MIRCEA ELIADE
MITI, SOGNI E MISTERI
Titolo originale dell'opera: Mythes,reves et mystères
Traduzione dal francese di GiovanniCantoni.
indau Editrice
Torino - 2007
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NOTA EDITORIALE
Il mito dell'Albero Sacro posto al centro
dell'Eden risale ai primordidell'umanità: è la suggestiva ipotesi diMircea Eliade, uno dei più
autorevoli studiosi di storia dellereligioni. L'Albero Sacro, scrive Eliade,consentiva all'uomo di ascendere alcielo, stabilire un colloquio
diretto con Dio, arrivare allacomprensione metafisica della realtà.Poi, con la perdita dell'innocenza, venneil giorno dell'esilio dall'Eden.
e grandi mitologie del passato hanno unaradice comune: la nostalgia per ilparadiso primordiale, sede della felicitàe dell'immortalità.
Qual è oggi, si domanda Eliade, lafunzione del mito? Con ladesacralizzazione della vita e delCreato, l'uomo
contemporaneo ha «rimosso» il
simbolo nelle zone oscure della psiche,cioè nel sogno, nelle fantasie, nellememorie ancestrali. Con «Miti, sogni emisteri», Mircea Eliade
rocede a un illuminante raffronto tra ilvariegato, trasparente e interpersonalespazio delle religioni con l'opaca elimitativa sfera
dell'inconscio individuale.
Nel suo studio, l'autore interpreta inmodo nuovo e anticonvenzionale i ritidella Madre Terra, i sacrifici umani, imisteri orfici, i poteri
degli sciamani, la mistica indiana, lepratiche dei monaci buddisti, i valoridelle Scritture ebraiche e cristiane, perapprodare alle odierne
dinamiche dell'immaginario.
Forse soltanto Mircea Eliade potevacondurre tanto in profondità, e con unostile così limpido, l'analisi sulla nascita,la struttura e il
significato dei miti. Le sue conclusionisono positive: nell'uomo dei nostri
giorni vivono tuttora, anche se nascoste,la nostalgia dell'Eden
erduto e la memoria dell'Albero Sacro,simboli della vita e della trascendenza.
MIRCEA ELIADE (Bucarest 1907 -Chicago 1986) si laureò in lettere nellasua città natale. Dal 1928 al 1932,all'Università di Calcutta,
approfondì i suoi studi sull'India,soprattutto sotto l'aspetto religioso; inseguito insegnò metafisica all'Universitàdi Bucarest e, dal 1946
al 1949, tenne corsi all'Ecole des HautesEtudes della Sorbona. Si trasferì nel1956 negli Stati Uniti, dove divenne
titolare della cattedra di
storia delle religioni all'Università diChicago.
Fu il fondatore della rivista di studireligiosi «Zalmoxis». Fra i suoinumerosi saggi: "Mito e realtà” (1974) e"Il mito dell'eterno ritorno"
(1975), usciti presso Rusconi.
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REMESSA
I testi riuniti in questo volume nonintendono presentare uno studiosistematico dei rapporti esistenti fra
certe strutture dell'universo
religioso - come i miti e i misteri el'universo onirico. Questo problema puòappassionare lo psicologo, o anche ilfilosofo, ma è meno urgente
er lo storico delle religioni; ed è in taleveste che abbiamo redatto i presentistudi. Non intendiamo certamente direche lo storico delle
religioni non abbia nulla da impararedalle recenti e numerose scoperte dellapsicologia del profondo; ma nulla locostringe a rinunciare alla
rospettiva che gli è propria nel tentativodi comprendere i differenti universi
religiosi rivelati dai suoi documenti.
Facendolo, si
sostituirebbe allo psicologo e avrebbecertamente tutto da perdere e nulla daguadagnare. La disavventura gli è giàcapitata quando, credendo di
servire meglio la propria disciplina, haaffrontato il suo oggetto come sociologoo etnologo, sfociando soltanto in unacattiva sociologia e in
una cattiva etnologia. Senza dubbio, tuttele discipline dello spirito e tutte lescienze dell'uomo sono ugualmentepreziose, e le loro scoperte
sono strettamente connesse. Maconnessione non significa confusione;l'importante è integrare i risultati deidiversi approcci spirituali, senza
confonderli. Il metodo più sicuro, nellastoria delle religioni come in tutti glialtri campi, rimane sempre quello distudiare un fenomeno sul
suo piano di riferimento, salvo integrarepoi i risultati di questo approccio in unaprospettiva più ampia. Pressoché tutti itesti qui
raggruppati implicano allusioni e breviconfronti fra l'attività dell'inconscio e ifatti religiosi. Ma soprattutto il capitolosesto si sforza
di mostrare i rapporti tra il dinamismodell'inconscio - come si manifesta neisogni e nell'immaginazione - e lestrutture dell'universo
religioso. Abbiamo potuto intraprenderequesto confronto per ciascuno dei temitrattati in questo volume; infatti non vi èmotivo mitico e
scenario iniziatico che non sia inqualche modo presente anche nei sogni enelle fantasie dell'immaginazione. Negliuniversi onirici si ritrovano
i simboli, le immagini, le «figure» e gli«avvenimenti» che costituiscono lemitologie. Su tale scoperta, dovuta algenio di Freud, tutte le
sicologie del profondo hanno lavoratoda mezzo secolo in qua. Grande era latentazione - e quasi tutti gli psicologi vihanno ceduto - di far
derivare le figure e gli avvenimentidella mitologia dai contenuti e dalladinamica dell'inconscio. Da un certopunto di vista gli psicologi
hanno ragione; è infatti possibileequiparare la «funzione» delle figure e il«risultato» degli avvenimenti sui pianiparalleli dell'attività
inconscia, da una parte, e della religionee della mitologia, dall'altra; ma non sideve confondere l'equiparazione conl'identificazione e la
riduzione. Proprio quando lo psicologo«spiega» una figura o un avvenimentomitologici riducendoli a un processodell'inconscio, lo storico delle
religioni esita a seguirlo; e forse non è ilsolo. In fondo, questa spiegazione perriduzione equivarrebbe a spiegareMadame Bovary secondo il
criterio dell'adulterio. Madame Bovaryesiste soltanto sul suo piano diriferimento, che è quello di unacreazione letteraria, di un'opera dello
spirito. Che Madame Bovary abbiapotuto essere scritto soltanto in unasocietà borghese dell'Occidente delsecolo Diciannovesimo, in cui
'adulterio costituiva un problema "suigeneris", è completamente un altroproblema, che interessa la sociologialetteraria, ma non l'estetica
del romanzo.
Il mito è tale per il suo modo d'essere: èriconoscibile come mito solamente nellamisura in cui rivela che qualcosa si èpienamente manifestato;
e questa manifestazione ècontemporaneamente creatrice edesemplare perché fonda sia una strutturadel reale sia un
comportamento umano. Un mito
racconta sempre che qualcosa èrealmente accaduto, che un avvenimentoè accaduto nel significato più profondodel termine: non importa che si
tratti della creazione del mondo, o dellapiù insignificante specie animale ovegetale, oppure di un'istituzione. Il fattostesso del dire ciò
che è accaduto rivela come una certaesistenza si è realizzata (e questo comeequivale anche al perché). E l'attodell'esistere è insieme
emergenza di una realtà e svelamentodelle sue strutture fondamentali. Quandoil mito cosmogonico racconta come èstato creato il mondo, rivela
contemporaneamente l'emergenza dellarealtà totale costituita dal cosmo, nonchéil suo ordine ontologico: dice in chesenso il mondo è.
a cosmogonia è anche una ontofania, lamanifestazione piena dell'essere. Epoiché tutti i miti rientrano in un certosenso nella tipologia del
mito cosmologico - infatti ogni storia diciò che è avvenuto in illo tempore èsoltanto una variante della storiaesemplare: come il mondo è
venuto all'esistenza -, ne consegue cheogni mitologia è una ontofania. I mitirivelano le strutture del reale e imolteplici modi d'essere nel
mondo. Proprio per questo sono ilmodello esemplare dei comportamentiumani: rivelano storie VERE, che si
riferiscono alle REALTÀ. Ma ontofania
implica sempre teofania o ierofania.Proprio gli dèi o gli esseri semidivinihanno creato il mondo e hanno fondatogli innumerevoli modi d'essere
nel mondo, da quello che è particolareall'uomo fino al modo d'esseredell'insetto.
Rivelando la storia di ciò che èavvenuto in illo tempore, si rivela ancheun'irruzione del sacro nel mondo.Quando un dio o un eroe
civilizzatore hanno istituito uncomportamento - per esempio, un modoparticolare di nutrirsi - non hannosolamente assicurato la realtà del
comportamento stesso (infatti quel gestoprima non esisteva, non era praticato,era dunque «irreale»), ma per il fattostesso che tale
comportamento è loro invenzione, èanche teofania, creazione divina.
Nutrendosi alla maniera degli dèi odegli eroi civilizzatori, l'uomo ripete iloro gesti e partecipa in un certo sensodella loro presenza.
e pagine che seguono insistono a
sufficienza sulla struttura e funzione deimiti, sicché possiamo ora limitarci apoche osservazioni generali;
ma quello che abbiamo appena dettobasta per mettere in evidenza ladifferenza radicale di ordine ontologicofra i miti e i sogni. Non vi è mito
se non vi è svelamento di un «mistero»,rivelazione di un avvenimentoprimordiale che ha fondato sia unastruttura del reale sia un comportamento
umano. Da ciò deriva che, per il suomodo d'essere, il mito non può essereparticolare, privato, personale. Si puòcostituire in quanto mito
solamente nella misura in cui rivelal'esistenza e l'attività degli esserisovrumani che si comportano in un modoesemplare, cioè, sul piano
della spiritualità primitiva, che sicomportano in un modo universale;poiché un mito diventa un modello per«tutto il mondo» (così è considerata
a società cui si appartiene) e un modelloper «l'eternità» (infatti è avvenuto in illotempore e non partecipa dellatemporalità). Ultima
importante nota specifica: il mito èaccolto dall'uomo in quanto esseretotale, non si rivolge solamente alla suaintelligenza o alla sua
immaginazione. Quando non è piùaccolto come una rivelazione dei«misteri», il mito si «degrada», sioscura, diventa racconto o leggenda.
Non sono necessarie lunghe analisi permostrare che un sogno non riesce asollevarsi a un simile ordine ontologico:non è vissuto dall'uomo
totale, e quindi non riesce a trasformareuna situazione particolare in situazioneesemplare, universalmente valida.
Certo un sogno può essere
decifrato, interpretato, e può alloratrasmettere il suo messaggio in un modopiù esplicito; ma in quanto sogno,
considerato unicamente nel suo
universo, gli mancano le dimensionicostitutive dei miti: l'esemplarità el'universalità. Non è considerato comesvelamento delle strutture del
reale, né come rivelazione di uncomportamento che, fondato dagli dèi odagli eroi civilizzatori, s'impone come
esemplare.
Tuttavia si è potuto dimostrare che esistecontinuità tra gli universi onirico emitologico, proprio come vi è
equiparazione tra le figure e gli
avvenimenti dei miti e i personaggi e gliavvenimenti dei sogni.
Si è anche dimostrato che nei sogni lecategorie dello spazio e del tempo sonomodificate in un modo che ricorda in unacerta misura l'abolizione
del tempo e dello spazio nei miti. Anzi,si è osservato che i sogni e gli altriprocessi dell'inconscio presentano comeun'«aura religiosa»; non
soltanto le loro strutture si possonoparagonare a quelle della mitologia, mal'esperienza vissuta di certi contenutidell'inconscio sarebbe,
secondo gli psicologi del profondo,
equiparabile alla esperienza del sacro.Si è concluso, forse un poco
precipitosamente, che le creazioni
dell'inconscio sono la «materia prima»della religione e di tutto ciò che essaimplica: simboli, miti, riti, eccetera.
Abbiamo spiegato,
sull'esempio di Madame Bovary, comenon sia corretto spiegare una realtàfermandosi alla «materia prima» cheessa implica e presuppone.
'equiparazione fra i personaggi e gliavvenimenti di un mito e di un sogno nonimplica la loro identità fondamentale.
Non si ripeterà mai a
sufficienza questa verità evidente,perché è sempre latente la tentazione dispiegare gli universi spiritualiriducendoli a un'«origine»
respirituale.
'«aura religiosa» di certi contenutidell'inconscio non sorprende lo storicodelle religioni, perché egli sa chel'esperienza religiosa impegna
'uomo nella sua totalità, quindi anche lezone profonde del suo essere. Questoperò non significa ridurre la religionealle sue componenti
irrazionali, ma semplicementericonoscere l'esperienza religiosa qualè: esperienza dell'esistenza totale, cherivela all'uomo le sue modalità
d'essere nel mondo. Ora, tutti sonoconcordi nel considerare i contenuti e lestrutture dell'inconscio come il risultatodelle situazioni
critiche immemoriali. Ogni crisiesistenziale ripropone il problema dellarealtà del mondo e insieme dellapresenza dell'uomo nel mondo. La crisi
è, insomma, «religiosa» poiché ai livelliarcaici di cultura l'essere si confondecon il sacro. Per tutta l'umanitàprimitiva, infatti,
'esperienza religiosa fonda il mondo:l'orientamento rituale, rivelando lestrutture dello spazio sacro, trasforma il
«caos» in «cosmo» e,
quindi, rende possibile un'esistenzaumana (cioè le impedisce di regredire allivello dell'esistenza zoologica). Ognireligione, anche la più
elementare, è un'ontologia: rivelal'essere delle cose sacre e delle figuredivine, mostra ciò che è realmente e,così facendo, fonda un mondo
che non è più evanescente eincomprensibile, come lo è negli incubi,come ridiventa ogni volta che l'esistenza
minaccia di essere sommersa nel
«caos» della relatività totale, quandonessun «centro» emerge per assicurareun orientamento.
In altre parole, nella misura in cuil'inconscio è il «precipitato» delleinnumerevoli situazioni limite, non puònon assomigliare a un universo
religioso. Infatti la religione è lasoluzione esemplare di ogni crisiesistenziale. La religione «comincia»dove si ha una rivelazione totale
della realtà: rivelazione, a un tempo, delsacro - di ciò che è per eccellenza, diciò che non è né illusorio né evanescente
- e dei rapporti
dell'uomo con il sacro; rapportimultiformi, cangianti, talora ambivalenti,ma che collocano sempre l'uomo alcentro stesso del reale. Questa
duplice rivelazione rende nello stessotempo l'esistenza umana «aperta» aivalori dello spirito: da una parte, ilsacro è
l'altro per eccellenza,
il transpersonale, il «trascendente»; edall'altra, è esemplare, nel senso cheistituisce modelli da seguire:trascendenza ed esemplarità che
forzano l'uomo religioso a uscire dallesituazioni personali, a superare lacontingenza e il particolare e adaccedere ai valori generali,
all'universale. Proprio in questo sensobisogna comprendere 1'«aura religiosa»di certi contenuti dell'inconscio:l'esperienza religiosa è a un
tempo crisi totale dell'esistenza esoluzione esemplare di tale crisi.
Soluzione esemplare, perché svela unmondo che non è più privato né opaco,ma transpersonale, significativo e sacro,perché opera degli dèi. Ed è
appunto dall'esemplarità della soluzione
religiosa che si può giudicare meglio ilsalto che separa l'universo
dell'inconscio e l'universo della
religione. La soluzione religiosa fondaun comportamento esemplare e, diconseguenza, costringe l'uomo arivelarsi contemporaneamente il reale e
'universale. Soltanto a partire da questarivelazione, assimilata dall'uomo nel suointero essere, si può parlare di religione.Tutte le
strutture e le forme religiose, seppurerudimentali, partecipano di questoordine ontologico. Se in una societàprimitiva un albero qualsiasi è
considerato come sacro e designato«Albero del Mondo», ne consegue che,in virtù dell'esperienza religiosa che hafondato tale credenza, i membri
di quella società hanno la possibilità diaccedere a una comprensione metafisicadell'universo: infatti il simbolismodell'Albero del Mondo
rivela appunto loro che un oggettoparticolare può significare la totalitàcosmica; dunque l'esperienzaindividuale viene
«svegliata» e
trasmutata in atto spirituale. Grazie alsimbolismo religioso dell'Albero del
Mondo l'uomo riesce a viverel'universale.
Ma si tratta di
un'esperienza totale: proprio la visionereligiosa del mondo e l'ideologia che nederiva hanno permesso all'uomo di farfruttificare la propria
esperienza individuale, di «aprirsi»verso l'universale.
oiché abbiamo scelto come esempiol'immagine dell'albero, vediamo qual èla sua funzione nell'universo
dell'inconscio. Simili immagini sono
notoriamente abbastanza frequenti neisogni: fanno parte del codice cifratodella vita profonda e indicano, sembra,che il dramma che si svolge
nell'inconscio - e che interessa l'integritàdell'attività psicomentale e, quindi, ditutta l'esistenza - sta per trovare unasoluzione positiva.
È come dire che il senso che si puòcogliere a livello dell'esperienza oniricao dell'immaginazione si integra nellaserie dei valori rivelati,
sul piano dell'esperienza religiosa, dalsimbolismo dell'albero. Infatti, nellemitologie e nelle religioni, i principalisignificati del
simbolismo dell'albero - peraltroabbastanza complesso - sonostrettamente collegati con l'idea dirinnovamento
periodico e infinito, di
rigenerazione, di «fonte di vita e digiovinezza», d'immortalità e di realtàassoluta. Ma poiché l'immaginedell'albero non si rivela come
simbolo, cioè non risveglia la coscienzatotale dell'uomo rendendola «aperta»all'universale, non si può dire che abbiacompletamente assolto il
roprio compito.
'immagine dell'albero emessa dai sogniha «salvato» soltanto in parte l'uomodalla sua situazione individuale -
permettendogli, per esempio, di
sanare una crisi in profondità erestituendogli il suo equilibrio psichicopiù o meno gravemente minacciato -; manon essendo stata accolta come
simbolo, l'immagine dell'albero non èriuscita a rivelare l'universale, quindinon ha elevato l'uomo al piano dellospirito, ciò che invece fa
sempre la religione anche piùrudimentale.
È dunque evidente in quale prospettivasiano utili e fecondi i confronti tra i dueuniversi, rispettivamente dello storicodelle religioni e
dello psicologo del profondo. Purché sieviti comunque di confondere i piani diriferimento, la scala dei valori, esoprattutto i metodi.
e Val d'Or, giugno 1956.
***
NOTA BIBLIOGRAFICA
I testi compresi in questo volume sonostati pubblicati fra il 1948 e il 1956. Liripubblichiamo pressoché integralmente,
con leggere varianti,
intese soprattutto a evitare il piùpossibile le ripetizioni e a semplificarel'apparato critico.
Indichiamo la data della loro primapubblicazione su riviste o in volumicollettivi. 1. "I miti del mondo moderno”("Les Mythes du monde
moderne"), in «Nouvelle RevueFrangaise», settembre 1953; 2. "Il mitodel buon selvaggio" ("Le Mythe du BonSauvage"), ivi, agosto 1955; 3.
"Il simbolismo religioso e lavalorizzazione dell'angoscia"("Symbolisme religieux et valorisation
de l'angoisse"), riprende il testo di una
conferenza tenuta ai «RencontresInternationales de Genève» (settembre1953) e pubblicato nel volume collettivo
"L'Angoisse du temps présent et
es devoirs de l'esprit", 1954. "Lanostalgia del paradiso nelle tradizioniprimitive" ("La Nostalgie du Paradisdans les traditions primitives")
in «Diogène», luglio 1953. "Esperienzasensoriale ed esperienza mistica pressoi primitivi" ("Expérience sensorielle etexpérience mystique"),
nel volume collettivo "Nos Sens et
Dieu" («Etudes Carmélitaines», 1954)."Simbolismi dell'ascensione e «sogni instato di veglia»" ("Symbolismes
de l'ascension et «reves éveillés»"),riunisce tre articoli apparsirispettivamente in «Numen» (gennaio1956), nella Miscellanea in onore di Van
der Leew (Nijkerk 1950), in "Art andThought" (Miscellanea in onore di A. K.Coomaraswamy, Londra 1948); gliultimi tre studi sono apparsi negli
«Eranos-Jahrbucher», XXI, XXII, XXIII,Zurigo 1953, 1954, 1955.
M.E.
1.Che cos'è propriamente un «mito»? Nellinguaggio corrente del secoloDiciannovesimo «mito» significava tuttociò che si oppone alla «realtà»: la
creazione di Adamo o l'«uomomascherato», come la storia del mondoraccontata dagli Zulù o la "Teogonia" diEsiodo, erano «miti». Come molti
altri cliché dell'illuminismo e delpositivismo, anche questo avevastruttura e origine cristiane: infatti, per ilcristianesimo primitivo tutto
quello che non trovava giustificazione
nell'uno o nell'altro dei due Testamentiera falso: era una «favola».
Ma le ricerche degli etnologi ci hannocostretto a ritornare su questa ereditàsemantica, sopravvivenza dellapolemica cristiana contro il mondo
agano. Si comincia finalmente aconoscere e a comprendere il valore delmito elaborato dalle società «primitive»e arcaiche, cioè dai gruppi
umani in cui il mito costituisce ilfondamento stesso della vita sociale edella cultura. E un fatto ci colpiscesubito: tali società ritengono
che il mito esprima la verità assoluta
perché racconta una storia sacra, cioèuna rivelazione transumana che èavvenuta
all'alba del Grande
Tempo, nel tempo sacro degli inizi (inillo tempore). Essendo reale e sacro, ilmito diventa esemplare, e diconseguenza ripetibile, poiché serve
da modello e anche da giustificazione atutti gli atti umani. In altri termini, unmito è una storia vera che è avvenutaagli inizi del tempo e
che serve da modello ai comportamentidegli uomini. imitando gli atti esemplaridi un dio o di un eroe mitico, o
semplicemente raccontando le
oro avventure, l'uomo delle societàarcaiche si stacca dal tempo profano e siricongiunge magicamente al Grande
Tempo, al tempo sacro.
Come si vede, si tratta di uncapovolgimento totale dei valori: mentreil linguaggio corrente confonde il mitocon le
«favole», l'uomo delle
società tradizionali vi scopre, alcontrario, la sola rivelazione validadella realtà. Non si è tardato a tirare leconclusioni da questa
scoperta. Evitando di insistere nel direche il mito racconta cose impossibili oimprobabili, ci si è limitati a dire cheesso costituisce un
modo di pensare diverso dal nostro, inogni caso da non considerare - "a priori"- come aberrante. Si è poi tentato diintegrare il mito nella
storia generale del pensiero,considerandolo come la forma pereccellenza del pensiero collettivo. Mapoiché il
«pensiero collettivo» non È mai
completamente abolito in una società,qualunque ne sia il grado di evoluzione,
non si è mancato di osservare che ilmondo moderno conserva ancora
un certo comportamento mitico: peresempio, la partecipazione di tutta unasocietà a certi simboli è statainterpretata come una sopravvivenza
del «pensiero collettivo».
Non era difficile dimostrare che lafunzione di una bandiera nazionale, contutte le esperienze affettive che implica,non differisce affatto
dalla «partecipazione» a un qualsiasisimbolo nelle società arcaiche. E questoequivale a dire che, a livello di vitasociale, non esiste
soluzione di continuità tra il mondoarcaico e il mondo moderno. La solagrande differenza era data dallapresenza, nella maggior parte degli
individui che costituiscono le societàmoderne, di un pensiero personale,assente o quasi nei membri delle societàtradizionali.
Non è il caso di esporre considerazionigenerali sul «pensiero collettivo». Ilnostro problema è più modesto: se ilmito non è una creazione
uerile e aberrante dell'umanità«primitiva», ma è invece l'espressionedi un modo d'essere nel mondo, che cosasono diventati i miti nelle
società moderne? O meglio: che cosa haoccupato il posto essenziale che il mitoaveva nelle società tradizionali?
Infatti, certe «partecipazioni»
ai miti e ai simboli collettivisopravvivono ancora nel mondomoderno, ma sono ben lungidall'assolvere la funzione centrale che ilmito ha nelle
società tradizionali: in confronto aqueste, il mondo moderno sembrasprovvisto di miti. Si è anche sostenutoche le inquietudini e le crisi
delle società moderne si spieganoproprio con l'assenza di un loro mito
peculiare. Intitolando uno dei suoi libri"L'uomo alla scoperta della
ropria anima”, Jung sottintende che ilmondo moderno - in crisi a partire dallarottura in profondità con il cristianesimo
- è alla ricerca di
un nuovo mito che gli permetta diritrovare una nuova fonte spirituale e glirestituisca le forze creatrici [Per«mondo moderno» s'intende la
società occidentale contemporanea, maanche una certa condizione di spirito chesi è formata attraverso alluvionisuccessive cominciando dal
Rinascimento e dalla Riforma. Sono«moderne» le classi attive delle societàurbane, cioè la massa umana che è statapiù o meno direttamente
modellata dall'istruzione e dalla culturaufficiale. Il rimanente della popolazione,soprattutto nell'Europa centrale esudorientale, resta
ancora attaccato a un orizzonte spiritualetradizionale per metà precristiano. Lesocietà agricole sono generalmentepassive nella storia; quasi
sempre la subiscono, e quando vengonodirettamente coinvolte nelle granditensioni storiche (per esempio, leinvasioni barbariche della bassa
antichità) il loro comportamento è diresistenza passiva]. Infatti, almenoapparentemente, il mondo moderno nonè ricco di miti.
Si è parlato, per esempio, dellosciopero generale come di uno dei rarimiti creati dall'Occidente moderno. Masi tratta di un malinteso: si
credeva che un'idea accessibile a unnumero considerevole d'individui, equindi «popolare», potesse diventare unmito per il semplice fatto che
a sua realizzazione storica è proiettata inun avvenire più o meno lontano. Ma noncosì si «creano» i miti. Lo scioperogenerale può essere uno
strumento per la lotta politica, ma mancadi precedenti mitici, e questo basta perescluderlo da ogni mitologia.
Ben diverso è il caso del comunismomarxista. Lasciamo da parte la validitàfilosofica del marxismo e il suo destinostorico; fermiamoci invece
alla struttura mitica del comunismo e alsenso escatologico del suo successopopolare. Qualunque cosa si pensi dellevelleità scientifiche di
Marx, è evidente che l'autore del"Manifesto dei comunisti" riprende eprolunga uno dei grandi mitiescatologici del mondo asiatico-mediterraneo,
cioè la funzione redentrice del giusto(l'«eletto», l'«unto», l'«innocente», il«messaggero», oggi, il proletariato), lecui sofferenze hanno la
missione di cambiare lo stato ontologicodel mondo. Infatti la società senza classidi Marx, e la conseguente scomparsadelle tensioni storiche,
trovano il loro più esatto precedente nelmito dell'Età dell’Oro, che secondomolte tradizioni caratterizza l'inizio e lafine della storia. Marx
ha arricchito questo mito venerabile ditutta un'ideologia messianica giudeo-cristiana: da una parte, il ruolo profeticoe la funzione
soteriologica che egli attribuisce alproletariato; dall'altra, la lotta finale trail Bene e il Male, che si può facilmenteaccostare al
conflitto apocalittico tra Cristo eAnticristo, seguito dalla vittoriadecisiva del primo. È anchesignificativo che Marx riprenda a suomodo la
speranza escatologica giudeo-cristianadi una fine assoluta della storia; sisepara in questo dagli altri filosofistoricisti (per esempio, Croce
e Ortega y Gasset), per i quali letensioni della storia sono consustanzialialla condizione umana e quindi non
possono mai essere completamente
abolite.
aragonata alla grandezza e al vigorosoottimismo del mito comunista, lamitologia adottata dalnazionalsocialismo appare stranamentemaldestra:
non soltanto a causa delle limitazionistesse del mito razzista (come si potevaimmaginare che il resto dell'Europaaccettasse volontariamente di
sottomettersi al Herrenvolk?), masoprattutto grazie al pessimismofondamentale della mitologia germanica.Nel suo tentativo di abolire i valori
cristiani e ritrovare le fonti spiritualidella «razza», cioè del paganesimonordico, il nazionalsocialismo ha dovutonecessariamente sforzarsi
di rianimare la mitologia germanica.Nella prospettiva della psicologia delprofondo, simile tentativo equivalevaesattamente a un invito al
suicidio collettivo: infatti r'eschaton"annunciato e atteso dagli antichiGermani È il ragnarokkr, cioè una «finedel mondo» catastrofica che
include un combattimento gigantesco tragli dèi e i demoni e che termina con lamorte di tutti gli dèi e di tutti gli eroi econ la regressione
del mondo nel caos. È vero che dopo ilragnarokkr il mondo rinascerà rigenerato(infatti, anche gli antichi Germaniconoscevano la dottrina dei
cicli cosmici, il mito della creazione edella distruzione periodica del mondo),tuttavia sostituire al cristianesimo lamitologia nordica
significava sostituire un'escatologiaricca di promesse e di consolazioni (peril cristiano, la «fine del mondo»completa la storia e la rigenera
contemporaneamente) con un eschatondecisamente pessimistico.
Tradotta in termini politici, questa
sostituzione significava all'incirca:rinunciate alle vecchie storie giudeo-cristiane e risuscitate dal
fondo delle vostre anime la credenza deivostri antenati, i Germani; poi,preparatevi per la grande battaglia finalefra i nostri dèi e le forze
demoniache; in questa battagliaapocalittica, i nostri dèi e i nostri eroi -e noi con loro - perderanno la vita, equesto sarà il ragnarokkr, ma
oi un mondo nuovo nascerà. Ci sidomanda come una visione cosìpessimistica della fine della storia abbiapotuto infiammare l'immaginazione di
almeno una parte del popolo tedesco;tuttavia il fenomeno esiste e pone tuttoraproblemi agli psicologi.
2.Al di fuori di questi due miti politici,non sembra che le società moderne neabbiano conosciuti altri di analogaampiezza. Pensiamo al mito come
comportamento umano econtemporaneamente come elemento diciviltà, cioè come lo si ritrova nellesocietà
tradizionali. Infatti, a livello
dell'esperienza individuale, il mito non èmai completamente scomparso: è vivonei sogni, nelle fantasie e nelle nostalgiedell'uomo moderno; e
'enorme letteratura psicologica ci haabituati a ritrovare la grande e lapiccola mitologia nell'attività inconsciae semiconscia di ogni
individuo. Ma ci interessa soprattuttosapere ciò che, nel mondo moderno, hapreso il posto centrale di cui gode ilmito nelle società
tradizionali. In altri termini, e purriconoscendo che i grandi temi miticicontinuano a ripetersi nelle zone oscuredella psiche, ci si può
domandare se il mito in quanto modelloesemplare del comportamento umanonon sopravviva anche, sotto una forma
più o meno degradata, presso i
nostri contemporanei. Sembra che unmito, al pari dei simboli che ne nascono,non scompaia mai dall'attualità
psichica: cambia soltanto aspetto e
traveste le sue funzioni. Ma sarebbeistruttivo insistere nella ricerca esmascherare il travestimento dei miti alivello sociale.
Ecco un esempio. È evidente che certefeste apparentemente profane del mondomoderno conservano ancora la loro
struttura e le loro funzioni
mitiche: i festeggiamenti di capodanno,o le feste per la nascita di un bambino,la costruzione di una casa o anchel'entrata in un nuovo
appartamento, tradiscono la necessitàoscuramente sentita di un inizio assoluto,di un incipit vita nova, cioè di unarigenerazione totale.
Nonostante la distanza fra questifesteggiamenti profani e il loro archetipomitico - la ripetizione periodica dellacreazione -, è evidente che
'uomo moderno prova ancora il bisognodi riattualizzare periodicamente taliscenari, seppure desacralizzati.
Non È il caso di stabilire fino a chepunto l'uomo moderno sia ancoraconscio delle implicazioni mitologichedelle sue festività: interessa
soltanto che tali festività abbiano ancorauna risonanza, oscura ma profonda, intutto il suo essere.
È soltanto un esempio, ma ci puòilluminare su una situazione che sembragenerale: certi temi mitici sopravvivonoancora nelle società moderne,
ma non sono facilmente riconoscibilipoiché hanno subito un lungo processodi laicizzazione. Il fenomeno È noto damolto tempo: infatti le
società moderne si definiscono taliproprio perché hanno esasperato ladesacralizzazione della vita e delcosmo; la novità del mondo moderno si
esprime nella rivalutazione a livelloprofano degli antichi valori sacri [Ilprocesso è ottimamente evidenziatodalle trasformazioni dei valori
attribuiti alla «natura». Non sono statiaboliti i rapporti di simpatia tra l'uomo ela natura - non lo si poteva fare -, maquesti rapporti
hanno cambiato valore e orientamento:alla simpatia magico- religiosa sonostate sostituite l'emozione estetica osemplicemente sentimentale, le
ratiche sportive o igieniche, eccetera, lacontemplazione è stata sostituitadall'osservazione, dall'esperienza e dalcalcolo. Non si può dire
di un fisico del Rinascimento o di unnaturalista dei nostri tempi che nonamano la «natura»; ma in questo«amore»
non si ritrova l'atteggiamento
spirituale dell'uomo delle societàarcaiche, quello, per esempio, chesopravvive ancora nelle società agricoleeuropee].
Ma a noi interessa
sapere se tutto ciò che sopravvive di«mitico» nel mondo moderno si presentaunicamente sotto forma di schemi e
valori reinterpretati a livello
rofano. Se questo fenomeno siverificasse ovunque, si dovrebbericonoscere che il mondo moderno sioppone
radicalmente a tutte le forme storiche
che l'hanno preceduto. Ma la presenzastessa del cristianesimo esclude taleipotesi: il cristianesimo non accettaaffatto l'orizzonte
desacralizzato del cosmo e della vita,
che è l'orizzonte caratteristico di ognicultura «moderna».
Il problema non è semplice, ma poiché ilmondo occidentale si richiama ancora ein gran parte al cristianesimo, non si puòeluderlo. Non
insisterò su quelli che venivano chiamatigli «elementi mitici» del cristianesimo.Checché ne sia di questi «elementimitici», da molto tempo
sono cristianizzati e, in ogni caso,l'importanza del cristianesimo deveessere giudicata in un'altra prospettiva.Ma ogni tanto si alzano voci
che pretendono che il mondo moderno
non sia più, o non sia ancora cristiano. Ilnostro scopo ci dispensa
dall'occuparci di quelli che ripongono
e loro speranzenell'Entmythologisierung, che pensanosia necessario «demitizzare» ilcristianesimo per restituirgli la sua veraessenza. Alcuni
ensano proprio il contrario.
Jung, per esempio, crede che la crisi delmondo moderno sia dovuta in gran parteal fatto che i simboli e i «miti»
cristiani non sono più vissuti
dall'essere umano totale, sono diventatisoltanto parole e gesti privi di vita,fossilizzati, esteriorizzati e, diconseguenza, senza nessuna
utilità per la vita profonda della psiche.
er noi il problema si pone in altritermini: in quale misura il cristianesimoprolunga, in società modernedesacralizzate e laicizzate, un
orizzonte spirituale paragonabileall'orizzonte delle società arcaiche, chesono dominate dal mito? Diciamo subitoche il cristianesimo non ha
nulla da temere da un simile confronto:la sua specificità è assicurata perché
risiede nella FEDE come categoria "suigeneris" di esperienza
religiosa, nonché nella valorizzazionedella storia. Eccettuato il giudaismo,nessun'altra religione precristiana havalorizzato la storia come
manifestazione diretta e irreversibile diDio nel mondo, né la fede - nel sensoinaugurato da Abramo - come unicomezzo di salvezza. Di
conseguenza, la polemica cristianacontro il mondo religioso pagano èstoricamente sorpassata: il cristianesimonon rischia più di essere confuso
con una religione o una gnosi qualunque.
Detto ciò, e tenendo conto della scopertarecentissima che il mito
rappresenta un certo modo d'essere
nel mondo, non è meno vero che ilcristianesimo, per il fatto stesso diessere una religione, ha dovutoconservare almeno un comportamento
mitico: il tempo liturgico, cioè il rifiutodel tempo profano e il ricuperoperiodico del Grande Tempo, dell'illudtempus degli «inizi».
er il cristiano, Gesù Cristo non è unpersonaggio mitico ma, all'opposto,storico: la sua stessa grandezza trova ilsuo appoggio in questa
storicità assoluta. Infatti il Cristo nonsoltanto si è fatto uomo, «uomo ingenerale», ma ha accettato la condizionestorica del popolo in seno
al quale ha scelto di nascere; non èricorso a nessun miracolo per sottrarsi aquesta storicità, anche se ha fattoparecchi miracoli per
modificare la «situazione storica deglialtri (guarendo il paralitico, risuscitandoLazzaro, eccetera). Tuttavia l'esperienzareligiosa del
cristiano si fonda sull'imitazione delCristo come modello esemplare, sullaripetizione liturgica della vita, dellamorte e della risurrezione
del Signore, nonché sullacontemporaneità del cristiano con l'illudtempus che si apre con la natività diBetlemme e si chiude provvisoriamente
con l'ascensione. Sappiamo chel'imitazione di un modello transumano,la ripetizione di uno scenario esemplaree la rottura del tempo profano con
una apertura che sfocia sul GrandeTempo costituiscono le note essenzialidel «comportamento mitico», cioè
dell'uomo delle società arcaiche, che
trova nel mito la fonte stessa della suaesistenza. Si è sempre contemporanei diun mito, sia quando lo si narra sia
quando si imitano i gesti
dei personaggi mitici. Kierkegaardchiedeva ai veri cristiani di esserecontemporanei del Cristo. Ma anchesenza essere un «vero cristiano» nel
senso di Kierkegaard, si è, non si puònon essere contemporanei del Cristo.Infatti il tempo liturgico, nel quale ilcristiano VIVE durante il
servizio religioso, non è più la durataprofana, ma proprio il tempo sacro pereccellenza, il tempo in cui Dio si è fattocarne, l'illud tempus
dei Vangeli. Un cristiano non assiste auna commemorazione della passione del
Cristo, come assiste alla
commemorazione annuale di unavvenimento
storico. Non commemora unavvenimento, ma riattualizza un mistero.Per un cristiano, Gesù muore e risuscitadavanti a lui, hic et nunc. Grazie al
mistero della passione o dellarisurrezione il cristiano abolisce iltempo profano ed è inserito nel temposacro primordiale.
Inutile insistere sulle differenze radicaliche separano il cristianesimo dal mondoarcaico: sono troppo evidenti perprovocare malintesi. Ma
sussiste l'identità di comportamento cheabbiamo appena ricordato. Per ilcristiano, come per l'uomo delle societàarcaiche, il tempo non È
omogeneo: implica rotture periodicheche lo dividono in una «durata profana»e in un «tempo sacro», quest'ultimo èindefinitamente reversibile,
cioè si ripete all'infinito senza cessaredi essere il medesimo. Quando siafferma che il cristianesimo, a differenzadelle religioni arcaiche,
roclama e attende la fine del tempo,occorre fare una distinzione:l'affermazione è esatta se si riferiscealla «durata profana», alla storia,
non più se si riferisce al tempo liturgicoinaugurato dall'incarnazione; l'illudtempus cristologico non sarà abolitodalla fine della storia.
Queste poche e rapide considerazioni cihanno mostrato in quale senso ilcristianesimo prolunga nel mondomoderno un «comportamento mitico».
Se si tiene conto della vera natura edella funzione del mito, il cristianesimonon sembra aver superato il modod'essere dell'uomo arcaico; non
oteva farlo. "Homo naturaliterchristianus". Resta ancora da sapere checosa abbiano sostituito al mito queimoderni che hanno conservato del
3.Sembra improbabile che una societàpossa liberarsi completamente dal mito,perché fra le note essenziali al
comportamento mitico - modello
esemplare, ripetizione, rottura delladurata profana e integrazione del tempoprimordiale - almeno le prime due sonoconsustanziali a ogni
condizione umana. Sicché non è difficilericonoscere in alcune istituzioni - peresempio quelle che i moderni chiamanoistruzione, educazione,
cultura didattica - la stessa funzioneassolta dal mito nelle società arcaiche.Questo è vero non soltanto perché i mitirappresentano a un tempo
a somma delle tradizioni ancestrali e lenorme che non bisogna trasgredire, eperché la trasmissione - per lo piùsegreta, iniziatica - dei miti
equivale all'«istruzione» più o menoufficiale di una società moderna; maanche perché l'omologazione dellerispettive funzioni del mito e
dell'istruzione si verifica soprattutto sesi tiene presente l'origine dei modelliesemplari proposti dall'educazioneeuropea. Nell'antichità non
vi era iato tra la mitologia e la storia: ipersonaggi storici si sforzavano diimitare i loro archetipi, gli dèi e gli eroimitici.
A loro
volta, la vita e i gesti di quei personaggistorici diventavano paradigmi. Già TitoLivio presenta una ricca galleria dimodelli per i giovani
romani. Plutarco scrive poi le sue "Vitedegli uomini illustri", vera sommaesemplare per i secoli futuri. Le virtùmorali e civiche di quegli
illustri personaggi continuano a essere ilmodello supremo per la pedagogia
europea, soprattutto dopo ilRinascimento.
Fin verso la fine del secoloDiciannovesimo l'educazione civicaeuropea seguiva ancora gli archetipidell'antichità classica, i modelli che si
sono manifestati in illo tempore, in quellasso di tempo privilegiato che fu, perl'Europa letterata, l'apogeo della culturagreco-latina.
Non si era mai pensato di assimilare lafunzione della mitologia a quelladell'istruzione perché si trascurava unadelle note caratteristiche del
mito: appunto quella che consiste nel
creare modelli esemplari per un'interasocietà. Si riconosce d'altronde in ciòuna tendenza che si può
chiamare generalmente umana, cioèquella di trasformare un'esistenza inparadigma e un personaggio storico in
archetipo. Questa tendenza
sopravvive anche nei rappresentanti piùin vista della mentalità moderna. Comeha ben compreso Gide, Goethe era
pienamente conscio della sua
missione di realizzare una vitaesemplare per il resto dell'umanità. Intutto quello che faceva si sforzava di
creare un esempio. A sua volta
imitava nella vita, se non la vita deglidèi e degli eroi mitici, almeno il lorocomportamento. Paul Valéry scrivevanel 1932: «Egli ci offre
'esempio, "signori uomini", di uno deimigliori tentativi per renderci similidèi».
Ma l'imitazione dei modelli non passaunicamente attraverso la culturascolastica. Assieme alla pedagogiaufficiale, e anche quando la sua
autorità è svanita da tempo, l'uomomoderno subisce l'influenza di tutta unamitologia diffusa che gli propone molti
modelli da imitare.
Gli eroi, immaginari o no, influiscononotevolmente sulla formazione degliadolescenti europei: tali sono ipersonaggi dei romanzi di avventura,
gli eroi di guerra, i divi del cinema,eccetera. Questa mitologia si arricchiscecon l'età: si scoprono via via i modelliesemplari lanciati
dalle mode successive e ci si sforza diassomigliarvi. La critica ha spessoinsistito sulle versioni moderne deldongiovanni, dell'eroe militare
o politico, dell'innamorato sfortunato,del cinico o del nichilista, del poeta
malinconico, e così via: tutti questimodelli prolungano una
mitologia e la loro attualità È segno diun comportamento mitologico.L'imitazione degli archetipi tradisce uncerto disgusto per la propria
storia personale e la tendenza oscura atrascendere il proprio momento storicolocale, provinciale, e a ricuperare un
«Grande Tempo» qualunque,
er esempio il tempo mitico della primamanifestazione surrealista oesistenzialista.
Un'analisi adeguata della mitologia
diffusa dell'uomo modernorichiederebbe volumi. Infatti i miti e leimmagini mitiche si ritrovano ovunque,
aicizzati, degradati, travestiti: bastasaperli riconoscere. Abbiamo accennatoalla struttura mitologica dei
festeggiamenti di capodanno o delle
feste che salutano un «inizio», dove siintravede ancora la nostalgia dellarenovatio, la speranza che il mondo sirinnovi, che si possa
cominciare una nuova storia in un mondorigenerato, cioè creato di nuovo. Sipotrebbero moltiplicare facilmente gliesempi. Il mito del paradiso
erduto sopravvive ancora nelleimmagini dell'isola paradisiaca e delpaesaggio edenico: territorioprivilegiato in cui le leggi sono abolite,il
tempo si arresta. Occorre sottolinearequest'ultima circostanza, perché èsoprattutto analizzando l'atteggiamentodel moderno nei confronti del
tempo che si può scoprire iltravestimento del suo comportamentomitologico. Non bisogna perdere divista che una
delle funzioni essenziali del
mito è proprio l'apertura verso il Grande
Tempo, il ricupero periodico di untempo primordiale. E questo si traducenella tendenza a trascurare
il tempo presente, ciò che vienechiamato il «momento storico».
anciati in una grandiosa avventuranautica, i Polinesiani si sforzano dinegarne la «novità», il carattered'avventura inedita, la
disponibilità; per loro si tratta soltantodi una reiterazione del viaggio che uncerto eroe mitico ha intrapreso in illotempore per «mostrare
il cammino agli uomini», per creare unesempio. Vivere l'avventura personale
come la reiterazione di una saga miticaequivale a eludere il
resente. Questa angoscia di fronte altempo storico, accompagnata daldesiderio oscuro di partecipare a untempo glorioso, primordiale, totale,
si traduce nei moderni in un tentativotalvolta disperato di spezzarel'omogeneità del tempo, per «uscire»dalla durata risuscitando un tempo
qualitativamente diverso da quello che,consumandosi, la loro propria «storia»crea. È in questo soprattutto che siriconosce meglio la funzione
dei miti nel mondo moderno. Con mezzi
molteplici, ma omologabili, l'uomomoderno si sforza di uscire dallapropria
«storia» e di vivere un ritmo
temporale qualitativamente diverso. è unmodo inconsapevole di ricuperare ilcomportamento mitico.
o si capirà meglio osservando le dueprincipali vie di «evasione» usate dalmoderno: lo spettacolo e la lettura. Noninsisteremo sui precedenti
mitologici della maggior parte deglispettacoli; basta ricordare l'originerituale della tauromachia, delle corse,degli incontri sportivi: tutti
hanno in comune la caratteristica disvolgersi in un «tempo concentrato», digrande intensità, residuo o succedaneodel tempo magico-religioso.
Il «tempo concentrato» è anche ladimensione specifica del teatro e delcinema. Anche non tenendo conto delleorigini rituali e della struttura
mitologica del dramma e del cinema,rimane il fatto importante che queste duespecie di spettacolo utilizzano un tempoben diverso dalla «durata
rofana», un ritmo temporale concentratoe spezzato a un tempo, che, al di fuori diogni implicazione estetica, provoca unaprofonda risonanza
4.a lettura costituisce un problema piùsfumato. Si tratta, da una parte, dellastruttura e dell'origine mitica dellaletteratura e, dall'altra,
della funzione mitologica assolta dallalettura nella coscienza di quelli che sene nutrono. La continuità mito-leggenda-epopea-letteratura
moderna è stata ripetutamente illustrata eci dispensiamo dal soffermarvici.Ricordiamo semplicemente che gli
archetipi mitici sopravvivono in un
certo senso nei grandi romanzi moderni.Le prove che deve superare unpersonaggio di romanzo hanno il loromodello nelle avventure dell'eroe
mitico. Si è potuto anche dimostrarecome i temi mitici delle acqueprimordiali, dell'isola paradisiaca, dellacerca del Santo Graal,
dell'iniziazione eroica o mistica,eccetera, dominano ancora la letteraturaeuropea moderna.
Molto recentemente il surrealismo hadato uno sviluppo straordinario ai temimitici e ai simboli primordiali. Lastruttura mitologica della
etteratura d'appendice è evidente. Ogniromanzo popolare presenta la lottaesemplare tra il Bene e il Male, tral'eroe e il malvagio
(incarnazione moderna del demonio), eritrova i grandi motivi folcloristici dellafanciulla perseguitata, dell'amoresalvatore, della protettrice
sconosciuta, eccetera. Anche nelromanzo poliziesco, come ha mostratoottimamente Roger Caillois, abbondanoi temi mitologici.
Non è necessario ricordare che lapoesia lirica riprende e prolunga il mito.Ogni poesia è uno sforzo per ricreare il
linguaggio, in altri
termini per abolire il linguaggiocorrente, di tutti i giorni, e per inventareun nuovo linguaggio, personale eprivato, in ultima analisi
segreto. Ma la creazione poetica,proprio come la creazione linguistica,implica l'abolizione del tempo, dellastoria concentrata nel linguaggio,
e tende verso il ricupero della situazioneparadisiaca primordiale, quando sicreava spontaneamente, quando ilpassato non esisteva perché non
esisteva coscienza del tempo, memoriadella durata temporale. Lo si dice
d'altronde ancora oggi: per un grandepoeta il passato non esiste; il
oeta scopre il mondo come se assistessealla cosmogonia, come se fossecontemporaneo del primo giorno della
creazione. Da un certo punto di
vista si può dire che ogni grande poetarifà il mondo, perché si sforza divederlo come se il tempo e la storia nonesistessero: singolare
richiamo al comportamento del«primitivo» e dell'uomo delle societàtradizionali.
Ma c'interessa soprattutto la funzione
mitologica della lettura, perché essacostituisce un fenomeno specifico delmondo moderno, sconosciuto
alle altre civiltà. La lettura sostituiscenon soltanto la letteratura orale - ancoraviva nelle comunità rurali dell'Europa -
ma anche la
narrazione dei miti nelle societàarcaiche. E la lettura, forse ancor piùche lo spettacolo, riesce a provocareuna rottura della durata e
contemporaneamente una «uscita daltempo». Quando legge un romanzopoliziesco per «ammazzare» il tempo o
quando penetra in un universo temporale
estraneo che un qualsiasi romanzo glirappresenta, il lettore moderno èproiettato fuori dalla sua durata einserito in altri ritmi, vive altre
storie. La lettura costituisce una «viafacile», nel senso che offre la possibilitàdi modificare con poco sforzol'esperienza temporale; la
ettura è la distrazione per eccellenza delmoderno, gli permette l'illusione di unapadronanza del tempo in cui
possiamo supporre a buon diritto
un segreto desiderio di sottrarsi al
divenire implacabile che conduce allamorte.
a difesa dal Tempo che ognicomportamento mitologico ci rivela, mache in effetti è consustanziale allacondizione umana, la ritroviamo
travestita soprattutto nelle distrazioni,nei divertimenti dell'uomo moderno.Proprio in questi si misura la radicaledifferenza fra le culture
moderne e il resto della civiltà. In ognisocietà tradizionale un qualsiasi gestoresponsabile riproduceva un modellomitico, transumano, e, di
conseguenza, si svolgeva in un tempo
sacro. Il lavoro, i mestieri, la guerra,l'amore, erano cose sacre. Il rivivere ciòche gli dèi e gli eroi
avevano vissuto in illo tempore sitraduceva in una sacralizzazionedell'esistenza umana, che cosìcompletava la sacralizzazione del cosmoe
della vita. Questa esistenza sacralizzata,aperta sul Grande Tempo, poteva esseremolte volte faticosa, ma era
altrettanto ricca di significato;
in ogni caso, non era schiacciata daltempo. La vera «caduta nel tempo»comincia con la desacralizzazione del
lavoro; soltanto nelle società
moderne l'uomo si sente prigioniero delproprio mestiere, perché non può piùsfuggire al tempo. E poiché non può
«uccidere» il tempo durante le
ore del lavoro - cioè quando gode dellasua vera identità sociale - si sforza di«uscire dal tempo» nelle ore libere: sispiega così il numero
vertiginoso di distrazioni inventate dalleciviltà moderne. In altri termini, succedeesattamente il contrario che nelle societàtradizionali, in
cui le «distrazioni» quasi non esistono
perché l'«uscita dal tempo» si ottienecon ogni lavoro responsabile. Proprioper questa ragione, come
abbiamo appena visto, la grandemaggioranza degli individui che nonpartecipano a un'esperienza religiosaautentica rivelano il loro
comportamento mitico, oltre chenell'attività inconscia della loro psiche(sogni, fantasie, nostalgie, eccetera),nelle loro distrazioni. In
altre parole, la «caduta nel tempo»coincide con la desacralizzazione dellavoro e la meccanizzazionedell'esistenza che ne consegue; essa
implica una perdita malamentemascherata della libertà; sicché la solaevasione possibile su scala collettivaresta la distrazione.
Queste poche osservazioni possonobastare. Il mondo moderno non hacompletamente abolito il comportamento
mitico, ne ha soltanto rovesciato il
campo d'azione: il mito non è piùdominante nei settori essenziali dellavita, è stato «rimosso» sia nelle zoneoscure della psiche, sia in
attività secondarie o ancheirresponsabili della società. Nonostanteche il comportamento mitico si
prolunghi,
travestito, nella funzione assolta
dall'educazione, questa interessa ormaiquasi esclusivamente l'età giovanile;anzi, la funzione esemplaredell'istruzione sta per scomparire: la
edagogia moderna incoraggia laspontaneità. Al di fuori della vitareligiosa autentica, il mito nutresoprattutto le distrazioni. Ma non
scompare mai: su scala collettiva, simanifesta talvolta con una forzaconsiderevole, sotto forma di mitopolitico.
Nonostante tutto, la comprensione delmito sarà annoverata fra le più utiliscoperte del secolo Ventesimo. L'uomooccidentale non è più il
adrone del mondo: davanti a lui non visono più «indigeni», ma interlocutori. Èbene sapere come avviare il dialogo; èindispensabile
riconoscere che non c'è più soluzione dicontinuità fra il mondo «primitivo» o«retrogrado» e l'Occidente moderno.
Non basta più, come bastava
mezzo secolo fa, scoprire e ammirarel'arte negra od oceaniana; bisognariscoprire in noi stessi le fonti spirituali
di quelle arti, bisogna
rendere coscienza di ciò che ancoraresta di «mitico» in un'esistenzamoderna, e che rimane tale proprioperché anche questo comportamento
stesso è consustanziale alla condizioneumana in quanto esprime l'angoscia difronte al tempo.
***
2
IL MITO DEL BUON SELVAGGIO
O LA SUGGESTIONE DELLEORIGINI
UNA ISOLA MUY HERMOSA….
'eminente folclorista G. Cocchiara hascritto che «prima di essere scoperto, ilselvaggio fu inventato». La formula,molto felice, non è senza
verità. I secoli sedicesimo,Diciassettesimo e Diciottesimo hannoinventato un tipo di «buon selvaggio»sulla misura delle loro preoccupazioni
morali, politiche e sociali. Gli ideologie gli utopisti si invaghirono dei«selvaggi», soprattutto del lorocomportamento nei confronti della
famiglia, della società, della proprietà;invidiarono le loro libertà, la loro
giudiziosa ed equa suddivisione dellavoro, la loro esistenza
beata in seno alla natura.
Ma l'«invenzione del selvaggio»,adattata alla sensibilità e alla ideologiadei secoli Sedicesimo-Diciottesimo, erasoltanto la rivalorizzazione
radicalmente secolarizzata di un mitomolto più antico: il mito del paradisoterrestre e dei suoi abitanti nei tempifavolosi che precedettero la
storia. Più che di una «invenzione» delbuon selvaggio, si dovrebbe parlare delricordo mitizzato della sua immagineesemplare.
Ricordiamo i punti essenziali delproblema. Prima di formare il dossier diun'etnografia che doveva ancoranascere, le relazioni di viaggio nelle
terre recentemente scoperte furono lettee gustate per una ragione del tuttoparticolare: rivelavano un'umanitàfelice, sfuggita ai misfatti
della civiltà, e fornivano modelli per lesocietà utopistiche. Da Pietro Martire eJean de Léry a Lafitau, i viaggiatori e gli
eruditi si
sforzarono di illustrare la bontà, lapurezza e la felicità dei selvaggi. Nellesue Decades de Orbe novo (1511,
completate nel 1530), Pietro
Martire evoca l'Età dell’Oro e ravvival'ideologia cristiana di Dio e delparadiso terrestre con reminiscenzeclassiche accostando lo stato dei
selvaggi al regno di beatitudine cantatoda Virgilio, saturnia regna. I Gesuitiparagoneranno i selvaggi ai Greciantichi e nel 1724 il padre
afitau ritroverà in loro le vestigia ancoravive dell'antichità. Las Casas nondubitava che si potessero realizzare leutopie del secolo
Sedicesimo e i Gesuiti applicarono lesue deduzioni quando fondarono lo Stato
teocratico del Paraguay.
Tuttavia quelle interpretazioni e quelleapologie non formavano certamente unblocco omogeneo, senza sfumature,
riserve, rettifiche.
Il problema è abbastanza noto dopo glistudi di R. Allier, E. Fuetter, R.Gonnard, N.H. Fairchild, G. Cocchiara,eccetera, sicché è inutile
insistervi. Ricordiamo comunque chequei «selvaggi» delle due Americhe odell'Oceano Indiano erano ben lontanidal rappresentare una «cultura
rimitiva», non erano affatto popoli
«senza storia», Naturvolker, come li sichiama ancora in Germania. Anzi, eranoaltamente «civili», anzitutto
nel senso ovvio del termine (orasappiamo che ogni società costituisceuna civiltà), ma soprattutto nei confrontidi altri
«primitivi», quali gli
Australiani, i Pigmei, i Fuegini. Traquesti ultimi e i Brasiliani o gli Huronesaltati dai viaggiatori e dagli ideologiesisteva una differenza
aragonabile a quella che separa ilpaleolitico dal neolitico inferiore oaddirittura dall'età del bronzo.
I veri primitivi, i «più primitivi fra iprimitivi», sono stati scoperti e descrittiabbastanza tardi. ma la loro scoperta,avvenuta in pieno
ositivismo, non ha avuto ripercussionisul mito del buon selvaggio. Il buonselvaggio che veniva accostato amodelli dell'antichità classica e
anche all'ambiente biblico era unavecchia conoscenza.
'immagine mitica di un «uomo naturale».al di là della storia e della civiltà, non siera mai completamente cancellata edurante il Medioevo si
fuse con il paradiso terrestre che tentò lo
spirito avventuroso di tanti navigatori. Ilricordo dell'Età dell’Oro avevaossessionato l'antichità
a partire da Esiodo, e già Orazio vedevanei barbari la purezza della vitapatriarcale e provava la nostalgia diun'esistenza semplice e sana in
seno alla natura. Il mito del buonselvaggio sostituì e prolungòsemplicemente il mito dell'Età dell’Oro,cioè della perfezione degli inizi. A
credere agli ideologi e agli utopisti delRinascimento, l'Età dell’Oro era stataperduta per colpa della «civiltà»; lostato d'innocenza, di
beatitudine spirituale dell'uomo primadella caduta, del mito paradisiaco,diventa nel mito del buon selvaggio lostato di purezza, di libertà e
di beatitudine dell'uomo esemplare inseno a una natura materna e generosa.Ora, in questa immagine della naturaprimordiale si riconoscono
agevolmente le caratteristiche di unpaesaggio paradisiaco. Ci colpiscesubito un particolare: il «buonselvaggio»
descritto dai navigatori ed
esaltato dagli ideologi appartiene inmolti casi a una società di cannibali, e i
viaggiatori non ne fanno mistero. PietroMartire ha incontrato
dei cannibali nelle Indie Occidentali(Caraibi) e sulla costa del Venezuela; equesto non gli ha tuttavia impedito diparlare di Età dell’Oro.
Durante il suo secondo viaggio inBrasile (15491555) Hans Stades fu pernove mesi prigioniero dei Tupinaba; la
relazione che pubblicò nel 1557
descrive con molti particolari ilcannibalismo dei suoi catturatori, di cuifece anche singolari incisioni in legno.Un altro esploratore, O.
Dapper, illustrò il proprio libro connumerose incisioni rappresentanti lediverse operazioni dei pasticannibaleschi nel Brasile. La Histoire
d'un voyage fait en la terre de Brésil,autrement dite Amérique di Jean de Léry(1568) fu letta e annotata da
Montaigne, che esprime il suo
arere sul cannibalismo dicendo «piùbarbaro mangiare un uomo vivo chemangiarlo morto». Garcilaso de la Vega,i cui Comentarios reales que
tratan del origen de los Incas eranoapparsi nel 1609 e nel 1617, vedevaaddirittura nell'Impero degli Inca il tipo
esemplare dello Stato ideale
e proponeva la bontà e la felicità degliindigeni come modello per il mondoeuropeo. Garcilaso de la Vega aggiungeche prima della dominazione
degli Inca il cannibalismo imperversavaovunque nel Perù e si sofferma a lungosulla passione di quegli indigeni per lacarne umana.
(L'affermazione è di uno ben informato:la regione del Perù e dell'Amazzoniasuperiore è famosa negli annali
dell'antropofagia e vi si scoprono
ancora tribù antropofaghe.) Ci pare
altamente istruttivo che, nonostantequeste informazioni che simoltiplicavano e si precisavano sempredi
iù, il mito del buon selvaggio abbiabrillantemente proseguito il suocammino in tutte le utopie e le ideologie
occidentali fino a Jean-Jacques
Rousseau; questo mostra che l'inconsciodegli occidentali non aveva rinunciato alvecchio sogno di ritrovare
contemporanei attardatisi in un
aradiso terrestre. Tutta la letteratura suiselvaggi è quindi un documento prezioso
per capire gli occidentali perchétradisce la loro nostalgia
er la condizione edenica, nostalgiaattestata del resto nella creazione ditante altre immagini e comportamenti
paradisiaci: le isole, i
aesaggi celesti dei tropici, la beatitudinedella nudità, la bellezza delle donneindigene, la libertà sessuale, eccetera.Gli schemi sviluppano
a loro interminabile teoria: "una isolamuy hermosa..., tierras formosisimas".Uno studio su queste immagini esemplaririvelerebbe in modo
interessante i mille travestimenti dellanostalgia del paradiso. Un fattosoprattutto interessa il nostro argomento:il mito del buon selvaggio è
a creazione operata da un ricordo. Pocoimporta che esso sia di origine giudeo-cristiana oppure si ricolleghi a
reminiscenze classiche; ciò che
conta è che il Rinascimento, come ilMedioevo e come l'antichità, hanno ilricordo di un tempo mitico in cui l'uomoera buono, perfetto e felice.
E si crede di ritrovare nei selvaggiappena scoperti i contemporanei diquell'epoca mitica primordiale.
Non sarà privo d'interesse prolungarel'inchiesta chiedendoci che cosa iselvaggi pensino di se stessi, comegiudichino le loro libertà e le loro
beatitudini. Una simile ricerca erainconcepibile ai tempi di Montaigne e diLafìtau, ma l'etnologia moderna ce larende possibile.
Abbandoniamo dunque le mitologiedegli utopisti e degli ideologioccidentali per soffermarci sui miti deibuoni selvaggi appena scoperti.
E PREOCCUPAZIONI DELCANNIBALE.
I selvaggi hanno anch'essi coscienza
d'aver perduto un «paradiso»primordiale. In gergo moderno, sipotrebbe dire che i selvaggi siconsiderano,
né più né meno degli occidentalicristiani, in stato di «caduta» in rapportoa una situazione anteriore,favolosamente felice.
a loro condizione attuale non èconsiderata originale: è il risultato diuna catastrofe sopravvenuta in illotempore.
Prima di questa
disavventura l'uomo godeva di una vitache aveva una qualche somiglianza con
quella di Adamo prima del peccato. Imiti del paradiso differiscono
senza dubbio da una cultura all'altra, maalcuni tratti comuni ritornano coninsistenza: in quel tempo l'uomo eraimmortale e poteva incontrare
Dio a faccia a faccia; era felice e nondoveva lavorare per nutrirsi: un alberoprovvedeva alla sua sussistenza, oppuregli strumenti agricoli
avoravano da soli al suo posto, comeautomi. Esistono nel mito paradisiacoaltri elementi ugualmente importanti (illegame tra il cielo e la
terra, il potere sugli animali, eccetera),
ma possiamo dispensarci dall'analizzarliin questa sede. Per ora un fatto merita
di essere messo in
risalto: il «buon selvaggio» deiviaggiatori e degli ideologi dei secoliQuindicesimo- Diciottesimo conosce giàil mito del buon selvaggio:
costui era il suo antenato mitico e avevavissuto realmente un'esistenzaparadisiaca; godeva di tutte lebeatitudini e di tutte le libertà e ogni
minimo sforzo gli era risparmiato. Maquesto buon antenato primordiale, comel'antenato biblico degli Europei, avevaperduto il suo paradiso:
anche per il selvaggio la perfezione sitrovava alle origini.
Vi è tuttavia una differenza capitale: ilselvaggio si sforza di non dimenticarequello che era avvenuto in illo tempore.
Ricorda periodicamente
gli avvenimenti essenziali che lo hannomesso nella condizione di uomo«decaduto». In breve, l'importanza chedà al ricordo preciso degli
avvenimenti mitici non implica affattouna valorizzazione della memoria di perse stessa: al primitivo interessanosoltanto gli INIZI, quello che
era avvenuto ab origine; pocogl'interessa ciò che è capitato a lui o auno dei suoi in un tempo più o menolontano.
Non intendiamo attardarci su
questo particolare atteggiamento neiconfronti degli avvenimenti e del tempo,ma vogliamo sottolineare che esistonoper il primitivo due
categorie di avvenimenti che siinscrivono in due specie di tempoqualitativamente irriducibili: da unaparte gli avvenimenti che chiamiamo
mitici, che sono avvenuti ab origine eche hanno costituito la cosmogonia,
l'antropogonia, i miti d'origine(istituzioni, civilizzazioni,
cultura): tali avvenimenti il primitivodeve ricordare. Dall'altra gliavvenimenti senza modello esemplare, ifatti che sono semplicemente
accaduti e che non presentano interesse:il primitivo li dimentica, ne «brucia» ilricordo.
eriodicamente, i più importantiavvenimenti mitici sono riattualizzati equindi rivissuti: si ripetono lacosmogonia, i gesti esemplari degli
dèi, gli atti fondatori di civiltà. È lanostalgia delle origini; in certi casi si
può anche parlare di una nostalgia delparadiso primordiale.
a vera «nostalgia del paradiso» siritrova nei mistici delle societàprimitive, i quali durante le loro estasireintegrano la condizione
aradisiaca dell'antenato miticoprecedente la «caduta». Questeesperienze estatiche non sono senzaconseguenze per l'insieme dellacomunità:
tutte le ideologie relative agli dèi e allanatura dell'anima, le geografie mistichedel cielo e dei paesi dei morti e ingenerale le diverse
concezioni della «spiritualità», cosìcome le origini della poesia lirica edell'epopea, e parzialmente le originidella musica, sono più o meno
direttamente tributarie delle esperienzeestatiche di tipo sciamanico.
Si può dire quindi che la nostalgia delparadiso, il desiderio di ricuperare,fosse anche per un lasso di tempo moltobreve e solamente in
estasi, la condizione edenicadell'antenato ha avuto ripercussioniconsiderevoli sulle creazioni culturalidei primitivi.
er un grande numero di popoli,
specialmente per i più antichi coltivatoridi tuberi (ma non di cereali), letradizioni che concernono l'origine
dell'attuale condizione umana rivestonoun'espressione ancor più drammatica.Secondo i loro miti, l'uomo è diventatoquello che è oggi - mortale,
sessuato e condannato al lavoro - inseguito a un'uccisione primordiale: inillo tempore un essere divino,abbastanza spesso una donna o una
fanciulla, talvolta un bambino o unuomo, si è lasciato immolare affinchédei tuberi o degli alberi fruttiferipotessero spuntare dal suo corpo.
Questa prima uccisione ha cambiatoradicalmente il modo d'esseredell'esistenza umana. L'immolazionedell'essere divino ha inaugurato sia la
necessità dell'alimentazione sia lafatalità della morte e, di conseguenza, lasessualità, l'unico mezzo per assicurarela continuità della vita.
Il corpo della divinità immolata si ètrasformato in nutrimento; la sua anima èdiscesa sotto terra, dove ha fondato ilpaese dei morti. A.E.
Jensen, che ha consacrato uno studioimportante a questo tipo di divinità - chechiama divinità "dema" -, haottimamente mostrato che nutrendosi
o morendo l'uomo partecipa all'esistenzadei "dema". Per tutti questi popolipaleocoltivatori l'essenziale consistenell'evocare periodicamente
'avvenimento primordiale che ha fondatol'attuale condizione umana. Tutta la lorovita religiosa è una
commemorazione, un rammentare. Ilricordo
riattualizzato da riti (quindi, dallareiterazione dell'uccisione primordiale)ha un ruolo decisivo: ci si deve guardarebene dal dimenticare
quello che è avvenuto in illo tempore. Ilvero peccato è l'oblio: la fanciulla che
durante la prima mestruazione rimaneper tre giorni in una
capanna oscura, senza parlare connessuno, si comporta così perché lafanciulla mitica assassinata, che si ètrasformata in luna, rimane per tre
giorni nelle tenebre; se la giovanemestruata contravviene al tabù delsilenzio e parla, si rende colpevoledell'oblio di un avvenimento
rimordiale. Anche presso ipaleocoltivatori la memoria personalenon ha importanza: quello che conta èricordare l'avvenimento mitico, l'unico
degno d'interesse perché l'unico
creatore. Al mito primordiale spettaappunto conservare la vera storia, lastoria della condizione umana: in
esso bisogna cercare e ritrovare iprincipi e i paradigmi di ogni condotta.
roprio a questo stadio di cultura siincontra il cannibalismo rituale, cioè ilcomportamento spiritualmentecondizionato del buon selvaggio. La
grande preoccupazione del cannibalesembra essere proprio d'essenzametafisica: non deve dimenticare quelloche è avvenuto in ilio tempore.
Volhardt e Jensen l'hanno mostratochiaramente: uccidendo e divorando
delle scrofe in occasione delle festività,mangiando le primizie della
raccolta dei tuberi, si mangia il corpodivino come durante i pasticannibaleschi. Sacrifici delle scrofe,caccia alle teste e cannibalismo sono
simbolicamente connessi alla raccoltadei tuberi o delle noci di cocco. Ilmerito di Volhardt consiste proprionell'aver indicato, assieme al
senso religioso dell'antropofagia, laresponsabilità umana assunta dalcannibale. La pianta alimentare nonesiste originariamente nella natura: è
il prodotto di un'uccisione perché
proprio così è stata creata all'alba deitempi. La caccia alle teste, i sacrificiumani, il cannibalismo sono
stati accettati dall'uomo al fine diassicurare la vita delle piante. Volhardtha insistito appunto su questo: ilcannibale assume la propria
responsabilità nel mondo, ilcannibalismo non è un comportamento«naturale» dell'uomo primitivo (non sitrova
d'altronde ai livelli più arcaici
di cultura), ma un comportamentoculturale, fondato su una visionereligiosa della vita. Perché il mondo
vegetale possa continuare, l'uomo deve
uccidere ed essere ucciso; deve inoltreaccettare la sessualità fino ai suoi limitiestremi, fino all'orgia.
Una canzone abissina proclama: «Coleiche non ha ancora generato, generi! coluiche non ha ancora ucciso, uccida!». È
un modo per dire che i due
sessi sono condannati ad accollarsi illoro destino.
rima di dare un giudizio sulcannibalismo bisogna sempre ricordareche esso è stato fondato da esseri divini,che l'hanno istituito appunto per
ermettere agli uomini di assumere unaresponsabilità nel cosmo, per metterli incondizione di vigilare alla continuitàdella vita vegetale. Si
tratta quindi di una responsabilità diordine religioso. I cannibali Uitotoaffermano: «Le nostre tradizioni sonosempre vive tra noi, anche
quando non danziamo; ma lavoriamosoltanto per poter danzare». Le danzeconsistono nella reiterazione di tutti gliavvenimenti mitici, quindi
anche della prima uccisione seguitadall'antropofagia.
Cannibale o no, il buon selvaggio
esaltato dai viaggiatori, dagli utopisti edagli ideologi occidentali ècontinuamente preoccupato delle
«origini», dell'avvenimento iniziale cheha fatto di lui un essere «decaduto»,votato alla morte, alla sessualità e al
lavoro.
Quando si sono conosciuti meglio i«primitivi» si è rimasti colpiti dallastraordinaria importanza data da loro alricordo degli avvenimenti
mitici. Questa singolare valorizzazionedella memoria merita una analisi.
IL BUON SELVAGGIO, LO "YOGI" E
LO PSICANALISTA.
Tralasceremo il precetto vigente nellesocietà arcaiche di ripetereperiodicamente la cosmogonia e tutti gliatti fondatori d'istituzioni, di
costumi, di comportamenti. Questo«ritorno all'indietro» è suscettibile didiverse interpretazioni, ma cisoffermeremo soprattutto sulla
necessità di ricordare ciò che è accadutoab origine. Inutile insistere sulledifferenze che i valori collegati alle«origini»
implicano. Abbiamo
visto or ora che per un grande numero dipopoli che si collocano agli stadi piùantichi di cultura l'«origine» significavala catastrofe (la
«perdita del paradiso») e la «caduta»nella storia; per i paleocoltivatori essaequivaleva all'avvento della morte edella sessualità (motivi che
figurano d'altronde anche nel ciclomitologico del paradiso). Ma, nell'unocome nell'altro caso, il ricordo
dell'avvenimento primordiale ha una
arte considerevole. Precisiamo che talericordo era periodicamente riattualizzatonei riti; l'avvenimento era quindi
rivissuto, si ridiventava
contemporanei dell'illud tempus mitico.Il «ritorno all'indietro» era proprio unapresenza: la reintegrazione dellacompiutezza iniziale.
Si misura ancor meglio l'importanza diquesto regressus ad originem quando sipassa dai rituali collettivi a certeapplicazioni particolari. In
culture molto differenti, il mitocosmogonico non era riattualizzatounicamente in occasione del«capodanno», ma anche perl'intronizzazione di
un nuovo capo, o per la dichiarazione di
una guerra, o per salvare un raccoltominacciato, o anche per guarire unmalato. Ci interessa
soprattutto quest'ultimo caso. Si è potutodimostrare che un numero abbastanzagrande di popoli, dai più antichi fino aipiù civili (per esempio
i mesopotamici), utilizzano come mezzoterapeutico la narrazione solenne delmito cosmogonico. Si comprende
facilmente perché: simbolicamente, il
malato «ritorna all'indietro», è resocontemporaneo della creazione; rivivedunque lo stato di compiutezza iniziale.
Non si ripara un organismo
guasto, lo si rifà; il malato deve nasceredi nuovo e ricuperare così il complessod'energia e di potenzialità di cui disponeun essere al
momento della nascita. Il «ritornoall'indietro» è reso possibile dal ricordodel malato stesso. Proprio davanti a luie per lui si recita il
mito cosmogonico: è il malato che,ricordando l'uno dopo l'altro gli episodidel mito, li rivive e quindi si rende lorocontemporaneo. La
funzione della memoria non è diconservare il ricordo dell'avvenimento
primordiale, ma di proiettare il malatodove questo avvenimento sta
effettuandosi, cioè all'alba del tempo,all'«inizio».
Il «ritorno all'indietro», mediato dallamemoria durante le guarigioni magiche,invita naturalmente ad allargare laricerca. Viene spontaneo
aragonare questo comportamentoarcaico con alcune tecniche diguarigione spirituale, cioè consoteriologie e filosofie elaborate inciviltà
storiche infinitamente più complesse diquelle di cui abbiamo trattato finora.
Pensiamo prima di tutto a una tecnicafondamentale dello Yoga,
utilizzata sia dai buddisti sia dagli indù.È necessario aggiungere che lecomparazioni che proponiamo nonimplicano da parte nostra nessun
deprezzamento del pensiero indù ogreco, né una caratterizzazione indù delpensiero arcaico. Ma le conoscenze e lescoperte moderne, qualunque
sia il loro immediato piano diriferimento, sono indubbiamente solidalie i risultati ottenuti in un campo incitanoa nuove indagini in campi
vicini. Ci pare che l'importanza assunta
dal tempo e dalla storia nel pensierocontemporaneo e le scoperte dellapsicologia del profondo possano
concorrere a illuminare meglio alcuneposizioni spirituali dell'umanità arcaica.Per il Buddha, come d'altronde per tuttoil pensiero indù,
'esistenza umana è votata alla sofferenzaper il fatto stesso che si svolge neltempo. Tocchiamo qui un argomentoimmenso che non si può
riassumere in poche pagine.Semplificando, si può dire che lasofferenza è fondata e indefinitamenteprolungata nel mondo dal karma, dunquedalla
temporalità: proprio la legge del karmaimpone le innumerevoli trasmigrazioni,il ritorno eterno all'esistenza e quindialla sofferenza.
iberarsi dalla legge karmica, strappare ilvelo della maya, equivale alla«guarigione». Il Buddha è il «re deimedici», il suo messaggio è
roclamato una «medicina nuova». Lefilosofie, le tecniche ascetiche econtemplative, le mistiche indùperseguono tutte lo stesso scopo: guarire
'uomo dal dolore dell'esistenza neltempo.
roprio «bruciando» fin l'ultimo germe di
una vita futura si aboliscedefinitivamente il ciclo karmico e ci silibera dal tempo. Uno dei mezzi
er «bruciare» i residui karmici ècostituito dalla tecnica del «ritornoall'indietro» per conoscere le proprieesistenze anteriori.
È una tecnica panindù, attestata negliYoga Sutra, conosciuta da tutti i saggi eda tutti i contemplativi contemporaneidel Buddha e praticata e
raccomandata dal Buddha stesso.
Tale tecnica consiste nel partire da unistante preciso, il più vicino al momentopresente, e nel percorrere il tempo a
ritroso (pratiloman,
«contropelo») per giungere ad originem,quando la prima esistenza «esplodendo»nel mondo diede inizio al tempo, sì daricongiungersi all'istante
aradossale al di là del quale il temponon esisteva perché nulla si eramanifestato. Il senso e lo scopo diquesta tecnica è chiaro: colui che
ripercorre il tempo devenecessariamente ritrovare il punto dipartenza che, in definitiva, coincide conla cosmogonia.
Rivivere le proprie vite
assate significa anche comprenderle e,fino a un certo punto, «bruciare» i propri«peccati», cioè la somma degli atticompiuti sotto l'influenza
dell'ignoranza e capitalizzati daun'esistenza all'altra per la legge delkarma. Ma soprattutto si giunge all'iniziodel tempo e ci si
ricongiunge al non-tempo, all'eternopresente che ha preceduto l'esperienzatemporale fondata dalla prima esistenzaumana decaduta.
In altri termini, partendo da un qualsiasimomento della durata temporale si puòinfine ESAURIRE questa durata stessapercorrendola a ritroso e
sfociando infine nel non-tempo,nell'eternità. Ma questo significatrascendere la condizione umana ericuperare lo stato noncondizionato cheha
receduto la caduta nel tempo e la ruotadelle esistenze.
a nostra esposizione di questa tecnicayoga è necessariamente schematica macomunque sufficiente a indicare la virtùterapeutica e infine
soteriologica che la memoria possiedenella concezione indù. Per l'India laconoscenza che conduce alla salvezza sifonda sulla memoria. Ananda e
altri discepoli del Buddha «siricordavano delle nascite», erano di«quelli che si ricordano delle nascite»(jatissaro).
Vamadeva, autore di un
celebre inno rigvedico, diceva di sestesso: «Trovandomi nella matrice, hoconosciuto tutte le nascite degli dèi»Anche Krishna «conosceva tutte
e esistenze» Colui che SA è colui che siricorda dell'inizio; più esattamente,colui che è diventato contemporaneodella nascita del mondo,
quando l'esistenza e il tempo si sonomanifestati per la prima volta. La
«guarigione» radicale dalla sofferenza
esistenziale si ottiene
ripercorrendo a ritroso il cammino finoall'illud tempus iniziale; e questoimplica l'abolizione del tempo profano.
Una simile filosofia soteriologica siaccosta evidentemente alle analogheterapeutiche arcaiche che si prefiggonodi rendere il malato
contemporaneo alla cosmogonia.Ovviamente, queste due categorie difatti, un comportamento da un lato e una
filosofia dall'altro, non devono
essere confuse. L'uomo delle societàarcaiche vuol ripercorrere a ritroso ilcammino fino all'inizio del mondo perrestaurare la compiutezza
iniziale e per ricuperare le riserveintatte di energie del neonato. Il Buddha,come la maggior parte degli yogi, nons'interessa delle
«origini»: considera inutile cercare lecause prime e si sforza semplicementedi neutralizzare le conseguenzeindividuali che queste cause stesse
hanno generato. L'importante è spezzareil ciclo delle trasmigrazioni: uno deimetodi consiste nel ripercorrere aritroso il cammino, con il
ricordo delle esistenze anteriori, fino almomento in cui il cosmo era venutoall'esistenza. Sotto tale aspetto vi èdunque equivalenza tra i due
metodi: la «guarigione» e, diconseguenza, la soluzione del problemadell'esistenza diventano possibili con ilricordo dell'atto primordiale, di
ciò che è avvenuto all'inizio.
È spontaneo l'accostamento conl'anàmnesis. Senza voler analizzare inquesta sede la celebre dottrina platonicae la sua probabile origine
itagorica, indichiamo di passaggio inquale senso un comportamento arcaico
ha potuto essere valorizzato
filosoficamente. Si sa poco di Pitagora,
ma è assolutamente certo che credevaalla metempsicosi e che si ricordavadelle sue esistenze anteriori. Empedoclelo descrive come «un uomo di
scienza straordinaria» perché «quandosi dilatava con tutta la potenza del suospirito vedeva facilmente ciò che eraavvenuto in dieci, venti
esistenze umane». Le tradizioni insistonosull'importanza dell'esercizio dellamemoria nelle confraternite pitagoriche.Il Buddha e gli yogi non
sono infatti gli unici che possonoricordare le loro esistenze anteriori: siriteneva che gli sciamani avessero glistessi poteri; il che non ci
deve sorprendere poiché gli sciamanisono «coloro che ricordano gli inizi»,coloro che nell'estasi ripristinano l'illudtempus primordiale. Si è
ormai concordi nel collegare la dottrinaplatonica dell'anàmnesis alla tradizionepitagorica. In Platone, però, la memorianon è più un ricordo
ersonale delle esistenze anteriori, mauna specie di «memoria impersonale»sepolta in ogni individuo, è la sommadei ricordi del tempo in cui
'anima contemplava direttamente le Idee.Nulla di personale in questi ricordi:altrimenti vi sarebbero mille modi percomprendere il triangolo,
cosa evidentemente assurda.
Soltanto le Idee sono oggetto di ricordo,sicché le differenze fra gli individuisono dovute unicamente all'imperfezionedella loro anàmnesis.
Nella dottrina platonica del ricordodelle realtà impersonali si ritrova lostupefacente prolungamento del pensieroarcaico. La distanza tra
latone e il mondo primitivo è troppoevidente perché si debba insistervi; ma
tale distanza non implica soluzione dicontinuità. Con la dottrina
latonica delle Idee il pensiero filosoficogreco riprende e rivalorizza il mitoarcaico e universale di un illud tempusfavoloso e pleromatico,
che l'uomo è tenuto a ricordare perconoscere la verità e per partecipareall'essere. Il primitivo, proprio comePlatone con la teoria
dell'anàmnesis, non attribuisce alcunaimportanza ai ricordi personali: gliinteressano soltanto il mito e la storiaesemplare. Si può anche dire
che Platone è più vicino di Pitagora al
pensiero tradizionale. Pitagora, con isuoi ricordi personali di dieci o ventiesistenze anteriori, fa
arte piuttosto della stirpe degli «eletti»,come il Buddha, gli yogi o gli sciamani.Per Platone conta soltanto lapreesistenza dell'anima
nell'universo atemporale delle Idee; laverità (alètheia) è solo il ricordo di talesituazione impersonale.
Viene spontaneo pensare all'importanzaassunta dal «ritorno all'indietro» nelleterapie moderne. La psicanalisisoprattutto ha saputo utilizzare
come principale mezzo di guarigione il
ricordo, la memoria degli «avvenimentiprimordiali». Ma nell'orizzonte dellaspiritualità moderna, e in
conformità con la concezione giudeo-cristiana del tempo storico eirreversibile, il «primordiale» puòessere soltanto la prima infanzia, l'unico
e vero initium individuale. Lapsicanalisi introduce dunque nellaterapeutica il tempo storico eindividuale. Il malato non è più unessere umano
che soffre soltanto a causa degliavvenimenti contemporanei e oggettivi(disgrazie, microbi, eccetera) o percolpa degli altri (ereditarietà),
come il malato dell'epocaprepsicanalitica, ma soffre anche inseguito a uno "shock" subito nellapropria durata temporale, per un trauma
ersonale sopravvenuto nell'illud tempusprimordiale dell'infanzia, traumadimenticato oppure, più esattamente, maigiunto alla coscienza.
a guarigione consiste appunto nel«ritornare all'indietro», nel ripercorrerea ritroso il cammino al fine diriattualizzare la crisi, di
rivivere il trauma psichico e dicomporlo nella coscienza.
Formulando questa terapia secondo il
pensiero arcaico, si può dire che laguarigione consiste nel ricominciare
l'esistenza, quindi nel reiterare
a nascita, nel rendersi contemporaneodell'«inizio», imitando in tal modol'inizio per eccellenza, la cosmogonia.Grazie alla concezione del
tempo ciclico, la ripetizione dellacosmogonia non presentava alcunadifficoltà al livello del pensiero arcaico,mentre per l'uomo moderno ogni
esperienza personale «primordiale» puòessere soltanto quella dell'infanzia.Quando la psiche è in crisi, bisognaritornare all'infanzia per
rivivere e affrontare di nuovol'avvenimento che ha provocato la crisi.
'impresa di Freud è stata audace perchéha introdotto il tempo e la storia in unacategoria di fatti che prima di lui eranoaffrontati dal di
fuori, quasi come il naturalista considerail suo oggetto. La scoperta di Freud piùgravida di conseguenze è quella secondocui esiste per l'uomo
un'epoca «primordiale» in cui tutto sidecide: la primissima infanzia, la cuistoria è esemplare per il resto della vita.
Riprendendo il
inguaggio del pensiero arcaico, sipotrebbe dire che vi sono stati un«paradiso» (per la psicanalisi, lo stadioprenatale o il periodo che va
fino allo svezzamento) e una «rottura»,una «catastrofe» (il trauma infantile), eche tali avvenimenti primordiali creanol'essere dell'adulto
indipendentemente dal suo atteggiamentonei loro confronti. Volendo prolungarequeste osservazioni, si potrebbe
ricordare che per Jung esiste un
inconscio collettivo, cioè una serie distrutture psichiche che precedono lapsiche individuale e che non possono
essere dimenticate in quanto
non sono costituite da esperienzeindividuali. Il mondo degli archetipi diJung assomiglia al mondo delle Idee
platoniche: gli archetipi sono
impersonali e non appartengono altempo storico dell'individuo, bensì altempo della specie, cioè della vitaorganica.
'argomento meriterebbe certamente diessere sviluppato e precisato, ma quantoabbiamo detto è comunque
sufficiente per cogliere uncomportamento
generale nei confronti del passatomitico, di ciò che è avvenuto agli inizi,ab origine. «Paradiso» e «caduta», ocapovolgimento catastrofico
dell'ordine esistenziale concannibalismo, morte e sessualità che neconseguono, secondo larappresentazione delle tradizioniprimitive; oppure
rottura primordiale all'internodell'essere, secondo la spiegazione delpensiero indù: sono altrettante immaginidi un evento che ha fondato la
condizione umana.
Nonostante le loro differenze, tutte
queste immagini e formule significano inultima analisi la medesima cosa, cioèche
l'essenziale precede
'attuale condizione umana, che l'attodecisivo è avvenuto prima di noi eanche prima dei nostri genitori: l'attodecisivo è stato opera
dell'antenato mitico (nel contestogiudeo-cristiano, Adamo). Anzi: l'uomoè obbligato a ritornare agli attidell'antenato, ad affrontarli o a
ripeterli, insomma a non dimenticarli,qualunque sia la via scelta per operare ilregressus ad originem. Non dimenticare
l'atto essenziale
significa insomma renderlo presente,riviverlo; tale è appunto, come abbiamovisto, il comportamento del buon
selvaggio. Ma anche Cristoforo
Colombo soffriva della nostalgia delleorigini, cioè del paradiso terrestre:l'aveva cercato dappertutto, credeva diaverlo trovato durante il
suo terzo viaggio.
a geografia mitica ossessionava ancoracolui che aveva appena aperto la via atante scoperte reali. Da buon cristianoqual era, Colombo si
sentiva costituito essenzialmente dallastoria degli antenati. Ha creduto finoalla fine della vita che Haiti fosse labiblica Ophir, proprio
erché per lui il mondo non poteva nonessere il mondo esemplare la cui storiaè scritta nella Bibbia.
Riconoscersi costituiti da ciò che èavvenuto in illo tempore non èd'altronde una particolarità del pensieroprimitivo o della tradizione
giudeo-cristiana. Abbiamo decifrato unanalogo cammino dello spirito nelloYoga e nella psicanalisi. Si potrebbeprocedere oltre per ricercare le
innovazioni apportate al dogmatradizionale secondo cui l'essenzialeprecede l'attuale condizione umana. Tali
innovazioni sono state tentate
soprattutto dallo storicismo, il qualepostula che l'uomo non è costituitosoltanto dalle sue origini ma anche dallasua storia e da tutta la
storia dell'umanità. Lo storicismosecolarizza definitivamente il tempo,rifiutando di distinguere fra un tempofavoloso delle origini e quello
che gli è succeduto. L'illud tempus degli«inizi» ha perso il suo alone diprestigio: non vi è stata «caduta» né
«rottura»
primordiale, ma una
serie infinita di avvenimenti che insiemeci hanno fatti quali siamo oggi. Nonesiste differenza «qualitativa» fra gliavvenimenti: tutti
meritano di essere ricordati econtinuamente rivalorizzatidall'anàmnesis storiografica. Non visono avvenimenti o personaggiprivilegiati:
studiando l'epoca di Alessandro Magnoo il messaggio del Buddha non si è piùvicini a Dio che studiando la storia di unvillaggio del Montenegro
o la biografia di un pirata dimenticato.Davanti a Dio tutti gli avvenimentistorici si equivalgono. E se non si credepiù in Dio, si dice:
davanti alla storia...
Non si può non sentirsi turbati di frontea questa grandiosa ascesi che lo spiritoeuropeo ha imposto a se stesso, perquesta terribile
umiliazione che si è inflitta quasi ariscattare i suoi innumerevoli peccatid'orgoglio.
***
3
IL SIMBOLISMO RELIGIOSO
E LA VALORIZZAZIONEDELL'ANGOSCIA
Ci proponiamo di inquadrare e distudiare l'angoscia del mondo modernonella prospettiva della storia dellereligioni.
Questo tentativo può
sembrare ad alcuni singolare, se nonaddirittura inutile. Infatti alcuni pensanoche l'angoscia del mondo moderno sia ilrisultato delle tensioni
storiche, specificamente proprie delnostro tempo e spiegabili con le crisi in
profondità della nostra civiltà, enull'altro.
Dunque, che senso
ha paragonare il nostro momento storicocon simbolismi e ideologie religiosed'altre epoche e di altre civiltà da lungotempo scomparse?
'obiezione regge soltanto in parte. Nonesiste civiltà perfettamente autonoma,senza nessuna relazione con le altreciviltà che l'hanno
receduta. Quando la mitologia grecaaveva perso la sua attualità da duemilaanni si è osato risuscitare il mito diEdipo per spiegare uno dei
comportamenti fondamentalidell'europeo moderno. La psicanalisi ela psicologia del profondo ci hannoabituati a tali paragoni - a prima vista
inverificabili - fra situazioni storichesenza apparente relazione tra di loro.Per esempio, l'ideologia del cristiano èstata avvicinata a
quella di un totemista e si è tentato dispiegare la nozione del Dio Padre conquella del totem. Non discutiamo lafondatezza di simili paragoni,
né la legittimità delle loro prove. Èsufficiente constatare che alcune scuolepsicologiche hanno utilizzato la
comparazione fra i tipi più
diversi di civiltà per megliocomprendere la struttura della psiche.
Questo metodo si basa sul principio chela psiche umana ha una storia e, diconseguenza, non può spiegarsi
interamente con il solo studio della
sua situazione attuale perché la suaintera storia, e anche la sua preistoria,sarebbero ancora discernibili nellacosiddetta attualità psichica.
Riteniamo sufficiente questo breveaccenno ai metodi utilizzati dallepsicologie del profondo, perché non
abbiamo l'intenzione di proseguire
sulla stessa via. Quando diciamo che sipuò collocare l'angoscia dei tempimoderni nella prospettiva della storiadelle religioni pensiamo a un
metodo di comparazione completamentediverso. In breve, ecco in che cosaconsiste: vogliamo capovolgere itermini di comparazione, porci fuori
della nostra civiltà e del nostro momentostorico per giudicarli nella prospettivadelle altre culture e delle altre religioni.Non supponiamo di
ritrovare in noi, europei della primametà del secolo Ventesimo, alcuni
comportamenti già identificati nelleantiche mitologie (come si è fatto,
er esempio, a proposito del complessodi Edipo); vogliamo osservare noi stessicome potrebbe osservarci e giudicarciun osservatore intelligente
e comprensivo dal punto di vista di unaciviltà extraeuropea. In concreto,immaginiamo un osservatore di un'altraciviltà che ci giudica sulla
scala dei suoi valori, non un osservatoreastratto che ci giudichi dal pianeta Sirio.
Un simile procedimento ci è d'altrondeimposto dal nostro momento storico. Daqualche tempo l'Europa non è più la sola
creatrice di storia: il
mondo asiatico ha già iniziato a rientrareattivamente nell'orizzonte storico emolto presto altre società esotiche loseguiranno. Questo
fenomeno storico avrà ripercussioniconsiderevoli sul piano della cultura edella spiritualità in genere: i valorieuropei perderanno il
rivilegio di norme universalmenteaccettate per ritornare nell'ordine dellecreazioni spirituali locali, cioè tributariedi una certa
traiettoria storica e condizionate da unatradizione nettamente circoscritta. Se la
cultura occidentale non vuoleprovincializzarsi, sarà
costretta a dialogare con le altre culturenon europee e a sforzarsi di noningannarsi troppo sul significato deitermini.
Per noi è urgente
comprendere come siamo individuati egiudicati, in quanto forma culturale, dacoloro che sono portatori di cultureextraeuropee. Non bisogna
dimenticare che tutte queste culturehanno una struttura religiosa, cioè chesono sorte e si sono caratterizzate comevalorizzazione religiosa
del mondo e dell'esistenza umana. Perconoscere come siamo individuati egiudicati dai rappresentanti delle altreculture bisogna imparare a
confrontarci con esse; questo saràpossibile soltanto se riusciremo acollocarci nella prospettiva del loroorizzonte religioso. Soltanto in tale
rospettiva il confronto diventa valido eutile. Infatti ci giova poco sapere comeci giudica un indù, un cinese o unindonesiano colto, cioè
educato nella nostra tradizioneoccidentale: potrà rimproverarcimanchevolezze e contraddizioni di cuinoi stessi siamo perfettamente coscienti;
ci dirà che non siamo sufficientementecristiani, né abbastanza intelligenti, néabbastanza tolleranti, cose che sappiamogià dalle nostre
autocritiche, dai nostri moralisti e dainostri riformatori.
Occorre dunque non soltanto conoscerebene i valori religiosi delle altre culture,ma soprattutto collocarci nella loroprospettiva e tentare di
vederci quali sembriamo ai loro occhi.Tale confronto è possibile grazie allateoria delle religioni e all'etnologiareligiosa. E questo spiega e
giustifica il nostro tentativo: sforzandoci
di comprendere il simbolismodell'angoscia nelle religioni noncristiane possiamo apprendere ciò che
robabilmente si pensa della nostra crisiattuale nelle società orientali e arcaiche.Evidentemente una simile ricerca non cirivelerà unicamente
il punto di vista degli «altri», dèi noneuropei, perché ogni confronto con unaltro finisce col chiarire la nostrapropria situazione.
Talvolta sorprende constatare comecerte abitudini culturali, diventatefamiliari al punto da sembrare un
comportamento naturale dell'uomo
civile, rivelino significati inattesi segiudicate nella prospettiva di un'altracultura.
rendiamo come unico esempio uno deitratti più specifici della nostra civiltà,cioè l'interesse appassionato, quasiesagerato, dell'uomo moderno
er la storia. Tale interesse si manifestasu due piani distinti ma uniti: il primoconsiste in ciò che potremmo chiamarela passione per la
storiografia, il desiderio di conosceresempre più completamente e piùesattamente il passato dell'umanità e
soprattutto il passato del nostro
mondo occidentale; sul secondo piano,l'interesse per la storia si manifestanella filosofia occidentalecontemporanea attraverso la tendenza a
definire l'uomo soprattutto in quantoessere storico, essere condizionato, inuna parola, creato dalla storia. Sia ilcosiddetto «storicismo»,
sia il marxismo e certe correntiesistenzialiste sono filosofie che, in unsenso o nell'altro, attribuisconoun'importanza fondamentale alla
storia e al momento storico. Su alcune diqueste filosofie dovremo ritornarequando esamineremo il valore
dell'angoscia nella metafisica indù.
er ora teniamo presente soltanto il primoaspetto dell'interesse per la storia, cioèla passione del mondo moderno per lastoriografia.
Questa passione è abbastanza recente edata dalla seconda metà del secoloDiciannovesimo. La storiografiascoperta e coltivata dal mondo greco-atino a partire da Erodoto non eracertamente la storiografia quale siprecisò nel secolo diciannovesimo, cioècome conoscenza e descrizione le
iù esatte possibili di ciò che è avvenutonel trascorrere del tempo. Sia Erodotosia Tito Livio, Orosio e anche gli storici
del Rinascimento
scrivevano la storia per conservarci etrasmetterci esempi e modelli daimitare. Ma da un secolo in qua la storianon è più la fonte di modelli
esemplari; è una passione scientifica chemira alla conoscenza esauriente di tuttele avventure dell'umanità e che si sforzadi ricostruire e di
risvegliare alla coscienza il passatototale della specie. Un simile interessenon si trova altrove. La quasi totalitàdelle culture non europee
non ha una coscienza storica, e anchedove esiste una storiografia tradizionale
- come in Cina o nei paesi di culturaislamica - essa assolve
sempre la funzione di fornire modelliesemplari.
Tentiamo ora di considerare la passioneper la storia ponendoci fuori dellanostra prospettiva culturale. In moltereligioni, e anche nel
folclore dei popoli europei, troviamo lacredenza che al momento della mortel'uomo ricordi il suo passato nei piùminuti particolari e che non
ossa morire prima di aver ritrovato erivissuto la storia di tutta la suaesistenza. Come su uno schermo
interiore, il
moribondo rivede ancora
una volta il passato. Considerata daquesto punto di vista, la passionestoriografica della cultura modernasarebbe un segno annunciatore della
sua morte imminente. Prima discomparire, la civiltà occidentale siricorda per l'ultima volta di tutto il suopassato, dalla protostoria fino
alle guerre mondiali. La coscienzastoriografica dell'Europa - che alcuniconsiderano come il suo più alto titolodi gloria
- sarebbe in realtà
'istante supremo che precede e annunciala morte.
Questo è soltanto un passo preliminarenella nostra ricerca comparata, el'abbiamo scelto proprio perché ciindica contemporaneamente i rischi
della passione storiografica e i vantaggiche se ne possono trarre. Se infattigiudichiamo la passione moderna per lastoria da un punto di vista
completamente esterno - quello dellamitologia funeraria e del folclore -, èassai indicativo come essa ci riveli unsimbolismo arcaico della
morte; infatti, come è stato spessoosservato, l'angoscia dell'uomo modernoè segretamente legata alla coscienzadella sua storicità e tale
coscienza lascia a sua volta trasparirel'ansietà di fronte alla morte e al nulla.
Quantunque a noi europei moderni lapassione storiografica non riveli alcunpresentimento funesto, tuttavia, se postanella prospettiva del
simbolismo religioso, essa tradiscel'imminenza della morte. La psicologiadel profondo ci ha insegnato adattribuire maggiore importanza alla
resenza attiva di un simbolo che non
all'esperienza cosciente che lo manipolae lo valorizza. L'applicazione al nostrocaso è abbastanza
erspicua: infatti la passionestoriografica è soltanto uno degli aspetti,e il più esteriore, della scoperta dellastoria; l'altro aspetto, più
rofondo, tocca la storicità di ogniesistenza umana e, di conseguenza,implica direttamente l'angoscia per lamorte.
Ed è proprio quando si cerca diconfrontare l'angoscia della morte - cioèquando si cerca di collocarla e digiudicarla in una prospettiva
diversa dalla nostra - che ilprocedimento comparativo comincia adiventare fecondo. L'angoscia per ilnulla della morte sembra essere un
fenomeno specificamente moderno. Datutte le altre culture non europee, cioèdalle altre religioni, la morte non è maisentita come una fine
assoluta, come il nulla: la morte èpiuttosto un rito di passaggio verso unaltro modo d'essere, perciò si trovasempre in relazione con i
simbolismi e i riti d'iniziazione, dirinascita o di risurrezione. Questo nonsignifica che il mondo extraeuropeo nonconosca l'esperienza
dell'angoscia di fronte alla morte;l'esperienza esiste certamente, ma non èné assurda né inutile; al contrario, èvalorizzata al massimo, come
un'esperienza indispensabile perraggiungere un nuovo livello d'essere.La morte è la Grande Iniziazione. Maper il mondo moderno la morte è
svuotata del suo senso religioso, eproprio per questo è assimilata al nulla;e di fronte al nulla l'uomo modernorimane paralizzato.
Apriamo ora una breve parentesi:quando parliamo dell'«uomo moderno»,delle sue crisi e angosce, pensiamo
soprattutto a chi non ha la fede, a chi
non ha più alcun legame vivo con ilgiudeo-cristianesimo. Per il credente ilproblema della morte si pone in altritermini: anche per lui la
morte è un rito di passaggio. Però unagrande parte del mondo moderno haperso la fede, e per tale massa umana
l'angoscia della morte si confonde
con l'angoscia del nulla. Noi cioccupiamo soltanto di questa parte delmondo moderno, di cui cercheremo di
comprendere e d'interpretare
'esperienza ponendoci su un diversoorizzonte culturale.
'angoscia dell'uomo moderno sembradunque essere provocata e alimentatadalla scoperta del nulla. Che direbbe unnon europeo di questa
situazione metafisica? Poniamoci, percominciare, nell'orizzonte spiritualedell'uomo arcaico, di quello che è stato
chiamato a torto il
«primitivo». Anch'egli conoscel'angoscia della morte, che è legata allasua esperienza fondamentale,all'esperienza decisiva che lo ha fatto
così com'è: uomo maturo, cosciente eresponsabile; che lo ha aiutato asuperare l'infanzia e a staccarsi da suamadre e da tutti i complessi
infantili. L'angoscia della morte vissutadal primitivo è quella dell'iniziazione.Se potesse trasporre nella suaesperienza e nel suo linguaggio
simbolico l'angoscia dell'uomomoderno, un primitivo ci direbbe insostanza: è la grande prova iniziatica, èla
penetrazione nel labirinto o
nella boscaglia abitata dai demoni edalle anime degli antenati, la boscaglia
che corrisponde all'inferno, all'altromondo; è la grande paura che
aralizza il candidato all'iniziazionequando è inghiottito dal mostro e sitrova nelle tenebre del suo ventre o sisente tagliato a pezzi e
digerito per poter rinascere come uomonuovo. Pensiamo alle prove terribilidell'iniziazione dei giovani nelle societàarcaiche, prove
indispensabili a ogni iniziazione e chesono sopravvissute in certi misteridell'antichità greco-orientale. I ragazzi,e spesso le fanciulle,
asciano le loro case e vivono per un
certo tempo - talvolta parecchi anni -nella boscaglia, cioè nell'altro mondo,per completare la loro
iniziazione, che comprende torture eprove culminanti in un rituale di morte edi risurrezione simboliche.
Soprattutto quest'ultimo rituale èterribile; si ritiene infatti chel'adolescente venga inghiottito da unmostro, sia interrato vivo e perduto
nella giungla, cioè negli inferi. In talitermini un primitivo giudicaverosimilmente la nostra angoscia, masollevandola a scala collettiva: il
mondo moderno è come un uomo
inghiottito da un mostro e si dibatte nelletenebre del suo ventre; come se si fosseperduto nella boscaglia o si
fosse smarrito in un labirinto chesimboleggia gli inferi; ed è angosciato,si crede già morto o sul punto di moriree non vede attorno a sé
altra uscita che le tenebre, la morte e ilnulla.
E tuttavia, agli occhi del primitivo,questa terribile esperienza d'angoscia èindispensabile alla nascita di un uomonuovo. Nessuna iniziazione
è possibile senza un'agonia, una morte euna risurrezione rituali. Giudicata nella
prospettiva delle religioni primitive,l'angoscia del mondo
moderno è il segno di una morteimminente, ma di una morte necessaria esalvatrice perché sarà seguita da una
risurrezione e renderà possibile
'accesso a un nuovo modo d'essere,quello della maturità e dellaresponsabilità.
Ritroviamo dunque il simbolismo dellamorte, quello stesso simbolismo che, inun'altra prospettiva, abbiamo
incontrato interpretando la passione
storiografica secondo le categorie dellemitologie popolari.
Ma, né presso i primitivi né nelle civiltàextraeuropee più evolute, troviamol'idea del nulla intercambiabile conl'idea della morte. Come
dicevamo or ora, per i cristiani e per lereligioni non cristiane la morte non èomologata all'idea del nulla. La morte èsì una fine, ma una
fine che è immediatamente seguita da unnuovo inizio. Si muore a un modod'essere per poter accedere a un altro.La morte costituisce una rottura
di livello ontologico e insieme un rito di
passaggio, proprio come la nascita ol'iniziazione.
È anche interessante conoscere com'èstato valorizzato il nulla nelle religioni enelle metafisiche dell'India, poiché ilproblema dell'essere e
del non-essere è giustamente consideratouna caratteristica specifica del pensieroindù. Per il pensiero indù, sia il nostromondo sia la nostra
esperienza vitale e psicologica sono iprodotti più o meno diretti dell'illusionecosmica, della maya.
Senza entrare ora nei particolari,ricordiamo che «il velo della maya» è
una formula simbolica per esprimerel'irrealtà ontologica, sia del mondo
sia di ogni esperienza umana:precisiamo ontologica, perché né ilmondo né l'esperienza umanapartecipano dell'essere assoluto. Ilmondo fisico,
e anche la nostra esperienza umana, sonocostituiti dal divenire universale, dallatemporalità; sono quindi illusori perchécreati e distrutti
dal tempo. Ma questo non significa chenon esistono, che sono una creazionedell'immaginazione individuale. Il
mondo non è un miraggio o
un'illusione nel senso immediato deltermine: il mondo fisico e l'esperienzavitale e psichica individuale esistono,ma esistono unicamente nel
tempo; cioè, secondo il pensiero indù,non esisteranno più domani o fra centomilioni d'anni; di conseguenza, giudicatisulla scala dell'essere
assoluto, il mondo e con esso ogniesperienza che dipende dallatemporalità sono illusori. In tale senso,per il pensiero indù, la maya rivela
un'esperienza particolare del nulla, delnon-essere.
Cerchiamo ora di decifrare l'angoscia
del mondo moderno con la chiave dellafilosofia indù. Un filosofo indianodirebbe che lo storicismo e
'esistenzialismo introducono l'Europanella dialettica della maya.
Ecco all'incirca quale sarebbe il suoragionamento: il pensiero europeo haappena scoperto che l'uomo è
implacabilmente condizionato nonsoltanto
dalla sua fisiologia e dalla sua ereditàma anche dalla storia e soprattutto dallasua propria storia. Sicché l'uomo èsempre posto entro termini
recisi: appartiene sempre alla storia, èun essere fondamentalmente storico. Ilfilosofo indù aggiungerà: conosciamo damolto tempo questa
«situazione»: è l'esistenza illusoria nellamaya. E la chiamiamo esistenza illusoriaproprio perché è condizionata daltempo, dalla storia.
roprio per tale ragione l'India non hamai attribuito alcuna importanzafilosofica alla storia.
'India si è preoccupata dell'essere,mentre la storia, creata dal divenire, èuna delle formule del non-essere. Nonper questo il pensiero indù
ha trascurato l'analisi della storicità: lesue metafisiche e le sue tecnichespirituali fanno da molto tempoun'analisi estremamente sottile di
ciò che la filosofia occidentale chiamaoggi «essere nel mondo» o «esseresituati»; lo Yoga, il buddismo, il Vedantasi sono curati di dimostrare
a relatività e quindi la non-realtà di ogni«situazione», di ogni «condizione».
arecchi secoli prima di Heidegger, ilpensiero indù ha identificato nellatemporalità la dimensione fatale di ogniesistenza, esattamente come
ha presentito, prima di Marx o di Freud,
il condizionamento molteplice di ogniesperienza umana e di ogni giudizio sulmondo.
Affermando che l'uomo è «incatenato»dall'illusione, le filosofie indù voglionosignificare che ogni esistenza è in séessenzialmente una
rottura, perché è una separazionedall'assoluto. Quando lo Yoga o ilbuddismo dicono che tutto è sofferenza,tutto è passeggero (sarvam dukham,
sarvam anityam), anticipano il senso delSein und Zeit di Heidegger, affermanocioè che la temporalità di ogni esistenzaumana genera fatalmente
'angoscia e il dolore.
In altri termini, la scoperta dellastoricità come modo d'essere specificodell'uomo nel mondo corrisponde a ciòche gli indù chiamano da molto
tempo la situazione nella maya. E ilfilosofo indù dirà che il pensieroeuropeo ha compreso la precarietà e lacondizione paradossale dell'uomo
che prende coscienza della propriatemporalità.
'angoscia sorge dalla scoperta tragicache l'uomo è un essere votato alla morte,nato dal nulla e in cammino verso ilnulla.
Tuttavia, il filosofo indù resta perplessodi fronte alle conseguenze che alcunifilosofi moderni hanno tratto da tale
scoperta. Infatti, dopo
aver compreso la dialettica della maya,l'indù si sforza di liberarsi dalleillusioni, mentre alcuni europeisembrano soddisfatti della loro
scoperta e si adagiano in una visionenichilistica e pessimistica dell'esistenzae del mondo. Rinunciando a discutere leragioni di tale
atteggiamento del pensiero europeo, cilimitiamo a sottoporlo al giudizio dellafilosofia indù. Per un indù la scoperta
dell'illusione cosmica ha
senso soltanto se è seguita dalla ricercadell'essere assoluto; la nozione di mayanon ha senso senza la nozione dibrahman. In linguaggio
occidentale, si potrebbe dire: prenderecoscienza che si è condizionati ha sensosoltanto se l'uomo si volge versol'incondizionato e cerca la
iberazione. La maya è un gioco cosmicoe in definitiva illusorio, ma quando ècompresa come tale, quando i veli dellamaya sono strappati, ci si
trova di fronte l'essere assoluto, la realtàultima. L'angoscia è provocata dalla
presa di coscienza della nostraprecarietà e della nostra
fondamentale irrealtà, ma tale presa dicoscienza non è fine a se stessa: ci aiutasoltanto a scoprire l'illusione dellanostra esistenza nel
mondo; ma proprio a questo puntointerviene una seconda presa dicoscienza: si scopre che la GrandeIllusione, la maya appunto, era nutritadalla
nostra ignoranza, cioè dalla nostra falsae assurda identificazione con il divenirecosmico e con la storicità. In realtà,precisa il filosofo
indù, il nostro vero sé - il nostro atman,il nostro purusha - non ha nulla a chevedere con le molteplici situazioni dellanostra storicità. Il
sé partecipa dell'essere; l'atman èidentico al brahman. Per un indù lanostra angoscia è facilmentecomprensibile: siamo angosciati perché
abbiamo appena scoperto che siamo,non mortali nel senso astratto delsillogismo, ma morenti, sul punto dimorire, in quanto implacabilmente
divorati dal tempo. L'indù comprendemolto bene la nostra paura e la nostraangoscia, perché si tratta in definitivadella scoperta della nostra
ropria morte. Ma di che morte si tratta?,si domanda l'indù. Della morte delnostro non- io, della nostra individualitàillusoria, cioè della
maya, non dell'essere del qualepartecipiamo, del nostro atman, che èimmortale proprio perché non ècondizionato e non è temporale. L'indù
conviene quindi con noi nell'ammettereche l'angoscia per il nulla della nostraesistenza è omologabile all'angosciadella morte; ma aggiunge
immediatamente: la morte che vi rendeansiosi è soltanto la morte delle vostreillusioni e della vostra ignoranza; essasarà seguita da una
rinascita, dalla presa di coscienza dellavostra vera identità, del vostro veromodo di essere: quello dell'essere noncondizionato, libero. In
una parola, dice il filosofo indù, che lacoscienza della vostra storicità vi rendaansiosi è molto comprensibile, perchébisogna morire alla
storia per scoprire e vivere l'essere.
S'indovina facilmente ciò che un filosofoeuropeo, storicista o esistenzialista,potrebbe replicare a una simileinterpretazione dell'angoscia.
Mi chiedete, direbbe, di «morire allastoria», ma l'uomo non è, e non può
essere altro che storia, perché la suastessa essenza è la temporalità.
Mi chiedete dunque di rinunciare allamia esistenza autentica e di rifugiarmi inun'astrazione, in un essere puro, l'atman;di sacrificare la mia
dignità di essere creatore di storia e divivere un'esistenza astorica, inautentica,vuota di ogni contenuto umano.
Preferisco allora
abbandonarmi definitivamenteall'angoscia: almeno essa non mi rifiutauna certa grandezza eroica, quella dellapresa di coscienza e
dell'accettazione della condizioneumana.
Non è nostro proposito di discutere taliposizioni filosofiche europee. Tuttaviadobbiamo insistere su un malinteso chefalsa agli occhi
dell'Occidente l'immagine dell'India edella spiritualità indù.
Non è del tutto vero che la scopertadell'illusione cosmica e la setemetafisica dell'essere si traducono, inIndia, in una totale
svalorizzazione della vita e nellacredenza nella vacuità universale.
Si comincia ora a comprendere che,forse più di qualsiasi altra civiltà,l'India ama, rispetta la vita e ne gode atutti i livelli.
Infatti la maya non è un'illusionecosmica assurda e gratuita, come inveceappare assurda a certi filosofi europeil'esistenza umana uscita dal
nulla e diretta verso il nulla. Per ilpensiero indù la maya è una creazionedivina, un gioco cosmico che ha comescopo sia l'esperienza umana
sia la liberazione da questa esperienza.Di conseguenza, prendere coscienzadell'illusione cosmica non vuol dire, inIndia, scoprire
'universalità del nulla, masemplicemente che ogni esperienza nelmondo e nella storia è priva di validitàontologica; quindi che la nostra
condizione umana non deve essereconsiderata come un fine in sé. Ma, unavolta acquisita tale presa di coscienza,l'indù non si ritira dal mondo;
altrimenti l'India sarebbe da moltotempo scomparsa dalla storia, dalmomento che la concezione della maya è
accettata dall'immensa maggioranza
degli indù. La presa di coscienza delladialettica della maya non conducenecessariamente all'ascesi e
all'abbandono di ogni esistenza sociale e
storica, ma si traduce generalmente in unatteggiamento completamente diverso,quello rivelato da Krishna ad Arjunanella Bhagavad Gita:
continuare a rimanere nel mondo epartecipare alla storia, ma guardandosibene dall'accordare alla storia un valoreassoluto. Più che invitarci a
rinunciare alla storia, il messaggio dellaBhagavad Gita ci rivela il pericolodell'idolatria della storia. Tutto ilpensiero indù insiste su
questo punto preciso: l'ignoranza el'illusione non consistono nel vivere
nella storia, ma nel credere alla realtàontologica della storia. Come
abbiamo già detto, il mondo, anche seillusorio - perché in perpetuo divenire -è nondimeno una creazione divina.
Anche il mondo è sacro ma,
aradossalmente, si scopre la sacralitàdel mondo soltanto dopo aver scopertoche è un «gioco» divino. L'ignoranza, equindi l'angoscia e la
sofferenza, sono nutrite dalla credenzaassurda che questo mondo perituro eillusorio rappresenti la realtà ultima.
Ritroviamo una dialettica simile nei
confronti del tempo. Secondo la Maitry-Upanishad, Brahma, l'Essere Assoluto,si manifesta contemporaneamente
sotto due aspetti polari: il tempo el'eternità.
'ignoranza consiste nel vedere soltanto ilsuo aspetto negativo, la temporalità. La«cattiva azione», come dicono gli indù,non consiste nel
vivere nel tempo, ma nel credere chenon esista null'altro al di fuori deltempo. Si è divorati dal tempo, dallastoria, non perché si vive nel
tempo ma perché si crede alla realtà deltempo e quindi si dimentica o si
disprezza l'eternità.
Non è necessario prolungare le nostreconsiderazioni perché non ci siamoproposto di discutere la metafisica indùné di opporla ad alcune
filosofie europee, ma soltanto discoprire ciò che un indù potrebbe dircisull'angoscia contemporanea. Ed èsignificativo che, giudicata sia
nella prospettiva delle culture arcaichesia nell'orizzonte della spiritualità indù,l'angoscia ci riveli il simbolismo dellamorte.
Vista e giudicata dagli altri, dai noneuropei, la nostra angoscia rivela infatti
lo stesso significato che noi europei viabbiamo già trovato:
'imminenza della morte. Ma l'identità divedute tra noi e gli altri si ferma aquesto punto. Infatti, per i non europei lamorte non è né
definitiva né assurda; al contrario,l'angoscia provocata dall'imminenzadella morte è in sé una promessa di
risurrezione, rivela il
resentimento di una rinascita a un altromodo d'essere che trascende la morte.Trasposta nella prospettiva delle
società primitive, l'angoscia
del mondo moderno può essereomologata all'angoscia della morteiniziatica; vista nella prospettiva indù, è
omologabile al momento dialettico
della scoperta della maya. Ma, comeabbiamo appena detto, sia per le culturearcaiche e «primitive» sia per l'Indial'angoscia non costituisce
una situazione in cui ci si possa fermaredefinitivamente: ci è indispensabilecome esperienza iniziatica, come rito dipassaggio. Ma in
nessun'altra cultura al di fuori dellanostra è possibile fermarsi a metà di unrito di passaggio e porsi definitivamente
in una situazione
apparentemente senza uscita, perchél'uscita consiste proprio nel completareil rito di passaggio e nel risolvere lacrisi pervenendo a un
ivello superiore, prendendo coscienza diun nuovo modo d'essere. Non siconcepisce, per esempio, che si possa
interrompere un rito di passaggio
iniziatico: altrimenti l'adolescente nonsarebbe più il fanciullo che era prima dicominciare l'iniziazione, ma non sarebbeneppure l'adulto che
ha superato tutte le sue prove.
Conviene anche ricordare un'altra fontedell'angoscia moderna: il presentimentooscuro della fine del mondo, o
meglio, della fine del nostro
mondo, della nostra civiltà.
Non discutiamo il fondamento di questapaura: ci basta ricordare che è tutt'altroche una scoperta moderna. Il mito dellafine del mondo è
universalmente diffuso: è già presentenei popoli primitivi che sono ancoraallo stadio paleolitico della cultura, peresempio presso gli
Australiani, e lo si ritrova nelle grandi
civiltà storiche, babilonese, indù,messicana e grecolatina. È il mito delladistruzione e della ricreazione periodicadei mondi, che è la formula cosmologicadel mito dell'eterno ritorno. Ma bisognaimmediatamente aggiungere che innessuna
cultura extraeuropea il terrore della finedel mondo è mai riuscito a paralizzare lavita e la cultura. L'attesa della catastrofecosmica è
certamente angosciosa, ma è un'angosciache si inserisce armonicamente in unaconcezione religiosa e culturale. La finedel mondo non è mai
assoluta; è sempre seguita dalla
creazione di un mondo nuovo,rigenerato. Infatti per i non europei lavita e lo spirito hanno la caratteristica
di non poter mai scomparire in manieradefinitiva.
Non cercheremo di trarre conclusioni daquesto breve confronto con le religioni ele civiltà extraeuropee; il dialogo èappena avviato e occorre
roseguirlo e svilupparlo. È comunqueconfortante che la prospettiva siamutata: è bastato porci al livello delleculture arcaiche e orientali
er ritrovare i significati iniziatici e ivalori spirituali dell'angoscia, significati
e valori ben conosciuti da alcunetradizioni mistiche e
metafisiche europee. Questo significache il dialogo con il vero mondoasiatico, africano od oceaniano ci aiutaa riscoprire atteggiamenti
spirituali che si possono giustamenteconsiderare universalmente validi, nonpiù formule provinciali, creazioni di unsolo frammento della
storia, ma atteggiamenti che oseremmodefinire ecumenici.
otremmo tuttavia domandarci: se ildialogo con le spiritualità extraeuropeeconduce alla semplice riscoperta di
alcune fonti dimenticate o
trascurate della nostra spiritualità,perché cercare così lontano, perchéinterrogare gli indù, gli Africani, gliOceaniani?
Rispondiamo
ripetendo che il nostro momento storicoci obbliga a comprendere le culture noneuropee e a mantenere il dialogo con iloro rappresentanti
autentici. Aggiungiamo che il mutamentodella prospettiva spirituale sfocia in unainconsueta e confortante
rigenerazione profonda del nostro
essere intimo. Vogliamo concludere lanostra esposizione con una storiachassidica che illustra mirabilmente ilmistero dell'incontro. È la
storia del rabbino Eisik di Cracovia, chel'indianista Heinrich Zimmer hariesumato dai Khassidische Bucher diMartin Buber. Il pio rabbino Eisik
di Cracovia ebbe un sogno che gliingiungeva di andare a Praga dove, sottoil grande ponte che conduce al castelloreale, avrebbe scoperto un
tesoro nascosto. Il sogno si ripetè per trevolte e il rabbino si decise a partire.Arrivato a Praga, trovò il ponte, maguardato giorno e notte
da sentinelle, sicché Eisik non osòscavare. Poiché continuava ad aggirarsinei dintorni, attirò l'attenzione delcapitano delle guardie che gli
domandò amabilmente se avessesmarrito qualcosa. Con semplicità ilrabbino gli raccontò il suo sogno.L'ufficiale scoppiò a ridere: «Oh!,
overetto!», gli disse, «tu hai consumatole suole a percorrere tutto questocammino semplicemente per un sogno?
Quale persona ragionevole
crederebbe a un sogno?». Anchel'ufficiale aveva sentito una voce insogno: «Mi parlava di Cracovia e mi
ordinava di andare laggiù e di cercare
un grande tesoro nella casa di unrabbino di nome Eisik, Eisik figlio diJekel. Avrei dovuto scoprire il tesoro inun angolo polveroso dov'era
sepolto, dietro la stufa». Ma l'ufficialenon aveva prestato fede alle voci intesein sogno: era una persona ragionevole. Ilrabbino s'inchinò
rofondamente, lo ringraziò e si affrettò aritornare a Cracovia. Scavò nell'angoloabbandonato della casa e scoprì iltesoro che pose fine alla
sua miseria.
«Così dunque», commenta HeinrichZimmer, «il vero tesoro, quello che ponefine alla nostra miseria e alle nostreprove, non è mai molto lontano,
non è necessario cercarlo in un paesestraniero, ma giace sepolto negli angolipiù riposti della nostra casa, cioè delnostro essere. È dietro la
stufa, dietro il centro che dà vita ecalore e che guida la nostra esistenza,dietro il cuore del nostro cuore; purchésappiamo scavare. Ma, per
un fatto strano e costante, scopriremo ilsignificato della voce interiore cheguida la nostra ricerca soltanto dopo unpio viaggio in una
regione lontana, in un paese straniero, inuna terra nuova. A questo fatto strano ecostante se ne aggiunge un altro: coluiche ci rivela il
senso del nostro misterioso viaggiointeriore deve anch'egli essere unostraniero, di un'altra fede e di un'altrarazza».
Tale è il senso profondo di ogni veroincontro, che potrebbe costituire il puntodi partenza di un nuovo umanesimo suscala mondiale.
***
4
A NOSTALGIA DEL PARADISONELLE TRADIZIONI PRIMITIVE
Baumann riassume in questo modo i mitiafricani che si riferiscono all'epocaparadisiaca primordiale: in quel tempogli uomini non conoscevano la
morte, capivano il linguaggio deglianimali e vivevano in pace con essi, nonlavoravano affatto e trovavano a portatadi mano un abbondante
nutrimento. In seguito a un determinatoavvenimento mitico - di cui ora nonaffronteremo lo studio - tale stato
paradisiaco è finito e l'umanità
è diventata come appare oggi. In formepiù o meno complesse, il mitoparadisiaco si ritrova un poco ovunquenel
mondo. Esso implica sempre un
certo numero di elementi caratteristici,al di fuori della nota paradisiaca pereccellenza, l'immortalità. Si potrebberoclassificare questi miti
in due grandi categorie: 1. quelli cheparlano dell'estrema prossimitàprimordiale tra la terra e il cielo; 2.quelli che si riferiscono a un
mezzo concreto di comunicazione tra ilcielo e la terra. Non analizzeremo ora le
molteplici varianti presenti in ciascunodi questi due tipi, né
reciseremo le loro rispettive aree didiffusione e la loro cronologia. Per ilnostro scopo c'interessa un solo punto: ilcarattere paradisiaco
della condizione primordiale descrittadai miti si manifesta appunto nel fattoche, in illo tempore, il cielo era moltovicino alla terra o si
oteva facilmente raggiungere per mezzodi un albero, di una liana o di una scalao salendo una montagna Quando il cieloè stato brutalmente
separato dalla terra; cioè quando è
diventato lontano, come ai nostri tempi,quando l'albero o la liana che tenevanounita la terra al cielo sono
stati tagliati, oppure la montagna chetoccava il cielo è stata spianata, lo statoparadisiaco ha avuto fine e l'umanità haacquisito la sua
condizione attuale.
'uomo primordiale che tutti questi mitipresentano gode in effetti di unabeatitudine, di una spontaneità e di unalibertà che ha
malauguratamente perdute in seguito allacaduta, cioè in seguito all'avvenimentomitico che ha provocato la rottura tra il
cielo e la terra. In
illo tempore, in quel tempo paradisiaco,gli dèi discendevano sulla terra e simescolavano agli uomini; questi, a lorovolta, potevano salire al
cielo scalando una montagna o unalbero, o per mezzo di una liana o di unascala, o anche lasciandosi trasportaredagli uccelli.
Un'attenta analisi etnologica metterebbein risalto il contesto culturale di ognunodi questi tipi di miti. Si potrebbemostrare, per esempio,
che i miti dell'estrema prossimitàprimordiale cielo-terra, diffusi
soprattutto in Oceania e nell'Asiasudorientale, sono in qualche modolegati
a una ideologia matriarcale. Si potrebbeanche dimostrare che l'immagine miticadi un axis mundi (montagna, albero,liana) che si trova al centro
del mondo e che unisce la terra al cielo -immagine attestata già presso le tribùpiù primitive (Australia, Pigmei, regioniartiche, eccetera) -
è stata elaborata soprattutto dalle culturepastorali e sedentarie e si è trasmessafino alle grandi culture urbanedell'antichità orientale. Ma
non ci soffermeremo ora sull'analisietnologica: per lo scopo di questocapitolo sarà sufficiente studiare latipologia dei miti.
Elenchiamo le note specifiche dell'uomodell'epoca paradisiaca senza tener contodei loro rispettivi contesti:
immortalità, spontaneità, libertà,
ossibilità di ascesa al cielo e facileincontro con gli dèi, amicizia con glianimali e conoscenza del lorolinguaggio.
Quest'insieme di libertà e di poteri èstato perduto in seguito a unavvenimento primordiale; la «caduta»
dell'uomo ha come conseguenze
concomitanti un mutamento ontologicodella sua condizione specifica e unarottura cosmica.
Il fenomeno dello sciamanismo presentaun certo interesse: lo sciamano si sforzadi abolire con tecniche speciali l'attualecondizione umana -
quella dell'uomo decaduto - e direstaurare la condizione dell'uomoprimordiale di cui parlano i mitiparadisiaci. Fra gli altri manipolatoridel
sacro nelle società arcaiche, losciamano è notoriamente lo specialista
dell'estasi per eccellenza. Proprio per lesue capacità estatiche - cioè
grazie alla facoltà di abbandonare apiacimento il corpo e intraprendereviaggi mistici in tutte le regionicosmiche - lo sciamano è sia
guaritore e guida spirituale, sia mistico evisionario. Soltanto lo sciamano puòraggiungere l'anima smarrita del malato,catturarla e
reintegrarla nel suo corpo; solo lui puòaccompagnare le anime dei morti nelleloro nuove dimore; sempre a lui toccaintraprendere lunghi viaggi
estatici in cielo per presentare agli dèi
l'anima dell'animale sacrificato eimplorare la benedizione divina. Inbreve, lo sciamano è il grande
specialista dei problemi spirituali, cioècolui che meglio di chiunque conosce imolteplici drammi, rischi e pericolidell'anima. Lo sciamanismo
rappresenta per le società «primitive»ciò che, nelle religioni più elaborate, siè concordi nel designare con i termini dimistica e di
esperienza mistica.
Una seduta sciamanica comprendegeneralmente i seguenti elementi: 1)chiamata degli spiriti ausiliari, quasi
sempre animali, e dialogo con essi
in un linguaggio segreto; 2) rullo ditamburo e danza che prepara il viaggiomistico; 3) la trance (finta o reale),durante la quale si ritiene
che l'anima dello sciamano abbiaabbandonato il corpo. Lo scopo di ogniseduta sciamanica è il raggiungimento
dell'estasi, poiché soltanto in
estasi lo sciamano può volare nell'aria odiscendere agli inferi, cioè puòcompiere la sua missione di guaritore odi guida spirituale.
È significativo che per preparare la
propria trance lo sciamano utilizzi illinguaggio segreto o, secondo altreregioni, il linguaggio degli
animali. Lo sciamano imita ilcomportamento degli animali econtemporaneamente si sforza diimitarne i gridi,
soprattutto i gridi degli uccelli,
come Sheroszewski ha osservato pressogli sciamani jacuti: «Sia sopra sia sotto,sia davanti sia dietro allo sciamano sifanno sentire rumori
misteriosi... Si crede di sentire il gridolamentoso della pavoncella mescolato algracchiare di un falcone che interrompe
il sibilo della
beccaccia: è lo sciamano che grida cosìvariando le intonazioni della voce... Sisente lo stridio delle aquile a cui simescolano i pianti delle
avoncelle, gli acuti gridi delle beccaccee il ritornello dei cuculi». Castagnédescrive il baqsha kirghiso-tartaro «cheimita con una
recisione notevole i versi degli animali:i canti degli uccelli, il rumore del lorovolo».
Come ha fatto osservare Lehtisalo,buona parte delle parole utilizzatedurante la seduta sciamanica hanno
origine dall'imitazione dei versi di
uccelli e di altri animali. Questo è verosoprattutto per i ritornelli e le canzonitirolesi, costituiti nella maggior partedei casi da
onomatopee, da fenomeni e da trilli dicui si può senza difficoltà indovinarel'origine nell'imitazione dei gridi e deicanti degli uccelli. In
generale, durante la seduta lo sciamanoparla con voce acuta, con voce di testain falsetto, volendo con questo
sottolineare che non è lui che
arla, ma uno spirito o un dio. Ma
possiamo osservare che anche leformule magiche sono cantate con lamedesima
voce acuta. magia e canto -
specialmente il canto a imitazione degliuccelli - sono indicati molte volte con lostesso termine. Il vocabolo germanicoper indicare la formula
magica è galdr, usato con il verbo galan,«cantare», termine che si applicaspecialmente ai gridi degli uccelli.
a credenza secondo cui, durantel'iniziazione, lo sciamano incontra unanimale che gli rivela certi segreti delmestiere, gli insegna il
inguaggio degli animali o diventa il suospirito ausiliare (familiare) ci aiuta acomprendere meglio i rapportid'amicizia e di familiarità che
si stabiliscono tra gli animali e losciamano: questi parla la loro lingua ediventa loro amico e loro signore.Osserviamo subito che ottenere
'amicizia degli animali e la signoriaspontanea su di essi non implica,nell'orizzonte della mentalità arcaica,una regressione a una condizione
biologica inferiore. Da una parte, poichégli animali sono portatori di unsimbolismo e di una mitologia molto
importanti per la vita religiosa,
comunicare con gli animali, parlare illoro linguaggio, diventare loro amico esignore equivale ad appropriarsi di unavita spirituale molto più
ricca della vita semplicemente umanadel comune mortale. Dall'altra, agliocchi del «primitivo» gli animali hannoun prestigio considerevole:
conoscono i segreti della vita e dellanatura, conoscono anche il segreto dellalongevità e dell'immortalità.Restaurando la condizione degli
animali, lo sciamano partecipa ai lorosegreti e gode della loro pienezza di
vita.
Osserviamo che l'amicizia con glianimali e la conoscenza del lorolinguaggio rappresentano una sindromeparadisiaca.
In illo tempore, prima
della caduta, tale amicizia faceva parteessenziale della condizione umanaprimordiale. Lo sciamano ricupera inparte
la situazione paradisiaca
dell'uomo primordiale, e ciò grazie alricupero della spontaneità animale(imitazione nel comportamento) e del
linguaggio degli animali
{imitazione dei loro gridi). È importanteconstatare che il dialogo con gli animalio la loro incorporazione da parte dellosciamano (fenomeno
mistico da non confondere con lapossessione) costituiscono lo stato pre-estatico della seduta. Lo sciamano può
abbandonare il proprio corpo e
cominciare il viaggio mistico solamentedopo aver ricuperato, con la suadimestichezza con gli animali, unabeatitudine e una spontaneità
inaccessibili nella sua situazione
profana quotidiana. L'esperienza vitaledell'amicizia con gli animali lo proiettafuori dalla condizione
generale dell'umanità «decaduta»,permettendogli di raggiungere l'illudtempus di cui ci parlano i mitiparadisiaci.
'estasi infine, come abbiamo già detto,implica l'abbandono del corpo e ilviaggio mistico in cielo o agli inferi. Lacircostanza che a noi ora
interessa soprattutto è che l'ascensioneceleste dello sciamano si realizza permezzo di un albero o di un palo chesimboleggia l'Albero o il
ilastro Cosmico. Lo sciamano altaico,per esempio, utilizza per la seduta unagiovane betulla ripulita dei rami bassi esul cui tronco vengono
segnate sette, nove o dodici tacche. Labetulla simboleggia l'Albero del Mondo;le sette, nove o dodici tacche
rappresentano i sette, nove o
dodici cieli, cioè i diversi piani celesti.Dopo aver sacrificato un cavallo, losciamano si serve successivamente delletacche per penetrare
fino al nono cielo in cui si trova BaiUlgan, il Dio Supremo, e descriveall'uditorio, con innumerevoli
particolari, tutto quello che vede e che
avviene in ciascun cielo. Infine, al nonocielo, egli si prostra davanti a Bai Ulgane gli offre l'anima del cavallosacrificato.
Questo episodio
segna il punto culminante dell'ascesaestatica dello sciamano, che crollaestenuato e infine si stropiccia gli occhicome risvegliandosi da un
sonno profondo e saluta i presenti comeal termine di una lunga assenza. Ilsimbolismo dell'ascensione celeste permezzo di un albero è pure
illustrato molto chiaramente dallacerimonia iniziatica degli sciamaniburiati. Il candidato si arrampica su unabetulla che si trova
nell'interno della tenda (la yurta),raggiunge la cima ed esce dal buco delfumo. Ma si sa che l'apertura superioreda cui esce il fumo è
assimilata al «buco» fatto dalla stellapolare nella volta celeste.
(Presso altri popoli il palo della tenda èchiamato Pilastro del Cielo ed èassimilato alla stella polare che, comeun palo, fissa la tenda
celeste e viene chiamata anche il
"Chiodo del Cielo".) La betulla ritualeche si trova nell'interno della tenda èquindi un'immagine dell'Albero
Cosmico che si trova al centro delmondo e sulla cui sommità brilla lastella polare. Scalandola, il candidatopenetra nel cielo: proprio per
questo, dopo essere uscito dalla tendaattraverso l'apertura, grida con forzainvocando l'aiuto degli dèi, perché là inalto si trova in loro
resenza.
Un simbolismo analogo spiegal'importante funzione del tamburosciamanico. Emsheimer ha mostrato che
i sogni o le estasi iniziatiche dei futuri
sciamani includono un viaggio misticopresso l'Albero Cosmico, sulla cuisommità si trova il Signore del Mondo.Proprio con un ramo di tale
albero, che il Signore lascia cadereapposta, lo sciamano fabbrica la cassadel suo tamburo. Ma, come sappiamo, siritiene che l'Albero Cosmico
si trovi al Centro del Mondo e unisca laterra al cielo. Appunto perché la cassadel suo tamburo è stata tratta dal legnodell'Albero Cosmico, lo
sciamano, suonando il tamburo, èproiettato magicamente vicino a
quest'albero, cioè al Centro del Mondodove esiste la possibilità di passare da
un piano cosmico all'altro.
Sicché, sia che scali le sette o novetacche della betulla cerimoniale, sia chesuoni il tamburo, lo sciamanointraprende un viaggio al cielo.
Nel primo caso mima faticosamente lascalata dell'Albero Cosmico; nelsecondo gli vola vicino grazie allamagia del suo tamburo. Il volo
sciamanico è d'altronde molto frequentee spesso si confonde con l'estasi stessa.Fra le numerose varianti del volosciamanico c'interessa
soprattutto il volo al Centro del Mondo;proprio là si trovano l'Albero, laMontagna, il Pilastro Cosmico checollegano la terra al cielo; sempre
à si trova il «buco» fatto dalla stellapolare. Salendo sulla Montagna,scalando l'Albero, volando o penetrando
attraverso il «foro» alla
sommità della volta celeste, lo sciamanorealizza la sua ascensione al cielo.
Già sappiamo che, in illo tempore, neltempo mitico del paradiso, unamontagna, un albero, un pilastro o unaliana univano la terra al cielo e
che l'uomo primordiale potevafacilmente salire al cielo scalandoli. Inillo tempore, la comunicazione con ilcielo era facile e l'incontro con
gli dèi avveniva in concreto. Il ricordodi quel tempo paradisiaco è ancoramolto vivo presso i primitivi. I Coriachiricordano l'era mitica
dell'eroe Grande Corvo, quando gliuomini potevano senza fatica salire alcielo; oggi, aggiungono, soltanto glisciamani ne sono ancora capaci. I
Bacairì del Brasile pensano che per losciamano il cielo non sia più alto di unacasa e che proprio per questo loraggiunga in un batter
d'occhio. Questo equivale a dire chedurante l'estasi lo sciamano ricupera lacondizione paradisiaca e ristabilisce lacomunicabilità che
esisteva in illo tempore fra il cielo e laterra; per lui la Montagna o l'AlberoCosmico ridiventano i mezzi concreti diaccesso al cielo, come
o erano prima della caduta. Per losciamano il cielo si avvicina di nuovoalla terra e non è più alto di una casa,com'era prima della rottura
rimordiale. Infine lo sciamano ritroval'amicizia con gli animali. In altritermini, l'estasi riattualizzaprovvisoriamente e per un ristretto
numero di soggetti - i mistici - lo statoiniziale di tutta l'umanità. Sotto questoaspetto l'esperienza mistica dei primitiviequivale a un
ritorno alle origini, a una regressione neltempo mitico del paradiso perduto. Perlo sciamano in estasi questo mondo, ilmondo decaduto - che,
er utilizzare la terminologia moderna, èsoggetto alla legge del tempo e dellastoria - è abolito.
Esiste veramente una grande differenzatra lo stato dell'uomo primordiale equello ricuperato dallo sciamanodurante l'estasi: lo sciamano
abolisce soltanto temporaneamente larottura tra il cielo e la terra, sale al cieloin spirito, e non più in concreto comel'uomo primordiale;
non annulla affatto la morte (tutte lenozioni di «immortalità» rintracciabilipresso i popoli primitivi implicano,proprio come in quelli
civilizzati, la morte preliminare; cioè sitratta sempre di una «immortalità» postmortem, spirituale).
er riassumere, l'esperienza mistica pereccellenza delle società arcaiche, losciamanismo, tradisce la nostalgia delparadiso, il desiderio di
ritrovare lo stato di libertà e dibeatitudine anteriore alla «caduta», lavolontà di restaurare la comunicazionefra la terra e il cielo, in una
arola, di abolire tutto quello che è statomodificato nella struttura stessa delcosmo e nel modo d'essere dell'uomo inseguito alla rottura
rimordiale. L'estasi dello sciamanoricupera in gran parte la condizioneparadisiaca: lo sciamano hariconquistato l'amicizia degli animali e
con il suo volo o con la sua ascensioneunisce di nuovo la terra al cielo; là inalto, in cielo, incontra di nuovo a facciaa faccia il Dio
celeste e gli parla direttamente, comeera possibile fare in illo tempore.
Una concezione analoga soggiace allamistica più recente e più elaborata: lamistica cristiana. Il cristianesimo èdominato dalla nostalgia del
aradiso. «La preghiera verso oriente siricollega ai temi paradisiaci... Volgersi aoriente equivale a esprimere la nostalgia
del paradiso». Lo
stesso simbolismo paradisiaco èpresente nei riti del battesimo: «Incontrapposizione ad Adamo che cadesotto il dominio di Satana e che viene
cacciato dal paradiso, il catecumeno èliberato, grazie al Nuovo Adamo, daldominio di Satana e viene di nuovo
introdotto nel paradiso» «Il
cristianesimo appare così come larealizzazione del paradiso. Il Cristo èl'Albero della Vita (Ambrogio, "DeIsaac", 5, 43) o la sorgente del
aradiso (Ambrogio, "De Paradiso", III,272, 10). Ma la realizzazione delparadiso avviene su tre piani successivi.Il battesimo è l'entrata nel
aradiso (Cirillo di Gerusalemme,"Procatech.", P.G. 33, 357A); la vitamistica è un'entrata più profonda nel
paradiso (Ambrogio, "De Paradiso",
I, 1); infine, la morte introduce i martirinel paradiso ("Passio Perpet.", I; P.L. 3,28A). Si noti come il vocabolarioparadisiaco venga
applicato a questi tre aspetti della vitacristiana». È ovvio che proprio lamistica sia il mezzo privilegiato perrestaurare la vita
aradisiaca. Il primo segno di talerestaurazione è il dominio ritrovato suglianimali. La Genesi dice che all'origineAdamo aveva avuto il
otere di dare il nome agli animali; dareil nome agli animali equivale a
dominarli. San Tommaso spiega così ilpotere di Adamo sulle creature
non ragionevoli: «L'anima umanadomina con il comando sulle potenzesensibili, come l'appetito irascibile el'appetito concupiscibile obbediscono
in un certo modo alla ragione. Quindil'uomo in stato di innocenza dominavacon il suo comando gli altri animali».Ma
«il fatto di dare i nomi o
di cambiare i nomi ha anche una grandeimportanza nei messaggi escatologici...Il regno messianico provoca una
conversione morale dell'umanità e
anche una trasformazione deglianimali..., che caratterizzano il mondoche esce dalle mani di Dio». Anchenello stato mistico gli animali sono
talvolta soggetti ai santi come lo eranoad Adamo. «Nelle storie degli antichipadri del monachesimo spesso si leggeche gli animali feroci
obbedivano ai loro ordini e ricevevanoil cibo dalle loro mani come animalidomestici». San Francesco d'Assisiprolunga i padri del deserto.
'amicizia con le fiere e il dominiospontaneo sugli animali sono i segni
evidenti del ricupero di una situazioneparadisiaca.
Si potrebbe anche prendere inconsiderazione il simbolismoparadisiaco delle chiese e dei giardinidei monasteri. Il paesaggio che circondail
monaco riflette il paradiso terrestre; inun certo senso lo anticipa. Mac'interessa soprattutto l'esperienzamistica in quanto tale. Come ha
ottimamente mostrato Dom Stolz,l'esperienza mistica cristiana esemplareè l'ascensione celeste di san Paolo: «Sodi un uomo in Cristo, il quale,
quattordici anni fa, fu rapito - se colcorpo o se fuori del corpo non so: lo saIddio - fino al terzo cielo.
E so che tale uomo - fosse egli col corpoo fosse senza il corpo lo ignoro: lo saIddio - fu rapito in paradiso e udì paroleineffabili, che non
è permesso a uomo di ripetere». Noninsistiamo in questa sede sul simbolismoascensionale della mistica cristiana, incui la «scala del paradiso»
ha un'importanza capitale: i gradi dellacontemplazione segnano le tappedell'ascesa dell'anima a Dio. Ma sanPaolo ha precisato che l'ascesa
mistica porta l'uomo al paradiso: le«parole ineffabili» che ha inteso nonsono forse quelle di Dio stesso? Infatti,secondo san Gregorio, nel
aradiso Adamo «godeva ordinariamentedi colloqui con Dio». Sicché anche se ilcristianesimo è dominato dalla
nostalgia del paradiso, soltanto i
mistici ottengono in parte larestaurazione paradisiaca: amicizia congli animali, ascesa al cielo e incontrocon Dio.
Anche nelle religioni
arcaiche una certa nostalgia del paradiso
è attestata a tutti i livelli della vitareligiosa, ma compare chiaramentesoprattutto nell'esperienza
mistica, cioè nell'estasi degli sciamani.Sono pure uguali le note specifiche dellarestaurazione dell'illud tempus: amiciziacon gli animali,
ascesa al cielo, dialogo con il Dioceleste. Come per il santo cristiano, ilricupero del paradiso da parte dellosciamano in
estasi è
rovvisorio, perché né l'uno né l'altroriescono ad abolire la morte, cioè nonriescono a ristabilire totalmente la
situazione dell'uomo
rimordiale.
Infine, si potrebbe ancora ricordare cheper la tradizione cristiana il paradiso èdiventato inaccessibile a causa delfuoco che lo circonda.
«L'inaccessibilità del paradiso èaumentata dal fatto che esso è circondatoda un cerchio di fuoco oppure, il che èlo stesso, che il suo
ingresso è custodito da angeli con unaspada di fuoco. Dio, dice Lattanzio(Divin. instit., II, 12), ha scacciatol'uomo dal paradiso circondando
questo di fuoco perché l'uomo non vipossa accedere. San Tommaso vi faallusione quando spiega che il paradisoè inaccessibile principalmente per
il calore interposto tra esso e le nostreregioni». Onde colui che vuole penetrarenel paradiso deve attraversare prima ditutto il fuoco che lo
circonda. «In altre parole, solo chi si èpurificato attraverso il fuoco può entrarenel paradiso. Ora, la via purgativaprecede l'unione
mistica, e i mistici non esitano a metterela purificazione mistica sullo stessopiano del fuoco purificatore attraversocui si va al
aradiso...» Questi pochi testi bastano ariassumere e giustificare tutta unadottrina del fuoco purificatore cheimpedisce l'accesso al
aradiso.
Omettiamo ora di esaminare ilsimbolismo del fuoco nella mistica enella teologia cristiane; osserviamosoltanto come un simbolismo analogosia
indicativamente presente in tutto ungruppo di tecniche sciamaniche: si trattadel ben noto potere sul fuoco. Infatti,dappertutto gli sciamani
sono considerati signori del fuoco:
durante le sedute inghiottono carboniardenti, toccano ferro incandescente,
camminano sul fuoco. Di tale
otere sul fuoco godono già gli sciamanidelle società più arcaiche; esso è unelemento costitutivo dello sciamanismoal pari dell'estasi,
dell'ascesa al cielo o del linguaggiodegli animali. Il potere sul fuoco implicaun'ideologia abbastanza perspicua: peril mondo primitivo (come
d'altronde per ogni società popolare ingenere) gli spiriti si distinguono dagliuomini per la loro incombustibilità, cioèper la capacità di
resistere alla temperatura della brace.Poiché si ritiene che gli sciamaniabbiano superato la condizione umana epartecipino della condizione
degli spiriti, proprio come gli spiritiessi diventano invisibili, volanonell'aria, salgono in cielo, discendonoagli inferi; infine godono
dell'incombustibilità. Il potere sul fuocoesprime in termini sensibili latrascendenza della condizione umana;anche in questo caso lo sciamano
dimostra di essersi posto in unacondizione spirituale, di esserediventato - o di poter diventare durantela seduta - uno spirito.
Se si paragona il fuoco purificatore checirconda il paradiso delle tradizionicristiane con il potere sul fuoco deglisciamani si nota almeno
una caratteristica comune: nell'un casocome nell'altro, attraversareimpunemente il fuoco indica che lacondizione umana è stata abolita. Ma per
il cristianesimo, come per le tradizioniarcaiche, l'attuale condizione umana è ilrisultato della «caduta». Di
conseguenza, abolire anche
rovvisoriamente questa condizioneequivale a restaurare lo stato dell'uomoprimordiale; in altri termini, ad
annullare il tempo, a ritornare
all'indietro, a ricuperare l'illud tempusparadisiaco. Ma il ricupero dellasituazione primordiale è quanto maiprecario, come dimostra
soprattutto il fatto che lo sciamanol'ottenga imitando la condizione deglispiriti. Come abbiamo già osservatoaltrove a proposito delle altre
tecniche sciamaniche, durante la trancenon è lo sciamano che si alza al cielo,ma soltanto il suo spirito. La misticacristiana presenta una
situazione analoga: soltanto l'animapurificata dal fuoco penetra nel
paradiso.
e analogie che abbiamo or ora stabiliteci sembrano importanti: ne consegue chenon esiste soluzione di continuità fral'ideologia
dell'esperienza mistica primitiva equella della mistica giudeo- cristiana.Per i primitivi, come per i santi e iteologi cristiani, l'estasi
mistica è un ritorno al paradiso, vuolecioè esprimere l'abolizione del tempo edella storia (della caduta) e il ricuperodella situazione
dell'uomo primordiale.
Beninteso, indicando queste analogienon pretendiamo affatto di emettere ungiudizio di valore circa il contenutodelle diverse esperienze
mistiche, primitive o altre; ci limitiamoa osservare che le loro ideologiecomprendono come nucleo centrale la
nostalgia del paradiso. Questo
non esclude ovviamente le molteplicidifferenze che esistono non soltanto trale mistiche primitive e le mistichegiudeocristiane, ma anche fra
e diverse scuole mistiche cristiane.
D'altra parte, abbiamo scelto
espressamente la comparazione tra iltipo d'esperienza mistica più arcaico e il
cristianesimo, tralasciando le
grandi tradizioni orientali; nonostanteche l'uscita dal tempo e l'abolizionedella storia costituiscano l'elementoessenziale di ogni esperienza
mistica, e di conseguenza anche quellodelle mistiche orientali, ci sembra che lanota paradisiaca sia meglio conservatadalle mistiche arcaiche.
In un certo senso, le comparazioni fra itipi delle mistiche primitive e la misticacristiana sono più giustificate che nontra quest'ultima e le
mistiche indù, cinese o giapponese.
Ma anche se non pretendiamo diabbozzare in queste poche pagine unostudio di mistica comparata, importa
sottolineare il principale risultato
della nostra ricerca: la perfettacontinuità ideologica tra l'esperienzamistica più elementare e ilcristianesimo. All'inizio come alla FINE
della storia religiosa dell'umanità siritrova la stessa nostalgia del paradiso.Se si tien conto che la nostalgia delparadiso emerge anche nel
comportamento religioso generale
dell'uomo delle società arcaiche, si è indiritto di supporre che il ricordo miticodi una beatitudine senza
storia assilli l'umanità fin dal momentoin cui l'uomo ha preso coscienza dellasua situazione nel cosmo. Si apre quindiuna nuova prospettiva
nello studio dell'antropologia arcaica.Non è questa la sede per avviare talestudio. Ci basti dire che alla luce di tuttoquello che abbiamo or
ora osservato certi aspetti dellaspiritualità primitiva che siconsideravano aberranti non appaionoaffatto tali.
L'imitazione dei versi degli
animali da parte degli sciamani, cheimpressionava gli osservatori ed è stataconsiderata molte volte dagli etnologicome la manifestazione di
una possessione patologica, rivela inrealtà il desiderio di ritrovare l'amiciziadegli animali e di conseguenza direintegrare il paradiso
rimordiale. La trance estatica, qualunquesia la sua fenomenologia, è aberrantesoltanto per chi non tiene conto del suosignificato spirituale:
in realtà, come abbiamo visto, losciamano si sforza di ri-stabilire le
comunicazioni tra la terra e il cielo,interrotte dalla
«caduta». Il
otere sul fuoco, a sua volta, non è unasuperstizione selvaggia; dimostra invecela partecipazione dello sciamano allacondizione degli spiriti.
Considerati sotto la loro angolazionepeculiare, tutti i comportamenti stranidello sciamano
che costituiscono questa ideologia sonofra i più belli e i più ricchi che esistano:sono i miti del paradiso e della caduta,dell'immortalità
dell'uomo primordiale e della suafamiliarità con Dio, dell'origine dellamorte e della scoperta dello spirito (intutti i significati di questo
termine). Porre attenzione a questecircostanze significa avviare lacomprensione e la rivalorizzazione del
comportamento del primitivo e, in
generale, dell'uomo non europeo; troppevolte l'occidentale si lasciaimpressionare dalle manifestazioni di
un'ideologia, ignorando proprio la
sola cosa che importa prima di tuttoconoscere: l'ideologia stessa, cioè i
miti. Ma le manifestazioni dipendonoprima di tutto dalle usanze
ocali e dagli stili culturali; e questipossono o non possono essereimmediatamente accessibili, sicché ilgiudizio può dipendere
dall'impressione: una cerimonia dimaschere è bella, una certa danza èsinistra, un rito d'iniziazione è selvaggioo aberrante.
Ma chi si dà la pena di comprenderel'ideologia soggiacente a tutte questemanifestazioni, studiando i miti e isimboli che le condizionano, si
ibera dalla soggettività delle
impressioni e accede a una prospettivapiù oggettiva. Talvolta la comprensionedella ideologia è sufficiente a
restituire la «normalità» a uncomportamento. Ricordiamo un soloesempio: l'imitazione dei versi deglianimali. Per più di un secolo si ècreduto
di vedere nelle grida strane dellosciamano la prova del suo squilibriomentale. Invece si tratta di ben altro:della nostalgia del paradiso che
ossessionava già Isaia e Virgilio, chenutriva la santità dei Padri della Chiesae che fioriva, vittoriosa, nella vita di sanFrancesco d'Assisi.
***
5
ESPERIENZA SENSORIALE EDESPERIENZA MISTICA
RESSO I PRIMITIVI
OSSERVAZIONI PRELIMINARI
Nelle società allo stadio etnograficol'esperienza mistica è generalmentel'appannaggio di una classe d'individuiche, qualunque nome si dia
oro, sono degli specialisti dell'estasi.Gli sciamani, i medicine-men, i maghi, iguaritori, gli estatici e gli ispirati di ogni
sorta si
distinguono dal resto della comunità perl'intensità della loro esperienzareligiosa: vivono il sacro in un modopiù profondo e più personale
degli altri. Nella maggior parte dei casisi distinguono per un comportamentoinsolito, per il possesso di poteriocculti, per rapporti personali
e segreti con gli esseri divini odemoniaci, per genere di vita,abbigliamento, segni esteriori e idiomiche sono loro propri. Si è concordi nel
considerare questi individui comel'equivalente presso i «primitivi»
dell'élite religiosa e dei mistici dellealtre culture più evolute.
Se veramente gli sciamani e i medicine-men rappresentano l'esperienza misticapiù ricca e più autentica dell'umanitàallo stadio etnografico, è
importante definire la funzione che essiattribuiscono all'attività sensoriale nellaloro ricerca del sacro. In altri termini, èinteressante
sapere in quale misura l'esperienzasensoriale in quanto tale può essereportatrice di un valore o di unsignificato religioso; in quale misura,
nei «primitivi», la sensorialità può
riflettere l'accesso a una condizioneconsiderata sovrumana.
Cominciamo con due osservazioni dimetodo:.
. Limitandoci in questa sede alle diverseforme dello sciamanismo e alle tecnichedell'estasi non intendiamo affattoaffermare che questi esseri
rivilegiati siano gli unici nei qualil'attività sensoriale è in grado dirivestire un valore o un significatoreligioso. Al contrario, nei
«primitivi» come nei «civilizzati» lavita religiosa implica, sotto formediverse, una valorizzazione religiosa
della
«sensibilità». Insomma, non
esiste esperienza religiosa senzal'intervento dei sensi; ogni ierofaniarappresenta una nuova inserzione delsacro nell'ambiente cosmico
circostante, ma la ierofania non abolisceaffatto la normalità dell'esperienzasensibile.
Quando la vita religiosa collettiva siconcentra attorno a una «esperienzasensibile» - come, per esempio, lacomunione delle primizie che
elimina i tabù alimentari e rende
commestibile il nuovo raccolto - taleesperienza è a un tempo sacramento egesto fisiologico. D'altra parte,
resso i «primitivi» ogni attoresponsabile è portatore di un valore edi un significato magico- religioso:basta ricordare le implicazioni
cosmologiche, in ultima analisi mistiche,dell'attività sessuale, della pesca,dell'agricoltura; la nutrizione come lasessualità e il lavoro
sono nello stesso tempo attivitàfisiologiche e sacramenti. In altritermini, nella storia religiosadell'umanità l'attività sensoriale èsempre
stata valorizzata come mezzo dipartecipazione al sacro e diraggiungimento del divino. Abbiamoscelto di parlare unicamente dei«mistici» delle
società primitive perché le loroesperienze ci lasciano più facilmenteintravedere i processi che sfociano nellatrasformazione delle attività
sensoriali a contatto con il sacro.
2.La seconda osservazione riguardal'esperienza stessa dei mistici primitivi.Quando parliamo della loro «attivitàsensoriale» prendiamo
questo termine nel suo significato piùvasto e meno tecnico; non diamo ilminimo giudizio sulla natura intrinsecadi tale attività. La
«sensibilità» è sempre e continuamenteintegrata in un comportamento e, diconseguenza, rientra sia nella psicologiacollettiva sia
nell'ideologia soggiacente a ogni società
in qualsivoglia suo stadio di evoluzione.Inutile aggiungere che, ponendoci sulpiano della storia
delle religioni, non intendiamoproseguire l'analisi dei fatti psicologicial di là del loro significato magico-religioso.
Vogliamo soltanto
determinare fino a quale puntol'esperienza sensoriale assume nei«primitivi» valori religiosi, e null'altro.
MALATTIA E INIZIAZIONE
Si diventa sciamano: 1) per vocazionespontanea (per «chiamata» o per
«elezione»); 2) per trasmissioneereditaria della professione sciamanica;
3) per decisione personale o, piùraramente, per volontà del clan. Maqualunque sia stato il metodo diselezione, uno sciamano è riconosciuto
come tale soltanto al termine di unaduplice istruzione: l) di ordine estatico(sogni, visioni, trance, eccetera) e 2) diordine tradizionale
(tecniche sciamaniche, nomi e funzionidegli spiriti, mitologia e genealogia delclan, linguaggio segreto, eccetera).
Questa duplice istruzione,
che spetta agli spiriti e ai vecchi maestrisciamani, equivale a una iniziazione.L'iniziazione può essere pubblica ecostituire in se stessa un
rituale autonomo; ma l'assenza di talerituale non implica affatto l'assenzadell'iniziazione: questa può essereavvenuta in sogno o
nell'esperienza estatica del neofita.
Ci interessa soprattutto la sindromedella vocazione mistica. Il futurosciamano si distingue progressivamenteper il comportamento inconsueto;
cerca la solitudine, diventa sognatore,ama vagare nei boschi o nei luoghi
deserti, ha delle visioni, canta durante ilsonno, eccetera. A volte
questo periodo d'incubazione ècaratterizzato da sintomi abbastanzagravi: presso i Jacuti talvolta il giovanediventa furioso e perde facilmente
conoscenza, si rifugia nelle foreste, sinutre di scorze d'alberi, si gettanell'acqua e nel fuoco, si ferisce concoltelli.
Secondo
Shirokogorov, all'avvicinarsi dellamaturità i futuri sciamani tungusiattraversano una crisi isterica oisteroide, ma la vocazione può
manifestarsi a un'età più giovane: ilragazzo se ne fugge sulle montagne,rimane là per sette giorni o anche più,nutrendosi di animali
«catturati da lui direttamente con identi» e ritorna al villaggio, sporco,sanguinante, con gli abiti stracciati e icapelli in disordine, «come
un selvaggio». Solamente dopo unadiecina di giorni il candidato comincia abalbettare parole incoerenti.
Anche quando lo sciamanismo èereditario l'elezione del futuro sciamanoè preceduta da un cambiamento di
comportamento: le anime degli antenati
sciamani scelgono un giovane dellafamiglia e questi diventa distratto esognatore, è colto da un bisogno disolitudine, ha visioni profetiche e
talvolta attacchi che lo lasciano privo dicoscienza. Durante questo tempo - comepensano i Buriati - l'anima è portata viadagli spiriti;
accolta nel palazzo degli dèi, vieneistruita dagli antenati sciamani suisegreti del mestiere, sulle forme e suinomi degli dèi, sul culto e sul
nome degli spiriti, eccetera.
Solamente dopo questa primainiziazione l'anima si ricompone con il
corpo. Secondo gli Altaici, il futuro"kam" si distingue fin dall'infanzia
er una natura malaticcia, per lapropensione alla solitudine e allacontemplazione. Se in una famiglia ungiovane è soggetto ad attacchi di
epilessia, gli Altaici sono convinti cheuno dei suoi antenati è stato sciamano.
Si diventa sciamano anche in seguito aun fatto o a un avvenimento insolito:così presso i Buriati, i Soioti, gliEschimesi, quando uno è stato
colpito dal fulmine, o è caduto da unalbero, o ha superato impunemente unaprova equiparabile a una «prova
iniziatica» (un eschimese passò
cinque giorni nell'acqua ghiacciata senzache i suoi vestiti si bagnassero,eccetera).
Il comportamento strano dei futurisciamani ha ovviamente attiratol'attenzione degli studiosi e dalla metàdel secolo scorso si è più volte
tentato di spiegare il fenomeno dellosciamanismo artico e siberiano comemanifestazione di una malattia mentale(Krivoshapkin, 1861; Bogoraz,
1910; Vitashevskij, 1911; Czaplicka,1914). A. Ohlmarks, che per ultimo havoluto spiegare lo sciamanismo come
manifestazione dell'isteria
artica, è stato costretto a distinguere unosciamanismo artico e uno sciamanismosubartico, a seconda del grado dinevropatia dei loro rispettivi
rappresentanti. Secondo questo autore,lo sciamanismo sarebbe statoordinariamente un fenomenoesclusivamente
artico, essenzialmente legato
all'influenza dell'ambiente cosmico sullalabilità nervosa degli abitanti delleregioni polari. Il freddo eccessivo, lelunghe notti, la
solitudine desertica, la mancanza divitamine, eccetera, avrebbero influitosulla costituzione nervosa dellepopolazioni artiche, provocando sia
malattie mentali (l'isteria artica, ilmeryak, il menerik, eccetera), sia latrance sciamanica. La sola differenza trauno sciamano e un
epilettico consisterebbe nel fatto chequest'ultimo non può realizzare la trancea volontà. Ma l'ipotesi dello
«sciamanismo come fenomeno artico»
non regge a un'analisi più attenta. Nonesistono zone geografiche privilegiate incui la trance sciamanica sia un fenomeno
spontaneo e organico:
si trovano sciamani un po' ovunque nelmondo, dappertutto si sono rilevati glistessi rapporti tra la loro vocazionemistica e l'instabilità
nervosa; lo sciamanismo non può esserequindi la conseguenza dell'ambientefisico polare. G.A. Wilken aveva
affermato, più di sessant'anni fa,
che lo sciamanismo indonesiano erastato originariamente una reale malattiae che soltanto più tardi si era cominciatoa imitare drammaticamente
'autentica trance. A nostro parere, il
problema era stato mal formulato. Inprimo luogo, non è esatto dire che glisciamani siano o debbano
essere SEMPRE dei nevropatici: ungran numero di essi gode al contrario diuna perfetta salute mentale; in secondoluogo, quelli fra loro che
erano malati sono diventati sciamaniproprio perchè erano riusciti a guarire.
Molte volte, quando la vocazione sirivela attraverso una malattia o unattacco di epilessia, l'iniziazioneequivale a una guarigione.
'ottenere il dono di divenire sciamanipresuppone esattamente la fine della
crisi psichica aperta dai primi sintomidella vocazione. Fra
'altro, l'iniziazione sfocia in una nuovaintegrazione psichica.
Questo spiega anche il prestigio socialedello sciamano e la sua posizioneconsiderevole nella vita culturale dellatribù.
Invece che nevropatici
e degenerati, gli sciamani appaionointellettualmente superiori al loroambiente. Essi sono i principali custodidella ricca letteratura orale:
il vocabolario poetico di uno sciamano
jacuto comprende dodicimila parole,mentre il suo linguaggio usuale - l'unicoconosciuto dal resto della
comunità - ne conta soltanto quattromila.
resso i Kirghisi del Kazachstan ilbaqsha, «cantore, poeta, musico,indovino, prete e medico, assume lafigura di custode delle tradizioni
religiose e popolari, di conservatore dileggende vecchie di parecchi secoli».Gli sciamani danno prova di unamemoria e di un controllo di se
stessi nettamente superiori alla media.Sono in grado di eseguire la danzaestatica all'interno di una yurta piena di
spettatori, in uno spazio
strettamente delimitato, con costumicarichi di oltre quindici chili di anelli ediversi altri oggetti di ferro, senza maicolpire né ferire
nessuno.
Osservazioni analoghe sono state fattenei confronti di sciamani di altreregioni. Secondo Koch-Grunberg, «glisciamani taulipang sono
generalmente individui intelligenti,talvolta scaltri, ma sempre forniti di unagrande forza di carattere perché nellaloro formazione e
nell'esercizio delle loro funzioni hannobisogno di dar prova di energia e dipadronanza di sé». Parlando deglisciamani dell'Amazzonia, A.
Métraux osserva: «Nessuna anomalia oparticolarità fisica o fisiologica sembraessere considerata come sintomo di unaspeciale predisposizione
all'esercizio dello sciamanismo». Perquanto riguarda le tribù sudanesi, ilNadel che le ha studiate scrive: «Nonesiste uno sciamano che nella
sua vita quotidiana sia un individuo "anormale", un nevrastenico o unparanoico: se fosse tale, sarebbe messofra i pazzi, non sarebbe
rispettato come sacerdote. Losciamanismo non può dunque esseremesso in relazione con una anormalitàincipiente o latente: non ricordo un solo
sciamano in cui l'isterismo professionaleabbia degenerato in un serio disordinementale». Non si può quindi dire che
«lo sciamanismo concentra
'anormalità mentale che si trova allostato diffuso nella comunità, né che èfondato su una predisposizionepsicopatica marcata e diffusa.
Senza alcun dubbio, lo sciamanismo nonpuò essere spiegato semplicementecome un meccanismo culturale destinato
a sublimare l'anormalità oppure a
sfruttare la predisposizionepsicopatologica ereditaria». .
MORFOLOGIA DELL'ELEZIONE
Ma se non è possibile identificare losciamanismo con la psicopatologia,rimane il fatto che la vocazione misticaimplica abbastanza spesso una
rofonda crisi che tocca talvolta i confinidella «pazzia». E poiché è possibilediventare sciamani soltanto dopo aversuperato tale crisi, essa
assume visibilmente la funzione di unainiziazione mistica. Infatti, come
abbiamo mostrato dettagliatamente inuna nostra precedente opera, la
consacrazione a sciamano è precedutada una lunga e spesso difficileiniziazione che si incentrasull'esperienza della morte e dellarisurrezione
mistiche. Ogni iniziazione, di qualunqueordine sia, comprende un periodo disegregazione e un certo numero di provee di torture. La malattia
scatenata nel futuro sciamano dalsentimento angosciante di essere stato«scelto» viene per questo stesso fatto
valorizzata come «malattia
iniziatica». La precarietà e la solitudine,messe in risalto da ogni malattia, sonoaggravate in questo caso specifico dalsimbolismo della morte
mistica; infatti, l'accettazionedell'«elezione» soprannaturale sitraduce nel sentimento di essereabbandonati alle potenze divine odemoniache,
cioè votati a una morte imminente.
Molte volte la sindrome della «malattia»- cioè, come abbiamo appena visto, lapsicopatologia specifica dei futurisciamani - segue molto da
vicino il rituale classico
dell'iniziazione. Le sofferenzedell'«eletto» assomigliano fedelmentealle torture iniziatiche; come ilcandidato
viene ucciso dai demoni «maestridell'iniziazione», così il futuro sciamanosi sente colpito e smembrato dai«demoni della malattia». I rituali
iniziatici specifici dello sciamanismoimplicano un'ascensione simbolica alcielo per mezzo di un albero o di unpalo; il malato «scelto» dagli
dèi o dai demoni assiste in sogno, o inuna serie di sogni in stato di veglia, alsuo viaggio celeste fino ai piedidell'Albero del Mondo. La
morte rituale, senza cui non esistepossibilità di iniziazione, è sperimentatadal «malato» sotto forma di discesa agliinferi: egli assiste in
sogno al proprio smembramento, vede idemoni tagliargli la testa, strappargli gliocchi, eccetera.
Questo insieme di elementi è moltoimportante per una giusta comprensionedella psicopatologia sciamanica, le cui
«crisi», trances e «follie» non
sono anarchiche, non sono cioè«profane», non appartengono allasintomatologia usuale, ma hanno unastruttura e un significato iniziatici. Il
futuro sciamano rischia talvolta diessere confuso con un «pazzo» - comeavviene spesso in Malesia ma in realtàla sua
«follia» ha una funzione
mistica: gli rivela determinati aspettidella realtà inaccessibili al resto deimortali, e soltanto dopo aversperimentato e integrato queste
dimensioni nascoste della realtà il«pazzo» diventa sciamano.
Studiando la sintomatologiadell'«elezione divina» si resta colpitidalla tipologia costante di tutte questeesperienze patologiche: la loro
struttura è sempre identica e ilsimbolismo è sempre iniziatico.
a crisi totale, che conduce spesso alladisintegrazione della personalità, haindotto a sottolineare troppo il caratterepsicopatologico dei
rimi sintomi della «scelta». In effetti,nell'orizzonte della spiritualità arcaica il«caos psichico» ha il valore di unareplica del «caos
recosmogonico», lo stato amorfo eindescrivibile che precede ognicosmogonia. Ma sappiamo che per leculture
arcaiche e tradizionali il ritorno
simbolico al caos è indispensabile aogni nuova creazione, qualunque ne siail livello di manifestazione: ogni nuovasemina od ogni nuovo
raccolto sono preceduti da un'orgiacollettiva che simboleggia larestaurazione del «caosprecosmogonico»; ogni
capodanno implica un insieme di
cerimonie che significano la reiterazionedel caos primordiale e dellacosmogonia. Per l'uomo delle culturearcaiche il
«ritorno al caos»
equivale alla preparazione di una nuova«creazione». lo stesso simbolismo èrintracciabile nella «pazzia» dei futurisciamani, nel loro «caos
sichico»; è il segno che l'uomo profanosta per «dissolversi» e che sta pernascere una nuova personalità. Tutte letorture, le trances o i
rituali iniziatici che implicano eprolungano il «ritorno al caos»significano, come abbiamo visto, letappe di una morte e di una risurrezione
mistiche, insomma, la nascita di unanuova personalità.
er il nostro scopo ci interessa sapere in
quale misura la vocazione e l'iniziazionesciamaniche rivalorizzano l'esperienza
sensibile, rendendola
in grado di afferrare più direttamente ilsacro. Grosso modo si può dire che ilprocesso a cui abbiamo appena fattoallusione - la «malattia»
come iniziazione - termina in uncambiamento di ordine sensoriale, inuna trasformazione qualitativadell'esperienza sensoriale, che da«profana»
diventa «scelta». Durante la propriainiziazione lo sciamano impara apenetrare in altre dimensioni del reale e
a restarvi: le sue prove, di
qualunque natura siano, gli forgiano una«sensibilità» capace di percepire eintegrare queste nuove esperienze. Lacrisi psicopatologica esprime
a rottura dell'esperienza normaleprofana: «scelto» da potenzesoprannaturali, il futuro sciamano nonresiste più, con la sua vecchia
«sensibilità», all'esperienza iniziatica.Si potrebbe quasi dire che, in virtù ditutte queste prove, l'attività sensorialedell'«eletto» tende a
diventare una ierofania: attraverso isensi stranamente acutizzati dello
sciamano si manifesta il sacro.
ILLUMINAZIONE E VISIONEINTERIORE
Talvolta il cambiamento dell'ordinesensoriale provocato dall'«elezione»soprannaturale è facilmentecomprensibile.
L'uomo colpito impunemente
dal fulmine acquista una «sensibilità»inaccessibile al livello dell'esperienzaprofana; la rivelazione della «scelta»divina si manifesta con la
distruzione di tutte le precedentistrutture: l'«eletto» diventa un «altro»:
egli si sente non soltanto «morto erisuscitato», ma nato a un'altra
esistenza che, pur sembrando continuarein questo mondo, è fondata su altredimensioni esistenziali. L'ideologiatradizionale sciamanica esprime
tale esperienza con la combustione dellacarne e lo spezzettamento delloscheletro. Colpito dal fulmine, il jacutoBukes Ullejeen viene ridotto e
disperso in mille pezzi, il suo compagnocorre al villaggio e ritorna con pochiuomini per raccogliere i resti epreparare la sepoltura, ma
ritrova Bukes Ullejeen sano e salvo. «Il
Dio della Folgore è disceso dal cielo emi ha tagliato il corpo a pezzetti», glidice Bukes. «Subito
sono risuscitato come sciamano e vedociò che succede tutt'attorno fino a unadistanza di trenta verste». Bukes haconosciuto in un istante
'esperienza iniziatica che in altri duraabbastanza a lungo e che comprende lospezzettamento del corpo, la riduzione ascheletro, il
rinnovamento delle carni. L'iniziazioneper mezzo del fulmine modifica anchel'esperienza sensoriale: Bukes vienedotato spontaneamente di
chiaroveggenza. «Vedere a una distanzadi trenta verste» è la formulatradizionale dello sciamanismosiberiano per esprimere lachiaroveggenza;
quando, durante la seduta, lo sciamanocomincia il viaggio estatico, annunciache vede «a trenta verste».
a modificazione della sensibilità,ottenuta spontaneamente attraversol'esperienza di un avvenimento insolito,è cercata laboriosamente durante
il periodo di apprendistato da quelli cheperseguono il possesso del donosciamanico. Presso gli Eschimesi Iglulikil giovane o la fanciulla che
desiderano diventare sciamani sipresentano con un dono al maestro chehanno scelto e dichiarano: «Vengo da te
perché desidero vedere». Istruito
dal maestro, l'apprendista passa lungheore nella solitudine sfregando una pietrasull'altra oppure rimanendo seduto nelsuo iglù a meditare. Ma
dovendo provare l'esperienza dellamorte e della risurrezione mistiche, cade«morto» e rimane inanimato per tre
giorni e per tre notti, oppure
viene divorato da un enorme orsobianco, eccetera. «Allora l'orso del lago
o del ghiacciaio uscirà dall'interno,divorerà tutta la carne e farà
di te uno scheletro e tu morirai. Maritroverai la tua carne, ti risveglierai e ituoi abiti voleranno verso di te». Ilcandidato ottiene infine
a «luce» o l'«illuminazione»(qaumaneq), e questa esperienza mistica,che è decisiva, fondacontemporaneamente una nuova«sensibilità» e gli
rivela capacità di percezioneextrasensoriale. Il qaumaneq consiste«in una luce misteriosa che lo sciamanosente improvvisamente nel suo corpo,
nell'interno della testa, proprio al centrodel cervello, un inesplicabile faro, unfuoco luminoso che lo rende capace divedere nel buio, sia in
senso proprio sia in senso figurato,perché subito riesce a vedere, anche congli occhi chiusi, attraverso le tenebre e ascorgere cose e
avvenimenti futuri, nascosti agli altriuomini; può così conoscere sial'avvenire sia i segreti degli altri».Quando il candidato sperimenta per
a prima volta questa «illuminazione»,«la casa in cui si trova sembra alzarsitutt'a un tratto; egli vede molto lontanodavanti a sé, attraverso
e montagne, esattamente come se la terrafosse una grande pianura e i suoi occhitoccassero i confini della terra. Nullaresta più nascosto
davanti a lui. Non soltanto è in grado divedere molto lontano, ma può anchescoprire le anime rubate, siano essecustodite e nascoste in strane
regioni lontane, oppure portate in alto oin basso nel paese dei morti». Questaesperienza mistica è in relazione con lacontemplazione del
roprio scheletro, esercizio spirituale digrande importanza nello sciamanismoeschimese ma che si ritrova anche
nell'Asia centrale e nel
tantrismo indo-tibetano. La capacità divedere se stesso come uno scheletroimplica evidentemente il simbolismodella morte e della risurrezione;
infatti, non tarderemo a vederlo, la«riduzione allo scheletro» costituisceper i popoli cacciatori un complessosimbolico- rituale incentrato
sull'idea della vita in perpetuorinnovamento.
Disponiamo purtroppo di notiziepiuttosto imprecise su questo eserciziospirituale degli sciamani eschimesi.Ecco cosa riferisce Rasmussen:
«Anche se nessuno sciamano puòspiegare il modo e il motivo, puònondimeno, grazie alla potenza che ilsuo pensiero riceve dal soprannaturale,
spogliare il proprio corpo della carne edel sangue, in modo che restino soltantole ossa. Deve allora nominare tutte leparti del suo corpo,
chiamare ogni osso con il suo nome; perfar questo non deve utilizzare illinguaggio umano ordinario, ma soltantoil linguaggio speciale e sacro
degli sciamani che egli ha imparato dalsuo istruttore. Guardandosi così, nudo ecompletamente liberato della carne e delsangue caduchi ed
effimeri, consacra se stesso, semprenella lingua sacra degli sciamani, allagrande missione che egli compiràmediante la parte del corpo
destinata a resistere più a lungoall'azione del sole, del vento e deltempo». Un simile esercizio spiritualeimplica l'«uscita dal tempo»,
oiché lo sciamano non soltanto anticipacon una visione interiore la propriamorte fisica, ma ritrova ciò che sipotrebbe chiamare la sorgente
atemporale della vita, l'osso. Infatti per ipopoli cacciatori l'osso simboleggia laradice ultima della vita animale, lamatrice da cui la carne
sorge continuamente. Perché è dalle ossache rinascono gli animali e gli uomini;essi restano per qualche tempo inun'esistenza carnale e quando
muoiono la loro «vita» si riduceall'essenza concentrata nello scheletro,da cui rinasceranno seguendo un ciclo
ininterrotto che costituisce un
eterno ritorno. Solamente la durata, iltempo, spezza e separa con gli intervallidell'esistenza carnale l'unità atemporalerappresentata dalla
quintessenza della vita concentrata nelleossa. Contemplando se stesso come unoscheletro, lo sciamano abolisce il tempo
e si trova di fronte la
sorgente eterna della vita. Questo èconfermato da tecniche ascetico-mistiche evolute come il buddismotantrico e il lamaismo, in cui hanno
grande importanza la meditazionesull'immagine del proprio scheletrooppure i vari esercizi spirituali effettuatiin presenza di cadaveri,
scheletri o crani; simili meditazionirivelano fra l'altro l'evanescenza delladurata temporale e di conseguenza lavanità di ogni esistenza
incarnata. Ma, evidentemente, l'«uscitadal tempo» per mezzo della
contemplazione del proprio scheletro è
diversamente valorizzata presso gli
sciamani dei popoli cacciatori e pastorie presso gli asceti indo-tibetani; per iprimi significa ritrovare la fonte ultimadella vita animale,
quindi partecipare all'essere; per imonaci indo-tibetani significacontemplare il ciclo eterno delleesistenze retto dal karma e quindi
strappare la Grande Illusione (maya)della vita cosmica e sforzarsi ditrascenderla ponendosinell'incondizionato simboleggiato dal"nirvana".
IL CAMBIAMENTO DELL'ORDINESENSORIALE
Come abbiamo appena visto, ilsuperamento della «sensibilità profana»è preceduto dall'esperienza della morte
iniziatica. Spontaneamente come nel
caso dell'«elezione» sciamanica permezzo del fulmine, oppure faticosamentecome per gli apprendisti sciamani
eschimesi, si sfocia a un livello
di esperienza in cui diventano possibilila chiaroveggenza, una superiorecapacità di udire e le altre percezioniextrasensoriali.
Talvolta il simbolismo dell'agonia, dellamorte e della risurrezione mistiche èsignificato in un modo brutale eorientato direttamente verso il
«cambiamento della sensibilità»: certeoperazioni degli apprendisti sciamanitradiscono l'intenzione di «cambiarpelle»
o di modificare
radicalmente la sensibilità con torture eintossicazioni innumerevoli. Peresempio, i neofiti yamana della Terradel Fuoco si graffiano il volto
finché appaia una seconda e anche unaterza pelle, «la pelle nuova», visibile
soltanto agli iniziati. «La vecchia pelledeve scomparire e
asciare il posto a un nuovo stratodelicato e traslucido. Se le primesettimane di sfregamento e di pittural'hanno finalmente reso visibile -
almeno secondo l'immaginazione e leallucinazioni degli esperti "yekamush"(medicine-men) - i vecchi iniziati nonhanno più nessun dubbio sulle
capacità del candidato. Fin da quelmomento egli deve raddoppiare lo zeloe sfregare sempre delicatamente leguance finché emerga una terza pelle
ancor più fine e delicata; questa è così
sensibile che non si può sfiorarla senzacausare violenti dolori. Quando l'allievoha finalmente
raggiunto questo stadio, è terminatal'istruzione abituale». Presso i Caribidella Guayana olandese gli apprendistisciamani subiscono
un'intossicazione progressiva prodottadal succo di tabacco e dalle sigaretteche fumano incessantemente; alcuneistruttrici strofinano il loro
corpo tutte le sere con un liquido rosso;essi ascoltano le lezioni dei maestri congli occhi ben spalmati di succo di
"Pimenta officinalis";
infine danzano a turno su corde tese adifferenti altezze o si dondolanonell'aria sospesi con le mani.
Raggiungono infine l'estasi su unapiattaforma «sospesa al soffitto dellacapanna con molte corde attorcigliateassieme, che svolgendosi fanno
girare la piattaforma sempre più forte».Il lato aberrante e infantile di questeoperazioni è per noi privo di interesse;ci sembra invece
rivelatore il loro scopo: il simbolismodella morte mistica - attestata d'altronde,presso le medesime popolazioni, da altririti d'iniziazioni
sciamaniche - si esprime nella volontàdi cambiare l'ordine sensoriale. Comeabbiamo già detto, un simile
cambiamento equivale a una
ierofanizzazione di tutta l'esperienzasensibile: per mezzo dei suoi stessisensi lo sciamano scopre unadimensione della realtà che rimane
inaccessibile ai non iniziati. Ilconseguimento di una tale «sensibilitàmistica» equivale a un superamentodella condizione umana. Tutte le
ratiche sciamaniche tradizionaliperseguono lo stesso scopo: distruggerela cornice «profana» della sensibilità; i
canti monotoni, i ritornelli
ripetuti all'infinito, la fatica, il digiuno,la danza, i narcotici, eccetera, finisconocol creare un ambiente sensoriale apertoal
«soprannaturale». Ma non si trattaovviamente soltanto di tecnichefisiologiche: l'ideologia tradizionaleorienta e valorizza tutti gli sforzi
destinati a distruggere la cornice dellasensibilità profana.
È soprattutto indispensabile l'adesionetotale del soggetto all'universo spiritualeche desidera penetrare; senza la
«fede» non si giunge a
nulla. Nel caso degli apprendisti che nonhanno avuto la vocazione, cioè che nonhanno avuto l'esperienza
dell'«elezione», la ricerca volontaria
dei poteri sciamanici implica sforzi etorture considerevoli.
Ma, indipendentemente dal punto dipartenza - elezione soprannaturale oricerca volontaria di poteri magico-religiosi
-, il lavoro personale che
recede e segue l'iniziazione conduce
necessariamente al cambiamentodell'ordine sensoriale: l'apprendista sisforza di
«morire» alla sensibilità
rofana per «rinascere» a una sensibilitàmistica. E questa si manifesta sia conuna considerevole espansione dellecapacità sensoriali sia con
il conseguimento delle facoltàextrasensoriali paranormali. GliEschimesi chiamano lo sciamano elik,«colui che ha occhi», sottolineando in
questo modo la sua capacità dichiaroveggenza. Il potere sciamanico divisione è rappresentato dai Selknam
della Terra del Fuoco «come un occhio
che, uscendo dal corpo dello stregone, sidirige in linea retta verso l'oggetto chedeve guardare, ma che resta sempre inunione con lo
stregone». Questo potere occulto, diconoi Fuegini, si tende come un «filo digomma»; l'immagine corrisponde a unacapacità reale di visione a
distanza: il candidato deve dar prova dipossederla, scoprendo senza spostarsioggetti nascosti abbastanza lontano dalui.
ERCEZIONE EXTRASENSORIALE EPOTERI EXTRAMENTALI
Tocchiamo ora un problema di estremaimportanza e che è impossibile evitarecompletamente, anche se oltrepassa glischemi del nostro studio: la
realtà delle capacità extrasensoriali edei poteri extramentali attestati pressogli sciamani e gli stregoni. Anche se lericerche sono soltanto
al loro inizio, un numero abbastanzagrande di documenti etnografici ha giàaccertato l'autenticità di tali fenomeni.
Recentemente l'etnologo Ernesto deMartino, che è anche filosofo, hasottoposto a una minuziosa critica le
testimonianze degli esploratori sulle
capacità di percezione extrasensoriale esulle facoltà paranormali di conoscenzae ha concluso confermando la lororealtà.
Tra i casi meglio analizzati ricordiamoquelli di chiaroveggenza e di lettura delpensiero degli sciamani tungusi, notatida Shirokogorov; strani
casi di chiaroveggenza profetica nelsogno presso i Pigmei e anche casi discoperta di ladri con l'aiuto di unospecchio magico; casi di visione
molto concreta concernente i risultatidella caccia, sempre per mezzo di unospecchio; casi di comprensione, da partedegli stessi Pigmei, di
ingue sconosciute; esempi dichiaroveggenza presso gli Zulù; infine,secondo numerosi autori e documentiche ne
garantiscono l'autenticità, la
cerimonia collettiva del passaggioattraverso il fuoco nelle Figi. Parecchialtri fenomeni paranormali sono statinotati presso i Ciukci da W.
Bogoraz, che ha anche registrato sudischi le «voci degli spiriti» deglisciamani; questi suoni erano finorainterpretati come fenomeni di
ventriloquio, ma è inverosimile poichéle «voci» venivano certamente da un
punto molto lontano dall'apparecchio
davanti al quale si trovava lo
sciamano. Rasmussen, presso gliEschimesi Iglulik, e Gusinde, presso iSelknam, hanno raccolto molti casi di
premonizione, di chiaroveggenza,
eccetera; l'elenco potrebbe facilmenteessere allungato. Il problema riguarda laparapsicologia, per cui non potrebbeessere utilmente discusso
nella prospettiva della storia dellereligioni in cui ci siamo posti all'iniziodel capitolo. La parapsicologia ricercale condizioni nelle quali
determinati fenomeni paranormali simanifestano e si sforza di comprenderli,cioè di spiegarli; la storia delle religionisi interessa dei
significati di tali fenomeni e per megliocomprenderli si sforza di ricostruirel'ideologia in cui si inseriscono e che livalorizza. Per
imitarci a un solo esempio, laparapsicologia si preoccupa di stabilirel'autenticità di un certo caso concreto dilevitazione e studia le
condizioni della sua manifestazione; lastoria delle religioni si sforza didecifrare il simbolismo dell'ascensionee del volo magico per
comprendere i rapporti tra i miti e i ritiascensionali, per giungere infine adefinire l'ideologia che li ha valorizzatie giustificati.
Il compito dello storico delle religioninon gli impone di pronunciarsisull'autenticità dei vari casi specifici dilevitazione né di limitare la
ricerca allo studio delle condizioni nellequali un simile caso può realizzarsi;ogni credenza nel «volo magico», ognirito d'ascensione, ogni
mito che comprende il motivo di unapossibile comunicazione tra la terra e ilcielo sono ugualmente preziosi per lostorico delle religioni;
ognuno rappresenta un documentospirituale di grandissimo valore, poichéquesti miti, questi riti, queste credenzeesprimono a un tempo
situazioni esistenziali dell'uomo nelcosmo ed esprimono i suoi desiderioscuri e le sue nostalgie. In un certosenso, tutti questi fatti sono
reali per lo storico delle religioni,poiché ognuno rappresenta un'esperienzaspirituale autentica in cui l'anima umanasi è trovata
rofondamente impegnata. A noi importasottolineare la perfetta continuità con cuil'esperienza paranormale dei
primitivi raggiunge le stesse
religioni più evolute. Non esiste un solo«miracolo» sciamanico che non siaattestato anche nelle tradizioni dellereligioni orientali e nella
tradizione cristiana. Questo è verosoprattutto per le esperienzesciamaniche per eccellenza. il «volomagico» e il
«dominio sul fuoco».
a differenza essenziale tra il mondoarcaico e certe religioni dell'Asia, pertacere del cristianesimo, verte sul valoreattribuito a tali
oteri paranormali; il buddismo, lo Yogaclassico, proprio come il cristianesimo,non incoraggiano in alcun modo laricerca dei «poteri
meravigliosi» (siddhi: in pali, iddhi).Anche se parla a lungo delle siddhi,Patanjali non attribuisce loro alcunaimportanza per il
conseguimento della liberazione. Ancheil Buddha le conosce e la descrizioneche ne dà segue da vicino sia la
tradizione magica panindiana sia
quella, immemoriale, degli sciamani edegli stregoni «primitivi». Il bhikku,ricorda il Buddha, «gode del potere
meraviglioso (iddhi) sotto i
suoi diversi modi: pur essendo uno,diventa molti; dopo essere diventatomolti ritorna uno; diventa visibile oinvisibile; attraversa senza
trovare resistenza un muro, unterrapieno, una collina, come se fossearia; penetra dall'alto in basso attraversola terra solida, come
attraverso l'acqua; cammina sull'acquasenza affondare, come sulla terra ferma;viaggia nel cielo con le gambe
incrociate e ripiegate sotto di
sé, come gli uccelli con le ali. Tocca e
sente con la mano anche il sole e la luna,nonostante la loro potenza; raggiunge,restando nel proprio
corpo, anche il cielo di Brahma...».«Con quel limpido, celeste udito chesupera l'udito degli uomini sente sia isuoni umani sia i suoni
celesti, lontani o vicini...». «Penetrandocon il proprio cuore nei cuori degli altriesseri, degli altri uomini, egli liconosce...». «Con il
suo cuore così sereno... dirige e piega lapropria intelligenza alla conoscenzadelle sue esistenze precedenti». Tuttequeste siddhi ricordate
dal Buddha si ritrovano puntualmentenelle tradizioni sciamaniche; anche laconoscenza delle esistenze precedenti,
«esercizio mistico»
specificamente indù, è attestata pressogli sciamani dell'America del Nord. Mail Buddha si rende perfettamente contodella vanità di tali
rodezze magiche e soprattutto delpericolo che possono rappresentare agliocchi degli spiriti sprovveduti. Di frontealla esibizione di simili
siddhi il non credente potrebbe ribattereche non sono state ottenute grazieall'eccellenza della dottrina e della
pratica buddistica, ma che
sono il risultato di una qualsiasi magia,cioè di un fachirismo volgare e inutile.«Se un credente (buddista) proclama di
possedere poteri
mistici (iddhi), non tenendo conto diessere un divenire multiforme...,l'incredulo gli dirà: "Ebbene, signore, viè una certa magia chiamata
gandharva, grazie al cui potere egli fatutto ciò!..." Ebbene, Kevaddha! Proprioperché vedo il pericolo nella praticadelle meraviglie mistiche
(iddhi) io le esecro e le aborro e ne ho
fastidio!». Quindi, per il Buddha comeper Patanjali, le siddhi sono poteriparanormali il cui possesso
è inevitabile. Nel loro esercizio asceticoe contemplativo lo yogi e il bhikkugiungono necessariamente a un livellod'esperienza in cui la
ercezione extrasensoriale e tutti gli altri«poteri meravigliosi» vengono loro dati.Il Buddha, Patanjali e altri ancoraattirano l'attenzione
non solamente sul pericolo di far mostradi tali «poteri meravigliosi», ma anchesul pericolo che rappresentano per coluiche li possiede;
infatti lo yogi rischia di soccombere allatentazione della magia e di accontentarsidella possibilità di fruire di «poterimeravigliosi» invece
di proseguire il suo esercizio spiritualee ottenere la liberazione finale.
Ricordiamo che le siddhi seguonoautomaticamente il successo stessodell'ascesi e delle tecniche misticheintraprese.
Per lo Yoga come per il
buddismo la liberazione equivale a unreale superamento della condizioneumana; in altri termini, si deve «morire»
all'esistenza profana,
«naturale», costituita dalla legge dei«condizionamenti» illimitati (karma) e«rinascere» a un'esistenza «non
condizionata», cioè perfettamente
ibera e autonoma. Anche qui èriconoscibile lo stesso simbolismoarcaico e universale del mutamentoontologico
attraverso l'esperienza della
morte e della risurrezione. Lo Yoga e ilbuddismo, come i metodi ascetico-mistici affini, prolungano - anche se
certamente su un altro piano e
erseguendo uno scopo completamentediverso - l'ideologia e le tecnicheimmemoriali che si sforzavano dicambiare la condizione umana medianteil
mutamento delle strutturepsicosomatiche. In seguito a lunghi efaticosi esercizi di fisiologia mistical'apprendista indù giunge a modificare
radicalmente la propria «sensibilità».
eggendo attentamente i testi yoga sipossono seguire le tappe che preparanoil mutamento ontologico finale. Non
possiamo analizzarle ora; basti
dire che fin dall'inizio dell'apprendistatolo sforzo è teso a «far esplodere» lestrutture della «sensibilità profana» perpermettere sia una
ercezione extrasensibile(chiaroveggenza, capacità di udire oltreil comune, eccetera), sia una padronanzaquasi incredibile del corpo. Gli
esercizi dello Hathayoga, prima di tuttola ritmizzazione della respirazione(pranayama), affinano l'esperienza
sensoriale e le aprono piani
inaccessibili al comportamento normale.
D'altronde, assistiamo a un«capovolgimento» progressivo del
comportamento normale: come siesprimono i
testi, i sensi vengono forzati a «ritirarsidagli oggetti» (pratyahara) e a ripiegarsisu se stessi; poiché la condizioneprofana è
caratterizzata dal movimento, dallarespirazione disordinata, dalladispersione mentale, eccetera, lo yogi sisforza di
«capovolgerla» praticando
appunto il contrario: l'immobilità
(asana), la regolazione del respiro(pranayama), la concentrazione delflusso psicomentale in un solo punto
(ekagra), eccetera. L'intenzione di«capovolgere» il comportamentonaturale emerge nelle pratiche yogatantriche di erotica mistica: la
«sensibilità» normale vieneprogressivamente abolita, lo yogi sitrasforma in dio e trasforma la propriacompagna in dea; l'atto sessuale diventa
un rituale e tutte le reazioni fisiologichenormali sono «capovolte»: più ancorache l'arresto dell'emissione seminale, itesti sottolineano
'importanza del «ritorno del seme».
Ripetiamo che tutti questi sforziperseguono la «morte dell'uomoprofano» e che il simbolismodell'iniziazione yoga o tantrica prolungail
simbolismo dell'iniziazione sciamanicadella morte e della risurrezionesimboliche, anche se lo scopo dello yogiè ben diverso da quello di un
mistico o di un mago «primitivo».
IL “CALORE MAGICO” E IL“POTERE SUL FUOCO”
Nell'impossibilità di studiare tutti i
«poteri meravigliosi» (siddhi) attestatisia nella tradizione indù (e generalmenteasiatica) sia presso i
rimitivi, ci limiteremo a ricordare ununico tipo: la classe dei poteriparanormali in cui sono compresi il«calore magico"
e il «potere sul
fuoco". Lo studio è istruttivo perché idocumenti di cui disponiamo si adattanoa tutti i livelli culturali, dai più arcaicifino alle società
iù sviluppate. Una delle proveiniziatiche proprie dello sciamanismocomprende la capacità di resistere sia al
freddo intenso sia alla
temperatura della brace.
resso i Manciù, per esempio, il futurosciamano deve subire la seguente prova:in inverno si scavano nove buche nelghiaccio; il candidato deve
tuffarsi in una di esse e uscire nuotandosotto il ghiaccio dalla seconda, e così diseguito fino alla nona buca. Certe proveiniziatiche indo-tibetane consistono nelverificare il grado di preparazione di undiscepolo sulla sua capacità diasciugare un gran numero di pannifradici con
il proprio corpo nudo e in piena neve,
durante una notte d'inverno. Questocalore psichico ha in tibetano il nome digtum-mo (pronuncia: fumo).
Alcuni panni vengono immersinell'acqua gelata, dove gelano e neescono rigidi.
Ciascun discepolo se ne avvolge unoattorno e deve sgelarlo e asciugarlo sulproprio corpo. Appena il panno èasciutto, lo si riimmerge
nell'acqua e il candidato vi si avvolge dinuovo.
'operazione si ripete così fino al levardel giorno. Allora colui che ha asciugatoil maggior numero di panni viene
proclamato primo del
concorso...». Il gtum-mo è un esercizioyoga tantrico molto conosciuto nellatradizione ascetica indù. Come vedremopiù avanti, il risveglio
della kundalini si accompagna a unasensazione di calore vivissimo.
Non è una scoperta specifica dello Yogatantrico, perché già nel Rig Veda losforzo ascetico in generale, il tapas, eraconsiderato come
roduttore di «calore». Siamo in presenzadi una esperienza mistica antichissima,poiché numerosi primitivi si
raffigurano il potere magico-
religioso come «bruciante» e loesprimono con termini che significano«calore» e «scottatura». D'altronde talepotere magico- religioso non è
monopolio dei mistici e degli stregoni;si ottiene anche con il «riscaldamento»dei combattimenti iniziatici militari.
Il «calore magico» si ricollega a un'altratecnica che si potrebbe chiamare il«potere sul fuoco» e che rendeinsensibili alla temperatura della
brace. Quasi in tutto il mondosciamanico si sono registrati simili fatti,che richiamano i poteri fachirici: mentre
prepara la trance lo
sciamano maneggia carboni ardenti, liinghiotte, tocca ferro incandescente,eccetera. Durante la festa diconsacrazione dello sciamano araucanoi
maestri e i neofiti camminano a piedinudi sul fuoco senza scottarsi e senzache i loro abiti prendano fuoco. In tuttal'Asia settentrionale gli
sciamani si tagliuzzano il corpo e sonocapaci di inghiottire carboni ardenti, ditoccare ferro incandescente. Lemedesime prodezze sono
attestate presso gli sciamani
dell'America del Nord; presso gli Zuai,per esempio, gli sciamani operano ognisorta di
«fire tricks»: ingoiano
carboni, camminano sul fuoco e toccanoferro incandescente, eccetera. MatildaCoxe Stevenson riferisce di aver vistouno sciamano tenere delle
braci in bocca fino a sessanta secondi. Iwabene degli Ogibwe sono chiamati«maneggiatori di fuoco» e maneggiano
impunemente carboni ardenti.
Tali imprese sono talvolta collettive. InCina, per esempio, il sai-kong dirige il
passaggio sul fuoco: la cerimonia è detta
«passeggiare su un
cammino di fuoco» e avviene davanti altempio; il sai-kong avanza per primosulla brace, seguito dai suoi colleghi piùgiovani e anche dal
ubblico. L'esempio più famoso e piùanalizzato del passaggio collettivo supietre incandescenti è la cerimonia benconosciuta delle Figi, dove
certe famiglie possiedono tale «potere»e lo trasmettono per via ereditaria.
Durante la cerimonia un gran numero dinon iniziati, anche stranieri, avanzano
impunemente sui carboni ardenti. È danotare a questo proposito
che sono necessari una certa «fede» e ilrispetto di un certo simbolismo rituale; aRarotonga uno degli europei che si eravoltato durante il
assaggio ebbe i piedi bruciati.Cerimonie analoghe si incontranosporadicamente in India: a Madras unoyogi ha reso possibile il passaggio a una
considerevole moltitudine di presenti,non soltanto non preparati ma anchenettamente scettici, fra cui il vescovo diMadras con il suo seguito.
Il «potere sul fuoco» è attestato, accanto
ad altri poteri sciamanici (ascensione,volo magico, scomparsa, camminosull'acqua, eccetera), presso
i mistici dell'Islam. Una tradizione deidervisci ci racconta che «il seyyd,ascoltando le istruzioni dello sceicco escoprendone i misteri,
s'infiammava al punto da mettere i duepiedi sul focolare del braciere eprendere con le mani i pezzi di carboneaccesi...».
Ricordiamo infine che un rito dipassaggio collettivo sul fuocosopravvive ancora in certe regioni dellaGrecia: anche se inserito nella
devozione cristiana popolare, il rito èincontestabilmente arcaico, non soltantoprecristiano ma forse preindoeuropeo.
Ci sembra importante un
articolare: l'insensibilità al fuoco el'incombustibilità sono ottenute con lapreghiera e il digiuno; la «fede» ha unaparte essenziale e il
assaggio sulla brace avviene talvolta inestasi. Esiste, perciò, una perfettacontinuità di tali tecniche mistiche, cheva dalle culture allo
stadio paleolitico fino alle religionimoderne.
Non è difficile indovinare il verosignificato del «calore magico» e del«potere sul fuoco»: questi «poterimeravigliosi»
indicano l'accesso a un
certo stato estatico o, su altri pianiculturali (in India per esempio), a unostato non condizionato, di perfettalibertà spirituale. Il «potere
sul fuoco» e l'insensibilità sia al freddointenso sia alla temperatura della braceesprimono materialmente che losciamano o lo yogi hanno
superato la condizione umana e chepartecipano già della condizione degli
«spiriti». .
I SENSI, L'ESTASI E IL PARADISO
Al livello delle religioni arcaiche lapartecipazione alla condizione degli«spiriti» è la prerogativa per eccellenzadei mistici e degli
stregoni. Come gli «spiriti», glisciamani sono «incombustibili»,«volano» nell'aria, diventano invisibili.A questo punto è necessario fermare
'attenzione su un fatto importante: lasuprema esperienza dello sciamanoconduce all'estasi, alla trance. Durantel'estasi lo sciamano
intraprende in spirito lunghi e pericolosiviaggi mistici fino al cielo più alto perincontrare Dio, oppure fino alla luna, odiscende agli
inferi, eccetera. In altri termini, lasuprema esperienza dello sciamano,l'estasi, termina al di là della sensibilità;è un'esperienza che fa
intervenire e impegna solamente la sua«anima» e non il suo essere integrale dicorpo e anima; l'estasi esprime laseparazione dell'«anima», cioè
anticipa l'esperienza della morte.
È una conseguenza ovvia: avendo giàconosciuto, attraverso l'iniziazione, la
morte e la risurrezione, lo sciamano può
impunemente assumere la
condizione fittizia di un disincarnato;può esistere in quanto «anima» senzache la separazione dal suo corpo gli siafatale.
Ogni trance è una nuova «morte» durantela quale l'anima abbandona il corpo eviaggia in tutte le regioni cosmiche.
Anche se l'estasi sciamanica
è universalmente considerata come laprova suprema della «santità», agliocchi dei primitivi rappresentanondimeno una decadenza in confronto
alla situazione primordiale deglisciamani.
Infatti le tradizioni parlano di un tempoin cui gli sciamani intraprendevano inconcreto il loro viaggio in cielo; in essevive il ricordo di
un'epoca in cui gli sciamani volavanorealmente oltre le nuvole. Sicchél'estasi, un'esperienza mistica realizzataunicamente in spirito, è
considerata inferiore a una precedentesituazione in cui lo sciamano realizzavatutti i prodigi - volo magico, ascensioneal cielo, discesa agli
inferi - sul suo corpo stesso. Il «potere
sul fuoco» è una delle rare proveconcrete di un «miracolo» reale ottenutonella condizione corporea;
tale è appunto la ragione dellagrandissima importanza attribuita aquesto potere in tutte le zonesciamaniche: esso è la prova che losciamano
artecipa della condizione degli «spiriti»pur continuando a esistere in quantoessere corporeo; è la prova che la
«sensibilità» può essere
trasmutata senza essere abolita; provainfine che è possibile superare lacondizione umana senza annullarla, anzi
«restaurandola» nella sua
erfezione primordiale (sul motivo miticodella perfezione primordialeritorneremo subito).
Ma lo stesso «potere sul fuoco» èconsiderato decaduto rispetto a unasituazione anteriore. I Maori sonoconvinti che i loro antenati potevano
attraversare una grande fossa piena dicarboni ardenti, mentre attualmente talerituale è scomparso. A Mbenga si diceche prima la fossa era
molto più larga e che il passaggio eraripetuto tre o quattro volte. Secondo iBuriati, «nei tempi antichi» il fabbro-
sciamano toccava il fuoco
con la lingua e prendeva in mano delferro in fusione. Ma Sandgeev, che haassistito a una cerimonia, ha vistosoltanto toccare del ferro
incandescente con il piede. I Paviotsoparlano ancora degli «antichi sciamani»che mettevano in bocca carboni ardenti etoccavano impunemente il
ferro incandescente.
I Ciukci, i Coriachi, i Tungusi, comeanche i Selknam della Terra del Fuoco,concordano nel dire che gli «antichisciamani» erano molto più forti
e che oggi lo sciamanismo è in declino. IJacuti ricordano con nostalgia i tempi incui lo sciamano volava sul suo corsierofino al cielo: lo si
vedeva, rivestito di ferro, vagare fra lenuvole, seguito dal tamburino. Ladecadenza dello sciamanesimo attuale èun fenomeno storico che si
spiega in parte con la storia religiosa eculturale dei popoli arcaici. Ma per letradizioni a cui abbiamo ora accennatola spiegazione è
diversa: in esse è infatti presente il mitodella decadenza dello sciamano, in cuisi ricordano i tempi quando lo sciamanovolava in cielo non in
estasi ma materialmente; in illo temporel'ascensione non avveniva in spirito, macon il corpo. Lo stato «spirituale»
significa quindi uno
scadimento rispetto alla situazioneanteriore, quando l'estasi non eranecessaria poiché non esisteva lapossibilità di separazione tra l'anima e
il corpo, cioè non esisteva la morte. Lacomparsa della morte ha spezzato l'unitàdell'uomo integrale, separando l'animadal corpo e limitando la
sopravvivenza soltanto al principio«spirituale». In altre parole, perl'ideologia primitiva la esperienza
mistica attuale è inferiore
all'esperienza sensibile dell'uomoprimordiale.
Infatti, come abbiamo visto prima,secondo i miti l'antenato o l'uomoprimordiale non conosceva la morte néla
sofferenza né il lavoro; viveva in
ace con gli animali e aveva facilmenteaccesso al cielo per incontraredirettamente la divinità. Una catastrofeha interrotto le comunicazioni
tra il cielo e la terra; da allora data lacondizione attuale dell'uomo,
caratterizzata dalla temporalità, dallasofferenza e dalla morte.
Durante la trance lo sciamano si sforzaappunto di abolire questa condizioneumana - cioè le conseguenze della
«caduta» - e di restaurare la
condizione dell'uomo primordiale di cuici parlano i miti paradisiaci. L'estasiriattualizza provvisoriamente lo statoiniziale di tutta
'umanità. Ne consegue che lo sciamanonon sale più in cielo in carne e ossa,come faceva l'uomo primordiale, ma
solamente in spirito, attraverso
'estasi.
Si comprende allora perché l'estasisciamanica venga considerata come unadecadenza: è un'esperienza puramente
«spirituale», totalmente diversa
dai poteri degli «antichi sciamani» che,pur senza riuscire ad abolirecompletamente la condizione umana,erano
nondimeno in grado di fare
«miracoli», e particolarmente in gradodi volare in cielo in concreto. Gli stessi«antichi sciamani» erano dunque già irappresentanti di
un'umanità decaduta e si sforzavano direstaurare la condizione paradisiacaprecedente la «caduta».
a svalorizzazione dell'estasi,accompagnata da una profonda stima peri «poteri», indica a parer nostro non ildisprezzo per la «spiritualità» e
a paura ammirativa di fronte alla«magia», ma la nostalgia di un paradisoperduto, la sete di conoscere con i sensistessi sia la divinità sia
e zone inaccessibili della realtà. In altritermini, si potrebbe dire che l'uomoprimitivo desidera incontrare il sacroincarnato e di
conseguenza facilmente accessibile;questo spiega la ierofanizzazione delcosmo, il fatto che qualsiasi oggettopossa incarnare il sacro. Non
bisogna dedurne una «inferioritàmentale» del primitivo: le sue capacitàdi astrazione e di speculazione sonostate opportunamente messe in
rilievo da numerosi osservatori. La«nostalgia del paradiso» derivapiuttosto dagli impulsi profondidell'uomo che, pur desiderandopartecipare
al sacro con la totalità del suo essere,scopre che questa totalità è soltantoapparente e che in realtà il suo stesso
essere è fondato sotto il
segno di una rottura.
***
6
SIMBOLISMI DELL'ASCENSIONE
E «SOGNI IN STATO DI VEGLIA»
IL VOLO MAGICO
In armonia con le sue teorie sullasovranità, A.M. Hocart consideral'ideologia del «volo magico» legata ein ultima analisi consequenziale
all'istituzione dei re-dèi. I re dell'Asiasudorientale e dell'Oceania venivanoportati sulle spalle perché, essendoassimilati agli dèi, non
dovevano toccare la terra: al pari di dèi,essi «volavano per l'aria» Nonostante lasua espressione rigida, caratteristica delgrande antropologo
inglese, l'ipotesi non è priva d'interesse.Infatti l'ideologia regale implica anche,sotto varie forme, l'ascensione al cielo.
In uno studio che
ebbe molta risonanza e che avrebbesuscitato tutta una letteratura E.Bickermann ha dimostrato che l'apoteosi
dell'imperatore romano includeva
un'ascensione di questo genere.L'apoteosi imperiale ha una lunga storia,si potrebbe dire una preistoria, nelmondo
orientale.
Studiando recentemente l'ideologiaregale e il canovaccio (pattern) ritualedei sovrani del Medio Oriente antico G.
Widengren ha brillantemente
messo in evidenza questo complessoascensionale: nonostante le inevitabilidivergenze, dovute alla varietà delleculture e alle modificazioni
imposte dalla storia, il simbolismo e loscenario dell'ascensione del sovrano sisono conservati per millenni.
Anzi, lo stesso modello si è mantenutonell'immagine esemplare e nellabiografia mitica del messaggero divino,
dell'eletto e del profeta. Si
trova una situazione analoga in Cina. Ilprimo sovrano che secondo la tradizioneriuscì a volare fu l'imperatore Chuen(2258-2208 secondo la
cronologia cinese), a cui le due figliedell'imperatore Yao, apparentementetemibili streghe, rivelarono l'arte di«volare come un uccello».
Esistono altri esempi di imperatori cheprendevano il volo.
B. Laufer ha doviziosamente mostratoche in Cina il «volo magico» eraun'ossessione che si traduceva anche in
innumerevoli leggende relative ai
carri o ad altri apparecchi volanti. Siconoscono anche esempi di «rapimenti-apoteosi»: Hoang-ti, il Sovrano Giallo,fu portato in cielo da un
drago barbuto con le sue mogli e i suoiconsiglieri, in tutto settanta persone.
Ma già il particolare che l'imperatoreChu avesse appreso l'arte di volare da
due streghe ci fa presumere che questocomplesso mitico- rituale
non sia una creazione dell'ideologiaregale. Infatti i termini «sapiente con lepenne» oppure «ospite con le penne»
designano il sacerdote
taoista. «Salire in cielo volando» siesprime in cinese nella manieraseguente: «Per mezzo di penne d'uccelloè stato trasformato ed è salito
come un immortale». I taoisti e glialchimisti avevano il potere disollevarsi in aria. Osserviamo che lepenne di uccello costituiscono uno dei
simboli più frequenti del «volosciamanico» e sono ampiamente attestatenella più antica iconografia cinese. Inquesta sede è superfluo
dimostrare nei particolari e per ognunadelle altre aree culturali ricordate che ilvolo celeste non è monopolio deisovrani, ma è anche un
fenomeno caratteristico degli stregoni,dei saggi e dei mistici di ogni tipo.Constatiamo soltanto che il «volomagico»
esce dalla sfera della
sovranità e precede cronologicamente laformazione dell'ideologia regale. I
sovrani sono in grado di salire al cieloappunto perché non
artecipano più della condizione umana.Ma non sono né gli unici né i primiesseri umani ad aver realizzato un similemutamento ontologico. Ci
roponiamo quindi di scoprire e didescrivere la situazione esistenziale cheha reso possibile la cristallizzazione delvasto insieme di miti,
riti e leggende relativi al «volomagico».
Diciamo subito che il superamento dellacondizione umana non implicanecessariamente la «divinizzazione»,
concetto che è invece essenziale
nell'ideologia della divinità dei sovrani.Gli alchimisti cinesi e indù, gli yogi, isaggi, i mistici, come le streghe e glisciamani, sebbene
siano in grado di volare non pretendonodi essere dèi. Il loro comportamentoprova prima di tutto che essi partecipanoalla condizione degli
«spiriti». Avremo ben presto modo divalutare l'importanza che una similepartecipazione assume per lacomprensione dell'antropologia arcaica.
rima di tutto tentiamo un primoorientamento nell'immenso dossier del
«volo magico». È necessario distingueredue grandi categorie di fatti: l.
il gruppo di miti e leggende checoncernono le avventure aeree degliantenati mitici, i Marchen («fiabe») deltipo magische Flucht («volo
magico») e, in generale, tutte le leggenderelative agli uomini-uccelli (o muniti dipenne di uccello); 2. il gruppo di riti ecredenze che
implicano l'esperienza concreta del«volo» o dell'ascensione celeste.Soprattutto dai documenti di questaseconda categoria ci pare possibile
scoprire la situazione spirituale che ha
dato origine all'articolazione delcomplesso che ci interessa. Il carattereestatico dell'ascensione è
fuori dubbio. Le tecniche dell'estasisono notoriamente essenziali alfenomeno generalmente conosciuto sottoil nome di sciamanismo. Dal momento
che abbiamo dedicato un volumeall'analisi del fenomeno, ci limiteremoin questa sede a ricordare i risultati cheinteressano direttamente il
nostro scopo. Il volo manifestaplasticamente la capacità di certiindividui privilegiati di abbandonarevolontariamente il corpo e di viaggiare
«in spirito» nelle tre regioni cosmiche.Si intraprende il «volo», cioè si provocal'estasi (che non implica
necessariamente la trance) sia per
convogliare l'anima dell'animalesacrificato nel cielo più alto e perpresentarla come offerta al Dio celeste,sia per cercare l'anima del
malato, che si suppone sviata o rapitadai demoni - e in questo caso il viaggiopuò essere effettuato orizzontalmentenelle regioni lontane,
oppure verticalmente agli inferi -, sia,infine, per guidare l'anima del mortoverso la sua nuova dimora. Certamente,
al di fuori di questi
viaggi estatici a scopo religiosocollettivo lo sciamano può ricevere oricercare l'estasi per i suoi propribisogni spirituali.
Indipendentemente dal sistema socio-religioso che regge e legalizza lafunzione dello sciamano, l'apprendista
sciamano deve affrontare le prove
di una iniziazione che includel'esperienza di una «morte» e di una«risurrezione» simboliche. Si ritiene chedurante l'iniziazione l'anima
dell'apprendista viaggi nel cielo e negli
inferi. È evidente che il «volosciamanico» equivale a una «morte»rituale: l'anima abbandona il corpo
e s'invola in regioni inaccessibili aivivi. Grazie all'estasi lo sciamanodiventa uguale agli dèi, ai morti e aglispiriti: la capacità di
«morire» e di «risuscitare», cioè diabbandonare e di ricomporrevolontariamente il corpo, indica che egliha superato la condizione umana.
Non riteniamo opportuno dilungarci suimezzi di cui gli sciamani si servono perraggiungere l'estasi. Rileviamo soltantoche essi pretendono
indifferentemente di volare comeuccelli, di cavalcare un corsiero o unuccello, o di volare sul proprio tamburo.Questo strumento specificamente
sciamanico ha una funzione importantenella preparazione della trance; anchegli sciamani della Siberia e dell'Asiacentrale sostengono di
viaggiare per l'aria seduti sui lorotamburi. Si ritrova la stessa tecnicaestatica nel Tibet presso i sacerdotiBon-po ed anche in culture in
cui lo sciamanismo nel senso rigorosodel termine è meno diffuso, per esempioin Africa. È quindi nell'esperienzaestatica dell'ascensione che si
deve cercare la situazione esistenzialeoriginale da cui nascono i simboli e leimmagini relative al «volo magico».
Sarebbe inutile identificare
'«origine» di un tale complessosimbolico in un certo ciclo culturale o inun certo momento della storiadell'umanità.
Anche se specifici dello
sciamanismo stricto sensu, l'estasi e irituali, le credenze e i relativisimbolismi sono largamente attestati intutte le altre culture
arcaiche. Molto probabilmente
l'esperienza estatica nei suoiinnumerevoli aspetti è radicata nellacondizione umana, nel senso che fa parte
integrante di quella che viene chiamatala presa di coscienza da parte dell'uomodella sua collocazione specifica nelcosmo.
Tutto questo risulta ancor più chiaro seconsideriamo il gruppo di fatti relativiai miti e leggende di «volo». Per ilnostro intento è
indifferente che il contenuto epico di talimiti e leggende dipenda direttamente dauna reale esperienza estatica (trance ditipo sciamanico) o
che sia una creazione onirica o unprodotto dell'immaginazione allo statopuro. Da un certo punto di vista l'oniricoe l'immaginario condividono
il prestigio dell'estasi: vedremo subitoquale significato si deve attribuire a talepartecipazione. Fin d'ora ricordiamo chele psicologie del
rofondo hanno riconosciuto alladimensione dell'immaginario il valore diuna dimensione vitale d'importanzaprimordiale per l'essere umano nella
sua totalità. L'esperienzadell'immaginazione è parte essenzialedell'uomo allo stesso titolodell'esperienza diurna e delle attività
pratiche.
Anche se la struttura della sua realtà nonè omologabile alle strutture delle realtà«oggettive» dell'esistenza pratica, ilmondo
dell'immaginazione non è «irreale».Potremo valutare subito l'importanzadelle sue creazioni per l'antropologia
filosofica.
Nelle mitologie e nei folclori del «volomagico» colpiscono prima di tutto illoro arcaismo e la loro diffusioneuniversale.
Si è concordi nel
orre il tema della magische Flucht fra ipiù antichi motivi folclorici a causadella sua diffusione universale e dellasua presenza negli strati
culturali arcaici. Non si trattapropriamente di un «volo», ma di unafuga vertiginosa, il più delle volte indirezione orizzontale; questo si
spiega se l'idea fondamentale delracconto è, come pensano gli studiosi difolclore, la fuga di un giovane eroe daun regno della morte e il suo
inseguimento da parte di una figuraterrificante che personifica la morte.Sarebbe interessante analizzare lastruttura dello spazio in cui
avviene la fuga magica più a lungo diquanto possiamo fare ora; sitroverebbero tutti i motivi dell'angoscia,lo sforzo supremo per sfuggire a un
ericolo imminente, per liberarsi da unapresenza terribile. L'eroe fugge piùveloce dei corsieri magici, più velocedel vento, rapido come il
ensiero, e tuttavia soltanto alla fineriesce a far perdere le proprie tracce alsuo inseguitore. Rileviamo che nonfugge verso il cielo, non
evade verso l'alto, nella pura verticalità.L'universo spaziale della "magischeFlucht" rimane quello degli uomini edella morte: non viene mai
trasceso. La velocità raggiunge un ritmofantastico e quindi non vi è nessunarottura nello spazio. La divinità noninterviene nell'incubo, nella
fuga dell'uomo dalla Morte; animalibenigni o fate aiutano l'eroe; gli oggettimagici che egli si getta dietro le spalle,e che si trasformano in
grandiosi ostacoli naturali (monti,foreste, mari), finalmente gli permettonodi fuggire. Non vi è nulla in comune conil
«volo». Ma in questo
universo d'angoscia e di velocitàvertiginosa, è importante mettere in
risalto una caratteristica essenziale: losforzo disperato per sfuggire a
una presenza mostruosa, per liberarsi.
o spazio appare completamente diversonegli innumerevoli miti, racconti eleggende relativi agli esseri umani o
sovrumani che s'innalzano al
cielo e circolano liberamente fra la terrae il cielo sia con penne d'uccello sia conaltri mezzi. Né la velocità del volo nél'intensità
drammatica del viaggio aereocaratterizzano questo complesso mitico-folclorico, bensì il fatto che è abolito il
peso, che è avvenuto un mutamento
ontologico nello stesso essere umano.Non ci è possibile passare in rassegnatutte le specie e varianti del «volo» edelle comunicazioni fra la
terra e il cielo. Ci basta dire che ilmotivo è universalmente diffuso e che ècollegato a tutto un gruppo di miticoncernenti sia l'origine
celeste dei primi uomini sia lo statoparadisiaco dell'illud tempusprimordiale in cui il cielo eravicinissimo alla terra e l'antenato mitico
oteva accedervi abbastanza facilmentescalando una montagna, un albero o una
liana.
Nella cornice di questo studioc'interessa soprattutto un fatto: il motivodel «volo» e dell'ascensione celeste èattestato a tutti i
ivelli delle culture arcaiche, sia neirituali e nelle mitologie degli sciamani edegli estatici, sia nelle mitologie e neifolclori degli altri
membri della società, che nonpretendono di distinguersi dagli altri perl'intensità della loro esperienzareligiosa. Detto in altri termini,
'ascensione e il «volo» fanno parte diun'esperienza comune a tutta l'umanità
primitiva. La storia ulteriore delsimbolismo dell'ascensione
mostra che tale esperienza costituisceuna dimensione profonda dellaspiritualità. Ricordiamo l'importanzaassunta dai simboli dell'anima-uccello,delle «ali dell'anima», eccetera, nonchédalle immagini che esprimono la vitaspirituale come una
«elevazione», l'esperienza mistica
come un'ascensione, eccetera. Laquantità di documenti a disposizionedello storico delle religioni è tale cheogni enumerazione dei motivi e dei
simboli rischia di essere incompleta.
Sicché dobbiamo limitarci a pochiaccenni sul simbolismo dell'uccello.
È probabile che il tema mitico-rituale«uccello-anima volo estatico» esistessein forma definita già in epoca
paleolitica; infatti si
ossono interpretare in questo senso certidisegni di Altamira (uomo con mascherad'uccello) e il celebre rilievo di Lascaux(uomo con testa
d'uccello) nel quale Horst Kirchner hascorto la rappresentazione di una trancesciamanica.
Le concezioni mitiche dell'anima-
uccello e dell'uccello-guida spiritualesono state sufficientemente studiate,
sicché possiamo limitarci
ad accennarle.
Tutto un insieme di simboli e disignificati che hanno relazione con lavita spirituale, e soprattutto con i poteridell'intelletto, è
inseparabile dalle immagini del «volo»e delle «ali». Il «volo» indical'intelletto, la comprensione delle cosesegrete o delle verità
metafisiche. «L'intelletto (manas) è ilpiù veloce degli uccelli».
Un altro testo precisa: «Colui checomprende ha ali». L'immagine arcaicaed esemplare del «volo» si
arricchisce quindi di nuovi
significati, scoperti in seguito a nuoveprese di coscienza.
Ritorneremo presto sul processo disimili rivalorizzazioni.
'estremo arcaismo e l'universalediffusione dei simboli, dei miti e delleleggende relative al «volo» pongono unproblema che supera l'orizzonte
dello storico delle religioni e sfocia sulpiano dell'antropologia filosofica.
Tuttavia non possiamo trascurarlo; erad'altronde nel nostro
intento mostrare che i documentidell'etnologia e della storia dellereligioni possono interessare ilfenomenologo e il filosofo nella misurain
cui esprimono situazioni spiritualioriginali. Considerati nel loro insieme,il «volo» e tutti i simbolismi parallelirivelano immediatamente il
oro significato: tutti esprimono unarottura nell'universo dell'esperienzaquotidiana.
È evidente la duplice intenzionalità di
questa rottura: con il «volo» siconseguono a un tempo la trascendenza ela libertà. Sebbene i termini
che designano la «trascendenza» e la«libertà» non siano ovviamente attestatiai livelli arcaici di cultura di cui stiamoparlando, ne esiste
tuttavia l'esperienza, e ciò ha la suaimportanza.
Essa prova in primo luogo che le radicidella libertà devono essere cercate nelprofondo della psiche e non nellecondizioni create da certi
momenti storici; detto altrimenti, ildesiderio della libertà assoluta fa parte
delle nostalgie essenziali dell'uomo,indipendentemente dal suo
stadio di cultura e dalla forma diorganizzazione sociale. La ripetizioneindefinita della creazione di quegliinnumerevoli universi immaginari
in cui lo spazio è trasceso e il pesoabolito ci dice molto sulla veradimensione dell'essere umano.
Il desiderio di spezzare i legami che lotengono inchiodato alla terra non è ilrisultato della pressione cosmica o dellaprecarietà economica,
ma costituisce l'uomo in quanto esistenteche fruisce di un modo d'essere unico al
mondo. Il desiderio di liberarsi dai
propri limiti, sentiti
come una decadenza, e di restaurare laspontaneità e la libertà - desiderioespresso, nell'esempio di cui ci stiamooccupando, dai simboli del
«volo» - deve essere posto fra le notespecifiche dell'uomo.
a rottura di livello effettuata dal «volo»esprime inoltre un atto di trascendenza.Non è indifferente incontrare, e già neglistadi culturali
iù arcaici, il desiderio di superare«verso l'alto» la condizione umana, di
trasmutarla con un eccesso di
«spiritualizzazione». Infatti in tutti
i miti, riti e leggende cui abbiamoaccennato è possibile scorgere lanostalgia che il corpo umano si comportida
«spirito», che la modalità
corporea dell'uomo si trasmuti inmodalità dello spirito.
Sarebbero necessarie lunghe analisi perprecisare e sviluppare queste pocheosservazioni, ma vi rinunciamo in questasede; alcune conclusioni ci
sembrano già acquisite, sicché èsufficiente riassumerle. La prima è diordine generale e interessa la storiadelle religioni nel suo insieme.
Abbiamo osservato altrove che anchequando la vita religiosa non è dominatadagli dèi uranici il simbolismo
dell'ascensione celeste perdura e
continua a esprimere il trascendente. Diconseguenza, ci sembra insufficiente ladescrizione di una religione basataesclusivamente sulle sue
istituzioni specifiche e sui suoi temimitologici dominanti: sarebbe comedescrivere l'uomo fondandosi
unicamente sui suoi comportamentipubblici
e trascurando le sue segrete passioni, lesue nostalgie, le sue contraddizioniesistenziali e il suo universoimmaginario, tutte cose che gli
sono più essenziali delle opinioniprecostituite che egli esprime. Se neldescrivere una qualsiasi religione sitiene conto anche di tutti i
simbolismi impliciti nei miti, nelleleggende e nei racconti che fanno partedella tradizione orale, nonché deisimbolismi attestati nella
struttura dell'abitazione e in diversi
costumi, si scopre tutta una dimensionedell'esperienza religiosa che sembravaassente o appena suggerita
nel culto pubblico e nelle mitologieufficiali. Come un certo gruppo dicredenze implicite sia stato «rimosso» otravestito, o sia semplicemente
«decaduto» dalla vita religiosa, è unaltro problema su cui ora non cisoffermeremo. Ci basta di avere indicatoil motivo per cui non si può
conoscere e descrivere una religionesenza tener conto dei suoi contenutireligiosi impliciti, espressi dai simboli.
Ritornando al nostro problema
particolare, c'interessa precisare chenonostante le molteplici e diverserivalorizzazioni subite dai simbolismi
del «volo» e dell'ascensione nel corsodella storia, è ancora possibilescorgerne l'unità strutturale. In altritermini: indipendentemente dal
contenuto e dal valore assegnatiall'esperienza ascensionale nelle variereligioni in cui il «volo» e l'ascensionesono attivamente presenti,
sussistono sempre le due note essenzialiche abbiamo or ora analizzato: latrascendenza e la libertà, l'una e l'altraottenute con una rottura di
ivello e indicanti un mutamentoontologico dell'essere umano. Si ritieneche i sovrani possano volare per l'ariaproprio perché non condividono
iù la condizione umana e nella misura incui sono «liberi». Per la medesimaragione gli yogi, gli alchimisti e gli arhatpossono muoversi a
volontà, prendere il volo e scomparire.Basta analizzare attentamente i fatti indùper rendersi conto delle considerevoliinnovazioni apportate
dalle successive esperienze spirituali edalle nuove prese di coscienzaverificatesi nella lunga storia dell'India.Avendo trattato l'argomento
nei nostri precedenti lavori, cilimiteremo ora a poche indicazioni.Ricordiamo che il «volo» è cosìcaratteristico degli arhat buddisti, che da
arahant è derivato il verbo singaleserahatve, «scomparire, passareistantaneamente da un punto all'altro».
Evidentemente, in questo caso ci
troviamo di fronte a un temafolcloristico (il saggio-stregone volante)che ha talmente colpito l'immaginazione
popolare da tradursi in una
creazione linguistica. Ma è anchenecessario prendere in considerazione il
significato specifico del «volo» degliarhat, significato che forma un
tutt'uno con la loro esperienza spirituale,che vuole essere una testimonianza dellatrascendenza della condizione umana.Genericamente si può
dire che gli arhat come tutti gli jnanin egli yogi - sono dei kamacarin, esseri che«si muovono a volontà». Secondol'espressione di
Coomaraswamy, ciò che fa il kamacarin«è la condizione di chi, essendo nellospirito, non ha più bisogno di muoversiper essere da qualche
arte». Coomaraswamy osserva che
l'espressione sanscrita usuale per«scomparire» è antardhanam gam,letteralmente
«andare in una posizione
interiore». Secondo il "KalingabodhiJataka" può volare colui che «riveste ilcorpo con l'abito della contemplazione»
(jhana vethanena). Tutto
questo equivale a dire che, al livellodella pura conoscenza metafisica, il«volo» o l'«ascensione» sono schemi
tradizionali utilizzati non più
er esprimere uno spostamento fisico ma
una sorta di simultaneità spaziale invirtù dell'intelletto.
Ancor più interessanti per il nostrointento sono le immagini in cui latrascendenza della condizione umana èespressa dalla capacità degli arhat
di volare attraverso il tetto delle case. Itesti buddisti parlano degli arhat che«volano nell'aria spezzando il tetto delpalazzo», che
«volando per loro propria volontàspezzano e attraversano il tetto dellacasa e vanno per l'aria»; l'arhatMoggalana «si slancia nell'aria
spezzando la cupola». Questo
simbolismo può avere una dupliceinterpretazione: sul piano dellafisiologia sottile e dell'esperienzamistica
indica un'«estasi» e quindi l'involarsidell'anima attraverso il brahmarandhra;sul piano metafisico indica l'abolizionedel mondo condizionato.
oiché la «casa» è l'equivalentedell'universo, «spezzare il tetto dellacasa» significa che l'arhat ha trasceso ilmondo verso l'alto.
Nonostante la distanza che separa lemitologie e i folclori arcaici del «volo»dalla trascendenza del mondo ottenutaper mezzo delle tecniche
mistiche e della conoscenza metafisicaindiane, è tuttavia possibile riconoscerenelle immagini usate delle
caratteristiche comuni.
Uno studio particolare meriterebbe lafenomenologia della levitazione edell'estasi ascensionale negli «stregoni»,cioè in coloro che pretendono
di aver ottenuto con mezzi propri ilpotere della traslocazione, nonché neimistici. Bisognerà naturalmenterispettare la necessità di
recisazioni e sfumature nella descrizionedi ogni tipo e soprattutto delle loroinnumerevoli varianti. È sufficiente
un'allusione all'estasi
ascensionale di Zarathustra e al miraj diMaometto per convincersi che nellastoria delle religioni, come in ogni altrocampo, comparare non
significa confondere. Sarebbe artificiosominimizzare le differenze di contenutoche separano i diversi esempi di
«volo», di «estasi» e di
«ascensione». Ma sarebbe altrettantofutile non riconoscere l'unità di strutturache emerge dalle comparazioni. Nellastoria delle religioni,
come nelle altre discipline dello spirito,
proprio la conoscenza delle strutturerende possibile la comprensione deisignificati. Soltanto dopo
aver colto la struttura del simbolismodel «volo» nel suo insieme sicomprende il suo significato principale;allora la via è aperta alla
comprensione di ogni caso particolare.È importante quindi non dimenticare chea tutti i livelli di cultura, nonostante ledifferenze
considerevoli di contesti storici ereligiosi, il simbolismo del «volo»esprime sempre l'annullamento dellacondizione umana, la trascendenza e
a libertà.
I SETTE PASSI DEL BUDDHA
Esaminiamo ora un altro gruppo diimmagini e di simboli (di cui abbiamogià parlato) strettamente collegato con ilsimbolismo del volo:
'ascensione al cielo per mezzo digradini. Prima di tutto ecco un testobuddistico particolarmente interessante,che ci mostra a qual punto le
immagini tradizionali siano suscettibilidi una rivalorizzazione metafisica.
«Appena nato, il Bodhisattva posa ipiedi sulla terra "piana" e, rivolto verso
il nord, fa sette passi, protetto da unparasole bianco.
Osserva all'interno tutte le regioni e dicecon la sua voce da toro: "Sono il piùalto del mondo, sono il migliore delmondo, sono il primogenito
del mondo; questa è la mia ultimanascita; per me non vi saranno ormai piùnuove esistenze"». Questo aspetto miticodella nascita del Buddha
viene ripreso con alcune varianti nellaletteratura ulteriore delle Nikaya Agamae dei Vinaya e nelle biografie delBuddha. In una lunga nota
della sua traduzione del
Mahaprajnaparamitasastra di Nagarjuna,Etienne Lamotte ha raggruppato i testipiù
importanti: il Buddha fa sette passi
in una sola direzione, il nord, o inquattro o in sei, o in dieci direzioni; fa ipassi con i piedi posati sulla terra«piana», o stando su un
oto o a un'altezza di quattro pollici. Lafrequenza del primo motivo - i settepassi fatti in una sola direzione, il nord -ci induce a credere
che le altre varianti (le quattro, sei odieci direzioni) siano più tardive,dovute forse all'inserimento di questo
tema mitico in un simbolismo
iù complesso.
asciamo da parte per ora l'analisi delledifferenti maniere con cui il Buddha sivolge al nord (con i piedi posati a terrao stando su un lato o
in posizione planante) per occuparci delsimbolismo centrale dei sette passi.Studiando questo tema mitico Paul Musne ha messo in evidenza la
struttura cosmologica e il significatometafisico. Infatti i sette passi portano ilBuddha alla sommità del mondocosmico.
L'espressione «io sono
il più alto del mondo» (aggo’ham asmilokassa) non significa altro che latrascendenza spaziale del Buddha.
Egli ha raggiunto «la cima del mondo»(lokkagge) attraversando i sette pianicosmici che corrispondono notoriamenteai sette cieli planetari.
Anche il monumento conosciuto sotto ilnome di «prasada a sette piani»simboleggia il mondo culminante nelnord
cosmico, dalla cui cima si tocca
a terra suprema del Buddha. Il mito
della nascita esprime con la più nettaprecisione che, appena nato, il Buddhatrascende il cosmo e abolisce
o spazio e il tempo (diventa «il più alto»e «il primogenito del mondo»). Ilsimbolismo della trascendenza è messoin luce dalle diverse maniere
in cui il Buddha fa i sette passi. Sia chenon tocchi il suolo, sia che dei lotigermoglino sotto i suoi piedi, sia checammini
«sul piano», egli
non è insudiciato da nessun contattodiretto con questo mondo. Riguardo alsimbolismo dei piedi posati «sul piano»,
Burnouf aveva già citato un
testo buddistico che Mus riprende ecommenta: «Dove avanza il capo delmondo, i luoghi bassi si alzano e i luoghialti diventano uniti...». Sotto
i piedi del Buddha la terra diventa«liscia», cioè i volumi sono ridotti e laterza dimensione abolita: espressionesimbolica della trascendenza
spaziale.
'interpretazione metafisica delsimbolismo della trascendenza spazialeè portata ai suoi limiti estremi dalla
speculazione buddistica, ma tale
simbolismo non è evidentemente unacreazione buddistica. Il trascendimentodel mondo mediante l'elevazione alcielo era già conosciuto in tempi
rebuddistici. «Il sacrificio, nel suoinsieme, è la nave che conduce alcielo». Il meccanismo del rituale è unadurohana, una «ascesa
difficile». L'officiante sale i gradini(akramana) del palo del sacrificio e,giunto alla sommità, stende le mani(come un uccello le ali!) e
grida: «Ho raggiunto il cielo, gli dèi;sono diventato immortale!». «In verità,il sacrificante diventa una scala e unponte per raggiungere il
mondo celeste». In questi testi èevidentemente espressa la credenzanell'efficacia magico-religiosa delsacrificio vedico; non è ancora
«l'ascesa al di là» del cosmo di cuiparla il tema buddistico della natività.Nondimeno è importante sottolinearel'analogia tra i passi del
Buddha e i «gradini» del palo delsacrificio che l'officiante sale fino incima. Nei due casi il risultato èequivalente: è raggiunta la cima
culminante dell'universo, che equivale alnord cosmico o al «Centro del Mondo».
'attraversamento dei sette cieli da parte
del Buddha per raggiungere «il puntopiù elevato» - cioè la sua ascesaattraverso i sette piani
cosmici, corrispondenti ai sette cieliplanetari - è un tema che si inserisce inun complesso simbolico-rituale comuneall'India, all'Asia
centrale e al Medio Oriente antico.Abbiamo studiato questo sistema dicredenze e di riti nel nostro"Sciamanismo", a cui ci permettiamo di
rinviare il lettore. Osserviamo soltantoche i «sette passi del Buddha» sonoanaloghi all'ascesa al cielo dellosciamano siberiano per mezzo
delle tacche praticate nella betullacerimoniale (sette, nove o sedici taccheche simboleggiano i sette, nove o sedicicieli), oppure alla scala
a sette gradini salita dall'iniziato neimisteri di Mitra.
Tutti questi riti e miti hanno una strutturacomune: l'universo è concepito con settepiani sovrapposti (cioè sette cieliplanetari); la sommità
uò essere costituita dal nord cosmico,dalla stella polare o dall'empireo, chesono formule equivalenti dello stessosimbolismo del «Centro del
Mondo»; l'elevazione al cielo più alto,
cioè l'atto di trascendere il mondo,avviene vicino a un «centro» (tempio,città regale, ma anche albero
sacrificale equivalente all'AlberoCosmico, palo del sacrificio assimilatoall'Axis Mundi, eccetera) poichéproprio in un
«centro» avviene la
rottura dei livelli e quindi il passaggiodalla terra al cielo. Il tema della nascitadel Buddha rappresenta certamente unareinterpretazione del
simbolismo arcaico per esprimere latrascendenza. La principale differenzafra i sette passi del Buddha e i rituali
bramanico, siberiano o
mitriaco consiste nel loro orientamentoreligioso e nelle loro diverseimplicazioni metafisiche.
Il mito della nascita esprime iltrascendimento di questo mondo sudicioe doloroso da parte del Buddha. I ritualibramanico e sciamanico mirano a
un'ascensione celeste destinata a farpartecipare al mondo degli dèi e adassicurare una condizione eccellentedopo la morte, oppure mirano a
ottenere una grazia dal Dio Supremo.L'iniziato ai misteri di Mitra intraprendesimbolicamente l'attraversamento dei
sette cieli per
«purificarsi» dalle influenze dei loropianeti tutelari e per elevarsi finoall'empireo. Ma la struttura di tutti questi
«motivi» è identica: si
trascende il mondo attraversando i settecieli e raggiungendo il vertice cosmico,il polo.
Come osserva Paul Mus, nellacosmologia indù il punto da dove èiniziata la creazione è il vertice: «Lacreazione è avvenuta gradualmente al di
sotto di esso, attraverso tappesuccessive». Il polo non è soltanto l'asse
dei movimenti cosmici, è anche il luogopiù
«vecchio» perché proprio
da lì il mondo è venuto all'esistenza. Perquesto il Buddha grida: «Io sono sullacima del mondo... Io sono il
primogenito»: toccando il vertice
cosmico il Buddha diventacontemporaneo dell'inizio del mondo; haabolito il tempo e la creazione e si trova
nell'istante atemporale che precede
a cosmogonia. Si tratta quindi di un«ritorno all'indietro» - per restaurare lo
stato primordiale «puro» e incorruttibileperché non ancora
inserito nel tempo. «Ritornareall'indietro», toccare il punto più«vecchio» del mondo equivale adabolire la durata, ad annullare l'operadel
tempo. Proclamando di essere «ilprimogenito del mondo» il Buddhaproclama la propria trascendenza inrapporto al tempo, proprio comedichiara di
aver trasceso lo spazio giungendo «allacima del mondo». Le due immaginiesprimono un superamento totale del
mondo e la restaurazione di uno
«stato assoluto» e paradossale, al di làdel tempo e dello spazio.
Osserviamo che non soltanto lacosmologia indù fa iniziare la creazionedal vertice. Secondo le tradizionisemitiche il mondo è stato creato
artendo dall'ombelico (immagine delCentro); le stesse idee si ritrovanoaltrove. Il «Centro del Mondo» è
necessariamente il luogo più «vecchio»
dell'universo. Ma non bisognadimenticare che, nella prospettiva deisimbolismi di cui stiamo parlando, la
«vecchiaia»
significa il momento in
cui il mondo ha cominciato asvilupparsi, quindi il momento in cui iltempo ha fatto irruzione; in altri termini,la
«vecchiaia» è una formula
del tempo primordiale, del «primo»tempo. La «primogenitura» ("jyesta")del Buddha è un modo per dire che egliesisteva già prima della nascita
del mondo, che ha visto il mondo venireall'esistenza e il tempo fare la suacomparsa.
D'altra parte sappiamo che le ascensionirituali al cielo avvengono sempre in un«centro». Si ritiene che l'alberosciamanico si trovi al «Centro
del Mondo» perché viene assimilatoall'Albero Cosmico; in India il palosacrificale (yupa) riproduce l'AxisMundi. Un simbolismo analogo è
attestato nella struttura stessa dei templie delle abitazioni umane. Tutti i santuari,i palazzi, le città regali e, perestensione, tutte le
case sono simbolicamente situate al«Centro del Mondo»; ne consegue che inuna qualsiasi di queste costruzioni èpossibile la rottura dei
ivelli, è contemporaneamente possibilela trascendenza spaziale (la elevazioneal cielo) e la trascendenza temporale (larestaurazione
dell'istante primordiale in cui il mondonon era ancora venuto all'esistenza).Questo non ci può sorprendere poichésappiamo che ogni abitazione
umana è una imago mundi e che ognicostruzione di una nuova casa ripete lacosmogonia.
Insomma, tutti questi simboli collegati ecomplementari presentano, ciascunonella propria prospettiva, uno stessosignificato: l'uomo può
trascendere il mondo: spazialmenteandando «verso l'alto», temporalmenteandando «a ritroso», «all'indietro».
Trascendendo il mondo l'uomo
restaura una situazione primordiale: cioèla compiutezza dell'inizio del mondo, laperfezione del «primo istante», quandonulla era stato
«insozzato», nulla era stato «logorato»poiché il mondo era appena venutoall'esistenza.
Con mezzi molteplici e partendo dapunti di vista differenti, l'uomo religiososi sforzava sempre di rigenerarsi, dirinnovarsi restaurando
eriodicamente la «perfezione degliinizi»; cioè ritrovando la fonte primadella vita, quando la vita, come tutta lacreazione, era ancora sacra
erché era appena uscita dalle mani delCreatore.
DUROHANA E IL “SOGNO IN STATODI VEGLIA”
Sappiamo che il volo, l'elevazione el'ascensione su per gradini sono temiabbastanza frequenti nei sogni. Succedeanche che uno di questi temi
divenga il motivo dominante dell'attivitàonirica o immaginativa.
Ci si permetta di riferire un esempio cheabbiamo già commentato in altra sede.Julien Green osservava nel suo
Journal, al 4 aprile 1933: «In
tutti i miei libri l'idea della paura o dialtre emozioni piuttosto forti sembralegata in modo inesplicabile a una scala.Me ne sono accorto
ieri, passando in rassegna i romanzi cheho scritto... Mi domando come ho potutocosì sovente ripetere questi effetti senzaaccorgermene. Da
fanciullo sognavo di essere inseguito suuna scala. Mia madre ha avuto le stessepaure in gioventù; me ne è rimasto forse
qualcosa...».
Dopo quanto abbiamo appena detto sui«sette passi del Buddha» si comprendeperché nei libri di Julien Green la scala
sia legata all'«idea della
aura o di altre emozioni piuttosto forti».
a scala è per eccellenza il simbolo delpassaggio da un modo d'essere a unaltro. Il mutamento ontologico avvienesoltanto con un rito di
assaggio; infatti nelle societàtradizionali la nascita, l'iniziazione, lasessualità, il matrimonio, la mortecostituiscono altrettanti riti di
assaggio. Si cambia modalità soltanto inseguito a una rottura, che provocasentimenti ambivalenti di paura e digioia, di attrazione e di
repulsione. Proprio per questa ragionela scalata non simboleggia soltanto,come abbiamo visto, l'accesso allasacralità
- la rottura di livello
er eccellenza - ma anche la morte.Numerose sono le tradizioni in cuil'anima del morto sale i sentieri di unamontagna o si arrampica su un
albero. Il verbo «morire» si esprime inassiro con «aggrapparsi alla montagna»,
e in egiziano «aggrapparsi» è uneufemismo per «morire». Nelle
opere di Julien Green, come osserva luistesso con stupore, tutti gli avvenimentidrammatici - morte, delitto,
dichiarazione d'amore, apparizione
di un fantasma - avvengono su una scala.In altri termini, l'immaginazione delloscrittore ritrova spontaneamente lastessa immagine esemplare
della scala ogni volta che uno dei suoipersonaggi affronta un'esperienzadecisiva che lo fa diventare un «altro».
Con una interpretazione unilaterale e un
poco semplicistica che gli psicologihanno in seguito corretto e completato,Freud interpretava la
salita di una scala come l'espressionetravestita del desiderio sessuale. Maanche il significato puramente sessualedecifrato da Freud non
contraddice il simbolismo della scalanel suo insieme, poiché anche l'attosessuale costituisce un «rito dipassaggio».
Concludere che il paziente che in sognosale i gradini di una scala soddisfa in talmodo un desiderio sessuale sepolto nelsuo inconscio è pur
sempre un modo per dire che nel piùprofondo del suo essere egli si sforza diuscire da una situazione «pietrificata»,da una situazione
negativa, sterile. Nel caso di una psichein crisi, tale sogno - sempre con ilsignificato puramente sessuale attribuitoda Freud - indica che lo
squilibrio psichico potrebbe risolversicon l'atto sessuale desiderato, cioè permezzo di una modificazione cosìprofonda della situazione del
aziente da poter essere assimilata a uncambiamento di comportamento, cioè dimodo d'essere. In altri termini,
l'interpretazione freudiana
dell'immagine della scala in quantosegno di un desiderio sessuale inconsciosi colloca perfettamente tra i molteplicisignificati di «passaggio»
illustrati dalla scala nei riti e nei miti.
Resta da sapere se il metodo riduttivodella psicanalisi freudiana spieghicompletamente la funzione del simbolo.Il problema è troppo complesso
erché possiamo affrontarlo in questepoche pagine dedicate ai simboli delvolo e dell'ascensione. Ricordiamotuttavia che R. Desolile utilizza
con successo la tecnica del «sogno instato di veglia» e che ha ottenutoguarigioni anche in casi in cui iltrattamento psicanalitico non aveva
ottenuto alcun miglioramentoapprezzabile. Il tipo di «sogno in statodi veglia» che Desoille chiede piùfrequentemente ai suoi pazienti
d'immaginare è proprio la salita di unascala o l'ascensione di una montagna. Inaltri termini, si ottengono guarigionipsichiche rianimando con
'immaginazione attiva certi simboli checomprendono nella loro struttura l'ideadi «passaggio» e di «mutamento
ontologico». Considerati sul
iano di riferimento dello storico dellereligioni, tali simboli esprimono nellostesso tempo situazioni accettatedall'uomo e le realtà che
affronta, che sono sempre realtà sacreperché ai livelli arcaici di cultura ilsacro è il reale per eccellenza.Potremmo perciò dire che la
semplice ripetizione di certi simbolireligiosi (più esattamente: attestatiabbondantemente in innumerevolireligioni) mediante l'immaginazione
attiva sfocia in un miglioramentopsichico e conduce infine alla
guarigione. In altri termini, la psicagogiadel sogno ascensionale «in stato di
veglia» sarebbe un'applicazione di unatecnica spirituale al campo dell'attivitàpsichica inconscia.
È quanto evidenzia ancor piùchiaramente l'esperienza di R. Desoille,che ai pazienti suggerisce diimmaginarsi non soltanto intenti a salire
scale e montagne, ma anche intenti a«volare». Gaston Bachelard definivagiustamente la tecnica del sogno in statodi veglia come una forma
dell'«immaginazione del movimento».«L'elevazione dell'anima va di pari
passo con la sua serenità. Nella luce e
nell'elevazione si forma un'unità
dinamica». Precedentemente abbiamoscoperto i significati del volo edell'ascensione nel folclore, nella storiadelle religioni e nei mistici e
abbiamo potuto constatare che si trattasempre di immagini della trascendenza edella libertà. Se vogliamo evitare ilcausalismo semplicistico
roposto dal metodo riduttivo siamoobbligati ad arrestarci a questaconclusione: sui piani diversi mastrettamente connessi dell'onirico,
dell'immaginazione attiva, dellacreazione mitologica e folclorica, deiriti e della speculazione metafisica,infine sul piano della esperienza
estatica, il simbolismo dell'ascensionesignifica sempre l'esplosione di unasituazione «pietrificata», «ostruita», larottura di livello che
rende possibile il passaggio a un altromodo d'essere; in una parola, la libertàdi «muoversi», cioè di cambiaresituazioni, di abolire un
sistema di condizionamenti. Si noteràche ritroviamo in contesti molteplici -onirico, estatico, rituale, mitologico,eccetera - significati
complementari ma strutturalmenteconnessi e raggruppabilitipologicamente. Anzi, è possibileinterpretare tutto ciò che un tipo cipresenta in
una specie di messaggio cifrato soltanto«decifrando» a uno a uno i significatiparticolari secondo e sul proprio pianodi riferimento, e poi
componendoli in un insieme.
Infatti ogni simbolismo «fa sistema» e sipuò realmente comprenderlo soltantonella misura in cui lo si considera nellatotalità delle sue
applicazioni particolari.
Ammesso questo, è ovvio constatare cheil simbolismo dell'ascensione rivela ilsuo significato più profondo quandoviene interpretato nella
rospettiva della più «pura» attività dellospirito. Sembra che esso liberi il suo«vero messaggio» sul piano dellametafisica e della mistica.
Si potrebbe anche dire che propriograzie ai valori espressi dall'ascensionenella vita dello spirito (elevazionedell'anima a Dio, estasi
mistica, eccetera) gli altri significati,colti sui piani del rituale, del mito,dell'onirico, della psicagogia, diventanocompletamente
intelligibili, rivelano le loro intenzionisegrete.
Infatti salire una scala o una montagna insogno, o in un sogno in stato di veglia,equivale, al livello della psicheprofonda, a un'esperienza
di «rigenerazione» (risoluzione dellacrisi, reintegrazione psichica). Comeabbiamo visto, per la metafisicamahayana l'ascensione del Buddha
avviene al Centro del Mondo e perciòsignifica il duplice trascendimento dellospazio e del tempo. Un gran numero ditradizioni fanno iniziare la
creazione del mondo da un punto
centrale (ombelico) da cui quello sisarebbe irradiato nelle quattro direzioni
cardinali; giungere al Centro del
Mondo significa dunque aver raggiuntoil «punto di partenza» del cosmo,l'«inizio del tempo», in definitiva,l'abolizione del tempo. In altri
termini, possiamo cogliere megliol'effetto rigeneratore prodotto sullapsiche profonda dalle immaginidell'ascensione e del volo perchèsappiamo
che - sui piani del rituale, dell'estasi edella metafisica l'ascensione è in grado,fra l'altro, di abolire il tempo e lo spazio
e di
«proiettare» l'uomo nell'istante miticodella creazione del mondo; quindi, difarlo in qualche modo «nascere dinuovo»
rendendolo contemporaneo
della nascita del mondo. In breve, la«rigenerazione» che avviene nelprofondo della psiche trova la sua piùcompleta spiegazione soltanto nel
momento in cui apprendiamo che leimmagini e i simboli che l'hannoprovocata esprimono nelle religioni enei mistici -
l'abolizione del tempo.
Il problema è meno semplice di quantopuò sembrare. Gli psicologi delprofondo concordano infatti neldichiarare che i dinamismidell'inconscio,
contrariamente a quanto avvienenell'esperienza cosciente, non sono rettidalle categorie dello spazio e del tempo.
Anzi, C. G. Jung afferma espressamenteche, quando si tocca la soglia deicontenuti dell'inconscio collettivo, si hal'«esperienza dell'eternità»
roprio a causa del carattere atemporaledi tale inconscio, e che appunto la
riattivazione dei suoi contenuti sfocia inuna rigenerazione totale
della vita psichica. Questo è certamentevero, ma sussiste una difficoltà: esisteinfatti una continuità fra le funzioniassolte o i messaggi
trasmessi da certi simbolismi ai livellipiù profondi dell'inconscio e isignificati che quelli rivelano sul pianodelle più
«pure» attività
dello spirito. E questa continuità èperlomeno sorprendente, poiché glipsicologi constatano generalmenteopposizione e conflitto fra i valori
dell'inconscio e del conscio e i filosofioppongono spesso lo spirito alla vitaoppure alla materia vivente.
Evidentemente, resta sempre lascappatoia di un ricorso all'ipotesimaterialistica, alla spiegazione per viadi riduzione alla «forma prima», non
importa in quale prospettiva siacollocata l'apparizione di questa «formaprima». È grande la tentazione dicercare l'«origine» di un
comportamento, di un modo d'essere, diuna categoria dello spirito, eccetera, inuna situazione antecedente, diremmoembrionale. Sappiamo quante
spiegazioni causaliste sono stateproposte dai materialisti di ogni specieper ridurre l'attività e le creazioni dellospirito a un certo
istinto, a una certa ghiandola o a un certotraumatismo infantile. Sotto certi aspettile «spiegazioni» delle realtà complessemediante la loro
riduzione a un'«origine» elementaresono istruttive, ma non costituisconopropriamente delle spiegazioni: siconstata solamente che ogni creato
ha un inizio nel tempo, cosa che nessunopensa di contestare. Ma è evidente chelo stato embrionale non spiega il modod'essere dell'adulto: un
embrione ha significato soltanto nellamisura in cui è ordinato e riferitoall'adulto. Il feto non «spiega» l'uomo,poiché il modo d'essere
specifico dell'uomo nel mondo si creaproprio nella misura in cui non possiedepiù un'esistenza fetale. Quando glipsicanalisti parlano di
regressioni psichiche allo stadio fetaleoperano un'interpolazione. Certamente,le «regressioni» sono sempre possibili,ma non significano nulla
di più che asserzioni del tipo seguente:una materia viva ritorna - con la morte -allo stadio della materia semplice;oppure: una statua può
regredire al suo stadio primo di naturabruta, se fatta a pezzi. Il problema è unaltro: a partire da quale momento unastruttura o un modo
d'essere sono effettivamente costituiti?Non è una mistificazione il trascurareciò che precede l'atto di costituzione. È
inutile voler
contrapporre una pretesademistificazione dimostrando, peresempio, che un certo valore dellospirito ha una
«preistoria» talvolta faticosa:
sarebbe come dire di un elefante che
prima è stato un feto.
Ritornando al nostro argomento, sarebbefutile spiegare la funzione dei simbolipartendo dalle loro fasi «germinali». Alcontrario, il senso
ultimo di certi simboli si manifestasoltanto nella loro «maturità», cioèquando si considera la loro funzionenelle operazioni più complesse
dello spirito. Ora, ripetiamolo, ciò ponesempre il problema del rapporto tra lasostanza, o la materia vivente, e lospirito; insomma, si sfocia
sul piano filosofico.
Non è privo d'interesse ricordare chequesto rapporto paradossale hatormentato fin dagli inizi il pensierofilosofico indù.
In Occidente la soluzione esemplare piùnota è quella data dal Vedanta, cherisolve alla radice il problema negandoalla sostanza ogni supporto
ontologico, dichiarando che essa è«illusoria» (maya).
Ma è meno conosciuta l'altra soluzione,quella proposta dal Samkhya e dalloYoga, e che potrebbe un giorno tentarequalche autore che voglia
spiegare il concetto dell'inconscio
collettivo di Jung. Il Samkhyapresuppone due principi, la Sostanza(prakrti) e lo Spirito
(purusha); quest'ultimo è sempre nellamodalità individuale: il Samkhya e loYoga respingono perciò l'identità tra lospirito individuale (atman)
e lo Spirito Universale (brahman)postulata dal Vedanta. Anche se nessunrapporto reale può esistere tra la Naturae lo Spirito, anche se la
rakrti è per il suo modo d'essere«incosciente», «cieca»; infine anche se,almeno apparentemente, imprigional'uomo nelle innumerevoli illusioni
dell'esistenza e lo fa continuamentesoffrire, la prakrti concorre in realtà allaliberazione dello Spirito (purusha).
Incapace di «comprendere»,
essa si sforza di «far comprendere» loSpirito; essa, che è condannata perdefinizione a essere condizionata, aiutalo Spirito a liberarsi, a
sfuggire al condizionamento. (Sappiamoche per Aristotele anche la materia, chein sé è inintelligibile, manifesta tuttaviaun «fine», quello di
servire la forma.) In India una copiosaletteratura è consacrata a esplicitare ilrapporto paradossale tra l'«Inconscio»
per eccellenza, la
Materia, e il «Conscio» puro, lo Spirito,che per il suo modo d'essere èatemporale, libero, non coinvolto neldivenire.
Uno dei risultati più inattesi di questosforzo filosofico è stato proprio diconstatare che, dinamizzato da unaspecie di
«istinto teleologico»,
'inconscio prakrti) imita ilcomportamento dello spirito; l'Inconsciosi comporta in modo tale che la suaattività sembra prefigurare il modo
d'essere dello spirito.
Sarebbe istruttivo considerare ilsimbolismo dell'ascensione in questaprospettiva indù: nell'attivitàdell'Inconscio (prakrti) si constatano
infatti certe «intenzioni» che offronol'ultimo messaggio soltanto sul pianodella pura Coscienza (purusha). Leimmagini del «volo» e
dell'«ascensione», così frequenti negliuniversi onirici e immaginari, diventanoperfettamente intelligibili solamente sulpiano della mistica e
della metafisica, dove esprimonochiaramente le idee di libertà e di
trascendenza. Ma, a tutti gli altri livelli«inferiori»
della vita psichica,
e stesse immagini significano sempreprocessi che nella loro finalità sonoequivalenti ad atti di «libertà» e di
«trascendenza».
***
7
OTENZA E SACRALITÀ NELLASTORIA DELLE RELIGIONI
E IEROFANIE
Quando, nel 1917, Rudolf Otto,professore all’Università di Marburgo,pubblicò la sua breve opera Das Heiligenon prevedeva di dare al pubblico
un best-seller destinato ad avererisonanza mondiale. Da allora, più diventi edizioni sono state esaurite inGermania e il volumetto, diventato
molto rapidamente celebre, è statotradotto in una diecina di lingue. Comespiegare questo successo senza
precedenti? Il merito è senza dubbio
della novità e dell'originalità dellaprospettiva adottata dall'autore. Invecedi studiare le idee di Dio e di religione,
Rudolf Otto si era
curato di analizzare le modalitàdell'esperienza religiosa. Dotato di unagrandissima finezza psicologica e fortedi una duplice preparazione di
teologo e di storico delle religioni, èriuscito a far emergere il contenuto e icaratteri specifici di tale esperienza.
Tralasciando il lato
razionale e speculativo della religione,l'autore si è concentrato soprattutto sulsuo lato irrazionale. Infatti, comericonosce esplicitamente,
Otto aveva letto Lutero e aveva
compreso ciò che significa per uncredente il «Dio vivente»: non è il Diodei filosofi, il Dio di Erasmo, per
esempio; non è un'idea, una nozioneastratta, una semplice allegoria morale.È, al contrario, una terribile potenzamanifestata nella «collera»,
nel terrore divino. E nel libro DasHeilige Rudolf Otto si sforza diillustrare i caratteri di questa esperienzaterrificante e irrazionale.
Ritrova il sentimento di terrore di fronteal sacro, a quel mysterium tremendum ea quella majestas che sprigiona unaschiacciante superiorità di
otenza; ritrova il timore religioso delmysterium fascinans in cui si manifestala perfetta pienezza dell'essere. Ottochiama "numinose" tutte
queste esperienze, perché sonoprovocate dalla rivelazione di un aspettodella potenza divina: il numinoso sidistingue come qualcosa di
«assolutamente altro» (ganz anderes), diradicalmente e totalmente diverso: nonassomiglia a nulla di umano e dicosmico; di fronte al numinoso
'uomo sente la propria profonda nullità,sente di «essere soltanto una creatura»,cioè, secondo le parole di Abramo alSignore, di essere
soltanto «cenere e polvere». Dellepenetranti analisi di Rudolf Ottoprenderemo in considerazione questa
osservazione: il sacro si manifesta
sempre come una potenza di ordineassolutamente diverso dalle forzenaturali. Seppure il linguaggio esprima
ingenuamente il tremendum o la
majestas o il mysterium fascinans contermini presi a prestito dal camponaturale o dalla vita spirituale profanadell'uomo, sappiamo che questa
terminologia analogica è dovuta appuntoall'incapacità umana di esprimere il ganz
anderes il linguaggio è costretto aindicare tutto ciò che
oltrepassa l'esperienza naturaledell'uomo con termini presi a prestito daquesta stessa esperienza.
Di conseguenza, il sacro si manifestaanche come una forza, come una potenza.Per indicare l'atto della manifestazionedel sacro abbiamo proposto
il termine ierofania. Questo termine ècomodo perché non richiede alcunaprecisazione supplementare: esprime
solamente ciò che è implicito nel
suo contenuto etimologico, cioè che
qualche cosa di sacro ci si mostra, simanifesta. Si potrebbe dire che la storiadelle religioni - dalle più
elementari alle più evolute - è costituitada un numero considerevole diierofanie, dalle manifestazioni dellerealtà sacre. Dalla ierofania più
elementare - per esempio, lamanifestazione del sacro in un oggettoqualunque, una pietra o un albero - finoalla ierofania suprema,
'incarnazione di Dio in Gesù Cristo, nonesiste soluzione di continuità. Sul pianodella struttura, l'atto misterioso èidentico: la
manifestazione di qualche cosa di«assolutamente altro» - di una realtà chenon appartiene al nostro mondo - in
oggetti che fanno parte
integrante del nostro mondo «naturale»,«profano».
'occidentale moderno prova un certodisagio davanti a molte forme dimanifestazione del sacro e gli è difficile
accettare che per certi esseri
umani il sacro possa manifestarsi inpietre o in alberi, per esempio. Ma nonbisogna dimenticare che non si tratta diuna venerazione della
ietra in se stessa, di un culto dell'alberoin se stesso; la pietra sacra, l'alberosacro non sono adorati in quanto pietra ein quanto albero,
bensì proprio perché sono ierofanie,perché «manifestano» qualcosa che nonè più pietra né albero, ma il sacro, il
«ganz anderes».
e forme e i mezzi della manifestazionedel sacro variano da un popolo all'altro,da una civiltà all'altra, ma resta sempreil fatto paradossale
- cioè inintelligibile - che il sacro simanifesta e, di conseguenza, si limita ecessa così di essere assoluto. Questo è
molto importante per la
comprensione della specificitàdell'esperienza religiosa; se ammettiamoche tutte le manifestazioni del sacro siequivalgono, che la più umile
ierofania e la più terrificante teofaniapresentano la medesima struttura etrovano la loro spiegazione nellamedesima dialettica del sacro,
comprenderemo allora che non esistediscontinuità essenziale nella vitareligiosa dell'umanità.
Analizziamo un solo esempio: laierofania che avviene in una pietra e lateofania suprema, l'incarnazione. Il
grande mistero consiste nel fatto
stesso che il sacro si manifesta; poiché,come abbiamo già visto, manifestandosiil sacro si limita e si «storicizza». Purrendendoci conto fino
a qual punto il sacro si limitimanifestandosi in una pietra, tendiamotuttavia a dimenticare che Dio stessoaccetta di limitarsi e di
storicizzarsi incarnandosi in GesùCristo. Questo è, lo ripetiamo, il grandemistero, il mysterium tremendum: il fattoche il sacro accetti di
imitarsi. Gesù Cristo parlaval'aramaico, non parlava il sanscrito né il
cinese; aveva accettato la limitazionenella vita e nella storia;
benché continuasse a essere Dio, non erapiù l'onnipotente, proprio come, su unpiano ben diverso, il sacro,
manifestandosi nella tal pietra o
nel tal albero, rinuncia a essere il tutto esi limita. Certamente vi sono grandidifferenze fra le innumerevoli ierofanie;ma non bisogna mai
dimenticare che le loro strutture e laloro dialettica sono sempre identiche.
IL MANA E LE CRATOFANIE
Accertata la comunità di struttura tral'insieme delle manifestazioni del sacro,analizziamo ora la loro potenza e il lorodinamismo. Ogni
ierofania è una cratofania, unamanifestazione di forza. La straordinariasingolarità di tale circostanza ha indottoa cercare l'origine della
religione nell'idea di una forzaimpersonale e universale chiamata(secondo il suo nome melanesiano)mana. Questa identificazione ipoteticadella
iù antica esperienza religiosa con laesperienza del mana era unageneralizzazione un poco affrettata e
scientificamente debole. Poiché il
concetto di mana è abbastanzaimportante nella storia delle religioni epoiché si continua a credere, almeno incerti ambienti, che il mana
costituisca la più pura e la più originariaesperienza umana del sacro, ènecessario insistere un poco su questoproblema.
Ricordiamo in che cosa consiste ilmana. Verso la fine del secoloQuattordicesimo il missionario ingleseCodrington aveva osservato che i
Melanesiani parlavano di una forza o diuna influenza non fisica.
Questa forza, scriveva Codrington, «è inun certo senso soprannaturale, ma sirivela nella forza corporea o in ognispecie di forza e di capacità
osseduta da un uomo. Il mana nondimora in un oggetto determinato, anchese quasi ogni oggetto può servirgli da
veicolo. Ma gli spiriti, siano
essi le anime dei morti o esserisoprannaturali, lo possiedono e possonocomunicarlo». Di conseguenza, sempre
secondo gli informatori di
Codrington, l'atto grandioso dellacreazione cosmica è stato possibile
soltanto per opera del mana delladivinità; il capo del clan possiede
anche lui il mana, gli Inglesi hannosoggiogato i Maori perché il loro manaera più forte; il ministero delmissionario cristiano possiede un
mana superiore a quello dei ritiautoctoni. Una barca è rapida soltanto sepossiede il mana, come uno sparvieroche cattura il pesce o una
freccia che ferisce mortalmente. Inbreve, tutto ciò che è per eccellenzapossiede per questo il mana; detto inaltri
termini, tutto ciò che per
'uomo possiede efficacia, creatività,perfezione.
Basandosi sul fatto che il mana puòmanifestarsi in un qualsiasi oggetto o inuna qualsiasi azione, alcuni hannosupposto che si tratti di una
forza impersonale, diffusa in tutto ilcosmo.
Questa ipotesi è stata incoraggiata dallascoperta in altre culture primitive dinozioni similari al mana. È statoosservato, per esempio, che
'orenda degli Irochesi, l'oki degliHuroni, il megbe dei Pigmei africani,eccetera, rappresentano la stessa forza
sacra espressa dal termine
melanesiano mana. Alcuni teorici hannoconcluso che la credenza nel manaprecede ogni altra forma religiosa, che ilmana esprime la fase
reanimista della religione. In effetti,l'animismo presuppone la credenzanell'esistenza di un'anima - anima deimorti, spiriti, demoni - che si
manifesta sotto diversi aspetti. Tyloridentificava l'animismo con la primafase della religione: secondo questoautore, la più antica credenza
religiosa è appunto quella che vedel'universo animato, abitato e dinamizzato
da un numero infinito di anime. Larecente scoperta dell'esistenza
di una forza impersonale, il mana, che simanifesta in quasi tutto l'universo, haindotto a concludere che il preanimismoè la prima fase della
religione.
Non è questa la sede per discuterel'origine della religione né per deciderequale è stata la più antica credenzareligiosa dell'umanità; ma
dobbiamo precisare subito che le teoriefondate sul carattere primordiale euniversale del mana sono state infirmatedalle ricerche posteriori.
Non è d'altronde senza interesseosservare che anche alla fine del secolo- quando Codrington rivelava al mondocolto il concetto di mana -
sarebbe stato possibile osservare chetale forza misteriosa non è una forzaimpersonale. Più esattamente, si sarebbepotuto osservare che per i
Melanesiani, come per tutte le altrepopolazioni arcaiche, le nozioni diimpersonale e di personale sono
completamente prive di significato.
“PERSONALE” E “IMPERSONALE”
recisiamo ora la nostra analisi.
Codrington scrive: «Se in un sasso cicolpisce la forza eccezionale chepossiede, il motivo deve essere
ricercato nel fatto che uno spiritoqualsiasi si è unito a esso.
'osso di un morto possiede il manaperché vi si trova l'anima del morto; unindividuo qualsiasi può essere in intimarelazione con uno spirito
("spirit") o con l'anima di un morto("ghost") al punto da possedere il manain se stesso e servirsene a suo talento».Il che equivale a dire che
gli oggetti e gli uomini hanno il manaperché L'hanno ricevuto da certi esseri
superiori, in altri termini perchépartecipano misticamente al
sacro e nella misura in cui vipartecipano. Codrington stesso si erapremurato di precisare: «Questa forza,anche se impersonale in se stessa, è
sempre associata a una persona che ladirige... Nessuno ha questa forza di perse stesso: tutto ciò che fa, lo fa conl'aiuto di esseri
ersonali, spiriti della natura o degliantenati». Da queste poche citazionirisulta evidente che Codrington nonintendeva il mana come una forza
ipostatizzata, indipendente dagli oggetti
e dagli esseri.
e ulteriori ricerche di Hocart, Hogbin,Williamson, Capell e altri hannoprecisato ancor più chiaramentel'essenza e la struttura del mana.
«Come potrebbe essere impersonale ilmana, se è sempre associato a esseripersonali?», si domandava ironicamenteHocart. A Guadalcanal e a
Malaita, per esempio, soltanto gli spiritie le anime dei morti possiedono ilnamana, anche se è in loro potereutilizzare
questa forza a
vantaggio dell'uomo. «Un uomo», scriveHogbin, «può lavorare sodo, ma se nonottiene l'approvazione degli spiriti cheesercitano il loro potere a
suo vantaggio, non diventerà mai ricco».
«Ogni sforzo viene compiuto in vista diassicurarsi il favore degli spiriti, sicchéil mana sia sempre disponibile. Isacrifici sono il
metodo più comune per meritare la loroapprovazione, ma si ritiene che anchecerte altre cerimonie siano loro moltogradite».
Le medesime correzioni sono statenecessarie in seguito ad analisi più
esatte delle nozioni similari, come il
wakanda e il manito dei
Sioux e degli Algonchini, per esempio.Paul Radin osserva a questo propositoche quei termini significano «sacro»,
«insolito», «importante»,
«meraviglioso», «straordinario»,«forte», ma non includono la minimaidea di «forza inerente». «Quello chepare
attirare la loro attenzione»,
scrive Radin, «è in primo luogo ilproblema dell'esistenza reale». Un altro
americanista, Raphael Karsten, osservaa sua volta: «Se un oggetto
sia concepito come dimora di un esserespirituale o soltanto come ricettacolo diuna potenza magica impersonale è unproblema totalmente
superfluo a cui l'indiano stesso nonsaprebbe molto probabilmente dare unarisposta precisa. È evidente che per luinon esiste una chiara
distinzione tra il personale el'impersonale». Di conseguenza, ilproblema deve porsi in terminiontologici: ciò che esiste, ciò che èreale da
una parte, e ciò che non esiste dall'altra,non in termini personaleimpersonale,corporeo-incorporeo, concetti che nellacoscienza dei
«primitivi» non hanno la precisione chehanno acquisito nelle culture piùevolute. Ciò che è provvisto di manaesiste sul piano ontologico,
quindi è efficace, fecondo, fertile. Nonsi può affermare di conseguenzal'«impersonalità» del mana, non avendo
questa nozione significato
nell'orizzonte spirituale arcaico.
Ma vi è di più. La nozione di mana non
si trova dappertutto, non è una nozioneuniversalmente conosciuta nella storiadelle religioni. Il mana
non è neppure un concetto pan-melanesiano, perché è sconosciuto innumerose isole della Melanesia. Equesto
obbliga Hogbin a concludere: «Il
mana... non è affatto universale e, diconseguenza, servirsene come di unabase sulla quale costruire una teoriagenerale della religione
rimitiva è non solamente erroneo maanche aberrante».
Che cosa potremmo concludere da tuttequeste nuove osservazioni e dalleanalisi intraprese da etnologi di provataesperienza? La caduta di tante
ipotesi ci consiglia la prudenza. Ciaccontenteremo di affermare che pressoi «primitivi», come presso i moderni, ilsacro si manifesta sotto una
molteplicità di forme e di varianti, e chea tutte queste ierofanie viene attribuitoun contenuto di potenza. Il sacro è forte,potente perché è
reale, efficace e duraturo. L'opposizionesacro-profano equivale spessoall'opposizione tra il reale e l'irreale olo pseudoreale. Potenza vuol
dire a un tempo realtà, perennità edefficacia, ma è necessario sempre tenerepresente che il sacro si manifesta sottomodalità molteplici, a
ivelli diversi.
Abbiamo appena visto che il mana puòimpregnare un qualunque oggetto e unaqualunque azione, ma che la forza
magico-religiosa che esso indica
deriva da fonti molteplici: anime deimorti, spiriti della natura, dèi. E questoequivale a dire che i Melanesianiaffermano implicitamente
arecchie modalità del sacro: dèi, spiriti,
anime dei morti, eccetera. Ce lo mostrauna semplice analisi di alcuni fra gliesempi citati. Ma la
vita religiosa dei Melanesiani non siriduce alla credenza del mana conferitoda dèi o da spiriti. Esistono anche
mitologie, cosmogonie, rituali
complessi e anche teologie, cioèesistono diverse modalità del sacro acui corrispondono diverse potenzemagico-
religiose. È normale che la
otenza manifestata da una barcaprovvista del mana sia di una qualità
ben diversa dalla potenza che emana daun
simbolo, da un mito o da una
figura divina. La potenza del mana simanifesta direttamente: la si vede, la sisente, la si può verificare nei varioggetti o in una determinata
azione efficace. La potenza di un essereceleste e creatore - tali esseri sonoattestati un po' ovunque nella Melanesia- è sentita soltanto
indirettamente; il melanesiano nonignora che il Creatore ha dovutodisporre di una grande potenza per fareil mondo, ma non sente più
immediatamente sotto i sensi questapotenza. Di conseguenza, questi essericreatori non hanno quasi più culto. Sonodiventati dèi passivi,
ontani; si vedrà fra poco l'importanza diquesto fenomeno per la storia dellereligioni.
Esiste dunque una differenza di livellofra le molteplici manifestazioni delsacro: alcune ierofanie saltano agliocchi; altre, per la loro
stessa struttura, sono più scialbe, piùdiscrete; alcune ierofanie hanno unafrequenza tale da non poter essere
registrate, certe altre sono
molto più rare. Questa constatazione èimportante perché ci permette dicomprendere il vizio fondamentale che
soggiace a una considerazione
erronea della vita religiosa dellepopolazioni «primitive», quale puòessere quella di lasciarsi impressionaredalla veemenza e dalla frequenza
di certe ierofanie. Osservando che iMelanesiani credono in un'infinità dioggetti e di azioni investiti del mana, siè concluso che la loro
religione si limita alla credenzaesclusiva in questa forza sacra emisteriosa. Ma altri numerosi aspetti
della loro vita religiosa passavano
inosservati.
VARIETÀ DELL'ESPERIENZARELIGIOSA
Un simile errore di prospettiva attendeal varco le ricerche di etnologiareligiosa, e si comprende facilmenteperché. La prospettiva adottata
nell'osservazione di un fenomenoconcorre considerevolmente a dar formaal fenomeno stesso. È la scala che creail fenomeno, come afferma un
rincipio della scienza moderna. Lascala, cioè la prospettiva. Henri
Poincaré si chiedeva: «Un naturalistache abbia sempre studiato l'elefante
soltanto al microscopio può credere diconoscere sufficientemente questoanimale?». Ecco un esempio che illustrain maniera chiarissima quello
che abbiamo appena detto. Un vecchio«Indian Civil Service», J. Abbott, hapubblicato un grosso volume di più dicinquecento pagine, in cui si
sforza di dimostrare che tutti i riti e lecredenze indù implicano l'idea di unapotenza, di una forza magico-religiosa.
Questo era ben noto, e
da molto tempo; ma non era altrettantonoto il numero infinito di cose e diesseri, di gesti, di azioni, di segni e diidee che per gli indù
ossono incarnare la potenza. Infatti,giunti al termine del libro, si è incapacidi dire ciò che per gli indù può nonpossedere una qualche
otenza. Con una ammirevolemeticolosità Abbott ci mostra comel'uomo e la donna, al pari del ferro e deimetalli, del firmamento, delle pietre,
dei colori, della vegetazione, dei diversigesti o segni, delle diverse partidell'anno, del mese e della settimana,del giorno e della notte, e
così via, siano agli occhi degli indù,investiti di potenza.
Ma dopo aver letto il libro di Abbott siè in diritto di concludere che la vitareligiosa di certe popolazioni dell'Indiamoderna si limita alla
credenza in una forza sacra chiamatasakti o kudrat, o barkat, o pir, o parva, obalist, eccetera? Certamente no! Afianco di questa credenza vi
sono altri elementi che insiemecontribuiscono a fare una religione: visono dèi, simboli, miti, idee morali eteologiche, eccetera. L'autore
stesso ce ne parla di quando in quando,
ma aggiunge che tutti questi dèi, miti,simboli, eccetera, sono venerati inquanto sono investiti di
otenza. Questo è certamente vero: ma diquale potenza si tratta? È certamentelecito credere che la "sakti" o il
"barkat" di un dolce o di un
frutto zuccherino non abbia lo stessovigore - né forse la stessa qualità - dellapotenza ottenuta con l'ascesi, con ladevozione ai grandi dèi,
con la contemplazione mistica.
er meglio cogliere i dati del problemaesaminiamo la vita religiosa di un
villaggio europeo. Troviamo senzadubbio un numero considerevole di
credenze nella potenza sacra di certiluoghi, di certi alberi e di certe piante,un grandissimo numero di superstizioni(concernenti il tempo, i
numeri, i segni, gli esseri demoniaci, lavita dell'oltretomba, eccetera), unamitologia appena travestita sotto lavernice di una agiografia o
di una cosmologia metà biblica, metàpagana, eccetera. Si è in diritto diconcludere che questa massa di credenzee di superstizioni costituisca
da sola la religione di un villaggio
europeo? Certamente no. Infatti a fiancodi queste credenze e superstizioni visono anche una vita e una
coscienza cristiane. Può avvenire che -almeno in certi luoghi - la credenza neisanti si manifesti con una intensità e unafrequenza superiori
alla credenza in Dio e in Gesù Cristo;ma rimane pur sempre il fatto che questafede, specificamente cristiana, esiste; eanche se non è sempre
attiva, non scompare maicompletamente.
Questi due esempi - la ricerca di Abbottfra i contadini indù e la nostra presunta
ricerca in un villaggio europeo - ciindicano come debba
essere posto il problema del sacro edella potenza nella storia delle religioni.Certamente, il sacro si manifesta semprecome una forza, ma vi
sono grandi differenze di livello e difrequenza tra queste manifestazioni. Èfutile dire che i «primitivi» sonoincapaci di concepire cose che
non siano le manifestazioni elementari edirette, immediate, della forza sacra. Alcontrario, si rendono ben conto che, peresempio, il pensiero
stesso può essere una considerevole
fonte di energia. Numerose popolazioni«primitive» credono che gli dèi abbianocreato il mondo ex nihilo,
unicamente con il pensiero, cioèconcentrandosi. Tutti gli dèi celesti dei«primitivi» possiedono attributi eprerogative che denotano la loro
intelligenza, la loro scienza, la loro«saggezza». Il dio celeste vede tutto e,di conseguenza, sa tutto: questa scienzadi ordine soprannaturale
è in se stessa una forza. Iho (Io), DioSupremo dei Polinesiani, è eterno edonnisciente; è grande e forte, l'origine ditutte le cose, la fonte
di ogni conoscenza sacra e occulta,eccetera. Avviene lo stesso nellereligioni più evolute: l'intelligenza,l'onniscienza, la saggezza, sono non
soltanto attributi della divinità celeste,ma anche potenze, e l'uomo è obbligato atenerne conto. Varuna «conosce la rottadegli uccelli che
volano nell'aria... conosce la direzionedel vento... e lui, che sa tutto, spia tutti isegreti, tutte le azioni e le intenzioni...».«Egli ha
contato persino i battiti delle ciglia degliuomini...». Veramente Varuna è un diopotente, un grande mago, e gli uominitremano davanti a lui.
Ahura Mazda («Signore Sapiente») èonnisciente: è, ci dicono i testi, «coluiche conosce», «colui che non siinganna»,
«colui che sa»; «è
infallibile, dotato di un'intelligenzainfallibile, onnisciente».
IL DESTINO DELL'ESSERESUPREMO
Questi pochi esempi mettono in evidenzache né le religioni cosiddette«primitive» né quelle designate come
politeistiche ignorano l'idea di un
dio creatore, onnisciente e onnipotente.Basta però considerare il fenomeno unpoco più da vicino per rendersi contoche simili Dèi Supremi non
godono quasi di attualità religiosa.Lasciamo da parte Ahura Mazda(Ormuzd), che deve la sua straordinariavitalità
religiosa alla riforma di
Zarathustra, e anche Varuna, che è un dioabbastanza complesso. Occupiamoci perora degli Dèi Supremi dei
«primitivi»: essi sono sprovvisti di
culto; sono considerati come dèi lontani
e, di conseguenza, passivi e indifferenti,veri dii otiosi. I «primitivi» sonoabbastanza bene informati
sulla potenza originaria di questi EsseriSupremi: sanno, per esempio, che sonoessi che hanno creato il mondo, la vita el'uomo. Ma, secondo i
oro miti, poco tempo dopo questi EsseriSupremi e creatori hanno abbandonato laterra per ritirarsi nel cielo più alto,facendosi rappresentare
dai propri figli o messaggeri, o daun'altra divinità che è loro subordinata eche continua in qualche modo aoccuparsi della creazione, a
erfezionarla o a conservarla.
Ritiratosi nel cielo, Ndyambi, il DioSupremo degli Herero, ha abbandonatol'umanità a divinità inferiori. «Perchédovremmo offrirgli
sacrifici?», dice un indigeno, «nondobbiamo temerlo perché, al contrariodei nostri morti (okakurus), non ci faalcun male».
'Essere Supremo dei Tumbuka è troppogrande «per interessarsi agli affariordinari degli uomini». La lontananza eil disinteresse dell'Essere
Supremo sono mirabilmente espressi inun canto dei Fang dell'Africa
equatoriale:.
«Dio (Nzame) è in alto, l'uomo è inbasso.
Dio è Dio, l'uomo è l'uomo.
Ciascuno a sé, ciascuno in casa sua». .
È inutile moltiplicare gli esempi. In tuttele religioni «primitive» l'EssereSupremo celeste ha perso l'attualitàreligiosa: si è allontanato
dagli uomini. Tuttavia ci si ricorda di luie lo si implora in ultima istanza, quandotutti i tentativi fatti presso altri dèi e dee,demoni e
antenati non hanno avuto buon esito.Dzingbe (il «Padre Universale»),l'Essere Supremo degli Ewe, è invocatosoltanto durante la siccità: «O
cielo a cui dobbiamo la nostrariconoscenza, grande è la siccità; fa' chepiova, che la terra si rinfreschi e cheprosperino i campi!». I Selknam
della Terra del Fuoco chiamano il loroEssere Supremo «Abitante del cielo»oppure «Colui che è nel cielo»: non haimmagini né sacerdote. Ma gli
vengono presentate offerte durante leintemperie e rivolte preghiere in caso dimalattia: «Tu che sei in alto, nonprendermi il mio bambino: è
ancora troppo piccolo!».
Durante le tempeste i Pigmei Semang sigraffiano i polpacci con un coltello dibambù e gettano goccioline di sangue intutte le direzioni
gridando: «Ta Pedn! non sono ostinato,io pago il mio errore! Accetta il miodebito, lo pago!». Quando l'aiuto di altridèi e dee si è dimostrato
inutile, gli Oraon si rivolgono al loroEssere Supremo, Dharmesh: «Abbiamotentato tutto, ma abbiamo ancora te persoccorrerci!»; e gli
sacrificano un gallo bianco gridando:«O Dio! tu sei il nostro creatore! Abbi
pietà di noi!». Sottolineiamo questofatto: gli Esseri Supremi
erdono progressivamente la loroattualità religiosa e al loro postosubentrano altre figure divine, più vicineall'uomo, più «concrete» e più
«dinamiche»: dèi solari, Grandi Dee,antenati mitici, eccetera.
in caso di necessità estrema, quandotutto è stato tentato invano, e soprattuttoin caso di calamità che proviene dalcielo - siccità, tempesta,
epidemia - si invoca e si imploral'Essere Supremo. Questo atteggiamentonon è esclusivo delle popolazioni
«primitive». Ricordiamo ciò che
accadeva presso gli antichi Ebrei: ognivolta che vivevano un'epoca di pace e direlativa prosperità economica gli Ebrei
si allontanavano da
Jahvè e si accostavano ai Baal e alleAstarti dei loro vicini; soltanto lecatastrofi storiche li rimettevano sullaretta via riconducendo di
forza i loro sguardi verso il vero Dio.«Ogni volta essi gridavano a Jahvè:"Abbiamo peccato, perché abbiamoabbandonato Jahvè e abbiamo servito
i Baal e le Astarti! Orsù, liberaci dalle
mani dei nostri nemici e serviremo te”».Gli Ebrei si rivolgevano a Jahvè inseguito a catastrofi
storiche e quando la storia minacciavadi annientarli (i grandi imperi militari); i«primitivi» si ricordano dei loro EsseriSupremi nei casi di
catastrofi cosmiche, ma il senso diquesto ritorno all'Essere Supremo è lostesso per gli uni come per gli altri: inuna situazione estremamente
critica, in una situazione limite, quandoè in pericolo l'esistenza stessa dellacollettività, si abbandonano le divinitàche assicurano ed
esaltano la vita in tempi normali, perritornare all'Essere Supremo. Questo èapparentemente un grande paradosso: ledivinità che presso i
«primitivi» sono subentrate agli EsseriSupremi sono - proprio come i Baal e leAstarti presso gli Ebrei - divinità dellafecondità,
dell'opulenza, della pienezza vitale; inbreve, divinità che esaltano e dilatano lavita, sia la vita cosmica - vegetazione,agricoltura, armenti
- sia la vita umana.
In apparenza, queste divinità erano forti,potenti. La loro attualità religiosa si
spiegava proprio grazie alla loro forza,alle loro riserve
vitali illimitate, alla loro fecondità. Etuttavia i loro adoratori - sia i«primitivi» sia gli Ebrei - sentivano chetutte queste Grandi Dee,
tutti questi dèi solari o agricoli e tuttiquesti antenati e demoni erano incapacidi salvarli, cioè di assicurare lorol'esistenza in momenti
realmente critici; questi dèi e queste deepotevano soltanto riprodurre la vita esvilupparla; e, ciò che più conta,potevano svolgere tale
funzione soltanto in epoche «normali»;
in breve, erano divinità che guidavanomirabilmente i ritmi cosmici, ma che sidimostravano incapaci di
salvare il cosmo o la società umana inun momento di crisi (crisi «storica» pergli Ebrei).
Come spiegare questo fenomeno? Lovedremo subito: le diverse divinità chesono subentrate agli Esseri Supremi
hanno accumulato su di sé le
otenze più CONCRETE e più vistose, lepotenze della vita; ma per questo fattostesso si sono «specializzate» nellaPROCREAZIONE e hanno perso le
otenze più elette, più «nobili», più«spirituali» degli DEI CREATORI.Tutto il dramma della cosiddetta«degenerazione religiosa» dell'umanità
consiste nel fenomeno checommenteremo più avanti: scoprendo lasacralità della vita, l'uomo si è lasciato
progressivamente trascinare dalla
ropria scoperta, si è abbandonato alleierofanie vitali, alle gioie chel'esperienza immediata della vita gliprocurava, e si è allontanato
dalla sacralità che superava i suoibisogni immediati e quotidiani. La prima«caduta» dell'uomo - in attesa della
caduta nella storia che
caratterizza l'umanità moderna - è statauna caduta nella vita: l'uomo si erainebriato scoprendo le potenze e lasacralità della vita.
GLI “DÈI FORTI”
È necessario ricordare sempre che èstata la sacralità della vita, prima ditutto le potenze magico-religiose dellafecondità universale, ad
allontanare gli Esseri Supremi dal cultoe dall'attualità religiosa; non la vita in sestessa come l'intendiamo noi occidentalidel secolo
Ventesimo. E vi è un fatto, stranosoltanto in apparenza: quanto piùl'umanità si evolve, perfeziona i proprimezzi di sussistenza e scopre la
civiltà, tanto più la sua vita religiosaviene sollecitata da figure divine cheriflettono nelle loro stesse epifanie ilmistero della
rocreazione e della fertilità universale.Gli Esseri Supremi uranici, attestatipresso quasi tutti i «primitivi», sonostati
pressoché
dimenticati nelle società più evolute.Soprattutto la scoperta dell'agricoltura
introduce un cambiamento radicale nellagerarchia divina:
emergono in primo piano le Grandi Dee,le Dee Madri e i loro sposi, i GrandiMaschi. Citeremo fra poco alcuniesempi.
Ma, lo ripetiamo, non
bisogna interpretare questi fatti in unaprospettiva occidentale, cioèmaterialistica: non le scoperte tecnichein quanto tali, bensì i loro
significati magico-religiosi hannocambiato le prospettive e il contenutodella vita religiosa delle societàtradizionali.
Non bisogna credere
che l'agricoltura in quanto tecnica abbiapotuto avere ripercussioni sull'orizzontespirituale dell'umanità arcaica. In taleorizzonte non esiste
infatti separazione fra l'utensile,l'oggetto reale, concreto, e il simboloche lo valorizza, fra la tecnica el'operazione magico-religiosa che
quella implica. Non dimentichiamo chela vanga o l'aratro primitivisimboleggiano il fallo, e la gleba lamatrice tellurica; l'atto agricolo era
assimilato all'atto generatore; innumerose lingue austroasiatiche la vanga
ha ancor oggi lo stesso nome del fallo.La gleba rappresentava la
Terra Madre, i semi il semen virile, e lapioggia lo ieròs gamos tra il cielo e laterra. In breve, tutte le modificazioni chea noi paiono
cambiamenti dovuti all'evoluzione dellatecnica sono, per le società tradizionali,cambiamenti di prospettiva in ununiverso magico-religioso:
certe sacralità sono sostituite da certealtre più potenti, più immediatamenteaccessibili.
Questo fenomeno è universale;l'abbiamo studiato nel nostro "Trattato di
storia delle religioni”, dove abbiamodimostrato come gli antichi dèi
del cielo siano stati ovunque scacciatida dèi più dinamici, dagli dèi solari odagli dèi della tempesta e dellafecondità.
L'antico dio celeste
indoariano Dyaus compare moltoraramente nei "Veda"; già in epocalontana è stato sostituito da Varuna e daParjanya, dio dell'uragano.
Quest'ultimo cede poi il posto a Indra,che diventa il più popolare fra gli dèivedici perché accumula in sé tutte leforze e tutte le fertilità.
Indra incarna l'esuberanza della vita,dell'energia cosmica e biologica: dàlibero corso alle acque e apre le nuvole;fa circolare la linfa e il
sangue, comanda tutte le umidità,assicura tutte le fecondità. I testi lochiamano il dio «dai mille testicoli», «ilsignore del campo», il «toro
della terra», il fecondatore dei campi,degli animali e delle donne. Tutte leattribuzioni e prerogative di Indra sonocollegate e le sfere che
controlla si corrispondono. I fulmini checolpiscono Vrtra e liberano le acque, latempesta che precede la pioggia, lebevute favolose di soma,
a fertilizzazione dei campi, le suecapacità sessuali gigantesche, sonoaltrettante epifanie della forza vitale. Ilpiù piccolo dei suoi gesti
scaturisce da una pienezza eccezionale,anche la sua iattanza e la sua vanteria. Ilmito di Indra esprime mirabilmentel'unità profonda che
esiste fra tutte le manifestazioni assolutedella vita. Ecco un altro esempio. Unodei più antichi dèi mesopotamici eraAnu, il cui nome
significa «Cielo», che compare moltoprima del Quarto millennio. Ma in epocastorica Anu è diventato un dio in uncerto senso astratto e il suo
culto sopravviveva a malapena. Al suoposto era subentrato il figlio Enlil (oBel), dio dell'uragano e della fecondità,sposo della Grande Madre:
questa, chiamata anche la Grande Vacca,era generalmente invocata sotto il nomedi Beltu o Belit, «Signora». Infatti,soprattutto in Mesopotamia
e nel Medio Oriente, la sostituzionedegli dèi celesti e creatori con gli dèi«forti» e «fecondatori» si accompagna aun altro fenomeno
ugualmente importante: il dio dellafertilità diventa lo sposo di una GrandeDea, di una Magna Mater agricola; non èpiù autonomo e onnipotente
come gli antichi dèi uranici, ma è ridottoalla condizione di un membro dellacoppia divina. La cosmogonia - attributoessenziale degli antichi
dèi celesti - è ora sostituita dallaierogamia: il dio fecondatore non creapiù il mondo, ma si limita a renderlofecondo.
Anzi, in certe culture
il dio maschio, fecondatore, è ridotto auna funzione abbastanza modesta: lafecondità del mondo è assicurata dallasola Grande Dea; in seguito
o sposo lascia il posto al figlio che èanche l'amante della madre: sono gli dèi
ben noti della vegetazione, qualiTammuz, Attis, Adone,
caratterizzati dal fatto che muoiono erisuscitano periodicamente.
a destituzione del dio celeste a favore diun dio forte è messa bene in risaltoanche dal mito di Urano. Evidentementequesto mito riflette una
quantità di altre trasformazioni che sonoavvenute nel pantheon greco e che nonpossiamo ora trattare. Ma è
importante constatare che Urano - il
cui nome significa «Cielo", e che con lapropria sposa Gaia aveva creato gli altri
dèi, i Ciclopi e numerosi esserimostruosi - fu castrato da
uno dei propri figli, Kronos. Lacastrazione di Urano è un'immaginemitica dell'impotenza, e quindi dellapassività di questo antico dio celeste.
Il suo posto è stato occupato da Zeus,che assommava gli attributi del DioSovrano e del dio della tempesta.
Alcuni dèi celesti sono riusciti aconservare la loro attualità religiosarivelandosi come Dèi Sovrani; hannocioè rafforzato i loro poteri con
rerogative magico-religiose di ordinediverso; infatti la sovranità costituisce
una fonte di potenza sacra in grado dimantenere la supremazia
assoluta in un pantheon. È il caso diZeus, di Giove, del cinese T'ien, del diodei Mongoli. L'idea della sovranità siritrova anche in Ahura
Mazda, beneficiario della rivoluzionereligiosa di Zarathustra che lo hainnalzato al di sopra di tutti gli altri dèi.
Si può dire che anche Jahvè comprendegli elementi di un Dio Sovrano, ma lapersonalità di Jahvè è molto più
complessa; dovremo riparlarne fra
oco. Per ora ci limitiamo a sottolineare
che la rivoluzione monoteistica,profetica e messianica degli Ebrei(come d'altronde quella di
Maometto) era rivolta contro i Baal e leBelit, contro gli dèi della tempesta edella fecondità, contro le GrandiDivinità maschili e le Grandi
Dee. Agli dèi forti e dinamici, ai «tori»,ai «fecondatori», ai compagni dellaGrande Madre - divinità orgiastiche chesi rivelano agli uomini in
epifanie violente, che hanno unamitologia ricca e drammatica -, ai Baale alle Astarti a cui è offerto un cultoopulento e sanguinoso (sacrifici
di ogni genere, orge, eccetera) si opponeda solo Jahvè, che assomma gli attributidell'Essere Supremo dei «primitivi»
(è creatore, onnisciente e
onnipotente), ma che dispone inoltre diun potere e di un'attualità religiosa diben diverso ordine. A differenza deiBaal e delle Belit, su
Jahvè non esistono miti numerosi emolteplici; il suo culto non è complicatoné orgiastico; gli ripugnano i sacrificicruenti e i rituali
complessi. Chiede al fedele uncomportamento religioso ben diverso daquello che esige il culto dei Baal e delle
Astarti.
Ascoltiamo le parole di Jahvè riferite daIsaia: «Perché mi offrite tanti sacrifici?,dice Jahvè. Sono sazio degli olocausti diarieti e del
grasso di giovenchi; il sangue di tori e diagnelli e di capri io non gradisco...Smettetela di presentare offerte inutili;l'incenso è un
abominio per me; novilunio, sabato,assemblea sacra: io non sopporto piùdelitto e solennità... Le vostre mani
grondano sangue.
avatevi, purificatevi,... smettetela di
agire male. Imparate a fare il bene;ricercate la giustizia, soccorretel'oppresso, rendete giustizia
all'orfano, difendete la causa dellavedova». A noi, eredi e beneficiari dellagrande rivoluzione religiosa giudeo-cristiana, le ingiunzioni di
Jahvè sembrano di un buon sensoevidente, e ci domandiamo come gliEbrei contemporanei di Isaia abbianopotuto
preferire il culto del dio maschio
e fecondatore a quello, infinitamente piùpuro e più semplice, di Jahvè. Ma nonbisogna dimenticare che queste
epifanie elementari della vita,
che hanno costantemente attirato gliEbrei, costituivano vere esperienzereligiose. Il paganesimo, a cui gli Ebreiritornavano periodicamente,
rappresentava la vita religiosa di tuttol'Oriente antico: era una religionegrande e molto antica, dominata dalleierofanie cosmiche, e che
esaltava di conseguenza la sacralitàdella vita. Questa religione, le cui radicipenetrano profondamente nella
protostoria dell'Oriente,
rifletteva la scoperta della sacralità
della vita, la presa di coscienza dellasolidarietà che unisce il cosmo all'uomoe a Dio. I sacrifici
frequenti e cruenti, che disgustano Jahvèe che i profeti non cessano dicombattere, assicurano la circolazione
dell'energia sacra fra le diverse
regioni del cosmo; grazie a questocircuito la vita totale riesce aconservarsi. Anche l'odioso sacrificio dibambini offerto a Moloch aveva un
senso profondamente religioso. Conesso si rendeva alla divinità ciò che leapparteneva, poiché il primo figlio eraspesso considerato figlio del
dio; infatti in tutto l'Oriente arcaico lefanciulle trascorrevano solitamente unanotte nel tempio, dove concepivano peropera del dio (cioè del
suo rappresentante, il sacerdote, o delsuo inviato, lo «straniero»).
Sicché il sangue del bimbo accresceval'energia impoverita del dio, poiché lecosiddette divinità della fertilitàesaurivano la loro sostanza
nello sforzo di conservare il mondo eassicurare la sua opulenza; anch'esseavevano quindi bisogno di essere
periodicamente rigenerate. Il culto
di Jahvè respinge tutti questi ritualicruenti che pretendevano di assicurarela continuazione della vita e dellafecondità cosmiche. La potenza
di Jahvè è di ordine completamentediverso: non ha bisogno di essereperiodicamente rafforzata. La semplicitàdel culto, tratto caratteristico
del monoteismo e del profetismogiudaici, corrisponde indicativamentealla semplicità originaria del culto degliEsseri Supremi presso i
«primitivi». Come abbiamo già detto,questo culto è quasi scomparso, masappiamo in che cosa consisteva:offerte, primizie e preghiere rivolte
agli Esseri Supremi. Il monoteismogiudaico ritorna a tale semplicità dimezzi cultuali. Inoltre, il mosaismo ponel'accento sulla fede, cioè su
un'esperienza religiosa che implica unainteriorizzazione del culto; in ciòconsiste la sua più grande novità. Sipotrebbe affermare che la
scoperta della fede come categoriareligiosa è l'unica novità apportata dallastoria delle religioni dopo il neolitico.
Osserviamo che Jahvè
continua ad essere un Dio forte,onnipotente e onnisciente; ma, anche se ècapace di manifestare la sua potenza e la
sua saggezza nei grandi
avvenimenti cosmici, preferiscerivolgersi direttamente agli uomini, siinteressa alla loro vita spirituale. Lepotenze religiose mosse da Jahvè
sono potenze spirituali. Questocambiamento della prospettiva religiosaè molto importante e bisogneràriparlarne.
RELIGIONI INDIANE DELLA“POTENZA”.
er ora occupiamoci di una religione incui i miti, i riti e le filosofie dellapotenza sacra hanno raggiuntoproporzioni prima sconosciute.
Intendiamo cioè parlare dell'India e diquel grande movimento religioso checomprende il saktismo, il tantrismo e idiversi culti della Grande
Dea. È estremamente difficile presentarein breve questo complesso religioso;ricordiamo soltanto alcuni fatti
essenziali. Il tantrismo può
essere considerato l'esperienza religiosapiù appropriata all'attuale condizioneumana, che è quella del kali-yuga, l'etàdelle tenebre. Partendo
dal presupposto che in tale epoca lospirito è eccessivamente condizionatodalla carne, il tantrismo offre i mezzi
adeguati a ottenere la
iberazione. Secondo il kali-yuga è infattivano perseguire la liberazione con imezzi utilizzati nei tempi antichi dei"Veda"
e delle Upanishad.
oiché l'umanità è decaduta, occorrerisalire la corrente partendodall'«occultamento» stesso dello spiritonella carne.
Per tale motivo il
tantrismo rinuncia all'ascetismo e allacontemplazione pura e ricorre ad altretecniche per padroneggiare il mondo e,
infine, raggiungere la
iberazione. Il tantrika non rinuncia più almondo come il saggio delle Upanishad,lo yogi o il Buddha, si sforza invece di
conquistarlo e di
dominarlo, pur godendo di una libertàperfetta.
Qual è il fondamento teorico di tutte lescuole tantriche? Secondo il tantrismo, ilmondo è creato e retto da due principipolari, Siva e Sakti.
Siva rappresenta la passività assoluta,l'immobilità dello Spirito, mentre ilmovimento e perciò la creazione e la
vita a tutti i livelli cosmici
sono frutti della manifestazione dellaSakti. La liberazione può essere ottenutasoltanto dall'unione di questi dueprincipi nel corpo stesso del
tantrika. Precisiamo: nel suo CORPO, enon soltanto nella sua esperienza psico-mentale. Senza entrare nei particolari,ricordiamo che per il
tantrismo la funzione prevalente è svoltadalla Sakti, che si manifesta nellemolteplici forme della Grande Dea mache è attiva anche nella
donna. È la Sakti, la Forza Universale,che crea continuamente il mondo. E
poiché facciamo parte di questo mondoe siamo suoi prigionieri, la
iberazione può venire soltanto da Coleiche genera, nutre e sostiene il mondo, laSakti. I testi insistono costantemente suquesto punto. «Sakti
è la radice di ogni esistenza; è Lei ilprincipio da cui gli universi si sonomanifestati, Lei li sostiene e, alla finedei tempi, in Lei i mondi
si riassorbiranno». Un altro testo laesalta così: «Soltanto grazie al tuopotere Brahma crea, Vishnu conserva e,alla fine dei tempi, Siva
distruggerà l'universo. Senza di te, essi
sono impotenti a compiere la loromissione perché tu sei la vera creatrice,la conservatrice e la
distruttrice del mondo». «Tu, o Devi»,dice Siva alla dea, nel MahaniruanaTantra, «tu sei il mio vero me stesso!».La concezione della forza
cosmica personificata in una GrandeDea non è originaria del tantrismo.L'India preariana, e l'India popolare chela prolunga, conoscono fin dal
neolitico il culto della "Magna Mater"nelle sue varie forme e nei suoi varinomi e miti. I culti indiani della GrandeDea sono analoghi a tutti
gli altri culti della fecondità praticati nelMedio Oriente antico. Il tantrismo nonha soltanto assimilato una grande partedella mitologia e
del rituale della Grande Madre ma li hareinterpretati e sistematizzati e,soprattutto, ha trasformato questa ereditàimmemoriale in una tecnica
mistica della liberazione. Il tantrismo siè sforzato di ritrovare nel corpo e nellapsiche stessa la forza cosmicapersonalizzata nella Grande
Dea. Il processo tantrico per eccellenzaconsiste nel risvegliare questa forza,identificata nella kundalini, e nel farlarisalire, dal basso
tronco dove si trova addormentata, finoal cervello per riunirla con Siva. Il«risveglio» della kundalini si manifestacon una sensazione di
vivissimo calore, questo fatto meritatutta la nostra attenzione; infatti uno deimiti più popolari dell'India ci narracome la Grande Dea abbia
avuto origine dall'energia ignea di tuttigli dèi. Poiché un demone mostruoso,Mahisha, minacciava l'universo e
l'esistenza stessa degli dèi,
Brahma e tutto il pantheon cercaronoaiuto presso Vishnu e Siva. Infiammatidi collera, tutti gli dèi unirono insieme
le loro energie, che
resero la forma di un fuoco che uscivadalle loro bocche. Unendosi, questifuochi formarono una nuvola di fuoco,che prese infine la forma di
una dea con diciotto braccia. Fu questadea, la Sakti, che riuscì a distruggere ilmostro Mahisha, e perciò salvò ilmondo. Come osserva Heinrich
Zimmer, gli dèi «avevano restituito leloro energie alla Sakti, la Forza Unica,la fonte donde tutto è scaturito all'inizio.Il risultato fu una
grande restaurazione dello statoprimitivo della potenza universale».
IL “CALORE MAGICO”
Tuttavia non è stato sottolineatosufficientemente il fatto che le «potenze»degli dèi, accresciute dalla collera, simanifestarono sotto forma
di fiamme. Sul piano della fisiologiamistica, il calore e il fuoco indicano ilrisveglio di una potenza magico-religiosa; nello Yoga e nel
tantrismo questi fenomeni sonoabbastanza comuni. Come abbiamodetto, il risveglio della kundalini èaccompagnato dalla sensazione di uncalore
estremamente intenso; la progressione
della kundalini attraverso il corpo delloyogi si manifesta con l'inerzia e il gelocadaverici della parte
inferiore, mentre la parte attraversatadalla kundalini scotta. Altri testi tantriciprecisano che questo «calore magico» èottenuto con la
«trasmutazione» dell'energia sessuale.Queste tecniche non sono un'innovazionedel tantrismo. La "Majjhima Nikaya"
allude al «calore» che si
ottiene con la ritenzione del respiro;altri testi buddistici assicurano che ilBuddha è «bruciante». Il Buddha è
«bruciante» perché pratica
'ascesi, il tapas.
Il significato originario di questotermine era appunto «calore intenso»,ma tapas ha finito col designare losforzo ascetico in generale. Il
tapas è attestato già nel Rig Veda; i suoipoteri sono creatori sia sul pianospirituale sia sul piano cosmico: permezzo del tapas l'asceta
diventa chiaroveggente e puòincorporarsi gli dèi. Anche il diocosmico Prajapati crea il mondo«riscaldandosi»
intensissimamente per mezzo
dell'ascesi; lo crea infatti per mezzo diun sudore magico, proprio come certidèi nelle cosmogonie delle tribù
nordamericane.
Tocchiamo qui un problemaestremamente importante non soltantoper le religioni indiane ma per la storiagenerale delle religioni: l'eccesso
della potenza, la forza magico-religiosa, è sperimentata come un caloreintensissimo. Non si tratta più dei miti edei simboli della potenza, ma
di un'esperienza che modifica la
fisiologia stessa dell'asceta. Abbiamoottime ragioni per credere che taleesperienza sia stata conosciuta dai
mistici e dagli stregoni dei tempi piùantichi. Un grande numero di tribù«primitive» si rappresenta il poteremagico-religioso come «bruciante»
e lo esprime con termini che significano«calore», «bruciore», «molto caldo»,eccetera. Proprio per questa ragione glistregoni e i maghi
«primitivi» bevono acqua salata opepata e mangiano piante molto piccanti:vogliono così aumentare il loro «calore»
interiore. Nell'India moderna
i musulmani credono che un uomo incomunicazione con Dio diventi«bruciante». Chiunque operi miracoli èchiamato
«bollente». Per estensione,
tutte le persone e le azioni che implicanoun qualsivoglia «potere» magico-religioso sono considerate «brucianti».
Bisogna anche ricordare che
gli sciamani e i maghi sono sempreritenuti «signori del fuoco»: mangianocarboni accesi, toccano ferroincandescente, camminano sul fuoco.
D'altra parte, hanno una grande
resistenza al freddo: sia gli sciamanidelle regioni artiche, sia gli ascetidell'Himalaya danno prova, grazie al
oro «calore magico», di una resistenzache sorpassa l'immaginazione.
Come abbiamo osservato al c. 5, ilsignificato di tutte le tecniche di «poteresul fuoco» e di «calore magico» è piùprofondo: indicano l'accesso
a un certo stato estatico o a uno stato noncondizionato di libertà spirituale. Ma ilpotere sacro sperimentato come caloreintensissimo non è
ottenuto unicamente con tecnichesciamaniche e mistiche, è anche
conquistato con le esperienze delleiniziazioni militari. Parecchi termini del
vocabolario «eroico» indoeuropeo -furor, ferg, wut, menos - esprimonoproprio il «calore intensissimo» e la«collera»
che caratterizzano, sugli
altri piani della sacralità,l'incorporazione della potenza. Propriocome uno yogi o uno sciamano, ilgiovane eroe si
«scalda» durante il
combattimento iniziatico. L'eroe celticoCuchulinn esce dalla sua prima impresa
(che d'altronde equivale, come hadimostrato Georges Dumézil, a
un'iniziazione di tipo guerriero) talmente«riscaldato» da dover essere immersosuccessivamente in tre orci di acquafredda.
«Messo nel primo orcio, riscaldòtalmente l'acqua che questa spezzòl'orcio come si rompe un guscio di noce.Nel
secondo orcio l'acqua fece bolle
grosse come un pugno. Nel terzo orcio ilcalore fu come quello che certi uominisopportano e altri non possono
sopportare. Allora la collera
(ferg) del giovanetto diminuì e glivennero dati gli abiti». Questa«collera», che si manifesta come uncalore vivissimo, è un'esperienza
magico-religiosa; non ha nulla di«profano», nulla di «naturale», è ilsegno della presa di possesso di unasacralità. In quanto potenza sacra,
uò essere trasformata, differenziata,sfumata attraverso un lavoro ulteriored'integrazione e di «sublimazione». Iltermine indiano "kratu", che
originariamente indicava «l'energiapropria del guerriero ardente,
principalmente di Indra", poi «la forzavittoriosa, la forza e l'ardore
eroici, la bravura, il gusto per ilcombattimento", e per estensione il«potere» e la «maestà» in generale, hafinito col designare «la forza
dell'uomo pio, che lo rende capace diseguire le prescrizioni del "rta" e diraggiungere la beatitudine». È quindievidente che la «collera» e il
«calore» provocati da un accrescimentoviolento ed eccessivo di potenza sonotemuti dalla maggior parte dei mortali:una tale potenza allo stato
«bruto» interessa soprattutto gli stregoni
e i guerrieri; coloro che cercano nellareligione la confidenza e l'equilibrio, sidifendono dal
«calore» e dal «fuoco» magico. Iltermine sanscrito "santi", che designa latranquillità, la pace dell'anima, l'assenzadi passioni, il sollievo
dalle sofferenze, deriva dalla radice"sam", che includeva originariamente ilsenso di spegnere il «fuoco», la collera,la febbre, insomma il
«calore» provocato dalle potenzedemoniache. L'indù dei tempi vedicisentiva il pericolo della magia e sidifendeva dalla tentazione di un
eccesso di potere. Ricordiamo disfuggita che anche il vero yogi devevincere la tentazione dei «poteri magici»(siddhi) -
la tentazione di poter
volare o di diventare invisibile, eccetera- per ottenere lo stato perfettamente noncondizionato del "samadhi". Non si devegiungere tuttavia
alla conclusione che l'esperienza del«calore» o il raggiungimento dei«poteri» appartengano esclusivamentealla sfera della magia: «calore»,
«bruciore», «fuoco interiore», epifanieluminose, come ogni sorta di «potenza»,
sono attestati universalmente nella storiadelle religioni e
nelle mistiche più evolute. Un santo euno sciamano, uno yogi e un «eroe»sperimentano il calore soprannaturalenella misura in cui superano, sul
iano che è loro proprio, la condizioneumana profana e incorporano lasacralità.
“POTENZE” E “STORIA”
Cerchiamo di non perdere il filo:abbiamo trovato presso gli Ebrei ilconflitto tra la vera religione di Jahvè el'esperienza della sacralità
cosmica incarnata nei Baal e nelleAstarti. È il conflitto fra potenzereligiose di ordini completamentediversi: da una parte le antiche
ierofanie cosmiche; dall'altra lasacralità rivelata come persona, Jahvè,che si manifesta non più soltanto nelcosmo, ma soprattutto nella
storia. Abbiamo interrotto a questopunto l'analisi della fede in Jahvè, perrivolgerci all'India dove, con il saktismoe il tantrismo, la
religione della potenza sembra avertoccato il suo più alto vertice. Nelmondo decaduto del kali-yuga si puòottenere la liberazione soltanto
risvegliando l'energia cosmica chedorme nel proprio corpo e forzandola arisalire al sahasrara-cakra e a unirsi conla coscienza pura
simboleggiata da Siva. È chiara ladifferenza dalle religioni popolari dellaprotostoria orientale, lumeggiate daiculti dei Baal e delle Grandi
Dee. Il tantrismo rappresenta un attoaudace d'interiorizzazione: il pantheon,l'iconografia, il rituale del tantrismohanno valore soltanto
nella misura in cui sono interiorizzati,assimilati, «realizzati» da un'esperienzacomplessa che impegna sia il corpo siala psiche e la
coscienza. Apparentemente, la funzionedella Sakti è considerevole. Ma nonbisogna dimenticare che la liberazionesi ottiene dall'unione di Sakti
con Siva. Nel tantrismo Siva, laCoscienza Pura, è passivo: la sua«impotenza» è simile allo stato del deusotiosus nelle religioni «primitive».
Gli Esseri Supremi sono diventatipassivi, indifferenti, «assenti»; il loroposto è stato occupato da figure divineforti e potenti. Questa
situazione ci ricorda il mito dellanascita di Sakti: gli dèi, con a capol'Essere Supremo, hanno assommato leloro
«potenze» per creare la dea,
che ormai detiene la forza e la vita. Mail tantrika si sforza di rifare il processoinverso: poiché lo Spirito Puro, Siva,l'Essere Supremo, è
divenuto «impotente» e passivo, occorre«dinamizzarlo» unendolo con la propriaSakti, staccata da lui (con l'atto dellacreazione) e dispersa nel
cosmo. La realizzazione di questo attoparadossale - l'unificazione dei dueprincipi contrari - si manifesta
fisiologicamente in un calore
intensissimo. Abbiamo visto che questo
è un fenomeno universale presso glistregoni e i mistici, il cui significato puòessere così espresso: il
calore soprannaturale significa larealizzazione di un paradosso grazie alquale viene superata la condizioneumana.
Volendo rappresentare tale
rocesso nella prospettiva della storiadelle religioni primitive, si potrebbeparlare di un tentativo di«ridinamizzare»
l'Essere Supremo
unificandolo con le potenze che
l'avevano sostituito. Essendo Siva ilsimbolo dello Spirito Puro, dellaCoscienza Assoluta, lo sforzo di
«attirarlo» attraverso l'unione con la suaSakti denota, fra l'altro, il rispetto e lavenerazione di cui continua a goderel'Essere Supremo,
anche quando è divenuto «impotente».
Infatti questo Essere Supremo nonscompare mai totalmente da quello chesi potrebbe chiamare il subcosciente
religioso dell'umanità. Pur
diventando «impotente» e, diconseguenza, assente dal culto, ciò che
gli è essenziale - la trascendenza,l'onniscienza, i poteri cosmogonici -
sopravvive in simbolismi e riti cheapparentemente non hanno nulla incomune con l'Essere Supremo. Ilsimbolismo celeste esprime sempre la
sacralità della trascendenza: ciò che è«in alto», ciò che è «innalzato»rappresenta il sacro per eccellenza.Allontanato dal mito e sostituito
nel culto, il cielo conserva un postoimportante nel simbolismo. E questosimbolismo celeste si rivela in parecchiriti (di ascensione, di
scalata, di iniziazione, di regalità,
eccetera), in parecchi miti (l'AlberoCosmico, la Montagna Cosmica, lacatena delle frecce, eccetera), in
arecchie leggende (il volo magico,eccetera).
Il simbolismo del «Centro», che ha unafunzione importante in tutte le religioni,è inseparabile dal simbolismo celeste:appunto al «Centro del
Mondo» può avvenire la rottura dilivello che rende possibile lapenetrazione nel cielo. In più, lacosmogonia - che, come abbiamo visto,è
'opera degli Esseri Supremi - continua a
conservare un posto privilegiato nellacoscienza religiosa delle societàarcaiche. La creazione del
mondo diventa l'archetipo di ogni«creazione», di ogni costruzione, di ogniazione reale ed efficace. E assistiamo aquesto curioso fenomeno: il
creatore non gode più dell'attualitàreligiosa ma la creazione serve damodello a ogni sorta di azione. Quandosi costruisce un altare rituale,
una casa o una barca, eccetera, quandosi procede alla guarigione di un malato oall'intronizzazione di un re o si tenta disalvare un raccolto,
quando si celebra l'atto coniugale o sicerca di guarire la sterilità di una donna,quando ci si prepara per la guerra o sicerca l'ispirazione
oetica - e anche in molte altrecircostanze, circostanze importanti perla collettività o per l'individuo -, sirecita il mito cosmogonico, si
imita ritualmente e simbolicamente lacreazione del mondo.
Ma il fatto più significativo è che tuttigli anni si procede alla distruzionesimbolica del mondo (e quindi dellasocietà umana) per poterlo
creare di nuovo; tutti gli anni si ripete la
cosmogonia imitando ritualmente ilgesto archetipico della creazione. Tutto
questo prova che i
simbolismi derivanti dalla struttura edall'attività degli Esseri Supremi celestihanno continuato a reggere la vitareligiosa dell'umanità
arcaica anche dopo che questi sonoscomparsi dal culto; il simbolismo haconservato, in modo allusivo e occulto,il ricordo della persona divina
che si era ritirata dal mondo.
Simbolismo non significa razionalismo;anzi, ne è l'opposto. Ma nella
prospettiva di un'esperienza religiosa ditipo personalistico il simbolismo
si confonde con il razionalismo: è«astratto», non tiene conto della personadivina, del «Dio Vivo», dotato di una
"tremenda majestas" e avvolto
nel mysterium fascinans di cui parlaRudolf Otto. Di conseguenza, la verafede rifiuta sia la sacralizzazione dellavita lumeggiata dai culti dei
Baal e delle Astarti, sia la religiosità«astratta» fondata soltanto sui simboli esulle idee.
Jahvè è la persona divina che si rivela
nella storia, e in questo consiste la suagrande novità. Anche altrove il dio siera rivelato in quanto
ersona: ricordiamo la terribile epifaniadi Krishna. Ma la rivelazionedell'Essere Supremo in forma di Krishnaè avvenuta in un luogo mitico,
Kurukshetra, e in un tempo mitico: lagrande battaglia tra i Kaurava e iPandava. Invece la caduta di Samaria èavvenuta nella storia, ed è stata
voluta e provocata da Jahvè; fu unateofania di tipo nuovo, altrovesconosciuto: fu un intervento di jahvènella storia.
Di conseguenza, non era
iù reversibile né ripetibile. La caduta diGerusalemme non ripete la caduta diSamaria: la distruzione di Gerusalemmeesprime una nuova teofania
storica, una nuova «collera» di Jahvè.Tali «collere» rivelano la "tremendamajestas" che emana da una persona,Jahvè, e non più da una potenza
religiosa transpersonale. In quantopersona - cioè in quanto essere che godedi libertà perfetta - Jahvè esce
dall'«astratto», dal simbolo, dalla
generalità, agisce nella storia e
intrattiene rapporti con esseri storici. Equando il Dio Padre si «svela» in unmodo radicale e completo
incarnandosi in Gesù Cristo, la storiastessa diventa una teofania. Laconcezione del tempo mitico edell'eterno ritorno è definitivamente
superata. Questa è stata una granderivoluzione religiosa; tanto grande danon poter essere assimilatacompletamente neppure in duemila annidi
vita cristiana. Ci spieghiamo: quando ilsacro si manifestava unicamente nelcosmo, era facilmente riconoscibile: perl'uomo religioso
recristiano era infatti facile distinguereuna pietra sacra da tutte le altre pietreche non incorporavano il sacro; erafacile distinguere un
segno investito di potenza - un cerchio,una spirale, una svastica, eccetera - datutti gli altri che non lo erano; facileanche separare il
tempo liturgico dal tempo profano: a uncerto momento il tempo profano cessavadi scorrere e, per il fatto stesso che erainiziato il rito,
cominciava il tempo liturgico, il temposacro. Per il giudaismo, ma soprattuttoper il cristianesimo, la divinità si èmanifestata nella storia.
Il Cristo e i suoi contemporanei fannoparte della storia. Evidentemente, nonsoltanto della storia. Ma, incarnandosi,il Figlio di Dio ha
accettato di subire la storia; propriocome la sacralità, manifestandosi neivari oggetti cosmici, accettava
paradossalmente gli innumerevoli
condizionamenti dell'oggetto. Per ilcristiano, di conseguenza, vi è unaseparazione radicale tra i differentiavvenimenti storici: certi
avvenimenti sono stati teofanie (peresempio, la presenza storica del Cristo),certi altri sono soltanto avvenimenti
profani. Ma il Cristo
continua ad essere presente nella storiaattraverso il suo corpo mistico, laChiesa. E per il vero cristiano questocrea una situazione
estremamente difficile. Non può piùrifiutare la storia, ma non può piùaccettarla in blocco. Devecontinuamente scegliere, sforzarsi di
distinguere, nella massa degliavvenimenti storici, l'avvenimento cheper lui potrebbe essere investito disignificato salvifico.
Sappiamo come questa scelta siadifficile: nella storia la separazione tra
il sacro e il profano - così chiara e nettanel tempo precristiano -
non è più evidente. Tanto più che da duesecoli la caduta dell'uomo nella storia èdiventata vertiginosa. Chiamiamo
«caduta nella storia» la
resa di coscienza dei molteplicicondizionamenti storici di cui l'uomomoderno è vittima. Quanto il cristianomoderno invidia la fortuna
dell'indù! Nella concezione indianaanche l'uomo del kali- yuga è decaduto,cioè condizionato dalla vita carnale:l'occultamento dello spirito
nella carne è quasi totale, sicché bisognapartire dalla carne per ritrovare lalibertà spirituale. Ma il cristianomoderno si sente decaduto non
soltanto a motivo della sua condizionecarnale, bensì anche a causa della suacondizione storica. Gli ostacoli sulcammino della salvezza non gli
rovengono più né dal cosmo né dallacarne - dalla vita -, bensì dalla storia:egli vive nel terrore della storia.
Il cristiano moderno riesce forse adifendersi dalle tentazioni della vita, magli è impossibile resistere, in quantocristiano, al movimento che
o trascina negli ingranaggi della Storia.Viviamo in un'epoca in cui possiamoevitare gli ingranaggi della storiasoltanto con un audace atto di
evasione. Ma l'evasione è interdetta alvero cristiano. Per lui non esiste viad'uscita: poiché l'incarnazione èavvenuta nella storia, poiché la
venuta del Cristo segna l'ultima e la piùalta manifestazione della sacralità nelmondo, il cristiano può salvarsi soltantonella vita concreta,
storica, nella vita che è stata scelta evissuta dal Cristo. Sappiamo che cosal'aspetta: il «terrore» e l'«angoscia», ilsudore «come di grosse
gocce di sangue», l'«agonia», «latristezza fino a morirne». .
***
8
A TERRA MADRE E LE IEROGAMIECOSMICHE
TERRA GENITRIX
Un santone indiano, Smohalla, dellatribù Umatilla, si rifiutava di lavorare laterra. Diceva: « È un peccato ferire otagliare, strappare o
graffiare la nostra Madre comune conlavori agricoli». E aggiungeva: «Mi
chiedete di arare il suolo? Dovreiprendere una lama per immergerla nel
grembo di mia Madre? Ma allora,quando sarò morto essa non miaccoglierà più nel suo grembo. Michiedete di
vangare e di togliere pietre?
Mutilerò le sue carni per giungere finoalle sue ossa? Ma allora, non potrei piùentrare nel suo corpo per nascere dinuovo. Mi chiedete di
tagliare l'erba e il fieno e di venderlo edi arricchirmi come i bianchi? Ma comeoserei tagliare la capigliatura di miaMadre?». Queste parole
sono state pronunciate appena mezzosecolo fa, ma ci giungono da moltolontano. L'emozione che suscitanoderiva
soprattutto dal fatto che ci
rivelano, con una freschezza e unaspontaneità incomparabili, l'immagineprimordiale della Terra Madre. Questa
immagine si ritrova dappertutto,
sebbene sotto forme e variantiinnumerevoli. Sarebbe interessanteclassificare queste forme e varianti,mostrare come si sono sviluppate, come
sono passate da una civiltà a un'altra.
Ma un simile lavoro esigerebbe unintero volume: per portarlo a buon finebisognerebbe entrare in
articolari tecnici che interessanosoprattutto o solamente gli specialisti,nel caso specifico gli etnologi e glistorici delle religioni. Non
ossiamo dunque intraprenderlo in questasede. Per il nostro intento è più agevolepassare in rassegna alcune immaginidella Terra Madre, tentare
di comprendere ciò che ci rivelano,provare a decifrare il loro messaggio.Ogni immagine primordiale porta in séun messaggio che interessa
direttamente la condizione umana,poiché l'immagine svela aspetti dellarealtà ultima altrimenti inaccessibili.
Che cosa ci rivelano le parole appenacitate del santone indiano? Eglicondanna e rifiuta il lavoro dei campiperché non vuole ferire il corpo di
sua Madre, la Terra. Le pietre sonoassimilate alle ossa della Terra Madre,il suolo alle sue carni, le piante ai suoicapelli.
Come vedremo più avanti,l'equiparazione degli organi a sostanze oa regioni cosmiche, come l'immagine diun essere divino antropocosmico, si
ritrovano anche sotto altre forme:talvolta si tratta di un giganteprimordiale androgino, oppure, anche sepiù
raramente, di una Grande Divinità
maschile cosmica. Vedremo come sipossono interpretare queste variazioni disesso. Per ora soffermiamoci
sull'immagine della terra in quanto
donna, in quanto madre. È la TerraMater o la Tellus Mater ben nota dellereligioni mediterranee, che dà origine atutti gli esseri. Il santone
Smohalla non ci dice in che modo gli
uomini sono nati dalla madre tellurica,ma i miti americani ci rivelano comesono avvenuti i fatti
all'origine, "in ilio tempore”: i primiuomini sono vissuti per un certo temponel grembo della loro madre, cioè infondo alla terra, nelle sue
viscere. Là, nelle profondità telluriche,conducevano una vita per metà umana:erano in un certo modo degli embrioniancora imperfettamente
formati. Questo, almeno, è quantoaffermano gli Indiani Lenni Lenape oDelaware che abitavano laPennsylvania.
Secondo i loro miti il Creatore,
ur avendo già preparato per loro sullasuperficie della terra tutte le cose di cuigodono attualmente, aveva tuttaviadeciso che gli uomini
restassero ancora per qualche temponascosti nel ventre della loro madretellurica, per meglio svilupparsi, per
maturare. Secondo alcuni, gli
antenati che vivevano nelle profonditàdella terra avevano già una formaumana; secondo altri, avevano invece
l'aspetto di animali. Questo mito
non è isolato. Gli Irochesi ricordanol'epoca in cui vivevano sotto terra: làsotto era sempre notte perché il sole nonvi penetrava mai. Ma, un
bel giorno, uno di loro trovò un'aperturae salì arrampicandosi fino allasuperficie della terra. Mentrepasseggiava in quel paesaggio strano e
bello incontrò una cerva, la uccise eritornò con quella sotto la terra. Lacarne della cerva era buona e tutto ciòche quello raccontava a
roposito dell'altro mondo, il mondodella luce, interessò vivamente i suoicompagni. Decisero all'unanimità di
arrampicarsi alla superficie.
Altri miti indiani parlano di un tempoantico in cui la Madre Terra producevagli uomini allo stesso modo in cui ainostri giorni produce gli
arbusti e i cespugli. Ritroveremo inseguito questo motivo della nascita degliuomini alla maniera delle piante.
MITI DI EMERSIONE
er ora ricordiamo ancora alcuni mitisulla gestazione e sul parto. In linguanavaho la terra si chiama Na%osts néletteralmente «la Donna
Orizzontale» oppure «la Donna
Sdraiata». Secondo i Navaho esistonoquattro mondi sotterranei sovrapposti;gli Zuai chiamano questi mondi le
quattro matrici della terra. Proprio là,nella più profonda matrice della terra,vissero gli uomini all'inizio. Essi sonoemersi alla superficie
attraverso un lago o una fonte, oppure,secondo altre tradizioni, arrampicandosilungo una vite (secondo i Mandan)oppure lungo una canna
(secondo i Navaho). Un mito zuairacconta che all'origine del tempo, inillo tempore, i «Gemelli della Guerra»sono discesi attraverso un lago
nel mondo sotterraneo. Laggiù hannoincontrato un popolo «vaporoso einstabile», che non si cibava connutrimento solido ma si nutriva soltanto
«dei vapori e degli odori» deglialimenti. Questi uomini rimaseroinorriditi vedendo i Gemelli nutrirsi disostanze solide, perché nel mondo
sotterraneo tali alimenti venivanorifiutati. Dopo numerose avventure iGemelli ricondussero con loro allasuperficie un certo numero di quegli
uomini sotterranei; appunto da costorodiscende l'umanità attuale. È questa laragione, prosegue il mito, per cui il
neonato si nutre
esclusivamente di «vento» fino almomento in cui la «corda invisibile»viene tagliata; allora soltanto puòcominciare ad assorbire latte e un
nutrimento molto leggero, tuttavia ancoracon grandissima difficoltà.
Questo mito collega evidentementel'ontogenesi e la filogenesi: lacondizione dell'embrione e del neonatoè
equiparata all'esistenza mitica della
specie umana nel grembo della terra;ogni bambino ripete nella condizione
prenatale la situazione dell'umanità
primordiale.
'assimilazione della madre umana allaGrande Madre tellurica è completa. Sicomprenderà meglio questa simmetriatra il parto e l'antropogonia -
oppure, se vogliamo usare laterminologia scientifica, tra l'ontogenesie la filogenesi - quando avremoricordato il mito zuai della creazione
del mondo e dell'umanità.
Eccone il riassunto: All'inizio esistevasoltanto Awonawilono, il Creatore (TheMaker and Container of All). Egli era
tutto solo nel vuoto
universale. Si trasforma in sole eproduce dalla sua propria sostanza duegermi con i quali impregna le GrandiAcque: sotto l'intenso calore
della sua luce le acque del marediventano verdi e si forma una schiumache cresce continuamente per prendereinfine la forma della Terra Madre e
del Padre Cielo (Awitelin Tsita, la«Four-fold Containing Mother Earth», eApoyan Tachu, l'«All-covering FatherSky»).
Dall'unione fra questi due
gemelli cosmici, il Cielo e la Terra,nasce la vita sotto la forma di miriadi dicreature. Ma la Terra Madre trattienetutti questi esseri nel
roprio ventre, in quello che il mitochiama «le quattro matrici del mondo».Nella più profonda di queste «caverne-matrici» i semi degli uomini e
delle creature si sviluppano a poco apoco fino a schiudersi: escono infatticome l'uccello si schiude dall'uovo. Masono ancora esseri
imperfetti: serrati, pigiati nelle tenebre,strisciano gli uni sugli altri come rettili,mormorano, si lamentano, si sputanoaddosso e si
rivolgono ingiurie indecenti. Alcuni diloro si sforzano tuttavia di sfuggire aquesta situazione, e questo sforzo sitrasforma in un aumento di
saggezza e di umanità. Soprattutto uno sidistingue da tutti gli altri: il piùintelligente, il maestro, P?shaiyank'ya,che partecipa in un certo
senso della condizione divina; infatti, cidice il mito, era apparso sotto le acqueprimordiali allo stesso modo in cui ilsole si era
manifestato al di sopra delle acque.Questo grande saggio - che simboleggiaprobabilmente il sole notturno - emergetutto solo alla luce dopo
aver attraversato, l'una dopo l'altra, lequattro «caverne-matrici» telluriche;giunge così alla superficie della terra,che si presenta come una
vasta isola umida e instabile, e si dirigeverso il Padre Sole per supplicarlo diliberare l'umanità sotterranea.
Il sole ripete allora il processo dellacreazione, ma questa volta si tratta diuna creazione di altro ordine; il solevuole produrre esseri
intelligenti, liberi e potenti: impregna dinuovo la schiuma della Terra Madre, eda questa schiuma nascono due
gemelli. Il sole accorda loro
ogni sorta di poteri magici e li consacraantenati e signori degli uomini. Allora igemelli sollevano il cielo e con i lorocoltelli - che sono
«pietre di fulmine» - fanno scoppiare lemontagne e attraverso questo corridoiodiscendono nelle tenebre sotterranee.
à, nelle profondità della terra, vi sonotutte le specie di erbe e di pianterampicanti. I gemelli soffiano su una diqueste e la fanno crescere
e salire fino alla luce. Ne fanno quindiuna scala su cui gli uomini e le altrecreature si arrampicano fino allaseconda caverna.
Molti di loro cadono per via; questiresteranno per sempre nelle profondità:diventano mostri e provocano i terremotie altri cataclismi. In
questa seconda caverna-matrice vi erasempre buio, ma vi era un poco più dispazio perché, ci dice il mito, la caverna
«era più vicina
all'ombelico della terra». Segnaliamo dipassaggio l'allusione al simbolismo delCentro: presso gli Zuai, come pressotanti altri popoli, la
creazione dell'uomo avviene al Centrodel Mondo.) Questa seconda caverna-matrice porta il nome di «Matrice
Ombelicale o Luogo della Gestazione».
Di nuovo i gemelli fanno crescere lascala e guidano con attenzione il popolosotterraneo in gruppi successivi, gruppiche diventeranno più tardi
gli antenati delle sei razze umane.Arrivano nella terza caverna-matrice,più grande e più luminosa: è la «MatriceVaginale o Luogo della
Generazione o della Gestazione». È unacaverna ancora più larga e più luminosa,come una vallata sotto le stelle. Gliuomini vi rimangono per un
certo periodo di tempo e simoltiplicano. Allora i gemelli li
conducono nella quarta ed ultimacaverna, che si chiama l'«Ultima(caverna)
scopribile o la Matrice del Parto». Quila luce è come quella dell'alba e gliuomini cominciano a percepire il mondoe a svilupparsi
intellettualmente, ognuno in conformitàcon la propria natura. Occupandosi diloro come di piccoli bimbi, i gemellicompletano la loro educazione
insegnando loro a cercare prima di tuttoil Padre Sole, che rivelerà loro lasaggezza.
Ma questa caverna, a sua volta, diventa
troppo piccola poiché gli uomini noncessano di moltiplicarsi; i gemelli lifanno allora salire fino alla
superficie della terra, che porta il nomedi «Mondo della Luce Diffusa dellaConoscenza o della Vista». Quando
emersero completamente alla
superficie, questi esseri avevano ancoraun'apparenza subumana: erano neri,freddi, umidi, avevano le orecchie amembrana come i pipistrelli, e
e dita dei piedi riunite come i palmipedie avevano anche la coda. Non eranoancora capaci di camminare in posizioneverticale: saltavano come
rane, si arrampicavano come lucertole.E il tempo aveva un altro ritmo: ottoanni duravano quattro giorni e quattronotti, perché il mondo era
nuovo e recente. È superfluocommentare il simbolismo ginecologicoe ostetrico di questo bel mitosull'origine degli uomini. L'immaginedella
terra combacia perfettamente con quelladella madre; l'antropogonia è descrittain termini di ontogenia. La formazionedell'embrione e il parto
ripetono l'atto grandioso della nascitadell'umanità, concepita comeun'emersione dalla più profonda
caverna-matrice ctonia. Ma, comeabbiamo
appena visto, l'emersione avviene sottoil segno dello spirito; è il sole che,tramite i gemelli, guida e aiuta gliuomini a raggiungere la
superficie della terra. Abbandonata a sestessa, la vita - cioè l'opera della primaierogamia fra la terra e il cielo -
sarebbe rimasta per
sempre al livello dell'esistenza fetale. Ilmito zuai ce lo dice in un modoperfettamente chiaro: nella più profondadelle caverne- matrici gli
uomini si comportavano come larve:erano una folla brulicante che silamentava e si ingiuriava nelle tenebre.Il cammino verso la luce equivale
all'emersione dello spirito. I gemellisolari guidano questa umanitàembrionale fino alla soglia dellacoscienza.
Come tutti i miti, anche questo èesemplare, cioè serve da esempio emodello a un grande numero di attivitàumane.
Infatti non bisogna pensare
che la rievocazione dei miticosmogonici e antropogonici si prefigga
unicamente di dare risposta a domandecome: chi siamo? da dove veniamo?
Simili miti costituiscono anche esempida seguire quando si tratta di CREAREqualche cosa o di restaurare, dirigenerare un essere umano, perché
er il mondo «primitivo» ognirigenerazione implica un ritorno alleorigini, una ripetizione dellacosmogonia. Il valore di tali miti è
illustrato, per esempio, dalle usanze deiNavaho: è generalmente in occasione dideterminate cerimonie, compiute perguarire un malato o per
iniziare un candidato sciamano, che essi
raccontano il mito dell'emersione degliuomini dal grembo della terra, cioèdelle diverse tappe
dell'itinerario faticoso che porta allasuperficie del suolo e alla luce. I mitidell'origine degli uomini godono quindiancora di una grande
attualità nella vita religiosa della tribù:la loro rievocazione non avviene in unqualunque momento né in modo
arbitrario, ma soltanto per
accompagnare e giustificare un ritualedestinato a rifare qualche cosa (lasalute, l'integrità vitale del malato) o afare, a creare una nuova
situazione spirituale (lo sciamano). Perridare la salute a un malato, si ripete insua presenza il processo di formazionedel mondo, si
riattualizza l'emersione dei primi uominidal grembo della terra. E appunto graziealla riattualizzazione attivadell'antropogonia (preceduta
d'altronde dal racconto dellacosmogonia) il malato ritrova la salute:cioè in quanto sperimenta nel suo esserepiù profondo il processo
rimordiale dell'emersione. In altritermini, il malato ritorna contemporaneodella cosmogonia e dell'antropogonia. Ilritorno all'origine - nel
caso presente, il ritorno alla TerraMadre -, la ripetizione della cosmogoniae dell'antropogonia intrapresa perassicurare la guarigione,
costituisce un tipo importante dellaterapeutica arcaica.
RICORDI E NOSTALGIE
otremmo confrontare i miti di emersionedal grembo della terra con i ricordi diun'esistenza prenatale che certi sciamaninordamericani
retendono di aver sufficientementeconservato. Tali ricordi si riferisconoalla penetrazione dell'anima dellosciamano nel grembo materno, al
suo soggiorno nelle tenebre amniotiche einfine al passaggio alla luce. A primavista tali ricordi dell'esistenza prenatalenon hanno nulla a che
vedere con i miti dell'emersione degliantenati dal grembo della terra. Mal'immagine è la stessa: i ricordipersonali degli sciamani illustrano
il mito di una vita sotterranea seguitadall'emersione alla superficie dellaterra; evidentemente, con varianti dovuteal fatto che tali ricordi
si riferiscono a una nascita individuale,ostetrica. Ecco alcuni esempi: unosciamano racconta che la sua animaaveva deciso d'incarnarsi tra gli
Iowa; l'anima penetrò in una capannasulla cui porta vi era una pellicciad'orso e vi restò per qualche tempo; poiuscì dalla capanna: lo
sciamano era nato. Uno sciamanowinnebago racconta le peripezie di unadelle sue reincarnazioni: non era entratoin una donna, ma in una camera.
«Là sono rimasto cosciente tutto iltempo. Un giorno ho sentito i rumori chefacevano i bambini fuori, e anche altrirumori, e ho deciso di
andarvi. Allora mi sembrò di passareattraverso una porta, ma in realtà ero dinuovo nato per mezzo di una donna.
Appena uscii, l'aria fresca mi
colpì e cominciai a gridare». Lanostalgia del ritorno alla Terra Madrediventa talvolta un fenomeno collettivo,e allora indica che una società
ha rinunciato alla lotta e che si avvicinaalla scomparsa totale. È il caso deiYaruro dell'America del Sud,popolazione primitiva quanto i
Fuegini perché ignora ancoral'agricoltura e non conosce alcunanimale domestico oltre al cane. LaGrande Madre dei Yaruro vive nell'est,in una
regione lontana che si chiama il Paese di
Kuma. Proprio nel Paese della Madre sene vanno i morti; là rinascono comebimbi e vi godono
un'esistenza paradisiaca, cioè la vita chei Yaruro affermano di aver conosciutoprima dell'arrivo dei bianchi. Durante latrance gli sciamani
viaggiano nel Paese di Kuma eraccontano quello che vedono.
Tutta la tribù soffre di una nostalgia perquesto paradiso perduto: i Yaruro sonoimpazienti di morire e di restaurare ilPaese della Madre.
Forse l'hanno già fatto: vent'anni fa,quando Petrullo li visitò, ne restavano
soltanto poche centinaia...
MUTTER ERDE
È universalmente diffusa la credenza chegli uomini sono partoriti dalla terra;basta sfogliare alcuni libri scritti suquesto argomento, per
esempio Mutter Erde di Dieterich,oppure Kind und Erde di Nyberg. Innumerose lingue l'uomo è chiamato«nato dalla terra» (canzoni russe, miti
dei Lapponi e degli Estoni, eccetera). Siritiene che i bimbi «vengano» dal fondodella terra, delle caverne, delle grotte,delle crepe, ma anche
delle paludi, delle sorgenti, dei fiumi.Sotto forma di leggenda, di superstizioneo semplicemente di metafora, credenzesimili sopravvivono
ancora in Europa. Ogni regione, e quasiogni città e villaggio, conosce unaroccia o una fonte che «porta» i bimbi:sono i Kinderbrunnen, i
Kinderteiche, le Bubenquellen.Guardiamoci dal credere che questesuperstizioni o queste metafore sianosoltanto spiegazioni per bimbi. La realtà
è più complessa. Anche negli europei dioggi sopravvive il sentimento oscuro diuna solidarietà mistica con la terranatale, da non confondere
con il sentimento profano d'amore per lapatria o per la provincia, né conl'ammirazione per il paesaggio familiareo con la venerazione per gli
antenati sepolti da generazioni attornoalle chiese dei villaggi. È ben altro: èl'esperienza mistica dell'autoctonia, ilsentimento profondo di
essere emersi dal suolo, di essere statigenerati dalla terra allo stesso modo incui la terra ha dato origine, con unafecondità inesauribile, a
rocce, fiumi, alberi, fiori. Proprio inquesto senso si deve comprenderel'autoctonia: il sentirsi gente del luogo,un sentimento di struttura
cosmica che supera di molto lasolidarietà familiare e ancestrale. Si sache in molte culture il padre aveva unafunzione secondaria, in quanto
si limitava a legittimare il bimbo, ariconoscerlo. "Mater semper certa, paterincertus". Tale situazione si è prolungataper parecchio tempo:
nella Francia monarchica si diceva: «Ilre è il figlio della regina». Ma era pursempre un fatto non originario, perché lamadre si limitava a
ricevere il figlio. Innumerevoli credenzeci dicono che le donne diventano incintequando si avvicinano a determinatiluoghi: rocce, caverne,
alberi, fiumi. Le anime dei bimbipenetrano allora nel loro ventre e ledonne concepiscono. Qualunque sia la
condizione di queste anime-bambini -
siano o no le anime degli antenati -, unacosa è certa: per incarnarsi, hanno attesonascoste nei crepacci, nei solchi, nellepaludi, nelle
foreste: già da allora vivevano unaspecie di esistenza embrionale nelgrembo della loro vera madre, la terra:da essa vengono i bambini. Secondo
altre credenze ancora vive negli europeidel secolo Diciannovesimo, dal grembodella terra li portano certi animali
acquatici: pesci, rane,
soprattutto cigni.
Il ricordo oscuro di una preesistenza nelgrembo della terra ha avutoconsiderevoli conseguenze: ha creatonell'uomo un sentimento di parentela
cosmica con l'ambiente che lo circonda;si potrebbe addirittura dire che per uncerto tempo l'uomo non aveva tanto lacoscienza della sua
appartenenza alla specie umana, quantopiuttosto il sentimento di unapartecipazione cosmo-biologica allavita del suo ambiente. Sapeva
certamente di avere una «madreimmediata», quella che vedeva semprevicino a lui, ma sapeva anche di venireda più lontano, di essere stato
ortato da cigni o da rane, di aver vissutonelle caverne e nei fiumi. E tutto questoha lasciato tracce nel linguaggio: aRoma il bastardo era
chiamato terrae filius; in Romania lochiamano ancora oggi «figlio di fiori».
Questa specie di esperienza cosmo-biologica creava una solidarietà misticacon il LUOGO, la cui intensità siprolunga tuttora nel folclore e
nelle tradizioni popolari. La madre si
limitava a completare l'opera dellaTerra Madre. E, alla morte, il grandedesiderio era di ritrovare la
Terra Madre, di essere sepolti nel suolonatale; in quel «suolo natale» di cui orasi intuisce il profondo significato. Daciò la paura di essere
sepolti altrove; da qui soprattutto lagioia di ritornare alla «patria», gioia chespesso trapela dalle iscrizioni sepolcrali
romane: "hic natus
hic situs est" («qui è nato, qui è statosepolto»); "hic situs est patriae"(«questo è il luogo natale»); "hic quonatus fuerat optans erat illo
reverti" («dove era nato là ha desideratoritornare»). L'autoctonia perfettacomprende un ciclo completo, dallanascita alla morte.
Bisogna ritornare alla madre. «Strisciaverso la terra, tua madre!».
«Tu, che sei terra, ti metto nella terra!».«La carne e le ossa ritornino di nuovoalla terra!», si dice durante le cerimoniefunebri cinesi.
"HUMI POSITIO". LA DEPOSIZIONEDEL BIMBO PER TERRA
'esperienza fondamentale che riconoscenella madre la semplice rappresentantedella Grande Madre tellurica ha dato
origine a usanze
innumerevoli. Ricordiamo, per esempio,il parto per terra (la humi positio), unrituale che si incontra spesso,
dall'Australia alla Cina,
dall'Africa all'America del Sud. Presso iGreci e i Romani l'usanza era scomparsain età storica, ma non vi è dubbio chefosse esistita in un
assato più lontano: certe statue di deedella nascita (Eileithyia, Damia,Auxeia) vengono rappresentate inginocchio, nella posizione esatta
della donna che partorisce direttamente
sulla terra.
Nei testi demotici egizi l'espressione«sedersi per terra» significava«partorire» o «parto». Il senso religiosodi questa usanza è intuitivo: il
arto è la versione microcosmica di unatto esemplare compiuto dalla terra, eogni madre umana non fa che imitare eripetere l'atto primordiale
della comparsa della vita nel grembodella terra: di conseguenza, ogni madredeve trovarsi in contatto diretto con laGrande Genitrice, per
asciarsi guidare da lei nel compimentodi quel mistero che è la nascita di una
vita, per riceverne le energie benefichee trovarvi la protezione
materna.
Ancor più diffusa è l'usanza di deporreil neonato per terra. In Abruzzo è ancorapraticata l'usanza di posare per terra ilneonato appena lavato
e fasciato. Si ritrova questo rituale inScandinavia, in Germania, presso iParsi, in Giappone e altrove. Il bimboviene poi sollevato dal padre
("de terra tollere”) per indicare il suoriconoscimento. Marcel Granet hastudiato l'atto di posare il bimbo perterra nella Cina antica e ha
ottimamente interpretato il significato diquesto rito. «il morente, come il bimboche nasce», scrive Granet, «viene posatoper terra. Dopo che è
stato raccolto l'ultimo respiro sudell'ovatta, dopo che invano è statarichiamata l'anima-soffio che per primase ne va, tutti piangono attorno
al morto steso per terra (ugualmente perterra, per tre giorni, il bimbo vagisce)...Per nascere o per morire, per entrarenella famiglia viva o
nella famiglia ancestrale (e per usciredall'una o dall'altra), vi è una sogliacomune, la terra natale. Questa non èaffatto soltanto il luogo
dove s'inaugura la vita e lasopravvivenza, è anche il grandetestimone dell'iniziazione al nuovogenere di esistenza: è il potere sovranoche
decide l'esito dell'ordalia latente inquesta iniziazione... Quando si deponesulla terra il neonato o il morente, spettaa lei dire se la
nascita o la morte sono valide, sebisogna accettarle come fatti acquisiti eregolari... Il rito della deposizione perterra implica l'idea di
un'identità sostanziale tra la razza e ilsuolo. Questa idea si esprime infatti nelsentimento dell'autoctonia, che è il più
vivo fra quelli che
ossiamo ravvisare agli inizi della storiacinese; l'idea di un'alleanza stretta tra unpaese e i suoi abitanti è una credenzacosi profonda, che
è rimasta alla base e al centro delleistituzioni religiose e del dirittopubblico». Grazie all'analisi di Granetindividuiamo al vivo la
formazione dell'immagine della TerraMadre. All'inizio appariva «sottol'aspetto neutro del Luogo Santo come ilprincipio di ogni solidarietà».
In seguito, e «nell'insieme di concezionie di immagini che determinò
un'organizzazione della famiglia fondatasulla filiazione uterina, la terra
domestica fu concepita con i tratti di unapotenza materna e nutrice». È moltoprobabile che nei tempi antichi siseppellissero i morti nel
recinto domestico, nel luogo per laconservazione delle sementi. Appunto ladonna rimase per molto tempo lacustode delle sementi: «Al tempo dei
Chu le sementi destinate al campo regalenon erano affatto conservate nellacamera del Figlio del Cielo, ma negliappartamenti della regina».
«Nella casa nobile il padre di famiglia
mette il proprio letto dove sono lesementi e dove vagano le anime appuntoperché egli ha usurpato il
osto della madre di famiglia. Vi fu untempo in cui la famiglia era uterina,sicché nella casa coniugale il marito erasoltanto un genero».
Solamente più tardi, con la comparsadella famiglia agnatizia e del poteresignorile, il suolo divenne un dio.Notiamo una circostanza: prima di
essere rappresentata come madre, laterra era sentita come potenza creatricepuramente cosmica, asessuata, oppure,se si preferisce, super-sessuata. Ritornala concezione or ora accennata
dell'autoctonia mistica, secondo cui ibambini «vengono» dal suolo stesso.Evidentemente, il
suolo che produce i bambini comeproduce le rocce, le fonti e le erbe, restasempre una madre, anche se gli attributifemminili di questa
maternità non sono sempre evidenti.
Si potrebbe parlare, in questo caso, diuna "Urmutter", di una MadrePrimordiale. :è, forse, il ricordo oscurodell'androginia della Tellus Mater
o delle sue capacità di autogenesi epartenogenesi. Ma su questo importanteproblema ritorneremo presto.
A MATRICE SOTTERRANEA. GLI“EMBRIONI”
er ora notiamo che la concezione dellaterra come genitrice universale siincontra anche a un livello che sipotrebbe chiamare il livello
geologico dell'esistenza. Se la terra èuna madre viva e feconda, anche tuttoquello che produce è organico eanimato: non soltanto gli uomini e
e piante, ma anche le pietre e i minerali.Un grande numero di miti parla dellepietre come di ossa della Terra Madre.
Deucalione gettava le
«ossa di sua madre» al di sopra dellespalle per ripopolare il mondo. Queste«ossa» erano pietre, ma nelle piùvecchie tradizioni dei popoli
cacciatori - tradizioni che risalgono alpaleolitico - l'osso rappresentava lasorgente stessa della vita; nell'osso erainfatti concentrata
'essenza ultima della vita, cominciandodalle ossa rinascevano sia l'animale sial'uomo.
Seminando pietre, Deucalione seminavain realtà i germi di una nuova umanità.
Se la terra è assimilata a una madre,tutto ciò che è racchiuso nelle sue
viscere è come altrettanti embrioni,come altrettanti esseri viventi
che stanno per «maturare», cioè percrescere e per svilupparsi. Questaconcezione è messa ottimamente inrisalto dalla terminologia mineralogica
delle diverse tradizioni. Così, peresempio, i trattati indiani di mineralogiadescrivono come un embrione losmeraldo racchiuso nella «matrice
della roccia». Il nome sanscrito dellosmeraldo è asmagarbhaja, «nato dallaroccia». Un altro testo distingue ildiamante dal cristallo in base
alla differenza di età, differenza che è
espressa in termini embriologici: ildiamante è pakka, cioè «maturo», mentreil cristallo è kaccha,
«immaturo», «acerbo»,insufficientemente sviluppato.
Simili concezioni sono estremamenteantiche. Le miniere, proprio come lefoci dei fiumi, sono state assimilate allamatrice della Terra Madre. In
babilonese il termine "pu" significacontemporaneamente «sorgente di unfiume» e vagina; in egizio la parola "bi"
indica la vagina e la «galleria
di una miniera»; anche il sumerico buru
significa vagina e «fiume». È probabileche i minerali estratti da una minierafossero assimilati a
embrioni: il termine babilonese an- kubuè stato tradotto da certi autori«embrione», da altri «feto». In ogni casoesiste una simmetria
implicita tra la metallurgia e l'ostetricia:il sacrificio che si compiva talvoltavicino ai forni per la preparazione deiminerali assomiglia ai
sacrifici ostetrici; il forno era assimilatoa una matrice, in quanto in esso gli«embrioni- minerali» dovevanomaturare la loro crescita, e in
un tempo sensibilmente più breve diquello che sarebbe occorso se fosserorimasti nascosti sotto terra. L'operazionemetallurgica, proprio come
il lavoro agricolo - che implicava anchela fecondità della Terra Madre - hafinito col creare nell'uomo un sentimentodi fiducia e anche di
orgoglio: l'uomo si sente capace dicollaborare all'opera della natura, sisente capace di aiutare i processi dinascita che si effettuano nel
grembo della terra. L'uomo spinge esollecita il ritmo di quelle lentematurazioni ctonie: in un certo senso sisostituisce al tempo.
'alchimia si inscrive nello stessoorizzonte spirituale: l'alchimistariprende e perfeziona l'opera dellanatura, impegnandosi
contemporaneamente a «fare» se stesso.L'oro è il metallo nobile perché èperfettamente «maturo»: lasciati nellaloro matrice ctonia, tutti gli
altri minerali sarebbero diventati oro,ma dopo centinaia e migliaia di secoli.Come il metallurgista
-
che trasforma degli «embrioni» inmetalli accelerando la crescitacominciata nella Terra Madre -
l'alchimista
sogna di prolungare tale
accelerazione e di coronarla con latrasmutazione finale di tutti i metalli«ordinari» - ordinari perché non
completamente maturi
-
nel metallo «nobile», perfettamente«maturo», quale è l'oro. È ciò che BenJonson dice nella commedia The
Alchemist:
Subtle: Lo stesso diciamo del piombo e
degli altri metalli, che sarebbero oro seavessero tempo.
Mammon: E la nostra arte l'asseconda.
IL LABIRINTO
Ritorniamo all'immagine della terraraffigurata come il corpo di una madregigante. Evidentemente, se le galleriedelle miniere e le foci dei
fiumi sono state assimilate alla vaginadella Terra Madre, lo stesso simbolismosi applica "a fortiori" alle grotte e allecaverne.
e caverne hanno avuto una nota funzionereligiosa fin dal paleolitico. Nella
preistoria la caverna, molte volteassimilata a un labirinto o
trasformata ritualmente in labirinto, eracontemporaneamente il teatro delleiniziazioni e il luogo in cui siseppellivano i morti. A sua volta,
il labirinto era equiparato al corpo dellaTerra Madre. Penetrare in un labirinto oin una caverna equivaleva a un ritornomistico alla madre;
tale scopo perseguivano appunto sia iriti d'iniziazione sia i riti funebri. Lericerche di Jackson Knight hannodimostrato come il simbolismo
del labirinto, valorizzato in quanto
corpo di una dea tellurica, sia lento ascomparire. Troia era considerata comela terra, cioè come una dea;
'inviolabilità delle città antiche eraassimilata alla verginità della deaprotettrice. Tutti questi simboli, che siconcatenano e si completano
'un l'altro, provano la perennitàdell'immagine primordiale della terracome donna.
Ma nelle caverne non vengono celebratesoltanto le iniziazioni e i funerali;vengono celebrati anche certi matrimonimitologici. Per esempio, il
matrimonio di Peleo e Teti, di Giasone e
Medea e, nell'Eneide di Virgilio, ilmatrimonio di Enea e Didone. Quando siconsuma la loro unione, ci
dice Virgilio, si scatena il temporale,mentre le ninfe gridano sulle alture dellamontagna, il tuono brontola e scoppianoi fulmini: segno che
il dio celeste si accosta alla sua sposa,la Terra Madre. Il matrimonio di Enea eDidone è un'imitazione dell'unioneesemplare: la ierogamia
cosmica. Ma Didone non ha generato:nessun frutto ha santificato la sua unione.Proprio per questo sarà abbandonata daEnea: Didone non ha
incarnato degnamente la Terra Madre.La loro unione restò sterile e, dopo lapartenza di Enea, Didone salì sul rogo.
Questo perché il suo
matrimonio non era stato una ierogamiafelice. Quando il cielo incontra la terra,la vita esplode in forme innumerevoli atutti i livelli
dell'esistenza. La ierogamia è un atto dicreazione: è contemporaneamentecosmogonia e biogonia,
contemporaneamente creazionedell'universo e
creazione della vita.
IEROGAMIE COSMICHE
a ierogamia cosmica, il matrimonio tra ilcielo e la terra, è un mito cosmogonicodiffusissimo. Lo si incontra
specialmente in Oceania -
dall'Indonesia alla Micronesia - maanche in Asia, in Africa e nelle dueAmeriche. Questo mito si avvicina aquello di cui parla Esiodo: Urano,
il Cielo, si unisce alla Terra, Gaia, e lacoppia divina genera gli dèi, i ciclopi egli altri esseri mostruosi. «Il sacro Cieloè ebbro di
enetrare nel corpo della Terra», diceva
Eschilo in una delle sue tragedieperdute. Tutto ciò che esiste - il cosmo,gli dèi e la vita - prende
origine da questo matrimonio.
Anche se molto diffuso, il mito dellaierogamia cosmica non è tuttaviauniversale: infatti non è attestato pressogli Australiani, le popolazioni
artiche, i Fuegini, i cacciatori nomadi ele popolazioni dell'Asia settentrionale ecentrale, eccetera. Alcuni di questipopoli - per esempio gli
Australiani e i Fuegini - sono fra i piùantichi; infatti la loro cultura è fermaallo stadio paleolitico. Secondo le
tradizioni mitologiche di
questi popoli, l'universo è stato creatoda un Essere Supremo celeste; talvoltaci viene detto anche che questo dio è uncreatore ex nihilo.
Quando ha una sposa e dei figli, è peròsempre lui che li ha creati. Si puòpresumere che allo stadio paleoliticodella cultura e della religione
si ignorasse il mito della ierogamiacosmica. Questo non vuol direnecessariamente che si ignorasse ancheuna Grande Dea della terra e della
fertilità universale. Al contrario, glistrati paleolitici dell'Asia e dell'Europa
hanno fornito un grande numero distatuette in osso
rappresentanti una dea nuda, moltoprobabilmente il prototipo delleinnumerevoli dee della feconditàattestate spesso dopo il neolitico.Sappiamo
d'altronde che le dee madri non sonoesclusive delle culture agricole; vihanno soltanto ottenuto una collocazioneprivilegiata dopo la scoperta
dell'agricoltura. Le Grandi Dee sonoconosciute anche dai popoli cacciatori:ne è testimonianza la Grande Madredegli animali, la madre delle
belve, che s'incontra per esempionell'estremo nord dell'Asia e nelleregioni artiche.
Tuttavia, dal nostro punto di vistal'assenza del mito ierogamico nellostadio più antico delle religioni«primitive» è abbastanza significativo.
er spiegarla si potrebbero avanzare dueipotesi. Ecco la prima: a questo stadioculturale arcaico - che, ricordiamolo,corrisponde allo stadio
aleolitico - la ierogamia erainconcepibile perché si riteneva chel'Essere Supremo, dio di strutturaceleste, avesse creato da solo il mondo,
a vita e gli uomini. Di conseguenza, lestatuette in osso trovate nelle zonepaleolitiche - nel caso in cuirappresentino veramente delle dee -
si spiegano facilmente alla luce dellereligioni e delle mitologie australiane,fuegine o artiche: simili dee madri erano
state create anch'esse
dall'Essere Supremo; ciò che appunto siverifica, per esempio, presso gliAustraliani o nel mito zuai ricordatoprima. In ogni caso, dalla
resenza delle statuette femminilipaleolitiche non si potrebbe dedurrel'inesistenza del culto di un essere
divino maschile. In zone
aleolitiche ancora più antiche - eprecisamente nelle caverne diWildkirchli, Wildemannlisloch eDrachenloch nelle Alpi svizzere, e inquella di
etershohle nella Media Franconia - sonostati trovati resti di sacrifici in cui sipossono ravvisare offerte agli dèicelesti.
Infatti esiste
una stupefacente rassomiglianza fraquesti resti - crani d'orso delle caverneposati su pietre disposte in formad'altare -
e il sacrificio delle
teste di animali che i popoli cacciatoridelle regioni artiche offrono ancora oggiagli dèi celesti. Questa ipotesi è contutta probabilità
esatta. Purtroppo si riferisce soltanto alpaleolitico: non ci può dire nulla sulprelitico. Per circa cinquecento milaanni gli uomini hanno
vissuto senza lasciare tracce, né dellaloro cultura, né della loro religione. Suquesta umanità prelitica non sappiamonulla di preciso.
ANDROGINIA E TOTALITÀ
Si potrebbe avanzare una secondaipotesi per spiegare l'assenza dellaierogamia nelle religioni arcaiche: gliEsseri Supremi erano androgini,
contemporaneamente maschio efemmina, cielo e terra. Perciò laierogamia non sarebbe loro servita percreare, dal momento che l'essere stesso
della divinità primordiale costituiva unaierogamia.
Questa ipotesi non è da rifiutare "apriori”; sappiamo infatti che un certonumero di Esseri Supremi dellepopolazioni arcaiche erano androgini.
Ma il fenomeno dell'androginia divina è
molto complesso; significa ben più chela coesistenza - o meglio, la
coalescenza - dei sessi nell'essere
divino. L'androginia è una formulaarcaica e universale per esprimere latotalità, la coincidenza dei contrari, lacoincidentia oppositorum. Più
che uno stato di compiutezza e diautarchia sessuale, l'androginiasimboleggia la perfezione di uno statoprimordiale, non condizionato. Proprio
er questa ragione l'androginia non èlimitata agli Esseri Supremi. I giganticosmici o gli antenati mitici dell'umanitàsono anch'essi
androgini; Adamo, per esempio, eraconsiderato androgino. Il BereshitRabba afferma che Adamo «era uomonel
fianco destro e donna nel fianco
sinistro, ma Dio lo ha diviso in duemetà». Un antenato mitico simboleggial'inizio di un nuovo modo di esistenza, eogni inizio avviene nella
compiutezza dell'essere.
Sono androgine anche le grandi divinitàdella vegetazione e in generale dellafertilità. Si ritrovano tracce diandroginia sia in dèi - per
esempio Attis, Adone, Dioniso - sia indee, per esempio Cibele.
Tale circostanza si spiega: la vita sgorgada una sovrabbondanza, da una totalità.Bisogna immediatamente aggiungere:per gli uomini delle
culture tradizionali la vita era unaierofania, la manifestazione dellasacralità. La creazione - a tutti i livellicosmici -
presupponeva
'intervento di una potenza sacra. Diconseguenza, le divinità della vita edella fertilità rappresentavano fonti disacralità e di potenza; la
oro androginia li confermava tali. Masono androgine anche le divinitàmaschili e femminili per eccellenza, inquanto l'androginia diventa una
formula generale per esprimerel'autonomia, la forza, la totalità; dire diuna divinità che è androgina equivale adire che è l'essere assoluto,
a realtà ultima. Comprendiamo alloraperché l'androginia di un EssereSupremo non può più essere consideratauna caratteristica specifica: oltre
che essere un archetipo universalmentediffuso, l'androginia diventa in definitivaun attributo della divinità e non può
dirci nulla sulla
struttura intima della divinità stessa. Unadivinità maschile per eccellenza puòessere androgina al pari di una deamadre. Di conseguenza,
dicendo che gli Esseri Supremi deiprimitivi sono - oppure sono stati -androgini non si esclude affatto la loro
«mascolinità» o la loro
«femminilità». In definitiva, neppure laseconda ipotesi risolve il nostroproblema.
UN'IPOTESI STORICO-CULTURALE
Si è tentato di interpretare l'assenza o lapresenza delle ierogamie e lapreponderanza degli esseri celesti odelle dee telluriche in una
rospettiva storica. Secondo la scuolastoricoculturale lo stadio più anticodella civiltà umana sarebbe quello dellaUrkultur (cultura
rimordiale): l'economia di tale societàsarebbe basata sulla raccolta(Sammelwirtschaft) e sulla caccia apiccoli animali, la struttura sociale
sarebbe basata sulla monogamia esull'uguaglianza dei diritti fra uomo edonna; la religione dominante sarebbeuna sorta di Urmonotheismus
(monoteismo primordiale). Più o meno aquesto stadio corrispondono oggi leculture e le religioni dei più antichiAustraliani, dei Pigmei, dei
Fuegini e di alcune altre popolazioniprimitive. Quando i mezzi di sussistenzacambiarono, cioè quando gli uominiimpararono a cacciare la grossa
selvaggina e le donne scoprirono lacoltivazione delle piante, la Urkulturavrebbe dato origine a due forme più
complesse e distinte di società,
e cosiddette Primarkulturen (cultureprimarie): da una parte la societàtotemistica, con la predominanza
dell'uomo, e dall'altra la società
matrilocale e matriarcale, con lapredominanza della donna. Proprio inquest'ultima il culto della Terra Madreavrebbe trovato le sue fonti e il
suo più grande sviluppo.
È probabile che questo schemacorrisponda in gran parte alla realtà.
Ma è impossibile provare chel'evoluzione abbia seguito quest'ordine apartire dalle origini dell'umanità; taleschema spiega tutt'al più
'evoluzione dell'umanità del paleolitico.Anche limitato a questo lasso di tempo,
lo schema proposto dalla scuola storico-culturale deve essere
corretto e sfumato. Bisogna parlare ditendenze piuttosto che di realtà storiche.Non si può più dubitare della esistenzadi un Essere Supremo,
del cosiddetto Urmonotheismus, ma ènecessario aggiungere subito: unUrmonotheismus integrato nell'orizzonte
spirituale dell'uomo arcaico, e non
in quello del teismo del secoloDiciottesimo. Infatti, per il pensierosimbolico - il solo che sia vivo ecreatore a quello stadio arcaico
dell'umanità - l'Essere Supremo puòbenissimo manifestarsi in forma dianimale, senza per questo perdere il suo
carattere di divinità celeste. E
assieme alla credenza in simili EsseriSupremi esistevano anche altre credenzereligiose. Cioè, per quello che possiamogiudicare dai documenti
disponibili, non esisteva una «religionepura», ma solamente la tendenza di unacerta forma religiosa a divenirepreponderante.
Queste osservazioni riguardano la faseprimordiale della civiltà, la Urkultur.Per quanto concerne le culture che le
sono succedute, le
rimarkulturen, le cose si complicanoulteriormente. Ignoriamo se ilmatriarcato sia esistito come cicloculturale indipendente; in altri
termini, se una certa tappa della storiadell'umanità sia stata caratterizzata dallapreponderanza assoluta della donna e dauna religione
esclusivamente femminile. Sarebbemeglio parlare delle tendenze o dellepredisposizioni matriarcali che si
manifestano in certe forme religiose e
sociali. È esatto dire che certe strutture
sociali - per esempio, la discendenzauterina, il matrilocalismo, l'avonculato,la ginecocrazia -
esprimono l'importanza sociale,giuridica e religiosa della donna, maimportanza non vuol dire predominanzaassoluta.
Indipendentemente dall'esistenza odall'inesistenza del matriarcato, glietnologi concordano su questo puntopreciso: il matriarcato non può
essere un fenomeno primordiale. Èpotuto nascere soltanto dopo la scopertadella cultura delle piante e della
proprietà dei terreni coltivabili.
E una tale scoperta è potuta avveniresoltanto dopo la prima fase della civiltà,dopo la Urkultur, caratterizzata, comeabbiamo già visto, dalla
raccolta e dalla piccola caccia.
Finora ci siamo limitati a riassumere leconclusioni dell'etnologia e dellapaletnologia. Queste conclusioni sonoimportanti, ma non bisogna
neppure dimenticare che il nostroproblema - quello della Terra Madre -appartiene alla storia delle religioni. Ela storia delle religioni si
occupa non soltanto del divenire storicodi una forma religiosa, ma anche e
soprattutto della sua struttura. Lestrutture religiose sono
atemporali: non sono necessariamentelegate al tempo. Non si hanno prove chele strutture religiose siano una
creazione di certi tipi di civiltà
o di certi momenti storici. Tutto quelloche si può dire è che la predominanza diuna o dell'altra struttura religiosa èoccasionata o favorita
da un certo tipo di civiltà e da un certomomento storico.
Sul piano storico interessa ladeterminazione statistica di tale
frequenza. Ma la realtà religiosa è piùcomplessa e supera il piano storico. Il
monoteismo giudaico non è stato lacreazione di un certo tipo di civiltà: alcontrario, alimentato dall'esperienzareligiosa di una élite, il
monoteismo giudaico - come ogni altromonoteismo - ha dovuto lottare contro leforme religiose coesistenti. Le civiltà, lesocietà, i momenti
storici sono occasioni per lamanifestazione o la predominanza dellestrutture atemporali. Ma essendoatemporali, le strutture religiose non
trionfano mai in modo definitivo. Non si
può dire, per esempio, che il mondomoderno sia monoteistico perché si diceisraelita o cristiano; altre
forme religiose coesistono con ilmonoteismo giudeo-cristiano: la magia,per esempio, il politeismo o il feticismo.
D'altra parte, l'esperienza
monoteistica è attestata in culture cheformalmente sono ancora allo stadiopoliteistico o totemistico.
O “STATO PRIMORDIALE”
Di conseguenza, ritornando al nostroproblema - l'assenza del mitoierogamico nelle più antiche religioni
primitive -, ecco la conclusione che si
otrebbe proporre: la Terra Madre è unadivinità antichissima: è attestata fin dalpaleolitico. Ma non si può dire che siastata l'unica divinità
rimordiale, per la semplice ragione chela «femminilità» non sembra essere statasentita come un modo d'essere
primordiale. La «femminilità»,
come d'altronde la «mascolinità», è giàun modo d'essere particolare. Per ilpensiero mitico questo modo particolareè necessariamente preceduto
da un modo d'essere totale.
Quando incontriamo dei creatori, degliUrheber, sembra che l'accento cada sullaloro capacità di creare, capacità che èsentita come una
compiutezza indifferenziata, senzaalcuna specificazione. Si potrebbechiamare tale stato primordiale unatotalità neutra e creatrice.
Questo aspetto viene messo in evidenzamolto felicemente dai fatti cinesi cheabbiamo ricordato prima: abbiamo vistoil dio celeste e l'ideologia
atriarcale sostituirsi a una dea-terra e aun'ideologia matriarcale, ma questa fupreceduta a sua volta da una situazionereligiosa che non era
né matriarcale né patriarcale; Granet lachiama «l'aspetto neutro del luogosacro». Questo «luogo sacro» era sentitocome una potenza religiosa
indifferenziata, come un Grund(principio) primordiale che hapreceduto e retto ogni manifestazioneulteriore.
Si potrebbe dire che simili «statiprimordiali» spiegano l'assenza dellaierogamia nelle religioni primitive.Sebbene in queste religioni anche
a cosmogonia abbia una funzioneimportante, tuttavia è l'atto stesso dellacreazione che assorbe tutto l'interesse.
Sappiamo ora che ogni
creazione implica una totalità che laprecede, un Urgrund. La ierogamia èsolamente una delle forme che spieganola creazione a partire da un
Urgrund primordiale; a fianco dellaierogamia esistono altri miticosmogonici: ma tutti presuppongono lapreesistenza di un'unità
indifferenziata.
IZANAGI E IZANAMI
Si comprenderanno meglio tutti questiaspetti esaminando più da vicino alcunimiti cosmogonici che parlano sia della
ierogamia cielo-terra sia
della creazione effettuata unicamentedalla Madre Terra. Ecco, per esempio,ciò che dice il mito cosmogonico
giapponese: all'inizio il cielo e la
terra, Izanagi e Izanami, non eranoseparati; insieme formavano un caos cheassomigliava a un uovo con al centro ungerme.
Quando il cielo e la terra erano fusiinsieme in questo modo, non esistevanoancora i due principi maschio efemmina.
Si potrebbe quindi dire che
il caos rappresentava la totalità perfettae, di conseguenza, anche l'androginia. Laseparazione fra il cielo e la terra segnacontemporaneamente
'atto cosmogonico per eccellenza e larottura dell'unità primordiale. La primafase della creazione si presenta nelmodo seguente: una piccola
isola instabile e amorfa circondata dalmare e, al centro dell'isola, una canna.Da questa canna nasceranno gli dèi, lacui nascita simboleggia
e diverse tappe dell'organizzazione delmondo.
Questa «canna» è il germe che si
distingueva al centro dell'uovo cosmico.È come un Grund vegetale; è la primaforma della Terra Madre. Fin da
quando si separano, il cielo e la terra simanifestano anche sotto la forma umanadi un maschio e di una femmina.
E ora assistiamo a un fatto strano: ilNihongi ci dice che «le tre divinitàcelesti» ordinano al cielo e alla terra dicompletare e portare a
termine la creazione, cioè di creare ilpaese del Giappone.
Secondo l'altro testo cosmologicogiapponese, il Kojiki, non si sa concertezza se le tre divinità celesti
esistessero prima della separazione
del cielo dalla terra, oppure se sianocomparse nel cielo soltanto dopo laseparazione. Ci troviamo quindi difronte a due tradizioni distinte e
contraddittorie: secondo la prima, ilcosmo deriva spontaneamente da unuovo primordiale in cui i due principipolari coesistevano; secondo la
seconda, gli dèi celesti si trovavano dasempre nel cielo e proprio loro hannoordinato la creazione. È molto probabileche questa seconda
tradizione - che presuppone lapreesistenza di un dio celeste
primordiale e onnipotente - siacronologicamente la più antica; infattinella
cosmologia giapponese questatradizione sta già scomparendo. Ilfenomeno della scomparsa progressivadegli dèi
celesti è d'altronde ben noto. Gli
dèi celesti perdono la loro attualitàreligiosa, si allontanano dalla terra edagli uomini, diventano indifferenti, deioziosi.
Questo appunto avviene nellacosmologia giapponese. I tre dèi celesti- prescindiamo dalla loro preesistenza o
non preesistenza - si limitano a
ordinare a Izanagi e a Izanami dicontinuare e di ultimare la creazione, manon intervengono in questa grandiosaopera.
La loro funzione è di
ordine spirituale: danno disposizioni evigilano perché una certa norma siarispettata. Per esempio, quando il cieloe la terra si sposano e la
terra pronuncia per prima la formula dimatrimonio, i tre dèi celesti annullano ilrito perché bisogna procedere in
ordine opposto: per primo
deve parlare il cielo, cioè lo sposo; lafemmina dovrà soltanto ripetere laformula. Intravediamo qui il conflitto frale due ideologie,
matriarcale e patriarcale, e il trionfo diquest'ultima. Infatti il primo figlio -Hiruko, la «sanguisuga» - fruttodell'unione di tipo
matriarcale, viene abbandonato perchétroppo debole. Dopo aver ripetuto laformula di matrimonio di tipopatriarcale, il cielo e la terra si
uniscono di nuovo e danno origine a tuttele isole del Giappone e a tutti gli dèi.
'ultimo nato è il dio del fuoco, ma il
parto è fatale a Izanami; il fuoco lebrucia la matrice e lei muore. Durantel'agonia Izanami origina dal
roprio corpo - cioè senza ierogamia -altri dèi, soprattutto divinità acquatichee agricole. È questo un motivo miticomolto importante, su cui
dovremo ritornare.
Dopo essere morta, Izanami discendesottoterra. Lo sposo Izanagi parte allasua ricerca, proprio come Orfeodiscende agli inferi per ritrovare
Euridice. Sottoterra è molto buio.Izanagi incontra infine la sposa e lepropone di partire con lui. Izanami lo
prega di attendere alla porta del
alazzo sotterraneo e di non far luce. Malo sposo perde la pazienza; accende undente del suo pettine e penetra nelpalazzo. Alla luce della
torcia scorge Izanami - che stadecomponendosi - e, preso dal panico,fugge. La sposa morta lo insegue, maIzanagi riesce a fuggire per la stessa
via attraverso cui era disceso sottoterrae rotola una grande roccia sull'apertura.Gli sposi si parlano per un'ultima voltadalle due parti
della roccia.
Izanagi pronuncia la formulasacramentale di separazione tra gli sposie sale poi in cielo. Izanami discende persempre nelle regioni sotterranee
e diventa la dea dei morti. Condividequindi la condizione generale di tutte ledee ctonie e agricole, che sono
contemporaneamente divinità della
fecondità e della morte, della nascita edel ritorno nel grembo materno.
SESSUALITÀ, MORTE E CREAZIONE
Questo mito giapponese è importante damolti punti di vista:
1. ci indica lo stato primordiale, laTOTALITÀ che si configura come unacoincidentia oppositorum, quindi anchecome un'androginia;
2. questa totalità ha preceduto laierogamia, il matrimonio tra il cielo e laterra, e quindi contiene già un «germe»,un Urgrund, che si
otrebbe considerare come il prodottodell'androginia divina;
3. la cosmogonia comincia con laseparazione del cielo dalla terra; ilgerme primordiale si trasforma in unacanna, da cui uscirà un determinato
numero di dèi;
4. soltanto dopo la separazione si puòparlare di una ierogamia: l'unione deidue principi cosmici completa lacreazione del mondo e
contemporaneamente produce altri dèi;
5. infine, è importante sottolineare che laTerra Madre muore dando alla luce ilfuoco (che è equiparabile al sole) e chedal suo corpo nascono
e divinità della fecondità tellurica evegetale. Ci interessa soprattuttoquest'ultimo motivo, che ci presenta lacreazione delle piante
alimentari come prodotto del corpostesso della dea, e non come frutto di
una ierogamia. Ma tale creazionecoincide con la morte di Izanami, cioè
con il suo sacrificio.
Infatti si tratta di un sacrificio, diun'immolazione, come mette molto benein risalto la storia di un'altra divinità,Ukemochi, figlia di
Izanami. Secondo il Nihongi, Ukemochiè stata assassinata dal dio della luna,Tsukiyomi, e dal suo cadavere è nataogni sorta di specie animali e
vegetali: il bue e il cavallo sono natidalla sommità della testa, il miglio dallafronte, i bachi da seta dalle sopracciglia,un'altra specie di
semi dagli occhi, il riso dal tronco,diverse varietà di fagioli dalla vagina.Osserviamo che la creazione sicompleta e si perfeziona sia con
una ierogamia sia con una morteviolenta. In altre parole la creazionedipende sia dalla sessualità sia dalsacrificio, soprattutto da un
sacrificio volontario. Infatti il mito dellanascita delle piante alimentari - mitomolto diffuso - introduce sempre ilsacrificio spontaneo di
un essere divino. Questo può essere unamadre, una fanciulla, un bimbo o unuomo. In Indonesia, per esempio, quasisempre una madre o una
fanciulla si immola per produrre dalproprio corpo diverse specie di piantealimentari; nella Nuova Guinea, nellaMelanesia e nella Polinesia si
immola generalmente un essere divinomaschile. .
CREAZIONE E SACRIFICIO
Soffermiamoci brevemente su questomotivo mitico, che si presenta piuttostocomplesso. Abbiamo l'impressione di
trovarci di fronte a un mito
estremamente diffuso, ma che si èmanifestato in un numero considerevoledi forme e varianti. Eccone l'essenziale:
la creazione può avere
rincipio soltanto da un essere vivo ches'immola: un gigante primordialeandrogino, o una divinità maschilecosmica, o una dea madre, o una
fanciulla mitica. Precisiamo che tale«creazione» si riferisce a tutti i livellidell'esistenza: può trattarsi dellacreazione del cosmo, o
dell'umanità, o soltanto di unadeterminata razza umana, di certe specievegetali, o di certi animali. Lo schemamitico resta lo stesso: nulla si
uò creare senza un'immolazione, unsacrificio. Secondo certi miti la
creazione del mondo ha principio dalcorpo stesso di un gigante
rimordiale: Ymir, P'an-ku, Purusha. Altrimiti ci dicono che le razze umane o lediverse classi sociali sono nate sempreda un gigante
rimordiale o da un antenato sacrificato esmembrato. Infine, come abbiamoappena visto, le piante alimentari hannoun'origine similare: spuntano
dal corpo di un essere divino immolato.Il mito della creazione per mezzo di unamorte violenta oltrepassa di
conseguenza la mitologia della
Terra Madre. L'idea fondamentale è chela vita può nascere da un'altra vita che sisacrifica; la morte violenta è creatricenel senso che la vita
sacrificata si manifesta sotto una formapiù smagliante a un altro livellod'esistenza. Il sacrificio opera ungigantesco transfert: la vita
concentrata in una persona oltrepassaquesta persona e si manifesta su scalacosmica o collettiva. Un unico essere sitrasforma in cosmo o
rinasce, moltiplicato, nelle specievegetali o nelle diverse razze umane.Una «totalità» viva esplode in frammentie si disperde in una
moltitudine di forme animate. In altritermini, si ritrova qui lo schemacosmogonico ben noto della «totalità»
primordiale spezzata e frammentata
dall'atto della creazione.
Si comprende allora perché il mito dellacreazione degli animali e delle pianteutili dal corpo di un essere divinosacrificato sia stato
incorporato nella mitologia della TerraMadre. La terra è la GenitriceUniversale e la Nutrice per eccellenza.
e sue possibilità di creazione sonoillimitate: crea per ierogamia con il
cielo, ma anche per partenogenesi oimmolando se stessa. Tracce di
artenogenesi della Terra Madresopravvivono anche nelle mitologieparticolarmente evolute, come lamitologia greca: Era, per esempio,concepisce
da sola e dà origine a Tifeo, a Efesto, adAres. La Terra Madre incarnal'archetipo della fecondità, dellacreazione inesauribile e proprio per
questa ragione tende ad assumere gliattributi e i miti delle altre divinità dellafertilità, siano esse lunari, acquatiche oagricole. Ma
avviene anche il contrario: questedivinità si appropriano degli attributidella Terra Madre e giungono talvolta asostituirsi ad essa nel culto.
Il motivo è facilmente intuibile: al paridella Terra Madre, le acque sono ricchedi germi; anche la luna simboleggia ildivenire universale, la
creazione e la distruzione periodiche.Per quanto riguarda le dee dellavegetazione e dell'agricoltura, talvolta èdifficile distinguerle dalle
dee telluriche: i loro miti ci rivelano lostesso mistero della nascita, dellacreazione e della morte drammaticaseguita dalla risurrezione. I
restiti e i concatenamenti molteplicicaratterizzano le mitologie di tuttequeste divinità. Si potrebbe dire che laTerra Madre costituisce una
«forma aperta», capace di arricchirsiindefinitamente; proprio per questaragione assorbe tutti i miti cheriguardano la vita e la morte, la
creazione e la generazione, la sessualitàe i sacrifici volontari.
RITI DELLA TERRA MADRE
Questa circostanza è messa nettamente inrisalto dai rituali delle dee telluriche.Infatti i riti ripetono ciò che è avvenutoin illo tempore,
nel tempo mitico; riattualizzanol'avvenimento primordiale raccontatonei miti. Così ritroviamo nei rituali dellaTerra Mater lo stesso mistero
che ci rivela come la vita abbia avutoorigine da un germe nascosto in una«totalità» indistinta, oppure come si siaprodotta in seguito alla
ierogamia tra il cielo e la terra, oppureanche come sia sgorgata da una morteviolenta, perlopiù volontaria.
Ricorderemo soltanto alcuni fra gliesempi più noti. Sappiamo che le donnesono attrici di primo piano nei ritualirelativi alla Terra Mater e
alle dee della fecondità tellurica (chesono, come abbiamo visto, anche deedella vegetazione e dell'agricoltura).Non insisteremo
sull'assimilazione simbolica della donnaalla gleba e dell'atto sessuale al lavoroagricolo. Questo simbolismo è piuttostodiffuso nelle culture
agrarie e sopravvive nelle stesse civiltàpiù evolute. «Le vostre donne sono pervoi come campi», dice il Corano.
«La donna è il campo e l'uomo è ildispensatore della semente», scrive unautore indiano. La presenza femminilenei lavori agricoli è molto
apprezzata appunto per tale solidarietàmistica fra la donna e la gleba. Ma lafunzione religiosa della donna vienemessa in evidenza soprattutto
dall'unione sessuale cerimoniale neicampi e dalle orge che accompagnanoalcuni importanti momenti delcalendario agricolo.
Così, per esempio, presso gli Oraondell'India centrale la ierogamia cheprecede e assicura i raccolti èritualmente ripetuta tutti gli anni; la
ierogamia fra la terra e il sole vienemimata dal sacerdote e dalla sua sposa,e finché questo rituale non è statocelebrato non si lavorano i
campi, poiché si crede che la terra siaancora vergine.
'imitazione delle nozze divine dàtalvolta origine a vere orge. Non èdifficile comprendere il sensodell'orgia: l'orgia è una regressione
simbolica nel caos, nell'indistintoprimordiale; riattualizza la«confusione», la «totalità» precedente lacreazione, la Notte Cosmica, l'Uovo
Cosmogonico. E si intuisce perchél'intera comunità riattualizzi il ritornonell'indistinto: per ritrovare la totalitàoriginale da dove era
sgorgata la vita differenziata e da dove
era uscito il cosmo. Attraverso larestaurazione simbolica e folgorantedello stato precosmologico si
spera di assicurare l'opulenza delraccolto. Infatti il raccolto simboleggiala creazione, la manifestazione trionfaledi una forma giovane,
ricca e perfetta. La «perfezione» si trovaagli inizi, ab origine; si spera, diconseguenza, di ritrovare le riservevitali e le ricchezze
germinali che si erano manifestate per laprima volta, in illo tempore, con l'attograndioso della creazione.
Ma, ripetiamo, tutto questo ha un
significato religioso. Non bisognacredere che i culti della Terra Madreincoraggino l'immoralità nel senso
rofano del termine. L'unione sessuale el'orgia sono riti celebrati al fine diriattualizzare avvenimenti primordiali.
Durante il resto del
tempo, cioè al di fuori dei momentidecisivi del calendario agricolo, laTerra Madre è la custode delle norme:presso i Yahengo del Sudan (Mali)
è la custode della moralità e dellagiustizia; presso i Kulango della Costad'Avorio la dea odia i criminali, i ladri,gli stregoni, i
malfattori. In generale, in Africa ipeccati aborriti dalla Terra Madre sonoil delitto, l'adulterio, l'incesto e tutte lespecie d'infrazioni
sessuali. Analogamente altrove: nellaGrecia antica il sangue versato el'incesto rendevano sterile la terra.
SACRIFICI UMANI
Abbiamo appena visto in che senso imiti della creazione a partire da unatotalità primordiale o attraverso una
ierogamia cosmica vengono
riattualizzati nei rituali della TerraMadre, rituali che comprendono sia
l'unione sessuale cerimoniale (replicadella ierogamia) sia l'orgia
(ritorno al caos primordiale). Ci restaora da ricordare alcuni riti che sono inrelazione con l'altro mito dellacreazione, quello che parla del
mistero della creazione delle piantealimentari attraverso il sacrificio di unadea ctonia. Sacrifici umani sono attestatiin parecchie religioni
agrarie, anche se la maggior parte dellevolte questo sacrificio era diventatosimbolico. Disponiamo tuttavia didocumenti che riguardano
sacrifici reali: i più conosciuti sono
quelli del meriah presso i Khonddell'India e il sacrificio delle donnepresso gli Aztechi.
Ecco, in poche parole, in checonsistevano questi sacrifici. Il meriahera una vittima volontaria, comperatadalla comunità; lo si lasciava in
vita per anni, poteva sposarsi e avevafigli. Pochi giorni prima del sacrificio ilmeriah veniva consacrato, cioèidentificato alla divinità a
cui si stava per sacrificare: la folladanzava attorno a lui e lo venerava. Poici si rivolgeva alla terra: «O dea, tioffriamo questo
sacrificio; dacci buoni raccolti, buonestagioni e buona salute!». E siaggiungeva, rivolgendosi verso lavittima: «Ti abbiamo comperato e non ti
abbiamo preso a forza; ora tisacrifichiamo secondo l'usanza enessuna colpa ricada su di noi». Lacerimonia
comprendeva anche un'orgia che
durava parecchi giorni. Infine il meriahveniva drogato con oppio e, dopo esserestato strangolato, tagliato a pezzi. Tutti ivillaggi ricevevano
un frammento del suo corpo che venivasepolto nei campi. Il resto del corpo era
bruciato e le ceneri sparse sulle zolle.
Questo rito cruento
corrisponde chiaramente al mito dellosmembramento di una divinitàprimordiale. L'orgia che l'accompagnaci fa
intravedere anche un altro
significato: i pezzi del corpo dellavittima erano assimilati alla semente chefeconda la Terra Madre. Presso gliAztechi una fanciulla, Xilonen,
che simboleggiava il nuovo mais, venivadecapitata; tre mesi dopo, anche un'altradonna che incarnava la dea Toci,
«Nostra Madre» (che
rappresentava il mais già raccolto epronto per l'uso), era decapitata escorticata. Tale rito era la reiterazionerituale della nascita delle
iante per mezzo dell'autosacrificio delladea. Altrove, per esempio presso iPawnee, il corpo della fanciulla erasmembrato e i pezzi sepolti
nei campi.
Dobbiamo concludere, anche se siamoben lontani dall'aver evocato tutti gliattributi della Terra Madre, tutti i suoimiti e i suoi riti
importanti. Abbiamo dovuto fare unascelta e fatalmente alcuni aspetti dellaTerra Madre sono stati tralasciati. Nonabbiamo insistito
sull'aspetto notturno e funerario dellaTerra Madre in quanto dea della morte;non abbiamo parlato delle sue
caratteristiche aggressive,
terrificanti, angoscianti. Ma anche aproposito di questi aspetti negativi eangoscianti non bisogna perdere di vistauna circostanza: la terra
diventa dea della morte proprio perché èsentita come la matrice universale, comela fonte inesauribile di ogni
creazione. La morte non è in se
stessa una fine definitiva, non èl'annientamento assoluto, come vienetalvolta concepita nel mondo moderno.Il morto viene assimilato alla
semente che, sepolta nel grembo dellaTerra Madre, darà origine a una nuovapianta. Così si può parlare di unavisione ottimistica della morte,
oiché la morte viene considerata comeun ritorno alla madre, un nuovo ingressoprovvisorio nel grembo materno.
Proprio per questo ritroviamo fin
dal neolitico il seppellimento in
posizione embrionale: i morti vengonodeposti nella terra nella posizione diembrioni, come se si attendesse
che ritornassero incessantemente allavita. La Terra Madre, come indica ilmito giapponese, è stato il primo morto;ma la morte di Izanami fu
nello stesso tempo un sacrificiocompiuto per accrescere e diffondere lacreazione. Di conseguenza, la morte e lasepoltura erano un sacrificio
alla terra. Insomma, proprio grazie aquesto sacrificio la vita può continuare ei morti sperano di poter ritornare allavita.
'aspetto terrificante della Terra Madre inquanto dea della morte trova la suagiustificazione nella necessità cosmicadel sacrificio, senza il
quale non è possibile il passaggio da unmodo d'essere a un altro; il sacrificioassicura anche la circolazioneininterrotta della vita.
Tuttavia non bisogna perdere di vistaquesta fatto importante: raramente la vitareligiosa è stata monopolizzata da ununico «principio»,
raramente si è esaurita nella venerazionedi un unico dio o di un'unica dea. Comeabbiamo già detto, non si trova in nessunluogo una religione
«pura», «semplice», riducibile a unasola forma o ad una sola struttura. Lapredominanza dei culti celesti o telluricinon esclude affatto la
coesistenza di altri culti e di altrisimbolismi. Studiando una certa formareligiosa si corre sempre il rischio diattribuirle un'importanza
esagerata e di lasciare nell'ombra altreforme religiose, in realtà complementarianche se possono sembrare talvoltaincompatibili. Studiando i
simbolismi e i culti della Terra Madrebisogna sempre attendere a tutto uninsieme di credenze che coesistono conquelli e che spesso rischiano
di passare inosservate. «Sono figliodella Terra e del Cielo stellato», èscritto su una tavoletta orfica.
Quest'affermazione vale per un grande
numero di religioni.
***
9
MISTERI E RIGENERAZIONESPIRITUALE
COSMOGONIA E MITOLOGIAAUSTRALIANE
er i Karadjeri i misteri, cioè le loro
cerimonie segrete d'iniziazione, sono inrapporto con la cosmogonia. O meglio,tutta la loro vita rituale
dipende dalla cosmogonia: nei tempiburari (i «tempi del sogno»), quando ilmondo è stato creato e le società umanesono state fondate nella
forma che hanno ancora oggi, sono statiinaugurati anche i riti, e da alloravengono ripetuti invariati con la piùgrande cura. Come per le altre
società arcaiche, anche per i Karadjerila storia si riduce a pochi fatti che sonoavvenuti nel tempo mitico, in illo
tempore, e precisamente
agli atti degli esseri divini e degli eroicivilizzatori. Gli uomini non siriconoscono alcun diritto d'intervenirenella storia, di fare
anch'essi una storia che sia loro propriaed esclusiva, una storia «originale»;insomma, non si riconoscono nessunaoriginalità: ripetono le
azioni esemplari compiute all'alba deitempi. Ma dal momento che tali azioniesemplari sono state l'opera degli dèi edegli esseri divini, la
oro ripetizione, periodica e implacabile,tradisce il desiderio dell'uomo arcaicodi mantenersi nell'atmosfera sacra dellacosmogonia. Il
rifiuto dell'originalità esprime di fatto ilrifiuto del mondo profano, la mancanzad'interesse per una storia umana.
L'esistenza dell'uomo
arcaico consiste in ultima analisi inun'eterna ripetizione dei modelliesemplari rilevati all'inizio del tempo.Vedremo subito come i misteri
erseguano la riattualizzazione periodicadi queste rivelazioni primordiali.
Ecco quello che sanno i Karadjeri. Neitempi del sogno, due fratelli, chiamatiBagadjimbiri, emersero dal suolo informa di dingo; diventarono in
seguito due giganti umani, così grandiche toccavano il cielo con il capo.Prima della comparsa dei Bagadjimbirinon esisteva nulla, né alberi né
animali né esseri umani. Essi uscironodalla terra appena prima dell'alba del«primo giorno». Pochi istanti doposentirono il grido di un piccolo
uccello (duru) che canta sempre all'alba,e seppero che era l'alba. Prima di ciò, iBagadjimbiri non sapevano nulla. I duefratelli videro poi
animali e piante e diedero loro dei nomi;da quel momento, poiché avevano nome,le piante e gli animali hanno
cominciato a esistere realmente.
Uno dei Bagadjimbiri si fermò perorinare; curioso, anche suo fratello sifermò e lo imitò.
roprio per questo gli AustralianiKaradjeri si fermano e prendono unaposizione speciale per orinare: imitanoil gesto primordiale.
I Bagadjimbiri si dirigono in seguitoverso il nord. Vedono una stella e la lunae danno loro il nome di «stella» e di
«luna». Incontrano uomini
e donne: le loro relazioni di parentela,le loro divisioni in clan erano difettose,
e i Bagadjimbiri li organizzano nelsistema che è ancor oggi
in vigore. Questi esseri umani eranod'altronde imperfetti, non avevanoorgani genitali, e i due Bagadjimbiriprendono due specie di funghi e
rocurano loro gli organi che hannoancora oggi. I fratelli si fermano emangiano un certo seme crudo, mascoppiano immediatamente a ridere,
erché sanno che non si deve mangiare aquel modo; bisogna farlo cuocere e daallora gli uomini li imitano facendocuocere quel seme. I
Bagadjimbiri scagliano un pirmal (sorta
di grosso bastone) contro un animale elo uccidono; e proprio così fanno daallora gli uomini. Un grande
numero di miti racconta come i fratelliBagadjimbiri hanno fondato tutte leusanze e anche tutti i comportamenti.
Infine hanno istituito le
cerimonie di iniziazione, utilizzando perla prima volta gli strumenti, diventatisacri, del mistero: il coltello di selce, ilrombo (bull-roarer) e il pimbal. Ma unuomo, Ngariman, uccide i due fratellicon una lancia. La loro madre, Dilga(infatti altri miti raccontano che hanno
avuto una madre, anche se la loro
gestazione fu extrauterina), che sitrovava lontano, percepisce nel vento unodore di cadavere. Allora il latte
comincia a colare dai suoi seni, cade interra e, come una corrente sotterranea, ilfiotto di latte si dirige verso il luogo incui si trovano i
due eroi morti, là sgorga come untorrente, risuscita i due fratelli e annegal'assassino. Più tardi i Bagadjimbiri sitrasformano in serpenti
d'acqua e i loro spiriti si alzano al cieloe diventano quello che gli europeichiamano le nuvole di Magellano.
'INIZIAZIONE DEI KARADJERI
Tutto questo costituisce il fondamentomitologico della vita dei Karadjeri. Ilmistero dell'iniziazione riattualizza le
cerimonie istituite dai
fratelli Bagadjimbiri, anche se isignificati di certi rituali non sonosempre chiari. Precisiamo chel'iniziazione comprende un numero
abbastanza elevato di cerimonie, cheoccupano parecchi anni.
Non si tratta quindi di un rito dipassaggio dall'adolescenza alla maturità,ma piuttosto di un'iniziazionepropriamente detta e progressiva,
suddivisa in gradi, per mezzo dellaquale l'adolescente non soltanto vieneistruito nelle tradizioni mitiche e neicostumi sociali del clan, ma
viene formato nel vero senso deltermine; non soltanto diventafisiologicamente un adulto, ma vienereso atto ad assumere la condizionedell'uomo
instaurata dai due esseri miticiBagadjimbiri.
I riti sono abbastanza complicati edifficili da riassumere, sicché dovremolimitarci ai più importanti. Il primo,milya, segna la rottura con
'infanzia: verso i dodici annil'adolescente è condotto nella savana equi viene cosparso di sangue umanodalla testa ai piedi. Circa due
settimane dopo gli viene bucato il naso eviene introdotta nella ferita una penna;l'adolescente riceve allora un nomespeciale. Il secondo rito,
il più importante, la circoncisione,avviene due o tre anni dopo e costituiscepropriamente un mistero.
'adolescente viene pianto dalla suafamiglia e dall'intero clan come se fossemorto. In un certo senso è già morto,poiché viene portato di
notte nella foresta, dove sente per laprima volta i canti sacri. La foresta è unsimbolo dell'aldilà; la ritroveremo innumerosi riti iniziatici
e nei misteri dei popoli primitivi. Maanche altri segni indicano chel'adolescente sta per morire, che sta percambiare radicalmente modo
d'essere. Il giorno dopo tutti gli uominisi aprono una vena del braccio elasciano colare il sangue in unrecipiente.
Completamente nudo, con gli occhibendati e le orecchie chiuse con erbeper non sentire né vedere nulla, seduto
presso un fuoco, avvolto dal
fumo, l'adolescente deve bere unagrande quantità di sangue. È convintoche il sangue lo ucciderà, mafortunatamente poco dopo vede che nebevono
anche i parenti che si occupano della suainiziazione.
'adolescente rimane sempre sull'erba,con uno scudo sulle ginocchia; gliuomini si accostano l'uno dopo l'altro elasciano colare sulla sua
testa il sangue che sgorga dalle lorovene aperte. Uno dei parenti gliconsegna poi una cintura fatta con
capelli umani.
Tutto il gruppo ritorna
al campo, dove le donne e i parenti lopiangono di nuovo. Dopo il pasto ritualeil neofita riceve un bastone acceso perfare fuoco; gli vien
detto che quello gli permetterà diaccendere un fuoco in cui i suoi organigenitali verranno consumati. Il giornodopo inizia un viaggio che dura
ventiquattro giorni e comprende ungrande numero di cerimonie su cui nonci soffermeremo. L'adolescente è
accompagnato da alcuni suoi parenti
maschi. Durante questo viaggio ritualenon deve parlare, può al più emettere unsuono speciale per attirare
l'attenzione e suggerire poi con
gesti quello di cui ha bisogno.
D'altra parte, per tutto il tempo delnoviziato (cioè finché è un malulu, unadolescente che sta svolgendol'iniziazione), non può muoversi senza
essere condotto per mano; hacostantemente la testa bassa e, secondogli osservatori, il suo viso ècompletamente privo di espressione.
«Unicamente la spontaneità con cui
risponde alle istruzioni riesce adallontanare l'impressione di undeficiente mentale». Di ritorno alcampo,
il neofita riceve la visita di gruppi ditutti i clan che ha incontrato nel viaggio.Le donne accolgono i visitatori in arrivogettando legumi
sulle loro teste e costoro rispondono coni boomerang. È una finta battaglia concarattere rituale: se però i boomerangraggiungono una delle
donne si scatena una vera gazzarra.
Il neofita, il cui ritorno al campo haprovocato nuovi lamenti e mutilazioni
volontarie dei suoi parenti, non assistealla festa che in seguito
si svolge al cadere della notte e checonsiste in canti e danze cherappresentano diversi avvenimentimitici. Prima dell'alba il ragazzo è
condotto nella boscaglia per esserecirconciso; rimane seduto con gli occhibendati e le orecchie tappate, mentreparecchi operatori lavorano a
turno usando coltelli di selce.Precisiamo che la circoncisione èabbastanza complicata e terribilmentedolorosa: gli operatori incidono la base
dell'organo genitale e tolgono tutta
l'epidermide del membro; durante questotempo i parenti piangono nel campo.
Quando tutto è finito, gli operatori,piangendo anch'essi, sfilano davantiall'iniziato, che rimane seduto, con latesta inclinata e gli occhi
chiusi. Gli operatori gettano dei"boomerang" come doni e gli rivelano iloro veri nomi. Un gruppo di giovanirecentemente iniziati agita i
bull-roarer che mostrano poi al neofita,ed egli vede per la prima volta questistrumenti terrificanti: al pari delle donnee dei non iniziati,
finora aveva creduto che il rumore dei
bull- roarer fosse la voce di un esseredivino. Quando il sangue della sua feritaè secco, gli operatori
gli mostrano gli strumenti di selce. Conquesta cerimonia ha termine l'iniziazionepropriamente detta, ma l'adolescenterimane ancora per molte
notti nella boscaglia. Il giorno delritorno al campo il suo corpo vienecosparso completamente di sangue edegli giunge preceduto dal suono dei
bull-roarer agitati ininterrottamente daigiovani. Nel campo, le donne e ifanciulli si nascondono sotto rami e nonosano uscire prima che gli
uomini abbiano finito di seppellire ibull-roarer. Le donne accolgonol'iniziato piangendo e gli offrono damangiare.
Il circonciso rimane a questo stadio diiniziazione per due o tre anni e si chiama"miangu". Subisce poi una nuovaoperazione, la subincisione,
rito meno importante che occupa unasola giornata e a cui partecipano pochivicini. Qualche tempo dopo si celebrauna nuova cerimonia chiamata
aribuga: nella foresta, mentre gli uominicantano una canzone sacra, l'iniziato siarrampica su un albero.
iddington ci dice che il soggetto dellacanzone è in relazione con un mitodell'albero, ma i Karadjeri ne hanno
dimenticato il significato.
S'indovina però il significato del rituale:l'albero simboleggia l'Asse Cosmico,l'Albero del Mondo: scalandolo,l'iniziato penetra nel cielo. Si
tratta quindi di un ascensione simbolicaal cielo, attestata d'altronde da un grandenumero di miti e di riti australiani.
Ma la promozione
iniziatica non è ancora terminata. Adeterminati intervalli si svolgono altre
cerimonie, che non possiamo ora
riassumere. Ricordiamo soltanto che
dopo parecchi anni avviene la cerimoniamidedi: l'iniziato viene condotto daglianziani che gli indicano i luoghi dovesono sepolti i pirmal,
specie di bastoni rituali. È un lungoviaggio, quasi una spedizione, e larivelazione avviene attraverso canti esoprattutto danze che
simboleggiano i viaggi deiBagadjimbiri. Infine si spiegaall'iniziato come i Bagadjimbiri hannoinventato la cerimonia dei pirmal.
MISTERO E INIZIAZIONE
Ci siamo soffermati sull'iniziazione deiKaradjeri perché è sempre istruttivoconoscere nei particolari almeno un ritodi un certo tipo di
iniziazione che si vuole studiare. Civediamo così costretti a parlarebrevemente di altre iniziazioni.L'esempio dei Karadjeri ci mostra
comunque che il fenomeno non è cosìsemplice come potrebbe far credere unapresentazione troppo succinta. Si
comprenderà meglio il significato
rofondo dell'iniziazione dei Karadjeri
quando avremo ricordato alcunecerimonie similari di altri popoli, ma ègià
possibile fin d'ora rilevare
alcune note specifiche. Come abbiamodetto, tale iniziazione supera i limiti diun semplice rito di passaggio da unaclasse d'età a un'altra.
'iniziazione dura per lunghi anni e lerivelazioni sono di vari ordini. Vi è,prima di tutto, la prima e più terribilerivelazione: quella del
sacro in quanto tremendum.L'adolescente comincia con l'essereterrorizzato da una realtà soprannaturale,
di cui sperimenta per la prima volta la
otenza, l'autonomia,l'incommensurabilità; in seguitoall'incontro con il terrore divino, ilneofita muore: muore all'infanzia, cioè
all'ignoranza e all'irresponsabilità.Proprio per questa ragione la suafamiglia si lamenta e lo piange: quandoritornerà dalla foresta, sarà un
altro, non sarà più il fanciullo che eraprima. Come abbiamo visto, egliattraversa una serie di prove iniziaticheche lo costringono ad
affrontare la paura, la sofferenza, latortura, ma soprattutto l'obbligano ad
assumere un nuovo modo d'essere,quello proprio dell'adulto, cioè
quello condizionato dalla rivelazionequasi simultanea del sacro, della morte edella sessualità.
Non bisogna però pensare che gliAustraliani abbiano la coscienza di tuttociò, oppure che abbiano inventato ilmistero dell'iniziazione
coscientemente e volontariamente comes'inventa un sistema pedagogicomoderno. Il loro comportamento, come
ogni comportamento dell'umanità
arcaica, è esistenziale: gli Australiani
hanno reagito in questo modo quandohanno sentito, nel più profondo del loroessere, la loro situazione
articolare nell'universo, cioè quandohanno preso coscienza del misterodell'esistenza umana. Questo mistero,come abbiamo appena detto, è
collegato all'esperienza del sacro, allarivelazione della sessualità e allacoscienza della morte. Il bambino ignoratutte queste esperienze:
'uomo adulto le assimila l'una dopol'altra componendole nella sua nuovapersonalità, quella che ottiene dopo lamorte e la risurrezione
rituali. Questi motivi - tremendum, mortee sessualità - li ritroveremoininterrottamente durante il nostrostudio.
Diciamo subito che il neofita
muore, sì, alla vita infantile, profana,non rigenerata, per rinascere a unanuova esistenza santificata, ma rinasceanche a un modo d'essere che
rende possibile la conoscenza, lacoscienza, la saggezza. L'iniziato non èsoltanto un neonato: è un uomo che sa,che conosce i misteri, che ha
avuto rivelazioni di ordine metafisico.Durante il tirocinio apprende i segreti
sacri: i miti che concernono gli dèi el'origine del mondo, i
veri nomi degli dèi, la verità sui bull-roarer e sui coltelli rituali, eccetera.L'iniziazione equivale alla maturazionespirituale; in tutta la
storia religiosa dell'umanità ritroveremosempre questo tema: l'iniziato, colui cheha conosciuto i misteri, è colui che sa.
Ma, come abbiamo visto, l'iniziazionedei Karadjeri è soltanto la riproduzionefedele dei gesti esemplari dei
Bagadjimbiri. Questi gesti
costituiscono una cosmogonia, poiché
proprio i Bagadjimbiri hanno fondato ilmondo com'è ora. Ripetendo gli atti deidue fratelli mitici, i
Karadjeri ricominciano periodicamentela creazione del mondo, ripetono lacosmogonia. In breve, con l'iniziazionedi ogni adolescente si assiste
a una nuova cosmogonia; la genesi delmondo serve da modello alla«formazione» dell'uomo.
I misteri di iniziazione sono universali eovunque, anche nelle società piùarcaiche, implicano il simbolismo di unamorte e di una nuova
nascita. Nell'impossibilità di
intraprendere qui un'analisi storicadell'iniziazione - che ci avrebbepermesso di precisare i rapportiesistenti
fra le varie strutture culturali e i tipi diiniziazione - fissiamo almeno certi tratticaratteristici e comuni alla maggiorparte di queste
cerimonie segrete.
1. Il mistero inizia sempre con laseparazione del neofita dalla famiglia econ l'isolamento nella boscaglia. Questa
circostanza stessa contiene
un simbolo della morte: la foresta, la
giungla, le tenebre simboleggianol'aldilà, gli inferi. In certi luoghi si credeche sopraggiunga una
tigre e porti sul dorso i candidati nellagiungla: la belva incarna l'antenatomitico, il maestro dell'iniziazione checonduce gli adolescenti
agli inferi. Altrove si crede che ilneofita venga inghiottito da un mostro, esu questo motivo iniziatico cisoffermeremo fra poco; per ora
sottolineiamo il simbolismo delletenebre: nel ventre del mostro regna laNotte Cosmica; è il mondo embrionale
dell'esistenza, sia sul piano
cosmico sia sul piano della vita umana.
2. In molte regioni sorge nella boscagliauna capanna iniziatica. Là i giovanicandidati subiscono una parte delleprove e vengono istruiti nelle
tradizioni segrete della tribù. Lacapanna iniziatica simboleggia il ventrematerno. La morte del neofita significauna regressione allo stato
embrionale, non soltanto in termini difisiologia umana, ma anche e soprattuttoin senso cosmologico: lo stato fetaleequivale a un ritorno
rovvisorio al mondo virtuale,precosmico, precedente l'«alba del
primo giorno», come dicono i Karadjeri.Avremo
occasione di ritornare su questo
simbolo plurivalente di una nuovanascita formulata in termini digestazione.
er ora aggiungiamo: la regressione delcandidato allo stadio prenatale mira arenderlo contemporaneo della creazionedel mondo. Ora egli non
vive più nel ventre materno come vivevaprima della sua nascita biologica, manella Notte Cosmica, nell'attesa
dell'«aurora», cioè della
3.Altri rituali mettono in luce ilsimbolismo della morte iniziatica.
resso alcuni popoli i candidati vengonosepolti o sdraiati in tombe fresche, dovesono ricoperti con rami e restanoimmobili come morti, oppure
vengono spalmati con una polverebianca per farli assomigliare a spettri. Ineofiti imitano d'altronde ilcomportamento degli spettri: non si
servono delle dita per mangiare, maprendono il cibo direttamente con identi, come si crede facciano le anime
dei morti.
Infine, nelle torture che subiscono - eche senza dubbio hanno una moltitudinedi significati - si esprime la credenzache il neofita mutilato e
torturato venga smembrato, bollito oarrostito dai demoni maestridell'iniziazione, cioè dagli antenatimitici. Le sofferenze fisiche
corrispondono alla situazione di coluiche viene «mangiato» dal demone-belva,che viene tagliato a pezzi nella gola delmostro iniziatico,
digerito nel suo ventre. Anche lemutilazioni iniziatiche sono pregne del
simbolismo della morte. La maggiorparte delle mutilazioni sono in
rapporto con le divinità lunari. La lunascompare periodicamente, cioè muoreper rinascere tre notti dopo. Il
simbolismo lunare sottolinea che la
morte è la condizione prima di ognirigenerazione mistica.
4.Oltre le operazioni specifiche - come lacirconcisione e la subincisione - e al difuori delle mutilazioni
iniziatiche (sradicamento dei
denti, amputazione delle dita, eccetera),altri segni esteriori indicano la morte ela risurrezione: tatuaggi, cicatrici. Ilsimbolismo della
rinascita mistica si presenta a sua voltasotto forme molteplici. I candidatiricevono altri nomi, che saranno daallora i veri nomi. Presso
certe tribù si crede che i giovani iniziatiabbiano dimenticato la loro vitaprecedente; immediatamente dopo
l'iniziazione vengono nutriti come
neonati, sono condotti per mano e siinsegnano loro di nuovo tutti icomportamenti, come a piccini.Generalmente imparano nella boscagliauna
nuova lingua, o almeno un vocabolariosegreto. accessibile soltanto agli iniziati.Come si vede, con l'iniziazione tutto
ricomincia di nuovo:
incipit vita nova. Talvolta il simbolismo
della seconda nascita si esprime congesti concreti. Presso alcuni popoliBantù, prima di essere
circonciso l'adolescente è oggetto di unacerimonia conosciuta sotto il nome di«nascere di nuovo». Il padre sacrifica unmontone e tre giorni
dopo avvolge il figlio nella membranadello stomaco e nella pelle della bestia.Ma prima di essere avvoltol'adolescente deve salire sul letto,
vicino a sua madre, e piangere come unneonato.
Rimane nella pelle di montone per tregiorni e nel quarto giorno il padre
coabita con la moglie. Presso lo stessopopolo, i morti sono sepolti
nella pelle di montone e nella posizioneembrionale. Non insisteremo sulsimbolismo della rinascita misticaespresso dal rivestimento rituale di
una pelle d'animale, simbolismoattestato sia nell'antico Egitto sia inIndia. .
5.Infine, dobbiamo dire poche parole suun altro motivo che compare innumerosissime iniziazioni, anche se
non sempre nelle società più
rimitive: l'ingiunzione di uccidere unuomo. Ecco, per esempio, cosa avvienepresso i Papua Koko. Il candidato devesubire le prove analoghe di
ogni altra iniziazione: digiunoprolungato, reclusione, torture,rivelazione del bull-roarer, istruzionetradizionale. Ma alla fine gli viene
detto: «Ora hai visto lo Spirito e sei unvero uomo. Per provare ciò a te stesso,devi uccidere un uomo». La caccia alleteste e certe forme di
cannibalismo fanno parte dello stessoschema iniziatico. Prima di dare ungiudizio morale su queste usanzebisogna ricordare che uccidere un
uomo, mangiarlo o conservarne la testacome un trofeo significa imitare ilcomportamento degli spiriti o degli dèi.
Quindi, posto su questo
iano, tale atto è un atto sacro, un rituale.Il neofita deve uccidere un uomo perchéil dio l'ha fatto prima di lui; anzi, il
neofita è già
stato ucciso dal dio durante l'iniziazionee ha conosciuto la morte. Deve ripetereciò che gli è stato rivelato: il misteroistituito dagli dèi
nel tempo mitico.
Abbiamo accennato a questo tipo diiniziazione perché ha avuto una funzioneimportantissima nelle iniziazionimilitari, soprattutto nell'Europa
rotostorica. L'eroe guerriero non èsolamente un uccisore di draghi e di altrimostri; è anche un uccisore di uomini. Ilduello eroico è un
sacrificio; la guerra è un ritualedecaduto, in cui si offrono in olocaustoinnumerevoli vittime agli dèi dellavittoria.
Ritorniamo ancora ai misteri primitividell'iniziazione. Abbiamo incontratodappertutto il simbolismo della mortecome fondamento di ogni nascita
spirituale, cioè di rigenerazione. In tuttiquesti contesti la morte significa ilsuperamento della condizione profana,non santificata, della
condizione dell'«uomo naturale» cheignora la religiosità, cieco allo spirito.Il mistero dell'iniziazione scopregradualmente al neofita le vere
dimensioni dell'esistenza:introducendolo al sacro, il mistero locostringe ad assumere la responsabilitàdi uomo.
Ricordiamo questo fatto
importante: nelle società arcaichel'accesso alla spiritualità si esprime conun simbolismo della morte.
"SOCIETÀ MASCHILI" E SOCIETÀSEGRETE
Ma al di fuori di queste cerimonie,praticate in occasione della pubertà,esistono altri misteri riservati agliadulti: sono le «società
maschili», i Mànnerbunde o societàsegrete di cui si può divenire membrisoltanto dopo aver affrontato una nuovaserie di prove iniziatiche. La
morfologia dei Mànnerbunde èconsiderevole e non ci è possibiledescrivere in questa sede le lorostrutture e la loro storia. Per quantoriguarda
'origine delle società segrete maschili,l'ipotesi più correntemente accettata èquella suggerita da Frobenius e ripresadalla scuola storico-
culturale: secondo questa ipotesi, lesocietà segrete maschili sarebbero unacreazione del ciclo matriarcale, con lo
scopo di terrificare le
donne, soprattutto lasciando credereloro che le maschere fossero demoni espiriti dei morti, e questo per scuotere ladominazione femminile
instaurata dal matriarcato. Per ragioniche non possiamo ora sviluppare,l'ipotesi non ci sembra fondata. Èpossibile che le società di uomini
mascherati abbiano avuto una funzionenella lotta per la supremazia maschile,ma non vi sono prove che il fenomenogenerale della società segreta
sia una conseguenza del matriarcato. Siconstata, al contrario, una perfetta
continuità fra i riti di pubertà - cheabbiamo appena analizzato - e
e prove iniziatiche d'ingresso nellesocietà segrete maschili. In tuttal'Oceania, per esempio, sia le iniziazionidegli adolescenti sia quelle
richieste per far parte delle societàsegrete maschili comprendevano lostesso rituale simbolico di morte con
l'inghiottimento da parte di un
mostro, seguito dalla risurrezione;questo prova che le forme derivano daun medesimo centro. Un'altraconclusione ci sembra quindi imporsi: le
società maschili, i Mannerbunde,derivano dai misteri dell'iniziazionetribale.
Ci rimane da spiegare l'origine e loscopo di queste nuove associazionisegrete. Per prima cosa,un'osservazione: esistono società
misteriche sia esclusivamente maschilisia esclusivamente femminili, anche se ilnumero di queste ultime è più
ristretto. Si sarebbe tentati di
spiegare la comparsa delle societàsegrete femminili con il desiderio diimitare le associazioni maschili; ed èmolto probabile che un simile
rocesso d'imitazione si sia verificato incerte regioni. Ma, come vedremo piùavanti, le società segrete femminili, iWeiberbunde, derivano dai
riti femminili dell'iniziazione puberaleconnessi alla prima mestruazione. Nullaquindi obbliga a supporre che gli uominisi siano organizzati in
società segrete per reagire contro ilmatriarcato e che, a loro volta, le donneli abbiano imitati organizzando deiWeiberbunde per premunirsi
contro la malvagità degli uomini.Ripetiamo: non è escluso che talifenomeni di reazione e di controreazionetra i due sessi si siano verificati
molte volte nella storia religiosadell'umanità; ma non si tratta di unfenomeno originario. Il fenomenooriginario è il mistero dell'iniziazione
che si svolge, sia per i giovani sia per lefanciulle, all'età della pubertà. Tutte lealtre forme di misteri derivano da questarivelazione
rimordiale che ogni essere è tenuto aricevere per divenire un uomo o unadonna. E la sola ragione plausibile dellacomparsa delle società
segrete misteriche deve essere ricercatanel desiderio di vivere il piùintensamente possibile la sacralitàspecifica di ciascun sesso.
Tale è appunto la ragione per cuil'iniziazione alle società segreteassomiglia moltissimo ai riti iniziatici dipubertà: si ritrovano le stesse
rove, gli stessi simboli di morte e dirisurrezione, la stessa rivelazione di unadottrina tradizionale e segreta; e le siritrovano perché
questo scenario costituisce la condizioneimprescindibile di una nuova e piùcompleta esperienza del sacro. Si ènotata una differenza di grado:
nei Mannerbunde il segreto è piùimportante che nelle iniziazioni tribali.Esistono riti di pubertà che non sonoaffatto segreti (come, per
esempio, presso i Fuegini), ma nonesistono società misteriche senza ilgiuramento del segreto o, piùesattamente, non ne sono mai esistite
finché gli indigeni hanno conservatointatte le loro tradizioni ancestrali. Equesto per due cause; prima,l'appartenenza alle società segrete
implica di per sé una selezione: non tuttiquelli che hanno sostenuto l'iniziazionetribale faranno parte della societàsegreta, anche se tutti
o desiderano. La seconda ragione delrafforzamento del segreto è piuttosto diorigine storica: il mondo cambia, anchepresso i «primitivi», e
certe tradizioni ancestrali rischiano dialterarsi; per evitare il deterioramento,le dottrine sono sempre di più suggellatedal segreto. È il
fenomeno ben conosciutodell'occultamento di una dottrina quandola società che la conservava sta pertrasformarsi radicalmente. Lo stesso
fenomeno si è verificato in Europa dopola cristianizzazione della società urbana:le tradizioni religiose precristiane sisono conservate,
travestite o superficialmentecristianizzate, nelle campagne, masoprattutto sono state occultate nelleristrette cerchie di stregoni. Sarebbe
quindi un'illusione credere di conoscerele vere tradizioni trasmesse nelle societàmisteriche segrete. Perlopiù gliosservatori hanno potuto
registrare soltanto certi rituali secondarie alcuni canti. Tuttavia il lorosimbolismo è evidente; esso appunto cipermette di cogliere il senso
delle cerimonie.
I Kuta, per esempio, praticanol'iniziazione al culto segreto di Ngoye(Ndsasa) in una confraternita «cosìesclusiva che soltanto i capi dei clan
ossono aderirvi». Gli adepti sonofrustati con uno staffile di pelle di
pantera; vengono poi legati a una perticaorizzontale posta all'incirca
a un metro dal suolo. «Nel corso diquesto rito molti neofiti sono colti dapaura e fanno sforzi disperati perfuggire».
Ma secondo la
descrizione che ci viene data è difficilecomprendere la causa del loro terrore, equesto ci induce a credere che si tratti diun rito più
doloroso, che non ha potuto essereosservato dagli etnografi. I neofiti sonopoi sfregati con «foglie orticanti» e ilcorpo e i capelli vengono
spalmati con una pianta che produceterribili pruriti. Osserviamo di sfuggitache essere frustati o sfregati con orticheè un rito simboleggiante
o smembramento iniziatico delcandidato, la sua uccisione da parte deidemoni. Lo stesso simbolismo e glistessi riti si ritrovano nelle
iniziazioni sciamaniche. Infine un'altraprova «consiste nel fare arrampicarel'adepto su un albero alto da cinque a seimetri, dove deve bere un
medicamento conservato in un mukungu.Al ritorno al villaggio il neofita vieneaccolto dalle donne in pianto:
piangono... come se il neofita
stesse per morire». Presso altre tribùKuta il neofita viene battuto con estremaviolenza e si dice che si «uccide» il suovecchio nome per
otergliene dare un altro. È superfluocommentare a lungo questi riti: anchenelle iniziazioni puberali troviamo unamorte e una risurrezione
simboliche, seguite da un'ascensione alcielo.
resso i Màngia e i Banda esiste unasocietà conosciuta con il nome diNgakola. «Secondo il mito raccontato aineofiti nell'iniziazione, Ngakola
viveva una volta sulla terra. Il suo corpoera nerissimo e coperto di lunghi peli.Nessuno sapeva da dove venisse, maviveva nella savana vicino
a un corso d'acqua paludosa (...) Avevail potere di uccidere un uomo e diinfondergli poi una nuova vita, potevaanche fare di lui un uomo
migliore». Si rivolse dunque agliuomini: «Mandatemi delle persone, lemangerò e le vomiterò rinnovate!». Fuseguito il suo consiglio, ma poiché
Ngakola restituiva soltanto la metà diquelli che aveva divorato, gli uominidecisero di vendicarsi: gli diedero «damangiare grandi quantità di
manioca a cui erano state mescolatedelle pietre, cosicché si riuscì aindebolire il mostro, tanto da poterlouccidere a colpi di coltello e di
zagaglia». Questo mito offre ilfondamento e la giustificazione deirituali della società segreta. Una pietrapiatta sacra ha una grande
importanza nelle cerimonie iniziatiche:secondo la tradizione, tale pietra è statatratta dal ventre di Ngakola. Il neofitaviene introdotto in
una capanna che simboleggia il corpodel mostro. Là sente la voce lugubre diNgakola, viene frustato e sottoposto atorture: infatti gli vien
detto che «ora è entrato nel ventre diNgakola» e sta per essere digerito. Glialtri iniziati cantano in coro: «Ngakolaprendi a tutti noi gli
intestini, Ngakola prendi a tutti noi ilfegato!» Dopo altre prove il maestroiniziatore annuncia infine che Ngakola,dopo aver mangiato il
neofita, sta per restituirlo.
Ritroviamo qui il simbolismo dellamorte per inghiottimento nel ventre di unmostro, simbolismo che riveste tantaimportanza nelle iniziazioni
uberali. Osserviamo nuovamente che iriti di affiliazione a una società segreta
corrispondono puntualmente alle
iniziazioni tribali: reclusione,
torture e prove iniziatiche, morte erisurrezione, imposizione di un nuovonome, insegnamento di una linguasegreta, eccetera. Questo risalta
ancor meglio dalla descrizione che unmissionario belga, Léo Bittremieux, ciha dato della società segreta dei
Bakhimba, nel Mayombe. Le prove
iniziatiche durano da due a cinque anni,e la più importante consiste in unacerimonia di morte e di risurrezione. Ilneofita deve essere
«ucciso». La scena avviene di notte e ivecchi iniziati «cantano, sul ritmo deltamburo di danza, il compianto dellemadri e dei parenti su
coloro che stanno per morire». Ilcandidato è flagellato e beve per laprima volta una bevanda narcoticachiamata
«bevanda della morte», ma
mangia anche dei semi di zucca chesimboleggiano l'intelligenza; particolaresignificativo, perché ci indica cheattraverso la morte si accede
alla saggezza. Dopo aver bevuto la«bevanda della morte» il candidato
viene preso per mano e uno degli anzianilo fa girare su se stesso finché
cade a terra. Allora si grida: «Oh! Il taleè morto!».
Un informatore indigeno precisa che «ilmorto viene rotolato per terra, mentre ilcoro intona un canto funebre: "È
proprio morto quello! Ah! È
morto davvero! Non vedrò più ilKhimba!"».
Nel villaggio lo piangono anche lamadre, il fratello e la sorella.
In seguito i «morti» vengono portati a
spalla dai loro parenti già iniziati peressere trasportati in un recintoconsacrato detto «il cortile
della risurrezione». Qui vengonodeposti, completamente nudi, in unfossato a forma di croce dove restanofino all'alba del giorno della
«commutazione» o della «risurrezione»,che è il primo giorno della settimanaindigena che ne conta soltanto quattro. Ineofiti vengono poi
rasati, percossi, gettati per terra e infinerisuscitati facendo cadere nei loro occhie nelle narici alcune gocce di un liquidomolto pepato. Ma
rima della «risurrezione» devonoprestare il giuramento del segretoassoluto: «Tutto quello che vedrò qui,non lo dirò a nessuno, né a una
donna, né a un uomo, né a un profano, néa un bianco; altrimenti fatemi gonfiare,uccidetemi!» tutto quello che vedrò qui:quindi il neofita non
ha ancora visto il vero mistero. La suainiziazione, cioè la sua morte erisurrezione rituali, sono soltanto lacondizione imprescindibile per
oter assistere alle cerimonie segrete sucui siamo molto male informati.
Ci è impossibile parlare di altre società
segrete maschili: quelle dell'Oceania,per esempio, soprattutto del dukduk, icui misteri e la paura
che esercitava sui non iniziati hannograndemente impressionato gliosservatori; oppure delle confraternitemaschili dell'America del Nord,
famose per le torture iniziatiche. Si sa,per esempio, che presso i Mandan -dove il rito d'iniziazione tribale era a untempo il rito d'ingresso
nella confraternita segreta - la torturasuperava ogni immaginazione: dueuomini infilavano dei coltelli neimuscoli del petto e del dorso,
immergevano le dita nella ferita epassavano un legaccio sotto i muscoli,fissavano poi delle corde e issavanonell'aria il neofita. Ma prima di
issarlo, gli venivano infilati dei cavicchinei muscoli delle braccia e delle gambe,con appese pesanti pietre e teste dibufali. Il modo in cui
i giovani sopportavano questa terribiletortura, dice Catlin, ha del favoloso: nonun tratto del loro viso si contraevamentre i carnefici
massacravano la loro carne. Una voltasospesi nell'aria, un uomo cominciava afarli girare come una trottola, semprepiù velocemente, finché i
disgraziati perdevano conoscenza e illoro corpo pendeva come sfasciato.
SIGNIFICATO INIZIATICO DELLASOFFERENZA
Quale poteva essere il significato disimili torture? I primi osservatorieuropei parlavano di una crudeltà innatadegli indigeni.
Ma è errato: gli indigeni non sono affattopiù crudeli dei civilizzati. In effetti, perogni società tradizionale la sofferenza haun valore
rituale, poiché si ritiene che la torturasia effettuata da esseri sovrumani; e hacome scopo la trasmutazione spirituale
della vittima. La
tortura non è che un'espressione dellamorte iniziatica.
Essere torturati significa essere tagliati apezzi dai demoni-maestridell'iniziazione; significa, in altritermini, essere uccisi per
smembramento. Si ricordi comesant'Antonio era torturato dai demoni:era sollevato in aria, soffocatosottoterra; i demoni gli tagliuzzavano le
carni, gli slogavano le membra, lotagliavano a pezzi. La tradizionecristiana chiama queste torture «latentazione di sant'Antonio», ed è vero
nella misura in cui la tentazione vieneequiparata alla prova iniziatica.Affrontando vittoriosamente tutte quelleprove, cioè resistendo a tutte
e «tentazioni», il monaco Antoniodivenne santo. Questo significa che ha«ucciso» se stesso come uomo profanoed è risuscitato come un altro, un
uomo rigenerato, un santo. Ma in unaprospettiva non cristiana questosignifica anche che i demoni sonoriusciti nel loro intento: quello appunto
di «uccidere» l'uomo profano perpermettergli di rigenerarsi. Identificandole forze del male con i demoni, il
cristianesimo ha tolto loro ogni
funzione positiva nell'economia dellasalvezza, mentre prima del cristianesimoi demoni erano, tra l'altro, i maestridell'iniziazione:
afferravano i neofiti, li torturavano, lisottoponevano a un grande numero diprove e infine li uccidevano per poterlifar rinascere in un corpo
e con un'anima rigenerati. È significativoche essi svolgano la medesima funzioneiniziatica nella tentazione disant'Antonio: infatti, tutto
sommato, grazie alle loro torture e alleloro «tentazioni» Antonio ha potuto
conquistare la santità.
Queste considerazioni non ci hannoallontanato dal nostro argomento.
Abbiamo voluto sottolineare che letorture iniziatiche dei Mandan non eranoispirate da un'innata crudeltà degliAmerindi, ma avevano un
significato rituale, cioè losmembramento per opera dei demoniiniziatori. Questa valorizzazionereligiosa della sofferenza fisica èconfermata
da altri fatti: certe malattie gravi,soprattutto le malattie psico-mentali,sono considerate dai primitivi come una
«possessione demoniaca», nel
senso che il malato è stato scelto dagliesseri divini per diventare unosciamano, un mistico e che, diconseguenza, sta per essere iniziato,
cioè torturato, fatto a pezzi e ucciso dai«demoni». In altra sede abbiamo riferitonumerosi esempi di simili malattieiniziatiche nei futuri
sciamani. La conclusione che s'impone èdunque la seguente: le sofferenze, siafisiche sia psichiche, sono equiparatealle torture indispensabili
in ogni iniziazione; la malattia èvalorizzata dai primitivi come la
conseguenza di un'elezionesoprannaturale, è dunque consideratacome una
rova iniziatica: bisogna «morire» aqualche cosa per poter rinascere, cioèguarire: si muore a ciò che si era prima,si muore alla condizione
rofana; chi guarisce è un altro, unneonato, nel nostro caso uno sciamano,un mistico.
A differenti livelli e in vari contestiritroviamo lo stesso schema iniziatico,che comprende prove, torture, uccisionerituale e risurrezione
simbolica. Abbiamo appena analizzato
lo scenario della rigenerazionespirituale sia nelle cosiddette iniziazionipuberali (che sono obbligatorie
er tutti i membri del clan), sia nelleassociazioni segrete maschili, cherappresentano una cerchia più chiusaall'interno del clan. Vediamo
inoltre che le vocazioni misticheindividuali, al pari delle malattieiniziatiche dei futuri sciamani,comprendono lo stesso scenario:
sofferenze, torture, morte e risurrezione.E questo ci induce a concludere che ilmistero della rigenerazione spiritualeimplica un processo
archetipico, che avviene a diversi livellie in contesti molteplici: avviene tutte levolte che si tratta di superare un modod'essere per
sfociare in un altro, superiore; o, piùprecisamente, tutte le volte che si trattadi una trasmutazione spirituale.
Questa perfetta solidarietà e continuitàfra il mistero delle iniziazioni puberali, irituali delle società segrete e leesperienze intime che
resso i primitivi determinano lavocazione mistica, ci sembra moltosignificativa; avremo modo di ritornare
sull'argomento.
I "MISTERI DELLA DONNA"
Quelli che potremmo chiamare «imisteri della donna» sono stati pocostudiati, sicché siamo ancora maleinformati sul contenuto delle iniziazioni
femminili. Tuttavia esistonosorprendenti somiglianze tra le duecategorie di misteri, rispettivamentemaschili e femminili. Ai riti dipassaggio
da una classe d'età all'altra corrispondela segregazione delle fanciulle per laprima mestruazione; alle società diuomini (Mannerbunde)
corrispondono le società di donne
(Weiberbunde); infine, i riti iniziaticicostitutivi delle confraternite maschili siritrovano nei misteri
esclusivamente femminili.Evidentemente queste corrispondenzesono di ordine generale, non bisognaaspettarsi di ritrovare nei riti iniziatici e
nei misteri riservati alle donne lo stessosimbolismo o, più esattamente,espressioni simboliche identiche aquelle che abbiamo appena analizzato
nelle iniziazioni e nelle confraternitemaschili.
Esiste tuttavia un elemento comune:un'esperienza religiosa profonda è
sempre alla base di tutti questi riti emisteri.
l'accesso alla sacralità,
- quella sacralità che si manifestaappunto nella condizione di donna -costituisce il punto focale sia dei ritiiniziatici puberali sia delle
società segrete femminili.
'iniziazione comincia con la primamestruazione. Questo sintomofisiologico esige una rottura, il distaccodella fanciulla dal suo mondo
familiare, l'isolamento e la separazioneimmediati dalla comunità. Non
dobbiamo occuparci ora dei mitiinvocati dagli autoctoni per spiegare aun
tempo la comparsa del primo sanguemestruale e il suo carattere malefico.Possiamo anche ignorare le teorie
elaborate dagli etnologi e dai
sociologi moderni per giustificarequesto strano comportamento. Ci bastaricordare che la segregazione avviene
immediatamente, in una capanna
speciale, nella boscaglia o in un angolobuio dell'abitazione, e che la giovanemestruata deve conservare una posizione
particolare, abbastanza
scomoda, e deve evitare di esporsi alsole o di essere toccata da una qualsiasipersona. Indossa una veste speciale, oun segno, un colore che le
è in qualche modo riservato, e devenutrirsi di alimenti crudi. Ci colpisconosubito alcuni particolari: la segregazionee la reclusione
nell'ombra, in una capanna buia, nellaboscaglia. E questo ci richiama ilsimbolismo della morte iniziatica degliadolescenti isolati nella
foresta, chiusi in capanne. Con la soladifferenza che, per le fanciulle, la
segregazione avviene immediatamentedopo la prima mestruazione,
quindi è individuale, mentre per imaschi l'iniziazione avviene in gruppo.Ma la differenza si basa sull'aspettofisiologico della fine
dell'infanzia, che nelle fanciulle èevidente. Il carattere individuale dellasegregazione, che avviene man mano checompaiono i segni mestruali,
spiega il numero abbastanza ridotto diriti iniziatici femminili. Tuttaviaesistono, sia in Australia presso gliAranda, sia in molte regioni
dell'Africa. Non bisogna però
dimenticare una circostanza: la duratadella segregazione varia da una culturaall'altra: da tre giorni (come in
India), a venti mesi (Nuova Irlanda), oanche parecchi anni (Cambogia). Sicchéle fanciulle finiscono col costituire ungruppo, e allora la loro
iniziazione viene effettuatacollettivamente da anziane donneistruttrici. Come dicevamo prima, siconosce pochissimo sull'iniziazionedelle
fanciulle. Si sa però che ricevonoun'educazione abbastanza completa, cheverte tanto su alcune tradizioni dellatribù (come presso i Basuto)
quanto sui segreti della sessualità. Ilperiodo di iniziazione termina con unadanza collettiva (si trova già questausanza presso i cosiddetti
flanzenvolker, i popoli dello stadioculturale della raccolta); in molteregioni le giovani iniziate vengonopresentate e festeggiate
ubblicamente, oppure visitano in corteole case per ricevere doni. Esistonoanche altri segni esteriori per indicare lafine dell'iniziazione,
come, per esempio, i tatuaggi ol'annerimento dei denti. Non riteniamoopportuno di studiare più in particolare iriti e i costumi delle
fanciulle iniziate. Ricordiamo tuttavial'importanza rituale di alcuni lavorifemminili che vengono insegnati alleneofite durante il periodo di
reclusione, in primo luogo la filatura ela tessitura, il cui simbolismo ha unaparte essenziale in numerosecosmologie.
La luna fila il tempo,
«tesse» le esistenze umane, e le dee deldestino sono filatrici. Creazione oricreazione del mondo, filatura deltempo e del destino, da una
arte; lavoro notturno, lavoro femminileche deve essere eseguito lontano dalla
luce solare e in segreto, quasi dinascosto, dall'altra: si
intuisce la stretta connessione occultache esiste tra questi due ordini di realtàmistiche. In certi luoghi (per esempio, inGiappone ) è ancora
rintracciabile il ricordo mitologico diuna tensione permanente, anzi di unconflitto, tra le società segrete dellefanciulle e le società
maschili, i Mannerbunde. Gli uomini e iloro dèi aggrediscono nottetempo lefilatrici, distruggono la loro opera espezzano le spole e gli
strumenti di tessitura. In altre regioni è
durante la reclusione iniziatica che ledonne anziane insegnano, con l'arte dellafilatura, le danze e
e canzoni rituali femminili, perlopiùerotiche e anche oscene. Anche dopo lareclusione le fanciulle continuano aritrovarsi nella casa di una
donna anziana per filare assieme.Bisogna insistere sul carattere rituale diquesto lavoro femminile: la filatura èmolto pericolosa, perciò si
uò praticare soltanto in case speciali esoltanto in certi periodi e fino a certeore; in alcune regioni la filatura è stataabbandonata o
addirittura completamente dimenticata acausa della sua pericolosità magica.Credenze simili persistono tuttora inEuropa (cfr. Percht, Holda,
Frau Holle, eccetera). In una parola,esiste una connessione segreta tra leiniziazioni femminili, la filatura e lasessualità.
Le fanciulle
godono di una certa libertà prenuziale egli incontri con i maschi avvengononella casa dove si riuniscono a filare.
L'usanza era attestata in
Russia ancora all'inizio del secolo
Ventesimo.
È sorprendente che nelle culture stessedove la verginità è tenuta in altaconsiderazione gli incontri tra lefanciulle e i giovani siano non
soltanto tollerati ma incoraggiati daiparenti. Secondo gli osservatorioccidentali - e, in Europa, soprattuttosecondo il clero - tali usanze
denotano una licenza di costumi. No, lamorale è estranea.
Esse si ricollegano a un fatto molto piùimportante perché essenziale alla vita:la ricerca di un grande segreto, larivelazione della sacralità
femminile, dove si toccano le fonti dellavita e della fecondità. Le libertàprenuziali delle fanciulle non sono diordine erotico, ma di natura
rituale: costituiscono i frammenti di unmistero dimenticato, e non divertimentiprofani. Non si può spiegare
diversamente il fatto che in
società in cui il pudore e la castità sonodi rigore le fanciulle e le donne sicomportino durante certi intervalli sacri,e soprattutto in
occasione di matrimoni, in un modo cheha fortemente scosso gli osservatori. Unsolo esempio: quando in Ucraina le
donne sollevano le gonne fino
alla cintura per saltare attraverso ilfuoco si dice che «bruciano i capellidella sposa». Il capovolgimento totaledel comportamento - dalla
modestia all'esibizione - ha uno scoporituale e interessa di conseguenzal'intera comunità. Il carattere orgiasticodi questo mistero femminile
si fonda sulla necessità di abolireperiodicamente le norme che reggonol'esistenza profana, in altri termini, sullanecessità di sospendere la
egge che grava come un peso morto sulleusanze e di restaurare lo stato di
assoluta spontaneità.
In certe regioni l'iniziazione femminilecomprende molti gradi. Presso i Yao,per esempio, l'iniziazione comincia conla prima mestruazione, si
ripete e si approfondisce durante laprima gravidanza e si completa soltantodopo la nascita del primo figlio. Ilmistero del parto, cioè la
scoperta da parte della donna di esserecreatrice sul piano della vita, costituisceun'esperienza religiosa intraducibile intermini di
esperienza maschile. Si comprendeallora perché il parto abbia dato origine
a riti segreti femminili che talvolta sicompongono in una vera
compagine misterica. Tracce di similimisteri si sono conservate anche inEuropa. Nel nord dello Schleswig, allanotizia della nascita di un
bimbo le donne del villaggio sicomportavano come folli: si dirigevanoverso la casa della puerpera danzando e
gridando; se incontravano uomini,
strappavano loro i capelli e li coprivanocon sterco equino; se incontravano uncarro, lo riducevano in pezzi e
mettevano in libertà il cavallo
(si intuisce qui la reazione femminilecontro il lavoro degli uomini). Quandotutte le donne erano riunite nella casadella puerpera cominciava
una corsa frenetica attraverso ilvillaggio: le donne correvano in gruppo,come Menadi, urlando, lanciando gridadi
«evviva», ed entrando nelle
case prendevano tutto il cibo e tutte lebevande che desideravano, e seincontravano degli uomini licostringevano a danzare. È moltoprobabile
che in antico certi rituali segreti si
svolgessero nella casa della puerpera.
Secondo un'informazione del secoloTredicesimo, in Danimarca esistevaquesta usanza: le donne si riunivano incasa della puerpera e, cantando e
urlando, confezionavano un fantoccio dipaglia che chiamavano il Bue. Duedonne lo prendevano in mezzo edanzavano con lui in atteggiamento
ascivo, e alla fine gridavano: «Canta peril Bue». Allora un'altra donnacominciava a cantare con voce bassa erauca e con parole orrende. Ma la
notizia, riferita da un monaco, non cidice altro. È molto probabile che il
rituale fosse più complesso e il dialogocon il Bue avesse un senso
di «mistero».
SOCIETÀ SEGRETE FEMMINILI
e riunioni segrete delle donne sonosempre in relazione con il mistero dellanascita e della fecondità. Nelle isoleTrobriand, quando le donne
iantano i giardini hanno il diritto diassalire e di far ruzzolare ogni uomo chesi avvicina troppo al loro lavoro.Parecchi tipi di
confraternite segrete di donne sonotuttora vivi; i loro riti includono sempre
un simbolismo della fertilità. Ecco, peresempio, alcuni
articolari che riguardano la societàsegreta delle donne dei Mordvini. Gliuomini, le fanciulle non maritate e ibambini ne sono rigorosamente
esclusi. L'insegna della confraternita èun bastone con testa di cavallo e ledonne che l'accompagnano sono dette
«cavalli».
Questi cavallucci portano al collo unaborsa piena di miglio e ornata di strisce;la borsa rappresenta il ventre del
cavallo; si aggiungono delle
iccole palle per simboleggiare itesticoli. Ogni anno si svolge ilbanchetto rituale della confraternitanella casa di una donna anziana.
Entrando, le giovani spose vengonocolpite per tre volte con una frusta dalleanziane che gridano loro: «Deponi unuovo»; e le giovani spose
tolgono dal corsetto un uovo cotto. Ilbanchetto, a cui ciascun membro dellaconfraternita deve contribuire con cibibevande e danaro, diventa
molto presto orgiastico. Al cadere dellanotte la metà della confraternita fa visitaall'altra metà (infatti ogni villaggio èdiviso in due
arti) formando un corteo carnascialesco:vecchie donne ebbre cavalcano isuddetti cavallucci e cantano canzoni
erotiche.
Quando le due metà della confraternitasi riuniscono, la confusione èindescrivibile. Gli uomini non osanouscire nelle strade. Se lo facessero,
sarebbero assaliti dalle donne, denudatie percossi brutalmente, e dovrebberopagare una ammenda per riavere la
libertà.
ossiamo avere alcuni particolari sulleiniziazioni nelle società segrete
femminili osservando più da vicinoalcune confraternite africane. Gli
specialisti si sono presi cura diavvertirci che questi riti segreti sonomolto mal conosciuti, tuttavia èpossibile intravedere il loro
carattere generale. Ecco quello chesappiamo sulla società Lisimbu presso iKuta del nord (Okondja). Gran partedella cerimonia si svolge presso
un fiume o anche nel fiume, sicché èimportante sottolineare fin d'ora ilsimbolismo acquatico presente in quasitutte le società segrete di
questa regione dell'Africa. Appunto sul
fiume viene costruita una capanna dirami e di foglie. «Ha un'unica entrata ela sommità del tetto è
appena a un metro dalla superficiedell'acqua». «Le candidate, di età chevaria dai dodici ai trentadue anni,vengono condotte sulla riva.
Ciascuna è sotto la sorveglianza diun'iniziata, che si chiama la madre.
Avanzano insieme camminandonell'acqua, curve, soltanto con la testa ele spalle fuori dall'acqua. Il loro viso èdipinto di pembe e tengono in
bocca una foglia (...) La processionediscende il fiume.
Arrivate vicino alla capanna si drizzanobruscamente e si precipitanonell'apertura. Entrate nella capanna, sisvestono completamente e si
recipitano di nuovo fuori. Curve, simettono in semicerchio davantiall'apertura della capanna ed eseguono"la danza della pesca"». Una delle
«madri» esce poi dal fiume, si denuda ilsesso ed esegue una danza fra le piùlubriche. Quando ha terminato, un'altraprende il suo posto.» Dopo
questa danza le candidate devonoentrare nella capanna, dove avviene laloro prima iniziazione. Le «madri» le
denudano, «ne immergono la testa
nell'acqua fino al soffocamento» esfregano il loro corpo con foglie ruvide.L'iniziazione prosegue nel villaggio: la
«madre» batte sua «figlia»,
e tiene la testa vicino a un fuoco in cui èstata gettata una manciata di pepe, infinela prende per le braccia, la fa danzare epoi passare tra
e sue gambe. La cerimonia comprendeanche un certo numero di danze, tra cuiuna che simboleggia l'atto sessuale.
Due mesi dopo avviene una nuova
iniziazione, sempre sulla sponda delfiume. Nella capanna, le neofitesubiscono le stesse prove e, sul fiume,vengono tagliati loro i capelli in
tondo, segno distintivo dellaconfraternita. Prima di ritornare alvillaggio la presidente rompe un uovosul tetto della capanna «per assicurare
ai cacciatori la cattura di un'abbondanteselvaggina». Ritornate al villaggio, ogni«madre» sfrega il corpo della propria
«figlia» con il koula,
divide una banana in due, ne dà un pezzoalla «figlia», trattiene l'altro, e tutt'e duemangiano insieme il frutto. Poi la
«figlia» si curva e
assa tra le gambe della «madre». Dopoalcune danze, di cui alcunesimboleggiano l'unione sessuale, lecandidate sono considerate iniziate. «Si
crede che le cerimonie del misteroLisimbu abbiano un'influenza favorevolesu tutta la vita del villaggio: lepiantagioni produrranno, le
spedizioni di caccia e di pesca sarannofruttuose, epidemie e liti sarannoallontanate dagli abitanti».
Non insisteremo sul simbolismo delmistero Lisimbu. Ricordiamo soltantoquesto: le cerimonie iniziatiche
avvengono nel fiume; l'acquasimboleggia
il caos e la capanna rappresenta lacreazione cosmica.
enetrare nelle acque significa restaurarelo stadio precosmico, il non-essere. Sirinasce poi passando tra le gambe della
«madre», cioè si nasce
a una nuova esistenza spirituale. I motividella cosmogonia, della sessualità, dellanuova nascita, della fecondità e dellafortuna sono
inseparabili. In altre società segretefemminili della stessa regione africana
certe caratteristiche iniziatiche deirituali sono ancora più
marcate. Nel Gabon esistono leassociazioni chiamate Nyembe oNdyembe, che pure celebrano le lorocerimonie
segrete vicino a un corso d'acqua.
Tra le prove iniziatiche annotiamoqueste: un fuoco deve bruciarecontinuamente, e per ravvivarlo lenovizie devono andare sole nellaforesta,
spesso durante la notte o il temporale,per cercare legna. Un'altra provaconsiste nel fissare il pieno sole mentre
si canta una canzone. Infine
e novizie devono introdurre le mani incunicoli per estrarre serpenti cheportano poi al villaggio arrotolatiattorno alle braccia. Durante
'iniziazione le donne che sono giàmembri della confraternita danzano nudee cantano canzoni oscene. Ma vi è ancheun rituale di morte e di
risurrezione iniziatiche, che si svolgenell'ultimo atto del mistero: la danza delleopardo. Questa danza viene eseguita incoppia da quelle che
dirigono: una rappresenta il leopardo,l'altra rappresenta la madre.
Attorno a questa sono raccolte dodicifanciulle che vengono assalite e«uccise» dal leopardo. Ma la madreassale a sua volta il leopardo e lo
uccide. Si suppone che la morte dellabelva permetta alle giovani di essereliberate dal suo ventre. Alcuni trattiparticolari emergono da tutto
ciò che abbiamo appena detto. Colpisceil carattere iniziatico di questiWeiberbunde e di queste confraternitesegrete femminili. Per
arteciparvi bisogna aver superato unaprova; questa non è di ordine fisiologico(prima mestruazione o prima nascita),ma di ordine iniziatico,
cioè impegna l'essere totale dellafanciulla o della giovane sposa.L'iniziazione avviene in un contestocosmico.
Abbiamo appena visto
'importanza rituale della foresta,dell'acqua, delle tenebre e della notte.La donna riceve la rivelazione di unarealtà che la trascende anche
se ne fa parte. Non è il fenomenonaturale della nascita a costituire ilmistero: è invece la rivelazione dellasacralità femminile, cioè della
solidarietà mistica tra la vita, la donna,la natura, la divinità.
Questa rivelazione è di ordinetranspersonale: proprio per questo siesprime in simboli e si attualizza in riti.La giovane o la donna iniziata
rende coscienza di una sacralità cheemerge dal più profondo del suo essere,e questa coscienza - per quanto oscurapossa essere - è
un'esperienza dei simboli. Proprio«realizzando», «vivendo» questasacralità, la donna trova il significatospirituale della sua esistenza; sente
che la vita è reale e santificata, che nonè una serie infinita di automatismi psico-fisiologici ciechi, inutili e, infine,assurdi. Anche per le
donne l'iniziazione equivale a unarottura di livello, al passaggio da unmodo d'essere a un altro: la fanciullaviene brutalmente separata dal
mondo profano, subisce unatrasformazione di natura spirituale che,come ogni trasformazione, implicaun'esperienza della morte. Abbiamoappena
visto come le prove delle fanciulleassomiglino alle prove chesimboleggiano la morte iniziatica. Ma sitratta sempre di una morte a qualchecosa
che deve essere superata, e non di unamorte nel senso moderno e
desacralizzato del termine. Si muore per
trasformarsi e accedere a un livello
iù elevato di esistenza. Nel caso dellefanciulle, si muore all'indistinto eall'amorfo dell'infanzia per rinascerealla personalità e alla
fecondità.
Come nel caso degli uomini, ci troviamodi fronte a molteplici forme diassociazioni femminili in cui il segreto eil mistero aumentano
rogressivamente. Vi è in primo luogol'iniziazione generale attraverso cuipassa ogni fanciulla e ogni giovane
sposa e che sfocia
nell'istituzione di società segrete didonne (Weiberbunde). Vi sono poi leassociazioni misteriche femminili, comein Africa, oppure,
nell'antichità, i gruppi chiusi delleMenadi. Sappiamo che similiconfraternite misteriche femminili sonoscomparse molto lentamente.
Ricordiamo le streghe del Medioevoeuropeo, le loro riunioni rituali, le loro«orge».
Anche se perlopiù i processi perstregoneria sono stati ispirati dapregiudizi teologici, anche se sarebbe
spesso necessario distinguere tra le
vere tradizioni magico-religiose rurali,che hanno le loro radici nella preistoria,e le psicosi collettive, che hanno uncarattere molto
complesso, è tuttavia probabile che le«orge» delle streghe siano esistite: nonnel senso che attribuivano loro leautorità ecclesiastiche, ma
nel senso originario e autentico diriunioni segrete che includevano ritiorgiastici, cioè cerimonie che traevanoorigine dal mistero della
fecondità.
e streghe, proprio come gli sciamani e imistici delle altre società primitive, nonfacevano che concentrare, esasperare,approfondire
'esperienza religiosa rivelata durante laloro iniziazione. Proprio come glisciamani, le streghe erano segnate dauna vocazione mistica che le
spingeva a vivere la rivelazione deimisteri più profondamente delle altredonne.
A PENETRAZIONE NEL VENTREDEL MOSTRO
Sia per le donne sia per gli uomini esistedunque una stretta connessione fra la
prima rivelazione del sacro quella cheavviene con l'iniziazione
uberale - e le ulteriori rivelazioni che sicompiono in cerchie più chiuse(Manner- o Weiberbunde) e le stesserivelazioni personali che in
ochi individui scelti costituiscono isegni della loro vocazione mistica.Abbiamo visto che lo stesso scenarioiniziatico -
che comprende
torture, uccisione e risurrezione - siripete tutte le volte che si svolge unmistero, cioè un processo dirigenerazione spirituale. Per meglio
renderci conto della permanenza di taliscenari iniziatici, e nello stesso tempodella loro capacità di attualizzazione insituazioni molteplici
e varie, esamineremo più a lungo uno diquesti temi archetipici. In altri termini,invece di presentare dei sistemi ritualiclassificati secondo
il loro oggetto - riti di iniziazionetribali, riti di affiliazione ai Manner- oWeiberbunde, eccetera - concentreremola nostra attenzione su un
tema simbolico isolato cercando divedere come esso si inseriscaorganicamente in tutti questi sistemirituali e in quale misura sia capace di
arricchirne il significato.
Nella nostra esposizione abbiamospesso incontrato la prova iniziatica checonsiste nell'essere inghiottiti da unmostro.
Esistono innumerevoli
varianti di questo rito, che può essermesso in rapporto con l'avventura diGiona. (Il simbolismo implicito nellastoria di Giona ha vivamente
interessato gli psicologi del profondo,soprattutto Jung e Neumann.) Questomotivo iniziatico ha dato origine nonsoltanto a un grande numero di
riti, ma anche a miti e leggende la cuiinterpretazione non è sempre facile. Sitratta di un mistero di morte e di
risurrezione simboliche.
Esaminiamolo da vicino. In certe regionii riti iniziatici puberali comprendonol'entrata in un manichino in foggia dimostro acquatico
(coccodrillo, balena, grosso pesce). Maquesta cerimonia era già caduta indisuso quando fu studiata dagli etnologi.I Papua della Nuova Guinea,
er esempio, costruiscono un mostruosomanichino di rafia chiamato kaiemunu,che si conserva nella casa degli uomini;
in occasione della sua
iniziazione, il bambino viene introdottonel ventre del mostro. Ma il sensoiniziatico si è perduto: il neofita penetraall'interno del kaiemunu
mentre suo padre sta per terminarne lacostruzione. Poiché il significato del ritoè andato perduto, nessun terroreiniziatico s'impadronisce del
neofita. Si continua nondimeno aintrodurlo nel kaiemunu per ripetere ilrito, non dimenticato, in uso presso gliantenati della tribù.
In altre regioni si sa soltanto che ineofiti vengono inghiottiti da un mostro,
ma la penetrazione rituale nel suo ventreè caduta in disuso. Per
esempio, presso gli indigeni della SierraLeone e della Liberia si crede che ifuturi membri della società segreta Porovengano inghiottiti dal
mostro Namu: questo rimane gravido perquattro anni e poi partorisce degliiniziati al pari di una donna. Presso iKuta la società segreta
Mungala pratica il rito seguente: siconfeziona in tessuto di fibre dipinte inbianco una specie di fantoccio lungoquattro metri e alto due, che
ha «vagamente l'aspetto di un animale».
Un uomo entra nella sagoma e, durantele cerimonie, cammina nella foresta perterrorizzare i candidati.
Anche in questo caso è stato perduto ilsignificato originario, ma abbiamo vistoche il ricordo mitologico di un mostroche inghiotte e vomita i
candidati si è conservato presso iMàngia e i Banda (nella società segretaNgakola). I miti sono più eloquenti deiriti: ci svelano il senso
originario della penetrazione all'internodi un mostro. Cominciamo dal celebremito polinesiano di Maui. Questo
grande eroe maori ritorna, alla
fine di una vita ricca d'avventure, nellasua patria, presso l'antenata Hine-nui-te-po, la Grande Signora (della notte). Latrova addormentata e,
gettate in fretta le vesti, si appresta apenetrare nel corpo della gigantessa. Mal'eroe era accompagnato da uccelli:prende la precauzione di
ingiunger loro di non ridere prima divederlo uscire vittorioso dalla suaavventura. Infatti gli uccelli mantengonoil silenzio per tutto il
tempo che Maui penetra nel corpo dellasua antenata, ma quando lo rivedono permetà fuori, cioè quando l'eroe,
uscendo, ha ancora la metà del
corpo nella bocca della gigantessa, gliuccelli scoppiano a ridere e la GrandeSignora (della notte), svegliandosibruscamente, chiude i denti e
taglia in due l'eroe, che muore. Proprioper questo motivo, dicono i Maori,l'uomo è mortale; se Maui fosse riuscitoa uscire indenne dal corpo
della sua antenata, gli uomini sarebberodiventati immortali. Constatiamo inquesto mito un altro significato
dell'entrata nel corpo di un
mostro: non più la morte seguita dalla
risurrezione - tema comune a tutte leiniziazioni - ma la ricercadell'immortalità attraverso una discesa
eroica nel ventre dell'antenata-gigantessa. In altri termini, qui èpresente la volontà di affrontare la mortesenza morire, di discendere nel
regno della notte e dei morti e diritornarne vivi, come gli sciamani fannotuttora durante la trance.
Ma mentre lo sciamano penetra soltantoin spirito nel regno dei morti, Mauiaffronta una discesa nel senso materialedel termine. È la ben nota
differenza tra l'estasi sciamanica e le
avventure in carne ed ossa degli eroi.Troviamo la stessa differenza nelleregioni settentrionali e
artiche, dove l'esperienza religiosa èdominata dallo sciamanismo. Secondocerte varianti del Kalevala, peresempio, il saggio Väinämöinen
intraprende un viaggio nel paese deimorti, Tuonela. La figlia di Tuoni, ilSignore dell'aldilà, l'inghiotte, ma,arrivato nello stomaco della
gigantessa, Väinämöinen si costruisceuna barca e, come dice il testo, remavigorosamente «da un estremo all'altro
dell'intestino». La gigantessa
è infine costretta a vomitarlo nel mare.Si crede che durante la trance glisciamani lapponi penetrino nell'intestinodi un grosso pesce o di una
balena. Una leggenda ci dice che ilfiglio di uno sciamano svegliò suopadre, che dormiva da tre anni, conqueste parole: «Padre, svegliati, e
ritorna dall'intestino del pesce, ritornadalla terza ansa del suo intestino!» Inquesto caso si tratta di un viaggioestatico, in spirito, nel
ventre di un mostro marino. Cercheremodi capire poi perché lo sciamano restaper tre anni nella «terza ansa
dell'intestino». Per ora ricordiamo
alcune altre avventure dello stesso tipo.Sempre secondo la tradizione finnica, ilfabbro Ilmarinen faceva la corte a unafanciulla; questa gli
impose, come condizione per ilmatrimonio, di «passeggiare fra i dentidella vecchia strega Hiisi». Ilmarinenparte alla sua ricerca, raggiunge
a strega e ne è divorato. Questa glichiede poi di uscire dalla bocca, maIlmarinen rifiuta. «Mi farò da solo unaporta!», risponde e con
strumenti da fabbro che si è costruitomagicamente distrugge lo stomaco della
vecchia e ne esce.
Secondo un'altra variante, la condizioneposta dalla fanciulla a Ilmarinen era dicatturare un grosso pesce, ma il pesce lodivora.
Disceso nel suo stomaco, Ilmarinencomincia ad agitarsi e il pesce lo pregadi uscire da dietro. «Non uscirò inquesto modo», risponde il fabbro,
«a causa del nomignolo che mi darebbela gente». Il pesce gli propone allora diuscire dalla bocca, ma Ilmarinenrisponde: «Non lo farò, perché
a gente mi chiamerebbe vomitato». Econtinuò ad agitarsi finché il pesce
scoppiò. La storia ha molte varianti.Luciano di Samosata racconta
nella sua "Storia vera" che un mostromarino inghiottì una nave intera conl'equipaggio. Gli uomini accesero ungrande fuoco che uccise il
mostro; per uscire gli aprirono la golacon pertiche. Una storia analoga circolain Polinesia. La barca dell'eroe Nganaoaera stata divorata da
una specie di balena, ma l'eroe presel'albero e glielo infilò nella bocca pertenerla aperta. Poi discese nellostomaco del mostro, dove trovò i
suoi due genitori, ancora vivi. Nganaoa
accese un fuoco, uccise la balena e uscìattraverso la gola. Questo motivofolcloristico è molto diffuso
in Oceania. Sottolineiamo la funzioneambivalente del mostro marino. Non vi èdubbio che il pesce che inghiottì Giona egli altri eroi mitici
simboleggia la morte: il suo ventrerappresenta gli inferi. Nelle visionimedievali gli inferi sono frequentementeimmaginati sotto la forma di
un enorme mostro marino, che ha forse ilsuo prototipo nel Leviatano biblico.Essere inghiottiti equivale quindi amorire, a penetrare negli
inferi, come tutti i riti primitivid'iniziazione di cui abbiamo parlatolasciano molto chiaramente intendere.Ma l'entrata nel ventre del mostro
significa anche la restaurazione di unostato preformale, embrionale. L'abbiamogià detto: le tenebre che regnanoall'interno del mostro
corrispondono alla Notte Cosmica, alcaos precedente la creazione. In altritermini, ci troviamo di fronte a unduplice simbolismo: quello della
morte, cioè della fine di una esistenzatemporale e, di conseguenza, della finedel tempo; e il simbolismo del ritornoalla modalità germinale
che precede ogni forma e anche ogniesistenza temporale. Sul pianocosmologico, questo duplice simbolismoè
espresso dai termini nei rituali
iniziatici sia nei miti eroici e nellemitologie della morte. È un mistero cheimplica la più terribile prova iniziatica,quella della morte, ma
che costituisce anche l'unica viapossibile per abolire la duratatemporale - in altri termini, l'esistenzastorica - e per restaurare la
situazione primordiale. Evidentemente,anche la restaurazione dello stato
germinale, dell'«inizio», equivale a unamorte: infatti si «uccide» la
ropria esistenza profana, storica, giàconsunta, per restaurare un'esistenzaimmacolata, aperta, non insudiciata daltempo.
Ne consegue che in tutti questi contestiiniziatici la morte non ha il senso che siè tentati di darle generalmente, masignifica soprattutto
questo: liberazione dal passato, fine diun'esistenza - fallita come ogni esistenzaprofana - e conseguente avvio di un'altraesistenza
rigenerata. La morte iniziatica è quindi
un ricominciamento, non è mai una fine.In nessun rito o mito incontriamo lamorte iniziatica solamente
in quanto fine, ma in quanto condizioneimprescindibile di un passaggio versoun altro modo d'essere, come provaindispensabile per rigenerarsi,
cioè per cominciare una vita nuova.Insistiamo sul fatto che il simbolismodel ritorno nel ventre ha sempre unavalenza cosmologica. È tutto il
mondo che ritorna simbolicamente con ilneofita nella Notte Cosmica, per poteressere creato di nuovo, cioè per poteressere rigenerato. Come
abbiamo già detto, un grande numero diterapeutiche arcaiche consiste appuntonella recitazione rituale del mitocosmogonico: in altri termini,
er guarire il malato bisogna farlonascere ancora una volta: il modelloarchetipico della nascita è lacosmogonia.
Bisogna abolire l'opera del
tempo, restaurare l'attimo auroraleprecedente la creazione: sul pianoumano, questo equivale a dire chebisogna restaurare la «pagina bianca»
dell'esistenza, l'inizio assoluto, quandonulla era ancora stato insozzato, quando
nulla era ancora stato guastato.
enetrare nel ventre del mostro equivale auna regressione nell'indistintoprimordiale, nella Notte Cosmica; usciredal mostro equivale a una
cosmogonia: è il passaggio dal caos allacreazione. La morte iniziatica ripete ilritorno esemplare al caos per renderepossibile la ripetizione
della cosmogonia, cioè per preparare lanuova nascita. La regressione al caos siverifica talvolta alla lettera, come, peresempio, nelle
malattie iniziatiche dei futuri sciamani,
tedeschi Urzeit ed Endzeit.
IL SIMBOLISMO DELLA MORTEINIZIATICA
Si comprende allora perchél'inghiottimento da parte di un mostroabbia avuto tanta parte sia che spessosono stati considerati veri pazzi. Si
assiste infatti a una crisi totale checonduce talvolta alla disintegrazionedella personalità. Da un certo punto divista si può equiparare la
«follia» iniziatica degli sciamani alladissoluzione della vecchia personalitàche segue la discesa agli inferi o lapenetrazione nel ventre di
un mostro. Ogni avventura iniziatica diquesto tipo finisce sempre col crearequalche cosa, col fondare un mondo o unnuovo modo d'essere. Si
ricordi che l'eroe Maui penetrò nelcorpo della sua antenata per cercarel'immortalità: e questo ribadisce ilconcetto che con la sua impresa
iniziatica credeva di poter fondare unanuova condizione umana, simile a quelladegli dèi. Si ricordi anche la leggendadello sciamano lappone
che per tre anni era rimasto in spiritonell'intestino di un enorme pesce. Perchéaveva intrapreso tale avventura? Unantico mito finnico che si
ricollega a Kalevala ci darà forse larisposta.
Väinämöinen crea per magia - cioècantando - una barca, ma non puòcompletarla perché gli mancano treparole. Per impararle va a trovare unmago
famoso, Antero, un gigante da molti anniimmobile, come uno sciamano durante latrance, nonostante che un albero fossespuntato dalla sua spalla
e gli uccelli avessero fatto il nido nellasua barba.
Väinämöinen cade nella bocca delgigante e ne è subito divorato. Ma nello
stomaco di Antero si fa un costume diferro e minaccia il mago di
restarvi fino a che non abbia ottenuto letre parole magiche per terminare labarca. In questo caso l'avventurainiziatica è intrapresa per
ottenere una conoscenza segreta. Ladiscesa nel ventre di un gigante o di unmostro mira alla conquista della scienza,
della saggezza. Proprio
er questa ragione lo sciamano lapponeresta per tre anni nello stomaco delpesce: per conoscere i segreti dellanatura, per decifrare l'enigma
della vita e per conoscere l'avvenire. Lapenetrazione nel ventre di un mostroequivale dunque alla discesa agli inferi,fra le tenebre e i
morti, cioè simboleggia la regressionesia nella Notte Cosmica sia nelletenebre della «follia» in cui ognipersonalità è dissolta. Se teniamo
conto di tutte queste equiparazioni ecorrispondenze fra morte-NotteCosmica-caos-follia-regressione allacondizione embrionale, allora si
comprende perché la morte simboleggiaanche la saggezza, perché i morti sonoonniscienti e conoscono anche
l'avvenire, perché i visionari e i
oeti cercano l'ispirazione vicino alletombe; e, su un altro piano diriferimento, si comprende anche perchéil futuro sciamano, prima di
diventare un saggio, deve conoscere la«follia» e discendere fra le tenebre,perché la creatività è sempre inrelazione con una certa «follia» od
«orgia», inseparabili dal simbolismodella morte e delle tenebre. Per spiegaretutto questo C. G. Jung parla di unareviviscenza del contatto con
'inconscio collettivo. Ma, per restare nelnostro campo, si comprende soprattutto
perché presso i primitivi l'iniziazione èsempre in rapporto
con la rivelazione della scienza sacra,della saggezza.
roprio nel periodo di segregazione -cioè quando si crede che sianoinghiottiti nel ventre del mostro e sitrovino agli inferi - i neofiti
vengono istruiti nelle tradizioni segretedella tribù. La vera scienza, quellatrasmessa dai miti e dai simboli, èaccessibile soltanto nel corso
o in seguito al processo di rigenerazionespirituale realizzato dalla morte e dallarisurrezione iniziatiche.
Siamo ora in grado di comprendereperché lo stesso schema iniziatico - cheimplica sofferenze, morte e risurrezione- si ritrovi in tutti i
misteri, sia nei riti puberali sia in quelliche fanno accedere a una societàsegreta; e perché possiamo intuire lostesso scenario nelle
sconvolgenti esperienze intime cheprecedono la vocazione mistica.
rima di tutto comprendiamo questo:l'uomo delle società arcaiche si èsforzato di vincere la morte in se stesso
attribuendole un'importanza tale
che infine la morte ha cessato disembrare un'interruzione ed è diventataun rito di passaggio; in altri termini, peri primitivi si muore sempre
a qualche cosa che non è essenziale: simuore soprattutto alla vita profana. Inbreve, si giunge a considerare la mortecome la suprema
iniziazione, cioè come l'inizio di unanuova esistenza spirituale. Anzi:generazione, morte e rigenerazione sonostate comprese come i tre
momenti di uno stesso mistero, e tutto losforzo spirituale dell'uomo arcaico èrivolto a dimostrare che tra questimomenti non deve esistere
frattura. Non è lecito fermarsi in uno diquesti tre momenti, accomodarsi in unodi essi, per esempio nella morte o nellagenerazione. Il
movimento e la rigenerazione non siarrestano: il primitivo ripeteinfaticabilmente la cosmogonia peressere sicuro di far bene qualcosa: un
bambino, per esempio, o una casa, o unavocazione spirituale. Ecco perchéabbiamo sempre incontrato la valenza
cosmogonica dei riti
d'iniziazione.
Anche la saggezza e, per estensione,
ogni conoscenza sacra e creatrice sonoconcepite come il frutto diun'iniziazione, cioè come il risultato a
un tempo di una cosmogonia e di unprocesso ostetrico. Non senza ragioneSocrate si paragonava a una levatrice:
aiutava l'uomo a nascere alla
coscienza di sé. Ancora più nettamente,san Paolo parla del discepolo Tito comedi «vero figlio» che ha procreato con lafede.
E lo stesso simbolismo si ritrova nellatradizione buddista: il monacoabbandona il suo nome di famiglia ediventa un
«figlio del Buddha»
(sakya-putto) poiché è «nato fra i santi»(ariya). Così diceva Kassapa parlandodi se stesso: «Figlio naturale del Beato,nato dalla sua bocca,
nato dal dhamma, plasmato daldhamma...» Ma questa nascita iniziaticaimplica la morte all'esistenza profana.Lo schema si è conservato sia
nell'induismo sia nel buddismo. Lo yogi«muore a questa vita» per rinascere a unaltro modo d'essere: quello
rappresentato dalla liberazione. Il
Buddha insegnava la via e i mezzi per
morire alla condizione umana profana -cioè alla schiavitù e all'ignoranza - e perrinascere alla libertà,
alla beatitudine e all'incondizionato del"nirvana". La terminologia indù dellarinascita iniziatica ricorda talvolta ilsimbolismo arcaico del
«nuovo corpo» che ottiene il neofita. IlBuddha stesso proclama: «Ho indicatoai miei discepoli i mezzi con i qualipossono creare, partendo da
questo corpo (costituito dai quattroelementi), un altro corpo fatto disostanza intellettuale (riipimmanomayam), completo di membra edotato di
facoltà trascendentali (abhinindriyam)».A nostro parere, tutto questo prova chela valorizzazione arcaica della morte inquanto supremo mezzo di
rigenerazione spirituale costituisce unoscenario iniziatico che si prolunga finnelle grandi religioni del mondo e che èstato utilizzato anche
dal cristianesimo.
È il mistero fondamentale, ripreso,rivissuto e rivalorizzato da ogniesperienza religiosa nuova. Maosserviamo più da vicino leconseguenze
ultime di questo mistero: se si conosce
già la morte quaggiù, se si muoreinnumerevoli volte, continuamente, perrinascere ad altra cosa, ne
consegue che l'uomo vive già quaggiù,sulla terra, qualche cosa che nonappartiene alla terra, che partecipa delsacro, della divinità; vive,
diremmo, un inizio d'immortalità, siaffaccia gradualmente all'immortalità.Di conseguenza, l'immortalità non deveessere concepita come una
sopravvivenza post mortem, ma comeuna situazione che si crea continuamente,a cui ci si prepara e anche a cui sipartecipa fin d'ora, in da
questo mondo. La non-morte,l'immortalità, deve essere concepitaallora come una situazione limite, comeuna
situazione ideale verso cui l'uomo
tende con tutto il suo essere e che sisforza di conquistare morendo erisuscitando continuamente.
***
NOTIZIA
Mircea Eliade è nato nel 1907 aBucarest; in questa città frequentò lafacoltà di lettere dell’Università e nel1932
conseguì il dottorato.
Dal 1928 al 1932 fu all'Università diCalcutta per approfondire i suoi studisull'India, soprattutto sotto l'aspettoreligioso. Ritornato a
Bucarest, fino al 1939 fu membro dellafacoltà di lettere dell'Università, doveinsegnò metafisica. Apparvero in quelperiodo le sue prime
ubblicazioni nel campo delle religionicomparate e alcune opere di narrativa.
Fra i suoi romanzi, che hanno comesfondo l'India e trattano i temi salientidel suo pensiero filosofico, Maitreyi,del 1933, è notevole per
'acutezza dell'analisi psicologica.
Fu fondatore e curatore della rivista distudi religiosi «Zalmoxis».
Durante la seconda guerra mondialeprestò servizio come addetto culturalepresso la legazione romena a Londra,dal 1940 al 1941, e quindi, dal
1941 al 1944, come consulente pressoquella di Lisbona.
Dopo la guerra visse a Parigi, dove fupresidente del Centro Romeno diRicerche e dal 1946 al 1949 tennealcuni corsi
all'Ecole des Hautes Etudes
della Sorbona. Nel 1956 si stabilì negliStati Uniti, dove è tuttora titolare dellacattedra di storia delle religioniall'Università di Chicago.
Ha tenuto conferenze in numeroseuniversità europee, fra cui, in Italia,quelle di Roma e di Padova.
Ha pubblicato i seguenti saggi:
"India", Editura Cugetarea, Bucarest1934.
"Alchimia Asiatica", Editura CulturaPoporului, Bucarest 1934.
"Yoga: essai sur les origines de lamystique indienne", P. Geuthner, Parigi
1936.
"Cosmologie si alchimie babilonian",Editura Vremea, Bucarest 1937.
"Metallurgy, magic and alchemy", P.Geuthner, Parigi 1938.
"Fragmentarium", Editura Vremea,Bucarest 1939.
"Mitul Reintegrarii", Editura Vremea,Bucarest 1942.
"Os Romenos, Latinos do Oriente",Livraria Classica Editora, Lisbona1943.
"Insula lui Euthanasius", Editura
Fundatia Regala pentru Arta Literatura,Bucarest 1943.
"Comentarii la legenda MesteruluiManole", Ed. Publicom, Bucarest 1943.
"Techniques du Yoga", Gallimard, Parigi1948; trad. it.: "Tecniche dello Yoga",Einaudi, Torino 1952; Boringhieri,Torino 1967.
"Le Mythe de l'Eternel Retour",Gallimard, Parigi 1949; trad. it.: "Il mitodell'eterno ritorno", Borla, Torino 1968;Rusconi, Milano 1975.
"Traité d'histoire des religions", Payot,Parigi 1949; trad. it.: "Trattato di storiadelle religioni", Einaudi, Torino 1954;
1970."Le Chamanisme et les techniquesarchaiques de l'extase", Payot, Parigi1951, trad. it.: "Lo Sciamanismo e letecniche arcaiche dell'estasi",
Fratelli Bocca, Milano-Roma 1953;Edizioni Mediterranee, Roma 1974.
"Images et symboles", Gallimard, Parigi1952.
"Le Yoga: Immortalité et liberté", Payot,Parigi 1954; trad. it.: "Lo Yoga.Immortalità e libertà", Rizzoli, Milano1973.
"Forgerons et Alchimistes",Flammarion, Parigi 1956; trad. it.: "Ilmito dell'alchimia", Avanzini-Torracca,Roma 1968.
"Das Heilige und das Profane" (trad. dalfrancese), Rowohlt, Amburgo 1957;trad. it.: "Il Sacro e il Profano",Boringhieri, Torino 1967.
"Birth and Rebirth; the religious meaningof initiation in human culture", Harper,New York 1958.
"Naissances mystiques", Parigi 1959;trad. it.: "La nascita mistica",Morcelliana, Brescia 1974.
"Mythes, reves et mystères", Gallimard,
Parigi 1957; trad. it.: "Miti, sogni emisteri", Rusconi, Milano 1976.
"Recent Works on Shamanism",University of Chicago, Chicago 1961.
"Méphistophélès et l'Androgyne",Gallimard, Parigi 1962; trad. it.:"Mefistofele e l'Androgino", EdizioniMediterranee,
Roma 1971.
"Patanjali et le Yoga", Editions du Seuil,Parigi 1962.
"Myth and Reality", Harper & Row,New York 1963; trad. it.: "Mito erealtà”, Boria, Torino 1966; Rusconi,
Milano 1974.
"Amintiri, I: Mansarda" (autobiografia,voi. I), Destin, Madrid 1966.
"From Primitives to Zen; a thematicsourcebook on the history of religions",Harper & Row, New York 1967.
"Témoignages sur Brancusi", Arted,Editions d'Art, Parigi 1967.
"The quest; history and meaning inreligion", University of Chicago,Chicago 1969; trad. it.:
"Nostalgia delle origini", MorcellianaBrescia 1972.