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L'offshoring e le imprese manifatturiere italiane

Date post: 26-Jan-2023
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L’offshoring e le imprese manifatturiere italiane Maria Luigia Segnana * and Alex Bernard July 2010 Sommario L’offshoring ` e una strategia di internazionalizzazione delle imprese che consiste nella de- localizzazione di parte del processo produttivo in un Paese estero, rispetto alla quale l’eterogenit` a d’impresa sembra svolgere un ruolo importante. Questo lavoro, dopo aver definito con precisione il fenomeno dell’offshoring, indaga le determinanti dell’offshoring a livello d’impresa mediante un’analisi cross-section relativa agli anni 2004 e 2006, e ve- rifica poi l’ipotesi di autoselezione su un insieme di circa 1.000 imprese manifatturiere italiane, mettendo a confronto le caratteristiche d’impresa nel 2003 con la probabilit` a di delocalizzare in anni successivi. I risultati mostrano in primo luogo la positiva e signifi- cativa influenza delle dimensioni d’impresa e dell”investimento in ricerca e sviluppo sulla probabilit` a di delocalizzare la produzione. In secondo luogo essi segnalano che sono le imprese pi` u produttive ad avere maggiore probabilit` a di delocalizzare all’estero, riuscendo a sostenere i costi fissi associabili a tale operazioni sui mercati internazionali. Ne risulta la presenza di un fenomeno di autoselezione che precede la decisione di delocalizzazione e non viceversa. *** This paper adds new evidence on firm heterogeneity and offshore in-house sourcing, the activity of delocalizing part of the production process abroad. After proving a clear de- finition of offshoring, we investigate the determinants of both offshore in-house sourcing and offshore outsourcing finding that size and R&D investment are positively correlated with offshoring. Furthermore, we explore the determinants of the decision to offshore pro- duction on a sample of about 1,000 Italian manufacturing firms, testing the self-selection hypothesis. The empirical analysis shows that performance begets offshoring, suggesting that causality runs from ex-ante productivity to offshoring. Keywords: Offshoring, outsourcing, discrete choice models, technology and firm hetero- geneity. JEL Classification: : F10 F12; F20; L10; L20; L22 * Dipartimento di Economia, Universit` a di Trento. Correspondenza: via Inama, 5 38122-Trento, Italy. tel. +390461882225. Email: [email protected] Scuola di Studi Internazionali, Universit`a di Trento e Kiel Institute for the World Economy. Email: [email protected] 1
Transcript

L’offshoring e le imprese manifatturiere italiane

Maria Luigia Segnana∗ and Alex Bernard†

July 2010

Sommario

L’offshoring e una strategia di internazionalizzazione delle imprese che consiste nella de-localizzazione di parte del processo produttivo in un Paese estero, rispetto alla qualel’eterogenita d’impresa sembra svolgere un ruolo importante. Questo lavoro, dopo averdefinito con precisione il fenomeno dell’offshoring, indaga le determinanti dell’offshoringa livello d’impresa mediante un’analisi cross-section relativa agli anni 2004 e 2006, e ve-rifica poi l’ipotesi di autoselezione su un insieme di circa 1.000 imprese manifatturiereitaliane, mettendo a confronto le caratteristiche d’impresa nel 2003 con la probabilita didelocalizzare in anni successivi. I risultati mostrano in primo luogo la positiva e signifi-cativa influenza delle dimensioni d’impresa e dell”investimento in ricerca e sviluppo sullaprobabilita di delocalizzare la produzione. In secondo luogo essi segnalano che sono leimprese piu produttive ad avere maggiore probabilita di delocalizzare all’estero, riuscendoa sostenere i costi fissi associabili a tale operazioni sui mercati internazionali. Ne risultala presenza di un fenomeno di autoselezione che precede la decisione di delocalizzazione enon viceversa.

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This paper adds new evidence on firm heterogeneity and offshore in-house sourcing, theactivity of delocalizing part of the production process abroad. After proving a clear de-finition of offshoring, we investigate the determinants of both offshore in-house sourcingand offshore outsourcing finding that size and R&D investment are positively correlatedwith offshoring. Furthermore, we explore the determinants of the decision to offshore pro-duction on a sample of about 1,000 Italian manufacturing firms, testing the self-selectionhypothesis. The empirical analysis shows that performance begets offshoring, suggestingthat causality runs from ex-ante productivity to offshoring.

Keywords: Offshoring, outsourcing, discrete choice models, technology and firm hetero-geneity.JEL Classification: : F10 F12; F20; L10; L20; L22

∗Dipartimento di Economia, Universita di Trento. Correspondenza: via Inama, 5 38122-Trento, Italy. tel.+390461882225. Email: [email protected]†Scuola di Studi Internazionali, Universita di Trento e Kiel Institute for the World Economy. Email:

[email protected]

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1 Introduzione

L’offshoring rappresenta una strategia di internazionalizzazione che consiste nel delocalizzareparte del processo produttivo in un Paese estero. E’ caratterizzato dalla frammentazione dellacatena del valore di un’impresa fra unita produttive situate in Paesi diversi e si tratta di unfenomeno non certo nuovo: le imprese e in particolare le multinazionali, hanno spezzettato ilproprio processo produttivo su piu stabilimenti in Paesi diversi in misura crescente fin daglianni '80 come ben testimoniato da diversi contributi empirici1 (Krugman, 1995; Blinder,2006b).

Mentre la teoria economica ha contribuito in anni recenti alla comprensione del fenomeno,l’analisi empirica ha risentito della mancanza di adeguate fonti statistiche a livello di microdati. Allo stesso tempo, la notevole incertezza terminologica relativa ai confini e alla precisadefinizione statistica del fenomeno, non ha consentito lo sviluppo di un comune impiantostatistico-descrittivo che ne desse conto, dando origine a numerosi ed eterogenei studi sull’internazionalizzazione dell’ impresa e sulle sue determinanti.

Lo scopo di questo contributo e in primo luogo quello di giungere ad una definizionechiara e teoricamente delineata dell’ offshoring. Sulla base di quest’ultima e nei limiti deidati disponibili, il lavoro indaga empiricamente le determinanti dell’offshoring delle impresemanifatturiere italiane, rispondendo a quesiti come: quali caratteristiche sono proprie delleimprese che internazionalizzano la produzione? Quali le caratteristiche d’impresa che piudi altre vanno ad incidere sulla probabilita di delocalizzare? I risultati segnalano che ladimensione d’impresa, insieme all’attivita in ricerca e sviluppo incidono in maniera rilevantesulla probabilita di delocalizzare.

Successivamente il lavoro si interroga sull’eterogenita che caratterizza le imprese che dannoinizio a quella complessa attivita sui mercati internazionali che va sotto il nome di offshoringed indaga quindi l’eventuale presenza di fattori strutturali (in particolare la cosiddetta auto-selezione) che potrebbero contribuire a spiegarla. I risultati sono coerenti con i modelli teoricicon imprese eterogenee secondo cui la partecipazione alle attivita internazionali implica costifissi piu elevati per l’internazionalizzazione produttiva e segnalano come siano le impreseitaliane piu’ produttive ad avere maggiore probabilita di delocalizzare all’estero, confermandoin questo modo l’ipotesi di autoselezione.

Il lavoro e organizzato come segue: dopo una breve introduzione al fenomeno, nel terzoparagrafo viene data una precisa definizione di offshoring distinguendo fra offshore in-housesourcing (delocalizzazione) e offshore outsourcing; nel quarto paragrafo viene sintetizzatala letteratura piu recente motivando il contributo da un punto di vista teorico; nel quintoparagrafo vengono introdotti il modello empirico e le modalita di verifica dell’ipotesi di auto-selezione, presentando i principali risultati dell’analisi di regressione. Il paragrafo sei concludediscutendo i principali risultati.

2 Offshoring

L’offshoring e un fenomeno che ha alimentato, a partire dai primi anni 2000, un interessantedibattito pubblico, in particolare negli Stati Uniti (Mankiw e Swagel, 2006). Piu recentemente,

1Per un efficace quadro della letteratura sulle attivita di internazionalizzazione delle imprese italiane e suirisultati in termini di self-selection e learning by exporting si veda il rapporto della Banca d’Italia (Brandolinie Bugamelli, 2009, pp.59-68)

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la delocalizzazione e oggetto di un intenso dibattito anche in Italia. Il clamore mediatico e irilevanti effetti della delocalizzazione sull’occupazione e sull’efficienza delle imprese, ha datoluogo ad un rinnovato interesse per questo fenomeno da parte degli economisti accademici.Da cio sono nati alcuni tentativi di definire meglio il fenomeno dell’offshoring delimitandoloanche in relazione al ben piu indagato fenomeno dell’outsourcing.

Al fine di chiarire il legame fra l’approccio definitorio e lo scopo della presente analisi, eutile suddividere le definizioni presenti in letteratura, frutto dei diversi filoni di ricerca, indue gruppi. Il primo gruppo si riferisce all’offshoring e all’outsourcing come frammentazionedel processo produttivo (fragmentation) e al suo spezzettamento (unbundling). Grossman eRossi-Hansberg (2006) parlano di una “storica e continua frammentazione del processo pro-duttivo” che ora piu che in passato fa sı che il commercio internazionale tratti dello scambio dicompiti o funzioni (task). Yeats (2001), invece, fa riferimento all’offshoring come productionsharing. Jones e Kierzkowski (2001) descrivono la frammentazione internazionale della pro-duzione come “lo spezzettamento o la disintegrazione del processo produttivo” e la causa delcrescente commercio in semilavorati e componenti, un fenomeno la cui quota sul totale dei be-ni commerciati e cresciuta in misura drammatica negli ultimi anni. Per Grossman e Helpman(2005) “[. . . ] outsourcing significa di piu del semplice acquisto di materie prime e semilavorati.Significa trovare un partner con cui un’impresa instaura un rapporto bilaterale in seguito adun investimento specifico che ne consente la subfornitura di specifici beni intermedi necessarialla realizzazione del prodotto finale”. Questo approccio e tipico dell’economia industriale el’enfasi e sulla riorganizzazione dei processi produttivi quale innovazione tecnologica nonchesul ruolo dei contratti incompleti nel definire il grado di integrazione verticale. Il secondogruppo, che potremmo definire “Mankiw-like offshoring” si riferisce all’accresciuta possibilitadi commerciare merci, in particolare nel settore dei servizi (si pensi ad es. all’e-learning,ai call-center in India, alla ricerca, etc.). Secondo Blinder (2006a) “un posto di lavoro vieneesternalizzato quando la mansione (task) viene svolta da un’altra impresa”, mentre “offshoringsignifica delocalizzare il lavoro in un altro Paese sia che esso rimanga all’interno dell’impresa,sia che venga affidato ad un’altra impresa”.

L’assenza di una definizione chiara e univoca e in parte dovuta anche alla carenza di spe-cifici dati sul fenomeno. Gli economisti hanno in passato fatto ricorso a misure quali il trafficodi perfezionamento (attivo e passivo), il commercio in beni intermedi, i flussi e gli stock diinvestimenti diretti esteri, etc. Sfortunatamente, tutte queste fonti sono definite a livello diPaese o industria e risultano troppo aggregate per favorire la comprensione delle cause e del-le conseguenze della delocalizzazione a livello d’impresa. Per questo motivo, recentemente,EUROSTAT e ISTAT hanno riempito questo vuoto e prodotto nuove definizioni statistichedi offshoring, denominando questo fenomeno international sourcing. Piuttosto che chiarire ledefinizioni presenti in letteratura, essi hanno qualificato a livello paese e a livello d’impresail fenomeno della delocalizzazione. Per esempio, secondo EUROSTAT, international sour-cing significa solo trasferimento all’estero di attivita precedentemente realizzate nel Paese diorigine dell’impresa, mentre l’ISTAT distingue fra trasferimento e sviluppo di nuove attivita(EUROSTAT, 2008; Alajaasko, 2009; Palmieri, 2008). Chiaramente queste due varianti im-plicano un differente impatto dell’offshoring sull’occupazione. Nel primo caso, in un’otticastatica e non considerando eventuali guadagni di efficienza allocativa, un Paese guadagna intermini di occupazione e l’altro perde. Nel secondo caso, vi e un guadagno netto in termini dioccupazione nel Paese oggetto dell’investimento estero e un guadagno in termini di efficienzaper l’impresa nel Paese d’origine. L’ISTAT distingue inoltre fra delocalizzazione diretta e

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indiretta. L’international sourcing “diretto” si ha quando e l’impresa che svolge la produzio-ne a delocalizzare il processo produttivo (sia verso uno stabilimento estero sotto il propriocontrollo, sia nel caso esternalizzi ad un’impresa terza). Si ha invece international sourcing“indiretto” se a delocalizzare e un’impresa del gruppo o un subfornitore (Palmieri, 2008).

La prossima sezione presenta una definizione economica dell’offshoring, piu semplice ecrediamo operativa, nel senso che essa riflette maggiormente i dati di tipo qualitativo oggidisponibili per l’analisi economica di questa attivita d’impresa.

3 Una definizione di offshoring

Come si e visto nel paragrafo precedente, la definizione di offshoring risulta cruciale sia quandosi esaminano le sue determinanti, sia per le sue conseguenze in termini di produttivita edoccupazione. Tuttavia, la realta e piu complessa e multidimensionale dei modelli economici estatistici ed impone la comprensione delle scelte strategiche di localizzazione della produzionee di design organizzativo. Quest’ultimo aspetto, attraverso un grande numero di rapporticontrattuali, da origine alle c.d. “forme ibride”, forme organizzative comprese fra la gerarchiadell’impresa integrata verticalmente ed il mercato (Menard, 2004).

Il termine offshoring si riferisce in senso lato a tutte le operazioni produttive svolte dalleimprese sui mercati internazionali, ovvero al di la dei confini nazionali del Paese. Il principalediscriminante dell’offshoring e quindi la localizzazione spaziale. Si ha offshoring se alcuneattivita di produzione, commercializzazione e rifornimento dell’impresa travalicano i confininazionali e si svolgono in un Paese estero. Come termine di confronto, si definisce domesticsourcing l’attivita di riorganizzazione e subfornitura della produzione all’interno del paesedomestico (EUROSTAT, 2008). Definita la dimensione spaziale-geografica, occorre porre at-tenzione ai confini dell’impresa, spesso definiti dal criterio del controllo. L’offshoring puoavvenire attraverso varie forme organizzative in base al soggetto che detiene il controllo dellostabilimento produttivo estero. Se il soggetto che controlla il processo produttivo all’esteroappartiene al gruppo (ad es. ad una multinazionale) si ha il fenomeno dell’offshore in-housesourcing, ossia la delocalizzazione all’interno dell’impresa. Nell’altro caso, se il processo pro-duttivo e svolto da un’impresa terza attraverso un contratto di subfornitura si parla di offshoreoutsourcing. Per rientrare nell’alveo della teoria tradizionale, si noti che la delocalizzazioneall’interno dell’impresa e una conseguenza di una qualche forma di investimento diretto estero(sia del tipo greenfield, sia per operazioni di fusione e acquisizione). Al contrario, l’offshoreoutsourcing implica una forma contrattuale (o ibrida) con un’altra impresa sita in un Paeseestero.

La tabella 1 presenta le definizioni presenti in letteratura suddivise per determinanti: lungole righe troviamo la determinante geografica, lungo le colonne la dimensione del controllo.Come si vede, nell’era della globalizzazione, le scelte produttive sono molteplici: un bene puoessere realizzato sia nel Paese d’origine sia all’estero; all’interno dell’impresa o del gruppooppure all’esterno da un’altra impresa subfornitrice.

Le possibili definizioni che si ricavano dalla tabella risultano le seguenti:

• Domestic in-house sourcing: quando un processo produttivo avviene completamenteall’interno di un Paese e all’interno dell’impresa o del gruppo.

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• Domestic outsourcing: quando un’impresa (outsourcee) esternalizza all’interno del pro-prio Paese d’origine un ciclo produttivo ad un’altra impresa (outsourcer o subfornitore),il cui output e incorporato nel prodotto finale dell’impresa che esternalizza.

• Offshore in-house sourcing (IS): quando l’impresa delocalizza parte del processo produt-tivo o sviluppa una nuovo impianto produttivo sotto il proprio controllo in un Paeseestero.

• Offshore outsourcing (OO): quando un’impresa esternalizza parte del processo produtti-vo ad un’impresa subfornitrice estera, sia sotto forma di delocalizzazione di un processoprecedentemente sviluppato in Italia, sia sviluppando nuove produzioni.

Per comprendere il fenomeno dell’offshoring e necessario, infine, specificarne ulteriormentele caratteristiche. L’offshoring si distingue per la trans-nazionalita del rapporto produttivo,gli agenti economici coinvolti e la stabilita del rapporto commerciale. Infatti, “offshore” signi-fica muovere di la della spiaggia o del Paese d’origine. L’offshoring da luogo quindi non soload un commercio di beni e servizi fra imprese,2 ma il rapporto commerciale e produttivo deveanche svolgersi con regolarita o essere basato su un periodo di tempo lungo (convenzionalmen-te almeno un anno); oppure ancora, deve basarsi su una forma contrattuale (EUROSTAT,2008; Dıaz-Mora, 2005). Tutte queste condizioni sono strettamente necessarie per distinguerel’offshore outsourcing da fenomeni simili quali l’e-commerce attraverso le frontiere.3

In conclusione, l’offshoring puo essere considerato una scelta strategica volta a migliorarel’efficienza produttiva riorganizzando la produzione attraverso Paesi diversi.

4 Uno sguardo alla letteratura

La letteratura piu recente in materia di commercio internazionale ha analizzato il rapportofra la performance dell’impresa misurata in termini di produttivita e l’internazionalizzazione,sia in forma di propensione all’export, sia come delocalizzazione dei processi produttivi. Larelazione fra offshoring e produttivita e molto complessa e caratterizzata da simultaneita.Non e infatti chiaro se la produttivita preceda l’entrata sui mercati internazionali (ipotesi diautoselezione) oppure se la delocalizzazione favorisca aumenti di produttivita attraverso lacompetizione con player stranieri.

Da un lato, infatti, l’offshoring ha un impatto positivo sulla produttivita se, in un’otti-ca dinamica, la delocalizzazione verso Paesi in via di sviluppo o in transizione permette diliberare risorse che possono essere investite in attivita di ricerca e servizi (ad es. design, mar-keting, vendita, sviluppo di nuovi prodotti). Ad esempio, molte imprese manifatturiere nelsettore tessile si limitano oggi alla gestione degli uffici amministrativi, aprono dipartimentidedicati al design e investono in divisioni di ricerca e sviluppo di prodotti, mentre l’attivitaproduttiva in senso stretto viene esternalizzata. Questa strategia organizzativa puo portare avantaggi in termini di efficienza in particolare per le piccole e medie imprese, strutturalmentemeno adeguate a reperire sui mercati i capitali necessari alla realizzazione di una produzione

2Non si ha offshoring se un consumatore acquista un bene via internet da un fornitore straniero.3Nel caso dell’offshore in-house sourcing tali caratteristiche (commercio intra-impresa, natura stabile del

rapporto economico e transnazionalita) sono connaturate al fenomeno.

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integrata.4 Da un punto di vista descrittivo lo spacchettamento della catena del valore puospiegare la diminuzione della dimensione media degli impianti di produzione osservata nelcorso degli ultimi decenni.

Dall’altro lato, autori come Antras e Helpman (2004), facendo riferimento alla teoria deidiritti di proprieta, hanno dimostrato come l’integrazione verticale sia piu probabile quandoe l’impresa venditrice stessa che trasforma gli input produttivi in output (c.d. headquarterintensive production; ovvero quando la capogruppo apporta un elevato valore aggiunto al beneprodotto). Al contrario, quando la produzione e snella, il produttore finale apporta solo unaminore trasformazione al bene prima di venderlo sul mercato (ad es. vi appone il marchio, lorifinisce, lo confeziona, etc.). Ne consegue, secondo questi autori che nei settori headquarterintensive solo le imprese piu produttive sono in grado di sostenere gli elevati costi fissi associatiagli investimenti diretti esteri. Emerge quindi una gerarchia che ordina le imprese in base allaloro produttivita (c.d. pecking order). Di qui l’ipotesi teorica dell’autoselezione secondo cuisolo le imprese ex-ante piu produttive sono in grado di delocalizzare la produzione.

Sebbene la letteratura empirica si sia concentrata principalmente sugli effetti dell’outsour-cing sulla produttivita e l’occupazione, un crescente numero di studi ha analizzato in annirecenti le determinanti dell’international outsourcing. Costa e Ferri (2007) per l’Italia trovanoche imprese di dimensioni maggiori e che esportano una frazione maggiore del proprio fattura-to hanno una maggiore probabilita di esternalizzare all’estero. Basile e altri (2003) mostranocome l’investimento in innovazione abbia un effetto positivo sull’internazionalizzazione delleimprese. Per Wang e altri (2008) l’elevata intensita tecnologica ha un effetto negativo sul-l’internazionalizzazione. Tomiura (2004) analizzando dati di imprese giapponesi mostra chela produttivita del lavoro, la dimensione d’impresa e gli investimenti in ricerca e sviluppoinfluenzano la probabilita di esternalizzare.

Per quanto riguarda l’offshore in-house sourcing, la concorrente letteratura sulle determi-nanti degli investimenti diretti esteri (IDE) si e concentrata principalmente su dati aggregatidi stock e di flusso e sulle determinanti a livello di sistema-Paese. La letteratura teorica hainvece fornito una serie di modelli e schemi concettuali che analizzano le scelte di integrazioneverticale e outsourcing delle imprese.

Secondo Grossman e Helpman (2003) le imprese ad alta tecnologia preferiscono integrarsiverticalmente a causa dell’assenza di subfornitori adeguati, forze di agglomerazione versopoli ad alta tecnologia (la Silicon Valley, Bangalore, il Kilometro rosso) e per problemi dicattura dell’impresa in presenza di investimenti altamente specifici (hold-up problem e assetspecificity).

In conclusione, sembra quindi che le imprese con un profilo internazionale siano caratte-rizzate da prestazioni migliori, una maggior propensione all’innovazione e dallo sviluppo dicomplessi modelli organizzativi che includono sia la delocalizzazione all’interno del gruppo diimprese, sia relazioni contrattuali con fornitori esterni (si veda anche Kohler e Smolka, 2009).

4D’altronde le piccole imprese hanno anche maggiore difficolta a sostenere gli elevati costi di delocalizzazione,cosicche si puo pensare ad un trade-off fra innovazione e internazionalizzazione. Tale scelta puo scomparirecon l’allentamento dei vincoli finanziari o all’aumentare della dimensione dell’impresa.

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5 Analisi empirica

Per comprendere le determinanti dell’offshoring occorre esaminare la complessa interazionefra fattori a livello di Paese, settore e impresa. Dalle tradizionali analisi a livello di Paese, lospostamento d’accento sulla competizione internazionale a livello di impresa (anche di ridottedimensioni) e a livello di funzioni o attivita complementari e sostituibili, richiede un’analisipiu disaggregata su micro-dati d’impresa. Questa sezione e volta a verificare empiricamentela relazione fra la propensione all’offshoring e alcune caratteristiche strutturali dell’impresa(dimensione, intensita tecnologica, network produttivi, produttivita).

L’analisi si compone di due parti: la prima e condotta su un dataset cross-section derivatodalla Decima indagine sul Sistema Manifatturiero Italiano condotta dal Gruppo Unicredit,relativa agli anni 2004-2006. Lo scopo dell’analisi cross-section e di determinare il segno dellarelazione fra alcune caratteristiche dell’impresa e la probabilita (la c.d. response probability)della stessa di fare offshoring o outsourcing all’estero. Per chiarezza espositiva si e deciso didistinguere due modelli: il modello A relativo alle determinanti dell’offshore in-house sourcinge il modello B relativo all’offshore outsourcing.

La seconda parte, al fine di ridurre i problemi di endogeneita, unisce la Nona e la DecimaIndagine coprendo cosı il periodo 2000-2006. In questo modo e possibile valutare la realzionecausale fra alcune determinanti e l’offshoring, ovvero verificare l’ipotesi di autoselezione delleimprese piu performanti.

L’indagine Unicredit combina dati di bilancio estratti dal database AIDA (Bureau VanDijk) a un questionario dettagliato sulle caratteristiche strutturali dell’impresa quali il gradodi internazionalizzazione e le caratteristiche della forza lavoro, gli investimenti in ricerca esviluppo, etc. Unendo le due edizioni dell’indagine, il nostro piccolo panel e costituito dacirca 1.000 imprese manifatturiere con almeno 10 dipendenti.

5.1 I modelli

Il modello empirico qui presentato si concentra sui fattori che distinguono le imprese che de-localizzano dalle imprese che producono solo sul mercato domestico. La variabile dipendenteY e una variabile discreta che assume valore uno se l’impresa delocalizza o esternalizza all’e-stero parte della produzione (offshoring) e zero altrimenti. La probabilita che l’impresa facciaoffshoring [P (Y = 1)] e funzione di un vettore di regressori e puo essere espressa come unaprobabilita condizionata P (Y = 1|X) dove X e un vettore di caratteristiche dell’impresa. Leequazioni sono stimate con il metodo della massima verosomiglianza approssimando i dati aduna funzione logistica. Una esaustiva descrizione delle variabili si trova in appendice (tabellaA1).

La tabella 2 presenta le correlazioni ceteris-paribus fra la variabile dipendente IS5 (offshorein-house sourcing, modello A) e le caratteristiche dell’impresa. La tabella 3, relativa al modelloB, mostra i risultati per le imprese che compiono solo offshore outsourcing (OO).6

5La variabile e costruita a partire dalla seguente domanda del questionario: Attualmente l’impresa realizzaalmeno in parte la propria attivita produttiva in un altro Paese? La variabile assume il valore uno se l’impresarisponde affermativamente e zero altrimenti.

6Il questionario fornisce una proxy di outsourcing alla domanda D.4. Acquisti di servizi e beni materiali(attrezzature, macchinari, semilavorati, materie prime) da altre imprese; indicare la provenienza per areageografica. La variabile assume il valore uno se l’impresa ha indicato almeno un Paese estero e zero altrimenti.

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5.2 La self-selection

L’analisi di regressione cross-section su variabili contemporanee nulla puo dire riguardo allacausalita della relazione fra variabile dipendente e regressori. Per compiere un passo in questadirezione, seguendo i metodi comuni in letteratura (si vedano, ad esempio, Bernard e Jensen,1999; ISGEP, 2008), si e deciso di verificare l’ipotesi di self-selection (autoselezione) secondocui solo le imprese che sono ex-ante migliori in termini di struttura, dimensione e performancesono in grado di internazionalizzarsi.7

L’ipotesi di partenza e che le imprese delocalizzano la produzione solo se i profitti futuriattesi dell’operazione sono positivi. Tuttavia, poiche delocalizzare all’estero la produzioneimplica un costo sommerso iniziale di notevole entita (l’investimento diretto estero), solo leimprese piu produttive o maggiormente liquide riescono a coprire questi costi. Quest’idea puoessere rappresentata in forma matematica da un’approssimazione del problema di massimiz-zazione dei profitti dell’impresa in forma ridotta, che da origine al seguente modello di sceltabinaria:

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(1)

dove: l’impresa delocalizza la produzione Y=1 se i ricavi all’estero sono maggiori dei costifissi sommersi e dei costi variabili di produzione.

Il vettore Xi,t−1 include le caratteristiche dell’impresa (dimensione, produttivita, controlloestero, forza lavoro, etc.) che influenzano il costo medio di produzione. FIi,t−1 rappresentail costo fisso d’ingresso nel mercato estero che deve essere sostenuto dalle imprese che nonproducevano all’estero nel periodo precedente (t-1=2003). ui,t e un termine d’errore cheinclude tutte le caratteristiche dell’impresa non osservate (ad es. le capacita manageriali) egli eventi time-specific quali il ciclo economico. Allo scopo di ridurre i problemi di endogeneitale variabili esplicative sono ritardate di un periodo (t-1=2003). Inoltre, al fine di verificaredirettamente l’importanza dei costi sommersi si considera anche una variabile dipendenteISENTRY uguale a uno se l’impresa inizia a delocalizzare la produzione fra il 2003 e il 2006,e zero altrimenti.8

5.3 Risultati

Questo paragrafo presenta i principali risultati dell’analisi empirica. La discussione dei risul-tati si concentra in primo luogo sui modelli A e B (tabella 2 e 3) e successivamente sull’ipotesidi autoselezione (tabella 4).

La stima del modello A mostra che le imprese che investono in ricerca e sviluppo e sono dimaggiori dimensioni hanno una maggiore probabilita di delocalizzare la produzione all’estero.Dal punto di vista della rilevanza economica, secondo le stime OLS e Probit investire in ricerca

7Questa analisi e condotta solo sulle imprese che delocalizzano la produzione all’interno dell’impresa perragioni essenzialmente riguardanti la qualita dei dati disponibili. Ad es. non e chiaro se la domanda “Acquistidi servizi e beni materiali (attrezzature, macchinari, semilavorati, materie prime) da altre imprese” implichinecessariamente un rapporto di natura contrattuale stabile o anche acquisti spot. Per questo motivo ci si elimitati ai dati piu coerenti con l’impianto definitorio proposto nella sezione 3.

8Il gruppo di riferimento per cui la variabile assume il valore zero e composto dall’imprese che non produconoall’estero o quelle che hanno smesso di farlo. Escludere le imprese che gia realizzavano parte della produzioneall’estero nel 2003 significa togliere dall’analisi le imprese che gia hanno sostenuto i costi fissi d’ingresso epermette di concentrare l’analisi sulle imprese che li devono sostenere nel periodo considerato.

9

e sviluppo aumenta di circa il 6% la probabilita di produrre parte della catena del valoreall’estero, mentre un aumento della dimensione in termini di dipendenti dell’1% implica unamaggiore probabilita di delocalizzare del 4% circa. Tuttavia, controllando per l’appartenenzaad un gruppo d’imprese il ruolo della dimensione diminuisce. Includendo nell’analisi unavariabile sul costo del lavoro (logaritmo del costo del lavoro per dipendente, LULC), e possibileverificare l’ipotesi tradizionale per cui le imprese delocalizzano per risparmiare sul costo dellavoro. Il coefficiente di LULC e infatti positivo, cosicche ad un maggior costo del lavoro eassociata una maggior probabilita di delocalizzare. Assumendo una stretta correlazione frasalari e produttivita, questo risultato puo essere interpretato come l’effetto sulla probabilita didelocalizzare da parte della maggior produttivita del lavoro. Infine, le imprese che esportanoe che hanno concluso accordi di penetrazione commerciale in Paesi esteri hanno una maggioreprobabilita di delocalizzare la produzione.

La stima del modello B permette un primo confronto fra la delocalizzazione e l’ester-nalizzazione dei processi produttivi all’estero. Essendo l’offshore outsourcing una forma dicommercio, la stima del modello e complicata da problemi di endogeneita di alcune variabiliesplicative. Tuttavia, la tabella 3 mostra che le imprese che investono in ricerca e sviluppo(R&D) e che sono di maggiori dimensioni hanno una maggiore probabilita di esternalizzare al-l’estero. Il costo del lavoro, contrariamente a quanto trovato in altri studi (si veda, ad esempio,Dıaz-Mora, 2005), non sembra avere alcun effetto sulla probabilita di outsourcing. In lineacon la letteratura, invece, le imprese che investono nelle nuove tecnologie dell’informazione(ICT) hanno una maggior probabilita di esternalizzare all’estero.

Al fine di verificare l’ipotesi di autoselezione delle imprese si e deciso di adottare una stra-tegia empirica molto semplice, stimando con un modello Logit la probabilita di delocalizzarela produzione nel 2006 sulla base delle caratteristiche dell’impresa nel 2003footnoteI dati per-mettono di osservare le caratteristiche dell’impresa che influenzano il costo medio al tempot-1, quando viene maturata la decisione, e l’effettiva delocalizzazione dei processi produttivial tempo t. Si ipotizza quindi che l’impresa prenda la propria decisione di delocalizzare solose il profitto atteso derivante dalla delocalizzazione e positivo. I risultati sono in linea conle ipotesi teoriche delineate sopra e con la letteratura sulla self-selection e la probabilita diesportare. Infatti, dalla tabella 4 si ricava che la probabilita di delocalizzare all’estero all’in-terno dell’impresa nel 2006 aumenta sia con la scala d’impresa (Log del numero di dipendenti:SIZE) sia con la produttivita in termini di fatturato per addetto (LPROD) nel 2003. Sosti-tuendo la variabile SIZE con una serie di variabili binarie per classi dimensionali la tabella4 mostra che sono le grandi imprese con piu di 500 dipendenti a delocalizzare la produzioneall’interno del gruppo.9

Per migliorare la precisione delle stime ed ovviare alla notevole eterogeneita geografica esettoriale, e utile includere altre variabili esplicative quali dummy regionali e industriali. Isegni delle nostre variabili di interesse rimangono inalterati. Tuttavia in questo caso sono leimprese del Nord Italia ad avere una maggiore probabilita di delocalizzare all’estero rispettoalle imprese del Centro-Sud.

La colonna 4 in tabella 4 verifica direttamente l’ipotesi di self-selection concentrandosisolo sulle imprese che hanno iniziato a delocalizzare fra il 2003 e il 2006 rispetto alle impreseche non delocalizzano o hanno riportato la produzione in Italia. Il risultato e in linea conle nostre ipotesi teoriche: le imprese piu produttive in termini di fatturato per addetto (in

9La classe di riferimento e quella delle medie imprese con 50-249 dipendenti.

10

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12

Tabella 4: La self-selection e le caratteristiche ex-ante

(1) (2) (3) (4)VARIABILI IS06 IS06 IS06 ISENTRY

SIZE 0.338*** 0.336*** 0.328*(0.100) (0.121) (0.182)

PROD 0.469** 0.461** 0.767*** 0.966***(0.184) (0.207) (0.220) (0.307)

R&D 0.442* 0.452* 0.354 -0.187(0.250) (0.267) (0.267) (0.378)

GROUP 0.164 -0.332(0.274) (0.374)

FOREIGN -0.252 -0.171(0.363) (0.504)

IND Si Si

NW 0.786** 1.041**(0.399) (0.499)

NE 0.901** 0.692(0.390) (0.504)

SUD 0.0516 -0.339(0.533) (0.744)

10 − 19a -0.370(0.552)

20-49 0.102(0.333)

250-499 0.340(0.440)

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GRAD 1.071(2.235)

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Constante -9.863*** -8.264*** -14.65*** -16.66***(2.323) (2.568) (3.082) (4.274)

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a Il gruppo di riferimento e la classe dimensionale con 50-249 addetti.Tutte le variabili indipendenti sono ritardate.

13

altre parole quelle che generano un maggiore cash-flow nel 2003) hanno una maggior proba-bilita di delocalizzare all’estero e riescono a far fronte agli investimenti necessari nel periodosuccessivo.10

Con questa specificazione del modello il ruolo della dimensione d’impresa e meno rilevante.In altre parole, sembra plausibile concludere che, mentre le imprese internazionalizzate sonoin media di dimensioni maggiori rispetto alle imprese domestiche, la dimensione ex-ante none una precondizione necessaria per delocalizzare nei mercati internazionali.

Il ruolo del finanziamento dei costi sommersi e catturato dalle variabili LIQ e LEV. Questiindici sono delle proxy delle disponibilita liquide dell’impresa e della capacita di far fronte aidebiti correnti. Tenuto conto dei limiti di queste misure (Bellone e altri, 2010; Greenawaye altri, 2007), sembra comunque da quest’analisi che le imprese che delocalizzano la produ-zione si finanzino principalmente con liquidita interna al gruppo. A conferma di quest’ipotesiun’analisi condotta da Ricerche & Studi Spa (2010) ha mostrato come le risorse disponibilialle imprese multinazionali derivino in gran parte dal cash flow generato.11 Alternativamente,se l’investimento e compiuto dalla filiale estera esso non comparira sotto forma di debito oflusso di cassa nel bilancio dell’impresa capogruppo, se non in minima parte sotto forma dicapitale proprio o garanzia bancaria.12

6 Conclusione

L’attivita di internazionalizzazione della produzione delle imprese italiane e stata documentatain diversi lavori empirici che ne hanno colto le principali caratteristiche, sia per quanto riguardala dinamica dei flussi di esportazioni e importazioni o di investimenti diretti esteri, sia perquanto concerne gli effetti sulle imprese stesse e sul tessuto economico circostante.

Coerentemente con l’impostazione di orientamento microeconomico della letteratura sulcommercio internazionale, le indagini empiriche hanno spostato l’attenzione sulle attivitainternazionali delle imprese e sull’elevata eterogeneita che le caratterizza, eterogeneita chenon viene colta nei piu aggregati modelli tradizionali. In questo contesto, il fenomeno delladelocalizzazione dell’attivita produttiva risulta meno indagato per la difficolta di isolarlo conprecisione, per i suoi difficili confini statistico-descrittivi e per le significative differenze nelmetodo che caratterizzano le indagini sul tema.

L’utilizzo del database tratto dall’ Indagine sul sistema manifatturiero italiano del Grup-po Unicredit, dove sono presenti domande mirate a quantificare l’importanza del fenomenoper le imprese italiane, ha consentito una prima valutazione di questa attivita delle impresemanifatturiere dando luogo a due principali risultati.

10L’uso del fatturato per addetto come proxy per la produttivita puo essere giustificato in questo contestosolo perche le variabili sono ritardate. Normalmente, infatti, piu la produzione e frammentata fra diverse unitaproduttive che costituiscono entita giuridiche separate, piu il fatturato aumenta in conseguenza delle venditeinfra-gruppo. Inoltre, la scarsa attendibilita dei bilanci di imprese piccole, non soggette a revisioni contabili,ci fanno preferire questa misura imperfetta della produttivita del lavoro.

11L’uso di altri indici che indichino la capacita di generare cash flow non ha portato a risultati significativi;tuttavia, la definizione dell’indice corretto da impiegare per l’analisi dei vincoli finanziari interni ed esternirimane un problema aperto.

12Ringraziamo il Prof. Fulvio Coltorti per aver suggerito quest’ipotesi. Ne consegue anche che per un’analisipiu approfondita si debbano considerare i bilanci consolidati delle imprese che fanno parte di un gruppo.

14

In primo luogo, l’esame delle determinanti dell’offshoring ha segnalato l’importanza delladimensione d’impresa e delle attivita in ricerca e sviluppo quali determinanti dell’attivita dioffshoring.

In secondo luogo, l’esame delle caratteristiche delle imprese che hanno cominciato a delo-calizzare tra il 2003 e il 2006 ha segnalato la significativa presenza di processi di autoselezionein base ai quali sono le imprese migliori a delocalizzare proprio perche in grado di sopportarei costi fissi associati alle attivita internazionali, dai costi di trasporto alla distribuzione deiprodotti e di marketing fino all’esigenza di reperire personale qualificato capace di gestirerapporti con sub-fornitori internazionali o attivita produttive all’estero.

Entrambi i risultati mettono in luce l’esigenza di rimodulare e finalizzare meglio i diversiinterventi di politica economica a sostegno delle attivita di internazionalizzazione delle impresevisto il ruolo dominante della dimensione d’impresa e le barriere all’entrata rappresentate daicosti dell’internazionalizzazione per la dimensione medio-piccola.

15

RINGRAZIAMENTI.

Un sentito ringraziamento va al Dr. Andrea Brasili di Unicredit Group che ci ha fornito i dati.Siamo grati a Fulvio Coltorti, Andrea Fracasso, Christopher Gilbert, Stefano Schiavo, ChiaraTomasi e Giuseppe Vittucci che hanno fornito commenti e suggerimenti. Augusto Stabilito hacontribuito alla sistemazione del database. Ringraziamo i partecipanti dell’EACES Workshop‘Pilgrims to the Euro Area: Romania and other new EU members ante portas’, Brasov (Ro-mania), Settembre 2009, dell’ACE International Conference, City University of Hong Kong,Dec. 2009 e dell’EACES Bi-Annual Conference ‘Comparing Responses to Global Instability’,Tartu (Estonia), Agosto 2010 per i loro utili commenti. Ogni errore rimane nostro.

Appendice A

Descrizione dei dati

L’Indagine Unicredit sul Sistema Manifatturiero Italiano

Il panel e il risultato dell’unione di due round dell’Indagine sul Sistema Manifatturiero Italianorelativi agli anni 2000-2003 e 2004-2006 (si vedano sezioni C e D del questionario 2006). Ilcampione di imprese e un’estrazione da dati AIDA e CEBI, mentre il questionario e condottoper conto di Unicredit attraverso un sistema di interviste assistite al telefono. Il panel sicompone di circa 1.000 imprese manifatturiere con piu di 10 addetti. Le imprese sono stateraggruppate in 5 classi dimensionali, e 20 settori ATECO 2003 a 2-digit. Rispetto all’universodi imprese manifatturiere italiane il campione e sbilanciato verso imprese di dimensioni medio-grandi.

16

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17

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