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Lionardo Vigo, un pioniere dell'etnografia siciliana

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SERGIO BONANZINGA LIONARDO VIGO, UN PIONIERE DELL'ETNOGRAFIA SICILIANA ESTRATTO da LARES Quadrimestrale di studi demoetnoantropologici 2015/1 ~ a. 81
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SERGIO BONANZINGA

LIONARDO VIGO, UN PIONIEREDELL'ETNOGRAFIA SICILIANA

ESTRATTOda

LARESQuadrimestrale di studi demoetnoantropologici

2015/1 ~ a. 81

ISSN 0023-8503

LAR

ES

1 2015

Rivista fondata nel 1912diretta da

Pietro Clemente

Leo S. OlschkiFirenze

Anno LXXXI n. 1 – Gennaio-Aprile 2015

Anno LXXXI n. 1 Gennaio-Aprile 2015

Rivista quadrimestrale di studi demoetnoantropologici

Fondata nel 1912 e diretta da L. Loria (1912), F. Novati (1913-1915), P. Toschi (1930-1943; 1949-1974), G.B. Bronzini (1974-2001), V. Di Natale (2002)

RedazionePietro Clemente (direttore), Fabio Dei (vicedirettore),

Caterina Di Pasquale (coordinamento redazionale),Elena Bachiddu, Paolo De Simonis, Antonio Fanelli, Maria Federico, Mariano

Fresta, Martina Giuffrè, Maria Elena Giusti, Costanza Lanzara, Luigigiovanni Quarta, Emanuela Rossi, Lorenzo Urbano

Comitato Scientifico InternazionaleDionigi Albera (CNRS France), Sergio Della Bernardina (Université de Bretagne

Occidentale), Daniel Fabre (CNRS-EHESS Paris), Angela Giglia (Universidad Autónoma Metropolitana, Unidad Iztapalapa), Gian Paolo Gri (Università degli studi di Udine), Reinhard Johler (Universität Tübingen), Ferdinando

Mirizzi (Università degli studi della Basilicata), Fabio Mugnaini (Università degli studi di Siena), Silvia Paggi (Université di Nice-Sophia Antipolis), Cristina Papa (Università degli studi di Perugia), Leonardo Piasere (Università degli studi di Verona), Alessandro Simonicca (Università degli studi di Roma “La Sapienza”)

Anno LXXIX n. 1 GENNAIO-APRILE 2013

LARESRivista quadrimestrale di studi demoetnoantropologici

Fondata nel 1912 e diretta da L. Loria (1912), F. Novati (1913-1915),P. Toschi (1930-1943; 1949-1974), G.B. Bronzini (1974-2001), V. Di Natale (2002)

REDAZIONE

Pietro Clemente (direttore), Fabio Dei (vicedirettore),Caterina Di Pasquale (coordinamento redazionale),

Elena Bachiddu, Paolo De Simonis, Antonio Fanelli, Maria Federico, Mariano Fresta,Martina Giuffre, Maria Elena Giusti, Costanza Lanzara, Emanuela Rossi

COMITATO SCIENTIFICO INTERNAZIONALE

Dionigi Albera (CNRS France), Sergio Della Bernardina (Universite de BretagneOccidentale), Daniel Fabre (CNRS-EHESS Paris), Angela Giglia (Universidad

Autonoma Metropolitana, Unidad Iztapalapa), Gian Paolo Gri (Universita degli studidi Udine), Reinhard Johler (Universitat Tubingen), Ferdinando Mirizzi (Universitadegli studi della Basilicata), Fabio Mugnaini (Universita degli studi di Siena), SilviaPaggi (Universite de Nice-Sophia Antipolis), Cristina Papa (Universita degli studi diPerugia), Leonardo Piasere (Universita degli studi di Verona), Alessandro Simonicca

(Universita degli studi di Roma «La Sapienza»).

SAGGI

PIETRO CLEMENTE, L’attualita di Antonio Pigliaru: note introduttive . . . . . . . . . 5

GAETANO RICCARDO, Conflitto di ordinamenti e conflitto di paradigmi in Antonio Pigliaru . . 11

COSIMO ZENE, Riflettendo su Antonio Pigliaru: tra ordinamenti e paradigmi – dono e/o ven-detta? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

DOMENICO COPERTINO, Autorita in questione. Islam e modelli di soggettivita devota nelle di-scussioni in moschea a Milano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

LAURA CHERUBINI, Arpie dalle belle chiome. Di capeli e turbini fra mondo antico e survivalsmoderni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

MARIANO FRESTA, L’identita culturale alla prova dei fatti. Il caso della val Germanasca 1981-82 95

ARCHIVIO

PIETRO CLEMENTE, Evocare la «barbuira». Riti calendariali e memorie di ricerca . . . . . 113

Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127

Pubblicato nel mese di ottobre 2014LEO S. OLSCHKICASA EDITRICE

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LARESQUADRIMESTRALE DI STUDI DEMOETNOANTROPOLOGICI

Direzione Prof. Pietro Clemente

RedazioneDipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo Università degli Studi di Firenze Via Gino Capponi, 9 50121 Firenze

Tel. (+39) 055.27.57.025 Fax (+39) 055.27.57.049 e-mail: [email protected]

nota per gli autoriGli articoli sottoposti alla redazione dovranno essere inviati per e-mail alla Re-

dazione in forma anomima, accompagnati da una nota biografica dell’autore (circa 10 righe) e da un riassunto-summary in italiano e in inglese (circa 10 righe ciascu-no). I saggi presi in considerazione per la pubblicazione saranno rivisti secondo le norme redazionali e, in un secondo momento, valutati in ‘doppio cieco’ (peer review). Sulla base delle indicazioni del coordinamento redazionale e dei referees, l’autore può essere invitato a rivedere il proprio testo. Sarà nostra cura informare l’autore sull’intero procedimento fino all’eventuale pubblicazione.

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Pubblicato nel mese di febbraio 2016

Miscellanea

Luciano Arcella, La cultura positivista e l’invenzione del mito spiritista nella metropoli brasi-liana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Sergio Bonanzinga, Lionardo Vigo, un pioniere dell’etnografia siciliana . . . . . . . 17Dario Nardini, Gouren. La lotta bretone, un’etnografia corpo a corpo . . . . . . . . 85

Testimonianze – In ricordo di Enrica Delitala

Giulio Angioni, A Enrica Delitala (1934-2014) . . . . . . . . . . . . . . . 109Anna Lecca, Pietro Clemente, Ricordare Enrica Delitala . . . . . . . . . . . 111Graziella Delitala Sedda, Enrica, mia sorella . . . . . . . . . . . . . . . 127Mariano Fresta, Enrica Delitala ad Aix-En-Provence e la cartografia demologica . . . . . 131Marcello Marras, Enrica Delitala: studiosa, docente, maestra. Il rigore scientifico e la genero-

sità d’animo della demologa sarda nel ricordo di un allievo . . . . . . . . . . . 137Fulvia Putzolu, Enrica Delitala, la maestra che avrei voluto . . . . . . . . . . . 143Chiarella Rapallo Addari, Per Enrica. Storie intrecciate. . . . . . . . . . . . 149

Archivio – Enrica Delitala,

Morte. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155Scolari dell’Impero. Note su alcuni testi per le scuole elementari della A.O.I. . . . . . . . 159Nascita e vita di un paese. Appunti su Stintino . . . . . . . . . . . . . . . . 173Come e perché ricercare le fiabe popolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181

Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191

Anno LXXIX n. 1 – Gennaio-Aprile 2013

Rivista fondata nel 1912

diretta da

Pietro Clemente

Rivista fondata nel 1912diretta da

Pietro Clemente

Leo S. OlschkiFirenze

Anno LXXXI n. 1 – Gennaio-Aprile 2015

Tutti i diritti riservati

Casa Editrice Leo S. OlschkiViuzzo del Pozzetto, 8

50126 Firenze www.olschki.it

Sergio Bonanzinga

LIONARDO VIGO, UN PIONIERE DELL’ETNOGRAFIA SICILIANA

Nella storia degli studi relativi alle tradizioni popolari siciliane non si trova opera che sia stata criticata tanto aspramente quanto la Raccolta am-plissima di canti popolari pubblicata nel 1874 da Lionardo Vigo. Le ragioni dei critici, in gran parte legittime, sono state ampiamente discusse e appro-fondite entro quadri teorici via via più aggiornati, e le premesse di questo ampio dibattito contribuiscono a offrire un quadro emblematico della vita culturale e politica della Sicilia prima borbonica e poi unitaria.

La vicenda si apre con la pubblicazione della prima edizione dell’o-pera – sotto il titolo Canti popolari siciliani – nel 1857 a Catania. All’epoca Vigo è un uomo di quasi sessant’anni che ha già maturato le esperienze fondamentali della propria esistenza, per nulla circoscritte all’amata Aci-reale, dove aveva visto la luce nel 1799. Le ragioni del suo impegno nel campo dell’indagine folklorica non possono difatti essere comprese senza coglierne il profondo legame con una biografia particolarmente vivace e travagliata.

Lionardo Vigo apparteneva a una nobile famiglia di origine ligure giunta nel XVII secolo in Sicilia, dove prese possesso delle terre di ‘Galli-doro e Letoianni’ (sul versante ionico dell’attuale provincia di Messina) ed ebbe in concessione le ‘segrezie’ di Acireale (ovvero gli uffici che curava-no la riscossione di alcune imposte e l’amministrazione di immobili sotto l’autorità centrale del Regno). Secondo quanto si apprende dall’autobio-grafia manoscritta riferita ai primi diciassette anni, data alle stampe dopo la morte dell’Autore (1879) da Giambattista Grassi Bertazzi,1 il periodo dell’infanzia fu infelice sia sul piano della vita domestica – orfano a tre anni della madre Ignazia Calanna e inviso agli zii paterni che predilige-vano l’altro nipote, figlio di Giovanni – sia sul versante dell’educazione scolastica, inizialmente affidata ai Padri Filippini dell’Oratorio di Acireale. Alla morte del nonno Leonardo (1803), il padre Pasquale, appena rimasto vedovo, venne inoltre gravato da una spartizione ereditaria svantaggiosa,

1 G. Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e i suoi tempi, Catania, Giannotta, 1897, pp. 46-100.

SERGIO BONANZINGA18

che resterà per Lionardo ragione di «perpetue lagrime».2 Alcuni passi trat-ti da queste note autobiografiche rendono con chiarezza il disagio patito in quegli anni:Così giungemmo al 1808, epoca nella quale cominciai a fruire il beneficio volon-tariamente cagionatomi da’ disprezzi e dall’odio domestico. Mio padre era do-lente di vedermi inviso ai miei e maltrattato, dolente della mia nessuna riuscita, e siccome amava me più di se stesso, deliberò sottrarmi a tanti dolori e avviarmi alla sapienza. […] Pertanto fu risoluto di essere educato nell’Oratorio dei Filippi-ni di Aci, perché non sapeano trovare di meglio nella ristretta cerchia delle loro conoscenze; mentre quel luogo era solo atto ad imbarbarire la mente e il cuore di coloro che ingannati vi concorreano. […] A dare un saggio dell’altezza dei loro lumi, basti soltanto sapere che S. D’A., preposto della congregazione, sosteneva la terra starsi ferma in cielo, e il sole girarle all’intorno in atto di ossequio… e il di lui fratello R., domenicano e rettore del Liceo, avere letto pubblicamente una dis-sertazione contro l’inoculazione del vaiuolo vaccino, annoverando Ienner tra gli eresiarchi, dappoiché conservava in vita coloro che Dio avea condannati a morte. […] Era in colpa chiunque fosse netto e pulito; in pregio chi putisse di becco; l’ac-qua era mortal nemica di costoro, ch’io d’allora soglio chiamare i puzzolenti padri; le ore del giorno partivano in orazioni forzate, che riuscivano ipocrite, in passeggi in campagna, in travagli masticatorj e in vani studi. […] Così – i miei educatori – deliberarono di maturarmi e farmi maturare gli spiriti rigogliosi a legnate; a ogni non nulla ne avevo a iosa, e non contenti a questo, mi faceano digiunare, il che era economico, mi mettevano in berlina, e mi obbligavano a strisciare la lingua per terra, sul pavimento, il meno, per mezza canna. […] Qui dimorai sino al 1811 e ne uscii quasi sbandito, come insuscettibile e indisciplinato, e vieppiù si confermò la fama di cui mi avevano dotato i miei pietosi consanguinei.3

Per l’adolescente Lionardo non fu meno avvilente il ritorno a casa, dove continuarono le mortificazioni, rese più aspre dalla disparità di trattamento rispetto al cugino Leonardo Vigo Fuccio, affettuosamente chiamato Nar-duzzu mentre i parenti a lui si rivolgono col dispregiativo Nardazzu. Il padre riesce comunque a iscrivere Lionardo al collegio Cutelli di Catania, ma an-che in questo prestigioso ginnasio frequentato dalla migliore aristocrazia cittadina le cose non migliorano, tanto che il ragazzo fu richiamato a casa per evitargli l’espulsione. Nel 1813 viene quindi ammesso al collegio Cala-sanzio di Messina, dove finalmente trova insegnanti cordiali e stimolanti: «Li primi due anni della mia vita nel Calasanzio furono per me una delizia, immerso nello studio, come un palombaro in mare, mi arricchiva di cono-scenza e tornai ad amare la vita e a goderne».4 Nel 1816 rientra ad Acireale e inizia a manifestare quegli interessi per la poesia e per la storia patria che coltiverà assiduamente lungo tutto l’arco della propria esistenza. Qui ter-mina la minuziosa testimonianza di Vigo, in seguito arricchita da svariati

2 Ibid., p. 54.3 Ibid., pp. 59-63.4 Ibid., p. 78.

LIONARDO VIGO, UN PIONIERE DELL’ETNOGRAFIA SICILIANA 19

contributi che offrono un quadro biografico molto dettagliato, specialmen-te attraverso il ricorso a epistolari e carteggi inediti.5

Fra studi eterogenei, divagazioni poetiche e impegno politico

Se gli anni giovanili di Vigo sono caratterizzati da esperienze per molti versi traumatiche, nei decenni successivi questi giunge a occupare un posto di rilievo nella storia della Sicilia, partecipando direttamente ai moti rivolu-zionari del 1848 e animando controversie sui temi più svariati (letteratura, storia, archeologia, filologia, linguistica, etnografia ecc.). Da giovane pale-sa simpatia per il regime borbonico, pur lamentando la revoca della costitu-zione promulgata nel 1812, in cui si attuava la separazione della corona di Napoli da quella siciliana con l’istituzione nell’Isola di un «nuovo parlamen-to modellato sulla organizzazione e sulla liturgia di quello inglese avendo anche l’occhio al costituzionalismo francese».6 La brusca interruzione della parentesi autonomista – decretata nel 1816 da Ferdinando di Borbone che impone l’unificazione dei due regni proclamandosi Ferdinando I delle Due Sicilie – inizia però ad alimentare in Vigo un sentimento autonomista che diverrà nel tempo sempre più radicale.

Dopo avere conseguito la laurea in Giurisprudenza nel 1822 presso l’U-niversità di Catania, inizia subito a manifestare interesse per i canti popo-lari, inserendo nel suo primo libro Prose e poesie (Palermo 1823), un’ottava che ha per incipit Fici un liutu lu figghiu di Diu. Vigo raccoglie questo testo dalla voce di Agata Scorcia – una mendicante cieca abilissima a improvvisa-re versi dialettali – e lo ripubblica, chiarendo le circostanze del rilevamento, nei successivi lavori specificamente dedicati ai canti popolari.7

Nel 1831 sposa Carlotta Sweeny (di padre inglese), che dopo soli due anni di matrimonio muore nel dare alla luce «una figliola dello stesso no-me».8 Trascorso un breve periodo di isolamento, Vigo riprende a occuparsi di questioni politiche e culturali, sostenendo con vigore l’idea di una Sici-lia-Nazione, identificata da origini, lingua e tradizioni comuni. Di questo spirito patriottico sono intrise sia le sue opere poetiche – dalle liriche dedi-cate A Sicilia, A Palermo, Ad Agrigento, Ad Aci ecc.9 al poema storico Il Rug-

5 Si vedano in particolare G. Grassi Bertazzi, Vita intima. Lettere inedite di Lionardo Vigo e di alcuni illustri suoi contemporanei, Catania, Giannotta, 1896 e Id., Lionardo Vigo e i suoi tempi, cit.; G. Gravagno, Indici dell’epistolario di Lionardo Vigo, Acireale, Accademia di Scienze Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, 1977; e i saggi contenuti in Omaggio a Lionardo Vigo nel centenario della morte (1879-1979), Acireale, Accademia di Scienze, Lettere e Belle Arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale, 1982.

6 P. Hamel, Breve storia della società siciliana 1780-1990, Palermo, Sellerio, 2011, p. 34.7 Cfr. L. Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, Catania, Galàtola, 1857, p. 280; e Id.,

Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, vol. II delle «Opere», Catania, Galàtola, 1870-1874, p. 506.

8 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e i suoi tempi, cit., p. 117.9 Riprodotte in Omaggio a Lionardo Vigo, cit., pp. 745-753.

SERGIO BONANZINGA20

giero, inteso a celebrare la fine del dominio islamico in Sicilia con l’avvento della monarchia normanna (scritto fra il 1828 e il 1840 ma dato alle stampe solo nel 1865) – sia i suoi lavori di impianto storico, filologico e archeologi-co, spesso scaturiti dal profondo amore per la natia Acireale:Il suo impegno per la città natale lo prende intensamente: raccoglie dati, investiga nei documenti antichi d’archivio, conduce scavi, si propone di scrivere una storia minuziosa di essa (pubblicherà, nel 1836, le Memorie storiche della città di Acireale), la vuole arricchire col suo pensiero, accetta pubblichi incarichi – quali quello di direttore degli scavi, poi di ispettore dei medesimi (e in tale ufficio si fa promotore del restauro del Castello di Aci e degli affreschi di Paolo Vasta, al quale aveva de-dicato già un suo scritto). Da ispettore degli studi contribuisce alla istituzione del pubblico ginnasio e delle scuole tecniche. Da archeologo e storico svolge ricerche sulle origini della primitiva Aci – la vetusta Xifonia – i cui risultati dà poi alle stam-pe, suscitando aspre polemiche. […] Altresì egli promuove, nel suo impegno per la città, la rinascita delle due antiche Accademie, la Zelantea e la Dafnica; istituisce pubblici concorsi per incitare gli animi al sapere; depreca, con accorate parole, che l’istruzione non sia diffusa in Acireale; raccoglie intorno a sé giovani desiderosi di migliorarsi con gli studi (Macherione, Capuana, che lo chiamava «papà Vigo», Bruno, Calì, Catalano, Coco, Genuardi ed altri).10

Nello stesso periodo inizia a viaggiare, recandosi nei centri più impor-tanti degli Stati italiani (Palermo, Napoli, Roma, Firenze, Torino ecc.), dove entra in contatto con molti esponenti della vita intellettuale e politica (tra gli altri Francesco Crispi, Massimo D’Azeglio, Ermolao Rubieri e Niccolò Tommaseo). Parallelamente stringe rapporti con molti intellettuali siciliani e collabora, pubblicando articoli di vario genere, con periodici prestigiosi come il «Giornale di scienze, lettere ed arti» diretto da Vincenzo Mortil-laro, il «Vapore» diretto da Vincenzo Linares e le «Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia» dirette da Malvica. Proprio quest’ultima testata pubblica nel 1834 il resoconto in forma epistolare di una escursione a Ran-dazzo, al cui interno sono riportati anche i testi di undici «canzoni verna-cole» che «villici e montanari van canterellando».11 Una recensione di Fer-nando Malvica alla seconda edizione del volume di poesie (Palermo 1829), apparsa sulle «Effemeridi» sempre nel 1834 (tomo IX, anno III, pp. 347-359), rende l’idea di quale considerazione godesse il giovane Vigo presso i suoi contemporanei:Lionardo Vigo è stupendo intelletto. Egli onora la patria e le siciliane lettere: egli col suo Ruggiero, epico poema, su di che incessamente lavora, e che per forza di concetti, per fecondità d’immagini, e leggiadria di stile verrà equiparato agli otti-mi, farà alla Sicilia la nostra monarchia, e gli antichi nostri diritti energicamente difendendo, un dono ch’eterno durerà e che farà sonare alto il suo nome.

10 Cosentini, Lionardo Vigo, Acireale, la Sicilia, in Omaggio a Lionardo Vigo, cit., pp. 15-35: 20-21.

11 L. Vigo, Lettere di Lionardo Vigo a Ferdinando Malvica sopra una gita da Catania a Randazzo, in «Effemeridi scientifiche e letterarie per la Sicilia», tomo X, a. III, pp. 196-218: 199, 215-217.

LIONARDO VIGO, UN PIONIERE DELL’ETNOGRAFIA SICILIANA 21

L’interesse di Vigo per la poesia popolare si estende in seguito a que-stioni di ordine squisitamente linguistico e il 9 aprile del 1837 legge presso l’Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo il saggio Della siciliana favella, de’ suoi lessici e lessicografi. Il testo, che viene subito pubblicato sulle «Effemeridi» (tomi XVIII e XIX), dà tra l’altro avvio a un serrato confronto con Vincenzo Mortillaro riguardo alla scelta se operare individualmente o collettivamente, attraverso l’Accademia, per realizzare un dizionario della lingua siciliana, e ai metodi da adottare per la sua compilazione. Mortilla-ro, com’è noto, sostenne le ragioni del lavoro individuale (la prima edizio-ne del suo Nuovo dizionario siciliano-italiano esce in due volumi dal 1838 al 1844), che enuncia pubblicando nel 1843 una Lettera al Cav. Lionardo Vigo (in «Lucifero», a. X, vol. 34). Vigo risponde privatamente a Mortillaro nel 1852, per riproporre il suo saggio sulla ‘siciliana favella’ corredato dall’integrale scambio epistolare dopo la Prefazione alla prima edizione dei Canti (1857) e poi ancora nella Raccolta amplissima (vedi infra). La nota a pie’ pagina con cui Vigo chiosa la versione data alle stampe costituisce un tipico esempio di quella vis polemica che non pochi problemi gli procurerà nei decenni successivi:Nel febbraio 1857 ricevo in dono dal Mortillaro copia della ristampa del suo Vo-cabolario: ha gli stessi difetti di prima, è accresciuto di voci, ma l’edifizio non ha solide basi, e l’aumento delle voci è più italiano, che siciliano; e più apparente che vero. Mortillaro non si giovò delle savie osservazioni del signor Enrico Amato stampate nell’Occhio n. 168, 2 gennaro 1845 in Palermo, e neppure di quanto io dissi nel 1837, e qui ripeto sul verbo aggranciari e suoi derivati. L’essersi spacciate 2000 copie del suo Vocabolario, è prova del bisogno che n’ha la Sicilia, e nulla più; e se vuoi può far fremere della scioperata inerzia dell’Accademia di Palermo, che neppure la pila voltaica potrebbe galvanizzare.12

La sua notorietà come uomo di lettere cresce quindi parallelamente ai contrasti che suscita in diversi campi. Per un verso l’amor patrio lo porta a confondere la storia e il mito: ambienta a esempio l’episodio di Ulisse e Polifemo nella medesima area, coincidente con l’attuale Capo Mulini, in cui poi sorse – secondo la sua ricostruzione – la colonia greca di Xifonia,13 innescando vivaci reazioni tra gli archeologi e provocando futili contrasti con altre località che pure ostentavano antiche ascendenze elleniche (prima fra tutte Catania). Aspre critiche riceve d’altronde anche quando si occupa della società contemporanea, urtando la suscettibilità dei suoi stessi concit-tadini tacciati di scarsa istruzione, in quanto succubi di un clero oscuran-tista e bigotto, e di eccessiva affezione per consuetudini antiquate, come il vestire ‘scuro e ammantato’ delle donne.14 In questo periodo Vigo si dedica inoltre alla gestione delle proprie terre, situate a Ballo, nella zona di Zaf-

12 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 98.13 Cfr. Notizie storiche della città di Aci-Reale, Palermo, Tip. Lao e Roberti, 1836.14 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., pp. 123-139.

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ferana Etnea, acquisendo ragguardevoli competenze nel settore agrono-mico e proseguendo in modo più sistematico il lavoro di raccolta dei canti popolari:E tutto questo non ha da far meraviglia, se si pensi che egli si era dedicato sempre all’agricoltura; che avea dei poderi che faceva coltivare a modo suo, con cure ra-zionali; che avea scritto delle monografie che riguardavano i campi, l’allevamento del bestiame, fra cui quella pubblicata nel 1842 Sulla cultura e sul commercio dei vini [Tip. Lao e Roberti, Palermo]; […] che avea illustrato il territorio acese anche dal lato agricolo e che le sue poesie, specie le pause etnee, risentono molto di conoscen-ze agronomiche etc. […]

Ma l’opera sua era tutta diretta alla raccolta dei canti popolari, che curava standosene in villa, tra i contadini, dai quali si faceva recitare le poesie popolari, che poi egli trascriveva e ordinava. E in mezzo a questi studi folkloristici e a questi ozi campestri, goduti lì, alle falde dell’Etna, fu colto dalla rivoluzione del ’48.15

Nel 1848 Vigo si distingue fra i protagonisti dei moti risorgimentali, entrando a far parte del nuovo Parlamento siciliano – «in rappresentanza del Collegio di Acireale, insieme col cugino Leonardo Vigo Fuccio e con lo zio Salvatore Vigo Platania» – 16 e venendo successivamente nominato presidente della commissione parlamentare di guerra. Egli deve tuttavia prendere atto dei molti schieramenti che animano il dibattito politico-isti-tuzionale, perorando soluzioni solo in minima parte coincidenti con i suoi ideali. Per Vigo la rivoluzione doveva difatti avere come fine l’indipendenza da Napoli e il ritorno alla costituzione del 1812, mentre tra i parlamentari prevalgono altre opinioni che – nella sua ottica – pregiudicavano il dirit-to alla sovranità della Sicilia, conducendola nell’orbita della monarchia sa-bauda o di una potenza straniera (in ispecie l’Inghilterra) oppure, peggio ancora, in una caotica e pericolosa avventura repubblicana. Con il ritorno al potere dei Borbone, Vigo – che a suo tempo aveva rifiutato di votare l’atto di decadenza della monarchia – non viene incluso fra i numerosi con-dannati all’esilio ma soltanto obbligato a sottoscrivere una ritrattazione. Nonostante l’abiura resta tuttavia fedele ai propri ideali indipendentisti e, per certi versi, progressisti (si pensi all’impegno per la creazione di scuole pubbliche gestite da laici). Rientrato ad Acireale dopo la parentesi palermi-tana, si ritira nei suoi possedimenti di campagna riprendendo con nuovo vigore a dedicarsi agli studi, «un po’ sospetto al governo, un po’ avversato dai suoi conterranei, specialmente dai padri puzzolenti dell’oratorio dei Fi-lippini» (Grassi Bertazzi 1897: 186).17 In seguito al fallimento dell’azione ri-voluzionaria, il suo ‘autonomismo’ torna pertanto a concentrarsi sul lavoro scientifico e letterario, nel perseguimento di uno scopo precipuo: affermare il primato civile e culturale della Sicilia.

15 Ibid., p. 145.16 Cosentini, Lionardo Vigo, Acireale e la Sicilia, cit., pp. 24-25.17 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., p. 186.

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Dopo alcuni anni di parziale isolamento ricomincia a viaggiare e a fre-quentare la società acese, in particolare contribuendo all’attività delle due prestigiose Accademie locali: la Zelantea e la Dafnica, rispettivamente fon-date nel 1671 e nel 1778. Nel 1854 sposa in seconde nozze la palermitana Marianna Famoso, di estrazione popolare e pertanto invisa agli aristocratici parenti (e più di tutti allo zio Salvatore Vigo Platania, che gli perdonerà il presunto affronto solo in punto di morte). Queste ulteriori tensioni nella vita privata non arrestano la sua inesauribile vena di poligrafo, che lo porta a dare alle stampe poesie di genere sia lirico sia epico, oltre a numerosi con-tributi su svariati temi.

La produzione poetica, di gusto classicheggiante e piuttosto incline alla retorica, viene accolta con discreto favore negli anni precedenti ai moti del 1848, in grazia dei genuini aff lati patriottici e sentimentali espressi dall’au-tore. Le forme, le tematiche e lo stile letterario adottati da Vigo appaiono però vent’anni dopo del tutto superati: scarsissima fortuna ha il volume della Lirica (1855) e ancora meno interesse riscuote Il Ruggiero (1865), giudi-cato un noioso epigono dell’epopea cavalleresca, fondato tra l’altro su sche-matismi soppiantati dai nuovi orientamenti di studio che valutano secondo una prospettiva affatto diversa il ruolo della dominazione islamica in Sicilia.

Su quest’ultimo punto si incentra tra l’altro l’aspra polemica che lo con-trappone allo storico, arabista e politico Michele Amari (1806-1889): uno fra i maggiori protagonisti dei moti risorgimentali siciliani e della vita politica italiana nei primi anni dell’Unità. Nel 1842, dopo avere pubblicato un pon-deroso saggio sulla rivolta antiangioina del Vespro, Amari viene costretto all’esilio dal governo napoletano e deve trasferirsi a Parigi. Qui intraprende lo studio prima dell’arabo e poi del greco, per avere accesso diretto alle fonti necessarie a illuminare le vicende della Sicilia medievale.18 Torna a Palermo nel 1848 e assume nel nuovo Parlamento la carica di Ministro delle Finanze, per tornare nuovamente a Parigi con la restaurazione della mo-narchia borbonica. Nel 1859 insegna Lingua e storia araba all’Università di Pisa e l’anno seguente rientra nella Sicilia ‘liberata’. Nel 1861 viene quindi nominato senatore dell’Italia unita, ricoprendo tra il 1862 e il 1864 l’incarico di Ministro della Pubblica Istruzione.19

Il contrasto con Vigo non può essere compreso al di fuori di questa particolare vicenda biografica, che vede peraltro i due inizialmente legati da rapporti molto cordiali. L’evolversi del dissidio fra Vigo e Amari va in-fatti considerato quale rif lesso di una contrapposizione che si declina sul duplice piano dell’ideologia politica e del metodo dell’indagine scientifica, chiarendo in modo emblematico le ragioni che hanno contribuito a rele-

18 I suoi lavori sul periodo islamico-normanno costituiscono tuttora un saldo punto di rife-rimento nel settore; cfr. in particolare M. Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, 3 voll., Firenze, Le Monnier, 1854-1872.

19 R. Romeo, Amari, Michele Benedetto Gaetano, in Dizionario biografico degli Italiani, vol. II, pp. 637-654, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1960.

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gare l’erudito di Acireale in una posizione sempre più marginale nel perio-do post-unitario. Se il patriottismo di Amari tende all’unità della nazione italiana, sostenuta da un processo di ‘italificazione’ che nella sua visione storica rimonta all’epoca normanna, l’ideale di Vigo resta l’autonomia della Sicilia, che considera addirittura progenitrice della civiltà italica (cfr. infra). Se Amari appartiene alla piccola borghesia urbana in ascesa, Vigo conti-nua a rappresentare l’antica aristocrazia terriera. Mentre Amari a contat-to con l’ambiente culturale parigino affina strumenti di studio aggiornati, Vigo appare soprattutto impegnato a ostentare la propria erudizione, entro quadri tanto ambiziosi quanto carenti di vero rigore filologico. Le visioni antitetiche che i due hanno della dominazione islamica e della ‘guerra del Vespro’ ne sono esempi significativi:[Vigo] vedeva nell’epoca Musulmana in Sicilia la barbarie e il dispotismo peggiori, mentre l’altro vi trovava una fioritura morale superiore alle condizioni dei tempi in cui si svolgeva; Vigo vedeva in Giovanni da Procida [un nobile formatosi tra i medici della Scuola Salernitana, già consigliere di Federico I di Sicilia e successiva-mente diplomatico presso varie corti europee] il grande protagonista del Vespro, il Bruto della rivendicazione siciliana [una tra le leggende circolanti sul Vespro lo indicava addirittura come ideatore della provocazione subita da una nobildonna siciliana a opera del soldato francese Drouet]; Amari sosteneva invece che quel grande rivolgimento era stato tutta gloria del popolo, che si era mosso per caso, senza prevederne le conseguenze, per un’occasione imprevista, che poteva essere anche ben altra.20

I rapporti tra Vigo e Amari entrano in crisi dopo la pubblicazione nel 1857 dei Canti popolari siciliani e dell’edizione torinese della Lirica (1861). Dei Canti Amari apprezza il lavoro di raccolta e sistemazione ma palesa to-tale disaccordo per le affermazioni riguardanti la filogenesi del siciliano e il ruolo assunto dalle colonie ‘lombarde’ nella storia dell’Isola, il loro dialetto ecc. (cfr. infra). Nel volume di poesie Vigo inserisce poi un carme inedito dedicato a Giovanni da Procida, dove allude ad Amari come «unico siciliano che avesse osato sfrondare la gloria di quel promotore del Vespro»,21 men-tre nella riedizione del carme anteposta al XIX canto de Il Ruggiero lo men-ziona esplicitamente in nota.22 Le tensioni sfociano in aperta rottura dopo che Amari, una volta divenuto ministro della Pubblica Istruzione, gli nega la nomina di ispettore scolastico a Catania, che avrebbe comportato solo una diversa destinazione giacché Vigo deteneva la medesima posizione ad Acireale, dove si era prodigato per sottrarre l’insegnamento al monopolio ecclesiastico, aprendo il real ginnasio e le scuole tecniche.23 Ancora più stri-dente dovette per questo apparirgli la scelta di Amari, caduta su un sacer-

20 Grassi Bertazzi, Vita intima, cit., p. 30.21 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., p. 375.22 L. Vigo, Il Ruggiero, vol. I delle «Opere di Leonardo Vigo», Catania, Galàtola, 1865, p. 467.23 Ibid., p. 221.

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dote teologo proveniente dal Settentrione. Nel maggio del 1863 Vigo subì poi una seconda delusione, vedendosi respingere dal ministro la richiesta di ottenere la cattedra di Eloquenza presso l’Università di Catania.24 Ma il peggio doveva ancora venire: nell’ultimo giorno del suo incarico ministe-riale, il 24 settembre 1864, Amari sopprime soltanto ad Acireale l’Ispettora-to degli studi,25 denotando un rancore personale che sembra andare oltre le ragioni di una disputa scientifica.

La pubblicazione dei «Canti popolari siciliani» (1857)

Dopo lunga gestazione, coronata da un ulteriore ritardo dovuto al se-questro delle copie ordinato dal Regio Revisore in Catania (cfr. infra), Vigo riesce finalmente a vedere pubblicata nell’ottobre del 1857 la sua raccolta di Canti, realizzata anche grazie all’apporto di molti lodevoli collaboratori:È vero ch’io m’invaghii di questa sprezzata vena di schietta poesia sin dal 1823 quando misi a stampa la prima canzone, e d’allora ho sempre notato quanto n’è venuto fatto di ottenerne; ma non avrei potuto compiere questo f lorilegio senza la generosa cooperazione di amici cortesi, fervidi della gloria siciliana, e amorevoli della popolare poesia. Chiesto ajuto e soccorso agl’illustri di ogni città con circo-lare in istampa, e mie calde lettere, pochi si rifiutarono a porre una loro pietra nel nuovo e affatto siculo monumento, e i nomi de’ restii è pietoso tacere e dimenti-care, invece di consegnarli al perpetuo rimprovero de’ futuri.26

Questa è la parte più significativa della ‘circolare’, che Vigo riproduce integralmente in una lunga nota a piè pagina:Perché riesca completa una tal’opera, è mestieri vi concorra tutta Sicilia, e adunata la selva del materiale, si scelgano i fiori più odorosi, e di questi si componga una ghirlanda per incoronare le sue trecce. Le primarie città saranno invitate a coope-rarvi, e le canzoni, non solo porteranno il nome del luogo d’onde ci saran venute, ma nella prefazione si onorerà chi avrà collaborato alla raccolta; come saranno notate quelle città, le quali, o taceranno, o si negheranno, e questo per non esser colpati di omissione.

Siccome fra noi, oltre la favella comune, si parlano l’albanese e il lombardo-si-culo, e queste anomalie sono storiche, è mestieri non trascurare i canti, che si vestono di quelle forme o vocaboli, ma annotarli, per la generale intelligenza.

Pertanto la prego raccogliere: 1. I canti popolari di amore, sdegno, disprezzo, gelosia, abbandono, lonta-

nanza, nozze ecc. che suonano sulle labbra dei nostri rustici; 2. Le varie ninne-nanne, con cui si fanno addormentare i bambini cullandoli; 3. Gli indovinelli;

24 Ibid., pp. 379-380.25 Ibid., p. 381.26 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 69.

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4. I fiori, tra cui ve ne sono vaghissimi, come Sciuri di amenta,’Njornu senza di tia comu s’abbenta!;

5. I canti funebri; 6. I canti sacri; 7. Le storie di ladri, di vendette, di streghe, di guerre ecc.; 8. I canti in lingue non siciliane, come lombarde, albanesi, se costà sono

introdotti.Volendo Ella recar la sua pietra ad elevare questo nazional monumento, si

degnerà da sé, o con l’ajuto di coloro che intendano costà agli ameni studii, e sentano in petto fremito d’amor di patria, raccogliere tali poesie, e spedirmele sollecito e nitidamente scritte.27

L’opera ricalca i criteri adottati da Niccolò Tommaseo per l’edizione dei Canti popolari toscani, corsi, illirici e greci (1841-42) e rappresenta il primo la-voro davvero consistente dedicato alla Sicilia. Tra i contributi precedenti si trovano infatti quasi esclusivamente le notazioni sparse nelle cronache dei viaggiatori stranieri, talvolta corredate da qualche testo poetico e da poco attendibili trascrizioni musicali 28 e i canti pubblicati, insieme alle melodie, in un trattato di versificazione comparata italo-francese redatto dall’abate Antonio Scoppa nel 1814 29 e in due celebri antologie romantiche: Egeria di Müller e Wolff 30 e Agrumi di August Kopisch (1838).31 Vigo medesimo annovera inoltre tra i suoi antecedenti il messinese Giuseppe La Farina, il cui contributo si limitava alla pubblicazione di due sole ottave,32 non di-versamente da quello del riberese Vincenzo Navarro, suo amico e stretto collaboratore, che «nel primo tomo dell’Osservatore, p. 222, Palermo, 1843, pubblicava due ottave siciliane […] e promettea evulgarne un volume».33 Altri due lavori che avrebbero potuto fornire impulso più precoce a queste indagini sono invece rimasti inediti e sconosciuti anche agli addetti ai lavori: una ‘raccoltina’ di canti effettuata intorno al 1817 dal giurista e patriota di Còmiso (RG) Giuseppe Leopardi Cilia, resa nota da Carmelo Musumarra nel 1948; un piccolo corpus di musiche popolari (canti e danze) trascritte nel 1816 in varie città siciliane dal compositore tedesco Giacomo Meyerbeer,

27 Ibid., p. 70, n. 1.28 Cfr. S. Bonanzinga, I viaggiatori, la musica, il popolo, in «Nuove Effemeridi», a. II, vol. 6,

1989, pp. 64-68.29 Cfr. P.E. Carapezza, Antichità etnomusicali siciliane, Palermo, Folkstudio, 1977.30 W. Müller, O.L.B. Wolff, Egeria. Sammlung Italianischer Volkslieder, E. Fleischer, Leipzig

1829 (ed. it. in r. an. con una nota di A.M. Cirese e un’appendice di traduzioni, Milano, Edizioni del Gallo, 1966).

31 A. Kopisch, Agrumi. Volkstümliche Poesien aus allen Mundarten Italiens und seiner Inseln, G. Crantz, Berlin 1838 (ed. it. in r. an. con una nota di A.M. Cirese, una appendice di traduzioni e indicazione analitica delle parti omesse, Milano, Edizioni del Gallo, 1966).

32 G. La Farina, Poesia, in «Lo Spettatore Zancleo», a. II, vol. 2, 1834, pp. 12-13; e Id., Poesia, in «Lo Spettatore Zancleo», a. II, vol. 6, 1834, p. 47.

33 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 70.

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ritrovato a Berlino e dato alle stampe nel 1970 da Fritz Bose (edizione italia-na a cura di chi scrive pubblicata nel 1993).

Come già era stato per i numerosi intellettuali italiani ed europei che avevano dato alle stampe raccolte di testi popolari (canti, fiabe, proverbi, indovinelli ecc.), anche questo lavoro scaturisce dal complessivo progetto politico-culturale maturato dal suo autore, che recepisce il paradigma lin-gua-popolo-nazione per avvalorare l’idea di una ‘nazione siciliana’ tanto antica quanto indipendente da inf luenze esterne:Chi conosce le opinioni politiche di Vigo non deve tardare molto a comprendere le cause che lo dovettero spingere ad illustrare il dialetto nativo con una raccolta di canti popolari dove, si può dire, si sente l’anima del nostro popolo […] La Sicilia, stando al suo modo di pensare, non era una regione d’Italia, ma una nazione come l’Italia stessa, essa avea il suo popolo, la sua storia, la sua vita politica ed anche la sua lingua. Il siciliano non era un dialetto, era un idioma come la lingua italiana, anzi molto più antico di essa, con la sua letteratura, con la sua grammatica, coi suoi caratteri etnici. Ed egli voleva risvegliare questo popolo, che si era dimen-ticato del suo passato, studiandone le origini preistoriche; voleva ricostituire la nazione siciliana, dandole la lingua che l’avrebbe distinta da tutte le altre regioni d’Italia e dall’Italia stessa; voleva insomma essere il fondatore della letteratura e della nazionalità siciliana.34

Vigo recepisce quindi il punto di vista del romanticismo, ispirandosi all’opera di uno fra i suoi maggiori esponenti: «ben si attaglia ai nostri quanto pe’ canti popolari in genere l’Herder dicea nei Volkslieder [1778-79], essere questi canti gli archivi del popolo, il tesoro della sua scienza, della sua religione, della vita de’ suoi padri, de’ fasti della sua storia, l’espressione del suo cuore, l’immagine del suo interno nella gioia e nel pianto, presso il letto della sposa, e accanto al sepolcro».35 Il teorema romantico adattato alla Sicilia degenera però in un estremismo che finisce con l’esporlo a criti-che talvolta permeate di velata derisione, quando non addirittura alle burle, come quella maliziosamente ideata da Luigi Capuana (cfr. infra). Egli difat-ti non solo sostiene che la civiltà sicula abbia generato quella italica e che il siciliano stia alla base del volgare e quindi della lingua italiana, ma si spinge oltre scrivendo un’opera che resta inedita sebbene i contenuti fondamen-tali siano circolati a partire dal 1858 tra i suoi numerosi corrispondenti: la Protostasi sicula o genesi della civiltà, suddivisa in otto capitoli per un totale di oltre cinquecento pagine (ms conservato presso la Biblioteca Zelantea di Acireale). Leggiamo quanto ne scrivono Giambattista Grassi Bertazzi e Luigi Capuana:Con esso Lionardo Vigo si propose di provare che è un errore credere che la civiltà sia venuta dall’oriente in occidente, dall’India in Europa. Secondo lui, la prima

34 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., pp. 349-350.35 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 4; Id., Raccolta amplissima di canti

popolari siciliani, vol. II delle «Opere», Catania, Galàtola, 1870-1874.

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luce che rischiarò le tenebre della barbarie fu nell’Atlantide, una terra che dovea abbracciare la Sicilia, Malta e altre isolette minori ed estendersi per un gran tratto verso oriente. Prima che in maggior parte sprofondasse nel mare, quivi sorse per prima la civiltà atlantica, detta anche pelasga, la quale si diffuse nella penisola italia-na, in Grecia, Egitto, Fenicia, Asia Minore, Colchide, Caldea, Media, Persia, India! Ecco il cammino della civiltà; tutto al contrario di quanto finora si è scoperto.

E Vigo credette di provare questa sua opinione, con i miti, con la lingua, con la storia, con le attinenze etnologiche. La Sicilia, che sopravvisse a quel cataclisma, secondo lui, ha una civiltà più antica della greca e dell’italica; ed essa impose alla penisola miti, lingua e arti. L’italiano è figlio del siciliano; la Sicilia, madre d’Italia – Ecco il pensiero di Vigo.36

La sua Protostasi sicula vorrebbe dimostrare storicamente e archeologicamente che una civiltà sicula anteriore alla greca e alla etrusca era fiorita colà.

Egli non s’era sbigottito di quest’intrapresa; e la sua assoluta deficienza nel greco e nelle lingue moderne da cui l’erudizione trae materiali di ricerche per le ricostruzioni del remotissimo passato, la scarsezza di documenti e di testimo-nianze lo rendevano anzi intrepido e sicuro. Un’ipotesi qualunque, la fantastica interpretazione di un testo assumevano per lui valore di autorità, di documento irrefragabile. Procedeva come un bambino che corra su l’orlo d’un precipizio, ignaro del pericolo e sorridente, mentre gli spettatori della sua corsa gelano di orrore.37

Se a Vigo viene riconosciuto il merito di essere stato il primo ad avere operato una raccolta sistematica di canti popolari siciliani, svariate sono le critiche che riceve in ordine al metodo seguito per l’inquadramento della materia. Al dissenso di Amari fanno pertanto via via eco gli interventi di autorevoli studiosi ‘continentali’: dai piemontesi Costantino Nigra (folklo-rista, filologo e diplomatico) e Angelo De Gubernatis (maggiore esponente italiano della cosiddetta filologia comparata) al toscano Alessandro D’An-cona (storico della letteratura e folklorista). La critica più tempestiva giun-ge da Nigra, attraverso un’ampia recensione che questi conclude esortando Vigo a risolvere, o almeno a considerare, ben tredici quesiti: Origine di quella poesia popolare italiana che riveste la forma dello stornello, del rispetto o dello strambotto: – Epoche della sua formazione, carattere della melodica che l’accompagna. – Se questa poesia sia prettamente o interamente po-polare. – Se e quanta parte vi abbia l’elemento artificioso. – Se la rima alternata, se la mancanza di versi sciolti intermedii, se la lunghezza del verso endecasillabo non siano indizio d’artifizio. – Se l’endecasillabo dei rispetti e strambotti sia un verso primitivo e popolare, o se esso non risulti per avventura dalla combinazione di due versi minori. – Se e quanta relazione abbiano tra loro gli stornelli italiani e i distici neo-greci. – Perché lo stornello s’inauguri da un fiore; importanza ed

36 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., pp. 401-402.37 L. Capuana, Lionardo Vigo, in Id., Gli ’ismi ‘ contemporanei. Verismo, Simbolismo, Idealismo,

Cosmopolitismo ed altri saggi di critica letteraria ed artistica, pp. 213-232: 216 (ried. a cura di G. Luti, Milano, Fabbri, 1973, pp. 132-144).

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universalità di questa idea in ogni poesia popolare. – Spiegazione delle denomi-nazioni rispetto, strambotto, stornello. – Se la letteratura araba, se la poesia dei tro-vatori e quella dei trovieri abbiano esercitato alcuna inf luenza nella formazione della nostra poesia popolare. – Motivi della deficienza di poesia popolare storica e oggettiva nell’Italia inferiore. – Indole cavalleresca di questa poesia. – Messaggi confidati agli uccelli ed altre idee comuni alla lirica artificiosa de’ Provenzali e degli Arabi.38

Le critiche ruotano soprattutto intorno a due punti di ordine lingui-stico-filologico. La prima riguarda l’affermazione che il siciliano fosse co-munemente impiegato presso la corte normanna, dove secondo Vigo non avrebbero avuto alcuna inf luenza né la poesia islamica né la lirica trova-dorica provenzale, mentre poeti come Ciullo d’Alcamo già diffondevano i propri componimenti italianizzando l’idioma insulare attraverso una mi-stione di siciliano, pugliese e italiano (ovvero toscano):La conquista normanna può dirsi compiuta al 1080; e 80 anni dopo essere stata divelta l’ultima insegna maomettana da’ baluardi siciliani, già la voce di Ciullo elevavasi da’ colli d’Alcamo, e ancor suona fra noi dopo 8 secoli. Petrarca e Dante assicurano dell’antichità della poesia siciliana; pertanto sin da’ tempi del re Rug-giero, nato e allevato tra noi, se non vogliasi del padre, la nuova lingua allegrava la corte, e i buoni dicitori in rima – e notate in rima – de’ quali parla il Buti, di essa valevansi, tanto perché fra di noi non fu giammai in uso il provenzale. Gli svevi, che a’ normanni sopravvennero, non fecero che continuarne le usanze; ingentili-rono, non crearono.39

Ciullo d’Alcamo fu il primo che cominciò a italianizzare la lingua insulare, per quanto è a nostra certa notizia, e Dante ricorda: ma egli che scrisse indubitamente prima del 1200, l’intinse di pugliese, o perché così intendea farsi più caro alla sua bella, che era probabilmente di Bari; o perché, com’è più verisimile, avea molto usato in terraferma. […] Pertanto estimo aver l’Alighieri annoverato questo poeta fra’ siciliani forse per la patria, ma non per la favella, essendo in lui triforme, cioè italiana, siciliana e pugliese, e Ciullo progrediva per via diversa di quella seguita da Federico, Pier delle Vigne, Ranieri, Enzo, Odo delle Colonne e dell’istesso Guido, dall’Alighieri collocato fra gli scrittori aulici o cortegiani.40

L’infondatezza di queste idee, avversate particolarmente da Nigra e D’Ancona, risiede: a) nell’errata interpretazione del celebre passo dantesco relativo ai quattordici volgari italiani (De Vulgari Eloquentia, cap. XII), dove gli attributi ‘honorabilius atque honorificientius’ non si riferiscono al dialet-to isolano ma «a quel volgare reso illustre dai poeti, non tutti siciliani, della corte sveva» (Bronzini 1986: 144); 41 b) nella retrodatazione all’epoca nor-

38 C. Nigra, Recensione a Canti popolari siciliani raccolti e illustrati da L. Vigo, in «Il mon-do letterario», a. I, vol. 4, 1858, pp. 1-2: 2.

39 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 22.40 Ibid., pp. 27-28.41 Bronizini, Il mito della poesia popolare, 1966.

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manna del Contrasto di Ciullo e nel più generale inquadramento linguistico e contestuale del celebre testo, a cui Vigo dedica un saggio specifico nel 1858, riedito con aggiunte nel 1871 42; c) nella notevole inf luenza che invece ebbero la lirica araba e quella provenzale sulla poesia popolare siciliana per temi, atteggiamenti, schemi metrico-formali e caratteri melodici.43

Il secondo appunto riguarda le parlate impiegate presso le comunità gallo-italiche di Sicilia, che Vigo inopportunamente definisce «un bastardu-me inintellegibile» più della «favella di Satanasso»,44 provocando le critiche di Nigra e, in un secondo tempo, di De Gubernatis.45 L’esagerazione negli epiteti non impedisce tuttavia a Vigo di ipotizzare una parentela tra que-ste parlate e i dialetti del Monferrato, auspicando a questo riguardo futuri approfondimenti: Ho tentato indagare questo linguaggio, ma dopo avervi riconosciuto qualche voce francese e dell’alta Italia, null’altro ho potuto trovarvi, ignorando io i dialetti degli attuali regni di Piemonte e Lombardia. Chiesi lumi al Tommaseo, lo pregando farmi conoscere se questi vocaboli si trovano nel Monferrato, da dove per istorica ragione qui vennero, e con l’urbanità soccorrevole del sapiente, mi assicurava aver colà scritto, e mi promettea notizie. Un lavoro su questo argomento richiederebbe un’opera apposita, che mi svierebbe dalla mia meta, e però lo tralascio, sicuro che riposatamente i dotti uomini, i quali decorano quelle città, soddisferanno questo nazional desiderio.46

Non c’è dubbio che l’impatto di questo primo volume siciliano dedicato ai canti popolari sarebbe stato molto più incisivo se la sua pubblicazione fosse avvenuta intorno al 1848, quando Vigo aveva già scritto i Prolegomini e proseguito la raccolta dei testi che viene sostanzialmente completata nel 1851.47 Una certa valenza politica doveva però conservare anche nel 1857, come dimostra la temporanea censura che obbligò Vigo a ‘riscrivere’ un’ot-tava per attenuarne il significato apparso eversivo al rappresentante del go-verno borbonico. Il testo è costituito dal dialogo tra un servo e il Crocifisso, dove il primo si lamenta dell’avida crudeltà del suo padrone e prega Cristo

42 Una dettagliata ricostruzione della polemica con Vigo si trova in A. D’Ancona, Il Contra-sto di Cielo dal Camo, in Id., Studj sulla letteratura italiana de’ primi secoli, Ancona, Morelli, 1884, pp. 241-458; per una revisione filologica di impianto moderno si veda A. Pagliaro, Forma e tradizione, Palermo, Flaccovio, 1972, pp. 61-129.

43 Cfr. O. Tiby, La musica alla corte dell’imperatore Federico II, in Dai trovatori arabo-siculi alla poesia d’oggi, Atti del Congresso internazionale di poesia e di filologia per il VII centenario della poesia e della lingua italiana (Palermo, 6-10 giugno 1951), Palermo, Palumbo, 1953, pp. 107-114; e Pagliaro, Forma e tradizione, cit., pp. 131-141.

44 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., pp. 45, 48.45 A. De Gubernatis, I canti lombardi in Sicilia. Lettera al prof. Michele Amari, in «Il Politecni-

co», s. IV, vol. III, fasc. 6, 1867, pp. 609-618; cfr infra.46 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 52.47 Cfr. M. Fresta, Studio critico sulla Raccolta amplissima di canti popolari siciliani di Lionardo

Vigo, Acireale, Tip. Orario delle ferrovie, 1919, pp. 34-35.

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di distruggerne la malarazza.48 Sulla risposta del Crocifisso si incentra lo strale della censura, come riferisce Vigo medesimo nella nota in calce al canto riedito secondo la lezione originaria nella Raccolta amplissima: 49

Questa canzone fu soppressa e sostituita da quella che comincia: E tu chi ti scurdasti o testa pazza etc. p. 304 n. 25 dell’edizione 1857, pel fatto seguente.

A 17 settembre 1857 il Canonico Ronsisvalle secondo R. Revisore in Catania (giacché prima per ordine del Maniscalco avea tartassato il mio volume il prof. Garajo di Palermo) ne permise la pubblicazione, che fu autorizzata dal sig. Angelo Panebianco Intendente della Provincia. Quando all’alba 18 ordinò costui inaspet-tatamente il sequestro di tutte le copie e chiese l’autografo dell’opera firmato dal Garajo e dal Maniscalco. Lo sgomento mio e del Galatola fu massimo, perché ignoravamo il motivo di quell’ordine birresco. Tentammo insieme parlare col Pa-nebianco, ma ci fu impossibile, essendo egli in lutto per la morte del genero. Al-lora mi rivolsi all’intimo di lui amico, il Reggente Celestino da Terranova, il quale mi ricevette, dopo una interminabile messa cantata, in sagrestia e accordandomi la di lui protezione mi promise parlargli, e la sera del 19 mi riferì essergli dispiaciuta l’ottava sopra scritta.

Fu questo per me un vero balsamo; dapoiché mi convinsi che quel feroce Pro-console non erasi addato di tutte le idee rivoluzionarie, che qui e là avea io saputo insinuare nei vasti Prolegomini, nelle note e nei canti del libro.

All’istante sostituii la seguente all’ottava anatemizzata; fu rifatto il cartesino, e l’opera al momento diffusa. La risposta spuria dicea così:

Risposta del Crocifisso.E tu chi ti scurdasti o testa pazza,Chiddu ch’è scrittu ’ntra la liggi mia?Sempri ’nguerra sarà l’umana razzaSi ccu l’offisi l’offisi castija;A cui ti offenni lu vasa e l’abbrazza,E in Paradisu sidirai ccu mia:M’inchiuvaru l’ebrei ’ntra sta cruciazza,E celu e terra disfari putia.

Oggi benedicendo la libertà riconquistata dal popolo per incitamento de’ let-terati, la pubblico, pregando Dio che lo sgoverno italico non ci costringa a maledi-re i sacrifizi patiti per ottenerla.

Se in questa circostanza Vigo deve fronteggiare l’emergenza inventan-do di sana pianta la risposta, l’episodio rinvia più in generale all’incidenza dei raccoglitori sui contenuti dei canti. In effetti anche la versione ‘autenti-ca’ del Lamento di un servo ad un Santo Crocifisso, fornita dall’abate messine-se Carmelo Allegra (insegnante e fervente patriota), pare soprattutto una riuscita prova d’autore, nel segno di una potente forza contestativa i cui

48 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., pp. 303-30449 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 735.

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echi sono giunti fino ai giorni nostri grazie alla canzone Malarazza di Do-menico Modugno (Carosello Record, 1976), non a caso tutt’oggi riproposta in differenti versioni o arrangiamenti da numerosi cantanti solisti e gruppi musicali. Lo stesso Vigo, scrivendo a Luigi Capuana (1839-1815), ammette d’altronde di avere ‘rimaneggiato’ i versi di qualche canto e il celebre scrit-tore a sua volta dichiara, ma soltanto dopo la scomparsa dell’amico e ma-estro, di essere stato autore di ventotto ‘canti popolari’ pubblicati da Vigo come autentici.50 Di questo fatto Capuana fornisce una prima confessione, se pure non del tutto esplicita, nella prefazione a una ristampa delle Poesie in dialetto siciliano di Paolo Maura 51:I canti popolari, coi quali si chiude questa piccola antologia poetica mineola, fu-rono pubblicati insieme a molti altri nella lodata raccolta del Vigo, specialmente nella seconda edizione del 1874. Dei vari canti popolari, meno poche eccezioni, nessuno può dire dove sian nati, né chi sia stato il loro babbo. Questi intanto li dò addirittura per mineoli, perché so… essere una falsificazione letteraria; ben riusci-ta, aggiungo, se il Vigo non solamente non sospettò della loro autenticità, ma li onorò di alcune note ammirative che io riproduco. L’autore di questa innocente soverchieria desidera conservare l’anonimo e prega che essa gli sia perdonata in grazia dell’età giovanile in cui la commise. [p. xiv]

L’episodio è ripreso più dettagliatamente nelle pagine che Capuana de-dica a Vigo nel volume su Gli ‘ismi’ contemporanei, dove la ‘burletta’ giova-nile viene così motivata:Sfogliando la sua Raccolta amplissima, si vede a occhio la larga parte da lui fatta ad Acireale; e dico fatta perché mi consta che egli metteva come raccolti colà i più bei canti che gli arrivavano da altri paesi siciliani. Io gli avevo mandato alcune centinaia di canti popolari raccolti dalla bocca dei contadini della mia città nativa, Mineo: rileggendo le bozze di stampa, mi accorsi che parecchi di essi erano stati sottosegnati: Acireale; e me ne lagnai.

– Che importa? – egli mi rispose. – Di Mineo, o di Acireale, rimangono sempre siciliani.

E fu allora che io, non volendo mostrarmi da meno nell’amore del proprio paese, gli feci la burletta di foggiare qualche centinaio di canti, da lui, in buona fede, poi stampati come popolari. Ricordo che in uno di essi m’ero appropriato un noto verso dantesco, voltandolo in dialetto: Donni ch’aviti ‘ntillettu d’amuri [vedi il testo completo in Vigo 1857: 217, 1870-74: 267]. Seppi, parecchi anni appresso, quando svelai dopo la morte del Vigo la mia marachella giovanile, che il professor D’Ancona, dalla sua cattedra di Pisa, aveva a lungo discusso intorno alla questione se Dante avesse tolto a imprestito quel verso da l’ignoto poeta popolare siciliano, o se il poeta siciliano lo avesse rubato all’Alighieri. […]

50 Cfr. Capuana, Lionardo Vigo, cit., pp. 223-224; G. Cocchiara, Le origini della poesia popo-lare, Boringhieri, Torino 1966, pp. 302-311; S. Rapisarda, Dante nelle campagne di Mineo e altre imposture siciliane, in ‘Contrafactum’. Copia, imitazione, falso, a cura di G. Peron e A. Andreose, Trento, Università degli Studi di Trento, 2006, pp. 325-352: 339-343.

51 P. Maura, Poesie in dialetto siciliano: con alcune di altri poeti mineoli, una prefazione di L. Capuana e un fac-simile, Milano, Brigola, 1879.

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Trovo qua e là nel volume tracce della mia marachella dei supposti canti popo-lari. In uno di essi io avevo messo il nome del conte Ruggiero: 52

Bedda, ch’aviti picciulu lu peri,D’oru e d’argentu la scarpa v’hè fari.Si vi scuprisci lu conti RuggeriCa di lu peri s’avi ‘nnamurari!

Il nome del suo eroe prediletto era bastato per fargli supporre che quel canto fosse del tempo della conquista normanna.53

Le discussioni intorno alla reale paternità del verso dantesco e al perio-do genetico dell’ottava in cui si nomina il conte Ruggiero animano quindi un dibattito a tratti polemico, senza tuttavia che alcuno ponga in dubbio l’autenticità dei due canti provenienti da Mineo (cfr. infra). Vigo, dal canto suo, nell’edizione dei due testi menzionati da Capuana si limita ad annotare a pie’ di pagina: «Questo verso è di Dante: egli a’ nostri poeti, o coloro a lui lo tolsero?»; 54 «Questa canzona parla del G. Conte Ruggiero come di vivente: non si può da ciò inferire l’antichità del canto?».55 Nella Raccolta amplissima Vigo anziché «lu conti Ruggeri» scrive però «Gran Conti Rug-geri», giusto per non lasciare dubbi sull’identità del condottiero normanno del casato d’Altavilla, conferendo in questo modo maggiore forza al discor-so sull’antichità del siciliano. Canzuni di ‘tradizione orale’ come quella in questione starebbero infatti per lui a testimoniare la coeva formazione della lingua in cui sono espresse: ergo, il siciliano si parlava già al tempo della conquista normanna.

Al di là dei limiti metodologici e della indifendibile visione pansicilia-na che orienta l’impostazione generale dei Canti, i contenuti di ordine più specificamente etnografico presentano svariati motivi di interesse. Vigo è a esempio il primo a volgere l’attenzione verso i cantastorie di mestiere, dedi-cando loro per intero il decimo paragrafo dei Prolegomini (De’ ciechi trovatori e rapsodi). Qui non si limita a illustrare modalità e occasioni del loro operare (dai riti devozionali alle feste nuziali, dalle serenate al Carnevale), indicando gli strumenti musicali impiegati (violino e colascione) e il genere di canti eseguiti (soprattutto storie sacre e profane), ma offre anche testimonianza della singolare vicenda che vide i cantastorie ciechi palermitani radunarsi in congregazione nel 1661 sotto la protezione dei Gesuiti. La maggior parte delle notizie sulla storia della Congregazione e sulle norme che ne regola-mentavano l’attività sono state fornite direttamente dai congregati – di cui Vigo si dichiara amico e benefattore – e per questo risultano particolar-mente preziose (cfr. infra).

52 Vedi il testo completo in Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 244.53 Capuana, Lionardo Vigo, cit., pp. 216-217, 222-223.54 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 217, nota 1.55 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 244, nota 6.

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Informazioni rilevanti contiene anche il paragrafo undicesimo, dedica-to a Musica, metri, errori e tenzoni de’ poeti popolari. Se pure entro un quadro inteso ad affermare la genesi autoctona delle forme metriche e melodiche del canto popolare siciliano (con la consueta negazione di ogni inf luenza al di fuori di quella elleno-latina), viene qui offerta per la prima volta una rassegna delle principali forme del canto monostrofico (canzuna e ciuri) e polistrofico ( ‘canzonetta’, ‘aria’, ‘storia’ e ‘leggenda’), con riferimento alla relazione fra canto e contesto sociale («contadini, lettighieri, lavandaie, pe-scatori, montanari, cittadini adoperano cantilene loro proprie e svariate») e alla terminologia adottata nelle diverse aree dell’Isola: l’ottava di endeca-sillabi a rima alterna in genere è detta canzuna, ma in Caltanissetta viene chiamata strammuttu (strambotto), mentre nei paesi etnei si dice sturnettu (stornello); per ciuri si intende una strofa di tre versi, composta da un quina-rio seguito da una coppia di endecasillabi (cioè lo ‘stornello’ propriamente detto); metri brevi (settenario e ottonario) sono invece impiegati nelle can-zunetti (canzonette) e nelle arii (arie), di tema sia sacro sia profano, perlopiù eseguite con accompagnamento di chitarra; per le storii si predilige l’ende-casillabo e l’ottava ‘catenata’ (l’ultimo verso di una strofa rima col primo della successiva). Altri generi poetici sono i diesilli (canti funebri), le ninne vò (ninnananne) e le nuveni (novene). Nonostante la mancanza di una spe-cifica competenza musicale, Vigo include anche cinque canti trascritti per voce e pianoforte, premettendo che, a sua conoscenza, anche il musicista Vincenzo Bellini e due viaggiatori stranieri – cita un non meglio identifica-to Stuard inglese e il f rancese Auguste de Sayve – avevano trascritto le «in-genue cantilene» dei popolani siciliani.56 Le trascrizioni gli sono fornite da Francesco Flavetti, maestro della Cappella del Senato di Acireale, ma ne è autore «Sebastiano Pennisi da Aci, cieco appena nato, […] conoscitore non volgare della musicale scienza, e soccorso nella laboriosa raccolta dall’au-silio dell’Accademia degli Zelanti».57 La piccola collezione – composta da tre arii (1. C’è na figghia di massaru / 2. Nici non pozzu esprimerti / 3. Si pi disgrazia iu perdu a Rosa) e due canzuni (4. Giustizia, giustizia miu signuri / 5. Avi sett’anni ca su maritata) – è caratterizzata da uno stile musicale di gusto popolaresco molto comune nei contesti cittadini tra i secoli XVIII e XIX.58 Va notato che nessuno dei relativi testi poetici compare nei Canti, mentre uno solo – C’è na figghia di massaru – viene riportato per esteso (19 strofe) nella XV sezione della Raccolta amplissima (Arie, n. 1391), da cui però l’auto-

56 Solo nel caso di De Sayve esiste tuttavia un effettivo riscontro, per cui si veda Bonanzin-ga, I viaggiatori, la musica, il popolo, cit.

57 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 58; Id., Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 60.

58 Cfr. S. Bonanzinga, Introduzione, in F. Bose, Musiche popolari siciliane raccolte da Giacomo Meyerbeer [1970], a cura di S. Bonanzinga, trad. it. Palermo, Sellerio, 1993; l’ultima melodia è tuttora piuttosto diffusa nella tradizione orale di vari centri dell’Isola, con speciale riferimento a un testo che ruota intorno al tema dell’offerta del basilico come metafora di un vagheggiato incontro amoroso.

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re inspiegabilmente espunge le pagine musicali (qui riprodotte in Appendi-ce). È invece mantenuta nell’Amplissima la rudimentale schematizzazione grafica e la descrizione di una canzone a ballo denominata Ruggiera, che «usasi in Galati, paese locato sulle creste de’ Nettunii in quel di Messina».59 Le notizie in merito sono fornite per corrispondenza da Michele Bertolami (1815-1872), giurista, patriota e letterato nativo di Novara di Sicilia (pae-se dei Monti Nebrodi) ma che a lungo risiedette a Messina dove lavorava come segretario presso la Cassa di Corte (l’istituto bancario centrale del regno borbonico). Poiché la canzone «serba il nome del benefico fondatore della nostra monarchia» Vigo deduce che queste ‘ridde’ «traggon principio dall’epoca normanna» (ibidem).

Il paragrafo ‘musicale’ si conclude con un riferimento alle tenzoni fra poeti improvvisatori, dove viene posta la distinzione tra sfide di guerra – non di rado culminanti in risse provocate dalle vivaci reazioni dei perdenti – e sfide di pace, in cui si gareggia nell’elogiare un santo nel giorno della sua celebrazione. Degna di rilievo è la descrizione di una sfida tenutasi il 24 giugno 1852 in occasione della festa di San Giovanni Battista a San Giovanni Galermo (comune autonomo fino al 1926, poi assorbito nella giurisdizione urbana di Catania). Vigo si reca personalmente alla festa e ne offre puntuale resoconto (con nomi e mestieri dei cinque poeti e specificazione dei temi affrontati e dei metri utilizzati), lodando la tenace persistenza delle «nostre greche costumanze».60

Nel dodicesimo paragrafo tocca un’altra importante questione che, come vedremo più avanti, rinvia a complesse implicazioni riguardo alla no-zione di ‘popolarità’ di un canto. Vigo qui distingue infatti i canti del popolo da quelli pel popolo, nel cui ambito rientrano le storie: poemetti narrativi di vario argomento (erotico, sacro, storico-politico), «ove sono bellezze, le quali non cedono a quelle degli altri canti di cui fiorisce la presente Raccol-ta».61 A questa categoria appartengono anche il lungo canto che narra la triste vicenda della Baronessa di Carini, cui Vigo accenna nella Prefazione 62 e su cui poi lavorerà alacremente Salvatore Salomone Marino (cfr. infra), e due ‘contrasti’ – Li multi vuci e Lu tuppi tuppi – che riecheggiano la canzone di Ciullo d’Alcamo: «la tradizione l’ha conservato per sette secoli, e i poeti l’hanno popolarizzato. Con la potenza poetica un amatore vince la ritrosia di una giovane poetessa».63 Di questo sterminato repertorio fornisce però solo pochi altri esempi, senza illustrare le dinamiche della loro circolazione in ambito popolare e limitandosi ad auspicare future indagini (molte stam-

59 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 65; Id., Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 69.

60 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 66 nota 1; Id., Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 69 nota 1.

61 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., pp. 67-69.62 Riportandone alcune strofe alle pp. 24-25.63 Ibid., p. 313; Id., Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 653.

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pe popolari sono però indicate nel Catalogo cronologico di opere stampate in lingua siciliana disposto da Padre Vincenzo Bondice da Catania anteposto alla sezione dei canti). Questa oggettiva carenza presta il fianco alla richiesta che gli fa Nigra di motivare «la deficienza di poesia popolare storica e og-gettiva nell’Italia inferiore» e che stimolerà in seguito una serrata discussio-ne metodologica corroborata da qualificati interventi (cfr. infra).

La scelta di includere nel volume anche i canti ‘lombardi’ e ‘albanesi’ non si può infine considerare che in termini positivi. Nonostante le diffi-coltà che comportava la pubblicazione di canti in due lingue che gli erano sconosciute, parlate presso comunità che non aveva mai direttamente fre-quentato, Vigo vuole lo stesso darne notizia, sia per completezza tematica sia per stimolare ulteriori indagini. Delle polemiche suscitate dai canti lom-bardo-siculi si è già detto e più avanti si tornerà a dire. Il capitolo relativo ai Canti sicolo-albanesi, curato da monsignor Giuseppe Crispi (Vescovo di Lampsaco), non innesca particolari dibattiti ma presenta aspetti ugualmen-te notevoli. In una lettera datata 1 marzo 1851, Crispi si impegna a mandare a Vigo un buon numero di canti inediti,64 rinunciando a inserirli in una sua imminente pubblicazione riguardante gli usi e i costumi dei centri di etnia arbëresh.65 Nel Preliminare ai testi poetici l’ecclesiastico descrive fra l’altro l’occasione associata al canto La resurrezione di Lazzaro, di cui pubblica tutte le strofe:[…] suolsi cantare, specialmente in Palazzo Adriano, la notte del venerdì che pre-cede la Domenica delle Palme. L’usanza è questa: si riuniscono parecchi giovani, che con una musica particolare vanno a cantar la canzone di porta in porta: e come finiscono di cantare, esce la padrona di casa, che fa loro complimenti di uova, cacio, o di altro somiglievole […].66

Quest’azione rituale itinerante viene in seguito descritta da autori come Giuseppe Schirò (1907) e Ignazio Gattuso (1977), ed è tuttora praticata, se pure con diverse innovazioni, in tutti i centri siculo-albanesi (cfr. Bonanzin-ga cd.1995, Mandalà 2001 e 2002).67

La pubblicazione dei Canti riscuote un notevole successo e le critiche degli studiosi settentrionali, con in testa la recensione di Nigra (cfr. supra),

64 Cfr. Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., pp. 357-358.65 Cfr. Crispi, Memorie storiche di talune costumanze appartenenti alle colonie greco-albanesi di

Sicilia, Palermo, Tip. Morvillo, 1852.66 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 340; Id., Raccolta amplissima di canti

popolari siciliani, cit., p. 694.67 Cfr. S. Bonanzinga, a cura di, Documenti sonori dell’Archivio Etnomusicale Siciliano. Il ciclo

della vita, compact disc, coll. di R. Perricone, Palermo, Centro per le Iniziative Musicali in Sici-lia,1995; M. Mandalà, Due canti tradizionali albanesi in Sicilia, in G. Garofalo, a cura di, Canti bizantini di Mezzojuso, 2 voll., Palermo, Regione Siciliana, 2001, pp. 1-19; Id., La tradizione ma-noscritta e a stampa dei canti sacri siculo-arbëreshë, in Musica e paraliturgia degli Albanesi di Sicilia, a cura di G. Garofalo, Atti della Giornata di Studi (Mezzojuso, 28 aprile 2002), Palermo, Regione Siciliana, 2002, pp. 91-107.

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divengono per Vigo occasione di vagheggiare un ‘fronte siculo’ di resisten-za, come apertamente dichiara in tre lettere indirizzate a Capuana tra mar-zo e giugno del 1858: Chi può negarlo? Dalla Toscana in giù non se ne trovano – canti storici –: in su, sin alle Alpi, formicolano… Ma, cazzissimo, non se ne possono trovare? Darei tutto per averne un buon dato: qui sono state vittorie, sconfitte, veleni, coltellate, ratti, stupri, cataclismi, rivolte etc., il Vespro, patriarca dei casi umani! E il popolo dimenticò tutto? Non è possibile… Tentate tutti i paesi e tutti i casali, chi sa, forse otterremo quanto ci manca. […] 68

Non ho avuto riposo…, ho dovuto leggere e rileggere, senza il menomo soccorso di un amico, cataste di libri e rispondere a C. Nigra da Torino, il quale mi ha tirato cannonate a palla e a mitraglia… Già, i miei Schiarimenti alla prefazione sono sotto i torchi in Palermo, e così, credo ancora in Torino e a Firenze, talché il Nigra si avrà in giugno l’Etna in eruzione lanciato sull’anima. E lì non arresterò; se fiaterà, se non si darà mani e piedi incatenato, ho pronti i secondi e i terzi proiettili. Passo che come autore è degno di ossequio ed elogio, come critico è un bur…no. Ci sprezzano troppo e non vogliono conoscere noi avere avuto da Dio maggiore co-pia d’intelligenza di quanto ad essi ne largì, plasmandoli, il padre eterno. Perciò gli ho acconciato il suo Balbo e gli ho ribadito le teoriche bandite nella prefazione dei canti [il letterato e politico torinese Cesare Balbo era stato confutato da Vigo per avere sostenuto che presso la corte di Federico II si fosse poetato in francese]. La quistione è nazionale, e credo avere dalla mia Perez, Amari E. [Emerico, letterato e patriota di nobile famiglia palermitana], Giudici, oltre Sanfilippo, Gallo, Narbo-ne. Sarebbe opportuno che qualche testa soda tra i giovani, e meglio di Palermo, uscisse in campo a militare sotto questa bandiera…69

[…] la Raccolta pubblicata è in grazia all’Italia: Giudici ne ha dato giudizio con tre articoli nel Crepuscolo di Milano; Rubieri e D’Ancona nei giornali toscani; Navarro nell’Idea; Serena in Napoli…; Nigra a Torino, e a costui ho mandato gli Schia-rimenti, che or ora ho stampato nello Spettatore di Firenze […]. Le nostre teste sono tutte meco, così Giudici, Perez, Amari, Ardizzone etc., sicché spero innove-remo radicalmente la nostra storia letteraria e la Sicilia del Gran Conte, e prima di Roma, avrà il seggio che le compete.70

I toni da ‘chiamata alle armi’ ribadiscono quali fossero per Vigo i termi-ni della «quistione nazionale»: il suo ideale resta la costituzione del Regno di Sicilia, in grazia di un primato storico e culturale decretato addirittura per volontà divina (ma qui va colta l’ironia di una frase scritta in una let-tera privata destinata a un amico). La perdurante delusione per il mancato raggiungimento dell’autonomia si coglie d’altronde in un episodio riferito da Capuana, che vede un Vigo ormai anziano rievocare nostalgicamente i moti del 1848:

68 Lettera del 12 marzo 1858, cit., in Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., p. 365.69 Lettera del 21 maggio 1858, cit., in Ibid., p. 367.70 Lettera del 18 giugno 1858, cit., in Ibid., pp. 367-368.

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Ed ecco, quasi su la soglia della mia provincia, Acireale; ed ecco la figura alta, bru-na, scabrosa di Lionardo Vigo – il primo raccoglitore dei canti popolari siciliani, nato e morto colà – evocata viva e parlante dall’immaginazione commossa, come lo aveva veduto l’ultima volta: dall’andatura altiera, dalla voce rauca, dalle labbra carnose e che, parlando, sembrava dessero una stretta alle parole per improntarle del proprio marchio, allo stesso modo che il bilanciere coi tondi di metallo da ridurre a monete.

E non soltanto la figura, ma una serie di scene caratteristiche. Prima, la lettura d’un manoscritto di suoi ricordi intorno alla rivoluzione siciliana del ‘48, lettura interrotta dall’impertinente sorriso sfuggito a quattro giovani studenti e a me, mentre egli declamava i suoi larghi periodi dove la nazione siciliana, il re di Sicilia, il parlamento siciliano rimbombavano sonoramente, eco di altri tempi per noi già sognanti un regno d’Italia, un re d’Italia, un parlamento italiano.

Egli aveva subito capito, e i suoi occhi cerulei si erano intorbidati, e la fronte e le sopracciglia s’erano corrugate, e le mani avevano buttato per terra il mano-scritto e si eran levate in alto maledicenti, mentre le labbra illividite ci lanciavano in faccia il grido – Matricidi! – che ci rendeva attoniti e mortificati.71

Con l’Unità d’Italia, nella complessa e sofferta dialettica che si sviluppa tra l’ex Regno delle Due Sicilie e Casa Savoia, Vigo avverte con maggio-re urgenza la necessità di proseguire il lavoro già avviato e progetta una nuova edizione dei Canti: ampliata, più riccamente illustrata e corredata da adeguate repliche alle critiche giunte dagli studiosi del Continente. In questa fase si avvicinano all’erudito di Acireale alcuni giovani intellettuali intenzionati a seguirne l’esempio. Fra questi spiccano Letterio Lizio Bruno, Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino. A partire dal 1867 questi ini-ziano a pubblicare articoli e volumi, aprendo la feconda stagione di studi che si svilupperà nei decenni successivi nel segno di un ‘sicilianismo’ non più ancorato a concezioni autonomiste, ma proiettato verso il contesto so-ciopolitico e culturale dell’Italia unita (cfr. in particolare Lizio Bruno 1867, 1871; Salomone Marino 1867, 1868, 1870a, 1870b, 1873; Pitrè 1868, 1870-71, 1872).72

71 L. Capuana, La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea, Bologna, Zani-chelli, 1894, pp. 13-15.

72 Cfr. in particolare L. Lizio Bruno, Canti scelti del popolo siciliano illustrati e posti in versi italiani ed in prosa francese, Messina, Tip. D’Amico, 1867; Id., Canti popolari delle Isole Eolie e di altri luoghi di Sicilia, messi in prosa italiana ed illustrati, Messina, Tip. D’Amico, 1871; ried. in L. Lizio Bruno e F. Mango, Canti popolari siciliani, a cura di S. Bonanzinga, Palermo, Folkstudio, 1987; S. Salomone Marino, Canti popolari siciliani in aggiunta a quelli del Vigo, Palermo, Gili-berti,; ried. a cura di F. Cannatella, Palermo, Centro Internazionale di Etnostoria, 2004; Id., La storia nei canti popolari siciliani. A Giuseppe Pitrè, in «La Sicilia», a. III, vol. 17, 1868, pp. 3-19; Id., La storia nei canti popolari siciliani, 2ª ed. corretta e accresciuta, Palermo, Giliberti, 1870; Id., La Baronessa di Carini. Leggenda storica popolare del sec. XVI in poesia siciliana, Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia, 1870; Id., La Baronessa di Carini. Leggenda storica popolare del sec. XVI in poesia siciliana, 2ª ed. corretta ed arricchita di nuovi documenti, Palermo, Pedone Lauriel, 1873; G. Pi-trè, Studio critico sui canti popolari siciliani, Palermo, Tip. del Giornale di Sicilia, 1868; Id., Canti popolari siciliani, 2 voll., Palermo, Pedone Lauriel, 1870-71; Id., Studi di poesia popolare, Palermo, Pedone Lauriel, 1872.

LIONARDO VIGO, UN PIONIERE DELL’ETNOGRAFIA SICILIANA 39

Per la nuova generazione di studiosi l’insegnamento di Vigo costituisce inizialmente un indiscusso caposaldo e i canti della sua raccolta sono rite-nuti un essenziale termine di confronto. Così scrive a esempio il letterato e insegnante messinese Letterio Lizio Bruno, che pubblica due volumetti di canti per la larga parte raccolti nell’area peloritana e nelle Isole Eolie, avvertendo l’esigenza di darne la traduzione – italiana e francese nel primo e solo italiana nel secondo – a vantaggio di un pubblico extra-isolano:La Raccolta del Vigo per quelli di Sicilia a chi non è nota? Or noi spesse volte, svolgendola, dicevamo a noi stessi: il Vigo nel raccogliere e pubblicare sì preziosa messe (non però tutta), fece opera degna: ma il dialetto siciliano da quanti dei non siciliani è conosciuto? Senz’alcun dubbio, da pochissimi.73

Or questo ho voluto io aver di mira, nel condurre (debolmente, come potei) l’illu-strazione di questa mia Raccolta di Canti inediti, che ho messo in corrispondenza con quelli già pubblicati dal Vigo, dal Salomone Marino e dal Pitrè, oltreché con quelli degli altri popoli italiani e di molti stranieri. [1871: VI] 74

Più articolato è l’apprezzamento che manifesta Salvatore Salomone Marino, un medico nativo di Borgetto (piccolo centro del Palermitano) che, insieme a Pitrè, diverrà il maggiore esperto del folklore siciliano. Il proget-to di Salomone Marino, all’epoca appena ventenne, è quello di integrare la raccolta di Vigo con canti provenienti dalla provincia di Palermo, come difatti dichiara nel titolo: Canti popolari siciliani in aggiunta a quelli del Vigo. Nella Prefazione loda pertanto il suo illustre predecessore, pur preferendo adottare una diversa suddivisione dei canti e un sistema di trascrizione più conforme alla parlata dell’area palermitana:Splendidissima corona intrecciava alla Sicilia l’illustre Lionardo Vigo, nel 1857, col suo bel volume ricco di mille e trecento circa canti popolari. Tuttavia quante gemme a questa corona non mancano? E sì che il Vigo, aiutato da valenti letterati dell’Isola, die’ fuori una raccolta che si lasciò dietro le altre del resto della Penisola, e non fu fors’anco raggiunta dalla toscana del Tigri, alla quale però incontrastabile resta il merito della lingua. – Io ho raccolto i miei 750 canti in questa provincia di Palermo, dove il Vigo non fu a spigolare; molti ne ho trovati in Palermo, in Ter-mini e in qualche altro paese già da lui spigolato; la qual cosa mi mostra che, se il simile si facesse nel resto della Sicilia, specialmente nella provincia di Trapani, una messe nuova e non iscarsa di canti si troverebbe, e meglio potrebbe mostrare che fra noi la poesia popolare è una miniera che, più scavi, più abbondante la trovi.

Due paroline ora, o lettore, sulla via da me tenuta in questa raccolta. – Intendendo, anzitutto, fare un’aggiunta al Vigo, m’è parso giusto di seguire le sue tracce. Ho accettata la partizione metodica ch’egli fece dei canti; ma mi parve troppo diffusa e un po’ scapigliata; l’ho quindi ristretta, e insieme rimpastata in parte, perché i canti si succedessero secondo l’ordine logico che io mi prefissi. Se bene o male ho fatto,

73 Lizio Bruno, Canti scelti del popolo siciliano, cit., p. x.74 Id., Canti popolari delle Isole Eolie e di altri luoghi di Sicilia, cit., p. vi.

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giudicane tu, o lettore; io ti metto qui in nota la partizione del Vigo, che potrai a tua voglia confrontare colla mia. – Nell’ortografia mi sono attenuto interamente alla pronunzia del popolo di questa provincia; pronunzia che fa sentir chiare e spic-cate le parole, e che più, fra le altre siciliane, alla italiana si assomiglia.75

Anche il medico palermitano Giuseppe Pitrè – che con i venticinque volumi della sua Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane (1870-1913), la fondazione del Museo Etnografico Siciliano (1910), la costituzione, insieme a Salomone Marino, della rivista «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari» (1882-1909) e l’assunzione della cattedra universitaria di Demop-sicologia (1913) giungerà a svolgere un ruolo di primo piano nell’ambito degli studi folklorici europei – non manca fin dal suo primo Studio critico sui canti popolari siciliani (1868, poi ristampato come proemio ai Canti) di elogiare il contributo di Vigo, salvo poi evidenziarne le lacune geografiche e preferirgli i criteri adottati da Salomone Marino in ordine al sistema di ripartizione e al metodo di trascrizione: Qui in Sicilia, a darne una collezione quale veruno ebbe dato finora, Lionardo Vigo fu il primo. Grande la ricchezza del suo volume, sconfinata l’erudizione del discorso proemiale: eppure le ricerche di questi ultimi anni son venute a dimo-strare che in questo campo non pure sia da spigolare, ma altresì da mietere, e largamente.

Una raccolta di canti popolari inediti è quella testè pubblicata dal Salomone Marino. Consta essa un settecentocinquanta canti, trovati in questa nostra provin-cia: il che prova evidentemente che se si facessero di consimili ricerche in quella di Trapani, dove il Vigo non fu, troverebbesi una messe nuova e non iscarsa di canti, che meglio potrebber mostrare la popolar poesia essere qui una miniera preziosissima. Il raccoglitore avrebbe potuto con agevolezza sorpassare il migliaio, perocché di oltre duecento canti non mai fin qui stampati rimandò a tempo più opportuno la pubblicazione. Non seguì la lunga partizione del Vigo, la quale poco più di cinquanta sezioni stabilisce per milleduecento componimenti; ma sulle trac-ce di essa il Salomone ne ha presentato una, che torna più facile da comprendere il numero e nel distribuire il genere delle poesie. Altronde collo stabilire un ordine strettamente logico nella partizione, collo sceverare ciò che sembra men neces-sario, collo scendere a frequenti e notabili paragoni tra i nostri e i canti degli altri dialetti nazionali e di qualche lingua forestiera, ha smesso l’ortografia Vighiana per attenersi a quella che meglio significa la pronunzia di questa provincia: la qua-le fra i vari accenti che piglia il dialetto negli altri luoghi dell’isola, più all’italiano si assomiglia; onde poetizzata dal Meli, è per noi divenuta classica.76

Sia Pitrè che Salomone Marino intervengono inoltre sulla questione dei ‘canti storici’: il primo affrontando il tema nei capitoli IX e X – Ricordi storici e Reminiscenze storiche – del suo Studio critico 77 e il secondo attraverso una

75 Salomone Marino, Canti popolari siciliani in aggiunta a quelli del Vigo, cit., pp. vii-ix.76 Pitré, Canti popolari siciliani, I, cit., pp. 4-5.77 Id., Studio critico sui canti popolari siciliani, cit.; Id., Canti popolari siciliani, cit., pp. 3-181.

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‘lettera’ dal titolo La storia nei canti popolari siciliani indirizzata a Giuseppe Pitrè,78 riproposta due anni dopo, abbandonando la forma epistolare, in una versione rivista e ampliata. Nell’Appello ai lettori fa esplicito riferimento alla contrapposizione tra Nigra e Vigo:Le benevoli parole e i gentili incoraggiamenti con cui parecchi illustri italiani e stranieri accolsero il mio Saggio della Storia nei canti popolari siciliani, edito nel 1868, mi han dato animo a continuare nelle faticose e lunghe ricerche, con rad-doppiata lena, e con amor più costante. Ed è così che, a cominciar da’ Normanni e venendo fino ai dì presenti, ho raccolto e sufficientemente illustrato buon numero di canti del popolo nostro, valevoli a dimostrar chiaramente esser la Sicilia, tra le italiane provincie, quella che di preferenza più intatte e vivissime serbi le tradizioni e la storia. Dopo gli studi del conte Nigra sulle canzoni popolari del Piemonte, noi fummo i primi in Italia che con speciale lavoro cercammo nella poesia del popolo le storiche allusioni; e ci è caro il ricordar questo, oggi che tal genere di studî pren-de rigoglioso avanzamento tra noi.

Io non divulgo ora l’intero lavoro, per la sola ragione che amo trar profitto da non pochi altri canti storici, o accennanti a storia, che il Vigo possiede, e vedranno prossimamente la luce nella sua Raccolta amplissima di canti popolari siciliani.79

Nello stesso anno Salomone Marino ritorna sul tema, pubblicando la prima edizione dello studio sulla storia della Baronessa di Carini.80 Qui deli-nea con chiarezza quali siano generi e temi della materia narrativa in Sicilia (canto, racconto epico-cavalleresco, fiaba) e come questa sia diffusa da se-coli grazie all’opera di cantastorie e contastorie di professione:[…] io sento il bisogno di fare una partizione tra leggende sacre e leggende profane. […] Il popolo nostro, come il toscano e come gli antichi, dà il nome di Storie a que-ste novellette o poemetti narrativi; da cui i Cantastorie che le vanno cantando per le piazze e per le ville. E storia indica appunto che non è fiaba; e se tal pare, gli è perché ci ha sottratto il tempo la memoria del fatto o del personaggio cantato. Le vere fiabe qui appellansi Conti, e in questi sì che un fondo di vero è rara cosa tro-varcelo, ma pur c’è. […] Ma pe’ conti di genere cavalleresco dura in Sicilia tuttavia, precipuamente nelle grandi città e più in Palermo, quell’antico uso del Contastorie, che all’aperto, o in apposito magazzino, con enfasi e maestria mirabile, narra alla moltitudine, che a bocca aperta pende dal suo labbro, le prodigiose avventure di Orlando e di Rinaldo e di tutti i Paladini […].

Le Storie sono in poesia, si cantano con musica propria a ognuna espressiva, accompagnate col violino, colla chitarra, col sistro o triangolo. V’è una classe di popolani, ciechi i più, poeti o che han sentimento per la poesia, e dotati della bella memoria, che han capo, leggi e statuti propri in Palermo; e questi si addicono sin da giovinetti al mestiere del canto e della musica. Vanno attorno per le città, pe’

78 Salomone Marino, La storia dei canti popolari siciliani, cit.79 Id., La storia nei canti popolari siciliani, 2ª ed. corretta e accresciuta, cit., pp. 3-4.80 Edizioni successive 1873 e 1914; cfr. A. Rigoli, La Baronessa di Carini. Tradizione e poesia,

Palermo, Flaccovio, 1984 e A. Varvaro, Adultèri, delitti e filologia. Il caso della baronessa di Carini, Bologna, il Mulino, 2010.

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paesetti della provincia, per le ville, guidati a mano da un ragazzo; e «bandito-ri dell’intimo consentimento nazionale, versificano l’ironia, la beffa, il lamento» (Vigo), improvvisano su cose recenti e antiche, o ripetono le più vecchie storie di cui han piena la mente. […]

Così propagasi per ogni canto dell’Isola una leggenda, così diventa popolare e famoso un fatto, un uomo: e quel villese l’apprende a quest’altro, quella donnetta la ripete alla sua figliolanza, quel giovane all’amico, al compagno suo. Ma il mutar di luogo, il trascorrer degli anni, il passare da una mente all’altra va sempre diffal-cando o mutando qualcosa alla leggenda. Questi ne ricorda un brano, e quello solo ripete; e per farlo parer intero ne modifica spesso il principio o la fine. Quell’altro ha dimenticato una parola, due versi; poco monta; dovendo ripetere e insegnar ad altri quella poesia, supplisce altra parola, altri versi ai mancanti, o creandoli se è da ciò, o togliendoli a qualcuno de’ canti che a centinaia tiene a memoria. Quel terzo, che a circostanze di sua vita, a venture sue vuole accomadare l’antica storia, la trasforma, la strazia, l’annulla. Di qui le varianti di parole e di versi, varianti sempre infinite, e talora contraddittorie, anche in un paese medesimo, e che fanno la disperazione di chi con paziente amore va raccogliendo que’ cari f rammenti d’antica poesia per unirli, e chi sa! vedersene emergere forse alla fine un brutto mosaico. Di qui ancora la dispersione totale di lunghe storie, di cui solo ricordanza lontana ha qualche vecchio, ma che non sa più recitare. [1870b: 12-16] 81

In questo passo l’autore pone implicitamente in questione cosa debba qualificare la ‘popolarità’ di un canto: questa non è legata unicamente alla sua origine, ma è anche determinata dalla dinamica culturale che ne ca-ratterizza la trasmissione nel tempo e nello spazio. In questa prospettiva acquistano pieno valore tutti quei ‘poemetti’ che nascono in forma scritta e sono divulgati su fogli volanti o libretti, entrando poi nel circuito dell’orali-tà e acquisendo nel gioco delle varianti una nuova originale vitalità, come appunto accade per le storie ‘sacre e profane’ che compongono il repertorio del canto narrativo in Sicilia. Vigo, come preannunciato, ne dà più ampio ragguaglio nella Raccolta amplissima e Salomone Marino riprende il tema in diversi studi e raccolte antologiche,82 andando in questo modo a contrasta-re le tesi sostenute da Nigra 83 e accolte da Ermolao Rubieri nella sua cele-bre Storia della poesia popolare italiana.84 Nigra associa difatti le produzioni poetiche popolari, per lui rispondenti a una filogenesi orale-collettiva, a ca-ratteri di ordine etnico-linguistico: il canto monostrofico si trova nell’Italia inferiore – area centromeridionale e Sicilia – a sostrato italico, mentre la can-

81 Salomone Marino, La Baronessa di Carini, cit., pp, 12-16.82 Id., Storie popolari in poesia siciliana riprodotte sulle stampe de’ secoli XVI, XVII e XVIII con

note e raffronti, Bologna, Tip. Fava e Garagnani, 1875; Id., Leggende popolari siciliane in poesia, Palermo, Pedone Lauriel, 1880; Id., Le storie popolari in poesia siciliana messe a stampa dal secolo XV ai dì nostri indicate e descritte, in «Archivio per lo studio delle tradizioni popolari»: XV (1896), pp. 105-130, 153-189; XVI (1897), pp. 94-122, 562-584; XVII (1898), pp. 477-512; XVIII (1899), pp. 176-216, 419-442; XIX (1900), pp. 48-64, 327-364; XX (1901), pp. 267-272.

83 C. Nigra, La poesia popolare italiana, in «Romania», a. V, 1876, pp. 417-452.84 E. Rubieri, Storia della poesia popolare italiana, Firenze, Barbera, 1877.

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zone narrativa, identificata nella ballata (formata da versi brevi e di esten-sione contenuta), domina le regioni dell’Italia superiore – Liguria, Piemon-te, Lombardia, Emilia e Venezie – a sostrato celtico. Se per Nigra e Rubieri la ‘popolarità’ di un canto risiede sostanzialmente nella sua origine, che deve essere orale e anonima, affatto diverso si presenta il caso delle storie siciliane, molto più lunghe e articolate perché concepite in forma scritta da autori più o meno dichiarati, ma che il ‘popolo’ rielabora attraverso il pas-saggio da bocca a orecchio nel corso del tempo: «Popolare nel vero senso della parola, dobbiamo chiamare una poesia, quando presso l’ignaro vulgo, e non di un solo comune e di una sola generazione e di un solo sesso, la troviamo diffusa, e graditissima, e con tenace affetto ritenuta a memoria».85 Su questa linea si pone D’Ancona, osservando come i materiali resi noti da Salomone Marino testimonino con certezza la presenza in Sicilia del canto narrativo, se pure in una forma diversa dalla ballata di area settentrionale e secondo una più ampia accezione del concetto di ‘popolarità’:[…] un poemetto narrativo, venuto in balia del popolo, riceve […] l’idelebil carat-tere della popolarità appunto con varianti, che son quasi suggello impressovi dal sentimento comune, e per le quali l’opera da individuale si tramuta in collettiva. […] Abbiamo qui dunque senza fallo una poesia nata fra il popolo, perché gli au-tori son popolani; destinata al popolo, che vi si compiace, la ripete, la modifica, se l’appropria: è vivente fra il popolo, dove è andato a cercarla e dove l’ha trovata e raccolta il Salomone Marino.86

I folkloristi siciliani della nuova generazione, pur manifestando il desi-derio di aggiornare gli studi sul canto popolare, estendendo le ricerche a ogni area della Sicilia e seguendo una metodologia più rigorosa per classi-ficare, trascrivere e commentare i testi, considerano comunque Vigo una stimolante autorità. Questi, nel giugno del 1870, assume difatti a Palermo la presidenza della Conferenza sul Dialetto Siciliano, nata principalmente allo scopo di fissare le norme della ‘sicula ortografia’ con il concorso di tutti i maggiori studiosi di filologia, linguistica e demologia del tempo. Il clima di questi incontri è restituito con una punta di ironia da Luigi Capuana, che così riferisce un episodio che gli viene narrato direttamente da Vigo:– Figurati! Il Di Giovanni, con parola elegante e immensa dottrina, sviscera per un’ora, da pari suo, il tema della discussione, e sembra che non lasci più niente da aggiungere; ma si alza il Pitrè, prende il tema da un altro lato, e lo illumina di esempi, di riscontri, di osservazioni argute, rafforzando la tesi sostenuta dal Di Giovanni. Terzo (non rammento chi, ma egli lo nominò) quando il soggetto pa-reva già esaurito, lo capovolge, lo sminuzza, lo rimpasta; torrente di erudizione, miracolo di critica storica, ci sbalordisce, ci entusiasma; la tesi del Di Giovanni trionfa! Scatta allora quel demonio del Traina che aveva fatto stupire i torinesi nei

85 Salomone Marino, Leggende popolari siciliane in poesia, cit., p. ix.86 A. D’Ancona, Canti narrativi del popolo siciliano, in «Rassegna Settimanale», a. VI, vol.

131, 1880, pp. 449-454: 450-451.

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comizi popolari, scatta e butta giù, quasi con un manrovescio, ogni cosa. Erudizio-ne, esempi, critica storica, volan per aria come poveri cenci dispersi da un turbine. E allora, non più battaglia ordinata, ma lotta corpo a corpo, confusione. Replica del Di Giovanni; replica del Pitrè; nuovo uragano del Traina… Parliamo tutti a una volta, non c’intendiamo più. – Ai voti! Ai voti! – Peggio. Il Pitrè si astiene, il Di Giovanni, nel trambusto, vota contro la propria proposta, credendo di votar in favore… Oh! Oh!

E la tosse gli aveva troncato in gola l’epica descrizione.

L’Accademia aveva discusso se la parola ciuri, fiore, dovesse scriversi all’antica xiu-ri, con l’x e l’i, o sciuri con l’esse e l’i, o ciuri con la ci e l’i! 87

Se in quegli anni si pongono le basi per un solido sviluppo degli studi demologici, nel contempo si alimenta fra i tre maggiori esponenti della ricerca folklorica – appunto Vigo, Pitrè e Salomone Marino – una tensione competitiva che finirà col degenerare in aperto conf litto: «ognuno di essi voleva avere il vanto di essere originale in qualche cosa, di avere una spe-ciale priorità nella raccolta dei canti, delle leggende, degli stornelli e simili, se qualcuno dei tre scrittori cominciò ben presto ad avere gelosia delle ri-cerche degli altri, e temette di restare oscurato, credo di cogliere la ragione vera vera e unica delle loro polemiche. Vigo, non si può mettere in dubbio, e gli stessi G. Pitrè e S. Salomone Marino lo confessano, era stato il promo-tore della letteratura popolare, era diventato il maestro, e come tale voleva sempre restare. Il suo vanto era di essere il caposcuola e ne era contento; la sua era quella di aver data, almeno per allora, la raccolta più ampia dei canti popolari siciliani».88

Consideriamo che ora Vigo è un settantenne provato da vicende esi-stenziali non certo esaltanti, sia sul piano della vita familiare (inviso agli zii paterni e posto in ombra dal cugino Leonardo Vigo Fuccio che diverrà senatore del Regno d’Italia) sia rispetto alla carriera professionale (con l’ex amico Michele Amari che da ministro gli preclude gli incarichi di ispettore agli studi e di docente universitario) e sia per il definitivo tramonto dei propri ideali politici di orientamento autonomista. Il carattere orgogliosa-mente polemico, l’aristocratica provenienza famigliare e l’impronta erudita ma attardata della sua formazione culturale non aiutano inoltre a sciogliere le asperità che sorgono nell’ambito di un terreno che fino al 1867 lo aveva visto operare quale unico protagonista. Al fine di coronare degnamente il proprio impegno nell’ambito degli studi folklorici, ribadendo il primato conseguito nel settore, progetta quindi la nuova edizione dei Canti, intito-landola con ostentata ambizione Raccolta amplissima. La pubblicazione di quest’opera porta però a risultati opposti a quelli auspicati, e Vigo passa nel giro di pochi anni dall’essere considerato un caposcuola a subire un vero e

87 Capuana, La Sicilia nei canti popolari e nella novellistica contemporanea, cit., pp. 16-17.88 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., p. 390.

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proprio ostracismo, spinto dai suoi detrattori ben oltre i demeriti che gli si potevano oggettivamente attribuire.

La «Raccolta amplissima di canti popolari siciliani» (1870-1874)

La Raccolta amplissima viene pubblicata come secondo volume delle «Opere di Leonardo Vigo» e reca sul frontespizio 1870-74 quale data di edi-zione. La Prefazione non si discosta da quella approntata per la prima edizio-ne, salvo alcuni aggiornamenti necessari a dare conto dei recenti sviluppi degli studi sulle tradizioni popolari e il dialetto, del mutato quadro politico e delle modifiche introdotte nella parte antologica, incrementata da otto ulteriori ‘categorie’, se si considera che la sezione dei Proverbi viene invece eliminata (si passa pertanto da 52 a 59). Nelle ultime pagine del volume (dal titolo Addio), l’autore illustra alcune fra le più significative innovazioni rispetto all’edizione precedente:Allora mi deliberai a dar fuori questa Raccolta Amplissima in LIX Categorie me-glio coordinate, contenente Azioni drammatiche, Misteri, storie, contrasti, canzo-ni, arie etc. con pienissima libertà e indipendenza politica e religiosa. […]

Non maravigli chi trovi tolti i Proverbii dalla presente Raccolta. Erano co-tanto accresciuti da poterne fare un volume distinto; e conoscendo che il mio caro Pitrè si occupa di sì grave argomento, gli ho lasciato con piacere libero il campo. All’ugual modo gli ho mandato e continuerò a fargli tenere le fiabe da me spigolate.

Nella presente ristampa ho aggiunto delle nuove Categorie, e tra di esse quella de’ canti politici, che prima mi era impossibile evulgare, e altri forse non l’osereb-be oggi stesso. Così ho esteso quella per città e popoli, le leggende storiche, i canti satirici, che sono tutti congeneri.89

Le pagine complessive quasi raddoppiano (da 370 a 751) e anche i Pro-legomini includono diverse parti inedite, a iniziare dall’appassionata Dedica a Re Ludovico di Baviera (quel Ludwig ritratto nel celebre film di Luchi-no Visconti), motivata dall’entusiasmo che in Vigo aveva suscitato un’ode indirizzata dal monarca Ai Siciliani del 1848.90 Alcuni nuovi scritti toccano questioni di ordine linguistico: l’Appendice al Ragionamento su’ lessici,91 che estende al 1870 la rassegna delineata nello studio precedente,92 con partico-lare riferimento ai contributi offerti da Pitrè, Traina e Mortillaro; l’Appendi-ce alla già ricordata lettera a Mortillaro del 1852 ,93 che continua ad alimen-tare la polemica avviata un quarto di secolo prima (cfr. supra); il paragrafo

89 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., pp. 749-750.90 Traduzione italiana in Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., pp. 150-151.91 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., pp. 101-102.92 Ibid., pp. 89-100.93 Ibid., pp. 112-114.

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dedicato all’Ortografia,94 dove Vigo espone le proprie opinioni, riportando le norme approvate dalla Conferenza sul Dialetto Siciliano da lui stesso presie-duta (cfr. supra). Le altre novità sono: gli Schiarimenti a Costantino Nigra; 95 la lettera Su’ Canti lombardi indirizzata a Giovenale Vegezzi Ruscalla nel set-tembre del 1870; 96 il Catalogo cronologico di Atti, stampe, istituti etc. attenenti a’ dialetto siciliano,97 che vorrebbe essere una versione aggiornata di quello curato nella precedente edizione da Vincenzo Bondice (cfr. infra); la già ricordata conclusione dal titolo Addio.98

Negli Schiarimenti a Nigra – apparsi su diversi periodici fin dal 1858 99 – sono ribadite le posizioni relative alle presunte ‘antiche’ origini del sicilia-no e all’ininf luenza della tradizione poetico-linguistica provenzale presso la corte di Federico II, con attacco a Cesare Balbo che erroneamente parla a questo riguardo di ‘lingua francese’ (cfr. supra). Nel ridefinire il nesso lingua-dialetto, Vigo palesa tuttavia ingenuamente come le esigenze della scienza siano state per lui subordinate alle necessità della politica:La favella che adoperano i siciliani è lingua o dialetto? – Come ho manifestato nel Ragionamento sui Lessici e lessicografi, nel 1837 sino al 1850 sostenni, per ragion politica, non essere dialetto, molto più dopo i rovesci del 1848 e la non riuscita di le-garci alla penisola, a qual uopo avevamo eletto re di Sicilia Alberto Amedeo fratello di Vittorio Emmanuele. Chi potea prevedere i possibili futuri nostri destini? Ma dopo di aver primi insorto il 4 aprile 1860 proclamando l’unità nazionale italiana, quindi combattuto ad espellere il Borbone da Napoli, e il 21 ottobre aver abdicato volonta-riamente la insulare autonomia, le considerazioni di stato, cessero alle filologiche, ed io primo chiamai dialetto quel volgare, che nel 1300 avea dato nome all’italico.100

Quanto ai tredici quesiti posti da Nigra (cfr. supra), la replica è un capo-lavoro di retorica che rinvia sostanzialmente al mittente la «litania di quesi-ti», invitandolo a indagare piuttosto l’origine delle parlate lombardo-sicule: Il Nigra ha preso una via facile: potrei di rimando proporgli altri cento quesiti dalla prima trasmigrazione dei siculi pel bosforo zancleo sino a quest’oggi. Oh quanti e quanti dubbii ancora ci restano a sciogliere, quanti gruppi abbiamo tagliati per non averli potuto distrigare! Dei suoi tredici quesiti taluni trova risoluti, a mio modo, ne’ presenti Prolegomini; così il 3 e il 10: altri mi sembrano di puro lusso, altri di disperata soluzione, altri utili, ma estranei al mio scopo.

Sarebbe stato più acconcio che il Nigra invece di propormi quella litania di quesiti, avesse tolto a chiarire se il lombardo siculo sia o no conforme a quello del Monferrato; e così confortato avesse l’istoria con la filologia, com’io a nome

94 Ibid., pp. 152-159.95 Ibid., pp. 115-124.96 Ibid., pp. 124-129.97 Ibid., pp. 130-153.98 Ibid., pp. 749-751.99 Cfr. ibid., pp. 125, nota 1.100 Ibid., p. 122.

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di tutta Italia pregava alla pag. 62 dei Prolegomini. Ma non diffido ottenere queste delucidazioni dalla di lui cortesia, essendomi ignoti i dialetti di quelle nobilissime e gloriose provincie.101

La lettera a un altro studioso piemontese, il filologo romanzo Giove-nale Vegezzi Ruscalla, ha proprio per oggetto i canti lombardo-siculi. Le circostanze che spingono Vigo a inserire questo scritto nella Raccolta am-plissima vanno ricercate nel contrasto con Amari (cfr. supra). Questi, «es-sendo sul punto di pubblicare il terzo volume della Storia dei Musulmani in Sicilia, diede ad esaminare al prof. A. De Gubernatis il volume del Vigo, per sapere quale inf luenza avessero potuto avere i Lombardi in Sicilia e donde possibilmente e quando fossero penetrati nell’isola».102 De Guberna-tis risponde privatamente ad Amari con una lettera critica che lo studioso siciliano manda a Francesco Brioschi, direttore del periodico torinese ‘Il Politecnico’. La lettera, pubblicata nel giugno del 1867, affronta la questio-ne attaccando senza mezzi termini quanto sostenuto da Vigo nella prima edizione dei Canti:Ma, prima di tutto, io debbo contraddire alla opinione stortamente avanzata da quel benemerito cultore delle memorie sicule, che è il signor Lionardo Vigo, aver, cioè, contribuito a quelli che oggi si chiamano dialetti Lombardi in Sicilia, i Longo-bardi passati con Roberto Guiscardo e Ruggiero Bosso a militare in Sicilia; se essi avessero mai fatto una stabile colonia, dovremmo avere oggi ne’ villaggi Lombardi dell’isola, non un dialetto Lombardesco, ma un dialetto Longobardo; il che, dove fosse, per dichiararlo, dovrebbe accingersi all’opera qualche erudito Scandinavo più presto che un Italiano, puro sangue, quale io, con la veneranda ascendenza de’ miei avi, mi vanto. Né ho potuto trattenere un sorriso, quando il Vigo, dopo aver citate le storiche parole del villano di Piazza a Ferdinando III Borbone, esclama: parole più inintelligibili della favella di Satanasso; 103 e pure egli medesimo le ha spie-gate, e bene spiegate; ma sarebbe restato da meravigliarsi quando gli fosse caduto in pensiero di confrontare le dette parole con altre somiglianti che suonano anche oggi intorno alla valle del Po, fra Alessandria e Voghera, dall’Appennino, si può dire, escluso il Vercellese, fino alle Alpi, dove muore il Piemonte e dove l’antica Lombardia e le Lombardesche favelle incominciano.104

De Gubernatis esprime quindi la convinzione che le colonie stabilite in Sicilia siano state formate da genti provenienti dal Monferrato – come riteneva anche Vigo (cfr. supra) – e ripubblica alcuni dei canti raccolti a San Fratello, «lasciando stare quelli di Salvatore Scaglione, i quali, nella loro sconvenienza, hanno un carattere troppo letterario, e riproducendo invece quelli di Serafina Di Paola di una schiettezza veramente popolaresca»,105

101 Ibid., pp. 123-124.102 Grassi Bertazzi, Lionardo Vigo e il suo tempo, cit., p. 383.103 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., pp. 46, 48.104 De Gubernatis, I canti lombardi in Sicilia, cit., pp. 609-610.105 Ibid., p. 611.

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correggendone l’ortografia e corredandoli di nuove note a piè pagina. Ri-guardo ai testi dei canti, indulge a pesanti giudizi di ordine estetico-morale: «di soggetto quasi tutti ignobilissimo, di linguaggio per niente elevato e poetico, degni di essere raccolti, per la testimonianza del dialetto in cui si manifestano, ma in nessuna maniera pel loro contenuto, che rivela so-lamente una razza degenere».106 Queste le sue conclusioni, culminanti in un’ulteriore valutazione negativa che rispecchia una tipica tendenza dell’i-dealismo romantico:Per ora credo aver corretto quello che più offendeva nella ortografia dei canti che il Vigo ha il merito di avere primo fatto conoscere, e mi lusingo di avere inconte-stabilmente provato come detti canti meno esattamente chiamati lombardi, sono per l’appunto Monferrini, cioè scritti in dialetto del Monferrato, contrada che an-ticamente fu compresa nella Liguria, nel medio evo fece parte della Lombardia ed ora vive di una istessa vita col Piemonte, col quale doveva pur vivere anti-chissimamente, prima, cioè, di appartenere politicamente alla Liguria. Per que-sta triplice storia che il Monferrato ebbe, come per le sue vicinanze, io spiego la grande varietà del suo linguaggio, la quale riscontriamo a Casale, in Alessandria, in Acqui, le tre città eminenti del Monferrato, come ne’ dialetti delle colonie che ne migrarono, or sono più di 800 anni in Sicilia, delle quali potrebbe avere qualche allettamento una storia particolareggiata, se essa fosse ancora possibile. Ma intan-to è doloroso che i monumenti letterarii di dialetto siffatto, le recenti poesie della Serafina eccettuate (la quale non è forse neppure di sangue Monferrino), siano tali da far vergogna al popolo che li canta, poveri di genio com’essi sono e tali convenir meglio ad ignobili selvaggi che a gente la quale ha nome di civile.107

La reazione di Vigo è resa più aspra dall’avere intuito la mano di Amari sia dietro l’operato di De Gubernatis sia nella mancata pubblicazione sul Politecnico di una sua replica, comparsa invece un anno dopo sul giornale La Sicilia in forma di lettera a Vegezzi Ruscalla (a. III/1868, n. 15/aprile). Qui Vigo illustra le proprie ragioni, in parte legittime ma sostenute con i soliti modi che nulla concedono alla mediazione: Dissi nel 1857 e ripeto inintelligibile più della favella di Satanasso il linguaggio di Piazza, e vi aggiungo quello di Sanfratello; e credo superf luo dichiarare non esser-lo in se stesso, bensì per gli altri. E ciò per due buoni motivi. Il primo perché non è chi lo comprenda fra noi […]. Il secondo perché è satanico tutto ciò che non si comprende, come il Pape Satan di Dante.108

Non viene invece pubblicata la risposta di Vegezzi Ruscalla, datata 1 maggio 1868, che possiamo però leggere nell’edizione curata da Grassi Bertazzi.109 Questi definisce i dialetti parlati presso le colonie lombarde di

106 Ibid., p. 615.107 Ibid., p. 618.108 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 126.109 Grassi Bertazzi, Vita intima, cit., pp. 264-267.

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Sicilia «un prodotto ibrido monferrino-siciliano-provenzale» che può appa-rire inintelligibile soltanto «a chi non si dedicò alla dialettologia italiana» 110 e aggiunge che i Monferrini giunti in Sicilia nel Medioevo, detti Lombar-di poiché all’epoca così ci si riferiva agli abitanti di un’ampia area che si estendeva dalla Lombardia propriamente detta alla Liguria interna (inclusa una parte dell’Emilia), nulla avevano a che vedere con i Longobardi-teutonici chiamati in causa da «l’articolista del Politecnico».111 Anche Amari intervie-ne sull’argomento nel terzo volume della Storia dei Musulmani in Sicilia,112 respingendo tra l’altro le idee dell’ex amico con il conforto del ‘ragiona-mento’ di De Gubernatis. Vigo replica attraverso una monografia dal titolo Le colonie lombardo-sicule, polemicamente orientata a sminuire le inf luenze ‘lombarde’ e islamiche sulla ‘nazione siciliana’.113 Prosegue quindi un dibat-tito che si arrichisce nel tempo di numerosi contributi – a partire da Giu-seppe Pitrè, Mariano La Via, Luigi Vasi e Filippo Piazza – e di polemiche feroci, come quella insorta fra il siciliano Giacomo De Gregorio e lo sviz-zero-italiano Carlo Salvioni,114 fino ad approdare solo di recente a un’am-pia convergenza nell’individuare come probabile area originaria di questi dialetti il territorio che si estende dalla Liguria Montana al Basso Piemonte, attraversando le attuali province di Savona, Alessandria, Cuneo e Asti.115

Passiamo ora a esaminare la parte antologica della Raccolta amplissi-ma, a partire dalla sua eterogenea composizione, ricavabile dall’elenco dei ‘collaboratori’ che Vigo offre, insieme ai dovuti ringraziamenti, nel para-grafo XIII dei Prolegomini (ampliato e aggiornato rispetto all’edizione del 1857), nella tavola che riporta le Iniziali apposte ai canti 116 e nella nota inse-rita all’inizio della sezione dedicata ai Canti lombardi.117 Oltre a Monsignor Giuseppe Crispi, cui si deve l’intero capitolo LVII sui Canti albanesi, e ai cinque che contribuiscono ad aumentare notevolmente il numero dei canti

110 Ibid., pp. 265-266.111 Ibidem.112 Amari, Storia dei Musulmani in Sicilia, III, cit., pp. 218-228.113 L. Vigo, Opuscoli inediti e rari, vol. III delle «Opere», Catania, Stab. Tip. Bellini, 1878,

pp. 166-296.114 G. Ruffino, Carlo Salvioni e la Sicilia, in Carlo Salvioni e la dialettologia in Svizzera e in

Italia, a cura di M. Loporcaro, F. Lurà e M. Pfister, Bellinzona, Centro di dialettologia e di et-nografia, 2010, pp. 151-161.

115 Per un quadro generale si vedano tra gli altri A. Varvaro, Lingua e storia in Sicilia (dalle guerre puniche alla conquista normanna), Palermo, Sellerio, 1981; G. Rohlfs, La Sicilia nei secoli. Profilo storico, etnico e linguistico [1975], trad. it. a cura di S.C. Trovato, Palermo, Sellerio, 1984; Migrazioni interne: i dialetti galloitalici della Sicilia. XXI Convegno di studi dialettali italiani, Padova, Unipress, 1994; S.C. Trovato, Le parlate altoitaliane della Sicilia. Testimonianze e documenti della loro diversità, in «Studi italiani di linguistica teorica e applicata», a. XXXV, vol. 2, 2005, pp. 553-571; G. Ruffino, Postille galloitaliche, in I dialetti meridionali tra arcaismo e interferenza, a cura di A. De Angelis, Palermo, Centro di Studi filologici e linguistici siciliani, 2008, pp. 25-51.

116 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 162.117 Ibid., p. 706, nota 2.

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siculo-lombardi di San Fratello (Ignazio di Giorgio Collura e Ignazio Rug-geri) e di Piazza Armerina (Remigio Roccella), si contano oltre cinquanta raccoglitori. Purtroppo in molti casi non appaiono chiari i nessi f ra racco-glitore, esecutore (ovvero la fonte orale primaria) e località di provenienza dei canti, creando notevoli difficoltà a chi intendesse offrire una mappatura precisa. Ne è prova il Repertorio sinottico della Raccolta Vigo curato da Vera Di Natale,118 dove tra i raccoglitori se ne trovano rubricati molti meno di quelli che Vigo ringrazia nei Prolegomini, mentre tra le ‘fonti individuali’ trovia-mo insieme ai ‘poeti popolari’ il barone Serafino Amabile Guastella (noto folklorista del Ragusano) e perfino autori del tutto estranei alla tradizione isolana come il sovrano Ludovico I di Baviera, del quale vengono riportati diversi ‘canti’ «volti in siciliano dal tedesco dal Marchese Corradino d’Al-bergo».119 Ulteriori equivoci sono determinati dall’omonimia fra toponimi e cognomi, come accade a esempio per Roccella, che è il paese di Roccella Valdemone (in provincia di Messina) e non Remigio Roccella (raccoglitore di canti lombardo-siculi a Piazza Armerina), e per Ballo, che non è Giovan-ni Domenico Ballo ma il nome della contrada presso Zafferana Etnea in cui erano situati i possedimenti di Vigo (cfr. supra). Vigo include inoltre testi tratti da opere di autori del passato – dall’erudito Ludovico Antonio Muratori (Della perfetta poesia italiana, Modena 1706) al ‘viaggiatore’ tede-sco Johann Heinrich Bartels (Briefe über Kalabrien und Sizilien, Göttingen 1791) – che non si possono certo porre sullo stesso piano di quanti coope-rarono volontariamente e consapevolmente alla Raccolta. Al di là dell’ap-prossimazione metodologica e dei criteri opinabili che hanno guidato le scelte di Vigo, è comunque utile ricavare un quadro delle ‘collaborazioni’, revisionando quanto repertorializzato da Di Natale secondo le indicazioni apposte ai canti da Vigo (la cifra si riferisce al numero di testi attribuiti al raccoglitore) e aggiungendovi i nomi di quelli ringraziati dallo studioso per avergli inviato materiali ma poi non segnalati in corrispondenza dei testi editi. Le località poste in parentesi sono quelle dichiarate da Vigo come pro-venienza dei collaboratori, spesso non coincidente con i luoghi di raccolta (che talvolta vengono però indicati tralasciando l’altra informazione):Saverio Accursio (Piazza Armerina); Carmelo Allegra (Messina) 7; Teodosio Almirante, racc. a Milazzo e a Mazara del Vallo 42; Marchese Barbaro Maggiore, racc. a Vizzini e Caltagirone; Giuseppe Bianca (Avola, Vigo scrive erroneamente Sebastiano) 238; Vincenzo Bondice (Catania); Francesco Calleri (Adernò, oggi Adrano); Luigi Capuana (Mineo) 514; Giuseppe Angelo Chercher (Caltagiro-ne) 10; Giuseppe Coco (Acireale), racc. a Siracusa; Giuseppe Coppola (Termini Imerese); Emanuele De Benedictis (Siracusa) 1; Francesco De Felice (Catania) 22; Gioacchino Dilisi (Termini Imerese); Paolo Emiliani Giudici (Mussomeli) 1; Francesco Figlioli (Marsala) 12; Giuseppe Frosina Cannella (Castelvetrano)

118 V. Di Natale, Repertorio sinottico della Raccolta Vigo, in «Lares», a. XLII, voll. 1-3, 1976, pp. 79-86, 199-222, 427-476; a. XLIV, voll. 1-2, 1977, pp. 76-122, 239-292.

119 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 628 nota 4.

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6; Emanuele Gagliani (Catania) 33; Giuseppe Gemmellaro (Nicolosi) 10; Giusep-pe Grosso Cacopardo (Messina) 2; Serafino Amabile Guastella (Chiaramonte Gulfi) 3; Luca La Ciura (Rosolini) 87; Giuseppe La Masa (Termini Imerese); Ales-sandro La Rizza (Siracusa); Michelangelo Leonardi (Melilli) 17; Pietro Livigni (Palermo) 15; Letterio Lizio Bruno (Messina) 71; Giuseppe Macherione (Giarre); Vincenzo Messina (Palazzolo Acreide); Francesco Minà Palumbo (Castelbuono) 2; Vincenzo Mortillaro (Palermo) 14; Giambattista Marini (Ragusa); Salvatore Milanesi (Messina); Leonardo Morrione (Menfi) 27; Matteo Musso (Santa Mar-gherita, f razione di Riposto); Vincenzo Navarro (Ribera) 48; Giuseppe Piaggia (Milazzo) 2; Giuseppe Pitrè (Palermo) 69; Baldassare Romano (Termini Imere-se); Gregorio Romeo (Acireale) 33; Salvatore Rossi Bonanno (Acireale) 6; Sal-vatore Salomone Marino (Palermo) 716; Giuseppe Scialabba (Termini Imerese); Giuseppe Serroy (Raffadali); Francesco Scriffignano (Agira) 1; Antonino Somma (Mascalucia); Eugenio Soringo (Lentini); Girolamo Stancanelli (Novara di Sici-lia); Mario Sturzo (Caltagirone) 14; Corrado Tamburino Merlino (Mineo) 111; Gian Mario Tamburino Curti (Mineo) 3; Gaetano Trigona (Piazza Armerina); Giovanni Zuccaro (Taormina).

Pur considerando approssimative le cifre riguardanti la quantità di testi raccolti, dato che Vigo crea gran confusione numerando autonomamen-te tutte le strofe dei canti che ne contengono più di una, in questo elen-co spiccano alcuni nomi: Salomone Marino (716), Capuana (514), Bianca (238), Tamburino Merlino (111), La Ciura (87), Lizio Bruno (71), Pitrè (69) e Navarro (48). Stando all’ammissione di Capuana secondo cui i ‘falsi’ do-vrebbero essere 28 (cfr. supra), il suo ‘reale’ contributo da Mineo rimane comunque cospicuo e viene rafforzato da quello di Tamburino Merlo. No-tevoli sono anche gli apporti forniti da Bianca per Avola e Catania, da La Ciura per Rosolini e da Navarro per Ribera. Un caso particolare è quello del catanese Francesco De Felice, che raccoglie diciotto canti di carcerati nella Cittadella di Messina rinunciando «a darne una raccolta in suo nome», come informa Vigo nella prefazione ai Canti.120 I testi attribuiti a Lizio Bru-no, Salomone Marino e Pitrè sono invece ricavati da opere già pubblicate (cfr. supra), che Vigo include tributando agli autori parole di ammirazione e sostegno, senza mancare però di rilevare che Salomone Marino e Pitrè avevano dato per inediti canti già presenti nella prima edizione della sua raccolta: Il Salomone mi promette altri tesori inediti di poesia popolare, i quali, se mi giungeranno a tempo, contrassegnerò colla di lui iniziale. Similmente produr-rò oggi quelli che egli stampò come Aggiunta alla mia prima Collezione, e che allora erano inediti, senza notare quelli che egli tali reputava, e si trovavano di già pubblicati. L’istesso farò dei canti evulgati dall’egregio Giuseppe Pitrè, ove ancora ve ne sono non pochi, che egli credette nuovi, ed erano stati impressi e diffusi. Onore ed incoraggiamento a questi strenui, infaticabili raccoglitori, ed io primo offro loro la meritata ghirlanda, e l’inanimo a compiere la santa e difficile

120 Vigo, Canti popolari siciliani raccolti e illustrati, cit., p. 70.

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opera con tanti dispendii, contraddizioni e dolori da me iniziata da oltre mezzo secolo addietro.121

Sulla questione torna nelle pagine di commiato alla fine del volume, dove fa ammenda anche dei propri numerosi errori, passando il testimone ai giovani discepoli-colleghi:Satisfatto così quest’altro debito alla Sicilia, è mia deliberata volontà di non miete-re oltre in questo campo, lasciandolo libero a’ generosi, i quali son chiamati a far dimenticare gli sforzi di chi primo lo sgombrò di vepri e spine, ed olezzanti fiori ne colse. Mi riserbo soltanto la pubblicazione di due ultimi lavori al proposito, cioè uno su Pietro Fullone, massimo fra i poeti rustici, e altro su i Canti storico-politici, i quali avrebbero elargato di molto questa Raccolta. Tutti gli altri canti, che non ho stimato conveniente inserirvi, saranno depositati nella Biblioteca comunale di Palermo a servigio de’ cultori di questa gaia scienza.

A pag. 162 avvertiva i lettori non bastare la buona volontà ad evitare gli errori ad onta del soccorso intelligente di persone fidate; e questo volume n’ha molti. Non enumero quelli del tipografo, che Dio gli perdoni; i miei li confesso né li scuso; e tra i primi noto le ripetizioni. E non si creda che non vi abbia usato cura e attenzione; senza l’aiuto de’ miei figlio e nuora, sarebbero state molto maggiori.

Oh, le ripetizioni sono una peste! Perciò assenno i raccoglitori di canti di non titolarli inediti, o peggio per la prima volta evulgati! Quanti mi hanno seguito, certo involontariamente, hanno dato per nuovo il vecchio, e da me pubblicato sin dal 1823-1857. Chi ne dubita, avrà l’elenco dei suoi peccati: non è colpa, ma errore, né me ne offendo.

Non così delle note; quelle apposte ai canti del Salomone sono sue; se per caso ve ne hanno delle mie, gliele regalo, se non le rifiuta. Non ho logorato la vita per lucro o vanagloria, bensì per la Sicilia a cui ho consacrato me stesso: confido aver con pari proposito collaborato Salomone, Pitrè, Lizio Bruno e i nostri amici corrispondenti 122

Nella riproposta di testi editi palesa infine un ripensamento, giacché nei Prolegomini annuncia l’intenzione di ristampare la Storia della baronessa di Carini, aggiungendo ai versi che aveva pubblicato nel 1857, e ad altri in se-guito reperiti, i 262 «raccolti con infinita sapienza» da Salomone Marino.123 Nella lunga nota apposta all’intestazione della ‘categoria’ LV (Leggende e sto-rie), dichiara invece di avere abbandonato questo proposito a vantaggio del «benemerito» studioso: Avrei voluto per la sua eccellenza arricchire questo volume con la Storia di Cateri-na la Grua che il Salomone ha denominato Baronessa di Carini, e me lo consigliava e quasi imponeva l’aver io primo nel 1857 prodotto 75 versi di quel miserevole avvenimento. Quindi a pag. 30 [ma si legga 87] della presente Raccolta amplissima si legge aver avuto in animo di dare almeno quanto avea potuto racimolare al

121 Id., Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 87.122 Ibid., pp. 740-750.123 Ibid., p. 87.

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proposito. È vero; ma per amore e per plauso al Salomone impoverisco queste pagine di sì cara e splendida adornezza, e a lui ho spedito quanti brani e versi m’è stato fatto adunare dell’atrocissimo caso. Io prediligo i giovani promettenti, e ho avuto la fortuna di vivere tanto da trovarmeli a fianco colleghi e maestri, che Dio li glorifichi e benedica.124

Se in questi passi si coglie un sincero apprezzamento per il contribu-to offerto dai nuovi protagonisti della ricerca folklorica, non può sfuggire l’atteggiamento paternalistico, accondiscendente ma fermo nel ribadire il proprio primato nel settore. Un primato che Vigo pretende assoluto, al punto di introdurre una numerazione che, come già detto, ha il solo scopo di alimentare se stessa. La prova che si sia trattato soltanto di una strategia espositiva, intesa a esibire una schiacciante superiorità quantitativa rispetto agli altri volumi di canti popolari siciliani ormai in circolazione, risiede nel metodo affatto corretto con cui si trovano invece rubricati i canti nell’e-dizione del 1857: separatamente e progressivamente per ogni ‘categoria’, contrassegnando con unico numero quelli polistrofici. È anche significati-vo che Vigo non tenga in alcun conto la principale critica rivoltagli da Sa-lomone Marino e Pitrè, relativa all’opportunità di ridurre e razionalizzare le ‘categorie’ di canti, e agisca in modo opposto incrementandole. La mo-dalità con cui viene comunicata la mancata inclusione della Storia della ba-ronessa di Carini segnala invece lo scarto temporale e la fretta con cui sono state redatte le diverse parti del volume: causa di numerose altre discrasie e imprecisioni (fra cui in particolare quelle riscontrabili nel Catalogo biblio-grafico e nella coerenza dell’ortografia) che Salomone Marino rileverà in seguito con impietosa puntualità (cfr. infra).

L’esatta distribuzione areale dei canti risulta altrettanto problematica, poiché ai limiti già rilevati si aggiunge l’abitudine di Vigo ad attribuirsi testi raccolti da altri indicando Acireale quale luogo di provenienza, come era accaduto per alcuni dei canti che Capuana aveva inviato da Mineo (cfr. su-pra). Questa procedura non deve essere tuttavia meccanicamente assunta come segno di mala fede, poiché Vigo aveva una notevole esperienza diret-ta della vita popolare – sia paesana sia rurale e marinara – che lo può avere in qualche modo indotto a ricondurre alla propria memoria quanto invece leggeva come raccolto altrove da altri: ricordo di avere ascoltato questo canto, quindi posso acquisirlo come appartenente al mio territorio. Si tratta di una dinamica non condivisibile ma comprensibile, specie se chi la applica non ha ben chiari il valore e la funzione delle varianti entro qualunque re-pertorio di tradizione orale (condizione che Vigo palesa anche nel modo di intendere la nozione di ‘canto inedito’). In questa chiave ritengo vada anche considerata la prevalenza di Acireale come luogo di raccolta: dettata, oltre che da istanze municipalistiche, dall’esigenza di affermare la preminenza di un raccoglitore sugli altri, se pure in nome e per la gloria della Sicilia intera,

124 Ibid., p. 648.

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come Vigo più volte ribadisce. A parte queste necessarie considerazioni è comunque utile fornire un elenco dei luoghi più ricorrenti, che in linea generale rif lettono la provenienza o l’area operativa dei maggiori collabo-ratori. Queste le località in cui risultano raccolti più di 80 testi: 125

Acireale 736 - Palermo 675 - Catania 424 - Borgetto 194 - Siracusa 170 - Piazza Armerina 156 - Termini Imerese 111 - Mascalucia 100 - Partinico 98 - Messina 91 - Rosolini 88 - Mangano (fraz. di Acireale) 84.

La Raccolta amplissima è articolata in cinquantanove ‘categorie’, stabilite secondo un criterio che di volta in volta privilegia il tema, il genere, la fun-zione-occasione o i caratteri etnico-linguistici del testo poetico. Quest’ulti-mo, inoltre, può non essere un ‘canto’ in senso proprio, come accade nelle sezioni XLIII, dove troviamo anche gli scongiuri (raziuni), e XLVII, intera-mente dedicata agli indovinelli (nniminagghi).

La maggior parte delle categorie sono definite in base al tema e ben trentasette di queste ruotano intorno ai vari aspetti del rapporto amoroso (corteggiamento / unione / rottura / privazione), sviluppato quasi sempre in un’unica strofa che assume le forme della canzuna (in prevalenza ottava endecasillaba a rima alterna) o del ciuri (distici o terzine, con il primo verso anche in misura quinaria seguito da endecasillabi).I. Bellezza dell’uomo - II. Bellezza della donna - III. Il nascere - IV. Il nome - V. I capelli - VI. Gli occhi - VII. Il cuore - VIII. Desiderio - IX. Speranza - X. Amore - XI. Sonno - XII. Can-to - XIII. Serenate - XV. Saluti - XVI. Imbasciate - XVII. Dichiarazione - XVIII. Promes-sa - XIX. Costanza - XX. Doni - XXI. Ostacoli - XXII. Corrucci - XXIII. Riconciliazione e pace - XXIV. Baci - XXV. Sponsali e matrimonio - XXVIII. Gelosia - XXIX. Sdegno - XXX. Minaccia - XXXI. Ingiurie - XXXII. Disprezzo - XXXIII. Separazione - XXXIV. Parten-za - XXXV. Lontananza - XXXVI. Abbandono - XXXVII. Lamenti - XXXVIII. Dolori e lagrime - XXXIX. Sventura - XLI. Disperazione e morte.

Alcune di queste categorie (XXXVI-XXXIX) contengono testi che pos-sono rientrare anche nella XL (Carceri), rubricata da Vigo come Appendice alla Sventura e molto ampliata rispetto al contributo di De Felice apparso nell’edizione precedente (cfr. supra). I ‘canti dei carcerati’ si costituiscono in effetti come genere poetico autonomo, e così sono trattati nella seguente letteratura demologica ed etnomusicologica.126

Ancora carattere tematico presentano le seguenti categorie, in cui sono inclusi pure testi di argomento amoroso, mentre per forma si hanno canti sia monostrofici che polistrofici: Avvertimenti (XLV), Scherzi e parodie (XLIX)

125 Per un quadro completo si veda Di Natale, Repertorio sinottico della Raccolta Vigo, cit.126 Per un quadro generale si veda A. Uccello, Carcere e mafia nei canti popolari siciliani, con

Introduzione di L.M. Lombardi Satriani e Nota etnomusicologica di P. Collaer, Bari, De Donato, 1974; e Id., a cura di, Canti popolari di carcere e mafia, compact disc, Fonit Cetra Lpp 299; ried. in Era Sicilia / Canti popolari di carcere e mafia. Canti raccolti e presentati da Antonino Uccello, a cura di G. Pennino, compact disc, Palermo, Regione Siciliana, 2002.

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Città e popoli (LII), Mestieri diversi (LIII), Mare e pesca (LIV). Nell’ultima sezione abbiamo qualche esempio di canto legato al contesto del lavoro, come il Ringraziamento dei marinai al cadere del sole raccolto ad Acireale 127 e diverse canzuni che alludono alla pesca del tonno provenienti dal Palermita-no.128 Specifico riferimento alla mietitura del frumento fanno invece i canti inclusi nella XLVI categoria: La messe o il Santo. L’ampia nota a piè pagina che Vigo appone al titolo contiene una preziosa descrizione che associa la dimensione rituale-espressiva ai diversi momenti della giornata lavorativa, ponendo in evidenza pratiche sincretiche ancora vitali fino agli anni Ses-santa del secolo scorso: «Fuori l’anta [o antu, campo da mietere] e alla sera è lecito il gioco e qualsiasi canzone amatoria, satirica, lubrica; all’anta non mai; quando si passa il vino, sono d’obbligo i canti sacri […] Passari lu santu, significa passare il barile col vino; è questo debito del Capo dell’anta. […] Il santo ivi ha due sensi, cioè il barile, e canzone in grazia di aver bevuto. Lu santu è chinu o vacanti, vale il barile è pieno o vuoto. Chi bellu santu, chi lisciu santu ca dissa, vale che bella canzone, che insipida canzone ha recitato. Per-ciò di santi ve ne sono migliaia, io ne do un minimo saggio».129

Le altre ‘categorie’ stabilite da Vigo corrispondono, pur con qualche oscillazione, a generi poetico-musicali meglio definiti. Così è per il reper-torio infantile, suddiviso fra Ninne nanne (XXVI) e Canti e giochi fanciulleschi (XXVII):I canti e i giuochi fanciulleschi sono innumerevoli, non possono ben distinguersi da quelli dei grandi, né si dovrebbero stampare disgiunti dalla musica da cui taluni sono inseparabili, al pari di tutte le ninne per addormire i bamboli. Non si può, al-meno per ora. […] Ma come spiegarli senza l’aiuto di apposite figure? Come porli a confronto almeno con quelli delle città più cospicue d’Italia, tralasciando le altre nazioni? Non è questo il luogo, né io posso occuparmene.130

Le mancanze dichiarate da Vigo saranno colmate soprattutto da Pitrè, che ai giochi infantili dedica un volume della sua Biblioteca (1883). Ninna-nanne, formule, filastrocche e giochi cantati sono stati poi ampiamente do-cumentati nella moderna indagine etnomusicologica, rilevando anche la permanenza di molti f ra i testi editi da Vigo.131

Alle pratiche devozionali e ‘magico-religiose’ fanno riferimento le ca-tegorie Canti sacri (XLII), Orazioni, invocazioni e scongiuri (XLIII) e Canti

127 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., pp. 641-642.128 Ibid., pp. 642-643.129 Ibid., p. 575; la permanenza di questa consuetudine è attestata in G. Fugazzotto, M.

Sarica, Cumpagnu ti mannu lu Signuri. Canti e orazioni di mietitura e trebbiatura in Sicilia (Provincie di Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina e Siracusa), compact disc, Firenze, Taranta TA012, 1994.

130 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 405 nota 1.131 Si veda ad esempio S. Bonanzinga, Documenti sonori dell’Archivio Etnomusicale Sici-

liano, cit; e Id., Sortino. Suoni, voci, memorie della tradizione, compact disc, Palermo, Regione Siciliana, 2008.

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morali (XLIV). Vigo premette che i canti devozionali sono in Sicilia così numerosi che basterebbero da soli a riempire un’intera biblioteca.132 I te-sti che egli raggruppa in queste tre categorie sono di forma, tipologia e funzione piuttosto varia. La prima sezione contiene canti monostrofici: sia canzuni che testi tipici del repertorio infantile, come le ottave indicate col titolo ‘La Madonna al Bambino’, che rientrano nel genere delle ninnanan-ne di argomento religioso, o le filastrocche che contengono elementi di derivazione agiografica. Vi sono inoltre diversi canti narrativi (frammenti più o meno estesi e testi integrali), f ra i quali spiccano alune varianti del-la parabola Il figliol prodigo,133 la ‘storia’ (canto) e il ‘mistero’ (dramma in versi) de Il ricco epulone,134 canti della Natività e della Passione, preghiere (dal Credo ai Dieci comandamenti), canti mariani e agiografici (Sant’Agata, Sant’Agrippina, Santa Caterina, Santa Marina ecc.). Quest’ultima tipologia viene anche indicata in Sicilia col termine ‘orazione’ (raziuna o raziuni), ma lo stesso termine (talvolta al diminutivo, raziunedda) indica anche quei testi che i guaritori tradizionali – uomini o donne, detti ciarmavermi e maàri – impiegano nell’ambito dei loro rituali terapeutici.135 La categoria XLIII si apre con alcuni canti agiografici (Madonna del Carmine, Santa Brigida) e preghiere (da quella nota come U Verbu alle tante che scandivano i vari momenti della giornata e dell’anno, inclusi parecchi rosari), per prosegui-re con le ‘invocazioni’ e gli ‘scongiuri’ esplicitamente destinati a garantire protezione dalle malattie, dai parti difficili o dalle calamità naturali, al cui riguardo Vigo manifesta assoluto scetticismo: «Il popolo preferisce le fat-tucchiere al medico; ed esse or con l’aiuto de’ santi, or del diavolo e di arca-ne invocazioni mormorate a bassa voce, illudono i gonzi e sbarcano bene il loro lunario».136 L’esecuzione non cantata, mormorata o recitata ad alta voce, vale per invocazioni, scongiuri e molte preghiere.137 Storie a sfondo devozionale sono infine incluse anche nella categoria dei Canti morali, dove tuttavia prevalgono testi monostrofici a carattere gnomico.

Vigo pone in evidenza la vastità di questo repertorio, che mostra in più circostanze di non apprezzare, considerando da un punto di vista radical-mente laico anche l’insieme di pratiche devozionali che ne caratterizzano la vitalità in ambito popolare. Lo stesso Vigo è d’altra parte il primo a fornire notizie precise riguardo alla confraternita palermitana che riuniva i can-

132 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 504 nota 2.133 Ibid., pp. 513-514.134 Ibid., pp. 514-518.135 Per un quadro generale cfr. G. Bonomo, Scongiuri del popolo siciliano, Palermo, Palum-

bo, 1953; E. Guggino, La magia in Sicilia, con introduzione di V. Lanternari, Palermo, Sellerio, 1978; Id., I canti e la magia. Percorsi di ricerca, Palermo, Sellerio, 2004.

136 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 546, nota 1.137 Sulle modalità esecutive di questo genere di testi si veda in particolare G. Giacobello,

Modalità rituali del rosario di tradizione orale a Spadafora, con una Nota musicologica di S. Toma-sello, in Feste - Fiere - Mercati, Messina, Edas, 1992, pp. 133-164; Id., Il Paternoster di San Giuliano. Recitazioni ritmiche e simbolismo divinatorio in Sicilia, Palermo, Folkstudio, 2000.

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tastorie ciechi a Casa Professa, sotto la protezione dei Gesuiti che ne con-trollavano e orientavano l’attività (cfr. supra). Più in generale va ricordato come anche in Sicilia si sviluppa – non diversamente da quanto accade in altre regioni dell’Europa cattolica – una intensa produzione di testi destina-ti alle pratiche connesse al culto del Cristo, della Vergine e dei Santi. Rosari, salveregine, inni, orazioni e narrazioni agiografiche sono composte in versi dialettali da sacerdoti o da ‘poeti’ popolari, messe a stampa e poi eseguite in svariate occasioni sia da suonatori-cantori professionisti sia da comuni devoti con diversi gradi di competenza musicale. Fino a un recente passato le celebrazioni previste dal calendario liturgico si solennizzavano parallela-mente presso le abitazioni dei fedeli. Gli officianti di questi riti domiciliari (tridui, settine, novene, ‘trionfi’ per grazia ricevuta, commemorazione dei defunti ecc.) erano appunto gli ‘orbi’ (obbi, uoibbi, orvi, ovvi, uorvi, uòrivi), la cui tradizione si è protratta fino agli anni Ottanta del secolo scorso.138 Ancora attivi sono invece gli zampognari (ciaramiddara), che animano la scena nel periodo del ciclo del Natale,139 e gruppi di cantori, perlopiù col-legati a confraternite laicali, specializzati nei canti della Passione (lamienti o lamintanzi, ladati, parti ecc.) tuttora eseguiti nel periodo tra Quaresima e Settimana Santa.140 Così come semplici devoti (soprattutto donne) ancora tramandano, nelle chiese o nelle proprie abitazioni, un ampio repertorio di canti sacri. Si può pertanto affermare che questo è il genere poetico-musi-cale che manifesta la più intensa permanenza funzionale fra quelli attestati nella Raccolta amplissima.

I testi inclusi nelle categorie Leggende e storie (LV) e Canti politici (LVI) as-sumono per Vigo un valore particolare, poiché forniscono parziale risposta a una delle critiche che più aveva patito la precedente edizione dell’opera, ovvero la carenza di canti narrativi. Significativa a riguardo è la parte inizia-le della nota a piè pagina che appone alla LV categoria:Ecco una delle più gravi e caratteristiche Categorie della presente Raccolta; qua-rant’anni or sono io credea povera Sicilia di poesie leggendarie; oggi la trovo sovrabbondante, ma non di antichi, di moderni bensì. Sarebbe utile confidarli allo scritto, e conservarli in qualche Biblioteca per le generazioni avvenire. Il fiu-me della poesia narrativa è inesauribile e perenne fra noi; corre, precipita dalle sue scaturigini alla foce, e si perde nel mare dell’oblio, mentre nuove acque ne ricolmano l’alveo. Questa Categoria è in parte continuazione delle LI [Canti sa-tirici], LII [Città e popoli] e LIII [Mestieri diversi], e legasi alla susseguente, che la compie.141

138 Cfr. E. Guggino, I canti degli orbi. 1. I cantastorie ciechi a Palermo, Palermo, Folkstudio, 1980; S. Bonanzinga, Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia, con una Appendice a cura di G. Travagliato, in La Sicilia e l’Immacolata. Non solo 150 anni, a cura di D. Ciccarelli e M. D. Va-lenza, Palermo, Biblioteca Francescana - Officina di Studi Medievali, 2006, pp. 69-154.

139 Cfr. Bonanzinga, I suoni della Natività, in «La Sicilia Ricercata», a. I, vol. 2, 1999, pp. 73-83; Id., Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia, cit.

140 Cfr. I. Macchiarella, I canti della Settimana Santa in Sicilia, Palermo, Folkstudio, 1995.141 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 647 nota 1.

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Mentre si conoscono con esattezza le modalità di produzione e circola-zione dei canti sacri, a opera, soprattutto, dei cosiddetti orbi, molto scarse sono invece le fonti relative all’attività dei cantastorie girovaghi che propo-nevano nelle piazze siciliane un vasto repertorio di storie riferite a fatti reali (dalle scorrerie dei pirati alle grandi battaglie, dalle catastrofi naturali alle vicende della cronaca nera e della vita politica), di argomento fantastico (perlopiù ispirato alla letteratura cavalleresca) o a tema comico-satirico, ar-ticolate talvolta in forma dialogica (cuntrastu). Vigo distribuisce i ‘contrasti’ in diverse categorie, associando quelli di tono più leggero alle Sfide poetiche (XLVIII), agli Scherzi e parodie (XLIX) e ai Canti satirici (LI). Di questi ultimi viene rimarcata l’origine letteraria e la circolazione in stampe popolari: Questa Categoria è tra le predilette del popolo. Tralascio tutte quelle lunghe can-zoni che i ciechi e i cantastorie, veri poeti popolari, stampano tutto l’anno, frec-ciando le novelle vetture, il Festino di S. Rosolia, le Mode, il Gioco del Lotto, la Ghiottoneria, l’Ubriachezza, i Matrimoni sconsigliati, per lo più dettate da Antoni-no Raffa, o da Giacomo Marsala di Palermo, come del pari altre innumerevoli.142

Sotto il profilo tipologico, le storie pubblicate nella Raccolta amplissima rispecchiano quello che sarà il repertorio degli ultimi cantastorie di piaz-za attivi nel XX secolo.143 Il contenuto spesso critico e pungente di questi canti ha fatto sì che l’attività dei cantastorie sia sempre stata tenuta sotto controllo dalle forze di pubblica sicurezza (spagnole, borboniche o italiane che fossero), allo scopo di evitare la diffusione di ideali ‘pericolosi’ sul piano politico-sociale. Indagini negli archivi di polizia potrebbero quindi fornire un quadro più definito riguardo a questi particolari interpreti del sentire popolare: provenienza, circolazione, uso di cartelloni o di altri elementi sce-nici ecc.

Il metro prevalente delle storie è l’endecasillabo, articolato in strofe di varia misura (ottava, sestina, quartina e terzina). Nei testi narrativi di tono scherzoso o satirico ricorre però spesso la quartina di versi brevi (ottonari e settenari alternati), dando vita a componimenti denominati storie ad aria. La consuetudine è ovviamente dovuta all’affinità metrica con le arie vere e proprie, raggruppate nella XIV categoria della Raccolta amplissima con la seguente premessa:Le Arie sono anello intermedio tra la poesia letteraria e la rustica: appartengono a’ canti, ch’io chiamo cittadini, che per lo più sentono d’inchiostro. I rustici non solo non ne compongono, ma neppure ne cantano: sulle loro chitarre piane e i loro liuti odi costantemente l’ottava siciliana. Son’esse innumerevoli, ne ho centinaja, e

142 Ibid., p. 616 nota 4.143 Cfr. R. Leydi, Cantastorie, in La Piazza. Spettacoli popolari italiani, Milano, Edizioni del

Gallo, 1959, pp. 275-389; A. Butitta, Cantastorie in Sicilia. Premessa e testi, in «Annali del Museo Pitrè», aa. VIII-X, 1957-59, pp. 149-236; Id., Strutture morfologiche e strutture ideologiche nelle «sto-rie» dei cantastorie siciliani, in «Uomo e Cultura», a. X, 1971, pp. 159-178; M. Geraci, Le ragioni dei cantastorie. Poesia e realtà nella cultura popolare del Sud, Roma, Il Trovatore, 1996.

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se volessi migliaja. Dopo questa dichiarazione, unicamente per saggio ne produco soltanto un manipolo.

Bisogna parimenti distinguere le Arie attinenti ad amore da quelle di diverso argomento; le prime colloco nella presente Categoria, le seconde ove il loro scopo ed obbietto, e non già la forma metrica apparentemente li chiama. Sarebbe disdi-cevole tramescolare le erotiche anacreontiche con le storiche, satiriche, politiche, sacre ecc. perché dettate in metri brevi.144

Vigo pone giustamente in evidenza l’impronta urbana e letteraria di questi canti, che sul piano melodico riecheggiano un vasto repertorio di matrice culta che spazia tra canzoni popolaresche, arie d’opera (sia buffa che seria) e romanze ‘da salotto’. Queste peculiarità ne permettono l’esecu-zione, con accompagnamento di chitarra o pianoforte, anche in ambienti borghesi e perfino aristocratici. Non è un caso che la maggior parte de-gli esempi pubblicati fino alla fine dell’Ottocento appartengano proprio a questo genere poetico-musicale, più prossimo alla sensibilità degli intellet-tuali – viaggiatori, letterati ecc. – che intendono offrire saggi di ‘autentica’ musica popolare siciliana (cfr. supra). Di questo repertorio – che si può con-siderare il vero trait d’union con la canzone ‘folkloristica’ novecentesca – si occupa in seguito l’antropologo Giuseppe Cocchiara, il quale precisa la di-stinzione fra arie (arii o arietti, a tema strettamente amoroso) e canzonette (canzunetti, di argomento satirico, parodico o licenzioso), sintetizzandone in questi termini lo sviluppo storico:[…] le arie e le canzonette, in Sicilia, ebbero la loro maggiore diffusione durante il Settecento e la prima metà dell’Ottocento. Fu allora che accanto alle arie e le canzonette popolari si diffusero anche, confondendosi con esse, arie e canzonette uscite dall’anima idillica di Giovanni Meli e dal cuore aperto di Domenico Tempio. Non si creda, però, che prima l’aria e la canzonetta non abbiano avuto in Sicilia il loro dominio, ché questo dominio l’ebbero in quanto l’aria e la canzonetta sicilia-na sono andate di pari passo coll’aria e colla canzonetta italiana.145

Già nei Canti Vigo manifesta interesse per le ‘sfide poetiche’ (cfr. supra) e nella Raccolta amplissima vi dedica una specifica Categoria (XLVIII). Le sfide pubblicate si articolano in ‘proposta’ e ‘risposta’, nel metro prevalen-te dell’ottava endecasillaba a rima alternata (ma ricorrono anche terzina e quartina). Alcune sono attribuite dalla tradizione a illustri poeti del passato, come il palermitano Pietro Fullone, realmente vissuto nel Seicento, o il non meglio identificato Dotto di Tripi: due figure tuttora presenti nella memoria popolare. Altre sono documentate fra i poeti improvvisatori con-temporanei e offrono un significativo campionario della loro prontezza e arguzia nell’affrontare dispute sui più vari argomenti. Di solito le strofe

144 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 306, nota 2.145 G. Cocchiara, Arie e canzonette siciliane, in «Il Folklore Italiano», a. II, vol. 2, 1927,

pp. 163-174.

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sono intonate su melodie stereotipe ma a volte l’esecuzione può essere semplicemente declamata. Vigo fornisce preziose notizie riguardo ad alcu-ni abili rimatori di cui ebbe conoscenza diretta: Michele Vaccaro da Franca-villa (valle dell’Alcantara, prov. di Messina), Andrea Pappalardo da Catania e Antonino Farfaglia da Castiglione (pendici dell’Etna, prov. di Catania). Nella nota riferita a Vaccaro affiorano alcune consuetudini gergali legate all’ambiente dei poeti popolari:

Egli chiama rrema la rima; dice eterni i poeti, perché il loro nome è immortale; e li divide in due classi: temporali, cioè, e stemporali, il che vale di tavolino ed estem-poranei. È una festa averlo nei banchetti di nozze, ove io la prima volta lo vidi in Castiglione; e non rado innanzi i giudici sostiene il dibattimento delle sue ed altrui cause dalla rustica musa ispirato.146

Vigo ricorda inoltre che lo stesso Vaccaro e il Farfaglia furono protago-nisti di una «sfida ad oltranza, avvenuta in una festa di Francavilla», dolen-dosi di averne potuto raccogliere una sola strofa (p. 588, n. 3). Di un’altra sfida svoltasi a Mili, un borgo del circondario messinese, riferisce invece Letterio Lizio Bruno (cfr. supra). Lo studioso trasmette a Vigo due quartine scambiate all’impronta tra un «poeta cosentino» e il «poeta marinaro» Mi-chele Pasca di Galati «in quel di Messina».147 Sebbene la durata reale di una sfida sia raramente contenuta entro un solo scambio di battute (ovvero pro-posta/risposta), queste testimonianze assumono rilievo perché forniscono spessore diacronico all’attuale tradizione della poesia improvvisata sicilia-na, che conserva un’apprezzabile vitalità quasi esclusivamente nei centri costieri e interni del versante ionico del Messinese.148

Nella tradizione catanese le sfide poetiche animavano di norma le feste religiose (cfr. supra) e i poeti (pueti) erano immancabilmente presenti anche nelle brigate di suonatori che eseguivano per strada la novena di Natale. Nella sezione intitolata Carnascialate (L) Vigo riferisce inoltre che i poe-ti componevano farse in rima in occasione del Carnevale, riportando per esemplificazione una Carnalivarata in tre parti ‘inventata’ da Annirìa Pappa-lardu (il già menzionato Andrea Pappalardo):

Il Pappalardo nel Carnevale allegra il popolo catanese con le sue scene dramma-tiche, rappresentate nelle varie piazze della città, e raccogliendo vino e doni da’ pingui venditori, non mai per sé, ma pei suoi comici improvvisati.

Quest’una basta per mostra; tralascio Lu Saltimbancu, Lu cuntrastu tra un reali-sta e un italianu, Lu Matrimoniu rabbiusu e altri componimenti lirici, e sceneggiati dall’inesauribile poeta.149

146 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 588, nota 1.147 Ibid., p. 586, nota 3.148 Cfr. M.G. Magazzù, Il canto della Vara e le tradizioni musicali di Fiumedinisi, con CD alle-

gato, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2007.149 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 613, nota 1.

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Nel periodo del Carnevale le questue itineranti, finalizzate soprattutto a ottenere cibo e bevande, erano anche praticate da particolari maschere che si spostavano danzando al suono di vari strumenti (colascione, nac-chere ecc.) e si rivolgevano ai bottegai intonando versi ‘a complimento’ per incentivare le offerte. Era questo il caso dei Pulcinelli di Palermo, di cui Vigo riporta una sequenza di testi 150 già editi da Salomone Marino nel 1871 in una recensione ai Canti di Pitrè, dove era presente una prima de-scrizione della Carnascialata.151 Maschere simili erano i Ciuri di pipi (fiori di peperone) messinesi e con l’espressione a ciuri di pipi si designa tuttora nel-la stessa area una modalità di improvvisazione poetica in terzina.152 Canti sacri, storie di vario argomento, arie e altri componimenti poetici destinati a svolgere funzioni devozionali o di intrattenimento sono caratterizzati, come si è visto, dall’osmosi fra diversi strati e ambienti sociali (popolare/culto, rurale/urbano) e dall’intersezione tra differenti modalità di creazio-ne e trasmissione (oralità/scrittura). La già accennata questione della ‘po-polarità’ si ripropone pertanto transitando dai prodotti agli ‘autori’, prove-nienti da ambienti eterogenei e non di rado in possesso di un certo grado di alfabetizzazione.

Essere ‘poeti da tavolino’ non escludeva la capacità d’improvvisare e viceversa. Alcuni f ra gli ultimi cantastorie siciliani del Novecento – a esem-pio Orazio Strano e Ciccio Busacca – erano abilissimi improvvisatori, oltre che autori di molti canti del loro repertorio. Non diversamente accadeva in passato e un caso emblematico si può considerare quello del più celebre poeta popolare siciliano: il pirriaturi (tagliapietre) palermitano Petru Fuddu-ni (Pietro Fullone), cui Vigo dedicherà, poco dopo la pubblicazione della Raccolta amplissima, uno specifico contributo in forma di lettera a Giusep-pe Pitrè.153 Pressoché analfabeta, come lo dipinge Vigo, o letterato, come sostiene Pitrè,154 resta il fatto che innumerevoli fonti testimoniano la stra-ordinaria abilità di Fullone a improvvisare versi su qualunque argomento (anche licenzioso) e che diverse raccolte di sue rime e poemetti – special-mente a tema sacro – sono state tramandate attraverso la stampa.155 Il cata-nese Pappalardo manifesta d’altronde versatilità sia nell’improvvisare rime sia nell’elaborare testi più articolati, come le farse carnevalesche sopra ri-cordate. Un altro poeta popolare a Vigo ben noto, il palermitano Stefano

150 Ibid., pp. 614-615.151 Pitrè, Canti popolari siciliani, I, cit., pp. 417-419.152 Cfr. S. Bonanzinga, La musica di tradizione orale, in Lingue e culture in Sicilia, 2 voll., a

cura di G. Ruffino, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2013, vol II, pp. 189-246: 244-245.

153 «Giornale di Sicilia», a. XII, nn. 177, 178, 182, agosto 1874; ried. in L. Vigo, Critica - Sto-ria - Belle arti - Industria, vol. IV delle «Opere», Acireale, Tip. Donzuso, 1897-1900.

154 G. Pitrè, Studi di poesia popolare, Palermo, Pedone Lauriel, 1872, pp. 109-184.155 Cfr. tra gli altri G. Cocchiara, Pietro Fullone e la poesia popolare sacra in Sicilia, in «Il

Folklore Italiano», a. , voll. 2-3, 1925, pp. 196-208; V. Petrarca, Di Santa Rosalia Vergine Palermi-tana, Palermo, Sellerio, 1986, pp. 118-137.

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La Sala, chiodaiolo prima e poi venditore girovago di uova, viene descritto da Salomone Marino come analfabeta che «ha mirabilmente poetato sui più notevoli eventi contemporanei dal 1820 al 1866, su argomenti morali, educativi, giocosi, ed improvvisato a tutte le occasioni, tenzonando, lo-dando, satireggiando».156 Grazie a un’ottava trascritta da Vigo (n. 4390, p. 618) sappiamo però che La Sala forniva canti sacri anche agli orbi (vedi a esempio i nn. 3419-3420 alle pp. 519-520), lamentandosi a sua maniera per non avergli questi corrisposto il compenso pattuito: Non ci sunnu a lu munnu tanti servi, / Quantu rifardi si trova ’ntra l’orvi (Non ci sono al mondo tanti servi, / Quanti taccagni si trovano tra gli orbi). Su questa linea va inoltre ricordato che gli orbi di Palermo e Messina usavano normalmente la scrittura per comporre e tramandare i propri canti (non di rado si sono avuti poeti orbi), a dispetto di cecità ed eventuale analfabetismo.157 Chi non sapeva scrivere, poteva dettare, chi non sapeva leggere (o ne era impedito), poteva ascoltare, entro circuiti di reciprocità tra autori, interpreti e pubbli-co oggi impensabili.

La ‘complessità’ che affiora volgendo uno sguardo d’insieme alla do-cumentazione raccolta da Vigo in questo settore si arricchisce di ulteriori motivi di interesse ove si considerino due casi particolarmente criticati dai suoi detrattori. Il primo è costituito da uno scambio di ottave tra La Sala e lo stesso Vigo datato 1846: il poeta palermitano saluta con versi affettuosi il Cavaliere in partenza per Acireale e questi replica ringraziando per le rime (nn. 5437-5438, p. 737). Se Salomone Marino inorridisce per tanta imperti-nente ostentazione (cfr. infra), l’episodio restituisce nella nostra prospettiva uno scorcio di ‘indagine partecipata’ che rif lette, tra l’altro, una dimensio-ne reale dell’improvvisazione poetica, non necessariamente confinata en-tro strati sociali predeterminati. Sotto questo aspetto assume rilievo l’altro caso, che ha per protagonista il ‘poeta popolare’ Vito Cardella, palermitano di nascita ma trasferitosi intorno al 1750 ad Acireale, dove svolgeva la pro-fessione di pastaio: «Improvvisatore, gioviale, scapato, manesco fu amore e delizia di tutti i ceti di questa cittadinanza; e acclamato socio dell’Acca-demia degli Zelanti col titolo di Siculo. […] Di mente elevata, memoria di ferro, cuore elettrico, sapea di lettere meno del Fullone, se è vero che costui legicchiava».158 Vediamo altri dettagli di quanto riferisce Vigo su questa sin-golare figura di poeta-pastaio-accademico:

Quantunque il Cardella fosse nudo di lettere, avea in grazia l’imparare, sentendo, al pari d’ogni anima gentile, acute voglie di sapienza: né potendo ricavarla dai libri, diedesi ad usar coi dotti. […] Egli dettò innumerevoli versi, e quasi sempre nei

156 Salomone Marino, Le storie popolari in poesia siciliana, cit., pp. xix, 349.157 Cfr. E. Guggino, I canti degli orbi. 2. I quaderni di Zu Rusulinu, Palermo, Folkstudio,

1981; Id., I canti degli orbi. 3. I quaderni di Zu Rusulinu, Palermo, Folkstudio, 1988; Bonanzinga, Tradizioni musicali per l’Immacolata in Sicilia, cit.

158 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 595, nota 5.

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discorsi preferiva giovarsi della ritmica meglio della sciolta favella; ma ben poco abbiamo di lui. I suoi canti nacquero e morirono come i fiori, come lo incanto degli spettacoli aerei della fata Morgana. […]

Tutte le poesie di qualsiasi genere, egli chiamava Puema, che credea femmini-le, perché finiente in a; le Sfide o Contrasti dicea Disputi, ed erano ben definite. Ne’ seguenti Disputi è notevole che il Mirone, il Gangi e gli altri accademici dopo di aver preparato a casa loro la sfida, e spesso con rime difficili, in piena adunanza, inaspettatamente gli lanciavano il guanto, e il Cardella raccogliendolo rispondeva non mai preparato con incredibile volubilità e rattezza di parole.159

L’abilità poetica del Cardella non poteva ovviamente essere illustrata escludendo le ottave a cui le sue risposte erano concatenate. Ma anche in questo caso i puristi insorgono affermando che se si fa una raccolta di canti popolari, «i testi in essa dati debbono essere scrupolosamente popolari» e non si possono includere «le ottave di varj Accademici Zelanti».160 Il retag-gio romantico agisce nell’orientare siffatte valutazioni, come nell’enfatiz-zare l’assenza di alfabetizzazione a garanzia di una più fondata ‘popolarità’. Questo presunto rigore nel vaglio delle fonti non pare però investire in al-cuna misura la dimensione musicale, tanto che lo stesso Salomone Marino, qui inf lessibile nel biasimare le ‘interferenze accademiche’, non esita poi a pubblicare una canzone a ballo – indicata come fasola – nell’improbabi-le arrangiamento per voce e pianoforte realizzato dal musicista Federico Nicolao.161

La parte antologica della Raccolta amplissima si chiude con le sezioni riguardanti i canti siculo-albanesi e siculo-lombardi (cfr. supra), seguiti da un’ultima ‘categoria’ divisa da Vigo in due parti: «nella prima, Miscellanea, sono i Canti pertinenti alle Categorie precedenti; nella seconda, Vario ar-gomento, quelli che non potei allogare in nessuna Categoria di quante ne contiene la presente Raccolta».162

La natura delle note che Vigo elabora a corredo dei testi è stata parzial-mente evidenziata nelle precedenti citazioni. Altre annotazioni a piè di pa-gina riguardano talvolta l’occasione a cui è associato un dato canto, mentre più di frequente trattano questioni di ordine linguistico-lessicale (soprat-tutto la traduzione o spiegazione di termini di non facile comprensione) e forniscono riscontri con canti popolari presenti in altre raccolte italiane e siciliane oppure con testi di poeti culti.

Alcuni passi dell’Addio sono già stati ricordati ma altre due questioni accennate in quelle pagine finali meritano attenzione. La prima investe l’ennesima negazione di ogni inf luenza islamica sul canto popolare sici-liano, ora corroborata dal riferimento all’imminente disponibilità di spe-

159 Ibidem.160 S. Salomone Marino, Sulla ‘Raccolta amplissima’ dei canti popolari siciliani di Lionardo

Vigo. Rivista critica, in «Archivio Storico Siciliano», III, 1876, pp. 452-460: 459.161 1897: 2 tavv. dopo p. 430; vedi riproduzione in «Appendice».162 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 729, nota 1.

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cifici documenti musicali, mai in seguito esibiti e di cui non esiste traccia alcuna:Dovrei dire qualche parola dell’arabismo nella musica e poesia dei canti popolari supposto da qualcuno degli amici miei; il dubbio è breve, la soluzione è lunga. L’accenno soltanto. – Cristiani e Musulmani si sprezzarono e abborrirono vicen-devolmente, la religione interpose fra loro l’abisso. La casida e la canzone sono di opposta natura, fisionomia, cadenza. Semitici e giapetici non ebbero connubio. Chi dubita rilegga il § XI della Prefazione a questa raccolta. Inoltre ho pronte le musiche sicule ed arabe raccolte da’ Maestri V. Pistorio, Alfio Trimarchi e altri italiani e africani; il parallelo dimostra la loro eterogeneità. Non mi mancherà occasione di assodare questo vero dall’epoca antica fin’oggi.163

Un carattere decisamente innovativo presenta invece la riformulazione della tesi riguardante la contemporaneità dei canti storici ai fatti narrati o ai personaggi menzionati. Facendo riferimento a un lungo canto dal titolo Li parti di lu Gran Conti Ruggieru, dovuto al poeta contadino Cosmo Mirabella di Mazara del Vallo,164 Vigo osserva trattarsi di un testo «nuovo e di poca va-lenza».165 Ne pubblica per questo una sola ottava (n. 5150) ma propone una rif lessione relativa ai fatti rievocati nel poemetto, ovvero alla liberazione di Mazara per opera dei Normanni:Questo avvenimento rimase vivamente scolpito nella memoria de’ mazaresi; col volgere de’ secoli, i posteri vi aggiunsero la leggenda, chiamarono Mokarta il Cadì, il cui vero nome non trovo registrato. Non paghi di tanto, lo vollero perpe-tuato nel marmo, che lo fa ognora visibile e presente a’ loro occhi. Di fatti sulla porta maggiore di quell’antica cattedrale, vedesi di naturale dimensione il Gran Conte Ruggero di tutte armi precinto, alla testa de’ suoi cavalieri, e sotto le zampe del suo cavallo per terra e boccone il musulmano Mokarta.166

Vigo prosegue citando la festa della Bella Maria – o ‘Madonna delle Mi-lizie’ – a Scicli (nel Ragusano), dove si rappresenta una finta battaglia fra Normanni e Musulmani, risolta a favore dei primi grazie al divino interven-to della Madonna, raffigurata a cavallo con spada in pugno.167 I due esempi lo portano a trarre le seguenti conclusioni:Quando la memoria di un antico avvenimento si rinfresca nell’attiva ricordanza popolare con monumenti, pitture, feste e sceniche rappresentanze, l’estro de’ po-eti si accende, e idealmente si fa ed essi coevo. Difatti allorché il sig. Castiglione chiese al Mirabella come si fosse ispirato a comporre Li parti del G. Conte Ruggie-

163 Ibid., p. 751.164 Ibid., p. 679, nota 2.165 Ibid., p. 751.166 Ibid., p. 750.167 L’azione rituale si svolge tuttora, per cui si veda S. Bonanzinga, Mori e Cristiani in Si-

cilia: tradizioni drammatiche e musicali, in «Archivio Antropologico Mediterraneo», a. 3, vol. 4, (2000-2001), pp. 219-240.

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ro, costui gli rispose avergliene suggerito il pensiero il gruppo [riferito al gruppo marmoreo che raffigura la capitolazione di Mokarta], che gli stava alla destra, e così dicendo, glielo additava.168

Come osserva Bronzini, qui Vigo mostra un’accortezza metodologica che «anticipa la distinzione proposta dal Santoli nel 1949 fra contempo-raneità cronologica e ideale».169 Accortezza peraltro ribadita nell’ultimo contributo offerto da Vigo allo studio del canto popolare siciliano, datato 1874 ma rimasto a suo tempo pressoché ignorato: Cenno sui canti popolari storico-politici della Sicilia.170

Vicenda critica e attualità della «Raccolta amplissima»

Subito dopo la pubblicazione la Raccolta amplissima diviene bersaglio di critiche sistematiche. La prima recensione, edita da Pitrè nel 1875 sulle ‘Nuove effemeridi siciliane’, si apre con un sentito apprezzamento: «Salu-tiamo con gioia la comparsa di questo volume pubblicato dal primo rac-coglitore di canti siciliani, Lionardo Vigo di Acireale, il vecchio etneo che coll’esempio ci apprese come si onori la patria con le opere dello ingegno e con lo amore operoso».171 Alla lode iniziale fanno però seguito forti rilievi riguardanti la numerazione dei canti gonfiata ad arte per aumentarne il computo complessivo, l’accreditamento di Acireale come luogo di prove-nienza di canti raccolti altrove e l’avere incluso come canti popolari «poesie che mai non lo furono».172 Su altri aspetti – classificazione, ortografia ecc. – Pitrè preferisce glissare, rinviando ad altra sede gli opportuni approfondi-menti, per concludere con tono di cauta ammirazione: «la raccolta del Vigo è preziosa, e benché abbia dei difetti che l’A. parte non potè, parte non volle evitare, resta nondimeno come monumento di lingua, di poesia, di storia e, che è più, di amor patrio».173

Se Pitrè preferisce tacere su talune questioni che lo hanno lasciato «scontento» e «dispiaciuto»,174 molto più esplicito e severo è invece il giu-dizio espresso da Salomone Marino in una dettagliata recensione apparsa nel 1876 sull’«Archivio storico siciliano».175 Non manca tuttavia neppure in

168 Vigo, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani, cit., p. 751.169 G.B. Bronzini, Intellettuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, Palermo, Sellerio,

1991, p. 38.170 In Vigo, Critica - Storia - Belle arti - Industria, cit., pp. 231-317; ried. in Bronzini, Intellet-

tuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, cit., pp. 65-129.171 G. Pitrè, Raccolta amplissima di canti popolari siciliani di Lionardo Vigo, Recensione in

«Nuove effemeridi siciliane», s. III, vol. 1, 1875 pp. 125-126: 125.172 Ibid., p. 126.173 Ibidem.174 Ibidem.175 Ried. in Bronzini, Intellettuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, cit., pp. 58-64.

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questa circostanza il riconoscimento del valore dell’opera e del magistero del suo autore: «La Raccolta amplissima di canti popolari siciliani del chiar. Vigo è opera così preziosa e importante, che assai grado debbon saperne a lui i cultori delle cose siciliane e delle tradizioni del popolo».176 La prima stoccata riguarda la composizione dell’Amplissima, scorretta nella numera-zione dei canti e comprendente per intero le raccolte dello stesso Salomone Marino 177 e di Lizio Bruno,178 in gran parte quella di Pitrè,179 «oltre a tutto quanto di nuovo l’autore potè trovare».180 Segue quindi una serie di consi-derazioni negative che investono nell’ordine: la suddivisione della materia in un numero eccessivo di ‘categorie’; l’esclusione dei canti già editi che presentano medesimo incipit o versi in comune ad altri presenti nell’Am-plissima (compromettendo in questo modo la possibile comparazione tra più varianti); l’imprecisione del metodo di trascrizione (poco rispettoso delle norme fissate nella Conferenza presieduta da Vigo stesso); l’inesattez-za, le omissioni e la confusione espositiva delle parti contenenti rassegne bibliografiche e documentali. Dopo avere notato «le molte ripetizioni e i madornali errori, che non potevansi in tutto evitare in sì gran copia di ma-teriali e con le nostre tipografie»,181 Salomone Marino non frena il fiume delle critiche e aggiunge altri cinque punti dolenti: 1) valorizzazione di testi «incompleti o scorretti» a discapito delle «buone lezioni» pubblicate nelle raccolte altrui; 182 2) inclusione di testi di origine colta dati per popolari (ibidem); 3) attribuzione ad Acireale di numerosi testi di «canti e giochi fan-ciulleschi» ricavati dalla raccolta di Pitrè, senza neppure ritoccare la grafia che ne segnala l’inequivocabile provenienza palermitana; 183 4) confusione tra luoghi di provenienza dei canti, autori ed esecutori; 184 5) errate afferma-zioni riguardo a epoca, autore e articolazione formale di taluni canti di ge-nere narrativo.185 Nonostante questa impietosa disamina anche Salomone Marino conclude in tono conciliante e rispettoso:

Conchiudendo, moltissimo dobbiamo al Vigo, costante e amoroso illustratore del-la Sicilia, per questa veramente amplissima e preziosa raccolta, della quale altri ha

176 S. Solomone Marino, Sulla ‘Raccolta amplissima’ dei canti popolari siciliani di Lionardo Vigo. Rivista critica, in «Archivio Storico Siciliano», III, 1876, pp. 452-460: 456.

177 Id., Canti popolari siciliani in aggiunta a quelli del Vigo, cit.178 Lizio Bruno, Canti scelti del popolo siciliano, cit.; Id., Canti popolari delle Isole Eolie e di altri

luoghi di Sicilia, cit.179 Pitrè, Canti popolari siciliani, cit.180 Salomone Marino, Sulla ‘Raccolta amplissima’ dei canti popolari siciliani di Lionardo Vigo,

cit., p. 456.181 Ibid., p. 455.182 Ibid., p. 456.183 Ibid., p. 457.184 Ibid., pp. 458-459.185 Ibid., p. 459.

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detto abbastanza i pregi e le lodi: le mie stesse osservazioni critiche dimostrano in che stima io la tenga, posciaché mi son data la fatica di rilevarne le mende, dalle quali vorrei vederla purgata. Il chiar. cav. Vigo piglierà in mala parte le franche parole d’un amico, sapendole mosse da amore del vero e di questi dilettosi studj popolari; il nostro cuore (ripeto le sue parole) non ha baco, e qualche detto, che in altri meno sinceri desterebbe ire o rancori, tra noi è «assolto scambievolmente da un bacio».186

A Vigo tuttavia non bastano le dichiarazioni di stima e affetto profuse dai due giovani studiosi, né coglie in alcuna misura la dimensione costrut-tiva delle lore critiche. La lesa maestà deve essere riparata nel modo più sprezzante possibile: i due ex discepoli neppure meritano una risposta per-sonale e la replica è fittiziamente affidata alla nuora Giuseppina Vigo Penni-si. La donna figura quindi come autrice di un opuscolo che, in conseguenza del rifiuto opposto dalla redazione dell’«Archivio storico siciliano», viene autonomamente pubblicato a Palermo nel 1877: Lettera al Dr. Giuseppe Pitrè e chiarimenti sulla rivista critica del Dr. Salomone Marino per la Raccolta amplis-sima di canti popolari siciliani di L. Vigo. Si tratta di sessanta pagine in cui ogni ‘osservazione critica’ viene puntualmente ricusata con fine retorica, sup-portata da tavole comparative finalizzate a sminuire l’opera di raccolta dei due palermitani e del dialettologo Corrado Avolio (che nel 1875 pubblica a Noto un altro volume di canti popolari). Le poche ragioni valide di Vigo sono già state sopra ricordate, per il resto si precipita in un vortice polemico che marca un punto di non-ritorno:

Quando il Vigo al 1857 diè fuori il suo primo volume di Canti Popolari Siciliani, in un tempo in cui niuno in Sicilia avea pensato a spigolare in un campo abbondante d’una messe per quanto incolta sublime, ne ebbe da tutti largi e meritati enco-mii, non escluso il Pitrè e lo stesso Salomone quando s’iniziavano nella letteraria carriera; e quantunque in quel volume non mancassero mende, pure in nessuna critica sia di periodici, o di singoli individui si leggevano quelle espressioni, poco delicate e offensive che al Salomone sembrano familiari come ad un artefice i ferri della sua bottega. Ma i tempi sono mutati, e a’ dì d’oggi chiunque affastelli insieme poche centinaia di canti, facendoli precedere da quattro paroline di pre-fazione, crede esser giunto all’apogeo del sapere e della gloria, ed aver il dritto di parlare di tutto e di tutti col medesimo linguaggio, non rispettando né anzianità, né dottrina.

Finalmente, conchiudendo, ricorderò al nostro critico come falsa sia la pre-tensione di diventar celebri criticando i dotti, e come egli nacque alle lettere ap-poggiandosi colla sua Raccoltina di canti al nome del Vigo, del quale in tutti i suoi scritti si è mostrato discepolo ed ammiratore. Con questa pseudo-critica, (che critica non posso chiamarla) colla quale, totalmente contraddicendosi, si è mani-festato un altr’uomo, creda pure il borgettano dottore più danno aver recato a se stesso di quanto al Vigo, che arborea mole resiste a un ben altro uragano, laddove l’umile arboscello ad ogni soffio di zefiro si piega ed abbatte.

186 Ibid., p. 460.

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Se egli avverrà dover dettare altre Riviste Critiche non dimentichi questa, e come primi indispensabili elementi siano pel critico: gentilezza, imparzialità, veridicità.187

La reazione di Salomone Marino e Pitrè, questa volta congiunta, è prontamente affidata a uno scritto il cui titolo non lascia dubbi riguardo all’intenzione degli autori: Chi dice quel che vuole udirà quel che non vuole. Risposte ad un opuscolo che porta il nome della Sig. Giuseppina Vigo Pennisi.188 Il testo contiene due risposte separate ma i toni sono ugualmente ruvidi. Salomone Marino conclude la sua risposta «compassionando l’erudito ris-soso e borioso, a cui l’età avanzata aveva ridotto la capacità di ragionare, come dimostravano il suo argomentare e le sue accuse, e alla fine esclama-va: “il peggio è viver troppo, diceva Jacopo Ortis”».189 Pitrè, dal canto suo, non esita a dichiararsi «scandalizzato» per «il difetto di conoscenze demop-sicologiche» palesato da Vigo, ricordando all’antico maestro che mentre questa scienza si era evoluta egli era rimasto fermo al 1857: «Al signor Vigo deve bastare di essere stato il primo a raccogliere e pubblicar Canti in Sicilia».190

Solo grazie all’intercessione di Rubieri si placa – almeno formalmente – questa ormai imbarazzante polemica, per mezzo di un accordo che impe-gna le parti a non produrre ulteriori repliche.191 Neppure la morte di Vigo, sopraggiunta nel 1879, ne segna tuttavia l’effettiva conclusione. Tra il 1881 e il 1885 il letterato acese Michele Calì pubblica infatti due corposi volumi dedicati all’opera di Vigo, «un Poeta, che per quanto dotto e vigoroso, e per quanto amò d’immenso, inestinguibile amore la Sicilia, altrettanto non è riverito, secondo quanto dovrebbe suggerire un sentimento di gratitudine ed un sincero tributo al suo grande merito ed al suo caldo patriottismo».192 Il pretenzioso contributo di Calì non fa tuttavia altro che alimentare una sorta di ‘agiografia vighiana’, più o meno esplicitamente riferita a una pre-sunta contrapposizione intellettuale fra Acireale e Palermo. Pitrè, dal canto suo, nella riedizione dei Canti pubblicata nel 1891, torna a condannare la Raccolta amplissima, denunciandone l’inaffidabilità: «Libro pericolosissimo codesto, a trar profitto dal quale converrà verificare canto per canto, sce-vrare le ipotetiche e capricciose attribuzioni, eliminare le poesie auliche di notoria paternità, restituire i singoli canti alle loro patrie dialettali, e soprat-

187 G. Vigo Pennisi, Lettera al Dr. Giuseppe Pitrè e chiarimenti sulla rivista critica del Dr. Sa-lomone Marino per la Raccolta amplissima di canti popolari siciliani di L. Vigo, Palermo, Stab. Tip. Lao, 1877, p. 460

188 Pitrè, Solomone Marino, Chi dice quel che vuole udirà quel che non vuole. Risposte ad un opuscolo che porta il nome della Sig. Giuseppina Vigo Pennisi, Palermo, Tip. Montaina, 1877.

189 G. Bonomo, Pitrè la Sicilia e i Siciliani, Palermo, Sellerio, 1989, p. 61.190 In ibidem.191 Cfr. ibid., pp. 62-63.192 M. Calì, La Sicilia nei canti di Lionardo Vigo, 2 voll., Acireale, Tip. Donzuso, 1881-1885, p. 5.

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tutto non tener conto di molte affermazioni della Prefazione e del Notamento di opere attenenti a canti popolari siciliani e stranieri».193

I due volumi di Grassi Bertazzi (1896, 1897) e il profilo critico offerto da Capuana (1898) – ricordati nelle pagine precedenti – offrono una visione decisamente più equilibrata dei pregi e dei difetti dell’opera di Vigo. Que-sto, in sintesi, il giudizio di Capuana:Prosatore, poeta, erudito, il Vigo non lascerà un’impronta nella storia dell’arte. La sua stessa raccolta di canti popolari è stata già superata da quella del Pitrè per gl’intendimenti scientifici con cui questa è stata condotta; saranno certamente superate tutte e due da una raccolta avvenire, che usufruirà dei materiali di en-trambe e dei progressi del folklore.194

Alle questioni scientifiche si aggiungono tuttavia quelle di ordine stret-tamente ideologico, poiché, come si è già detto, l’aristocratico sicilianismo autonomista di Vigo si contrappone a quello ‘borghese-unitario’ di tan-ti studiosi isolani (Amari, Salomone Marino e Pitrè tra gli altri). Questo aspetto viene particolarmente posto in evidenza da Giovanni Gentile in un celebre saggio del 1919 inteso a valutare il progresso degli studi umanistici nella Sicilia dell’Ottocento. Il filosofo, nell’ottica dello storicismo idealista, auspica il superamento del regionalismo, recuperando i più alti valori etici e morali della produzione intellettuale isolana. Considera pertanto Vigo poeta valente e «uno dei rappresentanti più caratteristici della cultura si-ciliana del periodo»,195 ma lo esclude dal novero degli autori che «seppero innalzarsi al più vasto orizzonte della patria italiana; seppero deporre nel-la scienza ogni interesse locale e combattere contro gli stessi conterranei ciecamente zelanti delle loro glorie tradizionali» (ivi, pp. 26-27).196 Circa vent’anni dopo il suo giudizio sulla Raccolta amplissima sarà però lapidario: «senza critica, senza gusto, senza sufficiente preparazione storica» (Gentile 1940: 17).

Sempre nel 1919 esce ad Acireale un’altra monografia dedicata a Vigo e alla sua raccolta di canti popolari. Ne è autore Matteo Fresta, un sacerdote attivo anche come bibliotecario presso l’Accademia Zelantea. Questi passa in rassegna tutti gli aspetti del caso e propone un’ampia revisione critica del contenuto della Raccolta. Con onestà ne rileva le debolezze e giunge ad auspicarne una riedizione priva degli scritti introduttivi e limitata ai canti realmente popolari, «disposti con miglior ordine, sfrondati di tante note ed inutili osservazioni, con l’ortografia meglio curata e corretta».197 Fresta è

193 G. Pitrè, Canti popolari siciliani, 2 voll., Torino-Palermo, nuova ed. rifusa Clausen, 1891, p. xii.

194 Capuana, Lionardo Vigo, cit., p. 231.195 G. Gentile, Il tramonto della cultura siciliana, Zanichelli, Bologna 1919; 2ª ed. riveduta e

accresciuta, Sansoni, Firenze 1963, p. 24.196 Ibid., pp. 26-27.197 Fresta, Studio critico sulla Raccolta amplissima, cit., p. 142.

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inoltre l’unico critico di Vigo a lamentare l’assenza delle notazioni musicali incluse nell’edizione precedente:Nella prima edizione erano riportate le note musicali di alcuni canti, nella seconda edizione esse mancano: le avremmo desiderate ed in maggior copia. Tra la poesia letteraria e la popolare notiamo questa differenza: la prima può sussistere da per sé, la seconda non sussiste che per la musica con la quale si accompagna. E infatti in questa si chiama canto ciò che in quella si chiama componimento. Il popolo non canta per creare della poesia, ma crea della poesia per cantare; se perde la musi-ca, perde il verso. […] Ebbene egli avrebbe dovuto conservare e, possibilmente, accrescere anche nella Raccolta amplissima queste note, non lasciare il compito di raccoglierle al cieco Sebastiano Pennisi che non poteva affatto adempierlo.198

Nonostante tutti i folkloristi abbiano condiviso l’idea che non fosse pos-sibile studiare il canto popolare separando i versi dalla melodia, l’attenzione verso la dimensione musicale resta episodica e superficiale. Il più sensibi-le si dimostra Pitrè, che correda la sua raccolta di «32 melodie popolari», incluse tre ricavate dai Canti di Vigo, riproposte senza accompagnamento pianistico e tralasciando di indicare la fonte (compare però Acireale quale località di provenienza; vedi riproduzione in Appendice). Le ragioni della filologia non sembrano preoccupare troppo, in ordine a questo aspetto, gli stessi studiosi che rimproverano Vigo tanto severamente di appropriazio-ni indebite e scarsa cura ortografica. Così come va rilevato che il lavoro di quei rarissimi musicisti che si sono applicati allo studio delle tradizioni musicali siciliane – in particolare Alberto Favara e Corrado Ferrara – sono stati dai folkloristi del tutto ignorati, quando non esplicitamente disprezzati quasi fossero degli indesiderati ‘invasori di campo’.199 Il clima non proprio idilliaco dei rapporti intercorrenti f ra quanti si dedicavano in Sicilia agli studi etnografici è d’altra parte testimoniato anche dal deteriorarsi del rap-porto fra Pitrè e Salomone Marino, che col tempo giungerà a trasformarsi in aperto contrasto.200

Nell’Italia del dopoguerra la storicizzazione degli studi relativi alle tradi-zioni popolari italiane ed europee sarà intrapresa soprattutto dall’antropo-logo siciliano Giuseppe Cocchiara.201 Il contributo di Vigo è più estesamen-te considerato nel volume Popolo e letteratura in Italia (1959), nell’ambito del capitolo intolato «Arcadia e realtà del folklore».

198 Ibid., pp. 133-134.199 Vedi a esempio il trattamento riservato da Pitrè al volumetto di Ferrara sui ‘gridatori di

piazza notigiani’; cfr. S. Bonanzinga, Etnografia musicale in Sicilia. 1870-1941, Palermo, Centro per le Iniziative Musicali in Sicilia, 1995, pp. 37-42.

200 Si veda in particolare Bonomo, Pitrè la Sicilia e i Siciliani, cit., passim.201 G. Cocchiara, Storia degli studi di tradizioni popolari in Italia, Palermo, Palumbo, 1947;

ried. come Storia del folklore in Italia, con una nota di A. Cusumano, Palermo, Sellerio, 1981; Id., Storia del folklore in Europa, Torino, Einaudi, 1952; ried. a cura di G. Bonomo, Torino, Borin-ghieri, 1971; Id., Popolo e letteratura in Italia, Torino, Einaudi, 1959; ried. a cura di A. Buttitta, Palermo, Sellerio, 2004.

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[…] Lionardo Vigo, che è anche un poeta, – ma un poeta tuttaltro che popolare, come dimostra il suo noiosissimo poema epico Ruggiero, – metteva fra l’Italia e la Sicilia la poesia popolare come per dire: – Qui, cioè in questa poesia, c’è la nostra diversa identità. Vigo [era] anch’egli uomo del Risorgimento, ma di un Risorgi-mento le cui aspirazioni non andavano oltre le sponde dell’Isola […].202

Cocchiara illustra quindi il legame dell’autore con Tommaseo, pone in evidenza le sue conoscenze riguardo agli studi romantici di poesia popola-re, rileva la positiva ricezione del suo lavoro da parte di Rubieri nella Storia della poesia popolare italiana (1877), ricorda il giudizio negativo di Pitrè, quel-lo positivo di Gregorovius e la burla di Capuana, per esprimere infine un giudizio adeguatamente ponderato:Nella prefazione ai Canti, fin dal 1857 Vigo aveva però ammonito come fosse dif-ficile distinguere la poesia popolare dalle avvedute imitazioni. Tommaseo – che nella sua raccolta di Canti toscani era stato anche lui ingannato dal Bianciardi – non solo era dello stesso avviso, ma sinceramente confessava: – anch’io talvolta ho sbagliato. E se sbagliò Tommaseo, poteva anche sbagliare Vigo, la cui raccolta, seppur ha dei difetti, rimane un’impresa per i suoi tempi certamente meritoria.203

Nella successiva generazione degli antropologi italiani l’attenzione per la storia degli studi demologici resta costante e numerosi sono i contribu-ti – monografie e articoli – che direttamente investono le vicende siciliane nel quadro nazionale ed europeo (si vedano tra gli altri AA.VV. 1968, Bo-nomo 1989, Bronzini 1966 e 1991, Buttitta 1971a, Cirese 1958 e 1973, Rigoli 1974).204 Una posizione particolarmente proficua a risituare sotto nuova luce anche la figura di Lionardo Vigo appare tuttavia quella espressa da An-tonino Buttitta in un ampio saggio introduttivo alla riedizione dei Canti po-polari di Avolio. L’antropologo insiste specialmente sulla ‘eterogeneità’ che caratterizza ogni ambito della cultura isolana (dall’arte alla scienza), «con esiti in qualche caso di felice sincretismo, ma più spesso discrasici e contrad-dittori» 205 Le ragioni di questa peculiare condizione sono da ricercarsi nella stratificazione delle culture che in Sicilia si sono avvicendate, permettendo che lingue, comportamenti, istituzioni e perfino scuole artistiche e correnti

202 Ibid., p. 207.203 Ibid., p. 210.204 Si vedano tra gli altri Pitrè e Salomone Marino. Atti del Convegno di studi per il 50º anni-

versario della morte di G. Pitrè e S. Salomone Marino (Palermo, 25-27 novembre 1966), Palermo, Flaccovio, 1968; Bonomo, Pitrè la Sicilia e i Siciliani, cit.; G.B. Bronzini, Il mito della poesia popo-lare, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1966; Id., Intellettuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, cit.; A. Buttitta, Ideologie e folklore, Palermo, Flaccovio, 1971; A.M. Cirese, La poesia popolare, Palermo, Palumbo, 1958; Id., Cultura egemonica e culture subalterne. Rassegna degli studi sul mondo popolare tradizionale, Palermo, Palumbo, 19732; A. Rigoli, Mondo popolare e letteratura, Palermo, Flaccovio, 1874.

205 A. Buttitta, Introduzione, in Avolio Canti popolari di Noto, Noto, Zammit, 1875, ried. Palermo, Edizioni della Regione Siciliana, 1974, pp. 7-33: 7.

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di pensiero si sedimentassero senza che il nuovo sostituisse mai del tutto il vecchio. Il discorso viene quindi esplicitamente riferito alla vita intellettuale isolana:Il panorama risulta ancora più complesso se si consideri che solo forzosamente è possibile riportare i singoli autori a questo o a quel filone della cultura euro-pea. Gli orientamenti e gli interessi scientifici più diversi e talora contraddittori sono presenti infatti negli stessi studiosi senza che nessuno degli interessati mini-mamente sospetti di trovarsi in una posizione ideologicamente poco omogenea. Tutto ciò probabilmente è in parte da riferire alla scarsa disposizione degli intel-lettuali siciliani per le scienze speculative, le loro riconosciute doti per l’empiria, la tendenza all’enciclopedismo: frutti certamente di una vicenda storica complessa e drammatica nella quale il cabotaggio, l’accomodamento e l’improvvisazione sem-brano la norma.206

In questo quadro si rif lette pienamente la figura di Vigo, giacché in lui convivono eredità classica, curiosità erudita e alcuni aspetti del Romantici-smo, coniugati a una vena – oltre che di municipalismo, come osserva But-titta 207 – di acuto ‘vigocentrismo’, che lo porta a essere un poligrafo tanto infaticabile quanto spesso superficiale (e talvolta dilettantesco).

L’ultimo contributo di questa ormai secolare vicenda critica viene of-ferto da Giovanni Battista Bronzini ed è questo il saggio più consistente dedicato a Vigo nell’ambito della storiografia di interesse demologico della seconda metà del Novecento (il testo, apparso per la prima volta nel 1983, viene ripubblicato nello stesso anno su «Lares» e in volume nel 1991). L’ap-profondita disamina, corredata da un apparato di ‘testi di riferimento’ (di Nigra e Salomone Marino, oltre al sopra ricordato saggio di Vigo sui canti storici), ha il merito di collocare organicamente lo studioso di Acireale en-tro le vicende intellettuali della Sicilia ottocentesca, riattualizzando il valore della sua opera principale: un libro da considerare «non più pezzo di anti-quariato, o repertorio di consultazione, […] ma tutto da rivisitare con ottica moderna e critica attuale».208

In queste pagine abbiamo tentato di fornire strumenti sufficienti a ricol-locare la Raccolta amplissima proprio nella direzione auspicata da Bronzini. Vale tuttavia la pena aggiungere ancora un’annotazione riferita alla speci-ficità della tradizione etnomusicale siciliana in relazione all’ormai abusata nozione di identità.

Quanto osserva Antonino Buttitta in merito al carattere ‘cumulativo’ della cultura siciliana 209 vale in forma rafforzata per la cosiddetta fascia folklorica. In una vicenda storica così marcata nel segno della ‘lunga durata’,

206 Ibid., p. 8.207 Ibid., p. 20.208 Bronzini, Intellettuali e poesia popolare nella Sicilia dell’Ottocento, cit., p. 47.209 Buttitta, Introduzione, cit.; Id., Elogio della cultura perduta, in «Nuove Effemeridi», a.

VIII, vol. 32, 1995, pp. 2-10.

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la trasmissione dei saperi è stata caratterizzata dalla interazione fra gruppi sociali diversi (egemone-subalterno, rurale-urbano, costiero-d’entroterra) e dalla intersezione di differenti tecniche di comunicazione (oralità-scritt-ura), piuttosto che dalla loro netta separazione. I fenomeni folklorici tut-tora osservabili nell’Isola sono pertanto il prodotto di costanti interferenze tra modelli antichi e moderni compresenti nei diversi ambienti socio-cultu-rali. Estesi processi di ibridazione hanno interessato anche le forme e gli sti-li del canto tradizionale, in diversa misura inf luenzato dalle manifestazioni musicali tipiche delle civiltà che si sono avvicendate in questa fertile terra meridiana, dove «il popolo ascoltò il nomos greco, l’inno bizantino, il maqam arabo, la canzone cortese dei Trovatori, il Lied dei Minnesänger, fino alla opulenta polifonia cinque-secentesca!».210 È proprio in questa straordinaria fusione di elementi eterogenei che va ricercata la peculiare identità sicilia-na: entro processi dinamici di interazione fra individui e fra comunità e non per mezzo di fantasiose ipotesi filogenetiche destinate a rimarcare una ‘identità etnica’ spesso funzionale ad attivare solo speculazioni politiche o commerciali su quel che resta delle tradizioni orali. Inventare ‘tradizioni’ mediante l’affermazione di prestigiose ascendenze è cosa d’altronde molto diffusa nella storia europea: dal leggendario bardo Ossian, nato dalla penna di James Macpherson (1736-1796) per delineare un’epopea celtica che stes-se alla pari dei poemi omerici, alle teorie razziali prontamente accolte dal nazismo riguardo alla presunta discendenza degli ‘ariani’ dagli atlantidei.211 In questo senso Vigo si inserisce pienamente – se pure in modo ingenuo e periferico – in una corrente deteriore del pensiero occidentale, che affonda radici nel nazionalismo romantico e i cui cascami rappresentano tuttoggi la risposta peggiore all’altrettanto grave minaccia del globalismo sociale, eco-nomico e culturale. Nonostante la sua profonda passione sicilianista, Lio-nardo Vigo non arriva tuttavia certo a proclamare la superiorità dei Siciliani come ‘razza eletta’ e viene ricordato quasi esclusivamente come raccogli-tore di canti popolari. A prescindere dall’improbabile impalcatura teorica, il valore attuale della Raccolta amplissima risiede infatti nella dimensione specificamente etnografica: non solo per i testi poetici dei canti (in gran parte dettati da cantori ‘popolari’ e ampiamente riscontrati nelle indagini sul campo dell’etnomusicologia moderna), ma anche per tante osservazio-ni che hanno carattere di unicità (come quelle relative agli orbi di Palermo o alle sfide poetiche del territorio etneo). Vigo è uomo del suo tempo e, pur non possedendo l’apparato metodologico necessario a cogliere la comples-sità dei processi culturali in azione nel mondo popolare, resta un fonda-mentale pioniere di questi studi.

210 O. Tiby, Il canto popolare siciliano, studio introduttivo, in A. Favara Corpus di musiche popo-lari siciliane, 2 voll., a cura di O. Tiby, Palermo, Accademia di Scienze Lettere e Arti di Palermo, 1957, vol. I, pp. 2-113: 23.

211 Cfr. rispettivamente L’invenzione della tradizione [1983], a cura di E.J. Hobsbawm – T. Ranger, trad. it. Torino, Einaudi, 1994; F. Wegener, Il Terzo Reich e il sogno di Atlantide [2000], trad. it. Torino, Lindau, 2006.

SERGIO BONANZINGA74

Riassunto – Summary

Il testo esamina la genesi della prima raccolta di canti popolari siciliani apparsa a stampa nel XIX secolo (prima edizione 1857, edizione riveduta e ampliata 1874). Le vicende biografiche dell’autore – Lionardo Vigo – si intrecciano con la storia politica e culturale della Sicilia, tra lotte risorgimentali e fase postunitaria. La sua Raccolta amplissima di canti popolari siciliani rif lette il mutare delle ragioni politi-che e i contrasti metodologici che nella seconda metà dell’Ottocento sorgono tra posizioni romantiche e nuovi orientamenti positivisti, destando intense reazioni tra gli studiosi contemporanei e alimentando un ampio dibattito nell’ambito della storiografia demoantropologica novecentesca. La ricostru zione di questo articola-to itinerario critico è specialmente finalizzata a porre in evidenza il valore pionie-ristico della documentazione etnografica raccolta da Vigo, anche in rapporto a un dialogo con la ricerca etnomusicologica moderna.

The text examines the genesis of the first collection of Sicilian folk songs, printed in the nineteenth century (first edition 1857, revised and expanded edi-tion 1874). The biography of the Author – Leonardo Vigo – is intertwined with the politics and cultural history of Sicily, between “Risorgimento” and the ear-ly period after the Italian unification. His Raccolta amplissima di canti popolari si-ciliani [Wide Collection of Sicilian Folk Songs] ref lects the changing of political reasons and methodological contrasts that arise between romantic positions and new positivist trend in the second half of nineteenth century, rousing intense re-actions among contemporary scholars and fueling a broader debate in the field of anthropologic historiography in twentieth century. Rebuilding this articulate critical itinerary is specially designed to highlight the pioneering value of Vigo’s ethnographic work, also in relation with the modern ethnomusicology research.

Appendice musicale

SERGIO BONANZINGA76

A. Pagine musicali non numerate inserite da Lionardo Vigo nella prima

edizione dei Canti (1857: 4 tavole dopo p. 114). Ricomposizione mediante software di scrittura musicale curata da Giuseppe Giordano.

APPENDICE MUSICALE 77

SERGIO BONANZINGA78

APPENDICE MUSICALE 79

SERGIO BONANZINGA80

APPENDICE MUSICALE 81

B. Fotoriproduzione di tre canti ricavati dalla prima antologia di Vigo e

riprodotti da Giuseppe Pitrè senza accompagnamento pianistico nella sezione “Melodie popolari” che chiude il secondo volume dei suoi Canti (1870-71).

SERGIO BONANZINGA82

APPENDICE MUSICALE 83

C. Fotoriproduzione di una canzone a ballo in forma di dialogo – indicata

come Fasola – che Salvatore Salomone Marino pubblica nel volume Costumi e usanze dei contadini (1897: 2 tavole dopo p. 430).

SERGIO BONANZINGA84

Fig. 1. Ritratto di Lionardo Vigo risalente al 1846. I materiali di questo inserto fotografico appartengono alle collezioni dell’Accademia di scienze, lettere e belle arti degli Zelanti e dei Dafnici di Acireale. L’Edi-tore esprime il proprio sentito ringraziamento all’Accademia per avere agevolato la ricerca e concesso l’uso delle immagini qui pubblicate (fotoriproduzioni eseguite da Valeria Trapani).

Fig. 2. Frontespizio dei Canti (1857). Fig. 3. Fotoritratto di Vigo riprodotto sul colophon del primo volume delle Opere (1865). Fig. 4. Frontespizio della Raccolta amplissima (1870-74). Fig. 5. Ca- sa di Vigo ad Acireale.

2 3

54

Fig. 6. Foglio appartenente al manoscritto dei Canti (contiene la nota ottava con incipit dante-sco fornita da Luigi Capuana).

Fig. 7. Foglio appartenente al manoscritto dei Canti.

Direttore ResponsabileProf. Pietro Clemente

Università degli Studi di FirenzeDipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo

Registrazione del Tribunale di Firenze n. 140 del 17-11-1949

FINITO DI STAMPAREPER CONTO DI LEO S. OLSCHKI EDITORE

PRESSO ABC TIPOGRAFIA • SESTO FIORENTINO (FI) NEL MESE DI FEBBRAIO 2016

Anno LXXXI n. 1 Gennaio-Aprile 2015

Rivista quadrimestrale di studi demoetnoantropologici

Fondata nel 1912 e diretta da L. Loria (1912), F. Novati (1913-1915), P. Toschi (1930-1943; 1949-1974), G.B. Bronzini (1974-2001), V. Di Natale (2002)

RedazionePietro Clemente (direttore), Fabio Dei (vicedirettore),

Caterina Di Pasquale (coordinamento redazionale),Elena Bachiddu, Paolo De Simonis, Antonio Fanelli, Maria Federico, Mariano

Fresta, Martina Giuffrè, Maria Elena Giusti, Costanza Lanzara, Luigigiovanni Quarta, Emanuela Rossi, Lorenzo Urbano

Comitato Scientifico InternazionaleDionigi Albera (CNRS France), Sergio Della Bernardina (Université de Bretagne

Occidentale), Daniel Fabre (CNRS-EHESS Paris), Angela Giglia (Universidad Autónoma Metropolitana, Unidad Iztapalapa), Gian Paolo Gri (Università degli studi di Udine), Reinhard Johler (Universität Tübingen), Ferdinando

Mirizzi (Università degli studi della Basilicata), Fabio Mugnaini (Università degli studi di Siena), Silvia Paggi (Université di Nice-Sophia Antipolis), Cristina Papa (Università degli studi di Perugia), Leonardo Piasere (Università degli studi di Verona), Alessandro Simonicca (Università degli studi di Roma “La Sapienza”)

Anno LXXIX n. 1 GENNAIO-APRILE 2013

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REDAZIONE

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(Universita degli studi di Roma «La Sapienza»).

SAGGI

PIETRO CLEMENTE, L’attualita di Antonio Pigliaru: note introduttive . . . . . . . . . 5

GAETANO RICCARDO, Conflitto di ordinamenti e conflitto di paradigmi in Antonio Pigliaru . . 11

COSIMO ZENE, Riflettendo su Antonio Pigliaru: tra ordinamenti e paradigmi – dono e/o ven-detta? . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 35

DOMENICO COPERTINO, Autorita in questione. Islam e modelli di soggettivita devota nelle di-scussioni in moschea a Milano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 45

LAURA CHERUBINI, Arpie dalle belle chiome. Di capeli e turbini fra mondo antico e survivalsmoderni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 73

MARIANO FRESTA, L’identita culturale alla prova dei fatti. Il caso della val Germanasca 1981-82 95

ARCHIVIO

PIETRO CLEMENTE, Evocare la «barbuira». Riti calendariali e memorie di ricerca . . . . . 113

Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 127

Pubblicato nel mese di ottobre 2014LEO S. OLSCHKICASA EDITRICE

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RedazioneDipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo Università degli Studi di Firenze Via Gino Capponi, 9 50121 Firenze

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Pubblicato nel mese di febbraio 2016

Miscellanea

Luciano Arcella, La cultura positivista e l’invenzione del mito spiritista nella metropoli brasi-liana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3

Sergio Bonanzinga, Lionardo Vigo, un autonomista dell’etnografia siciliana . . . . . 17Dario Nardini, Gouren. La lotta bretone, un’etnografia corpo a corpo . . . . . . . . 85

Testimonianze – In ricordo di Enrica Delitala

Giulio Angioni, A Enrica Delitala (1934-2014) . . . . . . . . . . . . . . . 109Anna Lecca, Pietro Clemente, Ricordare Enrica Delitala . . . . . . . . . . . 111Graziella Delitala Sedda, Enrica, mia sorella . . . . . . . . . . . . . . . 127Mariano Fresta, Enrica Delitala ad Aix-En-Provence e la cartografia demologica . . . . . 131Marcello Marras, Enrica Delitala: studiosa, docente, maestra. Il rigore scientifico e la genero-

sità d’animo della demologa sarda nel ricordo di un allievo . . . . . . . . . . . 137Fulvia Putzolu, Enrica Delitala, la maestra che avrei voluto . . . . . . . . . . . 143Chiarella Rapallo Addari, Per Enrica. Storie intrecciate. . . . . . . . . . . . 149

Archivio – Enrica Delitala,

Morte. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155Scolari dell’Impero. Note su alcuni testi per le scuole elementari della A.O.I. . . . . . . . 159Nascita e vita di un paese. Appunti su Stintino . . . . . . . . . . . . . . . . 173Come e perché ricercare le fiabe popolari . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 181

Gli autori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191

ISSN 0023-8503

LAR

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1 2015

Rivista fondata nel 1912diretta da

Pietro Clemente

Leo S. OlschkiFirenze

Anno LXXXI n. 1 – Gennaio-Aprile 2015


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