Corso di laurea magistrale in
Scienze politiche e Relazioni internazionali
TESI DI LAUREA
Litigiosità sociale ed inefficienza della giustizia civile in Italia.
Analisi delle conseguenze economiche
RELATORE CANDIDATA
Prof. Matteo Marini Simona Pagnotta
Matricola n. 151549
Anno Accademico 2012-2013
INDICE
Introduzione
CAPITOLO I
LA LITIGIOSITA‟ IN ITALIA : UN‟ANALISI EMPIRICA
1.1 L‟anomalia italiana nel confronto europeo
1.2 Le differenze territoriali in Italia
CAPITOLO II
LE IMPLICAZIONI ECONOMICHE DI UNA GIUSTIZIA LENTA
2.1 Le componenti della domanda di giustizia in Italia : ricorso distorto e opportunismo
2.2 Gli effetti della lentezza dei procedimenti sulle imprese, tra nanismo e bassa natalità
2.3 Efficienza, rapidità e pragmatismo : la giustizia che sa attrarre gli investimenti
2.4 Il difficile rapporto tra tutela dei diritti e competitività in Italia
CAPITOLO III
LE CAUSE PROFONDE DELLA LITIGIOSITA‟ ED I POSSIBILI RIMEDI
3.1 Litigiosità contro capitale sociale
3.2 Per una nuova cultura della legalità in Italia. Riflessioni finali
Riferimenti bibliografici
pag.VI
pag. 1
pag. 24
pag.56
pag. 42
pag. 68
pag. 76
pag. 88
pag.111
pag.123
INTRODUZIONE
Ciò che s‟intende proporre con il presente lavoro è una breve analisi, sia empirica che teorica,
attraverso cui si tenterà di indagare e riflettere sul legame intercorrente tra funzionamento della
giustizia civile e crescita economica in Italia, ponendo un‟attenzione particolare all‟andamento
del tasso di litigiosità, qui inteso come numero di nuove cause avviate ogni anno rispetto alla
popolazione.
Numerose ricerche accademiche, diffuse indagini statistiche e media, rendono noto, infatti, come
l‟amministrazione della giustizia civile in Italia si contraddistingua per una sua performance
tutt‟altro che eccellente. Specie attualmente, un‟eccessiva durata dei procedimenti unita ad un
altrettanto ingente numero di cause sopravvenute ogni anno ad altro non contribuiscono, insieme a
diversi altri fattori, che ad ingolfare e congestionare un fondamentale settore pubblico che a stento
riesce a fornire alla società civile nel suo complesso le adeguate risposte di cui quest‟ultima
necessita, sia da un punto di vista strettamente giuridico che da quello socio-economico.
Lentezza dei processi, eccesso di domanda, inadeguatezza dell‟offerta, alti costi di accesso, sono
solo alcuni tra i più importanti elementi che vanno a comporre uno sconcertante quadro nel cui
ambito il sistema giudiziario italiano, di anno in anno, arranca sempre più nel porre in essere la
sua più importante prerogativa, ossia quella di assicurare l‟effettività e l‟efficacia della tutela dei
diritti col fine di garantire, al contempo, un certo livello di competitività del sistema economico.
Simili presupposti concorrono, nell‟attuale contesto di crisi prima di tutto economica, ma anche
sociale ed istituzionale, a collocare il nostro Paese nella posizione di fanalino di coda dell‟Europa,
confermando, ancora una volta, la sua secolare inclinazione a costituire un caso particolare ed
anomalo se lo si pone a confronto con le altre nazioni, quindi nel più ampio scenario
internazionale. Ma non si tratta solo di una semplice questione d‟immagine, quanto, anche e
soprattutto, di un ambito il cui intervento a risanarlo risulta essere indispensabile affinché si faccia
venire meno uno dei più robusti freni alla crescita economica esistenti in Italia.
L‟urgenza, l‟attualità e la rilevanza, risultano essere, quindi, le caratteristiche essenziali del tema
che mi hanno attratta e stimolata a trattarlo. Inoltre, come si avrà modo di vedere in seguito, altre
fondamentali motivazioni risiedono sia nell‟interdisciplinarità con cui lo stesso mi ha consentito di
spaziare dall‟economia al diritto fino ad arrivare a riflessioni di natura sociologica, sia
nell‟opportunità da esso offertomi di poter occuparmi di una importante questione riguardante
l‟attuale situazione socio-economica italiana. Su tali basi motivazionali si provvederà a costruire
la struttura del presente lavoro di tesi che ha come scopo quello di dimostrare come e quanto
l‟eccesso di domanda di giustizia civile, ovvero l‟elevato tasso di litigiosità in Italia sia tra le cause
primarie della grave inefficienza della stessa e in che modo, a sua volta, tale inefficienza influenzi
negativamente il sistema economico. A tal fine, si procederà fornendo, in primo luogo, una
rielaborazione sintetica di alcuni significativi dati statistici già evidenziati, la quale mi consentirà
di svolgere una prima analisi empirica del fenomeno litigiosità concentrandomi, in modo
particolare, sulla situazione italiana, la cui peculiarità risulterà maggiormente percepibile
affrontandone il confronto con gli altri paesi europei.
Una volta appurati i principali deficit di cui la giustizia civile italiana soffre all‟interno del primo
capitolo, corrispondenti, secondo la presente impostazione, prevalentemente alla domanda
eccessiva e alla lunghezza dei procedimenti, le negative conseguenze economiche da questi
prodotte costituiranno oggetto del secondo, nel corso del quale le premesse empiriche saranno
ulteriormente sviluppate attraverso argomentazioni teoriche che faranno principalmente
riferimento alle problematiche inerenti all‟ambito imprenditoriale ed a quello degli investimenti.
Nel terzo ed ultimo capitolo si farà spazio ad alcune considerazioni finali con le quali si proporrà
l‟elevata litigiosità come indice di conflittualità sociale e deficit civico, ricercando, quindi, le
risposte alla questione posta tra i fattori culturali ed all‟interno della vasta letteratura dedicata al
capitale sociale e alla fiducia diffusa che uniti ad un solido stato di diritto e al rispetto indiscusso
delle leggi costituiscono quelle preziose risorse immateriali le quali potrebbero rilevarsi utili alle
istituzioni e alla società civile affinché la matassa dei ricorsi facili ed inopportuni venga sbrogliata
spontaneamente e dall‟interno, inducendo gli attori sociali a scegliere, se non la via delle già
previste risoluzioni alternative, quella più facile ed agevole della comprensione reciproca, e a
decidere di recarsi, così, in tribunale solo nei casi in cui la rivendicazione dei propri diritti sia
reale, cercando in altri luoghi la soddisfazione del proprio tornaconto personale.
Che siano in fondo le ambigue modalità con cui una larga fetta degli italiani si approccia alla
giustizia, mostrando un‟empatia particolare con le leggi nel momento in cui queste offrono
l‟opportunità di essere manipolate a proprio piacimento e rifiutandone, invece, i dettami più
stringenti quando queste ultime richiedono uno sforzo di aderenza maggiore ad alcune basilari
regole etiche, è il concetto centrale che si intende sostenere, quello che si potrebbe definire il
leitmotiv del presente lavoro con il quale si tenterà di legarne le tre parti nel modo più armonico
possibile.
La scelta di partire dalle valutazioni empiriche ed economiche per poi terminare con quelle relative
agli aspetti sociali è stata adottata non a caso, anzi, lo si deve precisamente ad almeno due motivi :
in primo luogo per allontanarsi parzialmente dai contributi già esistenti in materia, i quali si
concentrano sugli aspetti puramente giuridici e strutturali che riguardano ampiamente il lato
dell‟offerta del servizio giustizia, partendo dal presupposto che le cause del mal funzionamento
vadano necessariamente ricercate all‟interno delle istituzioni; e se anche quello della domanda
viene preso in considerazione, nella maggior parte dei casi, ne vengono tralasciate le probabili
cause “sociali” e culturali su cui, in questa sede s‟intende indagare; in secondo luogo, e quindi in
linea con la prima motivazione, l‟ordine dell‟elaborazione non rappresenta altro che la
convinzione interiore di chi la produce, e cioè l‟idea che in questo come in diversi altri casi il
rendimento delle istituzioni, quindi il relativo impatto di esso sulla società, negativo o positivo che
sia, vada ricercato ed analizzato, volendo prendere a prestito il lessico gramsciano, non solo dal
punto di vista strutturale ma anche e soprattutto da quello sovrastrutturale, relativo cioè all‟intero
impianto fatto di cultura, quindi di atteggiamenti ed educazione su cui una società, nel tempo,
provvede a costruire il suo rapporto con le istituzioni, le quali, almeno qui, non saranno affatto
pensate come delle entità monolitiche da cui tutto dipende e da cui tutto pretendere.
Una loro più efficiente prestazione, essenziale affinché il grado di competitività del nostro Paese
possa conoscere un incremento, può essere ottenuta solo laddove le opportune riforme legislative
saranno, contemporaneamente, accompagnate da un‟inversione di tendenza nel modo in cui i
necessari cambiamenti suggeriti “dall‟alto” vengono recepiti e concretizzati dai destinatari di essi,
in altre parole, è auspicabile che l‟output desiderato, equivalente, in tal caso, ad un recupero di
efficienza della giustizia civile, sia il risultato di un lavoro in cui le istituzioni competenti non
vengano lasciate sole ad operare, ma che possano avvalersi della partecipazione di cittadini ai
quali è solo richiesta una pronta presa di coscienza relativamente alla propria attuale posizione nel
più generale contesto del funzionamento dei servizi pubblici offertogli dallo stato.
I
La litigiosità in Italia : un’analisi empirica
1.1 L’anomalia italiana nel confronto europeo
L‟esistenza, che è insieme persistenza, della questione riguardante l‟insoddisfacente funzionamento
della giustizia in Italia riceve la sua ennesima ed autorevole riconferma nel corso del 2012, quando
la Corte europea dei diritti dell‟uomo rende noto che l‟Italia conserva ancora il suo posto tra i Paesi
facenti parte del Consiglio d‟Europa contro cui sono stati presentati più ricorsi per la violazione dei
diritti umani, cedendo il passo solo alla Russia e alla Turchia1.
Non accennano a diminuire, infatti, da un lato i procedimenti pendenti complessivi presso la stessa
Corte di Strasburgo, e dall‟altro le sempre più numerose sentenze emesse da quest‟ultima (con
relative condanne) riguardanti l‟Italia. Nella maggior parte dei casi il motivo del richiamo da parte
della suddetta Corte nei confronti di una indisciplinata e recidiva Italia risiede nella eccessiva
lunghezza dei procedimenti e, conseguentemente, in una giustizia notevolmente lenta ed
irrispettosa, in particolar modo, del paragrafo 1 art. 6 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell‟uomo e delle libertà fondamentali, il quale stabilisce il diritto di ogni
persona a che la sua causa sia esaminata entro un termine ragionevole.
Ad essere disattese non sono, quindi, solo le singole aspettative dei titolari dei diritti che ne
richiedono la relativa tutela, ma più in generale un diritto fondamentale, quale quello relativo
all‟equo processo di cui la ragionevole durata risulta essere una componente essenziale.
Un diritto fondamentale di origine comunitaria che viene accolto e fatto proprio anche dalla
Costituzione italiana, in cui trova spazio all‟interno dell‟art. 111, comma 2, quando viene stabilito
che è la legge ad assicurare la ragionevole durata di ogni processo.
1 “Cedu , l'Italia raddoppia il numero dei procedimenti pendenti. Maglia nera alla Russia” di Patrizia Maciocchi, Il sole 24 Ore, n. 26 Gennaio 2012
Con la legge n. 89 del marzo 2001, c.d. “Legge Pinto”2, si è effettivamente cercato di adottare le
misure necessarie affinché il nostro ordinamento concretizzasse una riuscita aderenza alle norme
sancite della suddetta Convenzione, ma non si sono ottenuti i risultati auspicati.
Essa prevede, in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, l‟equa
riparazione per il danno provocato da tale circostanza, ma nel tempo non sembra aver assolto al
principale compito che le era stato “affidato”, ossia quello di fungere sia da strumento di deflazione
dei procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di Strasburgo, sia di garantire la tutela del diritto
all‟equo processo, in quanto, nonostante l‟entrata in vigore della stessa, i ricorsi dall‟Italia davanti
alla Corte europea dei diritti dell‟uomo non sembrano essere diminuiti ed inoltre, a sua volta, il
pagamento da parte delle casse dello stato italiano degli indennizzi dovuti a chi ha subito la lesione
del diritto in questione, altro non ha provocato che la fuoriuscita di risorse pubbliche dalla quantità
non trascurabile, per tentare di porre rimedio ad un problema che andrebbe, piuttosto, risolto alla
radice3.
2 “Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice
di procedura civile”, l. N. 89, 24 Marzo 2001, art. 1, comma 1 : “Chi ha subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto
di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4
agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione,
ha diritto ad una equa riparazione”. La legge nasce con lo scopo di colmare un vulnus normativo, così da rendere effettivo a livello
interno il principio della “durata ragionevole” prevista sia dall‟art. 6 CEDU, che dalla Costituzione italiana all‟art. 111. Si è inteso,
quindi, introdurre un ricorso interno, nazionale, con la finalità di deflazionare il contenzioso dinanzi alla Corte di Strasburgo e, al
contempo, di ottemperare a quanto previsto dall‟art. 13 della CEDU, il quale prevede il diritto ad un ricorso effettivo contro ogni
possibile violazione della Convenzione. Con la recente legge n. 134 del 2012 ne sono stati modificati alcuni parametri. 3 Considerando a parte tutti gli aspetti di carattere giuridico procedurale, gli effetti di ricaduta della legge Pinto nel sistema
giudiziario italiano sono stimabili sotto tre profili: il costo a carico dello Stato, l'incertezza sugli esiti delle domande di risarcimento
presentate, l'accrescimento del carico di lavoro connesso all'applicazione del provvedimento. 1. Danno per l'erario: un'indagine,
condotta nel periodo di emanazione della legge Pinto sulle sentenze emesse in 13 Corti d'appello italiane relative a diverse zone
geografiche, che prende in considerazione solo le 15 mila cause pendenti nelle Corti d'appello italiane (che ritornano dalla Corte
europea) per un valore medio di risarcimento danni di 10,33 mila euro ciascuna, stima un danno per l'erario che può arrivare a 154
milioni di euro. Se si considera una media di rigetto che oscilla dal 30% al 35% delle cause ammesse, si arriva a una stima di danno
"certo" di 100-108 milioni di euro. Vanno poi aggiunte le "nuove" cause presentate direttamente alle Corti d'appello a partire
dall'entrata in vigore della legge. L'indagine, in definitiva, sottolinea che la stima del danno è molto superiore allo stanziamento
indicato nel testo di legge, per 12 miliardi di vecchie lire circa, corrispondenti a poco più di 6 milioni di euro. 2. Ulteriori ritardi nei
tempi di risposta. La durata dell'intero procedimento è fissata, in linea teorica, in quattro mesi. Si tratta di un termine, di fatto
disapplicato, in ragione dei tempi che servono solo per lo svolgimento della prima udienza rispetto alla data di iscrizione a ruolo della
causa. Nei migliori dei casi passano anche sette o otto mesi tra l'iscrizione a ruolo e la prima udienza. A questi si aggiungono i lunghi
tempi di esecuzione delle sentenze: quand'anche le cause si esauriscano con sentenza di accoglimento e di riconoscimento del diritto
al risarcimento, è possibile che la sentenza non venga eseguita per mancanza di fondi. Vi sono poi dei problemi procedurali non
indifferenti per tutti i ricorsi che all'entrata in vigore della legge Pinto erano già stati presentati in Corte europea ma sui quali la stessa
non aveva ancora definito l'ammissibilità; tutti questi ricorsi, che non sono pochi, non possono essere ripresentati dinnanzi alle Corti
d'appello italiane se prima non vengono decretate ammissibili in sede europea. Le implicazioni, in termini di complessità procedurale
e di durata complessiva del ricorso, quindi, possono essere ancor più pesanti per chi ha già, presumibilmente, subito danni per via
delle lungaggini della giustizia civile italiana. 3. Aumento della domanda di giustizia civile. Le migliaia di cause, che prima erano
pendenti presso la Corte europea, ora lo sono presso le Corti d'appello italiane e a queste se ne sono aggiunte altre, relative ai
procedimenti che hanno maturato ritardi rispetto ai termini ragionevoli di durata dopo l'entrata in vigore della legge Pinto.
A questo proposito, quindi col fine di suggerire soluzioni concrete e maggiormente efficaci per un
più agevole funzionamento della giustizia, le quali possano risultare congeniali alle esigenze di ogni
stato membro del Consiglio d‟Europa, il Comitato dei Ministri in seno a quest‟ultimo, nel settembre
del 2002, ha provveduto a dar vita alla Commissione Europea per l‟Efficienza della Giustizia
(CEPEJ), composta da esperti qualificati provenienti dai 47 Stati membri, le cui approfondite analisi
svolte sono state raccolte e pubblicate all‟interno di due recenti report annuali grazie ai quali è
possibile conoscere e valutare i diversi gradi di qualità che caratterizzano i sistemi giudiziari
europei. In questa sede una parziale, ma attenta, consultazione della più recente edizione,
corrispondente a quella pubblicata nel 2012 e contenente dati raccolti nel 2010, consentirà di
compiere un primo passo verso l‟analisi empirica del fenomeno oggetto della presente indagine,
partendo da un più generale confronto della situazione italiana con quella riguardante gli altri Paesi
europei. Tra le priorità del presente lavoro, come già accennato, vi è quella di prestare particolare
attenzione alla durata ragionevole dei procedimenti in Italia.
All‟interno dello studio CEPEJ viene riportato il numero totale dei casi riguardanti la lentezza dei
procedimenti giudiziari (ovvero la violazione del già citato art. 6 della CEDU) per ogni stato
membro del Consiglio d‟Europa, nell‟anno 2010. Dall‟osservazione di tali dati emerge che tra i
paesi in cui si sono verificati più casi di violazione dell‟art. 6 CEDU spicca l‟Italia, con un numero
totale di 50 casi di cui solo 41 riguardano procedimenti civili ed i restanti 9 procedimenti penali.
A superare l‟Italia riescono solo la Turchia e l‟Ucraina rispettivamente con 83 e 59 casi totali.
Un esempio: la Corte d'appello di Roma, tra le più organizzate in questo contesto, ha disposto, in fase di entrata in vigore della legge,
che tutte le cause relative alla sua applicazione venissero trattate nell'ambito della prima Sezione civile, nella quale all'epoca
operavano circa trenta magistrati, i quali peraltro si occupavano già di altre procedure civili. I lunghi tempi di risposta che fino a oggi
si sono registrati, indicati al punto precedente, sono anche imputabili all'ulteriore carico di lavoro maturato in capo alle Corti
d'appello, le quali già prima dell'entrata in vigore della legge Pinto avevano i loro problemi. D'altronde, se così non fosse stato, questo
provvedimento non sarebbe certamente nemmeno stato adottato. Il problema è che la sua adozione, paradossalmente, rischia di
alimentare un'ulteriore tipologia di circolo vizioso, questa volta però da offerta di giustizia civile. L'inefficienza dell'offerta di giustizia produce
l'innalzamento dei livelli di domanda, generando un ulteriore carico ai danni del sistema che offre servizi giudiziari.
L'impressione che emerge è che il provvedimento abbia inteso riconoscere, in via di principio, un diritto al risarcimento ma che di fatto non abbia
previsto i termini ragionevoli per poter dare seguito a questo riconoscimento sotto il profilo economico e morale. I tempi di riconoscimento del
risarcimento e i fondi stanziati per la corresponsione dello stesso, infatti, confermano che questa legge, se da un lato riconosce un principio, dall'altro lato accresce l'incertezza di coloro che si rivolgono al sistema giudiziario. Con la conseguenza che il carico di lavoro degli uffici giudiziari accresce,
riducendo ulteriormente la possibilità di imboccare una traiettoria di progressivo riassorbimento delle pendenze accumulate. Paradossalmente il
provvedimento, nei fatti, anziché riconoscere un risarcimento a coloro che hanno sofferto per i ritardi della giustizia civile impone loro ulteriori patimenti e induce, a cascata, all'aggravarsi dei ritardi del sistema anche a carico di coloro che non hanno ancora nemmeno scelto di rivolgersi al
sistema giudiziario. (da “Ritardi della giustizia civile e ricadute sul sistema economico. Costi della giustizia civile rilevanti per il sistema delle attività
produttive”, Istat, luglio 2006.)
Cifre meno allarmanti ma significative riguardano anche Romania (46 casi), Grecia (33 casi) e
Slovacchia (30 casi). Alcuni dati forniti direttamente dalla Corte europea dei diritti dell‟uomo
relativi alla fine dell‟anno 20124 non sembrano essere più rassicuranti di quelli appena citati, sia per
quanto riguarda le cifre complessive riguardanti la quantità di ricorsi presentati davanti alla stessa
Corte per violazione dei diritti umani da parte degli stati membri, sia, nello specifico, quelli
riguardanti la violazione dell‟art. 6 CEDU. Sono, infatti, approssimativamente 128,100 i ricorsi
presentati alla Corte al 31 dicembre 2012. La maggior parte di essi sono stati presentati contro: la
Russia, la Turchia, l‟Italia e la Romania; paesi che mantengono, quindi, il proprio trend negativo
già rilevato negli anni e nelle statistiche precedenti.
Più precisamente, gli stessi, ossia Italia, Turchia, Russia, Romania e Polonia sono gli stati europei
nei riguardi dei quali sono state emanate più della metà delle sentenze da parte della Corte europea
dei diritti dell‟uomo da quando ad essa è stata vita, cioè dal 1959.
Allo stesso tempo, sempre con riferimento alla fine dell‟anno 2012, quasi un terzo dei casi in cui la
Corte ha riscontrato una violazione dei diritti umani, riguarda nello specifico la lentezza dei
procedimenti (31,17%). Alla fine del 2012 l‟Italia ha conosciuto tuttavia una sensibile diminuzione
nel numero dei casi in cui se ne è registrata una violazione: è passata, infatti, dai 50 del 2010 a 36
nel 2012. Di questi ultimi, inoltre, la maggioranza (20) riguardano la violazione dell‟art. 6.
Da tali dati emerge, quindi, che nonostante i suddetti miglioramenti permane la difficoltà strutturale
del Paese a rimediare alla lentezza dei procedimenti. Tra gli altri paesi europei che non sembrano
avere adottato, nel tempo, misure efficaci per contrastare tale fenomeno troviamo ancora : Bulgaria
(26 violazioni dell‟art. 6), Grecia (36), Polonia (13), Romania (26), Russia (44), Turchia (64),
Ucraina (53)5.
4 “The European Court of human rights in facts and figures, 2012” 5 “The European Court of human rights in facts and figures, 2012”
Da come si avrà modo di notare, tra i paesi europei che nell‟ambito del rispetto dell‟art. 6 CEDU
difficilmente riescono a porre in essere una compiuta applicazione del criterio di ragionevole durata,
oltre all‟Italia, vi sono in misura prevalente i Paesi dell‟Est Europa, ovvero: Romania, Russia,
Ucraina, Polonia e quelli rientranti nell‟area Balcanica, come Grecia, Bulgaria e Turchia; ossia zone
geografiche e Paesi i cui sistemi democratici non sono ancora giunti ad un alto livello di
maturazione, così come il loro grado di sviluppo economico.
L‟intento non è quello di dare spazio ad una qualsiasi idea di determinismo tra democrazia,
sviluppo economico e qualità dei sistemi giudiziari, sulla cui relazione si tenterà, peraltro, di
riflettere più avanti e per cui bisogna tener presente e valutare tanti altri fattori di diversa natura;
piuttosto, tale osservazione può essere utile per chiarire, al momento, la collocazione dell‟Italia nel
più ampio contesto europeo in merito all‟argomento affrontato, scoprendo, quindi, che quest‟ultima
si allontana progressivamente dagli standard raggiunti e mantenuti, negli ultimi anni, dalle
democrazie europee più avanzate.
Le cause della lentezza dei procedimenti possono essere diverse e numerose, a seconda della realtà
nella quale sono contestualizzate. Per quanto concerne l‟Italia, secondo i presupposti da cui prende
avvio il presente lavoro, fra di esse può essere rintracciata la frequenza con cui sono gli stessi utenti
del servizio giustizia a rivolgersi ai tribunali per la risoluzione dei propri conflitti o controversie.
In altre parole sarebbe la domanda eccessiva ad intasare i tribunali. In tal caso, ci si riferirà
esclusivamente ai procedimenti di natura civile, per una serie di ragioni.
In primo luogo, perché osservando i movimenti di questi ultimi è possibile riflettere sui contrasti di
tipo ordinario che hanno luogo all‟interno della società e che riguardano, quindi, l‟ambito
contrattuale ed economico, su cui s‟intenderà soffermarsi in maniera approfondita, così come
l‟ambito familiare, di convivenza con i propri vicini, e diversi altri; mentre i procedimenti di natura
penale fanno riferimento a casi di devianza sociale su cui non s‟intende indagare in tale sede.
In secondo luogo, perché dalle statistiche e le ricerche già effettuate è facile notare come sia, in
Italia, soprattutto la giustizia civile a soffrire di congestione del sistema in misura maggiore rispetto
a quella penale, il che ha contribuito a stimolare l‟interesse ad occuparsi dell‟argomento.
In terzo ed ultimo luogo, perché è in primis la giustizia civile ad avere un legame indissolubile con
il livello di crescita economica di un dato contesto; e dimostrarlo è uno dei principali moventi di
tale lavoro. Il prossimo passo sarà, dunque, quello di verificare il grado di litigiosità in Italia e nella
maggior parte dei paesi europei nel 2010, prendendo in considerazione, per ogni tipo di cause, il
numero di procedimenti pendenti all‟inizio dell‟anno 2010 (1 gennaio), il numero delle cause
sopravvenute all‟inizio dell‟anno; ed il numero di cause pendenti alla fine del 2010 (31 dicembre).
La figura 1 riporta il numero di cause sopravvenute e delle cause esaurite, commerciali e
contenziose di primo grado rapportate a 100.000 abitanti nel 2010.
In media, a livello europeo nel 2010, i giudici di prima istanza erano in grado di risolvere
approssimativamente un numero di cause uguale a quello riguardante le nuove cause avviate nello
stesso anno : in media 2738 cause sopravvenute per 100.000 abitanti e 2663 cause esaurite per
100.000 abitanti. Tuttavia, possono essere evidenziate diverse variazioni da stato a stato.
Tra gli stati in cui il numero di cause sopravvenute è inferiore al numero di cause esaurite, nel 2010,
troviamo l‟Italia (18%) insieme al Lussemburgo (38%), la Repubblica Ceca (3%) e l‟Ucraina (3%).
Allo stesso tempo, si può notare come vi siano serie differenze tra i diversi stati se si considera il
volume delle cause civili e commerciali rivolte alle corti di prima istanza.
I cittadini sembrano essere maggiormente disposti a rivolgersi ai tribunali per risolvere le proprie
controversie (più di 3000 nuove cause per 100.000 abitanti) nei paesi dell‟Europa Centrale e
dell‟Est (Russia, Lituania, Repubblica Ceca, Croazia), del Sud-est Europa (Bosnia ed Erzegovina,
Romania e Serbia) ed in quelli del Sud Europa (Italia, Portogallo e Spagna) rispetto a quanto
accade, invece, nel Nord Europa (Finlandia, Norvegia e Svezia) dove sono stati rilevati meno di
1000 cause sopravvenute per 100.000 abitanti6.
6 CEPEJ, 2010, pp. 176-177
Figura 1 : Numero dei procedimenti contenziosi, civili e commerciali, di prima istanza sopravvenuti ed esauriti
per 100.000 abitanti, nel 2010
Fonte : CEPEJ 2010
A tal proposito è necessario indicare come interessanti movimenti abbiano avuto luogo nel periodo
tra il 2008 ed il 2010. In alcuni sistemi giudiziari si è assistito ad una diminuzione delle cause
sopravvenute a fronte di un incremento delle cause esaurite, mentre in alcuni altri si è verificato il
fenomeno opposto, ossia, è cresciuto il numero di cause sopravvenute, riducendosi, al contempo
quelle esaurite. Ad ogni modo, valori positivi riguardanti sia le cause sopravvenute (9.4%) sia
quelle esaurite (7.6 %) mostrano che, in generale, si è avuto un notevole incremento di entrambi le
categorie. Il numero di cause sopravvenute ha conosciuto un significativo incremento soprattutto in
Georgia (106.5%), Romania (52.7%), Andorra (38%), Montenegro (37%) ed è diminuito in
Lussemburgo (-35.7%), Italia (-15%) e Albania (-7.4%).
Dunque, si può affermare che la situazione italiana nel passaggio dal 2008 al 2010 sia sensibilmente
migliorata, almeno per quanto riguarda i dati indicanti le cause sopravvenute, i quali mostrano una
riduzione delle stesse rispetto alle cause che sono state risolte nell‟arco del biennio considerato.
Figura 2 : Variazione della media annuale del numero dei procedimenti contenziosi di prima istanza, civili e
commerciali, sopravvenuti ed esauriti per 100.000 abitanti, tra il 2008 e il 2010
Fonte : CEPEJ, 2010
Ai fini di una riuscita comparazione tra i diversi sistemi giudiziari europei, all‟interno del report
CEPEJ 2010, viene compiuta una distinzione tra procedimenti contenziosi e non contenziosi7,
poiché all‟interno di alcuni stati europei gran parte del lavoro dei giudici è costituita dalla
risoluzione dei procedimenti non contenziosi, mentre in altri stati, al contrario, ai giudici di prima
istanza spetta risolvere prevalentemente procedimenti di natura contenziosa e complessivamente,
sempre con riferimento a questi ultimi stati, la mole di lavoro affidata ai giudici risulta essere
notevolmente superiore rispetto al carico a cui devono far fronte quelli operanti negli stati in cui la
domanda processuale viene rivolta in misura maggiore per procedimenti di natura non contenziosa,
come mostra, esattamente, la figura 3, grazie alla quale è possibile venire a conoscenza del numero
sia dei procedimenti contenziosi che di quelli non contenziosi per ogni stato, rapportati a 100.000
abitanti nel 2010.
7 Tale distinzione concerne la differenza esistente tra procedimenti contenziosi e non contenziosi o, con riferimento al nostro
ordinamento, c.d. “giurisdizione volontaria”. I primi sono caratterizzati dal fatto che riguardano funzioni giurisdizionali
costituzionalmente necessarie (cioè che il legislatore non può che attribuire al giudice) e che si esercitano quando occorre tutelare i
diritti soggettivi, gli status e gli interessi legittimi (art. 24 e 113 Cost.). Inoltre, si svolgono nelle forme legalmente previste del
processo civile ordinario, c.d. “cognizione piena”, producono un provvedimento decisorio (sentenza) avente attitudine a formare
giudicato formale e sostanziale, nei cui confronti è data la garanzia costituzionale delle ricorribilità in Cassazione per violazione di
legge (art. 111 Cost.) ed è accompagnata, nella fase precedente al processo, da una tutela cautelare e, nella fase successiva, di una
tutela esecutiva. I secondi, invece, corrispondono a funzioni giurisdizionali ulteriori rispetto a quelle necessarie, funzioni che il
legislatore rimette al giudice, ma che potrebbe nella sua discrezionalità attribuire ad altri, autorità amministrativa o privati. Il giudice
è chiamato non ad assicurare la tutela giurisdizionale di diritti o interessi quando siano violati o contestati, bensì a valutare e gestire
interessi che, nei singoli casi possono essere di minori, incapaci, patrimoni separati, gruppi collettivi. (da “Procedimenti contenziosi e
procedimenti di volontaria giurisdizione, www.minoriefamiglia.it)
Figura 3 : Numero dei procedimenti contenziosi e non contenziosi di prima istanza, civili e commerciali per
100.000 abitanti, nel 2010
Fonte : CEPEJ 2010
Calcolando il tasso di variazione dello stock di casi pendenti8 relativo ai procedimenti contenziosi e
non contenziosi nell‟anno 2010 per 100.000 abitanti di ogni stato, è possibile analizzare l‟impatto
del volume dei procedimenti civili e commerciali sul lavoro delle corti.
8 Indicatore CR, Clearance rate : rapporto tra i casi sopravvenuti ed i casi esauriti entro un periodo, espresso in percentuale.
Figura 4 : Clearance rate dei procedimenti contenziosi e non contenziosi, nel 2010, in %
Fonte : CEPEJ, 2010
In alcuni stati l‟indicatore CR supera il 100%, ciò implica che i giudici di prima istanza non hanno
difficoltà nello smaltire, annualmente, il proprio carico di lavoro. Quanto all‟Italia è possibile notare
come nel 2010 esso superi di poco il 100% per i procedimenti civili contenziosi (118%), mentre
risulta del 97,4% per quanto riguarda i procedimenti non contenziosi.
Dati che confermano un trend niente affatto negativo, se di guarda anche alla situazione risalente
agli scorsi anni (2006-2008) in cui si sono registrati valori inferiori al 100% secondo lo stesso
indicatore.
Figura 5 : Clearance rate dei procedimenti contenziosi nel 2006, 2008 e 2010. Evoluzione tra il 2006 e il 2010, in %.
Fonte : CEPEJ, 2010
Probabilmente tale miglioramento, corrispondente più che ad una crescita del numero delle cause
esaurite ad una diminuzione delle cause sopravvenute nel 2010, lo si deve agli effetti dispiegati nel
tempo da una legge del 2002 per mezzo della quale è stata introdotta una tassa che i litiganti sono
obbligati a pagare per iniziare particolari tipi di procedimenti civili, amministrativi e tributari9.
Un aspetto che può indurre a riflettere sul fatto che la domanda di giustizia ricopre un ruolo
fondamentale nel più ampio contesto del funzionamento efficiente della stessa, se si pensa, appunto,
che un intervento legislativo è bastato a migliorare le prestazioni delle corti scoraggiando il ricorso
eccessivamente frequente e facile da parte dei cittadini – utenti.
Tuttavia, tali misure istituzionali non risultano essere sufficienti a garantire una celere risposta da
parte dei tribunali nei confronti di chi richiede la tutela dei propri diritti, specie se si guarda al dato
per cui, ancora con riferimento all‟anno 2010, nonostante i suddetti miglioramenti, l‟Italia rientra
nel gruppo dei paesi europei all‟interno dei quali sono necessari più giorni, rispetto alla media, per
la risoluzione di una controversia civile. Grazie all‟indicatore DT10
, è possibile misurare la velocità
con la quale il sistema giudiziario è in grado di risolvere i casi per cui è stato adito, ovvero il tempo
necessario affinché una certa categoria di casi venga risolta, permettendo di comprendere come
esso gestisce il suo flusso di casi.
9 Si tratta del “Contributo unificato” stabilito con D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, “Testo unico sulle spese di giustizia”. Aggiornato
con le modifiche apportate dalla legge 24 dicembre 2012, n. 228 in vigore dal 1° gennaio 2013.
10 Disposition Time : Indica il numero medio di giorni necessari ad espletare un provvedimento giudiziario. Si ottiene attraverso il
rapporto tra il numero dei casi pendenti ed il numero di casi esauriti in un anno, moltiplicato per 365 giorni.
Figura 6: DT dei procedimenti civili e commerciali contenziosi e non contenziosi di prima istanza nel 2010, calcolato in giorni.
Fonte : CEPEJ, 2010
La figura 6 mostra come il numero dei giorni necessari per risolvere la totalità dei procedimenti
civili di prima istanza, nel 2010, varia dai 13 giorni della Russia ai 936 di San Marino e che tra gli
stati aventi il più alto indicatore DT, oltre all‟Italia (493 giorni per i procedimenti contenziosi, 163
per quelli non contenziosi) si trovano Portogallo, Slovenia, Croazia, Cipro, Monaco, Bosnia ed
Erzegovina, Malta e San Marino. Grazie alla figura 7 sarà possibile avere uno sguardo d‟insieme
con riguardo ad entrambi gli indicatori CR e DT per ogni stato membro e sarà agevole notare come
un soddisfacente indicatore CR non sempre implica bassi valori di DT, ossia una certa efficienza e
velocità di risposta da parte dei sistemi giudiziari.
Un esempio lampante è costituito proprio dal caso italiano, in cui una diminuzione nel 2010 dei casi
sopravvenuti, per quanto possa aver contribuito a decongestionare sensibilmente il sistema, non è
stata determinante ai fini di un recupero di efficienza nella risoluzione dei casi in termini brevi e
ragionevoli. A costituire un freno in questo caso è , soprattutto, l‟accumulo di cause pendenti a cui
si potrà parzialmente rimediare se anche nei prossimi anni si riuscirà a mantenere alto, cioè oltre il
100%, l‟indicatore CR.
Figura 7 : Indicatori CR e DT per il numero totale dei procedimenti civili e commerciali di prima istanza, in %.
Fonte CEPEJ, 2010
Gli aspetti fin qui considerati ed analizzati compongono un quadro per mezzo del quale è possibile
percepire la particolarità caratterizzante la situazione italiana, una volta posta a confronto con
quelle dei Paesi europei più sviluppati sia da un punto di vista istituzionale, che economico,
relativamente alla qualità del proprio sistema giudiziario ed è altrettanto percepibile che si tratti più
di una questione concernente il “versante della domanda” processuale che quello dell‟offerta.
Si è avuto modo di notare come una minore quantità di cause sopravvenute possa contribuire a
migliorare le prestazioni di un sistema sempre più ingolfato, soprattutto a causa del volume
eccessivamente ampio delle cause civili a cui dover porre una risoluzione, il quale, a sua volta,
incide notevolmente sulla lentezza nel risolvere i procedimenti e conseguentemente sul mancato
rispetto dell‟art. 6 CEDU. Un circolo vizioso, dunque, al quale è più che urgente porre una concreta
risoluzione. A far presente tale necessità non ha tardato la Commissione europea attraverso una
delle sue recenti comunicazioni11
in cui vengono definite le priorità socioeconomiche dell‟UE e
forniti gli orientamenti generali per l‟adozione di determinate politiche da parte degli Stati membri,
atte a fronteggiare la recente crisi economica e finanziaria.
Tra tali priorità rientra la modernizzazione della pubblica amministrazione e più precisamente
quella di “migliorare la qualità, l‟indipendenza e l‟efficienza dei sistemi giudiziari, garantendo la
conclusione dei procedimenti giudiziari entro tempi ragionevoli. Questo dovrebbe ridurre i costi per
le imprese e rendere il paese più attraente per gli investitori stranieri.”12
Un efficiente funzionamento della giustizia civile è, dunque, un presupposto essenziale per la
crescita economica di un dato Paese e la sua relazione con una maggiore produttività delle imprese
così come con una più elevata attrazione degli investimenti esteri sarà meglio chiarita ed
approfondita nel secondo capitolo del presente lavoro.
11 Comunicazione della Commissione, “Analisi annuale della crescita 2013”, Bruxelles, 28.11.2012 COM(2012) 750 final
12 Ibidem
Nel prossimo paragrafo ci si occuperà, invece, di analizzare più nel dettaglio ed esclusivamente il
caso italiano, andando ad indagare, in particolar modo, su alcune interessanti differenze territoriali
esistenti al suo interno.
1.2 Le differenze territoriali in Italia
La giustizia civile italiana si contraddistingue, soprattutto, per le profonde differenze di
funzionamento che caratterizzano le diverse aree del paese; infatti, vi è sia una maggiore litigiosità
che una durata dei procedimenti significativamente superiore alla media nelle regioni meridionali
rispetto a quelle del Centro Nord13
.
Prima di indagare sulle possibili spiegazioni di tali differenze, si esamineranno, da questo momento,
le caratteristiche territoriali e l‟evoluzione temporale della litigiosità in Italia (numero di
procedimenti avviati nei tribunali). Sulla base dei dati forniti dal Ministero della Giustizia, la durata
media stimata dei procedimenti di cognizione ordinaria14
(il tipo di procedimento che sarà
prevalentemente preso in considerazione in questa sede) di primo grado nei tribunali italiani, nel
2006, era pari a 985giorni. Quest‟ultima mostra una elevata variabilità a livello territoriale,
risultando superiore nei tribunali del Mezzogiorno rispetto alle altre aree del paese, come mostrano i
seguenti dati15
:
13 “La giustizia civile in Italia : I divari territoriali” di A. Carmignani e S. Giacomelli. Banca d‟Italia, Questioni di economia e finanza (Occasional
papers). N. 40, Febbraio 2009
14
Il procedimento di cognizione ordinaria, disciplinato dalle norme contenute negli artt. 163 e seguenti del libro secondo del codice di procedura
civile, costituisce lo strumento di tutela “normale” del sistema giurisdizionale italiano, il quale, essendo reso dal giudice nella pienezza di esercizio
dei suoi poteri cognitivi, è destinata a concludersi con un provvedimento avente forza di sentenza. Esso può essere definito, pertanto, come quel
processo in cui il giudice è chiamato : ad accertare la situazione di fatto esistente tra le parti in controversia; ad individuare la norma giuridica che deve essere applicata nella fattispecie; a decidere, con sentenza, definendo la questione controversa tra le parti. Si parla, quindi, di processo di
cognizione per indicare l‟attività con cui si accertano le condizioni ed i presupposti di diritto e di fatto per pervenire all‟accoglimento o al rigetto della
domanda. 15 Ibidem
Tabella 1 : Durata media dei procedimenti di cognizione in primo grado per distretto di corte d’appello e area
geografica - 2006 - (in giorni) –
Distretto
Cognizione ordinaria
Torino
555
Milano 682
Brescia
771
Genova 898
Trento 606
Bolzano 694
Venezia 893
Trieste 723
Bologna
1.004
Firenze 946
Perugia 1.100
Ancona
989
Roma 945
L’Aquila
1.049
Campobasso 1.101
Napoli 1.075
Salerno
1.259
Bari 1.558
Lecce 1.599
Potenza 1.463
Taranto 1.213
Catanzaro 1.463
Reggio Calabria
950
Palermo 995
Caltanissetta
1.523
Messina 1.534
Cagliari 1.222
Catania
1.007
Sassari 1.185
Nord Ovest
694
Nord Est
897
Centro
960
Sud e isole
1.209
Italia
985
Fonte: Elaborazioni su dati Ministero della Giustizia
Nel 2006, nei distretti del Mezzogiorno i procedimenti duravano mediamente 1.209 giorni per la
cognizione ordinaria, al Centro Nord i valori si attestavano, invece, a 842 giorni.
Considerando i singoli distretti, la durata dei procedimenti di cognizione ordinaria nei tribunali del
distretto meno efficiente (Lecce) era pari a circa 3 volte quella del distretto più efficiente (Torino)16
.
Figura 8 : Durata media dei procedimenti di cognizione ordinaria nei tribunali per area geografica, 2006
Fonte: Elaborazioni su dati del Ministero della Giustizia.
Per quanto riguarda la litigiosità, considerando la sola cognizione ordinaria, il suo quoziente, nel
2006, in Italia era di 804 procedimenti ogni 100.000 abitanti. Situazioni di elevata conflittualità
caratterizzano il Centro, influenzato dalla litigiosità del distretto di Roma e, in misura lievemente
inferiore, il Mezzogiorno. Nel 2006 in tali aree il tasso di litigiosità, pari rispettivamente a 928 e
918 procedimenti per 100.000 abitanti, risultava superiore a quello delle regioni settentrionali (664)
del 40 per cento circa. Esaminando i singoli distretti di Corte d‟appello, il quoziente di litigiosità
presentava valori superiori alla media nazionale soltanto in due distretti del Centro Nord (Genova e
Ancona), mentre caratterizzava oltre la metà dei distretti localizzati al Sud e nelle Isole17
.
16 Ibidem 17 Ibidem
I divari territoriali nella litigiosità si accentuano significativamente in materia di lavoro, previdenza
e assistenza: nel 2006 oltre i due terzi della domanda (67,1 per cento dei sopravvenuti) proveniva
dal Mezzogiorno, dove il quoziente di litigiosità risultava pari a 1.279 procedimenti ogni 100.000
abitanti (valore pari a 3,8 volte quello del Centro Nord).
Il fenomeno presenta una forte concentrazione a livello regionale: ben il 44 per cento dei
procedimenti si registra in due regioni, Campania e Puglia (che in termini di popolazione residente
pesano complessivamente solo per il 16,8 per cento). Nel solo distretto di Bari nel 2006 il quoziente
di litigiosità era pari a 4,1 volte quello nazionale. La domanda risulta molto elevata anche in Sicilia
e Calabria, soprattutto nei distretti di Messina e Reggio Calabria, dove il quoziente di litigiosità è
pari rispettivamente a 2.043 e 1.733 procedimenti ogni 100.000 abitanti. Valori più bassi, ma
comunque superiori alla media nazionale, si registrano anche nel Lazio.
Distinguendo tra cause in materia di lavoro e quelle di previdenza e assistenza si nota che il Nord
del paese è interessato prevalentemente da cause di lavoro, mentre al Centro e, soprattutto, nel
Mezzogiorno prevalgono le cause di previdenza e assistenza. L‟analisi dei quozienti di litigiosità
mostra comunque che le regioni meridionali presentano valori più elevati della domanda rispetto al
resto del Paese in entrambe le materie18
.
18 Ibidem
Tabella 2 : Procedimenti di cognizione ordinaria sopravvenuti in primo grado per distretto di corte d’appello e
area geografica - 2006 -
Distretto
Numero % sul totale Quozienti di litigiosità
Torino 29.129
6,1 651
Milano 47.477 10,0 726
Brescia 15.215 3,2 512
Genova 15.933 3,4 880
Trento 2.559
0,5 507
Bolzano 3.003
0,6 619
Venezia 30.804 6,5 648
Trieste 7.815 1,6 646
Bologna 27.078
5,7 644
Firenze 26.295 5,5 767
Perugia 6.696
1,4 769
Ancona 12.355 2,6 806
Roma 59.008 12,5 1.091
L‟Aquila 10.977 2,3 840
Campobasso 2.646
0,6 826
Napoli 57.384
12,1 1.224
Salerno 13.673 2,9 1.254
Bari 17.090 3,6 750
Lecce 8.239 1,7 680
Taranto 5.514 1,2 950
Potenza 4.500
0,9 759
Catanzaro 13.224
2,8 921
Reggio Calabria 4.850 1,0 859
Palermo 14.801 3,1 694
Messina 7.561
1,6 1.164
Caltanissetta 2.253 0,5 531
Catania 17.277
3,6 952
Cagliari 6.452
1,4 611
Sassari 4.068
0,9 677
Nord Ovest 107.754
22,7 682
Nord Est 71.259 15,0 638
Centro 104.354 22,0 928
Sud e Isole 190.509
40,2 918
Italia 473.876 100,0 804
Fonte: Elaborazioni su dati Ministero della Giustizia
Figura 9: Procedimenti di cognizione ordinaria sopravvenuti nei tribunali per area geografica, per 100.000
abitanti, 2006
Fonte : Elaborazioni su dati Ministero della Giustizia e Istat
Figura 10 : Procedimenti in materia di lavoro, previdenza e assistenza sopravvenuti nei tribunali per area
geografica, per 100.000 abitanti, 2006
Fonte : Elaborazioni su dati Ministero della Giustizia e Istat
Tale analisi si riferisce all‟anno 2006, ma come si potrà notare osservando le prossime tabelle, in
cui sono rappresentati dati risalenti ai primi anni del 2000 (dal 2000 al 2004), ci si accorgerà di
come ai precedenti risultati possa essere attribuita una valenza più generale, in quanto i fenomeni
analizzati sembrano persistere nel tempo.
Tabella 3 : Cause civili per grado di giudizio. Anni 2000 e 2004
Fonte : “Italia in cifre : la giustizia” (Istat)
Figura 11 : Indice di litigiosità per area geografica
Fonte : “Italia in cifre : la giustizia” (Istat)
Approssimativamente, lo stesso trend lo si può riscontrare con riferimento alle controversie di più
modesto valore19
la cui risoluzione rientra nelle competenze dei “giudici di pace”20
.
La domanda di giustizia che si rivolge a tale ufficio costituisce, infatti, una frazione rilevante e
crescente della domanda totale. Basta pensare che, nel 2008, i procedimenti civili sopravvenuti
presso gli uffici del giudice di pace rappresentavano il 40 per cento del totale dei procedimenti
sopravvenuti in primo grado (tribunali ordinari e uffici del giudice di pace).
Ciò che emerge dalle informazioni che saranno riportate (dati relativi al periodo 2001-2008) è,
anche in questo caso, una più forte concentrazione della litigiosità nelle regioni del Centro Sud21
.
Figura 12 : Andamento nazionale dei procedimenti sopravvenuti presso il giudice di pace e presso il tribunale ordinario nel
periodo 2001-08.
Fonte : Banca d’Italia, 2011
19 In materia civile le principali competenze del giudice di pace riguardano le cause relative a: a) apposizione di termini ed
osservanza delle distanze stabilite dalla legge, dai regolamenti o dagli usi riguardo al piantamento degli alberi e delle siepi; misura e
modalità d‟uso dei servizi di condominio di case; rapporti tra proprietari o detentori di immobili adibiti a civile abitazione in materia
di immissioni di fumo o di calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili propagazioni che superino la normale tollerabilità; b) beni
mobili di valore non superiore a 5.000 euro quando dalla legge non siano attribuite alla competenza di altro giudice (fino al 2009 il
limite era di 2.582,28 euro; c) risarcimento del danno prodotto dalla circolazione di veicoli e di natanti, purché il valore della
controversia non superi i 20.000 euro (fino al 2009 il limite era di 15.493,71 euro10; d) procedimenti monitori (emissione di decreti
ingiuntivi) con gli stessi limiti di valore di cui al punto b) e relative opposizioni. In materia amministrativa, il giudice di pace è
competente per: e) i procedimenti su ricorso in opposizione alle sanzioni amministrative pecuniarie quando l‟ammontare della
sanzione non superi i 15.493,71 euro11. Per le sanzioni rientranti nel Codice della strada la competenza prescinde dal valore della
sanzione (art. 204-bis Codice della Strada). Davanti al giudice di pace le parti possono stare in giudizio personalmente se la causa
non eccede 516,46 euro e per i procedimenti in opposizione alle sanzioni amministrative; negli altri casi occorre l‟assistenza di un
difensore.( Da “La litigiosità presso i giudici di pace : fisiologia e casi anomali”, P. Fantini, S. Giacomelli, G. Palumbo, G. Volpe,
“La litigiosità presso i giudici di pace : fisiologia e casi anomali” in Questioni di Economia e Finanza (Occasional papers) – Banca
d‟Italia – No 92 , aprile 2011)
20 “La litigiosità presso i giudici di pace : fisiologia e casi anomali”, P. Fantini, S. Giacomelli, G. Palumbo, G. Volpe, in Questioni di
Economia e Finanza (Occasional papers) – Banca d‟Italia – No 92 , aprile 2011
21 Ibidem
I ricorsi al giudice di pace hanno avuto una crescita continua tra il 2001 e il 2008.
I procedimenti sopravvenuti hanno superato a fine 2008 la cifra di 1.800.000, con un incremento di
circa il 50 per cento rispetto ai valori del 2001. Nello stesso periodo la litigiosità presso i tribunali
ordinari ha avuto un andamento crescente con un incremento rispetto al 2001 di circa 20 punti
percentuali. Coerentemente con l‟andamento della figura precedentemente riportata, la prossima
mostrerà come tra il 2001 e il 2008 i ricorsi al giudice di pace si siano intensificati su tutto il
territorio nazionale. Sia nel 2001 che nel 2008, essi risultavano comunque più concentrati al Centro-
Sud (con l‟eccezione della Sardegna) rispetto al Centro Nord, confermando la maggiore tendenza
del ricorso alla giustizia nelle regioni meridionali che caratterizza anche la litigiosità presso i
tribunali22
.
Figura 13 : Tasso di litigiosità (n. ricorsi per mille residenti) presso il giudice di pace. Distribuzione provinciale.
Confronto 2001 e 2008
Fonte : Banca d’Italia, 2011
22 Ibidem
Nel 2008 le regioni con i tassi più elevati erano quelle della Campania e della Calabria.
Il confronto con il 2001 evidenzia una crescita del numero di ricorsi rispettivamente di 27 e 33 per
mille residenti, che risulta più elevata rispetto a quella osservata nelle restanti regioni.
A livello provinciale nel 2008 Caserta e Napoli occupavano le prime due posizioni nella classifica
delle province più litigiose con valori dei tassi pari rispettivamente a 5 e 3 volte quello medio.
Tra le province del Nord, Trieste con 41 ricorsi ogni mille residenti era la provincia più litigiosa;
mentre Belluno, Lecco e Trento erano le province con i tassi di litigiosità meno elevati.
Seppur in ordine inverso, anche nel 2001 Trieste, Napoli e Caserta (rispettivamente 109, 73 e 42
ricorsi per mille residenti) presentavano i tassi più elevati23
. L‟analisi dei dati finora riportati
rendono agevole la comprensione del fatto che a partire dall‟anno 2000 fino al 2008 i fenomeni
d‟interesse (litigiosità e durata dei procedimenti) hanno conosciuto dei notevoli incrementi.
È, infatti, proprio a partire dalla fine degli anni 90 che si registra un aumento del quoziente di
litigiosità24
rispetto al passato, come mostra la presente figura :
Figura 14 : Quoziente di litigiosità – Primo grado di giudizio – Anni 1880 - 2008
Fonte : Ministero di agricoltura, industria e commercio (anni 1880-1906); Ministero di grazia e giustizia (anni 1907-1935);
Istat, Movimento dei procedimenti civili (anni 1936 – 1996), Ministero della giustizia (dal 1997)
23 Ibidem 24 “L‟Italia in 150 anni”, Sommario di statistiche storiche 1861-2010
I picchi di litigiosità in Italia sono stati raggiunti, in particolare, tra la fine dell‟ottocento ed i primi
decenni del novecento. A partire dagli anni cinquanta del novecento il quoziente ha raggiunto un
equilibrio, un livello medio, che ha mantenuto fino alla fine degli settanta.
Si può notare come esso sia, progressivamente, ricominciato a crescere dagli inizi degli anni ottanta
in poi fino agli anni recenti (2008). I prossimi grafici confermeranno tale andamento in maniera
ulteriormente dettagliata :
Figura 15 : Procedimenti civili di primo grado sopravvenuti ed esauriti, 1898 – 1968 (vari anni)
Fonte : Servizio studi del Senato, 2013
Come già accennato, un alto numero di procedimenti civili sopravvenuti lo si è avuto tra la fine
dell‟ottocento e gli inizi del novecento. Dal secondo dopoguerra in poi si è registrata una notevole
diminuzione degli stessi e tale andamento è stato mantenuto fino alla fine degli anni settanta.
Figura 16 : Procedimenti civili di primo grado sopravvenuti ed esauriti (1970 – 2008)
Fonte : Servizio studi del Senato, 2013
Dalla metà degli anni novanta in poi, quest‟ultima figura conferma l‟incremento dei procedimenti
sopravvenuti che non si è, appunto, arrestato negli anni a venire.
Figura 17 : Procedimenti civili – Grado di appello e Cassazione (1980-2010)
Fonte : Servizio studi del Senato, 2013
Un elevato numero dei procedimenti sopravvenuti negli anni recenti, naturalmente ha comportato, a
sua volta, anche un incremento di procedimenti pendenti che, di anno in anno, vanno ad alimentare
un pesante accumulo, il quale contribuisce a congestionare il sistema in maniera non trascurabile.
I negativi effetti di tali fenomeni si sono riverberati, inevitabilmente, sulla durata dei procedimenti
che nel tempo è progressivamente aumentata.
Dati relativi ai periodi 1994-2005 e 1994-2011 dimostrano, esattamente, quanto appena affermato :
Figura 18 : Durate stimate, 3 gradi di giudizio (in giorni)
Fonte : Servizio studi del Senato
Figura 19 : Durata stimata dei procedimenti civili di cognizione ordinaria, (1994, 2005-2011)
Fonte : Servizio studi del Senato, 2013
La figura riportata mostra, infatti, come una maggiore durata dei processi abbia riguardato, nel
tempo, tutti e tre i gradi di giudizio di cognizione ordinaria (I grado, appello, Cassazione).
Il medesimo andamento lo si è avuto con riguardo al solo primo grado e ai procedimenti presso il
giudice di pace ( dal 2000 al 2011) :
Figura 20 : Durata in giorni dei procedimenti di cognizione ordinaria di primo grado - Giudice di pace
(2000 –2011)
Fonte : Servizio studi del Senato, 2013
Il breve focus appena effettuato relativamente alla situazione italiana ci ha consentito di ottenere, in
sintesi, due rilevanti informazioni ai fini della presente indagine.
In primo luogo e con riguardo alla distribuzione territoriale del fenomeno d‟interesse, la litigiosità, è
emerso come essa si concentri, soprattutto, all‟interno dell‟area meridionale della penisola, in cui vi
è anche una più lunga durata dei procedimenti rispetto a quanto accade nelle regioni del Nord.
Per quanto concerne, invece, il dato temporale, si è scoperto che un certo incremento sia della
litigiosità che della durata dei procedimenti sia avvenuto, in particolare, negli anni recenti.
Sulla base di tali indicazioni, all‟interno del prossimo capitolo, si proverà a dare una spiegazione
degli aspetti fin qui rilevati, considerando il grado d‟influenza che alcune significative variabili
esercitano su di essi, e riflettendo, al contempo, sulle conseguenze economiche prodotte da tali
circostanze
II
Le implicazioni economiche di una giustizia lenta
2.1 Le componenti della domanda di giustizia in Italia : ricorso distorto e opportunismo
L‟obiettivo che ci si prefigge ora è, dunque, quello di indagare sulle possibili spiegazioni dei
fenomeni evidenziati, esaminando, in modo particolare, le determinanti della domanda di giustizia
in Italia. Secondo l‟impostazione teorica a partire dalla quale è stato sviluppato il presente lavoro è,
infatti, necessario rivolgere l‟attenzione alle dinamiche che interessano quest‟ultima, se si intendono
comprendere a fondo le ragioni per cui il nostro sistema giudiziario presenta delle “particolarità”,
così come è emerso dal precedente capitolo. A motivare tale scelta non vi è una mancanza di
consapevolezza del fatto che sussistano anche alcune problematiche riguardanti il lato
“dell‟offerta”, cioè quegli aspetti puramente strutturali ed istituzionali concernenti il fenomeno su
cui si è deciso di concentrarsi, le quali potranno essere risolte solo per mezzo di riforme legislative
efficaci e lungimiranti non ancora poste in essere, nonostante i vari tentativi effettuati in questa
direzione negli anni recenti.
La letteratura esistente sul tema dell‟offerta sostiene che il sistema giudiziario italiano debba essere
ripensato soprattutto da un punto di vista organizzativo, con riguardo, quindi, alla distribuzione e
razionalizzazione delle strutture di cui si avvale, all‟organico e al reclutamento delle risorse umane
di cui esso necessita. Non si riscontrano, invece, particolari deficit per quanto riguarda la quantità di
spesa pubblica che lo stato italiano riserva all‟apparato giudiziario e neppure in quanto al grado di
produttività degli stessi giudici. Le dimensioni del budget destinato alla giustizia in Italia, infatti,
non sono molto diverse o inferiori a quelle degli altri paesi europei economicamente avanzati25
;
mentre, relativamente alla produttività, come è già stato sottolineato, l‟Italia è un Paese che deve
confrontarsi con un volume di contenzioso civile che, fatta eccezione per la Russia, non sembra
avere pari in Europa; eppure, i giudici italiani mostrano un‟altissima capacità di smaltimento degli
25 Cfr., Report CEPEJ 2012. Proporzione della spesa pubblica totale, a livello statale e regionale nel 2010, destinata al sistema giudiziario
nell‟insieme, in % : Italia : 1,5%, Spagna : 1,0%, Francia : 1,1%, Finlandia : 1,5%, Germania: 1,6%.
affari civili contenziosi sopravvenuti, così come viene confermato dai dati CEPEJ riportati, secondo
cui è stato rinvenuto un miglioramento nel passaggio dal 2008 al 2010 riguardante l‟andamento
dell‟indicatore CR grazie al quale è possibile valutare il grado di smaltimento delle cause
sopravvenute e pendenti.
Tuttavia, nonostante i nostri giudici civili si posizionino ai primi posti in Europa quanto a
produttività, essi accumulano di anno in anno arretrati sempre più appesantiti da ingenti quantità di
procedimenti pendenti. Naturalmente non si può sostenere che il contenzioso che sopravviene ogni
anno sia l‟unica causa dell‟accrescersi dell‟arretrato civile in Italia, ma certamente lo “strabiliante”
numero di nuovi affari iscritti annualmente nei tribunali in tale settore costituisce una cospicua parte
del problema, da cui nessuno può prescindere se si vuole fare un‟analisi onesta del fenomeno e delle
possibili risposte allo stesso26
. In altre parole, ciò che si vuole dimostrare, in tale sede, corrisponde
essenzialmente al fatto che le anomalie denotanti la situazione italiana non appartengono al sistema
giudiziario in sé, piuttosto, sembrano essere prodotte da un approccio improprio caratterizzante il
rapporto tra una parte dei cittadini italiani ed il servizio “giustizia” offerto loro dagli appositi organi
istituzionali. Ci si propone, quindi, di avvalorare l‟ipotesi per cui il mal funzionamento della
giustizia italiana è in gran parte dovuto ad un eccesso di domanda congestionante il sistema nel suo
complesso e che tale domanda è, a sua volta, spesso costituita da richieste di tutela ingiustificate e
tese allo sfruttamento del contenzioso per il raggiungimento di secondi fini.
A tal fine si ritiene utile valutare il grado d‟impatto che determinati fattori socio-economici hanno
sulla litigiosità e lo si farà riportando alcuni significativi risultati ottenuti in merito attraverso
un‟analisi empirica condotta dalla Banca d‟Italia27
su dati medi provinciali per il periodo 2000-05.
26 “La verità dell‟Europa sui magistrati italiani . 2” , dossier a cura dell‟ANM, fonte : CEPEJ, 2010 27 “La giustizia civile in Italia : I divari territoriali” di A. Carmignani e S. Giacomelli. Banca d‟Italia, Questioni di economia e finanza (Occasional
papers). N. 40, Febbraio 2009
La suddetta analisi viene svolta adottando la seguente specificazione di un modello econometrico:
Litigiosità i =α 0 + α 1 REDD i +α 2 CONCTERR i +α3 CAPSOC i +α4 AVV i +ε i
dove i =1,…, N indica le province. La variabile dipendente (litigiosità) misura il numero di
procedimenti di cognizione (totale procedimenti di cognizione ordinaria e in materia di lavoro e
previdenza) sopravvenuti in primo grado per 100.000 abitanti.
Le variabili inserite sul lato destro dell‟equazione tendono a catturare i fattori socio-economici che
dovrebbero influenzare la domanda di giustizia: il valore aggiunto pro capite (REDD), il grado di
concentrazione territoriale della popolazione (CONCTERR) e il capitale sociale (CAPSOC). Si
considera inoltre il numero di avvocati per 100.000 abitanti (AVV), quale proxy per la disponibilità
di servizi legali. Da un punto di vista teorico l‟effetto della disponibilità di reddito pro capite sulla
litigiosità non è identificabile in modo univoco.
L‟elevato numero e la complessità delle transazioni che accompagnano lo sviluppo economico (di
cui il valore aggiunto pro capite rappresenta una proxy) potrebbe favorire l‟insorgere di
controversie e quindi il ricorso ai tribunali; viceversa, è possibile che peggiori condizioni
economiche favoriscano gli inadempimenti contrattuali e quindi la litigiosità.
Per quanto riguarda le altre variabili di natura socioeconomica, la maggiore complessità sociale
(misurata dal grado di concentrazione territoriale) e il minore livello di capitale sociale dovrebbero
aumentare la probabilità che si verifichino inadempimenti contrattuali e quindi incentivare il ricorso
ai tribunali. Società più complesse, infatti, si caratterizzano per un maggior numero di interazioni, in
particolare tra soggetti non legati da rapporti familiari o “comunitari”; dunque, in tali contesti più
facilmente potrebbero insorgere controversie. Al contrario, il grado di fiducia e l‟attitudine alla
cooperazione tra individui che caratterizzano una comunità (capitale sociale), dovrebbero indurre ad
una minore litigiosità. Considerando il numero degli avvocati, invece, come proxy dell‟intensità
della concorrenza nel mercato dei servizi legali, da un punto di vista economico è possibile
identificare due canali attraverso i quali tale variabile può incidere sulla litigiosità.
In primo luogo, la maggiore concorrenza può portare a una riduzione del prezzo del servizio e
quindi, a parità di altri fattori, rendere più conveniente in termini relativi intraprendere un‟azione
legale. In secondo luogo, come evidenzia la letteratura sui servizi professionali, i professionisti
potrebbero rispondere alla accresciuta pressione concorrenziale con l‟adozione di comportamenti
volti a stimolare la domanda per i propri servizi, sfruttando le asimmetrie informative nel rapporto
con i clienti28
. In media nel periodo 2000-05 il tasso di litigiosità nella cognizione (totale
procedimenti di cognizione ordinaria e in materia di lavoro e previdenza) era di 1.381 procedimenti
ogni 100.000 abitanti. Al Centro Nord il valore era pari a 1.075 procedimenti, mentre nel
Mezzogiorno risultava uguale a 1.949. Ampie differenze si riscontrano anche per le variabili di
natura socio-economica. Il valore aggiunto pro capite, che nella media del periodo in Italia era
uguale a 17.745 euro, oscillava tra 12.798 euro nelle regioni meridionali e 20.404 in quelle del
Centro Nord. La dotazione di capitale sociale, misurata dal numero di associazioni di volontariato
registrate, nel complesso del Paese ammontava a 36, variando da 24 associazioni al Sud e nelle
Isole a circa il doppio (42) nelle regioni centro settentrionali. I dati mostrano differenze territoriali
accentuate anche con riferimento alla presenza degli avvocati.
Nella media del periodo in Italia vi erano 154 avvocati ogni 100.000 abitanti, il numero saliva a 177
nel Meridione e si attestava a 142 nel resto del Paese29
. I risultati dell‟analisi avallano l‟ipotesi
poc‟anzi sostenuta, in quanto confermano che livelli più elevati di sviluppo economico e di capitale
sociale riducono la litigiosità, mentre una maggiore complessità sociale tende ad accrescere la
domanda di giustizia.
28 Ibidem 29 Ibidem
Anche l‟effetto del numero di avvocati in rapporto alla popolazione sulla variabile dipendente
risulta positivo e statisticamente significativo, come mostra, esattamente, la tabella 5 nella colonna
(1)30
:
Tabella 4 : Determinanti della litigiosità
(stime OLS)
(1) (2)
Valore aggiunto pro capite -0,084*** -0,068***
(0,020) (0,016)
Concentrazione territoriale 0,681** 0,675**
(0,293) (0,275)
Capitale Sociale -6,622*** -1,665***
(2,378) (2,081)
Avvocati 7,932*** 5,753***
(0,878) (0,849)
Fonte : Banca d’Italia, 2009
Per verificare se le determinanti della litigiosità contribuiscono a spiegare i divari territoriali
osservati, ovvero se l‟impatto di tali variabili sulla litigiosità è maggiore nelle regioni meridionali
rispetto al resto del paese, il presente modello è stato nuovamente stimato includendo l‟interazione
tra le variabili esplicative e una dummy di area relativa al Mezzogiorno.
L‟evidenza empirica mostra che, con l‟esclusione della concentrazione territoriale, l‟effetto di tutte
le variabili sulla litigiosità è superiore nel Mezzogiorno (il riferimento è sempre alle variabili
riportate nella colonna 2 della tabella 5)31
.
30 Ibidem 31 Ibidem
Tabella 5 : Interazione con la variabile dummy Sud e Isole:
- Valore aggiunto pro capite -0,075*
(0,041)
- Concentrazione territoriale -3,609
(2,642)
- Capitale sociale -19,023*
(10,135)
- Avvocati 5,939***
(1,577)
Le stime sono effettuate su dati medi provinciali (103 province) per il periodo 2000-05. La variabile dipendente (LITIGIOSITÀ) è
definita come il numero di procedimenti di cognizione (cognizione ordinaria più lavoro e previdenza) sopravvenuti per 100.000
abitanti. La CONCENTRAZIONE TERRITORIALE è definita come rapporto tra la popolazione che vive nella città capoluogo e la
popolazione che vive fuori dal capoluogo in ciascuna provincia. Il CAPITALE SOCIALE è misurato dal numero di associazioni di
volontariato registrate per provincia; la variabile AVVOCATI misura il numero di avvocati per 100.000 abitanti. Le regressioni includono la costante. Errori standard robusti in parentesi. ****, **, * indicano rispettivamente un livello di
significatività del coefficiente dell‟1, 5 e 10 per cento.
Fonte : Banca d’Italia, 2009
Lo stesso modello di analisi è stato utilizzato col fine di individuare i fattori che presentano una
significativa correlazione con la litigiosità presso l‟ufficio del giudice di pace32
.
Anche in questo caso la variabile dipendente fa riferimento ai numeri dei ricorsi sopravvenuti in
ogni provincia italiana presa in considerazione, moltiplicati per mille abitanti e le variabili
socioeconomiche potenzialmente in grado di influenzare i ricorsi rimangono il capitale sociale33
, la
concentrazione territoriale, il valore aggiunto pro-capite ed il numero di avvocati.
Si scoprirà che, ancora una volta, il capitale sociale e la numerosità degli avvocati risultano
generalmente associati, rispettivamente in senso negativo e positivo, con la frequenza dei ricorsi34
.
32 “La litigiosità presso i giudici di pace : fisiologia e casi anomali”, P. Fantini, S. Giacomelli, G. Palumbo, G. Volpe, in Questioni di
Economia e Finanza (Occasional papers) – Banca d‟Italia – No 92 , aprile 2011
33 La misura di capitale sociale adottata è il tasso di partecipazione elettorale ai referendum.
34 Ibidem
L‟incremento di un punto percentuale nella misura del capitale sociale, infatti, è associato con una
riduzione della litigiosità che va dal 5 per cento per i procedimenti della categoria “altro
contenzioso” e a più del 2 per cento per i procedimenti monitori e i risarcimenti dei danni da
circolazione35
. Al contrario, un aumento pari all‟1 per cento del rapporto tra avvocati e popolazione
è associato a un incremento del tasso di litigiosità pari all‟1,4 per cento per i procedimenti di
risarcimento danni da circolazione, all‟1 per cento per “altro contenzioso” e allo 0,8 per cento per i
procedimenti monitori36
. Le altre variabili di natura socio-economica non risultano sempre
significative e presentano segni diversi per le varie tipologie di ricorsi.
35 Ibidem. Quelle indicate sono materie rientranti nelle competenze del giudice di pace 36 Ibidem
Tabella 6 : Risultati regressioni OLS sui procedimenti civili.
Variabile dipendente (ln) : numero di procedimenti per 100.000 abitanti; in parentesi errori standard corretti per l‟eteroschedasticità;
*** p < 0:01, ** p < 0:05, * p < 0:1. Nelle colonne 3, 6 e 9 sono riportati i risultati delle stime ottenute restringendo il campione al 95
percentile della variabile dipendente.
Fonte : Banca d’Italia, 2011
L‟analisi condotta con riguardo alla litigiosità presso il giudice di pace fornisce, inoltre, una misura
di quanto alla mancanza di capitale sociale rilevata in alcune aree si accompagni anche un certo
grado di diffusione di comportamenti opportunistici orientati al principio del cosiddetto „azzardo
morale‟: una situazione cioè in cui il rischio di perdere è basso, mentre la probabilità di guadagnarci
elevata.
37 Risarcimento danni circolazione
38 Altro contenzioso
39 Procedimenti monitori
Valore
aggiunto
Capitale
sociale
Avvocati
Incidenti
Concentr.
territoriale
1
-0.655*
(0.359)
-0.025**
(0.011)
1.763***
(0.164)
-0.156
(0.171)
2
RDC37
-0.725**
(0.348)
-0.022**
(0.01)
1.393***
(0.164)
-0.552 **
(0.217)
0.001 **
(0.000)
3
-0.739**
(0.345)
-0.019**
(0.009)
1.241***
(0.143)
-0.294*
(0.174)
0.001***
(0.000)
4
0.492
(0.395)
-0.049***
(0.013)
0.998 ***
(0.183)
5
AC38
-0.566
(0.462)
-0.052***
(0.014)
1.091 ***
(0.22)
0.000
(0.000)
6
-0.267
(0.411)
-0.035***
(0.013
0.944 ***
(0.198)
0.001 *
(0.000)
7
1.103***
(0.246)
-0.019 **
(0.008)
0.763***
(0.142)
8
PM39
1.049***
(0.261)
-0.026***
(0.006)
0.784***
(0.132)
-0.001
(0.000)
9
0.96***
(0.225)
-0.021***
(0.006)
0.745 ***
(0.142)
-0.001
(0.000)
È, infatti, emerso a tal proposito che laddove vi è una più alta frequenza dei ricorsi riguardante, le
cause per incidenti stradali e quelle per opposizione alle sanzioni amministrative, non sempre si
registra, al contempo, un maggior numero di incidenti e multe comminate.
Anzi, spesso sembra accadere paradossalmente ed esattamente il contrario: l‟osservazione della
distribuzione territoriale concernente i due fenomeni (riferita all‟anno 2007) suggerisce che il
ricorso al giudice è sempre maggiore nel Meridione rispetto al Centro Nord, dove, però, si riscontra
un numero ben superiore sia di multe che di incidenti stradali. In altre parole, mentre le province più
interessate dai ricorsi di opposizione alle sanzioni amministrative si trovano prevalentemente nel
Centro Sud, l‟ammontare delle multe comminate sembra concentrarsi di più nelle regioni del Centro
Nord; allo stesso tempo, mentre gli incidenti stradali hanno maggiore diffusione al Centro Nord, i
ricorsi per risarcimento da circolazione sono più frequenti nel Meridione40
. Alcune città del Sud
costituiscono, tra l‟altro, dei veri e propri casi anomali.
Nel 2008, nelle province di Caserta e Napoli il numero di ricorsi OSA era pari rispettivamente a 94
e 42 per mille residenti; nel 90 per cento delle province italiane, invece, tale tasso era inferiore a 23
(ricorsi per mille residenti).Al fine di arginare l‟ondata di questi ricorsi, dal 1 gennaio 2010 è stato
introdotto il pagamento di un contributo di 30 euro per l‟avvio di una procedura di opposizione a
sanzione amministrativa di valore fino a 1.500 euro. I risultati in termini di diminuzione delle
opposizioni sono consistenti: confrontando i ricorsi del primo semestre del 2010 con quelli dello
stesso periodo dell‟anno precedente si assiste, infatti, ad una riduzione generalizzata (in media del
52 per cento). In particolare, drastiche diminuzioni si registrano proprio nelle sedi dove la
situazione presentava maggiori criticità. Ad esempio, in tre sedi della provincia di Caserta, il
capoluogo, Capua e Teano, il numero dei ricorsi è passato rispettivamente da 11.658 a 1.680, da
12.474 a 647, e da 8.458 a 28641
.
40 “La litigiosità presso i giudici di pace : fisiologia e casi anomali”, P. Fantini, S. Giacomelli, G. Palumbo, G. Volpe, in Questioni di
Economia e Finanza (Occasional papers) – Banca d‟Italia – No 92 , aprile 2011
41 Ibidem
È evidente che in numerosi casi l‟avvio di un procedimento è dovuto esclusivamente a strategie che
nulla hanno a che fare con la tutela dei diritti, se basta l‟imposizione di una tassa a scoraggiarlo.
Una maggiore concentrazione al Sud caratterizza anche la litigiosità relativa alla materia RDC e,
ancora una volta, spicca il dato delle province di Napoli e Caserta che nel 2008 raccoglievano il 47
per cento del totale dei nuovi ricorsi iscritti nell‟anno. Inoltre, mentre nel 90 per cento delle
province italiane tale tasso risultava essere inferiore a 5 per mille residenti, a Napoli e Caserta esso
assumeva valori pari rispettivamente a 34 e 20 (ricorsi per mille residenti)42
. Cifre superiori al Sud
rispetto al Nord emergono anche con riguardo ai procedimenti contenziosi di tipo AC.
In questo caso, nel 2008, le regioni a maggiore diffusione del fenomeno risultavano essere quelle
della Calabria e della Campania. La provincia con il tasso di gran lunga più elevato era Catanzaro
(43 procedimenti per mille residenti) seguita da Salerno e Benevento (16 procedimenti per mille
residenti). Relativamente ai ricorsi AC, segnali di anomalia possono rilevarsi anche in variazioni
improvvise e significative del numero di ricorsi sopravvenuti in un determinato ufficio.
Evidenze aneddotiche suggeriscono che tali variazioni spesso riflettano la proposizione di “cause
seriali” intentate in favore di una pluralità di soggetti (talvolta inconsapevoli) ed aventi ad oggetto
la medesima richiesta di risarcimento danni di assai modesta entità43
.
In tutti questi casi si assiste a dei veri e propri ricorsi “distorti” i cui effetti non solo sulla giustizia,
ma anche sull‟economia possono rivelarsi nefasti. Per quanto riguarda le cause rientranti nelle
competenze del giudice di pace, in particolare, si pensi alle ricadute che essi possono produrre sul
corretto funzionamento del mercato assicurativo derivanti dal contenzioso opportunistico in materia
di circolazione stradale, ovvero ai potenziali aggravi di costo sopportati dalle imprese operanti nei
settori (delle public utilities) a rischio di ricorsi “seriali” pretestuosi da parte della clientela per
presunte violazioni di clausole contrattuali44
.
42 Ibidem
43 Ibidem 44 Ibidem
Sono solo alcuni esempi di come un avvalersi degli strumenti giuridici di cui si dispone non per
rivendicare una tutela per un danno effettivamente ricevuto, bensì per scommettere sulla probabilità
di ricevere un indennizzo non dovuto possa alterare in maniera non indifferente i meccanismi che
stanno alla base sia del sistema giudiziario che di quello economico. Non a caso si tratta di una
componente della domanda di giustizia che viene definita dalla letteratura “patologica”45
, in quanto
dettata non dall'esigenza di risolvere una questione giuridica incerta, ma da altri interessi di ordine
speculativo46
.
Con tale aggettivo si è, originariamente, fatto riferimento alle cause contenziose di contenuto
puramente economico (proprietà e obbligazioni) nel contesto delle quali è stata rilevata l‟esistenza
di alcune importanti variabili suscettibili di incentivare comportamenti opportunistici di soggetti
che, pur sapendo di essere in torto, si fanno trascinare in giudizio per spuntare una transazione
favorevole, figurando tra queste variabili, peraltro, anche la lentezza della giustizia stessa47
.
Si ritiene, infatti, che la domanda patologica di giustizia risulta essere in relazione diretta con il
differenziale tra tasso di interesse di mercato48
e tasso di interesse legale49
e con la durata media dei
procedimenti; ed in relazione inversa con la quota di spese processuali che la parte perdente in
giudizio deve rifondere a quella vincente. Rispetto al differenziale tra i due tassi dipende, quindi, la
convenienza della parte in torto a dilazionare il pagamento dovuto e la capacità/volontà delle parti a
trovare un accordo, scelta questa che risulterebbe di gran lunga più vantaggiosa rispetto alla
decisione di ricorrere in giudizio.
45 Cfr. ,“Giustizia : tempi e interazioni con il sistema economico” D. Marchesi, da : Collana “I Temi dei Rapporti Trimestrali
dell‟ISAE”, estratto dal Rapporto Trimestrale “Priorità nazionali : intenzioni e risultati della regolamentazione”, Aprile 2001.
46 Ibidem
47 Ibidem
48 Il corso di un titolo obbligazionario è legato all'andamento dei tassi d'interesse di mercato per la divisa di riferimento. Ad un
aumento del livello dei tassi corrisponde, automaticamente, una diminuzione del prezzo dell'obbligazione. Al contrario, qualora i
tassi d'interesse scendessero, il valore di mercato dell'obbligazione salirebbe.
49 Il tasso d'interesse legale è il più alto tasso d'interesse consentito dalla legge nazionale e deve essere applicato ai contratti in cui
non è avvenuta una pattuizione differente. L'art. 1284 C.c. prevede che spetti al Ministro dell‟Economia e del Tesoro la facoltà di
stabilire con decreto l‟ammontare del tasso d‟interesse legale, tenendo conto del rendimento lordo dei titoli di Stato di durata non
superiore a dodici mesi e del tasso di inflazione registrato nell'anno.
In altri termini, un alto grado di imprevedibilità circa l‟andamento dei tassi di mercato, per il
periodo di durata della causa, introduce una elevata incertezza circa le previsioni della controparte
in merito alle perdite e ai guadagni legati all‟attendere la conclusione del giudizio, rendendo lo
spazio di contrattazione talmente ampio da precludere l‟accordo. Ciò spiega il motivo per cui in
molti casi le parti giungono ad un accordo, oppure una delle due abbandona la causa, durante il
procedimento, che però è stato comunque avviato. Infatti, col passare del tempo e con l‟avvicinarsi
del momento della conclusione della causa, l‟orizzonte temporale sul quale prevedere l‟andamento
dei tassi si riduce, le previsioni diventano più precise, si riduce lo spazio di contrattazione e i
termini di convenienza dell‟accordo o dell‟abbandono della causa si rendono chiari, favorendo la
scelta che pone fine alla causa. Diversamente non si spiegherebbe il patologico ricorso in giudizio
che, qualunque sia il risultato per le parti, aggiunge, per entrambe, lo svantaggio del costo delle
spese legali. L‟incidenza della durata attesa dei procedimenti sulla domanda patologica, nello
specifico, è soprattutto legata all‟effetto di amplificazione che essa produce sull‟incidenza del
differenziale tra i tassi d‟interesse legale e di mercato.
Dato il differenziale, ad una maggiore durata consegue un minor potere contrattuale della parte lesa,
in quanto quest‟ultima eleva il costo opportunità legato alla scelta di attendere la fine del processo,
col risultato di accrescere la probabilità che la parte in torto assegna all‟ipotesi di ottenere nel corso
dello stesso una transazione favorevole o l‟abbandono della causa da parte dell‟avversario, e di
incentivare la domanda patologica. Per un valore dato del differenziale, una maggiore durata
accresce, infatti, per la parte in torto la possibilità di dilazionare il pagamento.
Tra domanda e durata dei procedimenti esiste, dunque, una relazione di reciproca influenza, per la
quale ad un incremento della durata consegue un aumento della domanda che, data l‟offerta,
accentua la congestione del sistema e quindi causa un ulteriore incremento della durata e così via50
.
50 “Litiganti, avvocati e magistrati. Diritto ed economia del processo civile” D. Marchesi (Il Mulino, 2003)
La lentezza, pertanto, è un indicatore di inefficienza della giustizia, ma anche una causa di tale
inefficienza. Essa, cioè, è al contempo una variabile-causa e una variabile-effetto perché è
suscettibile di attivare un processo distorsivo che si autoalimenta51
e accresce il grado di
inefficienza del sistema giudiziario, intralciando, al contempo, il corretto funzionamento della
concorrenza nel mercato e producendo una perdita di efficienza nell‟intero sistema economico52
.
51 Ibidem
52 Ibidem
2.2 Gli effetti della lentezza dei procedimenti sulle imprese, tra nanismo e bassa natalità
Se vi sia una relazione diretta tra litigiosità e crescita economica e se tale relazione possa essere
definita positiva o negativa costituisce oggetto di dibattito all‟interno della recente letteratura
sviluppatasi intorno al tema. È difficile stabilire, infatti, se un incremento esponenziale delle cause
civili in un dato contesto possa essere considerato come indice di una proliferazione delle
transazioni, dovuta a sua volta ad un certo dinamismo commerciale ed economico, oppure sia
sintomo di una generale incapacità di adempimento delle obbligazioni e di un diffuso verificarsi di
casi concernenti il fallimento delle imprese. Secondo quanto sostenuto da alcuni autori53
, entrambi
le impostazioni teoriche possono essere avallate se le si accompagna ad una considerazione dei
fenomeni distinguendo tra il lungo ed il breve periodo. Sembra che una crescita economica di lungo
periodo sia correlata positivamente con la litigiosità, in quanto il contemporaneo aumento delle
transazioni economiche, dovute a loro volta ad una maggiore sottoscrizione di contratti (soprattutto
di lavoro) e ad un significativo ampliarsi del settore privato (diritti di proprietà), costituisce un
elemento favorevole al sorgere delle controversie. Al contempo nel breve periodo una diminuzione
del PIL pro capite può essere in grado di causare delle notevoli difficoltà nell‟adempiere agli
obblighi contrattuali, incentivando, quindi, il ricorso alla giustizia. Tuttavia, possono aversi dei
risvolti negativi per le prospettive di lungo periodo (decrescita) anche nel caso in cui la relazione
positiva tra litigiosità e crescita rimanesse stabile nel tempo.
53 Cfr., “Macroeconomic development and Civil litigation”, G. Clemenz and K. Gugler, European Journal of Law and Economics,
9:3; 215-230, 2000. Lo studio riporta il caso dell‟Austria in cui l‟esplosione della litigiosità ha coinciso con una notevole crescita
economica. Ciononostante viene affermato che “The long run positive and co-integrating relationship, however, should alarm policy
makers even more. On the one hand, if economic growth continues and if the co-integrating relationship is stable in the future,
additional resources will be needed by courts to cope with rising demand
for their services, on the other hand, in recessions (short run negative association), when opportunities to create wealth are lower,
returns to redistributive and rent seeking activities rise making them more attractive relative to wealth creating activities. This
potentially prolongs recessions. The long run association of civil litigation and economic growth may harm the long run growth
prospects of the economy… as rent-seeking sectors expand, the long run growth rate of the economy is diminished. To the extent that
litigious activity is mainly a redistributive activity as opposed to a „„productive‟‟ activity, a stable relationship between economic
growth and litigation implies an increase of rent seeking sectors relative to productive sectors as economies expand. Moreover,
inertia in the litigation process reinforces a once built-up level of litigation. This entails possible detrimental effects on long run
growth prospects.” p. 228
In tal caso prima o poi il lato “dell‟offerta” del servizio giustizia necessiterà di un intervento teso ad
una riqualificazione delle sue strutture di modo che possa essere meglio rispondente alla crescente
quantità di domanda che gli si rivolge, in altre parole, parte della spesa pubblica dovrà,
inevitabilmente, essere impiegata ai fini di un ampliamento dell‟organico appartenente al settore in
questione; mentre, le controtendenze precedentemente ravvisate che potenzialmente si verificano
nel breve periodo potrebbero produrre degli effetti sfavorevoli alla crescita di lungo periodo.
Definire una volta per tutte il tipo di correlazione intercorrente tra i due fenomeni risulta
complicato, in quanto a tal fine è necessario tenere in considerazione i numerosi altri fattori che
contestualizzano ogni diversa realtà in cui i suddetti si manifestano.
È possibile, invece, valutare il grado ed il tipo di influenza che la litigiosità esercita sul
funzionamento del sistema economico una volta assunta come una delle principali cause
determinanti la congestione della giustizia civile ed è esattamente il modo in cui, in questa sede, ci
si concentrerà sull‟analisi del caso italiano. Come suggerito dai dati empirici, ad alti tassi di
litigiosità corrisponde una non trascurabile incapacità dei tribunali italiani di porre una risoluzione,
in tempi ragionevoli, all‟ingente numero di cause a cui annualmente si ritrovano a dover far fronte,
immettendo spesso elementi di inefficienza anche all‟interno del mercato.
La lentezza della giustizia, infatti, ne compromette prima di tutto la concorrenzialità e produce
distorsioni assimilabili a barriere all‟entrata, incentivando comportamenti scorretti da parte degli
agenti economici. Un esempio è rappresentato dalla circostanza in cui le imprese già presenti sul
mercato che godono di buona reputazione, dovuta ad un puntuale adempimento degli obblighi
contrattuali lucrano sovrapprofitti a scapito di quelle entranti, che ancora non godono di alcuna
reputazione e sono considerati come potenziali contraenti più rischiosi, perché non possono fornire
assicurazioni rispetto all‟eventualità che si rilevino inadempienti.
La buona reputazione, però, per i potenziali acquirenti costituisce una forma di assicurazione
rispetto al rischio di dover affrontare l‟evenienza che la controparte non adempia e, dunque, rispetto
al rischio di trovarsi a sostenere i costi e ad attendere i tempi lunghi di un processo.
Poiché è una forma di assicurazione, per chi la detiene è possibile, quindi, chiedere un premio di
rischio, ossia un prezzo extra, che si aggiunge a quello corrispondente al valore del prodotto che
vende. Di fronte a questo stato di cose, alle imprese entranti non resta, invece, che rendersi attraenti
proponendo i loro prodotti a un prezzo più basso di quello praticato dalle imprese già presenti sul
mercato e con buona reputazione; un prezzo, cioè che non include la quota extra legata al premio di
rischio. La differenza tra i prezzi praticabili delle imprese incombenti e quelli possibili per le nuove
entranti, poiché rappresenta il premio di rischio, è tanto più elevata quanto più lunghi sono i tempi
della giustizia e quanto è più dispendioso ricorrervi. A parità di costi necessari a produrre un
determinato bene, la differenza dei prezzi praticabili, per lo stesso prodotto, dalle imprese
incombenti (con buona reputazione) e da quelle nuove entranti (senza reputazione) si traduce in
una differenza di tassi di sovrapprofitto per le due diverse categorie di produttori.
Differenze che hanno notevole influenza per tali produttori ai fini del calcolo di convenienza che
porta alla scelta di tenere o meno comportamenti opportunistici. Il livello di efficienza del sistema
giudiziario si può, dunque, annoverare tra le determinanti del livello del tasso di profitto, in un dato
sistema economico. Se il sistema giudiziario è inefficiente, il tasso di profitto che le imprese già
presenti sul mercato riescono ad ottenere è più alto. Nel paradigma di efficienza del funzionamento
del mercato è implicito, però, che gli scambi avvengano in condizione di parità di forza contrattuale
e che i costi di transazione siano nulli. Il costo di accesso alla giustizia e il tempo di attesa per la
risoluzione delle controversie, invece, incidono negativamente su questi due aspetti, influenzando
l‟efficienza dell‟equilibrio raggiunto dal mercato. Un‟elevata combinazione di costi privati e tempi
di definizione delle controversie si traduce in una perdita di benessere della collettività, ossia, il
maggior costo di transazione indotto dal sistema giudiziario sul sistema produttivo implica in molti
casi un rialzo dei prezzi o una perdita di qualità dei prodotti. Inoltre, una giustizia civile che
fornisce i propri esiti con eccessivo ritardo favorisce il prevalere di meccanismi informali per il
rispetto dei contratti, quali la già discussa buona reputazione e le relazioni di lungo periodo,
inducendo le imprese coinvolte in cause civili per inadempimento contrattuale della controparte a
preferire, nella maggior parte dei casi, la conclusione di accordi che spesso corrispondono a veri e
propri svantaggiosi compromessi per mezzo dei quali si rinuncia mediamente ad una quota
significativa (37%) della somma dovuta, pur di scongiurare le lunghe attese ed i significativi costi
processuali che l‟adire ai tribunali implicherebbe in tal caso54
.
L‟emergere di tali circostanze si trasforma, in definitiva, in un fattore che scoraggia l‟assunzione del
rischio da parte degli agenti economici impedendo, in molti casi, la possibile nascita di nuove
imprese55
. Una bassa natalità, unita ad una ridotta dimensione di queste ultime, caratterizza, infatti,
oggi più di ieri il sistema economico italiano rendendolo poco competitivo nel panorama
internazionale. Per le imprese di piccole dimensioni è più difficoltoso sostenere gli elevati costi fissi
connessi con l‟attività di ricerca e sviluppo, l‟innovazione e l‟accesso ai mercati esteri ed una loro
esclusiva presenza sul mercato limita, quindi, la capacità di evoluzione e l‟adeguamento ai tempi
dei processi produttivi56
.Un efficiente funzionamento del sistema giudiziario nel complesso ed in
particolare, della giustizia civile, sembra, invece, coincidere con dimensioni delle imprese più
ampie57
. Più precisamente, laddove quest‟ultima riesce ad imporsi come vero e proprio pilastro
dell‟economia di mercato, garantendo, quindi, una tutela compiuta dei diritti di proprietà, il rispetto
dei contratti ed una effettiva applicazione delle regole (law enforcement) vi è, al contempo, una
maggiore tutela dei creditori che favorendo, a sua volta, lo sviluppo delle strutture finanziarie,
riduce il costo del credito, il quale si configura come uno dei maggiori ostacoli alla nascita, così
54 Cfr., “Efficienza della giustizia civile e sistema economico”, G. Palumbo, Servizio Studi di struttura economica e finanziaria,
Banca d‟Italia, Giornata europea della giustizia civile, Roma, 27 ottobre 2009.
55 “Se la giustizia non aiuta le imprese”, M. Bianco, S. Giacomelli, www.lavoce.info, 26-10-2006
56 “Imprese italiane, dimensioni, ostacoli alla crescita, assetti di governance”, Magda Bianco, Banca d‟Italia.
57 Cfr., “What Determines Firm Size?” K.B. Kumar, R. G. Rajan, L. Zingales. L‟obiettivo dello studio è quello di indagare su come
fattori istituzionali (funzionamento della giustizia) e tecnologici influenzino la dimensione delle imprese ed al suo interno viene
sostenuto che “..countries that have better institutional development, as measured by the efficiency of their judicial system, have
larger firms. One way to interpret this finding is that firms in consulting and advertising, which are based on intangible assets such as
reputations, client relationships, or intellectual property, tend to be much bigger in countries with a better legal system because a
sophisticated legal system is necessary to protect these assets.”
come alla crescita delle imprese58
. Un contratto può essere siglato e svolgere con efficacia la sua
funzione quando esiste fiducia tra i contraenti dello scambio, prodotta dall‟esistenza di una giustizia
che dovrebbe svolgere principalmente due funzioni: minimizzare l‟incertezza e assicurare
l‟enforcement dei contratti. Quanto meno la giustizia è efficiente, tanto più alta e diffusa è la
sfiducia, tanto è più necessario spendere risorse e tempo nel cercare di ridurre l‟incertezza e
garantire l‟enforcement. In tale contesto il rischio è che si diffondano tra gli operatori
comportamenti che possono contenere rischi di riduzione dell‟efficienza nell‟allocazione delle
risorse, in particolare del credito59. In altre parole, un‟amministrazione lenta della giustizia civile
può avere conseguenze negative sull‟allocazione e sul costo dei flussi creditizi, con danni per le
famiglie, le imprese e le banche. Più le norme determinano scenari dagli esiti opachi e dalla durata
incerta, maggiore è il rischio che gli attori in gioco assumano condotte socialmente non ottimali: da
parte delle famiglie e delle imprese, l‟aumento dell‟incertezza peggiora in media le capacità di
scelta e incentiva l‟emergere di comportamenti o soggetti eccessivamente propensi al rischio, grazie
alla possibilità di un uso strumentale dei ritardi attesi e delle alee di discrezionalità del giudizio. Per
quanto riguarda le imprese, in particolare, le difficoltà ed i tempi per il pagamento dei crediti le
pongono spesso in situazioni di crisi di liquidità, stante le loro modeste dimensioni.
Molte aziende falliscono per mancanza di liquidità pur vantando crediti accertati di per sé sufficienti
a segnarne la ripresa. L‟impossibilità del recupero crediti60
mentre disincentiva le azioni legali al di
sotto di un certo ammontare, marca un vantaggio per i debitori, incentivando comportamenti non
virtuosi o illegali e una perdita di fiducia tra gli operatori economici.
58 “Efficienza della giustizia civile e sistema economico”, G. Palumbo, Servizio Studi di struttura economica e finanziaria, Banca
d‟Italia, Giornata europea della giustizia civile, Roma, 27 ottobre 2009.
59 ABI – Bocconi, “La giustizia civile è efficiente? Costi ed effetti per il mercato del credito, le famiglie e le imprese” I Rapporto del
Laboratorio ABI-Bocconi sull‟Economia delle Regole, a cura di Donato Masciandaro, Bancaria Editrice – 2000.
60 Si definisce pratica di recupero crediti l‟insieme degli atti, giudiziari o stragiudiziali, intervenuti dal momento in cui si è
manifestata l‟insolvenza del cliente al momento del recupero, anche parziale (o nullo) del credito. Una pratica di recupero crediti si
definisce efficiente se, in caso di liquidazione, garantisce il massimo valore di realizzo dei beni dell‟impresa minimizzando i costi di
transazione; mentre in caso di ristrutturazione, consente una rapida ristrutturazione dell‟impresa, associata, ove necessario, a un
cambio di controllo.
In linea generale, per efficienza giudiziaria all‟interno di un rapporto di credito s‟intende un
meccanismo istituzionale che, attraverso la minaccia dell‟applicazione di sanzioni tempestive,
determina un incentivo diretto a non mettere in atto comportamenti opportunistici.
In questi termini, quindi, eventuali carenze sotto il profilo dell‟efficienza, a titolo d‟esempio, i
ritardi nella chiusura dei fallimenti da parte dei tribunali, cioè, la lentezza nella definizione dei
criteri di ripartizione dell‟attivo, nonché nel risarcimento dei danni subiti dai finanziatori, si
riflettono in un indebolimento della credibilità della minaccia di interruzione del rapporto tra
creditori e debitori con la conseguenza di un aumento della probabilità di comportamenti
opportunistici da parte dei debitori stessi. Se i creditori, quindi, non sono certi della tutela del
proprio credito tenderanno a chiedere tassi di interesse più elevati o a concederne di meno (credit
rationing) anche in presenza di "buone" leggi e regole, in quanto l‟incertezza relativa alla loro
efficace applicazione riduce l‟accesso al mercato dei capitali degli investitori61
. Il tema dell‟attività
del recupero crediti appare rilevante anche per le banche, dal momento che si riflette sulla qualità
degli attivi bancari e quindi anche sull‟efficienza del sistema bancario nel suo complesso. Il
miglioramento della qualità degli attivi bancari dipende dai tempi e dai modi con cui le banche
riescono a collocare i crediti divenuti inesigibili. Modalità ed efficacia delle procedure dei recupero
crediti sono rilevanti sotto due profili: in primo luogo, esse concorrono a determinare l‟entità delle
perdite attese e, quindi, l‟onere del rischio di credito sopportato dalle banche.
A sua volta, l‟onere del credito è una delle variabili che determinano costo, ammontare concesso e
garanzie richieste per il finanziamento; in secondo luogo, i comportamenti delle banche per tutelare
le proprie ragioni creditorie possono avere significative ripercussioni sull‟esito delle crisi d‟impresa.
L‟insieme di questi fattori fa sì che i costi, in termini di benessere sociale di eventuali inefficienze
in tali procedure possano essere rilevanti62.
61 “La congestione della giustizia civile in Italia : cause ed implicazioni per il sistema economico”, F. Padrini, D. Guerrera, D. Malvolti, Ministero
dell‟Economia e delle Finanze, dipartimento del Tesoro, Analisi e Programmazione Economico Finanziaria, Note tematiche No 8, settembre 2009.
62 ABI – Bocconi, “La giustizia civile è efficiente? Costi ed effetti per il mercato del credito, le famiglie e le imprese” I Rapporto del Laboratorio
ABI-Bocconi sull‟Economia delle Regole, a cura di Donato Masciandaro, Bancaria Editrice – 2000.
Una ricerca del Laboratorio ABI-Bocconi sull‟Economia delle Regole (2000), per mezzo della
quale le regioni italiane sono state classificate secondo il grado di efficienza del sistema di governo
regionale della giustizia “percepito” dalle maggiori banche costituenti un campione di 875
rappresentative dell‟universo bancario nazionale, le cui principali variabili di efficienza e redditività
sono osservate su base annuale nel periodo 1990-97, ha evidenziato, innanzitutto, delle rilevanti
differenze tra Nord e Sud63
, in quanto le banche percepiscono e confermano nella loro operatività
non solo un livello generalmente non soddisfacente dell‟efficienza della giustizia civile, ma anche
picchi di inefficienza riscontrabili in alcune zone del Paese appartenenti all‟area meridionale, i quali
confermano l‟alto grado di eterogeneità caratterizzante i tempi della giustizia in Italia.
Sembra, dunque, che su tutto il territorio italiano la law sia uniforme, mentre può variare il grado di
law enforcement, nonché possono essere differenti le performance del sistema bancario, in un
contesto in cui la competitività del sistema Paese e dei suoi diversi distretti, si gioca sempre di più
con la dotazione delle infrastrutture volte alla definizione e alla salvaguardia dei diritti fondamentali
della persone e dell‟iniziativa economica64
. Lo stesso studio ha rilevato che in Italia gli indicatori di
inefficienza della giustizia, legati ai notevoli ritardi nelle procedure, si traducono in elevati costi per
tutti gli operatori influenzando la qualità del credito in termini di: innalzamento dei costi di
intermediazione; minore redditività degli intermediari finanziari; rigidità nei prodotti offerti dalle
banche e nei relativi processi; incentivo al frazionamento dei crediti che ostacola un rapporto banca-
impresa più intenso e stabile; richiesta di maggiori garanzie reali e personali ai debitori65
.
63 Nel Nord il giudizio di piena soddisfazione viene raggiunto con una certa tranquillità (42,1%) solo dal Trentino-Alto Adige. Tutte le altre regioni
non raggiungono per tale giudizio, il 20%. Il funzionamento della giustizia civile viene ritenuto sufficiente in Piemonte (51%), Valle d‟Aosta (43,8%), Veneto (48,3%), Friuli (75%), Emilia Romagna (44%). Nel Centro nessuna regione raggiunge il giudizio di piena soddisfazione con percentuali
significative; il valore più alto è appena il 7,7% per la Toscana. Il funzionamento della giustizia civile viene ritenuto sufficiente sempre con
percentuali non maggioritarie in Umbria (40%) dove si registra il valore più alto. Il giudizio di grave insufficienza viene registrato con qualche percentuale significativa: nelle Marche (33%) e nel Lazio (39%). Nel Mezzogiorno nessuna regione raggiunge il giudizio di piena soddisfazione; né
tantomeno si registra quello di sufficienza con percentuali significative: il valore più alto è il 22,2% per l‟Abruzzo e la Sardegna. Il funzionamento
della giustizia civile viene ritenuto insufficiente e con percentuali maggioritarie in Abruzzo (55,5%), Molise (58,8%), Basilicata (42,9%). Il giudizio di grave insufficienza viene registrato con percentuali preoccupanti in più regioni : Campania (55,6%), Puglia (50%), Calabria (66,7%), Sicilia (61%).
64 ABI – Bocconi, “La giustizia civile è efficiente? Costi ed effetti per il mercato del credito, le famiglie e le imprese” I Rapporto del Laboratorio
ABI-Bocconi sull‟Economia delle Regole, a cura di Donato Masciandaro, Bancaria Editrice – 2000.
65 Ibidem
Figura 21 : Relazione tra tempi dell'enforcement dei contratti (tempi del della giustizia civile) e disponibilità
del credito.
Fonte : Doing Business, 2012
Difficilmente, infatti, una piccola impresa riesce a diventare media senza ricorrere a risorse
finanziarie esterne, siano queste il credito da parte di una banca, o l'ingresso di nuovi soci nel
capitale. Perché il patrimonio dell'imprenditore che la guida, o della sua famiglia, raramente
consentono di fare il salto dimensionale. Ma una banca, o nuovi soci, saranno disposti a finanziare
l'azienda, e ad assumerne i rischi, solo in presenza di un sistema giudiziario sul quale possono fare
affidamento.
Cioè solo se, nel caso di una controversia con l'imprenditore che guida l'azienda, potranno far valere
i loro diritti di fronte ad un giudice ottenendo una sentenza equa in tempi ragionevoli. Se invece i
tribunali sono lenti e opachi, intrattenere rapporti creditizi o contrattuali con controparti poco
conosciute, come lo è una piccola impresa che sta cercando di crescere, diventa molto rischioso.
Ecco allora che credito e capitali affluiscono a chi già ha una storia ed è conosciuto nel mercato.
Alle imprese giovani e relativamente piccole vengono richieste garanzie reali di cui spesso non
dispongono. Questo limita l'espansione delle aziende.
Se poi, come spesso accade, i nuovi imprenditori sono anche i più giovani, ecco un altro motivo
della difficoltà che i giovani incontrano ad inserirsi nel sistema produttivo. Insomma, la lentezza e
la scarsa affidabilità della giustizia civile sono tra le ragioni, e le più importanti, del «nanismo»
delle aziende italiane66
. Naturalmente, le principali conseguenze economiche dell‟inefficienza della
giustizia non risiedono soltanto in un peggioramento delle condizioni di finanziamento, dato che i
creditori sono meno tutelati, ma anche in uno scoraggiamento della crescita dell‟occupazione a
causa dei costi e dell‟incertezza connessi, ad esempio, con la risoluzione delle controversie sui
rapporti di lavoro, con ulteriori ripercussioni negative sulle dimensioni d‟impresa67
.
Ad ogni modo, un‟analisi econometrica basata su 15 Paesi avanzati conferma le riflessioni
sviluppate, dimostrando che una riduzione della durata dei procedimenti in Italia, a livelli simili a
quelli del Paese che occupa la posizione mediana nel campione utilizzato dal suddetto studio,
produrrebbe in media un aumento di dimensione delle imprese del 60%68
Figura 22 : Durata procedimenti e dimensioni d’impresa Paesi avanzati
Fonte : Banca d’Italia, 2009
66 “Gli ostacoli alla crescita. Giustizia lenta, imprese piccole”, A. Alesina e F. Giavazzi, Corriere della Sera, 05-06-2011.
67 Cfr., “Dimensione d‟impresa ed efficienza della giustizia: evidenza dal tribunale del vicino”, S. Giacomelli e C. Menon, Tema di discussione n. 898, gennaio 2013, Banca d‟Italia. Scopo dello studio è quello di confrontare le dimensioni medie delle imprese, calcolate in termini di numero di
occupati, all‟interno di gruppi di Comuni contigui che si trovano sui due lati dei confini della giurisdizione dei tribunali. L‟ipotesi sottostante implicita
nel lavoro è infatti che i fattori non osservabili siano omogenei tra gruppi di Comuni contigui e che quindi l‟unico fattore che differisce sistematicamente tra Comuni situati sui due lati del confine della giurisdizione dei tribunali sia la durata dei processi. I risultati mostrano che la durata
dei processi civili ha un effetto negativo sulle dimensioni delle imprese manifatturiere. I coefficienti stimati inducono a ritenere che la riduzione
della durata dei processi possa favorire significativamente l‟accrescimento delle dimensioni medie delle imprese italiane. 68 Cingano e Pinotti, Banca d‟Italia, 2009
Lo stesso tipo di analisi svolto a livello provinciale69
in Italia mostra che a parità di altri fattori
(il grado di sviluppo dell‟area, la disponibilità di capitale umano, di infrastrutture materiali, di
"capitale sociale" e di finanziamenti) considerati nei valori medi, una giustizia più inefficiente è
effettivamente associata ad una minore natalità delle imprese, infatti, se il livello di efficienza
della giustizia crescesse di un ammontare pari alla differenza tra le province con l‟apparato
giudiziario meno efficiente e più efficiente, il tasso di natalità delle imprese crescerebbe di
circa tre quarti di punto percentuale. Allo stesso tempo e con riguardo alle dimensioni, la
differenza di efficienza della giustizia civile (durata procedimenti) tra la provincia meno e
quella più efficiente si traduce in un differenziale di fatturato mediano pari a 60 milioni di euro.
Figura 23 : Durata procedimenti e dimensioni d’impresa regioni italiane
Fonte : Banca d’Italia, 2004
69 Bianco e Giacomelli, Banca d‟Italia, 2004
In definitiva, i vantaggi derivanti da un sistema giudiziario efficiente sono chiari ed evidenti ed
affrontarne le disfunzioni produrrebbe benefici significativi per l‟economia nel suo complesso.
Una tempestiva risoluzione delle controversie emergenti tra gli agenti economici, nonché
procedure giudiziarie, in generale, più efficaci contribuirebbero a determinare un clima di fiducia
che costituisce uno dei presupposti essenziali per lo sviluppo del sistema economico e finanziario.
Diversi altri fattori vanno affrontati congiuntamente ed in modo organico a riguardo,
soprattutto nel momento attuale, il quale rappresenta un‟occasione irrinunciabile per intervenire, dal
momento che le conseguenze potrebbero diventare gravi se unite agli ulteriori negativi effetti
prodotti dalla crisi.
2.2 Efficienza, rapidità e pragmatismo : la giustizia che sa attrarre gli investimenti
Un‟elevata qualità dell‟enforcement e, quindi, del sistema giudiziario nel complesso, come già
accennato, ha ampi effetti anche sul mercato azionario ed obbligazionario, dal momento che
l‟investitore (specie se esterno) che percepisce una maggiore tutela dal punto di vista legale, sarà
più propenso ad investire in impresa in maniera diretta (sotto forma di capitale di rischio o di
debito) rispetto a colui che intravede minore certezza e trasparenza nella salvaguardia dei propri
diritti70
.
Sotto questo aspetto è stato ravvisato un ulteriore elemento che sembra alimentare negativamente
la ritrosia degli investitori, cioè, una bassa qualità (corrispondente ad un‟eccessiva quantità) della
legge. A scoraggiare la volontà d‟investire non vi è, dunque, solo il timore di essere coinvolti in
procedimenti giudiziari i cui tempi si estendano oltre il massimo tollerabile, ma anche quello di
rimanere ingarbugliati nella trappola tesa da incomprensibili e difficilmente interpretabili lacci e
lacciuoli legislativi. L‟eccessiva quantità delle leggi, la complessità e la farraginosità della
legislazione, l‟oscillazione eccessiva e la contraddittorietà della giurisprudenza, (cd. fenomeno di
“inquinamento normativo”) costituiscono senza dubbio fattori che generano incertezza del diritto e
conseguenti perdite significative per il sistema economico nel complesso, costi aggiuntivi per il
singolo operatore economico, in quanto può essere indotto a sostenere costi elevati per il
pagamento di consulenze giuridiche, e situazioni di asimmetria informativa, di cui la forte
espansione del contenzioso civile è una conseguenza71
. Si può affermare, infatti, con non troppa
esitazione che un quadro giuridico sovrabbondante ed instabile che accresce i costi di
apprendimento e adeguamento alle regole da un lato disincentiva gli investimenti e, dall‟altro,
favorisce la litigiosità72
.
70
ABI – Bocconi, “La giustizia civile è efficiente? Costi ed effetti per il mercato del credito, le famiglie e le imprese” I Rapporto del Laboratorio
ABI-Bocconi sull‟Economia delle Regole, a cura di Donato Masciandaro, Bancaria Editrice – 2000.
71 “La congestione della giustizia civile in Italia : cause ed implicazioni per il sistema economico”, F. Padrini, D. Guerrera, D. Malvolti, Ministero
dell‟Economia e delle Finanze, dipartimento del Tesoro, Analisi e Programmazione Economico Finanziaria, Note tematiche No 8, settembre 2009.
72 “Imprese italiane, dimensioni, ostacoli alla crescita, assetti di governance”, Magda Bianco, Banca d‟Italia.
Figura 24 : Relazione tra giorni necessari a ottenere l'enforcement (tempi della giustizia civile) e investimenti.
Fonte : Doing Business, 2012
Anche da questo punto di vista, come per la lunga durata dei procedimenti e gli alti tassi di
litigiosità, l‟Italia si distingue dagli altri paesi europei per il più alto stock di leggi vigenti e per
una quantità eccessiva di leggi prodotte73
.
Figura 25 : Stock di leggi prodotte
Fonte : Palumbo, 2008
73 Ibidem
Figura 26 : Produzione legislativa
Fonte : Palumbo, 2008
Il che altro non genera che l‟allontanamento degli investitori esterni dalle nostre imprese, i
quali preferiranno dirigersi, inevitabilmente, verso mercati i cui sistemi normativi che li
regolano sono caratterizzati da un numero di leggi di gran lunga più inferiori, ma nella
maggior parte dei casi più facilmente interpretabili, ed in cui un alto grado di formalismo
giuridico viene sostituito da un più apprezzato e diffuso pragmatismo.
A confermare, da un punto di vista empirico, tale tendenza è uno studio74
che dimostra come
nei paesi in cui vi è una scarsa protezione dell‟investitore, misurata sia dal tipo di legislazione,
sia dalla qualità dell‟enforcement, i mercati capitali, azionari ed obbligazionari, risultano
meno sviluppati. In particolare, gli autori concentrano la loro analisi sulle due principali
famiglie di sistemi legali, ossia Common law (paesi di origine anglosassone) e Civil law
(diffusa nei paesi che subirono le conquiste napoleoniche, tra cui l‟Italia), le quali si
differenziano, rispettivamente, per una legislazione di dettaglio in un caso minore e nell‟altro
nettamente superiore.
74 “The Economic Consequences of Legal Origins”, R. La Porta, F. Lopez-de-Silanes, A. Shleifer, Journal of Economic Literature 2008, 46:2,
285–332
I risultati del lavoro (1996) hanno dimostrato la maggiore propensione da parte del sistema di
common law a garantire la tutela degli interessi di azionisti e creditori verso l‟espropriazione
da parte degli insiders, al contrario del sistema di civil law francese che offre, invece, una più
scarsa salvaguardia per le due categorie di investitori esterni.
Un secondo aspetto evidenziato è il fatto che nei paesi ove la tutela degli investitori è carente
sono presenti più elevate forme di concentrazione del mercato. L‟idea di fondo (che ha
stimolato tale ricerca) è quella per cui vi dovrebbe essere una relazione tra la tutela offerta da
taluni sistemi legislativi ad azionisti di minoranza ed obbligazionisti e l‟entità dei
finanziamenti ricevuti dalle aziende nei paesi ove vigono questi sistemi.
Nei paesi in cui vige un sistema di common law è garantito un migliore accesso al
finanziamento proveniente dagli outsider, rispetto ai sistemi di civil law francese ed anche
l‟indicatore di tutela degli azionisti e degli obbligazionisti risulta più elevato nei paesi
appartenenti alla tradizione anglosassone. Non a caso il secondo cruciale risultato di questa
ricerca è proprio il fatto che nei paesi ove vi è una migliore tutela dei diritti di azionisti e
creditori i mercati dei capitali sono decisamente più sviluppati; in particolare risulta marcata
la differenza tra la tradizione di common law e quella di civil law francese.
In un sistema di perfetto enforcement probabilmente i benefici della flessibilità
compenseranno i rischi derivanti dall‟uso di regole di carattere statutario, mentre laddove
l‟enforcement presenta delle carenze, leggi semplici e restrittive, che richiedono uno sforzo
ridotto per essere eseguite, possono risultare più efficaci. Imprese appartenenti a paesi ove vi
siano un vivace mercato azionario e un efficiente sistema di enforcement ottengono più
facilmente finanziamenti esterni a lunga scadenza e sono in grado di crescere in maniera
stabile e a tassi superiori. Nelle economie aventi le suddette caratteristiche i profitti delle
imprese e il rendimento del capitale proprio risultano inferiori rispetto ai livelli registrati in
paesi meno sviluppati, evidenziando un minore grado di distorsione e quindi di maggiore
efficienza75
. A motivare l‟anomalia italiana non è certo, però, solo la questione riguardante la
nostra tradizione giuridica, in quanto, come sarà stato possibile notare attraverso i grafici
precedentemente riportati, gli squilibri caratterizzanti la nostra situazione si palesano anche
nel confronto con gli altri paesi europei ai quali pure appartengono sistemi normativi di Civil
law (es., Francia e Spagna).
Da molti anni, infatti, le leggi in Italia sono farraginose ed instabili e gli ostacoli che queste
possono generare non riguardano solo gli investitori ma anche gli altri operatori economici,
quali i cittadini e le imprese che, in un simile contesto, difficilmente riescono a prevedere le
conseguenze delle loro azioni e le loro iniziative economiche risultano frenate, mentre si
diffondono la corruzione e l‟economia sommersa a tutto vantaggio dei disonesti.
Ridurre gli oneri amministrativi e realizzare una reale semplificazione della normativa
sarebbero, quindi, gli obiettivi prioritari da perseguire. La semplicità è la prima garanzia di
efficacia dell'intervento pubblico nell'economia. Dovrebbe essere il criterio fondamentale per
sceglierne le forme76
. L‟inflazione normativa, il caos legislativo, il sovrapporsi di regole
confuse, ridondanti e contraddittorie, incentivano, invece, l‟illegalità, reprimono lo spirito di
iniziativa e la capacità di impresa, limitano la libertà e la creatività delle persone, sconcertano
i cittadini onesti, mentre producono vantaggi competitivi per i disonesti.
Essi riducono, complessivamente, la competitività delle imprese italiane, scoraggiando gli
investimenti stranieri, ritardando i tempi delle decisioni amministrative, riducendo la capacità
delle pubbliche amministrazioni di erogare servizi di buona qualità e di realizzare le
infrastrutture necessarie alla crescita del Paese.
75 ABI – Bocconi, “La giustizia civile è efficiente? Costi ed effetti per il mercato del credito, le famiglie e le imprese” I Rapporto del Laboratorio
ABI-Bocconi sull‟Economia delle Regole, a cura di Donato Masciandaro, Bancaria Editrice – 2000.
76 S. Rossi da “l‟Huffington Post”, 22-03-2014
Semplificare la regolazione è, insomma, una delle condizioni indispensabili per fare dell‟Italia
un vero Paese moderno77
e a ricordare tale necessità non tardano neanche alcuni indicatori
internazionali.
Gli indicatori della Banca Mondiale in materia di governance suggeriscono che l‟Italia è,
effettivamente, debole quando si tratta di mettere in pratica le misure e di farle realmente
rispettare78
. È quindi legittimo pensare che esista un divario più ampio in Italia che negli altri
Paesi tra i principi legislativi che regolano le attività economiche e la loro concreta attuazione,
o almeno le percezioni di tale attuazione. Il numero di leggi approvate ad oggi è diminuito,
ma i testi sono più lunghi e spesso approvati tramite decreto legge con effetto immediato e ciò
comporta un ruolo meno importante del parlamento nell‟esame e nella redazione dei testi
legislativi. Il ricorso ai decreti legge dovrebbe essere riservato alle misure molto urgenti, in
quanto, in condizioni più normali, può portare ad aggirare le procedure della buona
governance. Sia le misure urgenti che le questioni complesse, ad esempio, sono esonerate
dall‟obbligo di procedere alle valutazioni dell‟impatto della regolamentazione79
.
Le leggi sono spesso difficili da interpretare e le direttive del parlamento per la redazione dei
testi normativi sono spesso ignorate. Uno studio del Centro studi Confindustria80
fornisce
orientamenti volti a migliorare la qualità della legislazione : evitare i cambiamenti normativi
troppo frequenti senza averne valutato l‟impatto e analizzato i costi; rispettare direttive
coerenti per una redazione delle leggi in un linguaggio chiaro e semplice; procedere ad una
codificazione volta a riunire in testi unici e coerenti le leggi eterogenee che regolano settori o
attività specifiche; promuovere una “legislazione flessibile”, che contenga direttive ma lasci
spazio ad un‟interpretazione dettata dal buon senso, invece di prescrizioni eccessivamente
complicate, fare in modo che la legislazione e la regolamentazione siano facilmente
77 “Soffocati da troppe leggi”, F. Bassanini, in L‟Unità, 13-04-2008
78 World Bank, 2012; World Justice Project, 2012
79 OECD, 2012
80 Clarich and Mattarella, 2011
accessibili al pubblico tramite Internet; favorire un buon coordinamento tra le regioni per
garantire la coerenza dei testi e favorire il rispetto dello spirito della legge e procedere a un
esame periodico delle regolamentazioni dei diversi settori per valutarne l‟efficacia e il
rapporto tra costi e risultati81
. I deficit di cui l‟Italia soffre sotto questo punto vista si vanno ad
aggiungere a quelle altre debolezze strutturali a causa delle quali, la crisi globale in corso, pur
se originata all‟estero, ha avuto effetti molto pesanti, scatenando la peggiore recessione degli
ultimi decenni. Secondo l‟indice di competitività del World Economic Forum (WEF) l‟Italia
si classifica al ventunesimo posto tra i 27 stati membri dell‟Unione Europea, riconoscendo
che il potenziale italiano non è pienamente espresso a causa dei bassi livelli di concorrenza,
delle regolamentazioni onerose e della burocrazia superflua ed inefficiente82
.
È per questo motivo, infatti, che già dal 2005 con il decreto “Taglia leggi” sono state abrogate
circa 200.000 disposizioni legislative statali. L‟effetto della semplificazione non è stato
immediatamente visibile, ma abrogando queste disposizioni dal corpo di leggi potenzialmente
rilevanti, il processo ha alleggerito il carico che pesava sui tribunali che devono interpretarle e
sulle aziende e i cittadini che dovevano rispettarle, riducendo probabilmente la necessità di
ricorrere agli avvocati83
.
Allo stesso scopo sono stati messi a punto negli anni più recenti (2011/12) quattro piani
d‟azione nazionali (“Salva Italia”84
, “Cresci Italia”85
, “Semplifica Italia”86
e “Piano di Azione
Coesione”87
) per far fronte alle debolezze strutturali, eliminare la burocrazia inutile e creare
un ambiente più favorevole per l‟imprenditoria e sbloccare la competitività.
81 Studi Economici dell‟OCSE, Maggio 2013
82 Doing Business in Italia, 2013
83 Studi Economici dell‟OCSE, Maggio 2013 84 Decreto Legge n. 201/2011, convertito in legge n. 214/2012.
85 Decreto Legge n. 1/2012, convertito in legge n. 27/2012.
86 Decreto Legge n. 5/2012, convertito in legge n. 35/2012 87 Il “Piano di Azione Coesione” è stato sviluppato in collaborazione con la Commissione Europea a seguito dell‟Area meeting del 26 ottobre 2011.
In particolare, con i decreti “Cresci Italia” e “Semplifica Italia” si è voluto sostenere
l‟imprenditoria privata; facilitare l‟accesso ai mercati; creare un ambiente più propenso agli
investimenti nazionali ed esteri; promuovere l‟innovazione, l‟efficienza e la trasparenza nella
Pubblica Amministrazione ed accelerare l‟adozione delle tecnologie dell‟informazione e della
comunicazione.88
A partire dal 2005, insomma, grazie a questa serie di importanti riforme, in
Italia le regolamentazioni, specie quelle riguardanti le imprese, stanno migliorando.
Alcuni risultati mostrano che in diversi indicatori l‟Italia si stia avvicinando ai Paesi con le
regolamentazioni più efficienti. I miglioramenti più incisivi sono stati fatti nelle aree di avvio
all‟impresa, pagamento delle imposte e risoluzione delle dispute commerciali89
.
L‟auspicio è, dunque, quello di continuare ad assistere alla realizzazione di interventi concreti
e saggi come questi, affinché il potenziale produttivo italiano possa emergere e svilupparsi in
maniera sana e compiuta nel rispetto dei diritti e di quei parametri di crescita non più
trascurabili.
88 Doing Business in Italia, 2013
89 Ibidem
2.2 Il difficile rapporto tra tutela dei diritti e competitività in Italia
“Competitività è una parola che ha molteplici significati e, ancor più, è osservabile sulla base di
numerosi indicatori. Si potrebbe assumere il tasso di crescita, di sviluppo di un paese come un
buon indicatore di competitività, utile da osservarsi nel tempo, nelle determinanti dei suoi
mutamenti, in quanto dà conto, in sintesi, di tutti gli altri fattori che definiscono la competitività.
L'economia italiana, da più anni, cresce ad un tasso mediamente basso, molto più basso di quello
che aveva raggiunto negli anni della ricostruzione e del miracolo economico, addirittura più
basso di quello raggiunto negli anni settanta, il decennio delle grandi crisi. La decelerazione
dello sviluppo italiano è stata continua negli ultimi cinquant'anni; negli anni novanta il tasso
medio di crescita del PIL si è aggirato intorno all'1%.
Le analisi convergono sulle sue origini: un difetto di produttività, di quella componente che gli
economisti chiamano produttività totale dei fattori, una componente non direttamente attribuibile
né al capitale umano né al capitale fisico impiegati nella produzione, ma alla tecnologia,
all'organizzazione d'impresa, alla capacità imprenditoriale.
La produttività totale dei fattori non si è sviluppata negli anni recenti agli stessi tassi con i quali è
aumenta negli anni settanta e ottanta, inoltre è risultata inferiore rispetto a quella di altri paesi
simili all'Italia. C'è una vasta letteratura sulle determinanti delle differenze tra paesi nella
produttività totale dei fattori. Molti studi hanno elaborato modelli di crescita che si concentrano
sui fattori endogeni d'impresa, quali la dimensione d'impresa e il grado di innovazione
tecnologica dei processi produttivi, altri su fattori esogeni, quali l'efficienza dei mercati
finanziari e l'ambiente normativo del paese. L'aspetto più rilevante di queste differenze è la loro
entità: se si guarda al livello di total factor productivity di un paese ricco e di uno povero si nota
che la differenza è dell'ordine di uno a dieci.
Le teorie tradizionali della crescita non riescono a dare conto di queste differenze. Per spiegarle i
modelli di crescita tradizionali sono stati emendati per far spazio al loro interno a variabili
normalmente trascurate dalla teoria economica.
Si tratta di quel complesso di variabili definibili come "istituzionali", che interagiscono con il
funzionamento dell'economia perché, ad esempio, facilitano l'esecutività dei contratti quando la
protezione formale dei diritti di proprietà è imperfetta o comunque limitata.
Queste variabili hanno un ruolo importante nello spiegare differenze tra paesi nei livelli della
produttività totale dei fattori, anche se evolvendosi lentamente nel tempo incontrano qualche
difficoltà nello spiegare le differenze nei tassi di crescita della produttività totale dei fattori.
Una delle ragioni per cui il Paese sperimenta un processo di rallentamento economico, di
regresso produttivo e di bassa crescita è la sua ridotta capacità di innovare.
Vi possono essere varie ragioni, varie limitazioni e ostacoli che agiscono in questo senso. Capire
se e in quale misura ciascuno di questi ostacoli sia operativo è particolarmente importante,
perché ognuno richiede interventi diversificati.
In primo luogo, può essersi ridotta la capacità delle imprese di produrre nuove idee, in secondo
luogo può essersi attutita la capacità di valutare il potenziale imprenditoriale legato alle nuove
idee. È anche ipotizzabile che l'avversione al rischio delle generazioni imprenditoriali più recenti
sia più alta rispetto a quelle del passato e questo non perché gli imprenditori italiani siano nati
più avversi al rischio, ma semplicemente perché operano in un contesto in cui addossarsi il
rischio è più costoso: i costi di fallimento sono più elevati, con conseguente attuazione di
comportamenti razionali rispetto a uno stato del mondo ad alto tasso d'incertezza e con alti costi
di fallimento rispetto alle probabilità di profitto. Tra gli ostacoli all'innovazione che possono
essere diventati più rilevanti occorre menzionare i costi di inizio attività e, in generale, la
presenza di barriere regolamentari su cui si è precedentemente riflettuto.
Le diverse forme di regolamentazione, che siano imposte per l'avvio d'attività, che gravino sulle
procedure interne d'impresa e sulle relazioni esterne che l'impresa intrattiene con il Sistema
Paese oppure che caratterizzino le stesse procedure di fallimento delle imprese, determinano,
singolarmente considerate, costi fissi non recuperabili e complessivamente considerabili come le
perdite economiche non contabilizzate, risorse certamente vitali per un'economia come quella
italiana. La competitività, dunque, non dipende soltanto dalle capacità degli imprenditori e dei
lavoratori, ma anche da una serie di fattori strutturali ed istituzionali che definiscono il sistema in
cui l'impresa agisce. È, infatti, improbabile che le cause del “declino” economico di un paese
siano solo puramente economiche. Di norma, l'economia di un paese che si allontana in modo
persistente dalla frontiera dello sviluppo è sintomo di un declino avanzante su più fronti.
È sia declino istituzionale sia declino economico. Sebbene il rapporto di causalità tra queste due
dimensioni sia difficile da stabilire e da identificare, non è inverosimile pensare che il primo
possa essere all'origine del secondo”90
.
È da simili premesse, infatti, che si è voluta sviluppare tale analisi sulle conseguenze economiche
prodotte da uno scorretto funzionamento della giustizia civile in Italia, conseguenze che si
riverberano su tutta quella collettività di cui le imprese fanno, inequivocabilmente, parte.
“Troppo spesso, infatti, si consuma un abuso ideologico che porta a considerare le attività
produttive tout court come proprietà dell'imprenditore, dimenticando, intenzionalmente o meno,
che le imprese che maggiormente risentono delle inefficienze da regolazione sono proprio quelle
di minori dimensioni, a conformazione familiare, che appartengono a un indotto economico e
che esse stesse generano un indotto economico dal quale dipende il benessere di molti altri
individui, siano essi lavoratori dipendenti, professionisti, pubbliche amministrazioni o di nuove
imprese. Le ricadute economiche da inefficienza della giustizia civile, insomma, gravano sulle
imprese, oltre che certamente sui singoli.
90 “Ritardi della giustizia civile e ricadute sul sistema economico. Costi della giustizia rilevanti per il sistema delle attività produttive” Istat, 2006
Sulle prime, che si trovano costrette a operare in contesti normativi incerti, nei quali aumentano
il numero di variabili che agiscono negativamente sulla famosa efficienza totale dei fattori
produttivi che sarebbe all'origine del difetto di competitività del Paese Italia; sui secondi, che non
sempre hanno modo di fare rispettare, fino in fondo e in tempi accettabili, i propri diritti civili”91
.
Tuttavia, c‟è chi sostiene che l‟amministrazione della giustizia non debba essere intesa solo
come “macchina” costruita e utilizzata per produrre il servizio, ma prima ancora come funzione
essenziale dello Stato, insopprimibile ed insostituibile della società civile; pertanto, il “servizio”
giustizia non deve essere considerato alla pari di un servizio commerciale o industriale, dal
momento che i tribunali non sono imprese e la macchina della giustizia non deve assicurare
redditività, ma solo amministrare, cioè, dispensare la giustizia.
In altre parole, ciò che viene rivendicato è che la giustizia non sia riconducibile (soltanto) a
categorie economiche92
. Secondo impostazioni teoriche analoghe, la stessa litigiosità dovrebbe
essere rivalutata in un‟ottica positiva, in quanto alti tassi ad essa relativi più che di un‟alta
conflittualità sociale, sarebbero, piuttosto, indice di una maggiore consapevolezza dei diritti e
delle procedure tramite cui questi possono essere azionati in giudizio in virtù della relativa tutela
da parte della società civile nel complesso93
. È deducibile, quindi, che le ragioni poste alla base
della competitività economica, che fanno riferimento a valori quali la rapidità e l‟efficienza, si
contrappongano diametralmente a quelli su cui, invece, si basano i meccanismi procedurali tesi a
garantire la tutela dei diritti? Le prerogative del mercato sono, insomma, ancora una volta così
inconciliabili con quelle delle istituzioni e della società? In definitiva, esigere una piena ed
effettiva tutela dei propri diritti confligge o va di pari passo con le necessità emergenti,
attualmente, dal sistema delle attività produttive? Probabilmente alcune valide risposte a questi
interrogativi possono essere rintracciate nei punti più salienti dell‟analisi fin qui condotta.
91 Ibidem 92 “Efficienza economica e amministrazione della giustizia”, Introduzione alla Tavola rotonda “Giustizia civile ed economia. Gli avvocati italiani per
la ripresa”, G. Alpa, Roma, 15 luglio 2011 Camera dei Deputati - Palazzo Marini. 93 Cfr., “The Day After the Litigation Explosion”, M. Galanter, Maryland Law Review, 10-11-2012.
È stato evidenziato, infatti, che a determinare la congestione della giustizia civile italiana sia
soprattutto un eccesso di domanda (litigiosità), la quale, a sua volta, sembra composta, in una
gran parte di casi, da ricorsi alla giustizia ingiustificati sotto il profilo della tutela giuridica, ma
motivati da intenzioni opportunistiche.
Il funzionamento della giustizia viene, insomma, minato alla base nel momento in cui il ricorso
ad essa risulta distorto ed orientato allo sfruttamento del contenzioso per il raggiungimento di
secondi fini. Il prevalere di questi atteggiamenti, inevitabilmente, genera delle ricadute negative
sul sistema giudiziario stesso prim‟ancora che sul sistema economico, impedendo a potenziali
ricorrenti che avrebbero, invece, un interesse reale da far valere di ottenere le risoluzioni attese in
tempi ragionevoli. In un secondo momento, sono state valutate le implicazioni di tipo
esclusivamente economico generate da tale stato di cose, ed è stato rilevato, in estrema sintesi,
che è proprio laddove vengono disattese le aspettative di una effettiva ed efficace applicazione
del diritto che al contempo si verificano distorsioni della concorrenza, e quindi, del mercato.
Evidentemente le esigenze che vengono fatte presenti sul piano del diritto non differiscono
molto da quelle attualmente espresse dal punto di vista economico. Si ritiene, quindi, che rendere
la giustizia civile efficiente non significherebbe affatto degradarla ad una semplice macchina
amministrativa, bensì restituirebbe dignità a tale essenziale funzione dello Stato, dal momento
che solo così riuscirebbe ad essere, da un lato meglio rispondente rispetto alle esigenze
presentatagli, di volta in volta, dai cittadini e dall‟altro finalmente aderente a quanto disposto dal
contenuto di diritti fondamentali quali gli artt. 6 CEDU e 111 della Costituzione italiana.
A tal fine, naturalmente, lo sforzo non dovrebbe provenire solo da parte delle istituzioni, ma in
modo particolare dai cittadini-utenti italiani, ai quali spetta, in generale, di ricostruire il proprio
approccio con il diritto e le regole. “Il corretto funzionamento di un‟economia di mercato si
fonda, esso stesso, sulla previsione di regole e dalla garanzia dell‟osservanza comune di queste
regole del gioco. Si afferma spesso, a questo proposito, che la norma ha funzione di regolazione
dell‟economia e che un presupposto essenziale del funzionamento del sistema di economia di
mercato è l‟esistenza di un complesso coerente di norme che stabiliscono la composizione degli
interessi, spesso contrapposti, dei singoli individui o dei gruppi in cui si articola la società,
nonché la dinamica delle attività di produzione e di scambio.
Queste regole definiscono l‟appartenenza dei beni ed in concreto le posizioni di partenza degli
individui e dei gruppi sociali, la sostanza e le finalità di base dell‟ordinamento giuridico e,
quindi, l‟affermazione di una regola che imponga divieti e restrizioni al comportamento degli
operatori pubblici, delle imprese e delle famiglie e che stabilisca obblighi di comportamento
cooperativo a favore di altri soggetti”94
.
Situazioni come quelle finora analizzate (elevati tassi di litigiosità, durata eccessiva dei
procedimenti, problematiche relative al drafting legislativo) rendono, invece, difficile sia
l‟imposizione che il rispetto di tali regole, in quanto tendono a ridurre il grado di certezza del
diritto. “In linea generale, per certezza del diritto s‟intende che, in una data situazione o al
verificarsi di determinati presupposti, il soggetto interessato possa fare affidamento, in base ad
una regola dotata di sufficiente chiarezza, sull‟esistenza di un divieto o proibizione o di un
obbligo giuridico e del correlativo diritto. Il soggetto, quindi, può considerare con adeguato
livello di affidabilità, l‟acquisizione della disponibilità di un bene o di un valore prevista dalla
norma. Il nocciolo della certezza del diritto è, quindi, dato dalla definizione accettabile della
norma da applicare e dal contenuto chiaro ed univoco della norma stessa. Essa, peraltro, non
esclude l‟insorgere di divergenza di pretese, di conflitti o di controversie sia informali che nelle
vie giurisdizionali. Ma esiste, date certe premesse, una previsione attendibile in ordine all‟esito
delle controversie stesse.”95
L‟incertezza del diritto, d‟altro canto, come è stato sottolineato già
nei paragrafi precedenti, è spesso fonte di diseconomie derivanti da espansione del contenzioso,
poiché determina situazioni di elevata asimmetria informativa.
94 “La perdita della certezza del diritto: riflessi sugli equilibri dell‟economia e della finanza pubblica”, F. Zaccaria, Società italiana di economia
pubblica, XV conferenza. Pavia, Università, 3 - 4 ottobre 2003 95 Ibidem
“E‟ possibile, infatti, che la conoscenza della situazione giuridica e dell‟interpretazione della
norma di legge sia distribuita in modo diseguale fra le parti di un contratto o di un rapporto
giuridico.
Ne deriva il venir meno delle condizioni che qualificano l‟assetto del sistema concorrenziale che,
com‟è noto, deve essere caratterizzato dal pieno ed eguale accesso alle informazioni da parte dei
partecipanti al gioco economico e quindi dalla piena conoscenza delle condizioni. Al contempo e
per questi stessi motivi, l‟incertezza di una situazione giuridica può essere considerato come un
fattore di incremento dei costi di transazione. Quando le parti pervengono ad una transazione
devono sostenere alcuni costi non riconducibili ai normali fattori (materie prime, personale
dipendente) ma strettamente dipendenti da fatti inerenti alla transazione stessa; alcuni di questi
costi (costi di transazione ex ante) intervengono prima che la transazione sia perfezionata
(redazione dell‟atto scritto, negoziazione, ricerche e trattazione di fattori giuridico-normativi),
altri (costi di transazione ex post) dipendono dalla necessità di mettere in atto l‟accordo
originariamente sottoscritto e di controllarne il rispetto; le transazioni tendono ad essere
contestualizzate in modo da massimizzare i benefici netti che esse producono, tenendo conto dei
costi; una transazione i cui i costi di superino i benefici connessi alla sua esecuzione non sarà
mai intrapresa.
In tal caso, l‟incertezza è intesa nel senso più ampio come situazione concreta in cui una o
entrambe le parti non possiedano la sicurezza di eventi reali o giuridici; comprende tutte le
eventualità che possono essere previste, nella misura in cui è costoso prevederle o tenerne conto
nella redazione di un contratto o in genere nell‟instaurazione di un rapporto economico regolato
dal diritto”96
. Essa, sotto questo profilo, è la più importante fonte di complessità che limita la
razionalità individuale; mentre, lo scopo delle regole dovrebbe essere quello di facilitare
l‟accordo e la coincidenza delle aspettative da cui dipende il successo dei piani d‟azione dei
96 Ibidem
diversi individui97
. “I costi di transazione derivanti da incertezza della situazione giuridica sono,
insomma, cruciali nel determinare un allontanamento dalla situazione di equilibrio più efficiente
per entrambe le parti del contratto.
La certezza del diritto è, dunque, in primo luogo, un valore; un valore economico, in quanto
condizione indispensabile per il corretto funzionamento dell‟economia di mercato, nonché per il
conseguimento di scelte efficienti e razionali da parte degli operatori. Le regole del diritto sono,
inoltre, essenziali, come si è già precisato, nell‟assicurare il rispetto della proprietà, cioè della
dotazione essenziale dei diritti dei soggetti, e del corretto trasferimento dei diritti di proprietà fra
i soggetti. In un‟economia dinamica quale quella dei nostri tempi l‟attenzione si sposta dalla
proprietà immobiliare e dei beni materiali alla proprietà dei beni mobiliari e soprattutto dei beni
immateriali (diritti d‟autore, brevetti).
Le stesse regole sono cruciali nell‟assicurare il corretto funzionamento dell‟attività di impresa,
sia di tipo tecnico-produttivo che di tipo finanziario; nell‟ambito della finanza le regole di diritto
garantiscono la sicurezza dei finanziatori, a diverso titolo, dell‟impresa e la circolazione dei titoli
rappresentativi dei crediti finanziari. Il sistema dei rapporti economici presenta, in definitiva,
anche in misura superiore ad altre aree dell‟ordinamento, l‟esigenza di assicurare piena
trasparenza delle transazioni e di consentire alle parti naturalmente più deboli un minimo di
tutela nei confronti di vere e proprie vessazioni di grandi operatori basate su sottili ed artificiose
interpretazioni di norme complesse e sofisticate. Si pensi ai contratti di assicurazione e alle tante
operazioni di investimento finanziario o di credito.
L‟economia attuale, caratterizzata della enorme diffusione degli scambi e dalla elevatissima
circolazione delle risorse finanziarie richiede più che mai l‟instaurazione di rapporti di profonda
e sostanziale fiducia fra le parti e tale fiducia si basa, oltre che su un atteggiamento interiore dei
97 Legge, legislazione e libertà, F. A. Hayek , il Saggiatore Economici, 1994.
soggetti, anche sull‟esistenza di norme chiare e di univoca interpretazione che evitino pretese
cavillose e talora al limite della frode”98
.
La fiducia, infatti, viene definita come l‟aspettativa, che nasce all‟interno di una comunità, di un
comportamento prevedibile, corretto e cooperativo, mentre le persone che non si fidano riescono
a cooperare soltanto se gli viene imposto da disposizioni formali, che devono essere negoziate, a
volte, con mezzi coercitivi99
. L‟apparato giuridico, in tali casi, surroga la fiducia comportando i
già discussi costi di transazione, i quali possono essere considerati come una tassa prodotta dalla
sfiducia diffusa all‟interno di una società, una tassa che le società ad alta fiducia non devono
pagare. Sebbene i diritti di proprietà e le altre istituzioni economiche moderne siano stati
necessari per la creazione delle imprese, spesso non ci si rende conto che essi si basano su un
fondamento di abitudini sociali e culturali troppo spesso date per scontate.
Le istituzioni moderne sono una condizione necessaria ma non sufficiente per la prosperità e il
benessere sociale, per funzionare efficacemente si devono combinare con certe tradizionali
abitudini sociali ed etiche100
. Le forme giuridiche possono permettere a persone non imparentate
di collaborare, ma quanto facilmente esse lo facciano dipende dalla loro capacità di cooperazione
con chi non ha legami di parentela: la presenza di un alto livello di fiducia può aumentare
l‟efficienza economica attraverso la riduzione dei costi di transazione.
Ogni transazione è resa più facile se le parti credono nella fondamentale onestà degli altri : vi è
minore necessità di mettere in chiaro ogni dettaglio con lunghissimi contratti; minore bisogno di
cautelarsi contro gli imprevisti; meno controversie e ridotta necessità di adire le vie legali se
controversie dovessero sorgere. In effetti, in alcune relazioni ad alta fiducia le parti non devono
preoccuparsi di massimizzare i profitti nel breve periodo, perché sanno che la perdita in una fase
sarà compensata in seguito dalla controparte101
.
98 “La perdita della certezza del diritto: riflessi sugli equilibri dell‟economia e della finanza pubblica”, F. Zaccaria, Società italiana di economia pubblica, XV conferenza. Pavia, Università, 3 - 4 ottobre 2003
99 “Fiducia”, di F. Fukuyama , ed. Rizzoli, 1996 100 Ibidem
101 Ibidem
La proliferazione di norme per regolare le relazioni diverrebbe, dunque, non il segno di efficienza
razionale, ma di disfunzione sociale, determinando una correlazione inversa tra norme e fiducia:
più le persone dipendono da norme per regolare le loro interazioni, meno si fidano l‟una dell‟altra
e viceversa102
.
Con questo non si vuole, certo, invertire ciò che si è finora sostenuto; e cioè che lo sviluppo
economico debba necessariamente accompagnarsi ad un alto livello di law enforcement e ad un
recupero di efficienza della giustizia civile, piuttosto, queste ultime precisazioni sulla fiducia
sembrano utili a corroborare tali argomentazioni. È stato, infatti, già precisato quanto un ambiente
normativo che si possa definire sano sia caratterizzato da “poche ma buone” leggi, che non vadano
ad intasare il corpus legislativo immettendo in esso elementi di incomprensione e di difficoltà
interpretativa per i relativi destinatari.
Più una società ha bisogno di essere guidata tramite l‟imposizione di norme coercitive e di
dettaglio, meno evidentemente è capace di autogestirsi103
. Il fatto che l‟Italia sia il Paese europeo
con il più alto stock di leggi vigenti ne costituisce, infatti, un esempio emblematico, oltre che un
paradosso, dal momento che la quantità di leggi vigenti sembra essere inversamente proporzionale
alla capacità con cui, in generale, si pone in essere il rispetto delle regole. Allo stesso tempo, è
stato già ravvisato quanto nei rapporti tra diritto ed economia il sostrato culturale sia
importantissimo. Le distorsioni nell‟approccio con l‟uno vanno, inevitabilmente, a produrre effetti
negativi nell‟ambito dell‟altra, e viceversa.
Il rispetto delle regole e l‟assunzione di atteggiamenti cooperativi e responsabili sono, insomma,
precondizioni essenziali in entrambi i contesti ed elementi indispensabili ai fini di un
innalzamento del livello di fiducia diffusa all‟interno di una società.
102 Ibidem
103 Cfr., Legge, legislazione e libertà, F. A. Hayek , il Saggiatore Economici, 1994
L‟incremento del livello di efficienza della giustizia civile richiesto affinché l‟Italia conosca un
recupero in competitività economica non intralcia, quindi, il pieno dispiegarsi della tutela dei
diritti, bensì ne presuppone un relativo rafforzamento. In qualsiasi caso, il fine sarebbe quello di
garantire ai cittadini eguali opportunità di partecipare allo sviluppo materiale del Paese104
e di
poter esercitare pienamente il proprio diritto di libera iniziativa economica105
, nonostante lo
scenario attuale si allontani sempre più da tali presupposti.
L‟ambiente in cui gli operatori economici già presenti sul mercato e quelli che avrebbero
intenzione di farvi ingresso è, al contrario, contraddistinto, in Italia, dalla presenza di barriere
molto più robuste di qualsiasi altra, quali la scarsa trasparenza e gli alti livelli di corruzione106
che
impediscono all‟onestà e alla possibilità di successo di incontrarsi, facendo in modo che il profitto
resti spesso appannaggio soltanto di chi è già abbastanza “forte” ed in grado di proteggersi dal
crearsi di tali circostanze. Ad essere premiate, inoltre, sono spesso proprio quelle imprese che
riescono a sfuggire a quanto dettato dalla legge, gli esempi più numerosi riguardano l‟evasione
fiscale107
, ma non mancano anche quelli relativi al mancato rispetto della salute e dell‟ambiente.
104 Art. 3 Cost., comma 2.
105 Art. 41 Cost. comma 1.
106 L‟Italia si posiziona al 69° posto su 177 paesi nell‟ultima classifica stilata (2012) da Transparency International per quanto riguarda l‟indice di
corruzione percepita, ovvero trova la sua collocazione solo dopo il Montenegro e prima del Kuwait. Il livello di corruzione percepita è più basso,
quanto più alto è il punteggio ottenuto da un paese in un range che va da 1 a 100. Il nostro paese ha, infatti, ottenuto 42 punti. Risultati non
incoraggianti, sempre con riguardo all‟Italia e provenienti dalla medesima fonte, concernono il pagamento di tangenti (posizione : 15/28 paesi,
punteggio 7.6/10. Più alto è il punteggio per un paese, minore è la probabilità che le aziende da esso provenienti vengano coinvolti in fenomeni di
corruzione di questo tipo); controllo della corruzione da parte delle istituzioni (le stime variano da un punteggio minimo di -2.5 a 2.5. Valori più
elevati corrispondono a risultati migliori di governance .punteggio: -0.042912596), Indipendenza del sistema giudiziario (punteggio 4.0/7,
posizione 60/142. Il punteggio va da 1 -fortemente influenzato- a 7 -completamente indipendenti-.), Stato di diritto (Questa dimensione coglie la
percezione della misura in cui gli agenti hanno fiducia e rispettano le regole della società, ed in particolare, la qualità dell'esecuzione del contratto,
l‟esercizio dei diritti di proprietà, la qualità del lavoro di polizia e tribunali, così come il livello di criminalità e violenza. Le stime variano da circa -
2.5 a 2.5. Valori più elevati corrispondono a risultati migliori di governance. Punteggio: 0.382129758.),Competitività (L‟indice di competitività
globale fornisce un quadro completo del panorama di competitività nei paesi in tutto il mondo, in tutte le fasi di sviluppo. L‟indice è composto dalle
seguenti variabili : istituzioni, infrastrutture, contesto macroeconomico, sanità e istruzione primaria, istruzione superiore, formazione, efficienza del
mercato delle merci, efficienza del mercato del lavoro, sviluppo del mercato finanziario, sviluppo tecnologico, dimensioni del mercato, innovazione. Il punteggio va da 1 –scarsamente competitivo- a 7–molto competitivo- punteggio:4,46/7; posizione: 42/142). http://www.transparency.org/
107 “L‟evasione fiscale ammonta, ogni anno, in Europa a mille miliardi di euro, di cui una grossa fetta (180 miliardi) è in capo all‟Italia, paese che più
di ogni altro vede “evaporare” denaro destinato al fisco (il 27%) nei paradisi fiscali anziché nelle casse dello Stato. I dati fanno riferimento, visto che,
trattandosi di attività illecite, non esistono studi statistici ufficiali a livello europeo, allo studio commissionato dal gruppo socialista-
democratico del Parlamento europeo S&D, condotto dal britannico Richard Murphy, direttore di "Tax Research". Da questo emerge
che nell‟UE, sulla base dei dati relativi al Pil per il 2009, l‟evasione fiscale è pari a 860 miliardi di euro l‟anno, mentre l‟elusione
arriva a 150 miliardi, per un totale complessivo di oltre 1.000 miliardi l‟anno. Questa cifra è pari all‟intero bilancio Ue per il 2014-
2020, ai finanziamenti necessari per completare le infrastrutture energetiche Ue entro il 2020 e al deficit annuale di tutti i Paesi
europei.”, da il Sole 24 Ore, 22-05-2013.
Quanto di più lontano da un‟attività economica che dovrebbe essere indirizzata e coordinata a fini
sociali?108
108 Art. 41 Cost. comma 3.
Capitolo III
Le cause profonde della litigiosità ed i possibili rimedi
3.1 Litigiosità contro capitale sociale
L‟analisi degli aspetti strutturali riguardanti il fenomeno oggetto d‟indagine conduce, nella maggior
parte dei casi, a delle conclusioni che fanno presto a rivelarsi poco esaustive e soddisfacenti sul
piano della ricerca delle cause e dei possibili rimedi ad esso relativi. Probabilmente a giustificare
tale incompletezza è sia l‟alto grado di complessità caratterizzante il tema, il quale è determinato da
una notevole diversità e numerosità di fattori fra loro interagenti che ne rendono difficile la piena
comprensione, sia, plausibilmente, il fatto che la ricerca venga spesso effettuata nei “luoghi”
sbagliati. In particolare, l‟attenzione viene quasi sempre rivolta soltanto alle variabili di natura
esclusivamente istituzionale, pretendendo di rintracciare fra di esse sia la radice del, che la
risoluzione al, problema.
L‟alto livello di produttività dei giudici civili italiani ed il volume più che sufficiente di spesa
pubblica destinato all‟apparato giudiziario, già sottolineati ed emersi dal confronto europeo,
suggeriscono, invece, che il sistema in sé possiede gli elementi basilari per far fronte alla domanda
di giustizia che gli viene richiesta e che le disfunzioni direttamente derivanti da un‟offerta
inadeguata possono essere facilmente corrette tramite l‟implementazione di riforme legislative che
siano il più possibile lucide ed efficaci.
Innovazioni normative di questo tipo non sono, infatti, mancate negli anni recenti, si è assistito anzi,
a continue revisioni e riorganizzazioni di tribunali, uffici e circoscrizioni giudiziarie109
, ne sono un
esempio l‟introduzione del giudice unico di primo grado110
, così come del giudice di pace; allo
stesso tempo si è intervenuto sulle carriere sia dei magistrati (riforma Mastella)111
, sia degli
avvocati (decreto Bersani)112
, per porvi migliorie e semplificazioni, e si è, inoltre, provveduto
all‟adozione dei più moderni strumenti di deflazione dei processi quali le alternative dispute
resolution113
, la class action114
ed il più attuale filtro in appello115
.
109 Recenti misure di questo tipo sono state adottate attraverso l‟emanazione del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 155 recante
"Nuova organizzazione dei tribunali ordinari e degli uffici del pubblico ministero", e del decreto legislativo 7 settembre 2012 n. 156
recante "Revisione delle circoscrizioni giudiziarie - Uffici dei giudici di pace", con i quali è stata data attuazione alla delega per la
modifica della geografia giudiziaria conferita al Governo dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. I due provvedimenti in questione
hanno operato una profonda riorganizzazione delle circoscrizioni giudiziarie, prevedendo rispettivamente la soppressione di 31
tribunali, di 31 procure, di 220 sezioni distaccate di tribunale, e di 667 uffici dei giudici di pace.(da Servizio studi del Senato n. 11,
2013).
110 Il decreto legislativo 19 febbraio 1998 n. 51 ha disposto la soppressione del pretore sostituendolo con il giudice di Tribunale detto
anche giudice unico di primo grado; dal 2 giugno 1999 per tutti i processi civili e dal 2 gennaio 2000 per tutti i processi penali, egli
decide in composizione monocratica, escluse alcune ipotesi in cui è tassativamente prevista la composizione collegiale.
111 Legge del 30 luglio 2007, n.111
112 legge n. 248/2006
113 È l‟ espressione con la quale si fa riferimento alle forme di risoluzione delle liti in modo alternativo rispetto al tradizionale rito
civile. L'allineamento dell'ordinamento italiano a quello degli altri Paesi avviene con l'emanazione della legge n. 580/93. A oggi gli
strumenti extragiudiziari sono: 1. Mediazione: Procedimento nel quale il terzo neutrale interviene nel conflitto senza poteri decisori.
Le modalità di intervento variano a seconda dell'approccio adottato dal mediatore. I mediatori sono incoraggiati ad adottare
l'approccio c.d. "trasformativo", in cui l'obiettivo del mediatore è quello di potenziare la capacità delle parti di identificare il modo
per loro migliore di gestire il conflitto (c.d. "empowerment") e nel contempo di arrivare a capire le ragioni dell'avversario
(riconoscimento), così da trasformare il modo con cui originalmente il conflitto era vissuto. Ciò permette a ciascuna parte coinvolta
non solo di raggiungere una maggiore consapevolezza della situazione in cui si trova (e pertanto poter prendere le decisioni
conseguenti più appropriate), ma anche di migliorare la qualità dell'interazione personale con l'altra parte. 2. Conciliazione: con la
quale si cerca di sistemare in via conciliativa o transattiva una controversia. Spesso la soluzione transattiva viene ricercata con
l'intervento di un mediatore, un soggetto terzo neutrale che chiarisce alle parti i punti di contrasto e prospetta i rischi di una lite in
sede giudiziaria, prospettando una soluzione di compromesso accettabile per i contendenti. In caso di accettazione del compromesso
esso assume efficacia contrattuale. Quando la controversia insorge e risulta vano il tentativo di conciliazione, l'unica via possibile è
l'arbitrato rituale. 3. Arbitrato: si affida la decisione della controversia a dei giudici privati, gli arbitri. Si tratta di uno strumento
alternativo, scarsamente diffusosi in Italia analogamente alla conciliazione, utilizzato da una fascia medio alta di rapporti economici e
commerciali, caratterizzati da una ancora rara capacità di autoregolazione, talvolta esercitata in autonomia senza l'ausilio di una
specifica istituzione. In linea generale, tutte le controversie possono essere sottoposte a un arbitro, tranne quelle riguardanti lo stato
delle persone, come ad esempio la separazione tra coniugi e il divorzio, i diritti indisponibili in genere, come ad esempio la potestà e i
diritti familiari, taluni aspetti delle controversie di lavoro e assimilate. Le tipologie di arbitrato sono due: - Arbitrato rituale: con il
quale l'arbitro, o un collegio arbitrale, giudica imparzialmente ed emette una decisione secondo diritto ed equità, che ha il valore di
vera e propria sentenza vincolante le parti e avente titolo esecutivo immediato.- Arbitrato irrituale: presente solo in Italia, con il
quale la decisione emessa dall'arbitro, o dal collegio arbitrale, assume il valore di un contratto tra le parti. 4. Arbitraggio: col quale
l'arbitratore determina il contenuto di un elemento contrattuale per mandato congiunto delle parti. Quando le parti non abbiano
previsto un elemento del contratto in essere tra loro possono demandarne la determinazione da parte di un terzo soggetto. La
decisione di questo soggetto diventa parte integrante del contratto. 5. Perizia convenzionale: quando le constatazioni e gli
accertamenti vengono effettuati, per mandato congiunto delle parti, da un perito o un esperto. Si tratta di uno strumento che si utilizza
quando si renda necessario un accertamento o una valutazione di natura tecnica, afferente a questioni di fatto, che le parti di comune
accordo ritengono di volere affidare a un terzo qualificato. È una via che consente la ricerca di un accordo transattivo, soprattutto
quando le parti siano consapevoli in partenza dell'incertezza circa i propri rispettivi oneri e diritti e per questo cerchino una soluzione
amichevole demandata adempimento dei reciprochi obblighi contrattuali.
Tuttavia, interventi simili non sono bastati a determinare cambiamenti consistenti e positivi, i dati
confermano, piuttosto, una situazione più che stagnante e destinata a peggiorare di anno in anno.
Evidentemente le cause della litigiosità in Italia hanno radici ben più profonde e sembrano risiedere
proprio laddove vi si dirige una minore concentrazione degli sforzi al fine di individuarle.
I risultati prodotti dall‟analisi empirica svolta da Banca d‟Italia precedentemente riportati mostrano,
infatti, che una delle variabili chiave, che più determina le differenze nei tassi di litigiosità tra le
La giustizia alternativa offre una serie di benefici rispetto al ricorso al giudice, che si possono riassumere in tre punti: a. tempi di
risposta brevi, che nel caso dell'arbitrato raramente superano i tre mesi; b. certezza dei costi, in quanto i tempi di risposta sono brevi
e l'assistenza di un difensore legale, seppure talvolta opportuna, non è necessaria. I costi per onorario degli arbitri e dei conciliatori
sono predefiniti, così come il tariffario dei diritti di segreteria da corrispondersi in sede di attivazione della procedura stragiudiziaria;
c. esecutività della decisione, che determina la possibilità per le parti di vedere una pronta realizzazione di quanto stabilito dalla
decisione presa dall'arbitro, senza dover attendere ulteriormente. In linea generale, a quasi dieci anni dall'introduzione delle forme
extragiudiziali, in Italia sopravvive ancora, a differenza degli altri Paesi, una generalizzata diffidenza nei confronti dei sistemi
alternativi di risoluzione delle liti e questo soprattutto per due motivi: la scarsa informazione sul potenziale e sull'applicabilità di
questi strumenti, nonché l'approccio assolutista e istituzionale al concetto di giustizia. La lite, in questo senso, viene vissuta come
rapporto di forza in cui le parti spesso cercano il riconoscimento, da parte del potere statuale, del proprio diritto a ogni costo e in via
integrale. Le forme alternative di giustizia, invece, sono basate sul presupposto della conciliazione, della soluzione mediana, forse
non assolutista rispetto a un diritto ma, probabilmente, rispetto ai tempi e ai costi connessi alla ricerca del diritto delle parti. La
mediazione connessa agli strumenti di giustizia alternativa, infatti, si presenta come particolarmente adatta in tutti quei casi, che sono
la maggioranza, nei quali le responsabilità (contrattuali) delle parti sono diffuse e indeterminate e per le quali parrebbe quindi più
opportuno addivenire a un riconoscimento reciproco di diritti e oneri. Al di là delle ricadute in termini di costi e tempi di risoluzione
delle liti, per gli imprenditori, ma anche per i cittadini, iniziare a pensare alla composizione dei conflitti per via arbitrale o
conciliativa significherebbe risolvere un problema pratico e inaugurare una nuova visione del concetto di giustizia, meno conflittuale
e più collaborativa. D'altra parte, per il sistema giudiziario sarebbe auspicabile che le controversie civili di minore rilevanza potessero
demandarsi al sistema extragiudiziale, in modo da poter innalzare il grado di fiducia nel sistema complessivo e ridurre i margini di
profittabilità determinati finora dall'incertezza del sistema, in termini di tempi e di opportunità alla difesa da parte dei soggetti passivi
di un abuso. (da Ritardi della giustizia civile e ricadute sul sistema economico, Istat 2006)
114 La Legge Finanziaria 2008 (Legge 24.12.2007 n° 244, G.U. 28.12.2007) ha previsto all‟art. 2, comma 445-449, l'azione collettiva
risarcitoria (che diventano gli artt. 140 bis e ss. del codice del consumo) che vuole essere uno strumento generale di tutela del
consumatore e degli utenti e di deflazione processuale. (da Rapporto ISAE: Priorità nazionali. Infrastrutture materiali e immateriali.
Giugno 2008)
115 Si tratta della novella introdotta dall‟art. 54, D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, in vigore da
ormai più di un anno, recanti l‟istituto dei cd. „filtri‟ in appello imposti dalla nuova disciplina del codice di rito. Si parla di „filtri‟,
appunto, dal momento che siamo di fronte non ad uno, bensì a due filtri dell‟appello: l‟uno, quello imposto dall‟art. 342 c.p.c. che
inerisce principalmente ai nuovi requisiti di forma dell'appello, l‟altro, quello imposto dall‟art. 348-bis c.p.c. relativo alla ragionevole
probabilità di successo del gravame. Per comprendere la ratio che ha ispirato la riforma in esame, occorre prendere le mosse dalla
Relazione Illustrativa contenuta nel provvedimento (D.L. 22 giugno 2012, n. 83) nella parte relativa all'art. 54, laddove quest‟ultima
enuncia l‟intento del legislatore finalizzato ad ottenere un miglioramento dell‟efficienza del sistema delle impugnazioni, anche di
merito, posto che esse «allo stato violano pressoché sistematicamente i tempi di ragionevole durata del processo». Tale documento
precisa altresì, quanto alle impugnazioni di merito, che lo scopo del legislatore della riforma non è quello di trasformare l‟appello in
un giudizio di legittimità (appello cd. cassatorio), bensì quello di introdurre un filtro di inammissibilità, appunto, basato
essenzialmente su una «prognosi di non ragionevole fondatezza del gravame» (così la Relazione Illustrativa sopra citata), formulata
dal medesimo giudice dell‟appello in via preliminare alla trattazione dello stesso. Tale innovazione è inoltre il risultato dell‟analisi
statistica degli ultimi anni, dalla quale esce un quadro caratterizzato da una bassissima percentuale di accoglimento degli appelli
(solo circa il 30% degli appelli proposti hanno trovato accoglimento). In altre parole, prima della riforma, più della metà degli appelli
interposti non hanno trovato accoglimento, perché dichiarati o inammissibili o improcedibili o infondati. (www.altalex.it)
regioni italiane, è costituita dalla dotazione di capitale sociale116
; a misura che questa cresce la
litigiosità si riduce, e viceversa. Tale tendenza è palesemente indicativa del fatto che la litigiosità
civile, prima ancora di arrivare nelle aule dei tribunali, si configuri in primis come fenomeno
sociale, il cui humus è costituito dalle vicende verificantesi nel quotidiano, nella vita ordinaria dei
membri di una comunità che sono, allo stesso tempo, cittadini, dunque, titolari di diritti.
D‟altra parte, nel momento in cui si parla di litigiosità non si propone altro che una particolare
qualificazione della più vasta conflittualità sociale che si risolve in un intervento mediativo
istituzionale dello Stato117
. Essa non è, quindi, diversa dalla più generale conflittualità che investe
tutti i settori della vita sociale, ma ne costituisce una parte specifica che trova un altrettanto
specifico canale di mediazione nella giustizia. Nella modellistica dello Stato di diritto il sistema
giudiziario è appunto l‟insieme degli apparati preposti alla funzione di risoluzione di conflitti; esso
è connotato dal fatto di svolgere un servizio sociale diretto a realizzare un bene primario118
.
In altre parole, nel continuo scambio di rapporti tra i singoli sottosistemi, sul giuridico vanno
direttamente a scaricarsi le tensioni del sociale e dell‟economico119
.
Per una più agevole comprensione di tali dinamiche può rivelarsi utile fare riferimento alla teoria
funzionalista che concepisce il diritto come meccanismo generale di controllo sociale; la sua
funzione principale viene definita, pertanto, integrativa, serve cioè a mitigare elementi potenziali di
conflitto e a lubrificare la macchina delle relazioni sociali120
.
116 In questo caso il concetto di capitale sociale è da intendere nella sua accezione sociologica, ossia come quell‟insieme di virtù
civiche che favoriscono il riprodursi ed il diffondersi delle relazioni interpersonali tra sconosciuti.
117 “Conflitti sociali e giustizia”, E. Resta, De Donato editore, 1977; pag. 9.
118 Ibidem
119 Ibidem, pag. 25
120 Parsons, Law and Social Control, p. 57 in “Conflitti sociali e giustizia”, E. Resta, De Donato editore, 1977, p. 30.
Per chiarire meglio il significato della teoria funzionalista occorre ricordare che essa ipotizza
l‟esistenza di un sistema sociale che tende all‟equilibrio dalle singole parti di cui è composto, i
cosiddetti sottosistemi. Così vi è un sottosistema economico, politico, giuridico e di socializzazione,
ognuno rispondente ad alcuni processi e ad alcune funzioni ben definite.
La struttura di cui il funzionalismo si serve è determinata dai quattro maggiori processi funzionali
che si osservano in un sistema sociale: 1) l‟adattamento che si identifica con i processi economici;
2) il perseguimento dello scopo, che individua i processi più propriamente politici; 3) la
stabilizzazione di un modello che corrisponde alla socializzazione; 4) l‟integrazione che si riferisce
al diritto. Ognuno di questi processi funzionali riceve dagli altri degli inputs ed emette degli
outputs; risulta così un complesso sistema di rapporti tra i singoli processi e i sottosistemi governati
da una sorta di razionalità dell‟equilibrio121
. Più precisamente, il meccanismo della giustizia entra in
azione solo dopo che si è verificato un conflitto, cioè dopo che è emersa una causa perturbatrice dei
rapporti interpersonali. Il compito delle corti di giustizia è, dunque, quello di elaborare una
decisione che sciolga il conflitto e ristabilisca lo status quo ante122
. Ciò che se ne può dedurre è che
solo aderendo ad un sistema di regole più o meno formalizzate, i sistemi di interazione sociale
possono funzionare senza scoppiare in aperto conflitto. Perché ciò avvenga l‟insieme delle regole
deve essere sistema. Sostiene, infatti, Parsons che la preminenza e l‟integrità di un sistema giuridico
come meccanismo di controllo sociale sono legate a una forma ben definita di equilibrio sociale.
Naturalmente, nel riproporre lo schema funzionalista vi è semplicemente la volontà di richiamare
l‟attenzione sia sulla cruciale interconnessione tra i diversi ambiti a cui, in tale sede, viene fatto
costante riferimento e che tali teorie sono riuscite a definire egregiamente ed in maniera sintetica,
nonostante la rigidità teorica che ne può derivare, che sull‟alto grado di embededdness del diritto
nelle dinamiche delle relazioni sociali, troppo spesso trascurato.
121 C.d. schema “AGIL”, acronimo di Adaptation, Goal Attainment, Integration, Latent pattern maintenance
122 Ibidem, pp. 31-32
La dicotomia poc‟anzi stabilita tra litigiosità e capitale sociale implica, appunto che, una volta
sgombrato il campo da qualsiasi altra spiegazione possibile di natura puramente economica o
istituzionale, ad incentivare un ricorso alla giustizia civile eccessivamente frequente è proprio il
diffondersi di un particolare tipo di relazione sociale automaticamente proteso alla
contrapposizione, al sorgere di situazioni conflittuali, che incoraggia l‟incremento delle controversie
giudiziarie trascinate fino in tribunale. Il costante emergere ed il conseguente diramarsi di tali
circostanze all‟interno di una società possono essere intesi, dunque, come fenomeni costituenti una
valida ed efficace dimostrazione del fatto che essa sia povera di quelle essenziali virtù civiche di cui
il capitale sociale si compone e che, una volta interiorizzate, potrebbero indurre ad una significativa
riduzione degli attriti. La formulazione della teoria del capitale sociale è stata sviluppata nel corso
del XX secolo da autorevoli studiosi di scienze sociali tra i quali spiccano i nomi di Bourdieu,
Coleman, Putnam e Fukuyama.
Per Bourdieu il capitale sociale può essere definito come “l‟aggregato delle risorse effettive e
potenziali legate al possedere una durevole rete di relazioni più o meno istituzionalizzate basate sul
reciproco riconoscimento che conferisce a coloro i quali ne hanno accumulato una determinata
quantità (capitale) una certa affidabilità”123
; mentre Coleman ha messo in evidenza che la necessità
di raggiungere determinati fini induce alla realizzazione di comportamenti collaborativi tra gli
individui. Tra le forme di capitale sociale studiate dal sociologo di Chicago, la più famosa è
certamente quella dei credit slips.
Lo slittamento del credito si riferisce, infatti, a quelle relazioni informali che si vengono a creare
quando un individuo presta un servizio ad un secondo, vincolando quest‟ultimo a concedere a sua
volta, in un tempo indeterminato, una prestazione successiva124
.
123 Così P. Bourdieu da The Forms of Capital, a cura di J. Richardson, Handbook of Theory and research for the Sociology and
Education, Greenword Press, New York, 1968, 248; in Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante,
Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013
124 Da “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze
storiche e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2013. p. 553
Se alla scelta razionale della collaborazione si aggiunge pure un elevato livello di fiducia
interpersonale e una predisposizione a creare una rete di associazioni, come hanno messo in
evidenza Fukuyama125
e Putnam126
, il valore del capitale sociale si moltiplica riverberandosi
positivamente sul livello di coesione sociale e quindi sullo sviluppo politico-istituzionale ed
economico127
. A distinguere tale tipo di fiducia e di predisposizione alla cooperazione sono
soprattutto la spontaneità ed il disinteresse, così come viene reso attraverso una felice e diversa
definizione di capitale sociale di Colozzi e Donati, per i quali il capitale sociale può configurarsi
anche come cultura civile “..intesa, quindi, come cultura di soggetti che perseguono valori e
comportamenti ritenuti buoni e positivi per l‟intera comunità, laddove è essenziale che i soggetti in
causa non occupino ruoli istituzionali pubblici e senza che tali soggetti perseguano un mero
interesse privato e particolare, individuale o di gruppo… Ogni cultura allude con ciò al fatto di
rendere corretta, pulita, giusta, buona e degna dell‟uomo una relazione sociale, sia essa
interpersonale particolare (inter-soggettiva) oppure impersonale e generalizzata (per esempio, come
relazione istituzionale fra cittadini, o fra i cittadini e lo Stato).”128
; una definizione affine a quella
fornita da Roberto Cartocci che concepisce il capitale sociale come una obbligazione morale
liberamente vissuta129
.
Questo tipo di dotazione collettiva non può che riflettersi anche sulla qualità delle istituzioni
politiche e sullo sviluppo delle relazioni di mercato, determinando il tessuto etico in cui avvengono
transazioni economiche e relazioni cittadini-istituzioni: affidabilità degli attori, rispetto delle regole,
ridotta incidenza di comportamenti opportunistici, lealtà verso le istituzioni130
.
125Per Fukuyama il capitale sociale è una “risorsa che nasce dal prevalere della fiducia nella società o in una parte di essa. Si forma e viene tramandato attraverso meccanismi culturali”, Fiducia, F.Fukuyama , ed. Rizzoli, 1996, p.14 126 Secondo la definizione di Putnam : “Per capitale sociale intendiamo qui la fiducia, le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo
civico, elementi che migliorano l‟efficienza dell‟organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo”, “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p.196. 127 Da “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze
storiche e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013. p. 553
128
“La cultura civile in Italia : fra stato, mercato e privato sociale”, a cura di Pierpaolo Donati e Ivo Colozzi, Il Mulino, 2002, pp. 11-15 129 “Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia”, R. Cartocci, Ed. Il Mulino, 2007, p. 53 130 Ibidem, p. 53
Anche transazioni all‟apparenza “basate sull‟interesse privato” assumono un aspetto diverso se
inserite in una rete di rapporti sociali atti a promuovere fiducia reciproca. Un tessuto comunitario
basato sulla fiducia facilita il superamento dell‟opportunismo, situazione in cui gli interessi comuni
non si realizzano poiché tutti, agendo mossi da un individualismo diffidente, sono pronti ad
abbandonare qualsiasi azione collettiva131
.
L‟assenza di relazioni sociali basate sulla reciprocità e sulla fiducia e il conseguente predominio di
rapporti ostili e conflittuali determinano, infatti, nell‟individuo il convincimento che la scelta della
cooperazione sia irrazionale e fallimentare. In tal caso, da un lato si opta per la prevalenza della
soluzione hobbesiana, il potere di controllo sulle relazioni pubbliche viene, cioè, affidato ad un
terzo attore dotato del monopolio del potere che agisce sulla base dell‟autorità e del comando132
,
dall‟altro viene alimentato e rafforzato il particolarismo di coloro che pongono il confine della
propria comunità e della loro responsabilità non oltre l‟ambito della famiglia o del campanile, quelli
che potrebbero essere definiti i miopi disposti a mettere a fuoco solo l‟intorno sociale a loro più
vicini133
. Inevitabilmente, una simile società sarà tenuta unita da relazioni verticali di autorità e
dipendenza e non da rapporti orizzontali di reciprocità e di cooperazione134
.
Scenari non troppo distanti da quelli appena descritti non hanno ancora smesso di riprodursi in
particolar modo in Italia, soprattutto in alcune zone specifiche da più tempo ormai note per la
scarsità di civismo e capitale sociale. Non a caso esse corrispondono esattamente alle stesse aree
geografiche alle quali i risultati empirici hanno associato i più elevati quozienti di litigiosità.
Non sorprende, insomma, che ancora una volta la maggior parte degli atteggiamenti opportunistici
per mezzo dei quali viene posto in essere un uso improprio degli strumenti giuridici sembrano
verificarsi nelle regioni del Sud piuttosto che al Nord.
131“La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p. 104 132 Da “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze
storiche e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2013, p. 555
133 “Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia”, R. Cartocci, Ed. Il Mulino, 2007, p.14 134 “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p.104
La geografia disegnata dall‟indagine empirica di Banca d‟Italia a cui viene fatto riferimento,
differisce poco da quella descritta da Putnam135
e sulla stessa stregua da Cartocci136
.
Nonostante l‟elevato grado di complessità sociale che si accompagna, a sua volta, ad più un alto
livello di sviluppo economico, caratterizzante le regioni del Nord Italia dovrebbe teoricamente
favorire un maggiore ricorso alla giustizia civile137
, i dati empirici dimostrano al contrario, che tale
fenomeno si verifica, invece, proprio laddove i sistemi sociali risultano meno complessi poiché
connessi, a loro volta, a livelli inferiori di sviluppo economico, cioè nelle regioni meridionali.
Sebbene nelle società più complesse un maggiore numero di interazioni tra sconosciuti possa più
facilmente tradursi in controversie giudiziarie, queste ultime sembrano, al contrario, emergere più
frequentemente proprio nelle comunità connotate da una complessità sociale notevolmente
inferiore, in cui non dovrebbe essere difficoltoso costruire una “rete stabile di relazioni sociali”; e in
un certo senso, è proprio così.
Probabilmente perché nelle grandi agglomerazioni, dove i contatti sono più numerosi ma più vari,
nella varietà degli urti le angolosità si spezzano, le acrimonie si attenuano; mentre le piccole
agglomerazioni umane sono più pettegole e più facili al litigio, dal momento che i contatti fra
identiche persone sono più frequenti138
. In contesti simili vi è, infatti, un tipo diverso di capitale
sociale che non corrisponde a quello a cui ci si è finora attenuti, il quale favorisce la reciprocità
disinteressata e la cooperazione, in questo caso esso si fonda su presupposti ben diversi.
135 L‟autore si è recato in Italia per svolgere una ricerca tesa a dimostrare come le tradizioni civiche ed il capitale sociale siano fattori indispensabili
per spiegare la qualità ed il livello del rendimento delle istituzioni ed il grado di sviluppo economico di un dato contesto, all‟indomani della
realizzazione del decentramento statale avvenuto con la creazione delle regioni. I risultati della sua indagine hanno dimostrato che migliori prestazioni
delle istituzioni e un più alto livello di sviluppo economico contraddistingue il Nord rispetto al Sud a causa del sedimentarsi e del diffondersi di virtù
civiche, tra cui il capitale sociale, che hanno tratto la loro fonte dall‟esperienza comunale di quelle regioni durante il medio evo, quando al Sud vigeva
e resisteva ancora un sistema di potere basato su logiche feudali ed assolutiste.
136 R. Cartocci ha realizzato un‟indagine il cui obiettivo era essenzialmente quello di misurare lo stock di capitale sociale presente nelle regioni
italiane. Gli indicatori utilizzati sono: Voto di preferenza, Affluenza alle urne nei referendum, N. lettori giornali, Diffusione associazioni sportive e
culturali nel 1981, le rilevazioni sono state effettuate tra il 1999 ed il 2002. Si riportano di seguito i risultati ottenuti (Indice finale di capitale sociale per regione) : Emilia Romagna : 5,3; Toscana : 3,6; Friuli-Venezia Giulia : 3,5; Trentino-Alto Adige : 2,7; Valle d‟Aosta : 2,5; Lombardia : 2,2;
Piemonte : 2,0; Umbria : 1,8; Veneto : 1,5; Liguria : 0,9; Sardegna : 0,9; Marche : 0,8; Lazio : -1,1; Abruzzo : -1,5; Molise : -2,8; Puglia : -3,3;
Basilicata : -3,6; Sicilia : -4,1; Calabria : -5,6; Campania : -5,7).
138 “La litigiosità in Italia, in Francia e in Belgio. Studi e Confronti”, L. Anfosso, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1900
Ad essere privilegiati sono i rapporti instaurantesi all‟interno di gruppi (spesso famiglie) fortemente
coesi e circoscritti dalla quale deriva una certa chiusura nei confronti dell‟altro generalizzato che
impedisce la diffusione della fiducia interpersonale, generando, invece, lo sviluppo di atteggiamenti
conformisti e discriminatori. Tale conformismo esercita un‟azione de-individualizzante tra i
membri, facendo in modo che questi sacrifichino la propria libertà per la salvezza della disciplina di
gruppo. Al contrario, laddove si interagisce facilmente e vi è una maggiore apertura verso l‟altro, si
ha una maggiore diffusione della fiducia interpersonale e della volontà di associarsi spontaneamente
senza per questo dover rinunciare alla propria libertà139
.
A fare la differenza sono, dunque, il grado di intensità e di estensione che caratterizzano le relazioni
interpersonali. La diffusione di legami ad elevata intensità, ma di corto raggio, incentiva
l‟assunzione di atteggiamenti opportunistici, volti esclusivamente alla soddisfazione dei propri
interessi particolari; al contrario, nelle società in cui si prediligono legami poco intensi ma a lungo
raggio, molto probabilmente vi sarà una maggiore predisposizione all‟associazionismo ed
all‟attivismo civico spassionato. Ogni atto individuale in un sistema di reciprocità è di solito
caratterizzato dalla combinazione di ciò che può essere definito altruismo a breve termine e interessi
personali a lungo termine: adesso ti aiuto io, nella previsione che un giorno sarai tu ad aiutarmi.
La reciprocità è formata da una serie di atti, ognuno dei quali è altruistico a breve termine, ma che,
tutti insieme, portano vantaggi a tutti i contraenti140
. In definitiva, la fiducia che viene richiesta per
attuare la cooperazione non è cieca, in quanto implica la possibilità di prevedere il comportamento
di un attore indipendente. Nelle comunità piccole e chiuse, questa previsione si fonda su ciò che B.
Williams chiamò thick trust, cioè la fiducia totale che nasce dalla stretta familiarità con questa
specifica persona. In scenari più ampi si richiede, invece, un tipo di fiducia più impersonale e
139 Cfr., “Modernization, cultural change, and democracy. The human development sequence”, R. Inglehart – C. Welzel , Cambridge University
Press, 2005. Per Inglehart in questi casi : “Social capital is not declining but is shifting from one form to another. No societies can exist without social ties. What differs is the character of this ties….There is an trade-off between the intensity and extensiveness of people‟s social ties, with intense
ingroup ties limiting one‟s capacity to engage in looser ties with many others… when resources are scarce discrimination against outsiders, strong
mutual obligations, and insider favoritism are inevitable. They emphasize bonding social capital… The tendency to discriminate against outsiders leaves them with a largely anticivic imprint.”; p. 143 140 Così M. Taylor in “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p.202
indiretto141
. I legami deboli esistenti nelle città ad esempio, spesso denunciati come fonte di
alienazione, risultano indispensabili agli individui per una loro reale e sana integrazione all‟interno
delle comunità; i legami forti, paradossalmente, in quanto fautori di coesione locale, possono
trasformarsi in causa di frammentazione a livello più generale142
. M. Granovetter è lo studioso che
ha operato questa efficace concettualizzazione parlando di “forza dei legami deboli”143
.
La forza di questi legami risiede, appunto, nel fare in modo che, una volta diffusosi, all‟interno di
una comunità, l‟interesse a soddisfare le proprie esigenze personali venga opportunamente
coniugato con le cosiddette virtù sociali quali, l‟onestà, l‟affidabilità, la cooperazione ed il senso del
dovere verso gli altri, affinché anche i rapporti con le istituzioni vengano costruiti sulla base del
connubio tra etica e responsabilità.
Il loro emergere è, in altre parole, indispensabile ai fini della completa affermazione di una
mentalità sociale coesa e matura; un fenomeno, cioè, che è stato efficacemente definito con il
termine di statualità.
Esso si è, infatti, radicato e stabilito laddove si sono strutturate società civili munite di un alto
grado di coesione, di autodisciplina e di un alto senso dell‟organizzazione pubblica e del rispetto
delle regole fondamentali poste nell‟interesse comune.
Nei contesti socio politici in cui questo processo ha avuto luogo non è difficile cogliere gli effetti
interattivi di una solida ed efficace organizzazione istituzionale sui comportamenti sociali e
osservare la crescita del senso civico e di una psicologia sociale che non sviluppa diffidenza verso
le istituzioni e le norme statuite per il loro corretto funzionamento, ma che al contrario fa del senso
141 “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p.201
142 La forza dei legami deboli – M. Granovetter (a cura di M. Follis, Liguori editore, 1998), p. 146 143 A partire da tale definizione, l‟autore procede alla spiegazione dell‟ossimoro “forza dei legami deboli” ponendo come ipotesi centrale quella
secondo cui più è forte il legame tra due soggetti, tanto più essi saranno a loro volta legati in maniera forte ad altrettanti soggetti a loro simili, dando
così luogo alla formazione di rapporti c.d. ridondanti, i quali, nella misura in cui consolidano e rendono maggiormente coeso un gruppo di individui,
allo stesso tempo impediscono a questi ultimi di connettersi con altri reticoli sociali, e di poter sfruttare i benefici che potrebbero trarre invece dai c.d.
legami ponte, i quali esattamente al contrario di quelli ridondanti, garantiscono un notevole livello di interconnessione tra i reticoli. Lo stesso concetto
può essere, inoltre, utilmente ricondotto alla distinzione effettuata da Durkheim, nella sua opera la distinzione del lavoro sociale, tra solidarietà
meccanica, caratterizzante i tipi di rapporti instaurantesi nelle comunità chiuse e primitive e solidarietà organica, la quale connota, invece, i tipi di
relazioni sociali che emergono all‟interno delle società aperte ed industrializzate, ovvero, dove vi è una maggiore divisione del lavoro.
di appartenenza ad una medesima comunità istituzionalizzata il punto di forza della propria identità
soggettiva e del buon funzionamento del sistema pubblico144
.
È solo così che l‟azione delle forze individuali unendosi a quelle delle forze sociali riesce spesso a
fare ciò che l‟amministrazione più accentrata e più energica non sarebbe in grado di compiere145
.
Il capitale sociale, infatti, può essere pienamente riconducibile alla categoria analitica della nazione;
è fatto della stessa materia di quella evocata da Rokkan quando si riferisce a un processo di
omogeneizzazione culturale che costituisce il più solido fondamento della stabilità delle istituzioni
statuali, ponendole al riparo dalle minacce di exit. In altre parole, l‟affermazione dei diritti
individuali prevede una sorta di forza uguale e di segno contrario, che fa valere un principio di
responsabilità e subordinazione verso la collettività146
.
Lo stesso A. Smith, da sempre erroneamente considerato il propulsore e promotore dell‟egoismo
individuale nel senso più negativo del termine, si adoperò a dimostrare tutt‟altro, e cioè i benefici
del self-interest in un orizzonte di reciprocità, mettendo in rilievo l‟importanza economica di una
condotta sociale virtuosa da parte degli individui.
Egli arrivò per tal via a distinguere le passioni sociali, che costituiscono il collante della comunità,
dalle passioni asociali, che invece rappresentano una minaccia per la sopravvivenza e l‟armonia
della comunità civile perché incoraggiano la diffusione nelle società di uno spirito ostile e
conflittuale nel quale non vi è alcuna traccia di una volontà né di mediazione né di composizione e
quindi neppure di collaborazione.
144 F. Di Donato, La Rinascita dello stato. Dal conflitto magistratura-politica alla civilizzazione istituzionale europea, il Mulino,
Bologna, 2010, pp. 421-2, in “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori politici e coesione sociale nel processo di
civilizzazione statuale: esperienze storiche e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione, Economia, Globalizzazione.
Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013. p. 548
145 A. de Tocqueville, La democrazia in America, Le grandi opere, ed. speciale de Il Sole 24 ore, 2006, p. 303
146 “Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia”, R. Cartocci, Ed. Il Mulino, 2007, p. 123
Il senso di collettività generato dai sentimenti di simpatia e generosità o indotta da una scelta
razionale di cooperazione – che spingono l‟homo oeconomicus ben oltre il classico assioma
dell‟agire egoistico – giocano, infatti, un ruolo primario nella creazione di un ambiente sociale
coeso, riflettendosi positivamente sull‟intero sistema socio-economico.
In questa prospettiva, se per un verso l‟autorealizzazione è considerata da Smith come la virtù
maggiormente utile all‟individuo, l‟umanità, la giustizia, la generosità e soprattutto il senso della
collettività rappresentano le qualità più utili in una prospettiva di convivenza147
. Smith sottolineò
che tutti gli individui hanno bisogno della collaborazione degli altri, perché l‟uomo non può
sopravvivere solo nelle società. Un sistema efficace di relazioni sociali, secondo tale concezione,
può essere non fondato su sentimenti di generosità e disinteresse, ma anche sulla semplice utilità.
Nella sua monumentale opera La ricchezza delle nazioni, sostiene infatti che “L‟uomo ha un
bisogno quasi costante dell‟aiuto dei suoi simili, ed invano se l‟aspettasse soltanto dalla loro
benevolenza. Potrà più probabilmente riuscirci se può indirizzare il loro egoismo a suo favore, e
mostrare che per loro è vantaggioso fare ciò che egli gli richiede. Non è dalla benevolenza del
macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro desinare, dalla considerazione del
loro interesse personale. Non ci rivolgiamo alla loro umanità ma al loro egoismo , e parliamo dei
loro vantaggi e mai delle nostre necessità.”148
Tuttavia, in Italia ci si dimostra ancora recalcitranti verso l‟interiorizzazione di tali modelli di
comportamento; soprattutto in alcune zone a prevalere sono atteggiamenti particolaristici ed affini
al cosiddetto familismo amorale149
; e questo induce, in molti casi, gli individui ad approcciarsi in
maniera ambigua con i propri concittadini, con le istituzioni e con le leggi stesse, esattamente com‟è
stato finora ravvisato nel caso della litigiosità presso i tribunali.
147 “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze storiche
e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2013. p. 550
148 La ricchezza delle nazioni, A. Smith, Le grandi opere, ed. speciale de Il Sole 24 ore, 2006, p.157
149 E. Banfield introdusse tale nozione nella sua opera Basi morali di una società arretrata per definire l‟atteggiamento mirante a perseguire il
tornaconto personale di breve periodo, ipotizzando che tutti gli altri si comportino nella stessa maniera.
Questo modus vivendi ha trovato, per una serie di ragioni essenzialmente storiche e culturali, terreno
fertile soprattutto nelle regioni meridionali e tentare di sradicarlo risulta, ad oggi, un‟impresa più
che ardua. Nel mezzogiorno d‟Italia si sente, infatti, troppo lo Io e troppo poco il Noi150
, e a
caratterizzarlo è ancora un peculiare fenomeno di “disaggregazione sociale”151
.
Più precisamente, il deficit di capitale sociale di cui soffrono gli italiani, soprattutto in tali aree, non
implica un‟assenza totale di solidarietà; significa invece assenza di una solidarietà che abbia un
orizzonte congruente con l‟assetto politico istituzionale di una democrazia.
Familismi, localismi e chiusure corporative sono pur sempre forme di solidarietà152
che limitano,
però, gli orizzonti spaziali entro cui estrinsecare il proprio potenziale di socialità. Tra i critici più
lucidi e precoci di queste società con uno scarso senso della collettività spicca un grande ingegno
italiano e meridionale, l‟abate salernitano Antonio Genovesi (1713-1769).
Questo grande filosofo dedicò gran parte delle sue riflessioni e delle sue ricerche, in particolare,
all‟individuazione dei motivi dell‟arretratezza politica ed economica del Regno di Napoli, attraverso
una puntuale comparazione dell‟esperienza storica meridionale con quelle europee da lui
considerate più avanzate e produttive.
Non è un caso che egli abbia destinato al tema dei valori sociali e segnatamente della fiducia e della
reciprocità gran parte delle sue celebri Lezioni di economia civile153
. Il filosofo napoletano era
consapevole che la socialità costituisse un tratto fondante della natura umana ed era altrettanto
persuaso che la mancanza di una forma mentis aperta, sensibile e quindi tesa verso la cooperazione
sociale fosse l‟ostacolo principale al processo di civilizzazione politica ed economica della società
150 Così Villari in “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p.146
151 Così A. Gramsci in “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p. 169 152 “Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia”, R. Cartocci, Ed. Il Mulino, 2007, p. 123
153 “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze storiche
e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni
Scientifiche Italiane, 2013. p. 556
napoletana. Le riflessioni genovesiane erano dettate in primo luogo dall‟osservazione empirica
dell‟instabilità politica e dell‟arretratezza economica dell‟Italia e in particolare, del Mezzogiorno.
La storia del Regno di Napoli continuava, infatti, ad essere caratterizzata dalla presenza di società
poco coese, ostacolo primo al processo di civilizzazione statuale ed economico154
.
All‟interno di esse il legame invisibile della fiducia non esiste, le leggi non funzionano se non in
apparenza e di conseguenza i contratti sono ignorati o addirittura derisi. La giustizia e il rispetto
delle regole non ci sono se non a parole e neppure vi può essere umanità, perché mancandovi la
reciproca confidenza degli uomini, ciascuno riguarda l‟altro in modo sospettoso e da nemico155
.
Questo tipo di società, così poco connessa e legata, sembra, dunque, pronta a disciogliersi al primo
urto. L‟incapacità degli individui di costruire legami stabili e pacifici determina, inoltre, il venir
meno del valore dell‟intraprendenza, ossia il coraggio necessario a voler dare ai contratti, al
traffico, alla circolazione, quel moto che, anima l‟industria e arricchisce i popoli156
.
L‟adesione ad un codice comportamentale infamissimo e bestiale di questo tipo indica la
formazione ed il radicamento nella forma mentis una conformazione particolare del pensiero per cui
tutto ciò che piace è lecito : se piace è lice ha infatti scritto Genovesi riprendendo il celebre verso di
Torquato Tasso all‟interno della sua opera Aminta.
Questo non è, infatti, soltanto un geniale aforisma descrittivo di una mentalità fortemente tipizzata
(che in fondo era già insito nel chi vuol esser lieto sia laurenziano), ma un precetto fortemente
radicato nel background culturale italiano e soprattutto, meridionale. Era una sorta di filosofia
pratica, compensativa della condizione di ristrettezza e di disagio, che induceva al perseguimento
dell‟utilità privata e del piacere personale, sacrificando il senso della collettività, lo spirito di
sacrificio e l‟abnegazione per una causa comune.
154 Ibidem, p. 557
155 Antonio Genovesi, Delle lezioni di Economia civile, Stamperia Simoniana, Napoli 1769 in “La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità.
Valori politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze storiche e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in
Costituzione, Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013. p.558
156 Ibidem
Essa sembra ispirato all‟ossimoro pirandelliano che celebra il piacere della disonestà, nuocendo a
quello che genovesi chiamava il piacere della società157
.
Sin dai tempi a cui risale la testimonianza di Genovesi, a risultare scalfita da tale stato di cose è
stata soprattutto la cultura civica, legale e sociale, in quanto connessa al carattere poco coeso e
cooperativo della società meridionale. Le leggi e le istituzioni del Regno di Napoli non
contribuivano, insomma, a creare quell‟ambiente sociale e culturale favorevole allo sviluppo
economico. La maggior parte degli illuministi napoletani aveva denunciato, infatti, che oltre alla
mancanza di cultura legale vi era anche, già da allora, l‟inefficienza del sistema giuridico.
Si trattava, dunque, di un problema millenario descritto sinteticamente e con molta efficacia da
Genovesi: Divelta poppe dalla madre filosofia, la giurisprudenza divenne un informe e mostruoso
ammasso di piccole specie e questioncine, e appresso una bottega di pedanterie, che non
conferirono poco a guastare la regola della giustizia e „l pubblico costume158
.
L‟attacco di Genovesi e di altri intellettuali dell‟epoca si stagliava, nello specifico, contro
l‟eccessivo e ridondante formalismo giuridico di cui si rendevano dispensatori giuristi, glossatori e
vari commentatori di fama di quel tempo. Potrebbe sembrare vero, allora, che il popolo italiano
abbia ereditato dal romanesimo il soverchio amore alla discussione delle leggi, una discussione
fatta, però, non tanto per amore scientifico quanto per intimo desiderio di violare impunemente la
legge stessa159
.
157 Ibidem, p. 563
158 Ibidem, p. 568
159 “La litigiosità in Italia, in Francia e in Belgio. Studi e Confronti”, L. Anfosso, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1900
Gli stessi limiti nell‟ambito della cultura giuridica italiana venivano sottolineati così da Giosuè
Carducci “..religione non può esserci dove uomini e partiti non hanno idee o per idee si spacciano
affocamenti di piccole passioni, urti di piccoli interessi, barbagli di piccoli vantaggi : dove si
baratta per genio l‟abilità, e per l‟abilità qualche cosa di peggio; dove tromba di legalità e alfiere
dell‟autorità è la vergogna sgaiattolante tra articolo e articolo del codice penale”160
.
Tutti questi elementi hanno concorso inesorabilmente a consolidare una mentalità incivile che ha
raggiunto dei livelli ancor più esasperanti durante il dispiegarsi di un preciso evento storico che
sebbene avesse dovuto, in teoria, garantire l‟omogeneizzazione culturale e sociale della nazione, in
realtà ha prodotto, al contrario, dei contrasti territoriali tuttora insanabili.
Ci si riferisce al processo dell‟unificazione nazionale che ha avuto come conseguenza quella di far
nascere nell‟intero meridione, una realtà sociale sui generis con la quale lo stato doveva fare i conti.
La classe sociale dominante era quella alla quale apparteneva la proprietà latifondistica, che gestiva
dall‟alto la rete delle strutture clientelari, a vari livelli, e manteneva a proprio vantaggio il contatto
con i supremi organi rappresentativi del paese. Ogni notabile locale era a capo di una rete di persone
delle più diverse condizioni sociali che da lui dipendevano per la loro sopravvivenza e che gli
forniva l‟appoggio legale sul piano dei suffragi elettorali e quello illegale nel ricorso alla violenza
privata in difesa dei suoi interessi particolari, in un rapporto rigorosamente gerarchico di
dipendenza para-feudale161
. L‟istinto della conservazione spingeva, quindi, ognuno ad assicurarsi
l‟aiuto di uno dei forti, dal momento che la forza sociale non esisteva era quella della clientela a
sostituirla ed inevitabilmente una simile situazione ha iniziato a dar luogo ad una serie di
conseguenze nefaste, tra cui: distribuzione diseguale della ricchezza, mancanza assoluta del
concetto di un diritto eguale per tutti, predominio della potenza individuale, carattere
esclusivamente personale di tutte le relazioni sociali; il tutto accompagnato da una grande asprezza
degli odii, dalla passione della vendetta, dal concetto che chi non si fa giustizia da sé non ha
160 Giosuè Carducci in C. Augias, Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, p. 12
161 Così Franchetti in “La tradizione civica nelle regioni italiane” - R. Putnam- Ed. Saggi Oscar Mondadori, 1997, p. 169
onore162
. Questo tipo di precisazione si ritiene utile per agevolare la comprensione del fatto che
fondamentalmente il Sud non era e non è apolitico o asociale. L‟astuzia politica e le relazioni sociali
sono stati per lungo tempo essenziali per sopravvivere in questa terra depressa.
La distinzione che va fatta non è tra la presenza e l‟assenza di legami sociali, ma tra strutture
orizzontali e strutture verticali163
.
I meridionali hanno cercato rifugio nei legami verticali della raccomandazione e del clientelismo,
utilizzati per fini sia economici che politici. In effetti, venendo a mancare la solidarietà orizzontale,
la dipendenza verticale è la strategia razionale per sopravvivere, anche quando le vittime ne
riconoscono i limiti164
. Il clientelismo è il prodotto di una società disorganica e tende a confermare
la frammentazione e la disorganizzazione sociale. Esso deriva dalla scioltezza degli individui che
non sentono nessun obbligo oltre a quello della famiglia e considerano le clientele il rimedio adatto
ad una società in disgregazione. Le clientele costituiscono le sole associazioni che, in effetti,
mostrano una reale energia operativa nella comunità civile frazionata da secoli al suo interno e nella
quale la gente si aggrega non sulla base della fiducia reciproca, ma solo quando obbligata dalla
necessità165
. Che questi atteggiamenti trionfassero può essere solo compreso nel contesto di una
società dominata dalla sfiducia. Il peso del passato, unito agli insuccessi dell‟autorità dello stato
dopo il 1860 e le disastrose relazioni tra i contadini e il latifondista produssero una società dove la
fede pubblica era stata ridotta al minimo, “chi ara diritto, muore disperato” recitava un ben noto
proverbio calabrese166
. In tutte le classi sociali, la mancanza del senso della comunità risaliva a
un‟abitudine all‟insubordinazione appresa in secoli di dispotismo.
162 Ibidem
163 Ibidem, p. 168
164 Ibidem p.169
165 Così Graziano in “La tradizione…, p. 168 166 Così Ginsborg in “La tradizione…, p. 167
Anche i nobili si erano abituati all‟ostruzionismo e pensavano che si potesse impunemente
imbrogliare lo stato senza essere colpevoli moralmente, purché l‟inganno riuscisse. Invece di
riconoscere che le tasse si dovevano pagare, l‟atteggiamento era piuttosto quello secondo cui se un
gruppo di persone aveva scoperto un sistema di evasione che rendeva, allora anche altri gruppi
potevano tutelare allo stesso modo il loro tornaconto. Ci si industriava perciò a fare i propri interessi
a spese della comunità167
.
La cronica debolezza dello stato sfociò, insomma, nel diffondersi delle istituzioni di iniziativa
individuale e nel potere esclusivo imposto da parte dei gruppi non ufficiali che impedirono allo
stato di meritare la lealtà dei propri cittadini, mentre le debolezze che ne risultarono rafforzarono di
nuovo la famiglia, il clientelismo e la mafia168
. Di fronte a questa diffusa mancanza di fiducia e
sicurezza, la mafia metteva a punto una specie di Leviatano privatizzato169
, in fondo non si tratta
d‟altro che di un‟attività consistente nel produrre e vendere come merce la fiducia stessa170
.
D‟altronde, un interessante filo che lega le società a bassa fiducia è proprio l‟esistenza di comunità
criminali. È come se vi fosse un naturale, obbligato impulso umano verso la socialità che, se
impossibilitato a esprimersi attraverso legittime strutture sociali, appare in forme patologiche171
.
L‟insieme di queste dinamiche ha dato, più in generale, vita ad un fenomeno più largo definibile
con il termine francese incivisme indicante un contesto nel quale la vita pubblica è organizzata in
modo gerarchico; l‟individuo pensa che l‟amministrazione pubblica sia interesse di altri ma non
suo; la pietà privata sostituisce la solidarietà e la legge è fatta per non essere rispettata, ma temendo
il mancato rispetto della legge da parte degli altri, la gente pretende più severità da parte
dell‟autorità pubblica172
.
167 Così D. M. Smith in “La tradizione…, p. 166
168 Così Hess, Tullio-Altan, Graziano in “La tradizione…, p. 170
169 Ibidem, p. 170
170 Così Gambetta in “La tradizione…, p. 171
171 Fiducia, F.Fukuyama , ed. Rizzoli, 1996 172 Ibidem, p. 135
Paradossalmente ne deriva che quasi tutti concordano sull‟infrangibilità della legge, ma tutti ne
chiedono una disciplina più stringente. A sua volta, l‟impossibilità di sapere che le sanzioni
verranno veramente applicate genera incertezza negli accordi, stagnazione nel commercio e una
generale riluttanza a forme di cooperazione impersonali ed estensive173
.
È facile accorgersi, a questo punto, quanto un tale controverso rapporto con le regole abbia
determinato l‟emergere ed il conseguente diffondersi della tendenza litigiosa, corrispondente più
esattamente alla smania di ottenere con la protezione della ingannata legge ciò che non spetta,
oppure di non concedere quanto si deve174
. Ed è questa la vera litigiosità, “la triste sorella della
delinquenza”175
. Tale perenne litigiosità italiana da secoli colpisce i visitatori stranieri tanto che
Goethe ci descrisse così : - “è incredibile come nessuno vada d‟accordo con l‟altro; le rivalità
provinciali e cittadine sono accesissime, così come la reciproca intolleranza”176
.
Ed anche Leopardi ravvisa che “Odivi continui richiami, innumerabili accuse, grandissimi tumulti,
e intorno a te sempre s‟avviluppano litigiosi, avari, ingiustissimi uomini, empionti l‟orecchie di
sospetti, l‟animo di cupidità, la mente di paure e perturbazioni”177
. In molti casi, ad alimentare
questo genere di distorsioni sono persone che avendo vinto ingiustamente una lite che ha fatto
ottenere loro un ingiusto profitto, fanno affidamento nella cecità della giustizia e vivono
nell'illusione di poter risolvere il problema del pane quotidiano con il prodotto delle vittorie
giudiziarie178
.
Insomma, la giustizia civile in Italia, storicamente, non viene considerata come arma di difesa, bensì
come arma di offesa; la scarsità delle risorse, l'ignoranza, uno spietato senso critico, ereditariamente
fattosi cronico, spingono il cittadino a tentare la strada perigliosa e dispendiosa della giustizia.
173 Così Graziano in “La tradizione.., p. 170
174 “La litigiosità in Italia, in Francia e in Belgio. Studi e Confronti”, L. Anfosso, Fratelli Bocca Editori, Torino, 1900
175 Ibidem
176 C. Augias, Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, p 144
177 G. Leopardi in C. Augias, Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, p. 12
178 Ibidem
Nelle aree particolarmente depresse a livello economico, l'attore viene spinto a promuovere atti
anche allorquando la speranza della vittoria è molto incerta e nello stesso tempo mette il convenuto
nell'impossibilità momentanea o definitiva di far fronte ai propri impegni. Nell'uno e nell'altro caso
avviene che la lite, la quale per sé stessa è già un male, a sua volta genera sempre nuove sventure.
Viene a crearsi così, un circolo vizioso, la miseria genera le liti e queste generano miseria; quando
un po' di tolleranza, un briciolo di buon senso, una parola buona potrebbero evitare ogni questione,
troncare ogni litigio sin dal suo nascere. Gli stessi elementi sulla cui base viene costruito il capitale
sociale tornerebbero, quindi, utili ad una società che viene posta di fronte al problema del suo
carattere eccessivamente conflittuale. Una saggia igiene etica potrebbe, quindi, prevenire il litigio e
correggere il nostro carattere nazionale rendendolo meno facile allo scontro e più propenso agli
accordi. Non solo ne guadagnerebbe la morale pubblica, ma ne trarrebbe vantaggio anche la
pubblica economia179
. Le società che si basano molto sull‟uso della forza sono, infatti, meno
efficienti, più costose e meno piacevoli di quelle nelle quali la fiducia è mantenuta con altri
mezzi180
, all‟interno di esse che tipo di garanzia può avere ciascuno di noi nella buona fede degli
altri? Un sistema giuridico, completo di tribunali e che fa applicare la legge, fornisce una risposta
forte. Se avessimo però bisogno di una comunicazione legale e della presenza della polizia per
formulare e rendere esecutivo anche il più semplice degli accordi, l‟incremento dei costi di
transazione renderebbe sicuramente impossibili molti dei benefici della reciproca collaborazione181
.
La legge con il suo corredo di contratti formali, tribunali, vertenze e decisioni giudiziarie il cui
rispetto è imposto dallo stato, in questi casi, può essere considerata come un‟alternativa alla
reciprocità generalizzata e all‟onestà diffusa. Di conseguenza, se la fiducia leggera si sta riducendo,
potremmo aspettarci di trovare un maggiore affidamento alla legge come base per la cooperazione.
179 Ibidem
180 R. D. Putnam, Capitale sociale e individualismo. Crisi e rinascita della cultura civica in America, A cura di R. Cartocci, Ed. Il Mulino, 2000, p. 167 181 Ibidem
Se la stretta di mano non è più vincolante e rassicurante, forse un contratto autenticato dal notaio,
una deposizione o un mandato di comparazione funzioneranno quasi alla stessa maniera182
.
Il conseguente aumento del tesoro che si spende per mettere le cose per iscritto, così come ciò che si
paga per ingaggiare avvocati che prevengano o gestiscano le nostre controversie è indicativo del
fatto che, nel meglio e nel peggio, si faccia sempre più affidamento sulle istituzioni formali e
soprattutto sulla legge, al fine di realizzare ciò che si era soliti conseguire attraverso reti informali
rafforzate dalla reciprocità generalizzata, ossia grazie al capitale sociale183
.
Quest‟ultimo può essere accumulato in grandi quantità tramite l‟interiorizzazione delle norme di
reciprocità che può essere a sua volta favorita dalla diffusione capillare in un dato contesto delle reti
d‟impegno civico, ossia attraverso l‟associazionismo disimpegnato. Attualmente, però, se pure vi è
un relativo diffondersi dell‟associazionismo in Italia, esso non mostra una coscienza civile
veramente profonda e distintiva in sé184
. Questa cultura sui generis risulta alquanto ristretta e non è
certamente quella che alimenta i fenomeni associativi che consentono di acquisire una certa
predisposizione alla cooperazione spontanea. Essa ruota principalmente intorno all‟area degli
interessi (in gran parte economica, cioè dell‟utilità) o dell‟identità politica del cittadino185
.
Una delle più recenti ricerche empiriche svolte in Italia in questo campo186
, mostra che la stragrande
maggioranza degli intervistati manifesta, peraltro, un grande attaccamento al particolare inteso
come interesse individualistico e di piccoli gruppi di lealtà locale187
. Non è ancora l‟individualismo
anomico che prevale, ma quello delle lealtà a corto raggio188
.
Più precisamente, all‟orientamento etico si oppone l‟orientamento adiaforico (Baumann 1996) o
opportunistico per il quale bene e il male dipendono completamente dalle circostanze.
182 Ibidem, p. 179 183 Ibidem, pp. 182-83
184 “La cultura civile in Italia : fra stato, mercato e privato sociale”, a cura di Pierpaolo Donati e Ivo Colozzi, Il Mulino 2002, p.33 185 Ibidem
186 Ci si riferisce all‟indagine realizzata da Colozzi e Donati e riportata nell‟ultima opera citata.
187 Ibidem, pp.34-34
188 Ibidem
Nel campione utilizzato per la ricerca a cui ci si sta riferendo, ha dichiarato un orientamento etico il
32,6%, mentre rientra in un atteggiamento adiaforico il 43,8% del totale. Il 23,6% incerto. Se non si
considera quest‟ultimo gruppo, la percentuale di chi condivide un orientamento etico sale al 42,7%,
e quella di chi ha un comportamento adiaforico al 57,3%. L‟orientamento adiaforico, in Italia, negli
ultimi anni è, dunque, prevalso in assoluto189
.
Specie il Meridione è ancora molto lontano dall‟aver compreso e interiorizzato la svolta
associazionistica, proprio laddove maggiore sarebbe il bisogno di sviluppare imprenditorialità
sociale190
.
Non si è, evidentemente, ancora ben inteso che le associazioni rendono l‟uomo più forte e mettono
in risalto le doti migliori delle singole persone, e danno gioia che raramente s‟ha restando per
proprio conto, di vedere quanta gente c‟è onesta e brava e capace e per cui vale la pena di volere
cose buone (mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l‟altra
faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada).191
189 Ibidem, pp. 48-51
190 Ibidem, p. 131
191 I. Calvino, Il barone Rampante, Oscar Mondadori, 1993, p. 129
3.2 Per una nuova cultura della legalità in Italia. Riflessioni finali
Ampliare l‟orizzonte delle riflessioni sviluppate all‟interno della presente indagine per
ricomprendervi anche un‟analisi dei fattori socio-culturali che motivano, in gran parte, il
manifestarsi dei fenomeni a cui, in tale sede, l‟attenzione è stata prevalentemente rivolta, è stato
ritenuto indispensabile affinché le spiegazioni di natura puramente strutturale a cui si è dato spazio,
in particolar modo, all‟interno dei primi due capitoli, risultino maggiormente complete e
pienamente comprensibili. Trattare argomenti come quelli finora affrontati, quali il ricorso alla
giustizia civile per la risoluzione delle controversie e la qualità del più ampio funzionamento di
quest‟ultima determinata dal tipo di influenze che essa esercita sul sistema economico, implica,
quasi obbligatoriamente, a non fermarsi alla sola considerazione delle pur valide delucidazioni che
talvolta alcune speculazioni teoriche di tipo squisitamente economico o istituzionale sono in grado
di offrire, ma di oltrepassare i limiti di questi ambiti conoscitivi, sforzandosi di integrarli con altri,
per fare in modo che il tentativo di approfondimento sugli stessi temi non risulti del tutto sterile.
L‟approccio strutturalista da solo non riesce, nella maggior parte dei casi, ad essere esaustivo
nell‟esplicazione delle dinamiche caratterizzante i rapporti che intercorrono tra sistema economico,
istituzioni e società civile e la motivazione risiede essenzialmente nel fatto che esso trascura la
potenziale risposta che il soggetto agente all‟interno dell‟ambiente (normativo, economico,
produttivo, sociale..) in cui si trova ad operare è capace di dare alle pressioni che su di lui vengono
esercitate192
. Non sempre il comportamento umano, infatti, può essere spiegato dai soli fattori
esterni al soggetto che pure lo costringono o lo stimolano all‟azione.
192 M. Marini, “Lo sviluppo economico come processo culturale”, in dispensa per il corso di Teoria dello sviluppo economico, a. a. 2011/12,
Università della Calabria, Arcavacata di Rende, p.2
L‟agente stesso, a sua volta, può modificare o consolidare la struttura attraverso i propri
comportamenti che mirano ad utilizzare risorse materiali, così come le leggi, per raggiungere le
finalità che gli stanno a cuore193
. Di più, una tendenza sociale troverà sempre il suo modo di
esprimersi modificando le condizioni materiali, mentre non è sempre vero il viceversa194
.
Pertanto, qualsiasi teoria che si limitasse allo studio dei soli fattori strutturali è destinata a poter
predire il comportamento degli agenti con minor precisione di quanto non farebbe un modello
esplicativo che tenesse conto anche della soggettività degli stessi agenti, vale a dire dei suoi valori e
dei suoi obiettivi195
. Con l‟approccio culturale, appunto, la cornice dei classici modelli esplicativi
viene ulteriormente allargata dando spazio alla considerazione degli elementi a cui si è appena fatto
riferimento. Le variabili culturali non sono più entità oggettive esterne al soggetto, ma elementi
immateriali e soggettivi quali: le credenze, le convinzioni, gli atteggiamenti, le propensioni, le
abitudini, i valori e le norme sociali interiorizzate. A differenziare il modello culturale è, in
definitiva, la comparsa del soggetto196
. In particolare, una volta penetrati nelle interconnessioni che
tengono legati il diritto e l‟economia è di fondamentale importanza fare riferimento al sostrato
culturale e valoriale sulla cui base tale preminente rapporto viene costruito in una data società.
Le leggi stesse sono sempre vacillanti fin tanto che non poggiano sui costumi, in quanto i costumi
rappresentano la sola potenza resistente e durevole presso un popolo197
.
193 Ibidem
194 Così Thomas & Znaniecki in M. Marini, “La via italiana allo sviluppo. The long and winding road”, in dispensa per il corso di
Teoria dello sviluppo economico, a. a. 2011/12, Università della Calabria, Arcavacata di Rende, p. 125
195 Ibidem, p.3
196 M. Marini, Le risorse immateriali. I fattori culturali dello sviluppo economico, Rubbettino Editore, 2002, p. 17
197 A. de Tocqueville, La democrazia in America, Le grandi opere, Edizione speciale de Il sole 24 Ore, 2006, p. 505
Il grado di solidità o di precarietà, a seconda dei contesti di riferimento, connotante una cultura
legale o giuridica generano, dunque, senza alcun dubbio di sorta delle significative ricadute sia sul
più concreto funzionamento del sistema giudiziario, sia sul modo in cui gli individui convivono con
il sistema di regole al cui rispetto dovrebbero attenersi. Un sistema legale può essere, infatti,
analizzato da tre specifici punti di vista: strutturale, sostanziale e culturale198
.
Quello strutturale concerne gli aspetti istituzionali, quello sostanziale riguarda il merito delle leggi,
dei decreti e delle riforme attuate dai governi in una data circostanza, quello culturale si riferisce ai
valori e agli atteggiamenti che consolidano e compattano il sistema legale e che determinano il
posto che ad esso viene riservato all‟interno di una società nel complesso.
È la cultura legale, ovvero, l‟insieme dei valori e degli atteggiamenti connessi al rispetto della
legge, che determina quando ed in che misura gli individui si rivolgono a o fuggono da
quest‟ultima. La stessa litigiosità varia da cultura a cultura, il significato che le viene attribuito dalla
società cambia da paese a paese199
, motivo ulteriore per cui risulta utile interrogarsi sulle
determinanti ad essa relative. Tutti e tre gli aspetti evidenziati – strutturale, sostanziale e culturale –
costruiscono il sistema legale e lo rendono vivo interagendo fra di loro sotto la pressione degli
stimoli provenienti dall‟esterno, ovvero dalla società200
. In definitiva, la legge in sé, non è
completamente avulsa dalla realtà in cui ad essa viene data vita, ne risulta, al contrario, strettamente
collegata.
Basta pensare al ruolo che essa riveste nel momento in cui si assiste al verificarsi di radicali
cambiamenti all‟interno di una società. La legge non è indifferente ai rivolgimenti storici, politici o
sociali, essa costituisce, invece, uno dei fattori determinanti di questi ultimi; tuttavia i cambiamenti
importanti che possono riguardare il sistema normativo difficilmente riusciranno a realizzarsi
198 L. M. Friedman, “Legal Culture and social development”, Law & Society Review, Vol. 4, No. 1 (Aug., 1969), pp. 29-44.
199 Ibidem 200 Ibidem
appieno se ad essi non corrisponderà anche un cambiamento culturale che segua la medesima
direzione201
.
Il fallimento delle riforme istituzionali, nel caso qui trattato così come, più in generale, in altri, ne
costituisce un esempio lampante; esso mostra tutto il potere dell‟isteresi culturale: ogni riforma
indirizzata a modernizzare il paese è destinata a fallire se la gente che dovrebbe implementarla ha
convinzioni diametralmente opposte202
. È esattamente così che la robustezza di tale tipo di
resistenze all‟interno della società italiana continua a compromettere la solidità dello stato di diritto,
impendendo, al contempo, alla cultura d‟impresa di affermarsi, e quindi, anche al progresso civile e
sociale di poter fare il suo corso203
. A tal proposito, sono state individuate e definite con precisione
delle vere e proprie sindromi culturali prevalenti nella popolazione italiana che riguardano, nello
specifico, il rispetto delle regole e l‟approccio che ne deriva con il sistema concorrenziale204
.
Ne vengono distinte essenzialmente due: la sindrome predatoria in cui la concorrenza è accettata
senza alcuna regolazione, né di natura istituzionale, né morale; e quella comunitaria (o
comunitarismo) consistente in restrizioni opposte contro la concorrenza, in quanto si ritiene che alla
base dei comportamenti asociali vi sia il concetto stesso di competizione. Così la situazione diventa
polarizzata: o si accetta la concorrenza senza la regolazione, perché così fan tutti, o si usano le leggi
per ridurre il grado di concorrenza205
.
201 Ibidem, l‟autore precisa, ulteriormente, che “Some parts of the living law are deeply imbedded in national culture; and to replace major parts of it either means to uproot something quite fundamental, at considerable cost in disruption, or face the possibility that new law will lapse into ineffective
life…. There are aspects of law which do codify custom; and probably no law is effective that does not make some use of the culture of its society.” 202 M. Marini, “La via italiana allo sviluppo. The long and winding road”, in dispensa per il corso di Teoria dello sviluppo economico, a. a. 2011/12,
Università della Calabria, Arcavacata di Rende, p. 124
203 Ibidem, p.119
204 Ibidem, p. 126 205 Ibidem, p. 127
La stessa necessaria mediazione tra le due visione estreme segue percorsi controversi : l‟opinione
pubblica (italiana) è generalmente contraria alla concorrenza e permissiva con chi viola la legge, in
nome di ideali nobili ma utopistici quali il perdono e il reinserimento sociale, che poi nella pratica
facilmente scadono in favoritismo e clientelismo206
.
Naturalmente queste posizioni estreme sono degli idealtipi : nessuno oggigiorno reclama privilegi di
sorta, come farebbe un predatore dichiarato e tutti si dichiarano soggetti alla legge, ma nel concreto
molte strategie economiche nascono per aggirare le leggi esistenti al fine di massimizzare i profitti.
Analogamente, quasi nessuno oggigiorno si dichiara contro la concorrenza, come farebbe un
comunitarista di principio, ma nel concreto si approvano molte leggi con l‟intento di ridurre la
competizione, ritenuta pericolosa per la convivenza civile207
. Probabilmente è quasi inutile
aggiungere quanto tali erronee conformazioni del pensiero riguardanti il ruolo del mercato e delle
leggi ed il modo in cui essi interagiscono possano nuocere gravemente alla salute del sistema sia
normativo che economico del Paese, mentre può essere interessante soffermarsi sulla natura degli
atteggiamenti che fanno da sfondo all‟innescarsi di tali meccanismi.
Ad emergere è il costante palesarsi di una certa ambiguità con cui si vive, in generale, il rapporto
con le regole, intendendo con esse sia quelle etiche che quelle più strettamente giuridiche, la quale
sembra essere profondamente radicata nella cultura legale italiana. Più precisamente, sembra che le
norme ed i valori non abbiano un significato intrinseco, ma vengano utilizzate temporaneamente e
strumentalmente al servizio delle strategie di sopravvivenza dell‟individuo che le adotta208
; un
fenomeno efficacemente riconducibile alla cosiddetta arte di arrangiarsi, ossia a
quell‟opportunismo a cui ci si è finora, più volte, riferiti209
.
206 Ibidem p. 128
207 Ibidem p. 127
208 Ibidem, p. 95 209 Ibidem
A motivarne il relativo “successo” presso gli italiani sembra esser stata la promozione di alcuni
disvalori, tra cui, il particolarismo, con cui si indica una convinzione per cui il movente umano sia
esclusivamente mirato al perseguimento del proprio tornaconto personale210
, avvenuta in passato ad
opera di alcuni famosi intellettuali, tra cui, oltre a Machiavelli, spicca il nome di Francesco
Guicciardini uno scrittore politico del XV sec.211
, il cui lavoro a servizio dei papi medicei lo aveva
costretto ad “amare per el particulare mio la grandezza loro”212
; egli si confessava, dunque,
disposto a sopportare per – el particulare – suo, quindi per il proprio successo personale, molte cose
che intimamente detestava, giustificando così la possibilità della doppia morale213
, la quale non ha
tardato a sedimentarsi nella mentalità degli italiani.
L‟uso secolare di questa doppia morale che si è automaticamente tradotta, con il trascorrere del
tempo, nell‟osservanza solo esteriore dei precetti, ha contribuito fortemente a convincere gli italiani
che si può fingere di obbedire alle leggi per meglio eluderle nella sostanza. Un‟autorevole
testimonianza di quanto appena affermato è stata fornita dallo scrittore Goethe, il quale nel suo
viaggio in Italia racconta che una nobildonna napoletana gli chiarì per quale ragione era inutile fare
altre leggi – Ci procurano nuove preoccupazioni, dovremo escogitare il modo di trasgredire anche
quelle, dopo che ci siamo sbarazzati delle vecchie214
.
Ancor più lucidamente, Alessandro Manzoni ne I promessi sposi riesce a descrivere magistralmente
situazioni quotidiane in cui si manifestano, sotto l‟indifferenza o il timore generale, situazioni di
abuso della legge, spesso a scapito dei più deboli e degli incolti, dando un‟efficace prova di quanto
le modalità ed i termini del rispetto delle regole in Italia fossero dettate non da pubbliche autorità
ma dai potenti, dalla dubbia integrità morale, del tempo.
210 Ibidem, p.99 211 Ibidem
212 C. Augias, Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, pp. 64-65
213 Ibidem, p. 65 214 Ibidem, p. 76
Esclama, infatti, Don Rodrigo in una sua discussione con il Griso : -“In quanto alla giustizia me ne
rido : prove non ce n‟è, quando ce ne fosse me ne riderei ugualmente!”215
-. Ma una delle più
emblematiche scene, in tal senso, è quella in cui Renzo si rivolge all‟avvocato c.d. Azzecca-
garbugli, il cui nomignolo è già rivelatore delle modalità con cui conduceva il proprio mestiere, per
cercare di porre rimedio attraverso la legge all‟intricata situazione in cui i due giovani innamorati
milanesi erano stati coinvolti.
Lo scaltro avvocato fu, infatti, da subito chiaro con l‟ingenuo giovane, nell‟intimargli che “Chi dice
le bugie al dottore, vedete figliuolo, è uno sciocco che dirà la verità al giudice. All‟avvocato
bisogna raccontar le cose chiare : a noi tocca poi imbrogliarle”216
o ancora, “..a saper ben
maneggiare le gride, nessun è reo e nessuno è innocente”217
.
Insomma, “Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?”218
, in un Paese in cui la corruzione è ancora
molto diffusa e su chi osa richiamare l‟esigenza di una maggiore pulizia di costumi cade l‟accusa di
moralismo giacobino, ossia il peggiore degli insulti in un Paese dove vige un rifiuto totale,
rabbioso, di ogni impegno morale e dove si disprezzano i richiami etici per meglio giustificare un
malcostume che si tenta di far passare come un disinvolto stile di vita219
; in cui vi è, in definitiva, il
dubbio che vivere rettamente sia inutile220
?
La risposta non può risiedere neanche nella sentenza emessa dal più temerario dei magistrati, dal
momento che nei casi in cui i dettami della legge riescono a trionfare, il sentimento dominante
anziché di soddisfazione per la rivincita della giustizia, è il sospetto che si tratti di un regolamento
di conti di un centro di potere contro un altro centro di potere221
.
215 A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di Luigi Russo, La nuova Italia, editrice Firenze, 1988, p. 212 216 Ibidem, p. 55
217 Ibidem, p.57
218 Dante, Purgatorio, XIV, 97, in C. Augias, Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, p. 97
219 Ibidem, p.10
220 Così Corrado Alvaro in Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, p. 10
221 Così I. Calvino in Il disagio della libertà, perché agli italiani piace avere un padrone, Rizzoli, 2012, p. 9
Acquisisce dunque sempre più urgenza la necessità di dover rivedere e, conseguentemente,
ristabilire i termini del fondamentale rapporto tra etica, responsabilità e libertà all‟interno della
nostra società, anche se il quadro generale che viene quotidianamente descritto sia dalla stampa che
dai media sembra allontanarci irrimediabilmente dal raggiungimento di tale obiettivo. Ad essere
fonte di scoraggiamento è soprattutto la bassezza di costumi e la totale assenza di scrupoli che si è
impadronita oggi di coloro che dovrebbero guidare una potenziale inversione di tendenza, ossia di
coloro che si occupano della gestione della cosa pubblica ad ogni livello.
Tuttavia, per quanto difficile possa rivelarsi occorre prendere coscienza del peso costituito dal
nostro tratto culturale fatto di particolarismo e di sfiducia negli altri e nelle istituzioni, dal momento
che contare sulla capacità d‟improvvisare e sull‟arte di arrangiarsi è ormai un lusso che non
possiamo più permetterci, in un ambiente internazionale così lontano dagli equilibri che avevano
garantito e protetto il miracolo economico italiano222
. In altre parole, finché la struttura sociale non
sarà riscostruita su alcuni essenziali valori quali : la preminenza dello stato di diritto e la libertà di
iniziativa individuale coniugata con l‟assunzione della responsabilità delle proprie azioni nei
confronti della collettività essa continuerà a contenere in sé le forze necessarie per contrastare e
rendere vani gli sforzi che mirano a spezzare il circolo vizioso del degrado sociale223
.
Partire da una riformulazione dei presupposti che motivano l‟utilizzo degli strumenti giuridici per la
risoluzione dei piccoli conflitti, garantendo un miglior funzionamento del sistema giudiziario, può
rivelarsi un valido esercizio per inaugurare l‟inizio di una nuova ed auspicabile fase in cui
l‟approccio con le regole risulti, in generale, scevro da qualsiasi intenzione di una loro relativa
manipolazione al fine di soddisfare il proprio tornaconto personale, ignorando le possibili negative
ricadute che una diffusione di tali atteggiamenti possa determinare in termini soprattutto economici.
222 “Mappe del tesoro. Atlante del capitale sociale in Italia” ,R. Cartocci, Ed. Il Mulino, 2007, p. 126 223 A. Graziani, La cultura dello sviluppo economico, in M. Marini, dispensa per il corso di Teoria dello sviluppo economico, a. a.
2011/12, Università della Calabria, Arcavacata di Rende, p. 151
Naturalmente si tratta dell‟adozione di risoluzioni che possono dispiegare i propri effetti solo nel
lungo periodo, in quanto costringerebbe la società a “guardarsi dentro” e ad intervenire in maniera
profonda sulle problematiche che l‟attanagliano. È solo così, però, che si potrà ottenere il successo
reale di altri tipi di misure che in tale direzione possono essere adoperate.
A questo proposito un saggio suggerimento ci viene offerto dall‟illustre filosofo D. Hume, secondo
cu in questi casi a soccorrere l‟uomo basta solo un po‟ di pratica del mondo, partendo dal principio
per cui la riproducibilità dell‟agire umano è legata all‟efficacia dei singoli comportamenti:
l‟umanità tende a replicare il comportamento che ha funzionato in passato.
L‟autore del Trattato sulla natura umana afferma, appunto, a questo riguardo che occorre soltanto
una minima pratica del mondo , per farci percepire tutte queste conseguenze e tutti questi vantaggi.
Poiché ogni mortale li scopra, è sufficiente una minima esperienza di società; e quando ogni
individuo percepisce lo stesso senso di interesse in tutti i suoi compagni, egli immediatamente
esegue la parte del suo contratto, come se fosse sicuro che anche gli altri non mancheranno di
eseguire la loro.
Dunque ad un individuo maturo occorre soltanto una minima pratica del mondo, o meglio una
minima esperienza di società affinché entri in uno schema di azioni concepito per il beneficio
comune224
. Inutile aggiungere quanto benvenute possano essere tutte le opportunità che un mondo
caratterizzato da confini sempre più labili riesce ad offrire in tal senso. Ma non sono da escludere, al
contempo, i possibili rimedi che possono essere sperimentati anche nell‟immediato.
Essi concernono soprattutto l‟ambito dell‟educazione, anzi della ri-educazione da porre in essere
nei luoghi ad essa dediti, quali sostanzialmente, gli istituti di istruzione e le famiglie, affinché essa
possa svilupparsi attraverso la promozione di nuovi valori come la fiducia, la solidarietà, la legalità
e la propensione all‟autodeterminazione.
224 D. Hume, Trattato sulla natura umana, parte II, libro III, sez. V, v. 520, cit. 1031, in La statualità nella fiducia, la fiducia nella statualità. Valori
politici e coesione sociale nel processo di civilizzazione statuale: esperienze storiche e teoria istituzionale” di S. Scognamiglio, in Costituzione,
Economia, Globalizzazione. Liber amicorum di Carlo Amirante, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2013, p. 552-53
Molto, in questo senso, può essere fatto anche dal terzo settore, ossia da quel mondo fatto di
associazionismo, cittadinanza attiva, organizzazioni non governative, imprese sociali e no profit da
una cui maggiore rigogliosità potrebbe dipendere una graduale eliminazione dell‟antagonismo verso
gli altri e verso le istituzioni che attualmente e da sempre ci contraddistingue.
Un intervento ancor più concreto e diretto dovrebbe essere rivolto ad innalzare il nostro livello di
alfabetizzazione funzionale, ossia della literacy, da cui dipende la nostra capacità di comprensione
reciproca, di problem solving quotidiano, dunque, il nostro grado di coesione sociale.
La literacy non è ormai più definita semplicemente in termini di “soglia minima di base” riferita
all‟alfabetizzazione strumentale, che è ormai posseduta da tutta la popolazione italiana, ma i
progressi significativi registrati, attraverso l‟espansione dell‟istruzione, nei tassi di partecipazione ai
corsi di educazione per adulti e nel livello generale d‟istruzione raggiunto dalla popolazione, non
fanno diminuire, ma anzi, hanno rafforzato interesse e preoccupazione circa il possesso di
competenze alfabetiche funzionali di livello medio alto. Il bisogno di competenza della società
italiana nell‟ambito della literacy è in una certa misura considerevolmente aumentato.
Sebbene attualmente i cittadini italiani siano più istruiti e l‟ambiente di vita rappresenti una fonte di
acquisizione di competenze, permane tuttavia una certa percentuale di adulti che presenta ancora
carenze molto forti dal punto di vista del possesso e della capacità di acquisire competenze
alfabetiche funzionali, spendibili sia nell‟ambiente di lavoro che nella vita quotidiana ed infine per
operare adeguatamente anche nell‟ambito sociale, inteso in senso generale225
.
Per l‟Italia, come per altri paesi, una popolazione colta e ben istruita è una condizione sine qua non
per cogliere i vantaggi della globalizzazione e dei mutamenti strutturali, pur nella salvaguardia dei
valori culturali tradizionali226
.
225 Letteratismo e abilità per la vita. Indagine nazionale sulla popolazione italiana 16-65 anni. A cura di Vittoria Gallina, Armando Editore, Roma 2006, pp. 147-148 226 Ibidem, p. 151
Quelle appena segnalate sono dunque solo alcune delle grandi sfide che oggi la società italiana si
ritrova a dover affrontare. Essa potrà accoglierle nel modo giusto solo se il particolarismo,
l‟opportunismo, la chiusura mentale e la conflittualità facile verranno definitivamente accantonate,
lasciando, invece, che siano soprattutto l‟autonomia responsabile227
ed il profondo rispetto per la
legalità a salvarla da se stessa.
Si tratta di esigenze di diversa natura economica, sociale, giuridica la cui soddisfazione è
decisamente improrogabile, in quanto da essa prescinde anche il mantenimento della nostra
democrazia e della nostra prosperità.
227 Cfr., M. Marini, “La via italiana allo sviluppo. The long and winding road”, in dispensa per il corso di Teoria dello sviluppo economico, a. a.
2011/12, Università della Calabria, Arcavacata di Rende
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