si diresse verso la villa di Sorso saccheg-giandola, soprattutto favorito dalla fuga preventiva degli abitanti40.

In effetti la rocca di Castel Aragonese rimase, nonostante gli ingenti danni, inespu-gnata, soprattutto per la sua posizione naturale che permetteva un’adeguata difesa sia daterra che da mare41 e, forse, grazie agli interventi effettuati nel 1512 per volere diretto delsovrano42, consistiti nell’aggiunta dello “sperone” e della “loggetta”43.

A quell’epoca Castel Aragonese constava di una rocca apicale e di una cerchia tur-rita sia verso terra, dove era posizionato l’accesso, sia verso il mare44. Questa fortificazio-ne, realizzata su un promontorio alto 114 metri, in un sito cioè “di per sé già fortissimo,arroccato com’è su un minuscolo promontorio granitico strapiombante”, era probabil-mente in gran parte quella originale fatta costruire dai Doria attorno al villaggio, che cir-condava il castello fin dopo il 110245.

Dal saccheggio di Sorso, secondo il Fara, Renzo Ursino ricavò viveri per circa tremesi e, così rifornito, si diresse verso Sassari. Il governatore del capo di sopra Francescode Sena però già preparava la controffensiva raccogliendo un esercito da Sassari e dallecittà circostanti a cui mise a capo Goffredo Cervellón, Giacomo e Michele Manca, nelfrattempo rientrati da Castel Aragonese, Francesco Gilalberto de Centelles, conte d’Oli-va, Giovanni Antonio Milia, Pietro Gambella, signore di Sorso, Pietro Cariga, GiovanniManca, un membro della famiglia Cedrelles, forse Pietro, e Ludovico Castelvì46. Le guar-nigioni, non del tutto equipaggiate, si diressero verso Sorso cercando di affrontare comepotevano il nemico che, invece, era ben fornito di armi e munizioni. Nonostante il ten-tativo di resistenza dei sardi i francesi ebbero la meglio mettendo in fuga gli isolani ed en-trando a Sassari il 19 dicembre da Porta S. Antonio, mentre il governatore la abbandona-va uscendo dalla porta opposta: quella del Castello. I francesi si insediarono indisturbatinella città e nel castello facendo razzie in tutta la zona soprattutto per il fatto che le trup-pe sarde, nel frattempo, si erano installate tra Sassari e Porto Torres per impedire i rifor-nimenti agli occupanti, così che questi ultimi furono costretti, il 26 gennaio successivo,ad abbandonare definitivamente l’isola. Furono poi gli stessi soldati spagnoli, entrati a se-guito dell’abbandono francese l’11 febbraio, a compiere razzie, i cui danni possono valu-tarsi tra i 10 e i 12.000 ducati47, fino a quando le proteste dei cittadini non li fecero ri-chiamare a Cagliari dal viceré48.

La città di Sassari, a quel tempo, era cinta da una muraglia con non meno di 36 tor-ri tutte quadrangolari, tranne una a pianta circolare chiamata “turàndola”, dotata di qua-ttro porte d’accesso: porta S. Antonio, anticamente chiamata di S. Biagio49, verso set-

40 E. COSTA, cit., p. 734.41 V. ANGIUS in G. CASALIS, Dizionario geografico, storico, statistico, commerciale degli Stati di S. M. il Re

di Sardegna, Torino 1837, vol. IV, p. 226.42 S. RATTU, cit., p. 26.43 F. SEGNI PULVIRENTI, A. SARI, cit., p. 70.44 F. RUSSO, La difesa costiera del Regno di Sardegna dal XVI al XIX secolo, Roma 1992, p. 60.45 Ibidem, p. 57.46 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 278, 21-28.47 A. MATTONE, Gli statuti sassaresi nel periodo aragonese e spagnolo, in: Gli statuti sassaresi, Economia, so-

cietà, istituzioni a Sassari nel Medioevo e nell’Età moderna, atti del Convegno di studi, Sassari 12-14 maggio 1983,Sassari 1986, p. 447.

48 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., pp. 280, 5-20, 282, 5-16.49 A. CASULA, La cinta muraria e alcune testimonianze del periodo romanico e gotico, in: Sassari, Le origini,

Sassari 1989, pp. 139-144, qui p. 139.

tentrione; porta Castello, o di Capu de Villa, verso meridione; porta d’Utzeri verso po-nente e porta Rosello verso levante50. Accanto ad ogni porta era posta una cappelletta, del-le quali oggi sopravvive solo quella della Vergine di Loreto, posta accanto a Porta Rosel-lo51. Le mura, che cingevano completamente la città, avevano una lunghezza di circa duechilometri, erano abbastanza alte (circa 10-12 metri), spesse 2,10 metri, con una merlatu-ra di 55 centimetri ed una passatoia di 1,55 metri52. Oltre questa cortina difensiva esiste-va, verso meridione, un castello costruito tra il 1331 ed il 134253. Questo fortilizio era diforma quadrangolare, con quattro torri ai rispettivi angoli più una quinta in cui era collo-cata la porta d’entrata54. L’edificio fu rinforzato nel 1503 attraverso lo scavo d’un fossatoall’interno, una strada coperta davanti alla porta principale e un bastione a volta proget-tati da Antonio Ponzio55: si tratta, forse, delle fortificazioni venute alla luce negli scavi ef-fettuati nel 196456.

I danni alle strutture, soprattutto quelle del castello, dovettero essere ingenti: oltrealla dispersione dei documenti, custoditi nell’archivio razziato dalle truppe francesi, pro-babilmente altri danni subirono la cappella e le sale57. Così già a giugno del 1528 furonoincaricati diversi esperti, tra cui i falegnami Giovanni e Francesco de Cillara e uno scal-pellino, per regonegut y estimar le obres nesesaries en lo castell de la ciutat de Sasser. La rico-gnizione iniziò en lo aposento y porzo del viceré per poi proseguire nell’intero apparta-mento, nel quale, per effettuare i lavori di restauro occorrevano almeno quattro dozzinedi bigaros piccole più tre grosse, 40 libre di calce, 40 di sabbia e altrettante d’argilla, tredozzine di tavole e una dozzina di fermi. Nelle camere della serva 12 fermi e una “biga”grossa. Nella botiga baxa una biga, più altro materiale. Per tutto questo si preventivava unaspesa totale di circa 95 lire58.

A partire però da maggio a Castel Aragonese e dal primo novembre dello stesso an-no a Sassari fu un altro evento terribile a flagellare le due città: la peste, che fece, secondoquanto riferisce il Fara, circa 16.000 morti, nel solo capoluogo. L’epidemia durò fino algennaio successivo, quando la popolazione, ormai stremata, supplicò i Santi Fabiano e Se-bastiano perché il morbo placasse59. La cifra riportata dal Fara appare senz’altro eccessiva,anche se rende bene l’idea di un pauroso calo demografico che porterà Sassari a circa 890fuochi (corrispondenti a circa 3.560 abitanti) ancora nel 154360.

Nonostante i guasti provocati da tre anni di guerre e pestilenze, Sassari, e più in ge-nerale il Logudoro, si ripresero presto soprattutto nel campo culturale, dove si assiste adun vero e proprio periodo di rinascita che coinvolgerà anche le città di Alghero e Bosa.Protagonista di questo periodo fu il nuovo giovane arcivescovo sassarese Salvatore Alepus,giunto a Sassari forse attorno al 1530, ossia sei anni dopo la sua nomina avvenuta nel

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50 E. COSTA, cit., pp. 813-815.51 A. CASULA, cit., p. 139.52 V. ANGIUS in G. CASALIS, cit., vol. XIX, p. 75.53 F. SEGNI PULVIRENTI, A. SARI, cit., p. 60.54 E. COSTA, cit., pp. 813-815.55 Ibidem, p. 817. 56 A. CASULA, cit., p. 139.57 G. F. ORLANDI, Sassari, Le mura e il castello, Sassari 1998, p. 169. 58 Archivio di Stato di Cagliari (=ASC), Antico Archivio Regio (=AAR), BC18, c. 45v59 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 282, 18-33, 284, 1-3.60 A. MATTONE, cit., p. 447.

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152461. Questo fervore di rinnovamento, forse dettato dalla giovane età del presule62 o for-se dalla presenza dell’energica madre sua procuratrice ancora nel 153563, probabilmente in-fastidì non poco i capitoli da lui governati già dai primi tempi del suo episcopato. La si-tuazione divenne però molto grave quando il Procuratore Fiscale del regno nel 1532 inviòun memoriale all’imperatore con il quale lo informava che l’arcivescovo di Sassari era so-spettato di essere il mandante dell’omicidio di un sacerdote inviato in città dal cardinaleAlessandro Cesarini. L’imperatore immediatamente inviò tre lettere, datate 30 dicembre,rispettivamente a sua moglie l’imperatrice, perché si interessasse presso il Consiglio dellaCorona d’Aragona, al suo vescovo di Camera, perché provvedesse presso il pontefice e, na-turalmente, al viceré dell’isola64. Da questa incresciosa vicenda il presule ne uscì probabil-mente indenne, visto che continuò a governare la diocesi fino alla sua morte avvenuta nelnovembre del 156665.

La riluttanza del clero locale verso il giovane presule nacque forse anche dal fattoche questi si circondò, fin da subito, di una vera e propria corte di letterati, giuristi e ar-tisti a cui affidò anche incarichi di un certo rilievo, ma che non erano all’interno dei ca-pitoli.

Tra i protagonisti della rinascita promossa dall’Alepus è da annoverare senz’altroGavino Sambigucci, medico, filosofo e poeta, che fu il punto di riferimento per ben duegenerazioni di umanisti tra Sassari, Alghero e Bosa, creando quello che la Zanetti definì“piccolo Parnaso sardo”66. Di questa koinè facevano parte, a vario titolo, Angelo SimoneFigo, Gavino Sunyer, Gavino Sassurello, Girolamo Araolla, Pietro Delitala e Girolamo Vi-dini, poeti; Antonio Lo Frasso, scrittore e poeta67; Pier Michele Giagaraccio, letterato, giurista, docente e poeta; Giovanni Francesco Fara, storico e giurista; Geronimo Olives,giurista e Alessio Fontana, giurista e segretario dell’imperatore.

A questi va aggiunto il pittore Giovanni del Giglio, del quale recentemente si è pro-posta l’identificazione con il Mestro di Ozieri68, che risulta procuratore del presule il 24maggio ed il 7 luglio 153169, mentre il 26 dicembre 1535 fa da testimone in un atto inter-no della curia tra lo stesso Alepus e Giovanni de Oganà arciprete di Sorres70.

Tra le cause di malumore della curia, poi, vi era la questione del patronato regio,appena ottenuto dall’imperatore, che rivoluzionava in un certo qual modo i rapporti tra

61 S. RUZZU, La Chiesa Turritana dall’episcopato di Pietro Spano ad Alepus (1420-1566), Sassari 1974, p. 87.62 Alepus era nato attorno al 1503 a Morella, nella Valenza, da Gabriele e Caterina Manca Pilo (G. ALBE-

RIGO, Alepus, Salvatore, in: Dizionario Biografico degli Italiani, vol. II, Roma 1960, p. 155).63 G. ALBERIGO, cit., p. 155.64 AGS, Estado, Aragón, 276, c. 49.65 S. RUZZU, cit., p. 93.66 G. ZANETTI, La Sassari cinquecentesca, colta e religiosa, in: “Studi Sassaresi”, II, vol. XXX, 1-2, 1963, p.

111.67 Il libro più famoso di Lo Frasso, Los diez libros de fortuna de amor, meritò il seguente commento di Cer-

vantes: “tan grazioso ni tan disparatado libro como ése no se ha compuesto, y que, por su camino, es el mejor yel más único de cuantos deste género han salido a la luz del mundo” (M. DE CERVANTES, Don Quijote de la Man-cha, a cura di M. DE RIQUER, Barcelona 2000, p. 80).

68 L. AGUS, Pittori a Sassari nel Cinquecento: un probabile nome per il “Maestro di Ozieri”, in: “SardegnaAntica”, XIII, n° 26, 2004, pp. 34-35; M. G. SCANO NAITZA, Giovanni Spano, la sua “collezione” e i problemi attualidella storia della pittura sarda, in: Il tesoro del canonico, vita, opere e virtù di Giovanni Spano, a cura di: P. PULINA

E S. TOLA, Sassari 2005, p. 192.69 L. AGUS, Pittori, cit., p. 33.70 Archivio Arcivescovile di Sassari (=AAS), vol. G2, c. 70r.

potere laico ed ecclesiastico71. I poteri laico ed ecclesiastico locali, infatti, erano entrati giàin conflitto fin dal 1526 quando, in una lettera datata 11 dicembre, l’imperatore esortavail presule sassarese a que useys canonicamente de la jurisdicion de essa yglesia y no cureys deessenderos con pretenciones a cosas disputables y no acostumbradas en preyudicio de unas juri-sdicion real72. Il conflitto tra i capitoli ed Alepus durò per tutto il suo lungo episcopato,sfociando, tra l’altro, nell’arresto della madre avvenuto nel 1537 e ritenuto dal viceré cosamuy grave y de mucha novedad73, e in seguito con una formale causa intentata del capito-lo turritano contro Alepus il 18 novembre 1550, quando da Trento il presule annesse leprebende di Bessude e Cossoine al canonicato di Sorres, elevandolo a decanato e asse-gnandolo “a un suo familiare”74. Per tutta risposta il pontefice, dopo aver confermato ladecisione di Alepus, scomunicò l’intero capitolo75. I conflitti, inoltre, riguardavano anchequestioni amministrative che fino a quell’epoca erano di stretta competenza canonicale,ma che il presule affidò ad un esterno, Bernardino Mancone, il quale provvedeva non so-lo a rendicontare, ma anche a rimborsare i membri del capitolo76. Nonostante i conflitti,il capitolo, dopo la morte della madre nel 1553, ricompensò Alepus con 1100 fiorini d’o-ro in sussidio de grandes despensas ch’at suffertu in sa residentia ch’at fattu in su conziliu tri-dentinu77.

Il pittore Giovanni del Giglio, assieme al suo socio Pietro Giovanni Calvano78, pro-tetti dall’Alepus e col favore del Comune, iniziarono nel 1531 le nuove perizie nel castel-lo ancora devastato. La prima di queste, datata 13 aprile riguarda le opere da eseguirsi edeseguite dal pittore Antonio Campus nella cappella del Castello. In particolare i due pit-tori stimano una spesa di 23 lire e 4 soldi per realizzare un cadro de tela ab lo devellamentde Nuestre Señor de la Creu, 8 soldi per pintar un esens grain e 13 soldi per mes y pintar unescus; la perizia estimativa dei due pittori venne pagata 10 lire e 13 soldi, moneta di Sas-sari. Il 16 novembre dello stesso anno troviamo un’altra perizia della quale, però, abbia-mo solo l’annotazione del pagamento di 13 lire, 60 soldi e 3 denari, corrisposti al Giglioper aver concluso il lavoro fatto assieme ad altri esperti fuster e lapicidi79.

I lavori iniziarono nel dicembre successivo attraverso l’utilizzo di manovalanza lo-cale che, a più interventi, costò alla municipalità 400 lire, 8 soldi e 8 denari80. I lavori ven-nero però interrotti e ripresi solo nel 1534, quando il 24 febbraio risultano retribuiti Gio-vanni de Rozza, per 1 giornata 8 soldi e 8 denari; Geronimo dello Grasso, per 6 giornate12 soldi; Giuseppe de Tori, per 6 giornate 6 soldi, per aver eseguito piccoli lavori semprenel castello81. Il 28 dicembre 1540 i fuster, Giovanni Maria Padano e mestre Giovanni dePagarazo, vengono incaricati di dipingere due catini per la regia corte per la somma di 50lire; fa da testimone Giovanni del Giglio82.

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71 R. TURTAS, Storia della Chiesa, cit., pp. 344-346. 72 AGS, Estrado, Aragón, 276, c. 49.73 AGS, Estrado, Aragón, 276, c. 46.74 AAS, G3, 88r.75 S. RUZZU, cit., p. 88.76 AAS, vol. G3, cc. 82, 89r, 90v. 77 S. RUZZU, cit., p. 89.78 G. G. CAU, I Manieristi Toscani. Pietro Giovanni e Ambrogio Calvano: due generazioni di pittori Senesi

nella Sassari del Cinquecento, in: “Almanacco Gallurese”, 13, 2005, pp. 54, 59-60.79 L. AGUS, Pittori, cit., p. 32.80 ASC, AAR, BC22, c. 13.81 ASC, AAR, BC23, c. 31v.82 L. AGUS, Pittori, cit., p. 32.

Il pittore Giovanni del Giglio doveva godere di una enorme stima in città, infatti,oltre ad essere in contatto con i principali protagonisti citati, risulta, su incarico del Co-mune, dal 31 gennaio 1532 e al 5 aprile 1543, procuratore e responsabile dell’Ospedale diSanta Croce83, per il quale, probabilmente, dipinse il retablo maggiore poi smembrato eora suddiviso tra la Parrocchiale di Cannero (NO) e il Museo di Ozieri (SS)84. Si sposòinoltre con Andreuccia Olives, sorella di Geronimo85, grande giurista e braccio destro diPedro Vaguer, visitatore del Regno di Sardegna con l’incarico di dirimere questioni insor-te tra il viceré Cardona e l’Inquisizione86.

Come si è visto, gli interventi riguardanti le fortificazioni di Sassari e Castel Arago-nese erano per lo più di piccola entità, mancava, infatti, un piano generale che le ade-guasse alle nuove esigenze belliche. In mancanza di un tale piano si pensava comunque aterminare quanto iniziato riguardante le sale di rappresentanza del castello di Sassari; perquesto la città incaricò il 4 gennaio 1541 il consigliere Francesco Cano Pala di stilare l’e-lenco degli addobbi necessari nel castello87 e, l’11 gennaio successivo, di amministrare ifondi stanziati ad acta88.

Nonostante le varie misure prese direttamente dall’imperatore, come quella d’inca-ricare il Conte di Oropesa già nel 1532 per fronteggiare la nuova ondata di invasioni tur-che che arrivavano via terra dall’Ungheria e che via mare avrebbero attaccato Napoli e laSardegna89, o quella grande spedizione contro Tunisi del 1535 guidata dallo stesso Carlo Ve che ebbe come base ultima Cagliari, l’isola rimaneva continua preda di scorribande eincursioni. Nell’aprile del 1537 11 navi turche naufragarono presso Porto Pino mentretentavano uno sbarco nell’isola90. Particolarmente gravi però, furono le incursioni del 1538a Porto Torres, quando fu saccheggiata la Basilica di S. Gavino, o quella del 1540, quan-do fu distrutta la villa di Olmedo. Si trattava soprattutto delle scorribande dei pirati Khaired-Din e Dragut, del rinnegato sardo Assan Agà, di Occhialì e di Assan Corso. Per que-sto Carlo V, il 7 aprile 1541, giunse un’altra volta in Sardegna ad Alghero, da dove guidòuna spedizione contro Algeri, impresa fallita a causa di un violento fortunale che distrus-se le flotte imperiali91.

Nel 1543 si apriva a Cagliari il Parlamento Generale convocato dal viceré Cardona,nel quale intervenivano i consiglieri di Sassari che lamentavano ancora i danni provocatidall’invasione francese e dalla pestilenza degli anni 1527-29. I rappresentanti della cittàchiedevano che venisse riconosciuto loro uno sgravio del donativo della città per “la ste-rilità di molti anni, l’invasione francese, la mortalità susseguita e poi per le sofferenze cau-sate dall’alloggio che si dovette dare alle truppe regie, essendo la popolazione ridotta a so-li 500 fuochi utili e diminuito il commercio anche per le infestazioni dei mori”92, non era

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83 Ibidem, p. 33.84 L. AGUS, Il Maestro di Ozieri, in: La Parrocchiale di S. Elena Imperatrice e i retabli del Maestro di Ozie-

ri, Bono (SS) 2001, p. 133-137; L. AGUS, Il Maestro di Ozieri, in “I Beni Culturali, Tutela e valorizzazione”, XI, 2,2003, p. 27.

85 L. AGUS, Pittori, cit., p. 33-34.86 F. MANCONI, Il governo del regno di Sardegna al tempo dell’imperatore Carlo V, Sassari 2002, pp. 61 ss.87 ASC, AAR, BC27, c. 15.88 ASC, AAR, BC27, c. 17v, 18r.89 AHN, SN, Frias, c. 21, d. 103.90 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 284, 26-31. 91 F. C. CASULA, La storia di Sardegna, Roma1998, p. 445.92 I. PRINCIPE, Le città nella storia d’Italia, Sassari, Alghero, Castelsardo, Porto Torres, Bari 1983, p. 63.

più in grado di pagare quanto richiesto. Con parte del donativo, inoltre, si chiedeva di re-staurare le mura, rinforzare e ripulire il porto di Torres, di riparare i molti ponti rovinatie cadenti, nonché assicurare la tranquillità del commercio e provvedere, sempre tramite ildonativo, al monastero di Santa Chiara, all’Ospedale di Santa Croce e a quello dei leb-brosi, infine di provvedere ad armare il castello con adeguata artiglieria93. Ciò che parti-colarmente colpiva l’economia di Sassari, oltre lo spopolamento, era che molte ville da es-sa dipendenti non pagavano il donativo, situazione che già provocò le lamentele di MatteoFigo che, in qualità di procuratore e luogotenente della città, scrisse il 10 gennaio 1531 alviceré chiedendo aiuto per risolvere tale situazione94 e questi problemi si riversarono poinel parlamento del 1543, come si è visto.

I lavori relativi al consolidamento delle mura e del castello di Sassari, probabilmen-te, iniziarono due anni dopo le petizioni, ossia attorno al 154595 o forse dal gennaio del1546 quando sono a Sassari Diego de Sena, Pedro Vaguer96 e Gerolamo Olives97, di rien-tro da Cagliari. Nonostante la ripresa dei lavori riguardanti alcune opere, questi risultaro-no del tutto insufficienti, tanto che tra febbraio e marzo del 1551 Alfonso Dercananeda,per conto del nobile don Gaspar de Centelles, sindaco dei castelli di Sassari e Castel Ara-gonese, scrisse al sovrano per chiedere aiuti urgenti per il Castello di Sassari che aveva“mucha necesidad de reparos”, allegando un memoriale con l’elenco dei lavori da eseguire.Per quanto riguardava Castel Aragonese si chiedeva, invece, un rinforzo della guardia98.Nel 1549 intanto era stata eretta dai sassaresi la torre di Monte Girat che permetteva ilcontrollo dei mari per la pesca del corallo99.

Il primo aprile 1551 fu lo stesso don Girolamo d’Aragall, viceré e luogotenente delRegno di Sardegna, in visita a Castel Aragonese a scrivere al sovrano per comunicargli lostato della città e delle fortificazioni, dando contestualmente delle possibili soluzioni perrinforzarle. Le modifiche e i restauri suggeriti dall’Aragall riguardavano i bastioni sia dal-la parte della chiesa di S. Antonio, dove se ha de fer un parapit de juntura de VI palms, siadalla parte del porto di Frigiano100. Altro problema, oltre alla predisposizione di un pianogenerale, era quello dei finanziamenti che dovevano essere ingenti e che solo la Corona di-rettamente avrebbe potuto sostenere. Della preoccupazione per il reperimento dei fondiper finanziare le spese di difesa dell’Isola, parla il vescovo Alepus in una lettera inviata l’8settembre 1551 al vescovo di Bosa, nella quale gli chiede se avesse avuto notizia circa il fat-to che la metà delle rendite ecclesiastiche dovute all’imperatore dovessero essere destinatealla guerra contra lo turchi, sintomo evidente che tale era la preoccupazione principale del-l’isola durante l’impero di Carlo V101.

I finanziamenti e le iniziative prese dall’imperatore su larga scala giunsero final-mente nel 1552. A Sassari furono stanziati 300 scudi per il restauro delle mura nei pressidi S. Sisto e delegato come assessore competente Matteo del Giglio, notaio e fratello del

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93 Ibidem.94 ASC, AAR, BC19, c. 16.95 I. PRINCIPE, cit., p. 63.96 Archivio di Stato di Sassari (=ASS), Archivio Storico del Comune di Sassari (ASCS), b. 1, fasc. 2, c. 25.97 ASS, ASCS, b. 1, fasc. 2, c. 26.98 AGS, Guerra y Marina, 41, c. 266.99 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 292, 28-29.100 AGS, Guerra y Marina, 41, c. 272.101 AAS, Vol. G3, c. 89r.

pittore Giovanni102. Mentre a Cagliari giungeva l’ingegnere cremonese Rocco Capellinocon l’incarico del sovrano103 di riprogettare le fortificazioni dell’isola secondo le moderneesigenze belliche e i nuovi principi rinascimentali104. Rocco Capellino, con il viceré Gero-lamo de Aragall, procedevano immediatamente ai sopralluoghi delle piazzeforti di CastelAragonese, Sassari, Alghero, Oristano e Cagliari105, prospettando rapidamente delle solu-zioni, in parte già anticipate dal luogotenente.

L’ingegnere cremonese era stato raccomandato al sovrano dal governatore di Mila-no Ferdinando Gonzaga, avendo maturato esperienza già nella realizzazione delle fortifi-cazioni di Cremona e Anversa quindi, successivamente, al servizio della Repubblica di Ge-nova, quando elaborò i piani delle fortificazioni di Ajaccio e Bastia. Il Capellino rimasenell’isola, pur con qualche assenza, dal 1552 al 1571, esercitando anche l’attività di carto-grafo che aveva già svolto ad Orano, nell’Africa settentrionale, al servizio della Spagna106.

L’idea del Capellino fu quella di realizzare nuovi bastioni e baluardi secondo le nuo-ve tecniche dettate dai trattati rinascimentali nelle città di Cagliari, Oristano, Iglesias, Al-ghero, Sassari e Castel Aragonese, più una serie di almeno 33 torri costiere per l’avvista-mento e la difesa107.

Proprio il problema della difesa della Sardegna, soprattutto dopo l’incursione diDragut a Terranova, che fu distrutta e incendiata nel 1552108, ritornava ad essere l’argo-mento al centro del dibattito parlamentare del 1553, quando il vescovo di Ampurias e Ci-vita proponeva di creare una milizia di archibugieri a cavallo e di procedere alla fortifica-zione delle città, affidando il compito ad esperti che sapessero fortificar alla moderna. Sitratta di un’espressione che si riscontra per la prima volta nelle fonti, mutuata senz’altrodal linguaggio dell’ingegneria militare che, nella seconda metà del Cinquecento, ebbe unforte sviluppo e una codificazione nei trattati109.

Il rafforzamento delle guarnigioni di Castel Aragonese, ad opera del governatoreAntioco Bellit, avvenne già nel 1553 con l’invio di circa 500 soldati, tra cui 200 sassaresi,100 galluresi e altrettanti sorsesi, comandati da Pietro Aymerich e Francesco Casalabria110.

L’epoca di Carlo V si chiudeva quindi con l’inizio di una vera e propria strategia ge-nerale di difesa dell’isola, che troverà compimento solo durante il regno di Filippo II conl’arrivo degli altri architetti italiani Jacopo e Giorgio Pelaro Fratino a partire dal 1563111.

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102 ASS, ASCS, busta 5, fasc. 5, c. 51.103 ASC, AAR, Risoluzioni, P4, c. 13.104 G. CAVALLO, Le fortificazioni di Cagliari, estr. da: Le architetture fortificate della Sardegna centro-meri-

dionale, conservazione e valorizzazione, giornata di studio 16 ottobre 1999, Ist. It. Dei Castelli, Cagliari 1999, p.12.

105 S. CASU, A. DESSÌ, R. TURTAS, La difesa del regno: le fortificazioni, in: La società sarda in età spagnola, I,a cura di F. MANCONI, Cagliari 1992, p. 69.

106 G. CAVALLO, cit., p. 12.107 O. ALBERTI, Le Carte di Rocco Capellino, in: “Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo e Archivio tradi-

zioni popolari”, XII (1970), n. 70, pp. 3-9; n. 71, pp. 3-10; n. 72, pp. 3-7.108 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 294, 20-25.109 S. CASU, A. DESSÌ, R. TURTAS, La difesa del regno, cit., p. 70.110 I. F. FARAE, De rebus Sardois, cit., p. 296, 7-12.111 G. CAVALLO, cit., p. 13.

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