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Le Mille e una notte nella Letteratura Araba Contemporanea

Date post: 03-Dec-2023
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA Dipartimento di scienze umanistiche CORSO DI LAUREA IN LINGUE E CULTURE EUROPEE ED EXTRAEUROPEE ____________________________________________________________________ MARIA CLOTILDE MAGLIA LE MILLE E UNA NOTTE NELLA LETTERATURA ARABA CONTEMPORANEA PROVA FINALE RELATORE: Chiar.ma Prof.ssa Mirella Cassarino ________________________________________________________________________________ ANNO ACCADEMICO 2015 - 2016
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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI CATANIA

Dipartimento di scienze umanistiche

CORSO DI LAUREA IN

LINGUE E CULTURE EUROPEE ED EXTRAEUROPEE

____________________________________________________________________

MARIA CLOTILDE MAGLIA

LE MILLE E UNA NOTTE NELLA LETTERATURA ARABA

CONTEMPORANEA

PROVA FINALE

RELATORE: Chiar.ma Prof.ssa

Mirella Cassarino

________________________________________________________________________________

ANNO ACCADEMICO 2015 - 2016

2

" للكاتة نيية ليالي ألف ليلة ويحلل الفصل الثاني الكتاب "

ألةف ليلة محفوظ. وهو يستعمل عناصر بعض القصص من "

النتقاد ميتمع وسياس مصةر. يححةش وة ول الكتةاب "ليل و

الذكريون عن هويتهم وهم في الحرب بين ال ير والشر فةيهم.

العواطةةف هةةم الةةا مةةن ويةةر ن وفاسةةوون ومت لحةةون مةةن

الحشري . حس اأي الكات ، اإلنسان هو المالك الوحيو لقةوا

وال يمكنه ت ير مصير ميتمعه إال بعقله وبمشيئته الحرة.

للكاتة محمةو "أخةر يتحوث فصل الثالش عن الكتاب "ليةا

الحساطي. بطل الرواي الرئيس هي امرأة: ياسمين. هةي امة

لعادات والقواعو التي تعتمو عليها تحرير النساء ألنها تتحو ا

يعتقةةو العالقةةات بةةين الرلةةا والنسةةاء فةةي الميتمةةع التقليةةوي.

الحساطي بأن اإلنسان لم يعو قاداا علة حماية وةرأل األسةرة

والميتمع المصري بأسر وهذا بسح تيويو وت ري مصر.

3

عربةي ال مةن أوةهر نصةول األدب انص هذ األطروح لتحل

بةةةين لحةةةو ا حاولنةةةا أن أظهةةةر أن ."ألةةةف ليلةةة و ليلةةة " القةةةويم:

يالي وهو نتيي طحقات عقلية تةأتي مةن ل رب هو ح الشرق وا

أسحاب تااي ي معين .

ألةةف ليلةة "عةةن قرأنةا وحللنةةا الكثيةةر مةن مقةةالت أدبيةة تتحةوث

" ومنهةةا كتابةةان ألفهمةةا الناقةةو الشةةريحي. يتحةةوث الكتةةاب ليلةة و

" وعن ترتي القصةص. أمةا ليل ألف ليل واألو عن تاايخ "

الكتاب الثاني فيحلل فيه الشريحي دوااليةن فةي اواية "ليةالي

ألف ليل " لنيي محفوظ.

( وللحاحث اليابني ويانقIrwinثم حللنا مقالت للكات ايروين )

(Ouyang) .وللكات الم ربي عحو الفتاح كيليطو

ألةةف ليلةة األطروحةة األو عةةن احلةة سةةفر "يتحةةوث فصةةل

" مةةةن الشةةةرق إلةةة ال ةةةرب بوايةةة مةةةن ترلمةةة الحاحةةةش ليلةةة و

( وعن الةو الميموعة إلة األدب Gallandالفرنسي والن )

ألةف ليلة العربي الحويش طةوا فتةرة "ألنه"ة ". أصةحح "

مةة الحواثةة وكةةذلك امةة الهويةة وليلةة " فةةي هةةذا العصةةر ا

العربي المتوعوة من األوكا األدبي ال ربي .الثقافي

4

RESUMEN

My dissertation looks at the ways in which the well-known magmatic collection of oriental tales

known as The Thousand and One Nights has been received in contemporary Arabic literature,

focusing on Egypt in particular. I have tried to show that the boundary between East and West is

purely imaginary and is rather consequence of mental categories created for historical reasons.

From a methodological point of view, I have used the most recent studies on the Nights, such as the

critiques by Aboubakr Chraibi, in particular those concerning the classification of the tales and the

role played by the jinn in the novel Arabian Nights and Days by Nagib Mahfuz. I have also drawn

upon the critiques by Robert Irwin and the contributions by Wen-Chin Ouyang and Abdelfattah

Kilito.

The first chapter of the dissertation deals with the journey of the Nights from East to West via the

translation of the French orientalist Antoine Galland and the return of the text into modern Arabic

literature during the period of the Nahda. It is in this period that The Thousand and One Nights

becomes a symbol representing not only modernity, but also the cultural identity of the Arab world

as it is being threatened by western models.

The second chapter deals with the novel Arabian Nights and Days by the Egyptian writer Nagib

Mahfuz, which re-elaborates tales from the Thousand and One Nights in a bid to create fresh new

look at social and political issues. The male characters of the novel are in search of their true

identity, a constant battle between the forces of good and evil struggling within them. They are

corrupt men with no God, overwhelmed by worldly human passions. According to Mahfuz, man is

the sole maker of his own destiny and can change that of society thanks to intelligence and free will.

Finally, the third part of the dissertation analyses the novel Other Nights by Muhammad al-Busati.

The main character is a woman, Yasmìn. She is the symbol of emancipation because she challenges

the social conventions governing the relationship between man and woman in traditonal society.

According to al-Busati, as a result of the modernisation and westernisation of Egypt, man is no

longer able to protect the honour of the family, nor that of the entire Egyptian nation.

5

INTRODUZIONE

La tesi nasce dalla passione che ho nutrito per la lingua e la cultura araba, il

cui studio, dopo anni dalla mia prima laurea in Lingue e Letterature straniere

moderne, mi ha permesso, nel tempo, di acquisire una visione del mondo “altra”, fino

ad allora completamente sconosciuta, e di “svelare” alcuni dei più comuni stereotipi

sul mondo arabo, derivanti da una lettura distorta e viziata di stampo prettamente

occidentale. I miei studi di lingua, storia e letteratura araba, e, infine, la scelta, per la

tesi finale, dell’analisi di una raccolta di storie molto controversa del periodo classico

come quella delle Mille e una notte, nonché la lettura attenta di vari studi critici

sull’argomento, hanno contribuito ad avvalorare la mia ‘ri’velazione iniziale, e cioè

quanto il confine tra Oriente e Occidente sia puramente immaginario e solo

apparentemente incolmabile e sempiterno, e come esso sia, in realtà, solo il frutto di

categorie mentali sedimentate nell’immaginario collettivo, e di strumentali

sovrastrutture alimentate da ragioni storiche ben precise.

La prima parte della tesi, ragionando sullo statuto delle Mille e una notte nella

cultura araba classica per poi passare all’analisi della visione orientalista e della

globalizzazione occidentale delle Mille e una notte, costituisce il tentativo di

restituire consapevolezza al lettore di quanto questa dicotomia tra i due mondi sia

illusoria, fittizia e fuorviante, richiamando alla memoria lo scambio osmotico

profondo che sin dall’epoca classica ha visto come protagonisti questi due mondi.

Scambio di cui la raccolta delle Mille e una notte è divenuta simbolo suo malgrado, a

dimostrazione di come, contrariamente al pensare comune, questi due poli non siano

sempre stati in opposizione tra loro.

Protagonista assoluto di questo continuo scambio culturale è il testo classico con il

suo viaggio da oriente a occidente per mezzo della nota traduzione dell’orientalista

francese A. Galland, e poi con il suo ‘ri’approdo nella narrativa araba moderna

durante il periodo della Nahda, che trasformerà le Mille e una notte in un nuovo

simbolo di modernità, depositario ideale di quell’identità culturale araba minacciata

dai modelli letterari occidentali. Attraverso l’intertestualità, gli scrittori arabi

moderni utilizzeranno nuove strategie narrative, come ad esempio il recupero di testi

6

appartenenti al patrimonio letterario arabo classico per fornire alla prosa araba una

nuova caratteristica culturale identitaria, che dia voce all’affermarsi delle nuove

nazioni-stato del periodo postcoloniale, e che sia, al contempo, espressione di un

rinnovamento politico, sociale e culturale e creazione di una nuova tradizione.

Nella seconda parte della tesi viene analizzato il romanzo Notti delle Mille una notte,

uno degli scritti meno conosciuti di Najīb Mahfūz noto scrittore egiziano che più di

ogni altro si adoperò per il superamento di ogni rigida categoria mentale, sfidando

ogni censura nella società egiziana del tempo, allo scopo di azzerare il concetto

stesso di canone letterario, mirando a un sincretismo nuovo fra tradizione e

modernità, passato e presente, in cui le differenze e le influenze reciproche tra le

diverse culture potessero fondersi e dissolversi all’interno del testo letterario, e le

letterature del mondo ‘con’fondersi in un continuum narrativo globale, riservando

allo scrittore moderno soltanto la funzione di ‘per’seguire la realizzazione di una

giustizia politica e sociale universale.

Mahfūz scorge all’interno delll’atmosfera favolistica della narrazione delle

Mille e una notte, il germe di una denuncia politica e sociale, aprendo una strada fino

allora mai percorsa nella letteratura araba contemporanea, quella della riscrittura in

chiave politica delle Mille e una notte, liberando il testo dalle connotazioni negative

che lo avevano caratterizzato, prima in oriente e poi in occidente. Mahfūz, partendo

dall’ultimo racconto di Shahrazād, continua la narrazione delle Notti, riportando alla

vita molti dei personaggi dei racconti originari, che, liberati dalle strettoie delle

avventure improbabili, fantastiche e inverosimili di cui sono protagonisti, vengono

catapultati nel caos dell’esistenzialismo moderno, dove rivelano tutta la loro fragilità

umana.

In una società tradizionalmente patriarcale, i personaggi prevalentemente

maschili delle Notti di Mahfūz, sono alla continua ricerca della propria identità, in

lotta tra le forze del bene e del male che albergano dentro di loro, preda di passioni

incontrollabili, questi uomini rimarranno soli e irrisolti, senza Dio, alla continua

ricerca esistenziale di una verità e una saggezza universale che si riveleranno

irraggiungibili, alla mercè di jinn buoni e cattivi, di eventi magici e fantastici che non

rappresenteranno, come nelle Mille e una notte, solo un elemento di digressione

temporanea dall’ordine costituito prima del ritorno alla normalità, ma saranno forze

catalizzatrici di passioni umane bieche e corrotte, attraverso le quali Mahfūz lascerà

intendere come sia l’uomo il solo artefice del proprio destino, in quanto spetta alla

7

sua intelligenza e al giusto esercizio del libero arbitrio volgere al bene le sorti della

società in cui vive e opera e dell’umanità tutta.

Nella terza e ultima parte della tesi viene analizzata un'altra riscrittura delle

Mille e una notte, operata da al-Busāt ī nel suo romanzo Altre Notti. Quella di al-

Busātī, al contrario, è una narrazione tutta al femminile. Yasmīn, rappresenta, infatti,

per l’autore la possibilità di sfidare le norme e le convenzioni che regolano i rapporti

tra i sessi nella società tradizionale. Attraverso il distacco dalla famiglia di origine e

il suo allontanamento dal villaggio natale del personaggio femminile, l’autore

descrive la società rurale egiziana come ormai marginale ed evanescente e la città

come luogo di profonda alienazione, in cui albergano i nuovi e deteriori valori della

modernità. La donna, infatti, simbolo femminile di emancipazione, rappresenta quasi

l’alter ego del sultano Shahriyār; come lui, Yasmīn possiede uomini appena

conosciuti, incontrati nei locali e nelle strade del Cairo, uomini che muoiono subito

dopo in circostanze misteriose.

Per al-Busātī, la perdita di coscienza e identità della protagonista femminile,

alienata e sola, sarà la conseguenza di una modernizzazione/occidentalizzazione

forzata, non consapevole, in cui l’uomo non è più in grado di proteggere l’onore

familiare, metafora dell’intera comunità nazionale egiziana. Una donna la cui

sessualità è fuori controllo fa vacillare l’intero assetto della nazione.

8

Traslitterazione

Per la traslitterazione dall’arabo si è adottato un sistema semplificato in modo da non

rendere eccessivamente complessa la lettura. Per individuare e riprodurre i fonemi

dell’arabo si tenga presente quanto segue:

- l’alfabeto arabo prevede tre vocali che possono essere brevi [a, i, u] o lunghe [

ā, ī, ū] queste

ultime da leggersi come se fossero “doppie” [aa, ii, uu].

- la pronuncia enfatica propria di alcune lettere si ottiene per velarizzazione,

cioè appoggian-

do la lingua contro gli alveoli e inarcandola verso la parte posteriore del cavo orale.

‘ colpo di glottide, come un forte iato (laringale occlusiva sonora)

‘ forte contrazione faringale (faringale fricativa sonora)

b come in italiano (bilabiale occlusiva sonora)

d come in italiano (alveodentale occlusiva sonora)

d enfatica della d (alveodentale occlusiva sonora enfatica)

dh come th nell’inglese this (interdentale fricativa sorda)

f come in italiano (labiodentale fricativa sorda)

gh come nell’italiano ghiro (ululare fricativa sorda)

h come h nell’inglese home (laringale fricativa sorda)

h come una h molto aspirata (faringale fricativa sorda)

j come j nel francese jeudi o come g nell’italiano gelo (palatale affricata sonora)

k come c nell’italiano casa (velare occlusiva sorda)

kh come ch nel tedesco nicht (ululare fricativa sonora)

l come in italiano (alveodentale laterale)

m come nell’italiano mora (bilabiale nasale)

n come n nell’italiano nave (alveodentale nasale)

q (ululare occlusiva sonora)

r come in italiano (alveodentale vibrante)

s come nell’italiano sarto (alveodentale fricativa sorda)

9

s enfatica della s (alveodentale fricativa sorda enfatica)

sh come sc nell’italiano scena (prepalatale fricativa sorda)

t come in italiano (alveodentale occlusiva sorda)

t enfatica della t (alveodentale occlusiva sorda enfatica)

th come th dell’inglese thank (interdentale fricativa sorda)

w come come u nell’italiano uomo (semivocale bilabiale)

y come i nell’italiano ieri (semivocale bilabiale)

z come s nell’italiano svolta (alveodentale fricativa sonora)

z enfatica della z (alveodentale fricativa sonora enfatica)

- la lettera hamza [’] iniziale non è mai stata traslitterata;

- la tā marbuta, fonema tipico del femminile singolare, è stata traslitterata solo

dopo una ā, come nella parola s alāt [preghiera canonica] o quando si trova in stato

costrutto, come nell’espressione madināt al-Salām [la città della Pace).

10

I. Le Mille e una notte nella letteratura araba

La nostra generazione ha radicato questo difetto, ch’essa rifiuta di

ammettere quello che sembra venire dai moderni. Anche quando

trovo un’idea personale, se voglio renderla pubblica, la attribuisco

a qualcun altro e dichiaro: E’ il tale che l’ha detto, non io. E, per

evitare l’inconveniente che si pensi che io abbia, io, ignorante,

tirato fuori dal mio proprio sacco le mie idee, faccio in modo che le

si creda tratte dai miei studi arabi.

A. Kilito, L’autore e i suoi doppi

la menzogna è una bestemmia, un oltraggio alla creazione divina;

frutto di una immaginazione nefasta, essa sovverte l’ordine del

mondo e trascina con sé una serie di catastrofi. Non si ascolta una

storia inventata senza subire un grave danno.

A. Kilito, L’occhio e l’ago

1.1. Lo statuto delle Mille e una notte nella cultura araba

classica

Analizzare il posto che le Mille e una notte occupano all’interno della

letteratura araba, come fa notare Aboubakr Chraïbi, non è compito facile, poiché è

già abbastanza complesso definire, all’interno del vasto mondo arabo, sia il concetto

di letteratura, sia cosa intendiamo per arabo:

La littérature arabe, sans préciser ce que littérature et arabe peuvent

vouloir dire, concerne le Maroc, la Mauritaine, la Tunisie, la Lybie,

l’Egypte, le Soudan, la Syrie, la Palestine, Israel, la Jordanie, le Liban,

l’Irak, la presqu’île d’Arabie bien entendue, l’Andalousie à une certaine

époque, l’Iran médieval aussi, l’île de Malte, la Sicile et d’autres régions

encore. Dans la plupart des cas, en tenant compte des différentes périodes

d’arabisation (temporaires ou durables), cette histoire s’étale sur plusieurs

centaines d’années, voire une dizaine ou une quinzaine de siècles. Les

11

espaces délimités semblent former une ligne continue, un seul bloc, mais

ils ne sont pas nécessairement homogènes. Ils n’ont pas évolué, sur une

aussi longue durée, de la même manière. La stratification culturelle, avant

et après arabisation, voire désarabisation, est extremement variée […].

Les pays et les époques concernés donnent l’impression d’être un

assemblage à la fois légitime et singulier. En réalité, c’est un assemblage

d’une grande complexité, difficile à embrasser d’un seul regard, et qui

n’est sans doute pas porteur partout des mêmes significations. Il en va

sensiblement de même pour les Mille et une nuits.1

Le Notti sono un testo complesso, stratificato nel tempo, difficile da definire:

Les Nuits sont représentées par plusieurs textes, manuscrits, éditions,

traductions, composés sur une longue période, de l’IXème au XIXème

siècle, et en plusieurs lieux. Elles n’utilisent pas spécifiquement l’arabe

classique et fournissent une extraordinaire variété de récits, qui diffèrent

par leur taille, leur thématique, leur registre d’expression, leur

localisation, leur époque, etc.2

Secondo Chraïbi, inoltre, non è possibile comprendere lo statuto delle Notti

senza operare una classificazione dei racconti, e senza cogliere analogie e

similitudini con altri testi narrativi che circolavano nelle medesime epoche. Nel

saggio The Arabian Nights and the Popular Epics, incluso nella nota raccolta

miscellanea The Arabian Nights Encyclopedia, a cura di Marzolph e Van Leewen,

Remke Kruk sottolinea, infatti, come «the Arabian Nights was just one of the waves

in the vast sea of stories that engulfed the Middle East»,3 rivendicando sia

l’importanza dei romanzi cavallereschi all’interno della narrativa popolare araba

classica, sia la stretta relazione – quanto a materiali e contenuti narrativi – che lega le

Notti ai cicli epici arabi.

1 A. Chraïbi, Les Mille et Une Nuits. Histoire du texte et classification des contes, L’Harmattan, Paris

2008, p. 11. 2 Ibidem.

3 R. Kruk, The Arabian Nights and the Popular Epics, in AA.VV., The Arabian Nights Encyclopedia,

a cura di U. Marzolph, R. Van Leewen, ABC-Clio, Santa Barbara 2004, pag. 34.

12

1.1.1. La narrativa araba popolare

Per letteratura popolare, secondo Chraïbi sarebbe da intendersi quella dei

racconti legati, appunto, alla tradizione popolare che circolano oralmente, tipici di

una cultura e di una parlata regionale. In Europa, tali racconti sono stati raccolti in

forma scritta a partire dal XIX secolo, per essere poi classificati in base al loro grado

di somiglianza:

Les recueils de contes de ce genre, une fois enregistrés par écrit, se

présentent comme une succession de textes (merveilleux, humoristiques,

sapientiaux, animaliers, étiologiques, etc.) liés par le fait d’être

originaires d’un même conteur ou, plus généralement, d’un même espace

culturel, et véhiculés par un même dialect.[…]. Tout cela forme une

littérature qui est l’expression traditionnelle d’une collectivité,

appropriable par chacun, produite par et pour le peuple.1

Esiste poi, continua Chraïbi, un secondo tipo di letteratura popolare che inizia

con l’invenzione della stampa, a seguito della quale, a partire dal XIX secolo, si

diffonderanno, ad esempio, il romanzo popolare di cappa e spada e quello

d’avventura. Questa letteratura scrive Chraïbi:

ne passe pas le filtre de la mémoire ni par une quelconque sélection à

travers les générations. Elle est populaire parce qu’elle est d’abord

destinée au plus grand nombre, qui ne prend lui-même aucune part dans

sa production.2

Sul versante letterario arabo, Kruk individua due importanti "diramazioni"

della narrativa popolare: da una parte, «the vast corpus of folktales that circulated in

the Middle Eastern world, incorporating many stories similar to those found in the

Arabian Nights»;3 dall’altra, l’epica popolare, comprendente i cicli narrativi

conosciuti in arabo come sīra.4 Kruk cita, tra le altre, la Sīrat ‘Antara, la Sīra

1 Ivi, pag. 15.

2 Ivi, pag. 16.

3 R. Kruk, The Arabian Nights, op. cit., pag. 34.

4 I grandi romanzi medioevali arabi di carattere epico, come ad esempio il ciclo di Baybars, venivano

letti in pubblico da cantastorie professionisti che adattavano il difficile linguaggio classico a quello del

pubblico, creando uno scarto tra il contenuto del manoscritto e la versione ‘popularisée’

dall’intermediario, il h akawāti.

13

Hilāliyya e la Sīrat Dalhama, disponibili in stampa già intorno alla prima metà del

XIX secolo.1

Molti manoscritti di queste siyar, che risalgono al periodo tra il XII e il XV

secolo, circolavano nella Cairo mamelucca e costituivano il contenitore al quale

attingevano i narratori dell’epoca: non è un caso che temi e intrecci si ripetessero nei

diversi cicli, né che i nomi delle eroine fossero talvolta identici, come quello di

Maryam al-Zunnāriyya, che si trova tanto nella Sīrat Baybars quanto nelle Notti; in

altri racconti delle Notti, come quello di Hasan di Basra si riscontra invece come il

materiale narrativo sia identico a quello della Sīrat Sayf ibn Dhī Yazān. Va anche

detto che la raccolta delle Mille e una notte contiene al suo interno intere sīra, tra cui

la più estesa è la storia del re ‘Umar ibn al-Nu‘umān. Altro contenuto comune alle

Notti e ai racconti epici arabi è il materiale narrativo riferito alle Crociate: alcune

storie delle Mille e una Notte propongono, infatti, lo stereotipo della donna cristiana

impegnata nelle Crociate che si innamora di un uomo musulmano e si converte

all’Islām, trasformandosi in attiva combattente contro i confessori del suo precedente

credo religioso. Peraltro, lo stesso fatto che il più antico manoscritto della Sīrat

‘Antara risalga al XV secolo e fosse già circolante nella Cairo mamelucca del XIV-

XV secolo potrebbe considerarsi una prova dello stretto legame con la cosiddetta

“prima recensione egiziana” delle Mille e una Notte da parte di narratori

professionisti dell’epoca.

1.1.2. Statuto del racconto

Lo statuto del racconto è definibile, secondo Chraïbi, sulla base di criteri

specifici, tra cui la lunghezza – indicatore prezioso del genere di appartenenza –, ma

anche la tipologia dei personaggi, il registro linguistico, la messa in scena, il

paratesto e il contesto.

Per quanto riguarda il registro linguistico, Chraïbi individua tre categorie

all’interno della cosiddetta “letteratura araba” o “genere narrativo arabo”:

1 R. Kruk, The Arabian Nights, op. cit., pag. 35.

14

il y a un arabe dialectal ouvert et multiple, qui correspond aux différentes

pratiques régionales, puis un autre, fédérateur, qui relève de la langue

classique telle qu’elle a été pratiquée par les savants et fixée par les

grammairiens, et enfin un troisième, qui se pratique par écrit, à une

grande échelle, dans la correspondance des marchands, chez quelques

historiens, mais aussi dans une littérature de divertissement comme les

Mille et une nuits.1

Chraïbi cita come esempio Ibn Qutayba (m. 267/889), primo autore arabo ad

aver impiegato simultaneamente più registri linguistici all’interno del suo ‘Uyūn al-

akhbār, opera in cui forme dialettali correnti si mescolano a costrutti grammaticali

tipici della lingua colta: in tal modo, Ibn Qutayba ha contribuito a inaugurare quel

terzo registro linguistico, più o meno tollerato dai puristi, utilizzato in diverse opere

di “littérature moyenne”, tra cui le Notti sono le più note.2

Quanto all’aspetto paratestuale, Chraïbi ricorda che, quando si parla di

Medioevo, si fa di solito riferimento a manoscritti, raccolte o compilazioni in cui il

nome dell’autore o l’identità dei trasmettitori costituirebbero i soli criteri in base ai

quali conferire valore e autorità all’opera stessa:

à l’époque médiévale où il ne s’agissait que de manuscrits, de recueils et

de compilations, est le nom de “l’auteur”, qui était, avec la chaine des

transmetteurs (isnād), le principal repère au niveau para textuel. Le nom

de l’auteur fixe l’horizon d’attente du lecteur, mais aussi la valeur même

de l’ouvrage médiéval, et bien entendu son autorité.3

D’altro canto, la natura anonima del testo, concedendo ampi margini di

manipolazione ai diversi narratori, che di volta in volta lo impreziosivano e lo

trasformavano al fine di adeguarlo alle esigenze culturali del tempo, forniva una

precisa indicazione del suo statuto e della sua funzione “sociale”. Proprio

l’anonimato costituiva un ulteriore carattere distintivo della cosiddetta “letteratura

media”:

L’aspect para textuel d’un texte, son anonymat, fournissait aussi à cette

époque une indication sur son statut (ou peut se l’approprier, et donc

modifier comme bon nous semble la leçon du texte) et sa fonction

principale (ici, de l’ordre du récréatif). Il est important de comprendre ce

1 A. Chraïbi, Les Mille et Une Nuits, op. cit., pag. 13.

2 Ivi, pag. 12.

3 Ivi, pag. 13.

15

qui pouvait impliquer cet anonymat […] car c’est aussi l’un des traits

majeurs des Mille et une Nuits et, plus généralement, de la littérature

moyenne.1

Anche l’aspetto contestuale risultava importante al fine di stabilire lo statuto

di un’opera; tuttavia, risalire al contesto non era sempre un’operazione semplice,

giacché un medesimo racconto o gruppo di racconti si riproponeva identico

all’interno di testi di genere completamente diverso. Ciò ha portato Chraïbi a

domandarsi che statuto accordare a un racconto che compaia, nella medesima forma,

«dans une exégèse coranique, chez un géographe et dans les Mille et une nuits».2

1.1.3. Le Mille e una notte tra oralità e scrittura

Il testo scritto rivestiva un ruolo importantissimo per i narratori medievali:

diversi studi della prima metà del XX secolo sui narratori del Marocco mostrano non

soltanto che gli spettacoli ispirati alle sīra venivano tratti da fonti ora orali ora scritte

e che l’interazione tra tradizione orale e scritta era un processo continuo, ma

soprattutto che i testi scritti detenevano un ruolo fondamentale nella trasmissione

orale delle storie al pubblico.

Esiste, tuttavia, una chiara dicotomia tra discorso scritto e parlato nella

letteratura araba classica. Antonella Ghersetti analizza, in particolare, lo speciale

statuto della parola presso l’élite colta arabo-islamica e il modo in cui gli scrittori

arabi riproducevano l’oralità e la parola parlata all’interno dei cosiddetti akhbār o

racconti brevi:

Accanto ad un corpus letterario di notevolissime dimensioni e alla

fiorente attività dei copisti, accanto al collezionismo appassionato di libri,

resta prioritaria, nella civiltà araba classica, una logica legata alla

dimensione della parola parlata. Nel mondo arabo del passato (ma in

alcuni casi anche in quello moderno) l’economia della conoscenza, per

esempio, poggia su basi orali/aurali e la trasmissione del sapere passa

sostanzialmente per la parola parlata. Ove poggi su un supporto scritto, è

la dimensione orale della recitazione davanti al maestro (comprovata da

1 Ivi, pag. 14.

2 Ivi, pag. 15.

16

appositi certificati) e non quella visuale della lettura individuale che ne

convalida l’efficacia.1

Quello che Walter Ong ha definito il carattere “verbo-motorio” della società

araba ha influenzato – continua Ghersetti – «in maniera determinante le convenzioni

e le regole costitutive della narrativa».2

Il vasto potere della parola è chiaramente visibile anche all’interno delle

Notti:

Una rappresentazione efficace dello statuto della parola parlata nella

cultura arabo-islamica e del suo rapporto con la parola scritta si trova

nelle Mille e una Notte. Quest’opera, la più nota della letteratura araba,

simboleggia icasticamente l’apoteosi sia della narrazione che della parola

parlata. Vi si riscontra, infatti, la rappresentazione retorica di una

situazione enunciativa in cui coesistono i tre poli tipici della narrativa

orale: la narratrice, il pubblico e la narrazione che costituisce l’oggetto

dell’enunciazione.3

Le Mille e una notte sarebbero, dunque, una perfetta ed efficace

rappresentazione dello statuto della “parola orale” nella cultura arabo-islamica e del

suo conflittuale rapporto con la “parola scritta”. Come scrive Ghersetti:

uno statuto ibrido o intermedio è dunque quello che più ragionevolmente

va riconosciuto a quest’opera che attinge sia alla parola parlata e al

patrimonio folklorico (per definizione orale) che alla parola scritta e alla

tradizione colta (per definizione scritta). Statuto intermedio che

rappresenta bene il rapporto complesso, a volte ambiguo, che lega la

parola parlata alla parola scritta nella cultura arabo-islamica dove la

parola parlata era prioritaria.4

La parola scritta, continua la studiosa, veniva considerata solo come supporto

mnemonico alla ritenzione del discorso orale e, almeno fino alla prima metà del VII

secolo, era ritenuta poco affidabile rispetto alla trasmissione orale, considerata da

sempre garante di autenticità, per due ragioni: la prima legata alle caratteristiche

dell’alfabeto arabo, che dava spesso adito a problemi di interpretazione del testo

1 A. Ghersetti, Parola parlata: convenzioni e tecniche di resa nella narrativa araba classica, in

Academia.edu, rivista on-line, Annali di Cà Foscari XLV2, 2006, pag. 71. 2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 73.

4 Ibidem.

17

scritto, ostacolando di fatto una fedele rappresentazione della parola parlata; la

seconda, non meno importante, legata alle origini stesse della religione islamica, il

cui Libro sacro si basa interamente sulla rivelazione orale delle sure al profeta

Muhammad da parte dell’arcangelo Gabriele.

Anche all’interno delle Mille e una notte, l’oralità fa da padrona, benché

Shahrazād, come ricorda ancora Ghersetti, sia depositaria:

di un patrimonio culturale che travalica la dimensione orale: Shahrazād è

una persona che ‘aveva letto, i libri, le storie, le gesta dei re antichi e le

notizie dei popoli passati, tanto che si dice avesse raccolto mille libri di

storie attinenti alle gesta antiche. […] è la dimensione scritta, della

fruizione individuale, non collettiva, visiva e non uditiva, alla quale

Shahrazād attinge per riproporre una situazione narrativa che pertiene

all’ambito della parola parlata e della dimensione orale/aurale.1

È ad ascoltatori – Shahriyār e Dunyazād –, e non a lettori, che Shahrazād si

rivolge, ricreando una situazione di trasmissione orale del sapere tipica della società

arabo-islamica sin dalle origini, dove il narratore – in questo caso la narratrice – non

fa che trasmettere un patrimonio di storie appartenenti all’immaginario collettivo

arabo che, come afferma Kilito:

si raccontano ma non si inventano; sono là, sono sempre state là, sospese

come frutti maturi ad un albero eterno […]. La narrazione di queste storie

è un atto che ripete un numero indefinito di analoghi atti anteriori, senza

che sia possibile, e nemmeno concepibile, risalire a una fonte originaria

da cui tutte sarebbero scaturite.2

È evidente, pertanto, che l’opera partecipa dello scambio osmotico tra oralità

e scrittura che ben descrive l’antico e complesso rapporto tra parola scritta e parola

parlata, quello che Giuliano Lancioni ha chiamato «il paradosso dell’oralità».3 Se,

sottolinea Ghersetti, studiosi quali Molan hanno evidenziato diversi elementi che

indurrebbero a pensare a una trasmissione prevalentemente orale – formule di

apertura e chiusura usate da Shahrazād,4 l’utilizzo sporadico di una parlata “media”

1 Ibidem.

2 A. Kilito, L’occhio e l’ago. Saggio sulle Mille e una notte, Il Melangolo, Genova 1994, pag. 24.

3 Citato in A. Ghersetti, Parola parlata, op. cit., pag. 71.

4 Cfr., ad esempio, il saggio di Kathrin Müller, Formulas and Formulaic Pictures: Elements of Oral

Literature in the Thousand and One Nights, in AA.VV., The Arabian Nights and Orientalism.

18

diversa dalla lingua utilizzata tradizionalmente per la scrittura, l’impiego di verba

dicendi, le allocuzioni al pubblico e la gestualità attribuita al narratore, oltre a ellissi,

ripetizioni e incongruenze tematiche , altri studiosi, quali Hamen Anttila, fanno

notare, dal canto loro, come proprio queste caratteristiche siano parte di convenzioni

che caratterizzano anche i testi scritti e non costituiscano, pertanto, prova

inconfutabile della dimensione orale dell’opera.

1.1.4. Classificazione e valore letterario delle Mille e una notte

Di fatto, spiega Chraïbi, sia le Notti che altri testi appartenenti al medesimo

genere non sono propriamente riconducibili né al campo della letteratura colta né a

quello della produzione popolare; essi appartengono piuttosto alla categoria della

letteratura “media”:

[…] si les folkloristes écartent et poussent vers le “classique” ces textes,

et si les spécialistes de la littérature classique les écartent aussi et les

poussent, eux, plutôt vers le “populaire”, c’est qu’ils n’ont leur place ni

chez les uns ni chez les autres, mais quelque part entre les deux. C’est

pourquoi il semble naturel de parler d’un type intermédiaire ou moyen, et

de qualifier les textes analogues, et ils sont nombreux, de littérature

intermédiaire ou moyenne.1

Le opere appartenenti a questo genere “medio” hanno un grado di

permeabilità estremamente elevato, per riprendere la terminologia impiegata da

Chraïbi:2 in effetti, una stessa storia può essere ritrovata in diverse raccolte, ed è per

questo che lo studio del singolo racconto non può prescindere dalla disamina delle

diverse varianti esistenti. Proprio dal fatto di provenire da diversi manoscritti

circolanti all’epoca, che “narratori-letterati” prendevano in prestito dai librai in

cambio di somme di denaro, deriva il carattere eterogeneo di molte storie delle Mille

e una notte.

Perspectives from East and West, a cura di Y. Yamanaka, T. Nishio, I.B. Tauris, London-New York

2006, pp. 47-67. 1 A. Chraïbi, Les Mille et Une Nuits, op. cit., pag. 19.

2 Ibidem.

19

Dal punto di vista del mero apprezzamento letterario, le Notti furono per

lungo tempo ignorate dalle élite arabo-musulmane. Kruk fa notare come, pur

contenendo al loro interno interi cicli epici e nonostante lo stresso rapporto che le

lega al genere delle sīra, le Mille e una notte non godessero del favore di pubblico

riservato alle narrazioni di gesta eroiche e storie di avventura; piuttosto, esse

venivano considerate alla stregua di «lies and sorcery».1

Ci sembra interessante citare, a questo proposito, la visione proposta dalla

studiosa egiziana Ferial Ghazoul, la quale definisce la raccolta delle Mille e una notte

un’anti-sīra. Analizzando la sīra incorporata all’interno della storia di ‘Umar ibn al-

Nu‘umān, Ghazūl spiega come essa venga capovolta nei suoi valori e nella sua

funzione, quasi a diventare una parodia, un’anti-sīra appunto. In essa, la struttura

esterna rimane fedele al genere, mentre lo scopo della forma interna viene

compromesso attraverso la trasformazione dell’eroe in anti-eroe: Shahrazād è

l’eroina immobile che, al contrario di ‘Antara, non vaga per tutto il mondo arabo

medievale compiendo eroiche gesta; l’eroina che riferisce parole altrui, gesta non

proprie, eventi già accaduti – che l’autrice chiama meta-mimesis –, storie che si

ripetono in maniera circolare e che sembrano non giungere mai a una conclusione.

Le Notti, quindi, si servirebbero della sīra per deformarne lo scopo, mirando

non all’edificazione, bensì al divertimento; gli stessi personaggi di ‘Umar ibn al-

Nu‘umān e Shahriyār non sono che due figure opposte, in cui trovano incarnazione

da una parte la saggezza, dall’altra la scelleratezza.

È proprio in questo che consisterebbe, secondo Ghazoul, l’ambizione ironica

delle Notti che, incompresa da molti critici, avrebbe contribuito alla definizione del

testo come opera di scarsa qualità letteraria. Viceversa, il valore dell’opera

risiederebbe proprio in questa ironia giocata al lettore, posto dinanzi al ribaltamento

del genere convenzionale della sīra, di cui viene trasformata la struttura tipica in cui

la vita di un eroe diventa narrazione: qui, invece, la narrazione diventa vita.2

Un’altra ragione del mancato successo delle Notti presso i letterati colti

dell’epoca risiede, probabilmente, nel fatto che i racconti si soffermano, per la prima

volta, sull’aspetto straordinario e sorprendente della storia, al-‘ajība wa-l-gharība,

piuttosto che su quello serio (al-jidd): il racconto didattico e argomentativo, volto a

trasmettere degli insegnamenti e tipico della cultura indiana, ha lasciato il posto,

1 R.Kruk, The Arabian Nights, op. cit., pag. 36.

2 F. Ghazūl, Nocturnal Poetics: the Arabian Nights in Comparative Context, American University in

Cairo Press, Cairo 1996, pp. 46-54.

20

cioè, a quello che Chraïbi chiama “sistema dello scambio definitivo”, peculiare delle

culture fondate sul monoteismo, in cui le azioni straordinarie permettono di salvare

una vita o, al contrario, di sacrificarla.1

D’altronde, va detto che, come ricorda André Miquel:

Le gout et la norme de la culture générale du temps recommandaient de

mélanger les genres, d’associer ou d’alterner le sérieux et le plaisant (al-

jidd wa-l-hazl) pour mieux faire passer le premier.2

Tuttavia, l’esercizio di mischiare il serio al faceto non era sempre equilibrato,

e i letterati colti ne denunciavano gli eccessi; un autore come al-Jāhiz dovette pagare

un prezzo molto alto per aver praticato in modo “pericoloso” quello che Miquel

chiama l’exercice du mélange, guadagnandosi l’epiteto di buffone:

L’exercice du mélange des genres est en effet périlleux et l’appréciation

portée sur lui volontiers encline à dénoncer les excès […]. Pour revenir

au cas d’al-Jāh iz , un grand auteur, un auteur sérieux comme lui n’as

pas été sans payer le prix de ce style à deux visages et à haut risque, et sa

carrière posthume ne lui a pas toujours évité l’épithète d’amuser patenté,

excessif, tranchons le mot: de bouffon.3

Ora, se al-Jāhiz venne aspramente criticato per il suo ricorso eccessivo al

faceto, come avrebbero potuto le Notti, frutto di autori anonimi, incontrare

l’approvazione del pubblico colto, che si nutriva solo di autori “patentati”?

Neppure la presenza di un personaggio del calibro di Hārūn al-Rashīd4 sarà

sufficiente a riscattare l’opera, anche considerando la doppia stroncatura da parte di

due autori accreditati dell’epoca, Mas‘ūdī e Ibn al-Nadīm, da cui ebbe origine la

classificazione delle Notti come “littérature de seconde zone”.5

In generale, la diffidenza dei letterati colti dell’epoca verso la “fictional

literature”, come sottolinea Bonebakker, era tale da destare grande preoccupazione

per la propria reputazione persino in un autore come Harīrī (m. 516/1122):

1 A. Chraïbi, Les Mille et Une Nuits, op.cit., pag. 89.

2 A. Miquel, Naissance, éclipse et résurrection, in AA.VV., Mille et un contes de la nuit, a cura di C.

Bremond et al, Editions Gallimard, Paris 1991, pag. 23. 3 Ivi, pag. 25.

4 Fu il quinto califfo dell’età abbaside; regnò dal 786 all’809.

5 A. Miquel, Naissance, op. cit., pp. 25-26.

21

Did intellectuals’ misgivings exist with regard to fictional literature? Did

medieval authors ever find it necessary to apologize for writing fiction?

Did the theologians ever raise any objections against literature? The

answer is: Yes! […] Harīrī […] admits that he entrusts the role of the

narrator who gives an account of Abū Zayd’s exploits to a purely

fictitious character. He hopes that this type of fiction writing will be

accepted and that he will not be digging his own grave by presenting but

frivolity. Some will no doubt forgive him; others may in their ignorance

[…] proclaim that such writing is prohibited by Muslim law.1

Un secolo dopo, un commentatore di Harīrī, Sharīshī, appariva preoccupato

dal fatto che l’autore avesse dato voce, nei suoi scritti, ad animali o a oggetti

inanimati, cosa considerata blasfema dall’Islām; era necessario, pertanto, sottolineare

l’intento didattico delle sue opere, o giustificare determinate scelte facendo

riferimento al contenuto di alcuni hadīth o di autorevoli opere d’adab quali il Kitāb

Kalīla wa-Dimna:

Sensible people […] may be reminded of stories in which dumb animals

and inanimate objects are made to speak. After all, it is one’s intentions

that count provided these intentions are based on religious convictions.

And in this particular case what can there be wrong as long as the

intentions is instruction, not deception (tamwih) or lying? […] Sharīshī

apparently took Harīrī’s self defence seriously. He finds an excuse for

Harīrī’s fictional stories by quoting two stories which Muhammad

himself, Abū Bakr, and ‘Umar are reported to have believed: a dialogue

between a shepherd and a wolf, and between a peasant and his cow. A

second tradition states that Muslims will one day have to fight the Jews.

One Jew will be hiding behind a stone but the stone will betray him.

Sharīshī names in passing Kalīla et Dimna as an example of acceptable

animal fables.2

I racconti delle Notti, dunque, avendo perso nel tempo il loro aspetto didattico

a favore dell’aspetto immaginifico, straordinario e ricreativo in genere, sarebbero

scivolate sempre più al di fuori della letteratura tout court:

[…] le désir d’enchanter n’a pas été à l’origine des Nuits. Ou, plus

précisément […] le plaisir de l’histoire, loin d’être une fin en soi, se

devait de servir à autre chose, d’illustrer une leçon […]. Mais on a vu

aussi que la rupture de l’équilibre au profit de l’imaginaire, du récréatif,

1 S.A. Bonebakker, Nihil Obstat in Storytelling?, in AA.VV., The Thousand and one Nights in Arabic

Literature and Society, a cura di R.C. Hovannison, G. Sabagh, Proceedings of The Giorgio Levi

Conference, University of California, Los Angeles 1989, pag. 57. 2 Ivi, pag. 58.

22

du merveilleux, bref, de tout ce qui, pour nous, désigne le conte, a peut-

être figuré au nombre des raisons qui ont fait peu à peu tenir cette

littérature à l’écart de la littérature tout court.1

E, infatti all’opera non fu mai riconosciuto un posto all’interno del canone

letterario arabo;2 essa non aveva mai potuto beneficiare né del prestigio che un autore

accreditato come Ibn al-Muqaffa‘ aveva conferito alla raccolta indiana Kalīla wa-

Dimna traducendola dal persiano all’arabo, né dello statuto di un testo come le

Maqāmāt di Harīrī, nel quale, scrive Kilito, ogni lettore arabo poteva riconoscersi.3

Nel tentativo di analizzare l’insuccesso delle Notti in patria, Kilito si interroga

sulla nozione di “canone orientale” e definisce un “mistero” la formazione del

concetto di canone nella letteratura araba. Esso si riferisce a vari testi, in versi e in

prosa, che nell’arco dei secoli sono diventati “référence incontestable” e che sono

stati chiamati “classici”, anche se, fa notare l’autore, non vi è alcun termine

equivalente nella lingua araba; l’utilizzo di questo termine europeo diventa

funzionale per attirare l’attenzione del lettore verso la “classe”, termine con il quale

Kilito si riferisce a ogni testo adottato da una certa “classe” di letterati, inserito

all’interno di una certa “classe” di testi e destinato a essere insegnato in classe.

L’autore di un’opera cosiddetta “classica” deve essere noto, poiché «dans la

culture arabe, un texte sans auteur est considéré comme une aberration»4. In ambito

1 A. Miquel, Plaisir et société, in AA.VV., Mille et un contes de la nuit, op. cit., pag. 35.

2 Quello di “canone” è un concetto dalla definizione controversa, sul quale si sono soffermati molti

studiosi e critici letterari. Esso, per dirlo con le parole di Mirella Cassarino, ha due fondamentali

accezioni: «Nella prima, il canone è considerato da un punto di vista diacronico, nello sviluppo di una

serie di norme retoriche, di poetica, ecc., che determina l’elaborazione di una serie di altre opere. […]

Nella seconda accezione, il canone è invece considerato da un punto di vista sincronico e indica

l’insieme prevalente di valori che si concretizza, di fatto, nell’elenco dei libri di cui si prescrive la

lettura nell’ambito delle istituzioni educative di una determinata comunità. Tali valori, la cui

affermazione presuppone sempre l’autorità di chi giudica, variano a seconda dei secoli e delle

comunità, e anche all’interno di una stessa comunità con il mutare del gusto e delle esigenze culturali.

In questa seconda accezione, dunque, il canone finisce col riflettere e al tempo stesso aggiornare la

memoria selettiva di un popolo. Nel corso della storia della loro ricezione alcune opere possono

restare in ombra e riemergere a un dato momento, o non riemergere più. La prima accezione mira a

fissare l’identità delle opere, la seconda l’identità culturale della comunità che in esse si riconosce ed è

connessa con i conflitti interpretativi e con le questioni di “egemonia culturale”». Cfr. M. Cassarino, I

canoni occidentali e le Mille e una notte, in AA.VV., Majaz. Culture e contatti nell’area del

Mediterraneo. Il ruolo dell’Islām, Atti del XXI Congresso, Union Européenne des Arabisantes et

Islamisantes (Palermo, 27-30 settembre 2002), a cura di A. Pellitteri, Facoltà di Lettere e Filosofia,

Palermo 2003, pp. 209-217. 3 Cfr. A. Kilito, Les Arabes et le livre, in Id., La langue d’Adam et autres essais, Editions Toukbal,

Casablanca 2005, pag. 71. 4 A. Kilito, Les Nuits, un livre ennuyeux?, in AA.VV., Les Mille et Une Nuits en partage, Actes du

23

letterario, infatti, è l’autore ad assumere quel ruolo “legittimante” che, nel campo

degli hadīth, è riconosciuto ai trasmettitori dei detti e fatti del Profeta. Le Mille e una

notte, invece, mancano «dello statuto autoriale che avrebbe conferito [loro] il nome

del traduttore o del compositore».1

Dal punto di vista linguistico, lo stile di un “classico” è nobile, imponente,

privo di espressioni triviali e dialettali, chiaramente distinto dalla lingua parlata; il

testo classico deve risultare ostico e oscuro al lettore, tanto da rendere necessaria la

preziosa mediazione dei linguisti, volta a decifrarne i segni «incompréhensible».2

Viceversa, Kilito, che definisce le Mille e una notte «ouvrage batard, au statut

incertain, à la langue impure, au contenu délirant»,3 le paragona al genere del

fumetto, poiché non richiedono un grado elevato di competenza linguistica e

letteraria.4 Ecco perché, probabilmente, l’opera è stata messa alla gogna da critici e

letterati arabi, che vedevano reso del tutto vano il proprio intervento interpretativo.

Anche Mirella Cassarino fa notare come la raccolta sia:

composta da apporti molteplici, in una lingua tutt’altro che elegante,

intrisa com’è di elementi di medio Arabo, in una forma almeno

originariamente non rispondente ai canoni estetici fissati dalla critica

letteraria araba.5

André Miquel, nel suo interessante saggio Relation between the Arabian

Night and Adab, sottolinea come l’opera appartenga alla tradizione orale popolare, i

cui insegnamenti erano in netto contrasto con l’etica corrente dell’adab, governata da

un certo sistema di valori rispecchianti la tradizione letteraria antica, perpetrati e

incarnati dalla figura perfetta del maestro e letterato colto, l’adīb per l’appunto. La

tradizione orale, al contrario, si era sempre collocata al di fuori della letteratura

ufficiale, fuori dalle convenzioni e costrizioni letterarie classiche per la libertà nella

scelta dei temi e per la loro modalità di espressione. L’alto scopo della letteratura

colta ufficiale dell’insegnare divertendo, che definiva la fondamentale funzione

sociale dell’adab, lasciava il posto al puro piacere e divertimento quando si trattava

Colloque «Mille et une nuits en partage» (Paris, 25-29 maggio 2004), a cura di A. Chraïbi, Sinbad,

Paris 2004, pag. 519. 1 M. Cassarino, I canoni occidentali, op. cit.

2 A. Kilito, Le Livre magique, in Id., La langue d’Adam, op. cit., pag. 78.

3 Ivi, pag. 70.

4 Ivi, pag. 78.

5 M. Cassarino, I canoni occidentali, op. cit.

24

del racconto. Altra ragione, ma non meno importante, il fatto che i racconti delle

Notti sovvertissero l’ordine sociale gerarchico sul quale si basava la società

medioevale, conferendo uguale rilevanza a tutte le classi e provocando il sospetto

delle autorità politiche e intellettuali del tempo.

Le Notti, dunque, prive di autore, circolanti in lingua volgare e in diverse

versioni, escluse dall’ambito dell’insegnamento, non possono far parte del canone

arabo. Pochi i letterati che ne hanno fatto menzione tra le loro letture; tra questi,

Kilito cita Ibn al-Nadīm, che avrebbe definito la raccolta un testo “noioso”:

J’ai eu plusieurs fois l’occasion de voir ce texte complet: à la vérité, c’est

un livre fort indigent et qui raconte assez froidement.1

L’ostilità riservata alle Notti nella società araba è stata tale da indurre Kilito a

chiedersi se l’opera – il cui nucleo originario è peraltro indo-iranico ed è stato

prodotto, dunque, nel contesto di una cultura pagana – abbia mai fatto realmente

parte della letteratura araba:

D’ailleurs, les Nuits font-elles partie de cette littérature? […] Elle serait

exactement la même si cette œuvre n’existait pas, alors que son paysage

serait, à l’évidence, complètement différent sans les Mu‘allaqāt, ces

fameuses odes “suspendues”, ou sans les Maqāmāt.2

Su ben altro fronte si collocano le affermazioni di Georgine Ayoub, esposte

nel saggio La langue des Nuits.3 Ayoub fa notare come, nell’edizione Mahdi delle

Notti, i personaggi utilizzino diversi registri linguistici, che contribuiscono a quella

“polifonia di voci” di cui parla Bakhtine, secondo il quale «le conte […] fait du

métissage de la langue une ressource littéraire».4 In effetti, già all’interno della

letteratura colta la “faute de langage”, l’utilizzo consapevole di termini situati ai

margini della norma, era considerata una risorsa preziosa, un modo per aggiungere

fascino alla narrazione.

1 A. Kilito, Les Nuits, un livre ennuyeux?, op. cit., pp. 521-522.

2 Ivi, pp. 517-518.

3 Cfr. G. Ayoub, La langue des Nuits: Wajh malīh wa-lisān fasīh, in AA.VV., Les Mille et une Nuits

en partage, op. cit., pp. 491-515. 4 Citato in ivi, pag. 492.

25

Il saggio di Ayoub contiene una riflessione sul concetto di fasaha nelle Mille

e una notte, dalla quale appare evidente come la fasaha sia al centro del progetto

narrativo dell’opera. Una formula ricorrente nei racconti dell’edizione Bulaq, osserva

la studiosa, è ta‘ajjaba min fasahati -hi/ha:

C’est le courtier qui est émerveillé devant la fasaha de la jeune esclave, le

roi ‘Umar al-Numān qui est émerveillé de la fasah a de la jeune fille et

la jeune fille qui s’émerveille, à son tour, de sa fasaha, Taj al-Muluk qui

s’émerveille de la fasaha de ‘Azīz, etc.1

Ora, considerato il ruolo dell’elemento meraviglioso nelle Notti, la fasaha

sarebbe, secondo Ayoub, «le moteur des contes, […] le trait essentiel de l’oeuvre,

son projet qu’elle a si brillamment réussi».2

Inoltre, Ayoub ritrova nella raccolta i tratti essenziali dei racconti d’amore

presenti nelle grandi opere di letteratura d’adab, come dimostra il legame tra termini

quali ‘aql, adab e fasaha, in associazione alla perfezione dei corpi.3 Infine, l’utilizzo

di un lisān fasīh da parte di alcuni personaggi sarebbe in qualche modo collegato alla

loro buona sorte, allo stesso modo in cui “trésors de la langue” e “trésors de la vie”

appaiono strettamente associati nelle Maqāmāt di al- amadhānī e di Harīrī.4

Non risulterebbe, dunque, giustificata la collocazione delle Notti nel novero

delle opere letterarie di “secondo grado”.

A riscattare le Mille e una notte contribuisce anche quel carattere di

universalità evidenziato da Chraïbi, il quale ha definito l’opera «une mémoire

millénaire, appropriable par tous».5

In conclusione, non sembrano fuori luogo le affermazioni di André Miquel, il

quale parla di un vero e proprio ‘enigma’ a proposito dell’«éclipse d’un livre connu,

au IV/X siècle, du public cultivé et des libraires, et qui va disparaître de la mémoire

des lettres arabes jusqu’à sa redécouverte, en Occident, huit siècles après, et à ses

premières versions imprimées, à Calcutta (1814) et au Caire (1835)».6

1 Ivi, pag. 513.

2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 512.

4 Ibidem.

5 A. Chraïbi, Introduction, in AA.VV., Les Mille et une Nuits en partage, op. cit., pag. 11.

6 A. Miquel, Naissance, op. cit., pag. 22.

26

1.2. Le Mille e una notte in Occidente

Per comprendere appieno il perché della rivalutazione e riscoperta di

quest’opera per così lungo tempo dimenticata, bisogna comprendere il ruolo

fondamentale che le Notti assunsero in Occidente circa un secolo prima del loro

rientro in patria.

Nel 1703, Antoine Galland pubblicò per la prima volta in Europa, le prime

due parti delle Mille et une nuit, dopo aver tradotto un manoscritto da lui acquistato.

Negli anni successivi e fino al 1717, lo studioso francese completò la traduzione

dell’opera aggiungendovi le storie di Aladino e Ali Baba. La pubblicazione delle

Mille e una notte fu uno dei più grandi successi editoriali di tutti i tempi, la sua

popolarità nel mondo occidentale crebbe senza sosta. Diverse furono le traduzioni e

le versioni in francese, inglese e tedesco, numerosi furono gli studiosi che ne

indagarono la genesi e ne rintracciarono le influenze e le basi comuni in altre

tradizioni narrative come ad esempio August Müller, Nöldeke, Oestrup, solo per

citarne alcuni.

Nel corso del diciottesimo secolo, l’opera inizia subito il suo lungo e

periglioso viaggio all’interno di varie versioni del testo francese nella maggior parte

delle lingue europee, in cui i racconti verranno di volta in volta rielaborati,

reinterpretati secondo il gusto personale del traduttore/compilatore e della rispettiva

cultura di origine, fino a diventare quello che Kilito definisce come un libro

traboccante, informe, il cui corpus raccoglie innumerevoli manoscritti, edizioni,

traduzioni, aggiunte, esegesi, riscritture, un libro infinito.1

Il testo, infatti, nei suoi vari adattamenti, seguirà di volta in volta il gusto

personale del traduttore e della sua epoca, fino a divenire parte integrante del

patrimonio letterario europeo, tanto che Marzolph ne sottolinea l’enorme impatto

nella letteratura d’occidente:

when printed editions of the Nights or individual tales had flooded the

European market, popular storytellers and narrators retold and imitated

stories originating from the Nights. These storytellers would often shape

1 A. Kilito, L’occhio e l’ago, Saggio sulle Mille e una notte, Il Melangolo, Genova 1994, Introduzione,

pag. 19.

27

their adaptations in a highly characteristic way, at times even generating

new and independent strands of European tradition.1

Le diverse traduzioni furono così adattate al gusto dei lettori europei

dell’epoca, adottando altresì un livello linguistico, come nel caso inglese, adeguato al

pubblico al quale si rivolgevano:

fu così che Edward Lane e sir Richard Burton scelsero di rendere più

esotica la loro versione calandola in uno stile prossimo a quello della

Bibbia di re Giacomo, creando così una bizzarra frattura fra l’impatto

dell’originale, nel suo contesto autentico, e la traduzione inglese. Le

immagini dell’Oriente esotico – con i suoi avventurieri fanfaroni, le

umbratili fanciulle, le lampade magiche, le favolose ricchezze e i malvagi

visir – che emersero da queste versioni, e da quelle che le avevano

precedute, divennero moneta corrente dei libri per l’infanzia e materia da

rappresentare nelle recite natalizie.2

Queste versioni furono presentate come una rappresentazione fedele del

mondo arabo, dei suoi usi e costumi, dell’animo e dello spirito degli orientali,

diventando la rappresentazione paradigmatica dell’Oriente, un prisma attraverso il

quale osservare e definire l’altro:

Des personnages et des décors stéréotypes sont absorbés par la littérature

et l’art européen et assimilés à la conscience populaire en tant que

modèles exemplaires d’un “autre” monde, de peuples exotiques,

renforçant ainsi les définitions spécifiques de l’image que l’Europe forme

d’elle-même.3

La visione europea dell’oriente, di fatto, come sostiene anche Ziauddīn

Sardar, «fu legittimata e istituzionalizzata proprio dalla pubblicazione delle Notti»4 e,

ancora, secondo Ranā Kabbānī, Galland fu il vero e proprio iniziatore di quello che

l’autrice definisce il “fenomeno” delle Notti in occidente: «Galland was, in fact, the

creator of what was to become the Arabian Nights phenomenon […] Galland became

1 U. Marzolph, The Arabian Nights in Comparative Folk Narrative Research, in AA.VV., The Arabian

Nights and Orientalism, op. cit., Cap I, pag. 5. 2 R. Allen, La letteratura araba, Il Mulino, Bologna 2006, pag. 204.

3 R. Van Leeuwen, Orientalisme, genre et reception des Mille et une nuits en Europe, in AA.VV., Les

Mille et Une Nuit en partage, op. cit., pag. 121. 4 R. Irwin, prefazione a The Arabian Nights and Orientalism., op. cit., pag. XI.

28

his own “Shahrazād”, as Flaubert was to become, by his own admittance, his “Emma

Bovary”».1

Ma perché dunque quest’opera ebbe tale successo in Occidente, tanto che,

come sostiene Irwin, citato da Marzolph nel suo saggio, «instead of listing European

writers of the eighteenth and nineteenth centuries that were in some way or other

influenced by the Nights, it would be easier to list those that were not»2?

Kabbānī spiega questo fenomeno definendo le Notti come un’opera divenuta

fondamentalmente europea, visto che, come fa notare Murzolph, la prima vulgata del

testo in arabo non fu creata prima del tardo diciottesimo secolo e soltanto per

rispondere alla richiesta europea di edizioni complete dell’opera, in seguito al grande

entusiasmo con cui la pubblicazione di Galland era stata accolta. Con tale

pubblicazione, Galland, degno allievo di Barthèlemy d’Herbelot, si riproponeva di

continuare l’ambizioso progetto orientalista iniziato dal suo maestro con la scrittura

de La Bibliothèque orientale, rimasta incompleta con la morte di d’Herbelot;

This phenomenon may be partly explained by the fact that the Nights in

many respect are a Western text, a manufactured product of Orientalism,

still in much currency today as at the beginning of the eighteenth century,

when the Nights first made their appearance in the guise of a “translation”

into a European language by way of Antoine Galland’s French

adaptation.3

Altro motivo di successo in Europa fu il sollievo che la pubblicazione delle

Notti apportò in un’epoca in cui gli Europei si sentivano schiacciati da un

razionalismo troppo rigido che non lasciava alcuno spazio all’immaginazione:

Les Mille et une Nuits aimed to please rather than to instruct, providing

some light relief in an era restive under the stern dominion of rationalism.

The book was published at a time of intellectual secularism, when

Europeans were able to have their curiosity aroused and their imagination

seduced by non-Christian cultures. Although Islamic civilization

continued to be regarded with suspicion, arguably because of the former

Ottoman military threat, the appearance of the Arabian Nights

nevertheless produced an unprecedented frenzy of excitement.4

1 R. Kabbānī, The Arabian Night as an Oriental text, in The Arabian Nights Encyclopedia, op. cit., vol.

I, pag. 27. 2 U. Marzolph, The Arabian Nights in Comparative Folk Narrative Research, op. cit. pag. 3.

3 R. Kabbānī, The Arabian Nights as an Oriental text, op. cit., pag. 27.

4 Ivi, pag. 28.

29

In paesi come l’Inghilterra, la pubblicazione delle Notti ebbe addirittura un

forte effetto liberatorio all’interno della società vittoriana dell’epoca: «the Orient of

the Western imagination provided respite from Victorian sexual repressiveness. It

was used to express for the age the erotic longings that would otherwise have

remained suppressed».1

1.2.1. La visione dell’Orientalismo e la globalizzazione letteraria

delle Notti

Mentre quanto detto sopra, illustra le posizioni di quei critici che hanno

sempre sostenuto l’esistenza di un “solo” Orientalismo di matrice occidentale, altri

studi critici come quello di J.A. Boone, riprendendo quanto già affermato in parte da

R. Irwin, sottolineano come in realtà tra “Orientalismo Occidentale” e “Orientalismo

Orientale” vi siano sempre state delle sfumature molto più complesse di quanto

alcuni critici abbiano strumentalmente evitato di mettere alla luce, sostenendo invece

che l’Orientalismo fosse semplicemente un fenomeno creato dall’occidente per

giustificare il colonialismo.2

Tale tesi, secondo Nishio, potrebbe essere facilmente confutata se

consideriamo che in Giappone, ad esempio, uno dei paesi dell’estremo Oriente in cui

le Notti riscossero enorme successo, non vi era alcuna ambizione imperialista né,

d’altro canto, gli abitanti del Giappone del XIX secolo pativano la stessa repressività

vittoriana inglese. Sarebbe dunque alquanto semplicistico, da un punto di vista

storico, non riconoscere l’esistenza di un Orientalismo tutto orientale preesistente

alla scoperta delle Notti, che, come fa notare Margaret Fironval, spiegherebbe il

successo di quest’opera in Estremo Oriente:

Orientalism, being the sum of knowledge pertaining to the East, indeed

pre-existed the discovery of the Nights in Europe […] as the image of the

threatening Turkish enemy started to fade away, objective conditions

were found for a more positive and less biased European perception of

the East, based not on fear and on hostility as had hitherto been the case,

1 R. Irwin, prefazione a The Arabian Nights and Orientalism., op. cit., pag. XI. Cfr. anche R. Kabbani,

Imperial Fictions: Europe’s Myth of Orient, Pandora, London, 1994. 2 Cfr., J. A. Boone, The Homoerotics of Orientalism, Columbia University Press, New York, 2014.

30

but on a delicate mixture of hunger for scholarship thoroughness and of thirst for exotica.

1

Yamanaka e Nishio ci riportano all’età dell’oro del primo Orientalismo che si

fondava sulla reale conoscenza dell’Oriente da parte dello studioso, conoscenza

basata su idee piuttosto che su immagini e dove anche la sete per tutto ciò che era

esotico doveva essere ancorata alla realtà e non a un’immaginazione delirante.

Anche altri autori, come J.A. Boone, già citato, propongono oggi un nuovo

concetto di orientalismo invitandoci a comprendere quanto limitata sia la costruzione

rigidamente dicotomica di un Occidente e un Oriente in continua opposizione, dove

l’Occidente si è sempre posto come maestro e dominatore e l’Oriente come soggetto

passivo e debole, visione che si baserebbe solo sull’analisi di fenomeni storici quali

imperialismo e colonialismo nel diciannovesimo secolo. J.A. Boone sottolinea,

quanto sia importante comprendere la complessa e sottile relazione tra questi due

mondi che si sono sempre reciprocamente influenzati, costruendo le loro identità

proprio sulle loro differenze.

Si esprime in tal senso anche Robert Irwin che nella sua prefazione al testo

The Arabian Nights and Orientalism, critica la visione di quegli autori come E. Said,

Ranā Kabbānī o Ziauddīn Sardar, che in modo semplicistico tendono ad avvalorare la

ormai vecchia e stereotipata visione orientalista che in qualche modo serviva proprio

da legittimazione al fenomeno imperialista nel mondo arabo:

Orientalism must be a monopoly of the West and an intrinsic part of a

discourse that licenses imperialism and racism and, in particular, has

given a kind of imaginative and intellectual legitimacy to British and

French intervention in and occupation of the Arab lands.2

La novità della visione di Irwin starebbe nel riconoscere per la prima volta

all’Oriente la possibilità e la capacità di riflettere su se stesso e di autorappresentarsi,

mirando al superamento della concezione orientalista tradizionalmente accettata:

1 M. Fironval, The Image of Sheherazade, in AA.VV., The Arabian Nights and Orientalism,

Perspectives from East and West, op. cit., Cap X, pag. 238. 2 R. Irwin, The Arabian Nights and Orientalism, op. cit., pref., pag. XI.

31

the relationship between Western Orientalism and Oriental Orientalism

has been more nuanced and more complex, and, perhaps less wholly

malign than the critics.1

Lo stesso approccio metodologico innovativo lo troviamo, anche se sotto altri

aspetti, nella visione orientalista del già citato J.A. Boone che, descrivendo la

fascinazione erotica subita dagli europei a contatto con il mondo orientale, sottolinea

un certo legame tra erotismo/omoerotismo e orientalismo, giungendo alle stesse

conclusioni di Irwin che forniscono una visione alternativa dell’orientalismo rispetto

a quella tradizionalmente incarnata da Said:

One of the more pressing needs in humanistic study – as contemporary

world politics demonstrates – is a more nuanced understanding of the

myriad ways in which the West and the Middle East have been

constructed in opposition to each other […]. The degree to which the vast

regions of the Middle East has been fodder for European heterosexual

fantasy over the centuries is well documented, as is the degree to which

the practice of Orientalism theorized by Edward Sayd has frequently been

viewed as a heteroerotic one, in which an all-powerful, masculine “West”

seeks to penetrate a feminine, powerless, and sexually available “East” in

order to possess its resources.2

Anche Kabbānī sottolinea la relazione tra orientalismo e erotismo ma in

particolare tra erotismo e violenza, già espressa da Galland in relazione all’Oriente

nella Bibliotèque orientale, relazione che ella definisce “malsana”.3

In questo contesto si inscrive il successo delle Notti che, come provato dalla

sua ampia diffusione anche in Estremo Oriente, costituì il primo esempio di un

fenomeno che Irwin definisce “globalizzazione letteraria”, e che pose per la prima

volta la questione del rapporto tra Orientalismo e globalizzazione. Non si

spiegherebbe altrimenti il successo delle Notti anche in Giappone che, come abbiamo

già detto, non ebbe mai mire imperialiste sul Medio Oriente né quei problemi di

repressione sessuale cui si è fatto cenno, tipici della società vittoriana e della società

ottocentesca occidentale più in generale. Sia in Estremo Oriente sia in Occidente

dunque, la pubblicazione delle Notti ebbe l’effetto dirompente di liberare

1 Ibidem.

2 J. A. Boone, The Homoerotics of Orientalism, op. cit., prefazione, pp., XX, XXI. Cfr. anche E. W.

Said, Orientalismo, Bollati Boringhieri, Torino 1991. 3 R. Kabbānī, The Arabian Nights, op. cit., pag. 27.

32

l’immaginazione letteraria di molti scrittori, mentre altri, privati bruscamente della

fruizione di quelle storie fantastiche, come racconta in questo episodio personale

Mishima Yukio, arrivarono persino alla determinazione di diventare scrittori solo per

tentarne una loro riscrittura nella propria lingua:

Mishima took the decision to become a writer only after his grandmother

and his father decided to confiscate the volumes of the Arabian Nights

that had given rise to so much childish dreaming. If Mishima could no

longer read the Nights, he resolved that he would make himself into the

writer who could produce their Japanese equivalent.1

Le Mille e una notte, dunque, parte integrante dell’immaginario letterario

collettivo mondiale, sono le protagoniste assolute di un viaggio di andata e ritorno da

occidente a oriente che dura ormai da più di tre secoli, viaggio che continua fino ai

giorni nostri, dove, come scrive Mirella Cassarino, interi racconti individuali o

semplici porzioni di testo o cicli della celebre raccolta e la loro evoluzione in seno

alle (ri)creazioni letterarie, nello spazio e nel tempo, vengono continuamente

rivisitate e corrette:

Nel dominio delle letterature d’Oriente e d’Occidente, le Mille una notte

occupano un posto molto particolare, sia per il valore letterario intrinseco

derivante dalla tipologia ricca e variata della materia che essa esprime, sia

per il lungo e complesso viaggio che l’opera, sotto svariate forme, ha

effettuato nel corso dei secoli, provocando in campi diversi un processo

generativo senza eguali, di storie, riscritture e di imitazioni che la

rendono un esempio ammirevole di intertestualità e interculturalità.2

Le Notti, possiedono un forte potenziale metaforico che le rende in grado di

formare immagini e di crearne sempre di nuove, e il loro immaginario diventa così

un fenomeno collettivo di dimensioni storiche e sociali che stabilisce

un’interrelazione dinamica tra il testo scritto e i suoi lettori.

L’approdo delle Notti in Europa darà inizio a una sorta di secondo periodo

orientalista che riunirà i due aspetti del primo Orientalismo, già menzionato da

Yamanaka e Nishio, e cioè l’orientalismo della realtà e quello della finzione;

1 R. Irwin, The Arabian nights, op. cit., pref., pp., XII, XIII.

2 M. Cassarino, Introduzione a Sulle Orme di Shaharazād: «Le Mille e Una Notte» fra Oriente e Occidente, a

cura di M. Cassarino, Atti del VI Colloquio Internazionale (Ragusa, 12-14 Ottobre 2006), Rubettino, Soveria

Mannelli 2009, pag. VII.

33

l’europeo erudito non dovrà far altro ora che star seduto nel suo salotto a leggere

quelle storie fantastiche per crearsi una propria immagine di Oriente, che, ben

lontana dalla realtà, sarà quella di un lettore occidentale.

1.3. Le Mille e una notte nella narrativa araba moderna

E’ proprio all’interno di questa complessa dimensione orientalista, condivisa

da Oriente e Occidente che Le Mille e una notte si collocano, e da qui bisogna partire

per comprenderne l’importanza all’interno del canone letterario arabo e la sua

riscoperta nella letteratura moderna.

Roger Allen inizia così la sua analisi sulla nascita del romanzo arabo, citando

sin dall’inizio Le Mille e una notte e precisando come possa sembrare strano per un

occidentale che all’inizio di tale ricerca a ritroso nei primi esempi di prosa araba,

un’opera come quella delle Notti, che egli definisce “great repository of tales”, non

fosse stata presa in considerazione come modello:

The beginnings of a fictional tradition in modern arabic literature are part

of the wider process of revival and cultural assimilation known in

Arabica as al-Nahda. This process involved a creative fusion of two

separate forces. One is the rediscovery of the treasures of the Arabic

literary heritage and the emergence therefrom of a “neoclassical”

movement. The other is the translation of works of European fiction into

Arabic, their adaptation and translation of works of European fiction into

Arabic, their adaptation and imitation, and the eventual appearance of an

indigenous tradition of modern Arabic fiction.1

Probabilmente, come già detto, perché tale opera fu considerata da molti,

depositaria di una cultura popolare non facente parte del repertorio dei cosiddetti

“classici” della letteratura araba colta.2 Ciò non avvenne per le Maqāmāt,

3

1 R. Allen, The beginnings of the arabic novel, in Modern Arabic Literature, a cura di M.M. Badawi,

Cambridge University Press, New York 1992, Cap 5, pag. 180. 2 Chraïbi riferendosi allo statuto letterario delle Notti parla piuttosto di “letteratura media”, intermedia

tra aulica e classica. 3 Sono il capolavoro dello scrittore arabo-iraniano al-Hamadhānī definito la “meraviglia dei tempi”

nato a al-Hamadān nel 968 e morto nel 1008. Si tratta di una serie di storielle in prosa rimata che, per

una necessaria ed esasperata ricerca di assonanze, mostra un’incredibile ricchezza lessicale rasentando

34

considerate, tra i “treasures of the past”, quella forma letteraria ideale da cui partire,

perché a cavallo tra il classico e il moderno, da tutti quei letterati che, tra la fine del

XIX e gli inizi del XX secolo, si accingevano a sperimentare nuove forme narrative.

Il ricorso alla tradizione delle Maqāmāt come punto di partenza, avrebbe garantito

un’identità araba a quella esigenza di rinnovamento cui la letteratura autoctona era

chiamata dal continuo confronto e assimilazione con la nuove forme letterarie

europee per eccellenza, il racconto e, successivamente il romanzo.

Due furono gli aspetti fondamentali nella letteratura della Nahda l’Ihyā e

l’Iqtibās, che, come fanno notare gli autori Toelle e Zakharia, descrivono bene come,

sin dall’inizio, il desiderio dei letterati arabi di emulazione dei modelli letterari

europei sia stato accompagnato da un’estrema conflittualità nell’avvicinarsi a tali

modelli, che essi vedevano come minaccia di perdita della propria identità culturale,

poiché tale emulazione, rappresentava, almeno all’inizio, la tendenza a una

pedissequa imitazione o al semplice adattamento di opere letterarie europee

totalmente estranee al patrimonio culturale di origine:

L’atteggiamento contraddittorio di fronte ai modelli europei, il misto di

attrazione e di timore […] si traduce […] nella letteratura della Nahda con i suoi due versanti, l’ihyā e l’iqtibās. Il primo di questi due termini

significa “vivificare”, “far rivivere” e consiste nell’indirizzarsi verso il

patrimonio letterario arabo per reinventarlo […], il secondo termine

significa letteralmente “accendere il proprio fuoco nel focolare di un

altro” e, metaforicamente, “prendere in prestito dei passi da un autore”.

Esso consiste, all’occorrenza, nel cercare la propria ispirazione nelle

opere letterarie europee, anche adattandole o imitandole […] questi due

versanti contraddittori si sviluppano peraltro parallelamente e coesistono

talvolta in una stessa opera […] si tratta, piuttosto, di una questione di

predominio più o meno significativo dell’uno o dell’altro di questi due

atteggiamenti presso i vari autori e, a poco a poco, si elaborerà una sintesi

che condurrà alla comparsa di una letteratura che, pur adottando le

tecniche letterarie e i generi europei, ciò nondimeno resterà ancorata alla

cultura di origine.1

talora il preziosismo, ma nulla togliendo né alla vividezza della narrazione né alla vivacità della

descrizione. L’ambiente è costituito da mercati e moschee, luoghi di ristoro e di convito; gli attori

sono campagnoli e mercanti, vagabondi disgraziati padri di famiglia affamati, predicatori e sufi, poeti

e letterati. Cfr., al-Hamadhānī, Le Maqāmāt, ed. it., a cura di M. Montanaro, Ed. Ariele, Milano 1995. 1 H. Toelle, K. Zakharia, Alla scoperta della letteratura araba dal secolo scorso ai giorni nostri,

Argo, Lecce 2010, pag. 122.

35

Numerosi scrittori arabi moderni riprendono così temi e situazioni dal

patrimonio letterario arabo per raccontare in forma allegorica la realtà politica e

sociale dei loro paesi; opere popolari come le Sirāt tornano in auge e le Mille e una

notte vengono stampate per la prima volta nel XIX secolo, ottenendo una

considerazione e una attenzione sino ad allora mai avute, e divenendo un vero e

proprio serbatoio da cui attingere per trovare nuova ispirazione:

Uno degli aspetti del Ihyā è la riscoperta del patrimonio classico così

come l’attenzione tutta particolare rivolta alla letteratura detta “popolare”.

Un buon numero di opere sono così riedite o stampate per la prima volta

nel corso del XIX e all’inizio del XX secolo. E’, tra gli altri, il caso delle

Mille e Una Notte (Calcutta, 1814; Il Cairo,1835) della Sirāt ‘Antar

(Beirut, 1869-1871) e della Sirāt Baybars ( Il Cairo, 1908-1909). Questo

patrimonio rappresenta uno dei serbatoi da cui gli autori attingeranno a

piacere alcuni temi e intrecci che rielaboreranno, in particolare, nei loro

romanzi e opere teatrali. Essi ne imiteranno talvolta lo stile, spesso, ma

non sempre, con un’intenzione parodica.1

Le Notti vengono (ri)scoperte in Oriente, confermando il continuo scambio

osmotico tra oriente e occidente, quasi a confutare la nota tesi di Edward W. Said

per cui i due estremi di Oriente e Occidente non esisterebbero di per sé se non in

quanto prodotti mutabili e provvisori della nostra cultura, dove l’Oriente si porrebbe

sempre nella posizione passiva e subalterna dell’allievo di fronte al “maestro

occidente”.2

A proposito di questo scambio proficuo e mai unilaterale tra i due mondi, così

si esprime il noto commediografo e scrittore arabo moderno Tawfīq al-Hakīm:

Si, è proprio l’urto fra le due mentalità, quella degli orientali e quella

degli occidentali a dare agli uni e agli altri la possibilità di aprirsi a nuovi

orizzonti. Tale incontro, il cui senso e valore ben oltrepassano il ristretto

ambito individuale, è carico di una forza emblematica. Sempre ogni volta

che l’Oriente è venuto a contatto con l’Occidente, una nuova luce è sorta

a illuminare il mondo, e sempre, ogni volta che trovatisi faccia a faccia si

son guardati negli occhi entrambi hanno scorto la propria bellezza quasi

si mirassero in uno specchio.3

1 Ivi, pag. 224.

2 Cfr., E.W. Said, Orientalismo, op., cit.

3 T. al-Hakīm, Il fiore della vita, ed. italiana a cura di A. Borruso e M.T. Mascagni, Franco Angeli,

Milano 2001, pag. 51.

36

Le Mille e una notte, dunque, compiendo un vero e proprio viaggio da

Occidente – dove erano approdate con la traduzione di Galland – a Oriente, non

faticheranno in epoca moderna a riconquistare il loro posto d’onore nell’universo

letterario arabo e saranno facilmente riscattate dall’oblio loro imposto dai letterati

colti dell’epoca classica, proprio in virtù della forza della loro potenza emblematica

da sempre presente nell’immaginario collettivo arabo:

Le Mille e una notte sono state fonte d’ispirazione per gli scrittori arabi

moderni di tutti i generi, che ne hanno preso a prestito motivi, immagini e

intere storie, in un processo ininterrotto che illustra chiaramente il posto

centrale che questa raccolta, insieme ad altre, ha avuto nella coscienza

collettiva del mondo arabo.1

Ma, perché questo cambiamento improvviso riguardo alla validità delle Notti

come opera letteraria all’interno del mondo letterario arabo? Secondo Ferial

Ghazoul, citata da M. Cassarino dipenderebbe dal cambiamento del concetto di

canone letterario arabo:

bisogna riflettere sui meccanismi, anche ideologici, sottesi alla mutazione

del gusto dei lettori, sulla concezione di statuto che un testo assume nel

corso dei secoli, e sul fenomeno, ben più complesso, della ricezione. Si

tratta di continuare a riflettere sull’invenzione di questa tradizione tutta

occidentale legata all’Orientalismo, che ha fatto dell’opera un capolavoro

di letteratura araba, e sulla relazione che essa ha creato con gli scrittori e

gli studiosi arabi, i quali hanno forse fatto nascere, attraverso un gioco di

specchi complesso e vario, qualche volta il recupero della tradizione, e in

qualche caso, una declinazione diversa di “Orientalismo”.2

Come fa notare ancora Cassarino «l’hybridisme et la contamination sont

consubstantiels aux Nuits, depuis leur origine; en outre, il est utile de rappeler le fait

qu’il est encore aujourd’hui très difficiles, pour ne pas dire impossible, confiner le

texte dans une seule tradition narrative».3

É proprio questa impossibilità di confinare le Notti a un singolo genere

narrativo e la versatilità estrema dei suoi personaggi che ne determinano il riutilizzo

1 R. Allen, La letteratura araba, op., cit., pag. 214.

2 M. Cassarino, Introduzione a Sulle Orme di Shaharazād: «Le Mille e Una Notte» fra Oriente e

Occidente, op., cit., pag. IX. 3 Ibidem.

37

in epoca moderna. Todorov, citato da Irwin nel suo studio sulle Mille e una notte,

parla di uomini racconto, privi di qualsiasi spessore psicologico e, per questo, ideali

contenitori di storie sempre nuove che li caratterizzino, in cui identificarsi e

riconoscersi:

In the Nights (described by Todorov as a “narrative machine”), all traits

of character are immediately causal. We know that Sinbad loves to travel

because he does travel; we know that he travels because he loves to

travel. It is as if characters in the Nights only know who they are by

seeing what they have done. In the naive psychology of the Nights,

motivation is directly wedded to action. The despotic sultan kills because

he is cruel; he is cruel because he kills. Since personality is defined by

action, it is natural that when a new character appears within a story, he

establishes himself by telling his story […] people’s stories are their

lives, so it is entirely appropriate that again and again in the Nights they

save their lives by telling stories.1

1.3.1. Tradizione, imitazione e rinnovamento

Ma quali sono le vere ragioni della messa in valore delle Notti nel mondo

letterario del vicino oriente? Secondo la Ouyang questo “prestigioso” rientro delle

Notti nella letteratura araba dal transnazionale/internazionale al nazionale, sarebbe

dovuto sia al passaggio del testo da un campo di produzione culturale ad un altro, da

una letteratura e cultura media a una letteratura colta, sia al valore fortemente

identitario attribuito loro da poeti, romanzieri e commediografi del mondo arabo, che

però, allo stesso tempo, paradossalmente, hanno progressivamente avvertito il

bisogno di distaccarsi proprio da questo testo che per secoli ha intrappolato

l’immagine degli arabi, ad oriente come ad occidente, dentro ad uno stereotipato

immobilismo, per poter (ri)creare una condizione di democrazia, di giustizia sociale,

politica e culturale.2

La Ouyang, nella sua conferenza al Colloque Littérature du Monde II, parla in

maniera estesa dell’influenza delle Notti nell’immaginario letterario arabo moderno,

1 R. Irwin, The Arabian nights: A Companion, op. cit., pag. 226.

2 Di seguito verrà preso in esame il contributo di W.C. Ouyang durante i lavori del Colloque

Littérature du Monde II, presso la Fondation Singer Polignac – Paris (Jeudì 9-Vendredì10 et Samedì

11 December 2010) dal titolo De la Tradition à la Crèation “Transation, Imitation, and Creation: The

Thousand and One Nights in Moder Arab Literaty Imaginery par Wen Chin Ouyang. Trascrizione e

traduzione a cura dell’autore della tesi.

38

in particolare con riferimento alle opere di tre autori, Pascal Casanova e la sua

Repubblica delle Lettere, Franco Moretti e David Damrosh.

Prendendo spunto dai loro lavori, la studiosa si addentra nei concetti di

traduzione, imitazione e creazione all’interno di un testo letterario, sottolineando

come l’opera letteraria si muova dal nazionale al transnazionale attraverso la

mediazione della sua traduzione, secondo Casanova, oppure come sostiene Moretti,

soffermandosi sulla circolazione della forma, in particolare alla circolazione del

romanzo e situando la letteratura mondiale nel romanzo stesso; o, ancora, citando

Damrosh, spostando la sua attenzione dalla forma alla circolazione del testo stesso e

alla modalità di lettura di una forma canonizzata di letteratura nazionale che allo

stesso tempo diventa transnazionale attraverso la traduzione.

La Ouyang intraprende il suo viaggio attraverso quelle che lei chiama le 5

preoccupazioni principali degli studiosi che si accingono ad analizzare un testo

arabo, e cioè l’Europa o l’Occidente come centro, il privilegiare l’una o l’altra forma,

romanzo o poesia, il privilegiare il periodo moderno o il privilegiare il transnazionale

o l’internazionale e cioè focalizzare l’attenzione su un testo dopo che esso è migrato

dall’area nazionale a quella internazionale, o, ancora, il privilegiare la traduzione del

testo.

Si sofferma poi sul doppio significato dei termini traduzione, imitazione e

creazione, rendendone evidenti i significati non univoci:

Translation from one language into another or translation as

interpretation or rereading within the same language itself, Imitation, in

Arabic taqlīd, which means to write in the same fashion but also evoques

the idea of tradition, of a cultural heritage, and finally, Creation which

can be two things, innovation and, connected to the idea of imitation as

tradition, can be also the invention of tradition.1

La Ouyang si sofferma poi sul sottotitolo del suo contributo, e cioè le Notti

nell’immaginario arabo letterario moderno e commenta:

the fusion of the Nights in the modern Arabic literature and the shape it

has taken in the modern literary context since its translation into

European languages and back has been pervasive but it’s really difficult

1 W.C. Ouyang, De la Tradition à la Crèation “Transation, Imitation, and Creation: The Thousand

and One Nights in Moder Arab Literaty Imaginery, in Colloque Littérature du Monde II, op., cit.

39

to pin down [...] but I want to add a leg to the itinerary of world literature

which is the travel of text work from the transnational or international

back to national […] it is possible to see in the Arabic context that the

Nights moved out when it came home after its travels in world literature,

it moved out of one field of cultural production to another, from the

middle tier of literature and culture to high literature [...] the nights

pervaded all genres of literary writings in the modern period, we find the

Nights in modern Arabic poetry, in the short story, in drama and in the

novel.1

La studiosa s’interroga sul perché questo testo sia diventato una vera e

propria icona nell’immaginario letterario arabo moderno, evidenziando come questo

processo d’iconizzazione non sia ancora del tutto chiaro, così come non è chiaro il

motivo per cui le Notti siano diventate un vero e proprio sistema semiologico a se

stante, “a Bakhtinian myth underpinning a cultural icon”.2

Già a partire dagli anni ’40, fa notare la Ouyang, le Notti sono già diventate

nel mondo arabo una vera istituzione culturale, posta come base di partenza per lo

sviluppo della “modernità” e come ripresa di quella identità culturale minacciata da

una estensiva importazione letteraria dai paesi coloniali:

the frame begins to be rewritten again and again in Arabic poetry, short

story, drama and novel, in fact by 1932 Taha Husayn, well known as the

Dean of Arabic letters wrote a novel called the Enchanted Palace, in

which he rewrote the frame tale to talk about issues of freedom, justice

and democracy […] after 1967 the Nights came to be iconized as part of

the Arabic literary tradition or Arabic tradition of storytelling, rewriting

the Nights or using narrative techniques from the Nights came to be

viewed as ways of giving the Arabic novel or narratives its distinct local

identity.3

Per comprendere questo strano fenomeno di “iconizzazione” delle Notti, per

usare un termine della Ouyang, vengono utilizzate dalla studiosa parole e versi del

poeta siriano Nizār Qabbānī, e, attraverso le affermazioni complesse, contraddittorie,

e talvolta persino paradossali del poeta, si comprende quanto sia sempre stato

imprescindibile, nel bene e nel male, il rapporto degli scrittori arabi con le Notti, sin

dall’inizio del cosiddetto rinnovamento letterario, la Nahda. Citiamo qui di seguito

1 Ibidem.

2 Ibidem.

3 Ibidem.

40

un passaggio tratto dall’autobiografia di Qabbānī e alcuni suoi versi scritti

rispettivamente nel 1973 e nel 1966, che la Ouyang prende ad esempio per far

comprendere come le Notti abbiano assunto il ruolo di simbolo della coscienza

storica araba e come alcuni dei suoi personaggi siano stati trasformati in prototipi di

uomini moderni alla ricerca del significato della vita:

Some of my poetry present me to the people with feature of Shahriyār,

this bloody king who transformed his bed into a graveyard. Despite these

accusations Shahriyār remained silent, he preserved his secret, his

sorrows and his defeats because people are not convinced that his dagger

is sinked into the bodies of women but into his own flesh. Shahriyār in

my view is innocent of all the crimes attributed to him and it is his right

to demand a retrial and demand a reconsideration of him.1

Qui Qabbānī quasi giustifica le azioni di Shahriyār trasformando il noto re in

una vittima del sistema, come di fatto farà, nel XX secolo, la psicologia moderna, la

quale non guarderà Shahriyār come un assassino ma come un uomo costretto ad

uccidere dalla noia, noia del suo harem e di tutto il suo entourage. Egli verrà

considerato un artista, un semplice essere umano, semplicemente alla ricerca di una

donna che lo amasse per ciò che egli era davvero e non solo per il fatto che egli fosse

un re, ricco e potente. La Ouyang cita poi i versi di una poesia di Qabbānī, Painting

with words, che qui riportiamo in inglese, trascrivendone fedelmente la traduzione

della studiosa:

My friends and my enemy accuse me of Shahriyarism […]

but I did not practice at all the hobby of genocide

or melting women in cyanide

but I am a poet who writes in a loud voice,

I’m a child with green eyes hang on the gate of a city,

a city that does not know childhood.2

Come fa notare la Ouyang, la difesa di Shahrayār da parte di Qabbānī è

contraddittoria e paradossale; uno dei saggi di Qabbānī è addirittura intitolato Exit

from the Thousand and one nights, all’interno del quale egli cita un ministro

francese, certo Michel Jubair, capo della diplomazia francese, mettendogli in bocca

1 Ibidem.

2 Ibidem.

41

le parole “the era of the thousand and one nights has ended. We must work together

with the Arabs on a new basis”. La Ouyang fa notare l’operazione del poeta siriano

che coglie con l’intelligenza del politico e intellettuale allo stesso tempo, quello che

lei chiama “the historical and intellectual pain” degli arabi. Le Notti, divenute quasi

un codice di condotta per gli arabi, simbolo della loro storia politica, sociale e

culturale, vanno definitivamente superate e rifiutate, in quanto incarnazione della

visione occidentale stereotipata dell’oriente, visione che imprigiona gli arabi in una

gabbia impedendo loro il necessario rinnovamento nel campo della giustizia sociale e

della autorità politica, e dunque, paradossalmente, è proprio da una riscrittura delle

Notti che bisognerà ripartire per riscrivere la storia del popolo arabo:

History is rewritten with now the idea of arabness and with the ideas of

social justice […] liberty, democracy and justice, and these become part of

the imagining the nation in Arabic novel and the characters […] and these

are integrated into the novel.1

Gli scrittori arabi moderni, sin dall’inizio, mettono il romanzo totalmente a

servizio di tale rinnovamento, rivestendo il genere di una grande responsabilità

sociale e politica, portavoce e facilitatore della formazione dello stato-nazione, i cui

personaggi vengono creati dall’autore in modo da poter assolvere specificamente tale

funzione. A questo proposito i “personaggi–cornice” principali delle Notti

assumeranno un ruolo simbolico fondamentale:

Shahrazād is written as nature, nation and love, and Shahriyār is written

as representative of the city, of political authority and desire, and

Dunyazād, who has been silent all the time, is rewritten as the marginal

figure who represent the people or women whose voice deserves to be

heard.2

In conclusione, Ouyang fa notare come tradizione e imitazione di opere del

patrimonio letterario arabo, come le Notti in particolare, abbiano contribuito a fornire

al romanzo, forma letteraria importata dall’Occidente, la sua caratteristica culturale

1 Ibidem.

2 Ibidem.

42

identitaria necessaria al rinnovamento e allo stesso tempo, la creazione di una nuova

tradizione.

La coscienza araba rappresentata dalle Notti verrà utilizzata come punto di

partenza di rinnovamento e trasformazione anche nel romanzo Notti delle Mille e una

notte di Najīb Mahfūz che analizzeremo più avanti.

1.3.2. Il ruolo della intertestualità nel romanzo arabo moderno

La nascita del romanzo arabo è inscindibilmente legata al concetto

d’intertestualità, strumento principale attraverso il quale avviene il recupero della

tradizione. Il romanzo arabo, infatti, si contrappone a quello occidentale e tenta la

strada dell’originalità proprio attraverso l’intertestualità mediante l’utilizzo di testi

pre-esistenti di generi diversi. La studiosa Ouyang s’interroga sugli effetti della

intertestualità sulla tradizione letteraria araba, la quale tradizione, nello stesso

momento in cui fornisce al romanzo arabo le strategie narrative di cui ha bisogno per

sganciarsi dal modello europeo, paga il prezzo di essere sfigurata e stravolta fino a

scomparire nella creazione di un nuovo testo.1 Ouyang si riferisce alla concezione

Borgesiana d’intertestualità, intesa non come trasposizione di un sistema di segni in

un altro ma come esplicito e aperto coinvolgimento con le fonti di un opera letteraria:

It is not possible for novels not to read like one another in some lines or

pages because the material of all novelists comes from the face of this

planet; life itself. Borges once said something to the effect that no writer

could claim “originality” (asāla) because they are all “translators” and

annotators of pre-existing‘ archetypes”. In fact, he defined “modern

literature as grounded in four basic devices (taqiyāt asāsiyya) work

within work, (al kitāb dakhīl al-kitāb) the contamination of reality by

dream, (‘adwa al-wāqi bi l-hulm) the voyage in time,(al safar fi al-

zamān) and doubling (al-muda’afa) the contamination of reality by

dream, the voyage in time and doubling.2

1 Cfr., W.C. Ouyang, Poetics of Love in the Arabic Novel, Nation-State, Modernity and Tradition,

Edinburgh University Press, Edinburgh 2012. 2 W.C. Ouyang, Intertextuality Gone Awry? The mysterious (dis)appearance of “tradition” in the

Arabic Novel, in Intertextuality in Modern Arabic Literature Since 1967, a cura di L. Deheuvels, B.M.

Pikulska, P. Starkey, Durham Modern Language Series, Durham 2006, pag. 50.

43

Il recupero della tradizione e del passato da parte degli autori arabi moderni

diventa dunque l’unico modo per legittimare la scrittura moderna e fornire al

romanzo arabo un solido ancoraggio storico e l’intertestualità, un mezzo attraverso il

quale l’autore ottiene uno scopo ben preciso, piegando linguaggio, stile, trame e

personaggi di testi cosiddetti pre-moderni a nuovi simboli e significati, operazione,

sottolinea la Ouyang, tutt’altro che innocente:

Intertextuality entails that a text deliberately evokes and embodies

premodern texts, not only by internalizing their language, styles, tropes

and moods, but also rewriting their characters, plots and more

importantly story […] pre-modern texts are not innocently integrated

into modern texts and do not remain innocent.1

E ancora, in Politics of Nostalgia, la studiosa afferma:

Ways of rewriting tradition are uncountable. There is an ongoing

stupendous revivalist project in Arab culture. Arab intellectuals have

been and continue to be engaged in reviving what is termed “cultural

heritage”, turāth, through editing and publishing manuscripts, scholarly

study of classics, or critical rereading, reinterpreting and refashioning of

all aspects of this cultural heritage from a plethora of perspectives:

defensive, conciliatory, social, legal, linguistic and hermeneutical, to

name but a few […] the ways in which Arab writers rewrite the “classical

Arabic literary tradition in their modernist works complement their

discourses on tradition in their narratives of modernity.2

Di fatto, la tradizione ricostruita attraverso l’intertestualità acquisisce nuova

forma e diventa un testo del tutto nuovo che (re) inventa una propria tradizione e, la

tradizione stessa che si vuole salvare dall’oblio, paradossalmente, scompare, proprio

in quell’intertestualità che avrebbe lo scopo di ravvivarla e riportarla alla luce, nel

momento in cui l’autore le chiede di porsi a garanzia di autorevolezza e autenticità

del nuovo testo. La Ouyang, inoltre, non manca mai di sottolineare lo stretto legame

tra il recupero della tradizione e un bisogno tutto moderno dell’autore di originalità,

autenticità e distacco dai modelli letterari coloniali di matrice occidentale:

1 W.C. Ouyang, Poetics of Love in the Arabic Novel, op. cit., pag. 27.

2 W.C. Ouyang Politics of Nostalgia, in the Arabic Novel, Nation-State, Modernity and Tradition,

Edinburgh University Press, Edinburgh 2013, pp. 19-20.

44

Intertextuality that pervades the present Arabic literary landscape has

been a staple feature of modern Arabic fiction […] the proliferation of

intertextuality is explained as the Arabic novel’s search for identity in the

post-colonial context […] it gives the Arabic novel an identity distinct

from its “Western” precursor [...] intertextuality has been a strategy

employed in Arabic literature to negotiate its role in contemporary life

and [...] in shaping modern literary texts.1

In questa continua tensione tra vecchio e nuovo, la tradizione e il passato

diventano paradossalmente inafferrabili nel momento stesso in cui esse vengono

strategicamente chiamate in causa. L’autenticità richiesta all’autore dalla modernità,

insieme all’espressione di un nuovo e originale talento individuale, comportano

proprio l’allontanamento dalla tradizione stessa, e persino l’intertestualità, come

strategia narrativa di recupero storico della tradizione, si rivela alla fine, secondo

Ouyang, un espediente puramente illusorio:

Originality in the Arabic Novel […] seems predicated on “authenticity”,

on knowledge of and rootedness in the “past”, which is impossible,

followed by transcending this “very past”, which becomes uncertain. The

achievements of the novel, as a novel, seems to rest on both

groundedness in and departure from the “tradition” bequeathed by the

“past”. Intertextuality becomes a convenient narrative strategy. However,

the paradox of authenticity (asāla) in fact destabilizes both notions of

“originality” and “tradition”. Both become illusory and elusive [...].2

Ma, conclude la Ouyang, l’effetto di questo continuo ricorso al passato funge

solo da ostacolo alla creazione di un romanzo arabo moderno che, detto con le parole

della studiosa “seems to straddle the two poles of its perceived origins”.3

E ancora:

that the “past” [...] haunts the “present” has become almost a cliché in

contemporary Arabic literary and cultural literary discourse. The

persistent presence of the “past” in the “present” makes it impossible for

the “present” to progress toward the “future”. This arrested development

of the “present” in the shadow of the “past” has come to represent the

impasse that Arab intellectuals have reached with regard to modernity

and modernization of their history, culture and literature.4

1 W.C. Ouyang, Poetics of Love in the Arabic Novel, op. cit., pp. 47- 48.

2 W.C. Ouyang , Intertextuality Gone Awry?, op. cit., pag. 60.

3 Ivi, pag. 47.

4 Ivi, pag. 46.

45

1.4. Shahrazād nella letteratura araba della Nahda

La riscoperta delle Mille e una notte vedrà, non a caso, la figura di Shahrazād

come figura centrale dell’opera, poiché, all’interno del fenomeno di rinnovamento

della società araba nel suo insieme, il ruolo della donna assunse una funzione

preponderante e Shahrazād venne considerato il prototipo femminile ideale da cui

partire per rivendicare i diritti delle donne nel mondo arabo.1 Non a caso, come fa

notare Hoda Elsadda, molti studiosi legano le questioni di genere al nazionalismo

anticoloniale nel mondo arabo, avendo uomini e donne un ruolo e uno status

differente nell’immaginario nazionale, essendo quello della donna certamente

marginale. Il rinnovamento sociale nasce dunque all’ombra e sotto il peso del

colonialismo, che esporta modelli patriarcali di dominazione maschile creando una

1 Il rinnovato successo delle Notti in patria iniziò in ambito teatrale. Il primo drammaturgo ad

utilizzare le Notti come fonte di ispirazione fu il libanese Marūn Al-Naqqāsh , considerato il fondatore

del teatro arabo, che scrisse nel 1849 la sua seconda opera intitolata Abū-l- Hasan al-mughaffā aw

Hārūn al-Rashīd mostrando come attraverso l’imitazione dei più noti personaggi della raccolta si

potesse tuttavia creare un’opera del tutto originale e attuale anche per la società del XIX secolo.

Dopo di lui, il drammaturgo siriano al-Qabbāni si cimenterà con un'altra opera ispirata alle Notti,

Riwāyāt Hārūn al-Rashīd ma’a al-amīr Ghanīm, (Hārūn al-Rashīd e l’emiro al-Ghanīm) opera che,

censurata e tacciata di immoralità lo costringerà a lasciare la Siria per stabilirsi in Egitto. Ma l’opera

che più s’ispira alle Notti è Hārūn al-Rashīd ma’a Uns al-Jalīs, la cui trama si ispira alla storia

raccontata da Shahrazād al sultano nella quarantacinquesima notte. La rappresentazione sembra fedele

al racconto, in quanto il quadro e i personaggi sono identici ma la dimensione morale attribuita dalle

Notti all’avventura di Alī Nūr al-Dīn viene sostituita dalla volontà dell’autore di mettere a fuoco solo

gli effetti nefasti della eccessiva prodigalità del personaggio, attraverso l’utilizzo di vari colpi di

scena, in un susseguirsi continuo di scene romanzesche e melodrammatiche, allo scopo di accelerare

notevolmente l’azione. Rivisitando e riappropriandosi dei personaggi delle Notti egli li adatta al gusto

del pubblico dell’epoca, con l’intenzione di creare un’opera di puro intrattenimento, che non dia da

pensare, leggera.

Altro drammaturgo famoso che si ispirò alle Notti fu Muhmud al-Wāsif con la sua opera Riwāyāt

Hārūn al-Rashīd wa-Qut al-Qūlūb wa Khālifa al-sayyād, rappresentata al Cairo nel 1900, ispirata al

famoso racconto di Khālifa il pescatore.

Ogni drammaturgo imprimeva il proprio stile nella rivisitazione dei personaggi evidenziandone di

volta in volta qualità diverse allo scopo di riprendere la tradizione passata per creare una nuova

coscienza identitaria araba da opporre a quella coloniale di importazione, e utilizzare la notorietà di

tali personaggi, ben radicati nell’immaginario arabo, per portare avanti una forte satira politica e

sociale che raccontava in forma allegorica la realtà dei loro paesi.

L’ultimo e più moderno dei drammaturghi arabi fu l’egiziano Tawfīq al-Hakīm con la sua Shahrazād

scritta nel 1934 che rappresenta il sultano Shahriyār ormai guarito dalla misoginia che riconosce in

Shahrazād, sua moglie, l’unica fonte di conoscenza, di sapere e, dunque di salvezza. Cfr., Rachid

Bencheneb, in Mille et une nuits et théatre arabe, Studia Islamica 40, 1974.

46

sorta di parallelo tra le gerarchie di potere esistenti in occidente tra uomo e donna e

tra colonizzatori e colonizzati, dove l’Occidente rappresenta un’immagine di potere

maschile e razionale e l’Oriente, l’immagine femminile debole, irrazionale e

bisognosa di essere “civilizzata” e cioè dominata:

[…] the Orient was feminized to establish an unequal power relation

between East and West. Revathi Krishnaswamy added that the “real goal

of feminization is effeminization, a process in which colonizing men use

women/womanhood to delegitimize, discredit and disempower colonized

men” […] the concept of effeminacy was used by the British colonizers

to describe the Bengali elite who imitated Western ways, to maintain a

distinction between them and the “manly Englishman” […] Cromer

despised what he described as the class of “Europeanized Egyptians” who

were “demoslimised” Moslems and invertebrate Europeans”.1

Il concetto di mascolinità viene dunque stravolto dalla costruzione di nuovi

stereotipi coloniali che vengono di volta in volta adattati ai diversi contesti storici e

geografici, anche se in realtà, la nuova visione dell’uomo e della donna piuttosto che

incarnare e riflettere la storica opposizione tra tradizione e modernità, mostra

soltanto le contraddizioni e i cambiamenti inevitabili che si verificarono con

l’avvento del colonialismo e la conseguente costruzione di nuove identità nazionali:

The New man was certainly a modern construct, and his advent heralded

a shift in representations of Arab masculinity. Like the New Woman, he

was caught up in ideological warfare and was the contested subject of

conflicting views and cultural imaginings.2

Cambia di conseguenza anche il concetto di canone letterario che adesso

viene legato all’idea di nazione e non più all’autenticità e alla caratteristiche

estetiche, strutturali e linguistiche di un opera come era avvenuto in passato:

Literary canons are […] cultural products shaped by and constitutive of

the geopolitical of cultural production at a given historical moment. They

can legitimate projects of conquest and dominations, as well as projects

of resistance and liberation. The novelistic canon of Arabic literature has

1 H. Elsadda, Gender, Nation, and the Arabic Novel, Syracuse University Press, Syracuse-New York

2012, pag. 57. 2 Ivi, pag. 58.

47

largely been constructed to reflect, indeed to comply with, a nationalist

agenda, hence expressing dominant themes in national discourses and

excluding other equally important themes expressed by more marginal

voices and groups. “Canonical” novels written in the first half of the

twentieth century that are anthologized and celebrated as expressive of

Arab worldviews and concerns will inevitably address issues related to

the dilemma of a protagonist, an Arab intellectual, torn between tradition

and modernity, the relation between East and West, the individual and

society, the woman question, all themes that occupied a central place in

the national discourse.1

Le donne diventano pertanto l’argomento centrale sia del discorso coloniale

ma anche, paradossalmente, di quello anticoloniale incarnando perfettamente quella

dicotomia del mondo arabo, esistente ancora oggi, tra ihyā e iqtibās, tra vecchio e

nuovo, cui facevamo cenno all’inizio del paragrafo:

[…] women as symbols of the modern nation in anticolonial discourses

and markers of a coveted modernity are caught up in the love-hate

relationship with the colonizer, a major anticolonial dilemma. On the one

hand ,the improvement for progress and national access to modernity, but

they are nevertheless expected to acts the guardians of traditional values

and authentic cultural identity […] women’s bodies became the arena for

the battle over identity and cultural supremacy between colonial and

national forces.2

All’interno di questo discorso che collega il genere al nazionalismo

anticoloniale è interessante notare come il personaggio femminile di Shahrazād, nel

suo viaggio di ritorno da occidente ad oriente, si spogli di qualsiasi connotazione

fisica e perda progressivamente quell’enfasi sul corpo e sulla bellezza attribuitale

nelle versioni occidentali delle Notti, riappropriandosi, come fa notare Fātima

Mernissi, della sua dimensione “puramente cerebrale” che è poi anche “l’essenza

della sua attrazione sessuale”. La Shahrazād orientale non si serve del suo aspetto

fisico ma della sua cultura, utilizza il linguaggio come unica speranza per recuperare

il dialogo tra i due sessi opposti attraverso il samar e la sua modernità sta proprio nel

recupero della funzione del suo intelletto per così lungo tempo negatole dalla lunga

permanenza all’interno delle varie traduzioni, dipinti e balletti occidentali che la

1 H. Elsadda, Gender, Nation, and the Arabic Novel, op. cit., introduzione, pag. XXI.

2 Ivi, Introduzione, pp. XXIII-XXIV.

48

cristallizzavano dentro a un “organismo attraente” ma senza cervello, per usare le

parole della Mernissi.1

In un mondo come quello arabo stravolto dai cambiamenti politici e sociali

iniziati con la campagna di Napoleone in Egitto, le Notti diventeranno terreno fertile

per ripercorrere e ricoprire di nuovi significati i problemi moderni di esigenza di

affermazione femminile e di liberazione politica, qualità incarnate entrambi da

Shahrazād, che, ”nel mondo islamico, è considerata un’eroina politica, una

liberatrice”.2 Dice la Mernissi:

Per comprendere l’emergere della nostra narratrice quale simbolo dei

diritti umani nell’Oriente moderno, bisogna tenere a mente che per secoli

le élite conservatrici hanno disprezzato Le Mille e una notte quale

sottoprodotto popolare, negandogli, con rare eccezioni, qualsiasi valore

culturale, perché le storie erano trasmesse oralmente […].3

Shahrazād è potuta salire alla ribalta della scena araba intellettuale del

ventesimo secolo, perché già nella Baghdad del IX aveva chiaramente

indicato alcuni fondamentali nodi filosofici e politici per i quali i nostri

attuali leader ancora non trovano risposta: perché si deve obbedire a una

legge ingiusta? Solo perché l’hanno scritta gli uomini? […] il miracolo in

Oriente è che proprio questa eccessiva pensosità di Shahrazād,

unitamente ai suoi più ampi interessi politici e filosofici, la rende

strepitosamente attraente.4

Sono dunque le arti di stratega di Shahrazād a renderla un personaggio

moderno, un ideale eroina politica da prendere a modello per le sue evidenti qualità

civilizzatrici e per la straordinaria capacità di “guarire” i principali mali del mondo

quali guerre e ingiustizie sociali e redimere i tiranni come Shahriyār; da sempre

simbolo del femminismo nel mondo arabo, ella incarna l’ideale di donna intelligente

e saggia, emblema dei valori di libertà, e di quelle qualità essenziali di forza e

coraggio che tutte le donne sognano di possedere per difendersi e sopravvivere in una

società maschilista e patriarcale. Il legame tra emancipazione della donna e

modernità è chiaro sin dall’inizio. Afferma a tal proposito la Mernīssī: “Qualsiasi

riflessione sulla modernità come chance di liberarsi dalla violenza dispotica assunse

la forma, nel mondo musulmano, di una necessaria presa di posizione dei filosofi a

1 Cfr. F. Mernissi, L’harem e l’Occidente, Giunti, Firenze, 2000, pp. 35-36.

2 Ivi, pag. 43.

3 Ivi, pag. 49.

4 Ivi, pag. 51.

49

favore delle donne, a cominciare da Qāsim Amīn, campione del femminismo nel

XIX secolo, fino a oggi”.1

Dice a questo proposito Attilio Scuderi:

Uno degli elementi ideologicamente più originali, devianti e sovversivi –

e parlo qui dell’ideologia politica e di genere delle riletture

novecentesche delle Mille e una notte, risiede di certo nell’accentuazione

della natura femminile dell’atto narrativo e insieme nella riattualizzazione

della dinamica di genere (donna contro uomo e viceversa) presente

nell’ipotesto arabo.2

La riscoperta delle Notti è dunque legata alla figura di Shahrazād,

incarnazione del riscatto di un mondo femminile/femminista da contrapporre

all’atavica prepotenza e prevaricazione violenta di un mondo maschile, attraverso

una nuova messa in valore della narrazione, tradizionalmente monopolio femminile.

Scrive la Cavavero:

Nelle cucine, sui treni nei corridoi delle scuole e negli ospedali, davanti a

una pizza o a un bicchiere, sono sintomaticamente soprattutto le donne a

raccontare storie di vita. […]. Da sempre, l’attitudine per il particolare fa

di esse delle narratrici eccellenti. Ricacciate, come Penelope, nelle stanze

dei telai, sin dai tempi antichi esse hanno intessuto trame per le fila del

racconto. Hanno appunto intessuto storie, lasciandosi così incautamente

strappare la metafora del textum dai letterati di professione. Antica o

moderna, la loro arte s’ispira a una saggia ripugnanza per l’astratto

universale e consegue a una pratica quotidiana, dove il racconto è

esistenza, relazione e attenzione.3

Ma, come fa notare ancora Elsadda, la nuova forza simbolica che la figura

femminile di Shahrazād assumerà al suo rientro in patria con la Nahda non sarà data

da una nuova connotazione attribuita al personaggio quanto piuttosto dal recupero

del suo potere originario, potere che i vari commentatori occidentali avevano tentato

1 Ivi, pag. 46.

2 A. Scuderi, Una notte più di mille: Sheherazade in viaggio nel Novecento, in Sulle orme di

Shahrazād: le «Mille e una notte» fra Oriente e Occidente, op.cit., pp. 314-315. 3 A. Cavavero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Feltrinelli, Milano

2003, pag. 73.

50

di occultare snaturando il testo in traduzioni tutt’altro che fedeli per sminuire la

statura di Shahrazād e consegnare alla società Europea del tempo un’immagine di

donna orientale passiva e sottomessa nella quale ogni donna occidentale potesse

riconoscersi, e dalla quale ogni uomo europeo potesse sentirsi rassicurato, essendo

l’opera rivolta principalmente a un pubblico di lettori maschili. La forza e la

determinazione necessarie a Shahrazād per contrapporsi al volere del padre, così

come la sua ardita minaccia di morte al sultano qualora questi, alla fine della

narrazione, non avesse rinunciato per sempre alla pratica sanguinaria del

femminicidio, si perdono per oltre un secolo nei meandri delle varie interpretazioni

con lo scopo evidente di veicolare in Occidente uno stereotipo femminile orientale

che fosse speculare a quello della donna Europea del XIX secolo, dove le eroine dei

romanzi non avrebbero mai tentato di sovvertire i ruoli indiscussi di uomo e donna

all’interno di una società ancora fondamentalmente patriarcale.1

Paradossalmente, dunque, nello stesso momento in cui le Mille e una notte si

accingono a compiere il loro viaggio di rientro in patria da occidente, recuperando

sia quella dimensione attiva attinente alla personalità di Shahrazād sia il tentativo di

una sua lettura in chiave femminista, l’Occidente inizierà la propria avventura

coloniale che tenterà di giustificare ponendosi come paladino di democrazia e dei

diritti della donna in oriente, gli stessi diritti che, intanto, continuerà a negare in

patria alle proprie donne.

In conclusione, la ricezione di un’opera letteraria dipende dalla percezione

che di essa ne ha il lettore, influenzato dal contesto storico e culturale nel quale egli

vive ed opera. Afferma a tal proposito Bakhtin citato da Elsadda:

At any given time, in any given place, there will be a set of conditions –

social, historical, meteorological, physiological – that will insure that a

word uttered in that place and at that time will have a meaning different

than it would have under any other conditions; all utterances are

heteroglot in that they are functions of a matrix of forces practically

impossible to recoup, and therefore impossible to resolve.2

In altre parole, rifacendoci alla terminologia saussuriana, possiamo affermare

che ogni testo letterario, una volta fatto il suo ingresso in quello che Pascal Casanova

1 Cfr., H. Elsadda, Gender, Nation, and the Arabic Novel, op. cit., pp. 103-104-105.

2 Ivi, pag. 66.

51

definisce “La Repubblica delle Lettere”, inizia un viaggio infinito e senza confini di

trasmigrazione dal nazionale al transnazionale, viaggio che lo rivestirà di volta in

volta di “significati” sempre nuovi, attribuitegli dai molteplici “significanti” tramite

le traduzioni di quel testo in varie lingue e in diversi momenti storici. E’ proprio

questa continua “trans-formazione” che rende ogni testo letterario e le letterature in

genere “un luogo privilegiato della rappresentazione dell’Altro”, dove l’opera

letteraria diventa strumento ideale per la creazione della propria identità, passando

attraverso quello che Antonio Pioletti definisce “una sorta di grammatica di

rappresentazione dell’estraneo”;1 solo il confronto continuo e costruttivo con una

realtà “altra” può renderci consapevoli fino in fondo di come la differenza tra noi e

l’altro, che da sempre percepiamo come minaccia, sia in realtà una differenza fittizia,

come fittizia è la storica opposizione tra Oriente e Occidente,2 frutto di pure

categorie mentali, fornite da schemi precostituiti e consolidati nell’immaginario

collettivo, schemi che ben poco hanno a che vedere con la realtà e all’interno dei

quali rischiamo di rimanere prigionieri, perdendo di vista la grande ricchezza che la

scoperta di tale alterità comporta, poiché quello che Pioletti definisce “la soglia” tra

noi e l’altro, “non solo divide e mette in contatto, ma anche si sposta, può essere

cancellata o essere tracciata là dove prima non c’era’, poiché l’alterità rinvia a un

medium universale quello, ad esempio, rappresentato dagli esseri umani […].

L’alterità è una differenza non riducibile a unità, interna ed esterna al Sé. Il Sé non

1 Antonio Pioletti, introduzione a Lo sguardo sull’altro, lo sguardo dell’altro, in L’alterità in testi

medioevali, a cura di M. Cassarino, Rubettino, Soveria Mannelli, 2011, pag. 17. 2 Afferma a tal proposito Elsadda: “East’ and West […] are misleading terms. They have been used

for centuries to designate areas which have never been East or West of each other. The East gestures

vaguely at an area stretching from Morocco to China, even Japan, while the West today subsumes

Europe, America, Australia and others. If we limit the discussion to the Arab East, this comic

inaccuracy is part of the daily vocabulary of both groups. East and West are familiar generalizations

which affirm an absolute differentiation. What they mean is hard to pin down with precision, for they

are terms which utilize the opposite of representation: east and west simplify and stand in place of the

groups they designate. East replaces a heterogeneous cultural, religious and linguistically diverse

human crowd (just as, in the case of Arab nations, it replaces twenty-two different countries) with a

vague, homogenizing term. The term West does precisely the same thing for its members. The origin

of this terminology can be summarized as follows: Europeans defined their perceived Other

geographically and assigned themselves the opposing term; West by contradistinction with the East.

This demonstrates the obvious: the terms are representative of a state of mind and the product of a

process of self-definition rather than a response to a geographic and historical reality. They indicate

and subsume certain attitudes of each group about the other. These homogenizing generalizations have

proved destructive and enduring. Although they retain a popular currency sufficient to maintain

knowledge of what they mean, they can be seen to represent a major error of cross-cultural perception

of history”. H. Elsadda, Gender, Nation, and the Arabic Novel, op. cit., pp. 67-68.

52

coincide con se stesso. Include uno spazio che resta […]. Alterità è un tempo e uno

spazio diversi. E’ il luogo altro dove batte un tempo altro. E’ un tempo altro, quello

del viaggio [...] che costruisce uno spazio diverso. E’ l’altrove dell’estraneo [...]. E’

lo straniero che invade o che è invaso, è il musulmano della Chanson de Roland o

delle Canzoni di Crociata. È la donna. È l’uomo. Irriducibili l’uno all’altro. Sono

l’eterosessualità e l’omosessualità. Sono le generazioni diverse e le diverse età della

vita”.1

1 Antonio Pioletti, Lo sguardo sull’altro, lo sguardo dell’altro, op. cit., pp. 16-17.

53

II. Layālī alf layla di Najīb Mahfūz

Every tale in The Thousand and One Nights begins with an

“appearance of destiny” which manifests itself through an

anomaly, and one anomaly always generates another. So a chain of

anomalies is set up. And the more logical tightly knit, essential

this chain is, the more beautiful the tale. By “beautiful” I mean

vital, absorbing and exhilarating. The chain of anomalies always

tends to lead back to normality. The end of every tale in The

Thousand and One Nights consists of a “disappearance” of destiny,

which sinks back to the somnolence of daily life. The protagonist

of the stories is in fact destiny itself.1

Pier Paolo Pasolini

2.1. Significato politico delle Notti

Da sempre, anche in epoca classica, intellettuali di qualsiasi cultura, hanno

cercato modi sempre nuovi per esprimere il loro dissenso affidando le loro idee

politiche a parole che potessero abilmente dissimularle, e attraverso cui esprimere

l’intrinseca e ingiusta natura del potere.

Leonardo Capezzone fa notare in proposito quante di queste idee siano state

affidate in passato anche alla letteratura d’adab, la quale accostando le coppie

passione-amore e/o passione-politica, considerava l’intervento della passione umana

in entrambi i casi come foriero di ogni genere di catastrofe.2 Purtuttavia, per la

storiografia arabo-classica, continua Capezzone, il riconoscimento dell’assoluta

arbitrarietà del potere era soltanto una presa di coscienza di un fenomeno ineluttabile,

contro il quale l’essere umano è assolutamente impotente, fenomeno che si poteva

solo descrivere e di cui prendere atto, poiché era considerato impensabile sovvertire

l’ordine costituito.

1 R. Irwin, The Arabian Nights: A Companion, Tauris Parke Paperbacks, London 2004, cit., pag. 200.

2 L. Capezzone, Nagib Mahfuz lettore delle Mille e una Notte, in ARABLIT.IT, II, 3, 2012.

54

La grande novità delle Mille e una notte rispetto a opere precedenti

appartenenti allo stesso genere, fu proprio quella di contenere in sé qualcosa di

sovversivo, cosa che la rese un contenitore moderno ideale all’interno del quale

racchiudere la denuncia dei guasti del potere delle nuove nazioni-stato. Afferma

Irwin a tal proposito:

Some of the stories in the Nights shed a rather odd sort of light on Islamic

political thinking […] the political theorists of the medieval Islamic

world were realists. Rather than wasting their time thinking of

alternatives to despotism, they preferred to concentrate on how to get the

best despot […] it is […] time to turn to the alternative adversarial and

antiestablishment themes in the Nights, for such themes are indeed

occasionally present. Systematic oppositional texts and sketches of

utopias or alternative society only rarely feature in Islamic literature.1

In passato, dunque, il dispotismo era considerato un male necessario, e

bastava soltanto assicurarsi che, come scrive Irwin, il despota fosse un uomo

moralmente retto affinché il regno prosperasse:

the prosperity of the land is dependent on the moral health of the king. If

the king strays, his land becomes a waste land.2

Secondo Irwin, la dimensione politica delle Mille e una notte viene affidata a

Shahrazād, il cui compito principale è agire sulla personalità di Shahriryār attraverso

un’uso abile della parola che, più che salvare se stessa o le altre donne del regno,

mira a migliorare il comportamento politico del tiranno. I racconti, d’altronde, hanno

sempre avuto una parte importante nella vita dei re, i quali ne hanno tratto ispirazione

e consiglio per il loro buon governo. In altre parole, sostiene Irwin, la dimensione

politica della narratrice Shahrazād starebbe proprio nella sua abilità di indirizzare

verso il despota il potere catartico dei racconti e dei loro “exempla”, poiché il

realismo politico medioevale non mirava mai a detronizzare un re quanto piuttosto a

mantenere l’ordine costituito tentando semplicemente di spingere il cattivo despota

nella direzione del buon governo, fornendogli delle “buone letture” da cui egli

1 R. Irwin, Political Thought in The Thousand and One Nights, in The Arabian Nights: Past and

Present, vol.18, N.2, Wayne State University Press, Detroit 2004, pp. 248, 251,252. 2 Ivi, pag. 248.

55

potesse prendere esempio, come i vari specchi per principi – il Kalīla e Dimna già

citato – oppure sottoponendolo all’ascolto di racconti, narrati spesso da dame e

servitori di corte:

Submission to God, submission to fate and submission to the ruler

dominate a large number of stories. The political direction is determined

at the outset, when Shahrazāde, rather than thinking how to overthrow the

tyrant Shahriyār, instead proceeds to entertain him with stories.

Incidentally, to be entertained by stories, is one of the prerogatives of

kingship […] the need to entertain Hārūn al-Rashīd or some other rulers

or prince by telling him the story of one’s adventures is a recurring motif

in the Nights. The political theorists of the medieval Islamic world were

realist. Rather than wasting their time thinking of alternatives to

despotism, they preferred to concentrate on how to get the best despot. In

political theory and in story telling in the Nights, a despot be improved by

good servants who provided him not only with good advice, but also with

stories that were conducive to political virtue.1

Analizzando l’aspetto del racconto di corte la classificazione delle Notti come

opera popolare verrebbe a cadere, e Irwin stesso afferma di aver ceduto anch’egli,

come tanti critici prima e dopo di lui, alla tentazione di sopravvalutare l’aspetto

popolare di questa raccolta che in realtà egli definisce tendenzialmente

“conservatrice e monarchica”, opera che contiene un gran numero di racconti

appartenenti alla tradizione medievale di corte cosiddetta “colta” dei boon

companions, ovvero dei nudamā, sostenendo che sarebbe stata la tradizione popolare

ad appropriarsi di racconti provenienti dalla letteratura “alta” e non viceversa:

It is easy to exaggerate the popular nature of the Nights and, because it is

easy, I did so myself in my own book on the Nights […] I now think that

I greatly underestimated the contribution of the literature of the boon-

companions (nudamā) and belletrists of the court to that corpus. Material

from al-Mas‘udī (d. 956), al-Tanūkhī (d. 994), Abū ’l Faraj al Isfahānī (d.

967) and other respectable folk were recycled by scribes who produced

manuscripts of the Nights from the 15th century onwards. The

conservative and monarchical tendency that pervades so much of the

Nights reflects the fact that a great deal of popular literature derives

ultimately from elite culture.2

1 Ivi, pag. 251.

2 Ivi, pag. 255.

56

Venendo poi all’aspetto più propriamente politico Irwin definisce alcuni temi

presenti nelle Notti come “alternative, adversarial and antiestablishment” e cita

l’enciclopedia medioevale Rasa’il of the Brethen of Purity, da cui le Notti avrebbero

mutuato il racconto The Birds, the Beast and the Carpenter, come uno dei pochi

esempi medioevali di fiabe politiche che, dando voce al mondo animale, ci

presentano i guasti di quella società medioevale in modo lucido e impietoso, un

mondo in cui giudici, burocrati e religiosi vivono divorati dalla loro stessa avidità,

corrotti dal potere, incuranti della natura come dei loro stessi simili, una società in

cui imperano guerre, schiavitù e ineguaglianze sociali, dove la spiritualità degli

uomini religiosi è stata sostituita dall’ambizione e dove i califfi commettono i più

efferati crimini. Le masse vengono qui paragonate agli animali, entrambi vittime

inermi di un potere assoluto cui soccombono senza ribellarsi:

Systematic oppositional texts and sketches of utopias or alternative

societies only rarely feature in Islamic literature. A rare example of an

oppositional fable occupies a large part of one of the volumes of the

encyclopedia Rasa’il of the Brethen of Purity. The Brethen were a

secretive group of philosophers in the tenth- and eleventh century Basra.

[…] their main political fable has been the source of the Nights story

“The Birds and the Beast and the Carpenter”. […]. In this remarkable and

quite lengthy story […] the animals, birds and fishes, combine to bring a

court case against humanity at the court of the king of the Jinn seeking to

have humanity condemned for its cruelty, waste of resources and

environmental heedlessness. But while it is accurate to describe it as an

ecological fable [...] a careful reading of this story suggests that the

Brethen of Purity were asking their animal mouthpiece in this story to

denounce not just human cruelty to animals, but also human cruelty to

humans. The fable amounts to an attack on society as it was constituted in

the tenth century, as it denounces war, enslavement as a consequence of

war, gross inequality in wealth, lack of charity, over clever shyster

bureaucrats, politically ambitious ‘ulamā’, corrupt judges, and the

tyrannical caliphs who commit all conceivable crimes- murder,

debauchery, and robbery- driven by excessive greed. The animals victims

of mankind also symbolize the blindly obedient masses-thus the Case of

the Animals more closely resembles Orwell’s Animal farm than might

appear at first sight.1

Purtuttavia i personaggi delle Notti agiscono per interessi propri e non per

cambiare il corso della società:

1 Ivi, pp. 252-253.

57

Fairy tales and tales from the Nights most of them anyway, are one-man

utopias. That is to say not really utopias at all. Aladdin, for example, gets

the woman, the palace, the jewels, but others do not, and the society from

which he emerged remains unchanged.1

L’ambiente cittadino, dice Irwin, strettamente legato al pensiero filosofico

islamico, differenzia i racconti delle Notti da quelli delle fiabe europee con la loro

ambientazione bucolica. La città per l’uomo è l’unico luogo dove poter vedere

realizzati i propri sogni di benessere economico e felicità:

Cities were places where power and wealth were to be found and

happiness too. Muslim philosophers and storytellers were agreed on that

point, and consequently they wasted no time on bucolic reveries. The

woods and the fields of the European fairytales are almost wholly absent

from the Nights, as they are from Islamic political philosophy.2

All’interno delle Notti, inoltre, vi è solo un racconto in particolare che, al

contrario di tutti gli altri, non tratta del soddisfacimento di desideri individuali, e che

potrebbe far pensare al tentativo di ricerca dell’uomo di un modello alternativo di

società, e cioè The tale of ‘Abdullah the fisherman and ‘Abdullah the Merman; in

questo racconto il tritone illustra al pescatore le città degli abissi marini e i loro

abitanti dei comunisti ante-litteram che praticano l’amore libero:

The menfolk, who dwell in a numerous underwater cities, do not buy or

sell; they have no use for precious stones, they practice free love. They

are in effect communists.3

Irwin ci fa notare come questo riferimento al comunismo all’interno delle

Notti sia di notevole rilevanza, poiché raro all’interno di testi di periodo pre-islamico,

e cita il noto scrittore Ibn al-Muqaffa‘ come uno tra i pochi intellettuali del periodo

islamico a manifestare tendenze di tipo “comunista”, la qual cosa, conoscendo la

personalità di Ibn al-Muqaffa‘, non ci sorprende:

Any kind of reference to communism in premodern Islamic discourse is

extremely rare, even if some writers in the Islamic period, most notably

1 Ivi, pag. 253.

2 Ibidem.

3 Ivi, pp. 253-254.

58

Ibn al-Muqaffa‘, were fascinated by Mazdak, a sixth-century (and

therefore pre-Islamic) Persian communist insurgent who was alleged to

have fought for communal access to women and property. (Crone

“Kavad’s Heresy”). Though there were Muslim anarchists in ninth-

century Basra (Crone “Ninth- Century Muslim Anarchists”). I have found

no echoes of this in the Nights.1

Sarebbero dunque le Notti un testo potenzialmente sovversivo e di minaccia

dell’ordine costituito e per questo emarginate dal novero delle opere classiche dagli

intellettuali del medioevo, la cui penna era al servizio del potere? Sembrerebbe

proprio di no, poiché ogni altro riferimento a società degli abissi all’interno di altri

racconti delle Notti, come fa notare Irwin, sembra volere riaffermare alla fine la

legittimità del governo monarchico e allontanare qualsiasi istanza politica volta al

raggiungimento di una maggiore giustizia sociale e, meno che mai, a movimenti di

emancipazione femminile:

It is also disappointing that the other underwater society to feature in the

Nights, that of “Julnar the Sea-Born”, seems to have been a conventional

monarchy (Burton, Nights 7: 264-308).”The tale of ‘Abdullah the

fisherman also mentions a “City of the Women of the Sea”. Amazon

communities also appear in the “Tale of Omar bin Nu’umān”, “The Man

Who never Laughed during the Rest of his Days”, “Hasan al-Basra and

The Lovers of Syria”. But such tales are rather a reflection of erotic

fantasy than of political concerns (feminist or other). Women who ruled

get a bad press in the stories and are sometimes presented as sorceresses

or man-eating ghouls, though there are a number of important

exceptions.2

Persino la figura di Sindbād, secondo Irwin, è una figura politica tradizionale,

ed egli definisce il mare di Sindbād come “a political sea”; per superare i pericoli cui

va incontro nelle sue avventure in lontani paesi esotici, Sindbād non può far altro che

fare affidamento sulla tradizione e agire da buon adīb applicando alle varie situazioni

difficili in cui s’imbatte i valori della cultura islamica, unico modo per tirarsi fuori

dai guai. La funzione “esotica” delle sue avventure all’interno dell’opera, non

sarebbe altro dunque che un altro modo per riaffermare la tradizione culturale e

politica del mondo islamico. A sostegno di questa interessante metafora

mare/politica, Irwin cita le parole di Oakeshott:

1 Ivi, pag. 254.

2 Ibidem.

59

In political activity then, men sail a boundless and bottomless sea, there is

neither harbor for shelter nor appointed destination. The enterprise is to

keep afloat on an even keel; the sea is both friend and enemy; and

seamanship consists in using the resources of a traditional behavior in

order to make a friend of every hostile occasion.1

Anche la figura del sultano che vaga di notte “in disguise” per le strade della

città al fine di conoscere meglio i suoi sudditi e i problemi del suo regno è un tema

presente sia in molti racconti delle Notti che in altre raccolte di racconti della

tradizione folclorica in generale. Irwin menziona in particolare due racconti delle

Notti in cui tale travestimento, talvolta svelato talvolta no, è utilizzato come

contenitore sia per una critica sociopolitica della corruzione del governante e dei suoi

ufficiali sia come unica occasione liberatoria attraverso cui il popolo può fare sentire

la sua voce:

The king wandering the streets in disguise in order to learn the secrets of

his subjects is one of the most familiar themes in storytelling and

historical folklore. Apart from Hārūn al-Rashīd, rulers such as al- Hākim

bi-Amrillah, Qaytbay, Pedro the Cruel, James V of Scotland and many

others are reputed to have done so. In many stories of the Nights, the king

perambulating the city in disguise serve as no more than a perfunctory

prelude or framing device to someone else’s adventure. In two stories,

however, real or pretended failure to penetrate the ruler’s disguise

licenses sociopolitical criticism. In the Night Adventures of Sultan

Muhammad of Cairo (Burton Supplemental Nights, 5: 90-94) […] when

the vizier points out that obedience is due to the sultan from all his

subjects, she replies that he may be sultan, but how does he know

whether his subjects are starving or not? And she re-emphasizes the point

that obedience is not due to a sovereign who is in breach of the Shari‘a.

The sultan in disguise takes her admonishment in good part and returns

the following night to give the family money and hear their story. […]

The History of al-Bundukānī (Burton, Supplemental nights 7: 42-85) is

another example of a story, in which the disguise of the ruler licenses his

subjects to speak bluntly. The circumstances are different in that, though

the Caliph Hārūn al-Rashīd is in disguise, the old woman whom he

encounters has not penetrated that disguise. Instead, she mistakes for him

a robber and a captain of thieves. At a certain level, however, this is no

mistake as the Caliph with his corrupt officers, and oppressive taxes, is

indeed a kind of robber-king […] only successful thieving can explain his

lavish fortune.2

1 Ibidem.

2 Ivi, pag. 255.

60

Ma nonostante, come fa notare Irwin negli esempi sopra citati, i racconti

mostrino un’aperta critica del dispotismo medioevale, essi in realtà non facevano

altro che presentare una svariata galleria di personaggi impersonanti monarchi più o

meno buoni o cattivi con i quali il pubblico dei lettori avrebbe potuto identificarsi,

ma mai scritti allo scopo di indirizzare la coscienza politica del lettore verso un reale

sovvertimento dell’ordine costituito, che non viene mai realmente messo in

discussione:

In this and many other tales the values of the establishment are implicitly

affirmed. To hear is to obey! The fantastic stories of the Nights that were

read or listened to by people living under Mamluk or Ottoman despotism

offered them no escape from the despotic solutions. Fiction merely

offered different despots, Shahriyār, Hārūn al-Rashīd, Sultan

Muh ammad […]. Some were better and some were worse than the ones

the audience actually lived under.1

Il fine delle Notti, dunque, rimane la riaffermazione di tutto ciò che è

familiare e tradizionale per la società islamica, anche se, come illustrato bene da

Irwin, “some of the stories in the Nights shed a rather odd sort of light on Islamic

political thinking”.2

2.2. Layālī alf layla: la riscrittura in chiave politica delle Notti

Il fatto che la riscrittura in chiave politica delle Notti risalga già all’epoca

Abbaside, Mamelucca e Ottomana, dove vari scrittori appartenenti all’èlite letteraria

del tempo utilizzavano i racconti delle Notti superando il loro disprezzo per la prosa,

è prova evidente di come studiosi e intellettuali del tempo ritenessero in fondo la

prosa un mezzo ben più valido della poesia al quale affidare la diffusione di valori

religiosi e politici, come suggerisce Irwin nel suo Companion:

1 Ivi, pp. 255-256.

2 Ivi, pag. 248.

61

[…] the stories contained in the Nights were not the exclusive property of

anonymous storytellers. In many cases they were known and transmitted

by scholars and belletrists of considerable distinction in anthologies

which purported to do more than entertain idlers in coffee-houses.

Despite the opinion generally held among educated Arabs that prose was

inferior to poetry, and despite their frequent proclaimed contempt for

prose fiction, it is evident that some members of the èlite interested

themselves in storytelling. It is possible that sometimes they took stories

from the Nights and made use of them to convey political or religious

message.1

Di riscrittura ai fini politici delle Notti tratta anche la studiosa slovacca Katarina

Kobzosova nel suo saggio The Changing value of the Thousand and one nights and

its influence on modern contemporary literature2 portando alla nostra attenzione la

prima tesi scritta in tempi moderni sulle Mille e una notte, quella di Suhayr al-

Qalamāwī (1911-1997), sotto la supervisione del noto scrittore e commediografo

Taha usayn (1889-1973). Varie sin da allora sono state le riscritture arabe delle

Notti nell’universo letterario moderno, in cui gli scrittori, nell’utilizzare vari temi,

motivi ed elementi dei racconti, si sono serviti di due tipi di intertestualità, esplicita e

implicita, talvolta sovrapponendole, caricando la scrittura di effetti simbolici e/o

allegorici attraverso cui dissimulare opinioni politiche per evitare la censura:

Different authors use different techniques and follow different objectives

in their works, so we differentiate several types of intertextuality

concerning the stories from the Thousand and one nights. The first

typology of intertextuality is based on the opposition between explicit vs.

implicit intertextuality, though their overlapping is nothing unusual.

Explicit intertextuality encompasses any direct connection with the

collection of folk stories, including the characters, their names, fragments

of plot and parts of the individual episodes as well as a direct reference to

the name of the collection in the title of the work. Implicit intertextuality

is a more complicated phenomenon. It is not expressed directly; it is not

that obvious and its elements might be more difficult to identify in a text.

We are talking mainly about a specific type of narrator, an embedded

narrative, and sort of a labyrinthine story with innumerable characters

whose lives overlap and they often travel through time and space. The

elements and motives are sometimes obscure and would often remain

unnoticed, so an in-depth analysis and careful comparative techniques are

required to reveal them. The second opposition is based on the objective

of the intertextuality used. In other words, we differentiate between

1 R. Irwin, The Arabian Nights, A Companion, op. cit., pag. 87.

2 K. Kobzošova, The Changing Value of the Thousand and One Nights and Its Influence on Modern

and Contemporary Arabic Literature, Zbornìk Filozofickej Fakulty Univerzity Komenského Ročnìk

XXXIII – XXXIV Graecolatina et orientalia, Bratislava 2012, pp. 161-175.

62

whether the stories from the Thousand and One Nights are used for

primary purposes or just a secondary or metaphorical function. Some

authors use the wide range of topics from the collection and simply

rewrite them in order to amuse their readers or to raise emotions. Thus

their aim is mainly aesthetic. Writers often choose one or more stories

from the Thousand and one Nights and simply transform them into

dramatic novelistic or poetic form [...] on the contrary, authors often use

the collection of folk stories as their primary source in their own work,

but doing so they are pursuing their own objectives. Writers often try to

point out certain social phenomena or problems. They criticize the

political regime in the country or parodize various institutions, subject

and topics; sometimes they do not spare even the primary source of their

work itself – i.e. their cultural heritage and oral tradition. Of course,

authors frequently use the combination of two or more types of

intertextuality, but it has to be said that intertextuality with a secondary

function occurs more than other types. This trend to use elements from

the Thousand and one nights in a symbolic or allegorical way seems to be

strongly connected with censorship that has long prevailed in many

countries.1

E quale opera poteva offrire spunto migliore dietro cui mascherare una

denuncia sociale e politica se non le Notti, che partono dal racconto cornice di un

sovrano dispotico e sanguinario che impone il suo volere ai sudditi?:

the central theme of the frame story about a capricious ruler who

terrorizes his own people, instead of protecting them offers authors

perfect material for further writing because its resemblance to political

situations in many countries of the world is more than obvious.2

Utilizzando il contesto storico e geo-politico dell’Egitto di Sādāt, uno dei maggiori

letterati del Novecento, Najīb Mahfūz, nel romanzo Layālī alf layla (1982), ha

interrogato i fondamenti del potere politico, servendosi di elementi ricavati dalla

cultura popolare e dalle Mille e una notte, al fine di inscrivere gli eventi narrativi in

un’atmosfera magica e irreale.

1 Ivi, pp. 166-167.

2 Ivi, pag. 170.

63

2.2.1. La denuncia sociale e politica di Mahfūz

Questo romanzo di Mahfūz, scritto intorno al 1982, vuole essere la

continuazione delle Mille e una notte, iniziando proprio dalla seconda notte. Di fatto,

è una vera e propria riscrittura dei racconti principali delle Notti che diventano

terreno di trasformazione e punto di partenza per una rivisitazione della storia araba,

per una rinnovata coscienza storica, dove le storie dei personaggi sono un semplice

pretesto per la sistematica sovrapposizione di un’immagine nuova di nazione e i

vecchi personaggi terreno fertile per un’allegoria nazionale e simbolo della ricerca

del vero significato dell’esistenza dell’uomo moderno.1 Mahfūz fu uno di quegli

autori che s’interrogarono a lungo sul ruolo dell’intertestualità nella ricostruzione del

passato e della tradizione.

Il romanzo Layālī alf layla s’inserisce nella fase del romanzo neo-sociale di Mahfūz,

caratterizzata dal recupero del patrimonio letterario arabo, all’interno del quale il

discorso orientalista europeo ha assegnato un posto di primo piano proprio alle Mille

e una notte. Quest’opera non canonica, emblema della cultura medievale popolare,

ha ispirato numerosi scrittori arabi della Nahda e ha esercitato il suo fascino sullo

stesso Mahfūz non soltanto in Layālī alf layla, ma anche in un testo teatrale

precedente, al-Shaytān ya‘iz, pubblicato pochi anni prima, nel 1979.

In esso, l’autore aveva riscritto il racconto della città di rame riprendendone

l’ambientazione, i personaggi principali e alcuni motivi tra cui quello, caro a

Shahrazād, del jinn imprigionato nella bottiglia dal grande re e profeta Salomone.

Il nucleo narrativo della città di rame veicola importanti significati e

insegnamenti, di cui si trova traccia anche in Layālī alf layla, che si possono

riassumere nella vanità e caducità dei beni terreni e, dunque, anche del potere umano,

transitorio e destinato a svanire. La società fittizia governata dalla regina Tarmizīn,

alla quale i protagonisti pervengono durante la spedizione comandata dal califfo

umayyade ‘Abd al-Malik ibn Marwān, è una parodia dell’Egitto contemporaneo e dei

rapporti di potere, fondati sulla corruzione e sull’ipocrisia, che s’instaurano tra

governo centrale e classi sociali, inclusi i poveri e gli intellettuali. Sia in al-Shaytān

ya‘iz che in Layālī alf layla, la figura dei jinn funge da elemento catalizzatore di un

1 La studiosa Ouyang, riferendosi al romanzo arabo, parla di “love affair with the nation state”. Cfr.,

W.C. Ouyang, Intertextuality Gone Awry? The mysterious (dis)appearance of “tradition” in the

Arabic Novel, op. cit.

64

discorso sul potere finalizzato alla sua delegittimazione: la forza e l’autorità umane,

infatti, si fondano, in entrambi i testi, sull’intervento soprannaturale di creature

invisibili la cui esistenza, riconosciuta dall’Islām, rimanda comunque a una realtà

eterea e incorporea.

In al-Shaytān ya‘iz, è il jinn a conferire alla regina Tarmizīn il potere assoluto

di cui gode, ed è sempre lo stesso jinn a provocare la rovina del suo regno, attraverso

un atto punitivo che ricorda quello compiuto, nell’ipotesto, direttamente da Dio; pur

di ottenere l’agognata libertà, inoltre, il demone è pronto a sovvertire l’ordine

costituito, promettendo agli inviati del califfo di aiutarli a sottomettere il loro signore

grazie al potere che esso è in grado di accordare.1

Il riferimento intertestuale mi pare indicativo nella misura in cui permette di

avvalorare una precisa lettura di Layālī alf layla, secondo la quale l’intromissione,

nell’universo narrativo, dei jinn e di altri elementi tratti dai racconti delle Notti, come

il berretto che rende invisibili, è funzionale a creare scompiglio nella comunità

urbana rappresentata, in modo sia da scuotere i fondamenti del potere umano e delle

gerarchie sociali, sino a rovesciare lo status quo, sia da destabilizzare l’idea stessa di

stato, specie se assoluto. Utilizzando lo stratagemma tipicamente europeo del

cappello magico, Mahfūz sottolinea la facile corruttibilità dell’essere umano:

Mahfūz [...] in his novel The Nights of the Thousand Nights, employs

characters and motifs from the Arabian Nights and also a device of

European origin, a magic cap, to demonstrate the corruptibility of man

caused by social conditions and the enticement by power and female

beauty.2

Katarina Kobzošova tenta di spiegare l’interesse di Mahfūz per quest’opera

appartenente alla tradizione letteraria classica nel suo saggio.3 Il romanzo di

Mah fūz Notti delle Mille e una notte4 rivela le idee dello scrittore sui principali

1 Cfr., M. Livigni, Satana predica di Nagìb Mahfùz, ovvero la «Città di rame rivisitata», in Sulle

Orme di Shahrazad: le «Mille e una notte» fra Oriente e Occidente, Atti del VI Colloquio

Internazionale (Ragusa, 12-14 ottobre 2006), a cura di Mirella Cassarino, Rubbettino, Soveria

Mannelli 2009, pp. 141-153. 2 W. Wiebke, Modern Arabic Literature and the Arabian Nights, in AA.VV., The Arabian Nights

Encyclopedia, a cura di U. Marzolph, R. Van Leewen, 2 vols, ABC-Clio, Santa Barbara 2004, pag.

58. 3 Cfr., K. Kobzošova, The Changing Value of the Thousand and One Nights, op. cit.

4 Najīb Mah fūz , Notti delle Mille e una Notte, Feltrinelli, Milano, 2004.

65

problemi dell’Egitto di Sādāt, come, ad esempio, quello della emergenza di un Islām

sempre più fondamentalista e deteriore. Il decadimento morale della sua epoca si

manifesta chiaramente a ogni singola pagina del romanzo, attraverso un susseguirsi

di crimini e misfatti perpetrati dai singoli personaggi, siano essi umili o di alto

lignaggio, personaggi continuamente coinvolti, talvolta persino contro la loro stessa

volontà, in omicidi e atti di corruzione via via sempre più gravi e deprecabili, tanto

inverosimili da guadagnarsi l’aggettivo di ‘ajāib, il meraviglioso tipico proprio dei

racconti originali delle Notti; nel romanzo di Mahfūz però, la magia non serve a

risolvere i problemi e a ricreare l’originale ordine costituito, ma diventa piuttosto un

mezzo, che vede come complici le figure dei jinn, i quali diventano elementi

catalizzatori e strumenti facilitatori di un fato avverso e ineludibile per l’essere

umano, proprio come avviene agli eroi delle tragedie greche.

Ma, diversamente dal mondo greco, il fato qui non viene rappresentato come

la manifestazione di un potere divino imperscrutabile contro cui è inutile lottare,

quanto piuttosto come un nemico dalle caratteristiche prettamente umane, che è

dentro ognuno di noi, e cioè la facile corruttibilità per il raggiungimento di scopi

personali che ignorano il bene e l’interesse comune. La lotta contro questo nemico e

il perseguimento di un’idea di giustizia sociale costituivano per Mahfūz l’unica

possibilità di redenzione per l’essere umano e per le società tutte. Mah fūz, come ci

ricorda la studiosa nel suo saggio, prende sempre spunto per i suoi romanzi da fatti

realmente accaduti ma quasi mai portati a conoscenza dei cittadini a causa della

censura dei media da parte del governo di Sādāt.

La soluzione finale di Mahfūz per fermare quell’inarrestabile catena di

corruzione rappresentata dal susseguirsi di vari governatori sarà scegliere l’ultimo

governatore tra la gente del popolo, affidando a Ma‘rūf il ciabattino, uomo semplice

e onesto, la gestione e la cura della cosa pubblica, iniziando dunque dal basso quella

graduale trasformazione della società che egli auspicava.

La studiosa fa altresì notare come lo scrittore fosse un grande conoscitore

delle Notti tanto da utilizzarne ingegnosamente episodi e personaggi per creare un

romanzo del tutto nuovo e assolutamente fruibile e godibile da un pubblico vasto ed

eterogeneo, a prescindere dalla capacità del singolo lettore di estrarne una lettura in

chiave politica:

66

Mahfūz has reworked the folk material into a full-fledged story that can

be well read regardless of its political aspect. It is evident that he knew

the stories of the Thousand and one Nights very well and managed to

distil their characters and episodes in the novel ingeniously.1

Personaggi quali Anīs al-Jalīs richiamano alla memoria storie della collezione

originale come Nūr al-Dīn and the Damsel Anīs al-Jalīs o ancora The Lady and Her

Five Suitors, ma il ruolo e il carattere dei personaggi viene totalmente ribaltato da

Mahfūz, e così anche il contesto situazionale e il loro luogo di azione, tanto da creare

quasi un effetto comico per il lettore conoscitore esperto dei racconti originali delle

Notti e anche la vana aspettativa di vedere gli stessi personaggi, almeno per una

volta, artefici del loro destino.

Nel suo breve saggio Leonardo Capezzone tenta di spiegare il motivo della

predilezione di Mahfūz per Layālī alf layla, opera da sempre considerata “minore”.

Capezzone formula varie ipotesi per tentare di spiegare la decisione dello scrittore di

riprendere le Mille e una notte per continuare la sua narrazione dal giorno successivo

all’ultimo racconto di Shahrazād. Ci fa notare come Mahfūz sia stato in realtà il

primo scrittore moderno ad aver fornito alle Mille e una notte una chiave di lettura

politica, divenendo il precursore di una tendenza letteraria che vide le Mille e una

notte al centro di varie correnti interpretative e che si sarebbe realizzata dagli anni

’80 in avanti:

La mia ipotesi è che Mahfūz abbia anticipato una tendenza interpretativa

delle Mille e una notte che negli anni, in cui il romanzo è stato scritto, e

pubblicato (1989) ancora non si era affermata: la lettura politica.

Sappiamo, infatti, che solo negli anni ’80 l’interesse storico letterario

accademico per le Mille e una notte ha conosciuto una formidabile

espansione, e la lettura politica, accanto a quella psicoanalitica e a quella,

successiva, legata ai gender studies, innerva tuttora uno dei grandi filoni

di ricerca nel campo degli studi del settore.2

La particolarità di Layālī alf layla consisterebbe secondo Capezzone in una

“opacizzazione della denuncia” sociale e politica dell’Egitto contemporaneo di cui

Mahfūz si fa portavoce in tutte le sue opere cosiddette “maggiori”, opere in cui

questa denuncia, servendosi di temi e forme descrittivo/realistiche, non fa mistero di

1 K. Kobzošova, The Changing Value of the Thousand and One Nights, op. cit., pag. 171.

2 L. Capezzone, Nagib Mahfuz lettore delle Mille e una Notte, op. cit., pag. 96.

67

sé. In questo romanzo invece, intriso di quell’atmosfera favolistica tipica dei racconti

delle Mille e una notte, da sempre considerati letteratura popolare e dunque innocua

almeno fino alla loro riscoperta occidentale, quella stessa denuncia si fa strada quasi

in punta di piedi, riuscendo a diventare essa stessa quasi innocua, poiché veicolata da

una esperta operazione di dissimulazione prudente e onesta, che ci rimanda col

pensiero alla nota opera di Torquato Accetto intitolata Della dissimulazione onesta,

che già nel XVII secolo raccomandava l’arte della dissimulazione come unica

possibile arma sicura e prudente, da opporre alla esecrabile menzogna intesa come

indifferenza o mancanza di presa di posizione, per potersi opporre ai potenti.1

Interessante a tal proposito la definizione di letteratura data da Giorgio

Manganelli nella sua prefazione all’opera di Accetto, da cui si desume il ruolo

fondamentale dello scrittore nella società, ruolo che da sempre unisce letterati del

passato e del presente in una visione comune di una letteratura che diventa, per usare

le parole di Manganelli, “una misteriosa, emblematica epifania di parole, che

agiscono anche dove tacciono […] non ha luogo, ma penetra dovunque, anche nella

preziosa forma dell’assenza; infine, è tormentosa, e irrinunciabile; è la cicatrice che

strazia e crea il mondo. Cancellatela, e anche la cancellazione sarà letteratura”.2

Approfittando del ritorno in auge del testo delle Mille e una notte tra i letterati

arabi moderni, Mahfūz intraprende per la prima volta questo sforzo interpretativo

delle Notti in chiave politica, utilizzando un testo rimasto per lungo tempo in ombra

perché considerato appartenente alla tradizione popolare, ma da sempre

profondamente radicato nell’immaginario del lettore comune, e si serve del suo

linguaggio tipicamente allegorico e allusivo per declinare in modo nuovo la sua

protesta politica e per descrivere alcuni dei principali mali causati dai guasti del

potere, protesta che diventa, tristemente, il vero trait d’union tra tradizione e

modernità:

[…] inventare la continuazione delle Mille e una notte può significare

poggiarsi sull’autorevolezza di una tradizione popolare di protesta

politica e di darle un seguito assumendone i linguaggi, le metafore, la

pluralità di senso. Nel momento in cui Mahfūz decostruisce le strategie

narrative che le Mille una notte hanno accumulato nella storia del loro

farsi testo, e le anticipa rispetto allo scholarly approach, deve sicuramente

aver intuito – e trasformato in scrittura letteraria – una proprietà peculiare

1 Torquato Accetto, Della dissimulazione onesta, a cura di Salvatore Nigro, Einaudi, Torino 1997.

2 Ivi, cit., in prefazione di Giorgio Manganelli.

68

del discorso sommamente allusivo, non realista, che il testo “classico”

delle Notti poteva consentirgli […] allontanandosi da un realismo di

denuncia, e praticando invece i percorsi di un discorso allegorico, egli

avrebbe potuto tessere una trama capace di mettere a nudo alcune

proprietà del potere – l’iniquità, la corruzione, l’abuso, e il loro replicarsi

e propagarsi al di fuori dei luoghi normativi del potere – disegnandone la

struttura.1

L’uomo moderno s’interroga in modo nuovo sul significato della “follia

degenerativa del potere”, come la definisce Capezzone; al contrario di quanto

avveniva in passato, infatti, oggi non basta più che un sovrano venga “guarito” dalla

sua guida spirituale, Shahrazād, affinché ogni cosa possa ritornare al suo posto,

perché ormai egli stesso è vittima della realtà che ha creato, vittima della sua stessa

corruzione, e le storie fantastiche narrategli da Shahrazād si materializzano in un

incubo da cui è impossibile uscire, che corroderà per sempre l’anima del sovrano, per

il quale nessuna redenzione sarà mai possibile:

Questa ricerca di senso alla follia degenerativa del potere, a ben guardare,

si fonda sull’idea che alla base dell’iniquità e dell’ingiustizia vi sia la

regola pasoliniana secondo cui la prima vittima del corrotto è il

corruttore. E’ quello che succede allo Shahriyār di Mahfūz: guarito

finalmente da Shahrazād, si accorge che la corruzione e l’iniquità si sono

propagate a macchia d’olio nella città da lui governata in una maniera

incontrollabile, come in una sorta di riproduzione per clonazione. Il

potere, ormai sanato, si trova di fronte a una realtà che riflette l’incubo

delle Notti narrate, che Shahrazād aveva solo mostrato ricorrendo

all’allusività della narrazione. Stavolta la realtà è opera del sovrano.2

Nessuna speranza di un’intercessione divina è lasciata all’uomo, totalmente

abbandonato a se stesso, come si evince da questo scambio di battute tra Humān al-

Fiqī e Sahlūl nel Layālī alf layla di Mahfūz: “Nulla può distruggere l’uomo più

dell’uomo stesso” disse Humān a Sahlūl. “Nulla può salvare l’uomo più dell’uomo

stesso” rispose Sahlūl.3

1 L. Capezzone, Nagib Mahfuz lettore delle Mille e una Notte, op. cit., pag. 97.

2 Ivi, pag. 98.

3 N. Mah fūz , Notti delle Mille e una Notte, op. cit., pag. 131.

69

Mahfūz, inoltre, secondo lo studioso, sarebbe ben consapevole del prezioso

ruolo dell’intertestualità nella creazione di una nuova strategia narrativa affidata al

testo classico delle Mille e una notte dalla cultura alta che lo ha sempre relegato ai

margini del canone letterario colto; il tema dell’opposizione stato/popolo tipico del

testo medioevale e pertanto ben radicato nell’immaginario collettivo, viene usato da

Mahfūz come un contenitore in perfetta continuità con la tradizione classica popolare

di critica del potere che partendo dal basso, dipinge in modo ancora più universale la

fragilità e la corruttibilità di ogni essere umano, di qualsiasi ceto sociale,

aggiungendo rispetto ai temi delle Mille e una notte, una visione ancor più pessimista

dell’esercizio del potere, che diventa, così come i demoni chiamati in causa,

elemento catalizzatore per il trionfo del male insito nella natura umana:

Il palazzo e il caffè, i due luoghi simmetrici cari a Mahfūz, sono

generatori di una visione modernamente pessimistica, senza redenzione,

quando questa visione non riesce ad accogliere altro che una riproduzione

degli stessi meccanismi di clientela e di corruzione come in una sorta di

contagio. Il motivo della fragilità umana, tipico delle Mille e una notte,

qui acquista un’innervatura tragicamente politica: se pure il sovrano,

guarito dal potere redento dalla parola di Shahrazād si sveglia, ormai la

società continua per conto suo, dopo avere appreso dal potere

l’allucinante lezione, l’incubo che il potere ha generato nelle relazioni fra

i sudditi.1

Ancora una volta, l’analisi del romanzo di Mahfūz, ci porta alla consapevolezza del

ruolo sociale fondamentale della letteratura, come vera e propria “epifania” e/o ri-

velazione al popolo dei mali della propria epoca storica.

2.3. I sogni di Mahfūz

Come messo in evidenza dal saggio critico di Irwin che sottolinea come già

originariamente nel medioevo le Notti avessero un significato prettamente politico,

continueremo qui, servendoci del saggio della studiosa M.F. Douglas, a portare

1 L. Capezzone, Nagib Mahfuz lettore delle Mille e una Notte, op. cit., pag. 99.

70

all’attenzione del lettore la relazione che questo continuo riutilizzo arabo della

propria tradizione letteraria antica mantiene con aspetti di denuncia prettamente

sociali e politici, piuttosto che rappresentare un semplice recupero letterario storico e

identitario delle proprie radici culturali, che la studiosa definisce “ludico”, tipico

invece di tanta letteratura occidentale.1

Il pubblico non arabista ha sempre attribuito a Mahfūz epiteti quali “The

Balzac of Egypt” oppure “a Dickens at the Cairo cafès”, con evidente riferimento

alle correnti europee cui gli autori citati appartengono, ma, come tiene a precisare la

Douglas, paragonare Mahfūz a uno scrittore realista o naturalista sarebbe

assolutamente errato e fuorviante.2

La Douglas, piuttosto, tenta di decostruire tali definizioni preconcette,

analizzando Mahfūz come facente parte di un movimento letterario nuovo che mira a

cambiare definitivamente il volto della letteratura araba contemporanea attraverso

quella che la studiosa definisce come “narrativa del sogno”. Mahfūz contribuisce allo

sviluppo di una nuova prosa araba contemporanea, alla creazione di una tecnica

narrativa finalmente svincolata dal legato dei modelli occidentali, lontana dunque

anche dal modello del primo tentativo di romanzo arabo, Zaynāb di Haykal, ancora

strettamente vincolato al legato dei modelli occidentali; la prosa di Mahfūz è una

prosa moderna, “indigena”, che dialoga con la prosa classica in modo del tutto

nuovo:

During the last decade Mah fūz has played a significant role in what

may be the most important new development in modern Arabic prose

since the adoption of Western forms of the novel and short story than half

a century ago. At stake was (and is) the redefinition of modern Arabic

prose and its relationship with its centuries-long textual ancestry […] the

literary distances between the twentieth-century novel launched by

Haykal’s Zaynāb and the entirety of the Arabic textual tradition are being

crossed in various and indigenous ways’ […] Critics can no longer speak

of the late twentieth-century Arabic novel as simply an imitation of its

western cousin.3

1 M.F. Douglas, Mahfuz’s dreams in “Naguib Mafouz” From Regional Fame to Global Recognition,

Ed. By Michael Beard and Adnan Haydar, Syracuse University Press, New York, 1993. 2 Ivi, pag. 126.

3 Ivi, pp. 126-127.

71

La Douglas continua la descrizione di questa graduale ma netta volontà di

distacco da parte dei letterati arabi moderni dai modelli occidentali, citando la tecnica

narrativa di Jamāl al-Ghitānī, quello che definisce come un vero “literary

experiment”:

The name most clearly associated with this indigenous wave in the novel

is that of Egyptian Jamāl al-Ghitānī [...] In his literary experiments, he

exploits the classical Arabic textual tradition be it mystical, biographical,

or historical- by combining the classical idiom with a modern vision […].

Al-Ghitānī’s manipulation of the classical textual tradition is perhaps the

most visible in modern Arabic literature […]. His intertextual games can

hence be said to differ to some degree from those of other contemporary

authors.1

Ancora una volta dunque, la realizzazione di questo stretto legame di

continuità tra testi dell’antica tradizione e testi moderni, viene affidato alla

intertestualità, protagonista assoluta del romanzo arabo moderno, unico strumento

possibile per rappresentare chiaramente al lettore il continuum storico, sociale e

politico tra presente e passato. A tal proposito la Douglas introduce il termine di

“ondata” metanarrativa, che definisce come una nuova consapevolezza del processo

narrativo da parte dello scrittore moderno, e che, insieme alla intertestualità,

giocherebbe un ruolo fondamentale nella creazione di una nuova tecnica narrativa

che lega tradizione e modernità.

La Douglas cita, per fare un esempio di ciò, la trilogia The Complaints of the

eloquent Egyptian (Shakāwā al-Misri al-fasīh) di Yūsūf al-Qayd in cui la sensibilità

narrativa dello scrittore si rivela nella scelta di una ambientazione faraonica per i suoi

romanzi, a sacrificio di una tradizionalmente islamica, scelta che conferirebbe ai suoi

scritti un senso nuovo di giustizia sociale.2

Ma dove starebbe la novità tutta araba della ripresa di temi e opere letterarie

del passato se, anche in occidente, molti autori, tra cui Calvino con il suo Castle of

Crossed Destiny, definito per l’appunto dalla studiosa come “pseudomedieval

literature”, hanno già fatto quest’operazione? Non sarebbe dunque ancora una volta

l’imitazione da parte degli scrittori arabi moderni di tecniche letterarie importate

dall’Occidente? La Douglas opera una fondamentale distinzione a proposito,

1 Ibidem.

2 Ivi, pag. 128.

72

sottolineando il nuovo modo moderno “non occidentale” di ri/elaborare la propria

antica tradizione letteraria, dove la metanarrativa occidentale si concentrerebbe

sull’aspetto ludico mentre in quella araba questo recupero sarebbe incentrato su

aspetti politici e sociali:

The ludic aspect that dominates Western metafiction is less common in

Arabic fiction and is replaced by a far greater social and political

consciousness. In contemporary Arabic literature, the breakdown of

narrative is often a searing commentary on current social and political

problems in the Middle East.1

Oltre a questa sostanziale differenza nella scelta dei temi utilizzati dagli

scrittori occidentali e arabi, la Douglas fa notare come la contaminazione tra antico e

moderno nella letteratura araba moderna produca un cambiamento radicale anche

nella forma, cambiamento che si configura come una vera e propria rivoluzione dei

tradizionali canoni e modi di scrittura con conseguente allontanamento sia dalla

narrativa occidentale che da quella medio-orientale:

the blending of traditional and modern in contemporary archaizing post-

modern Arabic literature produces a more radical formal alterity and

hence a greater break with the canons of modern narrative as they have

been developed in both the West and the Middle East.2

Ma, dove si colloca Mahfūz all’interno di questa ‘”rivoluzione” letteraria?

Per rispondere a questa domanda la Douglas analizza una delle opere di Mahfūz che

secondo la studiosa meglio rappresenta questa rivoluzione formale all’interno della

quale tradizione e modernità innescano un dialogo “sottile e complesso”.3

Nel suo Ra’aytu fīmā yara al-nā’im, Mahfūz raccoglie 17 sogni in 17 novelle,

sogni raccontati in prima persona dai protagonisti, privi di un filo conduttore,

introdotti sempre dalla stessa frase “I saw as the sleeper sees”. Mahfūz sceglie di

introdurre ogni sogno utilizzando la parola hulm, che deriva dal verbo halama

(yahlumu) che significa sognare. Ma, nella scelta del verbo ra’aytu piuttosto che

1 Ibidem. 2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 129.

73

halamtu inserito nel titolo, sta il collegamento di Mahfūz con la tradizione arabo-

islamica. Molti dei personaggi di Mah fūz raccontano sogni, il più noto è quello

narrato da Za‘balāwī. In Layālī alf layla Nūr al-Dīn dice: “Non c’è nulla di più

meraviglioso di un sogno nella vita degli uomini” e Sahlūl: “Chi possiede i sogni,

possiede il futuro”.1

I sogni avevano un posto importantissimo nell’immaginario della società

medioevale araba poiché erano generalmente accettati anche dall’Islām ortodosso:

Of the various forms of divination of non-Islamic origins, oneiromancy

was the only one fully accepted by Orthodoxy- A glance at the H adīth

material will show without doubt the level of integration.2

I sogni arabi medioevali, continua la Douglas, si dividevano in due tipi, quelli

chiari e quelli da interpretare. Essi avevano un’importante funzione sociale e politica:

Dreams fulfilled a number of functions, including the prediction of

political events, the solution of crimes and controversy, and the cure of

disease.3

Ma, mentre nei racconti onirici medioevali il sognatore si sveglia per

raccontare a qualcuno il proprio sogno, talvolta interpretandolo, realizzando spesso la

predizione del sogno, in Mahfūz la struttura narrativa del sogno è molto più

semplice. Il narratore/sognatore esordisce sempre con la frase “ I dreamt that” ma è

come se egli parlasse trovandosi ancora nel sogno, un sogno da cui non si è mai

svegliati:

One dream state follows another, broken only by the opening material

composed of the dream number and the ubiquitous phrase.4

1 N. Mah fūz , Notti delle Mille e una Notte, pag. 87.

2 M.F. Douglas, Mahfuz’s dreams, op. cit., pag. 129. 3 Ivi, pag. 130.

4 Ibidem.

74

Inoltre i sogni narrati dai vari sognatori/narratori non vengono corredati da

alcuna interpretazione. La struttura narrativa onirica di Mahfūz si dividerebbe

secondo la Douglas in tre tipi: logica, surrealista e onirica, quest’ultima con

riferimenti specifici alla tradizione classica.1

La sequenza di racconti onirici è associata a eventi politici attuali. Mahfūz per

uno dei suoi racconti/sogni sceglie il personaggio di Abū al-Fath compiendo

un’operazione che la Douglas definisce “sovversiva”, nel paragonare l’uomo politico

moderno al classico eroe cialtrone della Maqāma di al- amadhānī; inoltre, Mahfūz

sovrappone il personaggio classico a quello moderno limitandosi a utilizzare i

dialoghi medioevali dell’antenato Abū al-Fath senza apporvi alcuna modifica,

trasformando anacronisticamente un sogno moderno in un’opera medioevale in versi:

Abū al Fath al Iskandārī, the rogue hero of the medieval maqāma was a

character whose scruples were few. His eloquence was the means of his

existence, and his verbal skills were put to advantage in his eternal search

for trickery. To liken a modern political orator to Abū al-Fath is

subversive to say the least. Mahfūz merges the two Abū al-Fath, and in

the process redefines his narrative through a masterful literary tour de

force. He merges the two through a skillful intertextual device in which

verses uttered by the medieval Abū al-Fath al-Iskandārī are put in the

mouth of his twentieth-century descendant. Each of the five episodes in

the dream sequence ends, much like the overwhelming majority of al-

H amadhānī’s Maqāmāt, with verses of poetry uttered by the mahfuzian

Abū al-Fath. But this contemporary voice is a far cry from the medieval

versifier’s. Instead of composing his own poetry this modern preacher

borrows the words of his ancestor, without intermediary or attribution.

Hence, the modern dream sequences end with medieval verses.2

Mahfūz riprende anche personaggi dal Kalīla wa Dimna, nota opera

appartenente al genere dello “specchio per principi”, tradotta dal pahlavi all’arabo

dal letterato Ibn al-Muqaffa‘ (m. 757), ma in questo caso la storia del sognatore di

turno è a lieto fine, contrariamente allo spirito dell’opera medievale da cui Mahfūz

prende spunto, definita dalla Douglas “the cynical, essentially, Machiavellian nature

of the political wisdom distilled by Kalīla wa Dimna”.3

1 M.F. Douglas, Mahfuz’s dreams, op. cit., pag. 132. 2 Ivi, pag. 138.

3 Ivi, pag. 140.

75

A conclusione del suo saggio la studiosa rileva come la tradizione, evocata

dal narratore moderno allo scopo di fornire una certa autorevolezza, si mostri

refrattaria a quest’operazione compiuta dallo scrittore, e come questo volere

recuperare a tutti i costi, le proprie radici da parte dell’uomo moderno, si riveli una

forzatura anacronistica, quasi sempre fallimentare:

tradition escapes the modern individual […]. One can play at being a

character in a classical text (as with the Maqāma) or one can attempt to

escape into the fabled animal world of Kalīla wa Dimna, but the true

encounter with the Arabo-Islamic tradition is doomed to failure.1

Nonostante ciò il dialogo fra tradizione e modernità risulta possibile proprio

grazie alla nuova funzione sociale dell’intellettuale moderno e al potere salvifico

della parola, vale a dire, ancora una volta, raccontare per non dimenticare, per non

morire, esattamente come per Shahrazād:

Despite the pessimistic commentary on the dialogue between the

traditional and the modern, the oneiric encounters with the characters

form the Arab-Islamic tradition are salutary in a certain sense. They call

attention to the supremacy of narrating/writing. An underlying optimism

exists because the hero of the Maqāmāt is not the rogue but the narrator.2

Mahfūz, dice la Douglas infine, sembra volerci dire che, solo attraverso il

costante viaggiare tra un epoca letteraria e un’altra, attraverso il recupero e il

continuo dialogo tra personaggi antichi e moderni, lo scrittore può affrancarsi da

qualsiasi costrizione e dallo stesso concetto restrittivo di canone letterario, incluso

quello neotradizionalista della sua epoca, canone che, in ogni epoca, ha costituito una

sorta di pre-giudizio critico nella valutazione di ogni opera letteraria.3

1 Ibidem.

2 Ivi, pag. 142.

3 “The literary form of Mahfūz’s cycle also represents a narrative freedom but this time from the

conventions of normal prose, both classical and modern. It permits anachronism while commenting on

the whole archaizing trend (and by implication, neo traditionalist) in contemporary Arabic letters”. Ivi,

pag. 143.

76

2.4. “Parole”, “Azione”, “Idee”

Come sottolinea Chraïbi, sembra che soltanto una piccola parte della raccolta

di racconti delle Mille e una notte abbia interessato Mahfūz che ha voluto conferire al

suo romanzo una impronta moderna e personale, passando dalla modalità

tradizionale del racconto a un romanzo di concezione assolutamente moderna, a

cavallo tra il mondo tradizionale dell’immaginario collettivo e il mondo

dell’impegno politico, sempre presente nell’opera di Mahfūz:

Seule une petite partie du recueil l’a intéressé, et de cette partie, il a fait

en 1982 un roman. Celui-ci comporte dix-sept épisodes ou chapitres et

quelques trois cents pages. Son titre, Layālī alf layla, littéralement Les

nuits des mille nuits, le distingue des Alf layla wa layla tout en soulignant

d’emblée leur parenté. Il a repris certain personnages caractéristiques

comme Sindbād ou Shahrazād, s’est servi de temps à autre de motifs et de

schémas d’intrigue qu’il a puisé également dans les Mille et une nuits;

mais, à côté, il a ajouté, modifié et créé de nouveaux rôles, une nouvelle

perspective, des enjeux plus personnels et une ligne de continuité. Car si

le recueil est “une création” collective qui, à chaque conte, comme dans

le folklore, est associée une tradition narrative, avec ses avatars, ses

variantes et se ramifications; le roman, en revanche, est œuvre d’auteur. Il

est supposé être d’un seul tenant, animé par un souffle unique, à l’échelle

d’une vie humaine.1

Nel tentativo di analizzare gli spazi di riscrittura utilizzati da Mahfūz nel

passaggio da un racconto “antico” a uno “moderno”, Chraïbi individua la presenza di

tre registri all’interno del romanzo. Sin dall’apertura del romanzo Mahfūz palesa la

tecnica del racconto che intende utilizzare, e cioè la sovrapposizione al testo

originale delle Notti. Infatti, mentre la famosa raccolta termina, come sempre nei

racconti medioevali, con il ripristino dell’ordine solo momentaneamente sovvertito, e

cioè con la riaffermazione del potere assoluto di Shahriyār e con Shahrazād che da

narratrice/salvatrice del genere femminile rientra nel ruolo convenzionale di madre e

moglie del sultano, nelle nuove Notti Mahfūz fornisce ad alcuni racconti delle Mille e

una notte una sorta di prolungamento, mantenendo intatto il gusto per il colpo di

scena presente nell’opera originale, creando un susseguirsi quasi filmico d’immagini

1 A. Chraïbi, Les mille et une nuit: Histoire du text et classification des contes ,

L’Harmattan, Paris 2008, pag. 5.

77

nella mente del lettore all’interno del quale i personaggi, vecchi e nuovi, si dibattono

senza scampo tra vita e morte, agganciando l’attenzione del lettore:

Une première partie […] sert d’exposition et est annonciatrice d’une

technique du récit qui va peu à peu se superposer aux “anciennes” Nuits

[…]. Certains contes se poursuivent “après leur fin” en croyant aux

enfants des héros précédents une nouvelle histoire […]. Sauf que les

Nuits gardent le même rythme privilégiant le coup de théâtre, multipliant

les rebondissements: tentative de séduction, assassinat, fuite, sauvetage

de la dernière minute, vol, adultère, enlèvement, etc., se succèdent à une

vitesse telle qu’il reste peu de place pour l’exercice de style ou

l’interrogation philosophique. L’action, au sens filmique du terme,

accapare l’attention. Elle a pour enjeu, dans le noyau stable des Nuits, la

vie et la mort. Or dès les premiers chapitres, Mahfouz se saisit du lecteur

d’une manière très personnelle, au moyen d’une narration a priori

uniforme, compacte.1

Il primo registro starebbe proprio nella scelta delle parole da parte di

Mahfūz, che inizia così:

Terminata la preghiera dell’alba, quando nubi d’oscurità si ergevano

immobili ad affrontare vigorosi fiotti di luce […].2

Le parole con cui Mahfūz sceglie di aprire il romanzo non sono, come fa

notare Chraïbi, un puro esercizio di stile, come avveniva nella scrittura stereotipata

tipica del racconto medioevale, né tantomeno rappresentano una descrizione

realistica dell’ambiente, sono invece legate a doppio filo con la narrazione e

assumono una precisa connotazione metaforica di ciò che sta per accadere di lì a

poco, fornendo un’inequivocabile chiave di lettura al lettore che, indirizzato

correttamente dall’autore, acquisisce subito la capacità di distinguere tra bene e male

e di interpretare gli eventi che egli va via via per presentare:

Le procédé en question se distinguée de l’écriture “formulaire” e

stéréotype utilise par des traditions narratives comme le conte. Ici, même

s’il leur arrive de se faire à la “manière” des Nuits, narration et

description ne sont pas toujours indépendantes ni convenues ni innocents.

Il y a des corrélations à établir: par exemple, dès le début, l’heureux

1 Ivi, pag. 2.

2 N. Mahfūz, Notti delle Mille e una Notte, pag. 7.

78

dénouement, et aussitôt, comme pour en souligner les bienfaits, la levée

d’une menace et retour à une vie “normale”, la lumière apparait

(métaphoriquement) triomphante: “ Dandān jeta un regard sur l’horizon

et le vit empourpré par une exaltation sacrée” […]. La mise en scène

contribue à une lecture prospective ou simultanée de l’action. Une partie

du décor, perdant son réalisme, se met à signifier selon une symbolique

ou une poétique de la connotation. Mahfouz choisit ainsi d’associer

certaines éléments circonstanciels, de façon plus ou moins subtile, à

l’évènementiel. En l’occurrence, il sursignifie afin d’éviter toute

ambiguïté et mieux diriger le lecteur vers une interprétation claire du

texte (apparition delà lumière = le bien = un dénouement heureux et

inversement l’obscurité.1

Come secondo registro del romanzo Chraïbi individua “l’azione” che

coinvolge tutti i personaggi in un intreccio che si evolve secondo un ciclo ricorrente

composto dalla fase iniziale di un progetto cui segue sempre una riuscita o un

fallimento finale. Ma la quasi totalità dei personaggi, eccetto Sidbād, sono

caratterizzati da una assenza di azione, ciò che Chraïbi definisce come “stati di

mancanza”, a ognuno di loro manca qualcosa, sia che ne siano consapevoli o meno:

Un seul home envisage effectivement d’agir: Sindbād […]. Tous les

autres personnages ou presque sont en état de “manqué”; certains,

clairvoyants, en ont conscience: le roi parle du “bonheur” comme d’une

chose recherché mais, dont-on comprendre, inaccessible; la reine dit

qu’elle est “si malheureuse” même si tout, selon le vieux recueil des

Nuits, finit bien; et le médecin, personnage nouveau, pour des raison

différentes, déclare: “je suis malheureuse et je le suis avantage à chaque

fois […] ” et puis, il y a ceux qui n’ont pas conscience de leur misère ou

bien qui l’ont momentanément oubliée afin de fêter l’heureux

dénouement; il s’agit de la population du quartier […] tous donc sont

susceptibles de passer à l’action parce que leur état doit être amélioré,

qu’ils en aient conscience ou non. Mais, pour l’instant, nous sommes au

stade du constat et tous, à l’exception de Sindbād, comme il a été dit, sont

malheureux et figés.2

I personaggi delle Notti di Mahfūz vengono coinvolti in numerosi dialoghi

regolati dal principio del contraddittorio, cui l’autore attribuisce un ruolo

fondamentale per comunicare al lettore la propria visione del mondo e caratterizzare

i protagonisti del romanzo in base alla loro attività di pensiero e la loro capacità di

discernimento degli avvenimenti che li vedono protagonisti. Il terzo registro sarebbe

proprio il “registro delle idee”; Mahfūz spinge i suoi personaggi fino al limite del

1 A. Chraïbi, Les mille et une nuit: Histoire du text et classification des contes, op. cit., pag.3.

2 Ivi, pag. 4.

79

caos per invitarli al cambiamento tramite la riflessione, e, l’utilizzo del meraviglioso

che nelle Mille e una notte aveva soltanto la funzione di divertire, qui assume quasi

un effetto catalizzatore che facilità il processo di “risveglio” dei personaggi coinvolti:

L’auteur a multiplié depuis le début, sous forme de dialogues, les débats

contradictoires […]. Il réserve à l’activité délibérative une grande part du

roman: Il thématise l’acte de persuader ou de dissuader, l’argumentation,

l’élaboration d’une opinion, et par conséquent la vision du monde qui en

découle. Ce registre est probablement le plus riche et assurément le plus à

même de définir le personnage Mahfuzien: par son activité intellectuelle

[…] pour pousser l’homme à se poser des questions, à s’interroger sur les

causes profondes de ses actes, sur leur légitimité, leur médiocrité ou leur

importance, il faut bousculer l’ordre établi. Il faut quelque secousse pour

le sortir de sa torpeur, perturber son quotidien et suspendre sa quiétude.

Le conte est chargé de phénomènes capables de produire un tel effet. Les

événements étranges, les objets surnaturels et les créatures

extraordinaires, passes aux mains de Mahfūz, serviront non seulement à

étonner et à émerveiller mais aussi à délier les langues et à créer un choc

libérateur.1

Tutti i personaggi si muovono per tentare di raggiungere ciò che manca loro,

sempre alla ricerca di qualcosa che sono destinati a non trovare mai, tutti eccetto lo

sceicco ‘Abd Allāh al-Balkhī, che di fatto, in questa riscrittura moderna delle Notti si

sostituisce a Shahrazād diventando il saggio protagonista, che agisce sempre in

maniera disinteressata, seguendo un codice morale irreprensibile volto a fare

trionfare il bene; ma la buona influenza ch’egli esercita su tutti coloro che entrano a

far parte della sua sfera è visibile solo nel tempo, poiché è volta a cambiare lo stesso

modo di agire dei personaggi attraverso una lunga formazione che educhi l’animo e

la mente, quasi una sorta di moderno adab, poiché prima di ogni azione vi è il

concepimento di tale azione nella mente di ogni uomo, e per poter orientare l’operato

dell’uomo verso il bene bisogna educarlo intellettualmente; sarà lui infatti, che, per

tramite di Shahrazād, salverà tutte le donne del regno dai progetti sanguinari del

sultano:

Ce n’est donc pas Shahrazād, une femme, qui a sauvé les femmes du

royaume. C’est “Le sheikh ‘Abd Allāh al-Balkhī”! Comme Shahrazād

pour le conte, ce personnage est sans doute un des plus remarquables

pour le roman: S’il a un projet, une action à entreprendre, ses motifs ne

1 Ivi, pag. 5.

80

sont pas subjectifs, personnels, mais d’ordre éthique, imposes par le

devoir et le souci de voir progrès le “Bien”.1

I primi quattro capitoli sono molto brevi e servono per delineare

l’ambientazione e presentare i personaggi e, come dice Chraïbi, a suggerire il

“potenziale drammatico” della situazione. Gli altri tredici capitoli serviranno per

mettere in atto tale potenziale. Ogni personaggio è il protagonista di una storia e una

soltanto e la narrazione segue un ordine diacronico regolare, senza salti all’indietro,

cosa che conferisce al romanzo una particolare unità data, non tanto dal ruolo

dell’eroe protagonista di ciascuna storia ma dal legame di quest’ultimo con i

problemi della vita quotidiana nei luoghi che egli condivide con la comunità, e cioè il

Caffè, la strada, la città in generale e la vita in essa.

Uno dei temi fondamentali del romanzo è questo gioco continuo tra

menzogna e verità, apparenza e realtà, di Shakesperiana memoria. L’invito di

Mahfūz ai suoi personaggi è di utilizzare la loro intelligenza in modo critico, e non di

metterla al servizio del potere in modo passivo, poiché si ha sempre una scelta e la

presunta impossibilità di operare tale scelta è solo una giustificazione che diamo a

noi stessi per poter compiere misfatti di ogni genere. A tal proposito Chraïbi riporta il

dialogo tra il ginn Qumqām a San‘an al-Jammāli:

”Quel hypocrite tu es! Quel est donc ton métier? – Chef de la police […].

Mon devoir est d’exécuter les ordres […] - Belle devise pour déguiser les

vilenies!”[…]” – Je ne fais qu’exécuter les ordres […] – J’en conclus que

tu n’es qu’un instrument dépourvu d’intelligence.- Mon intelligence me

sert uniquement à accomplir mon devoir. - Voilà une excuse de nature à

abolir l’humanité de l’homme!”.2

2.5. Temi e personaggi principali in Layālī alf layla

Il romanzo Layālī alf layla (1982) di Najīb Mahfūz è situato nella quarta fase

dell’attività dello scrittore, quella del romanzo neo-sociale, caratterizzata dal

recupero del patrimonio letterario arabo, all’interno del quale il discorso orientalista

1 Ivi, pag. 6.

2 Ibidem.

81

europeo ha assegnato un posto di primo piano alle Mille e una notte. Dalla nota

raccolta, Mahfūz ha ripreso e ricontestualizzato non soltanto i protagonisti e la

vicenda del racconto-cornice, ma anche i personaggi di numerose storie, inclusi i

jinn, oltre a motivi ed elementi magici quali il sigillo di Salomone e il berretto che

rende invisibili.

L’utilizzo che Mahfūz fa del racconto cornice nel suo romanzo è diverso da

quello delle Mille e una notte, come fa notare El Enany. Qui la stretta relazione dei

racconti tra di loro dà unità all’opera di Mahfūz e il racconto cornice diventa solo il

punto di partenza per continuare la storia di Shahriyār e Shahrazād trasformandola in

un romanzo moderno, dove i personaggi dell’opera originale possano incarnare

uomini moderni, che come tali, rimarranno sempre “incompiuti”:

The most unifying technique he uses, however, is one that he did not

have to invent. He simply uses the technique employed in his ancient

source […] the technique of the frame story of Shahrazād and Shahrayār

which holds the whole of The Arabian Nights together. We must note,

however, that while in the original work the relationship between the

frame-story and the rest of the tales remains a mechanical one, in

Mahfouz’s Nights it becomes organic, so that all the stories are both

fused together and fused with the frame-story. It is this fact which makes

the book a novel, unlike its original source. The novel begins where The

Arabian Nights stopped. In other words, it is an attempt at portraying the

conditions of Shahrayār, Shahrazād and their subjects after the end of the

original frame story, i.e. after Shahrazād had finished telling her last

story, fathered the king’s children and earned his pardon.1

La risemantizzazione di temi narrativi popolari si carica di una duplice

valenza: da un lato, essa orienta il testo letterario verso forme e modelli desunti dalla

cultura araba locale, conferendogli i tratti di un regionalismo che si contrappone alla

tendenza verso l’omologazione culturale; dall’altro lato, si configura come strategia

in parte assimilabile alla scelta iniziale dell’autore di ambientare i suoi romanzi in

altre epoche storiche: se, infatti, l’ambientazione faraonica dei primi romanzi

consentiva di affrontare delicate questioni riguardanti le vicende politiche egiziane,

privandole di ogni riferimento spazio-temporale concreto, si può affermare che, in un

contesto restrittivo quale l’Egitto di Sādāt, il ricorso al mito offrisse, dal canto suo,

uno spazio sotterraneo e liminale privilegiato dal quale osservare – e ribaltare –

1 Cfr., R. El-Enāny, Naguib Mahfouz. The Pursuit of Meaning, op. cit., pag. 166.

82

norme e convenzioni sociali, destabilizzando strutture e rapporti di potere e

permettendo altresì di delineare forme inedite di esistenza e di cittadinanza.

Mahfūz sceglie un mito, quello delle Mille e una notte, già ben radicato

nell’immaginario del lettore contemporaneo, per fare presa sul suo pubblico nel

dipingere la condizione umana, inserendo soltanto 13 dei suoi racconti in un romanzo

di stampo moderno per la scelta dei temi e dei personaggi, che, vecchi e nuovi, si

intrecciano all’interno delle storie creando un continuum narrativo sconosciuto al

carattere episodico dell’opera originale, dove simbolismi, metafore, motivi ricorrenti,

e tecniche narrative moderne come il flusso di coscienza, contribuiscono a dare unità

e coesione all’opera che si propone di analizzare una serie di problemi legati ai mali

presenti nella società moderna, all’interno della quale l’animo umano non smette di

interrogarsi, sospinto di volta in volta dagli eventi verso le forze del bene e del male

dentro di sé, e, di conseguenza, più universalmente, a compiere delle scelte di

carattere pratico che poi avranno conseguenze determinanti nella vita dei personaggi,

sia da un punto di vista etico, sia nel campo della evoluzione spirituale personale:

Rather than create his own myth to portray his vision of the human

condition [...] he chooses to adapt for the same purpose one of the most

imaginative products of the human mind namely The Arabian Nights.

The author chooses some thirteen unconnected tales from The Arabian

Nights (itself a work of episodic form as the readers will recognize) and

renders them afresh through the techniques of modernism (symbolism,

recurrent motifs, stream of consciousness, and even a kind of magical

realism). Tales originally independent of each other are so manipulated

that operate across tales that they join up in a narrative continuum.

Characters continue to operate across tales and meet up with other

characters, unlike in the original, while completely new characters and

events are invented and incorporated in the book to serve the novelist’s

goals. All these technical, unity-forging factors are further strengthened

by the work’s thematic cohesion, as another human relationship with the

absolute […]. The effect here […] is a widening of the scope of the

author’s vision beyond historical and geographic borders. Myth, in

addition, probably works better on the reader’s subconscious than a

realistic representation of reality.1

Le cattive azioni sono una responsabilità tutta individuale nei personaggi di

Mahfūz, a livello sociale e privato, diversamente che nelle Mille e una notte, dove il

male attiene spesso alla sfera del sovrannaturale e pertanto esula dalle vicende

1 R. El-Enāny, Naguib Mahfuz, The Pursuit of Meaning, Routledge, London and New York, 1993,

pag. 160.

83

umane, assolvendone in qualche modo la cattiva condotta. Nelle Notti di Mah fūz

l’uomo, reso spesso consapevole del male che alberga dentro di sé per intercessione

catalizzatrice dei jinn, che prendono consistenza corporea soltanto quando percepiti

dai singoli personaggi, è l’unico cui, alla fine, spetterà cambiare le sorti dell’umanità,

ripristinando una giustizia negata e/o corrotta dalla sete di potere e ricchezza

materiale che alberga nella maggior parte degli esseri umani di qualsiasi classe

sociale:

Evil, then, according to the author, is not supernatural, and man is

responsible for his deeds and for putting right the evil he sees around him

until justice is established on earth. […]. One technique that the novelist

uses to imply that the jinn are only inner visions is the fact that they are

only seen and heard by the person concerned, even when they appear to

him while in the company of others.1

Il romanzo di Mahfūz vuole anche sottolineare come dietro ai disordini

sociali, alla violenza e alla delinquenza, vi è sempre un governo politico ingiusto.

Shahriyār, e lo Shaykh sono la rappresentazione allegorica rispettivamente di potere

terreno e violenza, amore e potere spirituale.

L’ambientazione scelta da Mahfūz ci fornisce una galleria di nomi cui

saranno affidate le vicende del romanzo, le cui storie, concatenate tra loro in modo

inestricabile, rappresentano una panoramica delle passioni umane, che si sviluppa in

un crescendo affannato e senza sosta di episodi e incidenti che vedono interpreti

sempre gli stessi individui, in un movimento incessante, come marionette inermi in

balia di forze incontrollabili contro le quali essi spesso non riusciranno a opporsi:

The framework then allegorizes by narrating the trials and tribulations of

opposing forces – power, spirituality, art, and knowledge – while the

unframed stories allegorize the state of political affairs in a specific

context. The unframed stories are narrated in an interlocking mode that is

intended to create through their varied narratives a panoramic view of the

society and its contradictions. Sexual pleasure, wealth, and power seem to

be dynamic forces, even to those who stand in opposition to the system.2

1 Ivi, pp. 160-161.

2 F. Ghazūl, Nocturnal Poetics: the Arabian Nights in Comparative Context, op. cit., pag. 140.

84

I racconti delle Notti di Mahfūz mischiano il mondano, il soprannaturale e il

magico in una combinazione caleidoscopica che rivela, problemi, drammi e trivialità

della vita contemporanea, dove l’elemento soprannaturale impersonato dalle figure

dei jinn, viene utilizzato per mettere alla prova gli esseri umani, costantemente

impegnati a tenere a bada le proprie tentazioni:

The demons Sinjām, Qumqām, Sakhrabūt, and Zarmabāha

represent two pairs and stand for good and evil respectively, or

possibly pangs of conscience and drives of desires.1

La studiosa Ghazoul fa un parallelo tra la visione del mondo di Mahfūz e

quella di Italo Calvino poiché entrambi gli scrittori tentano di esorcizzare gli orrori

del mondo terreno auspicando l’uno, quella tensione verso una dimensione mistica

che sottragga l’uomo dalla casualità del mondo terreno, e l’altro coltivando la

bellezza in terra:

the underworld of Mah fūz is closer to that of Italo Calvino. To both

this world is infernal, and while Mah fūz appeals to the mystic

dimension to pacify its horrors and randomness, Calvino seeks it in

perpetuating the humane and the beautiful.2

Altro parallelo con un personaggio delle Mille e una Notte lo troviamo nella

figura di Hārūn al-Rashīd che viene qui sostituita da quella di Shahriyār; ma, mentre

le passeggiate notturne di Hārūn hanno lo scopo di conoscere meglio i problemi che

affliggono i sudditi del proprio regno, nelle Notti di Mahfūz le stesse passeggiate

mostrano un sultano lascivo, ancora ben lontano dalla “guarigione” tentata da

Shahrazād, che, essendosi introdotto insieme ai suoi ufficiali nella Casa Rossa della

ammaliante Anīs al-Jalīs nel tentativo di sedurla, vedrà se stesso e i suoi compagni di

avventura protagonisti di una esilarante umiliazione, quando la donna chiuderà tutti

loro dentro ai suoi armadi, con la scusa dell’arrivo improvviso del marito, e poi,

dissolvendosi in una nuvola di fumo, lascerà a un folle, non a caso l’unico a non

cadere vittima delle sue lusinghe, il compito di terminare il lavoro. Mahfūz descrive

1 Ivi, pag. 141.

2 Ivi, pag. 142.

85

magistralmente la vergogna di quegli uomini regalandoci il quadro impietoso e

patetico di governanti inetti, incapaci persino di tenere a freno la loro lussuria:

Gli uomini si succedettero: Fadl ibn Khaqān, Sulaymān al-Zaynī, Nūr al-

Dīn, Dandān e Shahriyār. Tutti si arresero all’ammaliante richiamo.

Bevvero senza ritegno, poi vennero condotti, nudi, negli armadi. Udirono

le risate beffarde di Anīs Al-Galīs e si resero conto di essere caduti in

trappola. “Domani, nel suq, venderò gli armadi e il loro contenuto,” disse

la donna. Scoppiò in una fragorosa risata e aggiunse: “La gente del suq

potrà osservare il sultano e gli uomini di stato nudi e in vendita”.1

[...]. Gli uomini uscirono dagli armadi con circospezione. Pervasi

dall’angoscia e dalla vergogna non aprirono bocca. Spogliati nel corpo e

nell’onore, si affrettarono nelle tenebre. Cercavano gli indumenti o

qualsiasi cosa con cui coprire le loro nudità. Il tempo trascorreva senza

pietà, la luce del giorno si avvicinava e lo scandalo guizzava come un

fulmine nell’oscurità. Poteva trattarsi di un incubo o di un’illusione,

tuttavia lo scandalo era reale. Tutto ciò significava umiliazione e

disperazione. Raggiunsero la porta seguendo tastoni una parete mentre il

tempo li inseguiva. Quando respirarono l’aria della strada, elevarono una

preghiera e alcuni iniziarono a piangere. La città era deserta. Che fortuna!

Corsero scalzi e senza abiti nella notte, bagnati dagli sputi della dignità e

sovrastati dall’onta, mentre il peccato ricopriva i loro volti con uno strato

grigio pallido.2

Ma, come fa notare Ghazoul, Mahfūz non dipinge soltanto la corruzione

come connaturata alla cerchia ristretta dei governanti, di cui mostra l’assenza totale

di moralità, ma anche quella dei ricchi e avidi mercanti della città, tra cui San‘an al-

Jammāli, primo esempio di degrado morale che sin dall’inizio del romanzo si

macchia dei crimini di stupro e omicidio.3 Egli, prescelto dal jinn Qumqām perché

uomo meritevole, ha il compito di liberare la città dalla corruzione, ma le apparenze

ingannano e San‘an si rivelerà indegno di tale compito. Dice di lui Qumqām:

“Sono un genio credente e mi sono detto: ‘La bontà di quest’uomo

è superiore alla sua malvagità. Certo, intrattiene rapporti sospetti

con il capo della polizia e non ha esitato ad approfittare

dell’aumento dell’inflazione, tuttavia è il commerciante più onesto;

elargisce elemosine, è una persona devota, misericordiosa con i

poveri’, per questo motivo ti ho scelto per la liberazione, per la

liberazione del quartiere dalla corruzione e per la liberazione della

1 N. Mahfūz, Notti delle Mille e una Notte, pag. 138.

2 Ivi, pag. 140.

3 F. Ghazoul, Nocturnal Poetics, pag. 142.

86

tua anima criminale. Invece di realizzare un proposito tanto

semplice, la tua mente è franata e ha perpetrato un atroce delitto.”1

I personaggi di Mahfūz inoltre, pur provenendo da un passato mitico come

quello delle Mille e una Notte, sembrano tutti cercare una via d’uscita dalle strettoie

di un tempo narrativo che li imprigiona, da cui tentano faticosamente di liberarsi per

affrontare e superare la difficile realtà della società egiziana di Sādāt e approdare in

un futuro migliore:

his various heroes and heroines represent different sectors and character

types of Egyptian society in their development and maturation from the

coup d’état up to the infitāh (literally “openness to the west”). Indeed,

those protagonists exhibit a search from something better, a desire for

redemption from the past. Their heated and enthusiastic protests, often

sharp and relentless, reflect an audacity in attempting to reach at roots

and sincerity in unveiling the real cause behind the tragedy of Egyptian

society. It is as though those protagonists, gathered in one fictional world,

presented a well-polished mirror in which society cools see its real

reflection - “the auspicious future behind the restless present and the

speedily warring past”.2

Dietro al groviglio di metafore che affollano le opere di Mahfūz, alcuni

critici, come fa notare Asfūr, vedono un pensiero unificatore, che chiamano la

“visione” o la “rivelazione” di Mahfūz, una sorta di filo conduttore che lega le varie

opere tra di loro, opere che scaturiscono tutte da un mondo comune da cui si

allontano solo momentaneamente per poi farvi ritorno, cosa che ha spinto alcuni

critici a parlare degli scritti di Mahfūz come di un solo unico grande testo, “a self-

created system that is the true cause of the totality or its underlying structure”3:

This one major text is characterized by a kind of internal regularity that

does not undermine the variety represented by the multiple levels of

individual texts themselves. This internal regularity does not prevent the

existence of conflicting elements in the totality, nor does it contradict the

obvious manifestations of any particular text […] if we draw a metaphor

from contemporary syntactic studies, we can say that the various literary

1 Ivi, pag. 28.

2 G. Asfūr, Naguib Mahfouz’s Critics, Translated by Ayman A. el-Desiuky, in Naguib Mahfuz From

Regional Fame to Global Recognition, Edited by Michael Beard and Adnan Aydar, Syracuse

University Press, New York, 1993, pag. 146. 3 Ivi, pag. 149.

87

texts of Naguib Mahfuz are only surface structures set up and sustained

by a deeper unifying structure that makes the particular texts one and the

same text, with an internally regulated system.1

L’utilizzo di una così ampia gamma di metafore provenienti da campi

estremamente diversi tra di loro converge a creare una vera e propria ossatura

architettura che funge da struttura portante della visione unitaria che lo scrittore

vuole comunicare ai suoi lettori:

Thus “architecture” conforms, semantically, with “unity of rhythm”, and

both confirm the existence of “basic features” and “fixed structures” that

function as the constitutive elements of a totality made up of relations.

The totality is “the fictional world” or whatever “vision” or “revelation”

that world produces.2

La difficoltà nell’interpretazione dei testi di Mahfūz, secondo ‘Abd al-Muhsin

Taha Badr, sta proprio in questa continua opposizione tra la sua “visione”, che

riporta alla realtà e al realismo, e la sua “rivelazione” che, legata al simbolo, tenta di

condurre, attraverso un idealismo etico, verso l’assoluto, dove il fato gioca nei

protagonisti dei suoi romanzi un ruolo preponderante:

the fate represents the most influential of factors on action and

characterization, while drive or instinct represents the influencing factor

next to fate in importance.3

Interessante notare, a proposito del ruolo preponderante che Mahfūz

attribuisce al fato nella definizione dei suoi personaggi, come la stessa rilevanza sia

anche nel testo originale delle Mille e una notte, cosa che lo stesso Pier Paolo

Pasolini fa notare:

Every tale in The Thousand and One Nights begins with an appearance of

destiny which manifests itself through an anomaly and one anomaly

always generates another. So a chain of anomalies is set up. And the more

1 Ivi, pag. 153.

2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 163.

88

logical tightly knit, essential this chain is, the more “beautiful”, I mean

vital, absorbing and exhilarating. The chain of anomalies always tends to

lead back to normality. The end of every tale in The Thousand and One

Nights consists of a disappearance of destiny, which sinks back to the

somnolence of daily life. The protagonist of the stories is in fact destiny

itself.1

I protagonisti dei romanzi di Mahfūz sembrano aver perso speranza e

ottimismo, quasi come se Mahfūz volesse punirli per qualcosa che hanno fatto. Asfūr

utilizza una definizione di Muhammad Fahm per descrivere l’inimicizia che lega lo

scrittore ai suoi personaggi:

I do not know the origin of this enmity within him, he treats them (his

characters) so severely that even those who sparks of happiness and

contentment in his stories soon fade away unable to dispel the severity

and gloom of their atmosphere.2

Mahfūz è al contempo un’idealista, un materialista e un rivoluzionario, “on

the one hand his idealism becomes a humanitarian tendency and a mystic socialism;

on the other hand, it becomes scientific socialism and Marxism.3 La visione di

Mahfūz, dunque, secondo Asfūr, sarebbe il risultato di una tensione continua fra

tradizione e modernità, alla ricerca continua di una dimensione plurale e universale:

Certain forms of belief wrestle with one another and demand

interpretation to fill in the gap between them and the text and to achieve a

certain degree of congruity that will bestow on them, a multidimensional

validity. As far as these forms return us to the inner most dephts of

tradition, they also relate us to other contemporary forms of

commitment.4

In un’intervista rilasciata da Mahfūz nel 1994, lo scrittore dichiara quanto segue a

proposito del suo romanzo:

1 R. Irwin, The Arabian Nights: A Companion, op. cit., pag. 200.

2 G. Asfūr, Naguib Mahfouz’s Critics, op. cit., pag. 169.

3 Ivi, pag.170.

4 Ivi, pag. 171.

89

I think that in this novel [Arabian Nights and Days] I expressed my

fundamental concerns, and that I produced a blend of what can be called

“political realism” and “metaphysical speculation”, which may be labeled

as “Sufi speculation”. I found in The Thousand and One Nights a space

which allowed me to express such an admixture of widely separate

components.1

E’ proprio questo misto tra realismo politico e speculazione metafisica che

rende così difficile dare una spiegazione chiara e univoca del romanzo di Mahfūz; il

nucleo allegorico che caratterizza queste “notti moderne”, per la complessità e

l’ambiguità che ne caratterizzano la vasta materia, resta infatti di difficile

interpretazione, proprio perché continuamente altalenante tra la leggerezza della

tradizione fantastica del racconto e la pesantezza della corruzione associata al potere

politico in generale, come fa notare la Ghazoul:

The Mahfūz’s Arabian Nights and Day is a political allegory very few

can doubt that, but the content of its political message is more debatable,

given the complexity and ambiguity of the allegory […] the key

alternates between the world of Ideas and the world of Reality that makes

this work so enigmatic and so resistant to instant deciphering. Mahfūz

manages to bring together the lofty ideas of kingship with the faits divers

and daily scandals one finds in Third World tabloids. His characters stand

for abstract notions (Shahriyār,Shahrazād, Sahlūl and Shaykh Balkhī) as

well as human types (Ma’rūf the Cobbler, Aladdīn, Anīs al-Galīs, and

Qut al-Qulūb).2

Il mondo narrativo di Mahfūz, d’altra parte, è caratterizzato tutto da una

ambiguità di fondo data dalla vastità della materia narrativa che Gāber Asfūr

definisce come un “museo” all’interno del quale possiamo trovare un concentrato di

tutte le teorie e le mode che hanno accompagnato la nascita del romanzo moderno:

The fictional world of Naguib Mahfuz is so complex, encompassing

historical and realistic narrative, containing the partially symbolic that

may infiltrate the dominant tone of a realistic work and the general

symbol whose manifold meanings lead to more than one interpretation or

become unified and revert to allegory. His fiction contains within itself

1 N. Mahfūz in Alf layla ahātāt bi-l-hadāra al-sharqiyya (interview), Fusūl XIII:2 (Summer 1994) :

380, traduzione di F. Ghazūl, in Nocturnal Poetics: the Arabian Nights in Comparative Context, American University In Cairo Press, Cairo 1996, cit., pag. 137. 2 F. Ghazūl, Nocturnal Poetics, op. cit., pag. 138.

90

different schools and trends, ranging from critical realism to existential

realism to social realism, and including naturalism, surrealism, and the

absurd. It is as if the fictional world of Naguib Mahfuz were a museum

exhibiting all the doctrines and trends the novel has known or a

laboratory containing all the theories and methodologies known to

criticism, starting with historicism and ending with structuralism.1

2.5.1. I Jinn

Chraïbi analizza il nuovo ruolo dei jinn nel romanzo di Mahfūz, che, insieme

ai personaggi e alle situazioni non sono più, come nelle Mille e una notte, semplici e

casuali incidenti della vita, ma hanno un valore emblematico e sono portatori di temi

e tesi care allo scrittore. Il tutto intessuto in una serie di episodi che presentano una

varietà di temi impressionante:

Comme les personnages et les situations, les djinns ne sont plus des

accidents de la vie: ils sont une valeur emblématique et sont porteurs de

thèmes et de thèses chers à l’auteur. Sérions ces “cas de conscience”

d’un intellectuel imaginaire et faisons le bilan: il y a le pouvoir et la

tyrannie; la femme, le bonheur manqué et la maternité; la police, la

répression, la sécurité, la justice et la corruption; le cheikh, l’idéal

religieux de paix, de pureté et de savoir; la jeunesse, le

militantisme, la liberté, la tentation et les illusions; le marchand, la

vanité, la mort et l’argent; le médecin, la vie matérielle et la raison;

la ville, la vie quotidienne et le paradis perdu.2

I jinn di Mahfūz, secondo Rashīd el-Enāny, hanno un ruolo centrale

all’interno del romanzo in quanto sono assolutamente terreni e non soprannaturali,

come nelle Mille una notte. Essi servono all’autore come specchio che spinge l’uomo

a guardarsi dentro e a decidere la direzione delle proprie azioni. L’uomo non viene

più assolto per le sue cattive azioni ma ne è ritenuto pienamente responsabile così

come spetta a lui solo correggere il tiro. I jinn portano alla luce i conflitti interiori dei

personaggi ed evidenziano la responsabilità sociale del singolo. Non a caso il jinn

viene visto soltanto da coloro che vengono di volta in volta messi alla prova

1 G. Asfūr, Naguib Mahfouz’s Critics, op. cit., pag. 146.

2 A. Chraïbi, Les djinns penseurs de Najīb Mahfūz, in L’Orient au Coeur en l’Honneur a cura di

André Miquel, Maisonneuve & Larose, Paris, 2001, pag. 180.

91

[…] in Mahfūz’s Nights..(..) the jinn play a central role […] (There are

two good jinn and two bad ones, respectively influencing his characters

to do good or evil.) As we read on, it soon transpires, however, that

Mahfūz’s jinn are only used to externalize human impulses good and evil.

Evil, then, according to the author is not supernatural, and man is

responsible for his deeds and for putting right the evil he sees around him

until justice is established on earth […] This sums up Mahfūz’s view of

the individual’s social responsibility […] One technique that the novelist

uses to imply that the jinn are only inner visions is the fact that they are

only seen and heard by the person concerned, even when they appear to

him while in company of others.1

Il ruolo assunto dal jinn con il capo della polizia Jamasa al-Bultī è anche un po’

quello di una provvidenza che aiuta chi alla fine decide di operare il bene, così

Jamasa, dopo essere stato giustiziato e riportato in vita dal jinn con un’altra identità,

diviene un fautore del bene che salva i meritevoli e abbandona i malvagi, come a

voler ricordare che la giustizia non muore mai:

Gamasa, who survives in all the tales and is given the last lines of the

book, becomes an indomitable and almost ubiquitous power of good

always able to interfere at the critical moment and save those worthy of

saving: an embodiment, as it were, of what we call “providence”.2

Tuttavia spazio e tempo s’intromettono ostacolando o favorendo l’esercizio

della volontà umana creando ciò che conosciamo come fato o coincidenza, ed è

questo un altro ruolo assegnato ai jinn da Mahfūz. Nonostante l’uomo sia il solo

artefice della propria vita nel bene e nel male, Mahfūz accorda al fato, inteso come

interazione tra tempo e spazio negli eventi umani, un qualche ruolo, seppure

marginale, affidandolo ai suoi jinn, il cui compito è di sconvolgere i progetti dei

personaggi volgendoli capricciosamente verso il successo o il fallimento. In tal

modo, anche eventi assolutamente improbabili nella realtà diventano realizzabili

nella finzione narrativa, come il matrimonio di Nūr al-Dīn e Dunyazād, dimostrando

come, talvolta, anche elementi imponderabili al di fuori del nostro controllo razionale

possano giocare a nostro favore:

1 R. El-Enāny, Naguib Mahfouz. The Pursuit of Meaning, Routledge, London and New York, 1993,

pp. 160-161. 2 Ivi, pag. 161.

92

Although Mahfūz believes, as we have seen, in human volition and

responsibility for action, his work shows that he recognizes that the

interaction of time and space may equally obstruct and frustrate the

human will. The result of space-time interaction is what we term fate or

coincidence […] the jinn are the embodiment of fate, that mysterious

phenomenon which can wreak havoc on men’s designs, or alternatively

bring them untold happiness (in which case we prefer to call it

provedence) quite independently from their actions. This part is played by

the jinn throughout the novel but in a special prominent way in the tale of

Nūr al-Dīn e Dunyazād […]. In the normal course of things the lives of

two such persons are very unlikely to converge. However, the frivolity of

two afreets brings them together one night in a dream-like fashion as

bride and groom […]. The interaction of space and time is not […] in

Mahfūz’s world necessarily wholly negative and hostile to mankind.1

Le sue storie, i personaggi, e soprattutto i jinn con i loro incantesimi fanno

irruzione nella realtà sociale rappresentata nel romanzo e privano di fondamento la

logica razionale maschile del sultano, costretto ad ammettere i propri limiti e la

propria povertà di uomo e di governante. Ma la sovversione si verifica, in maniera

evidente, a livello di micro-potere, giacché l’intreccio narrativo mostra il susseguirsi

di numerosi governatori, segretari e autorità, di volta in volta uccisi o destituiti a

causa della loro corruzione. E l’utopia è resa possibile proprio dall’intromissione di

jinn buoni e cattivi, sebbene la distinzione tra bene e male non sia sempre univoca

nel romanzo: anzi, sono proprio i due jinn malvagi, nel loro desiderio di disfarsi di

figure sagge come il folle e lo shaykh sufi al-Balkhī2 maestro di Shahrazād, a

innescare una serie di eventi inverosimili che, invariabilmente, determinano il

ribaltamento di norme e gerarchie e l’ascesa di nuovi soggetti sociali.

Grazie ai loro poteri soprannaturali, Sakhrabūt3 e Zarmabāha rendono

possibile l’incontro e, in seguito, il matrimonio, tra due personaggi di diversa

estrazione sociale che, pur risiedendo nella stessa città, «sono separati l’uno dall’altra

come il cielo dalla terra»4: si tratta di Nūr al-Dīn, commerciante di profumi, e

Dunyazād, cognata del sultano. Lo stratagemma per farli incontrare è analogo a

quello che Shahriyār ha appreso dai racconti della moglie, in particolare dalla storia

1 Ivi, pp. 162-163.

2 Il personaggio di al-Balkhī fa la sua prima comparsa nel romanzo al-Liss wa-’l-kilāb.

3 Il nome ricorda quello di Sakhr, il genio protagonista della storia del pescatore e del demone nelle

Mille e una notte. Cfr. Le Mille e una notte. Le storie più belle, a cura di Mirella Cassarino,

Einaudi,Torino, 2006, pp. 13-45. 4 Ivi, pag. 80.

93

di Qamar al-Zamān1: i due demoni pongono i giovani addormentati l’uno accanto

all’altra per giudicare chi di essi sia il più bello; innamoratisi, gli ignari protagonisti

sono di nuovo allontanati, e si ritrovano solo dopo una serie di traversie e casualità.

Quello di Nūr al-Dīn e Dunyazād è un caso di promiscuità sociale, che può aver

luogo grazie alla complicità dello stesso sultano, il quale, facendo sposare i due

personaggi, concorre a ridisegnare i confini spaziali tra centro e periferia.

È sempre per intervento dei demoni che un altro personaggio del volgo,

Ibrahīm l’acquaiolo, accede a un rango sociale più elevato: divenuto ricco dopo aver

trovato un tesoro, egli utilizza la propria ricchezza non per realizzare i propri fini

particolaristici, bensì per creare un regno alternativo, fittizio, in cui «tutti potessero

essere uguali»2. Di questo regno, il sultano è lo stesso Ibrahīm, mentre visir e uomini

di stato sono scelti tra gli indigenti e gli accattoni, che di notte si travestono da

potenti, si riuniscono su una lussuosa imbarcazione e, disponendo di cibi e bevande

in quantità, discutono di questioni importanti in un’aula di tribunale, dove giudicano

secondo giustizia: la mascherata avviene al largo e solo di notte, a sottolineare la

marginalità rispetto alle coordinate cronotopiche dell’esistenza canonica e

convenzionale. Persino Shahriyār, che proprio di notte va in cerca di esperienze

insolite, simili a quelle narrate dalla moglie, deve sottostare all’ordine di inchinarsi

dinanzi al falso governante. Egli assiste a un processo durante il quale Ugr il barbiere

rivendica l’innocenza del figlio Aladino, vittima, sotto il regno del vero sultano, di

un complotto ordito per gelosia da uomini di governo; il processo si conclude con la

condanna di questi ultimi. Shahriyār, dal canto suo, riconosce la regolarità del

giudizio e, traendo esempio dalla finzione, fa giustiziare il capo della polizia e

destituisce il governatore.

Anche in questo caso, l’intervento dei jinn dà origine alla sovversione

dell’ordine sociale costituito, minacciando l’autorità dei potenti. I jinn,

contrariamente alla ruolo del tutto casuale ch’essi avevano nelle Mille e una notte,

all’interno del romanzo di Mahfūz assumono un valore volutamente simbolico, una

forza catalizzatrice che scatena gli eventi da cui, di volta in volta, i vari personaggi

vengono travolti, figure che permettono alla visione del mondo dell’autore di entrare

nel romanzo.

1 Storia di Qamar al-Zamān figlio del re Shahrimān, in Le Mille e una notte, cit., pp. 339-412. In

Layālī alf laylah, Qamar al-Zamān è il nome della moglie del governatore Fadl ibn Khaqān. 2 Le Mille e una notte. Le storie più belle, op. cit., pag. 171.

94

Il rovesciamento dello status quo raggiunge la sua apoteosi in un momento

particolarmente pregnante della narrazione, che coincide con la nomina a

governatore di Ma‘rūf il ciabattino.

Il personaggio, sin dall’esordio del capitolo a lui dedicato, è presentato come

un uomo ai margini sia della vita sociale, per via dei guadagni limitati, sia di quella

privata e domestica, condivisa con la moglie Firdaws, «donna forte e violenta».1 La

loro relazione coniugale è fondata sull’inversione dei consueti ruoli di genere

associati al modello familiare patriarcale, e, infatti:

Non passava giorno in cui ella non gli sferrasse un colpo oppure una

maledizione, mentre Ma‘rūf tremava innanzi a lei, timoroso e umiliato.

Avrebbe voluto possedere il coraggio per ripudiarla e sognava la sua

morte. Voleva fuggire, ma come? Dove? Si diceva che era prigioniero

come Fādil San‘an lo era stato di Satana. Forse l’unica soluzione era la

morte.2

È il jinn Sakhrabūt a ribaltare la situazione, mettendo in atto una forza

centripeta che attrae Ma‘rūf verso un riconoscimento sociale che, sino ad allora,

aveva avuto diritto di esistere solo nell’immaginazione, per di più alterata, del

personaggio.

Una notte, quest’ultimo, sotto l’effetto di stupefacenti, annuncia

pubblicamente di aver trovato il sigillo di Salomone, garanzia, per chi lo possiede, di

potenza e prosperità, ed è da questa ingenua menzogna che il genio trae spunto per

innalzare Ma‘rūf da terra sotto gli occhi dei frequentatori del Caffè dei Principi, tra i

quali si contano anche notabili e personalità di un certo rango. Ma‘rūf ottiene così

quella notorietà che è inscritta nel suo stesso nome, sennonché tale visibilità ha

un’origine magica, e si fonda su forme alternative di potere che esistono unicamente

nelle storie: è grazie al potere acquisito per mezzo del jinn che Ma‘rūf trova il

coraggio di ripudiare Firdaws e ottiene il favore del governatore ‘Abbās al-Khalīgī

che, ora, è pronto ad accogliere ogni sua richiesta, inclusa quella di rispettare e

difendere i poveri. Tuttavia, il potere di Ma‘rūf è, per sua stessa natura, aleatorio, e la

magia svanisce quando il ciabattino rifiuta di prestarsi al malefico piano omicida del

jinn. L’esito infelice della vicenda delude non soltanto Ma‘rūf, ma, con lui, quel

1 Notti delle Mille e una Notte, pag. 186.

2 Ibidem.

95

nuovo soggetto narrativo a cui il personaggio ha dato voce, la massa dei poveri e dei

miserabili che prende forma come «corpo gigantesco e infinito»1 e simile a «fiume

impetuoso»,2 dà luogo a cortei di protesta che sfidano l’esercito. Il verdetto di

Shahriyār trascende le leggi del potere e della realtà: il governatore viene trasferito e,

al suo posto, si insedia Ma‘rūf il ciabattino.

Per la loro azione fortemente sovversiva, i demoni, nel romanzo di Mahfūz,

sono probabilmente identificabili con questa massa anonima disseminata negli angoli

più oscuri della società urbana, cementata dal comune sentimento di rabbia e

indignazione e pronta a esplodere come il magma di un vulcano. Più volte il testo

denuncia i meccanismi perversi per cui, nei regimi dittatoriali, individui marginali,

ma innocenti, divengono oggetto di bruta repressione, finalizzata ad avvalorare

l’efficienza del regime stesso.3

In Layālī alf laylah, tali individui sono gli indigenti, ma soprattutto gli sciiti e

i kharigiti, che il capo della polizia Jamasa al-Bult ī, incaricato di perseguirli,

definisce «demoni che deviano dalla retta via»4, in contrapposizione alla ahl al-

sunna, la «gente della sunna»5. Sono loro che pubblicano «riviste clandestine

traboccanti di accuse contro il sultano e i governatori»6, in sintonia con il ruolo

eversivo svolto, nella storia dell’Islām, proprio dagli sciiti – i fazionisti – e dai

kharigiti – gli uscenti – nei confronti dell’ortodossia sunnita, che anche in Layālī alf

laylah rappresenta l’ideologia ufficiale dello stato, in cui potere politico e potere

religioso si legittimano a vicenda.

L’intromissione, nell’universo narrativo, dei jinn e di altri elementi tratti dai

racconti delle Notti, come il berretto che rende invisibili, è funzionale, dunque, a

creare disordini e scompigli all’interno del regno, in modo non solo da riscrivere i

rapporti di potere e le gerarchie sociali, ma anche, e soprattutto, da catalizzare un

preciso discorso finalizzato alla delegittimazione delle stesse nozioni di potere e di

1 Ivi, pag 196.

2 Ivi, pag. 197.

3 Il meccanismo è stato messo in luce dalla scrittrice marocchino-americana Laila Lalami nel romanzo

Secret Son, in cui l’arresto dell’innocente Yussef, il protagonista di estrazione popolare coinvolto in

un complotto fondamentalista, serve a dimostrare l’efficienza delle forze di polizia marocchine. Cfr.

Laila Lalami, Secret Son, Algonquin Books, Chapel Hill 2009, p. 290. 4 Notti delle Mille e una Notte, pag. 42.

5 Ibidem.

6 Notti delle Mille e una Notte, pag. 44.

96

stato. L’elemento magico e soprannaturale, scrive al-Musawi, «distances the real in

order to deconstruct it».1 Inoltre:

The real of the nation-state is deliberately constructed in marvelous terms

to allow analysis and criticism.2

L’origine magica del potere politico è più volte evidenziata in Layālī alf

layla, a cominciare dal capitolo su San‘an al-Jammāli, il commerciante visitato, di

notte, dal genio Qumqām e costretto a uccidere il governatore ‘Ali al-Salūli.

Qumqām3 si rivolge a San‘an, ammonendo lui e i suoi simili in quanto: «Voi creature

moleste cercate disperatamente di sottometterci per realizzare i vostri vili obiettivi».4

Jamasa al-Bult ī, il capo della polizia, messo alle strette da Sinjām, il jinn che egli

ha involontariamente tratto fuori dalla bottiglia, lo implora di mettergli a

disposizione la sua potenza5 per «uccidere i criminali e governare la comunità in

modo saggio»,6 sennonché è il suo interlocutore a svelare le reali intenzioni del

personaggio: «Vuoi ingannarmi per realizzare i tuoi sogni occulti di potere e

autorità?».7

Tuttavia, l’azione dei jinn nel romanzo non è finalizzata a garantire stabilità e

continuità, ma, viceversa, a sgretolare la solidità del sultanato di Shahriyār, privando

di efficienza e credibilità proprio chi dovrebbe essere garante della sicurezza dello

stato, il capo della polizia. La città è messa letteralmente a soqquadro, senza che

venga identificato nessun colpevole:

Si susseguivano con inquietante frequenza rapine, dentro e fuori le mura

del quartiere, venivano saccheggiate ricchezze, mercanzie e venivano

aggredite le persone.8

1 M. J. Al-Musawi , The Postcolonial Arabic Novel: Debating Ambivalence, Brill,

Leiden and Boston 2003, pag. 380. 2 Ivi, pag. 385.

3 Il nome del jinn designa il contenitore di rame in cui, nelle Mille e una notte, Salomone

imprigionava i demoni ribelli. 4 Notti delle Mille e una Notte, pag. 18.

5 «Utilizza la tua forza per appoggiarmi, non per distruggermi». Le Mille e una notte, pag. 46.

6 Ibidem.

7 Ibidem.

8 Notti delle Mille e una Notte, pag. 42.

97

Crimini e furti raggiungono l’abitazione del governatore, segno che il potere è

ormai corroso al suo interno. Jamasa al-Bultī, «spada dello stato»,1 è minacciato di

destituzione, giacché, recita il testo: «la spada era smussata e la sicurezza si era

frantumata».2 Governatori e uomini di stato corrotti si succedono rapidamente,

privati della vita o della loro autorità. Le fondamenta dello stato vacillano per

l’intervento di forze misteriose e oscure che, se da un lato vogliono epurare la società

dalla corruzione, dall’altro lato favoriscono la sovversione delle gerarchie e dei

rapporti di potere tra le classi sociali.

Ancora una volta, è messa in crisi la stabilità del potere assoluto, minacciato

da tentativi di sovversione che avvengono ai margini della società, in un sottosuolo

che brulica di forze oscure, le quali acquistano pieno diritto di cittadinanza nello

stato rappresentato da Mahfūz: il sultanato è infatti popolato da uomini e da jinn.3

2.5.2. Shahrazād

Layālī alf layla diventa parte di quel progetto revisionista messo in luce da al-

Musawi nel suo volume dedicato al romanzo arabo postcoloniale: e proprio sul testo

di Mahfūz è incentrato un intero capitolo del libro, in cui lo studioso riconosce, fra

l’altro, il ruolo fortemente eversivo di Shahrazād, per la sua capacità di

“addomesticare” – e quindi di controllare – il potere incarnato da Shahriyār, sino a

determinarne l’inconcepibile abdicazione finale.4 Ma Shahrazād, in cerca di giustizia

su questa terra, non riuscirà a cambiare in modo definitivo la natura del sultano, la

cui regressione lei continua a temere lungo tutto il corso del romanzo; il potere della

parola in Mahfūz non è sufficiente per operare la catarsi del despota, come lo era

stata nelle Mille e una Notte, e, la stessa Shahrazād di fatto, ormai a metà del

romanzo e del suo tentativo di redenzione, sente di non essere riuscita nell’impresa, e

afferma:

1 Ivi, pag. 47.

2 Ibidem.

3 «Che sultanato meraviglioso è questo con la sua popolazione e i suoi geni!». N. Mahfūz , Notti delle

mille e una notte, op. cit., pag. 37. 4 M. J. Al-Musawi, The Postcolonial Arabic Novel: Debating Ambivalence, op. cit., capitolo su

Shahrazād.

98

“Ho paura per Dunyazād,” disse Shahrazād fremente, “ho paura anche

per me. Non possiamo fidarci di quel sanguinario. La cosa peggiore per

un uomo é credersi un Dio.” […]. “ Talvolta mi sembra cambiato.” […].

”Ma che cosa accade nel suo cuore? Per me, continua a essere un mistero;

non mi fido di lui”. “La storia lontana dalla sua realtà, gli è piaciuta, ma

se affliggesse la sua dimora e lo riguardasse sarebbe diverso. Le sue

diaboliche tentazioni potrebbero ritornare.” disse la madre terrorizzata.

“E ritornare il demonio di un tempo o ancora peggio.”1

Shahrayār e Shahrazād sono entrambi infelici alla fine delle Mille e una notte,

poichè è chiaro che il sultano, nonostante sembri “guarito” non lo è affatto e

Shahrazād, che ha sposato un uomo senza amore per salvare le altre donne del regno

dalla morte, è una donna tutt’altro che realizzata nella propria sfera personale:

”Mi sono sacrificata per porre fine a torrenti di sangue,” commentò

afflitta. “Allah possiede la Sua saggezza,” mormorò il padre.”E Satana

possiede I suoi amici,” disse lei con tono astioso. L’uomo quasi a

supplicarla aggiunse: “Egli ti ama, Shahrazād!”. “Orgoglio e amore non

possono abitare in uno stesso cuore; egli ama se stesso e nessun altro.”

“L’amore può compiere miracoli…” “Ogni volta che mi si avvicina sento

l’odore del sangue.” “Il sultano non è simile agli altri uomini.” “Tuttavia

un delitto rimane un delitto. Quante vergini ha ucciso, quanti timorati di

Allah ha annientato… Nel suo reame sono rimasti solo gli ipocriti.”

L’uomo disse rattristato: “La mia fiducia non ha mai vacillato”. “Per

quanto mi concerne, so bene che il mio compito è essere paziente come

mi ha insegnato il nostro grande shaykh.” “Straordinario maestro,

straordinaria allieva” concluse Dandān sorridendo.2

Mahfūz nega a Shahrazād persino quella tradizionale dimensione eroica che

le aveva sempre attribuito il merito di aver salvato le donne del regno dalla morte per

mano del sultano, merito qui accordato esclusivamente allo Shaikh al-Balkhī, di cui

Shahrazād è solo uno strumento:

“Senz’altro conosci già la buona notizia”.”So solo ciò che interessa

alla mia conoscenza,” rispose lo Shaykh. “La popolazione acclama

Shahrazād ed è chiaro che il merito principale è tuo”, commentò il

dottore. “Il merito spetta solo all’Amato,” disse in tono di

rimprovero. “Anch’io sono un credente, tuttavia seguo le premesse

e i risultati. Se non fosse stata tua allieva sin da bambina non

1 Notti delle mille e una notte, pag. 98.

2 Ivi, pp. 9-10.

99

sarebbe diventata Shahrazād. Se non fosse stato per le tue parole,

non avrebbe narrato i racconti che hanno distolto il sultano dallo

spargimento di sangue”.1

Come fa notare Chraïbi, il ruolo essenziale di Shahrazād nelle “moderne

notti” di Mahfūz, si perde e Shahrazād rimane un personaggio ancora in cerca di

autore, per dirla con le parole di Pirandello, quasi a voler rimandare la trattazione di

un tema così complesso quale quello della condizione della donna nella società

egiziana del tempo:

[…] ici, dans le roman, Shahrazād […] n’entreprend rien, personne ne

vient à son aide, et elle est tout aussi malheureuse au début qu’à la fin.

Son avenir (en tant que femme?) reste à écrire. Il est difficile de le

comprendre autrement que par le retrait d’un débat social sur la femme,

pourtant nécessaire, afin de réserver toute la place à la question du

pouvoir et de la corruption.2

La figura di donna che emerge in generale all’interno del romanzo viene

totalmente privata di quell’aspetto eroico che caratterizzava tante figure femminili

dei racconti delle Mille e una notte, e Mahfūz attribuisce alla società egiziana

contemporanea una visione ancora stereotipata della donna, vista ora come angelo

del focolare, madre e moglie esemplare, ora come peccatrice, dispensatrice di un

amore carnale che porta l’uomo alla rovina, negando alla figura femminile qualsiasi

possibilità di ottenere saggezza e temperanza su questa terra:

Et la femme? Ce sont, dans les contes des Mille et une nuits, des figures

inoubliables comme Shahrazād, Zubayda, Gullanar, Zumurrud, etc. Mais

Shahrazād, dans le roman, a été dépouillée de son titre de gloire. […]. Il

n’y a pas non plus de femmes influentes ni même dans le rôle d’un

personnage- aussi modeste soit-il- volontaire et engagé. Les plus

remarquables s’enfuient, pleurent ou se tuent pour conserver leur état ou

défendre leur vertu. Au mieux, elles recherchent l’amour dans une union

légitime annonciatrice du mariage et de la maternité. Au pire, c’est encore

l’amour, libre, charnel, excessif et dévastateur. Et lorsqu’elles

apparaissent pleines de sagesse, actives et mesurées, elles ne sont ni dans

1 Ivi, pp. 11-12.

2 A. Chraïbi, Les djinns penseurs de Najīb Mahfūz, op. cit., pag. 3.

100

la ville ni même sur terre: ce n’est presque qu’un rêve, c’est le paradis.

Un mauvais rôle en somme.1

Poco potere Mahfūz accorda alla figura femminile di Shahrazād nella sua

continuazione delle Mille e una Notte. Ella è costretta ad operare in un contesto

fondamentalmente solo maschile sul quale avrà pochissima influenza se non quella

che le deriva dall’essere stata allieva dello Shaykh ‘Abd Allāh al-Balkhī. Così ella

parla al padre Dandān:

Per quanto mi concerne so bene che il mio compito è essere paziente

come mi ha insegnato il nostro grande shaykh.” “Straordinario maestro,

straordinaria allieva,” concluse Dandān sorridendo.2

Una società, come sottolinea Ferial Ghazoul, ancora profondamente

patriarcale e gerarchica,3 dove ogni uomo è definito dalla propria professione e dalla

appartenenza ad una determinata classe sociale, come avveniva già nelle Mille e una

notte, differenze che vengono subito messe in risalto nel capitolo Il caffè dei principi,

in cui, non a caso, la rappresentazione dei diversi ceti sociali dei frequentatori è

affidata alla descrizione dei privilegi loro riservati all’interno del caffè piuttosto che

alla caratterizzazione fisica dei personaggi stessi:

Il Caffè si trovava a metà del lato destro della grande via commerciale.

Era un locale a pianta quadrata, ampio; la porta d’ingresso si affacciava

sulla grande strada principale, mentre le finestre davano sui quartieri

limitrofi. Lungo le pareti c’erano divani per la clientela più raffinata, al

centro invece, disposti in circolo, giacevano dei cuscini destinati alla

gente comune […]. Di notte era frequentato da numerose persone

rispettabili del quartiere come San‘an al-Gammāli con il figlio Fādil,

Hamdān Tunaysha e Karam al-Asīl, Sahlūl e Ibrahim al-Attār con il figlio

Hasan, Galīl al-Bazzāz, Nur al-Din e Shamlūl il gobbo. Vi si poteva

incontrare anche gente del popolo come Ragab il facchino con il collega

Sinbād, Ugr il barbiere con il figlio Aladino, Ibrahim l’acquaiolo e

Ma‘rūf il ciabattino.4

1 Ivi, pag. 12.

2 Le Mille e una notte, pag. 10.

3 F. Ghazūl, Nocturnal Poetics, op. cit., pag. 140. 4 Le Mille e una notte, pag. 14.

101

2.5.3. Shahriyār

Shahriyār1 decide di rompere col suo passato, di lasciare il suo regno e partire

per un lungo viaggio solo dopo l’incontro con Sidbād, confermando il valore

salvifico del racconto, da cui il sultano apprende, ancora una volta come già con

Shahrazād, a saper distinguere tra illusione e realtà, i limiti della tradizione e il valore

dell’esperienza vera, della ricerca della libertà e del senso dell’esistenza:

Thus Shahriyār learns from Sindbād that often “takes illusion for reality”;

“that traditions represent the past and that some of the things of the past

should be forgotten for ever”; and “that man’s spirit cannot live without

freedom; for Heaven itself will avail man nothing if he loses his liberty”

(pp. 247-251). Shahriyār listens, all the time his humility increasing in

proportion to his sense of wonder. By the time Sindbād comes to the end

of his story, Shahriyār’s vicarious suffering has reached a climax and the

barrier between lived experience and conveyed experience is lifted. At

this moment the truth is laid bare before his eyes and the full horror of his

past life is recognized: the art of storytelling has exercised its cathartic

effect.2

Il personaggio di Sindbād ha un ruolo chiave all’interno del romanzo perché

insegnerà al sultano a distinguere tra illusione e realtà. Shahriyār apprende

dall’avventuroso marinaio che per operare tale distinzione bisogna che l’uomo lasci

alla ragione il governo dei sensi, solo in questo modo egli potrà capire la vera natura

delle cose al di là della loro superficiale apparenza. Ecco come Sindbād, recatosi dal

sultano insieme al nuovo governatore Ma‘rūf e al nuovo capo della polizia ‘Abd

Allāh il giudizioso, risponde a Shahriyār che lo invita a raccontare le sue avventure:

La prima cosa che ho imparato, mio signore, è che l’uomo viene tratto in

inganno dall’illusione, poiché la crede una realtà; tuttavia non c’è

salvezza per noi sino a che i nostri piedi pestano la terraferma […].

”Come distingui l’illusione dalla realtà?” domandò il sultano. “Dobbiamo

fare uso dei sensi e dell’intelligenza donatici da Allah,” rispose Sinbād

dopo un po’ di esitazione.3

1 La trama di questo capitolo è basata sulla Storia del terzo vagabondo contenuta nelle Mille e una

notte. 2 Ivi, pag. 167.

3 Notti delle mille e una notte, pp. 201-202.

102

In altri passi del suo racconto sottolinea l’importanza della moderazione:

Ho altresì imparato che il cibo è un alimento quando viene assunto con

moderazione mentre diventa un pericolo se lo si ingerisce con ingordigia

e questo ragionamento vale anche per i desideri della carne.1

Oppure quanto possa essere pericoloso seguire pedissequamente le tradizioni:

“Le tradizioni appartengono al passato”, mormorò il sultano, “vi sono

cose del passato che ormai sono superate.2

E ancora quanto sia preziosa la propria libertà:

Ho imparato anche che la libertà è la vita dell’anima e che il paradiso

stesso non arricchisce l’uomo se quest’ultimo ha perso la propria libertà.3

Infine che nessuna avventura meravigliosa può mai arricchire l’uomo che si

allontana da Dio:

“Ho anche imparato che all’uomo possono accadere miracoli, ma non è

sufficiente che ne tragga vantaggio, anzi deve considerarli una guida

poiché rappresentano la luce divina che illumina il nostro cuore”.4

Sarà solo dopo avere ascoltato Sindbād che Shahriyār si renderà conto della

propria inadeguatezza; finalmente riuscirà a vedere al di là dell’elemento fantastico

insito nei racconti d Shahrazād e dello stesso Sindbād e deciderà di partire egli stesso

per un lungo viaggio alla ricerca della verità e della salvezza.

La decostruzione della figura del tiranno operata da Mahfūz è compiuta; egli

si aggira come un fantasma tra gli alberi del giardino reale, tormentato dai sensi di

colpa come gli eroi shakesperiani, e dall’amara consapevolezza del suo totale

fallimento, ma, allo stesso tempo, trasformato dalle sue inquietudini nel simbolo

1 Ivi, pag. 203.

2 Ivi, pag. 205.

3 Ibidem.

4 Ivi, pag. 206.

103

dell’uomo moderno, alla continua ricerca del sé. Il tiranno descritto da Mahfūz alla

fine delle sue altre “mille notti”, non incute più paura ma suscita solo pietà:

Shahriyār si alzò in piedi con il cuore agitato da opprimenti emozioni. Si

addentrò nel giardino, seguendo la passeggiata reale, simile a un

minuscolo spettro che procede tra le imponenti sagome degli alberi e

sotto infinite stelle. Voci del passato pervadevano le sue orecchie

cancellando le melodie provenienti dal giardino. Grida di vittoria, eccessi

d’ira, i lamenti delle vergini, il fermento dei credenti, i canti degli ipocriti

e la chiamata alla preghiera in nome di Allah dall’alto dei minareti. La

falsità della gloria bugiarda gli apparve evidente come una maschera di

carta straccia che non può celare le serpi della crudeltà, la tirannia, il

saccheggio e il sangue che si nascondono dietro di lei. Maledisse suo

padre e sua madre, coloro che pronunciavano le fatwa, la poesia e i poeti,

i cavalieri della falsità, i ladri del Tesoro pubblico, le prostitute

appartenenti a nobili famiglie, l’oro saccheggiato e sperperato in coppe di

vino, i turbanti, le pareti decorate e l’arredamento sfarzoso, i cuori vuoti,

le anime suicide e le risate sarcastiche dell’universo.1

Il deserto dell’ultimo capitolo intitolato Quelli che piangono, è la dimora di

tutti i governatori e mercanti corrotti incontrati nel corso del romanzo. Costoro hanno

perso ogni possibilità di dimorare nel paradiso e, dopo averne avuto breve visione, ne

sono stati tutti irrimediabilmente esclusi e ricacciati sulla terra, il cui destino, che

ricorda la legge dantesca del contrappasso, sarà piangere e martellare in eterno la

roccia per potervi rientrare.

Il luogo paradisiaco è abitato esclusivamente da donne, quasi a significare che

per Mahfūz, il riscatto della figura femminile, cui, all’interno del romanzo, è data ben

poca rilevanza, è ancora molto lontano nel mondo moderno, tanto da essere

rimandato dall’autore in un mondo ultraterreno. Infatti, nelle moderne Notti, come

sottolinea Chraïbi, non è più la figura femminile di Shahrazād a salvare le donne del

regno dal progetto sanguinario del sultano, bensì lo sceicco ‘Abd Allāh al-Balkhī,

una figura maschile; ella fungerà solo da intermediaria. Questa visione riduttiva del

ruolo della donna all’interno del romanzo di Mahfūz, afferma Chraïbi, sarebbe un

tratto fondamentale nel romanzo di Mahfūz, quasi come se egli avesse voluto

appositamente rimandare la trattazione della figura femminile per potere concentrare

tutta la sua attenzione al tema del potere politico e della sua corruzione:

1 Notti delle mille e una notte, pp. 206-207.

104

On invoque le ciel pour Shahrazāde, alors que c’est à vous que revient le

mérite! […].Si déjà très jeune elle n’eut été votre disciple, elle ne serait

pas devenue Shahrazāde, et n’étaient vos paroles où elle puisait ses

contes, elle n’aurait pu trouver de quoi divertir le sultan de ses desseins

sanglant. Voilà qui change du tout au tout le sens et la portée du texte. Ce

n’est donc pas Shahrazād, une femme, qui a sauvé les femmes du

royaume. C’est Le cheikh ‘Abd Allah al-Balkhī!.1

e ancora:

Le poète et le scénariste, les deux pôles littéraires, ont œuvre jusqu’au

bout pour le compte de l’agitateur d’idées. Une étape prochaine pourrait

voir se déployer d’autres techniques et montrer, par exemple, les

vagabondages initiatiques d’une femme, sa quête de la liberté de la vérité,

de la richesse, son séjour dans un lieu mirifique people d’hommes qui lui

sont corps et âme dévoués, son épanouissement sexuel, un nouveau

paradis.2

Questo capitolo è molto simbolico e indicativo poiché Mahfūz, riprendendo il

mito di Adamo che viola il divieto divino e viene espulso dal paradiso, punisce non

l’uomo comune, che invece è il solo depositario della verità, ma solo quegli uomini

di governo corrotti, che, pur avendo avuto una seconda chance, non hanno saputo

coglierla, mancando sia alla loro responsabilità sociale sia a quella del singolo,

poiché la perdita del paradiso altro non è che la loro incapacità di vivere all’interno

di una realtà sociale di gruppo, in modo onesto e lungimirante, diventando così

individui soli e alienati, vittime del proprio egoismo e sete di potere. Conclude

Chraïbi:

[…] le lecteur se trouve à pressente confronté à de nouvelles

interrogations, plus incisives toutefois: comment espérer d’un personnage

à qui l’on offre le “paradis” et qui crèche contre toute logique à obtenir

mieux (le “mieux” étant le paradis où il se trouve déjà!), comment espérer

donc qu’il puisse se contenter sagement, dans la vie quotidienne, de sa

charge sociale sans se laisser corrompre? En d’autres mots: est-il possible

de lui faire prendre conscience du paradis où il vit?3

1 A. Chraïbi, Les mille et une nuit: Histoire du text et classification des contes , op.

cit., pag. 5. 2 Ivi, pag. 12.

3 Ibidem.

105

Shahriyār, nell’ultimo capitolo abbandona dunque il palazzo, la moglie, il

figlio e tutti i suoi averi e i suoi passi lo conducono “sino a uno spiazzo all’aperto

nelle vicinanze della lingua verde”.1 Non a caso Mahfūz decide di addentrarsi nel

complesso simbolismo della parola araba al-akhdar (verde); essa, oltre a possedere la

stessa radice trilittera della parola al-akhdar, presente in molte lingue semitiche col

significato di “verde” o “verdeggiante”, condivide la stessa etimologia del nome al-

Khidr, noto profeta preislamico descritto nella sura XVIII del Corano. In questo

racconto al-Khidr, appare all’improvviso al profeta Mosè (in arabo Musa) e al suo

servo, i quali chiedono aiuto ad al-Khidr come ad una guida e a un maestro, affinchè

li conduca alla retta via. Tale cammino, tuttavia, verrà reso impossibile dalla umana

curiosità di Mosè, il quale, non sapendo resistere alla tentazione, inizierà a fare

domande sul comportamento bizzarro di al-Khidr, e verrà da lui abbandonato. La

figura di al-Khidr, oltre ad assumere un significato mistico nel cammino ascetico dei

sufi musulmani, richiama, come sottolinea la Ghazoul, anche altre antiche figure

mitologiche del mondo orientale ben radicate nell’immaginario collettivo, in cui ogni

lettore moderno può immediatamente riconoscersi:

There is clearly a play on the notion of a green strip of land and Khidr -

the supernatural character- associated with Gilgamesh in Babylonian

legends, with Alexander the Great in medieval epics, and the quest of

Bulukiyya in The Arabian Nights. Khidr is also evident in Islamic

legends, where he is associated with the water of life and immortality.

Greenness is a common symbol for organic, natural life, and water is

necessarily associated with verdure. […].The play on words is more

obvious in Arabic since the name Khidr is the same as greenness.

Immortality, rejuvenation, and eternal youth are synonymous with

defeating death, and legends around the spring of water that grants such a

wish are frequent in ancient Near Eastern lore.2

Accanto alla lingua verde il sultano trova una roccia a forma di cupola e un

ingresso che lo conduce dentro a un palazzo magico:

Non appena fu entrato la porta si chiuse dietro di lui, ma la bellezza del

luogo lo soggiogò. Era illuminato, ma non c’era alcuna sorgente di luce.

Era ventilato, ma non c’era alcuna finestra. Si respirava un gradevole

profumo, ma non c’era alcun giardino. Il pavimento era bianco

1 Notti delle mille e una notte, pag. 212.

2 F. Ghazūl, Nocturnal Poetics, pp. 146-147.

106

splendente, di un metallo sconosciuto. Le pareti erano di smeraldo, il

soffitto era adornato con coralli dai colori complementari.1

Subito dopo la purificazione attraverso l’acqua:

In fondo a un passaggio c’era un’altra porta luccicante come se fosse

incastonata di diamanti. Procedette senza esitare, dimenticando quel che

aveva alle spalle […]. Quando stava per dimenticare che il suo cammino

aveva uno scopo, si trovò nei pressi di una pozza d’acqua limpida dietro

la quale c’era uno specchio […] si spogliò e si tuffò in acqua. I flutti lo

massaggiarono con angeliche dita. Uscì dall’acqua, si guardò allo

specchio e vide che era diventato un giovane forte […].2

Shahriyār incontra una “giovane dalla bellezza celestiale”3 che lo conduce a

una città che “per bellezza, splendore, eleganza, pulizia, profumo e clima pareva il

paradiso, una città che sembrava essere abitata tutta da donne”.4 Egli è finalmente è

rinato nel corpo e nell’anima e il suo vecchio palazzo a confronto del nuovo “gli

apparve come un volgare tugurio”.5 Il matrimonio tra Shahriyār e la bella regina

viene celebrato, in un luogo senza memoria e senza tempo, dove Shahriyār,

dimenticando il suo passato, vive “felice come nessun uomo lo è mai stato”.6 Ma

ecco che si presenta davanti a lui una porta misteriosa che egli ha il divieto di aprire.

Il sultano come Mosè con al-Khidr, cede alla sua umana curiosità, apre la porta,

precipitando immediatamente sulla terra e viene bandito dalla beatitudine senza

tempo. Come Adamo ed Eva prima di lui, sarà destinato a continuare la sua vana

ricerca sulla terra del paradiso perduto.

Mahfūz nega dunque all’uomo la possibilità di raggiungere saggezza e verità,

acquisizioni solo momentanee per l’essere umano, destinato a rimanere prigioniero

del caos di una realtà infernale. E, come sottolinea la Ghazoul, anche la via Sufi

verso la salvezza, impersonata nelle Notti di Mahfūz dalla figura dello Shaykh al-

Balkhī, consigliere spirituale e metà di frequenti consultazioni da parte di tutti i

personaggi delle Notti di Mahfūz, nonché mentore della stessa Shahrazād, sembra

1 Notti delle mille e una notte, pag. 213.

2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 214.

4 Ibidem.

5 Ivi, pag. 215.

6 Ivi, pag. 216.

107

essere destinata al fallimento. Shahriyār come il Mosè coranico, non riuscirà in

questa terra a raggiungere la retta via.

Il sultano che, alla fine del romanzo, viene brutalmente rigettato sulla terra

perdendo il paradiso raggiunto e così tanto agognato, è un personaggio destinato a

rimanere irrisolto, che simboleggia l’uomo moderno in cerca del vero significato

della vita; egli, infatti, continuerà a vagabondare per il mondo cercando invano la sua

strada e la verità. Dice ‘Abd Allāh il giudizioso a Shahriyār alla fine del romanzo:

“Una prova della reticenza della verità è che quest’ultima non spiana a

nessuno il cammino nè priva alcuno della speranza di raggiungerla.

Lascia la gente a cavalcare per i deserti dell’incertezza e ad annegare nei

mari del dubbio. Chi crede di averla raggiunta si è separato da lei, chi

pensa di essersene allontanato ha perso la strada. Non la si può

raggiungere se non la si fugge, è inevitabile”.1

La Ghazūl analizza a tal proposito il termine arabo al-haqq e le sue molteplici

accezioni, per tentare di interpretare il significato allegorico che la scelta di tale

parola assume per Mahfūz:

The Arabic word in the text rendered as “truth” by the translator is al-

haqq. This term denotes a variety of meanings; only one of them is truth.

It stands for divine order and divine bliss, and it is one of the ninety-nine

names of God. Furthermore, it indicates what is opposite of batil (vain),

and encompasses what is real and permanent. It also stands for “right”

and “duty”. What Mahfūz allegorizes in the finale of this novel is that the

desire for wisdom necessarily takes the seeker toward the path of divine

bliss, but because human beings are human, they can only have a taste of

the sublime- symbolized in a paradisiacal scene of everlashing youth-

without ever retaining such a state.2

Potere terreno e potere spirituale sono dunque inconciliabili nella visione di

Mahfūz e, persino il potere catartico della parola, di cui Mahfūz diventa interprete

dopo Shahrazād, non riuscirà a guarire il mondo dai suoi mali.

Il personaggio del sultano suscita dunque nel lettore un interrogativo

esistenziale che, sembra, non sia destinato a trovare risposta, nè in questo romanzo

1 Ivi, pag. 217.

2 F. Ghazūl, Nocturnal Poetics, pag. 148.

108

nè in uno futuro, poichè, ogni sultano, sembra voler dire Mahfūz, in quanto simbolo

di un potere corrotto e ingiusto, non godrà mai del favore del popolo e sarà sempre

destinato al fallimento e all’esilio; tale favore è accordato invece a Ma‘rūf il

ciabattino, l’uomo comune che incarna la possibilità di quel progresso sociale che

Mahfūz auspica, e che, alla fine del romanzo, è realizzato con la sua ascesa finale al

potere. Il sultano, per mano dell’autore, è messo di fronte a una scelta tra il seguire

l’esperienza concreta nel mondo come propone Sindbād o la fuga in un mondo

religioso come propone la figura dello sceicco al-Balkhī, e naturalmente, Mahfūz

sceglierà per lui. Ma Shahriyār fallisce ancora una volta per aver male esercitato il

libero arbitrio, e non potrà che incolpare se stesso, e non il serpente o la donna di

biblica memoria, per la perdita del paradiso:

Il continue à chercher son chemin alors que le roman est terminé. Le

lecteur est laissé dans l’ignorance: que va-t-il advenir de ce roi qui

vagabonde? La question représente certes une invitation à réfléchir. Mais

elle n’appartient pas au registre du conte, ni à une mise en scène abrupte.

Elle ne fait pas non plus miroiter une promesse de continuation.

L’histoire du sultan doit finir de cette manière, celle de toutous les sultans

peut-être, à partir de l’instant où un home ordinaire (ici le savetier) a été

porté au pouvoir avec l’accord et le soutien du people. La progression,

entre début et fin, a fait progrès. C’est ce qui importe dans la perspective

du groupe social.1

2.5.4. Jamasa al-Bultī

Il personaggio di Jamasa al-Bultī è, secondo la definizione che ne dà Chraïbi,

uno dei personaggi più moderni del romanzo, in questa sua continua metamorfosi che

attraversa tutto il romanzo. Per l’uomo moderno, incarnato da Jamasa, è impossibile

rimanere neutrali di fronte agli eventi che lo travolgono e che fanno emergere, di

volta in volta, aspetti opposti della sua personalità, trasformandolo da uomo corrotto

in giustiziere, poi da folle a uomo saggio e integerrimo. Unica via d’uscita per potersi

confrontare con i demoni che albergano all’interno dell’uomo moderno è l’esercizio

della ragione e l’impiego della saggezza poichè, come afferma Chraïbi, la buona

1 A. Chraïbi, Les mille et une nuit: Histoire du text et classification des contes, op. cit., pag. 11.

109

educazione ricevuta, l’adab della tradizione, non è più sufficiente per poter

sconfiggere i demoni del presente, che, al contrario che nelle Mille e una notte, non

sono più rappresentati come “accidenti” esterni che si intromettono periodicamente e

casualmente nelle nostre vite, ma come l’eterna lotta tra le forze del bene e del male

che costantemente si agitano dentro di noi. Sta proprio in questo la modernità dei

personaggi di Mahfūz:

[…] résolument moderne aussi, le chef de police corrompu, qui se

transformera en portefaix-justicier, puis en vagabonde-fou et enfin et de

nouveau en chef de police sage et intègre. Son histoire, menée tambour

battant, comme un rituel d’initiation, s’étalant sur l’ensemble du récit, est

probablement la plus importante et la plus significative. L’essentiel du

problème réside, comme il a été dit, dans la corruption. La majorité des

hommes politiques ont été assassins, condamnés ou déchus parce que

corrompus. Des disciples du cheikh ont cédé à la tentation: sans doute

que l’éducation seule ne suffisait pas [...]. Il est en effet impossible de

demeurer neutre […]. Il faut choisir, employer la raison et la sagesse, et

vaincre les démons.1

L’episodio che ha per protagonista il capo della polizia è basato sulla “Storia

del pescatore e del jinn” contenuta nelle Mille e una notte. Il capo della polizia

Jamasa, persona corrotta e dedita a peccare, recupera dall’acqua una palla metallica

che imprigiona il jinn Sinjām sin dall’epoca di Salomone. Questo, dotato

d’invisibilità, una volta liberato, scatena in città ogni genere di misfatto, per poi

potere accusare il capo della polizia di inefficienza. Quest’ultimo allora, non avendo

idea del vero colpevole, prende a torturare e arrestare vittime innocenti finchè si

rende conto che il vero colpevole è proprio il jinn Sinjām, allora, per sconfiggere il

male con il bene, uccide il nuovo governatore, Khalīl al-Hamadhānī, anch’egli

corrotto, viene decapitato ma Sinjām lo salva dandogli un nuovo corpo. Scrive

Mahfūz:

Gamasa al-Bulti, il capo della polizia, si diresse al fiume per dedicarsi al

suo passatempo preferito: la pesca […]. Lasciò la mula alle cure del

servitore, poi spinse la barca in mezzo al fiume dove gettò la rete […].

Improvvisamente l’attenzione venne assorbita dalla sua mano. Il peso

della rete lasciava presagire qualcosa di buono. La tirò, colmo di gioia,

1 A. Chraïbi, Les djinns penseurs de Najīb Mahfūz, op. cit., pag. 11.

110

sino a portarla in barca. Ma non conteneva neanche un pesce. Gamasa al-

Bulti rimase esterrefatto. C’era solo una sfera di metallo, nient’altro. La

raccolse adirato, la esaminò e la lancio all’interno della barca. Riecheggiò

un rumore profondo e impressionante. Accadde qualcosa di strano:

un’esplosione. Dalla sfera si levò una sorta di polvere che si diffuse

nell’aria sino ad abbracciare le nubi autunnali. La polvere si dileguò

lasciando una presenza impercettibile che lo accecava e Gamasa venne

preso dall’angoscia. Nonostante fosse abituato ad affrontare situazioni

pericolose, tremava dalla paura. Scosse freneticamente il capo e si rese

conto di trovarsi faccia a faccia con un genio uscito da una bottiglia.1

Si dice nelle Mille e una notte:

Invocato ancora il nome del Signore, gettò la rete in mare e pazientò fino

a che quella si fu fermata bene; poi cercò di ritirarla, ma non vi riuscì

perchè la rete si era impigliata sul fondo. Allora disse:- Non c’è Potenza

se non in Dio! – e si spogliò nuovamente per gettarsi in mare e districarla

con le mani. Quando l’ebbe portata a terra, l’aprì e vi trovò un boccale di

rame giallo, con l’apertura sigillate a piombo su cui era impresso il sigillo

di Salomone […]. Estrasse, quindi, un coltello, e cominciò a smuovere il

piombo fino a che ebbe scoperchiato il boccale, poi capovolse questo a

terra, scuotendolo per mettere fuori il contenuto, ma con sua grande

meraviglia non ne scese niente, e ne uscì invece un denso fumo che

cominciò a salire verso il cielo e spandersi sulla terra. Quando questo

fumo fu tutto fuori, si agitò e divenne un demone gigantesco, con la testa

nelle nuvole e i piedi a terra: una testa simile a una cima di montagna,

mani come tridenti, piedi come alberi di navi, bocca come una caverna,

denti come le pietre, narici grosse come vasi, occhi simili a due fanali,

capelli in disordine, colorito cinereo. Quando il pescatore vide questo

demone, tremò di paura, gli batterono i denti e gli si inaridì la lingua, e

non vide più nulla […]. Ti do una notizia, o pescatore. – Quale? – disse

l’altro. - Che sarai ucciso subito, e farai la peggior morte.2

Il vecchio capo della polizia, Jamasa al-Bult ī, con un corpo nuovo e con il

nome di ‘Abd Allāh, diventa poi facchino e giustiziere. Egli elimina Butaysha

Murjān, il segretario corrotto del nuovo governatore Yūsūf al- , e anche, per

motivi di vendetta personale, un mercante corrotto, Ibrahīm al-Attār, cosa che il jinn

gli rimprovererà. Poi uccide anche il nuovo governatore Yūsuf al-Tāhir, e Adnān

Shuma, il nuovo capo della polizia. Dopo si reca al fiume, dove incontra ‘Abd Allāh

del mare, che buttandolo in acqua gli fa nuovamente cambiare sembianze

1 Notti delle mille e una notte, pag. 37.

2 F. Gabrieli, et al (a cura di), Le Mille e una notte, Einaudi, Torino 1997, Storia del pescatore e del

demone, pag. 25.

111

trasformandolo in ‘Abd Allāh della terra il pescatore. Poi si reca alla polizia per

scagionare i suoi amici Rajab il facchino, Fādil San‘an e sua moglie Akramān

accusati ingiustamente dei suoi crimini ma quando racconta la storia delle sue

metamorfosi viene arrestato perchè creduto folle.

L’unico riferimento alle Mille e una notte in questo capitolo sta nei

personaggi di ‘Abd Allah del mare e ‘Abd Allāh della terra, e anche in un passaggio

in cui il re, accompagnato dal vizir e dal suo portatore di spade, come Hārūn al-

Rashīd nella “Storia del facchino”, passeggiano in incognito in città e si fanno

invitare a una festa; inoltre troviamo due poesie tratte dalla “Storia del dodicesimo

vagabondo”.

2.5.5. Lo Shaykh al-Balkhī

Una figura altamente simbolica e positiva nelle Notti, assimilabile a quella del

Sufi già presente in altri romanzi di Mahfūz, è quella del mistico Shaykh ‘Abd Allāh

al-Balkhī, che rappresenta la tensione verso la spiritualità e l’assoluto dell’uomo e

della società tutta, personaggio chiave del romanzo, al pari di Shahrazād nelle Mille e

una Notte:

Comme Shahrazād pour le conte, ce personnage est sans doute un des

plus remarquables pour le roman. S’il a un projet, une action à

entreprendre, ses motifs ne sont pas subjectifs personnels, mais d’ordre

étique imposés par le devoir et le souci de voir progresser le «Bien».1

Tuttavia, come fa notare El-Enāny, questo voler rimanere sempre al di sopra

degli eventi umani si rivela infine quasi anacronistico e tutt’altro che apprezzato da

Mahfūz, che considera disdicevole fuggire dalle proprie responsabilità sociali per

rifugiarsi in un paradiso mentale fittizio. L’astrarsi dalla realtà da parte dello sceicco

al-Balkhī, sempre al di sopra del bene e del male, rappresenterebbe infatti per lo

scrittore egiziano il fallimento del ruolo della religione nella società contemporanea,

1 A. Chraïbi, Les djinns penseurs de Najīb Mahfūz, op. cit., pag. 4.

112

che abdica al proprio dovere di lottare contro le forze del male per il bene comune,

rifugiandosi egoisticamente in una salvezza solo personale:

Shaykh Balkhī chooses to escape from, rather than achieve

salvation, it remains a personal, haughty salvation with little

significance or value for anyone else. His is an escapist route, a

heightened form of the solipsist example, consistently condemned

by Mahfūz. Nor is he shown to have accomplished total immunity

from the impact of reality, as his daughter is widowed by the

wrongful execution of her husband for a crime he has not

committed. The position of the Sufi or religious escapist in relation

to society is aptly described by Fādil San‘an (the revolutionary type

of the book): Worshippers save themselves, whereas fighters save

the people?1

Come abbiamo già detto in precedenza, lo sceicco al-Balkhī è il personaggio

fondamentale nel salvataggio morale del sultano Shahriyār. Egli rappresenta la figura

del sufi che già in precedenza in altre opere, fa notare El-Enāny, aveva assunto il

ruolo simbolico della lotta contro il male, uno dei temi centrali delle Notti. Egli viene

ritratto come simbolo di saggezza e purezza in una città martoriata dai più efferati

crimini da parte di uomini ricchi e potenti senza scrupoli. Ma la sua assenza di

coinvolgimento sociale viene ritenuta deplorevole dall’autore poichè la salvezza

dello sceicco riguarda soltanto se stesso e diventa un rifugiarsi egoistico in un mondo

mentale che sostituisce la fuga all’azione:

Shaykh Balkhī, as portrayed by Mahfūz, is a paragon of wisdom

and purity of spirit. He is above human wishes and beyond joy and

sorrow [...]. The social context in which this sufi lives is that of a

city whose his deputies and the rich of the city plunder and repress

its impoverished people. But Shaykh Balkhī is untouched by all

this. He creates for himself a paradise of the mind and shelters

there from the evil reality.2

Quest’atteggiamento verrà sanzionato da Mahfūz anche tramite l’esito delle

vicende personali dello sceicco che assisterà inerme all’ingiustizia dell’esecuzione di

1 R. El-Enāny, Naguib Mahfouz. The Pursuit of Meaning, op. cit., pag. 164.

2 Ivi, pag. 163.

113

suo genero per un crimine che non ha commesso. La funzione religiosa del sufi nella

società viene dunque da Mahfūz altamente ridimensionata.

2.5.6. Nūr al-Dīn e Dunyazād

La storia di Nūr al-Dīn e Dunyazād è tratta dalla storia delle Mille e una Notte

della regina Budur e del principe Qamar al-Zamān, figlio del re Shahrimān, che

s’innamorano dopo aver passato una notte nello stesso letto come conseguenza di

una scommessa tra jinn.1

Qui Dunyazād sostituisce Budūr e Mahfūz ricorre all’elemento fantastico e

soprannaturale rappresentato dai due jinn Sakrabūt e Zarmabāha (che nel romanzo di

Mahfūz sono malvagi), per rendere possibile l’unione in matrimonio tra Nūr al-Dīn e

Dunyazād, matrimonio che consumeranno in sogno, superando le barriere sociali che

li separano nella realtà, poiché, dice lo scrittore, essi “abitano nella stessa città, ma

sono separati l’uno dall’altra come il cielo dalla terra”.2 Dunyazād diventa

protagonista e prigioniera allo stesso tempo di uno dei racconti fantastici di

Shahrazād, e quando, da ascoltatrice passiva quale era stata nelle Mille e una Notte,

ella tenta di trasformarsi in narratrice, non verrà creduta dalla sorella Shahrazād, che

le suggerirà di tenere per sé la propria storia per non suscitare le ire del sultano,

tutt’altro che redento, cosa che Mahfūz non manca mai di sottolineare nel corso del

romanzo.

Come già detto in precedenza, il mondo fantastico di Shahrazād non ha

insegnato al sultano a governare secondo giustizia; saranno soltanto le nuove

avventure delle Notti di Mahfūz, vissute nel mondo reale insieme alle reincarnazioni

dei personaggi fantastici delle Mille e una Notte, a far comprendere a Shahriyār il

fallimento del suo governo, fondato sull’abuso del potere e della legge, quasi a voler

negare il potere catartico della parola “femminile”, potere che si rivelerà fallimentare

nel contrastare il predominio maschile della società patriarcale del tempo,

diversamente da com’era avvenuto nella raccolta originale:

1 G. Gabrieli, et al (a cura di), Le Mille e una notte, Einaudi, Torino 1997, vol. II, pp. 3-75. 2 Notti delle mille e una notte, pag. 80.

114

Dunyazād si rese conto che il suo segreto era troppo oneroso per

sopportarlo da sola. Si precipitò negli appartamenti di Shahrazād

non appena Shahriyār si recò al palazzo di giustizia. Quando

Shahrazād la vide, le domandò preoccupata: “Che ti succede sorella

mia?” […] “Raccontami tutto, non sono tranquilla” Si guardò

intorno e iniziò a raccontarle la storia cominciata con un

matrimonio immaginario e conclusasi con sangue autentico.

Shahrazād, incredula e scettica alle sue parole, le disse

incoraggiandola: “Non nascondere nulla a tua sorella”. “Ti giuro

per il Signore dell’universo che dal mio racconto non ho omesso né

aggiunto una sola lettera.” “E’ stato un servitore che vive a

palazzo? “ domandò Shahrazād. “No, no. Mai i miei occhi si erano

posati su di lui.”. “Quale persona dotata di ragione crederà alla tua

storia?” “Questo è quel che mi chiedo anch’io. E’ una storia simile

ai tuoi racconti fantastici.” “I miei racconti sono ispirati da un altro

mondo, Dunyazād.” “Sono stata fatta prigioniera della verità del

tuo mondo misterioso, ma non voglio esserne vittima,” disse

sospirando profondamente. “Prima o poi verrò a sapere la verità,

ma temo che, prima di quel momento, ci colga la disgrazia,”

commentò Shahrazād addolorata. “Questa prospettiva mi uccide di

paura e mi tormenta.” “Se il sultano venisse a conoscenza della tua

storia, si risveglierebbero in lui i dubbi, e con essi la pessima

opinione che aveva sul nostro sesso. Forse mi farebbe giustiziare e

ritornerebbe al suo comportamento di un tempo.” “Che Allah non

consenta che accada alcunché di male a seguito della mia

narrazione,” esclamò Dunyazād. Shahrazād rifletté un attimo poi

disse: “Custodiamo segreta la tua storia. Che non la vengano a

sapere né il sultano né mio padre. Chiederò a mia madre un

consiglio sul da farsi.”1

Il tentativo di Shahrazād e della madre di sfidare la volontà di Shahrayār, che

aveva promesso Dunyazād in sposa al milionario Karam al-Asīl per rimpinguare le

povere casse dello stato, rivelano il timore delle due donne alle prese con il tentativo

di resistere all’autorità patriarcale.2

1 Ivi, pp. 82-83.

2 These domestic scenes capture feminine apprehensions and schemes, and anchor the narrative in the

déjà-vu, while a political point is made about those despots who take themselves for gods. F. Ghazūl,

Nocturnal Poetics, citazione, pag. 144.

115

2.5.7. San‘an al-Jammāli

Mahfūz, utilizza qui l’inizio della Storia del Mercante e del jinn contenuta

nelle Mille e una notte:

Nella prima notte Shahrazād raccontò: - Ho udito narrare, o re felice, che

c’era una volta un mercante, ricco in danaro e affari, il quale montò un

giorno a cavallo ed uscì dirigendosi verso un altro paese. Oppresso dal

caldo lungo il cammino, si sedette sotto un albero, pose mano alla

bisaccia e mangiò pane e datteri che aveva con sé, gettando via i noccioli

dei datteri, quando ecco un demone di alta statura gli si avvicinò con la

spade in mano, dicendogli: - Alzati, affinché io ti uccida come hai ucciso

mio figlio.- Come ho ucciso tuo figlio? – Chiese il mercante. Rispose il

demone:- Quando hai mangiato i datteri e gettato via i noccioli, questi

han colpito al petto mio figlio che ne è rimasto vittima ed è morto

all’istante -. Allora il mercante gli disse:- Sappi che su di me grava un

debito, e che ho molte ricchezze, e figli e moglie, ed ho degli obblighi da

soddisfare; lascia perciò che io mi rechi sa casa per dare a ciascuno ciò

che gli spetta e poi torni da te, perché io m’impegno di ritornare, onde tu

faccia di me quello che vorrai; e chiamo Iddio a testimone di ciò che

affermo.1

Anche qui San‘an urta accidentalmente il jinn Qumqām e questi gli chiede di

riparare al torto subito, non con la sua vita, ma con l’assassinio del governatore ‘Ali

al-Sulūli.

Allungò le braccia per cercare a tastoni il candelabro quando colpì un

corppo solido e, spaventato, esclamò: ”Cos’è questo?”. Si levò uno strano

grido, mai udito prima. Non si trattava di voce umana, né di un verso di

animale. Il rumore pervase i suoi sensi quasi si propagasse per la città

intera. “Ehi cieco, mi hai pestato la testa!” esclamò una voce adirata. Fu

paralizzato dalla paura. Non rimaneva in lui nemmeno una briciola di

coraggio. L’unica cosa che ormai sapeva fare erano gli affari. Ehi,

ignorante, mi hai pestato la testa!” insistè la voce. “Chi sei?” Chiese

tremante. “Sono Qumqām!” “Qumqām?” “Un genio della città.” Fu sul

punto di venir meno dal terrore e gli si formò come un nodo in gola. “Mi

hai fatto male, meriti una punizione”. La sua lingua non fu in grado di

difendersi e Qumqām riprese: “Ipocrita, ieri ti ho udito dire che la morte è

quello che ci meritiamo. Allora perchè adesso te la fai sotto dalla paura?”

“Abbi pieta di me, sono un padre di famiglia,” supplicò. “La mia

punizione colpirà solo te”. “Non ho pensato, nemmeno per un unico

istante, di opporti resistenza.” “Voi creature moleste cercate

disperatamente di sottometterci per realizzare I vostri vili obiettivi. La

1 G. Gabrieli, et al (a cura di), Le Mille e una notte, Einaudi, Torino 1997, vol. I, pag. 13.

116

vostra cupidigia non è paga di sottomettere I più deboli tra voi?” “Ti

giuro che…” “Non mi fido del giuramento di un commerciante,” lo

interruppe Qumqām. “Ti domando misericordia e perdono” [… ] “Non ci

sono misericordia e perdono che non abbiano un prezzo.” “L’uomo

intravide un barlume di speranza e disse con entusiasmo: “Farò quell che

desideri”. “Davvero?” “Con tutta la forza che possiedo,” sospirò. “Uccidi

‘Ali al Salūli,”, disse il genio con straordinaria calma. La felicità si

trasformò repentinamente in delusione, come quando una mercanzia,

giunta da oltremare dopo tante peripezie, rivela, a seguito di una verifica,

di essere ormai inutile.1

Mentre il mercante del racconto delle Mille e una notte accetta subito e con

coraggio la morte che lo aspetta, il mercante di Mahfūz è pauroso e vigliacco, e non

accetta affatto di dover morire per un ridicolo incidente. Implora più volte il jinn di

perdonarlo finché ha salva la vita ma deve uccidere per poter salvarsi; San‘an viene

dunque messo alla prova dal jinn che lo spinge ad esercitare il suo libero arbitrio ma

egli, dopo aver scelto autonomamente di operare il male, addossa la colpa al jinn che

gli risponde:

“E’ una credenza molto diffusa quella che non consente all’uomo onesto

di essere libero, soprattutto agli uomini benintenzionati come te!”.2

Il jinn funge solo da catalizzatore di tutti gli istinti più bassi e violenti di

San‘an che stuprerà e ucciderà una ragazza innocente prima di eliminare il

governatore corrotto. Le sue ricchezze saranno confiscate ed egli sarà giustiziato.

2.5.8. Fadīl al-Jammāli

Altra vittima dell’intervento dei jinn è Fadīl al-Jammāli, figlio di San‘an.

Mah fūz utilizza lo stesso stratagemma del berretto magico presente nelle Mille e

una Notte, ma qui Fadīl non volgerà il suo potere al bene, come asan che salva

moglie e figli dalla prigione; egli, disorientato dal potere magico del berretto che

dona l’invisibilità, perderà l’integrità morale e l’onestà di cui era stato simbolo sino a

1 Notti delle mille e una notte, pp. 17-18.

2 Ivi, pag. 33.

117

quel momento e diventerà l’esecutore di efferati crimini quali furto, stupro e

omicidio.

Mahfūz, in questo caso, utilizza l’elemento fantastico per indagare nei

meandri della psiche umana. Fadīl cadrà preda delle sue passioni più bieche finora

rimosse dal filtro della sua coscienza, e, libero dalle costrizioni impostegli dalla

propria umile classe sociale, si ergerà a giustiziere divino al servizio di un desiderio

nuovo di onnipotenza, e, al di sopra della legge, si sostituirà alla giustizia umana.

Ecco come lo scrittore descrive la reazione di Fadīl la mattina dopo aver

ricevuto in dono dell’invisibilità:

La mattina del giorno seguente Fadīl San‘an s’aggirò per il quartiere

libero, simile all’aria che regna, invisibile, in ogni dove. La nuova magica

esperienza s’impossessò di lui. Provò che cosa significasse essere uno

spirito misterioso e mobile, e la gioia gli fece dimenticare tutto, compreso

il lavoro quotidiano che gli faceva guadagnare il sostentamento. Si

accorse, essendo invisibile, di potersi elevare e dominare, in tutto simile

alle potenze occulte, di tenere le redini del potere e che il campo d’azione

si estendeva infinito innanzi a lui. Erano vacanze uniche, durante le quali

si riposava dal proprio corpo, dagli sguardi della gente e dalle leggi

umane. S’immaginò quel che avrebbe potuto infliggere ai mascalzoni,

ringraziò quindi la buona sorte che lo aveva prescelto tra i suoi sudditi.

Ebbro di gioia si dimenticò persino di se stesso sino a notte inoltrata.1

2.5.9. Ma‘rūf il ciabattino

Fantastica è l’elezione finale a governatore del ciabattino Ma‘rūf, la cui storia

è ripresa pressoché per intero dalle Mille e una Notte.

Anche qui Ma‘rūf diventa re grazie al possesso dell’anello di Salomone. Altro

collegamento con la storia omonima delle Mille e una notte è la figura della sposa

megera, e la presenza di un inganno, quando Ma‘rūf, intontito dall’hashish, finge di

aver trovato il sigillo di Salomone, ma i prodigi che egli compie e grazie ai quali

riesce a mantenere le persone comuni usando il danaro del governatore, sono in

realtà dovuti ai due geni del male Sakhrabūt e Zarmabāha. Alla fine i due geni

minacceranno di svelare a tuti la verità, eccetto che Ma‘rūf non uccida ‘Abd Allāh e

lo sceicco. Ma‘rūf rifiuta, la sua menzogna è scoperta ed egli viene messo a morte,

1 Ivi, pp. 174-175.

118

ma tutti i poveri a lui riconoscenti si ribellano. Il sultano visto il favore del popolo,

salva Ma‘rūf dalla morte e lo nomina nuovo governatore.

Va sottolineata l’ironia di tale elezione politica, dove la correlazione operata

da Mahfūz tra la magia e la soluzione dei problemi politici e della corruzione

imperante nell’Egitto contemporaneo suscita nel lettore un effetto paradossale che

rende tale possibilità irrealizzabile. Secondo El Enāny, la storia di Ma‘rūf e quella di

San‘an rappresenterebbero rispettivamente l’ascesa al potere di Sa‘d Zahlūl, eroe

nazionale egiziano, che sale al potere tramite una rivoluzione popolare nel 1919, e

l’ascesa al potere di Nāsser, che s’insedia con un colpo di stato.1

2.5.10 . Anīs al-Jalīs

Non troviamo alcuna relazione con il racconto delle Mille e una notte

intitolato Storia di Nūr al-Dīn e Anīs al-Jalīs con questo episodio, che ha invece

attinenza con la storia de la Dama e i cinque galanti presente nel ciclo dei Sette

Vizir, in cui la dama è una brava donna e non una donna dai facili costume, che

ricorre all’astuzia per salvaguardare la propria virtù.

Nel romanzo di Mahfūz invece, la dama diventa una donna perfida e

ammaliatrice, la personificazione del jinn Zarmabūha, che conquista gli uomini col

suo fascino e poi li uccide, scatenando inimicizia tra i suoi amanti. E’ così che il

segretario, Humān al-Fiqī, accecato dalla gelosia e dalla rabbia, giunge ad uccidere il

suo governatore Yūsūf al- , dopo aver scoperto la sua relazione con Anīs al-

Galīs, e viene giustiziato. Anche il capo della polizia, vittima del fascino di Anīs,

sperpera tutto il denaro pubblico a favore della donna, e, scoperto, viene decapitato.

Con una scena molto comica, il capitolo si conclude con il nuovo capo della

polizia, il segretario del governatore, il governatore, il vizir, Nūr al-Dīn e il sultano,

tutti chiusi nudi dentro a un baule, e ‘Abd Allāh che viene a salvarli mentre il jinn

Zarmabūha alias Anīs scompare nel fumo evaporando. Ai jinn buoni in questo caso

non sarà possibile intervenire poiché spetta agli uomini difendersi, dice Sahlūl, il

commerciante di mobili, utilizzando la ragione e l’anima.

1 Cfr., R. El-Enāny, Naguib Mahfouz. The Pursuit of Meaning, op. cit., pag. 166.

119

III. Layāli ukhrā di Muh ammad al-Busātī

3.1. La modernità in Layāli ukhrā

Muhammad al-Busātī, autore del romanzo Layāli ukhrā è un esponente della

generazione degli anni ’60, i cui membri hanno condiviso, fra l’altro, un

atteggiamento fortemente critico nei riguardi delle scelte politiche di Anwar al-Sādāt,

orientate verso quell’apertura economica nota come infitāh e culminate nei trattati di

pace con Israele. Nel romanzo di al-Busātī, nazione, narrazione e modernità

s’intrecciano tra loro, mentre il piano pubblico e quello privato s’intersecano

attraverso la figura allegorica di Yasmīn, la protagonista femminile, e attraverso la

trattazione del tema dell’onore.

Il ruolo di primo piano detenuto dal personaggio di Yasmīn costituisce il

primo ingrediente della modernità del romanzo. A ciò si aggiunga che nell’universo

diegetico di Layāli ukhrā è ammessa l’esistenza d’identità di genere alternative quali

il lesbismo, insieme alla possibilità di sfidare le norme e le convenzioni che regolano

i rapporti tra i sessi nella società tradizionale.

Yasmīn segue il percorso, tipicamente moderno, che conduce dalla realtà

rurale a quella urbana rappresentata dal Cairo: qui, la protagonista prima consegue la

laurea in sociologia, poi s’impiega al Centro di Arti Popolari di Piazza ‘Urabi.

Nā ir Kāmil, in un contributo dedicato a Layāli ukhrā, non ha mancato di far

notare la peculiarità e originalità del destino di Yasmīn, specie se messo in relazione

con quello dei fratelli che, viceversa, si allontanano solo di rado dal villaggio natale,

dove rimangono a gestire il commercio paterno.1

La mobilità è uno degli attributi moderni della figura di Yasmīn. Tale

mobilità non si esaurisce nel trasferimento dalla campagna alla città, né s’identifica

in quel pendolarismo che caratterizza le esistenze di molti giovani protagonisti del

1 Cfr., N. Kāmil, Muh ammad al-Busāt ī yas’alu: “Kayfa yumkinu al natahammal?”, in «Adab wa-

naqd», 184, dicembre 2000, pp. 97-108.

120

romanzo egiziano moderno. Yasmīn non fa mai ritorno dalla sua famiglia; il suo

movimento nello spazio egiziano è motivato da ben altri intenti. Lei e i suoi colleghi

del Centro di Arti Popolari, si legge nel romanzo:

[…] avevano setacciato ogni angolo del paese, a est, ovest e sud, per

raccogliere più materiale possibile del patrimonio folclorico che

abbondava nelle cittadine lontane e tra le tribù beduine del deserto.1

Yasmīn è una sociologa che si sposta da una località all’altra per inseguire un

mondo che stava svanendo, nel tentativo di afferrarlo. Il suo principale interesse è

quello di raccogliere oggetti di una società rurale sempre più marginale ed

evanescente, che vengono accuratamente sistemati nei locali del Centro di Arti

Popolari.

In questi moti vorticosi, il personaggio di ‘Abd al-‘Azīz, l’intellettuale amico

di Yasmīn, intravede quella che egli definisce la «marea rivoluzionaria», animata

dalla volontà quasi ossessiva «di scoprire le proprie radici e di accertarne le origini».2

La modernità ha travolto la campagna egiziana in maniera irreversibile. La

protagonista, si legge nel testo:

Era inorridita di vedere costruzioni in cemento armato invadere le case di

fango e i beduini rinunciare ai loro vestiti fatti a mano, preferendo quelli

che venivano importati attraverso i confini.3

La fine di un’era, quella in cui la realtà contadina poteva essere considerata

depositaria di un’autenticità’ egiziana, è simbolicamente rappresentata, proprio

all’esordio del romanzo, dalla scena del funerale del padre di Yasmīn. Il passato, ora,

non può essere afferrato se non imbalsamandolo in un museo e immortalandolo nelle

fotografie. È significativo, a questo proposito, lo sguardo di ammirazione che

Yasmīn rivolge a una beduina di Siwa, convinta dalla studiosa a lasciarsi fotografare

scoprendosi il volto:

1 Muhammad al-Busātī, Altre notti, trad. it. e postfazione di Patrizia Zanelli, Jouvence, Roma 2003,

pag. 39. 2 Ivi, pag. 40.

3 Ibidem.

121

Alla fine, allontanò completamente il mantello dal viso e dal petto della

galabīa. Lei fu abbagliata dalla bellezza dei suoi occhi, cedendo per un

attimo alla loro magia.1

Lo spazio rurale, insieme ai suoi abitanti, viene, per così dire, “esotizzato”

dagli stessi egiziani, che ne fanno oggetto di contemplazione in un presente

caratterizzato da profondi mutamenti.

Né meno mutato appare il contesto urbano del Cairo, ambientazione che rappresenta

una novità per la narrativa di al-Busātī, fino ad allora incentrata sull’esistenza delle

classi sociali più emarginate del paese.

Secondo al-Busātī, gli anni ’70 hanno rappresentato, per l’Egitto, la peggiore

decade del ventesimo secolo. Al-Busātī, in particolare, ascrive al governo di Sādāt

l’inizio del «declino culturale e morale dell’Egitto».2 La denuncia dell’autore, come

emerge dall’intervista rilasciata a Patrizia Zanelli nel 2002, è rivolta, in particolare,

alla politica dell’infitāh e alle ripercussioni che essa ha avuto anzitutto sull’assetto

morale della società:

La politica di apertura economica da lui avviata, l’infitāh, ha favorito solo

una piccola porzione della popolazione e da quel momento il costo della

vita è aumentato tantissimo. Si è così diffusa la corruzione, la mentalità

del bakshīsh, […] sicché gli Egiziani hanno perso completamente il senso

della dignità.3

Nel suddetto declino morale rientra l’introduzione di nuove pratiche sessuali

importate da un’Europa meno tradizionalista per quel che riguarda le norme che

regolano i rapporti omo ed eterosessuali. È proprio ‘Abd al-‘Azīm, il marito italo-

egiziano di Yasmīn, a far notare alla protagonista che in Europa «ragazzi e ragazze

hanno rapporti da quando hanno sedici anni».4

Lo stesso matrimonio tra Yasmīn e ‘Abd al-‘Azīm segna un momento di forte

rottura rispetto alle norme della tradizione: non soltanto l’unione ha una durata

prestabilita – i due anni che il giovane trascorre al Cairo per prepararsi a lavorare

1 Ivi, pag. 38.

2 Ivi, postfazione di Patrizia Zanelli, pag.153.

3 Ibidem.

4 Ivi, pag. 64.

122

nell’industria d’abbigliamento del padre – ma è sancita da un atto che vede esclusi i

fratelli di Yasmīn. Questi ultimi, un giorno si presentano al Cairo per convincere la

protagonista a rifare il matrimonio, dopo che, dicono, «si è parlato tanto di te in

paese».1

Terminati i due anni di vita matrimoniale, inoltre, Yasmīn è una donna che si

lascia conquistare e possedere da uomini che conosce appena, incontrati nei locali e

nelle strade del Cairo.

Un altro aspetto di grande modernità che affiora dalle scene cairote del

romanzo ha a che fare con la caratterizzazione della protagonista, divenuta, dopo il

divorzio, apatica e, a tratti, depressa. La passione frenetica del personaggio per il

passato rurale egiziano contrasta nettamente con l’alienazione che lo

contraddistingue nel contesto urbano, sia all’interno che all’esterno della sua

abitazione privata. I tratti di unicità e irripetibilità associati alla narrazione del

funerale del padre, con cui ha inizio il romanzo, vengono meno nelle successive

descrizioni di una Yasmīn ormai adulta, sulla trentina, che vive da sola nel proprio

appartamento e che, dalla finestra del salotto, osserva, al mattino, lo svolgersi di

un’esistenza sempre uguale a se stessa: l’anziana coppia alla fermata del tram, il

giornalaio, il cameriere del vicino caffè, la stessa protagonista non fanno che

reiterare le proprie azioni, in una routine fatta di gesti ripetitivi e stranianti. La

sensazione di straniamento affiora nettamente dalla descrizione di alcune scene che si

svolgono per le vie cittadine:

Le gambe conoscevano la strada da sole. Camminava incurvandosi

leggermente per evitare di urtare la scia dei passanti. […] Le sembrava di

essere posseduta dai fantasmi. Voci strane, ombre scure, spettri senza

volto. Ogni tanto spuntavano e sparivano facce non estranee, ma non

ricordava dove le avesse incontrate.2

La frantumazione della coscienza e dell’identità è tipica del moderno soggetto

urbanizzato. Alienazione e isolamento, in particolare, come puntualizzano Berger e

Kellner in The Homeless Mind, sono il portato dell’ideologia capitalista, introdotta

nel mondo arabo, a cominciare dall’Egitto, sin dall’era nasseriana per allineare

1 Ivi, pag. 28.

2 Ivi, pag. 14.

123

l’economia locale ai sistemi in vigore a livello mondiale.1 In Arab Modernities, Jāfar

Aksikas denuncia il fatto che quello che veniva presentato sotto la maschera del

cosiddetto “socialismo arabo” era assimilabile, in realtà, a una forma di capitalismo

di stato, nella quale si intravedeva una via verso la modernizzazione della società

araba.2

Il binomio modernizzazione-occidentalizzazione è risultato centrale

particolarmente nella politica di Sādāt. In Layāli ukhrā, il marito italo-egiziano di

Yasmīn è uno dei personaggi di cui l’autore si serve per rappresentare proprio

l’infitāh perseguita dal presidente; anche ‘Azmi, che la protagonista incontra in un

ristorante, si presenta come «un uomo d’affari, ossia uno di quelli dell’infitāh»3: da

semplice commerciante di ferro vecchio, egli è divenuto proprietario di un salone

automobilistico dopo che l’Egitto ha aperto la strada alle importazioni dall’estero.

3.2. Genere e nazione: Egitto come donna

Sono diversi gli studi, scritti soprattutto da donne, che evidenziano la natura

gendered della nazione e mettono in luce quella retorica che permette di

rappresentare la nazione in quanto donna. Layāli ukhrā non è estraneo a questo tipo

di retorica, proponendo immagini che rivendicano il legame fra la terra e il

nutrimento materno: tra le fotografie affisse alle pareti del Centro di Arti Popolari, ad

esempio, ve n’è una che raffigura «una palma piccola e una grande riprese al

tramonto, con i grappoli di datteri che pendevano come grosse mammelle».4

Layāli ukhrā si delinea come tentativo di narrare la storia dell’Egitto

postcoloniale, specie quella compresa tra gli anni ’50 e ’70, filtrata dal punto di vista

di Yasmīn. La soggettività femminile diventa, dunque, il centro catalizzatore di un

discorso sulla nazione egiziana. Come scrive Nāsir Kāmil:

1 Cfr., P. L. Berger et al, The Homeless Mind. Modernization and Consciousness, Random House,

New York 1973. 2 Cfr., J. Aksikas, Arab Modernities. Islamism, Nationalism, and Liberalism in the Post-Colonial Arab

World, Peter Lang, New York 2009. 3 Altre notti, op. cit., pag. 93.

4 Ivi, pag. 35.

124

la personalità di Yasmīn oltrepassa i confini della propria esistenza

individuale, e può essere interpretata come metafora di un’epoca e di un

clima socio-politico caratteristico degli anni ’70.1

Sulla protagonista del romanzo converge, per citare Beth Baron, il tema

dell’Egitto come donna.2 Yasmīn ha origini rurali – proviene, cioè, da quello spazio

considerato più autenticamente egiziano – ed è, come la Zaynāb di Haykal, emblema

della bellezza femminile locale. Le sue azioni – ripetitive, insignificanti, nonché

moralmente discutibili in quanto anticonformiste – traducono, a livello di narrazione,

la fine degli ideali di nazionalismo e panarabismo che avevano accompagnato

l’ascesa al potere degli Ufficiali Liberi nel ’52, e rivelano, anche attraverso la

rappresentazione del corpo, il decadimento morale attribuito da al-Busāt ī alla

politica di Sādāt.

Il corpo della protagonista è il simbolo, anzitutto, di un’esistenza che si

svolge quasi suo malgrado, a prescindere da atti di volontà degni di nota, come

emerge sin dalla prima descrizione di Yasmīn adulta, «afflosciata sopra il letto […] e

con le braccia a ciondoloni».3 Questo atteggiamento di apatia e trascuratezza

caratterizza Yasmīn soprattutto nel contesto delle relazioni che intrattiene con i suoi

uomini, nei confronti dei quali si mostra debole e indifferente. La relazione con ‘Abd

al-‘Azīz si protrae per due mesi, nonostante la protagonista non provi per lui alcuna

attrazione:

“Non mi sembri molto entusiasta del fatto che io venga da te.” Gli disse

che non ne era mai stata entusiasta. “E l’accettavi?” […] Lei alzò le

spalle e guardò dall’altra parte della strada.4

Ad ‘Azmi, non a caso portavoce dell’infitāh, Yasmīn offre il proprio corpo

passivo e inerte, oggetto di un possesso vorace e a tratti violento:

1 N. Kāmil, Muhammad al-Busati yas’alu: “Kayfa yumkinu al natahammal?”, op. cit., pag. 101.

2 Cfr., B. Baron, Egypt as a Woman. Nationalism, Gender, and Politics, University of California

Press, Berkeley-Los Angeles-London 2007. 3 Altre notti, pag. 10.

4 Ivi, pag. 24.

125

Lui […] la prese tra le braccia. Lo spinse via spaventata, ma lui la attirò a

sé con forza; la sua bocca avida le correva sul viso tentando di

raggiungere le labbra […]. Lei provava rabbia e disgusto, lo respingeva e

cercava di fermarlo. La scaraventò sopra il letto, la paralizzò sotto il

proprio peso […] e alla fine la penetrò come se la stesse violentando.1

Nel romanzo, la sessualità è il campo principale in cui dimensione pubblica e

privata convivono innestandosi l’una sull’altra. Il matrimonio con ‘Abd al-‘Azīm, il

figlio del capitalista italo-egiziano, dà inizio alle ripetute violazioni del corpo della

protagonista. Se il possesso del corpo femminile è stato spesso interpretato come

metafora di prevaricazione e dominio coloniale, nel romanzo di al-Busatī esso

rimanda piuttosto a quell’apertura economica denunciata dall’autore, che fa

dell’Egitto il bersaglio dell’avidità dei capitalismi stranieri. Yasmīn, alla quale un

altro uomo, Ibrahīm, offre del denaro al termine del rapporto, diviene il simbolo di

un Egitto-prostituta, sfruttato dallo straniero con l’appoggio dello stesso governo,

ormai apertamente alleato dell’Occidente.

La rappresentazione della sessualità, inoltre, accentra su di sé il tema

dell’onore, che permette di accostare Layāli ukhrā a un precedente romanzo di al-

Busātī,, Buyūt wara’a ’l-ashjiār, del 1993, il cui intreccio ruota attorno ai tenui e

vani tentativi compiuti dal marito di Sa‘adiyya per vendicare il tradimento subito.2 In

Layāli ukhrā, non si tratta propriamente di tradimenti, ma di relazioni che si

consumano al di fuori del vincolo coniugale. È interessante notare come gli uomini

di Yasmīn vengano uccisi, uno dopo l’altro, dopo aver lasciato l’appartamento della

donna, e come i primi sospettati di tali omicidi siano proprio i due fratelli della

protagonista, garanti, in assenza del padre, dell’onore familiare.

Quello dell’onore è, come ha messo in luce Beth Baron nel suo libro Egypt as

a Woman, un tema particolarmente caro ai nazionalisti, preoccupati di difendere la

nazione, in questo caso l’Egitto, dall’occupazione straniera.3

In Layāli ukhrā, l’onore familiare assurge, appunto, a metafora dell’onore

dell’intera comunità nazionale egiziana, secondo quell’immaginario nazionalista che

scorge nella nazione la proiezione della comunità familiare privata, di cui viene

reiterata l’impostazione patriarcale. Quando l’uomo non è più in grado di esercitare il

1 Ivi, pp. 97-98.

2 Cfr., M. al-Busātī, Case dietro gli alberi, trad. it. di Bianca Longhi, Frassinelli, 2004.

3 Cfr., B. Baron, Egypt as a Woman. Nationalism, Gender, and Politics, op. cit.

126

proprio controllo sulla sessualità femminile, a vacillare non è solo l’ordine

patriarcale, ma l’assetto della nazione, la quale perde integrità e dignità.

3.3. Nazione e narrazione: il problema della rappresentabilità

Layāli ukhrā fa proprio quell’atteggiamento critico che, come ha affermato

Lorenzo Casini, è stato riscontrato nei racconti brevi pubblicati su «Galleria 68» nei

confronti delle “grandi narrative” espresse dalle forme dominanti di socialismo e

nazionalismo panarabo.1 Nel mondo arabo post-nahd a, il concetto stesso di

nazione ha attraversato una crisi avvertita particolarmente dagli intellettuali, i primi a

risentire del fallimento del progetto nasseriano, della politica di censura attuata da

‘Abd al-Nāsser e, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, delle repressioni attuate

da Sādāt.

Gennaro Gervasio ha definito Layāli ukhrā il romanzo che offre la migliore

descrizione dello stato di frustrazione e impotenza dell’intelligentsia laica e radicale egiziana

di fronte alla repressione governativa, all’immobilità popolare e alla reislamizzazione della

società, dall’alto e dal basso.2

In Egitto, a partire dagli anni ’20 del Novecento, l’inclusione di un romanzo

all’interno di un canone letterario era fortemente vincolata dall’adesione del testo alle

norme propugnate dalle élite nazionaliste compiacenti con il potere. Viceversa,

Layāli ukhrā dà voce a esponenti della classe intellettuale egiziana che non solo sono

in rotta con il governo – non sono pochi i personaggi del romanzo che subiscono

l’arresto –, ma che giungono a mettere in discussione la validità e l’essenza stessa

della rivoluzione del ’52.

Proprio alla figura di un intellettuale, ‘Abd al-‘Azīz, che ha trascorso tre anni

in prigione, sono affidate nel testo la narrazione dell’Egitto dagli anni ’50 in poi e la

decostruzione dell’ideologia nazionalista e rivoluzionaria.

1 Cfr., L. Casini, (a cura di), Fuori degli argini. Racconti del ’68 egiziano, Edizioni Lavoro, Roma

2003. 2 Cfr., G. Gervasio Da Nasser a Sadat. Il dissenso laico in Egitto, Jouvence, Roma 2007.

127

Nei suoi dialoghi con Yasmīn, egli riflette sulla ridenominazione dei luoghi

storici della città:

Piazza Ismailiyya […] dopo la Rivoluzione è diventata Piazza Tahrīr

[…]. Piazza Regina Farida adesso è Piazza dell’Architrave Verde […].

Tanti dei vecchi nomi sono cambiati: Via “26 luglio” invece di “Fu’ād” e

il Signor Talāt Harb ha preso il posto di Sulaymān Pasha il Francese. […]

Non importa, se quando arriva un nuovo governo, fa cambiamenti del

genere, mentre potrebbe considerare queste cose parte del patrimonio

storico, come fai tu con la tua arte popolare. […] È stupido, ma

accettabile.1

L’attenzione di ‘Abd al-‘Azīz è rivolta principalmente all’architettura del

centro storico che, ridisegnata anch’essa dalla rivoluzione, diventa il correlativo

visivo della degenerazione subita dal paese in piena fase postcoloniale; l’armonia e la

bellezza degli edifici coloniali, con «stanze spaziose, soffitti alti, grandi finestre,

luce, sole»,2 sono in netto contrasto con l’anarchia che ha caratterizzato l’edilizia

successiva, «edifici che sono venuti su all’improvviso con la rivoluzione, pigiati tra i

palazzi vecchi, di cui hanno rovinato il ritmo estetico».3

La critica delle trasformazioni architettoniche non è estranea alla visione che

‘Abd al-‘Azīz ha della società egiziana. Indicando alla protagonista uno degli edifici

del centro, egli lo assume come simbolo di una certa essenza egiziana, che resiste al

movimento e al cambiamento:

Guarda questo qui: è statico come lo siamo noi. Il mondo egiziano non è

un mondo rivoluzionario. Avevamo un colonialismo stabilizzato e un

governo monarchico ereditato di generazione in generazione.4

Benché le ultime battute di ‘Abd al-‘Azīz possano essere intese come

espressione di nostalgia verso il passato pre-nasseriano, esse rivelano piuttosto un

preciso intento dell’autore che va nella direzione di un revisionismo storico, una

forma di resistenza verso la cultura dominante.

1 Altre notti, pag. 16.

2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 17.

4 Ibidem.

128

L’utopia rivoluzionaria come ideale condiviso ha ceduto il posto a una

frammentazione di visioni e punti di vista che pone fine alla possibilità di rivendicare

l’esistenza di verità universali e assolute. ‘Abd al’Azīz, che fa parte di quella sinistra

egiziana un tempo «entusiasta della rivoluzione»1 è ora costretto ad ammettere che

«la rivoluzione non attaccò nessuno come fece con noi»2. Qui, l’accento posto sulla

discontinuità storica fa vacillare quel postulato che vede nella modernità, e nel

nazionalismo, un movimento costante e uniforme verso il progresso e il

riconoscimento di tutti i soggetti che compongono la comunità nazionale. In questo

contesto, viene meno, probabilmente, la fiducia nella possibilità di narrare la nazione.

In Layāli ukhrā, la narrazione segue l’andamento del flusso dei ricordi della

protagonista, ed è costruita sul continuo alternarsi di passato e presente, di

descrizioni rurali e urbane, come se, dalla prospettiva limitata di Yasmīn, l’autore

aspirasse ad afferrare in un colpo solo l’intera nazione, in sincronia e in diacronia,

almeno nella misura in cui ciò è reso possibile dall’età anagrafica del personaggio.

Tuttavia, il tentativo non può che risultare parziale per diversi fattori, primo

fra tutti la tecnica della focalizzazione interna. In assenza di un narratore onnisciente,

il lettore è in grado di conoscere solo ciò che vive, percepisce e ricorda la

protagonista. Ed è qui che entra in gioco il problema della memoria, per sua natura

imperfetta e fallibile, specie quando riguarda fatti ed episodi del passato:

Lei aveva viaggiato molto, toccando ogni angolo del paese, e si sentiva

oberata da tutte le immagini che aveva visto. A volte si confondeva,

quando le rivenivano in mente le cose.3

Gli stessi piani spazio-temporali risultano sovrapposti, per cui la protagonista

non è sempre certa dell’ambientazione di determinate scene ch’ella stessa ha

personalmente vissuto:

C’era un paio di palme piegate […]. Era primo pomeriggio. […] C’era

una donna. […] Portava una galabīa nera e reggeva un paniere di foglie di

palma. Pensava che quello fosse successo a Siwa, ma sentiva un’ansia

1 Ivi, pag. 20.

2 Ibidem.

3 Ivi, pag. 15.

129

inspiegabile. Proprio quando quell’immagine stava per svanirle dalla

mente, si accorse d’un tratto di come era vestita la donna. […] Si disse

che doveva essere di al-Arīsh […]. Le due palme erano a Siwa e la donna

a al-Arīsh. Com’era possibile?1

L’assenza di una voce esterna può essere ritenuta significativa, ai fini di un

discorso sulla rappresentabilità della nazione, anche se si considera quanto affermato

da Benedict Anderson a proposito dello stretto legame che sussiste tra nazione e

romanzo nella sua forma classica. L’adozione di un unico punto di vista, infatti,

rende impossibile quel ricorrere dell’espressione “nel frattempo”, sul quale si fonda,

come ha osservato Anderson, la capacità del romanzo di rappresentare il simultaneo

scorrere degli eventi narrati e, quindi, di riprodurre artisticamente la comunità

nazionale immaginata, la quale sussiste proprio grazie alla consapevolezza della

costante, anonima, simultanea attività di tutti i suoi membri.2

1 Ibidem.

2 Cfr., B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e diffusione dei nazionalismi, trad. it. di Marco

Vignale, Manifestolibri, Roma 1996.

130

CONCLUSIONI

La prima parte del lavoro di tesi ha tentato di fornire nuove argomentazioni

per mettere in luce le ragioni ben precise che hanno causato l’esclusione della nota

raccolta delle Mille una notte dal novero delle opere appartenenti alla letteratura

araba classica cosiddetta colta, partendo dall’analisi dello statuto dell’opera, e

attraverso una riflessione sui temi, i personaggi, i luoghi, ma soprattutto sul

particolare registro linguistico delle Notti, diverso sia dall’arabo dialettale delle

pratiche regionali, sia della lingua classica parlata dai grammatici e dai “Savants”, un

registro linguistico detto “medio”, in cui il dialetto si mescola a costrutti

grammaticali della lingua colta.

Le Notti vennero dunque emarginate perché appartenenti a una dimensione

di pura oralità?

E quali i motivi di tale esclusione, se era la scrittura e non l’oralità, in epoca

classica, a essere sinonimo di poca affidabilità per i problemi creati dall’alfabeto

arabo nel riportare la parola orale?

E per quale ragione se, come fa notare Chraïbi, uno stesso racconto

appartenente alla nota raccolta poteva trovarsi anche in un’esegesi coranica o presso i

racconti di un geografo, entrambi testi autoriali e autorevoli di grande prestigio? E

ancora, i racconti delle Notti appartengono davvero solo al campo dell’oralità?

Il contributo della Ghersetti ci ha aiutato a fare chiarezza in merito. Le Notti

sono una perfetta ed efficace rappresentazione dello statuto della parola orale nella

cultura arabo-classica islamica e del suo rapporto conflittuale con la parola scritta. La

parola orale, legata alle origini stesse della religione islamica, il cui Libro Sacro si

basa interamente sulla rivelazione orale delle Sure al profetta Muhammad da parte

dell’arcangelo Gabriele, era ritenuta senza dubbio più prestigiosa della parola scritta.

Ma, d’altra parte, l’antico e complesso intreccio tra parola scritta e parola parlata è

dimostrato dal fatto che molti racconti orali in circolazione provenivano da fonti

scritte. La parola media, i verba dicendi e altre caratteristiche tipiche dell’oralità

erano convenzioni utilizzate anche dai testi scritti, dalla cui sapiente conoscenza

Shahrazād dice di aver attinto per i suoi racconti: un continuo scambio osmotico

dunque tra oralità e scrittura, tra letteratura colta e letteratura cosiddetta “media”,

caratterizzata dall’anonimato. Questa commistione viene messa in luce anche

131

dall’utilizzo della fasaha o lingua colta, da parte di alcuni personaggi delle Notti, in

circostanze particolari, per avere salva la vita.

Tramite altri studi presi in esame, si è tentata una spiegazione sociologica

per comprendere l’ingiustizia di tal esclusione, partendo dal concetto di canone

all’interno della letteratura araba, concetto assai difficile da definire. Diversi testi

arabi, infatti, nell’arco dei secoli, sono stati definiti “classici”, anche se non vi è

alcun termine equivalente nella lingua araba. Il termine “classico”, di matrice

europea, attirava l’attenzione del lettore nel mondo arabo, verso un determinato testo

inserito all’interno di una certa “classe” di testi, adottato da una certa “classe” di

letterati e destinato a essere insegnato in “classe”. L’autore di un tale testo doveva

essere ben noto, e lo stile del “classico” nobile e imponente, tale da rendere l’opera

classica oscura e ostica al lettore. I letterati, responsabili della trasmissione del

sapere, sentendosi minacciati nel loro ruolo di maestri e interpreti della cultura di

adab, da un testo dal linguaggio estremamente semplice e di facile comprensione per

il pubblico come quello delle Mille una notte, avrebbero volontariamente messo in

cattiva luce la raccolta. Inoltre, i racconti sovvertivano l’ordine sociale gerarchico sul

quale si basava la società medioevale, conferendo uguale rilevanza a tutte le classi

sociali e provocando il sospetto delle autorità politiche e intellettuali del tempo, e

pertanto sarebbero state escluse dall’ambito dell’insegnamento.

Altri studi invece ci hanno aiutato a fare emergere la funzione ironica delle

Notti, concepite come un’anti-sīra e quella dei personaggi come anti-eroi. Esse,

infatti, prive dello stile argomentativo didattico a scopo edificante, erano in contrasto

con gli insegnamenti dell’adab e con i valori della tradizione antica, i cui testi,

mischiando spesso serio e faceto, si proponevano sempre di istruire divertendo.

Le Mille e una notte, invece, caratterizzate da una assoluta libertà di temi e di

modalità espressive, avevano uno scopo esclusivamente ludico. I racconti delle Notti,

infatti, abbandonando nel tempo il loro aspetto didattico a favore dell’aspetto

immaginifico, straordinario e ricreativo in genere, sarebbero scivolate sempre più al

di fuori della letteratura tout court.

L’opera, dunque, potrebbe essere stata esclusa dal novero dei testi classici

anche perché considerata potenzialmente sovversiva per un sistema di valori ben

consolidato, essendo certamente un testo della cui potenza i letterati classici erano

ben consapevoli già molto tempo prima della sua migrazione in occidente nel

diciottesimo secolo.

132

Queste considerazioni hanno condotto a focalizzare l’attenzione sulla

ricezione delle Mille e una notte in occidente e, conseguentemente, sul fenomeno

dell’Orientalismo a essa collegato, per cui, con l’ausilio di alcuni studi

sull’argomento , abbiamo tentato di dimostrare quanto sia errato e fuorviante, ancora

oggi, guardare al fenomeno dell’Orientalismo come a un fenomeno di matrice

esclusivamente occidentale.

La dicotomia tra Occidente e Oriente, infatti, rappresentata dall’Orientalismo

di matrice Occidentale, dove l’Occidente è sempre stato visto come elemento

dominatore/colonizzatore per eccellenza, e l’Oriente come soggetto colonizzato

debole e passivo, parrebbe confutata dall’esistenza di un Orientalismo di matrice

orientale, preesistente alla scoperta delle Notti, detto Orientalismo dell’età dell’Oro,

periodo in cui i letterati conoscevano la realtà del Vicino Oriente per esperienza

diretta e non attraverso le immagini stereotipate diffuse dai testi esotici in

circolazione, come avvenne in Occidente, per mezzo di svariate versioni delle Notti

che seguirono la prima traduzione del testo ad opera di Galland.

L’enorme successo e la diffusione della raccolta anche in Estremo Oriente,

confuta ciò che alcuni critici hanno sempre sostenuto, e cioè che l’Orientalismo fosse

semplicemente un fenomeno creato dall’Occidente per giustificare il colonialismo. Il

successo delle Notti in Giappone sarebbe dipeso esclusivamente dalla particolare

fascinazione esercitata sul lettore dall’elemento fantastico e meraviglioso insito nei

racconti, essendo il Giappone, un paese scevro da mire imperialiste/colonialiste, così

come dai problemi di repressione sessuale presenti nei paesi occidentali e

nell’Inghilterra vittoriana in particolare.

E’ evidente dunque come le Mille e una notte, siano state le protagoniste

assolute di un continuo viaggio di andata e ritorno tra Oriente e Occidente da più di

tre secoli fino a oggi, e abbiano rappresentato il primo fenomeno di globalizzazione

letteraria, divenendo parte dell’immaginario collettivo mondiale e testo capace di

liberare l’immaginazione di molti scrittori. Non a caso, proprio la ripresa delle Mille

e una notte da parte degli scrittori arabi moderni fu il punto di partenza per la nascita

di un romanzo arabo nuovo, slegato dai modelli occidentali, scelta che mirava a

fornire una declinazione diversa di Orientalismo.

L’impossibilità di relegare la raccolta originaria a un singolo genere narrativo,

insieme alla versatilità di temi e personaggi, ne determinerà il suo riutilizzo in epoca

moderna. Il passaggio del testo dal transnazionale al nazionale, da un campo di

133

produzione a un altro, e cioè da letteratura media a letteratura colta, insieme al nuovo

valore identitario attribuito al testo da poeti, commediografi, e romanzieri arabi

moderni, ne caratterizzerà il successo e la sua ripresa e rivisitazione in chiave

politica, per mezzo della strategia narrativa dell’intertestualità, operata a vari livelli,

caratteristica di tanta letteratura di adab già in epoca classica. La riscrittura del testo

in chiave politica, permetterà alla raccolta medioevale di liberarsi da

quell’immobilismo che per secoli la aveva identificata con un’immagine stereotipata

e falsa del mondo arabo, sia in Oriente sia in Occidente.

Il rinnovo della tradizione parte dunque, in epoca moderna, dall’imitazione di

testi tratti dal patrimonio arabo classico, che verranno reinterpretati e investiti di un

ruolo fondamentale, quello di diffondere i principi fondanti delle nazioni stato del

periodo post coloniale, portatrici di nuovi valori, democrazia, giustizia sociale,

denuncia politica e culturale, e contenitori strategici dentro ai quali nascondere

istanze di rinnovamento portate avanti tramite l’abbattimento della censura di stato.

Ma in cosa consistette dunque la nahda o rinnovamento, della letteratura

araba moderna rispetto ai modelli importati dall’Europa, se anche gli autori moderni

in occidente ripresero temi e opere letterarie dal loro passato? La differenza starebbe

nel fine, essendo la metanarrativa occidentale concentra sull’aspetto ludico mentre

quella orientale incentrata su aspetti esclusivamente politici e sociali.

Scaturisce proprio dalla valenza universale delle Mille e una notte la scelta di

Najīb Mahfūz di avvalersi di temi e personaggi della raccolta medioevale come

punto di partenza per il suo romanzo Notti delle Mille e una notte, testo da noi preso

in esame nella seconda parte del lavoro. Lo scrittore egiziano inaugura un nuovo

filone che altri seguiranno dopo di lui, dissimulando magistralmente dietro agli

elementi fantastici, magici e meravigliosi della raccolta originaria una spietata critica

dei guasti della corruzione del potere assoluto e l’immobilismo di una società

patriarcale quale era quella egiziana del suo tempo.

Per Mahfūz, infatti, la riscrittura di alcuni dei racconti più noti delle Mille e

una notte diventano terreno di trasformazione e punto di partenza per una

rivisitazione della storia araba, per una rinnovata coscienza storica, dove le storie dei

nuovi personaggi diventano un semplice pretesto per la sistematica sovrapposizione

di un’immagine nuova di nazione e i vecchi personaggi terreno fertile per una

allegoria nazionale, simbolo della ricerca del vero significato dell’esistenza

dell’uomo moderno. Anche il riutilizzo della magia delle Mille e una notte diventa

134

strumentale quale elemento catalizzatore attraverso cui Mahfūz descrive la facile

corruttibilità dell’uomo, assetato di successo e di potere, e l’intervento dei jinn nella

vita dei personaggi non sarà più casuale come avveniva nei racconti originari, ma

facilitatore di un fato avverso e ineludibile per ogni essere umano. Mah fūz ,

s’interrogherà a lungo e in modo assolutamente nuovo anche sul ruolo

dell’intertestualità nella ricostruzione del passato e della tradizione.

La terza e ultima parte del lavoro è dedicata all’analisi del romanzo di un

altro autore egiziano, Altre Notti di al-Busātī. Venti anni dopo Mahfūz, un altro

autore egiziano denuncerà i guasti di una modernità così a lungo auspicata dalla

società egiziana postcoloniale, modernità che viene sentita dall’autore come imposta

dall’occidente, e pertanto innaturale e dagli effetti devastanti. La protagonista

Yasmīn, sembra rappresentare l’alter ego maschile del sultano delle Mille e una

notte. Essa, infatti, come il moderno Shahriyār di Mahfūz, pagherà la propria

emancipazione con l’alienazione e l’isolamento, e con il suo fallimento come donna,

nel contesto delle relazioni intrattenute con uomini appena conosciuti, per i quali ella

diventerà solo un oggetto inerme e passivo.

La struttura narrativa del romanzo di al-Busātī sembra voler recuperare un

patrimonio letterario antico, e il romanzo sembra consistere in un insieme di racconti

che, uno dopo l’altro, come un puzzle, definiscono la protagonista, sospesa tra sogno

e realtà, tra un passato di racconti fantastici e un presente noioso e tetro. La

Shahrazād delle Mille e una notte, artefice della propria salvezza, attiva, abile, astuta,

capace di redimere il sultano con il suo amore, si trasforma qui in una donna

moderna, Yasmīn, in cui il libero e moderno esercizio della propria sessualità si muta

in un misterioso potere sanguinario, capace di provocare la morte di tutti gli uomini

con i quali ella verrà a contatto. Yasmīn, appropriandosi dello stesso potere assassino

del sultano che la Shahrazād dei racconti medioevali si proponeva di redimere,

incarnerà, per noia o solo per il gusto di vendicarsi dai torti subiti da secoli da parte

di un mondo maschilista e patriarcale, il fallimento delle istanze femministe della

donna egiziana moderna.

135

Ringraziamenti

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nella stesura della tesi con

suggerimenti, critiche e osservazioni, a loro va tutta la mia gratitudine.

Ringrazio innanzitutto la mia relatrice, la Professoressa Mirella Cassarino, senza la

cui guida esperta e paziente e il costante incoraggiamento a non desistere

dall’impresa non avrei potuto portare a termine con successo il mio percorso di studi.

La sua grande passione per la lingua e la letteratura araba è stata contagiosa e

illuminante.

Un ringraziamento particolare va ai miei carissimi amici Gianni, Mariangiola,

Stefano ed Ezzat, per i loro preziosi consigli durante la realizzazione del lavoro di

tesi, e per il loro premuroso affetto.

Vorrei infine ringraziare le persone a me più care, tutta la mia famiglia, i miei amici

e la mia piccola Sophia, cui questo lavoro è dedicato.

136

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141

INDICE

ABSTRACT ARABO 1

RESUMEN 4

Introduzione 5

I. Le Mille e una notte nella letteratura araba

1.1. Lo statuto delle Mille e una notte nella cultura araba classica 10

1.1.1. La narrativa araba popolare 12

1.1.2. Statuto del racconto 13

1.1.3. Le Mille e una notte tra oralità e scrittura 15

1.1.4. Classificazione e valore letterario delle Mille e una notte 18

1.2. Le Mille e una notte in Occidente 26

1.2.1. La visione dell’Orientalismo e la globalizzazione letteraria delle Notti 29

1.3. Le Mille e una notte nella narrativa araba moderna 33

1.3.1. Tradizione e imitazione 37

1.3.2. Il ruolo dell’intertestualità nel romanzo arabo moderno 42

1.4. Shahrazād nella letteratura araba della Nahda 45

II. Layālī Alf Layla di Najīb Mahfūz

2.1. Significato politico delle Notti 53

2.2. Riscrittura in chiave politica delle Notti 60

2.2.1. La denuncia sociale e politica di Mahfūz 63

2.3. I sogni di Mahfūz 69

2.4. “Parole”, “Azione”, “Idee” 76

142

2.5. Temi e personaggi principali in Layālī Alf Layla 80

2.5.1. I Jinn 90 2.5.2. Shahrazād 97 2.5.3. Shahriyār 101

2.5.4. Gamasa al-Bulti 108 2.5.5. Lo Shaykh al-Balkhi 111 2.5.6. Nur al-Din e Dunyazād 113

2.5.7. San‘an al-Gammali 115

2.5.8. Fadīl al-Gammali 116

2.5.9. Ma‘rūf il ciabbattino 117

2.5.10. Anīs al-Galīs 118

III. Layāli ukhrā di Muhammad al-Busati

3.1. La modernità in Layāli ukhrā 119

3.2. Genere e nazione: Egitto come donna 123

3.3. Nazione e narrazione: il problema della rappresentabilità 126

Conclusioni 130

Ringraziamenti 135

BIBLIOGRAFIA 136


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