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Nicola Gardini, \"Lacuna\". In \"Incroci\", n. 32

Date post: 19-Nov-2023
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incroci semestrale di letteratura e altre scritture anno XVI, numero 32 luglio-dicembre duemilaquindici Mario Adda Editore
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incrocisemestrale di letteratura e altre scritture

anno XVI, numero 32luglio-dicembre duemilaquindici

Mario Adda Editore

incrocisemestrale di letteraturae altre scritture

DirezioneLino Angiuli, Raffaele Nigro, Daniele Maria Pegorari

RedazioneGina Cafaro, Esther Celiberti, Milica Marinković, Domenico Mezzina, Domenico Ribatti, Sara Ricci, Salvatore Ritrovato, Marilena Squicciarini (segretaria), Carmine Tedeschi

Direttore responsabileSalvatore Francesco Lattarulo

In copertina: La pesca monopolitana di Jan Antonyshev (2014) 32 x 36 (collezione M. Talalay)

web – http://incrocionline.wordpress.comMateriali e corrispondenza possono essere inviati all’indirizzo: [email protected] collabora per invito.

Abbonamento annuale: euro 18,00Una copia: euro 10,00da versare sul c.c. postale n. 10286706intestato a: Adda Editore, via Tanzi, 59 - 70121 Bari

Autorizzazione del Tribunale di Bari n. 2068 del 2012 (n. Reg. Stampa 32)

ISBN 9788867172122ISSN 2281-1583

© Copyright 2015Mario Adda Editore, via Tanzi, 59 - 70121 BariTel. e Fax 080 5539502web: http://www.addaeditore.ite-mail: [email protected]

Finito di stampare nel mese di dicembre 2015 presso Grafica 080 per conto di Mario Adda Editore - Bari

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Sommario

Editoriale 5

Altre inquietudinipoeti cechi tradotti e presentati da Antonio Parente 7

La Puglia dei russi testi di Sergej Alëšin, Konstantin Kalašnikov, Aleksandra Krjučkova, Lino Angiulicon opere di Jan Antonyshev 18

Bulat Okudžava in Italia: poesia e musicaun saggio di Roberto Talamo 25

Le canzoni duševnye di Okudžavauna testimonianza di Michail Talalay 35

Heimatun poemetto ‘civile’ di Pasquale Vitagliano 39

La traccia sotterranea del doloredodici opere di Claudio Vino, testi di Pier Paolo Pasolini e Valeria Dell’Eracon una nota di Alvaro Spagnesi 43

Il progresso secondo Pier Paolo Pasoliniuna riflessione di Antonio Aprile 57

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‘Paso doble’ Bodini/Mancinoun saggio di Maria Rosaria Cesareo 61

“Metamor” di Bodiniun ‘recupero’ di Leonardo Mancino, con una lettera responsiva di Vittorio Bodini 68

Cultura, paesaggio e territorio: dall’ecocriticaall’identità mediterranea della letteratura puglieseun contributo di Antonio Giampietro 71

A che serve? Considerazioni sull’(in)utilità dell’arteun saggio di Valeria M.M. Traversi 82

Declinazioni figurative tra Giorgio Bassani e Francis Baconun saggio di Lucia Cariati 89

Bagattelleuna riflessione di Paolo Puppa, con una nota di Esther Celiberti 111

Lavoro dell’inconscio e creativitàuna retrospettiva di Claudio Toscani 117

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su C. Argentina (di E. Castrovilli); M. Oliva, G. Langella (di D.M. Pegorari); A.Ferramosca (di P. Simone); N. Gardini, S. Valerio (di F Giuliani); G. Stella Elia,A. Rosselli, L. Mastrantonio (di S. D’Amaro); D. Adriano, L. Luisi (di C. Tedeschi); G. Rosato (di A. Lillo); V. Grossman (di D. Ribatti). 127

* I sommari dei numeri precedenti si possono consultare sul sito: incrocionline.wordpress.com

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ogni caso spezzare il dialogo tra l’alto e il basso, tra i termini sorprendenti di uno scambio co-municativo al di sopra di tutto, deciso a tutto, purché il fare della natura e il dire dell’uomo si ritrovino, come da sempre, in quel tratto di cielo destinato alla comune salvezza. Da una parte la natura umanizzata, dall’altra l’umano naturalizzato nella visione di una adolescente che gioca in un campo di girasoli. È l’essenza umana della piccola e temeraria ‘oltremare’ che si duplica nei mille interrogativi di Erica, altra adolescente, girovaga suo malgrado, che incer-ta del viaggio, se ne va tra un orizzonte e l’altro; simbolica promessa di un dialogo possibile tra Abdul e David. Erica, la scalza «che attraversa i ponti saldi dell’amicizia / regale nel non pos-sedere / se non parole come incontro ascolto».

In questo intrico di umano / non umano, alla poetessa piace ricercare, pur nella diversi-tà dei generi, ciò che lega e accomuna uomo e albero, perché «uguale è l’aria che respiriamo, uguale la corsa di linfa e di sangue».

Nel ciclo delle riflessioni poetiche e dell’illuminante proliferare delle metafore del presente e del passato, caparbiamente vissuti, attraversata indenne quella «terra di lampi» che è il nostro corpo che pur un giorno finirà per spegnersi e scomparire «nel brulichio for-midabile» del sonno eterno (Corpo), il ‘ciclo’ vitale dell’amore riprende e sorprende; l’amo-re, come sostanza di ‘sangue denso’, che fluisce selvaggio dalla vena con la voglia di coagulare in «pagine immarcescibili». Un amore capace «nell’urgenza del mutare», di dare un senso di vita anche ai fallimenti, tramutandoli «in cate-gorie di seduzione / come la catena trasmessa dal seme al frutto» (Revisioni).

Nell’ora in cui cominciano a spegnersi «i lumi residui» dell’esistenza terrena, tra il timore trattenuto e l’indulgenza di un estremo sorriso, il pensiero materno corre ancora una volta all’al-legra bambina in coda al supermercato che nulla può sapere di quel che io so: «che sto andando verso la fine» (È l’ora). È un pensiero di mor-

te come preludio a un distacco preannunciato. Un breve ritorno ancora alle memorie legate alle pietre e alla terra d’origine (Specchie) e l’autrice può concludere il suo viaggio poetico ‘circolare’ attraverso le fasi della sua esistenza terrena, nella «devozione altissima» che sale sui rami del ci-presso, albero a cui i cari corpi remoti si sforzano di «tenersi stretti al tronco nel buio» della loro notte (Notte scomposta con cipressi).

Nell’impossibile ricerca di rispondere ai richiami dell’albero, l’autrice, scavando avida-mente a mani nude sul fondo, in quella «fini-tezza che disancora», si chiede: «Ci sarà un punto segreto su cui far leva / dove affondano le radici / si assestano le fondamenta / termine di terracielo confine limpido / dove culmina la vertigine ammicca il demone / da cui spiccare il volo / nella chiarità o nell’abisso?».

Lasciando a noi tutti la libera riflessione e la ricerca ultima di ogni possibile risposta al suo cruciale interrogativo.

Pasko Simone

Nicola GardiniLACUNAEinaudi, Torino, 2014.

Nicola Gardini, classe 1965, insegna Let-teratura italiana e comparata presso l’Universi-tà di Oxford ed è un nome noto sia nell’ambito critico che in quello creativo. In questo secon-do ambito, in particolare, ha pubblicato sillogi di poesia, come Le parti dell’amore (2010) e Stamattina (2014), e romanzi, come Le parole perdute di Amelia Lynd, con il quale ha vinto, nel 2012, il Premio Viareggio. Oltre alle sue apprezzate traduzioni, è il caso di ricordare il duro ma sacrosanto atto d’accusa contenuto nel volume I baroni, apparso in prima edizione nel 2009, per i tipi della Feltrinelli, nel quale ha ripercorso la sua personale esperienza di giova-ne ricercatore, caduto nelle grinfie dei baroni

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che governano ancor oggi molta parte della vita universitaria italiana. Una vicenda a lieto fine, la sua, culminata con l’approdo in Inghilterra, dove ha potuto farsi strada con le sue gambe, a differenza di quanto avvenuto in Italia.

Ora è la volta di Lacuna, un testo critico, sottotitolato Saggio sul non detto, che ha attira-to molte positive attenzioni sin dal suo appro-do in libreria. Siamo di fronte a un lavoro di certo originale e acuto, che riesce a sviscerare un tema ampio e per molti versi insidioso, uti-lizzando riferimenti letterari che coprono tutto l’arco della produzione occidentale, dagli anti-chi grechi ai giorni nostri.

Gardini, consapevole delle peculiarità del suo scritto, ci offre, preliminarmente e in epilo-go, delle utili informazioni sulla genesi dell’ope-ra e sui confini dell’analisi, e si tratta di notizie quanto mai doverose e illuminanti. Il critico si sofferma sulle omissioni intenzionali, sulle parti mancanti del testo, su tutto quanto viene omes-so, ma con l’obiettivo di dire di più, di rendere l’opera più profonda e significativa. Le lacune che stanno a cuore a Gardini, dunque, non sono quelle inconsapevoli o obbligate, ma quelle deli-berate, in nome di strategie narrative che porta-no a un miglioramento del testo.

Di qui, pertanto, l’inizio di una vivace trattazione sui momenti ritenuti più emblema-tici nella storia del «non detto», un excursus basato sullo stretto rapporto con i testi e con la tradizione letteraria («E con “letteratura” – scrive il critico – mi riferisco qui ai libri e agli scrittori più influenti della tradizione occiden-tale, antichi e moderni, italiani e no: roman-zieri, in primo luogo, ma anche storici come Tacito o teorici come Cicerone o Nietzsche»).

Gardini lascia da parte la musica, le arti figurative e il teatro, ma anche così la materia è di grande complessità e richiede un approc-cio meditato. Lo studioso rivela una notevole capacità di spaziare nei cieli della letteratura, aggiungendovi anche il piacere della narrazio-ne, che lo guida per le quattro parti che forma-

no il libro. Talvolta, in verità, il filo rosso della trattazione sembra perdersi, di fronte all’ab-bondanza dei riferimenti (ed è un pericolo dal quale lo stesso Gardini mette in guardia nelle Conclusioni), ma alla fine il mosaico che ne de-riva possiede una indubbia coerenza.

Se ogni parola coesiste con qualcosa che è altro da sé, se tutto quello che si scrive non completa mai tutto quanto è possibile dire, ne deriva che gli scrittori che hanno fatto un uso accorto e consapevole della lacuna, omettendo o alludendo, richiamando suggestivamente e incisivamente qualcosa che va oltre la parola scritta, hanno ottenuto degli esiti artistici par-ticolarmente felici.

Tra gli esempi, viene citato a più riprese il Dante della Commedia. Si pensi a un verso come «poscia, più che ‘l dolor, poté il digiu-no» (Inf., XXXIII, 75), legato al celeberrimo episodio del conte Ugolino. In un solo ende-casillabo il poeta racchiude un universo di si-gnificati, facendo appello alla comprensione attiva del lettore. Una densità, del resto, riflessa nella complessa esegesi storica del passo. Di quest’arte del silenzio e dell’omissione Dante è un maestro indiscusso. Ovviamente, restan-do nell’ambito italiano, Gardini non poteva dimenticarsi del taglio manzoniano relativo a «La sventurata rispose» dei Promessi Sposi. Perché aggiungere tante parole se si può rac-chiudere tutto in un breve spazio?

La lacuna rinvia alla scrittura breve, all’essenzialità, all’immediatezza, e anche in quest’ambito non mancano pagine e pagine di esempi e di chiarimenti. Si pensi solo alle folgo-razioni di Tacito, capaci di raggiungere risultati straordinari.

Gardini, dunque, ha il pregio di aver ri-chiamato l’attenzione sul sottile rapporto tra detto e non detto, terminando con delle parole in cui si esprime il suo amore per la letteratura, per questo insopprimibile paradigma della vita che oggi troppo spesso viene sottovalutato e privato di dignità.

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Lacuna, insomma, è un’opera dotta, im-pegnativa, ma va dato atto al suo autore di aver-la resa quanto più possibile gradevole, facendo leva sulla curiosità del lettore, attratto da para-grafi brevi e allettanti, oltre che responsabiliz-zato: leggere è un’arte, proprio come scrivere.

Francesco Giuliani

Sebastiano ValerioLETTERATURA, SCIENzA E SCUOLANELL’ITALIA POST-UNITARIA Franco Cesati, Firenze, 2015.

Sebastiano Valerio insegna da anni Let-teratura Italiana nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Foggia. Ha al suo attivo numerosi lavori relativi al periodo umanistico-rinascimentale, ma ha anche rivol-to una particolare attenzione all’Ottocento, ponendo l’accento sulle dinamiche culturali e su alcuni personaggi che hanno segnato il se-colo borghese.

In questo secondo ambito si pone il denso lavoro appena dato alle stampe, che reca come sottotitolo il riferimento a Giovanni Pascoli, Arturo Graf e Gaetano Trezza, tre notevoli protagonisti del dibattito culturale dei decenni immediatamente successivi all’Unità, quando bisognava «fare gli Italiani», impresa decisa-mente ardua, se non impossibile.

Valerio ha raccolto per l’occasione quat-tro saggi che portano alla luce una realtà di grande attualità, segnata da discussioni che, con qualche modesto cambiamento, si ripetono an-cora al giorno d’oggi. Si pensi solo al fatto che l’Italia, tra i paesi europei membri dell’OCSE, è quello che spende di meno per l’istruzione, mal-grado certa propaganda fuorviante e disonesta.

Il punto di partenza dell’indagine di Vale-rio è rappresentato dalle riviste del periodo, nel-le quali si ritrovano posizioni quanto mai diver-se, ma tutte, per l’appunto, ispirate alla necessità

di dotare l’Italia di una solida scuola, in grado di preparare nel migliore dei modi le future clas-si dirigenti del Regno, oltre che di eliminare le vaste fasce di analfabetismo esistenti specie nel Meridione. Non c’è dubbio, comunque, che nelle discussioni prese qui in considerazione sia più viva la prima preoccupazione, visto che si parla del futuro degli studi classici e del rappor-to tra discipline umanistiche e scientifiche.

Si veda, ad esempio, il primo saggio del li-bro, intitolato Darwinismo, Medioevo e Rinasci-mento in una polemica sulla Rivista di Filosofia Scientifica. Il positivismo, con le sue idee evolu-zionistiche e ottimisticamente fiduciose nella scienza, portava alla richiesta di un rinnovamen-to radicale di mentalità, e quindi di metodi. Di qui le posizioni di Gaetano Trezza, un ex sacer-dote veronese convertitosi al positivismo, che si fa banditore dei tempi nuovi e delle fiducie nel metodo scientifico.

Nelle discussioni del periodo, tra l’altro, interviene anche un personaggio come Giusep-pe Checchia, nativo di Biccari, nel Subappenni-no Dauno, al quale Valerio ha già dedicato degli interessanti studi. Checchia, uomo di scuola, si divideva tra l’entusiasmo per la nuova scienza e la passione per Carducci, dato, questo, che lo por-tava ad essere più misurato nei suoi interventi.

Anche allora gli innovatori si contrappo-nevano ai difensori della classicità, e in questo senso è illuminante il secondo capitolo del vo-lume di Valerio, Arturo Graf e l’insegnamento delle lingue classiche. Graf, docente all’Univer-sità di Torino, è con Novati e Renier uno dei fondatori del prestigioso «Giornale Storico della Letteratura Italiana», nel 1883. Proprio in ossequio ai tempi nuovi, egli ritiene necessa-rio favorire lo studio delle letterature moderne a scapito di quelle classiche, riservando il greco e il latino solo all’ambito universitario e speciali-stico. I tempi nuovi, aggiunge Graf, porteranno inevitabilmente alla scomparsa di studi non più attuali e incapaci di reggere il confronto con la modernità.


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