Se c’è una cosa a cui Linda non potràmai
rinunciare, sono i suoi difetti. Ci hannoprovato
in tanti a cambiarla, a correggere le suepiccole
imperfezioni per fare di lei la donna che
volevano amare. Ma a trentatré anni, unacarriera
bril ante da designer d’interni e unimportante
catalogo di danzati e storie di una notte,Linda
sa che essere volitiva, irascibile, pigra,golosa è la
sua forza. E che quando vuole una cosa,deve
prendersela senza chiedere il permesso.
La capisce davvero solo Alessandro,fotoreporter
e amico di sempre, uno spirito liberocome lei: se
dovesse farle un ritratto, lo intitolerebbeI sette
vizi capitali e sarebbe uno scatto un po’mosso,
bel issimo ma comunque incapace dicatturare la
personalità inquieta e contraddittoria dilei.
Forse è per questo che, in amore comenel sesso,
Linda non ha ancora trovato ciò chevuole.
Nemmeno lei sa cosa cerca, ma disicuro non un
tipo come Tommaso Bel i. Freddo,control ato,
magnetico nel a sua bel ezza curata nei
dettagli,
Tommaso è l’altro lato del a medagliaperché è
semplicemente
perfetto.
Quando
però
l’a ascinante diplomatico le fa laproposta del
secolo, arredare la sua vil a nel acampagna
veneta, la terra in cui Linda è nata e cheama, non
può ri utare. Ma accettando sconvolgeràil suo
mondo e il suo modo di vivere lapassione.
Scoprendo a sue spese che quando siaccende,
ormai è tardi per resisterle. Dopo ilsuccesso
internazionale del a sua trilogia, IreneCao torna
con una nuova avventura erotica, per
ricordarci
che nessuno può scegliere chidesiderare.
IRENE CAO è nata a Pordenone nel1979. Ha
studiato Lettere Classiche a Venezia,dove ha
conseguito anche un dottorato in StoriaAntica.
Attualmente vive in un piccolo paese delFriuli. È
autrice di Io ti guardo, Io ti sento e Io tivoglio, la prima trilogia erotica italiana,
in testa al e
classifiche internazionali.
Irene Cao
Per tutti gli sbagli
Proprietà letteraria riservata
© 2014 RCS Libri S.p.A., Milano
ISBN 978-88-58-67051-4
Prima edizione digitale 2014 daedizione giugno
2014
In copertina: Immagine © MassimoGardone
Graphic Designer: Mauro de Toffol /
the World of DOT
www.rizzoli.eu
Quest’opera è protetta dalla Legge suldiritto d’autore.
È vietata ogni duplicazione, ancheparziale, non
autorizzata.
Per tutti gli sbagli
A Carlo,
mio padre
1
Corre da dieci minuti, ormai.
Il primo chilometro, tutto di terra
e ghiaia, l’ha praticamente
divorato. Non è una da mezze
misure. E adesso ha conquistato
l’asfalto, che al sole del mattino
sembra quasi brillare.
Il paese è ancora lontano.
Intorno a lei,
lari di vite,
intervallati da qualche ciliegio e da
ulivi secolari. È un posto magico,
questo. Da quassù hai una visuale
imperfetta del mondo più in basso:
a volte ti sembra lontanissimo,
altre così vicino da fare quasi
paura. Ma Linda Ottaviani non si
lascia spaventare dall’aspetto delle
cose: la stranezza non è altro che
una forma di fascino, per lei.
Correre di mattina è la sua
droga. Lo fa ogni giorno, con il
sole o con la pioggia, persino con
la neve. Incede sicura, canotta e
shorts, scarpe da training rosa uo
e Wayfarer verde acqua a
proteggere gli occhi dello stesso
colore. Nelle orecchie ha le cuffiette
dell’iPod che porta legato al polso,
perché c’è una sola regola: non si
corre senza musica. Ogni tanto lo
avvicina alla bocca e con un
comando vocale fa girare la
playlist dai Depeche Mode a Lana
Del Rey. Prima di uscire si è legata
i capelli freschi di shatush in una
coda alta, doppio giro di elastico
da cui spuntano alcune ciocche
spettinate. Non c’è niente da fare, i
suoi capelli sono come lei: un caos
che non ha senso tentare di
nascondere dietro una maschera di
ordine. E, proprio come i suoi
pensieri, sono indomabili.
Scioglie le braccia scrollandole
lungo i anchi e si prepara ad
accelerare l’andatura: corre da
mezz’ora, adesso, ma di ato ne ha
ancora abbastanza. Beve un sorso
d’acqua mineralizzata, estraendo la
piccola borraccia dalla cinta
elastica senza fermarsi, e inizia la
discesa verso Rugolo, sulle colline
trevigiane: una manciata di case
colorate, una chiesa e un
campanile rosso che batte le nove
di un mattino di maggio. In paese è
rimasta traccia del passaggio di
Štěpán Žavrel, un artista che ha
lasciato degli incantevoli murales
su alcuni edi ci. Linda, professione
interior designer sempre in cerca di
nuove ispirazioni, ama questo
posto, un piccolo paradiso naïf dal
sapore antico, in bilico tra due
realtà: guarda in alto, verso il
monte Pizzoc, un cono che sembra
schiacciato dal piede pesante di un
dio; e poi guarda giù, verso la
pianura, osserva da lassù il Veneto,
quello ricco delle città e delle
industrie, del buon vino e delle
ville di lusso. Se le chiedessero di
scegliere a quale dei due mondi
appartenere, si farebbe una risata:
lei sta bene ovunque, ogni
contraddizione è una s da a cui
non sa resistere.
Ha iniziato a sudare, ora:
signi ca che sta correndo nel modo
giusto. Alcune gocce le scendono
lungo la schiena, altre dalle tempie
scivolano sulla pelle ambrata del
collo per annidarsi nell’incavo dei
suoi seni tonici. Corre veloce, ma
non è ancora al massimo.
Oltrepassa il bivio della Madonna
del Sasso, una bizzarra scultura
ricavata da un enorme blocco di
pietra, ora ricoperto di rosari e
cuori votivi. Manca poco alla Casa
Azzurra: è il momento dello sprint
nale. Dopo quasi un’ora di corsa,
Linda è un fascio di muscoli, tutta
l’energia nelle gambe: non pensa
più a niente, c’è soltanto la strada.
La strada e il suo istinto.
Gli ultimi cento metri li fa di
slancio. Il cuore pompa, la testa è
leggerissima, i polmoni stanno
scoppiando, il corpo sta quasi per
cedere.
Stop.
Inspirare,
espirare.
Tutto
rallenta. La fase di defaticamento è
la più bella. Il cuore si apre, la
mente si svuota. Adesso sì che si
sente libera.
Linda ora cammina. Butta giù tre
sorsate d’acqua e sintonizza l’iPod
su radio Deejay. A darle il
buongiorno, la voce nasale di
Linus: «Superbia, avarizia, lussuria,
invidia, gola, ira, accidia: qual è il
vostro vizio capitale del cuore?
Insomma, che tipo di peccatori
siete? Scriveteci: aspettiamo i
vostri sms…».
A quel punto parte 7 Deadly Sins
dei Simple Minds. Linda si mette a
ridere,
scuote
la
testa,
un’espressione divertita le si
dipinge sul viso. «Che sondaggio
idiota…» le esce fuori a voce alta,
proprio a lei che quei vizi, forse, ce
li ha tutti quanti.
Però la canzone è sempre
pazzesca, pensa, e con uno stacco
di gamba guadagna il sentiero.
2
La Casa Azzurra taglia a metà
l’antico vigneto di Vill’Alta. È qui
che abita Linda, nella casa dei suoi
nonni paterni. L’ha restaurata lei,
curando ogni minimo dettaglio
dell’arredamento
con
una
precisione quasi ossessiva. Più che
una casa, è un luogo della
memoria, perché come una pelle
porta tatuata addosso una storia,
tutta scritta nelle cose di cui è
fatta: i muri azzurri, gli infissi rosso
porpora, i cestoni di paglia
intrecciata sotto il patio, le botti
nella cantina, le pietre chiare
disposte una a una lungo il sentiero
del giardino… e poi l’assenza di
cancelli e quel silenzio naturale che
riempie il cuore. Su un angolo della
facciata, da oltre un secolo una
meridiana scandisce le ore,
proiettando una sottile ombra
nera. Linda ne ha ridisegnato i
contorni sbiaditi dal tempo con un
rosso brillante e ora non fa quasi
più caso alla sua presenza, come
capita con le cose o le persone che
ci sono da sempre.
Appena arriva sotto il patio, si
sgancia la cintura elastica con la
borraccia vuota e la abbandona
sulla soglia. Scioglie i muscoli
espirando e si mette a fare un po’
di stretching al fresco del pergolato
accanto all’ingresso. Non segue una
sequenza precisa, ma un ordine
casuale negli allungamenti. Dopo
un paio di minuti a erra i pesetti
da tre chili, uno per braccio, ed
esegue quattro serie di squat, il
migliore esercizio per allenare
cosce e sedere, come le ripeteva
sempre Davide, il suo personal
trainer. Che è anche l’uomo con cui
Linda ha fatto sesso la sera prima.
Uno della categoria “una notte e
basta, massimo due”.
Davide Costa l’ha conosciuto
nella palestra che frequentava
durante l’inverno; poi a marzo ha
smesso di andarci – un po’ per
l’arrivo della bella stagione (cosa
c’è di meglio di una corsa all’aperto
per scaricare la tensione da
u cio?) e un po’ perché si è
nalmente convinta che gli esercizi
sulle macchine non le danno
soddisfazione come quelli a corpo
libero – e addio al bell’istruttore.
Fino a quando, la sera prima, la
sua amica Valentina è riuscita a
trascinarla al New Wave per il
concerto dei Rebel Roots, un
gruppo reggae rock che lei non
aveva mai nemmeno sentito
nominare. Entrate nel locale e
attraversati i fumi e la semi-
oscurità della sala principale,
hanno trovato due posti nel
divanetto laterale vicinissimo al
palco. E poi, nel momento in cui le
luci si sono accese e il gruppo ha
iniziato a suonare, eccolo lì. Eh sì,
perché il tipo alle percussioni Linda
lo aveva già visto da qualche parte
e le è bastato un attimo per
metterlo a fuoco: Davide, un metro
e novanta di divinità greca, ma in
una veste tutta nuova. Così, a torso
nudo, scalzo, i pantaloni da
fachiro, le mani che battevano le
pelli di tamburo e i muscoli del
petto che ballavano sul ritmo, era
sexy da lasciare senza
ato.
Quando poi si asciugava il sudore
sulla fronte con il braccio, o si
chinava a terra per bere dalla
bottiglia… un incontro ravvicinato
con la perfezione dei corpi.
Appena il gruppo ha smesso di
suonare, Linda ha fatto di tutto per
intercettare lo sguardo di Davide al
bancone del bar. E considerando
anche la maliziosa scollatura del
suo abitino di jersey turchese, non
c’è voluto molto a catturare la sua
attenzione…
«Sei bravissimo» si è subito
complimentata, avvicinandosi con
il suo naturale passo da gatta,
morbido e sensuale.
«Trovi?» ha detto lui.
«Assolutamente
sì.
Hai
un’energia pazzesca!»
«Grazie.»
A quel punto il bronzo di Riace si
è sciolto in un sorriso. È fatta, ha
pensato Linda. Se voglio, è mio.
«Non sapevo fossi anche un
musicista» gli ha sorriso anche lei,
accarezzandolo con uno sguardo
che prometteva tutto.
«In realtà» si è messo a spiegare
Davide, «sarei un musicista, prima
di essere un personal trainer. Ho
studiato percussioni per dieci anni
al Conservatorio. Il lavoro part-
time in palestra serve solo a
mantenermi, è un modo come un
altro per coltivare il mio vero
sogno…»
«Ma dài» Linda ha disteso le sue
labbra carnose in un’espressione di
sincero interesse.
«Ti va una birra?» le ha chiesto
lui.Come da manuale, lei ha
risposto: «Be’, a un invito alcolico
non si dice mai di no» e gli ha
strizzato l’occhio. La vita nascosta
di Davide aveva acceso il suo
interesse: quel ragazzo la attraeva
sempre di più… ora sì che valeva
la pena di sfoderare le tecniche di
seduzione di cui era maestra.
«Tutto bene?» gli ha domandato
a un tratto, vedendo che
continuava a sollevare le suole
delle sue Adidas da terra, come se il
pavimento fosse appiccicoso.
«Mi sono distrutto le piante dei
piedi su quel palco di legno» ha
spiegato.
«Qualche
spina
dev’essermi entrata sottopelle. Mi
fa un male…»
«Se vuoi te la tolgo io» ha detto
Linda, con un tono che non
nascondeva nessuna intenzione.
«Allora ne è valsa la pena, di
devastarmi così…» ha sussurrato
lui.Poco dopo si sono ritrovati
insieme nella Golf di Davide.
Hanno percorso qualche chilometro
di collina, nché a un certo punto
non ce l’hanno fatta più a resistere.
Hanno rallentato, preso una strada
secondaria e si sono fermati al
centro di un prato deserto. E in
macchina hanno consumato tutta
la voglia che ormai era diventato
impossibile trattenere: una scintilla
a cui si poteva solo obbedire.
In fondo, una seconda notte non
sarebbe proprio da scartare, sta
pensando adesso Linda, mentre
stringe bene i pesetti con le mani.
Il ragazzo ci sapeva fare, doveva
ammetterlo, e subito alcune
immagini, fotogrammi di un lm
appena girato, scorrono rapide
nella sua mente: la bocca che si
so erma sul seno, le mani nodose
da percussionista strette alla sua
pelle sudata, la lingua che si muove
a un ritmo quasi tribale nel suo
sesso bagnato.
Allunga le braccia in avanti, si
piega sulle ginocchia – i piedi ben
ancorati a terra – e contrae i glutei,
mantenendo lo sguardo sso su un
punto inde nito del muretto di
fronte. E solo in quel momento se
ne accorge: un pezzetto di carta
sbuca sopra i mattoni a vista.
Molla i pesetti con un gesto
improvviso, senza cura, e corre alla
cassetta della posta. Dalla fessura
sul fondo s la una fotogra a di
Hanoi.
Sulle labbra le si disegna un
sorriso involontario. Sa già chi è il
mittente, senza bisogno di girare la
cartolina. E quando lo fa, la
calligra a un po’ svolazzante è la
conferma che non serviva:
Torno presto.
Baci
Ale
Linda tira un lungo sospiro,
quasi teatrale, e sorride di nuovo.
Poi pensa a voce alta: « Torno
presto? E chi gli crede, a quello?».
Alza gli occhi al cielo. «Mah, forse
è la volta buona che lo rivedo, ’sto
stronzo…»
Lo stronzo in questione è
Alessandro Degan, il più grande
amico di Linda. O almeno lo era
tanto tempo fa. Sono cresciuti
vicini, nello stesso mondo, su
quelle colline ruvide che hanno
plasmato per sempre le loro
personalità e le loro vite, così
diverse. Sono stati compagni di
liceo e poi si sono persi di vista
qualche anno dopo il diploma: lui
aveva deciso di inseguire il suo
sogno, fare il fotoreporter. E quindi
era partito. L’amicizia, però, era
sopravvissuta alla lontananza,
perché Alessandro era riuscito a
mantenere la promessa che Linda
gli aveva strappato prima che se
ne andasse: le aveva mandato una
cartolina da ogni Paese in cui era
stato. Sempre. E così gli anni erano
passati, e Linda ne aveva ricevute
davvero tante, dalle zone più
sperdute e incredibili del mondo,
da Katmandu a Ulaanbaatar, da
Samarcanda a Juneau.
Si può dire che Alessandro viva
in viaggio, a caccia di storie da
raccontare con le immagini. E
come le racconta lui, nessuno lo fa:
i suoi scatti vanno dritti all’anima,
scavando nell’emozione e nella
semplicità dei gesti. Ecco perché i
suoi reportage niscono spesso su
riviste prestigiose come “Times” o
“National Geographic”. Torna
raramente in Veneto; in genere fa
base a Londra, dove ha sede una
delle più importanti agenzie
fotogra che per cui lavora.
L’ultima volta che è passato di lì
risale a cinque, forse sei anni
prima. Ma Linda ormai ha perso il
conto. Le sembra una vita fa, e
l’idea
che
presto
potrebbe
incontrarlo la riempie di gioia, le
provoca
un’eccitazione
quasi
infantile. Sarà cambiato? Forse
invecchiato? E lui, la troverà
diversa?
Linda dà un calcio leggero alla
porta d’ingresso ed entra in casa,
con lo sguardo ancora pieno di
tutta la bellezza del mondo là fuori.
Poi mette la cartolina al suo posto,
vicino all’ultima arrivata da
Singapore qualche mese fa.
Quando è venuta ad abitare nella
Casa Azzurra, ha avuto l’idea di
destinare una parete del salotto
alle “cartoline” di Alessandro, che
sono a tutti gli e etti stampe dei
suoi scatti: con un lungo lo di
rame ha creato una sorta di spirale
sul muro, e ogni volta che arriva
una nuova foto ce la appende con
una molletta di legno. Insomma, è
riuscita a fare della creatività di
Alessandro la sua opera d’arte, una
specie di colorata installazione
sempre in progress.
Subito dopo se ne allontana di
qualche passo e la guarda, da una
certa distanza: le piace proprio, ed
è perfetta lì dove sta. Poi si leva le
scarpe e getta i vestiti sulla
poltroncina vintage davanti allo
scrittoio in legno d’ebano. Lì
accanto staziona un’antica stufa
nera in ghisa, che d’estate serve
per accatastarci libri e riviste di
moda e design. Eccolo lì, lo spirito
profondo della Casa Azzurra: fuori
e dentro nutrita dell’estro di Linda,
del suo occhio stravagante sul
mondo.
È tutto perfetto e lei,
completamente
nuda,
può
nalmente salire le scale in pietra
rossa e infilarsi in bagno.
Dopo la doccia si spalma con
cura una crema idratante francese
a base di ginseng siberiano e si
passa il deodorante roll-on sotto le
ascelle. Con un’occhiata rapida
ispeziona la zona inguine e pensa
che più tardi deve ricordarsi di
chiamare l’estetista. Indossa slip e
reggiseno neri, poi si pettina i
capelli biondo cenere ondulati,
lunghi no alle spalle, con un
forchettone in legno a denti larghi,
facendoli ricadere da un lato del
viso. Così sembra un po’ meno
bambina di quando li raccoglie,
una fascinosa e irresistibile
trentatreenne,
che
dimostra
comunque almeno cinque anni in
meno di quelli che ha.
Un ultimo sguardo allo specchio,
di fronte e di pro lo. Solleva le
sopracciglia,
socchiude
leggermente le labbra carnose,
prova due o tre sorrisi standard, di
quelli a cui è impossibile resistere:
fanno ancora il loro sporco lavoro.
È pronta.
Sta per prendere Opium, il suo
profumo preferito, ma la boccetta
le scivola dalle dita e cade a terra.
«Cazzo, nooo!» grida, tirandosi
una ciocca come se volesse
strapparsela. «Che casino!»
Ha appena iniziato a inveire con
ferocia contro tutto e tutti, quando
il cellulare si mette a suonare. Lo
a erra dalla mensola sotto lo
specchio. «Oddio, Bosi! Rompe le
palle già di prima mattina?»
Sbu a, respira a fondo e poi,
scocciata, risponde.
«Devi venire subito allo studio»
dice
perentorio
l’architetto
Gianluigi Bosi.
«E perché?» domanda lei, senza
nascondere
l’irritazione
del
momento. E il tono non è certo
quello adatto a una telefonata con
il proprio capo.
«Ne parliamo quando arrivi.»
Linda raccoglie un frammento di
Opium e con un gesto nervoso lo
scaglia nel cestino sotto il lavello.
«Non dirmi che quei dementi dei
Grimani hanno cambiato idea sugli
accessori del bagno.»
«Se ti sbrighi ad arrivare in
u cio, ne discutiamo qui» taglia
corto Bosi, scorrendo le immagini
nella gallery dell’iPad. «Stiamo
aspettando tutti te.»
«Ok, ho capito.»
« Cosa, hai capito?» Bosi seleziona
l’immagine di Ivanka in bikini – la
danzata dell’ultimo mese – e la
imposta come sfondo, lasciandosi
andare a un sorriso compiaciuto.
«Dài, datti una mossa. Devo
parlarti subito.»
«Va bene, tra poco sono lì, non
c’è bisogno di agitarsi!»
Linda chiude la chiamata e vola
in camera a vestirsi.
Apre l’armadio a muro, fa
scivolare la mano su una serie di
vestiti in diverse sfumature di
colore e impegno: ne sceglie uno al
ginocchio, a metà tra il formale e
una situazione più rilassata, poi
prende due paia di sandali col
tacco che s’intonano bene e si infila
le espadrillas. Si aggancia al collo
un’enorme collana etnica pescata a
caso dal cesto della bigiotteria. E si
guarda un’ultima volta allo
specchio. «Mmm… Forse non
c’entra molto con il vestito» ri ette
ad alta voce, rivolta alla sua
immagine ri essa. E ettivamente,
i medaglioni di corallo rosso fuoco
che dal collo le scendono no al
seno sono una nota stonata
rispetto alle linee dell’abito azzurro
pastello. «Vabbè, chissenefrega»
sbu a. Poi gira le spalle allo
specchio e se ne va.
Apre il bagagliaio dell’Alfa
Spider rossa del ’79, la sua Duetto,
ci butta dentro le scarpe, due
cataloghi di arredo bagno e un
campionario di piastrelle linea
vetro di Murano.
Abbassa la capote e prende posto
al sedile di guida.
Poi tira un lungo respiro. L’aria
sa di oleandri e rose. S’in la gli
Aviator – usa i Wayfarer solo per
correre o andare al mare – e
impugna il volante. Un altro
respiro, più profondo. Gira la
chiave, ma al primo tentativo il
motore non si accende. Ogni tanto
fa questo scherzo… in fondo, anche
se Linda dedica a questo gioiellino
tutte le cure che si merita, la sua
due posti del cuore ha ormai i suoi
anni.
«E dài, parti!» Linda dà un colpo
sul cruscotto, gira di nuovo la
chiave, e la macchina si mette in
moto. Ingrana la prima e preme
decisa sull’acceleratore.
Laggiù c’è la pianura.
Laggiù l’aspetta un nuovo
giorno.
E Linda è certa che sarà di fuoco.
3
Superbia
«Ma ben arrivata, Linda! Meno
male che ti avevo detto subito.»
Bosi appoggia sulla scrivania gli
occhiali da vista con la montatura
blu elettrico e si allunga sullo
schienale della poltrona girevole,
a ondando una mano tra i suoi
folti capelli brizzolati.
«C’era un tra co tremendo»
mente Linda, entrando spavalda
nell’u cio. Si abbassa per
sistemarsi il cinturino dei sandali
verdi tacco dodici, pescati dal
bagagliaio della spider. «Ci ho
messo un quarto d’ora solo per
attraversare via Cavour, c’era un
casino di macchine…»
«Lo sai che a Conegliano è
sempre così di mattina» osserva lui,
sporgendosi in avanti a sbirciare
con un sorriso amaro. «Non cercare
scuse.» Nota la vistosa collana
rosso fuoco al collo di Linda, e la
scollatura discreta ma sensuale, e
storce le labbra. Lei si sente il suo
sguardo addosso, ma fa nta di
nulla.
«Infatti non mi stavo a atto
giusti cando» replica Linda, con il
tono prepotente di chi non deve
nulla a nessuno. Si ferma un
istante al centro della stanza e
raddrizza la schiena: cerca di
respirare con la pancia, vago
ricordo di una lezione di pilates di
secoli prima, come a raccogliere
tutta l’energia che ha. In u cio
gliene serve sempre una quantità
inesauribile, così nel tempo ha
dovuto trovare il suo modo per non
farsela rubare… e respirare bene è
il miglior punto di partenza.
Allo studio di Conegliano è
approdata dopo il master in
Architettura d’interni allo Iuav di
Venezia, dove l’architetto Gianluigi
Bosi insegnava Luxury Interior
Design, un corso gettonatissimo tra
gli studenti del primo anno.
Quando gli capitò sotto gli occhi
uno degli eccentrici progetti di
Linda, capì subito che la ragazza
aveva una marcia in più. Rimase
colpito
dalla
sua
naturale
inclinazione a stravolgere le regole
e – quando la sottopose ad alcune
prove sul campo – dalla sua
spiccata capacità di reagire con
forza
alle
circostanze
più
sfavorevoli. E così, nel giro di
qualche mese, ancora prima che lei
si laureasse, l’aveva presa a
lavorare nel suo studio.
«Allora, cosa dovevi dirmi di
tanto urgente?» chiede Linda un
po’ sfacciata, facendosi spazio tra
le due poltroncine in legno
massello di fronte alla scrivania.
Ha sempre dato del tu al suo capo,
e nessuno dei due si ricorda se sia
stato lui a volere così all’inizio del
loro rapporto professionale o se
piuttosto sia stata lei a non
accettare da subito la classica
gerarchia verbale capo-dipendente.
A quel punto Bosi sbotta e le
dice, tutto d’un
ato: «Ho
modi cato il progetto dei Grimani
come ci chiedevano loro, è giusto
che tu lo sappia».
«Cosa?!»
esplode
Linda,
scagliando a terra la borsa con
dentro i cataloghi.
«Sono settimane che chiedono la
doccia orizzontale al posto della
vasca da bagno. Non mollavano.
Cosa dovevo fare?»
«E me lo chiedi anche?! Dire la
verità, per esempio? Fargli capire
che è un’idiozia bella e buona?»
Una ruga le si forma tra le
sopracciglia folte e ben disegnate.
Bosi allarga le braccia, sul suo
viso
un’espressione
tra
il
rassegnato e il realista: «Ricordati
che il cliente ha sempre ragione. È
la regola numero uno».
«Ah, davvero? E allora perché si
rivolgono a noi? Potevano
arredarselo da soli l’attico!» La
voce le si alza all’improvviso di
alcuni toni. Ha quasi perso il
controllo.
Bosi non sa cosa rispondere, si è
irrigidito, scuote la testa… Poi, in
un maldestro tentativo di sfogare
la tensione, inizia a muovere le
dita a caso sull’iPad. La foto di
Ivanka in bikini gli restituisce
all’istante una botta di vitalità.
Linda lo osserva con una
smor a. «Hanno visto una stupida
doccia orizzontale in una stupida
rivista e subito hanno pensato:
ecco come possiamo far crepare
d’invidia i nostri amici! E questo è
tutto quello che i loro stupidi
cervelli hanno saputo elaborare.
Ma noi… noi siamo professionisti,
e abbiamo il dovere di dirgli che
una doccia orizzontale è una gran
cazzata e che per di più non è
adatta al loro bagno!» continua
con voce stridula. Ormai non si
trattiene più. È diventata una
questione di principio. E su quelle,
Linda non molla.
«Non è esattamente così» cerca di
essere diplomatico Bosi, «siamo
pagati anche per assecondare i
desideri dei clienti.» In quel
momento gli squilla il cellulare
nella tasca della giacca. S’in la gli
occhiali, osserva il display, un
sorrisetto gli compare sulle labbra
mentre risponde, quasi in un
sussurro: «Ivy, darling, ora non
posso. Ti richiamo tra un istante».
Ma Ivy a quanto pare non demorde
e lui è costretto ad abbassare
ancora di più la voce, ruotando
sulla sedia girevole alla ricerca di
un’impossibile privacy. «Sì, sì, ti ho
detto che ti ci porto… ma non
questo weekend.» Una specie di
grugnito gli esce dalla bocca.
«Amore, ci sentiamo dopo. Bacio.
Ciao, ciao, ciao.»
Linda gli punta addosso gli occhi,
ora più verdi che azzurri, e si
aggancia con entrambe le mani al
bordo della scrivania, riprendendo
il discorso da dove l’aveva
interrotto. Non c’è scampo per
Bosi, non con Linda. «Non c’è
spazio per due piattaforme» gli
so a in faccia, sillabando con
cattiveria ogni parola. «Sei getti ad
alta intensità, non so se hai
presente… dove glieli piazzo i
punti
di
uscita?»
strilla,
fulminandolo con uno sguardo
infuocato. «Te lo dico io» prende
ato, «vedrai se non gli cresce la
mu a per l’umidità spaventosa che
avranno in bagno!»
«E questo sarà un problema loro»
taglia corto il suo capo, autoritario.
Linda batte un pugno sulla
scrivania, facendo sobbalzare
leggermente Bosi, che non riesce
più a reagire ai suoi attacchi. Non
sa che al di là della parete di vetro,
nell’u cio accanto, due occhi
impenetrabili, di un blu tendente al
grigio, la stanno osservando già da
un po’, attoniti e insieme curiosi.
È proprio in quel momento che
Linda punta l’indice contro Bosi, e
gli urla in faccia: «Il vero
problema, capo, non è la doccia
orizzontale, ma il fatto che tu mi
hai scavalcata!». Spalle al muro, lui
alza gli occhi al cielo: sa già come
andrà a nire. «Stravolgi un mio
progetto e non hai nemmeno la
decenza di consultarmi!»
Bosi la osserva senza atare – ha
ragione lei, non può ribattere – ma
intanto con la visione periferica
sbircia la stanza accanto: il cliente
più importante, quello con gli occhi
grigio blu, è lì di anco a loro. È
un’occasione unica, un a are con
troppi zeri e non può permettersi
di perderlo. Che idea si starà
facendo della professionalità dei
suoi collaboratori? Adesso maledice
il giorno in cui ha messo quelle
pareti di vetro a separare gli
ambienti. Per fortuna, Ludovico
Fassina e Alice Vanzella, gli
architetti con più anzianità dello
studio, si stanno spendendo in
larghi sorrisi e frasi di circostanza
con Tommaso Belli e la sua
compagna Nadine Hariri, le galline
dalle uova d’oro. Loro sì che sanno
trattare i clienti plurimilionari!
Certo, non sono dei creativi geniali
come la sua ex allieva prodigio, ma
per
le
pubbliche
relazioni
funzionano decisamente meglio.
«È una questione di principio»
riattacca Linda. E su questo, Bosi
non aveva il minimo dubbio. «Il
mio lavoro lo faccio molto bene, lo
sai, ci metto anima e corpo. Perciò,
se scelgo una cosa, pretendo che
sia quella e basta. E soprattutto che
tu stia dalla mia parte!»
A quel punto Bosi cerca il suo
tono più pacato – «Calmati, Linda»
è tutto quello che riesce a
biascicare – e solleva il mento in
direzione dell’u cio accanto. «Stai
dando spettacolo, e di là ci sono dei
clienti. Molto importanti. » Aggrotta
la fronte su cui si formano tante
linee orizzontali: quanto botox
sprecato, pensa Linda, e a stento
riesce a trattenere un sorrisetto
maligno. Poi si volta di scatto verso
la parete a vetro e incontra loro, i
Grandi Occhi Grigio Blu. Per un
attimo si dimentica dov’è, di avere
un capo un po’ codardo, della
rabbia: quegli occhi la catturano,
non riesce a distogliere lo sguardo,
a pensare ad altro. Poi vede anche
lui, il quarantenne e poco più,
algido e impeccabile, tutto lisciato
nel suo blazer color ottanio. Non
una piega fuori posto, nessun
dettaglio che non gli sembri cucito
addosso.
«Ma chi? I due che vogliono
arredare la villa Grippo-Bel ?»
chiede Linda dopo essersi ripresa,
con una punta di curiosità nella
voce, che ora è sensibilmente scesa
di volume.
Bosi appro tta del momentaneo
calo di tensione – non sa quanto
potrà durare – e le risponde al
volo. «Esatto. Andreucci di Bassano
del Grappa ha curato il restauro
conservativo dell’esterno e poi è
stato così gentile da mandarli da
noi.» Sul viso gli spunta
un’espressione
di
trionfo.
«Dobbiamo trattarli bene. Guanti di
velluto.»
Linda torna a guardare i due
individui oltre la parete.
Lui
è
Tommaso
Belli,
quarantaquattro anni di ghiaccio e
fascino magnetico. Lavora nell’alta
diplomazia internazionale ed è
appena rientrato in Veneto – la
terra dov’è nato e cresciuto – dopo
un
mandato
biennale
all’ambasciata italiana di Abu
Dhabi. Lei è la sua danzata
Nadine Hariri, classe ed eleganza
innata, ha quarantadue anni ma ne
dimostra dieci in meno. Una di
quelle donne che sembrano uscite
da un servizio patinato di un
giornale di moda anche quando si
svegliano la mattina. Di origine
libanese, appartiene a una delle
famiglie politicamente più in uenti
di Beirut ma è cresciuta a Parigi, ha
frequentato le scuole francesi e
parla cinque lingue, italiano
compreso. Tommaso ha incontrato
Nadine durante una missione in
Medio Oriente e stanno insieme da
sette anni. Sono entrambi ricchi,
colti e ra nati: la coppia perfetta,
fastidiosamente perfetta. Hanno
appena acquistato una villa in stile
palladiano nella zona del Montello
e si sono rivolti allo studio Bosi per
arredarla. E
nora si sono
dimostrati
dei
clienti
incontentabili, perché dei mille
progetti che Ludovico e Alice gli
hanno presentato nessuno gli
andava bene. Troppo classico uno,
troppo stravagante l’altro…
Linda non sa perché, ma è
stranamente attratta da quei due, e
così si distrae un attimo a ssarli. È
solo un istante, poi i suoi pensieri
ritornano a quella dannata doccia
orizzontale. «Allora, cosa facciamo
con quegli imbecilli dei Grimani?»
Storce le labbra in una smor a e
conclude: «Spero tu abbia la
decenza di farmici parlare, perché
solo io posso convincerli».
«No, Linda, ormai è deciso»
taglia corto Bosi, raddrizzandosi
sulla poltrona. Poi la scruta con gli
occhi a fessura. «Tu sei in gamba e
hai un gran talento. Ma lo sai n
troppo bene: il tuo problema è la
superbia» sentenzia, con l’aria di
un motivatore da programma
televisivo. «Ed è un brutto vizio,
dammi retta, dovresti starci
attenta.»
A Linda viene da sorridere. Non
proprio un sorriso divertito, forse
c’è una leggera vena di sarcasmo.
Questa storia dei vizi è una
persecuzione, pensa. Prima Linus
alla radio, adesso ci si mette anche
Bosi. Ma che diavolo si sono bevuti
tutti, stamattina? Sarà una
coincidenza, non lo sa, o forse
qualcuno le vuole dire qualcosa…
Scuote la testa per scacciare il
pensiero e torna al presente con un
nuovo slancio di rabbia: «Sì, certo.
E se il mio è la superbia, il tuo è la
mancanza di palle».
Gelo.
«Ohi Linda, stai calmina e
abbassa la cresta, eh.» Bosi si è
risvegliato, all’improvviso. Può
sopportare tutto, ma gli insulti
proprio no. «Sono il tuo capo, ogni
tanto ricordatelo e porta un po’ di
rispetto.»
«Appunto, e dovresti fare il capo,
invece di strisciare davanti a degli
idioti come i Grimani!» replica
Linda,
poi
lo
pianta
lì,
allontanandosi
con
falcate
leggermente instabili sui tacchi, lo
sguardo cupo puntato a terra. Così
non si accorge di lui, che sta
uscendo proprio in quel momento
dall’u cio accanto e va dritta a
sbattere contro la schiena di
Tommaso.
«Ma stia un po’ attento, no?»
brontola a denti stretti, quasi senza
alzare gli occhi.
«Mi scusi» si limita a dire lui,
lisciandosi il blazer sui anchi e
sistemandosi il colletto della
camicia bianca.
Linda continua a camminare
senza voltarsi, mentre Tommaso,
alle sue spalle, raccoglie un foglio
da terra e cerca di richiamare la
sua attenzione. «Signorina…»
A quel punto Linda si gira. «Dice
a me?»
«Sì. Le è caduto questo.»
Tommaso sventola il foglio.
«Ah… lo butti pure via.» Poi si
volta senza degnarlo di un’occhiata
di ringraziamento e in la l’uscita.
«Il progetto del bagno dei Grimani»
borbotta. «Che si fottano, cazzo.»
Dopo mezz’ora di sfrecciate
nervose in spider attraverso le
colline della Marca trevigiana,
Linda
arriva
nalmente
a
Serravalle. Qui vive lo zio Giorgio,
uno dei pochi punti fermi della sua
vita. Ed è qui che viene a rifugiarsi
quando non ne può più di nessuno
e ha bisogno di staccare.
Giorgio è il fratello del padre di
Linda. Ha cinquantacinque anni e
se li porta con un’invidiabile e
solare leggerezza. È un artigiano
eccentrico, una specie di alchimista
del legno o, come lui stesso ama
de nirsi, “un giocoliere al quale
ogni tanto cade una pallina per
terra”. Rompendo con gli schemi
della tradizione del mobile antico –
molto viva nella Marca – disegna e
poi crea dei prototipi molto
originali, con un’attenzione quasi
maniacale per la qualità dei
materiali e una ricerca estetica
so sticata. Linda adora lo stile
dello zio e gli ha fatto realizzare
alcuni pezzi di arredo per la Casa
Azzurra.
«Buongiorno, zio! Mi apri?» trilla
Linda al citofono.
«Tesoro…» risponde lui, in bilico
tra sorpresa e felicità di vedere la
sua amata nipote. Poi fa scattare la
serratura dell’antico cancello in
legno d’abete.
Linda, che ha sostituito con le
espadrillas i sandali tacco dodici,
chiude il mondo fuori e attraversa
la corte interna che conduce
all’abitazione, una casa davvero
bizzarra che ha l’aspetto di una
sorta di bunker bohémien. Un po’
atelier d’altri tempi, un po’
capanno di caccia in salsa pop, un
po’ residenza nobile stile Impero in
piena decadenza. Insomma, un
posto speciale con molte anime,
che si adatta perfettamente alla
personalità del suo estroso
proprietario.
«Già qui, tesoro? Ti aspettavo
per stasera…» Giorgio si a accia
alla soglia in bermuda a scacchi,
camicia stropicciata e sandali da
frate. Si pulisce le mani imbrattate
di colla con uno straccetto
imbevuto di solvente.
«Lo so, zio» sussurra Linda
abbracciandolo
stretto
e
stampandogli due baci sulle
guance, «è che ho litigato con
quell’imbecille di Bosi e non mi
andava proprio di restare al
lavoro.»
Giorgio tira un lungo sospiro
mentre gli si disegna sulle labbra
un sorriso che Linda conosce
davvero bene. «Ah, e perché hai
litigato?»
«Oh, niente, cazzate.» Alza le
spalle. «Lo sai che sul lavoro non
sopporto di essere contraddetta»
aggiunge, con enfasi, lo sguardo
sicuro puntato sullo zio.
Lui scuote la testa. «E non solo
sul lavoro, direi» la rimprovera
bonariamente con un bu etto sulla
guancia. In realtà è innamorato del
carattere irruento della nipote, le
persone come lei senza peli sulla
lingua lo fanno impazzire. «Vieni
dentro, dài, che ti faccio vedere i
pezzi della tua libreria. Me ne
manca solo uno, ho quasi finito.»
«Che soddisfazione mi dai, zio!
C’è ancora qualcuno a questo
mondo che fa le cose come
piacciono a me!» sospira Linda. Ha
già cambiato umore, con la stessa
disinvoltura con cui si cambierebbe
le scarpe.
Entrando in casa, la accoglie un
profumo intenso di cera d’api e
poi, subito dopo, l’odore rustico
delle cose, i pavimenti in legno
scricchiolanti, le pareti tappezzate
di stampe, quadri e scritte, gli
stipiti con inserti di mosaico…
Un’assortita quantità di oggetti
curiosi riempie gli ambienti.
Giorgio ha battuto per anni
negozietti dell’usato, mercatini
delle pulci e siti internet per
scovare arredi vintage, parafernalia
e pezzi d’arte di cui popolare la sua
tana. Dipinti e statue di bronzo su
piedistalli accanto a mucchi di
riviste, antichi kilim, orologi
d’epoca, vasi da farmacia dei primi
del Novecento, candelabri e
lampadari in cristallo. Ovunque c’è
un po’ di lui, Giorgio Ottaviani, in
ogni angolo di quell’universo sta
succedendo qualcosa, proprio come
nella sua testa.
Un’ampia
nestra ad arco
illumina il laboratorio con i muri
délabré. Dal so tto pende
un’esotica lampada in lo di ottone
e ceramica; vari attrezzi da lavoro
sono sparsi alla rinfusa nella
stanza, alcune forme in legno per
realizzare prototipi sono appese a
uno schermo di ferro vicino al
bancone da lavoro, cosparso di
tasselli di infinite misure.
«Ecco qua» dice Giorgio,
indicando un segmento di libreria
appoggiato in verticale alla parete.
Linda si avvicina al ripiano e lo
accarezza, con la stessa delicatezza
che userebbe su un vestito di seta.
«Zio, è stupendo! Hai fatto un gran
lavoro…» Prova un piacere sico a
toccare quel pezzo di legno,
vorrebbe annusarlo, ma subito lo
sguardo le cade sul cassetto
appoggiato a terra sopra un telo di
nylon. «Oddio!» esulta, eccitata, e
si accovaccia.
«Non toccarlo, eh, che quello è
appena verniciato…»
Linda, quasi in ginocchio, si
volta verso Giorgio con due occhi
adoranti. «Questo è proprio il
colore che volevo» dice, con la voce
intrisa di sincera gratitudine.
«Non troppo blu, ma neanche
troppo azzurro» ammicca Giorgio.
«Ma come facevi a saperlo? Non
ti avevo detto nulla…» A quel
punto Linda si rialza e gli mette
una mano sulla spalla. «È così bello
non aver bisogno di parole con te,
zio, tu mi leggi nel pensiero!»
«E non hai ancora visto il pezzo
forte.» Giorgio va al bancone da
lavoro ed estrae lentamente da una
scatola un pomello in bianchissimo
marmo di Carrara.
Linda si illumina. «Per il
cassetto?»
Giorgio fa sì con la testa.
«Basta, adesso piango!» E invece
ride come una bambina.
«Su, vieni di là che ti o ro un
rosso» la invita Giorgio. «Tempo
mezz’ora e il cassetto è asciutto…
così poi ti porti a casa tutto.»
«Grazie zio!» Linda ha gli occhi
lucidi. La sua giornata ha
decisamente preso la piega giusta.
«Non so cosa farei, senza di te.»
E poi lo segue, pensando che è la
nipote più fortunata del mondo
perché può condividere con Giorgio
praticamente tutte le sue passioni.
Si spostano in cucina, dove il
piano del tavolo da pranzo è
niente meno che la sezione di un
tronco di quercia millenaria.
Giorgio versa del Cabernet Franc in
due bicchieri, poi va a prendere un
caprino stagionato al profumo di
noci e Traminer e taglia alcune
fette di pane fatto in casa.
«Assaggia» dice a Linda,
allungandole la punta del coltello
da formaggio.
Lei non si tira certo indietro. È
curiosa, e adora i sapori come ama
i colori e le forme. «Mmm…
buonissimo» dice, gustando il
boccone.
«Me l’ha portato Fausto» le
racconta Giorgio. Gli brillano gli
occhi quando pronuncia quel nome.
«Fausto chi, il tuo amico
pianista?» Linda ne taglia un altro
pezzo.
«Sì» risponde lui, con un sorriso
limpido. «A proposito, siamo
invitati al suo concerto da camera
alla Fenice.»
«Ah, però…» Linda solleva le
sopracciglia e addenta un pezzo di
pane.
«Cioè, ha invitato me» si
corregge Giorgio, «ma vorrei che
venissi anche tu.»
«E quando?»
«Il 25 luglio, c’è ancora tempo…
Ma te lo dico in anticipo, so che hai
sempre mille impegni.»
«Insomma» azzarda Linda, ben
sapendo che lo zio è sempre molto
riservato sui suoi a ari di cuore,
«sembrerebbe una cosa seria con
lui…»
«Non lo so.» Una vena
d’imbarazzo gl’incrina per un
attimo la voce. «Comunque a lui ci
tengo.»
«Bene» sospira Linda. «Mi sa che
è meglio che vada ora…»
«E scappi via così?»
«Sì, non vorrei proprio dirlo, ma
il senso del dovere mi chiama.
Forse posso ancora combinare
qualcosa a casa.»
Giorgio si a accia alla nestra e
butta un occhio alla spider. «Te li
porto io i pezzi in macchina. Me la
stai trattando bene?» Era sua, la
Duetto rossa del ’79. All’epoca,
Giorgio si divertiva a fare il bullo
con le ragazze del paese; solo più
tardi aveva ammesso a se stesso e
poi agli altri che i suoi gusti
andavano altrove, e che non erano
le donne a fargli girare la testa.
«Certo… ne dubiti forse, zio? Te
la sto trattando come un gioiello.
Le ho fatto anche potenziare il
motore!»
«Ci avrei giurato.» Alza gli occhi
al cielo. «Quindi raccomandarti di
andare piano resta sempre una
battaglia persa…»
Linda si stringe nelle spalle come
se volesse scusarsi, e poi ride,
strizzandogli l’occhio.
Il tempo di arrivare a casa, e
tutte le buone intenzioni di Linda
sono svanite: non ha più alcuna
voglia di lavorare per lo studio
(soprattutto dopo il trattamento
che le ha riservato Bosi), riesce solo
a pensare alla sua libreria. Con un
entusiasmo quasi infantile scarica
dalla spider i pezzi e li porta in
salotto. Non sta nella pelle: tra
poco potrà vedere il risultato
finale!
Si mette subito al lavoro. Prima
inserisce il cassetto azzurro nello
spazio vuoto del segmento
centrale.
«Perfetto.»
Poi prende il ripiano e salendo
su una sedia – il suo metro e
sessantuno di altezza, se può essere
un vantaggio a letto, non l’aiuta
certo in questo tipo di imprese – lo
incastra nell’ultima fila di tasselli.
«Me-ra-vi-glio-so!» esulta.
Scende e inizia ad ammirare
l’opera, prima da vicino, poi
arretrando a piccoli passi no a
sdraiarsi sul divano in pelle
capitonné.
La
guarda
con
compiacimento, socchiudendo le
labbra in un’espressione estatica.
«Proprio come l’avevo desiderata.»
La voce è un sussurro, quasi stesse
provando un orgasmo.
E subito pensa che, almeno con i
mobili, tutto riesce a incastrarsi
alla perfezione e a produrre il
risultato sperato. Peccato che nella
vita non sia sempre così…
4
Il
ledwall
intermittente
all’incrocio della statale segna le
18.37. Linda sta guidando la sua
spider, capote abbassata e capelli
al vento, nonostante il fresco della
sera che a tratti diventa freddo.
Finalmente è venerdì. Uno di
quegli splendidi venerdì di ne
maggio in cui già pregusti l’estate e
i suoi colori. La giornata lavorativa
è alle spalle, ma lei non può fare a
meno – ancora per poco, si
conosce, presto tutto scivolerà via –
di ripensare alle facce plasti cate
dei Grimani, al delirio che
imperversa nello studio all’arrivo
di un nuovo cliente, al suo capo
che si comporta come un leccapiedi
senza dignità, a Ivanka che ogni
giorno all’ora di pranzo passa a
trovarlo, si chiude a chiave nel suo
u cio… e gli regala il suo misero
quarto d’ora di piacere quotidiano.
Le viene da ridere, mentre con le
mani giocherella prima con il
volante e poi con la leva del
cambio, il piede destro sempre
premuto sull’acceleratore. Pensa
che, oltre alla corsa, poche cose le
trasmettono una sensazione di
libertà come la guida: magari un
giorno si stuferà della sua Duetto,
anche se ne dubita seriamente, e si
comprerà anche lei come tutti una
macchina nuova, una di quelle che,
quando hai il piede a tavoletta, in
un attimo il contachilometri schizza
sopra i cento. Una fantasia da
uomo, la sua, insospettabile per chi
si limitasse a guardare il suo
aspetto angelico e insieme
sensualissimo. Ma in fondo, pensa
Linda, che cosa se ne fa di una
macchina senz’anima, con i sedili
che puzzano ancora di fabbrica? La
sua spider fa alla perfezione quello
che deve fare, e il brivido che le
regala lei è impagabile.
Imbocca la provinciale che si
addentra tra le colline. L’aria è
umida e calda, sa di pulito, dopo il
violento
acquazzone
del
pomeriggio. Un debole raggio di
sole sta sbucando da una cresta
delle Prealpi, mentre le nuvole si
disperdono in masse sempre meno
compatte.
È bella, la sua terra. Ed è in
momenti come questi che Linda
non può fare a meno di pensare
che non vivrebbe da nessun’altra
parte.
Preme
ancora
di
più
sull’acceleratore,
totalmente
appagata da quella sensazione, ma
dopo una serie di curve larghe
l’Alfa inizia a perdere colpi e a
vibrare tutta, dal cofano al tubo di
scappamento.
«No! Ancora!» sbu a Linda
tentando inutilmente di tenere il
motore su di giri. Lo sa che non c’è
niente da fare. L’auto continua a
rallentare, giusto il tempo di
«’Fanculo!» Linda batte un pugno
sul volante e si fa male alle nocche.
«Ahia, cazzo!» Non è la prima volta
che la spider va in panne. «E
adesso cosa diavolo avrà?» Si
sgancia la cintura di sicurezza con
stizza e spinge indietro il sedile al
massimo. Poi preme un paio di
volte sul pedale della frizione e
prova
a
riaccendere
con
un’accelerata violenta: la chiave
gira a vuoto. Nessuna reazione,
l’auto non dà segni di vita.
«Merda,
merda,
merda!»
impreca. Non può essere nita la
benzina, l’ho fatta prima, ri ette.
Che dipenda dalla cinghia? Magari
è l’olio, o semplicemente la
batteria, ipotizza con poca
convinzione. La spensieratezza di
un attimo prima è stata spazzata
via dal nervosismo, che ora le
contorce lo stomaco. Dopo aver
passato l’intero pomeriggio a
litigare con gli operai nell’attico
dei Grimani – maledetta doccia
orizzontale! – mancava pure questa
seccatura per chiudere la settimana
in bellezza. È proprio vero: non ci
sono limiti alla quantità di s ga
che si può accumulare in una sola
giornata partita male.
Ma Linda non è una che si
scoraggia facilmente. A erra una
chiave ad anello dalla cassettina
del cruscotto, scende dall’auto,
apre il cofano e si mette ad
armeggiare con il motore. Non che
sia un’esperta, ma qualche
trucchetto lo ha imparato da
Alessio Calligaris, un commerciante
di Audi usate con cui anni fa le è
capitato di passare qualche notte di
sesso. Per esempio: allentare i due
bulloni che chiudono i poli della
batteria e poi riavvitarli. Di solito
con la spider funziona.
«Dài, non mi lasciare… riparti!»
dice alla sua Duetto quasi
supplichevole, e risale veloce in
macchina
per
provare
a
riaccendere il motore.
Niente. Il trucco di Alessio
stavolta non l’aiuta. La chiave gira
a vuoto.
«Che palle!» grida a quel punto,
senza più contegno.
Ma non si dà ancora per vinta. Si
leva il giubbino in pelle – quando è
nervosa, le sale la temperatura – e
lo scaglia sul sedile del passeggero.
Con uno scatto apre e richiude la
portiera e ritorna davanti al
motore. Poi appoggia le mani sulla
guaina in gomma. «Adesso tu vedi
di darmi retta e ripartire, sennò
sono cazzi!» dice, come se stesse
parlando a una persona.
Tocca qualche cavo a caso, come
per invocare un intervento
provvidenziale della Fortuna, poi
sul viso le si disegna una smor a
quasi di scon tta. Stavolta il
problema sembra più serio del
solito e in lei si sta facendo strada
l’idea che non riuscirà a risolverlo
da sola.
D’istinto dà un calcio a una
ruota, poi si appoggia con la
schiena e il sedere alla ancata,
lasciandosi cadere le braccia lungo
i anchi, e resta lì a sbu are, con il
cofano alzato e il motore che non
vuol saperne di riaccendersi. Si
guarda le sneakers ai piedi e si
liscia il tubino turchese smanicato,
tirandoselo giù no alle ginocchia.
Cosa può fare adesso? È troppo
lontana da casa per arrivarci a
piedi, e poi non abbandonerebbe
mai lì il suo gioiellino… Spazia
lontano con lo sguardo, sperando
di
incontrare
l’insegna
di
un’o cina, o almeno di un
distributore, ma non ne vede. La
strada è deserta, si scorge solo, a
un chilometro circa, un gruppo di
case.
Sta per prendere il cellulare dalla
tasca del giubbino, quando dal
fondo della carreggiata vede
arrivare un SUV grigio metallizzato,
che inizia a rallentare
nché
accosta di anco alla spider: è un
Range Rover Evoque Prestige tutto
tirato a lucido, con i cerchi in lega
che brillano e i vetri oscurati
antiri esso.
Linda
rimane
immobile, non conosce nessuno con
quell’auto e non sa cosa pensare,
anche se la lusinga l’idea che
qualcuno si sia fermato per lei.
Subito si alza, sistemandosi il
vestito.
Il nestrino del lato passeggero
si abbassa e dal sedile di guida
spuntano loro: i Grandi Occhi
Grigio Blu. Quelli di Tommaso
Belli. «Serve aiuto?» chiede, con
una gentilezza quasi a ettata.
Spegne il motore e, slacciandosi la
cintura, apre la portiera. Scende e
fa per presentarsi. «Non so se si
ricorda di me, sono…»
Linda lo previene: «Lo so chi sei:
Tommaso Belli». Storce la bocca in
una smor a, e il brivido di piacere
che un istante prima avvertiva
nella pancia si spegne in un
secondo. «In studio sei famoso,
ormai.»
«Ah, sì? E per cosa? Spero sia
una buona fama…» chiede,
stagliandosi davanti a lei nel suo
atletico metro e ottanta di
perfezione.
Un momento di silenzio, poi
un’espressione impertinente si
dipinge sul viso di Linda. «A dire il
vero per essere un gran
rompicoglioni.»
«Però… viva la sincerità!»
replica Tommaso senza scomporsi,
accennando un sorriso. Poi sposta
lo sguardo sulla spider. «Be’, a
questo punto immagino di non
poterle essere di alcun aiuto qui, in
quanto rompicoglioni.»
«Mah, se proprio vuoi dare
un’occhiata…» risponde Linda, a
metà tra lo scettico e il saccente,
con un tono che scoraggerebbe il
più tenace degli uomini. Ma subito
dopo aver parlato si accorge che
Tommaso potrebbe essere la sua
unica possibilità di andarsene da lì.
E corregge un po’ il tiro. «Ecco, mi
è morta mentre ero in corsa e non
c’è stato verso di farla ripartire.»
Linda lo scannerizza con lo
sguardo. È ancora più alto e solido
di come lo ricordava. Indossa una
camicia celeste con le maniche
arrotolate e un paio di pantaloni
grigio chiaro, ai piedi scarpe in
pelle nera lucidissime, che al
contatto con l’asfalto producono un
fastidioso rumore di tacco nuovo.
Tommaso intanto si avvicina al
cofano e guarda dentro. Si passa le
dita tra i capelli, biondi e corti, e si
gratta leggermente la nuca. «Ha
idea di quale possa essere il
problema?» chiede a Linda con
voce esperta, tenendo un registro
neutro che, spera, dovrebbe
nascondere
l’imbarazzo
del
momento.
Linda fa no con la testa e
accenna un sorrisetto di s da
mentre
l’osserva
a
braccia
incrociate. Non le sembra certo il
tipo che se ne intende di
macchine…
Tommaso abbassa di nuovo gli
occhi sul motore, si rimbocca le
maniche della camicia e studia con
attenzione tutti i componenti, poi
fa un sospiro carico di dubbi: «Di
che anno è quest’auto?».
«Del Settantanove» risponde
Linda, con una nota di orgoglio.
«Ha più anni di lei, allora.»
«Un paio…»
Non se lo aspettava: Lord
Perfection ha anche il senso
dell’umorismo.
Tommaso solleva le sopracciglia,
e sulla fronte gli si disegnano tre
rughe di espressione. Sono
tremendamente sexy, pensa lei. E
non vorrebbe averlo pensato. Non
in quella situazione, quantomeno.
Con uno scatto atletico lui si stende
a terra, la testa sotto il cofano, e
da laggiù Linda lo sente borbottare
qualcosa. Si sorprende a ssargli i
quadricipiti
scolpiti
che
s’intravedono attraverso il tessuto
dei pantaloni. Ma subito distoglie
lo sguardo quando Tommaso si
rialza in piedi scuotendo la testa.
Spera che non l’abbia vista. Lui
ritorna a osservare il motore e le
sue mani esplorano di nuovo
valvole e cavi. «Qui non c’è niente
fuori posto. Ma per caso prima di
fermarsi ha sentito la macchina
sobbalzare leggermente, emettere
dei fischi?»
Linda annuisce. Sembra davvero
che Tommaso ne sappia qualcosa.
«Allora dev’essere per forza la
cinghia» decreta. «E purtroppo, in
questo caso, non ci possiamo fare
nulla.» Scuote la testa e alla ne si
decide a dire: «Dobbiamo chiamare
un carro attrezzi».
«Era quello che stavo per fare
prima che arrivassi tu» ribatte lei
un po’ stizzita, e inizia a cercare un
numero sul telefono. Dopo un
istante dice: «Ehi Max, come sei
messo? Hai ancora il camion?
Senti… è successo di nuovo. Sono
qui con la Duetto in panne al bivio
per Vittorio Veneto, vicino alla
tenuta dei Maccaro». Sta parlando
con Massimiliano Sarti, ex
compagno di scuola e procacciatore
della migliore erba che lei abbia
mai fumato. «Già… io e il gioiellino
avremmo
bisogno
di
un
passaggio…»
«La accompagno io, non se ne
parla
nemmeno»
cerca
di
interromperla Tommaso, facendo
un gesto perentorio con la mano.
«Ah, come non detto, tranquillo
Max… io mi arrangio per tornare a
casa, l’importante è che vieni a
togliere la macchina dalla strada»
riprende Linda, facendo di sì con la
testa a Tommaso. «Poi domani
passo
io
in
o cina
a
riprendermela.» Con una manata
chiude il cofano della spider.
«Grazie Max, sei un angelo. E io ti
devo un favore» miagola, poi
riattacca. «Ecco. Tutto risolto»
conclude, con l’aria compiaciuta di
una a cui fila sempre tutto liscio.
Quando solleva la testa, il cielo è
scuro, coperto da grosse nuvole
color piombo mosse da un vento
freddo.
«Dobbiamo aspettare l’arrivo del
carro attrezzi?» chiede Tommaso.
«Ma gurati!» fa Linda. «Max è
un amico e non è la prima volta
che mi tira fuori dai guai con
questa piccolina…»
«Perfetto. Allora andiamo. Mi
dica soltanto dove. È inutile
perdere altro tempo qui.» Fa per
voltarsi verso il SUV, ma nell’attimo
stesso in cui si gira passa una
monovolume che centra in pieno
una pozzanghera e lo inzuppa
dalla testa ai piedi.
È un attimo, e Lord Perfection si
trasforma in testimonial di una
pubblicità per smacchiatori. Linda
non può trattenersi: e le esce,
davvero senza volerlo, una risata
sonora di quelle cristalline, sincere.
Tommaso non si scompone e,
con un gesto di un’eleganza
assolutamente fuori luogo in quella
situazione, si scrolla la camicia e i
pantaloni. È fradicio, in ogni
centimetro del corpo, gocciola
come un albero dopo il temporale,
ma riesce comunque a mantenere
un perfetto autocontrollo.
Linda però non riesce a smettere
di sorridere, è più forte di lei. La
vista di Tommaso – sempre preciso,
neanche un dettaglio fuori posto –
conciato in quel modo le fa un
e etto
comico
di cile
da
controllare. Nonostante i pettorali
bagnati le provochino una reazione
di
altro
tipo,
altrettanto
incontrollabile e assolutamente
spontanea.
A quel punto si accorge che lui
non ride affatto e la sta fissando, lo
sguardo penetrante e un po’ torvo.
Linda si zittisce all’improvviso ma
poi scoppia di nuovo, non ce la fa
proprio. Ed è in quel momento che
anche Tommaso cede, e si
abbandona con lei a una risata
fragorosa e rilassata.
Anche lui, dopo tutto, è umano,
pensa Linda.
Ma
dura
poco,
perché
evidentemente
questi
accessi
d’ilarità non sono proprio una sua
abitudine, almeno non di fronte a
un
pubblico.
Tommaso
si
ricompone e apre il bagagliaio del
SUV, mettendosi a frugare dentro
con aria preoccupata. «Accidenti!
Non ho nemmeno un cambio.» Si
volta verso Linda: «Di solito mi
porto sempre dietro una camicia di
scorta. Ma non stavolta…» spiega
con gesti misurati. «Pazienza, non
è un grosso problema» continua,
ma è chiaro che pensa il contrario.
Apre la portiera del lato
passeggero e fa cenno a Linda di
avvicinarsi. «Prego» la invita a
prendere posto.
Linda raccoglie velocemente il
giubbino e la borsa dalla spider.
Un attimo dopo è nel SUV.
Tommaso recupera da un vano
del bagagliaio il coprisedile e lo
aggancia al posto di guida, poi si
mette al volante, tutto intirizzito
nei suoi abiti umidi. Una specie di
corrente fredda gli sale su per la
schiena e su per la nuca no alla
punta dei capelli. Si volta verso
Linda, le chiede: «Quindi? Ha
voglia di dirmi dove andiamo?» e
allunga una mano verso il touch
screen del navigatore.
«Ti guido io» fa Linda. «Ma a una
condizione.»
«Cioè?» Tommaso spalanca gli
occhi, più blu del solito.
«Che la smetti di darmi del lei.»
Tommaso sorride, ma non è a
suo agio, si capisce. «D’accordo,
ehm…» trascina la voce alla
disperata ricerca di un nome che
proprio non gli viene in mente.
«Linda» si a retta a dire lei. «Mi
chiamo Linda.»
«Già!» esclama lui, portandosi
una mano alla tempia, e sembra
davvero desolato. «Perdonami. Di
solito i nomi mi restano stampati
in testa. Non so cosa mi sia
successo, ma è un periodo in cui
sono parecchio sovrappensiero.»
Poi distoglie lo sguardo da lei e
accende il motore. «Diamoci del tu,
hai ragione.»
Linda gli indica la strada: «Per
circa sei chilometri è tutta dritta,
poi c’è un bivio dove devi girare,
ma te lo dico quando ci arriviamo».
«Perfetto. Agli ordini» risponde
lui,
azionando
il
cambio
automatico.
Linda sprofonda nel sedile e
annusa il lusso discreto ed elegante
dell’abitacolo avvolto in nissima
pelle Oxford, i sedili color
cammello ri niti con cuciture
doppie, la plancia bianca con
inserti in legno e metallo.
«Hai delle preferenze per la
musica?» chiede subito dopo
Tommaso, mentre il computer di
bordo si illumina di giallo e
compare la scritta MUSIC.
«Mmm… vediamo se mi stupisci.
Fai tu» lo provoca Linda.
Tommaso inizia a scorrere la
lunga playlist – mentre Linda
sbircia con terrore, vedendo solo
brani di musica classica – no alla
C. «I Coldplay possono andare?»
«Sì, loro mi piacciono» dice
Linda, sorpresa, in uno slancio che
è anche un po’ un sospiro di
sollievo. Non se lo aspettava da lui.
P a r t e Paradise.
Tommaso
l’anticipa e alza il volume, senza
darle il tempo di chiederglielo.
Linda apprezza il gesto, lascia
a orare un sorriso soddisfatto, e
inizia a canticchiare sopra la
canzone senza conoscerne bene il
testo. Osserva Tommaso attenta a
non farsi sorprendere da lui: è tutto
concentrato, gli occhi ssi sulla
strada. Ha un pro lo elegante, la
pelle chiara, i capelli biondi mossi
ma curati, la barba rasata, un
piccolo neo sulla guancia destra
all’altezza del labbro inferiore.
Esibisce, e ne è perfettamente
padrone, una bellezza pulita quasi
geometrica, nordica, non proprio il
tipo che Linda preferisce. Ma non
può non ammettere che il suo
fascino sia indiscutibile.
A un tratto la musica si ferma e
l’abitacolo è invaso dallo squillo di
una chiamata. Sul computer di
bordo appare in verde un nome:
NADINE.
Tommaso preme un pulsante sul
lato destro del volante e risponde
con un «Nadine?» che nasconde
male una sensazione di sorpresa
non proprio graditissima.
Dalle casse arriva una voce
femminile ovattata e profonda, con
una musicale in essione arabo-
francese. « Mon amour, a che punto
sei? Ti ricordi, vero, la cena dal
governatore…»
I
pensieri
di
Tommaso
convergono all’istante verso la
serata u ciale a cui dovrà
presenziare. «Ma certo, non me
n’ero dimenticato.» Lo dice con
sicurezza, Nadine non può che
credergli. Ma Linda, che ce l’ha di
anco, percepisce nella sua voce
una nota di inso erenza. «Tu dove
sei, tesoro?»
«Sono appena uscita dal
parrucchiere» dice Nadine. Sembra
quasi divertita e senz’altro
soddisfatta, forse per la messa in
piega o qualche altro motivo per
Linda inutile e sconosciuto.
«Bene.»
«Ti aspetto a casa. Dobbiamo
essere da Ballan per le nove. Non
fare tardi, mi raccomando…» È un
avvertimento pronunciato in tono
mieloso, ma che suona chiaramente
come un ordine. Quando usa quel
suo tono di dolcezza a ettata,
Nadine
sa
essere
davvero
perentoria.
«Certo, tesoro. A dopo.»
« À bientôt. Bisou! »
Tommaso chiude la chiamata, e
nell’abitacolo tornano i Coldplay.
«Tua moglie?» chiede Linda.
Tommaso fa di no con la testa.
«È la mia compagna. Non siamo
sposati, ma è come se lo fossimo.»
«Ah» si limita a commentare lei.
«Ho una cena importante
stasera, e stavo quasi per
scordarmela. Non so cosa mi stia
succedendo» spiega Tommaso, con
un mezzo sorriso che gli de nisce
alla perfezione la bocca sottile.
«Una di quelle cose a metà tra
amicizia e lavoro…»
«E che lavoro fai, tu?» indaga
Linda.
«L’agente diplomatico.»
«Sarebbe a dire?» Linda lo
guarda con una certa curiosità: sarà
una
di
quelle
professioni
superspecialistiche
altamente
quali cate, non sa bene cosa
immaginarsi.
«Lavoro per la Farnesina»
continua Tommaso. Resta sul
generico, forse non la ritiene in
grado di capire i dettagli.
«Quindi sarai spesso all’estero»
osserva Linda, e mentre lo dice si
rende conto che è davvero la prima
banalità che le è passata per la
testa. Non conosce nulla di quel
mondo, ne ha un’idea piuttosto
stereotipata, da
lm d’azione
americano un po’ alla 007: stanze
insonorizzate, armi col silenziatore,
jet privati, ventiquattrore piene di
contanti…
Insomma,
segreti
internazionali da proteggere a
costo della propria vita: una specie
di lavoro sotto copertura per cui
Tommaso le sembra davvero la
persona perfetta.
È strano, ri ette, come quella
parola ricorra spesso nei suoi
pensieri associata a lui.
«Diciamo di sì, vivo parecchio
fuori
dall’Italia»
risponde
Tommaso. «Sono praticamente
vent’anni che giro il mondo.»
«E per fare cosa, di preciso?» lo
incalza Linda.
«Be’, dipende da quali mandati
mi affidano.»
Linda gli indica un bivio sulla
strada, a un centinaio di metri di
distanza: «Ecco, ci siamo. Laggiù
devi girare a destra» dice e poi
aggiunge: «Scusa, ti ho interrotto,
stavi parlando di mandati».
«Sì, sono missioni esecutive che
in genere durano due anni»
chiarisce Tommaso. «Mi occupo di
diplomazia
economica
e
nanziaria. Tutto ciò che riguarda
la cooperazione con altri Paesi e la
partecipazione a programmi di
sviluppo internazionali.»
«Mmm, non è chiarissimo, ma
lavorerò un po’ d’immaginazione:
comunque niente pistole e valigette
piene di dollari?»
«Direi di no… cerco solo di
evitare problemi di relazioni
economiche tra l’Italia e altri Paesi
e faccio in modo che sul territorio i
rapporti
restino
amichevoli.
Insomma, grandi strette di mano e
attenzione a evitare gli sgambetti.»
Tommaso sorride, poi guarda la
strada e rallenta. «A quell’incrocio
dove vado?»
«Da questa parte. Siamo quasi
arrivati.» La strada sale in mezzo ai
lari di vite. Sulla sinistra, svetta
da un’altura una torre medievale
diroccata. Poco più avanti, dopo il
pianoro, una fonte d’acqua sgorga
da una vasca in roccia viva. «Ecco,
gira lì dove c’è il cartello turistico»
lo guida Linda.
Tommaso fa in tempo a leggere
parte della scritta: ITINERARIO N° 1:
AI
PIEDI DEL CANSIGLIO.
«Adesso fa’ attenzione» lo
avverte Linda, «c’è una stradina
sterrata.»
Dopo qualche centinaio di metri
di vitigni e uliveti, appare la Casa
Azzurra. Sembra sospesa tra terra e
cielo.
Tommaso rallenta.
«Abiti qui?» domanda lui, con
una voce che esprime stupore, un
tono che non ha mai usato con lei.
«Sì. Era la casa dei miei nonni.»
«È
un
posto
splendido»
commenta Tommaso, fermando
l’auto al centro della stradina.
«Parcheggia pure dove vuoi.
Anche lì, tra i due oleandri.»
«Veramente dovrei andare…»
Tommaso piega un po’ la testa di
lato, è indeciso ma qualcosa lo
trattiene lì con lei. «Credo di essere
già in ritardo per quella cena.»
«Lasciati almeno o rire un
aperitivo! Dài, per sdebitarmi…» lo
stuzzica Linda, con una strana luce
negli occhi.
«E va bene» cede Tommaso.
Toglie le mani dal volante e spegne
il motore. «Ma dieci minuti
davvero, non di più. Poi scappo.»
Scendono dal SUV.
Linda lo precede, con le chiavi in
mano e il giubbino buttato su una
spalla. Il vento so a tra gli alberi,
intorno alla casa, creando piccoli
vortici che le fanno nire i capelli
sugli occhi.
Tommaso si gira verso le colline
coperte di alberi alle loro spalle,
con la sensazione acuta di trovarsi
in luogo che non c’è sulle mappe
del suo navigatore, fuori dal
mondo e dal tempo.
«Vieni» lo invita Linda senza
girarsi. Fa ruotare la chiave nella
serratura.
Tommaso la segue e si so erma
con lo sguardo sulla targa in
marmo accanto alla porta, con il
cognome
Ottaviani
dipinto
d’azzurro: la trova di un’originalità
genuina, lontana dalla serialità
patinata delle cose a cui lui è
abituato. Poi solleva la testa e nota
la meridiana a rescata sul muro.
Ogni dettaglio di quel posto è un
indizio di bellezza, qualcosa che gli
lascia una sensazione di meraviglia
sospesa.
«Sta lì da non so quanto» spiega
Linda, voltandosi verso di lui. «La
dipinse Ursula, un’amica austriaca
di nonna, negli anni Quaranta. Ma
ti confesso che non ho mai capito
nemmeno come si legge…»
Tommaso la guarda con l’aria di
chi invece ne sa abbastanza ma
non vuole farlo pesare. « Nul a dies
sine linea.» Legge a voce alta
l’iscrizione che compare in un
riquadro a sinistra della meridiana.
«Nessun giorno senza una linea»
traduce Linda. «È una frase di
Plinio il Vecchio.» O, almeno, così
le hanno sempre raccontato.
«Se non sbaglio, era riferita al
celebre pittore Apelle, che non
lasciava passare un solo giorno
senza tratteggiare col pennello
qualche linea» risponde Tommaso.
Linda lo guarda incuriosita e lui
continua. «Un po’ come dire:
bisogna
impegnarsi
quotidianamente per raggiungere i
risultati che si vogliono ottenere.»
E mentre lo dice, sembra che si
riconosca perfettamente in quel
motto.
Linda alza le spalle. «Sarà…
Comunque la costanza non è mai
stata il mio forte. È una qualità
piuttosto noiosa, non trovi?»
Tommaso non risponde ma
accenna un debole sorriso,
decisamente non di approvazione,
poi passa due volte le scarpe sullo
zerbino ed entra seguendo Linda. Si
guarda intorno senza parlare, la
sua ammirazione scivola attraverso
gli occhi: quella casa emana un
calore fortissimo, gli ricorda il Nord
Africa di una missione di tanti anni
prima. È un luogo vissuto, lo
avverte, carico di estro e fantasia.
E poi il suo naso registra nell’aria
un
odore
particolarissimo,
profondo e vagamente esotico.
« Santalum album.» Sono le prime
parole che dice, dopo quasi un
minuto di silenzio.
«Ma come…?»
«Sandalo bianco indiano, giusto?
Uno degli incensi che amo di più.»
«Sì, lo metto a bruciare nelle
ciotole di terracotta per puri care
l’aria»
dice
Linda,
stupita,
indicando alcuni vasi di diversa
capienza disposti a semicerchio in
un angolo del corridoio. «E poi
tiene anche lontane le zanzare!»
Tommaso socchiude gli occhi,
riempiendosi d’aria le narici e i
polmoni. «Mi ricorda Varanasi.»
«Ci sei stato in missione?»
«No…» Fissa un punto a terra,
come per recuperare un ricordo,
poi continua: «Ci sono andato da
ragazzo, a diciott’anni, in viaggio
con due amici. Uno dei miei primi
viaggi, forse quello decisivo.
Quando sono tornato, mi sono
iscritto a Scienze politiche. Ed
eccomi qua».
Linda
sta
cercando
di
immaginare
Tommaso
a
diciott’anni, quando lo sguardo le
cade su un punto della stanza.
«Cazzo, nooo! Non è possibile»
impreca, portandosi la mano alla
fronte. «Che sfiga, un’altra volta!»
A farla imbestialire è una scia
bagnata, che da una trave del
so tto è scesa lungo la parete
bianca del salotto e ha formato una
pozza d’acqua stagnante sul
pavimento in cotto.
«Ho il tetto rotto… mancano le
tegole e varie altre cose» spiega a
Tommaso, moderando leggermente
il tono. «Morale: quando piove
tanto, mi entra dentro l’acqua.»
Tommaso solleva lo sguardo
verso le travi, studiando la
situazione. «Si può fare qualcosa?»
«Sarebbe tutto da rifare, quel
tetto»
risponde
Linda,
con
un’espressione
sconsolata.
«Scusami, prendo un attimo lo
straccio, tu intanto accomodati.»
Sguscia
fuori
dal
salotto,
borbottando qualche parola poco
gentile verso i muratori e le loro
mogli.
Tommaso resta lì in piedi, non
vuole lasciare tracce umide sul
divano in pelle, anche se ormai i
pantaloni gli si sono praticamente
asciugati addosso, sensazione non
proprio gradevole. Osserva la
stanza a ascinato. I mobili hanno
una patina antica che si amalgama
alla
perfezione
con
la
contemporaneità degli oggetti,
creando un tutt’uno armonioso e
originale. L’attaccapanni in ferro
battuto, il cassone in legno
decorato con stampe prismatiche, i
tre comodini bianchi assemblati su
cui è sistemata la tv, la colonna in
marmo con sopra una lampada in
vetro so ato: tutti pezzi molto
diversi come stile, ma che insieme
danno l’idea di una precisa
partitura musicale.
Linda ritorna con lo straccio e
una camicia di lino da uomo di un
arancione molto tenue, recuperata
da un angolo nascosto dell’armadio
in camera da letto. Dev’essere
un’eredità di qualcuno dei suoi
amanti, ma non saprebbe ricordare
di chi. La porge a Tommaso.
«Tieni, questa è asciutta» dice.
Tommaso resta per un attimo
impietrito, come se si sentisse
obbligato a prenderla: non può
evitare di domandarsi a chi
appartenesse. «Sei gentilissima,
Linda, ma tanto adesso vado»
replica, e fa per restituirgliela.
Lei lo blocca: «Avanti, mettitela.
La tua è ancora zuppa, non puoi
girare così».
«D’accordo» si rassegna lui,
anche se non ricorda di aver mai
indossato un indumento di quel
colore.
Esita solo un istante, poi si
sbottona la camicia bagnaticcia e
l’appoggia allo schienale di una
sedia. Linda è di fronte a lui,
l’osserva, nota la cura con cui ha
scolpito il suo corpo: i muscoli
pettorali che disegnano due
semicerchi perfetti intorno allo
sterno, quelli addominali che
producono una serie di righe
parallele sopra e sotto l’ombelico.
La pelle è chiara, senza peli, i
capezzoli bruni e lucidi.
Tommaso pensa che forse
dovrebbe provare imbarazzo a
spogliarsi di fronte a una donna
sconosciuta
che
invece
di
distogliere lo sguardo continua a
ssarlo, ma non è così: gli sembra
una specie di piccola cerimonia
tribale, innocente e insieme
sensuale. Un rito che gli va di
celebrare senza fretta. E infatti si
prende tutto il suo tempo. A erra
la camicia che gli porge Linda dal
divano, se la in la con un brivido e
chiude i bottoni, lentamente,
lasciandone aperti un paio vicino
al colletto.
«Fatto.» Poi sta per sistemarsela
all’interno dei pantaloni quando
Linda gli si avvicina e d’istinto,
senza
pensarci,
lo
blocca,
s orandogli la mano. Il primo
contatto.
«Sei matto? Questa si porta
fuori!»
Tommaso sorride mentre Linda si
allontana subito senza guardarlo e
prende due calici dalla credenza.
Poi li appoggia sul tavolino in
legno d’ebano e puntandogli gli
occhi addosso gli dice: «Ti sta bene
questo colore».
«Mi stai prendendo in giro?»
«No, sul serio.» Scompare in
cucina e riappare dopo un istante
con una bottiglia di Prosecco di
Valdobbiadene.
«Vedo che anche tu hai viaggiato
parecchio in giro per il mondo.»
Tommaso
sta
indicando
l’installazione fotogra ca alla
parete. «Sei stata in tutti quei
posti?»
«Magari!»
sospira
Linda,
versando il vino nei calici. «Sono
foto-cartolina che mi hanno
spedito.» Le s’illumina lo sguardo
mentre parla. «Dài, adesso
beviamo, che tu hai i minuti
contati, giusto?» Gli strizza
l’occhio, poi a erra i due calici e
ne porge uno a Tommaso.
«Grazie» dice lui.
«No, grazie a te per avermi
riportata a casa.» Avvicina il
bicchiere a quello di Tommaso, i
cristalli si toccano dolcemente.
Tommaso beve un sorso.
Continua a guardarla, quasi
stregato dalla naturalezza con cui
si muove e parla: un impasto di
vivacità, ironia e grazia non
artefatta che gli provoca una
strana pressione tra lo stomaco e il
cuore e gli fa scottare la pelle delle
mani.
È la suoneria del suo cellulare a
farlo uscire da quella specie di
trance. Lo estrae dalla tasca dei
pantaloni e ssa il display con aria
contrariata.
«Nadine» dice, ma non risponde.
«Mi sa che abbiamo sforato i
famosi
dieci-minuti-non-di-più.»
Linda allarga le braccia e fa un
sorriso irresistibile.
«Già, e senza accorgercene
proprio» conferma Tommaso,
controllando l’orologio al polso.
«Devo scappare.» Raccoglie in
fretta la camicia inzuppata. «E
questa?» domanda, prendendo un
lembo di quella che indossa.
«Puoi tenerla, non mi serve.»
«Grazie, allora. È stato un
piacere.» Le dà la mano e in
quell’istante decide che ha voglia di
salutarla con un bacio sulla
guancia. Non lo fa mai.
«Piacere mio. Ciao.»
Chiudendosi la porta alle spalle,
Linda pensa che è la magia
dell’imprevisto a fare la di erenza.
Soprattutto nelle giornate di
merda.
5
È una domenica di sole che
scivola leggera, e Linda vorrebbe
non nisse mai. Corre con lui da
una decina di chilometri, godendosi
il calore e il profumo di quella
mattinata di ne maggio. Sono
stanchi e felici, hanno ancora ato
per scherzare, sorridere, prendersi
in giro.
Si sono dati appuntamento alle
dieci al bivio per la Casa Azzurra, e
da lì attraverso i lari delle viti si
sono spinti no al limite del bosco.
Davide è arrivato puntuale, in T-
shirt, pantaloncini, scarpe tecniche
con sensori collegati all’iPhone.
Linda era già sul posto ad
aspettarlo, shorts inguinali e
canotta striminzita, i capelli legati
in una coda alta. Quando si tratta
di correre, è una puntuale. Dopo la
sera del concerto, Davide l’ha
chiamata un paio di volte, la prima
per il classico «Ciao, come stai?», la
seconda per chiederle se aveva
voglia di correre con lui. E Linda
non si è fatta certo pregare: il tipo
la stuzzica abbastanza per provare
a farci qualcos’altro dopo l’ottima
performance in macchina dell’altro
giorno. Non è una che sa resistere
alle s de, e vuole fargli vedere che
non se la cava bene solo a letto.
«Alla
ne della strada ci
fermiamo e facciamo cinque minuti
di allungamenti prima di ripartire»
dice Davide, con il piglio sicuro del
personal trainer.
«Sei già stanco?» lo sfotte Linda,
sentendolo
ansimare
pesantemente.
«Ma va’, gurati… lo dico per
te.» Le dà una piccola pacca sul
sedere, con un colpetto da
percussionista.
«Per me?» sembra stupirsi lei, ma
in fondo gode di aver dimostrato la
sua supremazia. «Non si direbbe, a
giudicare dal tuo fiato…»
«Domani vuoi ritrovarti con i
muscoli dei polpacci strappati?»
Davide cerca di recuperare
respirando a fondo: «Fidati, dopo
tre saliscendi come quelli che
abbiamo appena fatto, è bene che
strecciamo un po’».
«Ok» si rassegna Linda. Ma è
carichissima, correrebbe ancora un
paio di chilometri.
Percorrono tutta la sterrata, poi
si fermano sulla macchia di prato
che si allarga a lato della stradina.
Ora anche lei ha il respiro corto –
nonostante continui a impegnarsi
per dimostrare a Davide il
contrario – e i piedi stanchi.
Sciolgono i muscoli, facendo
qualche piccolo saltello sul posto.
Davide divarica leggermente le
gambe e inizia con le essioni. Poi
Linda comincia a fare stretching,
ettendo il busto in avanti no a
prendersi le caviglie. Lo provoca, e
ne è ben consapevole, anche se
non ha davvero idea dell’e etto
che sortisce su di lui, che non riesce
a staccarle gli occhi dal seno, così
tonico, alto… una terza tendente
alla quarta che non cede di un
centimetro alla forza di gravità.
«Facciamo qualche esercizio,
adesso» dice Davide distogliendo
gli occhi con uno sforzo immane.
Si a erra la caviglia destra con
la mano e tira la gamba più in alto
che può. Linda lo segue, ma non è
attenta… è più impegnata ad
ammiccare. Ripetono insieme
l’esercizio per la sinistra, poi
Davide la invita a sedersi a terra,
sull’erba morbida. Sono l’uno di
fronte all’altra, a specchio. Linda
divarica le gambe, come ha fatto
Davide, solleva in alto le braccia,
le allunga in diagonale verso il
piede destro, poi verso il centro,
in ne verso il piede sinistro.
Quando ricomincia la sequenza, le
sue mani incontrano quelle di lui. È
in quel momento che stringe la
presa e, dandosi la spinta sui
talloni, va a sbattere con il corpo
contro il suo. Sorride, ma solo per
un istante; subito dopo gli dà un
pugno nello stomaco con tutta la
forza del suo braccio allenato.
Davide emette una specie di
guaito animale; sente l’aria che gli
esce tutta insieme dai polmoni,
mentre si piega in due. Cerca di
riprendere ato, poi la guarda
incredulo. «Ma sei matta?» dice.
«Mi hai fatto male!»
«Sul serio?» fa Linda. «Sei così
deboluccio?»
«Certo, ti piacerebbe… così
potresti ridurmi in tuo potere!»
replica Davide con un guizzo
d’orgoglio, poi si raddrizza e
riprende la sua espressione
normale. In un paio di secondi,
riesce addirittura a sorridere.
Anche Linda sorride. «Non male
come fantasia…» Poi salta in piedi,
lo prende per una mano e lo fa
alzare bruscamente, trascinandolo
verso un piccolo gruppo di alberi
poco più avanti.
Con uno scatto improvviso, gli
a erra le spalle e lo bacia sulla
bocca. Davide risponde al bacio,
in landole la lingua tra i denti e
strappandole via l’elastico dai
capelli:
una
massa
bionda
disordinata le copre gli occhi, le
ricade selvaggia lungo il collo no
alle spalle.
Linda spinge Davide a terra, sul
tappeto di erba, argilla e foglie, e
gli fa ombra con i capelli: preme
labbra contro labbra, lingua contro
lingua, fronte contro fronte. È
calda, sinuosa e insistente: non
molla la preda, gli si stringe
addosso, lo domina con mani e
gambe.
Davide prova ad alzarsi per
guardarla meglio negli occhi, ma
lei gli spinge la testa all’indietro, lo
schiaccia con forza sull’erba. Lui a
quel punto reagisce a quella
pressione che genera calore;
prende Linda e la gira, sbattendola
a terra. Lei lo guarda da sotto in su
con le pupille dilatate, le labbra
socchiuse, le guance infuocate.
Davide è sdraiato sopra di lei, in
bilico
tra
eccitazione
e
preoccupazione, con una gamba
tra le sue: certo, le prime case sono
lontane, pensa, ma sono pur
sempre all’aperto, di domenica
mattina, e qualcuno potrebbe
passare da un momento all’altro.
Ma per Linda non c’è più tempo,
deve averlo lì e ora, è stanca di
aspettare; con una mossa da arti
marziali lo rovescia di nuovo e gli
si preme contro con tutta la voglia
che ha in corpo. Lo bacia sulla
bocca e sul collo, poi sulle orecchie,
in landogli dentro la lingua e
mordendogli un lobo. Tra ca con
la canotta di Davide e con le
striscioline di nylon che gli
chiudono i pantaloncini: slaccia,
allarga e insinua una mano dentro.
«Aspetta un attimo» dice lui.
Cerca di bloccarla, ma c’è troppo
poco spazio tra i loro corpi e lei
non ha nessuna voglia di
ascoltarlo, è già sotto la sto a con
le dita mentre lui si dibatte come
un animale in trappola. «Aspetta,
cazzo.» Davide le afferra il polso.
Linda si ferma, tira su la testa
con un’espressione perplessa.
«Cosa c’è?»
«Niente»
risponde
Davide.
Sguscia un poco indietro, si
puntella sui gomiti, si guarda
intorno, circospetto.
«Non vuoi?» gli chiede lei. La sua
mano si ritrae attraverso il tessuto
dei pantaloni.
«Sì che voglio» replica Davide. «È
solo che…» Si guarda di nuovo alle
spalle, come se fosse in un
territorio nemico e un commando
armato
potesse
irrompere
all’improvviso.
«Ma
così,
all’aperto? E se arriva qualcuno?»
Linda scuote piano la testa, le
sue pupille si stanno restringendo.
«Come vuoi» sussurra, con
ostentata indi erenza. Poi si toglie
un lo di erba secca dai capelli.
«Non importa.» Si alza in piedi,
scuotendosi i vestiti. In certi casi
mollare la presa funziona, lo sa
molto bene. Fa per andarsene.
Infatti Davide reagisce da
manuale. «Eh no, Linda» dice. La
a erra per i polsi. «Altroché se
importa.» Se la preme addosso e la
bacia con ardore, possedendola con
tutta la lingua.
Poi la rovescia a terra e si
aggancia alle sue ginocchia. Le
accarezza i capelli, il collo, scende
con la mano sul seno e con un solo
gesto le strappa via shorts e slip.
La guarda, la annusa, le respira
così vicino che le sensazioni e i
gesti si sovrappongono e si
confondono in un unico stato
magmatico. È lei, adesso, che cerca
di opporgli resistenza, ma non è un
vero tentativo di difesa, è solo un
furioso gioco di muscoli e ormoni di
cui ora ha perso il controllo: può
solo risalire tra le sue cosce sode e
lisce da runner verso il caldo e
l’umido custodito al loro interno.
L’incertezza di un istante fa si è
dissolta in un ume impetuoso che
lo trascina senza lasciargli spazio
nemmeno per un respiro o un
pensiero vagamente razionale. Gli
sembra di essere tornato alle
origini del mondo, in un’esplosione
selvaggia d’istinto e sensi. Si libera
dei suoi vestiti, si allunga tra le
gambe di Linda no a penetrare la
tensione
elastica
della
sua
femminilità, con un’urgenza e una
smania di possesso incontenibili.
Lei gli si preme addosso, asseconda
il suo ritmo primitivo inarcando il
bacino, scivola su e giù sentendolo
dentro, ondeggia con un’intensità
che cresce, una frenesia che
potrebbe andare avanti per
sempre; e invece rompe gli argini,
senza controllo, si libera in un
respiro che sale dal fondo, un
tremito che la attraversa tutta, le
fa contrarre le cosce e la fa godere
insieme a lui. Sono due corpi che si
fondono: grida, gemiti, umori che
si mescolano e pompano al ritmo
del cuore della terra sotto di loro, si
espandono oltre gli alberi,
saturando di energia la luce bianca
del cielo.
«Non è arrivato nessuno, hai
visto?» dice Linda, guardandolo
con occhio complice, mentre
solleva un poco la testa.
Davide riemerge un po’ alla
volta dal suo orgasmo tribale e la
guarda con occhi sognanti. «Non
mi sarei fermato neanche se fosse
arrivato il padre eterno.»
Lei si mette a ridere, poi lo
sguardo le cade sul polpaccio
destro, dove da un po’ sente un
pizzicore. «Oh, merda!» esclama.
«Che c’è?» fa lui.
Linda
solleva
la
gamba.
«Dev’essere stato un ragnetto» dice,
senza troppa preoccupazione.
Davide
guarda
il
lieve
arrossamento. «Andiamo via. Devi
metterci subito qualcosa.» Fa per
saltare su.
Linda lo blocca con una mano.
«Tranquillo. Agli insetti ci sono
abituata.» Poi lo bacia sulla bocca e
gli afferra il sesso ancora duro.
È pronta a ricominciare, e lui
con
lei.
Entrambi
senza
aspettative: sanno perfettamente
che non ci sarà un’altra volta, che
oltre quel prato non andranno, che
tutto si risolverà tra quegli alberi.
Nessuno s’innamorerà e nessuno si
farà male.
6
Esce dalla doccia e a erra
l’accappatoio dalla spalla della
dea, una riproduzione in resina
nera
della Venere italica del
Canova, scovata un anno fa in un
bizzarro negozio di oggettistica del
basso Veneto e da allora
posizionata accanto al lavello: il
nuovo appendino del bagno.
Respira profondamente, sente i
polmoni allargarsi, i battiti del
cuore rallentare. La stanza si è
riempita di un vapore denso che
profuma
di
olii
essenziali
himalayani, il suo toccasana.
Almeno, quello del momento.
È lunedì mattina, giugno è
appena cominciato, e Linda si è
svegliata in ritardo. Ma non ci
pensa, sono quasi le nove e non ha
intenzione di darsi una mossa. Le
piace fare le cose con calma prima
di andare al lavoro. Dopo la
domenica rilassante di ieri – il
sesso con Davide, l’aperitivo con
gli amici di sempre, quattro
chiacchiere con suo zio Giorgio e
un’oretta di lettura – ora si sente
carica, piena di energia, pronta a
cominciare una nuova settimana.
Con l’accappatoio slacciato, si
accovaccia sul tappeto di spugna e
si massaggia i piedi con un
unguento
dalla
consistenza
burrosa, facendolo scivolare bene
tra le dita. Allunga poi un braccio
verso il cesto delle creme corpo e
ne estrae un acone di olio secco
elasticizzante. Ne versa alcune
gocce sul palmo delle mani, quindi
se lo passa sulle gambe, risalendo
dalle caviglie all’inguine. Facendo
leva sui talloni si alza in piedi con
uno scatto, prende un asciugamano
dalla cassettiera e, buttando la
testa in avanti, se lo attorciglia sui
capelli a mo’ di turbante. Raccoglie
dalla Venere gli slip di seta nera e
se li in la, poi a piedi nudi scivola
fuori dal bagno e si avvia verso la
cucina.
Di solito non è una che indulge
nella cura del corpo: non si diverte,
la trova una faticaccia, ma passato
il traguardo dei trenta si è resa
conto, un po’ a malincuore, che lo
sport non basta e qualche aiutino
serve sempre.
Prende dallo scolapiatti la moka
da sei e la riempie con poco ca è e
tanta acqua, la mette sul fornello e
va a collegare alle casse il
notebook sulla scrivania del
salotto, selezionando la playlist
ROCK REVIVAL dalla cartella
MUSICA.
Parte una canzone dei Pink Floyd
di cui non ricorda il titolo che le fa
venire i brividi, e tanta voglia di
ballare.
Ancheggiando, Linda torna in
cucina e si siede sullo sgabello da
bar ad aspettare che il ca è venga
su. Osserva il cielo fuori dalla
nestra: oggi è senza nuvole, di un
azzurro da cartolina. Pensa che tra
qualche giorno raccoglierà le
ciliegie dai due alberi lì davanti e
le porterà a sua madre perché le
prepari la sua confettura squisita.
Ecco, appunto: sua madre. I suoi
genitori non li sente da più di un
mese, non si ricorda nemmeno
quando è stata l’ultima volta che è
andata a trovarli nel loro piccolo
B&B nel cuore delle Dolomiti…
Natale? Pasqua dell’anno prima?
Non che abbia un brutto rapporto
con loro. Semplicemente, da
quando, dopo la pensione, se ne
sono andati per dedicarsi al sogno
di una vita – aprire un’attività tutta
loro in montagna – Linda ha
lasciato che le cose andassero
avanti da sé, le telefonate (da
parte sua) si sono diradate e si
sono ridotte a delle “chiamate di
sicurezza”, come le ha de nite sua
mamma Carla, in cui la premurosa
genitrice
veri ca
in
modo
telegra co che la glia sia ancora
viva e tutta intera. E la avvisa
quando sta per mandarle le sue
famose marmellate. Se si mettesse
a farle da sola, Linda non saprebbe
da dove cominciare e di sicuro
nirebbe per buttare via tutto,
spinta da quella frenesia rabbiosa
che la pervade ogni volta che
qualcosa non le riesce alla
perfezione.
Si leva l’asciugamano dalla testa
sfregandolo sulla folta chioma
bionda ancora umida e si stringe la
cintura dell’accappatoio a kimono,
lungo no a metà coscia. Sta per
abbassare la amma del fornello,
quando si accorge che un’auto sta
arrivando a tutto gas dalla stradina
sterrata, sollevando nuvole di
polvere bianca. È una vecchia Mini
Cooper verde bottiglia degli anni
Settanta.
Tetto
bianco
e
inconfondibile rombo del motore
ancora capace di prestazioni
notevoli. Lo riconoscerebbe tra
mille, quel suono. E conosce bene
anche la faccia da schia alla
guida: Alessandro!
Linda fa un balzo sullo sgabello e
si precipita fuori, con una foga che
non può contenere. Apre la porta e
lo vede. Solo ora si accorge di
quanto le è mancato! È arrivato
senza
preavviso,
come
un
temporale estivo. E in questo
momento spera ardentemente che
non se ne vada con la stessa fretta.
Lui scende dall’auto e chiude lo
sportello con un gesto deciso. Per
un istante la guarda senza parlare.
È un po’ più magro e con la
carnagione più scura dell’ultima
volta che l’ha visto, però le sembra
più alto, più statuario. I capelli
tagliati corti sono ancora neri e
qualche
principio
di
riccio
s’intravede qua e là, ma alla luce
del mattino hanno un ri esso quasi
bluastro che Linda non ricordava.
Si è lasciato crescere i ba e i
lineamenti
sono
leggermente
induriti, come se avessero trovato
solo adesso la loro forma
de nitiva. Le sopracciglia folte, il
naso dal dorso un po’ largo, la
mandibola squadrata. Non è più un
ragazzo, oggi Alessandro è un
uomo. Ma gli occhi… quelli sono
come li ricordava, di un castano
tendente al giallo, un colore quasi
innaturale. Nella sua vita, Linda
non ne ha mai incontrati di simili.
Indossa una T-shirt bianca, il
collo fasciato in una ke ah
sdrucita. Sopra gli stivali in pelle
scamosciata porta un paio di jeans
un po’ strappati. E non certo ad
arte. È maledettamente sporco di
vita, la sua sola presenza basta a
scaldare la temperatura attorno a
lui.Alessandro sorride e le va
incontro; lei fa lo stesso, con i
capelli ancora bagnati e i piedi
nudi che so rono sulla ghiaia.
Prima piano, poi corre. Con quel
suo sorriso le ha aperto un mondo:
gli salta al collo e lo abbraccia con
tutta la forza che ha. E lui la
stringe con mani potenti e ruvide.
«Non ci credo che sei qui»
mormora Linda, su di giri.
Continua a toccarlo, a tastarlo
sulla schiena e sulla faccia: deve
rendersi conto che è davvero lui, ha
paura che le si smaterializzi tra le
braccia.
«Nemmeno io» dice Alessandro.
Si guarda intorno. «Però, ti sei
sistemata bene. Questa casa me la
ricordavo che era un rudere…»
Linda lo prende per mano e gli
fa strada. «Mentre tu girovagavi
per il mondo, io ero qui con le
mani piene di calli a lavorare!»
E adesso anche Alessandro si
mette a ridere di gusto: lei non è
cambiata di un pixel, ha la stessa
esuberanza di quando erano
adolescenti.
«Ma sei appena arrivato?» gli
domanda Linda sbirciando le sue
occhiaie.
«Stamattina
alle
sei,
a
Malpensa.» Alessandro si lascia
scappare uno sbadiglio. «Sono
stanco morto, ho fatto un viaggio
di ventiquattr’ore» spiega, senza
smettere di guardarsi intorno. «Ma
è troppo bello essere di nuovo qui.
Era
tantissimo
tempo
che
mancavo.» Resta fermo per un
istante sulla porta, gli occhi pieni
d’incanto, i muscoli che si rilassano
sotto la pelle accaldata dal viaggio.
«Stavolta rimani un po’, vero?
Prometti che non te ne riparti
subito come l’ultima volta?»
«Sì, mi fermo di più… Ho delle
cose da sistemare prima di
rimettermi in viaggio.»
«E che cosa, se posso
permettermi?» fa lei con un’aria
piccata.
Alessandro si guarda intorno
come se volesse sfuggire a quella
domanda troppo stringente, poi
risponde: «Ho avuto qualche
problema ad Hanoi e adesso è
meglio se me ne sto un po’
tranquillo».
«Il solito idealista avventuriero.
Non sei cambiato per niente,
vedo.» Linda alza gli occhi al cielo.
«Cos’hai combinato stavolta?»
«Diciamo che ho fotografato cose
che era meglio non fotografare…»
Alessandro è serio, adesso. «Stavo
collaborando con un blogger che
denuncia il lavoro minorile nelle
fabbriche.» Sospira. «Lui è stato
arrestato e io sono stato per così
dire invitato dalla polizia a togliere
il disturbo.»
Linda ha un brivido; Alessandro
non sembra troppo preoccupato.
«Ma stai tranquilla, non gliela do
mica vinta» continua deciso.
Lei gli mette una mano sulla
spalla. «Ehi, non farmi andare in
ansia…»
Lui le s ora la fronte, come a
cancellarle una ruga. «Dài, fammi
vedere questo capolavoro di casa.»
Entrano in cucina. Il ca è è
traboccato, inondando il fornello di
un liquido scuro che ha di uso
nell’aria un odore domestico e non
gradevole di bruciato.
«Oddio, che casino!» Linda
solleva il coperchio della moka e
guarda dentro. «Ne è rimasto un
po’, ma lo rifaccio.»
«Per me no» dice Alessandro,
accomodandosi sullo sgabello e
guardandosi intorno. «Io voglio
una birra.»
«Eh?» Lei strabuzza gli occhi.
«Dài, non ho voglia di caffè, sono
tutto sfasato. Ho ancora l’orario
asiatico.»
«Ma non so se c’è della birra in
frigo.»
«Male, ragazza! Come si fa a non
avere birra in casa? Non hai
proprio imparato niente in questi
anni senza di me?»
«Scusa, sai…» Linda incrocia le
braccia. «È che stamattina non
prevedevo l’arrivo di Ale-torno-
quando-mi-pare…» risponde un po’
sarcastica.
Alessandro scuote la testa con
disapprovazione – «Ah, come siamo
invecchiate!» – e Linda gli dà una
sberla sulla nuca. Ma poi va a
in lare la testa nel ripostiglio del
corridoio e, dopo un istante, torna
in cucina con una Moretti in mano.
«Ecco, direttamente dalla mia
riserva
personale.
Non
è
freschissima ma fattela bastare.»
Alessandro la stappa e ne prende
un lungo sorso.
È in quel momento che Linda si
rilassa, gli punta gli occhi sul viso,
e si prepara ad ascoltarlo. «Forza,
raccontami tutto» lo incalza,
buttando giù un goccio di ca è
freddo. Poi ci ripensa. «Oddio,
forse proprio tutto tutto no, cinque
anni sono tanti. Comincia da
Hanoi.»
Alessandro la guarda, la testa
chiaramente altrove, e poi
comincia a parlare. «È una città
pazzesca.» Beve dalla bottiglia e
assaggia una nocciola da un
recipiente in legno sul tavolo. «Un
formicaio di gente, un tra co… il
problema più grande è attraversare
la strada.» Prende un’altra
nocciola. «Ti ci perdi, ti fa sentire
piccolo tra migliaia di persone.
Non ci crederai, ma è una
sensazione quasi liberatoria.» Poi
una fame arretrata lo travolge con
forza inaspettata e se ne cca in
bocca una manciata, divorandola
senza badare alle buone maniere,
con avidità quasi animalesca,
esaltato dall’idea di poterlo fare
proprio lì, con lei e in quel preciso
momento.
«Il Vietnam è un Paese
complicato» prosegue pulendosi la
bocca con il dorso della mano. «Sta
cambiando, e questo porta con sé
un carico incontrollabile di tensioni
sociali e ingiustizie, purtroppo.» Si
capisce che nella sua testa, in
questo momento, si sovrappongono
una quantità di immagini e
pensieri che lei può solo intuire.
Qualcuna molto scomoda e
macabra. Ma a lei, adesso, vuole
raccontare
solo
il
meglio.
«Nonostante tutto, resta un posto
meraviglioso. I paesaggi più belli
sono i volti delle persone che ho
incontrato. Hanno una dignità e
un’eleganza
quasi
regale.
Lineamenti che incantano.»
«E le vietnamite, come sono?»
ammicca Linda.
«Tra le asiatiche, forse le
migliori: sico longilineo, pelle
chiara, capelli lunghi, neri,
liscissimi, pelle di velluto…»
Socchiude
gli
occhi
in
un’espressione estatica. «Se solo hai
la fortuna di vederle.»
«Perché?»
«Perché in città le ragazze se ne
vanno in giro bardate come tuareg
nel deserto: praticamente non
riesci a sbirciare neanche gli
occhi.»
«Come mai?!» Linda scuote la
testa.
«Sono terrorizzate dal sole, lo
evitano in tutti i modi, indossano
protezioni di ogni tipo, calze,
guanti,
cappelli,
mascherine.
Capisci che diventa un’impresa
anche solo capire se una sia carina
o no?» Alessandro si stiracchia la
schiena, piega la testa prima a
destra, poi a sinistra. «E comunque,
Hanoi è diversa…»
«In che senso?»
«Nel senso che, anche se sei
sempre in Asia, te la scordi
quell’atmosfera
di
sfacciata
sensualità che trovi nei go-go bar di
Bangkok o nelle Filippine.»
«Ah, ho capito… Sono un po’
bacchettone, le vietnamite.»
«Diciamo che sono relativamente
pudiche e di denti. Togliti dalla
testa l’immaginario da turismo
sessuale a cui stai pensando e non
farmi quella faccia…»
«Dovrei credere che non ne hai
conquistata nemmeno una?» È
curiosa, non riesce a non esserlo.
«Diciamo che ho dovuto faticare
un po’ più del solito» sorride lui,
enigmatico. E lei vorrebbe
conoscerla la donna che sa resistere
a un sorriso così.
«Stai con una adesso?» gli
domanda Linda a bruciapelo.
«Scusa?!» fa Alessandro. «Ma
gurati! Non ho né il tempo né la
voglia per impegnarmi in qualcosa
di serio.»
A volte, nelle mail che si sono
scritti nel corso degli anni, lui le
parlava delle donne che conosceva
in giro per il mondo. E lei si
divertiva a leggere i suoi racconti
da marinaio in cui senz’altro si
mescolavano verità e piccole bugie:
la incantavano, lasciandola sempre
in bilico tra invidia e gelosia.
«E tu, invece, hai qualcuno?»
«Mah… non proprio» risponde
lei, vaga, e piega le labbra
all’ingiù. Per un istante le viene in
mente Davide: ma non lo considera
nemmeno una storia.
Alessandro la guarda. La studia
come un soggetto da fotografare,
nella luce che penetra dalla
nestra e le sfuma i contorni. «Non
è vero che sei invecchiata, sei come
ti ricordavo. Ancora più bella,
forse.»
Linda abbassa gli occhi, sorride.
Da quando lui è arrivato, uno
spirito irregolare la attraversa. È
come una corrente che spinge gesti
e pensieri a fare degli scatti di cili
da prevedere, li mette sottosopra,
produce reazioni contraddittorie. E
poi una serie di ricordi inde niti –
emozioni, più che immagini – si
sono come risvegliati nella sua
memoria. Anche Alessandro è come
lei lo ricordava. Più bello, forse.
«No, aspetta… qualcosa di
diverso c’è.» Gli spunta un
sorrisetto diabolico. «Ti sono
cresciute le tette!» e le indica con il
dito.
«Certo, come no.» Linda si
sistema un lembo dell’accappatoio.
«Mentre eri via sono andata a
siliconarmi, solo un rinforzino,
anche se non credo proprio che ne
avessi bisogno.» Si mette a ridere.
«È che devono arrivarmi…»
«Ah già che tu sei una di quelle
che aumenta di una taglia. Non me
li scordo io, certi dettagli.»
«Scemo che sei.» Lo colpisce a
una spalla.
«Splendida che sei.» Le sorride.
«Eddài…» Gli sferra un pugno sul
petto.
«Mi sei mancata.» La prende per
la vita e l’abbraccia. Per un
momento a lei si riempiono le
narici di un odore familiare, l’odore
di Alessandro, unico.
«Ho una cosa per te in
macchina» dice lui a un tratto. Si
divincola
con
una
fretta
improvvisa e un po’ goffa.
Linda scosta le mani da lui e lo
lascia andare, resistendo alla
tentazione di a ondargli il naso
nell’incavo del collo.
Alessandro si ripresenta poco
dopo con un copricapo in paglia
intrecciata e bre naturali in
mano, decorato a motivi geometrici
dai colori vivacissimi.
Linda è in salotto, sta tra cando
al computer. E lui arriva alle sue
spalle. «Questo te l’ho preso in un
mercato di Hanoi.» Le appoggia il
cappello sulla testa.
«Cavoli, è bellissimo!» esclama
Linda togliendoselo e rimirandolo,
in uno slancio di allegria. Poi se lo
rimette sulla testa.
Alessandro la guarda con un
sorriso compiaciuto. «E ti sta pure
bene.»
«Sì? Non sembro un fungo?» Le
esce una risata squillante.
«Di quelli velenosi!» Prima che
lei possa rendersene conto,
Alessandro le fa uno scatto con la
fotocamera dell’iPhone, che sa
usare come pochi altri.
Linda si toglie il copricapo e lo
appoggia sul divano.
«Ma che meraviglia, qui!»
esclama Alessandro. Voltandosi, si
è
accorto
dell’installazione
fotografica sulla parete.
«Ti piace?» gli chiede lei. «Sono
le cartoline che mi hai spedito tu.
Tutti i tuoi scatti in giro per il
mondo.»
«Lo vedo» risponde Alessandro,
quasi senza ato. Gli occhi gli
brillano. «Fanno un e etto
magni co così. Non l’avrei mai
immaginato.»
I Doors scivolano fuori dalle
casse del MacBook Air, liberando
nella stanza una sottile energia
erotica.
Alessandro a erra la chitarra
acustica di Linda appoggiata a una
parete – una delle sue tante
passioni perse per strada – si
adagia sul divano e inizia a
strimpellare. «Vieni qua» le dice, e
in un attimo la sua voce calda
copre quella di Jim.
Linda si siede per terra di fronte
a lui e lo segue sottovoce, il testo di
Light My Fire lo conosce a memoria.
Scandisce il tempo tamburellando
con le dita sulle ginocchia.
Vanno avanti nché la canzone
non nisce e all’improvviso a
Linda viene in mente che dovrebbe
essere già al lavoro da un pezzo, e
invece è ancora in accappatoio… e
in più non ha la macchina!
«Aiuto, che ore sono in questo
esatto momento?» chiede ad
Alessandro, con una vocina
isterica.
«E che ne so!» fa lui. Si porta la
mano davanti agli occhi. L’orologio
al polso segna le quattordici e
quarantacinque,
è
ancora
impostato sul fuso di Hanoi. «In
teoria qui dovrebbero essere le
dieci meno un quarto.»
«Cazzo, dobbiamo andare!» dice
Linda, tirandosi su. Poi inizia a
sistemarsi i capelli con le mani.
«Ma dove, scusa?» domanda lui.
«Al lavoro» sbu a lei. Linda lo
guarda con occhi supplichevoli. «Mi
dai uno strappo no allo studio,
vero? Ho la spider da Max, in
o cina» spiega, cadendo dalle
nuvole.
«Che novità» la prende in giro
lui. «Va bene, dài, ti porto io.
Sbrigati!»
«Grazie, grazie, grazie!» strilla lei
e lo spettina, ricordandosi quanto
gli dà fastidio.
Lui, per tutta risposta, la
sculaccia. «Fila, adesso vatti a
vestire.»
«Volo!»
«Io ti aspetto qua.» Alessandro
riprende in mano la chitarra e
mette in la qualche accordo,
inseguendo una melodia confusa
che gli vibra nella testa.
7
Avarizia
Qualcuno bussa alla porta del
suo u cio con due tocchi leggeri e
nervosi.
«Avanti» dice Linda, inchiodata
alla scrivania davanti a una
catasta di preventivi e disegni
Autocad.
Ludovico Fassina apre la porta. È
un tipo rigido e secco, sempre
ingessato in una camicia da prete
chiusa no all’ultimo bottone, gli
occhialini rettangolari con la
montatura invisibile in titanio, i
pantaloni di un taglio largo molto
poco alla moda. Sta ssando Linda
come un oggetto fuori posto. «Ah,
sei qui» dice. «Ero passato a casa
tua a prenderti, ma ho aspettato in
macchina per un po’ e poi me ne
sono andato, erano quasi le otto e
mezza…»
Una lampadina si accende nella
testa di Linda, che si batte la mano
sulla fronte. «Oddio, scusami, Ludo!
Mi sono totalmente scordata!»
Non ha il coraggio di
confessarglielo ma, a quell’ora, lei
dormiva ancora. Poi, con l’arrivo di
Alessandro, si era completamente
dimenticata di lui. E Ludovico,
invece, è l’ultima persona che
dimenticherebbe un appuntamento:
arriva sempre in studio all’alba,
molto
prima
dell’orario
di
apertura, accende tutti i computer,
dispone in rigoroso ordine i
quotidiani del giorno e le riviste
nuove sul tavolo della sala ospiti,
poi si parcheggia alla scrivania in
attesa di qualche istruzione
dall’alto. È così pignolo e zelante
che a Linda saltano i nervi solo a
vederlo.
«Va be’, non importa» risponde
lui, ma è evidente che sta
pensando: stronza, sei una stronza
appro ttatrice. Ovviamente non lo
direbbe mai ad alta voce. Non a
Linda, per cui ha un debole che
non ammetterebbe nemmeno a se
stesso. Fa per chiudere la porta, poi
ci ripensa. «Ah, ricordati che oggi
bisogna chiamare il conte Grimani.
Sta sempre aspettando quella
modifica.»
Linda sospira, lei non sa proprio
nascondere quando è scocciata.
«Avrà la sua dannata doccia
orizzontale. Stavo giusto per
ritrasferire sul computer tutto il
preventivo.» Solleva un foglio
mezzo scarabocchiato e glielo
mostra
con
una
smor a
d’inso erenza. «Comunque grazie
per avermelo ricordato.»
«Prego» dice Ludovico, e se ne
va.Linda a erra il mouse e chiude il
l e GRIMANI. Poi inserisce nella
fessura del mangiacarte a lato della
scrivania il foglio del vecchio
preventivo, che in un paio di
secondi si dissolve in tante fettucce
simili
a
stelle
lanti.
Quell’operazione le dà ogni volta
una sensazione immediata di
sollievo e godimento quasi sico, la
stessa che le capita quando si
sbarazza di una cosa vecchia che
non vuole più vedere.
All’improvviso ha un desiderio
feroce di caffeina e zuccheri. Si alza
dalla sedia e sta per andare alla
macchinetta del ca è, quando il
telefono sulla scrivania squilla. Un
intero catalogo d’imprecazioni le
scorre in sovrimpressione tra i
pensieri. Sarà qualche cliente
petulante o, peggio, il conte
Grimani in persona. Sbircia il
display: è il capo, deve rispondere.
Alza la cornetta e accenna un «Sì?»
svagato.
«Potresti venire un attimo nel
mio u cio?» dice l’architetto
Gianluigi Bosi, con un tono
indecifrabile.
«Adesso? Stavo per prendere un
caffè.»
«Adesso!» Ora è chiaro. Il tono è
categorico.
«Arrivo.» Linda riattacca, lancia
un’occhiata
sconsolata
alla
macchinetta ed esce.
Attraversa il corridoio a lunghi
passi ed entra nello studio di Bosi.
«Siediti.» Il capo le fa un cenno
con la mano.
«Oddio» Linda scuote la testa,
«quando mi dici di sedermi, di
solito va per le lunghe.» Sposta un
po’ indietro la sedia e si mette
comoda. Oggi che è uscita di fretta
non ha neanche fatto in tempo a
mettersi dei tacchi decenti – lei, che
per l’altezza ha quasi una
ssazione – ma un paio di sandali
raso terra in pelle bianca.
Bosi la guarda con un misto di
curiosità e delusione. «Una cosa del
genere non me l’aspettavo proprio
da te.»
« Q u a l e cosa, scusa?» chiede
Linda, con una delle sue
espressioni da caduta dalla luna.
«Una cosa abbastanza grave.»
«Bosi, non ti seguo davvero.»
Linda cerca nella sua testa una
ragione di qualunque tipo, ma non
riesce a trovarla. O meglio, ne
trova milioni. Ma nessuna così
eclatante da meritare quella
convocazione.
«Certo, potevo immaginarlo. Sei
sempre stata una tipa ambiziosa,
quasi ribelle» continua lui, «ma
rubare il lavoro ai tuoi colleghi, e
in questo modo poi…» Piega la
bocca, visibilmente contrariato.
Linda strabuzza gli occhi. «Io?»
chiede, perplessa, l’espressione
poco convinta di chi non accetta
proprio a testa bassa le accuse.
«Ah, no? Vuoi dirmi che davvero
non ne sapevi niente?» L’architetto
Bosi piega il capo da un lato, in
attesa di una risposta.
«Ma ti sei fatto un acido
stamattina?» ribatte Linda, con un
tremito che non può più trattenere.
«Non riesco a seguirti. Non so di
cosa cavolo tu stia parlando.»
«Prima di tutto, abbassa il tono e
controllati, per favore.»
«Sei tu che alludi e non mi dici
chiaramente le cose!»
L’architetto Bosi rimane in
silenzio un istante, poi sentenzia:
«Mi ha chiamato Tommaso Belli
chiedendomi di te».
«E perché?»
«Vuole una consulenza per la sua
villa.»
«Cosa?!» Linda spalanca gli
occhi.
«È proprio così, mi ha chiesto di
poterti parlare» conferma Bosi.
«Sul serio, Linda, vorresti farmi
credere che non sei stata tu a
proporti?»
Ora la conversazione ha
decisamente preso la piega di un
interrogatorio. L’architetto la ssa,
registra i suoi gesti, studia la sua
inflessione.
«No. Non ne sapevo un bel
niente» replica Linda, o esa. È
come se si sentisse una lampada a
infrarossi puntata contro. «Devi
credermi! Lo conosco a malapena!»
Il tono è così accorato che in Bosi
inizia a farsi strada il sospetto che
Linda sia davvero all’oscuro di
tutto. «Va bene. Ti credo. Mi
dispiace per Ludovico e Alice, che
in quel lavoro ci stanno buttando il
sangue… ma la loso a del nostro
studio è sempre stata di soddisfare
il cliente, qualsiasi richiesta faccia.
Perciò, se Belli vuole parlare con
te, è giusto che parli con te.»
Linda accenna un sorriso, solo
ora inizia a rendersi conto
dell’opportunità che le è piovuta
dal cielo. Anche se non riesce a
spiegarsi perché Tommaso voglia
proprio lei. Non sarà per il breve
incontro dell’altro giorno…?
«Ti avverto, Linda, Belli è un
cliente molto di cile» la mette in
guardia Bosi. «Perciò non farti
illusioni. Magari sta solo seguendo
un capriccio e poi ci ripensa. Non è
detto che ti dia l’incarico sul serio.
Preparati, e abbassa da subito la
cresta. Non tutti sono tolleranti
come il tuo capo.»
Linda si limita ad annuire, persa
in un vortice di domande senza
risposta.
«Quel
progetto
è
molto
impegnativo, forse troppo per una
persona sola. Non so se hai
presente la planimetria della villa.
Sono 960 metri quadri, sette
camere, cinque bagni e venti
vani…»
Bosi non la smette di accumulare
dati, ma Linda ormai da un po’ non
lo segue più, sta rincorrendo mille
pensieri nella sua testa.
«Ma mi stai ascoltando?» la
riprende il capo, che si è accorto di
parlare a un muro.
«Eh?» fa Linda, come se si stesse
svegliando da un sogno. «Sì, sì,
certo.»
«Belli ti aspetta alla villa nel
primo pomeriggio. Ma è il caso che
prima gli telefoni per prendere
accordi sull’orario.» Le mette in
mano un faldone. «In questa
cartella
c’è
tutto:
disegni,
planimetrie,
assonometrie.
Sull’ultimo foglio ci sono i suoi
contatti.»
«Perfetto»
risponde
Linda
sfogliando velocemente le pagine.
«In bocca al lupo. Non ho altro
da dire.»
«Crepi.»
Bosi ha già dismesso la voce
inquisitoria ed è ritornato quasi
paterno, un tono che riserva solo a
lei. Quello che gli interessa è che
Belli, la sua gallina dalle uova
d’oro, resti un cliente dello studio:
poco importa quale dei suoi
collaboratori riuscirà a soddisfarlo.
Se sarà Linda, tanto meglio.
Quando lei accenna a uscire, lui la
richiama.
«Se mai dovessi convincerlo a
darti l’incarico, punta molto alto,
mi raccomando. Con uno come lui
puoi osare…» e già si immagina i
soldi che Linda farà piovere nelle
casse dello studio, ma pensa anche
che stavolta con lei sarà generoso e
le darà una percentuale sui
guadagni. «È messo molto meglio
dei Grimani e di tanti altri residuati
bellici di nobiltà decaduta. Perciò,
non trattenerti.»
«Perché, l’ho mai fatto? Ah, e se
mai dovesse scegliere me, il cliente
è mio. E mi prendo il quaranta per
cento.»
Bosi non fa in tempo ad aprire la
mascella in una smor a di
disapprovazione,
vorrebbe
replicare ma Linda non gliene dà il
tempo: gli ha già strizzato l’occhio
ed è sgusciata fuori dall’u cio con
un movimento sinuoso, quasi un
passo di danza. Bosi non la può
sentire, ma ha appena esultato
sottovoce. Dentro di sé ha un
concerto rock che suona a tutto
volume.
Dopo aver recuperato la spider
in o cina – quel genio di Max,
oltre ad avergliela rimessa a
nuovo, pulito carrozzeria e interni,
le ha lasciato un piccolo cadeau di
erba nel cruscotto – imbocca la
statale per Bassano del Grappa e
accosta alla prima piazzola
alberata per mangiare la focaccina
farcita “Barbanera” che ha
comprato in una paninoteca sulla
strada.
Scende dall’auto e si appoggia
alla
ancata.
Azzanna
direttamente dal sacchetto di carta
un pezzo della granata ripiena di
cotto a umicato, gorgonzola,
carcio ni e maionese che il tizio
tatuato alla cassa le ha consigliato
come “proposta del giorno”. È
eccitata come non ricordava da
tempo, e non riesce a non pensare
a quel giorno, a Tommaso tutto
sporco di fango, e poi a lui tutto
imbarazzato con la sua camicia
addosso. Ha l’auricolare del
telefono all’orecchio: tra un
boccone e l’altro, da più di dieci
minuti sta parlando con il conte
Pier Filippo Grimani, che continua
a lamentarsi perché la doccia
orizzontale non è del colore esatto
che voleva la moglie Nicoletta. Ha
deciso che oggi vuole lasciarlo
sfogare, poveretto, non ha senso
sprecare le proprie energie con chi
non merita il suo talento. La
notizia del nuovo incarico le ha
aperto una voragine nello stomaco,
una specie di fame chimica. Per
non sporcarsi la camicetta di seta
bianca, si sporge in avanti a ogni
morso, ma non riesce a evitare che
una goccia giallastra e unta le
nisca sulle scarpe. Linda sente
blaterare il conte, e ogni sette-otto
secondi intercala con un «Ahà» a
bocca piena, si fa convincere a
mandargli degli operai per
sistemare la faccenda del colore,
anche se sa benissimo che sarà
un’operazione inutile. Quando alla
ne riesce a chiudere la
conversazione, se ne esce con un
liberatorio: «Che rompicazzo, ’sti
Grimani!», e si china a pulirsi la
maionese dalle scarpe con il
tovagliolino di carta.
Si scola una lattina intera di
Coca-Cola, quindi sale in macchina
e si rimette alla guida. La statale
taglia a metà un piccolo paese di
campagna, che si dissolve dopo
poche centinaia di metri. Ormai è
fuori dall’abitato, oltre una
caserma dei carabinieri e le ultime
villette a schiera. Si vedono ancora
un paio di casette moderne con le
recinzioni in cemento, poi solo
rustici di pietra e mattoni sempre
più distanti l’uno dall’altro, tra
campi coltivati che si estendono sui
due lati verso le colline. Linda si
gode l’armonia di forme e colori,
respira a fondo, incantata dalle
sfumature di rosa, bianco e giallo
degli alberi in fiore.
Lasciandosi alle spalle i campi,
prende una strada secondaria,
stretta e tortuosa, che conduce alla
sommità di un colle addolcito da
ulivi secolari. A metà della via, c’è
un cancello verde in ferro battuto
con le estremità a punta di lancia,
delimitato da due colonne bianche
in pietra levigata. È mezzo aperto.
Dev’essere quello, a giudicare dalla
costruzione che si intravede sullo
sfondo. Con una rapida manovra,
Linda ci s’in la con la spider,
percorre un lungo viale di ghiaia
costeggiato da piante di limone in
crateri di terracotta. Sembra di
tornare indietro nel tempo. Metro
dopo metro, la costruzione si svela
in tutta la sua eleganza: è una
lussuosa villa di chiara impronta
palladiana, con due barchesse
laterali collegate alla facciata da
un portico ad archi bugnati.
Linda parcheggia nello spazio
libero tra una fontana con i putti e
una
Jaguar XK cabrio grigio
metallizzato. Scende dall’auto e
scorge subito Tommaso poco
lontano, intento a parlare con
alcuni operai che si stanno
evidentemente
occupando
di
ridefinire l’assetto del giardino.
«Dove va quel materiale?» chiede
Tommaso a un ometto tarchiato e
rubizzo, che avanza manovrando
una carriola piena di ghiaia.
«L’architetto paesaggista del
vivaio» spiega quello, tutto
ossequioso, «avrebbe proposto il
lapillo per quest’aiuola qui e i
ciottoli bianchi per l’altra laggiù.»
«Capisco…» dice Tommaso,
esaminando con attenzione il
contenuto della carriola. «Ma non
sono d’accordo. Ora che lo vedo,
preferisco scartare il lapillo. Usate
ciottoli bianchi e corteccia di
larice.» Ha un tono estremamente
sicuro. E un aspetto solido anche in
tenuta semisportiva, i piedi scalzi
nei mocassini, i pantaloni beige di
cotone, la polo blu a manica corta
da cui spuntano i muscoli torniti
delle braccia. «Per quel che
riguarda le rose, invece, siamo
d’accordo sulle varietà: Flora
Danica,
Tivoli
e
Royal
Copenhagen» spiega, con un tono
che non ammette repliche. «E non
provate a rifilarmi altre qualità, me
ne accorgerei.» Quindi con un
cenno del capo lascia intendere che
la conversazione si chiude lì, per
quel che lo riguarda, e congeda
l’uomo con un sorriso diplomatico.
«Certo, signor Belli» risponde
quello. «Sarà tutto come lei
desidera.» Poi fa dei gesti a uno dei
suoi che è tutto assorto a scavare
un buco con la pala nell’aiuola
destinata alle Tivoli.
Linda sta per annunciarsi, ma
Tommaso si gira di scatto e la
anticipa: «Buongiorno, Linda». Le
stringe la mano. «Grazie per essere
venuta subito.»
«Figurati» risponde lei. «Al
telefono mi eri sembrato piuttosto
impaziente.»
«Vieni, spostiamoci da qui.»
Scansando due operai, le fa strada
verso la maestosa scalinata
dell’ingresso, dai cui lati li
osservano
statue
in
pietra
ra guranti divinità romane. Si
schiarisce la voce e dice:
«Innanzitutto, vorrei scusarmi».
«Per cosa?» Linda lo guarda
senza capire.
«Per non averne parlato prima
con te» risponde Tommaso, serio.
«È che non avevo nessun contatto
telefonico e non sapevo come
rintracciarti. Non era il caso di
piombarti in casa, che dici? Per
questo mi sono rivolto all’architetto
Bosi.»
«Non c’è bisogno di scusarsi.
Sono felice che tu l’abbia fatto.» E
non è mai stata così sincera con
lui.«Perfetto.»
Di nuovo quella parola.
Tommaso abbassa per un istante
lo sguardo e subito lo rialza. I suoi
occhi sembrano più azzurri che blu
alla luce del sole. «Allora entriamo
subito» dice facendo un gesto verso
l’ingresso, «così ti mostro di cosa si
tratta.»
Linda si ferma al centro della
scalinata a osservare la villa,
incantata. «Comunque l’esterno è
veramente splendido. Non ne
vedevo una così ben conservata da
anni…» Ruota la testa, si gode la
visione
panoramica.
Quattro
colonne ioniche a fusto liscio
scandiscono il ritmo della facciata,
suggerendo l’idea del tempio greco-
romano. «C’è molto Palladio»
mormora, con un respiro largo.
«Neoclassicismo puro.»
Tommaso fa un cenno di assenso:
«Equilibrio, armonia, rigore. È per
questo che l’ho scelta. Rispecchia
esattamente la mia idea di mondo».
Linda lo osserva: anche lui
sembra integrarsi perfettamente in
quel paesaggio. Il disegno della
mascella, il modo di parlare, di
occupare lo spazio: un campione
olimpico che sprigiona forza e
bellezza. La sua energia è
essenziale,
razionale,
per no
severa nella sua purezza.
Tommaso si avvia su per la
scalinata, e Linda lo segue con la
stessa
ammirazione
che
riserverebbe a una divinità. Ma
sbirciargli il sedere non sembra
a atto blasfemo, è quasi doveroso,
perché anche quella è una visione
celestiale.
«La villa è disabitata da almeno
cinque anni» le spiega Tommaso,
fermandosi in cima alla scalinata e
voltandosi indietro a cercare il suo
sguardo.
Linda distoglie subito gli occhi
sperando che non se ne sia accorto.
«Certo» annuisce, con studiato
interesse.
Lui la osserva in modo
penetrante,
sembra
quasi
trattenere un sorriso, poi si fa da
parte per lasciarla entrare dal
grande portone.
Linda
prova
una
certa
soggezione, si guarda intorno,
respira a pieni polmoni la bellezza
degli spazi. Quel posto la fa sentire
strana, quasi imperfetta.
«Questo salone è l’unica stanza
che conserva ancora qualcosa di
cinquecentesco» prosegue lui. «Per
il resto è tutto ne Settecento e
oltre.»
Lei punta gli occhi sulle pareti,
anche per resistere alla forza
attrattiva di quelle natiche.
«Orditura a vista del solaio, porte a
timpano…» commenta a quel
punto, cercando il suo tono più
professionale. Si volta verso
Tommaso e dice: «Quelle porte
vanno conservate, te lo dico già.
Bisognerà farle restaurare, ma
devono assolutamente restare dove
sono, perché danno senso a tutto il
resto».
«Vedo che sei già entrata nella
parte» osserva Tommaso, e la
introduce in un’altra ala della villa.
«Di qua c’era uno studio.» Sostano
sulla soglia di una piccola stanza
che conserva elementi d’arredo
originali e oggetti d’arte antica.
«Ma andiamo di là, nella sala da
pranzo.»
«O mio dio!» esclama Linda,
alzando gli occhi al so tto. Al
centro della sala è rimasto un
prezioso lampadario in vetro di
Murano a struttura asimmetrica,
composto da singoli elementi a
incastro. «Ovviamente anche quello
va tenuto. Tutto il resto è da
buttare.» Non si preoccupa
dell’e etto di ciò che dice, e
continua a esplorare lo spazio. Dà
un’occhiata storta a una serie di
seggiole con lo schienale alto
mezze marce e a un tavolo
rosicchiato in più punti.
«Mi piace che tu stia già
ragionando in termini di arredo…»
commenta lui, con un sorriso
soddisfatto.
Linda si limita a registrare le
piccole rughe che gli si formano
agli angoli delle labbra e non dice
niente, ma dentro di sé inizia ad
avvertire uno strano godimento.
Formalmente non c’è ancora
nessun accordo tra di loro, ma è già
sicura che sarà lei ad arredare
questa villa e che si rivelerà
un’avventura entusiasmante. Poi, a
essere sincera no in fondo, il fatto
che la proposta venga da un uomo
come lui rende tutto più
interessante.
Salgono
al
piano
nobile
attraverso una maestosa scala,
adornata da ringhiere in ferro,
battuto senz’altro a mano. A quel
punto, davanti a loro si apre un
immenso salone, con ampie
porte nestre e pareti decorate da
alcuni a reschi incorniciati da
stucchi. Linda ormai è in visibilio:
la mente corre lontano, pensa in
grande, oltre loro due, questa
dimora, questo momento, ha nella
testa un collage di immagini che
scorrono avanti e indietro lungo la
linea del tempo.
«Era il salone da ballo» le illustra
Tommaso. «Vieni.» Le fa strada
verso una porta nestra che dà sul
retro della villa. «Da qui si vede
bene anche il parco.»
Si affacciano al balcone.
«Incredibile!» esclama Linda. «È
enorme.» Osserva lo spazio con
un’attenzione sensoriale. Saranno
all’incirca tre ettari di terreno con
varie specie di alberi secolari; in
lontananza si scorge un laghetto e,
subito dietro la villa, una piscina
che ha seriamente bisogno di essere
rimessa in sesto. Linda la guarda
meglio e all’improvviso ricorda: è
la piscina in cui lei e Alessandro si
erano tu ati una sera, da ragazzi,
entrando di nascosto da un buco
nella recinzione! Un’idea di
Alessandro,
naturalmente.
All’epoca la villa era abitata e per
poco non erano stati scoperti. A un
certo punto avevano sentito il
guardiano
sbraitare,
erano
schizzati fuori dall’acqua come due
pesci all’alba, si erano messi a
correre mezzi nudi e grondanti,
no a saltare nella Mini di Ale (che
lui ogni tanto rubava ai suoi per
uscire la sera) e lanciarsi in una
folle corsa con un solo faro acceso
– la macchina aveva sempre
qualche piccolo guasto – nel cuore
della notte. Linda non riesce a
nascondere un sorriso e caccia il
ricordo con un movimento rapido
della testa, tornando al presente.
«Che
buon
profumo»
dice,
aspirando più aria possibile con il
naso e con la bocca.
«È il Viburnum tinus, quella serie
di piante laggiù.» Tommaso le
indica un gruppo di arbusti
ricoperti di ori bianchi. «Quando
oriscono, emanano un dolce
profumo agrumato.»
«Però…» Linda lo ssa con
un’espressione incuriosita, la stessa
che aveva poco prima in giardino,
quando lui sciorinava nomi di rose
come fossero marche di automobili.
«Certo che te ne intendi davvero di
botanica…»
«Sì, è una delle mie passioni. Me
l’ha trasmessa mia madre.»
Tommaso si perde per un momento
dietro un fantasma, poi torna a
guardarla con il solito piglio sicuro.
«Allora, passiamo alle cose
concrete. Voglio una proposta da
te, un piano di arredo. Se riesci a
convincermi, il lavoro è tuo.»
Linda rimane in silenzio. Poi dà
voce al pensiero che le frulla in
testa da ore. «Perché vuoi me?
Ludovico e Alice non andavano
bene?»
Tommaso si aspettava questa
domanda e ha già pronta una
risposta. Diplomatica, ovviamente.
«I tuoi colleghi sono molto
preparati, ma al loro lavoro manca
qualcosa
di
fondamentale:
l’originalità.» Si guarda intorno,
come se i suoi occhi cercassero un
altrove. «Io voglio rendere questo
posto unico. Restaurarlo non mi
basta, voglio farlo vivere. Per
questo cerco qualcuno che gli dia
personalità, che faccia scelte che io
non so nemmeno immaginare.
Qualcuno che non si limiti a
soddisfare le mie aspettative, ma
che le superi. Che mi sorprenda,
insomma» conclude, posando gli
occhi su di lei.
«Capisco.» Linda sostiene quello
sguardo e va no in fondo. «E sei
sicuro che io possa farlo.
Sorprenderti.»
«Non lo so, ora sta a te. Però ho
visto la tua casa, con quanto estro
l’hai arredata, lontana da tutte le
convenzioni che conosco
n
troppo, e che mi annoiano…»
spiega, come se si trattasse di una
semplice constatazione. Il suo tono
è ipercontrollato, come sempre, e
Linda fatica a cogliere il
complimento che – ne è certa – si
cela dietro le sue osservazioni.
«In e etti ci ho messo l’anima lì
dentro. È la mia tana» replica lei,
con una scintilla nella voce.
«È proprio questo il punto:
voglio che anche questa villa abbia
un’anima.»
Linda lo osserva nella luce
so usa della stanza: occhi di
ghiaccio, corpo di roccia. È un
colosso. Quest’uomo le rimescola
nella
pancia
sentimenti
contrastanti:
sensualità
e
agitazione, ammirazione e rabbia.
La imbarazza, e poche persone
riescono a farlo, e insieme avrebbe
voglia di scandalizzarlo con
qualche gesto folle, solo per il
gusto di provocare in lui una
reazione. Eppure, nemmeno lei sa
perché, di una cosa è sicura: questa
freddezza solida e questo controllo
spinto all’estremo lo circondano di
un fascino irresistibile.
«Ti darò un piccolo anticipo, per
ora. Se il tuo progetto mi piacerà,
sarai tu a dirigere i lavori.
Ovviamente con un compenso
adeguato.»
Linda fatica a trovare le parole
giuste per replicare; in e etti, non
si è ancora accennato ai soldi.
Dev’essere una cosa poco elegante,
per uno come lui.
Tommaso però le sta addosso:
«Ti avviso: i tempi sarebbero un
po’ stretti».
«Quanto stretti?»
«Due mesi» risponde, lapidario.
«Due mesi?!» Linda sgrana gli
occhi.
«Bisogna concludere i lavori per
la fine di agosto.»
«Ma così diventa tutto più
complicato…»
commenta
scuotendo la testa.
All’improvviso, sente quella voce
di donna. È lei. « Mon amour, ci
sei?»
«Ottimo, è arrivata anche la mia
compagna» dice Tommaso, a bassa
voce. Poi si sporge sul ballatoio e,
alzando il tono quanto basta per
farsi sentire, le risponde: «Nadine,
siamo qui. Sali».
Dopo pochi istanti Nadine
compare sulle scale, splendida e
senza un dettaglio fuori posto,
come la prima volta che Linda l’ha
intravista dalla parete a vetri dello
studio. È alta, magra, ha un
portamento elegante e sicuro, l’aria
da diva. Indossa un tailleur giacca-
pantalone di seta bianca, a tracolla
esibisce una Chanel Black&White
abbinata alle décolleté dello stesso
colore. Da vicino, incute quasi
soggezione per la sua immacolata
bellezza esotica: la carnagione
ambrata, gli occhi di un nocciola
brillante, il viso dai lineamenti
simmetrici, i capelli scuri, lisci e
lucenti, laccati in una piega a
prova di vento.
Stringe la mano a Linda e le
rivolge un sorriso formale. «Allora,
a che punto siete con le trattative?»
le domanda con quella voce
melodica che arrota le R e scivola
sulle C.
Di anco a quella donna, Linda
si sente piccola e fuori posto, cosa
che raramente le succede.
«Eravamo arrivati al capitolo
“compenso”» interviene Tommaso.
Nadine lo guarda come per
invitarlo a proseguire.
Lui si volta verso Linda.
«Facendo una stima grossolana,
credi che settantamila euro
potrebbero
bastare?»
chiede,
sicuro. «Tieni conto che dovrai
lavorare solo sugli arredi» si
a retta a precisare. «Di muratura,
montaggio, cablatura si occuperà
una squadra esterna con cui poi ti
accorderai al momento della messa
in opera.»
Linda resta senza parole. La cifra
è davvero molto al di sopra degli
standard di mercato. Potrebbe
accettarla e ritenersi più che
soddisfatta, ma non è da lei
arrendersi alla prima o erta. Resta
un secondo in silenzio, prende un
lungo
respiro
e
dice:
«Quest’incarico
è
molto
impegnativo e con una tempistica
estremamente serrata. Inoltre»
aggiunge per darsi un tono, «ho già
altri lavori e non posso certo
mollarli di punto in bianco…».
Tommaso e Nadine si scambiano
un’occhiata
consapevole
e
complice, senza però lasciar
trapelare alcuna reazione. Lui poi
si rivolge a Linda: «E dunque, che
cifra ti soddisferebbe?».
«Centomila.» L’ha detto. Sa che
sta chiedendo un compenso
esagerato e un po’ si sente in
colpa,
ma
potrebbe
essere
l’occasione della sua vita. Magari
chiudono a ottantamila… Dopo
tutto, le contrattazioni sono sempre
state il suo forte.
«E sia» conclude lui, lasciandola
di stucco.
A Linda inizia a mancare il ato.
Era pronta a combattere, aveva
appena tirato fuori gli artigli e
all’improvviso si trova disarmata.
Non c’è quasi gusto, così… anche se
quarantamila euro tutti per lei non
li ha mai nemmeno sognati. Sta
pensando anche che il lavoro da
fare è davvero tanto, e richiederà
pure il contributo di un light
designer, di più restauratori: il
povero Bosi dovrà farsi bene i suoi
calcoli, per questo progetto…
«Perfetto…» dice, tentando di
non sembrare incredula.
Nadine si volta verso Tommaso.
C’è il più sottile degli attriti quando
i loro sguardi s’incontrano.
Evidentemente non approva la
mossa di lui, ma non intende
esplicitare a parole il suo
disaccordo. Non voleva che
cedesse. E Tommaso, che si
aspettava proprio quella reazione,
sta pensando, invece, che anche il
minimo sussulto può rivelare tutto,
in una relazione di lunga data.
«Ma prima devi dimostrarmi che
li vali» precisa Tommaso. «Lo hai
detto
tu,
sono
un
gran
rompicoglioni.»
Linda ride in modo un po’
sfrontato, ricordandosi la sua
piccola impertinenza. È eccitata,
adesso, vuole a tutti i costi vincere
quella s da, lasciare quest’uomo a
bocca aperta e prendersi la sua
lauta ricompensa. È così impegnata
a fantasticare che quasi non si
accorge che Tommaso le sta
tendendo la mano.
«Allora siamo d’accordo» dice lui.
«Aspetto al più presto tue notizie.
Bosi ti potrà fornire tutti i dettagli
di planimetria e quello che ti serve
per il progetto.»
«D’accordo» ripete lei, quasi
inebetita, stringendo quella mano
ampia e calda.
Anche Nadine le stringe la mano;
ma la sua stretta è fragile e
frettolosa.
«Grazie» la saluta Tommaso.
«Grazie a voi.» Linda fa un
leggero inchino con la testa e si
avvia verso l’uscita, cercando di
non mettersi a saltare per la gioia.
Ha vinto la prima battaglia, ma la
guerra è ancora tutta da
combattere.
8
Sono quasi le otto di sera, ma fa
ancora molto caldo a Treviso. Un
sole rosso pallido si sta spegnendo
tra le nuvole. L’aria sa di estate e
mare, e una luce quasi euforica
abbraccia il paesaggio e le persone,
sui volti tracce di pensieri rilassati,
pensieri da vacanza.
Linda cammina a passi rapidi
sotto i portici della città, verso
Piazza dei Signori. La stanno
aspettando ai So oni per il solito
aperitivo del venerdì: agli ultimi
due ha dato forfait, il progetto per
la villa le sta rubando tutto il
tempo, anche quello libero. Ma non
le pesa. Quando ha deciso di
buttarsi in quest’impresa, sapeva
perfettamente che caricarsi sulle
spalle un lavoro simile sarebbe
stato un impegno ben diverso da
quello abituale allo studio. Ma
come poteva dire no a un’occasione
del genere? Del resto la dimensione
della s da è il suo habitat: ama il
rischio, l’idea che ogni cosa
dipenda dal suo talento.
Accelera un po’ l’andatura. Pensa
che i tronchetti in pelle
scamosciata le stringono i piedi, i
jeans skinny la fanno sudare, che
non è riuscita neanche a passare da
casa per ritoccarsi il trucco. Ma
questo è il meno: ha deciso che
forse non si truccherà neanche più
da quando Alessandro le ha detto
che la invecchia e che la preferisce
al naturale. E di lui si fida, sempre.
Supera un gruppetto di sedicenni
tutte tirate a lucido, con l’ombelico
in bella mostra tra i pantaloni a
vita bassa e le canottiere cortissime
e attillatissime. Non riesce a
sentirsi superiore o a guardarle con
occhio severo, le spunta subito un
sorriso involontario e si rivede a
quell’età, insicura e capace di stare
ovunque tranne che al mondo. Poi
ha
un’istantanea
del suo di
ombelico e di come Davide glielo
leccava quando hanno fatto sesso
nel bosco: come se farlo potesse
svelargli la parte più nascosta di
lei, quella sotto pelle. Doveva
piacergli parecchio, si ricorda
molto bene l’espressione persa che
aveva stampata sul viso dopo quel
giochetto erotico. A proposito: da
quando è arrivato Alessandro,
Davide non lo ha più sentito. Tutto
sommato è normale così.
Linda continua a camminare, e
guardarsi intorno per lei signi ca
perdersi in dettagli architettonici
che a chiunque passerebbero
inosservati:
i
disegni
dei
sanpietrini, gli incastri dei
marciapiedi, le maniglie dei
portoni, le sedie dei bar, le sagome
dei manichini nelle vetrine dei
negozi, le forme dei lampioni, il
colore delle grondaie. Non è
semplice
deformazione
professionale, ma qualcosa di più
profondo: un’attitudine a osservare
le cose da più punti di vista che ha
da sempre, da quando era
bambina. Svolta in un vicolo
laterale e, dopo averlo percorso
no
in
fondo,
sbuca
improvvisamente in Piazza dei
Signori, il palcoscenico del gossip
cittadino tra le quinte medievali
dei palazzi. C’è un viavai di
persone, volti noti e meno noti,
improvvisate passerelle di prêt-à-
porter in cui si esibiscono gli ultimi
acquisti gri ati, uno spettacolo
umano di forme, colori, voci e
odori che stordisce nella sua
teatralità sfacciata.
Sotto la Loggia si scontra con un
gruppetto di bambini che si
spintonano urlando, mentre un
plotone di madri vestite a festa li
richiama con versi da circo. Linda
li supera, rischiando di calpestarne
un paio, e nalmente raggiunge il
tavolo della compagnia.
In posizione strategica, gli occhi
puntati come laser sulla piazza, c’è
Carlo Bitto, avvocato e grandissimo
tombeur de femmes, uno che
potrebbe scrivere il dizionario
enciclopedico del lato B da quanti
sederi ha avuto modo di… toccare
con mano. Alla sua destra siede il
dottor Ra aele Zanon, giovane
chirurgo estetico, detto “il conte”
per i suoi eccessi di eleganza nel
modo di vestire. Accanto a lui c’è
Salvo Giu rida, “il siciliano”, uno
che non si è mai capito bene che
lavoro faccia ma si sa che
guadagna montagne di denaro e
frequenta gli ambienti dell’alta
nanza. Dall’altro lato del tavolo,
invece, tra due sedie vuote, spicca
Valentina Falcomer, la reginetta
del Nordest, fresca di messa in
piega, sfoggiando una noia da star
dei
rotocalchi:
conduce
un
programma di sport su Antenna
Tre, l’emittente locale più seguita
del Veneto, ed è nota per cambiare
fidanzato con cadenza settimanale.
«Ciao a tutti!» Linda fa un saluto
generale, sbaciucchiando una
faccia alla volta prima di sedersi.
«Guarda un po’ chi si vede, è
tornato il gliol prodigo! Ma che
ne avevi fatto?» strilla Valentina.
«E poi scusa, tesoro, ti sembra
l’ora?»
la
rimprovera,
picchiettando il quadrante del suo
orologio gioiello con il dito laccato
di smalto vinylux. «Siamo già al
secondo giro di spritz, noi.»
«Sai com’è» replica Linda,
indicando se stessa, «c’è anche
gente che lavora qui…»
Tra l’altro, sta pensando, prima
di uscire si è scordata di controllare
se quell’artigiano produce ancora
boiserie di radica a motivi
geometrici
che
starebbero
splendidamente su…
«Ma
sentitela!»
Ra aele
interrompe i pensieri di Linda, da
troppi giorni monopolizzati da
quella villa, addentando una
patatina dorata. «Ma se lavorerai
sì e no tre ore al giorno…»
«Ha parlato il doctor House!» fa
Carlo, di rimando. Distoglie per un
istante lo sguardo dalla piazza e
lancia un occhiolino di solidarietà a
Linda, che non può fare a meno di
scoppiare a ridere.
Ra aele ssa l’avvocato con un
lampo di s da negli occhi. «Se
permetti, sono stato a cucire tette
no a mezz’ora fa. Da stamattina
alle otto!»
«Beato te! E ti lamenti pure…»
Carlo alza gli occhi al cielo, lo
sguardo sognante. «Invece io mi
sono rotto i coglioni tutto il giorno
con separazioni e divorzi di gente
paranoiata a morte.»
«Ti assicuro che non è proprio
uno spettacolo» replica Ra aele,
sistemandosi la sciarpa di seta
bianca sul collo abbronzato. «Un
conto è in larci il naso in mezzo
quando sono belle sode, un altro è
aprirle e vedere quello che c’è
dentro.» Muove le mani come se
stesse avvitando bulloni.
Carlo ride.
«Quanto siete grezzi» commenta
Valentina, guardandoli di sbieco.
Sta tra cando con l’iPad, aperto
su una pagina della “Gazzetta dello
Sport” che sembra interessarle
particolarmente.
«Ti sei fatta il colore?» Linda le
accarezza una ciocca di capelli e
beve un sorso dello spritz al
Campari che Valentina ha ordinato
per lei. «Stai bene, sai?»
commenta, ma con troppo poca
convinzione.
«Lasciamo perdere» ribatte subito
Valentina, con una smor a di
inso erenza. «Fa schifo, questo
colore. Sono incazzata nera con
Aldo» e poi parte con il racconto
della tragedia, che Linda ascolta
senza battere ciglio, perfettamente
calata nella parte.
Gli aveva chiesto solo una
spuntatina, al suo parrucchiere di
fiducia, e un ritocco ai colpi di luce.
Poi si era rilassata un attimo
sfogliando una rivista di gossip, e
quando aveva rialzato gli occhi allo
specchio, ormai era troppo tardi: si
era ritrovata una testa tutta a
striature giallastre. E un’ora dopo
era dovuta persino andare in onda
conciata così davanti a migliaia di
persone! Un vero e proprio
dramma, che Valentina non vedeva
l’ora di condividere con qualcuno.
«Non so se sia perché si è mollato
con Fausto» continua Valentina,
scuotendo la testa, «ma di certo
non è più lo stesso Aldo di sempre.»
«Fausto?»
s’interessa
all’improvviso Linda.
«Sì, il pianista» risponde
Valentina.
Quel Fausto? Lo stesso Fausto
con cui da un po’ si vede suo zio
Giorgio? Sente l’oliva dello spritz
andarle di traverso e i muscoli
della faccia irrigidirsi, ma si sforza
per non darlo a vedere.
«Erano tre anni, ormai, che si
frequentavano»
continua
Valentina. «Lo sapevano tutti.»
«Ah» si limita a replicare Linda.
Incrocia le braccia per chiudere il
discorso e si gira verso Salvo. «Per
caso tu hai sentito Ale?» gli chiede.
«No»
risponde
lui.
«Conoscendolo, se arriva, sarà tra
un’ora almeno.»
«Già…» Linda fa un sospiro.
Arrivare in ritardo è una
caratteristica che li accomuna. Le
viene il dubbio che possa essersi
addirittura
dimenticato
dell’appuntamento: non sarebbe la
prima volta. Alessandro è così, lei
lo sa bene: si nisce per dubitare di
lui anche quando dice la cosa più
innocente, e non si può mai essere
davvero certi di dove si trovi,
anche se ha giurato e stragiurato di
essere dietro l’angolo.
«Ho visto il suo servizio da Hanoi
sull’ultimo inserto di “Traveller”»
dice Salvo, ammirato. Nonostante
abiti al Nord da quindici anni, il
suo accento siciliano è ancora
marcato. Ed è ovviamente motivo
d’orgoglio, per lui. «Belle foto,
quasi poetiche. Lontane da quei
ridicoli cliché da Instagram per cui
oggi tutte le immagini di un certo
tipo devono essere uguali, non
importa dove tu stia scattando e
quale sia il soggetto. Si vede
proprio che c’è un professionista
con le palle dietro ogni singolo
scatto.»
«Non so come faccia, ma lui sa
sempre vedere cose che altri non
vedono» osserva Linda. «Sembra
quasi che siano i suoi scatti a
reinventare la realtà, invece che il
contrario.»
All’improvviso,
arriva
un
cameriere con un vassoio ricolmo
di paninetti caldi alla porchetta, il
must degli spuntini trevigiani.
«Ragazzi, o re la casa!» dice. Non
fa in tempo ad appoggiare il
vassoio sul tavolo che un’orda di
mani fameliche ci si avventa sopra
con una foga cannibalesca.
A un certo punto, dalla sua
posizione strategica, interviene
Carlo simulando una voce da
megafono rotto: «Signore e signori,
attenzione! Avvistata nuova coppia
al centro della piazza».
Tutti si voltano verso il punto
indicato da Carlo.
«No, non ci posso credere!»
esclama
Valentina.
«L’avevo
sentito in giro, ma era solo una
voce…»
L’ex ministro Alfredo Baresotti,
ignaro
dei
commenti,
sta
passeggiando insieme a Cecilia
Bellomo, diciannove anni, da poco
“Miss Veneto”. Le cinge la vita, la
mano gli cade un po’ sotto, sui
anchi, poi dietro, sul sedere,
dentro una tasca dei jeans.
«Saranno a aracci loro, no?»
sbu a Linda. Riesce a reggere il
pettegolezzo di quartiere per dieci
secondi massimo, poi inizia a dare
segni d’insofferenza.
«Eh no, cara. Sono anche cavoli
miei!» grida Valentina, sentendosi
subito chiamata in causa. «Quella
troietta
voleva
rubarmi
il
programma! Non la sopporto, ti
giuro!» La voce le diventa
fastidiosamente stridula. «Per poco
non ci menavamo…» Prende ato,
stira le labbra in un sorrisetto
maligno. «Fortuna che il direttore
di rete ha capito subito che era una
sciacquetta senza qualità. E infatti
adesso glielo succhia a quel mostro
di Alfredo Baresotti. Ma non lo sa
che quello non conta più niente? E
poi, l’hai visto?! È proprio
inguardabile…»
Un attimo dopo, nella piazza
passano Ludovico e Alice, con la
valigetta da lavoro a tracolla. Quei
due, pensa Linda stizzita, provano
un piacere quasi sessuale a fare gli
straordinari; arrivano prestissimo e
si trattengono molto oltre Bosi,
magari dopo aver fatto anche una
decina di supervisioni in esterna.
Linda li saluta sbracciandosi,
ormai l’hanno vista e non può far
nta di nulla. «Bevete qualcosa?» È
un invito che in altre condizioni
non le sarebbe uscito, ma è entrata
nel clima festaiolo che si respira al
tavolo.
È Alice a rispondere per prima:
«In realtà dovremmo passare dal
professor Borsato per la cucina del
suo super attico».
Linda sgrana gli occhi. «A
quest’ora?»
« S ì , a quest’ora» replica secco
Ludovico.
«Sai, se Borsato ti dice un orario,
è quello» continua Alice. «Non
cambia idea come altri nostri
clienti…» conclude sarcastica. Il
colpo di testa del multimilionario
Tommaso Belli non è stato preso
bene. Alice si è fatta il sangue
amaro e ha subito pensato a trame
segrete, cospirazioni contro di lei e
abusi di potere, ma soprattutto a
sporchi giochi di seduzione con
Linda come sordida protagonista.
«Vabbè, se dovete andare, non
insisto» dice Linda, con un sorriso
falso e conciliante. Il retropensiero
di Alice è chiaro, ora. Ma non la
riguarda. Che creda quel che vuole,
chissenefrega! Lei la coscienza ce
l’ha cristallina.
«Allora, ciao» la saluta Alice, con
un tono così freddo e distante da
far ghiacciare l’aria.
Ludovico le fa eco, senza
nemmeno guardare Linda in faccia.
Poi, con un eccesso falsissimo di
cortesia, aggiunge: «A lunedì». E
non si capisce se sia più rabbioso o
deluso.
I due si allontanano, parlottando
tra loro. Poi Alice si volta un
istante e lancia a Linda
un’occhiataccia che elimina gli
ultimi dubbi – se ancora ce n’erano
– su cosa pensi di lei.
«Che brutti musi i tuoi colleghi…
hanno proprio delle facce noiose»
commenta Valentina, con in mano
il terzo spritz.
«Ma no, poveracci, sono solo
drogati di lavoro» risponde Linda,
smorzando i toni. Non è una che
ama perdere tempo a parlare male
degli altri, e poi non ha proprio
voglia di aprire il capitolo
Tommaso Belli: con Valentina la
notizia diventerebbe in un attimo
di dominio pubblico, colorata da
chissà quali sfumature.
Ha appena tirato fuori l’iPhone
dalla
borsa,
quando
sente
un’improvvisa colata di liquido
gelido
scenderle
lungo
un
polpaccio.
Si gira di scatto e a poco più di
mezzo metro da terra incontra due
occhietti furbi che la guardano con
innocenza e poi, poco più sotto,
una manina pa uta che impugna
un cono spiaccicato, esibito come
un trofeo.
È Sara, la glia di Marcella
Facchini, una vecchia amica di
Linda. Insieme hanno fatto le
elementari, poi le medie, sempre
come compagne di banco. Poi
Linda ha scelto il liceo classico e
Marcella il linguistico, e così le loro
strade hanno iniziato un po’ alla
volta a dividersi, ma la loro
amicizia è sempre rimasta solida,
sopravvivendo al tempo e alle
diversità sempre più evidenti delle
loro vite.
«’Cusa» dice Sara, la voce
a ranta e gli occhi neri liquidi che
intenerirebbero un boia sul
patibolo. Ha solo tre anni e sa già
ngere con impeccabile abilità
attoriale.
Linda abbassa lo sguardo sui suoi
jeggings: un’enorme macchia rosa
le imbratta il polpaccio destro, e ha
l’inconfondibile
consistenza
appiccicosa del gelato alla fragola.
Si sforza di dissimulare l’irritazione
che in un attimo le è montata
dentro, ma non ci riesce benissimo.
Uno a zero per Sara.
Poi osserva la bambina, quel suo
viso tondo e simpatico. «Non fa
niente» dice. Sorride, la contrattura
rabbiosa che stava per deformarle i
lineamenti si scioglie lasciando il
posto a un’espressione dolce. Si
abbassa e prende la piccola per le
guance. «Vieni qua, piccola peste, e
dammi un bacino!»
Sara, che ha un brillìo
improvviso negli occhi, esegue con
slancio, e di bacini gliene stampa
tre di fila.
«Bravo mostricino» dice Linda,
pizzicandole di nuovo una guancia,
«la tua mamma dov’è?»
Non fa in tempo a nire la frase
che alle spalle della piccola spunta
la sua gura sinuosa strizzata in un
abito al ginocchio di seta azzurrina,
i capelli raccolti in un’elegante
coda. «Saraaa! Cos’hai combinato?»
strilla Marcella, desolata. «Chiedi
subito scusa!»
Linda sta per dirle che lo ha già
fatto, ma ormai Marcella è partita.
«Quando arriviamo a casa, fai i
conti con papà!» Ha un tono
leggermente minaccioso, ma si
capisce da come guarda sua glia
che in realtà è la mamma più
buona del mondo e sta solo
cercando di fare la dura. Fa nta di
dare a Sara una pacca sul culetto,
mentre con l’altra mano culla nel
passeggino la sua seconda belva
travestita da angelo, Francesco,
l’ultimo arrivato, e insieme accosta
il viso a quello di Linda per
baciarla.
«Tesoro, scusami.» Marcella
scuote la testa e abbassa gli occhi
sulle due creature. «A volte sono
insopportabili!» Ondeggia un po’
sui sandali in tessuto blu con zeppa
di corda e poi le sussurra,
all’orecchio: «E io vorrei tanto
scappare da sola su un’isola
deserta…».
Linda alza le spalle e le fa un
sorriso solidale. La capisce eccome:
lei non saprebbe come fare a
gestirne uno, figuriamoci due.
«Come stai?» le chiede Marcella.
«Bene, direi proprio di sì»
risponde convinta. Si allontana di
un passo dal tavolo della
compagnia. «E tu?»
«Solito.» Sorride, ma è un sorriso
smorzato, il suo. «Dovevo prendere
a Umberto il dopobarba all’acqua
di mirto, ce l’hanno solo da
Glamour. E allora ne ho
appro ttato per fare due passi, ma
con questi due qui» guarda i gli
amorevole e insieme esaurita «è
praticamente un’impresa anche
solo uscire di casa!» Lo dice con
enfasi, scuotendo la testa e facendo
dondolare
furiosamente
gli
orecchini a goccia di perla che
indossa.
L’Umberto
che
usa
quel
so sticato dopobarba è il marito e
fa il dentista, professione che ha
ereditato dal padre, lo stimatissimo
dottor Alfredo Zonta. A uno
sguardo super ciale, Marcella
sembrerebbe il tipo di donna agli
antipodi rispetto a Linda: regina
del focolare, madre premurosa,
moglie perfetta – in simbiosi con il
suo adorato marito – manager
organizzatissima di una casa che
dirige
con
rigore
svizzero,
impegnata in parrocchia e, se
questo non bastasse, sempre
impeccabile nella mise, messa in
piega scolpita e trucco senza una
sbavatura. Ma sotto questa spessa
patina di signora perbene, ha
sempre battuto un cuore un po’
spavaldo, un carattere coriaceo
che, con la maternità, ha dovuto
smussare parecchi spigoli.
«Allora, sei danzata?» È la
seconda domanda che Marcella le
fa sempre dopo il “come stai”,
davvero solo un intercalare.
«Per niente.» Linda fa no con la
testa, tutta soddisfatta. E Marcella,
come sempre, mette su quella
faccia di compatimento (ma forse
anche di invidia latente), come se
essere libera fosse una temibile
malattia contagiosa. È il loro saluto
di rito.
C’è da dire che Linda non si è
mai sentita veramente tagliata per
la vita di famiglia: se n’è andata di
casa subito dopo il liceo, senza
strappi né particolare nostalgia dei
genitori. E nemmeno il matrimonio
è mai rientrato tra le sue priorità.
Uno dei pochi ragazzi con cui ha
avuto una relazione stabile, Dario –
all’epoca direttore di una liale di
Veneto Banca – le aveva fatto la
proposta, con tanto di Chopard in
oro bianco. Stavano insieme da un
paio d’anni, quasi un record per
lei, e lui era praticamente l’uomo
ideale:
intelligente,
brillante,
sensibile,
a ascinante
e,
soprattutto, innamorato. Sarebbe
stato la gioia dei suoi e anche della
sorella Alberta. Non la sua, però, e
non aveva avuto dubbi quel giorno.
Così, al fatidico «Vuoi sposarmi?»,
Linda lo aveva lasciato in grande
stile, restituendogli l’anello e due
anni di illusioni, consapevole della
riprovazione di tutti e di non avere
forti argomentazioni dalla propria
parte. La sera stessa, dopo essersi
tolta di dosso quello che ormai le
sembrava sempre più un cappio al
collo, si era sentita nalmente
libera: in pace con se stessa e
assolta dalla grande bugia di un
sentimento ormai svanito.
Negli anni successivi, quando
tutte le sue amiche avevano
iniziato a sposarsi e a sfornare
bambini, Linda si era chiesta molto
spesso se le scelte che una persona
fa nella vita siano davvero libere, o
piuttosto dettate da concatenazioni
di eventi a senso unico. Marcella e
Umberto, per esempio, sembrano
felici nella loro solida unione
coniugale. E lei non sa se invidiarli
o no. Quello che sa per certo è che
non si sente ancora pronta per un
passo del genere. O forse,
semplicemente, non ha trovato la
persona giusta con cui farlo.
«Arriverà anche per te quello che
ti mette il guinzaglio, tesoro… stai
pronta, e spera di avere l’intimo
combinato, quel giorno» continua
Marcella, e le strizza l’occhio.
«Chissà…» dice Linda, poco
interessata. Si mordicchia la
pellicina intorno a un gra o che si
è fatta sulla mano. Poi si guarda
intorno, oltre il perimetro del
tavolo, come fiutando l’aria.
«Aspetti qualcuno?» le chiede
Marcella, muovendo su e giù il
passeggino per tenere buono
Francesco mentre Sara sta
tentando di farle a brandelli la
sottoveste del vestito in seta.
«Sì, sto aspettando Alessandro»
risponde Linda.
«Ma dài… è tornato?»
«Sì.»
Marcella sorride, ammiccante.
«Quindi siete sempre amici voi
due?»
«Sì, proprio così. Siamo sempre
amici» conferma Linda, che non ha
intenzione
di
cogliere
la
provocazione.
«Certo. E quindi non state ins…»
Marcella vorrebbe approfondire,
ma Sara la tira con insistenza per il
anco. «Mammaaa, ancoa gelato!»
strilla, piagnucolosa.
«Sara, amore, non vedi che sto
parlando con zia Linda?!» cerca di
zittirla Marcella, ma senza risultati.
La piccola continua a frignare.
Per fortuna, a sottrarre Linda
dall’impaccio arriva Alessandro, un
Robinson Crusoe in camicia
spiegazzata e pantaloni strappati
naufragato per sbaglio in una
piazza del Nordest. A tracolla ha
una delle sue Re ex, forse più per
abitudine che per vezzo. Lancia
un’occhiata calorosa a Linda e,
spendendosi in saluti e pacche sulle
spalle, si unisce alla comitiva.
Un po’ perché ha la netta
sensazione di essere di troppo e un
po’ perché colta da un improvviso
attacco di responsabilità coniugale,
Marcella si congeda da Linda con
due baci. «Adesso devo scappare,
tesoro. Umberto sarà già a casa e a
quest’ora avrà chiamato la
polizia… Devo preparare la cena.»
«Non farti segregare di nuovo,
Marce, mi raccomando… Mi ha
fatto tanto piacere vederti.» Linda
la stringe in un abbraccio. «E
vedere anche loro.» Dà un bu etto
sulla spalla a Sara.
«Già, dovremmo davvero trovarci
più spesso. Lo diciamo sempre, ma
poi…» È evidente: mollerebbe le
due angeliche creature al primo
passante disponibile pur di
fermarsi a quel tavolo a ubriacarsi
– cosa che non le capita dai tempi
del liceo – o se non altro a bere
no a ricordarsi di nuovo cosa
signi chi essere brilli senza
pensieri.
Dopo che Marcella se n’è andata,
Linda torna a immergersi nel clima
euforico
della
compagnia.
Alessandro sta raccontando del suo
ultimo reportage in Vietnam: tutti
lo ascoltano in silenzio, solo
Valentina resta concentrata sul suo
iPad, immersa tra le pagine di tutte
le testate sportive che conosce.
«Stai preparando la puntata di
domani?» chiede Linda, che non
l’ha mai vista così ansiosa.
«Sì. Sono letteralmente nella
merda» risponde Valentina, le
pupille dilatate. «In studio abbiamo
un ospite importante, l’allenatore
del Vicenza, bisogna fargli la
scheda di presentazione. In più c’è
da fare lo speciale sul Giro d’Italia,
e Zanolin, quel de ciente del mio
direttore, dato che manca la
stagista,
mi
ha
detto
di
arrangiarmi. Pensa tu» spiega
senza neanche prendersi un
secondo per ri atare. «Proprio io,
guarda, che di ciclismo non ne so
niente. Che poi, fossero almeno
interessanti, ’sti ciclisti. Niente,
sono uno più brutto dell’altro. Che
palle!» Sbu a, si passa una mano
tra i capelli, nervosa. «Comunque
io gliel’ho detto a Zanolin che non
si può continuare così. O mi
procura un’assistente seria, o io me
ne vado.»
«E dove te ne andresti, per
curiosità?» A Linda viene un po’ da
ridere.
«A Milano» risponde Valentina,
con una prontezza eccessiva.
«Perché io» si punta l’indice al
petto, «potevo avercelo il posto in
Mediaset!» Fa un sospiro. «Sono
stata proprio una cretina a mollare
Luca.»
«No, cara, se permetti, hai fatto
una delle cose più sensate della tua
vita» replica Linda. «Quel tipo era
un laido.»
Valentina nge di non aver
sentito. Guarda il cielo, come
assorta in un ricordo. «All’epoca si
arrabattava
ancora
tra
un
programma e l’altro, era solo un
quadro… ma adesso, accidenti, è
diventato direttore di rete!» Torna
a ssare Linda. «Potevo esserci io
al posto della cubana idiota che
non sa spiccicare una parola
d’italiano.»
«Appunto» ribatte Linda. «La
Perez non è stata messa lì per
parlare.»
«Be’, all’occorrenza so anche
stare zitta, sai?»
«Dubito…» Linda scuote la testa.
«Ma non è questo il punto.»
«E quale sarebbe?»
«Lo sai anche tu» dice, cercando
di riportarla alla realtà. «Il punto è
che quella, oltre a essere di una
bellezza da togliere il ato, è stata
scelta per due precise ragioni
anatomiche…»
«E allora? Non mi pare di essere
messa così male.» Valentina
abbassa lo sguardo sul suo seno,
strizzato in un top di almeno una
taglia più piccola del dovuto.
A farle crollare del tutto le
quotazioni del momento ci pensa
Ra aele, che s’intromette nella
conversazione con più strafottenza
del solito. «Vale, devi venire da me
un giorno. Te lo faccio vedere io
come sono fatte, le tette della
Perez: ho 250 prototipi in
ambulatorio. Vedrai che qualcosa
riusciamo a fare…»
«Che orrore!» Valentina fa una
smor a. «Non mi farei toccare da
te neanche da morta.»
«Ragazzi, vi prego, parliamo di
cose serie» interviene Carlo, che ha
appena concluso un estenuante
scambio di battute su WhatsApp
con una delle sue tipe. «Stasera c’è
un festone a Jesolo. Andiamo a
mangiare il pesce e poi si fa
nottata al Vanilla Club?»
«Io ci starei anche, ci
scapperebbe un salutino a Spiller,
ma non ce la faccio» dice
Valentina,
con
studiata
noncuranza.
«Ma chi? Il deejay?» chiede
Linda, maliziosa. «Mmm, carino
lui…»
«Già…» Valentina risponde con
una strizzata d’occhio.
«Io invece avrei altri programmi»
dice
Alessandro,
piazzandosi
accanto a Linda e sferrandole un
pizzicotto sul anco senza farsi
vedere. Lei si gira di scatto e lo
ssa, prima infastidita, un secondo
dopo complice.
«Sì, vabbè, voi due dovete
andare a imboscarvi» se ne esce
Salvo, con una risata fuori luogo.
Gli sguardi di tutti per un istante lo
fulminano ma subito dopo tornano
a convergere su Carlo, che sta
raccontando
una
storia
improbabile sulla ragazza che lo
stressa al telefono. Solo Linda lo
ssa ancora, e sta per replicare
qualcosa quando Valentina, di
punto in bianco, alza i tacchi e fa
per andarsene.
«Bene. Scappo a preparare ’ste
cazzo di schede per la diretta di
domani. Alla prossima, ragazzi.»
Dal modo in cui lo dice è sottinteso
che ha altri programmi per la
serata, forse il cestista americano
con cui è uscita la settimana prima.
«E quindi? Voi due che fate?»
domanda Carlo ad Alessandro e
Linda.
I due si guardano e Linda, un po’
spaesata, gli chiede: «Noi due che
facciamo?».
Lui coglie al volo l’occhiata di lei
e si a retta a rispondere:
«Facciamo che tu mi dài un
passaggio a casa. Domattina mi
devo svegliare alle quattro, c’è la
luce migliore. Devo fotografare una
modella sul greto del Piave».
«Però» dice Linda, con una
neanche troppo sottile venatura di
gelosia.
«Grande, Ale!» lo incita Carlo,
alzandosi. «E la tipa com’è?»
«Valida.» Alessandro si accarezza
il mento, evasivo. «È molto valida,
ma non è roba per te.»
«Allora, forza, muoviamoci da
qui.» Ra aele tira Carlo per un
braccio. Anche Salvo è in piedi,
adesso. «A Jesolo si va con la mia,
ho appena fatto il pieno al
Cayenne.»
«Il solito sborone» commenta
Linda e bacia Ra aele sulla
guancia. «Ragazzi, divertitevi!»
«Anche voi!» fanno eco i tre, e se
ne vanno ridacchiando.
Quando arrivano alla spider,
parcheggiata in divieto di sosta in
un vicolo dietro la piazza,
Alessandro è smanioso di tenere
quel volante tra le mani: ama la
macchina di Linda, ed è davvero
troppo tempo che non la guida.
«Dammi le chiavi, dài.» Fa segno
a Linda di passargliele. «Guido io.»
«Cosa?» si scandalizza lei. «Non
se ne parla nemmeno. Non hai più
la mano.»
«Avanti, non fare storie» la
incalza lui. «Non ti fidi più?»
«Senti, con la tua Mini ci fai
quello che vuoi, ma il mio
gioiellino è un’altra cosa… e poi
con tutto il tempo che passi
all’estero senza guidare, secondo
me non sei più capace…»
Alessandro la inchioda con uno
sguardo che non ammette risposte
negative, non sa se ha voglia di
ridere. È un tipo un po’ sanguigno,
e quando lei fa la stronza, ci mette
poco a uscire di testa.
«E va bene. Non squadrarmi così
però!»
«Vado piano, ok?» si addolcisce
lui a quel punto.
«Tieni.» Linda gli lancia le
chiavi. «Secondo me non ti ricordi
neanche come si fa a mettere in
moto» dice con un sorrisetto
sarcastico.
Alessandro si mette al volante,
piede sinistro sulla frizione. Mette
in prima, gira la chiave con forza,
ma l’auto non parte. E già sente
una rabbia fastidiosa montargli
nello stomaco.
«Da’ un colpetto all’acceleratore»
lo istruisce Linda. «Non è come le
altre, la mia!» Sembra irritata.
«Bionda, stai calmina, eh…» Lui
non ha mai imparato a prendere
ordini da altri.
«Sennò cosa mi fai?» lo provoca.
«Questo ti faccio.» Alessandro le
punzecchia un anco con le dita,
sapendo bene quanto le dia fastidio
il solletico, e senza accorgersene
urta con il gomito contro lo
sportellino del cruscotto, che si
apre a metà lasciando fuoriuscire il
sacchetto con l’erba.
Alessandro
lo
guarda
compiaciuto. «Da dove diavolo
arriva quella roba?» Poi accende
finalmente il motore.
«Me l’ha lasciata lì Max, quando
ho portato la spider in officina.»
«Grandissimo Max. È sempre il
migliore.»
«Concordo.»
«Hai voglia?»
«Secondo te?»
«Allora andiamo a fumarcela alle
grotte.» Preme sull’acceleratore e
sgomma verso la statale.
Dopo un tratto di autostrada e
diversi chilometri di campi e
colline, arrivano a Fregona. La
spider attraversa il centro, deserto,
e s’inerpica su per una stradina
tortuosa, che sembra condurre alla
ne del mondo. Superato un ponte
in
muratura,
Alessandro
parcheggia in uno slargo sterrato a
lato della carreggiata. Spegne il
motore e si stiracchia il collo e la
schiena. Poi prende l’erba dal
cruscotto e con una certa destrezza
si mette a rollare la canna.
Linda scende dall’auto, inspira
l’aria tiepida della notte, guarda in
alto, il cielo ormai di un buio pesto
punteggiato di stelle che sembrano
moltiplicarsi davanti ai suoi occhi,
e subito dopo guarda in basso,
l’acqua del torrente che scorre
vorticosa nella forra producendo
borbottii profondi, quasi mistici.
«È sempre così speciale, qui» dice
a mezza voce. «E poi è incredibile,
un posto così, un Grand Canyon in
miniatura, proprio tra queste
colline.»
Alessandro arriva alle sue spalle,
la prende per una mano. «Forza,
scendiamo alle grotte.»
«Ok. Solo fino alla prima, però.»
«Cos’è? Hai paura di fare la
passerella sospesa di notte?»
«Certo che no» risponde lei,
piccata. Ma sta già pensando che
con le scarpe che indossa non sarà
di certo la cosa più semplice del
mondo.
Scendono per un largo sentiero
illuminato ai lati da potenti fasci di
luce blu, no a percorrere un tratto
appena sopra al torrente. Il rumore
dell’acqua s’incontra con quello
della terra, copre il so o del
vento, che porta con sé l’odore di
argilla e di muschio, di vapori e di
piante selvatiche. La luce della
luna scontorna i rami dei salici,
attraversa i ciuffi del canneto.
Camminano anco a anco.
Alessandro
sembra
rilassato,
tenerla per mano gli provoca una
specie di vibrazione, lo aiuta a
muoversi più leggero. Anche per
Linda è così, si sente attraversata
da una sorta di calore quasi
elettrico, come capita sempre
quando stanno troppo vicini.
All’improvviso, davanti a loro si
staglia un ampio portale in roccia
viva, l’accesso alla prima grotta, in
cui una serie di massi inclinati
sostengono strati su strati di pietra
millenaria. Alessandro e Linda si
spingono fino al parapetto in legno
sopra il torrente: da lì si scorge la
seconda grotta, dove le acque
precipitano in numerose cascate
alte parecchi metri, con alla base
grandi marmitte. Alessandro si
china a raccogliere un sasso piatto,
lo tira in acqua: rimbalza una
decina di volte giù per la corrente.
Lo faceva da ragazzino, e non ha
perso l’abitudine.
Poi indietreggiano no all’arco
di roccia ed entrano nella prima
cavità. Ed è come trovarsi al centro
della terra. I rumori esterni sono
tutti annullati e lo spazio sembra
vuoto e in nitamente pieno
insieme. Alcune gocce d’acqua
cadono dal so tto di roccia,
producendo una musica metallica,
mentre una flebile luce rossa si alza
dal suolo e proietta la sua ombra
sulle stalagmiti dalle forme più
varie.
«Mettiamoci
qui»
dice
Alessandro.
Linda fa sì con la testa, e si siede
con lui sul letto di roccia che si
eleva tra due colonne di arenaria.
I l loro letto: è qui che lei ha fatto
per la prima volta l’amore. Con lui.
Ed è qui che si sono incontrati per
la prima volta. A pensarci bene,
tutto è cominciato in questo posto.
Nessuno dei due lo sapeva, ma
entrambi avevano eletto proprio le
grotte a loro rifugio segreto: Linda
per
scappare
dai
genitori,
apprensivi e parecchio invadenti
negli anni dell’adolescenza più
strafottente, e Alessandro per
andare a scattare, a inventarsi le
prime inquadrature, quelle che
hanno fatto di lui il fotografo
curioso e perfezionista che è
diventato. Quel luogo nascosto e
mozza ato, immerso in una luce
surreale ma anche custode di
oscurità quasi spaventose, era
magico. E magico è rimasto anche
ora, pensa Linda.
Le viene da sorridere ripensando
a quel giorno, al loro primo
“scontro”. Perché di quello si era
trattato, a tutti gli e etti. Sdraiata
su un telo nella penombra della
prima grotta, tutta intenta a
sfogliare una rivista di design che
le aveva prestato lo zio Giorgio,
era stata praticamente calpestata
da Alessandro, che era entrato
nella
caverna
camminando
all’indietro, l’occhio nell’obiettivo
della sua prima Re ex. Lei,
sovrappensiero, aveva gridato
terrorizzata, poi aveva alzato lo
sguardo e aveva incrociato quello
di lui. Senza dire una parola si
erano subito scambiati un sorriso e
avevano cominciato a parlare.
Lei lo conosceva di vista, quel
ragazzo dal viso a lato e dai ricci
scapigliati: a scuola frequentavano
compagnie diverse, lui aveva fama
di ribelle (i genitori separati gli
concedevano una libertà che ai
coetanei era sconosciuta) e si
diceva addirittura che la polizia
l’avesse beccato una volta a rubare.
Quel giorno Linda aveva scoperto
qual era stato l’oggetto del furto –
una
macchina
fotogra ca,
ovviamente – e aveva deciso che
sarebbero diventati amici.
Lei aveva quindici anni. Lui
diciotto. E da quel momento, così
era stato. Un legame fortissimo che
l’anno dopo li aveva uniti con una
forza che nessuno dei due avrebbe
mai immaginato.
Da qualche settimana Linda
stava con un ventenne, Roberto,
ma si erano limitati a scambiarsi
qualche bacio infuocato e alcune
carezze che le sembravano spinte
ai limiti del proibito. Sapeva che di
lì a poco sarebbero andati oltre, ma
voleva arrivare pronta alla sua
prima volta. Così aveva chiesto
aiuto ad Alessandro, e lui l’aveva
portata in questo luogo incantato
per farle scoprire cosa c’era in
quell’ oltre che le faceva tanta
paura.
Alessandro aveva pensato a
tutto,
persino
alla
musica,
recuperando da un amico uno di
quegli stereo che si usavano in
spiaggia. Ci aveva messo la
cassetta dei Guns N’ Roses con
Don’t Cry: la caverna avrebbe fatto
da ampli catore naturale. E poi
aveva riempito lo zaino di candele,
che aveva acceso nella grotta a
formare un cerchio di luce intorno
al letto di pietra. C’erano gli stessi
rumori, odori, colori di adesso. Era
estate, una di quelle sere calde
dove tutto sembra possibile, e
Linda era terrorizzata: riusciva a
sentire solo quel brivido eccitante
di paura tra stomaco e cuore.
Eppure lo voleva. Il desiderio era
lì, forte e disobbediente, e lei era
pronta a far esplodere quel corpo
di donna sbocciato da un giorno
all’altro.
«Se sto per fare qualcosa che non
vuoi, dimmelo ora» le aveva
sussurrato Alessandro, facendola
sedere sulle sue ginocchia.
Lei aveva annuito, poi piano
piano si era lasciata andare,
abbandonandosi a lui.
Alessandro,
baciandole
la
schiena, si era sbottonato i jeans e
con gesto deciso le aveva s lato la
canottiera blu. Si erano ritrovati
seminudi, lei accartocciata come
una foglia su di lui, seduta sulle sue
gambe muscolose. Non le aveva
tolto gli slip. L’aveva inumidita
piano, spingendo delicatamente
con un dito, con in nita dolcezza.
Muoveva la mano come se avesse
paura di rompere un ore di
cristallo.
Lei
non
poteva
immaginare no a che punto si
sarebbe spinto; a un tratto aveva
sentito un pizzico, qualcosa
a ondare. Era solo un dito, non
pensava potesse bastare a spezzare
il con ne tra ciò che era e ciò che
non sarebbe più stata.
Poi Alessandro le aveva s lato
gli slip, l’aveva fatta sdraiare a
terra, sopra una coperta, e l’aveva
penetrata piano, scivolando dentro
di lei già umida di piacere. Le
gocce cadevano sulla voce di Axl
Rose, mescolandosi al rumore della
corrente. Poesia, ovunque. Si
sarebbe potuta dire qualunque
cosa, di quel loro momento, ma
non che non ci fosse stato amore.
Era troppo presto però perché
entrambi, ognuno impegnato nelle
piccole grandi battaglie di quegli
anni, potessero ammetterlo a loro
stessi. Si erano donati piacere,
fregandosene dei divieti e delle
regole, di dove sarebbero andati a
nire, ed era stato incredibile.
Quella notte li aveva legati
de nitivamente.
Nella
trasgressione ma anche nella
tenerezza di due cuori che da allora
in avanti si sarebbero sempre
cercati.
«A te l’onore del primo tiro.»
Alessandro la riporta alla realtà,
in landole la canna tra le labbra
socchiuse.
Linda ha un’espressione stranita,
il ritorno al presente è stato un po’
brutale.
«A cosa stavi pensando?» le
chiede Alessandro, che si è accorto
del
suo
cambiamento
di
espressione.
Linda cerca una frase da dire ma
non le viene: ha troppe sensazioni
dentro, non le sa decifrare. «A
niente» risponde alla fine.
Alessandro accende, Linda aspira
una prima boccata, poi gli passa la
canna. Lo guarda e pensa che è
bello stare insieme, in questa notte
di velluto, che promette tante cose.
È bello, anche quando stanno in
silenzio. Perché con lui si sente a
casa.
9
Gola
Sta camminando avanti e
indietro sotto il portico della villa,
a lato dell’ingresso principale. È un
mattino perfetto: il cielo limpido,
l’aria asciutta, calda e trasparente,
una lieve brezza che spettina le
chiome delle betulle e dei faggi
rossi nel parco. I vestiti che indossa
s’intonano alla bellezza assoluta di
quello scenario: camicia bianca
aperta al secondo bottone con le
maniche rimboccate in tre piccoli
risvolti
regolari
a
metà
avambraccio, pantaloni di lino
écru,
mocassini
in
pelle
scamosciata. Ha un modo elegante
di bilanciarsi sulle gambe, di girare
sui talloni quando arriva al muro
perimetrale per poi tornare
indietro. I suoi movimenti sono il
ri esso
visibile
della
sua
personalità: perché Tommaso è un
uomo di classe, padrone del suo
mondo, forte di un autocontrollo
quasi magnetico che suscita in
chiunque
ducia,
calma
e
approvazione.
Però, da quando è rientrato in
Italia e il suo incarico al consolato
di Abu Dhabi è stato a dato a
Fabrizio Stucchi – uno che a parer
suo non ci ha mai capito molto di
diritto internazionale – Tommaso
Belli non è calmo proprio per
nulla. Il suo profondo senso di
responsabilità non gli dà tregua. Il
fatto è che ogni successione di
mandato
si
presenta
sistematicamente
come
un
problema. Tommaso era già in
Veneto quando Stucchi si è
insediato, quindi in teoria dovrebbe
essere fuori dal pasticcio che il
nuovo agente diplomatico ha
combinato
al
momento
dell’insediamento. Peccato che non
riesca comunque a mettersi il cuore
in pace, perché Stucchi l’ha fatta
davvero grossa: un terribile
misunderstanding con l’ad della
National Bank of Abu Dhabi. È
abbastanza certo che entro qualche
giorno sarà tutto sistemato, ma non
riesce ad allontanare il pensiero
che questo episodio spiacevole
possa avere ripercussioni sulla sua
immacolata carriera, considerando
la gura meschina che il Ministero
sta facendo a livello mediatico.
La testa carica di pensieri cupi,
Tommaso ha bisogno di sentire
qualcosa di familiare. D’istinto si
porta il polso sotto il naso e inspira
l’eau de parfum Jubilation XXV di
Amouage che si è spruzzato questa
mattina dopo la doccia: cannella e
davana indiana, un aroma intenso
e inconfondibile. Il suo preferito.
Poi osserva il giardino. È
soddisfatto del lavoro, è stata
un’idea
geniale
aggiungere
all’aiuola centrale delle rose Fairy
Queen e altre della varietà
Polianta, la più amata da sua
madre.
Vedere i boccioli di quel ore gli
provoca un piccolo smottamento
interiore, e non può fare a meno di
pensare a lei, Erminia, una donna
minuta, dal carattere forte ed
energico ma insieme così fragile,
delicato: proprio come quella rosa,
che è sempre stata la sua passione.
Senza Erminia lui non sarebbe mai
diventato l’uomo che è; senza il suo
modello di tenacia e sacri cio – e
con suo padre così centrato sul
lavoro e maldestro nella gestione
delle
in nite
amanti
che
periodicamente venivano a turbare
il loro equilibrio familiare –
Tommaso sarebbe stato uno
sbandato.
Quando un refolo di vento gli
porta il profumo della Polianta, il
ricordo improvviso di Erminia che
si prendeva cura dei ori nella
serra della villa di famiglia
attraversa la sua mente. Con le sue
mani piccole e nervose sapeva fare
miracoli, ed erano quelli i soli
momenti in cui lui si ricorda di
averla vista serena: per il resto, il
tempo della madre, glia di nobili
veneti
decaduti
e
sposata
giovanissima a un imprenditore di
belle speranze, era sempre
trascorso nella monotonia delle sue
giornate di ricca moglie senza
un’occupazione prima, e di madre
iperprotettiva poi. Se si escludono i
pianti e le scenate in cui sfogava le
delusioni dei continui tradimenti
del marito.
Per qualche istante Tommaso si
blocca, smette di camminare: non
riesce a fermare il corso dei ricordi.
E ora si trova a rivivere il giorno in
cui, a diciott’anni, Erminia se n’è
andata per sempre. È stato allora
che ha deciso: non avrebbe so erto
come lei. Non sarebbe mai dipeso
emotivamente da nessuno, avrebbe
evitato il dolore del cuore. E lo
avrebbe fatto con l’unica arma che
gli sembrava possibile: il controllo
totale dei sentimenti. Così aveva
scelto di nascondere il lato più
debole e passionale di sé, evitando
gli scontri che per tutta l’infanzia
aveva
vissuto
indirettamente
attraverso le liti tra mamma e
papà. E con quella decisione,
rendere la sua innata abilità
diplomatica una professione era
stato un passo breve.
Una noti ca dell’iPhone e
Tommaso ritorna al presente:
estrae dalla tasca dei pantaloni il
telefono e controlla la posta
elettronica. Legge in fretta la mail
del consolato, ma sembra che la
situazione sia stabile. Non sa
ancora dove sarà la prossima
missione, ma spera tanto che gli
permetta di restare in Europa. A
volte gli manca terribilmente. Poi
appoggia il telefono sul tavolino
rotondo in ferro battuto, incrocia le
mani dietro la testa, fa due tre
essioni laterali. Espira quando
arriva al limite sinistro, inspira
quando torna al centro, espira
quando arriva al limite destro. La
simmetria è fondamentale, insieme
alla regolarità della cadenza e al
ritmo della respirazione. Il vero
motivo per cui ha cominciato a fare
il suo lavoro, prima ancora dei
guadagni stellari, è proprio il suo
prepotente bisogno di equilibrio e
mediazione. Ogni disarmonia lo ha
sempre disturbato, n da bambino:
dal giocattolo rotto al disordine in
una stanza no alla relazione
sbagliata tra lui e una donna o tra
due Stati. Ha avuto n da piccolo
una naturale inclinazione a
riparare, razionalizzare, mediare.
Alla quarta inspirazione non
resiste più, è più forte di lui.
Chiama Julius Schwartz, il suo
assistente dal primo mandato a
Berlino. Lui saprà dirgli qualcosa di
più sull’ affaire Emirati.
Schwartz risponde al quinto
squillo. «Mi dica, signor Belli»
esordisce, come se fosse lui in
attesa di notizie e non viceversa.
«Sei tu che mi devi dire, Julius.»
Tommaso ha un tono freddo,
perentorio. Il loro è un rapporto
gerarchico strettamente funzionale,
in cui i ruoli sono ben chiari.
«Niente di nuovo. È tutto
stabile.» Nonostante sia in Italia da
quando ha dieci anni, Julius ha un
accento che rimarca le sue origini
bavaresi: non è mai riuscito a
liberarsene.
«Al contrario» replica Tommaso,
«mi sembra chiaro che l’assenza di
sviluppi accentui l’instabilità della
situazione.»
«Sono in contatto costante con
Pisanò e con la Pedroni, come
d’accordo» si a retta a speci care
Julius. «Non è uscito niente, né
sulle agenzie stampa, né sui canali
riservati.»
«E Pisanò cosa dice?»
«Di avere pazienza, mantenere le
posizioni.»
«Il fatto è che non stanno
mantenendo
proprio
nessuna
posizione» osserva Tommaso,
contrariato.
«Hanno
fatto
esattamente il contrario. Mettere
Fabrizio Stucchi su un elicottero
militare e farlo espatriare come un
ricercato è stata in assoluto la
soluzione
più
vile
e
controproducente,
ai
limiti
dell’illegalità.» Tommaso prova un
certo fastidio all’idea di dover
dipendere da un uomo mediocre
come Guglielmo Pisanò. Se lo
immagina in questo momento,
barricato nel suo u cio alla
Farnesina, sprofondato in una
poltrona girevole, la batteria di
telefoni sulla scrivania, a dibattersi
in considerazioni stupide, estranee
a ogni logica diplomatica e anche
solo di buon senso.
«Era l’unica opzione ragionevole,
signor Belli.» Julius vorrebbe
rassicurarlo. «Stucchi non poteva
restare ad Abu Dhabi in attesa
della tempesta, ammesso che
arrivi.»
«Arriverà, se non fanno nulla per
fermarla.»
«L’u cio legale sta facendo il
possibile in quel senso. E
comunque, se posso avanzare un
mio personalissimo consiglio, lei
non dovrebbe preoccuparsene, dato
che è del tutto estraneo alla
faccenda.»
«D’accordo, Julius» conclude
nervoso Tommaso. «Ora ti devo
lasciare, ma tu continua a tenermi
informato.»
«Certo. Sarà fatto.»
Tommaso mette giù, poi guarda
la Duetto rossa entrare dal
cancello, percorrere il viale
sterrato e inchiodare con una
frenata secca accanto alla sua
Jaguar XK cabrio.
Linda scende e gli va incontro a
passi veloci. Indossa un mini abito
a grandi pois bianchi e neri dal
taglio asimmetrico, scarpe basse in
vernice nera; con la destra tiene la
valigetta da lavoro verde uo da
cui sbucano alcuni fogli posizionati
in verticale in modo caotico.
Mentre cammina in fretta verso di
lui, qualche foglio le scappa via
dalla borsa e lei si gira di scatto,
chinandosi a raccoglierlo con un
gesto atletico, incurante dello
sguardo che Tommaso non riesce a
staccarle di dosso e che indugia un
attimo di troppo sulla curva del suo
sedere. Quando si rialza, come se
nulla fosse, ha un’espressione felice
e convinta, di una che ha voglia di
strappare ogni istante un sorriso al
mondo. Al progetto Belli ha
lavorato giorno e notte, s dando la
resistenza
e
lo
scetticismo
dell’architetto Bosi, che invece di
incoraggiarla l’ha ostacolata con
continue
critiche
e
sadici
avvertimenti. Per non parlare dei
colleghi – Alice sempre più per da
e Ludovico, che ormai non le
rivolge nemmeno più la parola –
che non hanno fatto altro che
metterle i bastoni tra le ruote
anziché collaborare, ognuno ha
forzato la mano con le proprie
competenze speci che. Ma Linda
non ha mollato. Crede troppo in
questo progetto; è una s da più
grande di lei e ha un unico scopo:
vincerla.
Per realizzare i disegni ha
cercato di interpretare i desideri di
Tommaso (un po’ meno quelli della
sua compagna Nadine, più
indecifrabile), capire quale stile
fosse più vicino a lui, trasferendo
su carta una realtà immaginata che
presto, si augura, assumerà una
forma concreta. Sarebbe stato
troppo scontato realizzare una villa
dichiaratamente
classica,
con
mobili e oggetti che si limitassero a
raccontare i fasti del patriziato
veneziano, quello opulento che
d’estate abbandonava i palazzi sul
Canal Grande per rifugiarsi nel
lusso sfrenato delle dimore di
terraferma. Linda ha preferito
seguire un’altra strada, più di cile
ma
anche
più
intrigante,
richiamando atmosfere evocative
ma non esplicite e banali.
«Benvenuta.» Tommaso le stringe
la mano.
«Scusa il ritardo. Mi aspetti da
molto?»
«No,
gurati. Sono appena
arrivato anch’io.» Sta mentendo,
non le farebbe mai notare che è in
difetto.
«Ah, meno male» sospira lei, che
invece è una ritardataria cronica e
sa quanto questo possa infastidire
gli altri.
«Possiamo accomodarci qui sotto
il portico, la giornata è splendida.»
Tommaso le sposta una sedia per
invitarla a prendere posto.
«Certo.» Linda si siede, appoggia
la valigetta a terra ed estrae un
fascicolo, due cataloghi e alcuni
fogli sparsi. Socchiude gli occhi,
come per lasciarsi sfiorare dal sole.
«Già, l’ideale sarebbe un po’ di
relax in piscina…» Tommaso
sposta lo sguardo verso il retro
giardino, «ma dobbiamo aspettare
che sia pronta.»
Lei lo ignora, è tutta concentrata
sul fascicolo che ha già aperto alla
prima pagina.
«Sono davvero molto curioso.»
Tommaso s’inclina sul tavolo e
sbircia i fogli.
È arrivato il momento: Linda sa
che si sta giocando tutto in questi
minuti, anzi, in questi secondi
cruciali. Ci ha lavorato giorno e
notte a quei disegni, ci ha messo il
meglio di sé: fantasia, impegno,
coraggio. È molto soddisfatta del
risultato,
ma
adesso
deve
convincere lui. Perché, purtroppo,
è sempre il cliente ad avere
l’ultima parola.
«Dunque» si schiarisce la voce,
«premetto che per formazione
personale il mio lavoro parte
sempre dal confronto con il luogo e
con chi lo vive. Ma non scarto mai
a priori una soluzione che
rappresenti
una
rottura
di
concetto.» Si sposta da un lato la
morbida ciocca bionda che le ricade
sulla fronte. «Anzi, a dirla tutta le
rotture sono proprio il mio forte.
Quando sento l’esigenza di una
strada nuova, diversa, inizio a
cercarla proprio tra gli elementi
contraddittori, che poi provo a
fondere tra loro in un insieme
armonico.
Come
in
questo
progetto, in cui ho detto sì a un
gusto contemporaneo, ma a un
contemporaneo che rimanga ben
innestato nella tradizione.»
«Interessante.» Tommaso non si
sbilancia.
Linda si accontenta per ora di
aver acceso la sua attenzione. È
solida e pronta, in questo
momento, tono da professionista
a dabile e occhi da gatta che s da
il mondo. «Una villa palladiana si
presta a un linguaggio classico ma
rigoroso, senza orpelli: sono quelli
che ti aspetti, e quindi sono di
troppo.» Fa una pausa studiata.
«Un
linguaggio
nel
quale
prevalgano
colori
pastello,
contrastati da inserti di rosso e
nero primari.» Sfoglia il fascicolo
no alla sezione dei disegni. Li
mostra a Tommaso.
«Un vestibolo sgombro e
strutturato, un semplice piano
d’appoggio,
una
lampada
veneziana calata dall’alto so tto
no a toccare la linea del
pavimento» spiega, percorrendo il
foglio con l’indice laccato di rosso.
«La zona giorno divisa in spazio
living e spazio biblioteca. Una
divaneria importante in pelle, una
libreria in legno ricercato a tutta
parete, una poltrona di lettura che
crei uno stacco cromatico, so ci
tappeti, arazzi alle pareti.» Ogni
tanto prende ato e gira pagina.
«Tavolo rotondo nel bay window
che si relaziona esternamente con
lo spazio piscina del giardino sul
retro e funge da elemento cerniera
con lo spazio cucina, ampie vetrate
che portano negli interni luce e
colori della natura. Un angolo
cottura con dettagli estremamente
contemporanei per il freddo, i
fuochi, il lavello; piani top in
Corian, che si confrontano con il
calore dell’ambiente.» Non smette
di parlare. È un fiume in piena. «La
zona notte è un incrocio tra
minimale e barocco. Per la camera
padronale ho pensato a un’alcova
in cuoio o in pelle, il bagno privato
con vasca a lo pavimento, cabina
armadio adiacente. Nei bagni di
servizio
sposerei
rivestimenti
marmorei e lavelli art déco a
materiali hi-tech. Poi, disimpegni
vuoti a valorizzare l’architettura
dell’edi cio. Nel corridoio, due
armadi a muro ricavati in nicchia e
qualche mobile d’antiquariato,
Settecento
veneziano.
Esili
tendaggi trasparenti su serramenti
lignei. Rigorosamente bianchi,
ovvio.» Poi si ferma, e lo guarda
dritto negli occhi.
«E, in ne…» gira l’ultimo foglio,
sicura dell’e etto che otterrà. «Il
giardino d’inverno. All’ultimo
piano, nel vecchio magazzino
abbandonato. Struttura di legno,
so tti e pareti di vetro. Il luogo
perfetto per coltivare la tua
passione botanica.»
Tommaso non ha detto una
parola no a questo momento. Si è
limitato a scorrere i disegni con
espressione impenetrabile e ad
ascoltarla. Adesso prende quello
del giardino tra le mani e lo
osserva. A Linda sembra di vedere
una scintilla nei suoi occhi di un
blu glaciale.
«Allora, che ne dici?» lo incalza.
Quel
silenzio
la
turba
profondamente. Non lo sa gestire.
Lui solleva lo sguardo su di lei,
grave: «Dico che è proprio questo,
quello che volevo. Da te non mi
aspettavo niente di meno. Il
progetto è approvato. Per intero».
Scandisce bene l’ultima parola.
Linda è alle stelle. Vorrebbe
saltargli addosso per la felicità, ma
qualcosa le dice che Tommaso non
la prenderebbe bene, e quindi si
trattiene, con uno sforzo quasi
mostruoso.
«Ottimo» si limita a dire. «Quindi
sono riuscita a stupirti.»
Lui sorride,
nalmente. «Un
giardino d’inverno. Molto ru ana
come idea, ma ha funzionato.»
Lei sorride di rimando. Lo
sapeva, era il suo asso nella
manica.
«L’incarico è tuo. Dirò ai miei
avvocati di chiudere il contratto
con Bosi domani stesso.»
«Non abbiamo discusso del
budget
totale
per
arredi,
pavimenti, luci…» cerca di
concludere lei, pratica, indicando
l’ultima pagina del fascicolo.
«Non m’interessa. Mostra il
preventivo dettagliato ai miei
collaboratori. Approveranno loro
senza
problemi»
risponde
Tommaso. L’ennesima conferma: i
soldi sono la sua ultima
preoccupazione.
«Un’altra cosa…» prosegue Linda
estraendo dalla borsa un catalogo
che posa sul tavolo accanto al
fascicolo del progetto. «Per la
realizzazione del giardino ho
pensato di a darmi a Giorgio
Ottaviani, mio zio. È un artigiano
incredibile e scrupolosissimo, lo
conoscono tutti qui in zona.» Gli
passa il volume. «Qui puoi vedere
alcuni dei lavori che ha fatto.»
Tommaso inizia a sfogliarlo,
so ermandosi su qualche pagina.
Ha un’espressione compiaciuta.
«Molto originale» commenta.
Linda vorrebbe dire molto di più,
ma poi pensa che non è il caso di
esporsi troppo.
«Fa tutto da solo?» domanda
Tommaso.
«Di solito sì. Quando si tratta di
produrre esemplari unici, è meglio
creare in solitudine.» Poi prosegue,
quasi di getto: «Non c’è niente di
peggio delle interferenze esterne,
quando uno sa fare bene il proprio
mestiere». Sta pensando ai
Grimani, la sua spina nel fianco.
Tommaso richiude il catalogo, lo
appoggia sul tavolino e la guarda
come
se
avesse
capito
perfettamente.
«Da me avrai sempre carta
bianca, Linda. Ti chiedo solo di
rispettare i tempi, per il resto mi
do. Ti ho già vista arrabbiata e
non
ci
tengo
a
rivivere
l’esperienza.» Lo dice con il viso
serio, senza ombra d’ironia.
Linda invece accenna un sorriso,
per sdrammatizzare. «Sarà fatto
tutto nei tempi stabiliti, nché sarò
io a dirigere i lavori. Puoi starne
certo.»
Tommaso le stringe la mano, un
po’ più forte di prima.
«A presto, allora» lo saluta lei.
«A presto.»
Tommaso la osserva mentre
raggiunge la Duetto, facendo
oscillare la valigetta verde uo
come un nastro, con un passo da
bambina a cui hanno appena
comprato il giocattolo dei sogni.
Sorride soddisfatto, ma è un sorriso
intimo, che non esternerebbe per
nulla al mondo, e pensa che ha
fatto proprio bene a scegliere lei.
Solo quando si rimette in
macchina, appena fuori dalla villa,
Linda
inizia
davvero
a
metabolizzare quanto le è appena
successo. Scivola giù per le colline
a velocità folle, e poi continua a
sfrecciare tra i campi di mais della
pianura. Come in una camera di
decompressione senza coperchio,
ride e urla di gioia, dando
nalmente sfogo a tutta l’esultanza
trattenuta fino a quel momento.
«Sì, cazzo! Vai, vai, vai!»
Picchietta le dita sul volante della
spider. «Quarantamila euro tiro su
stavolta, tutti per me!» Pompa al
massimo il volume della vecchia
autoradio e canta a squarciagola
sopra The Final Countdown degli
Europe, alzando entrambe le
braccia al cielo nel rettilineo.
Un
contadino
che
sta
raddrizzando una riga di pomodori
solleva la testa a guardarla,
allibito, come se avesse visto un
ufo. Per tutta risposta, lei dà una
strombazzata di clacson e urla
«Yuhuuu!»
agitandosi
come
un’ossessa,
«quarantamilaaa!».
Finalmente potrà riparare il tetto
della Casa Azzurra e fare tutti quei
lavoretti che rimandava da una
vita… e magari farsi pure un bel
viaggio a Bali.
A un tratto sente una goccia sul
braccio nudo e si accorge che nel
frattempo il cielo si è coperto di
nuvole grigie, ma manca poco per
arrivare a casa. Invece, neanche un
chilometro ed è costretta a fermarsi
per abbassare la capote della
spider. In un attimo si è scatenato
un inferno di pioggia, ma
nonostante ciò l’entusiasmo di
Linda non si spegne.
Anche se già s’immagina che a
casa starà succedendo il solito
disastro: la pioggia starà battendo
sulle tegole del tetto e sui vetri
delle nestre del salotto, colerà
lungo l’angolo di muro ormai senza
intonaco, s’in ltrerà nei piccoli
buchi aperti che nessuno stucco ha
saputo chiudere e gocciolerà sul
pavimento appena pulito. Ma ora
non le importa. Ora non le viene
da maledire come sempre tutti gli
dei del cielo e della terra.
Quando arriva alla Casa Azzurra,
apre la porta con un sorriso largo
stampato sul viso, mette un secchio
sotto la perdita più grande e si
siede in poltrona a osservare la
pioggia che ci cade dentro con quel
rumore fastidioso. Che presto, se
tutto va bene, non sarà più
costretta a sentire.
Nei giorni successivi alla chiusura
del contratto, Linda si avventura in
una folle corsa a ostacoli tra negozi
d’antichità,
atelier
d’arredo,
rivendite di materiali di lusso,
showroom
e
mercatini
d’antiquariato. Tommaso, come
preannunciato, non le ha fatto
problemi di budget, e quindi si può
permettere di acquistare tutto
quello che ha sempre sognato.
Finalmente può saziare la fame di
bellezza che, come ogni suo
appetito,
è
praticamente
inesauribile.
I posti che le danno più
soddisfazione sono i negozi
d’antiquariato. Un giorno ha
perlustrato
mezzo
Triveneto,
passando
ore
tra
bronzi
rinascimentali, stipi barocchi,
argenterie di Augsburg, busti e
mosaici, vetri, favolose specchiere
settecentesche veneziane e raccolte
di smalti Limoges. Ventimila euro
si sono volatilizzati per acquistare
tre pezzi della biblioteca – una
lampada in vetro di Murano, una
poltrona con nitura in gomma
lacca, una dormeuse stile Impero,
in legno nito a foglia d’argento.
Prima di concludere il giro,
dall’ultimo negozio si è portata via
a un prezzo folle uno splendido
vaso in cristallo di Lalique.
Ma è stato solo l’inizio. Per la
sala da pranzo ha scelto lampadari
e candelabri di Baccarat; per il
salotto due poltrone Roche Bobois
vestite da Jean Paul Gaultier,
abbinate a un lampadario in ferro,
cristallo
di
Boemia,
strass
Swarovski e porcellana. Il pezzo
forte, però, è stato Kalì, un
complemento d’arredo che ha fatto
la gioia di Tommaso; è un mobile
multifunzione, realizzato in cedro
spagnolo: nella parte centrale è
una vetrina per sigari, con tanto di
umidi catore
dinamico,
climatizzatore a celle Peltier e
illuminazione a led. Una volta
aperto svela una sezione bar, le
quattro ante battenti laterali sono
predisposte con ripiani studiati per
contenere
bottiglie.
L’ultima
sorpresa si nasconde nella parte
inferiore,
dove
è
possibile
installare una cassaforte.
Era sicura che a Tommaso
sarebbe piaciuto.
Ci sta mettendo tutta se stessa
per realizzare al meglio il progetto,
ed è costantemente alla ricerca
dell’idea nuova, dei volumi giusti,
dell’accostamento
inedito
dei
materiali per creare forme che,
fondendo innovazione e tradizione,
esprimano al pieno eleganza,
creatività e libertà.
Nel frattempo, Giorgio è stato
assunto da un Tommaso entusiasta,
e ha già dato avvio ai lavori del
giardino d’inverno. Un giorno,
mentre è all’opera, incontra per la
prima volta Nadine, e l’impressione
che ne ha è quella di una dea
orientale, strizzata in un abito
bianco elegantissimo dal severo
taglio occidentale. Lui, invece, in
tenuta da combattimento sembra
un incrocio tra un naufrago e un
profugo: gli zoccoli di cuoio ai
piedi, la camicia a quadri aperta
sul torso nudo, le braghe di tela
stinta, la barba di una settimana e
i capelli da tagliare.
Lavora di sega, seghetto, sgorbia,
scalpello e mazzuolo per preparare
i pezzi. Non usa quasi mai viti né
giunti di metallo per le sue
creazioni, cerca di ridurre al
minimo indispensabile anche la
colla. Gli piace giuntare legno con
legno, usando a seconda dei casi le
varie tecniche di spinatura,
incastro a dentelli, a L, a coda di
rondine. Procedere così richiede più
tempo e uno studio attento dei
singoli pezzi, ma è l’unico modo
per ottenere risultati omogenei.
Ogni volta che gli capita di vedere
mobili in legno avvitato, o
addirittura inchiodato in malo
modo, prova un senso di
tradimento, come di fronte a una
profanazione. Per non parlare
della tristezza che gli suscitano i
truciolati,
i
laminati,
gli
impiallacciati con PVC. Le ragioni
non sono solo estetiche o
funzionali, ma anche spirituali: è
convinto che ogni pezzo di legno
abbia un carattere, un’anima, una
memoria dell’albero che è stato.
Bisogna
comprendere
e
interpretare le sue irregolarità, i
nodi, la porosità e la densità, il
suono che produce quando lo
tocchi, il colore, il peso, la
essibilità, l’odore. Solo così quel
legno collaborerà con il falegname,
gli suggerirà forme, asseconderà la
propria funzione. Ci vuole estremo
rispetto, quando si lavora il legno:
Giorgio non ha dubbi a riguardo, e
vorrebbe che tutti lo capissero.
Nadine
sembra
invece
lontanissima da queste alte
considerazioni loso che quando
lo saluta. «Buongiorno. Lei
dovrebbe essere il falegname,
giusto?» Lo richiama con la sua
voce che trasuda naturale grandeur.
Giorgio si volta. «Piacere, sono
Nadine, la compagna del signor
Belli.»
«Ah,
buongiorno.
Piacere.»
Giorgio fa per darle la mano
imbrattata di polvere e cera, ma
Nadine si ritrae.
Più che un falegname, le sembra
uno strano personaggio da circo, e
dentro di sé si sta chiedendo per
quale motivo Tommaso si sia
a dato a un soggetto del genere.
«Mi assicura che questa struttura
sarà solida?» gli chiede sondandolo
con occhi preoccupati.
«Certo.»
Giorgio
vorrebbe
rassicurarla. «Si di, signora. È in
buone mani.»
«Lo spero.» La dea fa un sospiro
e se ne va.
Scendendo al piano inferiore,
sente Linda che sta urlando a uno
dei montatori in cucina: «Sen-za
chio-di! Ma come cazzo devo
dirtelo?!».
Nadine prova un brivido di
fastidio per quell’uscita sgarbata, e
pensa che non riuscirebbe mai a
formulare un ordine così duro e
perentorio: si farebbe inibire dalla
cortesia formale che ha regolato da
sempre i rapporti con gli altri nella
sua vita. Si rende conto che n da
piccola ha lavorato per sfumare i
propri impulsi vitali, più o meno
passionali, e si chiede se questo
dipenda dal fatto di essere donna o
dal suo temperamento, dalla sua
rigida educazione famigliare. E
mentre ri ette, si domanda per la
prima volta se le piaccia questo
lato di sé o se invece ne sia
esasperata, se lo abbia accentuato
da quando accanto a lei c’è
Tommaso. Che è come lei. Più o
meno.
I giorni passano, l’estate vera sta
per arrivare, e Linda continua a
dirigere i lavori con piglio sicuro.
Tra una lite e l’altra.
Quasi si stesse lentamente
alzando un sipario, col tempo
davanti ai suoi occhi prendono vita
manufatti diversi, vengono disposti
negli ambienti mobili dallo spirito
contraddittorio, che pur nella
varietà degli stili dialogano in
modo armonico. Nella villa il
Barocco
conversa
con
il
Modernismo
e
l’arte
contemporanea, gli oggetti non
sono più cose morte, appartenenti
al passato, ma inserite in quel
contesto tornano a vivere,
diventando parte del presente.
Così, il sofà di Le Corbusier
nell’anticamera, tradizionalmente
in cuoio nero, con un nuovo
rivestimento in raso verde
smeraldo acquista una nuova luce,
e lo specchio del Seicento in
cornice dorata, collocato sopra una
consolle di acciaio inossidabile, ha
un riflesso quasi avanguardistico.
A volte Linda fa compagnia allo
zio e non si tira indietro se serve
dargli una mano. Quando poi
Giorgio
nisce di montare la
struttura del giardino, Nadine
rimane a bocca aperta. Per una
volta è costretta a ritornare sui
propri passi, ad abbandonare i
preconcetti che l’avevano spinta a
guardare quell’uomo con occhi
sbagliati, fermi alla super cie delle
cose.
I lavori alla villa l’hanno
assorbita completamente. Tanto
che, nel caos delle ultime
settimane, non ha più visto né
sentito Alessandro. Lui le ha scritto
varie volte, invitandola a uscire,
ma lei ha sempre detto di no,
rinunciando per no al consueto
ritrovo del venerdì in piazza con la
compagnia.
Stamattina, verso mezzogiorno –
l’ora in cui di solito si sveglia il
sabato – Alessandro le ha mandato
uno dei suoi tipici sms provocatori:
O sei diventata una stachanovista delcazzo,
o questo Tommaso ti ha fatto unincantesimo.
Linda non ha risposto. Le è
venuto un po’ da ridere per il
linguaggio diretto di Alessandro e,
forse, per l’intuizione che ha avuto.
Che nell’ultimo periodo lo abbia
trascurato è incontestabile: una
mancanza a cui ha assoluta voglia
di rimediare.
Per questo ora sta andando dal
suo amico, con due birre in mano e
un’immensa voglia di abbracciarlo.
Non l’ha avvertito, vuole fargli una
sorpresa. Tanto è sicura che alle tre
di sabato pomeriggio Alessandro
può essere soltanto in un luogo: sul
divano a purgare le tossine
alcoliche della notte prima.
Parcheggia la spider nello
spiazzo di fronte al casale giallo.
Un esercito di gatti, vedendola
arrivare, si disperde un po’ sul tetto
un po’ tra i vitigni lì intorno.
Suona alla porta, ma nessuno si
a accia ad aprirle. Pigia di nuovo
il campanello con più convinzione.
«Aleee! Apri, sono io!» si mette a
urlare.
Qualche istante dopo, Alessandro
compare sulla porta: infradito,
petto nudo, i capelli spettinati più
del solito e la cerniera dei
pantaloni aperta, che lascia
intravedere i boxer blu notte. «Ohi,
Linda, sei tu? Ma sei matta a
suonare così forte?»
«Che accoglienza, eh…» Linda gli
tocca il petto con il collo di una
Heineken.
«Scusa, è che sono un po’…»
Alessandro si gratta la testa.
«Lo credo! Scommetto che hai
fatto l’alba anche stanotte…»
ammicca Linda.
«No.» Alessandro si passa una
mano sul volto. «È che non ti
aspettavo…
adesso.»
Ha
un’espressione strana, sembra non
volerla lasciare entrare.
«Vabbè, era per farti una
sorpresa.» Linda gli si avvicina, lui
arretra a fatica. «Dài che ci
facciamo due birre.»
«Veramente…» Alessandro si
volta verso il soggiorno.
Poi, all’improvviso, da un punto
inde nito della casa arriva una
voce femminile. «Ale, ma chi è?»
«Oh, cazzo, scusami! Non avevo
capito… che idiota!» dice Linda. Ed
è come se l’avessero appena
schia eggiata in pieno viso. Era la
voce di Valentina, pensa, e per
giunta mezza ubriaca o strafatta di
qualcosa. E il suo pensiero trova
sostanza in quello che i suoi occhi
non possono fare a meno di notare
nel soggiorno: la maglietta con
paillettes abbandonata sul divano,
la stessa che le ha visto addosso la
sera della sua festa di compleanno
al Movida.
Alessandro non sa cosa dire,
l’imbarazzo è palpabile.
«Oddio, perdonami, non avrei
dovuto piombare qui così» farfuglia
Linda, gli mette in mano le due
birre, poi arretra con uno scatto.
«Ma no, aspetta un attimo.»
Alessandro vorrebbe trattenerla.
«Scusami tanto.» È morti cata.
«Ci sentiamo un’altra volta, ok?
Ciao ciao.» Si gira senza lasciargli
il tempo di rispondere e va di corsa
alla macchina.
Alessandro rimane lì sulla porta.
Non trova la forza per rientrare in
casa da Valentina, ma nemmeno
per rincorrere Linda.
Che gura di merda, che gura
di merda, che gura di merda!, si
ripete Linda. Poi sale sulla spider e
sgomma via come una pazza, senza
meta e senza riguardo per i limiti
di velocità. Alza al massimo il
volume dell’autoradio e, mentre
sfreccia sulla strada, si racconta
che dovrebbe essere solo contenta
se Ale frequenta Valentina,
contenta per entrambi: sono suoi
amici. Non ha senso rimanerci
male, proprio nessun senso. E
soprattutto, quel fastidio che sente
alla bocca dello stomaco è solo un
po’ d’imbarazzo e non gelosia.
Senza nemmeno rendersene
conto si ritrova sulla strada che
porta alla villa di Tommaso. Ed è
quasi naturale imboccare il
vialetto.
Percorre la scalinata d’ingresso a
passi rapidi ed entra in casa. L’aria
sa ancora troppo di vernici e
collanti, di lavori appena niti o in
corso, malgrado le nestre aperte.
Linda ne prende una boccata
piena, attraversa il grande salone
centrale e raggiunge la sala della
biblioteca. Fa un giro su se stessa,
lo
sguardo
le
cade
sull’assemblaggio di assi grezze che
servirà a completare la libreria a
parete. Vedendo gli strumenti da
lavoro sul pavimento, d’istinto le
viene voglia di far qualcosa.
Magari così riuscirà a sfogare quel
veleno sottile che le è entrato nel
sangue.
Scaglia la borsa in un angolo, si
china e a erra da terra una delle
raspe. Poi prende un’asse, la mette
sul tavolo da lavoro e inizia a
levigare, come più volte ha visto
fare a suo zio. Tiene la raspa con
mano ferma, la passa sul legno con
movimenti lunghi ed energici.
Sbozza, sgrossa, raschia; piccoli
trucioli di legno cadono a terra
come briciole. Inizia a sudare, le
guance le si colorano di rosso. Si
leva la camicia, la getta sulla
borsa, rimane in canotta e shorts.
Alcune gocce di sudore le scendono
dalla fronte; altre dal collo si
annidano nell’incavo del seno. Ma
Linda non sente la stanchezza,
continua a fregare il legno come in
trance.
Non sa che dalla porta alle sue
spalle Tommaso la sta osservando
da un po’. Che fosse una donna di
carattere, l’aveva capito subito, ma
non pensava no a questo punto.
Vederla così concentrata a fare un
lavoro che non dovrebbe essere il
suo, un lavoro da uomini, gli crea
uno strano rallentamento interiore.
Un istinto viscerale lo spingerebbe
ad a errarla dalle spalle e
stringerla
con
forza.
Ma,
ovviamente, lo mette a tacere nel
momento stesso in cui lo avverte.
Linda prende l’asse e si avvicina
alla struttura sulla parete. Si butta
a terra per avere un ancoraggio
migliore e, indietreggiando con la
testa come farebbe un meccanico
sotto un’auto, prova a inserire il
pezzo nei tasselli appositi. Fa forza
con le braccia, spinge con i muscoli
delle gambe, piantandosi sulle
sneakers, socchiude gli occhi e
stringe
le
mascelle
tutta
concentrata, ma il pezzo non vuole
saperne di entrare.
«Merda.» Gon a le guance e
sbu a. «Bisogna passarlo con la
carta abrasiva.» A volte è questione
di una frazione di millimetro
perché gli incastri riescano, pensa,
accorgendosi che sta parlando da
sola, come fa spesso quando
lavora. È mentre sta per alzarsi che
avverte una presenza nella stanza.
«Non immaginavo sapessi fare
questo genere di cose» dice
Tommaso quando Linda si alza da
terra e si gira incredula a
osservarlo. Ha uno sguardo
affascinato.
Linda si pulisce gli shorts
passandosi la mano sul sedere.
Anche se non vuole ammetterlo, è
visibilmente imbarazzata. «È stato
lo zio a insegnarmi» spiega, il ato
corto per la fatica.
«Vedo che ci stavi prendendo
gusto.» Sorride con gli occhi e fa
due passi verso di lei.
«Sai, ogni tanto mi piace usare le
mani, non solo la testa.»
«Anche a me.» Tommaso respira
a pochi centimetri dal volto di lei.
Può sentire il calore che il suo
corpo sudato emana.
Linda lo guarda negli occhi per
un istante. Non li aveva mai visti
così da vicino: sono blu, ma hanno
un centro nero che quasi la
ipnotizza.
Tommaso le passa due dita tra i
capelli, le toglie un truciolo di
legno rimasto imprigionato in una
ciocca e lo getta a terra.
«Grazie.» Lei si asciuga il sudore
dalla fronte. «Sono proprio un
disastro.»
«No. A atto.» Tommaso si sposta
di lato e nel farlo la s ora con un
braccio.
Linda ha un brivido lungo il lato
sinistro del corpo: la attraversa
tutta e aumenta il suo calore
interno. Non se lo spiega, ma è
così. Elettricità con Lord Perfection.
Chi l’avrebbe mai detto.
All’improvviso si sente un
rumore di tacchi provenire
dall’anticamera. E una voce,
inconfondibile, che rimbomba tra
le pareti appena intonacate: « Mon
amour, dove sei?».
Tommaso si volta nella direzione
di quella voce, ma non si muove.
«C’è anche Nadine?» chiede
Linda.
Lui sembra più deluso che
sorpreso per quell’interruzione. O
forse Linda se lo sta solo
immaginando. Perché è quello che
vuole credere.
«Sì, passavamo di qua con una
coppia di amici e abbiamo pensato
di mostrare loro la villa» spiega
Tommaso.
Con un tempismo impeccabile,
come ogni suo gesto, Nadine
compare sulla soglia della stanza,
perfetta in tutto. A giudicare dal
colore del vestito Armani che
indossa, deve avere la ssa del
bianco: è questo il primo pensiero
che ha Linda nel vederla. Lei, al
confronto, sembra una ragazzina
tutta arcobaleno scappata di casa
per andare a un rave.
«Buongiorno,
Linda.
Non
immaginavo fossi qui.»
«Ciao.» Linda stira le labbra in
fuori programma.»
Nadine lancia un’occhiata sbieca
a Tommaso. «François e Julie
hanno il volo per Parigi tra due
ore. Dobbiamo andare.»
«Certo.» Tommaso si allontana
verso la porta.
Linda nge di sistemare l’asse sul
tavolo da lavoro, ma lo sguardo
viaggia inevitabilmente in un’altra
direzione.
Nadine e Tommaso restano fermi
per qualche secondo, senza dirsi
niente e senza neanche guardarsi
in modo diretto: Nadine raccoglie
solo segnali marginali, ma che le
sembra gridino come veri e propri
manifesti. Poi va verso Linda e la
saluta con un cenno della testa.
La notte Tommaso fatica a
addormentarsi: continua a rigirarsi
nel letto. Gli passano in testa
alcune immagini di Linda nella
villa: lei che scende dalla Duetto,
che cammina, smeriglia il legno, si
abbassa, poi si volta e lo guarda.
Sono istantanee che gli sono
rimaste impresse nella memoria,
vivide e tridimensionali. Riesce
quasi a intravedere le sue forme
sotto i vestiti, a sentire il suo
leggero odore orito. E non va
bene, non va per niente bene, per
uno che ha un disperato bisogno di
dormire, e deve farlo accanto a
un’altra donna.
Quella domenica mattina, Linda
va al mercato dell’antiquariato di
Asolo, uno dei più famosi della
zona. Di solito riesce sempre a
scovare qualche pezzo interessante.
E poi ne vale la pena anche solo
per immergersi nell’atmosfera di
quel borgo arroccato sui colli che è
un trionfo di arte, fascino e colore.
È quasi mezzogiorno, il sole di
ne giugno picchia sui tetti dei
palazzi, la luce ri essa crea una
sottile pellicola bianca intorno alle
mura che si diramano dall’antica
Rocca. Linda passeggia lungo le
viuzze ciottolate del centro storico,
tra un’in nità di mobili, oggetti
d’altri tempi, gioielli antichi,
pergamene e stampe d’epoca.
Curiosando qua e là, i suoi occhi si
so ermano senza un motivo su un
quadro privo di cornice, esposto su
un treppiede a lato di una
bancarella. Linda si blocca e non
può fare a meno di ssarlo, come
rapita da una forza aliena, più
grande di lei. La tela è un quadrato
di circa un metro per un metro, e il
fascino
del
soggetto
è
straordinario: sette muse di una
bellezza
sublime,
nude
e
incatenate, compaiono al cospetto
di Minosse, il feroce giudice
dell’ Inferno nella Divina Commedia
di
Dante.
Sotto
ciascuna,
un’iscrizione latina in eleganti
caratteri rossi graziati: superbia, ira,
luxuria, avaricia, invidia, gula, acidia.
Linda resta incantata. «È
meraviglioso» si trova a dire a voce
alta, ma sta di nuovo parlando da
sola. I sette vizi capitali come non
le era mai capitato di vedere
rappresentati. Quel quadro deve
essere suo. Ha già in mente il posto
preciso dove collocarlo nella villa:
la nicchia nel corridoio del piano
notte.
«Bello, no?» interviene il
venditore da dietro la bancarella.
«È un olio su tela di un pittore
locale del XVII secolo» spiega, con
un certo orgoglio.
«A quanto lo vende?» domanda
Linda.
«Settemila.»
«Ma è una follia!» Linda scrolla
la testa, e la massa di ricci biondi
ondeggia, disordinata e leonina.
«Signorina, le assicuro che questo
quadro li vale tutti» ribatte il
venditore.
«Lo
stato
di
conservazione è praticamente
perfetto. Guardi la grana del
colore. E poi il tratto: è chiaro che
l’autore discende dalla scuola di
Giorgione.»
«Anche in caso fossi davvero
interessata, non le darei più di
cinquemila» dice Linda, piantata
sui solidi polpacci.
«Non se ne parla, al massimo
potrei farle seimila e cinque»
riprende il rigattiere. «E sarebbe
uno sconto non da poco!»
Inizia così una contrattazione
selvaggia che Linda gestisce con la
determinazione di un’ambulante
nata e cresciuta in un suk, mentre
il venditore difende la sua
posizione con ostinazione mulina.
Dopo mezz’ora di rimpalli e
traccheggi, non c’è verso di farlo
scendere sotto la soglia dei seimila
e trecento euro. Ormai non è più
una questione di budget, perché i
soldi ci sarebbero: è diventata una
questione di principio, una s da
tra lei e questo tizio con le guance
arrossate e un dente d’oro.
«Vabbè, se le cose stanno
davvero così, chiudiamola qui. Io
me ne vado» sbotta Linda alla ne.
«Mi ha proprio stancata.»
Gira i tacchi e scompare dietro la
piazzetta, pensando di tornare più
tardi per spuntarla, come fa
sempre quando si tratta di
concludere a ari di questo genere.
Ne appro tta per farsi un giro tra i
negozi di Asolo e un’oretta dopo
torna sui suoi passi.
Quando arriva alla bancarella, la
tela non c’è più e si trova a ssare
il venditore con occhi interrogativi.
«E il quadro?»
«Venduto!» Il rigattiere allarga le
braccia, fa un ghigno soddisfatto, il
dente d’oro che luccica ai raggi del
sole.
«Come sarebbe a dire, venduto?»
Linda è furiosa.
«L’ho comprato io» dice una voce
alle sue spalle.
Linda si volta. «Tu?!»
Di fronte a lei c’è Tommaso, in
jeans, polo azzurra e scarpe
sportive.
«Sì, proprio io.» Tommaso ride.
«Questa sì che è bella…» Linda
ha un’espressione incredula e un
po’ infastidita. «E io che volevo
prenderlo per la tua villa!»
«Non immaginavo che fossimo in
competizione. L’ho visto e mi è
piaciuto.»
«E quanto l’avresti pagato?
Sentiamo.» Linda arretra dalla
bancarella, lanciando un’occhiata
torva al venditore.
«Settemila.»
«Bravo! Ma complimenti… Lo sai
che ti sei fatto fregare?»
«Non m’importa. Ne è valsa la
pena.»
«Non è così che funziona» sbu a
Linda. «Se mi avessi lasciato fare,
sarei riuscita a spuntarla!» Alza le
spalle e spinge in avanti la testa,
sembra un ariete in posizione da
combattimento: come ogni volta
che sta per fare guerra.
«Oh, andiamo, Linda…» Quella
sua sicità aggressiva gli comunica
una strana miscela di simpatia e
preoccupazione. «Ti ho messo a
disposizione
un
budget
considerevole. Che senso ha stare
qui a contrattare? Peraltro sono
convinto che il quadro quei soldi li
valga tutti.»
Linda lo sonda con sguardo
torvo: sta valutando se dargli
ragione o no.
Lui sorride, divertito. «Che ne
dici se t’invito a pranzo?»
Linda rotea gli occhi, ma sa
benissimo che in fondo vuole
soltanto dirgli di sì.
«Dài, ti porto al ristorante di
Villa Cipriani.» La prende a
braccetto. «Il proprietario è un mio
vecchio amico.»
«E va bene» dice, come se gli
stesse
facendo
una
gentile
concessione. E intanto si gode il
contatto di lui, i muscoli di quelle
braccia addestrate che premono
contro la sua pelle tesa.
Pochi minuti dopo stanno
sorseggiando un Bellini sulla
magni ca terrazza di Villa
Cipriani. È un luogo unico, con una
vista mozza ato sull’intera vallata
asolana: il panorama che si ha da
qui non conosce paragoni.
Tommaso è riuscito a farsi dare il
tavolo migliore. Si respira una
calma assoluta di fronte a quella
bellezza declinata in forme pure, i
colori del paesaggio tolgono il
ato. E all’ombra della veranda, il
caldo faticoso di quel giugno si
stempera in un tepore piacevole.
Linda ha lo sguardo sognante e i
sensi appagati, e non può evitare
che si veda da fuori.
«A cosa pensi?» le chiede
Tommaso.
«Penso a come doveva essere qui
quando ci viveva Caterina
Cornaro, la regina di Cipro.»
Solleva lo sguardo verso il castello
rinascimentale. «O quando ci
veniva Eleonora Duse, l’amante di
D’Annunzio.»
Non è esattamente il primo
pensiero che ha avuto, ma non è il
caso di esplicitarlo. Quanto meno,
non ora.
«Non credo sia cambiato molto.
Asolo è sempre stata e sempre sarà
un rifugio perfetto per il corpo e
per lo spirito» risponde Tommaso,
l’aria di chi conosce bene il posto.
«Può cambiare la forma, ma
l’anima di un luogo rimane
immutata nel tempo.»
Linda, appesa alle parole di lui,
assume
per
un
attimo
un’espressione
ingenua,
involontariamente erotica: labbra
carnose dischiuse, occhi verdi persi
in quelli blu di Tommaso. «Tu sei di
queste parti, vero?»
«Ci sono nato, anche se per la
maggior parte della mia vita ho
vissuto all’estero. Mio padre era un
diplomatico…
tradizione
di
famiglia.»
Il maître, seguito da un
cameriere con il secchiello del
ghiaccio, porta al tavolo una
bottiglia di Soave Classico. Aspetta
che l’altro sistemi il secchiello nel
support de seau e se ne vada, poi
stappa, con una combinazione di
disinvoltura e competenza. Versa
un dito di vino nel bicchiere di
Tommaso, si ritrae di mezzo passo,
tiene la bottiglia inclinata in bella
mostra.
Tommaso fa ruotare lievemente
il calice tenendolo per lo stelo, lo
accosta al naso, prende un piccolo
sorso, se lo fa girare in bocca, poi
deglutisce. «Ottimo» è il responso.
Il maître riempie a metà il calice
di Linda, solo dopo quello di
Tommaso, avvolge la bottiglia nel
tovagliolo, la sistema nel secchiello
del ghiaccio e si ritira con un
mezzo inchino.
Una volta soli, Tommaso e Linda
avvicinano i loro bicchieri in un
piccolo brindisi, bevono, sorridono.
Ordinano un risotto all’asolana
con germogli di ortica e come
secondo una tartare di salmone
affumicato con gelato all’avocado.
Linda divora letteralmente ogni
portata: ha un appetito smodato,
sta dando il meglio di sé. E poi
l’alcol accentua la sua esuberanza
naturale, spingendola a fare facce
e gesti bu mentre parla.
Tommaso la studia curioso e
divertito, mentre un’idea sta
prendendo corpo nella sua mente.
«I lavori alla villa stanno
procedendo alla grande, non
credi?» se ne viene fuori Linda a un
tratto.
Tommaso elude la domanda.
Sbilanciarsi non è da lui, e
risponde con un’altra domanda:
«Quanto tempo credi che ci vorrà
perché siano finiti?».
«Mah, direi più o meno un
mese.»
«Speravo meno.»
«Impossibile, se vuoi che sia tutto
perfetto. Perché a te piacciono le
cose perfette, non è così?»
«Stai facendo un grande sforzo di
supervisione. Ho visto come fai
rigare dritto gli operai.» Di nuovo
lui svicola, non coglie la
provocazione.
Lei non ha voglia di farglielo
notare, è troppo euforica, e quindi
sorride: dopo tutto, il complimento
le fa piacere. «Con me lo sanno che
non possono scherzare troppo.»
Tommaso non riesce a staccarle
gli occhi di dosso. Le labbra di
Linda sprigionano una sensualità
naturale,
una
femminilità
primordiale: non riesce bene a
decifrare quanto lei ne sia
inconsapevole e quanto la usi come
arma di seduzione. Avrebbe voglia
di morderle.
Il cameriere porta i due dessert:
tiramisù con foglia d’oro e gelatina
di champagne per Tommaso,
pavlove al cioccolato bianco con
frutti di bosco per Linda.
«Si capisce subito che hai un
caratterino…» Tommaso la sta
apertamente stuzzicando, ora.
Linda alza le spalle, è contenta
che stia abboccando al suo amo. «È
quello che mi dicono.»
«E perché?» la incalza lui.
Linda si sente come bruciare il
lato della faccia che lui sta
osservando. «Perché sono troppo
testarda, troppo critica, troppo
attenta
ai
dettagli,
troppo
irrequieta. Parlo troppo, leggo
troppo, ho troppe opinioni, a volte
confuse e in contraddizione tra
loro. Basta così? Ah, e poi sto
sempre sveglia no a troppo
tardi.»
«Esattamente quanto tardi?» le
chiede Tommaso.
«Dipende»
ammicca
Linda.
«Finché c’è qualcosa da leggere, da
pensare… o da fare.» Prende una
cucchiaiata di dessert e se la caccia
in bocca in modo un po’ go o.
«Mmm,
buonissimo
questo!»
sussurra socchiudendo gli occhi: è
godimento puro.
«Vedo che ti piacciono i dolci.»
Tommaso si sporge in avanti.
«Li adoro. Vivrei solo di
zuccheri.» Linda si rende conto che
forse sono troppo vicini, eppure
non fa niente per arretrare o
spostarsi.
«Assaggia il mio, allora.»
Tommaso le avvicina alle labbra
un cucchiaino del suo tiramisù.
Linda lo assaggia, non è una che
fa complimenti. «Oddio… è quasi
un orgasmo!» Poi si ferma un
attimo. Forse sta esagerando un
po’. Cerca di recuperare, dandosi
un tono: «Tra il mio e il tuo non
saprei quale scegliere. Sono ottimi
entrambi».
Non ha idea di cosa stia
pensando Tommaso di lei:
probabilmente la trova grezza e un
po’ sfacciata. E invece lui è
incantato, e pensa che l’ultima
volta che ha vissuto un momento
come questo insieme a Nadine, che
è a dieta sette giorni su sette, risale
probabilmente al loro primo
appuntamento.
Quando tornano alle rispettive
macchine, Tommaso si ferma dal
rigattiere a ritirare il quadro, ma
invece di tenerlo per sé lo dà a
Linda.
«Per me?» chiede lei sorpresa,
con le braccia immobili. È un
regalo inaspettato, non è sicura di
poterlo accettare.
Tommaso sistema allora il
quadro nel bagagliaio della spider,
assicurandolo con una fune al
gancio di chiusura. «Penso che
appartenga molto più a te che a
me.» Poi la guarda negli occhi,
avvicinando il suo viso a quello di
lei. «Ho visto quanto ci tenevi ad
averlo e sono convinto che in
fondo lo desiderassi per te.»
«Ma no, lo volevo prendere per
la villa, te l’ho detto…» mente
Linda, che non sa bene come
gestire quella sensazione di
elettricità che le provoca ora
Tommaso. Non sa nemmeno lei
cosa le stia succedendo.
«Tienilo tu.» Tommaso le prende
delicatamente il mento con la
mano. «Se dovessi pensare a un tuo
ritratto, è così che lo immaginerei.
Tutti i difetti del mondo in
un’armonia perfetta.»
Linda si sente le ginocchia
improvvisamente deboli; fa un po’
di resistenza, poi piega il viso di
qualche centimetro verso di lui,
prima di fermarsi. Si guardano le
labbra, si respirano a distanza
molto ravvicinata. I sensi sono in
allerta, la temperatura sale, i
battiti del cuore cambiano ritmo.
Sta per accadere qualcosa.
Stava per accadere qualcosa,
prima che il cellulare di lei si
mettesse a squillare.
«Merda!» Linda gon a le guance,
stringe le labbra carnose e sbu a,
in un smor a infantile che manda
Tommaso fuori di testa. «È Bosi,
cazzo!»
«Rispondi» dice lui.
«No. Adesso no.» Linda gli
a erra il collo e lo bacia a stampo
sulla bocca, senza pensare troppo
alle conseguenze irreversibili del
suo gesto. «Grazie per il quadro.»
Apre la portiera e sale in
macchina.
Tommaso spalanca gli occhi. Non
sa che dire: l’esuberanza di questa
donna
lo
ha
conquistato.
De nitivamente. «Grazie a te. Vai
piano.»
«Certo.» Linda gli strizza l’occhio
e sgomma via.
Una volta a casa, sola, Linda
appende il suo nuovo quadro in
camera, di fronte al letto.
In mutande e reggiseno sulle
lenzuola di seta bianca lo
contempla, studiando una a una le
sette muse rappresentate con le
spoglie dei peccati capitali. Le
trova di una bellezza struggente.
In quel momento, il telefono sul
comodino trilla con due note di
carillon. «E che palle, Bosi! Lo so, ti
devo chiamare, lo so…» farfuglia
lei, allungando un braccio.
A sorpresa, il messaggio non è di
Bosi, ma di Alessandro.
E quindi? Hai intenzione di sparire per
sempre o ci vediamo uno di questigiorni?
Sì, pensa Linda, ci vedremo
presto. Ha voglia di vederlo, ma
anche di non vederlo più. Non ci
capisce davvero più niente, adesso.
Sarà il vino, sarà l’e etto di
Tommaso. Adesso ha solo voglia di
stare lì e non pensare a nulla.
10
Ira
Le è sempre piaciuto guidare,
anche per molte ore di seguito.
Premere
sull’acceleratore,
impugnare la leva del cambio,
osservare il mondo che scappa dai
nestrini: le regala un senso di
libertà che nessun’altra cosa sa
darle.
Sta andando al mare, stamattina.
E insieme a lei c’è Alessandro. L’ha
chiamata lui, dopo quel piccolo
incidente di percorso. E lei ha
accettato al volo la proposta,
sciogliendo in una risata – come
fanno sempre tra loro – quella
leggera sensazione di fastidio che
aveva provato l’altro giorno. Sono
o non sono due buoni amici, che
vogliono vedere l’altro felice,
sempre e comunque? Non le ha
proposto Jesolo o Lignano, dove
vanno tutti. No, vuole andare con
lei a Trieste, perché lui adora gli
scogli, le spiaggette selvagge di
sassi, le rocce aspre del Carso.
Un’idea nata così, su due piedi, e
buttata lì, senza preamboli e inutili
retropensieri. Lei in verità avrebbe
dovuto fare alcuni controlli alla
villa, ma non ha resistito: dopo
settimane di duro lavoro, si è
convinta che non ci fosse nulla di
male a concedersi il piccolo lusso di
una gita al mare. «Chissenefrega,
non muore nessuno se per un
giorno faccio quel cazzo che mi
pare» ha risposto ad Alessandro al
telefono, già immersa con la testa
nell’acqua salata. E adesso eccoli,
nella Duetto rossa, lanciati verso
sud senza una preoccupazione in
testa.
Lui è stravaccato sul sedile, in T-
shirt, bermuda e cappello di paglia
in testa, i piedi appoggiati al
cruscotto. Sta tra cando con la
Re ex, la sua inseparabile
compagna:
rinuncerebbe
tranquillamente a una donna, ma
mai alla sua macchina fotogra ca,
pensa Linda mentre lo osserva con
la coda dell’occhio, senza che lui se
ne accorga. Alessandro fa scorrere
sul display le immagini scattate in
Veneto negli ultimi giorni. Aver
vissuto all’estero così a lungo gli ha
regalato uno sguardo nuovo nei
confronti della sua terra d’origine.
Ha
fatto
delle
fotogra e
spettacolari, ha avuto davvero una
fortuna pazzesca a scattare con
quella luce: gli dei del meteo sono
stati dalla sua. Si accarezza la
barba con un gesto di soddisfazione
che ha qualcosa di ammiccante.
Linda continua a spiarlo di
nascosto: è curiosissima, vorrebbe
accostare l’auto e guardare gli
scatti insieme a lui. Le foto di
Alessandro hanno sempre avuto su
di lei un’attrattiva incredibile.
Gira il collo di poco, le mani
ferme sul volante. «È il Ponte
Vecchio, quello?»
«Sì» dice Alessandro. Zooma
sull’immagine e la gira verso
Linda.
«Figo da quella prospettiva.»
«Eh, mi son buttato nel Brenta
per scattare!» Fa un gesto verso il
parabrezza. «Attenta alla strada,
please.»
«Rilassati!» Linda si riconcentra
sulla guida. «Come mai sei andato
a Bassano?»
«Ci ero stato con Vale, quel a
mattina…»
«Ah.» Linda avvampa, e spera
che lui non se ne accorga,
ripensando alla gura di merda di
quel sabato.
«Doveva fare un’intervista a un
ciclista, un tizio di cui non ricordo
il nome…» continua Alessandro.
«Così ne ho appro ttato per
scattare un po’.»
«Ti sei divertito con Vale?»
«Parecchio.» Gli a ora un
sorrisetto sulle labbra.
Linda lo guarda di traverso, con
un’espressione inde nibile, e lei
stessa non capisce se sia più
stupore, imbarazzo o gelosia la
stupida sensazione che prova. «Ma
lei ti piace?» gli chiede a
bruciapelo.
Alessandro esita. «Non lo so
nemmeno io, dài» dice alla ne,
con una leggerezza che confonde
tutto. «Non so neanche se ci sarà
una seconda volta.»
Linda osserva la strada. Si ripete
di nuovo che dovrebbe essere
contenta se Alessandro frequenta
Valentina; peccato che in questo
preciso istante non riesca a gioire.
Tra i suoi pensieri c’è tutto tranne
che gioia.
Ad Alessandro non sfugge nulla.
Le studia il pro lo con uno sguardo
a raggi X, senza timore di essere
sorpreso a sbirciarla. Tra ca con
lo zoom della Re ex e le scatta una
foto. Subito dopo controlla il
risultato sul display, quel che basta
per avere la conferma che cercava:
i lineamenti di Linda bucano
l’obiettivo, oggi come dieci anni
prima.
Nel frattempo, davanti a loro si
materializza la cartolina del golfo
di Trieste: è un paesaggio che apre
il cuore, visto da quella costiera. E
non importa se il cielo adesso è
plumbeo.
Linda ha alcune istantanee che le
a orano in testa. Di quando, da
ragazzini, avevano tentato una
fuga rocambolesca verso il grande
Est. Era l’estate del ’99. Alessandro
aveva avuto un litigio piuttosto
furioso con il padre; se n’era uscito
di casa come un pazzo, con l’idea
di non tornare più indietro, ma
prima di andarsene era passato da
Linda. L’unica persona che avrebbe
rimpianto di non salutare. E lei
non se l’era sentita di lasciarlo solo
in quel momento; aveva rubato
ventimila lire dal portafoglio di sua
madre, buttato due vestiti nello
zaino, e poi via di corsa verso la
stazione,
per
salire
come
clandestini sul primo treno per
Trieste.
Si gira verso Alessandro. «Ti
ricordi quella volta?»
Lui, che alla vista del golfo ha
avuto il suo stesso pensiero,
annuisce. «Eravamo pazzi.» Scuote
la testa e si mette a ridere.
«Ancora un po’ e rischiavamo di
nire in prigione.» Anche Linda
ride. «Tu e la tua idea di girare con
le canne nello zaino!»
«Cosa ne sapevo io che mio
padre aveva dato l’allarme e i
carabinieri ci cercavano?»
Linda alza gli occhi al cielo.
«Però era stato stupendo. Una
botta di vita.»
«Sì! Siamo stati proprio dei
coglioni!» Alessandro ride, adesso è
orgoglioso. «Be’, non che adesso sia
cambiato qualcosa…» A nessuno
verrebbe in mente di andare al
mare con un cielo così nero.
Parcheggiano sul ciglio della
costiera, poco prima della galleria
naturale che taglia la montagna. E
ovviamente, appena scendono
dall’auto, inizia a piovigginare. Ma
che
importa:
si
scambiano
un’occhiata complice, e a piedi
nudi corrono giù per il ripido
sentiero selciato che porta
all’arenile di Canovella.
La pioggia scende di taglio, calda
e battente su di loro e sugli alberi
intorno, con un fruscio che si
mescola al rumore del vento. La
brezza di Sudovest arriva a strappi,
so a in faccia e nelle narici aria di
mare, sale, granelli di roccia.
Alessandro e Linda continuano a
camminare, decisi come due
guerrieri, mentre i bagnanti
risalgono veloci la strada per
mettersi al riparo. S’imbattono in
un’anziana signora, tutta avvolta
nel suo pareo, che li guarda come
dei marziani e in triestino stretto li
apostrofa
con
una
frase
incomprensibile,
mentre
si
picchietta una tempia con l’indice
per dare enfasi. Loro si prendono
per mano e corrono giù ridendo in
mezzo alle palme e agli ulivi, una
s da bella e buona alla minaccia
che sta per cadere giù dal cielo: ha
iniziato a diluviare.
Ancora qualche gradino e
nalmente sono sulla piccola
spiaggia di sassi, ormai deserta.
Un’onda di spavalderia li travolge,
l’adrenalina gli circola nel sangue.
Lo sanno tutti e due che, arrivati
qui, si può solo andare avanti, che
dopo aver s dato il cielo non si
può fare a meno di s dare il mare,
anche se è mosso da fare paura.
Si guardano in faccia, nello
stesso momento, fermi sulla
battigia. Scoppiano a ridere,
complici: sono i due ragazzini di
una volta, adesso, vicini, sferzati
dall’aria fresca. Poi è un attimo. Si
tolgono i vestiti con irruenza, li
lasciano cadere sulla sabbia
bagnata, e totalmente nudi corrono
a tu arsi nel blu scurissimo del
mare che nasconde ogni cosa.
Alessandro guarda il golfo di
Trieste in lontananza, e il ricordo
di quella fuga si fa sempre più
vicino: voleva imbarcarsi su una di
quelle grandi navi che avevano
sempre
acceso
la
sua
immaginazione, si sentiva un eroe
alla conquista di un nuovo mondo.
Quella volta non c’era riuscito, ma
era stato contagiato da un virus
incurabile, che lo spingeva a
partire, a non trovare pace in
nessun luogo. E infatti, dopo
qualche anno, una nave l’aveva
presa davvero ed era riuscito ad
andarsene da casa. Da allora fa
una vita da zingaro. Ma non
rimpiange niente e ha imparato a
non guardarsi indietro. Solo, a
volte, si ritrova a pensare che c’è
una sola cosa che sempre avrebbe
voluto portare con sé. Ed è Linda.
La prende per mano, nuotano
insieme,
anco a
anco. Si
rincorrono, attraversano le onde, si
fanno trasportare dalla corrente
no a togliersi il ato. Ci sono solo
loro due, che adesso fanno il morto
a galla, come da ragazzi. Acqua
sopra e sotto. Sono due destini che
si s orano, in un istante
irripetibile.
Al ritorno, Linda e Alessandro
decidono di raggiungere gli altri a
Treviso per il classico aperitivo del
venerdì.
Sono scarmigliati, i vestiti ancora
umidi, i capelli impastati di
salsedine e le infradito. Ma non se
ne curano più di tanto, anzi,
camminano così sicuri che sembra
ne siano quasi orgogliosi.
Stanno per arrivare in Piazza dei
Signori, quando Linda vede Nadine
uscire da un negozio con in mano
una busta di Armani. Si è comprata
l’abito per la festa d’inaugurazione
della villa, ne è certa. Sarà uno di
quei suoi vestiti da dea greca, linee
classiche, “perché con re Giorgio
non si sbaglia mai”. Oppure,
chissà, magari la loro stylist – un
giorno Tommaso aveva accennato
all’esistenza di questa donna
misteriosa – avrà scelto per lei
qualcosa di più eccentrico…
«Oh, cavolo!» Linda fa una
smor a e abbassa la testa. «C’è
Nadine.» Vorrebbe far nta di non
averla notata, ma è troppo tardi.
Nadine l’ha già intercettata, la sta
salutando con un cenno della
mano.
«Chi?!» domanda Alessandro.
Linda gli risponde a denti stretti:
«La compagna del tizio a cui sto
arredando la villa».
«Ciao, Nadine, che piacere
vederti.» Linda sfodera il suo
migliore sorriso di circostanza.
«Ciao, Linda.» Nadine, invece, le
lancia un’occhiata dall’alto in
basso, poi sposta lo sguardo su
Alessandro.
«Lui è Alessandro» lo introduce
Linda con una prontezza eccessiva.
«Un mio carissimo amico.»
«Salve.» Alessandro fa una specie
di cenno con la mano e osserva
Nadine con interesse. Lei lo ssa
con uno sguardo ammiccante, che
fa sentire Linda in qualche modo
oscurata dalla sua presenza.
Nadine è una delle poche persone
che riescono a metterla a disagio.
«Siamo appena tornati dal mare»
confessa, come a giusti care il loro
aspetto da profughi.
Nadine le si avvicina. Le rimette
a posto una ciocca, squadrandola
in modo stranamente sensuale. «Mi
piacciono molto i tuoi capelli» dice.
«Sono belli, anche da spettinati.»
«Grazie» risponde Linda, allibita.
Era l’ultima cosa che si aspettava
di sentire da lei. Solo ora ha la
netta percezione di avere dei
capelli totalmente fuori luogo, un
naso troppo ingombrante, zigomi
troppo alti. È in imbarazzo, ma si
sforza di non dimostrarlo, perché si
sente brutta, e non le è mai
capitato.
«È quasi tutto pronto, vero, per
l’inaugurazione
di
sabato
prossimo?» le chiede Nadine,
bilanciandosi sulle sue Ferragamo
bianche.
«Certo» risponde Linda. «Manca
davvero poco; qualche lavoro di
rifinitura e ci siamo.»
«Benissimo.» Nadine s’in la gli
occhiali da sole coprenti. «Porta
pure Alessandro, se vuoi.»
«Grazie» dice lui.
«Figurati» replica Nadine. Se lo
starà mangiando con gli occhi.
Nadine sparisce in fretta dietro
di loro, con il suo passo fermo da
donna di classe. E lui si gira un
istante a guardarla. Gran bel culo,
sembra un cuore perfetto; troppo
ben fatto per essere vero, gli viene
da pensare.
Intanto lo smartphone di Linda
emette un trillo acuto nella borsa
di panno a tracolla. Lo estrae e
legge il nome sul display: è Davide,
i l suo personal trainer. Non è il
momento, e lei fa no con la testa,
tocca la cornetta rossa per ri utare
la chiamata. Non ha alcuna voglia
di rivederlo. È una storia chiusa, di
un paio di notti. Un paio che non
hanno
alcuna
speranza
di
diventare tre.
«Ragazzi?» La voce di Carlo
Bitto, lo sciupafemmine, arriva dal
tavolo sotto la Loggia.
«Ehi!» fa Linda, sbracciandosi, al
centro della piazza. Si volta verso
Alessandro, sorride.
Un giro di spritz è quello che ci
vuole.
Il giorno dopo Linda arriva alla
villa molto presto. È un bel mattino
di ne luglio. Con passo agile sale
la scalinata bianca dell’ingresso; ha
un’energia incontrollabile nelle
gambe, un tepore attorno al cuore,
pensa alla giornata speciale che le
si sta spalancando davanti.
Entra in casa, con il desiderio di
lasciarsi avvolgere da tutta la
bellezza che è riuscita a creare. È
davvero un’emozione impagabile
vedere le stanze che hanno preso
vita, gli spazi che si sono animati.
Dopo quasi due mesi di
complicazioni, angosce in nite, le
sembra un miracolo. La fatica
sfiancante di seguire tutti i dettagli,
essere regista della scena e al
tempo stesso attrice (perché ogni
spazio va anche interpretato),
cercare di sistemare ogni dettaglio:
uno stress che lei è abituata a
gestire, ma che le ha comunque
causato qualche notte in bianco.
Ora è tutto reale e lei è era del
suo lavoro.
Attraversa il salone centrale a
testa alta, gon a di soddisfazione,
gli occhi che brillano di felicità, i
piedi che s orano il pavimento.
Poi, a un tratto, le basta
oltrepassare la porta della sala da
pranzo perché tutta questa onda di
entusiasmo s’infranga di colpo.
«No!» esclama. Si prende il viso
tra le mani. Un lampo di orrore le
attraversa gli occhi, come davanti
a una scena da lm di paura. «Ma
come cazzo è possibile?» chiede
mettendosi le mani tra i capelli.
Le ragioni del suo panico
improvviso stanno tutte lì, in
quella la di sedie Rococò rivestite
in velluto giallo senape: e lei aveva
speci cato al tappezziere che
voleva una sto a rosso carminio.
Un colore acceso, scelto proprio
per non ripiegare sul tradizionale
rosso veneziano da villa padronale.
«Come diavolo si fa a confondere
il giallo con il rosso?» È allibita,
fuori di sé. Parla a voce alta, come
sempre nei momenti in cui
qualcosa non va come vuole.
«Posso
ancora
capire
un
vermiglione al posto del carminio,
diciamo che è tollerabile, ma quel
senape» agita le mani nell’aria,
«cosa c’entra sulle sedie quel giallo
merda… che sembra ci abbia
cagato su un uccello?»
Eppure il tappezziere Egidio
Vallin, in assoluto il migliore nella
zona, lo conosce da anni; non ha
mai sbagliato un colpo in tutti i
lavori che lei gli ha commissionato.
Non se lo spiega, un errore così
grossolano. Proprio adesso, poi,
che
manca
una
settimana
all’inaugurazione u ciale della
villa. Questa era l’ultima grana che
ci voleva!
Sbu ando come una cavalla
inferocita, estrae il telefono dalla
borsa. Sfoglia la rubrica con furia
omicida, ha gli occhi fuori dalle
orbite, lo stomaco che urla. Sente
montarle dentro una violenza
feroce.
«Sì?» Risponde una voce pacata e
serena. Intollerabilmente serena.
A sentirla, Linda si agita ancora
di più. «Signor Vallin, sono Linda
Ottaviani.» Non gli lascia il tempo
di replicare, va dritta al sodo. «Mi
spiega per quale dannato motivo le
sedie di villa Belli hanno il
rivestimento giallo senape?»
«È il colore che mi aveva chiesto»
risponde placido il tappezziere,
piuttosto scosso dal tono acceso di
Linda.
«No, io al suo assistente avevo
detto rosso carminio!» si a retta a
precisare lei, calcando la voce sul
colore. Le parole le escono un po’
rauche, sono quasi dei grugniti.
«Mi pare strano» replica il
tappezziere. «Non credo che il mio
assistente si inventi i colori così…
Magari vi siete capiti male.»
«No, magari è lui che ha capito
male» si scalda Linda. È tesa, una
corda di violino. E infatti continua
a
vibrare
mentre
percorre
instancabile il perimetro del tavolo
come una tigre in gabbia. È una
scossa di adrenalina in forma di
donna, non riesce a stare ferma.
«Ma non c’è problema» dice subito
dopo, ostentando una fastidiosa
tranquillità che non le appartiene
in quel momento, «perché tanto me
le rifarete tutte in rosso carminio.
Il colore giusto. E vi do al massimo
tre giorni, non uno in più.»
«Ma guriamoci!» esclama il
tappezziere. «Non ho nessuna
intenzione di rifare il lavoro. Sa
quanto tempo mi ci è voluto per
recuperare i tessuti e montarli? Per
non parlare dei costi del materiale:
le sto e, il lo, i chiodini, tutta la
colla che ho consumato… non se ne
parla nemmeno.»
«Non me ne frega niente di
quello che ci rimetterà» grida
Linda, così forte che le corde vocali
e i timpani le fanno male. Le
nestre della stanza vibrano come
una scatola sonora. «Il prodotto
non è stato consegnato come da
accordi con il cliente, perciò per
me non ha alcun valore. Il lavoro
va rifatto da capo, è chiaro?»
«Non se ne parla. E su questo
sono categorico.» Il tappezziere
difende
la
sua
posizione,
irremovibile. «Se lei ha sbagliato a
prendere accordi con il mio
assistente, non vedo perché…»
Non riesce a nire la frase che
Linda passa già al contrattacco. «È
lei che ha sbagliato!» urla come
una pazza. Le vene del collo si
gon ano e la faccia è tutta
congestionata, gocce di saliva si
nebulizzano nella luce della sala.
«Vedo che non ci siamo capiti,
signorina Ottaviani.» Anche il
tappezziere adesso inizia a
scaldarsi. «Io non ho sbagliato
proprio niente.»
«Che
cosa?!»
Linda
è
decisamente fuori dai binari. «Ha
anche il coraggio di negare che è
tutta
colpa
sua?
Dovrebbe
vergognarsi!» Linda butta giù il
telefono, è esplosa.
«’Fanculo! Non sai fare il tuo
lavoro e scarichi la responsabilità
addosso a me? Brutto incompetente
testa di cazzo!» In un impeto di
nervosismo, Linda dà un pugno sul
tavolo di legno massiccio.
«Ahiaaa!» urla poi, senza
contegno. Una smor a di dolore
acuto le si disegna sul viso. «Cazzo
che male!» Stringe gli occhi,
contrae le mascelle. Si prende la
mano ammaccata con l’altra: un
rivolo di sangue le sta sporcando
una nocca. Prova a muovere le dita
ma fa fatica, si piega in due.
In
quel
momento
entra
Tommaso, che si è precipitato giù
dal piano di sopra, sentendola
sbraitare al telefono. Si sta
maledicendo per non essere
arrivato in tempo a impedirle di
fracassarsi la mano. Le si avvicina,
cauto. «Che succede?»
Linda solleva lo sguardo dal
pavimento. «Succede che quel
de ciente del tappezziere ha
sbagliato
il
colore
del
rivestimento.» Gesticola furiosa con
la mano sana in direzione delle
sedie. Trema tutta, fatica a
respirare, batte i piedi.
Tommaso, invece, è il suo
specchio inverso: mantiene il solito
tono di perfetto autocontrollo. Le
mette una mano sulla spalla.
«Calmati,
Linda»
le
dice,
rassicurante.
«No che non mi calmo!» È
indignata, e si è messa a piangere,
isterica.
«Su,
vieni.»
Tommaso
l’accompagna con gentilezza no
al
divanetto
nell’angolo.
«Aspettami qua. Vado a prendere
qualcosa per medicarti.»
«Ma no, non serve» sbu a lei.
All’improvviso sembra un’altra, ha
persino ripreso colore in viso.
«Invece sì. Serve. Ti ho detto di
aspettarmi qui, e questa volta
ubbidirai agli ordini di qualcuno»
Tommaso le lancia un’occhiata
severa, «giusto?» Poi scivola fuori
dalla stanza, i passi che
riecheggiano nel corridoio.
Linda avrebbe voglia di urlare e
liberarsi da tutto quel groviglio di
emozioni, invece chiude gli occhi e
appoggia la testa alla parete. Non
può accettare di aver perso quella
battaglia che le sembrava così
semplice. Ma quel tappezziere
gliela pagherà cara, di questo è più
che sicura.
Un minuto dopo, Tommaso è di
ritorno con una bottiglia di
disinfettante, del cotone e un
rotolo di garza, recuperati dalla
cassetta del pronto soccorso nel
bagno di servizio. Si siede accanto
a Linda, le prende la mano con una
delicatezza che lei non ha mai visto
in altri uomini: è un contatto, il
suo, che riscalda e rassicura.
Imbeve il cotone di disinfettante e
glielo preme con leggerezza sulla
ferita. «Ti brucia?»
«Un po’, ma è sopportabile.»
Sarà perché la mano di Tommaso è
calda, sarà perché sentirla sulla sua
è piacevole, ma prova una specie
di scossa uida giù nel ventre. Non
sa spiegarselo, ma ha qualcosa di
erotico.
Tommaso la guarda con i suoi
penetranti occhi grigio blu. E lei si
scioglie. «Non capisco perché tu ti
sia infuriata tanto.» Inclina un po’
la testa.
«Perché sono fatta così.» Linda
alza le spalle. «Non riesco a
tenermi dentro le emozioni, belle o
brutte.»
Tommaso è a ascinato e
incuriosito. «Ok, ma non era il caso
di arrivare a farsi addirittura del
male» e avvolge con cura due giri
di garza attorno alla mano.
«È che non mi controllo. È come
se un’altra Linda prendesse il
sopravvento su ogni parte di me»
risponde lei, con un tono da ribelle.
A Tommaso viene da sorridere
per il modo bu o in cui Linda
reagisce agli stimoli. Gli ricorda
qualcuno, forse addirittura lui da
ragazzo. Prima che sua madre lo
lasciasse. Prima di decidere che
avrebbe avuto il dominio totale su
ogni suo sentimento. Le blocca la
garza con un nodo. «Stringe?»
«No.»
Tommaso la ssa dritto negli
occhi. «Forse è meglio se lo chiamo
io, il tappezziere.»
«Pensi di riuscire a fargli
cambiare idea?» Lo dice quasi
digrignando i denti, e solo a
sentirlo nominare, le risale un
fremito di rabbia.
«Tu lasciami provare» la
tranquillizza Tommaso, con quel
suo tono che sembra appianare
tutto.
«Se
proprio
insisti,
accomodati…» Linda gli mette
sotto il naso il telefono, già
impostato per chiamare il numero
del tappezziere.
Tommaso lo prende, si schiarisce
la voce, s ora il rettangolo verde.
Poi si sposta qualche passo più in
là.
Linda lo osserva da seduta; le
arrivano soltanto dei frammenti di
conversazione, più che su cienti
per a errare il senso generale del
discorso. Tommaso ha questo modo
elegante e ovattato di muoversi,
sembra una pantera pronta a
scattare, e parla con un tono così
inconfondibilmente diplomatico e
persuasivo
da
sembrarle
stucchevole. Eppure funziona, a
giudicare dalle parole che riesce a
captare. Ascoltandolo, constata con
amarezza che lei non è proprio
nata per risolvere i con itti. Lui,
invece, a quanto pare ne ha fatto il
suo mantra, oltre che la sua lucrosa
professione. È davvero un maestro
se c’è da contrattare. E poi è così
radicato e fermo. Dà sempre l’idea
di sapere perfettamente cosa fare o
dire, e di non perdere mai il
controllo della situazione.
Ecco, ce l’ha fatta. Sta ritornando
verso di lei. Un sorrisetto
soddisfatto sulle labbra. Ha
convinto il tappezziere a rifare il
lavoro.
Pazzesco!
Molto
probabilmente, la stessa persona
che poco fa con lei era ostile e
tranchant, ora con lui è stata
disponibile e aperta al dialogo.
Tommaso chiude la chiamata. Si
volta verso Linda con un sorriso
trionfale. «Tutto risolto.» Le
restituisce il telefono. «Avremo le
nuove sedie per tempo.» Scendere a
compromessi, invece di andare allo
scontro, a volte aiuta: nessuno lo
sa meglio di lui.
Dopo che Linda ha ripreso a
lavorare, Tommaso è salito
all’ultimo piano della villa per
rifugiarsi nel giardino d’inverno.
Questo luogo è diventato il suo
piccolo angolo di Eden: qui la
calma regna sovrana, il frastuono
del mondo non esiste, la bellezza si
manifesta nelle forme straordinarie
delle piante, autentiche opere
d’arte naturali.
Sono trascorse ormai un paio
d’ore da quando è qui, ha perso la
cognizione del tempo. A erra le
forbici da giardiniere e si mette a
potare la Black Baccara, una delle
più belle rose inglesi che esistano,
di un rosso scuro con venature
nere, la consistenza del velluto, le
linee che seducono. Tommaso ha
un’espressione
concentrata,
i
muscoli delle braccia in tensione
sotto la camicia bianca, gli occhi
attenti. Ogni tanto si guarda
intorno, respira l’energia del luogo,
e pensa che Linda è stata davvero
magni ca:
l’intuizione
di
trasformare in giardino questo
angolo negletto della villa ha del
geniale. È anche entusiasta di come
l’ha arredato: so tto con le
antiche travi a vista, lampade a
lanterna, colonne di sostegno in
marmo bianco, aiuole con i muretti
in pietra a secco, un mobile per gli
attrezzi in noce massiccio, un
tavolo in ferro battuto e un divano
rivestito in broccato blu. E poi, al
centro della stanza, la piccola
fontana di roccia che e onde
nell’aria un vapore e una luce
giallo
oro,
producendo
un
piacevole suono da atmosfere zen.
Ripone il vaso con la Black
Baccara sul davanzale in marmo di
una delle nestre, poi si concentra
su una pianta di Medinilla che, si
accorge controllando il terriccio e
le foglie, ha bisogno di un velo
d’acqua. Prende il nebulizzatore e
spruzza con delicati tocchi precisi,
ricoprendo foglie e ori di piccole
gocce.
In quell’istante esatto, sulla
porta alle sue spalle, compare
Linda. Non ha mai osato invadere
il regno segreto di Tommaso con
dentro lui. E l’idea di essere lì in
quel momento le mette addosso
una sottile eccitazione. Lo spia da
dietro: è a ascinante, deve
prenderne atto. Ha quell’aria
solida, quelle braccia muscolose, e
poi quel fondoschiena così perfetto
da
sembrare
una
statua.
Guardandolo
non
riesce
a
trattenere dei pensieri sconvenienti
– non che abbia la minima
intenzione di farlo…
Linda forza un leggero colpo di
tosse.
Tommaso si volta. «Ah, sei tu…»
La osserva con interesse acceso, un
misto di curiosità e desiderio.
«Sì» dice lei, avanzando di
qualche
passo.
«Stavo
per
andarmene, ma volevo prima
salutarti.» Per tutto il tempo in cui
è stata sotto a lavorare, le è
sembrato di percepire la presenza
di Tommaso: una sensazione
stranissima, quella che l’ha spinta a
salire nel giardino, quasi fosse
stato lui a chiamarla.
«Come va la mano?» Tommaso la
indica con il mento.
Linda se la porta davanti al viso.
«Meglio.» Poi la rimette giù. «Molto
meglio.»
«E il tappezziere?»
«Se n’è appena andato. Ha
assicurato che in tre giorni ci
porterà le sedie con i nuovi
rivestimenti.» Linda si stringe nelle
spalle, non riesce ancora a credere
a quanto ha detto.
«Benissimo.»
«A
proposito,
volevo
ringraziarti.» Linda abbassa lo
sguardo, poi lo rialza, e i suoi occhi
sono riconoscenti, pieni di luce. «Se
non fosse stato per te…»
Tommaso fa un accenno di
sorriso. Certe espressioni di lei lo
rapiscono.
Sono
spontanee,
incontrollate, e colme di una grazia
naturale che non ha mai conosciuto
in nessun’altra donna.
Linda osserva la Medinilla tutta
cosparsa
di
goccioline
che
luccicano. È affascinata dalle forme
e dai colori, le grandi foglie ovali
solcate da nervature bianche, i ori
pendenti rosa antico, i pistilli che
sembrano fatti di zucchero.
«Ti piace?» le chiede Tommaso.
«Moltissimo.» Linda sorride, le si
forma una fossetta sulla guancia
destra.
«È una pianta tropicale,
originaria dell’isola di Giava»
spiega Tommaso.
«È un vero capolavoro» dice lei,
incantata. Il verde dei suoi occhi è
più acceso che mai.
«Nel suo habitat naturale può
raggiungere anche due metri e
mezzo di altezza» continua lui. «Ma
non sono piante facili: bisogna
avere pazienza e osservare precise
regole di coltivazione, se le si
vogliono vedere in fiore.»
A Tommaso non mancano certo
pazienza e regole, pensa Linda, che
all’improvviso se ne esce con
questa domanda: «E tu come fai a
mantenere sempre la calma?».
«Non è di cile. Basta conoscere
e saper prevedere le proprie
emozioni.» Tommaso lo dice come
se ne avesse fatto una loso a di
vita. «Alla ne, è tutto un discorso
mentale, sai.» Si picchietta una
tempia con le dita.
«Sarà…» Linda aggrotta le
sopracciglia. «Ma io proprio non ci
riesco.» Fa un lungo sospiro, è
spazientita solo a parlarne. «Cioè,
voglio dire, come fai a controllare
un’emozione che ti nasce dentro? È
come un temporale, un terremoto:
quando arriva non ti avvisa di
certo, e senz’altro non puoi
fermarla.» Agita le mani nell’aria.
Sta uscendo di nuovo la sua anima
più passionale.
Tommaso si gode l’essenza delle
sue espressioni, sorride per la sua
totale mancanza di ltri. «Però
puoi
sempre
imparare
a
riconoscerne i segnali e a calmarla,
o per lo meno a metterti al riparo,
prima che sia troppo tardi.»
Ecco qua, è arrivato al cuore del
problema: il predominio della
ragione sul cuore. Linda è colpita,
e anche se non condivide, il suo
modo di parlare la a ascina. Ha
come l’impressione che Tommaso
vanti su di lei, e su tutti in
generale, una sorta di superiorità
spirituale, come se il suo controllo
estremo facesse di lui un essere
umano più evoluto, lontano da
tutti.
«Le passioni le puoi dominare, se
davvero lo vuoi» continua lui,
ssandola con una soglia di
attenzione
sconcertante.
«Le
emozioni in sé e per sé non
esistono, sono soltanto creazioni
illusorie della nostra mente.»
Mentre parla con Linda lì davanti
a lui, non sa perché ma non è più
troppo convinto di quello che sta
dicendo.
«Sei sempre stato così, tu?» lo
incalza lei.
Tommaso annuisce, il usso tra i
loro sguardi adesso è un’onda, si
può toccare. «Controllarmi è quel
che ho imparato a fare n da
bambino.» Sta mentendo, sa
benissimo quando ha cominciato a
farlo. «Mi sono sempre imposto
una ferrea autodisciplina, per
raggiungere gli obiettivi che avevo,
ma anche per prendere le distanze
da mia madre, per non diventare
come lei.» All’improvviso la sua
espressione si fa cupa. Si appoggia
con la schiena al davanzale della
finestra centrale.
Linda muove un passo verso di
lui. «Perché, com’era tua madre?»
«Una donna straordinaria. Ma
per tutta la vita ha so erto a causa
degli altri, ed è rimasta in balìa di
se stessa e delle proprie fragilità.»
Tommaso alza lo sguardo verso
l’alto, come a cercare un ricordo.
«Aveva un carattere instabile, era
troppo emotiva. Cambiava umore
con una velocità che mi lasciava
sempre allibito.»
«Un po’ come me, insomma.»
«Sì, ma senza la tua forza vitale»
sorride Tommaso, scrutandola con
un’urgenza sconosciuta. Lei gli
piace, se ne rende sempre più
conto, e non può farci nulla. È
diversa dalle altre donne che ha
incontrato: è libera, senza regole e
senza limiti. Ma di una libertà
reale, che non si risolve in una
trasgressione di facciata. Sì,
d’accordo, forse a volte è un po’
esagerata e sopra le righe, ma
questa sua personalità così diretta e
sincera lo strega totalmente.
«È il tuo modo per dirmi che
sono un disastro?» Linda gli si
avvicina ancora, adesso è a pochi
centimetri dal suo viso.
Tommaso distoglie per un istante
gli occhi da lei, si gira verso la
porta. Un’intensità misteriosa gli
altera il ritmo del cuore, glielo fa
battere in un modo che non è
normale. All’improvviso a erra
Linda per un polso, se la tira
contro, le prende anche l’altro
polso. «Sì, sei un disastro dei più
devastanti» le sussurra. Un vortice
di pensieri folli gli gira nella testa,
troppo veloce per fermarlo. E che
vada al diavolo tutta la sua teoria
sul controllo delle emozioni. Di
fronte a lei, gli sembra un castello
di sabbia nel mezzo di uno
tsunami.
Linda sente un brivido salirle per
la spina dorsale, no alla nuca, e
ancora più su, n sotto i capelli.
Gli si preme contro, la pelle che
scotta, i liquidi del corpo che vanno
in circolo, bollenti.
«Linda Ottaviani… tu lo sai che
non dovremmo, vero?» Tommaso
scuote la testa, arretra un po’. La
guarda, incerto: che razza di gioco
stanno facendo? E soprattutto, qual
è il suo ruolo? Vorrebbe riportare il
cuore a un battito normale, ma non
ci riesce: c’è un’insopprimibile
tensione erotica tra loro. Non può
più negarlo.
«Tommaso Belli, l’uomo delle
regole…» Linda ride, eccitata. E
per nulla spaventata.
Poi, in un attimo, le parole
diventano del tutto super ue.
L’atmosfera
si
carica
di
un’elettricità
trepidante,
primordiale. Stanno condividendo
le stesse intenzioni, i sensi di
entrambi sono in allerta. Non c’è
dubbio, non c’è spazio per
equivoci.
Linda gli preme le labbra contro
le labbra, gli spinge la lingua nella
bocca, forte.
Tommaso vive pochi secondi di
perdita totale che gli toglie l’aria
dai polmoni, il sangue dal cuore, la
forza dalle gambe. Poi l’eccitazione
del bacio richiama altre sensazioni
di godimento più profonde, ancora
più difficili da contenere.
Si schiacciano e stro nano con
urgenza l’uno contro l’altro, e
intanto la mano di Tommaso
scende no all’orlo del vestito di
lei, lo solleva, risale sulla pelle
nuda delle sue gambe muscolose, su
su, con il dito medio che prende a
vibrare contro la seta umida delle
mutandine.
Linda allarga le cosce, muove la
lingua contro quella di lui, va
indietro nché tocca con i polpacci
il muretto di un’aiuola. In la una
gamba tra quelle di Tommaso e la
struscia contro i pantaloni di lino
morbido, no a dove lo trova tutto
duro e fremente.
Tommaso si leva la camicia, la
lascia cadere sul pavimento. È
intossicato
dall’adrenalina,
i
muscoli del petto in tensione, i
ri essi nervosi molto più veloci dei
pensieri. Strappa il vestito a Linda,
con un impeto che lui stesso stenta
a riconoscere, la prende in braccio
e la adagia sul divano di broccato
blu.
Lei gli allenta la cintura dei
pantaloni, gli sbottona la patta,
glieli tira un po’ giù. I boxer che lui
ha addosso le sembrano una
scoperta vera: di Derek Rose,
talmente stirati che lui potrebbe
anche uscire la sera con solo quelli
addosso senza dare scandalo. Il
segno intimo di un maschio di
un’altra categoria rispetto a tutti
gli altri uomini che ha visto in
mutande no ad ora: sono i boxer
di chi sa vivere al top, di uno che
conosce perfettamente le donne e sa
trovare i modi giusti per baciarle,
accarezzarle, per muovere quel dito
avanti e indietro, né troppo forte
né troppo piano. Come sta facendo
adesso. Con la pressione giusta,
con l’insistenza giusta. Poi, a un
tratto, Tommaso scosta l’elastico
che stringe la coscia e scivola sotto,
un po’ prepotente e insieme
delicato, a penetrare nell’umido
caldo, ma solo appena, con avidità
e misura.
Per lui è un gioco carnale,
in nitamente
pericoloso,
impossibile da tenere a freno. Si
sente invaso da un’onda emotiva
che sta spazzando via qualunque
resistenza della ragione. Non è più
lui, le toglie le mutandine e con la
lingua si avventa sul sesso di lei. Di
colpo non gli importa più niente
delle possibili conseguenze dei suoi
gesti: tutto quello che conta è
l’intensità vibrante e sovversiva del
momento, la passione senza freni
che lo attraversa. È una corrente
più forte della volontà, che riporta
in vita parti sopite della sua
natura, impulsi sepolti sotto strati e
strati di atteggiamenti perfezionati
in anni di infinita determinazione e
coerenza.
Linda gli libera il sesso
dall’elastico dei boxer. Lo guarda,
senza pudore: è bello, uno dei più
belli che le sia mai capitato di
vedere. Lungo, liscio, fatto a regola
d’arte. E duro. Tanto duro.
Ansimano sullo stesso respiro, si
schiacciano e strusciano e frugano
con sempre più foga; c’è tutta
questa frizione, tutto questo calore,
tutti questi liquidi bollenti,
vischiosi. Tommaso la penetra con
una spinta potente. Lei se ne lascia
devastare; è sotto di lui, e con lo
sguardo gli sta chiedendo di non
fermarsi. Lui prende un ritmo
deciso. Gemono, urlano i loro
nomi, fanno echeggiare le voci in
suoni sempre meno articolati. È un
crescendo inarrestabile di cuori che
battono, sangue che circola,
polmoni che pompano, pelle che
suda. Il chiaro della luce dorata, il
vapore della fontana che si fonde
insieme a quello del loro ato, il
respiro delle rose che aleggia sul
profumo dei loro corpi.
Linda si sente lì lì per lasciarsi
travolgere, andare a fuoco; respira
sempre più a fondo, butta la testa
all’indietro, tende ogni muscolo,
dalle caviglie alla nuca, no quasi
a farsi male.
Fino a esplodere sotto di lui,
insieme a lui, in in nite schegge
liquide, nel loro lancinante
orgasmo segreto, qualcosa che
sconvolge i sensi e nello stesso
istante scalda il cuore.
11
Invidia
«È perfetto, Dana, proprio come
lo volevo! Tu mi leggi nel
pensiero… sei una strega, di’ la
verità…» Linda si guarda nello
specchio a parete della sartoria,
sorride soddisfatta e poi fa un giro
su se stessa, per avere la visuale
completa.
Trovare il vestito giusto è stata
un’odissea. Ha perlustrato tutti i
suoi negozi preferiti a Treviso, ma
non c’è stato verso di scovare
qualcosa di particolare, che si
avvicinasse almeno un po’ all’idea
che aveva in testa: originale e di
classe. Non voleva il solito abito da
cerimonia per un evento come
l’inaugurazione di villa Belli. Così,
dopo un’estenuante serie di giri a
vuoto nelle boutique del centro,
Linda ha deciso di comprarsi la
sto a e farsi cucire il vestito su suo
disegno da Dana, la sarta russa –
anche se de nirla “sarta” è
davvero riduttivo – che fa le cose
esattamente come le vuoi tu.
È
stato
proprio
da
Tessuti&Tessuti, il paradiso del
taglio e cucito, che le è capitato di
incontrare Marcella. Linda si stava
già avviando alle casse, con un
rotolo di crêpe cady sotto braccio,
quando se l’è vista sbucare fuori
dal reparto merceria, intenta a
spingere un carrello traboccante di
sto e a fantasia e a quadretti
bianchi e blu. Ma ha stentato a
riconoscerla, perché Marcella
questa volta non aveva per nulla
l’aspetto ultra patinato a cui lei è
sempre stata abituata. Sembrava
uscita
dal
set
di Desperate
Housewives, però con un’aura
molto più casalinga e soprattutto
molto
più
disperata
delle
protagoniste della serie: quasi
sfatta, si è ritrovata a pensare
Linda.
La
faccia
sbattuta,
pallidissima, le occhiaie, la
ricrescita ben evidente, e un
vestitino a ori da grandi pulizie di
primavera.
«Marcella!» Linda le è andata
subito incontro con uno slancio di
entusiasmo, cercando di camu are
lo straniamento che provava.
«Ciao, tesoro…» L’amica ha
risposto con un sorriso tirato,
quello di chi sperava di non essere
vista. «Come stai?»
«Io bene» ha risposto Linda. «E
tu…?»
«Eh, abbastanza, dài. Ma tu cosa
ci fai qui?»
«Ho preso questo tessuto per
farmi un vestito.» Linda le ha
messo sotto il naso il rotolo di
crêpe cady rosso cadmio.
«Bellissimo!» Marcella ne ha
accarezzato un lembo con occhi
sognanti.
«In giro non sono riuscita a
trovare nulla di carino, così ho
pensato di farmi fare un abito su
misura. E me lo sono disegnato.»
«Grande idea!» ha annuito
Marcella. «È per un’occasione
particolare?» ha chiesto poi, e si
vedeva chiaramente che stava
morendo dalla curiosità.
«Sì,
è
per
la
festa
d’inaugurazione della villa che ho
arredato. Ti ricordi? Credo di averti
parlato di villa Belli…»
«Ma certo! Dev’essere un posto
splendido.» A sentire la notizia,
sembra quasi che Marcella abbia
preso colore in viso. E Linda
avverte una punta d’invidia nella
sua voce. «Dicono che il
proprietario sia bellissimo. E poi,
se fa il diplomatico, dev’essere uno
a cui certo non mancano i soldi…»
«Sì,
confermo
tutto»
ha
commentato Linda un po’ vaga,
per cambiare subito discorso: ha
sempre mal tollerato le chiacchiere
di paese. «E tu? Cosa devi farci con
tutta questa roba?» ha domandato,
sbirciando dentro il carrello di
Marcella.
«Le tovaglie per la casa al mare»
risponde, e le sfugge un sospiro da
madonna addolorata. «Ho i tavoli
fuori misura. E poi le lenzuola,
perché anche i letti sono fuori
standard.» Poi ha alzato gli occhi al
cielo. «Sai com’è Umberto, lui vuole
le cose perfette…»
«A proposito, come sta? Andrete
un po’ in vacanza, vero?»
«Speriamo! Deve solo decidere in
quali settimane chiudere lo studio.»
Marcella ha fatto uno sbu o
d’inso erenza. «Che poi, parlare di
“vacanza”…» ha storto la bocca,
«con i bambini non è certo il
massimo del relax!»
«Be’, ti capisco» ha mentito
Linda, lontana anni luce dal
comprendere il carico di lavoro che
due gli piccoli possono in iggerti.
«E i due diavoletti come stanno?»
«Bene! Figurati… loro stanno
come dei pascià. Ma oggi li ho
lasciati alla nonna, per fortuna» ha
risposto, sollevata. Poi ha fatto una
pausa lunghissima e ha guardato
Linda dritto negli occhi. E, come se
fosse in confessionale, a un certo
punto Marcella è esplosa: «Io li
amo più di me stessa, i miei due
mostriciattoli, ma ascoltami bene,
tesoro: non avere fretta di fare
gli. Ti giuro che tra i bimbi e le
pretese di Umberto, arrivo a sera
che non ce la faccio più. E vorrei
solo scappare».
Linda, in verità, ad avere una
famiglia non ci ha ancora
nemmeno pensato, e la situazione
di Marcella fa davvero fatica a
immaginarsela.
«Scusa,
ma
Umberto non ti aiuta un po’?» le ha
chiesto, quasi scandalizzata.
«Come no… Non sai quanto!»
Marcella ha fatto un gesto nervoso
nell’aria. «È così concentrato su se
stesso e sul lavoro che a volte ho
l’impressione si dimentichi di me.»
«Ma non dire così, non ci credo
minimamente.»
Marcella ha annuito, poi le ha
sussurrato all’orecchio: «E ti dirò di
più, è da un bel po’ che lo faremo
sì e no una volta ogni due mesi».
«Oddio, non ci credo!» Linda si è
messa una mano sulla bocca, sotto
shock. Ed è stato in quel preciso
istante che una certa idea le è
balenata in testa. «Marce, stavo
pensando… ma perché non inizi a
ritagliarti un po’ di tempo per te e
non vai nella palestra che
frequentavo io?» ha buttato lì con
un
tono
dichiaratamente
ammiccante. «Magari ti rilassi un
po’. Fare sport aiuta, sai.» E qui le
ha strizzato l’occhio, per fugare
ogni dubbio sulla sua proposta.
«Ma come faccio?» Marcella ha
scosso la testa, perplessa. «Con i
bambini e tutto il resto, non saprei
dove trovare il tempo.»
«La palestra è aperta dalle otto
di mattina alle dieci di sera» ha
replicato
Linda,
pronta
all’obiezione. «Vuoi non riuscire a
ritagliarti un’oretta tutta per te?»
«Forse…»
In un lampo Linda ha preso il
telefono dalla borsa e si è messa a
cercare nella rubrica. «Senti, ti
lascio il numero di Davide. È il
personal trainer» ha spiegato, con
un sorriso malizioso. «Chiamalo,
che poi lui ti fa un bel
programmino.»
«Grazie!» le ha risposto Marcella,
con un sorriso riconoscente, e si è
a rettata a memorizzare il numero
sul suo cellulare. «Mi sa proprio
che lo chiamerò.» Altro sorriso, più
sfacciato. «E poi ti farò un bel
report dettagliato, amica mia…»
Ora che Linda è nell’atelier di
Dana ad ammirare il suo rotolo di
crêpe cady trasformato in vestito
d a grande soirée, le viene da
pensare che è stato davvero un
colpo di genio dare il numero di
Davide a Marcella. Non sa bene il
motivo, ma ha la netta sensazione
che i due si piaceranno.
«Oh, Dana, un lavoro migliore
non potevi farlo!» esclama su di
giri. In e etti, la sarta ha compiuto
un vero miracolo: realizzare
nell’arco di due giorni un abito
destrutturato
con
gonna
drappeggiata a strascico e corpetto
ricamato in pizzo non è proprio
un’impresa da tutti. «Sei la mia
Vivienne Westwood, la regina di
tutte le sarte!»
«Cara, mi sono limitata a seguire
il tuo disegno.» Dana si stringe
nelle spalle. In e etti, chiamarlo
“disegno” è un po’ esagerato: Linda
le aveva portato uno schizzo fatto
in velocità su un foglio di giornale
strappato. Più un’intuizione che
una vera e propria traccia da
seguire. «Se posso consigliarti,
aggiungerei questa.» Le mette sulle
spalle una stola di tulle nero che
richiama il ricamo del corpetto.
Linda si specchia un’ultima volta,
di fronte e poi di lato. «Sì, mi hai
convinta» dice. «Ora scappo perché
sono in ritardissimo. La festa inizia
praticamente tra un’ora.» Si
sgancia la zip laterale e sguscia
fuori dal vestito.
«Vai, vai… Però mi raccomando:
voglio le foto del tuo out t e
dell’evento. Così le appendo qui
nell’atelier, come si fa con le dive!
E torna presto a trovarmi» dice
Dana.
«Questo è poco ma sicuro… e ti
farò come sempre un bel po’ di
pubblicità!» Linda le dà un bacio
a ettuoso sulla guancia e scappa
via.
Alessandro arresta la sua Mini
con una frenata secca, sollevando
una nube di polvere bianca davanti
alla Casa Azzurra, e inizia a
strombazzare il clacson come un
ossesso. Scende dall’auto e lancia
un paio di schi in aria per farsi
sentire meglio. Finalmente è
arrivato, con soli cinquanta minuti
di ritardo. Linda esce di corsa, si
chiude la porta alle spalle, scavalca
i
due
gradini
dell’ingresso
rischiando di inciampare sui
sandali tacco dodici e gli va
incontro fingendosi furibonda.
«Ti pare l’ora di arrivare?! Siamo
in super ritardo!» gli urla.
«Rilassati… stai calma! Vorrà
dire che ci aspetteranno.» Prova
uno strano groppo in gola a
vederla con quell’abito rosso: toglie
il ato. «Mi ero messo a lavare la
macchina per l’occasione, ma il
tempo è volato.» Se la mangia con
gli occhi. «Certo che sei una gnocca
da paura, vestita così!»
«Grazie.» Linda ride per la sua
espressione colorita, e intanto lui le
ha già scattato una foto con
l’iPhone. Guarda la Mini tirata a
lucido. Poi osserva lui da vicino.
«Fatti un po’ vedere.»
Alessandro gon a il petto e
sorride con una certa spavalderia.
«Ti piaccio?»
È la prima volta che Linda lo
vede in smoking. Lo trova
bellissimo, sembra un modello.
«Puoi andare» dice lei, con
noncuranza.
Ostenta
un’espressione indi erente, mentre
lo
studia
centimetro
per
centimetro, ma dentro di sé sorride
di gusto.
« C o m e puoi andare?» ribatte
Alessandro, piccato.
«Scemo.» Linda gli dà una pacca
sul petto. «Stai da dio. Sei un go
pazzesco!»
«Ah, ecco, mi sembrava.»
Alessandro riprende la sua faccia
spavalda.
«Dove l’hai recuperato ’sto
smoking? Non è roba da te.»
«L’ho a ttato.» Alessandro
estrae un cravattino dalla tasca
della giacca. «Sono un uomo pieno
di risorse. Mi fai il nodo?»
«Dammi qua.» Linda glielo passa
intorno al collo e lo annoda
all’altezza giusta, aggiustando il
colletto della camicia di seta rossa.
«Sembra che ci siamo messi
d’accordo sui colori.»
«No, ragazza, è che io so leggerti
nel pensiero. Te lo sei scordata?»
Alessandro le tocca la fronte con le
dita a forbice.
«Sì, a distanza!» Linda si diverte
a prenderlo in giro, ma lo sa anche
lei che sono legati da un lo
invisibile, rosso, per l’appunto.
«Andiamo, dài, che è tardissimo.»
« Madame. » Alessandro le apre la
portiera, e l’aiuta con lo strascico
della gonna. Poi si siede al suo
posto, mette in moto e sgomma
via, con il tettuccio aperto e i
finestrini tutti giù.
Arrivano alla villa che sono già
le dieci e mezza. E l’invito diceva
che la festa sarebbe cominciata alle
dieci. Le colline intorno si perdono
nel buio caldo dell’estate, le stelle
disegnano in cielo scie e
costellazioni.
Alessandro parcheggia la Mini
nello spiazzo subito dopo il
cancello. Percorrono a piedi il
vialetto d’ingresso, disseminato di
grandi lumini a cera, mentre sopra
le loro teste oscillano le di
lanterne di carta, che proiettano a
terra aloni di luce rossa. C’è già
molta gente, donne elegantissime,
un’esplosione di chi on, seta,
ta età, raso; gli uomini, quasi tutti
in smoking o in doppiopetto.
Vedono l’architetto Bosi in
completo bianco che si lamenta con
Ivanka, fasciata in un tubino di
lamé inguinale. È inciampato in
uno dei giganteschi lumini pieno di
cera bollente e se l’è mezzo
rovesciato addosso.
Ivanka
si
abbassa
per
controllargli le condizioni della
gamba. Cerca di sollevare piano la
sto a bianca, staccandola dalla
pelle bruciata. «Amore, che
disastro» miagola. Manca solo che
si metta a leccargli il polpaccio. È
imbarazzante.
«Dài, Ivy, lascia stare. Mi sistemo
in bagno.» Bosi la scalcia quasi via.
«Ma che diavolo ti è successo?»
gli chiede Linda, passandogli
accanto.
«Niente, niente.» Bosi cerca di
darsi un contegno. «Ivy, alzati, su.»
Prende Ivanka per una spalla.
«Architetto.» Alessandro lo saluta
con un cenno del capo, poi supera
la coppia. Si rivolge a Linda
sottovoce: «Che personaggio, il tuo
capo. E tu prenderesti ordini da
lui?». Poi fa una risatina cattiva.
«Ale, io non prendo ordini da
nessuno. Dovresti saperlo… Mi fa
solo tenerezza quando lo sento
sbraitare in studio, poveretto!»
«E io scommetto che in quanto
ad acuti tu lo superi alla grande.»
«Infatti. Come soprano sarei
stata una bomba, ma ho scelto la
strada del design, caro mio. I
palcoscenici dovranno fare a meno
di me!» conclude, esibendosi in una
specie di gorgheggio strozzato.
«Scema!»
Sulla scalinata d’ingresso sono
disposti altri lumini, un po’ più
piccoli di quelli del vialetto, due
per ogni gradino. Dal salone della
villa proviene una musica quasi
tribale, con dei bassi molto forti,
come un tamburo ostentato che fa
vibrare l’aria calda. All’ingresso,
d u e door selectors vestiti di nero
con gli auricolari controllano gli
inviti sui loro iPad. Nadine ha fatto
le cose in grande.
Quando Linda fa il suo nome, i
buttafuori la salutano con molta
gentilezza, non la spuntano
nemmeno dalla lista, come se già
sapessero chi è. Devono essere stati
avvertiti, anche se in questo caso di
certo non è opera di Nadine.
Linda rivolge un sorriso complice
ad Alessandro, lo prende per mano
e lui la asseconda nell’inscenare il
loro ingresso teatrale.
Una volta dentro, si mescolano
alla folla che si muove per le varie
sale, incrociandosi secondo tutte le
direttrici geometriche. Frotte di
camerieri in sari argentato si
aggirano tra gli invitati reggendo
vassoi colmi di calici di champagne
e poi tartine con granchio,
aragosta, gamberetti, porcini,
caviale rosso e nero, bottarga di
muggine, burro e tartufo bianco.
Tutti i cliché del lusso, serviti con
classe ed eleganza.
Sia Alessandro che Linda
prendono un calice e una tartina,
poi si siedono su un divanetto a
osservare la fauna umana che
popola la stanza. Riconoscono tre
politici abbastanza famosi, con
rispettive compagne o amanti di
turno,
un’attrice
francese
(verosimilmente amica di Nadine)
che ora sta parlando con un noto
imprenditore edile della zona e uno
scrittore di noir. Due ragazze si
aggirano ai lati opposti della sala e
si osservano con odio a distanza,
perché si sono ritrovate con lo
stesso abito blu elettrico.
Linda cerca Tommaso con gli
occhi. È tesa. Non l’ha più rivisto
da quando hanno fatto l’amore nel
giardino d’inverno e non sa cosa
aspettarsi; in verità, non saprebbe
nemmeno cosa dirgli. Non si tratta
di imbarazzo, lei non si sente
praticamente mai a disagio, ma
diciamo che trovarsi nello stesso
luogo in cui si aggira anche la
compagna dell’uomo che si è
portata a letto non è esattamente
la situazione più rilassante che
abbia mai vissuto. Fino ad ora è
riuscita a non tornarci su con la
mente, tutta presa dai preparativi
della festa e dai lavori della casa,
ma
qui,
nella loro villa, è
impossibile non provare un minimo
di agitazione, anche per uno spirito
libero come lei.
È Tommaso a toglierle il
pensiero, sbucando da una porta
alle loro spalle. «Benvenuti» li
accoglie, con il tono del perfetto
padrone di casa. Poi saluta Linda
con due baci sulle guance. Ed è in
quel momento che Alessandro si
accorge di un impercettibile
arrossamento sulle gote di Linda.
Dura solo un istante. Ma nessuno
la conosce come Alessandro, che
non dice nulla e si appunta questo
piccolo segnale in testa. La sua
amica, evidentemente, non gli ha
raccontato proprio tutto su
Tommaso.
«Lui è Alessandro, un mio amico»
lo presenta Linda. E intanto fa una
scansione di Tommaso dalla testa
ai piedi: è sexy nel suo smoking
nero con i bottoni d’oro, ha tutto il
fascino dell’uomo in uniforme.
«Tommaso Belli.» Tommaso
stringe la mano ad Alessandro, e
gli elargisce il più splendido e
luminoso
dei
suoi
sorrisi
diplomatici.
Alessandro ricambia la stretta, fa
un cenno con il viso.
«Sta andando bene, mi pare,
no?» Tommaso cerca conferma in
Linda.
«Benissimo!» Linda annuisce,
anche se nota in lui un certo
distacco.
Poi Tommaso si volta, sentendosi
tirare leggermente per un braccio.
«Onorevole Galli, è un piacere
averla qui.» Si gira di nuovo verso
Linda e Alessandro e dice:
«Scusatemi, ci vediamo più tardi»,
prima di sparire insieme al tizio,
evidentemente un pezzo grosso.
Attraversano la sala e raggiungono
Nadine, bellissima nel suo abito a
sirena color cipria che ne esalta le
forme impeccabili.
Linda li osserva da lontano e non
capisce quel sentimento che sta
provando: è invidia? Gelosia? Non
che in questo momento le manchi
qualcosa, questo no, però a vedere
Nadine e Tommaso insieme, così
elegantemente perfetti, al centro
dell’attenzione di tutti, le viene una
specie di crampo allo stomaco.
Distoglie lo sguardo da quello
spettacolo, per rivolgerlo, con una
sorta di magnetismo animale, su
Alessandro, che se ne sta in silenzio
ma in testa è chiaro che ha un
vortice di pensieri. Linda non vuole
parlargliene ora, di Tommaso, ma
Alessandro intuisce benissimo che
c’è sotto qualcosa. «Dovrebbe
esserci anche mio zio, qui» gli fa
notare lei.
«Giorgio?»
«Sì, ma non lo vedo.»
Alessandro allunga il collo per
guardare meglio. «Non è quello
laggiù?»
Linda lo scorge, e apre la bocca,
sorpresa. «Ha portato anche
Fausto!» Lo riconosce dal nido
arru ato di capelli ricci che gli
arriva fino alle spalle.
«Il pianista» replica Alessandro.
«Lo conosci?»
«Altroché, è famoso!» dice, come
se fosse un suo grande fan. «Ma è
amico di Giorgio?»
«Sì. In realtà è un po’ più che
amico.» Linda lo dice quasi con un
sussurro. «Ma se spi eri qualcosa
in giro, giuro che ti ammazzo!» lo
minaccia, nascondendo un sorriso.
«Figurati, ti sembro il tipo che va
in giro a parlare?»
«No, tu no, certo… sai quanto
tengo a mio zio.» Linda saluta
Giorgio e Fausto, gli fa cenno con
la mano di raggiungerli.
È in quel momento che
Tommaso, dal centro della sala, le
lancia un’occhiata. E tutto il
castello di emozioni trattenute o
mai ammesse crolla in un so o.
Linda non può fare a meno di
ricambiare, con tutta l’intensità di
cui è capace. Il loro è un incontro
penetrante di sguardi, che produce
un’onda calda dentro il cuore di lei
e una tensione fulminea nel corpo
di lui.
Alessandro, cha ha visto tutto, le
dà una gomitata. «Lui ti piace,
vero?» le chiede, a bruciapelo.
Linda strabuzza gli occhi. «Lui
chi, scusa?»
«Ma come, chi? Tommaso. Lo
capirebbe anche un cieco, dài.»
A Linda scottano le guance.
Quando erano al liceo, lei e
Alessandro si con davano le
reciproche cotte; ma perché adesso
le sembra così difficile?
«Guarda che a me lo puoi dire,
eh!» Alessandro la pungola ai
fianchi.
«E va bene» confessa Linda. «Sì,
un po’ mi piace.»
«E a giudicare da come ti ssa,
anche tu gli piaci» osserva
Alessandro, improvvisamente più
attento. Guarda Tommaso, poi
torna su Linda. Un pensiero
fulmineo gli attraversa la mente.
«Di’ un po’, non è che tu e lui
avete…?» Sorride, con il tono di chi
ha colto un bambino con le mani
nella marmellata.
Linda si stringe nelle spalle, poi
distoglie gli occhi, alla disperata
ricerca di un’àncora di salvezza. Ed
ecco che l’àncora arriva. Giusto in
tempo per levarla dall’imbarazzo.
«Zio!» Si butta tra le braccia di
Giorgio, che nel frattempo si è
avvicinato a loro. Non è mai stata
così contenta di vederlo: in
doppiopetto scuro e papillon è una
visione bizzarra e impeccabile
insieme. Come tutte le sue
creazioni.
«Alessandro?» Giorgio si volta
verso il ragazzo accanto a sua
nipote.
«In carne e ossa.» Alessandro gli
dà una stretta di mano e una
piccola pacca sulla spalla. «È
passato un po’ di tempo…»
«Sono davvero contento di
vederti. Linda mi tiene sempre
aggiornato sui tuoi viaggi.» Giorgio
sprizza gioia genuina. «Lui è
Fausto.» Lo presenta come un
amico di vecchia data.
Per
qualche
minuto
si
trattengono a parlare, ridere, bere.
Poi è Fausto a lanciare la proposta:
«Che ne dite se ci buttiamo in pista
anche noi a ballare?».
«Sì! Scateniamoci» grida Linda,
entusiasta. Abbandona la stola di
tulle sul divanetto, mentre gli
uomini si spogliano delle loro
giacche.
Raggiungono il centro della sala,
dove c’è già un gruppetto di
scatenati che si è radunato attorno
a una provocante Ivanka. La
famosa deejay austriaca Dominique
Jardin – fortemente voluta da
Nadine e profumatamente pagata
da Tommaso – si sbraccia dalla sua
postazione rialzata per richiamare
più gente a ballare.
È sul remix di Mundian To Bach
Ke di Panjabi MC che Nadine
irrompe tra la folla e si mette ad
ancheggiare proprio davanti ad
Alessandro. Giorgio e Fausto si
sono aggiunti al trenino di Ivanka.
Suo malgrado, Linda è costretta a
spostarsi, per non correre il rischio
di farsi calpestare dai tacchi
vertiginosi della pantera del
Libano, che ora sta ballando come
una campionessa di bel y dance.
Linda sente un’onda di fastidio
profondissimo risalirle dal centro
dello stomaco. È tutta rossa in
faccia, vibra d’indignazione – Ma
perché? non può fare a meno di
chiedersi – in più ha una
sensazione di s nimento assoluto,
un po’ per l’alcol che le sta
andando in circolo, un po’ per
l’inevitabile competizione che le è
scattata dentro. E che le scatta
sempre quando ha davanti una
rivale degna di tale nome. Avrebbe
voglia di strapparle il vestito e
tirare via Alessandro per un
braccio, e invece si accascia su una
poltroncina e rimane a guardare.
Niente da fare, contro Nadine ha
perso in partenza.
Alessandro intanto partecipa
divertito al balletto della gran
signora; non può fare altro che
assecondarne
i
movimenti,
tentando di inseguire i suoi passi
ritmati. Di Linda, della sua
irritazione,
non
si
accorge
minimamente: la situazione con la
splendida padrona di casa non gli
dispiace a atto. Nadine ha uno
sguardo magnetico, gli occhi
nocciola disegnati con il kajal e
spolverati di ombretto nero. E poi
ha questi capelli lisci e lucenti, che
non può fare a meno di desiderare
sul
suo
corpo:
vorrebbe
accarezzarli, a ondarci il naso per
godere a pieno di quel profumo
fantastico.
«Balli bene, ma te lo diranno
tutti» le sussurra Alessandro.
«Grazie. Lo so.» Nadine gli s ora
una guancia con l’indice. «Ma detto
da te, il complimento ha tutto un
altro sapore.» Ha una bocca che
provoca, la signora.
Alessandro le sorride. Gli sembra
che le orecchie gli ronzino un po’.
Poi va avanti a ballare senza
seguire bene il ritmo, solo per stare
al suo gioco. Solleva piano le
braccia davanti a sé, come se
indicasse lei, ma guarda nel vuoto
delle luci; poi piega le braccia
dietro la testa, scende con le mani
sulla camicia sbottonata a metà, e
arriva
no
ai
pantaloni,
fermandosi sul bacino, in un
movimento uido e irresistibile.
Almeno, così gli pare. Anche se non
è un grande esperto di seduzione,
involontaria per lo meno.
Funziona. Prima che il pezzo sia
nito, Nadine gli a erra un polso e
gli dice qualcosa all’orecchio.
Pagherebbe oro per sapere cosa,
Linda, che ha visto tutta la scena e
non vuole credere ai propri occhi.
Adesso Nadine sta trascinando
Alessandro verso la porta che dà
sul retro della villa. Lui si volta
solo un istante, forse a cercare lei,
poi si lascia ingoiare dal buio.
Linda li vede fuggire fuori, le
sagome che scompaiono tra gli
alberi del parco.
«Stronza» non si trattiene dal
mormorare, tutti i muscoli contratti
per l’irritazione. Ma non dovrebbe
provarla. Non ha senso ora come
non aveva senso quel giorno con
Valentina.
È in quel momento che il
sussurro di Tommaso la raggiunge.
«Sei bellissima stasera» le s ora il
collo delicatamente. «Ancora più
del solito, se è possibile.»
Linda si gira, il ato mozzato
all’improvviso. Anche lui deve aver
visto la scena, era lì a un passo da
lei quando Nadine si è buttata
come una tigre su Alessandro.
«Grazie… Ma non hai altro da
dire?»
Tommaso sorride, un po’ a
fatica. Prende due calici di
champagne da un vassoio, gliene
porge uno. «Di cosa?»
«Li hai visti anche tu, non fare
nta di niente.» Linda tiene il
calice tra le mani, ma non beve.
Tommaso lo s ora appena. «Tra
me e lei c’è un tacito patto» spiega,
con una naturalezza inde nibile, in
un tono leggero che però sembra
quasi o uscato dal bagliore cupo
che ha negli occhi.
«Cioè?» Linda scuote la testa,
allibita. «Fammi capire, ti prego.»
Prende un lungo sorso di
champagne. Scende per la gola
freddo, secco, forte.
«Io non sono un tipo geloso. Né
tanto meno potrei stare con una
donna gelosa.» Tommaso ha uno
sguardo di una durezza minerale,
inquieta un po’. «Di tutte le
passioni umane la gelosia è la più
dannosa. Nadine è una donna
adulta e consapevole ed è libera di
fare ciò che vuole con il suo corpo.»
Eppure, nel vedere Linda arrivare
insieme ad Alessandro gli si è
smosso dentro qualcosa, almeno a
se stesso lo deve ammettere.
«Non ci credo che non ti dia il
minimo fastidio sapere che ora se
ne sta a farsi i suoi comodi con il
mio amico» sonda lei.
«Ti sbagli. Sono serenissimo.
L’importante è che sia discreta e
che non mi metta in imbarazzo. E
di questo sono assolutamente
sicuro» dice Tommaso, adesso con
freddezza soprannaturale. In realtà
ora il suo pensiero non è rivolto a
Nadine, ma a Linda. Non riesce
proprio a capire cosa lo attrae così
tanto di lei: la luce calda e ironica
nello sguardo, le sue espressioni
bu e e genuine? La sua presenza,
quest’aura magica che l’avvolge?
«E a te va bene così?» Linda fa
una faccia sconvolta.
«È già successo che ci siamo
traditi, ma tutto è rimasto sepolto
nell’intimità della coppia.»
Linda si appoggia alla colonna,
guarda per terra, non sa come
reagire a questa rivelazione. Forse,
e se ne rende conto solo in quel
momento, non era poi così
imprevedibile, in un uomo come
Tommaso. Sono solo una delle
tante?, le viene comunque da
chiedersi.
Lui le s ora il mento e le solleva
il viso con due dita. «Ma adesso
non voglio parlare di questo» dice
con voce profonda.
Linda lo guarda negli occhi,
sente un brivido. Lui le piace,
dannazione, non sa cosa farci.
«Nemmeno io voglio parlarne.» Lo
tira a sé, a errandolo per la
cintura.
È tutto in questo contatto:
nell’essere l’uno di fronte all’altra,
ora e qui. Nel volerne di più,
nell’averne bisogno. Un’urgenza
primordiale e inevitabile. Tommaso
la strattona dietro una colonna, le
in la una mano sotto la gonna, tra
le cosce. «Voglio fare l’amore con
te» le so a nell’orecchio e, prima
che lei possa atare, le tappa la
bocca con un bacio.
Sono nel salone principale,
quello delle cerimonie, pieno di
gente, in questo momento. La
stanza è percorsa da due le di
colonne massicce. Non abbastanza
larghe, però, da nasconderli.
Ma, in fondo, forse nessuno dei
due ha il minimo interesse a
nascondersi.
Alessandro è brillo, ma non così
tanto da non riuscire a registrare i
dettagli del posto in cui Nadine lo
ha trascinato. La dépendance
privata della signora è dotata di
ogni comfort. Lo spazio è raccolto,
strategicamente illuminato con fari
azzurrini a pavimento. Nell’aria c’è
un profumo intenso di
ori,
zucchero e mirra che seduce e
scalda. Dalle casse nascoste arriva
una musica so usa, con sonorità
arabeggianti. Su una serie di
sca ali a muro sono disposti con
cura aconi di creme, vasi in vetro,
boccette e ampolle dalle forme
ra nate contenenti lozioni per la
cura del corpo, spatole e arnesi da
bellezza in legno di cedro. Sembra
di stare in una piccola beauty farm.
Se il paradiso personale di
Tommaso è la botanica, quello di
Nadine è di sicuro la cosmesi,
declinata in ogni sua forma.
Ecco che in un attimo sono
davanti al letto a baldacchino,
circondati da una distesa di seta
blu notte. Nadine comincia a
spogliarlo, gli apre uno a uno i
bottoni della camicia rossa, poi lo
spinge sul letto, si china su di lui e
gli lecca piano il capezzolo sinistro,
tracciando cerchi concentrici con la
punta della lingua. Alessandro
chiude
gli
occhi,
estasiato
dall’incredibile
erotismo
del
momento. Dopo qualche istante si
accorge che Nadine ha smesso il
suo giochino. Ora è in piedi, di
fronte a lui, e lo guarda con
un’insistenza famelica. Si s la
lentamente il suo elegantissimo
Armani, lasciandolo cadere a terra;
scalcia i sandali di raso e rimane
solo con un ra nato completo
intimo avorio con inserti di
macramè color giada. Una
catenina sottile che le corre intorno
alla vita termina con uno smeraldo
proprio sull’ombelico. Ha la pancia
piatta, un
sico scolpito da
estenuanti sedute in palestra e
costosi trattamenti estetici.
Alessandro è eccitato da morire
alla vista di un corpo così
sfacciatamente perfetto, con questo
colore esotico, queste proporzioni
disegnate ad arte. Si leva la
camicia e comincia a slacciarsi i
pantaloni. Nadine si avvicina per
aiutarlo; ha mani delicate e sicure.
Alessandro sta pensando che è da
un po’ che non gli capita di scopare
con una donna come lei, o che
forse non gli è capitato mai, ma lei
non gli lascia il tempo di ri ettere:
gli ha già tirato giù i pantaloni e i
boxer di cotone nero. Poi a erra la
sua erezione con una mano e come
una gatta sale su di lui, s’in la in
bocca la sua punta turgida e
comincia a leccargliela. Questa
donna sa davvero come prenderlo
in bocca e far godere. Alessandro
pensa per un istante di metterle la
mano sulla testa per accompagnare
i suoi movimenti, ma capisce di
non poterlo fare. Non sono ancora
abbastanza in intimità. Nadine si fa
scivolare in bocca tutto il cazzo,
succhiandolo no alla base con
movimenti lunghi e lenti, mentre
con la mano destra gli accarezza
gli addominali, che lui continua a
tenere in tensione.
«Mi piacciono gli uomini come
te» sussurra. Con la lingua risale
dal suo membro eretto ai peli del
petto. Alessandro non è uno che si
depila, come Tommaso: e la
sensazione, per lei, è totalmente
diversa. Poi torna verso il basso
s orandogli il membro più volte
con il seno, quindi riprende a
succhiarglielo, intrecciando la
lingua sull’asta.
Alessandro ha gli occhi socchiusi,
in un principio di godimento che
va oltre ogni aspettativa. Capisce
che è il momento di essere parte
attiva nel gioco quando la vede
portarsi la mano sinistra tra le
gambe: sembra che anche lei abbia
parecchia voglia di godere. Così a
un tratto si alza sulle cosce, in
ginocchio sul copriletto nero, la
prende svelto per la nuca e la bacia
sulla bocca.
Nadine lo guarda quasi stupita;
evidentemente, non si aspettava di
essere baciata. Alessandro la mette
distesa sul letto, si china tra le sue
gambe lisce allargandole appena
con le mani, poi fa salire la lingua
lungo l’interno delle cosce, sode ma
non muscolose. Lei solleva le
braccia dietro la testa e inarca il
bacino emettendo un miagolio di
eccitazione. Quando Alessandro
arriva più su e scosta il lembo delle
mutandine, gli occhi iniziano a
esplorare la sua ga, bella, tutta
depilata. Ne odora il profumo:
incenso, anche lì. Avvicina la
lingua e la sente aprirsi piano sotto
di lui, calda e umida. Nadine inarca
di più il bacino. Alessandro le
strappa via le mutandine, poi
muove la lingua ancora più in
profondità e con un dito comincia
ad accarezzarle il clitoride. Nadine
geme. Lui sente che dentro è
sempre più caldo, più umido, forse
più salato; continua a scoprire il
suo piacere no a quando lei non
gli solleva la testa, tirandolo piano
ma con decisione per i capelli.
Senza sorridergli, Nadine allarga
ancora le cosce e lascia che lui
prema un po’ la punta del pene
duro contro le sue labbra bagnate.
Alessandro
spinge
appena,
entrando piano dentro di lei.
Nadine si ritrae e gli fa un accenno
di sorriso, poi allunga una mano
verso il cassetto del comodino,
dove
trova
all’istante
un
preservativo, con una sicurezza che
un po’ lo spiazza.
Lo scarta e glielo avvicina. Un
denso aroma di mango si di onde
nell’aria. Esita un attimo, si sporge
in avanti a prenderlo in bocca
ancora una volta, prima di
accostare il disco alla punta e
srotolarlo lentamente, mentre con
la lingua scende sotto le palle e
continua a eccitarlo. Lo ssa per
un momento negli occhi con lo
sguardo ammiccante di chi sa bene
cosa sta facendo, poi si gira, senza
dire niente. Alessandro vede la sua
schiena inarcata e capisce come
vuole essere presa la signora: da
dietro. Si avvicina al suo culo
fantastico e appoggia il cazzo
contro il suo nido bagnato, che si
apre mentre lui le scivola dentro
con un colpo solo. Lei gli chiede di
spingere e di non smettere. Lui
continua a prenderla, poi stringe
con forza le mani sui suoi anchi e
comincia a muoverla avanti e
indietro. Lei, che prima era
poggiata sui gomiti contro il
cuscino di seta, si abbassa
tendendo le braccia davanti a sé,
mentre la sua schiena si ette
ancora di più verso il letto.
Alessandro solleva la mano destra
dal anco, le stringe un seno e poi
risale no al collo, no alla nuca, e
spinge con intensità via via
crescente. Sente che Nadine sta
cedendo, ma sembra volerne
ancora. O forse è lui a volerne
ancora. Aumenta il ritmo e
continua a prenderla da dietro,
no a quando viene. Scompare
tutto, tra gemiti e sudore, non sa
dire se la signora sia venuta
insieme a lui.
È quasi l’alba quando gli ultimi
ospiti vanno via.
Uscendo dalla villa, alla vista
della piscina Alessandro ha un
déjà-vu. «Ma noi qua ci siamo già
stati…» dice a Linda, disorientato.
«Sì.» Linda sorride, ma è un
sorriso un po’ spaesato. E tirato.
Per quello che sa, per quello che è
certa sia accaduto poche ore prima.
Nella mente di Alessandro si fa
sempre più nitido il ricordo di loro
due ragazzini che fuggono nel
cuore della notte dopo essersi
tuffati in quella piscina.
Anche adesso sembra un po’ una
fuga, ma forse più da loro stessi
che dai padroni della villa.
Uno strano silenzio li avvolge,
appena salgono in macchina. Sono
vicini e distanti, ancora amici
eppure diversi da sempre.
La luce debole dell’alba inizia
appena a rischiarare il cielo; il buio
della notte invece continua ancora
a vivere dentro l’abitacolo.
Alessandro accende l’autoradio; nel
lettore che Max gli ha installato
due giorni fa è rimasto il cd di Rino
Gaetano, uno dei suoi miti. Le note
d i Tu, forse non essenzialmente tu
rendono il silenzio tra loro ancora
più struggente.
Per la prima volta da quando si
conoscono, sono in imbarazzo,
entrambi. Alessandro ha gli occhi
ssi sulla strada, Linda guarda
fuori dal nestrino, rannicchiata
con i piedi sul sedile. Dovrebbero
parlare, ridere, prendersi in giro,
raccontarsi quello che è successo
dentro la villa, ma ormai sono
fuori, sulla strada di casa. E quel
che è successo, come sempre
quando passano una serata
insieme, non si potrà mai più
cancellare.
12
Lussuria
Rimettere in sesto il tetto della
Casa Azzurra non è un’impresa da
poco, con il caldo africano di ne
luglio e il vento continuo che fa
tremare tutto.
Giorgio Ottaviani lavora in
silenzio,
ed
è
sempre
concentratissimo. Quando Linda
qualche giorno prima gli ha
mostrato le tremende in ltrazioni
sulle pareti del salotto, è stato
molto chiaro, e subito disponibile:
«Tesoro, bisogna correre ai ripari
immediatamente! Il tetto è la
prima cosa a cui pensare quando si
restaura una casa vecchia, e io
avrei una certa idea da proporti»
ha detto con un tono di bonario
rimprovero. Linda ha capito che
contraddirlo
sarebbe
stato
impossibile e le è nata dentro una
curiosità folle di scoprire cosa lo zio
intendesse: perché Giorgio, quando
si mette all’opera, non fa le cose
tanto per farle, ma ci mette tutto
l’estro artistico che solo lui ha. Ed è
stato così che è venuta fuori la
pazzia di far verniciare di rosso e
azzurro alcune delle tegole.
Adesso Giorgio è lì sul tetto a
rattoppare,
spostare,
posare,
ri nire, componendo lassù un
originale disegno geometrico: una
tegola rossa, una blu, di nuovo una
rossa, poi un’altra blu. Si è
costruito
un’imbragatura
artigianale, passandosi una fune
intorno
al
cinturone
e
assicurandola a una trave interna
della so tta. Dovesse scivolare o
avere un capogiro, sarebbe
comunque al sicuro, dato che la
struttura in legno è solida – e poi
lui non pesa certo un quintale, ha
un sico ancora molto atletico per
la sua età.
Linda lo osserva da sotto, dove
c’è la carrucola, e ogni tanto gli
lancia un schio per veri care che
sia tutto a posto. «Zio, hai bisogno
che ti mandi su altre tegole?»
«Ancora no. Ti dico io quando.»
«Ok, ma non a aticarti. Mi
raccomando. Lo sai che mi sento
responsabile della tua salute,
vecchietto…» Gli strizza l’occhio. A
volte rimane davvero sconvolta
dalla sua resistenza alla fatica.
Chissà dove va a prendere tutta
quella forza. «Con questo caldo sto
schiattando io da qui, non voglio
immaginare tu lassù…»
«Quassù va tutto bene» la
rassicura Giorgio. Eppure lo sa
anche lui che non ha più l’energia
di un ragazzo, che il cuore ogni
tanto gli batte più rapido del
normale, ma lui se ne in schia
delle raccomandazioni che gli ha
fatto il medico all’ultima visita
cardiologica. E poi in questo
momento corpo e testa sono abitati
dalle sensazioni della notte passata
insieme a Fausto. Avrà dormito
un’ora, forse due, ma non è stanco;
è frastornato dal riverbero delle
emozioni che ha provato, e questo
frastuono dei sensi gli regala nuova
ispirazione artistica.
A un tratto si alza un rombo
dalla strada e una nuvola di
polvere bianca si solleva nell’aria.
È Alessandro su una Harley Road
King nera, senza casco né
giubbotto.
Si
ferma
con
un’inchiodata a pochi passi da
Linda.
«Oddio, e questa da dove salta
fuori?» chiede lei sgranando gli
occhi e allargando le braccia.
«Me
l’ha
prestata
Max.»
Alessandro smonta dalla moto. «Ho
fatto solo un giro di prova. Non
avevo mai guidato una bestia così.»
«Figa,
comunque.»
Linda
accarezza la sella.
«Sei nella fase grandi opere?»
Alessandro la osserva nella sua
tenuta da lavoro, pantaloncini
stinti, canotta macchiata, capelli
raccolti in un mollettone.
«Già, il tetto cade a pezzi.» Linda
solleva lo sguardo al cielo.
Poi si sente un colpo di martello
e anche Alessandro alza la testa.
«Ah, ma c’è Giorgio!» Urla per farsi
sentire e si sbraccia, salutandolo.
Giorgio si volta all’improvviso,
ha un attimo di sbandamento, poi
si pianta bene sui piedi per non
perdere
l’equilibrio.
«Ehi,
Alessandro!»
«Serve una mano?» gli domanda
subito.
«Manca poco, ma se insisti… io
non faccio complimenti.» Giorgio
gli indica la scala. «Dài sali, così
finiamo prima.»
«Arrivo!» Alessandro si toglie la
T-shirt bianca e rimane a petto
nudo. «Sto morendo di caldo.»
«Ale, mettiti la corda di
sicurezza, però» lo redarguisce
Linda. E intanto l’occhio le cade sul
suo culo ben delineato dai jeans
strappati che sembrano disegnati
sui glutei. Poi si so erma sui
pettorali forti, i muscoli scolpiti
dalla fatica di una vita sempre in
prima linea.
«Ma gurati! Ho fatto di peggio,
dài» dice lui, ed è già sul terzo
gradino della scala. Si arrampica
con agilità, ai piedi ha degli an bi
leggeri.
Fa passare una fune sulla
carrucola, la cala in modo che
Linda possa prenderla e mandargli
su altre tegole.
Quando il carico arriva in cima, i
due ce la mettono tutta, gambe e
polmoni al massimo, in una specie
di competizione mascolina di forza
e resistenza. Alessandro si muove
perfettamente a suo agio, come se
avesse fatto il manovale per una
vita, posa i pezzi con un vigore in
apparenza solo funzionale ma che
forse lui enfatizza un po’, dato che
Linda lo sta osservando. Dopo
mezz’ora di manovre, si ferma per
asciugarsi la fronte con il dorso
della mano, guarda giù e chiede a
Linda: «Com’è il disegno? Ti
torna?».
Lei punta gli occhi in alto e con
una mano si ripara dal sole. «Sta
venendo una meraviglia!» esclama.
«Altri dieci minuti e abbiamo
finito» dice Giorgio, senza voltarsi.
«Grande zio! Non avevo dubbi!»
urla lei, felice come una bambina.
Dopo un po’ i due lavoratori
scendono a rimirare l’effetto, tutti e
tre a occhi socchiusi contro la luce
accecante.
«Meglio di così era impossibile.»
Linda è euforica.
«Sì, devo ammettere che abbiamo
fatto un lavoro superbo.» Giorgio si
passa due dita sul mento, è
soddisfatto. Poi si appoggia al
sedile della moto, ha il respiro
corto e il cuore a aticato. E Linda
lo osserva con apprensione. Non si
perdonerebbe mai se gli succedesse
qualcosa. Gli mette una mano sulla
spalla. «Zio, adesso però vai dentro
e ti riposi un po’ sul divano. Ci
pensiamo io e Ale a sistemare gli
attrezzi.»
«Sì, Giorgio. Hai fatto anche
troppo, tu» rincara la dose
Alessandro.
Giorgio alza le mani in segno di
resa. «Ok, ok, me ne vado al
fresco» concede, dirigendosi verso
la porta d’ingresso.
È in quel momento che a Linda
arriva un sms. Estrae il telefono
dalla tasca dei pantaloncini e si
mette a leggere.
Passo a prenderti alle 19.
Ti porto in un bel posto.
Non accetto un no.
È Tommaso. A Linda viene da
sorridere, mentre gli risponde,
senza lasciar passare nemmeno un
secondo.
Dove?
Tommaso le scrive un attimo
dopo.
Non accetto nemmeno domande.
Linda muore dalla curiosità. Gli
occhi le brillano, le labbra si
dischiudono mentre s ora il touch
screen.
Adoro le sorprese.
Alessandro, che ha osservato la
scena in silenzio, non riesce a
trattenersi: «Era lui?».
Nei giorni scorsi, si è fatto una
lunga chiacchierata con Linda
sull’ affaire Tommaso, ed è stato
schietto come solo Alessandro può
essere: non avrebbe mai pensato
che una ragazza tosta e
indipendente quale lui l’ha sempre
considerata si facesse sedurre dal
fascino del potere. Tra le righe,
così era sembrato a Linda, le aveva
dato dell’arrivista, della donna
leggera, e lei non ci ha visto più, si
è sentita ferita: gli ha risposto che
non erano stati certo i soldi e tutti i
derivati ad avvicinarla a Tommaso.
L’aveva attratta per altre ragioni,
che certo un vagabondo inquieto
come lui non avrebbe mai potuto
capire. A quel punto i toni del
discorso si sono in ammati, ma
solo per Linda – Alessandro è
rimasto sereno e per nulla turbato.
Ma era chiarissimo che, mentre gli
insulti di lei erano dettati solo dalla
rabbia di una donna ferita, le
giusti cazioni sulla sua passione
per Tommaso non l’avevano
convinto no in fondo. L’ultima
cosa che Alessandro voleva, però,
era sembrare il giudice della sua
più cara amica, così ha concluso
dicendo che forse si era sbagliato e
poi non era più tornato
sull’argomento.
La voce di Alessandro riconduce
Linda alla realtà. Annuisce. «Vuole
portarmi in un bel posto, ma non
mi dice dove.»
«E tu?»
«Gli ho risposto di sì.»
«Insomma, quest’uomo non ti
lascia scampo…»
«Diciamo che gli permetto di non
lasciarmene.»
Linda
ha
un’espressione compiaciuta. Ormai
lei e Tommaso hanno preso a
vedersi sempre più spesso, ma
ancora non sa come interpretare il
loro rapporto. Sa soltanto una
cosa: che quando è con lui, lei sta
bene. Anche se a tutti gli e etti sta
facendo, per la prima volta nella
sua vita, l’amante. E come le ha
ricordato saggiamente lo zio
Giorgio, l’unica persona oltre ad
Alessandro con cui si è con data,
fare l’amante non è mai una
posizione comoda.
«A proposito… Tu la signora l’hai
più vista?» domanda Linda con
fare ammiccante. E mentre lo
chiede pensa che Tommaso a
Nadine non ha detto nulla di quello
che è successo tra loro, anche se è
probabile che lei sospetti qualcosa.
Comunque non dovrebbe fargli
storie se, come le ha spiegato
Tommaso, si sono già traditi in
passato e a lei la cosa non ha mai
dato fastidio, a patto che non
compromettesse i loro progetti
matrimoniali. Forse però non è un
caso se proprio negli ultimi giorni,
come le ha confessato Tommaso un
giorno alla villa, Nadine gli ha
accennato di nuovo ai preparativi
delle nozze dopo tanto tempo… Ma
non sono a ari suoi, si dice. Non ci
deve pensare. In fondo, non ha
nemmeno capito cosa vuole lei da
Tommaso.
«Figurati, Nadine è stata solo un
incontro interessante, diciamo, ma
io non ho tempo per queste cose,
adesso. Ho ben altro per la testa.»
Lo dice con un’espressione un po’
preoccupata.
«E sarebbe?»
«Di sicuro non una donna.»
«Tu mi stai nascondendo
qualcosa, lo so…» e lo guarda con
un’occhiata minacciosa.
«Finiscila, Linda, ti sembro uno
che è in grado di nascondere
qualcosa?»
Alessandro
sta
chiaramente sviando il discorso.
Smonta la corda dalla carrucola.
«Dài, sistemiamo tutto, così poi
Giorgio sarà contento.»
Linda ha una mezza idea di cosa
possa essere questo altro che lui ha
per la testa. Non insiste, ma spera
tanto dentro di sé di sbagliarsi.
Stanno viaggiando da un’ora e
mezza. La Jaguar XK ha s orato i
centonovanta in autostrada, e
Linda, che pure ama la velocità, ha
sgranato gli occhi ogni volta che è
riuscita a sbirciare il tachimetro.
Tommaso è più sciolto e rilassato,
impugna il volante e s da la strada
con una disinvoltura da pilota
consumato. Linda lo osserva,
compiaciuta. Quest’uomo ha la
capacità di sorprenderla per come
riesce sempre a svelare un nuovo
lato di sé. E poi non può fare a
meno di pensarlo: è bello da paura,
la sua è una bellezza oggettiva e
per questo non lascia scampo,
anche ora, in versione casual, con
una semplice polo blu e i pantaloni
kaki di cotone. Ma a stregarla più
di tutto sono quei suoi occhi grigio
blu, un mix letale di mistero e
magnetismo; e poi, quel pro lo
dritto, quasi nordico, la mascella
leggermente scavata, la barba
sempre fatta, mai un pelo fuori
posto. Ha una classe, una
compostezza
che
la
fanno
sciogliere.
«Non mi vuoi ancora dire dove
mi stai portando, vero?» gli chiede
Linda, dondolando sul sedile.
Anche se non riesce a immaginare
la destinazione nale del viaggio, è
parecchio su di giri.
Tommaso distoglie per un
secondo lo sguardo dalla strada.
«Tra un po’ lo scoprirai da sola.» Le
posa una mano sul ginocchio come
per farla stare buona.
«Ma io sto morendo dalla
curiosità!» si agita lei.
«Ed è proprio questo il bello,
no?» Tommaso si gode il suo
entusiasmo.
Linda continua a punzecchiarlo.
«Nemmeno un piccolo indizio?» Sta
cercando di fare appello a tutte le
armi di seduzione che conosce. Ma
il tentativo di ottenere quello che
vuole facendo la gattina non
funziona.
Tommaso difende il suo territorio
con
ostinazione.
«Segreto
diplomatico» rincara la dose, con
quella voce di velluto, da chi sa e
può spiegare tutto.
Percorrono un lungo tratto di
autostrada
verso
Nord,
attraversano una vallata, un ume,
alcune gallerie. Linda è sempre più
curiosa, adrenalinica. Alla ne di
una galleria riconosce il cartello
verde che indica l’uscita TARVISIO,
l’ultima in Italia, ma Tommaso non
toglie il piede dall’acceleratore, e
ora stanno superando il cartello
bianco di Stato con la scritta
AUSTRIA-ÖSTERREICH.
«Stiamo andando in Austria?»
Linda si tira su dal sedile, guarda
fuori dal finestrino euforica.
Tommaso stira le labbra in una
specie di sorriso, le reazioni di lei
lo
divertono
troppo.
«U cialmente, siamo già in
Austria» precisa, tornando serio.
«Che gata!» esclama lei di
slancio.
«Aspetta a dirlo.»
«Ovunque tu mi stia portando,
sono già felice.» Linda osserva il
paesaggio con occhi incantati.
Il cielo sta iniziando a scurirsi,
ma non così tanto da rovinare il
panorama. La Jaguar lascia
l’autostrada e si immette su una
strada secondaria, costeggiata da
boschi di faggi e abeti. Tommaso
accosta un istante per permettere
alla capote di abbassarsi in piena
sicurezza, guarda Linda con
complicità, poi le accarezza i
capelli e riparte con un’accelerata
leggera. Davanti ai loro occhi un
palcoscenico color smeraldo mosso
da una brezza argentina dove
l’armonia
delle
architetture
contribuisce a creare l’incanto di
un mondo fatato. Le piccole case
con grappoli di ori ai balconi
fanno quasi da contraltare al
fascino drammatico e imponente
delle montagne.
A un tratto uno squarcio di blu
intenso rompe la monotonia verde
della vallata.
Linda si sporge dal nestrino. «È
un lago?»
«Sì, il Wörthersee» dice Tommaso
con un perfetto accento tedesco, «il
lago più grande della Carinzia.» Ha
l’aria di conoscere bene questi
luoghi.
A breve distanza, su un
promontorio roccioso, si erge un
piccolo castello asburgico, dipinto
di un caldo giallo Impero ravvivato
dagli ultimi, ebili bagliori del
crepuscolo. Tommaso prende la
stradina che s’inerpica sull’altura.
«Mi stai portando in quel
castello?» Linda è esterrefatta. È
tutta la situazione a metterle
addosso
una
frenesia
incontrollabile.
«Indovinato» risponde Tommaso,
con una punta di orgoglio. «E ho
tutta l’intenzione di chiuderti
dentro le segrete e buttare via la
chiave, se mi farai arrabbiare,
perciò stai molto attenta a non
contrariarmi…»
aggiunge,
strizzandole l’occhio.
Linda sorride, è eccitata come un
bambino il primo giorno di scuola.
Dopo qualche minuto scendono
dall’auto. Il castello si specchia
ero nelle acque del lago, in un
meraviglioso gioco di luci. Intorno
regna una quiete soprannaturale, si
sente solo il rumore del vento che
agita i rami degli alberi e rimbalza
sulle pareti delle montagne. Le
forze della natura sono padrone
della scena. Linda osserva il
paesaggio, ormai quasi notturno,
con
una
percezione
straordinariamente acuta della
propria irrilevanza; si sente un
puntino felice, in questo paradiso.
Percorrono in silenzio un tratto
di una stradina di ghiaia, ma più
camminano e più il colore del cielo
sfuma in quello della vegetazione:
le distanze sembrano annullarsi, lo
spazio si addensa. A un certo punto
il verso di un animale s’insinua tra
il so o del vento e il rumore dei
loro passi.
Linda si blocca di scatto, i
sandali di cuoio scivolano sulla
ghiaia, i sensi in allerta. «Cos’era?»
«Sarà
un
gufo»
risponde
Tommaso, per tranquillizzarla.
Anche se lei non ha a atto l’aria di
una che cerca rassicurazioni, è solo
curiosa. «O una civetta.» Il verso si
sente di nuovo.
«Sembra più un animale di
terra… mi sa che tu non te ne
intendi di fauna come di ora, o
sbaglio?» ribatte Linda divertita,
con aria di sfida.
«Se lo dici tu… Non è che invece
per
caso
hai paura?» chiede
Tommaso.
Linda non gli risponde ma
sghignazza, alzando le spalle con
spavalderia. Intanto il portale
d’ingresso del castello si spalanca,
illuminato da piccoli fari bianchi.
«È un albergo?»
«Più o meno.» Tommaso le
strizza l’occhio. «È un posto
riservato, dove staremo bene.»
Non ci sono macchine, a quanto
pare non ci sono altri ospiti,
sembra di entrare in una aba.
Linda si sente un po’ a disagio,
come fuori luogo. Non immaginava
che Tommaso l’avrebbe portata in
un posto così esclusivo. A saperlo,
si sarebbe messa un vestito
decente,
non
minigonna
e
portata un cambio.» Guarda
Tommaso un po’ piccata, ma con
occhi comunque grati e sognanti.
«Non ce ne sarà bisogno, dati»
la rassicura lui, con un sorrisetto
diabolico. «Non staremo molto
vestiti.»
Linda si sente attraversare da
una corrente calda, ogni molecola
del suo corpo è un condensato di
felicità ed eccitazione. Si aggrappa
al collo di Tommaso. «Grazie per
tutto
questo»
gli
sussurra
all’orecchio, mordicchiandogli il
lobo. Poi lo bacia sulla bocca.
Tommaso assapora la pienezza
delle sue labbra, le accarezza il
sedere, e fatica a non spingere
oltre la mano. Linda lo rapisce in
una maniera totalizzante, come
non si ricorda che sia mai
accaduto. E ora deve ricorrere a
tutto il suo autocontrollo per non
deragliare. Quando è con lei, pensa
ora d’istinto, stenta davvero a
riconoscersi.
Entrano nella hall. Il castelletto
all’interno è un resort molto
accogliente, con arredi ricercati e
lussuosi, che non ha perso il fascino
dell’impianto rinascimentale. Linda
è senza parole, continua a
spalancare gli occhi a ogni
dettaglio che incontra il suo
sguardo. Vengono accolti da una
bellissima bionda dalle forme
generose che indossa un tailleur blu
e bianco fasciante e ha i capelli
raccolti in una coda alta.
«Signor Belli.» La bionda stringe
la mano a Tommaso e fa un cenno
del capo a Linda. Sfoggia un
italiano perfetto e dei denti bianchi
e splendenti.
«Buonasera, Karen.» Tommaso la
saluta con un gesto galante della
mano e un tono con denziale.
Forse un po’ troppo. È a suo agio,
s’intuisce che è già stato qui.
«La chiave della Royal Suite,
come aveva richiesto.» Karen gli
porge una piccola busta in carta
pergamenata con all’interno la
scheda magnetica.
«Grazie mille.» Tommaso prende
la busta e la in la nel taschino
della polo. «Immagino sia tutto
pronto…»
Karen s ora due volte il touch
screen del computer. «Mi conferma
di aver richiesto il pacchetto
Deluxe?»
«Ovviamente sì.»
«Perfetto.» Karen muove una
mano aperta davanti al monitor,
dalle casse escono due note di
violino. «Potete già salire, se
desiderate.»
«Benissimo.» Tommaso prende
Linda per mano. «Andiamo, baby.»
È la prima volta che la chiama così,
gli è sembrato naturale, tenero e
simpatico insieme.
Linda, che l’ha notato, gon a il
petto emozionata. Non è una da
nomignoli, ma detto da Tommaso,
quel baby ha tutto un altro sapore.
Vorrebbe baciarlo, e infatti lo fa, lì
davanti a Karen, non riesce a
trattenersi, e poi continua per tutta
la salita in ascensore – e lui sembra
apprezzare.
Entrano nella Royal Suite: due
livelli collegati da una scala a
chiocciola, con a accio sul lago. È
un ambiente caldo, arredato in stile
veneziano, con accostamenti di
sete, damaschi, broccati, velluti in
tutte le gradazioni di rosso e oro.
Su un tavolo sono elegantemente
disposti un vassoio d’argento con
composizioni di frutta fresca, una
struttura a piramide di so sticato
nger food, due calici in cristallo di
Boemia, un secchiello del ghiaccio
con una bottiglia di Perrier-Jouët
Belle Epoque.
Tommaso a erra la bottiglia e
versa da bere. Si gira verso Linda.
«Allora, ti piace qui?»
«E me lo chiedi anche? È
fantastico!»
Lui le porge un bicchiere. «È
tutto per noi» dice, guardandosi
intorno. Avvicina il suo calice a
quello di lei no a farli toccare.
«Voglio che sia una notte
indimenticabile.»
«Lo è già.» Linda prende un
sorso, all’unisono con Tommaso.
Poi lui appoggia il calice sul
tavolo, si sbottona il colletto della
polo.
«Caldo?» fa lei, con un sorriso
malizioso.
«No,
a atto…»
risponde
Tommaso, con aria noncurante.
«Iniziavo solo a prepararmi per la
spa.»
«Allora ti do una mano.» Linda
gli si avvicina, gli s la la polo con
un gesto deciso. Abbassa lo sguardo
sul suo petto muscoloso e liscio,
sente
già
montarle
dentro
un’attrazione irresistibile. E sente
che anche lui si sta eccitando.
Gli occhi di Tommaso sono
diventati di un blu ancora più
intenso. Appoggia le labbra sulla
fronte di lei, le s ora il collo e la
base dell’orecchio con la lingua,
passandole le dita tra i capelli.
«Come sei premurosa» le sussurra,
in un gioco che sta diventando
sempre più erotico.
Linda gli slaccia la cintura dei
pantaloni. «Non lo sarò mai
abbastanza…» e la sua voce è
profonda mentre tira giù la zip.
« Baby, tu sei fantastica.» La bacia
sotto il lobo, stringendo la presa
sui suoi capelli. Le tira dolcemente
indietro la testa, con la bocca le
accarezza il collo.
Poi si mette dietro di lei, davanti
allo specchio a tutta parete, e con
delicatezza le s la la camicetta di
seta e le slaccia il reggiseno. La
pelle di Linda è attraversata
all’istante da una ragnatela di
brividi, i capezzoli le diventano
duri come punte di diamante.
Tommaso le abbassa la cerniera
della minigonna di jeans. Poi,
continuando a baciarle il collo e
in landole i pollici nelle tasche,
gliela fa scivolare lungo le gambe.
Si piega a terra, cingendole le
ginocchia con le braccia. Risalendo
fa scorrere la lingua lungo la linea
delle gambe e le morde il sedere,
facendola sussultare. Accosta il suo
viso a quello di lei, le appoggia la
sua mano calda sulla pancia.
Insieme guardano le loro immagini
ri esse, in silenzio, perché adesso
non hanno più bisogno delle
parole.
Tommaso fa per levarle le
mutandine.
Linda lo blocca. «No, queste
lasciale.» Lo dice con un sussurro, e
intanto preme lì sopra la mano di
Tommaso, tra il tessuto e la sua
carne umida: è una sensazione che
la fa impazzire.
Tommaso si libera dei pantaloni,
rimane in boxer. Quei boxer
perfetti che l’avevano fatta morire
la prima volta. Poi a erra due
accappatoi dall’armadio del bagno,
ne porge uno a Linda. «Avanti,
scendiamo. Il meglio deve ancora
venire.» Preme un pulsante dorato
sulla parete. Si aprono le porte
dell’ascensore privato, fatto di
specchi ornati di Swarovski.
Tommaso digita un codice e in
pochi secondi sono direttamente
nella Romantik Raum, una spa
esclusiva per due, dotata di una
sala per massaggi di coppia, bagno
turco,
biosauna
alle
erbe
aromatiche, letto ad acqua e
piscina esterna privata con vista
sul lago.
Appena accedono al bagno turco,
l’ambiente si colora di una
piacevole luce rosa e blu, mentre in
sottofondo si sente una dolce
musica orientale. L’aria calda è
pervasa dal profumo degli olii
essenziali. Linda se ne lascia
accarezzare le narici, sente che dal
naso le arriva piano piano alla
pancia.
Tommaso
appoggia
l’accappatoio su una mensola di
marmo con inserti in quarzo, Linda
fa lo stesso, e insieme raggiungono
il sedile a mezzaluna ricoperto di
pietre preziose. La luce blu si
specchia sui cristalli e crea disegni
ad arabesco sulle pareti di roccia
salina.
Hanno caldo e iniziano a sudare,
la temperatura della stanza è
vicina ai cinquanta gradi. Gli odori
dei loro corpi si fondono con i
vapori aromatici. Il profumo
ricercato che ricorda antiche
essenze tahitiane di lui, l’odore
conturbante e un po’ salato di lei,
che non ama indossare fragranze.
Tommaso allunga una mano e
accarezza la coscia di Linda. «Si sta
così bene qui.» Ha un tono basso,
profondo; i suoi pettorali si alzano
e si abbassano, si bagnano di
sudore a ogni respiro.
«Sì, è tutto perfetto, qui con te.»
Con un dito, Linda gli s ora la
linea del petto, raccoglie una
goccia del suo sudore, s’in la
l’indice in bocca e ssa Tommaso
con occhi di fuoco. Lui ha un
tremito, un brivido gli corre sotto
la pelle che scotta. Linda
deglutisce, sente quel gusto salato
scenderle giù per la gola. Poi una
domanda le esce di bocca, di
slancio, non è riuscita a
trattenerla: «Ma tu ti stai
innamorando?».
«Tu cosa pensi?» Tommaso forza
le labbra in un sorriso che dice
tutto e nulla e rovescia un po’
all’indietro la testa, le pupille
dilatate.
«Io penso che non mi vuoi
rispondere.» Sorride anche lei, ma
è anche molto seria.
«Oh, Linda.» Il sudore gli cola giù
dalle tempie, sul collo no al
centro del petto e va a nire
sull’ombelico. «Come faccio a dirlo?
So solo che è molto più di così.»
«Molto di più come?» Adesso è
consapevole della sua insistenza,
non vuole deliberatamente dargli
tregua.
«Molto di più.» Per la prima
volta da quando lo conosce, Linda
percepisce una qualche forma di
disagio in lui. Gli ha fatto l’unica
domanda che forse ha il potere di
metterlo in imbarazzo.
«Molto di più come?» insiste
Linda, che ormai non ha intenzione
di fermarsi. Si respirano vicini,
ato contro ato, odore contro
odore, calore contro calore.
«Presto lo capirai.» La bacia sulla
bocca, con una forza che non è sua,
le infila la lingua tra denti, come se
volesse prendersi tutto di lei,
rubarle anche i respiri.
Linda si alza, percorre qualche
passo verso la fontana di ghiaccio
al centro dell’ambiente. Una specie
di solletico attraversa la seta
nissima delle mutandine mentre
s’immagina che Tommaso le stia
guardando il culo: perché lo sa, è
certa che lui se lo sta mangiando
con gli occhi. Inarca un po’ la
schiena
per
dargli
rilievo,
ancheggia leggermente. Stacca un
lingotto di ghiaccio dal bacino di
raccolta della fontana e torna da
lui. Si avvinghia alle sue ginocchia,
accosta il lingotto alle sue labbra.
«Leccalo» gli sussurra.
Lui apre la bocca, va indietro
con la testa mentre lei gli preme il
ghiaccio contro la bocca. «Brava,
Linda, ecco cosa ci voleva…» dice,
in un sospiro. Adesso ha la voce
roca, è tutto un bollore, tutto
arriva dal fondo.
Linda è sempre più elettrica,
energia allo stato puro. Adora
questa sua posizione di dominio,
adora tenerlo bloccato, le piace da
morire, cazzo. «Non provare a
muoverti, non ho nito con te.» Gli
stringe il polso con una mano per
fargli capire che non sta giocando,
molto più forte di quanto
servirebbe. Non capisce da dove
arrivi questa voglia di averlo in suo
potere e non lasciarlo andare. Poi
gli passa il lingotto sul collo,
intorno ai capezzoli, lo fa scivolare
sulla linea mediana del petto. Più
gli serra il polso, più lui trema e
scotta, più lei si scioglie come il
ghiaccio che ha in mano, si sente
bagnata tra le gambe. Questa
sospensione è così dannatamente
incredibile, un delirio di attesa che
si propaga nel suo corpo in cerchi
concentrici, ed è fatto di sangue
che scorre nelle vene, che pulsa
nelle orecchie come un ritmo
tribale.
Tommaso piega di nuovo
indietro la testa, con il collo forte,
un collo da dio greco, statuario,
però così vivo, caldo, pulsante, gli
addominali che si contraggono e si
rilasciano
restando
sempre
perfettamente scolpiti. Le fa un
sesso tremendo, Tommaso. E
insieme sente anche che c’è
qualcosa di più. Il ghiaccio ormai
brucia nella mano di Linda, sul
petto di Tommaso. Tutto brucia, i
loro corpi scaldano l’aria; non c’è
più di erenza di temperatura tra
dentro e fuori.
«Tu mi fai morire così, Linda.»
Tommaso ha questa vibrazione
bassa che la fa sciogliere ancora di
più, risveglia tutti i nervi dalle dita
dei piedi, le accelera i battiti del
cuore, le rintrona nei timpani, le fa
scottare la pelle e a annare il
respiro. Sempre di più.
A quel punto gli monta sopra, a
cavalcioni, e il cuore sembra
schizzarle fuori mentre si spinge
avanti con il bacino, no al punto
dove lui è più duro; lo sente
attraverso le mutandine proprio
come se fosse nuda, o forse anche
meglio, la seta sottile sempre più
umida. Percepisce la sua erezione
che le preme contro mentre si
stro na avanti e indietro, sente il
cuore di lui che batte sopra e
insieme al suo. È sempre più
liquefatta dal caldo dentro e fuori,
dal respiro di lui, dall’aria rovente.
Gli bacia il petto e il collo e le
spalle e la bocca, e intanto lo sta
montando come in un rodeo, le sue
cosce serrate alle cosce di lui, occhi
verdi che guardano dentro occhi
grigio blu, che guardano no in
fondo, quello che c’è al di là:
l’attrazione, il desiderio, il
possesso. E sono entrambi sorpresi
da quello stesso fremito, in una
vibrazione continua: Linda e Lord
Perfection, ecco l’unico pensiero in
qualche modo razionale che riesce
ad avere in questo momento. Sta
per farsi possedere da Tommaso,
dalla Perfezione in persona.
S’inginocchia davanti a lui, gli
s la i boxer e lo prende in bocca
avviluppandolo con una leccata
larga, piatta (lo Shirley Temple
non è per tutti, ma per Tommaso
sì), ampie pennellate con la lingua;
poi crea una situazione di vuoto
nella bocca e inizia a muoversi su e
giù, e mentre lo fa ruota la testa,
come se seguisse il movimento di
un cavatappi, gli dà piccoli colpetti
con la punta della lingua.
Tommaso stringe la mascella,
pensa che nessuna gli ha mai fatto
u n a fel atio così, con tanta
maestria, con tanta elegante
intraprendenza:
chiamarlo
pompino sarebbe quasi blasfemo.
Prova adorazione e un piacere
incontenibile. Ha una specie di
rantolo, poi uno scatto, spinge
all’indietro con le gambe, con il
busto, trema tutto, ma ha ancora
forza per prenderle la nuca, tirarla
a sé, strapparle le mutandine e
farla salire sulle proprie gambe. Lei
gli si preme e stro na contro per
un po’, il suo sesso bagnato che
quasi scotta; poi se lo in la dentro
e insieme gli lecca un dito, perché
sa che a lui piace continuare a
immaginare, e piace anche a lei. Si
muove su e giù, avanti e indietro,
lui le prende i anchi, la sposta
sulla sua erezione e l’attrito cresce
a partire proprio da lì, ma poi si
di onde ovunque, verso la pancia
il cuore la schiena le mani i piedi la
nuca i capelli. Non smette di salire,
è un delirio, un delirio di passione
incontrollata,
un’energia
che
scardina, una fusione di liquidi
bollenti che montano inarrestabili
no a esplodere in un orgasmo
violento. Assoluto.
«Linda, ti adoro.» La voce di
Tommaso è un so o. Le sue
braccia la stringono fortissimo.
«Anch’io ti adoro.» Lei gli crolla
addosso, si lascia avvolgere dal suo
corpo caldo e muscoloso.
Non fanno in tempo a
riprendersi che già sono immersi
nel letto d’acqua comunicante con
la piscina esterna di pietra lavica.
Si lasciano cullare dalla dolcezza
delle onde arti ciali che smuovono
petali di rosa e polveri d’oro. Si
fanno trasportare fuori, nella vasca
a cielo aperto, dove Tanja e Mark,
i loro massaggiatori personali,
stanno sistemando sul bordo alcune
lanterne e una serie di ûte con
idromele, acqua di cocco e succo di
sambuco.
Nel nero del cielo spicca un
quarto di luna, le stelle brillano
con un’intensità che a Linda
sembra straordinaria. Fumi di
vapore si alzano sopra la vasca,
accendendosi di colori, dal rosso
all’indaco al turchese. Linda e
Tommaso scivolano in silenzio
nell’acqua calda, e ervescente, il
vento so a sui loro visi e tra i
capelli mentre dietro i vetri delle
lanterne ondeggiano
ammelle
evanescenti. Ogni folata porta
odore di foresta, di cespugli
selvatici, di ori estivi. Linda ha
perso ogni contatto con il mondo là
fuori, si sente sospesa in una
dimensione altra, insondabile,
come se i suoi piedi non toccassero
la pietra sul fondo, come se fosse
immersa nella leggerezza della
notte stessa. È felice come poche
altre volte. Non pensa a nulla. Non
ai consigli dello zio, all’opinione
fastidiosa di Alessandro, a Nadine,
che
la
fa
sentire
così
tremendamente imperfetta. Ora c’è
solo Tommaso. Che le prende il
volto con entrambe le mani e la
bacia, piano ma intensamente. Lei
lo stringe a sé, ricambiando il suo
bacio con tutta la passione di cui è
capace.
L’attenzione che Tommaso ha
per lei è così densa e calda da
riempire l’aria di una vibrazione
magnetica, le appanna gli occhi a
forza di sguardi. Averlo vicino le
mette addosso una specie di
frenesia libera, fuori controllo. È
così diverso dagli altri uomini che
ci hanno provato con lei. È
maschio, sì, ma non quel tipo di
maschio zerbino che pende dalle
tue labbra e ti mette su un
piedistallo, né quel genere di
maschio arrogante che gode in
modo vanesio della propria virilità
e del vederti sottomessa. Da
prenderli a schia entrambi, senza
pietà! Tommaso è di un altro
pianeta, sa corteggiarti con
eleganza e cavalleria ma senza
sembrare uscito da uno stupido
libro di abe, di quelle che le
mamme raccontano alle
glie
alimentando la speranza ridicola
che un giorno un principe in
calzamaglia arriverà su un cavallo
bianco a chiederle in spose.
Per Tommaso, invece, Linda è
estrema, in tutti i sensi:
imprevedibile, vitale ma sotto la
super cie anche delicata, fragile
come una ragazzina, a volte. Non
c’è da stupirsi se tende quasi
sempre all’eccesso, se il suo
equilibrio non è proprio esemplare:
ma è quello il suo lato migliore. È
la sua spontaneità ciò che ama di
più: lei fa esattamente quello che le
va,
senza
retropensieri
o
costruzioni mentali. Come adesso,
che si struscia con la schiena contro
il suo petto, con il sedere contro il
suo sesso. Poi di colpo si allontana,
e va verso il bordo della piscina.
Prende un ûte, lo solleva in
aria. «Vuoi?» gli chiede.
Tommaso fa sì con la testa. La
guarda ammirato. Da due metri di
distanza le domanda: «Lo sai che
sembri la donna di un quadro?».
«Quale quadro?» Linda è insieme
lusingata e perplessa.
« A Mermaid di John William
Waterhouse» risponde Tommaso
nel suo inglese perfetto, da
manuale.
Linda pensa a quel nome,
sedotta dalla cultura eclettica di
Tommaso, mentre avanza con i due
calici in mano. «È uno dei
preraffaelliti?»
«Brava» dice Tommaso.
«Mi suonava, infatti. Amo le
atmosfere
romantiche
dei
prera aelliti, li conosco bene, ma
quel quadro non lo ricordo.
Com’è?»
«Rappresenta una sirena, per me
è una delle donne più incantevoli
della storia dell’arte» risponde
Tommaso. «Ha una naturalezza
delicata, ma anche energica,
nobile, solare e insieme ombrosa,
limpida, e palpitante di vita.»
Linda non dice nulla, forse
s’imbarazza un po’, poi abbassa lo
sguardo. Porge il ûte a Tommaso
e prende un sorso insieme a lui,
registrando il sapore fruttato e
acidulo dell’idromele, il contrasto
del freddo che le scende per la gola
con la temperatura dell’acqua. Tra
loro c’è questa vicinanza sottile
nascosta dall’oscurità, rivelata solo
dai bagliori oscillanti della
lanterna.
A un tratto Tanja, appostata
dietro una porta, con voce ovattata
dice: «Se desiderate, io e Mark
siamo pronti per il massaggio a
due».
Tommaso si volta verso Linda.
«Ti va di farti massaggiare?» le
chiede sottovoce, passandole una
mano tra i capelli. Una carezza
così
dolce
che
vorrebbe
mangiarselo.
«Se siamo ancora insieme, certo
che mi va» risponde lei, pronta.
Tommaso fa un cenno a Tanja
con la mano e lei dispone due
accappatoi su una chaise longue lì
davanti.
Escono
dalla
vasca
e
s’immergono nel buio della notte.
Linda
urta
appena
contro
Tommaso, che si è in lato
l’accappatoio. Non si vede nulla, là
fuori. Lui la avvolge tra le braccia
e lei gli preme la fronte sul petto.
Poi Tommaso prende l’altro
accappatoio e glielo gira intorno
alle spalle. «Ecco qua.» La sua voce
riscalda. «Hai freddo?» le chiede,
frizionandole un po’ le braccia.
«No.» Linda in realtà sta
tremando, ma è un tremore intimo,
che nasce da dentro, da una
sensazione che non crede di aver
mai provato.
«E invece mi stai mentendo, e io
ti ho chiesto di fare la brava, qui…
altrimenti nisci nelle segrete,
ricordi?» Tommaso ride e la stringe
forte con tutte e due le braccia, se
la preme contro.
Lei smette di respirare. Poi
respira di nuovo. Non è un
semplice abbraccio, è una fusione
di due anime, una somma di battiti
di cuore. Linda ha la sensazione di
potercisi perdere, per un istante. A
un tratto ha la chiara percezione
che dentro quell’abbraccio ci sia
qualcosa di grande, qualcosa che
deve ancora potersi esprimere
pienamente.
Poco dopo sono nella sala
cobalto, distesi su due lettini vicini,
ad ascoltare una rilassante nenia
orientale.
Tanja
massaggia
Tommaso, Mark si prende cura di
Linda. L’olio profumato scivola
sulla loro pelle, accompagnato da
morbidi tocchi di mani esperte.
Piedi, caviglie, gambe, glutei,
schiena, spalle, e poi su no alla
nuca, e poi di nuovo giù, nuca,
spalle, schiena, glutei, gambe,
caviglie, piedi. È un massaggio che
assorbe l’anima e insieme apre la
mente, e sembra voler oltrepassare
ogni limite del corpo. Linda e
Tommaso possono vedere le loro
sagome ri esse sulle piastrelle a
specchio, nella luce appena
accennata delle candele.
Quando Tanja e Mark si
allontanano in punta di piedi,
Tommaso ruota la testa verso
Linda e le sistema una ciocca dietro
l’orecchio. «Non avrei mai pensato
di dire una cosa del genere a una
donna, ma se penso che tra due ore
ci dobbiamo salutare, mi assale una
tristezza che quasi fa male…
piccola mia.»
«Per me è lo stesso» risponde
Linda, il cuore scaldato dalle
parole di lui. «Ma è giusto
ripartire, se devi essere a Roma
domattina. A che ora hai il volo?»
«Non vado in aereo.» Tommaso
le si avvicina, o forse è lei che si
avvicina a lui, oppure si vengono
incontro nello stesso istante. «Mi
mandano un’auto diplomatica alle
dieci. Farò il viaggio con
l’onorevole
Galli.»
Non
ha
un’espressione
troppo
felice.
«Dobbiamo discutere di un
importante progetto
nanziario
per la Comunità Europea.»
«Allora sarà meglio iniziare a
salire.» Linda fa per sollevarsi dal
lettino.
Tommaso le posa le mani sulle
spalle, la riporta vicino a sé.
Restano così per un tempo che si
dilata all’in nito, mentre riescono
a scorgere via via solo qualche
piccolo ri esso l’uno dell’altra: un
bagliore di occhi, uno zigomo, un
frammento di fronte che si sfoca
dietro la luce delle candele. Poi si
stringono. Le loro labbra si
toccano, calde, si dischiudono, le
loro lingue scivolano una sull’altra.
Si stringono più forte che possono,
respiro dentro respiro, in questa
notte profonda e mossa che li
unisce e li nasconde da tutto e da
tutti.
Non ha dormito quasi niente,
Linda. Poco prima dell’alba
Tommaso l’ha riaccompagnata a
casa e sulla soglia si sono dati
ancora un bacio, che nessuno dei
due saprebbe dire quanto sia
durato. Dopo lui è tornato alla
macchina con un’espressione carica
di rimpianto, un rimpianto misto a
rabbia per non poterla tenere con
sé più a lungo e nostalgia per
averla troppo lontana da sé.
Si è rotolata mille volte tra le
lenzuola per quel poco che restava
della notte, mentre brandelli di
parole gesti pensieri sensazioni le
scorrevano tra la testa e il cuore,
sopra e sotto la pelle. La voce di
lui, i suoi occhi grigio blu, le sue
mani, le sue labbra, il suo respiro,
le sue braccia. E poi, ma solo un
ash, Nadine e la sua perfezione,
Nadine e la sua sicurezza, Nadine
la donna u ciale. Ma è stato un
attimo. E il pensiero fastidioso di
lei si è dissolto in fretta lasciando
ria orare
i
lineamenti
di
Tommaso nella sua memoria. Si è
rigirata mille volte, e ogni
posizione era sbagliata, incapace di
adattarsi a tutti i movimenti della
mente e del corpo. Quando verso le
sette è stata sul punto di
addormentarsi, le è squillato il
cellulare sul comodino, e non ha
potuto fare a meno di rispondere,
vedendo il nome di Alessandro
lampeggiare sul display.
«Pronto?» Linda ha fatto un
verso da animale sorpreso nella
propria tana.
«Ciao… sono io, lo so che è
presto.» La voce di Alessandro le è
arrivata all’orecchio come una
martellata. «È che ti devo chiedere
un favore urgentissimo.»
«Se posso…» ha detto lei, non
troppo cosciente, impastata di
sonno.
«Mi
accompagneresti
all’aeroporto di Venezia oggi
pomeriggio?»
«Scusa?!» Si è risvegliata davvero
solo in quel momento.
«Devo partire.»
«Ma come devo partire?» Linda ha
fatto un balzo sul letto, poi è
ricaduta sul cuscino, senza forze.
«Sì, per il Vietnam. Alle cinque
ho il volo.»
«Eh?! E me lo dici così?» Linda
ha farfugliato qualcos’altro, ma
Alessandro non gliene ha dato il
tempo, tutto preso da questa
partenza lampo. A un tratto Linda
ha un’intuizione, ma non vuole
credere che sia vera: sente, ma
spera tanto di sbagliarsi, che il suo
amico ha deciso di tornare
nell’occhio del ciclone.
«Dài, ti spiego tutto dopo. Stai
tranquilla. Basta che passi da me
per le due.»
«Ale, non so in che cavolo di
casino tu ti stia cacciando stavolta,
ma va bene, sono con te. Come
sempre.» Le parole le sono uscite al
rallentatore, con una fatica
pazzesca. «Ci vediamo più tardi.»
«Fantastico! Lo sapevo che
saresti stata incredibile anche
questa volta! Grazie davvero» ha
risposto lui, su di giri in modo
sospetto.
Lei ha spento il cellulare, lo ha
buttato da qualche parte sul letto.
S nita, ha a ondato la testa nel
cuscino ed è sprofondata nel sonno
con uno sciame di pensieri
inde nibili, nei quali i volti di
Alessandro
e
Tommaso
si
sovrapponevano in un’alternanza
inquietante.
Adesso la luce entra a otti dagli
scuri, il vento preme contro i vetri.
Che ore saranno? Le nove? Le
dieci? Dovrebbe alzarsi – tra l’altro,
cazzo!, deve pure passare da Bosi
stamattina – ma è tentata di
restare ancora a letto, in attesa che
il coraggio venga a bussarle alla
porta. Apre gli occhi ma non riesce
a
liberarsi
subito
dall’annebbiamento che la avvolge.
Forza. Uno, due, tre. In piedi,
finalmente. E sembra un miracolo.
Nemmeno Tommaso è riuscito a
chiudere occhio. Adesso si sta
facendo la barba davanti allo
specchio del bagno di servizio.
Restare in camera accanto a
Nadine che ancora dorme gli stava
provocando
un’ansia
insopportabile. È sicuro che anche
lei ha passato la notte fuori, non
saprebbe dire con chi. È
abbastanza sgomento per la
distanza che in così pochi giorni è
cresciuta tra loro, senza che
nessuno dei due avesse il tempo di
correre ai ripari. Si passa la
lametta sulla schiuma, la scuote nel
lavello, la lava sotto il getto del
rubinetto. Pensa che i loro gesti e i
loro corpi di adesso sono più o
meno gli stessi che anni prima
producevano
un’alchimia
irresistibile: si domanda cosa sia
successo nel frattempo, dove se ne
sia andata l’attrazione, insieme
all’attenzione all’altro, al sano
divertimento, alla
ducia, alla
curiosità e per no alla stima. Non
lo sa, non riesce a capirlo, ma ora
ha altro a cui pensare.
L’antico orologio a pendolo nel
salone d’ingresso segna le nove e
mezza. Deve darsi una mossa e
anche una svegliata, se non vuole
farsi sorprendere ancora rintronato
quando arriverà l’auto blu con
l’onorevole.
Quello che è capitato con Linda
lo ha completamente stravolto. Era
sicuro della sua capacità di
mantenere un certo distacco, non
nel senso ascetico del termine, ma
nell’ottica di riuscire a evitare
anche la più remota possibilità di
un coinvolgimento sentimentale.
Perché da questo punto di vista era
già abbastanza imbarazzato e
per no nauseato dalla delusione
della storia con Nadine, che era
ormai diventata una miscela
patetica di ri essi condizionati,
atteggiamenti impostati, cliché. Ma
poi, con l’arrivo di Linda nella sua
vita, tutte le barriere costruite con
anni di faticoso lavoro su se stesso
hanno cominciato a incrinarsi. Da
subito: dalle prime parole che si
sono detti, i primi sguardi che si
sono scambiati. La gioia di questa
confusione leggera lo ha travolto
con un’intensità e una tenerezza a
cui non era per nulla preparato.
Adesso il suo equilibrio è
compromesso, da ogni punto di
vista. Ed è successo mentre lui
permetteva che accadesse. Ma
com’è possibile, si chiede ora,
quando ormai è troppo tardi, che
capiti una cosa del genere a uno
che non stava cercando nulla di
simile, e che forse non ci credeva
neanche più? Quando la diga di
difese emotive che hai costruito in
una vita si rompe, possono uscire
cose che credevi nascoste, al sicuro
negli strati più profondi del tuo
cuore. E ora Tommaso non sa più
se vuole evitarlo o se invece ha
l’urgenza che diventi realtà, il
prima possibile. Non è più sicuro di
niente, adesso, avrebbe solo voglia
di tornare da lei, invece di salire su
quell’auto blu e affrontare un lungo
e noioso viaggio no a Roma. Gli
basta ripensare al corpo di lei
sopra il suo, a quella vicinanza
travolgente, a quello scambio di
emozioni, pensieri, respiri perché
sulla pelle senta gli stessi brividi e
il cuore inizi a battergli in maniera
strana.
Basta. Deve tornare in sé.
Ma qual è il vero se stesso, ora?
Hanno suonato al citofono del
cancello e lui deve ancora vestirsi.
Vorrà dire che lo aspetteranno,
forse per la prima volta.
Alle due in punto Linda arriva al
casale di Alessandro. Lui la sta già
aspettando fuori, seduto su un
blocco di granito, maglietta nera,
pantaloni militari e an bi, la
Re ex a tracolla nella sua custodia,
lo zaino da spedizione antartica
abbandonato lì per terra. Senza
scendere dalla spider, lei con la
mano gli indica il bagagliaio sul
retro. Alessandro si tira su di
scatto, a erra lo zaino, lo lancia
dentro la macchina e a una velocità
supersonica guadagna il posto di
fianco a lei.
«Dobbiamo andare come razzi
perché non sono riuscito a fare il
check-in da casa, con quel cazzo di
scalo a Londra che mi tocca fare»
dice in un ato, dopo averle
stampato un bacio sulla guancia.
«Intanto stai calmino, e poi
allaccia le cinture, please!» Linda
ingrana la prima e preme
sull’acceleratore al massimo.
Alessandro si appoggia al sedile,
ma resta un po’ rigido. «Stai
calmina anche tu però.» Si fa il
segno della croce appena vede il
contachilometri balzare in pochi
secondi dai trenta ai cento e passa.
Poi scoppia in una fragorosa risata,
un po’ nervosa in verità.
«Mi calmo solo quando mi
spieghi per lo e per segno come
cavolo ti è venuto in mente di
ripartire per il Vietnam.» Scuote la
testa in segno di disapprovazione.
«Tu devi essere pazzo!» Poi gli
sferra un piccolo pugno sulla
gamba. «E io sono più pazza di te a
darti corda.» Eppure lo sa anche lei
che è giusto così.
«Vado a dare man forte al mio
amico blogger che è stato
condannato» dice Alessandro. «Non
ce la faccio più a rimanere qui con
le mani in mano.»
«Molto bene! Immagino che tu
stia facendo le cose in sicurezza,
giusto?» Più che rimprovero si
annida preoccupazione sincera
nella voce di lei.
«Mi è arrivato un comunicato da
fonti certe. So che ci sarà un
movimento di protesta in suo
favore.» Alessandro si infervora,
parla come se fosse già lì, a urlare
slogan contro la polizia vietnamita
per la liberazione di un uomo che
ha agito solo in nome del Bene.
Eccolo lì, l’idealista mai in pace
con se stesso. Sempre impegnato a
cercare il giusto e lo sbagliato in
tutto quello che ha attorno. È fatto
così, ha un senso della giustizia così
forte che a volte gli fa mettere in
secondo piano ogni cosa: gli affetti,
l’amore, la sua sicurezza personale.
Di fronte a ogni con itto, grande o
piccolo, ha bisogno di decidere da
che parte stare.
«Vedi di farti ammazzare, mi
raccomando. Che qui in Italia
senza tue notizie al cardiopalma ci
annoiamo troppo.» Linda è agitata,
sente un nodo allo stomaco che
non riesce a sciogliere.
«Idiota! Lo sai che sono un tipo
prudente…»
«No, Ale.» Sbatte una mano sul
volante. «Non scherzo: stavolta
sono seriamente preoccupata.»
«Ma non ce n’è motivo» cerca di
rassicurarla lui.
«E invece sì. Hai già rischiato
una volta e adesso vai a rin larti
dritto dritto nella tana del lupo?»
«Non mi succederà niente. Stai
tranquilla. Ti stai girando da sola
un lm nella testa.» Alessandro
ridacchia. Non sottovaluta la
situazione, vorrebbe solo smorzare
un po’ la tensione. «Davvero»
conclude.
Linda fa un sospiro e poi un
sorriso, scorre le dita sul cruscotto
per cercare di accendere la radio.
«Mettiamo un po’ di musica, dài,
così smetto di fare la mamma
rompipalle…»
«Faccio io, tu pensa a guidare.»
Alessandro le prende la mano e
gliela posa dolcemente sul cambio,
quindi si mette a frugare nel
cruscotto dove sono stipate alla
rinfusa vecchie cassette che
probabilmente Linda non ascolta
da anni, ammesso che funzionino
ancora. Mette su una compilation
dei Beatles, che si sente benissimo,
e per un po’ se ne stanno in
silenzio ad ascoltare le parole.
Quando parte il ritornello di
Come Together, però, non riescono
a resistere e si mettono a cantare a
squarciagola. È un pezzo che ha
sempre avuto un posto d’onore tra
i loro preferiti. Cantano sempre più
forte – Linda intonata prende in
giro Alessandro, che lo è un po’
meno – s dandosi con lo sguardo e
ridendo per allontanare i pensieri
negativi. Linda si dondola avanti e
indietro, tenendo le mani sul
volante, Alessandro mima la
rullata di batteria con le mani.
«Questa canzone me la scarico
subito sull’iPhone, così quando
l’ascolterò laggiù ti penserò.»
«Oh, il mio romanticone…»
Linda si volta un istante verso di
lui e gli sorride, ma lui resta serio.
La guarda come se volesse
imprimersi la sua immagine negli
occhi e farne una fotogra a. La più
bella di tutte.
All’improvviso tra di loro si
avverte un’atmosfera strana, densa
di promesse mai fatte e desideri
sopiti. In silenzio, è come se si
parlassero. Potevamo darci di più
in questo tempo passato insieme e
chissà perché non l’abbiamo fatto.
Forse per paura, timidezza o
indecisione. In ogni caso adesso è
troppo tardi. E bisogna guardare al
futuro.
«Quando pensi di tornare?» gli
chiede Linda, rompendo quel
silenzio che da qualche minuto si è
fatto pesante.
«Quando sarà il momento. Come
sempre.»
Ecco,
di
nuovo
quell’atmosfera
palpabilmente
sospesa.
Finalmente sono arrivati e quel
clima inde nibile è smorzato
dall’esigenza di fare presto.
Parcheggiano nel primo posto
libero e si precipitano dentro. Per
fortuna non c’è troppa coda al desk
e Alessandro è rapido nelle
pratiche d’imbarco.
C’è giusto il tempo per andare a
bersi una cosa al bar del piano
superiore prima della partenza.
Prendono la scala mobile e, dopo
aver
ordinato
due
ca è,
s’impadroniscono
del
primo
tavolino libero.
Linda non lo butta giù d’un ato,
come al solito. «È l’ultimo ca è
italiano» dice Alessandro godendosi
il suo con un sospiro. E ha il gusto
amaro e strano di un addio. Estrae
con un gesto veloce la Re ex e le
scatta una foto. «Su, non fare
quegli occhi tristi» le ordina,
sollevandole il mento.
«Metti
via
quell’arnese.»
All’improvviso
Linda
ha
l’impressione di rivivere una scena
di molti anni prima.
Era partito dall’aeroporto di
Venezia, la prima volta, ed era
stata lei ad accompagnarlo. Lei che
aveva appena preso la patente e
sapeva sì e no ingranare la retro.
Alessandro
aspettava
quel
momento da anni. Pochi giorni
dopo l’esame di maturità, la grande
decisione: partire e non tornare per
un po’. A fare cosa, esattamente,
non lo sapeva né gli importava
granché. Qualche soldo messo da
parte, una Canon a rullino, un
biglietto per Lima e uno zaino
pieno di sogni. Separarsi era stato
un dolore per entrambi: avevano
vissuto gli ultimi anni in simbiosi,
come due fratelli, due amici
innamorati, ma sapevano che quel
momento sarebbe arrivato.
È stato allora che Linda gli ha
chiesto di mandargli una cartolina,
una foto, una traccia di sé da ogni
Paese in cui sarebbe stato: voleva
essere certa che non si sarebbero
dimenticati mai, e lui è stato di
parola. Eppure se lo ricorda
straziante quell’addio, un po’ come
adesso, anche se ora sono adulti –
ognuno a modo suo – e certe cose
fanno più fatica a dirsele.
L’altoparlante annuncia il volo
di Alessandro e riporta Linda alla
realtà. Si alzano dal tavolo e
tornano al piano di sotto, lei lo
accompagna no ai controlli. È il
momento. Un’altra volta.
«Bene, ci salutiamo qui.»
Alessandro la abbraccia e le
imprime due baci sulle guance.
«Fa’ buon viaggio.» Linda lo
stringe forte a sé per secondi che le
sembrano interminabili e insieme
così brevi, poi lo lascia andare.
«Promettimi che starai attento.»
«Te lo prometto.» La guarda
negli occhi, il nero contro il verde.
«Mi mancherai. Davvero. Ma
questa non è una novità.»
«Anche tu.»
Alessandro si sistema la tracolla
della Re ex, fa tre passi, poi
all’improvviso si gira e torna verso
di lei. Linda pensa che abbia
dimenticato qualcosa, sta per
chiederglielo, ma lui glielo
impedisce, sigillandole la bocca con
un bacio profondo. Lei è così
sorpresa che non sa reagire. Le
mani di Alessandro, delicate e forti,
le tengono ferma la testa e
a errano
i
suoi
pensieri,
imprigionandoli nello spazio che
ora manca tra loro. Linda chiude
gli occhi, trattiene il respiro, e
adesso lo sta baciando anche lei.
Alessandro si stacca. «Ora posso
andare»: così la saluta, tenendole il
viso tra le mani.
«Sì» risponde Linda, ancora
stordita.
Alessandro stringe le mani di lei
nelle sue, le posa sulla fronte un
altro piccolo bacio. Ci sarò sempre,
le sta dicendo. Perché lo sanno
entrambi che non sarà mai un
addio.
13
Accidia
Ciao ragazza,
finalmente riesco a scriverti!
Ho una grande notizia per te: oggi
hanno liberato Xuan, il mio amico
blogger. Gli attivisti hanno protestato
per dieci giorni davanti al a prigione
di Stato, e io con loro. Stare lì in
mezzo è stato grandioso, non ti dico
che gente pazzesca ho incontrato, dei
fuori di testa con un senso del a
giustizia e un coraggio incredibile…
Poi, quando hanno sgomberato il
nostro presidio davanti al carcere, ci
siamo barricati davanti al Palazzo
Presidenziale e lì abbiamo resistito
nché ci hanno ascoltati. Al a ne il
governo vietnamita è stato costretto a
cedere. Io ero davvero l’ultima ruota
del carro in questa storia, ma se non
avessi testimoniato in favore di Xuan
forse la sua scarcerazione avrebbe
richiesto mesi. Solo io purtroppo
potevo farlo, perché ero l’unico ad
avere in mano le prove del e sua
innocenza, le foto. E le foto dicono
sempre la verità. Sono così felice di
aver fatto una cosa giusta. Una gioia
così piena non la provavo da tanto
tempo.
Quando l’hanno fatto uscire e ho
potuto riabbracciarlo, ero emozionato
come un bambino, e ho addirittura
pianto (e tu lo sai che io non piango
MAI). Adesso lui è qui accanto a me.
Ti sto scrivendo da un posto fuori
Hanoi. Nessuno sa dove siamo, è
meglio restare per un po’ sotto
copertura… Anche perché la faccenda
non nisce qui, no. Adesso arriva la
fase cruciale, non ci ferma più
nessuno! Siamo pronti a riprendere la
nostra battaglia contro gliimprenditori
corrotti, i bastardi sfruttatori e i pezzi
di merda col usi con la ma a locale.
Oggi io e Xuan abbiamo fatto una
serie di scatti da brivido, rubati in una
fabbrica mentre nessuno si accorgeva
di noi (ma non ti agitare, il rischio era
minimo, è tutto sotto control o). Tra
un po’ li pubblicheremo, bisogna solo
aspettare il momento giusto.
Credo che ci sposteremo a Ho Chi
Minh, il centro più grosso dove questi
criminali maledetti reclutano i
bambini per farli poi lavorare in
condizioni disumane.
C’è troppo da portare al o scoperto,
credimi, tanta vergogna che è
doveroso far conoscere al a comunità
internazionale.
Mi sento vivo come mai prima d’ora
e ti prometto che starò attento. Non
preoccuparti se non ti scrivo per un
po’, qui non è così facile… e poi, per
il momento, meno lascio tracce di me
in rete e via telefono (non sai che
voglia avrei di chiamarti!) meglio è.
Ti penso sempre e non vedo l’ora
di tenerti di nuovo tra le mie braccia.
Grazie per avermi accompagnato in
aeroporto. Grazie di esserci. Questa
vittoria è anche un po’ tua!
Ti voglio bene e lo sai.
Ale
Anch’io ti voglio bene, pensa
Linda. Salva la mail nella cartella
POSTA IMPORTANTE, alza lo sguardoal
cielo, e sorride: che sollievo sapere
che sta bene, che ha fatto qualcosa
di grande e che è felice! È passato
un mese dal giorno in cui
Alessandro è partito e non aveva
sue notizie da allora. L’aveva
capito da subito quanto ci tenesse
alla liberazione di Xuan. E ora
l’entusiasmo del suo amico l’ha
contagiata. Certo, ovviamente non
crede a una sola parola riguardo
alla situazione di pericolo e allerta:
mente per tranquillizzarla, lo sa
bene. Chissà se sarà davvero al
sicuro, laggiù! Chissà in che casini
sarà capace di cacciarsi! Perché lei
lo conosce n troppo bene: uno
come lui non si ferma davanti a
nulla se si tratta di inseguire una
giusta causa.
Appoggia il telefono sul tavolino
di legno, al riparo dell’ombrellone,
e torna a stendersi sul comodo
lettino in tela. Sono quasi le sei e la
piscina dell’Asolo Golf Club inizia a
svuotarsi mentre tra le colline ltra
la luce più bella del giorno. È stato
Tommaso a portarla in questo
luogo meraviglioso, ed è la prima
domenica che passano insieme. Lui
è riuscito a svincolarsi da Nadine
con la scusa di un impegno
importantissimo di lavoro, uno di
quei meeting internazionali –
s’immagina Linda – che decidono le
sorti politiche dell’Europa e a cui è
impossibile mancare. Mentire non
è nel suo DNA, ma per trascorrere
del tempo con lei ha dovuto
cominciare a farlo, e più spesso di
quanto
lui
stesso
potesse
immaginare. Ne è sempre valsa la
pena, finora.
Linda si distende su un lato,
allunga un braccio verso Tommaso,
gli s ora la spalla con un dito.
«Quante ore di di erenza ci sono
tra qui e il Vietnam?»
Tommaso fa un’espressione un
po’ stranita ma le risponde subito.
«Se non sbaglio, cinque.» Si gratta
la
testa.
«Perché?»
chiede
abbassando sul naso i Lozza in
legno striato.
Linda si morde un labbro, mentre
si aggiusta il reggiseno del bikini
azzurro cielo. «Alessandro è lì e mi
ha appena scritto una mail.»
«Ah.» Tommaso si sistema di
nuovo i Lozza sul naso. «Come
sta?»
«Bene, per fortuna.» Linda tira
un sospiro. «È riuscito a far liberare
un amico blogger che avevano
messo in prigione ingiustamente.»
Tommaso annuisce, sa benissimo
di cosa sta parlando. «Laggiù la
libertà di stampa è ancora un
miraggio. E si conquista spesso al
prezzo del sangue.» Non sa perché,
ma prova una sensazione strana e
nuova, che non sa decifrare e che
lo spinge a farle quella domanda:
«Lui ti manca?».
«Un po’» risponde Linda
piegando la testa da un lato. Con
Tommaso non riesce a non essere
sincera. Poi si sforza di fare una
specie di sorriso. «Sai, c’è sempre
stato un legame profondo tra me e
lui,
n da quando eravamo
ragazzi.»
«Questo si intuisce…»
Linda si tira su a sedere. «Che
fai, non sarai mica geloso? No no
no… per il Signor Controllo-tutte-
le-emozioni questa è un’infrazione
alle regole bella e buona!»
«Io?!» Tommaso scuote la testa,
ma è chiaro che è appena stato
colto in
agrante. «Figurati.
Assolutamente no.»
«E invece sì…» Linda lo studia, si
alza e va a sedersi sul bordo del suo
lettino. «Sei geloso, ammettilo.» Gli
punzecchia i muscoli del petto.
«Forse.» Tommaso abbassa gli
occhi. Non vuole riconoscere che si
è sbilanciato.
«Oddio, non ci posso credere.»
Linda
è
divertita,
adesso.
«Tommaso
Belli,
il
grande
diplomatico che gestisce crisi
internazionali, confessa di essere
geloso?»
«Io non ho confessato proprio
n ul l a , baby. Le sue, signorina
Ottaviani, sono solo illazioni.»
Tommaso sorride. «Vieni qua,
sfaticata.» La tira a sé e le ruba un
bacio.
«Oh, sì!» Linda gli tempesta il
viso di piccoli baci, si allunga sopra
il corpo di lui. «Si sta così bene
attaccati a te…»
Tommaso le accarezza il naso
con un dito, con una tenerezza che
quasi stenta a riconoscere come
sua. Ma con lei è così, è tutto
spontaneo, la ragione non riesce a
ltrare le emozioni e incanalarle
come lui ha sempre fatto. «Lo sai
che stamattina non sei stata niente
male come giocatrice?»
«E tu invece come bugiardo sei
pessimo.» Linda ride rivivendo con
la mente le lezioni di golf di
Tommaso. Le è sembrato un
inferno ricordare che le mazze
hanno mille nomi e speci cità
diverse: i “legni”, i “ferri”, i putter,
e poi il driver, e il sand wedge. Se
gliele mettessero davanti ora, già
non saprebbe più nulla. Per non
parlare della dinamica del gioco: le
buche, il numero dei colpi, questo
diavolo di par che ci ha messo
un’ora per imparare cosa fosse.
Tommaso poi era tutto uno
sciorinare termini tecnici, doppio
eagle di qua, e triplo bogey di là, ebirdie, e albatross, e condor. Non ci hacapito niente, deve ammetterlo,
ma vivere quest’esperienza con lui,
lasciarsi guidare è stato eccitante,
soprattutto quando si metteva
dietro di lei e l’aiutava a
impugnare la mazza, o quando le
spiegava come dare forza al tiro.
«Davvero» la incalza Tommaso.
«Sei stata la mia allieva più
promettente.»
«Certo, perché probabilmente
sono stata anche l’unica, visto che
come maestro sei così… diciamo
aderente.»
Tommaso ride di gusto, adesso.
«Non sto scherzando, secondo me
hai delle grandi potenzialità. Con
un altro paio di lezioni, una volta
che avrai preso dimestichezza col
campo,
potresti
addirittura
battermi.»
«Questo proprio lo escluderei…»
Eppure lo spirito di competizione
non le manca. Anzi. L’idea di
confrontarsi con lui, che negli anni
ha vinto parecchi tornei, la fa
andare subito su di giri.
«Comunque, possiamo provare. A
tuo rischio e pericolo.»
Tommaso le accarezza la testa.
«Mi piace quando tiri fuori le
unghie…» Poi le lascia un morbido
bacio sulla fronte. «Che facciamo,
ceniamo qui stasera, ti va?»
«Se tu puoi, sì.» Dura un attimo,
però il pensiero di Nadine le
attraversa la mente. La signora
non la prenderà bene di certo,
anche se sono abituati a fare vite
quasi separate… ma questo non la
riguarda, è un problema che deve
gestire Tommaso: l’idea di una
cena in terrazza a lume di candela,
magari dopo un bel massaggio
rilassante, la stuzzica. E se può
averlo tutto per sé senza sforzo,
Linda non vede perché buttare via
l’occasione.
«Certo che posso.» Tommaso ha
un tono quasi severo. «E,
soprattutto, lo voglio.»
Linda gli salta al collo, lo guarda
negli occhi blu che ora sono accesi
come il cielo. «Fantastico! Stasera
voglio solo te.»
Tommaso scuote la testa.
«Anch’io. E non sai quanto.»
Mentre lo dice, pensa che anche lui
non ha capito bene i con ni di
questa attrazione che prova per
Linda. È un’emozione che lo
spiazza, e che ormai non riesce più
a controllare. Allarga le braccia,
con nta rassegnazione, mentre gli
scappa da ridere. «Ormai, sono in
tuo potere. Fa’ di me ciò che vuoi.»
Ad Hanoi è l’una del mattino.
Alessandro ha appena chiuso gli
occhi. Il divano letto del
monolocale è scomodissimo, ma
per uno che ha passato le ultime
dieci notti all’aperto è come un
hotel a cinque stelle. Xuan è uscito
un’ora fa; ha deciso di andare a
dormire da Duyên, la ragazza che
stava frequentando prima che lo
arrestassero. Tornerà all’alba, poi
insieme partiranno per Ho Chi
Minh.
Alessandro si rigira sul divano.
Fa un caldo so ocante, e lui suda,
nonostante sia in boxer e il
ventilatore a elica sul so tto
muova un po’ l’aria stantia e
bollente
della
stanza.
Ha
accumulato troppa adrenalina nei
giorni precedenti e gli ci vorrà
parecchio per smaltirla, o forse non
la smaltirà mai, considerato quello
che lui e Xuan hanno intenzione di
fare. Intrufolarsi nelle fabbriche e
immortalare l’atroce verità dello
sfruttamento minorile non è
proprio una passeggiata. Sa bene
che basterà una sola mossa
sbagliata, perché tutto vada in
fumo.
Mentre si dibatte tra questi
pensieri, uno strano rumore rompe
il silenzio del monolocale. Apre gli
occhi e nel buio della stanza
avverte una presenza. Umana.
«Xuan, sei tu?» farfuglia,
cercando l’interruttore sul muro.
Nessuna risposta, solo un
convulso vociare basso. Alessandro
si tira su a sedere di scatto.
Finalmente riesce a premere
l’interruttore della luce di servizio.
«Oh, merda!»
Ci sono due uomini davanti alla
scrivania. Uno, piccoletto e magro,
con una lunga cicatrice che gli
percorre la guancia, se ne sta in
piedi, come per fare il palo
all’altro, grosso e pelato, che fruga
tra i cassetti con una foga
spaventosa.
«Chi diavolo siete?» Alessandro
salta giù dal divano e con uno
scatto rapidissimo si avventa sui
due. «Che ci fate qui? Che cazzo
volete? What are you looking for,
here?»
« Photo. Your photo» biascica in un
inglese stentato il piccoletto con lo
sfregio mentre caccia fuori il ferro,
una piccola semiautomatica calibro
22, e glielo punta alla tempia,
tenendolo fermo per un braccio con
una presa d’acciaio. « Where? Where
photo?»
Alessandro
non
si
lascia
impressionare. Guarda i due con gli
occhi carichi di odio e serra la
mascella. Dovrete passare sul mio
cadavere per averle. « Which photos?
I don’t understand. What do you
mean? » dissimula con tutta la forza
che ha.
A quel punto il tipo grosso e
pelato si alza dalla sedia, farfuglia
qualcosa
in
vietnamita
al
compagno. Questo, come una furia,
colpisce Alessandro in faccia con
un pugno, poi gli dà una
ginocchiata in mezzo alle gambe
che lo stende a terra. Alessandro di
ri esso si mette una mano sulle
palle; una smor a di dolore gli
irrigidisce il viso e un rivolo di
sangue gli cola dal naso. Il
piccoletto gli preme lo scarpone
chiodato sul petto per farlo stare
giù. Ma Alessandro glielo a erra
con le mani e lo ribalta a terra. In
un groviglio di braccia e gambe
iniziano a lottare nché, proprio
quando il vietnamita sta per
soccombere, non interviene l’altro
a strappare il compagno dalle sue
grin e. E poi, a turno, lo
riempiono di calci, pugni, sputi.
Quando è abbastanza stordito da
essere inerme, il piccoletto gli
punta la pistola in mezzo alla
fronte. « I kil you. Speak. Where
photo» lo minaccia, urlando come
un indemoniato.
Alessandro è a terra, ha il torace
in amme, i muscoli doloranti, la
testa che rimbomba. Prova a
reagire di nuovo. La violenza non è
mai stata la sua arma, ma quando
non hai altro a disposizione… Con
un improvviso colpo di mano fa
volare via la pistola al piccoletto,
gli dà uno spintone con le gambe e
lo stende sul pavimento. Con la
poca forza che ancora ha, fa per
alzarsi, ma non ci riesce. Sente due
mani più forti delle sue che lo
spingono giù: è il tizio grosso. Gli
preme sulla bocca un fazzoletto
imbevuto di cloroformio.
Poi è un attimo. La luce, il buio.
Alessandro ha un sussulto, perde i
sensi e si accascia fra le braccia
dello sconosciuto.
Da un po’ di giorni si alza presto.
Sarà l’aria frizzante di questo
settembre pieno di sorprese, sarà
perché l’estate sta per nire e lei
non vuole perdersi un solo
momento di sole e vita all’aria
aperta. Anche perché già pensa ai
primi grigiori autunnali che fanno
del Nordest un posto malinconico e
poco attraente. Oggi che è sabato è
salita in sella alla sua bici da corsa
– è troppo tempo ormai che la sta
trascurando – e si è messa a fare un
po’ di chilometri di saliscendi tra le
colline.
È una di quelle mattinate con il
cielo azzurro, il sole e l’aria tiepida
che la fanno sentire leggera. Da
quassù riesce per no a intravedere
il mare sulla linea dell’orizzonte.
Linda è felice. Con Tommaso sta
andando alla grande: i loro
incontri sono passione allo stato
puro, nessuno dei due ha voglia di
farsi troppe domande sul futuro e
così stanno vivendo a mille ogni
singolo istante che riescono a
condividere. Non potrebbe chiedere
nulla di più. Unico neo alla gioia di
questo momento è Alessandro, che
dopo quella mail non ha più
mandato notizie, ma in fondo ha
sempre fatto così, lo conosce bene:
è capace di ritornare un bel giorno
all’improvviso, senza nemmeno
avvertirla, proprio come l’ultima
volta. Chissà su che informazioni
scottanti avrà messo le mani… Se
lo immagina intento a scattare
come un matto, negli scenari più
incredibili del Vietnam. Beato lui,
che ha sempre avuto quello spirito
nomade. Lei invece nella sua terra,
il Veneto, ci ha piantato radici
saldissime e la abbandona solo se
proprio deve, per qualche breve
vacanza o viaggio di lavoro.
Ma è davvero solo questo a
turbarla, il fatto di non avere
notizie del suo amico di sempre?
Scuote il capo per allontanare da
sé il ricordo di quel bacio che
ancora non si spiega, in
quell’attimo sospeso in mezzo alla
confusione dell’aeroporto. Si mette
a pedalare più veloce.
Percorre una discesa, poi
imbocca la stradina pianeggiante
che costeggia l’argine di un
umiciattolo,
ed
eccola
a
Serravalle, a casa di zio Giorgio,
che l’aspetta per pranzo. Meno
male che lui c’è. Senza di lui, con la
famiglia lontana e gli amici sempre
presi tra lavoro e casa, si
sentirebbe persa.
Linda entra in casa. Dalla cucina
arrivano rumori di pentole e piatti,
sembra un concerto di percussioni:
come in ogni cosa che fa, anche in
cucina Giorgio mette estro e
passione a volontà. E poi ha
sempre voglia di sperimentare.
Oggi, per esempio, gli è saltato in
mente di fare una ricetta thai, il
pollo al latte di cocco e curry,
accompagnato da riso basmati. È
sicuro che a Linda piacerà.
«Zio!» Linda lo saluta con due
baci. Lancia un’occhiata di
apprezzamento
all’elegante
grembiule rosso che indossa.
«Tenuta da grande chef, oggi?»
«Tesoro, o le cose si fanno bene,
o non ci si prova nemmeno, mi
conosci!»
«Giusto.» Linda gli batte un
cinque. «Della tavola mi occupo
io.»«Certo, tesoro, in quello di sicuro
sei più brava tu.» Le strizza
l’occhio.
Mentre parlano, sullo sfondo si
sente la sigla del telegiornale.
Linda a erra il telecomando e
abbassa il volume: i tg le danno sui
nervi per la quantità di cazzate che
riescono a trasmettere. E per di più
a tavola o quando è in compagnia
non tollera la presenza fastidiosa
della televisione. Ma se Giorgio
l’ha accesa, non gl’imporrà di certo
il suo volere. Stende la tovaglia di
lino bianco e piega a ventaglio due
tovaglioli.
Poi apre la credenza. «Metto i
calici o i cilindri in vetro so ato?»
chiede, per sicurezza.
«Direi la seconda, visto il menu
etnico» risponde Giorgio.
«Ok.» Linda si alza sulle punte
per a errare i bicchieri. È mentre li
sta posando sul tavolo che lo
sguardo le nisce sullo schermo
della televisione. La giornalista
bionda ha un viso scuro, da lutto;
alle sue spalle compare la foto di
un volto maschile. Linda si sente
raggelare il sangue, non crede a ciò
che
vede.
«Ma
quello
è
Alessandro!» esclama, sconvolta.
Alza rapida il volume.
Giorgio si volta e corre subito lì,
lasciando traboccare dal coperchio
l’acqua in cui sta bollendo il riso.
Ascoltano immobili, muti, gli
occhi incollati allo schermo.
«Era in Vietnam da poche
settimane, Alessandro Degan, il
fotoreporter
italiano
misteriosamente scomparso ad
Hanoi, la capitale.» La voce della
giornalista
è
fastidiosamente
asettica.
«Trentacinque
anni,
veneto, l’uomo collaborava con
un’agenzia
di
stampa
internazionale. Dalle poche notizie
giunte in Italia, si sa che stava
lavorando a un reportage sullo
sfruttamento del lavoro minorile
nel Paese. L’ipotesi del rapimento,
non ancora confermata dal
Ministero degli A ari esteri
italiano, sembra la più probabile.
Potrebbe trattarsi di un sequestro
per mano della ma a locale che
gestisce il tra co dei minori.
Tuttavia, l’Interpol non esclude
l’ipotesi
dell’omicidio.
Aggiornamenti saranno forniti
nelle prossime edizioni del
giornale.»
Linda e Giorgio si guardano
increduli, pietri cati. In quel
preciso momento tutto intorno a
loro si svuota di senso e
importanza.
Linda si accascia sulla sedia, si
prende la testa tra le mani, scoppia
a piangere. «Non è possibile, non ci
credo.» Le lacrime le rigano le
guance, scivolando salate sulle
dita, in bocca.
La giornalista bionda continua la
recita delle notizie. In due secondi
passa da un’espressione di dolore
assoluto a una di placida allegria.
«Si
conclude
stasera
la
settantunesima
Mostra
internazionale
d’arte
cinematografica. Sentiamo il nostro
corrispondente da Venezia.»
Giorgio spegne in fretta la tv,
con la poca lucidità che gli è
rimasta.
Linda ha lo sguardo sso su un
punto inde nito della tovaglia.
«Quel maledetto testa di cazzo ce
l’ha fatta a cacciarsi nei guai.» Poi
batte un pugno sul tavolo. «No, no
e poi no!» Urla no a sentire male
ai polmoni, invasa da un’angoscia
crescente.
È scossa, le mani le tremano. Si
sente piccola e inutile, lì seduta su
un comodo divano in quel
tranquillo paesino dove non
succede mai niente, mentre il suo
amico è in prima linea a occuparsi
di questioni serie.
Giorgio la abbraccia con
dolcezza. Ha gli occhi rossi, sta per
piangere ma non vuole farlo di
fronte a Linda. Sua nipote, adesso,
ha bisogno di qualcuno più forte di
lei. «Calmati, tesoro» le sussurra,
accarezzandole
la
testa.
«Alessandro è un ragazzo troppo in
gamba per non uscirne. Se la
caverà di sicuro, fidati.»
Linda ora tace. Ha solo la forza
per chiudere gli occhi e liberare nel
pianto la sua disperazione.
È barricata in casa da giorni. Ha
provato un migliaio di volte a fare
il numero di Alessandro, ma il suo
telefono non dà segni di vita. Linda
ha seguito tutte le edizioni dei tg di
tutte le reti possibili, con sempre
più
angoscia:
nessun
aggiornamento, nessuna novità. E
purtroppo, si premurano di
concludere con un’indi erenza
irritante tutti i giornalisti, le
autorità che si stanno interessando
al caso – chissà quanto gliene può
fregare di un reporter scomodo
come Alessandro, pensa lei – hanno
iniziato ad avvalorare l’ipotesi
dell’omicidio. Dio, è orribile! Chissà
dove l’avranno buttato! Non ce la
fa a sopportare il peso di certe
visioni che le passano per la testa.
Non riesce a darsi pace: sarebbe
cambiato qualcosa se l’avesse
convinto a non partire? Se avesse
cercato di farlo ragionare,
mettendogli davanti agli occhi tutti
i rischi a cui stava per esporsi?
Sarebbe cambiato qualcosa, cazzo?
No, certo che no. Idealista e
cocciuto com’era (com’è?), lui
avrebbe seguito comunque la sua
strada, come ha sempre fatto. Ma
saperlo non alleggerisce a atto il
peso che le grava sulla coscienza,
quella sensazione di impotenza che
le impedisce di pensare ad altro.
Tommaso l’ha cercata più volte
ogni giorno, ma lei non gli ha mai
risposto. Non risponde a nessuno,
neanche allo zio. Ha solo voglia di
stare sola, di crogiolarsi nella sua
tristezza. Ha smesso anche di
lavorare. È almeno una settimana
che non va in studio – senza
peraltro aver fornito a Bosi la
minima giusti cazione – ma tanto
che senso avrebbe? È demotivata e
s nita come non si è sentita mai,
disillusa nel profondo, spossata
no al limite del dolore sico. Certi
giorni le è sembrata un’impresa
titanica anche solo trascinarsi dal
letto al divano, o prepararsi un
ca è, l’unica cosa che riesce a
buttar giù. Non è mai stata così.
Mai. La vita ha perso tutti i suoi
colori, ora, e si è trasformata in
una massa di negatività di fronte
alla quale ci si può solo arrendere,
un carico di angoscia che non le dà
un istante di tregua.
Stamattina ha pianto per quattro
ore di fila. Lacrime che fanno male,
e lei non ha nemmeno provato a
combatterle. Adesso che sono quasi
le tre del pomeriggio si butta sul
divano. Ha freddo, lo stomaco
chiuso, la testa pesante, nel cuore
un groviglio di sentimenti confusi e
contrastanti.
Prende la coperta a rombi, ci si
avvolge,
rannicchiandosi
in
posizione fetale. Ripensa all’ultima
volta che l’ha visto, a quel bacio
rubato in aeroporto. È straziante,
questo lm, e le scorre in testa a
ciclo continuo da giorni. Vorrebbe
avere
un
telecomando
per
cambiare
subito
canale,
teletrasportarsi altrove, sparire da
qui e ritrovarsi nell’abbraccio forte
di Alessandro.
Mentre le passa per la testa una
quantità ormai insopportabile di
pensieri,
sente
suonare
il
campanello. Non ha idea di chi
possa essere e non ha intenzione di
aprire a nessuno. Non vuole farsi
vedere in queste condizioni, tanto
meno parlare con qualcuno. Resta
zitta e immobile, la televisione
accesa a volume zero, sua unica
compagna in questi giorni di
solitudine. Ma chiunque la cerchi,
là fuori, è un tizio testardo, perché
il campanello ricomincia a
suonare, più insistente di prima.
«Linda, apri!»
Tommaso. È venuto da lei. Ed è
la prima volta che lo sente urlare.
«Ti prego, sto impazzendo a non
sapere come stai…»
Linda si tira su a sedere, la testa
le gira; non sa se alzarsi o
rimettersi giù.
«Lo so che ci sei.» Tommaso non
si arrende. «Aprimi. Sono qui per
te. Non voglio nulla. Solo vederti e
sapere che stai bene.»
Linda si trascina per inerzia
davanti alla porta, con la coperta
sulle spalle. Non sa resistere, non
ha più le forze per opporsi. Come
un automa gli apre e lo lascia
entrare.
Tommaso l’abbraccia forte senza
parlare, anche se sa tutto. E Linda
per un istante si abbandona a lui.
Poi si riavvolge addosso la coperta
e torna sul divano.
Tommaso la segue. Non l’ha mai
vista così, sembra un’altra. Ha
un’aria
distrutta.
Tutta
quell’energia,
quella
carica
squisitamente femminile che è
sempre stata la sua cifra, è sepolta
sotto strati di dolore.
Tommaso si siede sul bordo del
divano. Le accarezza la testa, la
guarda negli occhi con tutto il
calore che ha. «Quello che è
successo è tremendo, ma adesso
devi tirarti su.»
«E come faccio?» Le lacrime
iniziano a sgorgarle di nuovo dagli
occhi gon . «Come faccio a
perdonarmi? L’ho lasciato partire
senza dire nulla, l’ho anche
accompagnato io all’aereo! Dimmi
come faccio a tirarmi su, se non so
nemmeno cos’è successo! Come
cazzo lo hanno…» non ce la fa a
dirlo, si sente so ocare «…
ammazzato?»
Tommaso si china su di lei, se la
stringe contro il petto, le
massaggia la schiena.
Linda a quel punto esplode in
singhiozzi ancora più forti. «Non ci
voglio credere, non ci riesco. Non
posso pensare che sia morto.»
«E allora non farlo. Non ci sono
prove che sia andata così.»
Tommaso vorrebbe scuoterla.
«Fidati. Ne ho già visti, di casi
simili.»
Linda solleva di poco la testa.
«Tu pensi che sia ancora vivo?» Si
stro na gli occhi, si passa il dorso
di una mano sotto il naso, tira su.
«Non è stato ritrovato nessun
corpo, tanto per cominciare.
L’Unità di Crisi della Farnesina sta
lavorando al caso, ma al momento
nessuno può dire con certezza come
stanno le cose.»
«E quando è così, è una notizia
buona o cattiva?» Linda lo guarda
con occhi disperati, ma almeno
adesso sembra più reattiva.
Tommaso è riuscito a darle una
speranza.
«È una situazione che lascia
aperto un ventaglio di possibilità.»
Deve stare attento a quello che
dice. Non può sbilanciarsi.
«E quindi?»
«L’unica cosa da fare è non
abbattersi. Non serve a nulla.»
Tommaso la prende dolcemente
per un braccio, la tira su a sedere.
«Adesso basta piangere. Promettimi
che sarai forte.»
Linda si asciuga ancora le
lacrime, si aggiusta la maglietta
spiegazzata. «Non ce la faccio. Non
sapere niente di lui mi sta
distruggendo.»
Tommaso le a erra le spalle, la
guarda sso negli occhi. «Linda,
devi
darti di me, davvero.
Nessuna notizia non signi ca brutte
notizie. Mi credi?»
Linda fa sì con la testa.
«Ci sono io con te.» Tommaso le
posa le labbra tiepide sulla fronte e
la avvolge in un abbraccio quasi
paterno, che non le ha mai dato.
Un abbraccio che sa andare oltre,
ed è già una promessa.
Nadine è distesa sul letto della
camera padronale, indossa slip di
pizzo bianco e babydoll coordinato.
Sta leggendo le poesie di Omar
Khayyam in arabo, la schiena
appoggiata alla morbida testiera
rivestita in raso rosso.
Manca poco alle undici quando
vede entrare Tommaso dalla porta.
È scuro in volto, percepisce
chiaramente la tensione che
irrigidisce il suo corpo. La saluta
biascicando un debole «Ciao» che la
colpisce come un pugno in piena
faccia.
«Sei stato da lei?» Nadine non
resiste, glielo chiede a bruciapelo.
E Tommaso non riesce a negare.
«Sì» risponde a voce bassa, senza
guardarla in faccia. Apre un’anta
dell’armadio, fruga dentro alla
ricerca di qualcosa. Lo sa benissimo
che la distanza tra loro è diventata
una terra di nessuno in cui è
meglio non avventurarsi.
Anche Nadine se n’è resa conto.
Il modo in cui Tommaso si
comporta è il segno evidente che si
è rotto qualcosa. Qualcosa che
forse non si può più riaggiustare.
Perché Nadine l’ha capito da
subito, con l’istinto infallibile della
femmina di classe superiore che ha
sempre avuto: e le è stato chiaro
ancora prima che a Tommaso che
non si è mai trattato solo di sesso,
con lei. Per qualche scopata, non si
sarebbe fatta problemi.
Ma Linda ora è molto di più, e il
coinvolgimento di Tommaso con lei
ha segnato il con ne tra quello che
si può o meno tollerare. Anche in
una relazione libera come la loro.
Non è più solo una questione di
sesso, sta diventando – e non
avrebbe mai pensato di doverlo
dire di Tommaso – una questione di
cuore. Il fatto è che Tommaso si
spende per quella ragazza come
per nessun’altra creatura al mondo;
in questi ultimi giorni non ha fatto
altro che interessarsi a Linda –
anche solo pensare quel nome le dà
fastidio – e al suo amico
scomparso. Certo, per Alessandro è
dispiaciuta anche lei. Scopare con
lui era stato fantastico. Ma da qui a
mobilitare mezzo mondo con
telefonate e mail, come sta facendo
Tommaso, ce ne vuole.
Tommaso tira giù il piccolo
trolley
dall’ultimo
ripiano
dell’armadio, lo posa a terra, lo
apre.
«Parti?» domanda Nadine.
«Sì,
domattina.»
Tommaso
continua a non guardarla, prende
un paio di pantaloni, li piega e li
ripone con cura nella valigia.
«Si può sapere almeno dove
vai?»
Tommaso si gira e nalmente
ferma gli occhi su di lei. «A
Londra.»
«E immagino che per ragioni di
riservatezza non puoi dirmi altro.»
«Credimi. Meno informazioni
lascio qui, meglio è.»
Nadine è sicura che questa
partenza improvvisa abbia a che
vedere con l’amico di Linda, ci
mette la mano sul fuoco. Quella
donna lo ha stregato, e lui ora è in
suo potere.
«Cos’è? Non ti di?» chiede,
deglutendo.
«Non è per questo.» Tommaso la
squadra: è così perfettamente bella
da non comunicargli nulla.
«E allora cos’è? Parla. Ti
ascolto.»
«No. Perché quello che vuoi
sentirmi dire lo sai già.»
Quella frase. Una pietra che
scal sce l’immobilità delle acque di
uno stagno. E cancella in un attimo
tutti i non detti su cui hanno
galleggiato in queste settimane. Lui
sa che lei sa. Ora non possono più
fingere.
«Tornerò in un paio di giorni»
dice in ne lui. «Parleremo al mio
ritorno.»
Il Boeing 767 della British
Airways è decollato da un quarto
d’ora.
Tommaso si slaccia la cintura di
sicurezza, allunga le gambe, si
stiracchia la schiena sul sedile di
business class. Guarda l’orologio al
polso, le lancette d’oro segnano le
11.55.
«Signore, desidera?» chiede la
giovane assistente di volo con il
carrello delle bevande.
«Un Martini dry.» Tommaso
abbassa il tavolino.
L’assistente mora gli porge un
calice con l’aperitivo, e un piccolo
vassoio di assaggini salati.
«Grazie» dice Tommaso.
«A lei.» La ragazza esibisce un
sorriso
immacolato.
«Buon
viaggio.»
Tommaso prende un sorso dal
bicchiere e cerca di ritornare
padrone dei propri pensieri:
allontana
consapevolmente
l’immagine di Nadine che lo guarda
uscire di casa con occhi di ghiaccio.
E anche il calore che il sorriso di
Linda gli accende nel petto. Deve
restare concentrato. Pensare a
come comportarsi a Londra,
quando nella hall del Claridge’s
incontrerà Sergio Pietrangeli, un
imprenditore italiano da sempre in
affari con il Sudest asiatico.
L’ha conosciuto una decina di
anni fa a Roma alla sede del
Ministero e poi l’ha incontrato a
diversi meeting internazionali. È
uno che fattura milioni di euro
l’anno,
ha
un
marchio
d’abbigliamento che spopola tra i
teenager. Parecchi dei suoi
investimenti sono in Vietnam e non
sono certo del tutto puliti:
Pietrangeli non è uno che segue le
regole, tanto meno l’etica del
lavoro, Tommaso lo sa bene. Ha un
ash vivido dell’ultima volta in cui
l’ha visto, l’anno scorso a Dubai: gli
occhi bovini in quel viso dai
lineamenti quasi infantili, le
sopracciglia folte, i capelli neri
lucidi, il tozzo corpo scattante
malgrado la pancetta, e quella
voce inconfondibile, ambigua e
melli ua, la
nta deferenza,
l’affettazione simulata e strisciante.
Tommaso non ha troppa voglia
di incontrarlo, ma è l’unica carta
che può giocarsi per avere notizie
di Alessandro. Perché Pietrangeli
ha una capacità di penetrazione
nel territorio molto più profonda
ed efficace di quanto possano avere
le vie u ciali. Per mandare avanti
la sua azienda, che legalmente ha
ancora sede in Italia, compra
prodotti vietnamiti da imprenditori
privi di scrupoli, collusi con la
criminalità locale. Figuriamoci
quanto gli stanno a cuore le
ingiustizie subite dagli operai. È un
poco di buono, una specie di
ma oso, Tommaso ne è al
corrente, ma in questo momento è
il solo in grado di fornirgli un aiuto
concreto.
Dovrà
convincere
Pietrangeli – che di favori gliene
deve, eccome – a mobilitare tutte le
sue risorse sul campo: solo così c’è
speranza di capire che ne abbia
fatto Alessandro.
Poco importa, a questo punto, se
dovrà
ricattarlo.
In
modo
estremamente elegante e con
parole misurate gli farà intendere i
termini della questione: se non lo
aiuta, darà in pasto alla stampa
informazioni
sulle
sue
responsabilità nello sfruttamento
della manodopera minorile. E per
Pietrangeli, in questo momento,
uno scandalo potrebbe essere
fatale. Tommaso già s’immagina le
fasi cruciali della conversazione,
prova mentalmente i toni, i modi, i
gesti. Con uno come Pietrangeli
non puoi improvvisare restando sul
generico o vendendogli fumo:
quello ti obbliga a vedere le carte
subito e capisce se stai blu ando
ancora prima che tu abbia pensato
di farlo. Ma stavolta Tommaso sarà
diretto
e
senza
possibili
contromosse: non può permettersi
di sbagliare.
Mentre è preso da questi pensieri
cupi, scuote la testa. Non è il
genere di a ari che gli piace
trattare, ma in una visione più
aperta delle cose si tratta pur
sempre di diplomazia – solo a un
livello molto più subdolo e
sotterraneo. Prende un lungo
respiro, alza gli occhi al cielo.
Tutto quello che sta per fare, sarà
per Linda; perché la vuole, e non
sopporta di vederla in quello stato.
L’indicatore luminoso si accende
sopra il sedile. Tommaso si
riallaccia la cintura di sicurezza.
Tra pochi minuti atterrerà a
Londra.
Che Dio gliela mandi buona.
Sono quattro giorni che non
sente Tommaso. Le ha mandato
qualche sms, certo, ma sentire la
sua voce è diverso, l’aiuterebbe a
farsi coraggio, a uscire dal guscio.
Le ha detto che sarebbe stato
all’estero per un impegno di
lavoro, perciò non si sogna
nemmeno di disturbarlo. E allora
alle sei del pomeriggio non le resta
che rimanersene accartocciata sul
divano, un cuscino sullo stomaco,
ad aspettare che succeda qualcosa
che non succederà.
Avesse almeno un cane, un
animale di cui prendersi cura e che
le facesse compagnia! Ma forse, a
pensarci bene, meglio così:
probabilmente l’avrebbe fatto
morire di fame in questi giorni. E
proprio in quel momento squilla il
telefono. Allunga un braccio a terra
e lo raccoglie dal tappeto. Sul
display lampeggia un numero
sconosciuto, forse con un pre sso
internazionale. Potrebbe essere lui:
deve rispondere!
«Pronto?»
«Linda, sono io.»
Tutte le lacrime che non ha
ancora versato le scivolano dagli
occhi come una cascata. Ma
stavolta sono di gioia. Con un lo
di voce riesce a dire: «Ale, sei tu?».
«Sì. Non piangere. Ti prego.»
«Oddio, dimmi che stai bene, che
sei vivo!»
«Se ti sto parlando, ho buone
ragioni per pensare di esserlo, tu
che dici?» Ha ancora la forza di
scherzare.
«Oh, Ale!» Linda a questo punto
scoppia in un pianto incontrollato,
interrotto da tremiti e singhiozzi, e
per un attimo le sembra di non
essere più nella sua casa. «Ma cosa
ti era successo? Dov’eri finito?»
«Ascolta, non ho molto tempo.»
Alessandro parla a voce bassa,
sembra molto stanco. «Ti ho
chiamato al volo per dirti che sto
bene. Mi hanno catturato, ho fatto
dieci giorni di prigionia, ma un’ora
fa sono stato liberato. E ora sto
all’ambasciata.»
«Non scherzi, vero? Dimmi che è
la verità.»
«Sì! Credo che sia intervenuto un
pezzo grosso dall’Italia. Pare ci
siano state delle trattative segrete,
così mi hanno fatto intendere i
rapitori al momento del rilascio.»
Linda resta per un attimo in
silenzio. Crede di aver intuito
qualcosa. «Ma torni, vero? Ti prego
dimmi quando… presto?»
«Non lo so. Ma è questione di
giorni.» Arriva qualcuno a
richiamarlo. «Devo mettere giù
adesso. Ciao.»
«Ciao, Ale.» Linda abbandona il
telefono sul divano, si alza in piedi
con uno scatto e si mette a ridere
con gli occhi che ancora liberano
lacrime. È impossibile tenersi
dentro un’emozione simile.
Ora Linda è gioia allo stato puro:
il corpo è percorso da un fremito
vitale, ha addosso tanta energia da
spaccare il mondo. Sale sulla spider
e a tutta velocità corre alla villa,
da Tommaso. È stato lui, ne è
sicura, e chi altri sennò? Ha fatto
in modo che il miracolo accadesse,
ma da grande uomo qual è non le
ha detto nulla: è un signore,
discreto ed e ciente come la sua
professione richiede, e non è certo
uno che fa le cose per il gusto di
sbandierarle poi ai quattro venti.
Supera un’auto in doppia linea
continua, preme come una
forsennata sull’acceleratore e si
mette per no a suonare il clacson
in centro abitato. Chissà se
Tommaso sarà a casa! Spera con
tutto il cuore di trovarlo e non le
importa se ad aprirle sarà Nadine:
è troppo euforica per badare al
buon senso, adesso.
Quando arriva alla villa, il
cancello è aperto. Percorre il
vialetto d’ingresso a una velocità
folle, poi di colpo frena, spegne il
motore, scende dall’auto e si onda
verso lo scalone d’ingresso.
Tommaso è sul terrazzino, sembra
quasi la stesse aspettando.
Linda sale le scale di corsa, ha il
cuore in gola, le gambe che
tremano.
Lui le va incontro a passi
misurati, trattenendo a stento un
sorriso.
«Sei stato tu, vero?»
«In qualche modo, sì.» Tommaso
annuisce, ora sorride davvero. «E
un giorno, forse, ti dirò come.» La
tira a sé e l’abbraccia con tutto il
calore che ha.
Anche Nadine, richiamata dai
rumori, sta per uscire. Ma ha
sentito quel a voce e si è fermata
qualche passo prima dell’arco
d’ingresso a osservare la scena in
disparte. Le arrivano solo parole
sconnesse, ma bastano per capire
che non ha più senso rimanere lì,
accanto a un uomo che non la ama
più, che forse non l’ha mai amata,
un uomo per il quale lei stessa non
riesce a provare nulla.
«Grazie.» Linda si lascia stringere
da quelle mani forti e rassicuranti,
scoppiando
in
un
pianto
liberatorio. «Grazie, grazie, grazie»
ripete tra un singhiozzo e l’altro.
«Non te lo dirò mai abbastanza.»
Tommaso si stacca un istante da
lei, asciuga una lacrima sul suo
viso e le punta gli occhi negli occhi.
«Farei di tutto per vederti
sorridere.» Ed è chiaro a entrambi
che anche quella frase vale come
una promessa. Molto di più, forse.
14
È sveglia dalle quattro del
mattino. Ha aperto gli occhi di
scatto,
perché
un
bagliore
fastidioso ltrava da sotto la porta.
Colpa di Tommaso, che non si
ricorda mai di spegnere la luce
sulle scale. E lei ha il sonno
leggerissimo, non riesce quasi mai
a riaddormentarsi. Ma questo lui lo
sa bene e, a quanto pare, ora non
gliene frega più nulla davvero. Si è
agitata, Nadine, era inquieta già
nel sonno – i sogni ultimamente
sono strani, confusi – ma per
alzarsi serviva una forza che lei
proprio non aveva. Così è rimasta
a rigirarsi tra le lenzuola, cercando
un pensiero che la tranquillizzasse,
riportandola tra le braccia di
Morfeo, ma non c’è stato verso.
Sono quasi le sette, ora, e ha lo
sguardo vuoto incollato al so tto,
in testa un caos di sensazioni
scomode che non le danno tregua.
Si gira su un lato, guarda
Tommaso nell’altra metà del letto:
sembra dormire, o forse fa solo
nta, ultimamente è diventata la
sua specialità. Nadine ha voglia di
cercarlo, un po’ per noia, un po’
per provocazione, un po’ per
rivalsa, un po’ perché ha fame di
qualcosa che da troppo tempo non
può più avere. Saranno almeno due
mesi che non lo fanno. Con un
movimento quasi felino allunga
una gamba sul corpo di lui e
percorre la sua pelle calda, dai
polpacci no alle cosce con il piede
nudo e liscio, poi lo in la sotto i
boxer no a sentire il suo sesso,
rilassato e morbido. Studia il viso
di Tommaso: stringe gli occhi,
muove un poco la bocca, forse sta
sognando qualcosa che lo turba,
perché sposta la testa a piccoli
scatti. Adesso emette anche qualche
mormorio
indecifrabile,
sta
iniziando a svegliarsi. Nadine
toglie il piede e con la mano scosta
il tessuto dei boxer, lo accarezza
pizzicandolo leggera, quindi gioca
con le dita sull’asta che comincia a
tendersi, la impugna e scivola
lentamente su e giù. Poi, con uno
scatto inaspettato, arriva la mano
di Tommaso a bloccarla: è una
mano ferma, che con decisione le
a erra il polso costringendola a
farla nita con quello che ormai è
davvero solo un gioco.
«No.» Scuote la testa a occhi
chiusi, Tommaso, e fa un lungo
sospiro. «No.» La sua voce è un
sussurro, ma quella sillaba pesa
come un macigno su quello che
sono e quello che non saranno.
Nadine si tira su a sedere. Ora è
tutto chiaro, è caduto per sempre il
velo impalpabile del loro patto: ma
non c’è rabbia, non c’è nulla,
perché loro due non esistono più.
Vorrebbe guardarlo negli occhi, le
deve almeno questo. Accende
l’abat-jour sul comodino e gli punta
lo sguardo sul volto, fredda e
perentoria. «Avanti. Adesso dillo.»
Anche Tommaso a quel punto si
tira su, appoggia la testa allo
schienale, solleva gli occhi al
soffitto. Ma tace.
«Voglio che tu lo dica. Coraggio»
insiste lei, prendendolo per un
braccio. «È nita?» lo incalza con
quegli occhi di ghiaccio. «Siamo
abbastanza adulti per a rontare la
cosa, non credi?»
Tommaso ha una sensazione di
angoscia che quasi gli impedisce di
respirare, e d’istinto si mette una
mano sul petto. Non è reticenza, la
sua. Vuole parlare, ha già deciso da
prima di partire per Londra. Ma ha
troppo rispetto di Nadine e della
loro storia, che è stata la più
importante della sua vita, per
chiuderla nel modo sbagliato, con
le parole sbagliate o nel momento
sbagliato. E quindi ha aspettato.
Ora, però, è tempo di scoprire le
carte. Così, con una fatica
sovrumana, socchiude gli occhi,
prende
ato, deglutisce, lascia
uscire l’aria dalla bocca. «Sì» dice,
in un so o, guardandola negli
occhi. «È finita.»
«Sei innamorato di lei?» La voce
di Nadine è ferma, nessuna ombra
di pianto.
«Perché vuoi farti male?»
Tommaso ha gli occhi lucidi. Non si
ricorda da quanto non piange
davanti a una donna. Forse non
l’ha mai fatto, se non di fronte a
sua madre.
«Perché ho il diritto di sapere.
Me lo devi.»
«Che io sia innamorato o no, non
ha importanza. Era già finita prima
che lei arrivasse, lo sai bene anche
tu. Ci abbiamo provato, forse
anche troppo. Ma non è servito a
nulla.»
«O forse non ci siamo impegnati
abbastanza.» Nadine distoglie gli
occhi da lui, fa un lungo respiro
per spezzare quel nodo profondo
che le artiglia la gola.
«Non è così, non puoi crederlo
davvero: la verità è che ci siamo
impegnati dal primo giorno»
ribatte Tommaso, «ma l’amore non
è solo una questione d’impegno. Ed
è l’amore che tiene insieme una
coppia.»
«L’amore? Tu che mi parli
d’amore?» lo incalza lei, sempre
senza perdere la calma, con
un’espressione che è così serena da
risultare preoccupante. «Se fossimo
sposati non parleresti così.
Avremmo dovuto farlo tanto tempo
fa. Adesso sarebbe tutto diverso.»
Tommaso tace. Non è d’accordo,
ma ora è meglio tenerselo per sé. Il
matrimonio non li avrebbe tenuti
più uniti, piuttosto il contrario: se
non si sono mai sposati, un motivo
c’è. Ma ovviamente non è sempre
stato così: con Nadine si sono
trovati e riconosciuti n dal primo
momento. Si sono amati, anche,
ma come si ama qualcuno che
appartiene al tuo stesso mondo,
che è come te. E forse è per questo
che si sono illusi di appartenere
l’uno all’altra.
Nadine sembra aver intuito i suoi
pensieri, perciò parlarne ancora
sarebbe insensato. Ha l’espressione
rassegnata, quella di una donna
sicura di sé, ferita, ma che non ha
paura di a rontare il futuro da
sola. «Bene, allora non c’è altro da
aggiungere.»
Lui la conosce come nessun altro.
Sa bene chi ha davanti, sa che non
ci saranno scenate e ripicche. Per
questo l’ha scelta. L’ aveva scelta.
Ma ora nella sua vita tutto è
diverso. «Puoi rimanere qui quanto
vuoi» le dice Tommaso. «Questa
casa è tua, e lo sarà sempre.»
«Dove starò è l’ultimo dei miei
problemi. Adesso basta.» Nadine si
alza
dal
letto
come
se
all’improvviso avesse fretta. Forse
vuole piangere e, se è così, vuole
farlo da sola. «Abbiamo tutti e due
una giornata impegnativa. Tu devi
andare a Roma al Ministero, io…
io ho un sacco di cose da sistemare.
Riprendiamoci ognuno la propria
vita senza troppe storie, niente
melodrammi. Non sono da noi.»
Poi lascia la stanza, senza voltarsi
indietro, senza un’esitazione.
Il viaggio di ritorno da Roma è
stato uno dei più pesanti della sua
vita. Ha guidato per sei ore con i
pensieri che gli martellavano il
cervello, nemmeno il suo amato
Bach in sottofondo è riuscito a
sciogliere
il
groviglio
di
preoccupazioni che gli si addensa
nella testa. Il Ministero gli ha
a dato un incarico di tre anni a
Lisbona; da settimane aveva
subodorato l’ipotesi, girava qualche
voce a riguardo, ma la certezza, in
questa professione, non ce l’hai
mai no al giorno dell’investitura
u ciale.
Quando
gliel’hanno
comunicato, la prima sensazione è
stata di sollievo: ci sperava, di
rimanere un po’ in Europa dopo
anni in terra araba. Poi ha pensato
a quello che aveva qui, nel suo
Veneto, all’idea che in questi mesi
lo aveva solleticato, ovvero di
avere una dimora ssa: la sua
meravigliosa villa, che ha rimesso a
nuovo proprio come aveva sempre
sognato. E poi, Nadine: cosa ne
sarà di lei? Da quando si sono
parlati, ieri mattina, non l’ha più
sentita e non ha idea di come possa
stare. A dire il vero, un po’ se lo
immagina, perché anche lui si
sente qualcosa di spezzato dentro il
cuore, ora. È stato straziante
mettere ne al loro rapporto, al
loro comodo mondo conosciuto,
anche se non c’è più un sentimento
vivo a legarli. Dove andranno da
soli?
Al pensiero di salire in casa,
adesso, e discutere della loro ne,
si sente male. Ma lo deve fare. Ha
ancora addosso la stanchezza del
viaggio e dell’estenuante colloquio
con Pisanò, ma non importa:
quando si è in guerra si combatte,
punto. Vorrebbe servirsi delle sue
doti diplomatiche, della sua
freddezza rassicurante e infallibile
con Nadine. Ma ora non ce la
farebbe. Quanto gli piacerebbe che
lasciarsi fosse come metter ne a
un
rapporto
meramente
economico. Che si potesse farlo con
un trattato, una dichiarazione: in
modo indolore, senza lacrime. Ma
mentre si dirige verso la camera da
letto, sa già che non sarà così.
«Nadine?» la chiama. «Sono
arrivato.»
Nessuna risposta. Probabilmente
dorme. In fondo, è già mezzanotte.
Apre allora la porta, ma la
stanza è vuota. Si guarda intorno,
si a accia sul corridoio. «Nadine, ci
sei?» La voce risuona tra le pareti,
si perde per i corridoi della villa.
A quel punto Tommaso rientra in
camera e si accorge che sulla
scrivania in mogano c’è un piccolo
biglietto,
piegato
a
metà.
Un’intestazione, Tu, scritta con la
sua calligrafia elegante. Lo apre.
L’amore che c’è stato rimane, lo
porto via con me.
Addio, Tommaso.
Si felice, anche senza noi.
Nadine
Si siede sul letto, ammutolito ma
nemmeno troppo sconvolto. Questo
gesto è da lei: in quelle parole c’è
tutta Nadine. Chissà dove sarà, ora.
Forse dai suoi a Beirut, forse dalla
sua amica Julie a Parigi, forse da
Werner a Berlino. Di certo avrà
scelto la cosa più giusta. Ora che ci
pensa, in tutti questi anni non ha
fatto una sola mossa sbagliata.
Una vera donna, una signora,
anche nel momento dell’addio. E,
mentre rilegge quelle parole, il
cuore sta già correndo altrove. Da
Linda.
È quasi l’una quando suona alla
porta della Casa Azzurra. Ha deciso
di farlo d’istinto, senza ascoltare
nulla se non le sue emozioni, anche
se si rende conto che è abbastanza
fuori luogo piombare nel cuore
della notte a casa di una donna
senza prima averla avvertita. Ma
le scelte razionali e ponderate, in
questo momento, non si ricorda
nemmeno come si facciano: con
una come Linda, vale la pena
dimenticare un po’ il pensiero e
usare il cuore. Tutto quello che ha.
Lei gli apre la porta in shorts del
pigiama e maglietta, stava per
andare a letto. «Tommaso?» Sgrana
gli occhi. «Cosa ci fai qui a
quest’ora? È successo qualcosa?»
Ha un’espressione preoccupata,
pensa subito ad Alessandro.
«Sono successe un po’ di cose»
risponde lui. Ha l’aria stanca,
sembra un reduce dal fronte, ma ha
uno sguardo lucente, vivo come lei
forse non gli ha visto mai. «Se mi
fai entrare, te le racconto.»
«Certo.» Linda gli fa strada.
«Entra.»
«Scusami, forse sono stato un po’
irruento.
Ma
non
potevo
aspettare.» Una pausa. «Spero di
non averti spaventata.»
«Figurati.» Linda si mette quasi a
ridere. Ma è curiosa, ora, non sa
davvero cosa aspettarsi. «Più che
altro, mi domandavo chi diavolo
potesse essere a quest’ora.» Di
nuovo la mente corre ad
Alessandro, l’uomo delle partenze e
degli arrivi inaspettati. «Ma vado
matta per le improvvisate. Vuoi
qualcosa da bere?»
«No.» Tommaso la tira a sé. «Io
voglio te.» Le tappa la bocca con
un bacio e la spinge sul divano.
«Mmm, interessante.» Linda si
divincola, fa sedere lui e gli sale
sulle ginocchia, con le mani si
aggancia al suo collo. «Allora, cosa
volevi raccontarmi?»
Tommaso per un istante si
rabbuia. «Tra me e Nadine è nita»
dice, in un so o. «Ci siamo
lasciati.»
«Ah… mi dispiace.» Ma poi ci
ripensa. «No, ho detto una cazzata.
La verità è che non mi dispiace per
niente» continua con espressione
colpevole.
«Mi
trovi
imperdonabile?»
«No.» Scuote la testa, lui,
guardandola come una creatura
strana
ed
estremamente
a ascinante. «Mi piace che tu sia
sincera.»
«E tu come stai?» lo incalza lei.
Sente un brivido correrle lungo la
schiena: tenta di non dargli peso e
di restare concentrata sulla storia
di Tommaso, la storia dolorosa
della ne di un rapporto. Ma non
le riesce molto bene.
Tommaso si stringe nelle spalle.
«Lasciare qualcuno è sempre triste,
è la ne di qualcosa in cui hai
creduto. Ma so di aver fatto la cosa
giusta. E ora mi sento libero, come
non mi sentivo da troppo tempo,
ormai.»
Linda lo ascolta in silenzio: non
sa perché per un momento le viene
naturalissimo identi carsi con
Nadine. «Ha scoperto di noi?»
«Sì.» Tommaso le sposta una
ciocca di capelli dalla fronte, gliela
sistema dietro l’orecchio. «E non
starò qui a dirti che tu non c’entri
niente. Perché tu c’entri eccome,
Linda.»
Il cuore di lei salta un battito e
un respiro si ferma a metà.
«C’è un’altra cosa che devo dirti.»
«Cosa?»
«Oggi ho avuto un nuovo
incarico dal Ministero. Si tratta di
una missione all’Ambasciata di
Lisbona.»
Questa notizia la trova ancora
meno preparata della prima.
«E quanto dura una missione?»
«Tre anni.»
Linda deglutisce. Cazzo, pensa. E
il suo sguardo rivela tutta la sua
delusione e il dispiacere. «Mi stai
dicendo che non ti rivedrò più?»
«Non
proprio»
risponde
Tommaso, guardandola dritto negli
occhi. «Stavo per chiederti se vuoi
venire via con me.»
Linda spalanca gli occhi, la
bocca aperta, in un’espressione
vagamente stordita. Forse non ha
capito bene, si dice. Ma sa che non
è così. È senza ato, incapace di
articolare una sola parola sensata.
«Non devi rispondermi subito»
precisa Tommaso. Non gli va di
metterle pressione, anche se
vorrebbe prenderla e portarla via
adesso, senza valigie, così com’è, in
pantaloncini, la coda arru ata, i
ricci biondi e selvaggi che le
incorniciano il viso. «Hai un po’ di
giorni per pensarci» spiega poi,
con il suo tono più rassicurante.
«Stavolta
sei
riuscito
a
spiazzarmi davvero.» Linda è
incredula. «Non so cosa dire.» Ha
iniziato a tremare, e sa già che
pensiero sta prendendo forma nella
sua testa.
«Io voglio te. E ti voglio
ovunque» continua lui. «Lisbona
potrebbe essere un’occasione unica,
e voglio che ci pensi bene.»
Tommaso le prende il viso tra le
mani, la guarda con quei suoi occhi
profondi che non accettano un
ri uto. Ha la barba un po’ sfatta,
nota Linda in quel momento, non è
da lui. «Se decidi di seguirmi, devi
prepararti a cambiare vita. Perciò
voglio che tu sia sicura della scelta
che farai. Mi risponderai tra
qualche giorno, ora non pensarci.»
Si avvicina ancora di più al viso di
lei, la bacia con un’intensità quasi
commovente. «Adesso voglio che
pensi solo a questo…»
È un attimo, e tra loro si
sprigiona una carica elettrizzante
che li travolge, una forza a cui è
impossibile resistere. Senza darsi
risposte, si cercano soltanto: si
spogliano
lentamente,
si
accarezzano, si baciano, si
gra ano, si leccano. Si vogliono
con ogni bra, ogni battito, ogni
respiro.
La
sensazione
straordinaria di poter attingere il
nettare
stesso
della
vita
possedendosi. L’autenticità nuda,
l’assenza di ltri, la sincerità
brutale. Il desiderio cieco, assoluto.
E l’amore, che è appena nato.
Ci ha pensato bene: si è ascoltata
dentro, ma la risposta era già lì,
c’era sempre stata, e quindi non ci
ha messo molto a dirgli di sì.
Perché la decisione di partire
insieme a lui l’aveva già presa
quella notte, su quel divano,
nell’attimo stesso in cui lui
gliel’aveva chiesto. Si rende conto
che
sta
per
stravolgere
inesorabilmente la sua esistenza,
ma è una s da, la sua linfa vitale,
e non può non coglierla al volo. In
fondo, da quando è nata ha sempre
vissuto lì, nella sua terra, e adesso
ha voglia di sperimentarsi, di
cambiare aria. Pensa che le farà
bene, indipendentemente da come
andranno le cose con Tommaso. La
loro non è solo attrazione, di
questo è certa: non sa ancora se
diventerà amore o se lo è già, ma
con lui starà bene. Tommaso c’è
stato in uno dei momenti più bui
della sua vita, quando credeva di
aver perso Alessandro. Si prenderà
cura di lei, e lei glielo lascerà fare,
come non ha mai permesso a
nessuno di farlo.
Prima della partenza si è presa
del tempo per salutare tutti. È
andata a trovare i suoi genitori a
San Vito di Cadore: all’inizio non
l’hanno presa benissimo, sua madre
in particolare; ma dopo una lunga
e accesissima discussione, tra una
risata e una lacrima, le hanno
detto: «Se tu sei felice, lo siamo
anche noi».
Poi è stata la volta dello studio.
Bosi alla notizia è sbiancato. «Se
avessi saputo che quel Belli
m’avrebbe portato via l’elemento
più valido, non ti avrei mai messo
in mano quel progetto!» Era
furioso. «Comunque Lisbona è una
città interessante per il design e
l’architettura. Vedi di imparare
nuove cose. E di ritornare, capito?
Perché quando torni – e io lo so che
tornerai – qui le porte per te
saranno sempre aperte.» Non
l’avrebbe mai creduto, che Bosi alla
ne si sarebbe dimostrato un uomo
degno di rispetto! Ludovico e Alice,
invece, hanno messo su due faccine
dispiaciute ma nte da fare schifo:
era evidente che dentro di loro
stavano godendo di brutto. Niente
di nuovo, insomma. Povero Bosi,
ha pensato lei: sostituirla con quei
due zerbini non sarà facile…
Con gli amici si è ritrovata a
Bassano per un aperitivo da
Nardini, la storica distilleria
all’inizio del Ponte Vecchio, cornice
perfetta per salutare il suo Veneto.
C’erano tutti: Valentina, che ora
sta insieme al ginecologo – e, da
come ne parla, c’è speranza che sia
una relazione seria – poi Carlo,
Ra aele, Salvo, i tre moschettieri
della
gnocca
ancora
irreparabilmente
single.
Le
mancheranno, già lo sa.
Marcella, invece, ha voluto
incontrarla da sola. Si sono date
appuntamento una mattina da
Chocolat, la ca etteria del centro
che fa dei cappuccini da urlo. La
sua amica è arrivata radiosa come
non mai, il volto rilassato, gli occhi
luminosi, i capelli lucidi e
perfettamente in piega. A un certo
punto, tra un macaron e l’altro, ha
preso Linda per un braccio e le ha
sussurrato
all’orecchio:
«Ti
ringrazierò a vita per avermi dato
il numero di Davide». È stato
l’inizio di una lunga confessione
ricca di particolari piccanti.
«Ero certa che vi sareste piaciuti»
ha commentato Linda, con un
sorriso provocante. «E con
Umberto?»
«Umberto ovviamente non sa
nulla. Forse sto sbagliando tutto; se
penso ai miei gli mi prende male,
eppure con Davide mi sento viva.
Viva come non succedeva da
tempo!» Ha abbassato di nuovo la
voce, come se fosse stata sul punto
di dire qualcosa di gravissimo:
«Scopiamo da paura».
«Non ho dubbi, tesoro, dati…»
ha replicato Linda, soddisfatta.
Salutare Marcella non è stato
facile. L’abbraccio che si sono
scambiate fuori dal locale, prima di
separarsi, sembrava non nire più,
aveva quel calore buono che sanno
darti solo le persone con cui hai
un’affinità elettiva.
Ancora più di cile è stato
salutare zio Giorgio. Non sa come
farà senza di lui, e viceversa. C’è
sempre stato, Giorgio, da quando
era
bambina,
l’ha
sempre
incoraggiata in tutte le sue scelte e
così ha fatto stavolta, nonostante
la fitta al cuore che sente all’idea di
non vederla per così tanto – anche
se Linda, a dire il vero, sui tempi
ha glissato un po’.
Durante la cena di addio, gli ha
consegnato le chiavi della Casa
Azzurra. «Prenditene cura tu,
quando e se puoi» gli ha
raccomandato.
«Di questo puoi stare sicura» ha
risposto Giorgio, con un sorriso
bonario. «Ti ridipingerò anche i
muri esterni, ormai ce n’è bisogno.»
«Lasciali azzurri, però, mi
raccomando!»
«Bimba, per chi mi hai preso?
Certo che li lascio azzurri. La
tradizione va mantenuta; in questa
casa ci sono nato e l’ho sempre
vista di questo colore» ha ribadito
lui, quasi o eso. Poi ha tirato fuori
dalla tasca dei pantaloni un
ciondolo d’oro con una pietra
d’ametista incastonata al centro, e
l’ha messo in mano a Linda.
«Questo era di tua nonna. Tienilo
tu, adesso. Ti proteggerà.»
«Ma zio… è… è bellissimo!» ha
esclamato lei, gli occhi traboccanti
d’amore. Si è rigirata il pendente
tra le mani, e si è accorta che sul
retro c’erano quattro raggi
accompagnati da quattro nomi
latini incisi in corsivo: prudentia,
iustitia, fortitudo, temperantia.
«Tua nonna quelle virtù ce le
aveva tutte» ha aggiunto Giorgio.
Poi le ha agganciato il ciondolo al
collo. «Tu non lo so… ma di certo ti
sta benissimo, tesoro.»
«Zio, mi mancherai troppo.»
Linda lo ha stretto forte a sé.
«Anche tu mi mancherai.»
Giorgio ha trattenuto con tutta la
forza che aveva una lacrima ribelle
e l’ha avvolta in un abbraccio forte
e sentito. «Ma sono tranquillo,
sono sicuro che sarai in buone
mani.»
Ha un unico rimpianto, Linda:
non essere riuscita a salutare
Alessandro, che ancora non è
tornato. Ma, viste le circostanze,
già solo sapere che è sano e salvo
le basta. In fondo loro due sono
sempre riusciti a parlarsi senza le
parole, anche nel silenzio della
lontananza. Ciao Ale, vado via, ma
ti terrò comunque vicino a me. E
mentre lo pensa, non ha dubbi che
anche stavolta lui la stia
ascoltando.
È uscito all’improvviso, mentre
nell’aria c’era ancora una densità
profumata di pioggia, e adesso il
sole vibra di luce nuova; le nuvole
grigie si stanno piano dissolvendo
per fare spazio all’azzurro del cielo.
Meno male che c’è questo tempo.
L’idea di partire con la pioggia le
avrebbe messo addosso troppa
tristezza, ma ora è felice, perché è
a colori e non in bianco e nero,
l’ultima immagine che si porterà
via del suo Veneto.
Linda chiude con il lucchetto il
piccolo trolley. Dentro ci sono solo
le cose essenziali, come si è
raccomandato Tommaso. «Porta i
vestiti a cui tieni di più, al resto
penserò io» le ha detto ieri sera,
quasi volesse invitarla a lasciare a
casa tutto, anche i ricordi. «Magari
prendi pure il quadro che ti ho
regalato, così lo mettiamo nella
casa nuova.»
E adesso Linda è pronta:
cammina verso la porta della Casa
Azzurra con i sette vizi sotto
braccio, le quattro virtù appese al
collo e una valigia semivuota da
riempire con un futuro ancora da
scrivere. Una volta fuori, lascia il
trolley sul primo gradino e
appoggia il quadro al muretto.
Poi, mentre sta già per rientrare,
eccolo lì. È ancora una sagoma
lontana che si avvicina a passi
lenti; e più viene avanti, più lei si
sente mancare.
È lui, non riesce a crederci:
Alessandro. Indossa un paio di
jeans scuciti e una maglia verde
militare; sul braccio destro ha una
fasciatura, sulla fronte i resti di
una ferita. Cammina sicuro. Sta
bene, non gli hanno fatto nulla,
non ci sono riusciti.
Linda inizia a tremare: vorrebbe
correre, ma non riesce a muovere
un passo. Si prende il viso tra le
mani, socchiude la bocca e
spalanca gli occhi, come davanti a
un fantasma.
«Non
svenire,
ti
prego.»
Alessandro le fa un sorriso. «Sono
io, sì, se per caso avevi ancora
qualche dubbio.» Ride di gusto,
adesso. «In carne e ossa.»
Linda gli va incontro, lo
abbraccia, piano perché teme di
fargli male, di romperlo. Ma
Alessandro la stringe con più
veemenza. La felicità di ritrovarsi è
più forte di qualsiasi cosa.
«Mi hai fatto perdere dieci anni
di vita, maledetto!» mormora Linda
abbandonata sulla sua spalla.
«Quante storie per un banale
sequestro di persona» replica lui.
Ha visto in faccia l’inferno, eppure
ha la solita incredibile leggerezza
di chi sa cogliere l’attimo, di uno
che vive nell’ora. E che non si
perde un solo istante di vita.
«Pensavo che non ti avrei rivisto
mai più.»
«E invece, grazie a Tommaso,
sono qui.»
Linda ha un attimo di esitazione.
«Come fai a sapere che è stato lui?»
chiede, staccandosi di colpo
dall’abbraccio per guardarlo in
faccia.
«Mi sono informato» dice, con un
sorriso vago. «Sei stata tu a
chiedergli di intervenire?»
«Veramente ha fatto tutto da
solo.» A Linda brillano gli occhi. «È
stato un grande, no?»
Alessandro si limita ad annuire.
Se lei sapesse a quali compromessi
Tommaso è dovuto scendere per
salvarlo,
non
sarebbe
così
entusiasta. Ma non è lui che deve
dirglielo. Non adesso, che la vede
così felice. Poi, a un tratto, nota il
trolley appoggiato allo scalino.
«Ma stai partendo?» le domanda.
«Sì, ho un volo tra due ore.»
«E per dove, di grazia? Arriva il
gliol prodigo e tu che fai? Vai a
festeggiare senza di lui?»
«Vado a Lisbona.» Poi una pausa.
«Con Tommaso.»
Silenzio. Denso di incertezze.
«Ah. Quindi ora state insieme…»
«Sì.» In realtà, se ci pensa, Linda
sa solo che sta per partire insieme
a lui. “Stare insieme” è, forse, solo
una conseguenza pratica di quella
scelta: qualcosa che lei si sente
nalmente pronta a vivere, ma che
non aveva mai pronunciato a voce
alta.
«E quanto starai via, signorina?»
«Be’… un po’, direi. Gli hanno
affidato una missione di tre anni.»
«Ah.» Alessandro accenna un
sorriso di circostanza, ma non ce la
fa. Non con lei, la sua amica più
cara. Non se lo merita. «Sei
convinta, vero?»
«Sì.» Non c’è ombra di dubbio
nella voce di Linda. «Sto facendo la
cosa giusta. Lo sento.»
«Se è così, sono dalla tua, come
tu sei sempre stata dalla mia»
conclude Alessandro. Non si può
fermare uno spirito libero, nessuno
lo sa meglio di lui. Forse vorrebbe
farlo, forse no, ma non fa nulla per
trattenerla: Linda deve poter
scegliere senza interferenze, deve
avere la possibilità di sbagliare o di
conquistarsi
la
felicità.
È
lasciandosi vicendevolmente questa
libertà che negli anni hanno
continuato a volersi bene. «Vieni
qui.» La attira a sé con un sorriso
aperto, la stringe forte. È un
abbraccio che passa attraverso la
pelle e arriva al cuore, per poi
fermarsi ancora più dentro, in
quello spazio che sa tutto di noi e
non ha nome. «Buona fortuna,
ragazza. Stavolta tocca a te
partire.»
Linda sta in silenzio mentre una
lacrima le scivola lungo la guancia.
È un attimo assoluto, che racconta
di tutta la loro vita.
È Alessandro a staccarsi per
primo. «Ciao» le dice. La osserva
un’ultima volta.
Anche Linda lo guarda; ha la
sensazione che non si siano detti
tutto, ma non riesce a sporcare con
le parole questo istante perfetto.
Solleva una mano in aria, la fa
danzare sopra di loro e poi fa per
a errare qualcosa d’invisibile: lui è
dentro il suo respiro, come il mare
dentro una conchiglia.
Poi Alessandro si volta e se ne
va, con il passo sicuro di chi può
percorrere
chilometri
senza
avvertire la fatica del viaggio, solo
godendo della gioia di farlo.
Grazie
a voi, lettrici e lettori.
alla mia famiglia.
a Michele.
a Caterina e tutta la “compagnia
del sesto”.
a Silvia.
a Massimo.
a Giovanna e la sua mitica
squadra.
a tutta la Rizzoli, dal piano terra
all’ultimo.
a Maddalena.
ad Al.
a Diana, Elena e Laura.
alle persone che in vari modi
sono state fonte di ispirazione:
Federico T., Licia N., Tommaso V.
(voi sapete come e perché).
alle ore 18.42 del 13 aprile 2014.
ai luoghi magici della mia terra.
a tutti gli sbagli.
Indice
1.
2.
3. Superbia
14.
Grazie
LEI È PASSIONE,
LUI CONTROLLO,
L’ALTRO LIBERTÀ.
MA NEL GIOCO DEL
TRADIMENTO
SONO I PECCATI
CAPITALI I SOLI
VINCITORI.
dal
suo
incontro
con
Tommaso, e ora Linda
vive con lui a Lisbona.
Ha cambiato vita e sta
provando a diventare la
donna che lui desidera.
E quando il destino la
obbligherà a fare i conti
con la parte più vera di sé,
il suo spirito libero e
indomabile,
si
scoprirà
pronta a tutto per non
perdere
l’anima
gemella.
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