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Le traduzioni della Pharsalia tra Settecento e Ottocento

Date post: 30-Nov-2023
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Le traduzioni della Pharsalia tra Settecento e Ottocento 1
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Le traduzioni della Pharsalia tra Settecento e Ottocento

!1

L’elaborato, partendo dalla fortuna del poeta latino Lucano tra Sette e Ottocento,

analizza i volgarizzamenti italiani della Pharsalia risalenti a tale periodo, dividendoli

tra traduzioni “fedeli e infedeli”, e indaga i motivi per i quali grande è l'interesse per

Lucano, visto non solo quale poeta della libertà ed exemplum delle virtù repubblicane,

ma anche come maestro di stile.

Obiettivo principale del lavoro è l'analisi dell'ottocentesco volgarizzamento della

Pharsalia del conte Francesco Cassi, pesarese legato a note personalità del mondo

marchigiano-romagnolo, e appartenente alla prima generazione della Scuola classica

romagnola, di cui sono state analizzate le linee principali del modus vertendi. La ricerca

vuole mettere in luce le caratteristiche del vertere cassiano, le peculiarità della

traduzione della sua “bella infedele”, indagando i rapporti con Vincenzo Monti e con i

grandi autori del passato, primo fra tutti Dante. Il testo di riferimento è l'edizione del

volgarizzamento cassiano della Farsaglia del 1850, dal quale si attinge per valutare gli

aspetti lessicali e testuali della traduzione in rapporto al testo latino, che appare come

deformato ed enfatizzato. Lucano, Cassi e Monti vengono, allora, posti a confronto per

espressioni riguardanti il primo libro, del quale alcuni versi sono stati oggetto di analisi

linguistica e confronto diretto.

Il lavoro, infine, si propone anche di esaminare la traduzione cassiana nell'ambito più

ampio della “questione della lingua” nell'Ottocento, e di analizzare il concetto generale

di traduzione che implica il rapporto tra lingua di arrivo e lingua di partenza, tra un

tradurre “verticale” e uno “orizzontale” e tra maggiore o minore fedeltà all'originale,

tenendo ben presente quanto continuamente muti la prospettiva con cui si guarda al

testo di partenza con il cambiare del gusto e della cultura

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Indice

I. Lucano tra Settecento e Ottocento 1.1. Fortleben lucaneo tre Sette-Ottocento pag. 2 1.2. Lucano e l'Illuminismo » 3 1.3. Lucano e il Romanticismo » 5 1.4. Lucanei e antilucanei in Italia: polemica classico-romantica » 6 1.5. Pietro Giordani e il lucanismo italiano ottocentesco » 8

II. Le traduzioni italiane della Farsalia tra Sette-Ottocento 2.1.Gaspare Cassola e Cristoforo Boccella » 11 2.2. Traduzioni “fedeli e infedeli della Farsalia » 12 2.3. Lucano tra sensibilità romantica e ricerca dell'orrido e del macabro » 13 2.4. Traduzioni parziali della Farsalia » 14

III. La Farsaglia di Marco Anneo Lucano volgarizzata dal conte Francesco Cassi 3.1.Cento volte l'ho ricominciata tessendo e ritessendo » 16 3.2. Monti e Cassi traduttori di Lucano » 17 3.3. Il vertere cassiano » 23 3.4. Lingua e stile delle Farsaglia » 25

IV. Traduzione e originale a confronto: Cassi e Lucano 4.1. Marco Anneo Lucano, Pharsalia vv.109-128 e Francesco Cassi Farsaglia, vv. 172-205 » 32

V. Traduzione cassiana e questione della lingua nell'Ottocento 5.1. Reazione al gusto gallicizzante: puristi e classicisti » 37 5.2. Scuola classica romagnola: certamen atque aemulatio » 38 5.3. Francesco Cassi tra tradizione e innovazione » 40

Bibliografia » 43

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Capitolo primo

LUCANO TRA SETTECENTO E OTTOCENTO

1.1. Fortleben lucaneo tra Sette-Ottocento

Nelle stagioni della civiltà letteraria volgare, dal Medioevo al Novecento, l'epica ha

suscitato sempre grande interesse ed è stata oggetto di traduzione, a seconda delle varie

epoche, con modalità e gusti differenti. Insieme a una triade greca (Omero, Esiodo,

Apollonio Rodio), gli autori maggiormente presi in considerazione sono i quattro

regulati poetae della letteratura latina che Dante celebra nel De vulgari eloquentia (II.

VI. 7) : Virgilio, Ovidio, Lucano, Stazio. I regulati poetae sono maestri da imitare, 1

modelli letterari da imparare a seguire, modelli di lingua, di stile, di umanità che meglio

si convengono alla poesia volgare. Ma, al mutare di epoche e gusti, corrisponde un

diverso rapporto con il modello, che dovrà incarnare non solo i gusti letterari del

momento, ma anche le istanze morali e conoscitive.

Tra Settecento e Ottocento viene data particolare rilevanza alla figura del poeta Lucano

(39 d.C.- 65 d.C.), nipote di Seneca e suicida per volere di Nerone che, visto come poeta

della libertà, esempio di moralità stoico-repubblicana, vittima del dispotismo neroniano,

ha un ritorno di fortuna che durò un cinquantennio. Siamo in un'epoca in cui, seguendo

quanto scrive Marcello Gigante « sia pure con ovvie nuances, gli antichi costituirono il 2

paradigma, il modello, la misura, il canone della perfezione; sembrò che nulla potesse

essere scritto, detto o pensato senza una pedante imitazione o una nobile emulazione

degli antichi nella letteratura e nelle arti figurative. Le epoche del classicismo europeo

hanno però segnato le tappe fondamentali della trasmissione dei testi antichi e, insieme,

del loro Fortleben; […] » In tale contesto, la fortuna lucanea è alimentata dai giudizi

Dante, DVE, II. VI. 7: « fortassis utilissimum foret […] regulatos vidisse poetas, Virgilium 1

videlicet, Ovidium Metamorfoseos, Statium atque Lucanum […] ».

Gigante 1989, p. 112

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favorevoli di quanti vedevano in lui un monumento alle virtù civiche, reso più forte

dall'amore di patria e dalla coscienza nazionale.

In Francia nel 1776 Marmontel pubblica una traduzione della Farsaglia e nella nota che 3

premette alla traduzione dichiara di aver trovato nel testo potenti effetti fantastici e

patetici, che grande influsso hanno sugli animi dei suoi contemporanei. Sensibilità

preromantica, titanismo, eroismo, esaltazione dell'individuo, e amore del fantastico

percorrono l'Europa colta che inizia di nuovo a leggere e tradurre Lucano “sentendo

vibrare nella sua poesia alcune corde della sua stessa sensibilità” . Dalla Farsalia 4

Goethe attingeva immagini dal VI libro per la Notte classica di Valpurga nella I parte

del Faust; Friedrich Hölderlin ne tradusse i primi 590 versi del libro I; John Keats trasse

ispirazione dal verso lucaneo « stat magni nominis umbra » I, 135 per il suo « a shadow

of a magnitude» in On seeing the Elgin Marbles for the first time; Shelley ne ammirava

le descrizioni del mare e Victor Hugo ne tradusse brani da vari capitoli.

Però, nonostante l'entusiasmo generale che Lucano creava, le reazioni che prima

l'Illuminismo e poi il Romanticismo presentano nei confronti del suo pensiero e della

sua sua opera principale, la Farsalia, sono diverse e contrastanti.

1.2. Lucano e l'Illuminismo

In età illuministica, come sottolinea Sebastiano Timpanaro , si tende a separare il 5

Lucano «filosofo» che si esprime in sentenze efficaci, da quello «poeta» accusato di

ripetizioni eccessive, paradossalità e mancanza di espressione di sentimenti «teneri», in

netto contrasto con Virgilio, modello assoluto a cui si guardava.

Anche ragioni biografiche alimentavano il dissenso nei confronti di Lucano, primo fra

tutte il suo atteggiamento verso il potere. Lucano iniziò ben presto a scrivere

componimenti poetici e la fama della sua opera giunse a Nerone che lo volle annoverare

Marmontel, La Pharsale, Paris 1766, préface, pag. 123

Paoletti 1962, p. 1534

Timpanaro 1980a, p. 55

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tra i suoi intimi amici. Si trattò, però, di un'amicizia di breve durata di cui non

conosciamo quali siano stati i motivi di rottura. Le fonti antiche parlano di una gelosia

letteraria da parte di Nerone (Vacca), e di un allontanamento dell'impertatore durante

una recitazione di Lucano, che quest'ultimo avrebbe considerato uno sgarbo (Svetonio) . 6

È anche possibile, però, che Nerone non vedesse di buon occhio le idee lucanee

improntate a un nostalgico repubblicanesimo, presenti nella Farsalia . 7

Per i grandi illuministi, come Diderot (Essai sur le règne de Claude et de Néron, 1778),

non è possibile esaltare come poeta di libertà colui che inizia il suo poema con le lodi a

Nerone (I, 33-66), e per Voltaire Lucano è da criticare perchè, secondo lui, non conosce

« l'arte di narrare e di non dir nulla di troppo », né quella di far «agire» i propri

personaggi (Essai sur la poésie épique, IV, 1728). Seguendo Timpanaro, lo scarso valore

poetico di Lucano, denunciato da Voltaire, è un difetto non grave nell'ottica della poesia

come spazio per la saggezza filosofica, cosicché il suo giudizio così aspro diventa

diverso quando dalla poesia si passa alla filosofia morale, fino a fare di Lucano il più

grande di tutti gli antichi: « mais si vous voulez des idées fortes, des discours d'un

courage philosophique et sublime, vous ne les verrez que dans Lucain parmi les

anciens» (Questions, XVIII, 572). Voltaire, inoltre, loda la mancanza dell'apparato

mitologico nella Farsalia, ma al suo « Lucano filosofo » mancano due componenti

fondamentali: la componente libertaria e quella «antiteistica», ossia la denuncia

dell'iniquità divina. Ma ciò che manca al lucanismo di Voltaire, è presente nel lucanismo

dell'Alfieri che consiste proprio nello spirito libertario: «un atteggiamento di ribellione

politica che tende ad allargarsi ad una dimensione metapolitica, un bisogno quanto forte

altrettanto non specificato di libertà, che tende ad assumere una dimensione “cosmica” e

Tre sono le Vitae di L. che derivano da antiche fonti e sono state pubblicate in quasi tutte le edizioni 6

del poema. Una di esse (I) proviene molto probabilmente, come pensò lo Scaligero, da Svetonio; l'altra (II), un po' più ampia e certo più favorevole al poeta, è stata attribuita a un certo Vacca, un antico commentatore della Farsaglia, che alcuni collocano nel sec. VI; la terza (III), assai breve, fu aggiunta al codice Vossianus II, ma essa è forse una nota al primo verso del poema, che qualche scoliasta ricavò dalla Biografia I.

Conte 2010, p. 3677

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a sentire come oppressiva tutta la realtà, più che un determinato regime politico» . 8

Bisogna ricordare, inoltre, che durante la Rivoluzione francese la Farsalia fu vista come

un poema della libertà e per questo godette di una grande divulgazione, tanto da

inciderne un verso antitirannico sulle sciabole della Guardia nazionale di Parigi nel

1789: « Ignorantque datos ne quisquam serviat enses- E si ignorano le spade concesse

per non servire » ( IV, 579).

La solita distinzione che fino a questo momento aveva separato il Lucano filosofo da

quello poeta, viene abbandonata in Italia con Ugo Foscolo che, primo fra tutti, ha uno

sguardo completo su Lucano e la sua opera. I motivi lucanei che trovano in lui maggiore

risonanza sono il pessimismo etico-politico e la poesia delle rovine, e quanto alle

adulazioni di Lucano a Nerone, scrive : « Sacro alla posterità è il nome di Lucano, uno

di quegli ultimi romani i quali per restituire Roma alla libertà si meritarono da Nerone la

morte. Eppure adulatore di questo tiranno fu Lucano, e bassissimo adulatore, non già

per comprarne i favori, ma per assopirlo su la imminente congiura che dovea balzarlo

dall'impero dell'universo[…]» (U. Foscolo, Esame su le accuse contro Vincenzo Monti,

in Scritti letterari, 1798).

1.3. Lucano e il Romanticismo

Con la crisi dell'Illuminismo, la Farsalia riebbe un certo favore. La sensibilità

preromantica, infatti, nelle sue varie manifestazioni, che vanno dall'ossianismo fino

allo“Sturm und Drang”, aveva un elemento comune nella ribellione al razionalismo,

quale classicismo in poetica, utilitarismo in etica e cosmopolitismo in politica. Parlando

dell'iter che portò Lucano dalla rivendicazione della libertà artistica all'affermazione

della libertà politica, non a caso Donato Gagliardi parla di «qualcosa di analogo, 9

insomma, al processo che condusse tanti romantici italiani da una nuova concezione

Timpanaro 1980a, p. 138

Gagliardi 1976, p. 1439

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della poesia all'approdo del liberalismo, allorquando il desiderio di superare la barriera

del classicismo nel campo letterario fu ben presto seguito da un identico desiderio di

libertà nel campo politico». Inoltre, cominciava a prendere forma il “titanismo” che non

poteva non accogliere il messaggio di eroica umanità che traspare dal poema lucaneo,

così come l'esasaperazione della dimensione tragica della narrazione, unita alla ricerca

dell'orrido e del macabro, che irrompe nell'epos di Lucano portando un'atmosfera di

morte. Tutto ciò si sposava bene con lo sviluppo della poesia sepolcrale e del romanzo

gotico, in cui grande interesse era dato alle atmosfere sinistre e terrificanti, unite alle

vicende orride e soprannaturali e alle apparizioni di spettri.

Come l'ambiente illuministico francese, neppure quello tedesco, però, era adatto a

capire Lucano, preso dal gusto per la poesia popolare e primitiva e l'ammirazione per la

letteratura biblica e greca. L'epica era concepita come un genere letterario con regole

fisse e ogni “infrazione” veniva vista come un demerito artistico. Lucano usa una serie

di sententiae concettistiche, rifiuta l'apparato divino e conferisce un ordine alla

narrazione quasi cronachistico o annalistico, tipico più delle opere storiche che di quelle

poetiche. Tutto questo, insieme a uno stile tragico e sentenzioso che tende al pathos e al

sublime, non sempre piaceva al romanticismo «che in arte avrebbe dovuto significare

ribellione contro le regole» ma che in realtà «vi ricadeva in pieno» Da questo traevano 10

terreno fertilele accuse tradizionali nei confronti di Lucano: retorica, mancanza di

capacità narrativa, ricorso all'iperbole che lo allontanavano dall'indiscusso modello

virgiliano.

1.4. Lucanei e antilucanei in Italia: polemica classico romantica

Nella cultura italiana la riscoperta di Lucano si ebbe soprattutto negli ambienti liberali

delle Marche e della Romagna, roccheforti del classicismo ottocentesco e patria di

alcune importanti figure del Risorgimento italiano. Un caso difficile è costituito da

Timpanaro 1980a, p. 3410

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Vincenzo Monti, dal quale provengono giudizi contrastanti sull'opera lucanea. In Prose

e poesie (Firenze 1847) egli afferma che i « semi della seicentistisca corruzione furono

quei medesimi che, gettati da Lucano, da Marziale e da Seneca, contaminarono già un

tempo l'eloquenza antica» e, nella dedica del Bardo della Selva Nera a Napoleone

(1807), dice della Pharsalia «[…] scarso di effetto soprannaturale, ossia di favola, è

stato meritamente escluso dalla classe degli epici, e giudicato null'altro che una

sentenziosa ed ampollosa storia in esametri ». Più tardi, però, definirà Lucano «infelice

epico, ma grande filosofo» e, nello stesso dialogo, ricorderà l'importanza di Lucano per

Dante. Monti, inoltre, ha un ruolo di primo piano nella traduzione che Francesco Cassi

farà della Farsalia, della quale corregge la traduzione del I libro.

In Italia, come nel resto d'Europa, gli studiosi si divino tra lucanei e antilucanei, ma nel

1816, nel momento in cui la polemica classico-romantica si apre, questi non vengono

separati nettamente visto che anche gli antilucanei guardano come modello a Virgilio.

Fra i romantici, ostile a Lucano è Ermes Visconti ma anche Ludovico di Breme che

contrappone l'età aurea rappresentata da Virgilio a «la gonfiezza, la ridondanza, la

sterile loquacità di Lucano, di Claudiano e di Silio» ( Lettera aperta a Cesare Saluzzo,

Milano 1817). Diversamente giudica Lucano Pietro Borsieri il quale, nel capitolo VI

delle Avventure letterarie di un giorno (Roma 1967), osserva che « considerando

l'altezza del soggetto trattato da Lucano (le discordie civili del più gran popolo della

terra e la rivalità di Cesare e Pompeo) » non è lecito « negare alla Farsalia il nome di

poema, solo perché manca del maraviglioso della favola ». Quanto allo stile, egli dice:

« il genio, quantunque traviato, rimane genio pur sempre; e la lindura e la correzione

sono doti comunemente più proprie a coloro che scrivono per arte e non per natura ».

Vicino al pensiero di Borsieri è quello di Alessandro Manzoni che, nell'opera

Del romanzo storico (1845), loda e difende Lucano quale inventore dell'epopea storica,

ma, stando al giudizio di Timpanaro , non sembra entrare in empatia con il mondo 11

lucaneo.

Timpanaro 1980a, p. 4011

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In ogni caso, neppure il fronte classicista appare compatto quanto a Lucano. Il purismo

ottocentesco, in linea di massima, sembra contrario allo stile teso del poeta latino. Ma

nonostante le polemiche legate allo stile, la Farsalia segnò una traccia profonda nella

vita degi intellettuali italiani del tempo, primo fra tutti Giacomo Leopardi. Lucano,

infatti, ben si addiceva al suo senso di ribellione per la realtà oppressiva , ed è

dimostrabile un influsso lucaneo nel primo periodo della sua attività letteraria. In

Leopardi, però, ben viva è la divisione tra Lucano «poeta» e Lucano «filosofo», di

volterriana memoria, e alcuni passi dello Zibaldone rivelano chiaramente come egli

avesse letto la Farsalia. Stando sulla linea del giudizio filosofico, Lucano è, per

Leopardi, «un esempio di come la filosofia, ritraendo l'uomo in se stesso,

spoliticizzandolo, giovi sostanzialmente al mantenimento della tirannide anche se è

ispirata ad astratte idee antitiranniche » . Nello Zibaldone si legge: « Dei poeti, come 12

Virgilio, Orazio, Ovidio, non discorro. Adulatori per lo più de’ tiranni presenti, sebbene

lodatori degli antichi repubblicani. Il più libero è Lucano » (Zibaldone 463, dicembre

1820). Ma, quanto allo stile, il suo giudizio è vicino alla condanna tradizionale. Il

purismo e la tendenza a vedere il gusto barocco in ambito romantico non permisero una

valutazione critica equa dell'originalità di Lucano sul piano stilistico. L'eterno termine

di paragone rimane sempre Virgilio con la sua superiorità su Lucano, ma dalla lettura di

Leopardi poeta riconosciamo in lui un profondo spirito lucaneo, e il Bruto minore

(1821), con il motivo della protesta contro il destino e l'invettiva scagliata da Bruto di

fronte a un paesaggio indifferente, contro gli dèi e contro il fato, può essere considerato

« sotto certi aspetti, la poesia più “lucanea” che sia stata scritta nella letteratura

moderna». 13

Ivi, p. 4512

G. Biagio Conte 13

!10

1.5. Pietro Giordani e il lucanismo italiano ottocentesco

Nel lucanismo degli inizi dell'Ottocento, gran parte ha Pietro Giordani. Le sue riserve

sullo stile lucaneo sono le stesse dei critici del Sette-Ottocento, ma per Giordani i

difetti dello stile non devono distogliere dalla lettura di Lucano, e la visione di Virgilio

quale modello di perfezione assoluta viene abbandonata. Ogni epoca e ogni artista

dovevano essere giudicati secondo i propri principi e Lucano è considerato un poeta

difficile, inadatto al livello basso del latino insegnato nelle scuole ecclesiastiche, e di

cui consiglia la lettura in originale come scrive in una lettera a Pietro Zambelli (1833).

Egli ammira il Lucano libertario e antitirannico: « […] Così mi parve veramente sacro,

e da antimettersi ad ogni altro, il poema che prese per materia non la fondazione o la

conquista di un regno, non una curiosa o avara navigazione, non gl'iddii di un popolo o

di un tempio; ma i funerali della Libertà, universalmente ed eternamente divina: la

quale se pur potesse venir cacciata in esilio da mondo, non potrebbe perdere sue cagion

di regnarvi » (XI, 242 sg.). Giordani legge la Farsalia con spirito risorgimentale e

speranza illuministica, seppur messa a dura prova dalla Restaurazione, come sottolinea

Timpanaro . Si interessò di Lucano anche in due lettere-prefazioni del 1832 Al nuovo 14

traduttore di Lucano, cioè alla traduzione di Michele Leoni. Quest'ultimo, amico anche

di Foscolo, era una personalità importante nel panorama culturale italiano, noto come

traduttore di testi classici e stranieri europei (Shakespeare, Macpherson con i Nuovi

canti di Ossian, Milton, Pope, Schiller, Lamartine). Tornando al Giordani, egli esortava

i giovani allo studio del poema perchè: « la potenza del pensiero non sarà mai distrutta

da nessuna forza. S(ua) C(esarea) M(aestà) l'Imperator Domizio Nerone poté anticipare

la morte all'odioso poeta; ma la Farsalia non morirà » (lettera del 1° gennaio 1833, in I.

Della Giovanna, Paolo Giordani e la sua dittatura letteraria, Milano 1882). Tra i

giovani, lesse Lucano con particolare interesse Felice Carrone che riprese, riscrivendolo

in lingua italiana, uno scritto sulla Farsalia redatto in francese e lasciato incompiuto dal

Timpanaro 1980, p. 53 sgg.14

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padre. Nelle sue Considerazioni intorno alla Farsaglia di Marco Anneo Lucano

(Torino, 1837) riconosceva quest'opera come più istruttiva dell'Eneide e adatta, come

per Giordani, ai giovani per ridestare « quella virile energia, senza la quale nulla si può

fare che sia durevolmente glorioso e grande». Il 14 marzo 1838, viene pubblicato su La

fama. Giornale di scienze, lettere, arti, industria e teatri un articolo intitolato

Considerazioni intorno alla Farsaglia incentrato sull'operato di Carrone in cui si legge :

« Esso (Carrone) seguita Lucano libro, passo per passo, lo riassume, lo commenta, ne

coglie i caratteri, ne riporta i tratti migliori, ne indica le bellezze […] Il commentatore

sovente si esalta nella lettura del suo poeta, prende parte alle azioni dei suoi eroi […]».

Lo stesso Carrone, inoltre, dice: « L'amore filiale e il desiderio di far sì che Lucano

fosse meglio apprezzato e maggiormente letto, mi indusse a voltare in italiano le bozze

condotte dal padre sino al quinto libro del Poema, a ordinarle, ampliarle, recarle a segno

di poter essere stampate, e compiere il lavoro continuando l'analisi de' cinque ultimi

libri».

Giordani intorno agli anni Trenta dell'Ottocento, partecipa in modo attivo alla rinascita

della fortuna di Lucano che diventa oggetto di culto nell'età della Restaurazione.

Lucano, infatti, non viene considerato maestro di stile, ma modello stoico di resistenza

al clima restauratore. Dopo Pietro Giordani, però, in Italia e in Europa, l'interesse, sia

filologico che contenutistico, per Lucano va diminuendo e viene considerato come uno

scrittore di maniera, affettato nell'esprimersi, amante di rappresentazioni iperboliche,

portatore di uno stile pesante e monotono. Questo punto di vista fu alimentato, come

ricorda Paoletti, dal francese Désiré Nisard, antiromantico e nemico di Lucano, e autore

del saggio Lucain ou la décadence (1834). Nisard vedeva il Romanticismo come

categoria del brutto, variamente presente anche in periodi precedenti della storia e per

questo da combattere in ogni sua forma. Per questa convinzione, Lucano appariva ai

suoi occhi un romantico « superficiale, disordinato, scomposto », un momento di 15

decadenza rispetto al summo poeta Virgilio, incapace di scandagliare l'animo umano e

Paoletti 1962, p. 15715

!12

di caratterizzare psicologicamente i personaggi, tutto teso a una rappresentazione

materiale e ampollosa degli eventi.

Capitolo secondo

LE TRADUZIONI ITALIANE DELLA FARSALIA

Fia opportuno perciò il tradurre la Farsaglia di Lucano? Sì:

perchè essa è l'opera di un grande ingegno, e da alcune

traduzioni che avemmo finora si può rilevare, come trasportato

questo poema nell'itala favella, può somministrare erudito

pascolo alle menti degli studiosi.

Da Il Pirata. Giornale di letteratura, belle arti, invenzioni, teatro e varietà (21marzo1837)

2.1. Gaspare Cassola e Cristoforo Boccella

Tra Settecento e Ottocento, apparvero in Italia due traduzioni di Lucano in

endecasillabi: quella del gesuita lombardo Gaspare Cassola (Lucani Pharsalia cum

appositis Italico carmine interpretationibus ac notis, 2 voll., Milano 1781-82) e quella

del poeta lucchese Cristoforo Boccella (La Pharsaglia di Lucano trad. in versi italiani, 2

voll., Pisa 1804). Cassola era un gesuita fontenelliano e voltairiano e nella lettera

dedicatoria della sua opera a Carlo Firmian, non solo mette Lucano quasi sullo stesso

piano di Virgilio, ma afferma che i pensieri del Cordovese bastano a fare di lui « un

Poeta » e non solo un filosofo in versi. Quanto a Boccella, questi si occupò anche di

traduzioni da autori francesi, ma stando al giudizio di Timpanaro, fu negativo per la sua

versione il fatto che «fu compiuta in un periodo, ormai, di netta involuzione ideologica,

quando il nome stesso di libertà era diventato sospetto al patrizio lucchese e la religione

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era da lui considerata “all'uomo unica scorta”» . Entrambe risultano essere traduzioni 16

di non grande pregio: la prima profondamente classicista, non apre la strada a gusti

differenti, la seconda ha uno stile duro, estremamente conciso e prosaico. Queste

traduzioni, inoltre, erano poco fedeli all'originale per l'influsso che sui loro autori aveva

avuto il francese Jean- François Marmontel, autore di una traduzione della Farsalia in

2 volumi pubblicata nel 1766. Per Marmontel, nella traduzione di Lucano, bisognava

eliminare tutti gli aspetti «barocchi» per dare vita a uno stile asciutto e conciso,

seguire il testo latino « avec intelligence […]; éviter les excès […] (1776)».

2.2. Traduzioni “fedeli e infedeli” della Farsaglia

Parlando di traduzioni e traduttori, il linguista Benvenuto Terracini, rimanda a un passo

di Don Chisciotte della Mancia in cui si legge: «…mi pare che il tradurre da una lingua

a un'altra, a meno che non sia dalle regine delle lingue, e cioè la greca e la latina, sia

come uno che guarda gli arazzi fiamminghi dal rovescio; benché vi si vedano le figure,

son piene di fili che le ombrano, e non si vedono con quella superficie così eguale del

diritto; e tradurre dalle lingue facili, non presuppone né ingegno né ricchezza di

linguaggio, come non lo si presuppone per chi copi da un foglio a un altro » . In base 17

alla lingua di partenza e quella di arrivo, Gianfranco Folena distingue tra un tradurre 18

« verticale », in cui la lingua di partenza gode di un certo prestigio ed è assunta quale

modello ideale, e uno « orizzontale » fra lingue struttualmente simili, come nel caso

delle lingue romanze, che interferiscono tra di loro nei volgarizzamenti dei classici. La

traduzione non è una riproduzione, ma una trasposizione da un ambiente culturale ad un

altro, è un genere letterario in cui bisogna tener ben presente lingua e cultura di partenza

e di arrivo e in esso è riflessa la storia culturale non solo dell'originale, ma anche della

Timpanaro 1980, p. 2516

trad. it. di V. Bodini, Torino 1957, p. 1102 in Terracini 1996, p. 3717

Folena 1991, p. 1318

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trasposizione. Dalla minore o maggiore fedeltà all'originale, si parlerà di traduzione

“fedele” o “infedele”, ma bisogna tenere ben presente che la prospettiva con cui si

guarda all'originale muta continuamente col cambiare del gusto e della cultura.

Tra le traduzioni infedeli della Farsalia, spicca quella di Francesco Cassi, la più nota

traduzione di Lucano, a cui si opponeva con forza Pietro Giordani che reclamava

dell'opera una traduzione fedele. In una lettera a Lazzaro Papi (Lucca 1851), il Giordani

scriveva: « Appena credevo a me stesso leggendo quella del Cassi, in vedere tanti pezzi

lunghi lasciati fuori, tanti introdotti di sua invenzione, tanti mutati di luogo. Un

traduttore non dee mutare, neanche sotto pretesto di correggere: la traduzione deve

essere un ritratto ». Proprio per la fedeltà all'originale, al Giordani, dunque, piacque la

traduzione di Lucano (La Farsaglia di M. Anneo Lucano recata in versi italiani da M.

Leoni, 2 voll.) di Michele Leoni. Quest'ultimo, nato a Fidenza nel 1776, fu divulgatore

di cultura, traduttore di classici latini e greci e di opere moderne. Era un letterato dai

molti interessi, amico del Foscolo, interessato in particolare alla letteratura inglese e

noto come traduttore delle Tragedie di Shakespeare, di Milton, Lamartine, Pope,

Schiller e dei Nuovi canti di Ossian del Macpherson pubblicati da Joseph Smith. Dal

punto di vista stilistico, Leoni «tendeva a “classicizzare” anche i poeti più distanti della

tradizione aulica italiana: non era […]un rinnovatore del linguaggio poetico» e per 19

questo apprezzato nell'ambiente letterario italiano. Nella stessa lettera a Lazzaro Papi

del 1851, il Giordani, parlando della Farsalia del Cassi, scrive:« Questa traduzione di

Leoni l'ho vista, ed è molto fedele». Essere fedeli al modello era garanzia di non

tradimento non solo stilistico, ma anche contenutistico. In questo modo venivano

riproposte le idee di Lucano e il pathos della Farsalia.

2.3. Lucano tra sensibilità romantica e ricerca dell'orrido e del macabro

Nel corso dell'Ottocento, molte sono le traduzioni di Lucano visto quale exemplum di

moralità repubblicana e modello stoico di resistenza al clima restauratore. Lucano è

Timpanaro 1980a, p. 6019

!15

“poeta della libertà” e diventa un vero e proprio oggetto di culto durante il

Risorgimento. Accanto a questo interesse, però, ne compare un altro legato alla

dimensione tragica della Farsalia, unita alla ricerca dell'orrido e del macabro, che ben si

sposavano con lo sviluppo della poesia sepolcrale e del romanzo gotico, che in Gran

Bretagna erano diventati espressione della nuova sensibilità romantica. I Canti di

Ossian, rielaborazioni di antichi canti popolari a opera dello scozzese James

Macpherson , la poesia sepolcrale di Edward Young e Thomas Gray, e le narrazioni con

trame orride, inverosimili e misteriose dei cossiddetti romanzi gotici di Ann Radcliffe

suscitano, infatti, grande interesse in traduttori di Lucano che sono anche traduttori

dall'inglese. Tra questi, oltre ai già citati Cristoforo Boccella e Michele Leoni, deve

essere ricordato Gaetano Polidori (1764-1853), segretario per quattro anni di Vittorio

Alfieri che scelse di trasferirsi a Londra dove si dedicò al suo lavoro di studioso e

traduttore. Polidori fu letterato, editore e traduttore dall'inglese all'italiano, in particolare

di John Milton, ma a Londra rimanda anche una sua traduzione integrale, dal latino e in

versi sciolti, della Farsalia (Della Farsaglia di Marco Anneo Lucano. Libri dieci

tradotti da Gaetano Polidori, Londra: presso l'autore, 1841). Polidori non si fermò solo

alla traduzione del poema, ma volle provare anche a dare un seguito ad esso e nel 1847

viene dato alle stampe Seguito della guerra civile tra Giulio Cesare ed il senato romano

che comincia dalla fine della Farsaglia di Lucano e termina colla congiura di Bruto e

Cassio / scritto da Gaetano Polidori (Londra: presso l'autore 1847).

2.4. Traduzioni parziali della Farsalia

Accanto alle traduzioni integrali di Lucano, trovano posto anche quelle parziali come

quella di Matteo Ardizzone nel 1874 (Il primo libro della Farsaglia tradotto da Matteo

Ardizzone. Palermo: tipi di Bernardo Virzì, 1874). Un accenno alla traduzione di

Ardizzone è fatto nella Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia N.224 del 26 settembre

1876, in cui si parla di un'altra traduzione della Farsalia fatta da Baldassarre Romano

da Termini, ma rimasta inedita. A pagina 3771 si legge: « […] L'anno 1876, il dì 16

!16

luglio, alle ore una e mezza pom., l'Accademia Palermitana di scienze, lettere ed arti s'è

riunita nella sala consueta del Palazzo di città […]Secondo l'ordine del giorno il socio

segretario della Classe di lettere ed arti, prof. Mario Villareale, legge di una nuova

versione di Baldassare Romano da Termini della Farsaglia di Lucano. Si fa da pria a

discorrere del merito del poema, molto forse una volta dai critici censurato, più che per

altro per la forma, molto forse ora dai moderni esaltato, più che per altro per ragione del

tema. Certo il tema n'è nobilissimo: la sventura di una nazione per le discordie interne,

d'onde guerre più che civili; e la perdita della più bella delle cause, quella della libertà.

Pietro Giordani negli scorsi anni lodava a cielo un tal tema; ed il conte Cassi con

grand'animo ne imprese la traduzione. Il Romano, nostro socio, fu eccellente

archeologo, letterato e poeta da Termini, florida terra presso Palermo[…] lasciò in

manoscritto la traduzione di questo poema. Con buon occhio di critica paragona il

nostro socio la traduzione del Romano con quella del Cassi e di tratto in tratta gli par

vedere che traducendo Lucano, il Romano superi il Cassi in alcuni luoghi nobili e

sublimi, comechè resti superato dal Cassi in alcuni luoghi di più pietoso sentire. Nè

lascia il nostro disserente di accennare ad alcuni tratti della traduzione ultima fattane

pure dal sig. Matteo Ardizzone, paragonandoli ancora con quelli dei traduttori

precedenti […] ».

Tra le traduzioni parziali della Farsalia, figurano anche quella di Annibale Bonino in

Antologia poetica italiana e latina del dottore Annibale Bonino (Torino: stamperia

dell'unione tipografico-editrice, 1885), e quella del filologo classico Vincenzo Ussani (Il

poema di M. Anneo Lucano tradotto da Vincenzo Ussani. Torino, Loescher, 1899),

traduzione che si conclude al libro I e che arriva ai primi del Novecento.

!17

Capitolo terzo

La Farsaglia di Marco Anneo Lucano volgarizzata dal conte Francesco Cassi

Nell'imprendere questa versione fu mio intendimento di non seguire le traccie di nessuno de' volgarizzatori che mi hanno preceduto; né di tenermi stretto più ad una che ad altra delle molte diverse lezioni, né più a quello che a questo de' vari comenti sull'originale. In ciò mi sono conformato soltanto al mio sentire. Francesco Cassi, in Al Lettore, prefazione alla Farsaglia, 1850

3.1. «Cento volte l'ho ricominciata tessendo e ritessendo»

Nell'Ottocento la traduzione dai classici greci e latini è una delle attività principali

della Scuola classica romagnola, cerchia di letterati ed eruditi attivi tra Marche e

Romagna. Della prima generazione di questa scuola fa parte Francesco Cassi, nato

a Pesaro nel 1778 e legato, per vincoli familiari, a note personalità del mondo

marchigiano-romagnolo, quali Giacomo Leopardi e Giulio Perticari. Proprio

seguendo gli incitamenti di quest'ultimo, Cassi pone mano al volgarizzamento

della Farsalia nel 1810, iniziando un lavoro che occuperà gran parte della sua

vita. Il lavoro di traduzione fu, infatti, lungo e difficile, e lo stesso Cassi scriveva:

«cento volte l'ho ricominciata, tessendo e ritessendo, non altrimenti che Penelope,

la medesima tela, e cancellando oggi ciò che ieri aveva scritto, per tornare a

!18

cancellare domani quello che oggi scriveva». (Al Lettore, p. 13).

Iniziò la traduzione, quasi certamente, nel periodo napoleonico ma circostanze esterne e

ragioni interiori rallentarono il suo lavoro al quale si dedicò soprattutto dopo la forzata

rinuncia alla vita politica. Dopo la morte di Giulio Perticari, riprendendo la versione

della Farsalia, Cassi dichiarò di volerne destinare i proventi alla costruzione di un

monumento funebre in onore di questi e tra i sottoscrittori del progetto figurava anche

Leopardi. La traduzione, però, procedeva molto a rilento e nel 1834, con un nuovo

manifesto agli associati al monumento funebre per il Perticari, lo stesso Cassi accennava

alle vicende che avevano ritardato il suo lavoro e cercava di ottenere altri sottoscrittori.

Un ultimo ritardo alla pubblicazione arrivò, inoltre, dall'inasprimento della censura

pontificia che considerava empie e negatrici della bontà e provvidenza divina molte

espressioni lucanee. 20

La scelta di tradurre Lucano non fu motivata solo da ragioni di stile e per il fatto che

non avesse, unico tra i grandi epici latini, una buona versione italiana, ma anche per il

suo libertarismo tragico che nel Cassi trovava grande ammirazione. La sua traduzione

rientra, infatti, nella lettura risorgimentale che vedeva Lucano come poeta della libertà e

che esercitava grande fascino su molti letterati-patrioti italiani. Il fascino che il sublime

lucaneo, insieme alla forza dello stile e al pathos, ebbe sul pesarese fu grande, ma oltre

alla preoccupazione estetica egli diede particolare attenzione al contenuto storico-

politico di Lucano. Il volgarizzamento, dunque, non doveva essere portatore di una

bellezza poetica fine a se stessa ma doveva essere di utilità morale e nazionale e

rientrare, nel caso di Lucano, nel cosiddetto “lucanismo risorgimentale” che costituisce

un segno chiaro della fortuna che il poeta spagnolo ebbe tra Settececento e Ottocento.

3.2. Monti e Cassi traduttori di Lucano

Il volgarizzamento della Farsaglia fu fin da subito un evento nell'Italia intera e si

Timpanaro 1980b, p. 9420

!19

realizzò sotto gli auspici e le lodi di alcuni tra i più importanti autori dell'epoca:

Pindemonte, Manzoni, Leopardi.

Come osservato da Michele Mari , se la Farsaglia di Cassi è nota agli studiosi fin da 21

subito, ignorate dalla critica sono rimaste per lungo tempo le correzioni autografe che

Vincenzo Monti apportò a una copia, scritta da sua figlia Costanza, della traduzione del

primo libro del poema. Costanza Monti era moglie del già citato Giulio Perticari, cugino

e intimo amico di Cassi, animato dal suo stesso “lucanismo” liberale. Ai suoi

incitamenti a una traduzione del poema lucaneo si aggiunsero presto quelli di Monti

ricordati da Cassi nell'Avviso Al lettore, premesso al I volume dell'edizione completa

della propria versione della Farsaglia (Pesaro, Nobili, 1826). Egli, infatti, scrive: «Dal 22

principio io mi posi a questo arduo lavoro per amorevole incitamento di quella cara

metà di me stesso [il Perticari]; e da indi a poco, promettendomi il patrocinio della

sovrana sua musa, mi vi confortò l'incomparabile traduttore di Omero. Così ne' miei

primi passi m'ebbi a guida que' due gran lumi dell'italiana letteratura» .

In un periodo imprecisato che Michele Mari colloca intorno al 1816-1817, risalgono le 23

numerose correzioni con cui Monti intervenne su una copia autografa redatta dalla figlia

Costanza. A quest'ultima, infatti, Cassi inviò l'autografo, oggi perduto, della versione

del I libro della Farsaglia per una revisione da parte del Perticari, in realtà mai

avvenuta. Partendo da tale trascrizione corretta da Monti, il Cassi ritornò al suo lavoro

di traduzione accogliendo gran parte dei suggerimenti montiani fino ad arrivare al 1820,

quando pubblicò a Milano un Saggio di una traduzione di Lucano del Conte Francesco

Cassi di Pesaro presso la Società Tipografica de' Classici Italiani, comprendente il libro

primo di cui lo stesso Monti aveva seguito di persona la stampa dell'edizione. Il Saggio

era dedicato a Costanza Monti Perticari, alla quale, nella prefazione, Cassi si dichiarava

debitore di consigli relativi all'interpretazione e allo stile. Un ringraziamento speciale,

Mari 1994, p. 393 sgg.21

La Farsaglia volgarizzata da Francesco Cassi. Pesaro, 182622

Mari 1994, p. 39623

!20

però, andava soprattutto al Cavalier Monti per averne promosso e seguito la stampa.

Due anni dopo, ai primi del '22, Monti rivolgeva al Cassi anche un affettuoso sonetto

d'incitamento a proseguire il lavoro: […]Nè la virtù, che agli altrui mali intende/ In te si

spense a meditar lo scritto/ Del fiero vate che in sentenze orrende/ Di Farsaglia cantò

l'alto delitto./ Tempri la tua pietà dunque il rigore/ Di quei feroci sentimenti, e bello/ In

quei carmi ne renda anco l'orrore./ E diranni tutti: l'italo cantore/ Vinse il latino: chè le

Furie a quello/ Fur Muse, e a te, leggiadro spirto, il core (Un sollievo alla melanconia,

Milano 1822). Collaborare con Cassi significava non solo rendere omaggio a una

grande figura della poesia antineroniana, quale Lucano, ma anche dare vita a un nuovo

progetto letterario data la già ricordata mancanza di una buona versione italiana della

Farsalia.

Nonostante l'intervento diretto di Monti termini nel 1820, al traduttore di Omero Cassi

continuerà a guardare, sia dopo la morte del Perticari nel 1822, sia dopo la morte dello

stesso Monti. Il rapporto con Monti ebbe, infatti, sullo stile del volgarizzamento gran

parte, dal momento che la revisione montiana mirava a rendere la traduzione più

omogenea, più fedele all'originale e sobria. Dei 993 versi della traduzione cassiana del I

libro della Farsaglia ben 266 furono completamenti rifatti dal Monti, tra essi 69

aggiunti ex novo, e altri 135 oggetto di parziale modifica. L'intervento montiano non si

fermò soltanto all'espunzione di errori o a rettifiche di carattere filologico, ma andò oltre

operando rifacimenti, modificando il lessico, la sintassi, il ritmo.

Ci ricordano Monti l'aggettivazione sovrabbondante (ferro, crudo, almo, forte, inclito,

corrusco, invitto), i latinismi, l'impreziosimento lessicale attraverso metonimie,

sineddochi, metafore o formule auliche. Sapore montiano hanno anche la prolessi del

pronome atono ( la cercando in luogo di cercandola, s'armando al posto di armandosi)

e il largo impiego di figure retoriche come il climax (si scaglia, e freme, e mugge per il

decurrit originale, I,675=960), la geminatio e continue riprese e moltiplicazioni verbali

(Patria, disse, o Patria; e guerrier sempre, e sempre tuo; aquile, insegne, aste Latine/

contro Latine insegne, aquile, ed aste; a guerra guerra, e srage aggiungi a strage: I,

270), l'epanadiplosi e l'anadiplosi, il chiasmo, la figura etimologica (I,115 Discordi

!21

cozzeran gli astri cogli astri) e le frequenti esclamazioni e interrogazioni. Seguendo tali

dati, Mari parla addirittura di «versione montiana in più sensi, nelle esortazioni 24

iniziali, nell'assistenza, nelle cure editoriali […] e fino a un certo punto nelle scelte

linguistiche, in quelle stilistiche, nel metodo». Le sue correzioni, però, non dipendono

dagli interventi diretti sul testo italiano, ma da quello latino (forse la stessa edizione

Oudendorp del 1728 consultata dal Cassi) su cui esercita tutta la sua competenza da

latinista senza il rischio di farsi trasportare dalla passione ideologica e forzarne il senso.

Ne deriva una grande adesione al testo originale tesa alla ricerca neoclassica di

maestosità e compostezza formale.

Correzioni montiane

Eliminazione di elementi linguistici vistosi che disturbano la fluidità del testo: eliminazione o correzione di arcaismi

Giattura, minugia, salteggianti. Correzione di piegaresti in piegheresti, have in ha, scorto in difensore, s'aggia in giunga, scelleranza in delitto, putra in marcida, etc.

Eliminazione o correzione di latinismi Eliminati: nunqua inopia, mavorzie, cultri, oblito, mitton Correzione di: virgo in vergine, Palla in Pallade

Sostituzione o modifica di versi o singole espressioni dantesche per privarle del carattere di citazioni “secche”

Alluminar, ricolta, soperchio, vanni, inforsa, insempra, il gran rifiuto

Modifica dell 'ordo verborum con inversioni e iperbati per una sintassi classicheggiante

Gusto montiano per i quadri grandiosi e spettacolari

Mari 1994, p.8424

!22

Dei 470 versi soggetti a parziale o totale modifica da parte di Monti, 272 furono accolti

nella loro interezza da Cassi, altri 92 con pochi cambiamenti. La lezione montiana, però,

nei versi restanti, soprivvisse solo nella metà dei casi e in modo diverso dal

suggerimento montiano. Con il passare del tempo, andando verso l'opera completa

apparsa nel 1836, ben poco rimane nel Cassi della voglia di ricondurre l'ampolloso stile

lucaneo alla misura neoclassica montiana. Se, infatti, nel Monti forte era la forma di

reverenza nei confronti dell'originale, nel pesarese c'è l'ansia di migliorare, rifare,

gareggiare con Lucano, e questo porta la sua Farsaglia a rientrare a pieno titolo nella

categoria delle «belle infedeli» . 25

Ricerca neoclassica di maestosità e levigata compostezza formale con termini che mantengono un decoro linguistico costante

Forti spenti in battaglia, bellicosa cetra, orrori di riposte selve

A t t e n u a z i o n e d e l l a c r u d e z z a d i espressioni lucaniane

Nefando, orrende, diri, feral, profonda, caligine, furor, terror, egra, sdegno, mali, portenti, veneno, funesti, empio, crudo, stragi, ira

LUCANO CASSI MONTI

Deformis truncus (Phars. I,685)

Tronco sanguigno I,977

Un lurido deforme tronco I, vv.1097-1098 (ed. 1850)

Quel deforme tronco

Vi s i c o n s u rg e re [ … ] Sullani […]manes I, vv.580-81

I tenebrosi Mani di Silla s'affaccian tremendi I, 823-24

Tenebrosa e truce s'alza l'ombra di Silla I, 934-935 (ed.1850)

S'alza l'ombra di Silla

Nonni 201025

!23

Nulla fides regni sociis I,92 Non fia mai fede ov'è partito il regno I,122

No, che mai duo scettrati d'uno scettro concordi a fede non saranno I, 143-44

No fede non terrà regno partito

Sed neque in Arctoo sedem tibi legeris orbe:/ Nec potus adversi calidus qua vergitur Austri; I, vv. 53-54

Né dei locarti in uno, o in altro polo I, 70

Ma nol fermar nell'orbe ove d'Arturo/ girasi il carro, né là dove avverso/ si rivolge dell'Austro il caldo polo I, 82-84

Ma nol […] l ' augus to seggio locar dell'orbe ove d'Arturo /girasi il carro, né là dove avverso /si rivolge dell'Austro il caldo polo

Cum turbidus Auster /repulit a Libycis immensum Syrtibus aequor I,498-99

Al vento I, 738

Q u a n d o l ' A u s t r o l e immense onde respinge / Dalle libiche sirti I, 821-22 (ed. 1850)

Quando l'Austro l'immense onde respinge / Dalle libiche sirti

Et doctus volucres Augur s e r v a r e s i n i s t r a s : / septemvirque epulis festus I, 601-02

E i sette / cui son le sacre liete mense in cura

Indi gli eletti / Auguri a guardia de' sacrati augelli; / ed i sette prescelti alla letizia / delle solenni mense di Quirino I, 967-70 (ed. 1850)

Indi gli eletti / Auguri a guardia de' sacrati augelli / indi i sette prescelti alla letizia de' festivi banchetti

!24

P r i m u s i n o b l i q u u m sonipes opponitur ammem / excepturus aquas; molli tum cetera rumpit / turba vado faciles iam fracti fluminis undas I, 220-22

La schiera equestre al fiume s'attraversa, / onde s i a t r o n c o l ' i m p e t o dell'onda, / e più agevole il guado aprasi ai fanti I, 858-59

S i s l a n c i a n p r i m a i cavalieri, e il fiume / attraversando il frangono, e dell'acque / all'impeto fan diga. Indi i pedoni/ Vi scendono, e per mezzo delle rotte onde / S'aprono facilmente il guado all'altra riva I, 351-55 (ed. 1850)

P r i m a s i s l a n c i a a attraversare il fiume / l ' e q u e s t re s c h i e r a , e l'impeto ne regge/ co' cavalli, e lo frange. Allor s'avanza / la pedestre, e per mezzo alle rotte onde s'apre facile il guado all'altra riva.

Et residens celsa Latialis Juppiter Alba I, 198

O Giove che sull'Alba stai I,274

E tu che in Alba / ponesti eterno il lazїal tuo seggio I, 315-316 (ed. 1850)

O Giove che su l'alto giogo/ d'Alba ponesti il lazial tuo seggio

Et celsus medio conspectus in agmine Caesar I, 245

E Giulio in mezzo I, 343

A tant'arme elevar Giulio la fronte I, 389

Ed alta in mezzo / a tant'arme elevar Giulio la fronte

Et generis coeat si turba, / capacem humani I, 512-13

E maggior di quantunque il Sole indora / cittadi altere I, 758-59

E spaziosa sì unqua la pari / non vide, né vedrà l'astro del giorno I, 834-35 (ed. 1850)

Grande sì che parer potea capace / di tutta contener nell'ampio seno / la stirpe umana se in un fosse accolta

!25

3.3. Il vertere cassiano

Partendo dalla definizione di Alfonso Traina , vertere è «il verbo della metamorfosi», e 26

in quanto tale indica «un totale cambiamento d'aspetto, che può risultare molto diverso

dall'originale» e che ben si addice alla rielaborazione cassiana della Farsaglia in cui il

traduttore raddoppia la misura dell'originale lucaneo (16.818 endecasillabi rispetto agli

8.060 esametri di Lucano), opera proiezioni e ipotraduce o ipertraduce a seconda dei

suoi desideri.

L'opera di Cassi si trova a metà strada tra versione e ricreazione, è un imitatio cum

variatione, una traduzione «ipertestuale» poiché il testo di partenza è come deformato

Et victis cedat piratica laurea Gallis I, 122

E quello allor che de' Pirati avesti / ceda al lauro che colse altri fra' Galli I,166-67

E al gallico non ceda il piratico lauro I, 197-98 (ed. 1850)

E il piratico ceda al gallo alloro

Quae populos semper mersere potentes I,159

Ch'eternamente, e più profonda alligna / là dov'usa possanza il suo s o p e rc h i o I , 2 1 7 - 1 8 p r e s e n t e a n c h e nell'edizione del 1850

Che sempre un gran poter trasse a ruina

Audax venali comitatur Curio lingua I, 269

Curio, che a dicer fu così ardito I, 383

Curio / ch'ebbe al parlar sì ardito e rotto il labbro I, 429-30; ed. 1850

Curio / ch'ebbe al parlar sì ardito il labbro

Traina 1989, p. 9726

!26

ed enfatizzato. L'autore si rende ben conto di ciò e nell' Avviso al lettore dice: «mi sono

studiato di mettere qualche luce ne' luoghi più oscuri: di dare semplicità di forma e

vigor di parole alle sentenze: di temperare il soverchio delle iperboli, di ordinare più

naturalmente le narrazioni: di unire il più strettamente che mi sia stato possibile le

membra del discorso, talvolta troppo slegate: di evitare le ripetizioni: e in ultimo di

rendere poesia per poesia, non parola per parola (p.XII)». Secondo la definizione di

Gadamer (trad. it. Milano 1997), la traduzione cassiana è una «chiarificazione 27

enfatizzante» e il traduttore si assume piena responsabilità di questa enfatizzazione

decidendo il senso di ogni sfumatura del modello. Inserisce, allora, connotazioni

specificanti, nessi temporali, causali, avversativi, concessivi a sottolineature esplicative

date dalla voglia di precisare e aggiungere motivazioni. Emblema è il X libro del

volgarizzamento in cui Cassi procede autonomamente rispetto al testo latino, spesso

inventando, ampliandolo e impreziosendolo con dettagli barocchi e apostrofi

pronunciate dall'autore o da qualche personaggio.

Ardens e concitatus, secondo il giudizio di Quintiliano (inst. or. 10, 1, 90), di Lucano

Cassi enfatizza anche l'indignatio e la concitazione oratoria della Farsalia. Crea così un

accompagnamento costante dell'azione con commenti emotivi; il narratore è presenza

costante sulla scena e questo implica forzature della realtà storica, violente apostrofi e

invettive amare che vanno ad ampliare la presenza di Lucano nella sua opera.

Dell'indignata voce lucanea vengono enfatizzati i toni e la carica affettiva,

caratterizzando la versione italiana di maggior enfasi declamatoria rispetto a quella

latina e realizzando quella «tecnica teatrale di amplificazione verbale» che Mari

vedeva nell'Iliade di Monti e Cesarotti. Cassi realizza quello che Lucano lasciava solo

intendere e diventa interprete dei pensieri lucanei seguendo il principio settecentesco

della «traduzione interpretante» derivante dai teorici delle belle infedeli. Egli è

coinvolto negli eventi che narra e non esita a ribadire quanto importante sia la causa

Trad. it. Milano, 1997 cito da Nonni 2010, p. 27

!27

della libertà. La Nonni nota come impronta distintiva della «tendenza deformante» che 28

accentua l'indignazione lucanea piegando il canto della Farsalia a un'interpretazione

attualizzante sia la versione della celebre epigrafe del libro IX Pharsalia nostra / vivet

et a nullo tenebris damnabimur aevo (Phars. 9, 985 sg.): «così tu pur, Farsaglia mia,

ridica/ agli avvenir le furie ed i misfatti/ della città partita, e consegnando/ all'infamia

de' secoli lontani/ del cittadin ribelle il nome, ovunque/ s'oda suonar la tua libera

favella». (9, 2379-2384) Il Pharsalia nostra che nell'originale accomunava i destini di

Lucano e di Cesare, diventa, infatti, in Cassi Farsaglia mia in nome non solo del suo

orgoglio poetico di traduttore, ma anche della vis polemica nei riguardi delle funeste

imprese del passato.

Nel momento in cui la censura pontificia interviene per neutralizzare le espressioni

lucanee negatrici della bontà e della divina provvidenza, anche la riforma in senso

cristiano della sententiae epicuree della Farsalia diventa un altro tratto peculiare del

vertere cassiano. Cassi vuole tutelarsi da recriminazioni religiose e per fare ciò non solo

stigmatizza l'antiteismo di Lucano, ma sottopone i personaggi lucanei a un processo di

cristianizzazione. Il pesarese tratta con estrema libertà il suo testo di partenza, ma si

rivela essere un attento conoscitore e studioso di Lucano dandone spesso

un'interpretazione filologicamente più corretta di quella di traduttori e commentatori

successivi.

Egli è proiettato verso una nuova sensibilità poetica di orientamento romantico alla

ricerca di un impressionismo che trae vita anche dall'orrido e dal macabro. Con la

realizzazione di questa evoluzione stilistica, viene distrutta la compostezza e la misura

appresa da Monti che amava, per esempio, attenuare la sfera dell'orrido e le espressioni

crude. L'interpretazione cassiana si fa, così, sempre più libera e soggettiva fino a

sconfinare nella parafrasi; essa diviene anche sinonimo di una profonda ricerca interiore

e costante insoddisfazione che l'autore vive. Il volgarizzamento è per Cassi una prova da

cui esce cambiato approdando a una versione che ama allontanarsi, spesso,

Nonni 2010, p. 6928

!28

dall'originale.

Interpres ut poeta per la sua capacità di penetrare nell'animo del poeta tradotto, 29

sentendone tutte le vibrazioni e le passioni, Cassi non è un traduttore fedele né la sua

traduzione può dirsi avere quell'unità di tono ricordata da Benvenuto Terracini come

base della riuscita di una traduzione: «Il traduttore deve scegliere un tono ed una misura

e mantenerla uguale sino alla fine. In questa uguaglianza si riassume forse l'elemento

veramente attivo nella sua interpretazione». Nonostante ciò tra Lucano e Cassi avviene

un incontro definito dalla Nonni quasi un “cortocircuito” in cui due personalità forti si 30

confrontano e dialogano continuamente perchè Cassi rifiuta di sottomettersi al giogo

dell'aderenza pedantesca all'originale.

3.4. Lingua e stile della Farsaglia

Rendere Lucano in italiano significava nobilitarlo con un rivestimento aulico facendo

largo uso del latinismo, sia come base viva dell'italiano, sia come elemento decorativo,

e di tutti gli espedienti retorici della poesia: perifrasi, sostituzione dei nomi geografici

moderni con quelli antichi (Ausonia per Italia), costrutti tipici della sintassi latina

(ablativo assoluto, accusativo con l'infinito), iperbati, inversioni, anastrofi e costrutti

tipici della sintassi classicheggiante (accusativo e infinito e ablativo assoluto) atti a

movimentare l'ordo verborum.

LATINISMI ADOTTATI DA CASSI

Unqua, unquanco Teda per facem Repulsato Finittimo

Cimba per ratis Vo l i t a n d o p e r volitare

Statuir Egro

Tabe per tabum Vorago Imperio Delubri per templo

Angue per Pythona Curuli Testificando Clade

Nonni 2010, p.78 29

Ibid.30

!29

Portatori di aulicità sono anche i semilatinismi, come le forme piene in -ate/-ade e -ute/-

ude (amistade, crudeltade, posteritade, velocitade, virtude, etc.) a cui Cassi ricorre

anche nelle rielaborazioni prive di riscontro col testo lucaneo. Molto frequenti sono gli

arcaismi come francare (liberare) e perigliarsi (cimentarsi) e il ricorso alla perifrasi,

soprattutto di carattere geografico o mitico-eziologico, che va a sostituire la dizione

diretta del nome proprio o comune. La perifrasi diviene un meccanismo stilistico

importante, mutuato da Dante, da usare sia come ornatus che renda il dettato più ricco e

amplificato, che come elemento necessario per evitare i verba oscena, sordida e

humilia . 31

Bruma Contage Repulsato Pravo

Mancipi Certame Instrutto L a t e b r o s o p e r cavernis

Imago Incoli per incola Sculto Uberifere per bonis

Testificando per testatus

Turbo e procella per procellis

Virago Vindice per vindex

Inulta Ultor Alma Genitrice

Lue per tabes Anguina Omento T e r r i g e n i p e r gigantas

T r i s c u l c a p e r fulmina

Sorelle anguicome per Eumenidas

LATINISMI SEMANTICI

SIGNIFICATO SIGNIFICATO

Frequente Pieno, popolato Alto Mare

Sacro Maledetto Tuba Tromba

Pazienza Sopportazione Viso Vista

Studio Zelo Telo Dardo

Nonni 2010, p. 9231

!30

Una patina di nobiltà letteraria deriva anche dai tropi (metonimia, sineddoche,

metafora), che mirano a variare la versificazione e sono largamente usati da Cassi. Di

libro in libro, inoltre, è crescente l'uso delle figure di ripetizione che conferiscono al

testo magniloquenza e particolari effetti di sonorità, ma servono anche ad amplificare,

per esempio, la negatività della guerra civile accentuando l'intento moralistico. La

voglia, poi, di dare enfasi teatrale alla Farsalia è dato dall'impiego frequente di “figure

di pensiero”, come l'interrogazione e l'esclamazione che si intrecciano in direzione del

patetico, e l'apostrofe cha va dalla declamazione all'invettiva, con un forte incremento

dei discorsi diretti e della trasformazione della terza persona in seconda persona.

PERIFRASI

vinea Il grande ordigno e s pugna tor, cu i venne il nome / dal vitifero campo

Roma Donna di Quirin

Occasus Il suol ch'ha nome dal cader del sole

Creta Suol che in onta di Saturno udì i vagiti del Tonante

Titan Pianeta apportator del giorno

Europa Il suol cui diede nome l 'agenorea Fanciulla

Padus Il fiume maggior che Italia bagna

Cerberus Mastin di Pluto

Euphrates Il fiume che fratello al Tigri nasce

Natura Gran madre delle cose

Fortuna Cieca diva; volubil dea

Romulus Allievo della lupa

AMPLIAMENTI CASSIANI senza riscontro nell'originale.

LUCANO CASSI LUCANO CASSI

Roma Roma insana Tam longa potentia Q u e s t o c r u d o / questo lungo poter

!31

Fortuna Empia Fortuna; o rea fortuna; fortuna traditrice

Ferri; Ferro; ferrum;

Degli odiosi brandi: il ferro sanguinoso; vindice brando

Sanguinis Il diviso sangue fides La santa religion

Armatasque manus excusso iungere ferro

Strappar dall'una destra, e l'altra/ le mal brandite spade, e in santo nodo / stringerle amiche

Adsensere Di feroce / assenso fer certificato il duce

Stimulos dedit All ' i r e in ique / sprone si fa

Senatus Il vil Senato

Egestas Turpe bisogno Marium L ' i n s a n g u i n a t o Mario; Implacabil Mario

Motus Sì laid'opra Haec propter In tanto orror

I u s s a m s e r v i r e famem

Comandò la fame, e la fe' serva/ a sua malizia

Dies La triste luce d'un giorno, sanguinoso giorno

Pelagus La pianura del mar Pace; pacem

Al santo ozio di pace; tanto lacrimata pace

Paupertas La santa povertà Fides Pia fede

Europa Nobile Europa Malum Gran danno

Camillo Prode Camillo Iuventus Animosa gioventù

Nilo Celeste Nilo Matres Onorande matrone

Nurus Romulee spose Signa Le sacre insegne

Fiducia Franca fidanza Spes Bella e santa speme

Causam senatus Santa causa nostra Amplexus D e s i a t i e s a n t i amplessi

Iras Le tremende ire Assyriae paci Maledetta assira pace

!32

Il lavoro cassiano prende dunque avvio dal gusto virgiliano e classicheggiante tutto teso

alla ricercatezza retorica e al decorum, ma nell'allontanarsi sempre più da Monti, ne

neutralizzerà anche la compostezza formale. Il tutto si esplica in uno stile poco

armonizzato, una sorta di pastiche in cui trovano parte intonazioni alfieriane (variazioni

dotte e arcaizzanti, sintassi ricca di iperbati, lessico e morfologia classicheggiante),

versi ed espressioni dantesche ( alluminar, ricolta, soperchio, vanni, insempra, quinci, il

gran rifiuto, etc.), espressionismo macabro (ricorso a termini quale: crudo, turpe,

crudele, sanguinoso, etc.), suggestioni della poesia cimiteriale e ossianesca (quadri

notturni e immagini tetre). Non mancano, però, anche rari arcaismi ed elementi desunti

dalla tradizione comico-realistica (parole impoetiche come carogna, macello), insieme a

tecnicismi (attrabaccati , s'aggraticcia , buccine , bertesche ) e forme popolari e 32 33 34 35

gergali di derivazione dantesca.

È importante sottolineare, a tal proposito, l'importanza che Dante ha per Cassi. Egli è,

seguendo quanto scrive Chiara Nonni, il suo «autore elettivo» e frequenti sono nella 36

Reges I trepidi tiranni Nostro aevo; in hoc aevo;

Corrottissima età; in questa corrotta etade

belli Empia guerra Arma L'empie parricide armi

caput Insanguinata testa Caesar L'empio Giulio

homini Miseri mortali Pompeianus L'astuto pompeiano

Pothinus Il perfido Fotin Hora Terribil ora

«Accampato, attendato in trabacche» GDLI32

«Avvolgersi e intrecciarsi attorno a checchessia in modo da formar quasi un graticcio» (Tommaseo-33

Bellini)

«Strumento militare antico da fiato» (Tommaseo-Bellini)34

«Opera difensiva a foggia di piccola torre» GDLI35

Nonni 2010, p. 19636

!33

versione cassiana versi della Commedia. Il culto di Dante è, infatti, una costante tra i

componenti della scuola classica romagnola e il dantismo romagnolo costituisce un

capitolo significativo della fortuna di Dante nell'Ottocento. La Commedia è per Cassi

«enciclopedia di loci, forme, voci, accezioni, immagini, riserva essenziale di moduli

stilistici e di formulari espressivi, e soprattutto vale come miscrotesto essenziale per la

funzione di filtro e mediazione svolta nei confronti degli esametri della Pharsalia». 37

Quanto al periodare, questo è variabile, va dalla ipotassi al ritmo più martellante,

peculiare dello stile spezzato o interrotto e l'esamentro, spesso, è reso con una serie di

coordinate. Cassi traduce con un linguaggio ricco di connotazioni etiche realizzando

versi molto enfatici, preleva e ricombina in una forma inedita, presta la sua voce a

Lucano facendo derivare una sintassi franta e un'eloquenza enfatica e ridondante. In

ogni caso, egli si rivela acuto conoscitore di Lucano, è, a un tempo, poeta e interprete e

Esempi di echi danteschi nella Farsaglia di Francesco Cassi

Là dov'usa possanza il suo soperchio (Phars. I, 256; ed. 1850)

in cui usa avarizia il suo soperchio (Inf. VII, 48)

Guisa se al vento le gonfiate vele / Caggiono avvolte poi che l'arbor fiacca (Phars. I, 819-820; ed. 1850 )

Quali dal vento le gonfiate vele / caggiono avvolte, poi che l'alber fiacca (Inf. VII, 14)

E surger par della tebana pira, / Dov'Eteòcle col fratel fu messo (Phars. 889-890; ed. 1850)

di sopra che par surger della pira / dov'Eteòcle col fratel fu miso? (Inf. XXVI, 53-54)

che 'l fornito / Sempre con danno l'attender sofferse (Phars. I, 448-449; ed. 1850)

affermando che 'l fornito / sempre con danno l'attender sofferse (Inf. XXVIII, 98-99)

Arunte […]cittadin dei muri della deserta Luni (Phars. I, 944-46)

Aronta […] /che ne' monti di Luni […] / […] / ebbe tra' marmi bianchi la spelonca (Inf. XX, 46 sgg.)

Erittona crudel (Phars. VI, 508) Eritòn cruda (Inf. IX, 23)

Ivi, p. 20437

!34

la sua traduzione è un continuo dialogo con l'originale e il suo autore.

Il suo allontanamento progressivo dalla lettera del testo lucaniano avrà ampio sbocco

nei tre saggi di proseguimento con i quali il Cassi tentò di continuare la Farsalia. Prima

di lui c'era già tutta una tradizione di "continuatori" del poema lasciato interrotto da

Lucano (per esempio nel sec. XVI Giulio Morigi, nel sec. XVII Thomas May,

quest'ultimo in latino): ci si proponeva, per lo più, di arrivare fino alla fine della guerra

civile o fino alla morte di Cesare. Dopo aver preannunziato tale suo proposito nella

Licenza posta in fine alla traduzione (e pubblicata anche a parte), nel 1839 Cassi

pubblicò a Pesaro un Saggio di proseguimento della Farsaglia, di 513 versi; dopo la sua

morte, ne fu pubblicato un Secondo saggio di proseguimento alla Farsaglia (Pesaro

1858) e, poi, un Terzo saggio (Pesaro, stesso anno: in tutto circa 300 versi). In essi

evidente è la sovrabbondanza di un classicismo sottratto a ogni misura e ricco di

eccessi, molto vicino alla prolissità e al barocchismo di Lucano, quasi a voler

sottolineare come difficile fosse leggere e tradurre classicamente un poeta così poco

classico come Lucano.

Capitolo quarto

Traduzione e originale a confronto: Cassi e Lucano

Mi sono studiato di metter qualche luce ne' luoghi più oscuri, di dare semplicità di forma e vigor di parole alle sentenze , di temperare il soverchio delle iperboli, di ordinare più naturalmente le narrazioni, di unire il più strettamente che mi sia stato possibile le membra del discorso, talvolta troppo slegate, di evitare le ripetizioni, e in ultimo di rendere poesia per poesia, non parola per parola. […] mi giova sperare che gl'Italiani accoglieranno con benigno viso la mia traduzione, perdonandomi, se dove non mi è riuscito di dire come avrei voluto, mi sono contentato di dire come ho potuto.

Francesco Cassi, Al Lettore,Farsaglia 1850

I versi seguenti rientrano nella parte che Cassi schematizza nell'indice delle materie

!35

della sua Farsaglia come “Cagioni della guerra civile”. In essi, con amaro realismo,

Lucano osserva come neppure il più vasto impero del mondo fosse grande abbastanza

per soddisfare le ambizioni di Cesare e Pompeo, l'uno e l'altro determinati a rischiare il

tutto per tutto pur di avere il potere. Le cause della guerra vengono allora individuate

nella fortuna e nel carattere dei due protagonisti ma anche nella prematura morte di

Giulia, figlia di Cesare andata in sposa a Pompeo, che ha inconsapevolmente contribuito

al precipitare degli eventi che portano alla guerra civile. Il passo scelto si conclude con

un verso dal sapore epigrafico per Catone, che Lucano tratteggia come un personaggio

di stampo tragico, perfetto sapiens stoico immerso in un universo sensa lógos, difesa dei

valori supremi in un contesto di distruzione e caos.

Dividitur ferro regnum: populique potentis,

110 Quae mare, quae terras, quae totum continet orbem,

Non cepit fortuna duos. Nam pignora iuncti

Sanguinis, et diro ferales omine tedas

Abstulit ad manes, Parcarum, Iulia, saeva

Intercepta manu. Quodsi tibi fata dedissent

115 Maiores in luce moras, tu sola furentes

Inde virum poteras atque hinc retinere parentem,

Armatasque manus excusso iungere ferro,

Ut generos mediae soceris iunxere Sabinae.

Morte tua discussa fides, bellumque movere

120 Permissum ducibus. Stimulos dedit aemula virtus.

Tu, nova ne veteres obscurent facta triumphos,

Et victis cedat piratica laurea Gallis,

Magne, times: te iam series ususque laborum

Erigit, impatiensque loci fortuna secundi.

125 Nec quemquam iam ferre potest Caesarve priorem,

Pompeiusve parem. Quis iustius induit arma,

!36

Scire nefas: magno se iudice quisque tuetur:

Victrix causa deis placuit, sed victa Catoni.

Marco Anneo Lucano, Pharsalia 109-128

I versi evidenziano una ricca trama retorica a carattere patetico, elemento distintivo

dello stile lucaneo. Si aprono con la classica metonimia ferro per armis presente anche

al v. 117 e frequenti sono le figure di struttura (enjambements, iperbato: vv. 109-111 e

doppio iperbato incrociato: v. 112 Diro ferales omine taedas; anafora: quae… quae…

quae…, v. 110), di suono ( allitterazione: populique potentis, v. 109) che danno vita a

una versificazione concitata. Sintatticamente abbiamo la prevalenza di periodi estesi,

con struttura simmetrica (vv. 109-111) o a struttura prevalentemente paratattica (vv.

111-114).

Dall'empia man de' nostri lacerate

Ecco le membra dell'imperio: ed ecco

Mutata Roma in un orribil mostro

175 Di due gran capi insiem cozzanti in fiera 38 39

Sanguinosa tenzone , onde l'un rotto 40

L'altro intero rimanga, e solo s'abbia

Quel serto che bastar non puote a due. 41

Giulia! Ti coglie in tuo mattin la Parca:

180 La teda nuzïal volta è in funebre, 42

«Figur. Che è in contrasto, che è in discordia; inconciliabile» (Alfieri, Marino, Cesarotti, Monti, 38

Foscolo) GDLI

Usato in Guittone, Pulci, Ariosto, Parini, Alfieri GDLI39

Termine presente in Dante, Boccaccio, Bembo GDLI40

«Corona (per lo più d'alloro per il riconoscimento di un'impresa di valore» (Savonarola, Parini, Monti) 41

GDLI

Usato dal Cassi per tradurre il facem latino è presente in Boccaccio, Bembo, Marino, Metastasio, 42

Foscolo GDLI

!37

E scendi all'ombre, e teco porti il pegno 43

Del giunto sangue. Ah se più lunga il Fato 44

Questa luce mortal ti concedea,

Tu amorosa, tu pia potevi sola

185 Frenar quinci il marito, e quindi il padre; 45 46

Sola strappar dall'una e l'altra destra

I mal branditi ferri, e in santo nodo 47

Stringerle amiche; come un dì fra l'armi

Le interposte sabine in dolci amplessi 48

190 Giunser padri e mariti. Ma la tua

Morte ha disciolti della fè giurata

Tutt' i legami: più disdetta ai duci

Non è la guerra: e un emulo valore

Ne' fieri petti all'ire inique è sprone . 49

195 Pompeo paventa non gli antichi suoi 50

Trionfi offuschi lo splendor dell'alte

Cesaree geste, e al gallico non ceda

Il piratico lauro. Superbisce 51

Usato in Cavalcanti, Dante, Boccaccio, Petrarca, Gozzi, Tasso, Marino GDLI43

«p.p. di giungere. Legato da vincoli di parentela, di amore, di amicizia» (Dante, Ariosto) GDLI44

«Fig. nel senso di reprimere, moderare, attenuare, impedire, temperare gli eccessi (di una 45

persona)» (Petrarca, Alberti, Savonarola, Marino, Metastasio, Verri, Alfieri, Manzoni) GDLI

«Di qui» (Dante, Boccaccio, Cesari) GDLI In correlazione con quindi (Dante, Boccaccio, Marino, 46

Tasso, Leopardi) ha il signicato di di qua e di là

«Impugnato con forza, scosso, agitato in aria» (Simintendi, Nardi, Manzoni, Leopardi) GDLI47

«Lett. Abbraccio» (Lorenzo de' Medici, Tasso, Metastasio, Monti,Manzoni) GDLI48

«Fig. Stimolo, motivazione, incitamento ad agire» (Latini, Dante, Boccaccio, Petrarca, Guicciardini, 49

Foscolo, Manzoni, Leopardi) GDLI

«Prevedere conseguenze negative o funeste; temere» (Chiaro Davanzati, Della Casa, Guarini, Tasso, 50

Metastasio, Alfieri, Manzoni, Leopardi) GDLI

«Mostrare un atteggiamento altero, orgoglioso» (Dante, Marino) GDLI51

!38

De' suoi tanti trofei Cesare, e sdegna 52

200 Nella gloria del campo aver compagni.

L'un dell'ugual, del maggior l'altro ha tema . 53

Qual di lor corra con più diritto all'armi

Saper non lece . Ognun da la sua parte 54

Sott'alto scudo di difesa osteggia; 55

205 Col vincitor è il ciel, col vinto è Cato.

Francesco Cassi, Pharsalia vv. 172-205

Con la traduzione cassiana, il testo latino è come deformato ed enfatizzato. A subire

questo processo è qui la situazione dell'Impero romano che, personificato, diventa un

corpo dalle membra lacerate e Roma un “terribil mostro”. L'esametro di Lucano è reso

con l'endecasillabo sciolto con il quale il testo originale appare notevolmente ampliato:

in questo passo, a fronte dei dodici versi dell'originale latino, abbiamo trentaquattro

endecasillabi della versione cassiana.

Il gusto di un arredo classico è ben visibile non solo nei temi ma anche nel linguaggio

con il recupero di latinismi quali imperio, serto, teda, il pronome comitativo teco, duci,

emul, paventa, lauro, lece, Cato. Da notare l'assenza della -v- intervocalica

dell'imperfetto indicativo concedea (v.183) con la terminazione in -ea tipica della lingua

medievale usata da Dante, Alfieri, Foscolo, e la forma dittongata puote al v. 178. Al v.

201 è preferita la grafia tema, al posto di timore e al v. 203 lece al posto del più comune

lice. Il latinismo amplesso, quale variante dotta, viene preferito al più comune

abbraccio. Il plurale di gesta è reso con geste (v. 197) in accordo con l'aggettivo cesaree

e il latinismo gallico, al v. 197, ben si accorda con il piratica del testo latino. La

«Ricusare, rifiutare» (Francesco da Barberino, Dante, Boccaccio, Giordani, Foscolo) GDLI52

«Ant. e lett. timore» (Brunetto Latini, Dante, Tasso, Vico, Algarotti, Monti, Manzoni) GDLI53

Da licere latino (Guittone, Dante, Ariosto, Marini, Leopardi) GDLI54

«Attaccare militarmente; aggredire; contrastare» (Ser Giovanni, Bembo, G. Villani, De Roberto, 55

Pucci, Pisacane) GDLI

!39

costruzione del verbum timendi, timeo (v.123 times), latino con ne + congiuntivo, non è

resa da Cassi con la traduzione temere che/di, ma con paventa non gli antichi suoi

trionfi offuschi. L'uso consistente di troncamenti, soprattutto in -al (nuzïal, mortal,mal,

ugual), -ar (bastar, frenar, strappar), -er (giunser, aver, saper), ma anche delle

preposizioni articolate dei e nei (de', ne'), segnano la trama ritmica del componimento

insieme ai frequenti enjambements e iperbati creano una certa tensione che ben si adatta

al tema concitato dei versi oltre a un ordo verborum da sapore classicheggiante. Nella

stessa direzione vanno anche le esclamazioni (v. 179 Giulia!, v. 182 Ah se più lunga…)

e l'uso del polisindeto. Coordinazione e subordinazione si fondono e molto usata è la

costruzione infinitiva latineggiante ( sdegna aver, sapere non lece). Ridondano i

pronomi personali di II persona singolare, nella forma soggetto e complemento (tu, ti,

teco) che danno maggiore enfasi ai protagonisti e c'è la ricerca di un espressionismo che

passa attraverso i registri del macabro. In tale contesto l'aggettivo occupa uno spazio

rilevante distendendosi padrone sul testo per cui la man del v. 172 diventa empia, le

membra lacerate, il mostro del v. 174 è orribil, la tenzone è sanguinosa, e così via,

facendo trasparire tutta l'indignazione e la partecipazione morale del Cassi, come

rilevato anche da fieri petti, ire inique.

Lo stile è altisonante e la trama retorica è molto ricca: ripetizioni (ecco v. 172, col…

col v. 205), reduplicazione anaforica per intensificare il tu sola latino (v. 184 tu

amorosa, tu pia potevi sola), apostrofi ora a Giulia ora a Pompeo, allitterazioni,

soprattutto della m (membra dell'imperio v.173), della n (sanguinosa tenzone, onde

l'un), della s (solo s'abbia quel serto che bastar v.178), della l (l'un dell'ugual del

maggior l'altro), metonimia ferri per armi (v. 187) e ombre per aldilà e la paronomasia

del dantismo quindi/quinci del v. 185. Da notare, infine, come i vv. 197-198 siano

parziale accettazione, da parte di Cassi, della correzione montiana e il piratico ceda al

gallo alloro, modificando il suo E quello allor che de' Pirati avesti / ceda al lauro che

colse altri fra' Galli nel primo saggio di traduzione del 1820.

!40

Capitolo quinto

Traduzione cassiana e “questione della lingua” nell'Ottocento.

«Quando si traduce non è più la lingua del tradotto, cui si debbano i primi riguardi, ma quella del traduttore». Vincenzo Monti, prefazione all'Iliade (1807)

5.1. Reazione al gusto gallicizzante: puristi e classicisti

L'Ottocento è uno di quei secoli che seguendo le parole di Pietro Trifone «scandiscono

gli eventi cruciali della storia linguistica italiana» insieme al Trecento e al 56

Pietro Trifone in Storia della letteratura italiana (E. Malato), p. 19956

!41

Cinquecento. La prima metà del secolo è caratterizzata, infatti, dalla contrapposizione

tra conservatorismo e innovazione linguistica: al Settecento illuminista e cosmopolita,

aperto agli influssi francesi, segue un moto di avversione alla cultura e alla lingua

straniera e un ritorno alla tradizione italiana sollecitato dallo spirito di indipendenza e

dal gusto neoclassico. I letterati italiani, come ben spiegato da Maurizio Vitale , 57

trovarono modo di reagire al gusto gallicizzante nell'adesione ai valori formali,

linguistici e stilistici della letteratura italiana dei più antichi secoli, nel rifiuto delle

lingue straniere e nel culto della lingua come vincolo della nazione, rispondendo con

varie tonalità di purismo e tradizionalismo.

Il movimento puristico ritorna al culto dell' « aureo Trecento » e ha il suo maggiore

rappresentante nel veronese Antonio Cesari per il quale è importante ritornare alla

lingua dei trecentisti senza alcuna distinzione tra testi elevati e scritture popolari. Egli,

infatti, «condannava gli orientamenti linguistici del Settecento europeista e,

proclamando la sua fede indiscussa negli scrittori del Trecento, imponeva con rigore

esclusivista la più stretta e fedele imitazione della loro lingua ». 58

Strenui avversari del fiorentinismo arcaizzante dei puristi furono i classicisti, in

particolare Vincenzo Monti, che criticava l'accettazione indiscriminata dei testi antichi e

proponeva un attento vaglio delle citazioni. Monti, insieme al genero Giulio Perticari,

auspicava a un ritorno all'ideale cinquecentesco «di una lingua italiana “comune”,

nobilitata dall'uso dei migliori scrittori da ogni parte della penisola ». 59

Anche i letterati romantici, dal loro canto, si inseriscono nella questione della lingua con

la condanna del purismo, facendo notare ai classicisti come, però, la loro iniziativa

eliminasse la realtà viva della lingua trascurando fonti di arricchimento linguistico come

i dialetti. La questione linguistica, infatti, con l'avvento del Romanticismo era mutata

notevolmente, dal momento che il luogo discriminante cominciava ad essere non più la

Vitale 196257

Ivi p. 17558

Trifone 1998, p. 20459

!42

lingua letteraria ma quella della società, come sottolineato da Coletti, e quindi andava 60

acquisendo un contenuto sociale dato dalla vocazione democratica e realistica dell'epoca

e non una percezione della realtà mediata dalle risorse della lingua dotta come avveniva

nel classicismo.

5.2. Scuola classica romagnola: certamen atque aemulatio

La difesa della lingua italiana è uno degli interessi principali dei componenti della

scuola classica romagnola che, seguendo quanto scrive Piero Treves, «hanno il merito di

battersi a difesa della lingua, che da pura attività letteraria, diviene, con e dopo la

Restaurazione, un'attività direttamente o indirettamente politica» vista come «indice e

strumento di nazionalità».

Il magistero di Monti e Dionigi Strocchi, insieme alla fitta rete di rapporti tra i vari

membri, quasi tutti affiliati all'Accademia Rubiconia Simpemenia dei Filopatridi di

Savignano, e la presenza di importanti istituzioni culturali come il Giornale Arcadico,

fondato nel 1819 da Giulio Perticari, fanno parlare di scuola. Il loro lavoro è un lavoro

di squadra caratterizzato da esibito antiromanticismo, da purismo moderato in fatto di

lingua, da solidità nella preparazione antiquaria e storico filologica e nel culto di Dante.

In questo contesto va collocato l'interesse che i letterati di tale scuola hanno per le

traduzioni, soprattutto dal latino. Sono, infatti, cultori dello stile e delle forme antiche

tanto da poter parlare di religione dei classici e neoumanesimo . Il modello romagnolo 61

di volgarizzamento pone particolare accento non tanto nel rapporto con l'originale

quanto sul problema della lingua in cui voltarlo e Monti stesso diceva, nella prefazione

all'Iliade (1807) che « quando si traduce non è più la lingua del tradotto, cui si debbano i

primi riguardi, ma quella del traduttore». Per dirla con le parole di Paolo Ferratini, «il

nodo più delicato da sciogliere non sarà più di natura sincronica (originale vs

Coletti 2000, p. 23160

Nonni 2010, p. 1761

!43

volgarizzamento), ma diacronica (volgarizzamento vs tradizione letteraria italiana)» 62

La lingua italiana è concepita essenzialmente nelle sue implicazioni con le lingue

classiche in cui il canone della latinità aurea detta legge pressocchè incondizionata.

Virgilio e Orazio sono maestri assoluti di stile e poetica e nelle prefazioni ai

volgarizzamenti, il traduttore era solito sottolineare la propria adesione al modello

elaborato dalla scuola, che comprendeva la citazione di due tre auctoritates, soprattutto

Cicerone, Orazio e Quintiliano, invocate contro lo spettro della “brutta fedele”, insieme

a qualche accento di polemica antiromantica e al richiamo alla tradizione linguistica del

Tre e Cinquecento italiano. Questa idea di lingua pone in contrasto i romagnoli con 63

l'articolo Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni, pubblicato nel 1816 da M.me de

Staël, che incitava «gli intelletti di bella Italia» a rivolgere l'attenzione «al di là delle

Alpi» per «rifornire le lettere impoverite».

I Romagnoli in sede teorica ribadivano la separazione tra volgarizzamento e imitazione,

ma in sede pratica facevano coincidere molto spesso i due termini, per cui risultava

difficile rimanere nella via di mezzo tra fedeltà all'originale e bellezza. Il modello è

quello del certamen atque aemulatio, ossia della traduzione-gara-imitazione con il

recupero dei propri classici natali. Questo perchè la gara è avvertita come possibile dal

momento che il mondo classico, e in particolare latino, è sentito come un mezzo per

recuperare le radici classiche a cui il volgarizzatore sente di appartenere. Il certamen

trova il suo avversario, ma anche alleato, nell'autore latino, mentre oggetto vero

dell'aemulatio è sempre un modello di una certa tradizione italiana scelto a metà tra il

fiorentinismo del Cesari e le correzioni razionaliste di Monti.

Seguendo il pensiero di Patrizia Paradisi, possiamo dunque dire col Goethe che questi

traduttori hanno la tendenza ha condurre il testo verso il lettore, anche se con modalità e

finalità diverse per ciascuno di loro. Tanto che ella, non a torto, parla di «libertà

programmatica che essi si proponevano nel tradurre gli autori antichi e della

Ferratini 1988, p. 17362

Ivi, p. 18563

!44

sovrapposizione degli schemi e dei modelli della tradizione letteraria italiana». 64

5.3. Francesco Cassi tra tradizione e innovazione

Nel panorama delle traduzioni della scuola classica romagnola, quella della Farsaglia di

Francesco Cassi risulta essere un'eccezione. Innanzitutto, l'epica in generale, e

soprattutto quella virgiliana, trovava presso la scuola poco spazio e popolarità, dato il

timore reverenziale dinanzi a un modello considerato inarrivabile, quale quello

virgiliano. La Farsaglia fu invece seguita, attesa, sollecitata con grande premura da

mezza Italia e per ragioni non solo letterarie. Cassi trovava in Lucano «molte volte se

stesso», come rileva Montanari, ma anche la forza dello stile, del pathos, della

grandiosità, insieme all'attenzione al contenuto storico-politico.

Il volgarizzamento durò molto, dal dal 1810 al 1836, e durante questo periodo Cassi

realizzò quella che Chiara Nonni definisce «progressiva evoluzione stilistica» ossia

«una compenetrazione con la magmatica poesia di Lucano, che distrugge la misura, la

compostezza e l'uniformità di modulazione apprese da Monti». Da una parte c'è in lui 65

l'aspirazione a mantenere vive le regole del decorum, dall'altra di esprimere nella sua

opera un senso di appassionata serietà e interiorità. La sua anima era per metà romantica

e proprio per questo l'attività letteraria era vista come azione militante che potesse dare

un contributo incisivo alla realtà politica italiana e, ricordando le parole di Pascucci,

Cassi sentiva il dovere «di partecipare sia come cospiratore che come scrittore alla lotta

risorgimentale per la indipendenza della patria». 66

Il volgarizzamento doveva avere, dunque, un profondo valore educativo in cui l'ideale

sterile di bellezza poetica è ripudiato per una letteratura che sia nobile ufficio nazionale

e civile, come il Romanticismo prescriveva. Ecco perché la Farsaglia del Cassi ebbe

Paradisi 1988, p. 20164

Nonni, p. 2765

Cito da Nonni 2010, p. 33 66

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favore comune anche in chi era lontano dei dettami della scuola classica romagnola.

Quest'ultima, dal suo canto, diventava sempre più estranea alle implicazioni ideologiche

cassiane, non solo in termini politici-sociali ma anche stilistici. I sodali romagnoli si

trovarono davanti a ciò che definirono un'imitazione più che un volgarizzamento. Cassi

cambiava, toglieva, aggiungeva ma il suo ecessivo arbitrio sembrava giustificato dalla

scelta di Lucano, autore lontano dai canoni classici.

La licenza di mutare l'originale arbitrariamente la si ottiene seguendo il solo criterio del

gusto personale e, proprio questo, Cassi sottolineava nell'introduzione alla sua

Farsaglia: «in ciò mi sono conformato soltanto al mio sentire» dicendo anche di «non

seguire le traccie di nessuno de' volgarizzatori che mi hanno preceduto; né di tenermi

stretto più ad una che ad altra delle molte diverse lezioni, né più a quello che a questo

de' vari comenti sull'originale» (Al Lettore).

Per Benvenuto Terracini, «è più facile tradurre un classico quando si maneggia una

lingua impregnata di classicismo» , e infatti Cassi dimostra di sapersi destreggiare bene 67

tra i versi lucanei, essendone un attento conoscitore; egli, però, aggiunge che «ciò può

anche sviare e turbare il traduttore» poiché se è vero che la traduzione è il genere

letterario che meglio riflette la storia del gusto e della cultura, è anche vero che con il

gusto e la cultura cambia la prospettiva con cui si guarda all'originale. Cambiando in

Cassi gusto e cultura, alla sua preoccupazione estetica attenta ai dettami della scuola

romagnola, si va sostituendo, dunque, l'attenzione storico-politica per Lucano e, a quel

punto, non essendo “propriamente un romagnolo” sente l'anima classica incapace di 68

rendere Lucano. Tutto ciò lo condurrà ad abbandonare l'aurea simplicitas e la

compostezza formale che le correzioni montiane avevano apportato al Saggio del 1820,

a favore di uno stile poco armonizzato in cui trovano posto elementi di vario genere e

soprattutto indugi all'espressionismo macabro e alle suggestioni cupe della poesia

cimiteriale e ossianesca, amante dei quadri notturni e delle immagini tetre che si

Terracini 1996, p. 8667

Cito Petrucciani da Nonni 2010, p. 3668

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amplificano soprattutto a partite dal libro VI. A tal proposito, non bisogna dimenticare

che Cassi si dedicò, negli ultimi anni della sua vita, al volgorizzamento delle

meditazioni di Edward Young che si trovano sulla stessa linea del suo gusto 69

ossianesco.

Cassi ama dare al suo vertere la cifra peculiare dell'arte allusiva con cui può

impreziosire i suoi endecasillabi «nella contaminatio di loci e stilemi della più elevata

tradizione letteraria italiana e latina» . Nei suoi scritti c'è la presenza di grandi modelli 70

quali Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso, ma anche Marino, Parini, Alfieri,

Leopardi, Manzoni, oltre ai latini Cicerone, Virgilio e Seneca. Estrema è la variatio dei

prelievi intertestuali che per Cassi devono funzionare come varchi che rinviano a un

mondo di corrispondenze secondo i dettami dell'arte allusiva. In questo contesto, per

dirla con la Nonni, «la parola altrui non appare dunque alienata, ma felicemente ospitata

nel testo di arrivo. […] Ne risultà così […]una poesia densa e riflessa, culta e dotta […]

E dal suo “libro della memoria”, che si rivela come una collezione di auctoritates, Cassi

seleziona di volta in volta la voce più adatta a decifrare il tono e il senso di uno

specifico passo di Lucano ». 71

Volgarizzamento della sesta meditazione notturna di Odoardo Young intorno la dimenticanza della 69

morte, Pesaro 1834, e Libera versione della XI meditazione notturna di Odoardo Young in Prose e poesie... di italiani viventi, IV, Bologna 1836, pp. 214-216

Nonni 2010, p. 11670

Ivi, p. 118 e sgg.71

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Per le pubblicazioni ottocentesche della Pharsalia mi sono servita di: CLIO: Catalogo dei libri italiani dell’Ottocento (1801-1900) Quanto alla Farsaglia di Francesco Cassi, ho usato l'edizione del 1850. Strumenti e opere di consultazioni generale: GDLI, Salvatore Battaglia (ed.), Grande Dizionario della Lingua Italiana, 21voll.,

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Torino 1961-2002. Dati ulteriori provengono dal catalogo OPAC del Servizio Bibliotecario Nazionale (servizio del Libro antico e moderno)

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