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Per tutti gli sbagli

Date post: 31-Jan-2023
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Transcript

Se c’è una cosa a cui Linda non potràmai

rinunciare, sono i suoi difetti. Ci hannoprovato

in tanti a cambiarla, a correggere le suepiccole

imperfezioni per fare di lei la donna che

volevano amare. Ma a trentatré anni, unacarriera

bril ante da designer d’interni e unimportante

catalogo di danzati e storie di una notte,Linda

sa che essere volitiva, irascibile, pigra,golosa è la

sua forza. E che quando vuole una cosa,deve

prendersela senza chiedere il permesso.

La capisce davvero solo Alessandro,fotoreporter

e amico di sempre, uno spirito liberocome lei: se

dovesse farle un ritratto, lo intitolerebbeI sette

vizi capitali e sarebbe uno scatto un po’mosso,

bel issimo ma comunque incapace dicatturare la

personalità inquieta e contraddittoria dilei.

Forse è per questo che, in amore comenel sesso,

Linda non ha ancora trovato ciò chevuole.

Nemmeno lei sa cosa cerca, ma disicuro non un

tipo come Tommaso Bel i. Freddo,control ato,

magnetico nel a sua bel ezza curata nei

dettagli,

Tommaso è l’altro lato del a medagliaperché è

semplicemente

perfetto.

Quando

però

l’a ascinante diplomatico le fa laproposta del

secolo, arredare la sua vil a nel acampagna

veneta, la terra in cui Linda è nata e cheama, non

può ri utare. Ma accettando sconvolgeràil suo

mondo e il suo modo di vivere lapassione.

Scoprendo a sue spese che quando siaccende,

ormai è tardi per resisterle. Dopo ilsuccesso

internazionale del a sua trilogia, IreneCao torna

con una nuova avventura erotica, per

ricordarci

che nessuno può scegliere chidesiderare.

IRENE CAO è nata a Pordenone nel1979. Ha

studiato Lettere Classiche a Venezia,dove ha

conseguito anche un dottorato in StoriaAntica.

Attualmente vive in un piccolo paese delFriuli. È

autrice di Io ti guardo, Io ti sento e Io tivoglio, la prima trilogia erotica italiana,

in testa al e

classifiche internazionali.

Irene Cao

Per tutti gli sbagli

Proprietà letteraria riservata

© 2014 RCS Libri S.p.A., Milano

ISBN 978-88-58-67051-4

Prima edizione digitale 2014 daedizione giugno

2014

In copertina: Immagine © MassimoGardone

Graphic Designer: Mauro de Toffol /

the World of DOT

www.rizzoli.eu

Quest’opera è protetta dalla Legge suldiritto d’autore.

È vietata ogni duplicazione, ancheparziale, non

autorizzata.

Per tutti gli sbagli

A Carlo,

mio padre

1

Corre da dieci minuti, ormai.

Il primo chilometro, tutto di terra

e ghiaia, l’ha praticamente

divorato. Non è una da mezze

misure. E adesso ha conquistato

l’asfalto, che al sole del mattino

sembra quasi brillare.

Il paese è ancora lontano.

Intorno a lei,

lari di vite,

intervallati da qualche ciliegio e da

ulivi secolari. È un posto magico,

questo. Da quassù hai una visuale

imperfetta del mondo più in basso:

a volte ti sembra lontanissimo,

altre così vicino da fare quasi

paura. Ma Linda Ottaviani non si

lascia spaventare dall’aspetto delle

cose: la stranezza non è altro che

una forma di fascino, per lei.

Correre di mattina è la sua

droga. Lo fa ogni giorno, con il

sole o con la pioggia, persino con

la neve. Incede sicura, canotta e

shorts, scarpe da training rosa uo

e Wayfarer verde acqua a

proteggere gli occhi dello stesso

colore. Nelle orecchie ha le cuffiette

dell’iPod che porta legato al polso,

perché c’è una sola regola: non si

corre senza musica. Ogni tanto lo

avvicina alla bocca e con un

comando vocale fa girare la

playlist dai Depeche Mode a Lana

Del Rey. Prima di uscire si è legata

i capelli freschi di shatush in una

coda alta, doppio giro di elastico

da cui spuntano alcune ciocche

spettinate. Non c’è niente da fare, i

suoi capelli sono come lei: un caos

che non ha senso tentare di

nascondere dietro una maschera di

ordine. E, proprio come i suoi

pensieri, sono indomabili.

Scioglie le braccia scrollandole

lungo i anchi e si prepara ad

accelerare l’andatura: corre da

mezz’ora, adesso, ma di ato ne ha

ancora abbastanza. Beve un sorso

d’acqua mineralizzata, estraendo la

piccola borraccia dalla cinta

elastica senza fermarsi, e inizia la

discesa verso Rugolo, sulle colline

trevigiane: una manciata di case

colorate, una chiesa e un

campanile rosso che batte le nove

di un mattino di maggio. In paese è

rimasta traccia del passaggio di

Štěpán Žavrel, un artista che ha

lasciato degli incantevoli murales

su alcuni edi ci. Linda, professione

interior designer sempre in cerca di

nuove ispirazioni, ama questo

posto, un piccolo paradiso naïf dal

sapore antico, in bilico tra due

realtà: guarda in alto, verso il

monte Pizzoc, un cono che sembra

schiacciato dal piede pesante di un

dio; e poi guarda giù, verso la

pianura, osserva da lassù il Veneto,

quello ricco delle città e delle

industrie, del buon vino e delle

ville di lusso. Se le chiedessero di

scegliere a quale dei due mondi

appartenere, si farebbe una risata:

lei sta bene ovunque, ogni

contraddizione è una s da a cui

non sa resistere.

Ha iniziato a sudare, ora:

signi ca che sta correndo nel modo

giusto. Alcune gocce le scendono

lungo la schiena, altre dalle tempie

scivolano sulla pelle ambrata del

collo per annidarsi nell’incavo dei

suoi seni tonici. Corre veloce, ma

non è ancora al massimo.

Oltrepassa il bivio della Madonna

del Sasso, una bizzarra scultura

ricavata da un enorme blocco di

pietra, ora ricoperto di rosari e

cuori votivi. Manca poco alla Casa

Azzurra: è il momento dello sprint

nale. Dopo quasi un’ora di corsa,

Linda è un fascio di muscoli, tutta

l’energia nelle gambe: non pensa

più a niente, c’è soltanto la strada.

La strada e il suo istinto.

Gli ultimi cento metri li fa di

slancio. Il cuore pompa, la testa è

leggerissima, i polmoni stanno

scoppiando, il corpo sta quasi per

cedere.

Stop.

Inspirare,

espirare.

Tutto

rallenta. La fase di defaticamento è

la più bella. Il cuore si apre, la

mente si svuota. Adesso sì che si

sente libera.

Linda ora cammina. Butta giù tre

sorsate d’acqua e sintonizza l’iPod

su radio Deejay. A darle il

buongiorno, la voce nasale di

Linus: «Superbia, avarizia, lussuria,

invidia, gola, ira, accidia: qual è il

vostro vizio capitale del cuore?

Insomma, che tipo di peccatori

siete? Scriveteci: aspettiamo i

vostri sms…».

A quel punto parte 7 Deadly Sins

dei Simple Minds. Linda si mette a

ridere,

scuote

la

testa,

un’espressione divertita le si

dipinge sul viso. «Che sondaggio

idiota…» le esce fuori a voce alta,

proprio a lei che quei vizi, forse, ce

li ha tutti quanti.

Però la canzone è sempre

pazzesca, pensa, e con uno stacco

di gamba guadagna il sentiero.

2

La Casa Azzurra taglia a metà

l’antico vigneto di Vill’Alta. È qui

che abita Linda, nella casa dei suoi

nonni paterni. L’ha restaurata lei,

curando ogni minimo dettaglio

dell’arredamento

con

una

precisione quasi ossessiva. Più che

una casa, è un luogo della

memoria, perché come una pelle

porta tatuata addosso una storia,

tutta scritta nelle cose di cui è

fatta: i muri azzurri, gli infissi rosso

porpora, i cestoni di paglia

intrecciata sotto il patio, le botti

nella cantina, le pietre chiare

disposte una a una lungo il sentiero

del giardino… e poi l’assenza di

cancelli e quel silenzio naturale che

riempie il cuore. Su un angolo della

facciata, da oltre un secolo una

meridiana scandisce le ore,

proiettando una sottile ombra

nera. Linda ne ha ridisegnato i

contorni sbiaditi dal tempo con un

rosso brillante e ora non fa quasi

più caso alla sua presenza, come

capita con le cose o le persone che

ci sono da sempre.

Appena arriva sotto il patio, si

sgancia la cintura elastica con la

borraccia vuota e la abbandona

sulla soglia. Scioglie i muscoli

espirando e si mette a fare un po’

di stretching al fresco del pergolato

accanto all’ingresso. Non segue una

sequenza precisa, ma un ordine

casuale negli allungamenti. Dopo

un paio di minuti a erra i pesetti

da tre chili, uno per braccio, ed

esegue quattro serie di squat, il

migliore esercizio per allenare

cosce e sedere, come le ripeteva

sempre Davide, il suo personal

trainer. Che è anche l’uomo con cui

Linda ha fatto sesso la sera prima.

Uno della categoria “una notte e

basta, massimo due”.

Davide Costa l’ha conosciuto

nella palestra che frequentava

durante l’inverno; poi a marzo ha

smesso di andarci – un po’ per

l’arrivo della bella stagione (cosa

c’è di meglio di una corsa all’aperto

per scaricare la tensione da

u cio?) e un po’ perché si è

nalmente convinta che gli esercizi

sulle macchine non le danno

soddisfazione come quelli a corpo

libero – e addio al bell’istruttore.

Fino a quando, la sera prima, la

sua amica Valentina è riuscita a

trascinarla al New Wave per il

concerto dei Rebel Roots, un

gruppo reggae rock che lei non

aveva mai nemmeno sentito

nominare. Entrate nel locale e

attraversati i fumi e la semi-

oscurità della sala principale,

hanno trovato due posti nel

divanetto laterale vicinissimo al

palco. E poi, nel momento in cui le

luci si sono accese e il gruppo ha

iniziato a suonare, eccolo lì. Eh sì,

perché il tipo alle percussioni Linda

lo aveva già visto da qualche parte

e le è bastato un attimo per

metterlo a fuoco: Davide, un metro

e novanta di divinità greca, ma in

una veste tutta nuova. Così, a torso

nudo, scalzo, i pantaloni da

fachiro, le mani che battevano le

pelli di tamburo e i muscoli del

petto che ballavano sul ritmo, era

sexy da lasciare senza

ato.

Quando poi si asciugava il sudore

sulla fronte con il braccio, o si

chinava a terra per bere dalla

bottiglia… un incontro ravvicinato

con la perfezione dei corpi.

Appena il gruppo ha smesso di

suonare, Linda ha fatto di tutto per

intercettare lo sguardo di Davide al

bancone del bar. E considerando

anche la maliziosa scollatura del

suo abitino di jersey turchese, non

c’è voluto molto a catturare la sua

attenzione…

«Sei bravissimo» si è subito

complimentata, avvicinandosi con

il suo naturale passo da gatta,

morbido e sensuale.

«Trovi?» ha detto lui.

«Assolutamente

sì.

Hai

un’energia pazzesca!»

«Grazie.»

A quel punto il bronzo di Riace si

è sciolto in un sorriso. È fatta, ha

pensato Linda. Se voglio, è mio.

«Non sapevo fossi anche un

musicista» gli ha sorriso anche lei,

accarezzandolo con uno sguardo

che prometteva tutto.

«In realtà» si è messo a spiegare

Davide, «sarei un musicista, prima

di essere un personal trainer. Ho

studiato percussioni per dieci anni

al Conservatorio. Il lavoro part-

time in palestra serve solo a

mantenermi, è un modo come un

altro per coltivare il mio vero

sogno…»

«Ma dài» Linda ha disteso le sue

labbra carnose in un’espressione di

sincero interesse.

«Ti va una birra?» le ha chiesto

lui.Come da manuale, lei ha

risposto: «Be’, a un invito alcolico

non si dice mai di no» e gli ha

strizzato l’occhio. La vita nascosta

di Davide aveva acceso il suo

interesse: quel ragazzo la attraeva

sempre di più… ora sì che valeva

la pena di sfoderare le tecniche di

seduzione di cui era maestra.

«Tutto bene?» gli ha domandato

a un tratto, vedendo che

continuava a sollevare le suole

delle sue Adidas da terra, come se il

pavimento fosse appiccicoso.

«Mi sono distrutto le piante dei

piedi su quel palco di legno» ha

spiegato.

«Qualche

spina

dev’essermi entrata sottopelle. Mi

fa un male…»

«Se vuoi te la tolgo io» ha detto

Linda, con un tono che non

nascondeva nessuna intenzione.

«Allora ne è valsa la pena, di

devastarmi così…» ha sussurrato

lui.Poco dopo si sono ritrovati

insieme nella Golf di Davide.

Hanno percorso qualche chilometro

di collina, nché a un certo punto

non ce l’hanno fatta più a resistere.

Hanno rallentato, preso una strada

secondaria e si sono fermati al

centro di un prato deserto. E in

macchina hanno consumato tutta

la voglia che ormai era diventato

impossibile trattenere: una scintilla

a cui si poteva solo obbedire.

In fondo, una seconda notte non

sarebbe proprio da scartare, sta

pensando adesso Linda, mentre

stringe bene i pesetti con le mani.

Il ragazzo ci sapeva fare, doveva

ammetterlo, e subito alcune

immagini, fotogrammi di un lm

appena girato, scorrono rapide

nella sua mente: la bocca che si

so erma sul seno, le mani nodose

da percussionista strette alla sua

pelle sudata, la lingua che si muove

a un ritmo quasi tribale nel suo

sesso bagnato.

Allunga le braccia in avanti, si

piega sulle ginocchia – i piedi ben

ancorati a terra – e contrae i glutei,

mantenendo lo sguardo sso su un

punto inde nito del muretto di

fronte. E solo in quel momento se

ne accorge: un pezzetto di carta

sbuca sopra i mattoni a vista.

Molla i pesetti con un gesto

improvviso, senza cura, e corre alla

cassetta della posta. Dalla fessura

sul fondo s la una fotogra a di

Hanoi.

Sulle labbra le si disegna un

sorriso involontario. Sa già chi è il

mittente, senza bisogno di girare la

cartolina. E quando lo fa, la

calligra a un po’ svolazzante è la

conferma che non serviva:

Torno presto.

Baci

Ale

Linda tira un lungo sospiro,

quasi teatrale, e sorride di nuovo.

Poi pensa a voce alta: « Torno

presto? E chi gli crede, a quello?».

Alza gli occhi al cielo. «Mah, forse

è la volta buona che lo rivedo, ’sto

stronzo…»

Lo stronzo in questione è

Alessandro Degan, il più grande

amico di Linda. O almeno lo era

tanto tempo fa. Sono cresciuti

vicini, nello stesso mondo, su

quelle colline ruvide che hanno

plasmato per sempre le loro

personalità e le loro vite, così

diverse. Sono stati compagni di

liceo e poi si sono persi di vista

qualche anno dopo il diploma: lui

aveva deciso di inseguire il suo

sogno, fare il fotoreporter. E quindi

era partito. L’amicizia, però, era

sopravvissuta alla lontananza,

perché Alessandro era riuscito a

mantenere la promessa che Linda

gli aveva strappato prima che se

ne andasse: le aveva mandato una

cartolina da ogni Paese in cui era

stato. Sempre. E così gli anni erano

passati, e Linda ne aveva ricevute

davvero tante, dalle zone più

sperdute e incredibili del mondo,

da Katmandu a Ulaanbaatar, da

Samarcanda a Juneau.

Si può dire che Alessandro viva

in viaggio, a caccia di storie da

raccontare con le immagini. E

come le racconta lui, nessuno lo fa:

i suoi scatti vanno dritti all’anima,

scavando nell’emozione e nella

semplicità dei gesti. Ecco perché i

suoi reportage niscono spesso su

riviste prestigiose come “Times” o

“National Geographic”. Torna

raramente in Veneto; in genere fa

base a Londra, dove ha sede una

delle più importanti agenzie

fotogra che per cui lavora.

L’ultima volta che è passato di lì

risale a cinque, forse sei anni

prima. Ma Linda ormai ha perso il

conto. Le sembra una vita fa, e

l’idea

che

presto

potrebbe

incontrarlo la riempie di gioia, le

provoca

un’eccitazione

quasi

infantile. Sarà cambiato? Forse

invecchiato? E lui, la troverà

diversa?

Linda dà un calcio leggero alla

porta d’ingresso ed entra in casa,

con lo sguardo ancora pieno di

tutta la bellezza del mondo là fuori.

Poi mette la cartolina al suo posto,

vicino all’ultima arrivata da

Singapore qualche mese fa.

Quando è venuta ad abitare nella

Casa Azzurra, ha avuto l’idea di

destinare una parete del salotto

alle “cartoline” di Alessandro, che

sono a tutti gli e etti stampe dei

suoi scatti: con un lungo lo di

rame ha creato una sorta di spirale

sul muro, e ogni volta che arriva

una nuova foto ce la appende con

una molletta di legno. Insomma, è

riuscita a fare della creatività di

Alessandro la sua opera d’arte, una

specie di colorata installazione

sempre in progress.

Subito dopo se ne allontana di

qualche passo e la guarda, da una

certa distanza: le piace proprio, ed

è perfetta lì dove sta. Poi si leva le

scarpe e getta i vestiti sulla

poltroncina vintage davanti allo

scrittoio in legno d’ebano. Lì

accanto staziona un’antica stufa

nera in ghisa, che d’estate serve

per accatastarci libri e riviste di

moda e design. Eccolo lì, lo spirito

profondo della Casa Azzurra: fuori

e dentro nutrita dell’estro di Linda,

del suo occhio stravagante sul

mondo.

È tutto perfetto e lei,

completamente

nuda,

può

nalmente salire le scale in pietra

rossa e infilarsi in bagno.

Dopo la doccia si spalma con

cura una crema idratante francese

a base di ginseng siberiano e si

passa il deodorante roll-on sotto le

ascelle. Con un’occhiata rapida

ispeziona la zona inguine e pensa

che più tardi deve ricordarsi di

chiamare l’estetista. Indossa slip e

reggiseno neri, poi si pettina i

capelli biondo cenere ondulati,

lunghi no alle spalle, con un

forchettone in legno a denti larghi,

facendoli ricadere da un lato del

viso. Così sembra un po’ meno

bambina di quando li raccoglie,

una fascinosa e irresistibile

trentatreenne,

che

dimostra

comunque almeno cinque anni in

meno di quelli che ha.

Un ultimo sguardo allo specchio,

di fronte e di pro lo. Solleva le

sopracciglia,

socchiude

leggermente le labbra carnose,

prova due o tre sorrisi standard, di

quelli a cui è impossibile resistere:

fanno ancora il loro sporco lavoro.

È pronta.

Sta per prendere Opium, il suo

profumo preferito, ma la boccetta

le scivola dalle dita e cade a terra.

«Cazzo, nooo!» grida, tirandosi

una ciocca come se volesse

strapparsela. «Che casino!»

Ha appena iniziato a inveire con

ferocia contro tutto e tutti, quando

il cellulare si mette a suonare. Lo

a erra dalla mensola sotto lo

specchio. «Oddio, Bosi! Rompe le

palle già di prima mattina?»

Sbu a, respira a fondo e poi,

scocciata, risponde.

«Devi venire subito allo studio»

dice

perentorio

l’architetto

Gianluigi Bosi.

«E perché?» domanda lei, senza

nascondere

l’irritazione

del

momento. E il tono non è certo

quello adatto a una telefonata con

il proprio capo.

«Ne parliamo quando arrivi.»

Linda raccoglie un frammento di

Opium e con un gesto nervoso lo

scaglia nel cestino sotto il lavello.

«Non dirmi che quei dementi dei

Grimani hanno cambiato idea sugli

accessori del bagno.»

«Se ti sbrighi ad arrivare in

u cio, ne discutiamo qui» taglia

corto Bosi, scorrendo le immagini

nella gallery dell’iPad. «Stiamo

aspettando tutti te.»

«Ok, ho capito.»

« Cosa, hai capito?» Bosi seleziona

l’immagine di Ivanka in bikini – la

danzata dell’ultimo mese – e la

imposta come sfondo, lasciandosi

andare a un sorriso compiaciuto.

«Dài, datti una mossa. Devo

parlarti subito.»

«Va bene, tra poco sono lì, non

c’è bisogno di agitarsi!»

Linda chiude la chiamata e vola

in camera a vestirsi.

Apre l’armadio a muro, fa

scivolare la mano su una serie di

vestiti in diverse sfumature di

colore e impegno: ne sceglie uno al

ginocchio, a metà tra il formale e

una situazione più rilassata, poi

prende due paia di sandali col

tacco che s’intonano bene e si infila

le espadrillas. Si aggancia al collo

un’enorme collana etnica pescata a

caso dal cesto della bigiotteria. E si

guarda un’ultima volta allo

specchio. «Mmm… Forse non

c’entra molto con il vestito» ri ette

ad alta voce, rivolta alla sua

immagine ri essa. E ettivamente,

i medaglioni di corallo rosso fuoco

che dal collo le scendono no al

seno sono una nota stonata

rispetto alle linee dell’abito azzurro

pastello. «Vabbè, chissenefrega»

sbu a. Poi gira le spalle allo

specchio e se ne va.

Apre il bagagliaio dell’Alfa

Spider rossa del ’79, la sua Duetto,

ci butta dentro le scarpe, due

cataloghi di arredo bagno e un

campionario di piastrelle linea

vetro di Murano.

Abbassa la capote e prende posto

al sedile di guida.

Poi tira un lungo respiro. L’aria

sa di oleandri e rose. S’in la gli

Aviator – usa i Wayfarer solo per

correre o andare al mare – e

impugna il volante. Un altro

respiro, più profondo. Gira la

chiave, ma al primo tentativo il

motore non si accende. Ogni tanto

fa questo scherzo… in fondo, anche

se Linda dedica a questo gioiellino

tutte le cure che si merita, la sua

due posti del cuore ha ormai i suoi

anni.

«E dài, parti!» Linda dà un colpo

sul cruscotto, gira di nuovo la

chiave, e la macchina si mette in

moto. Ingrana la prima e preme

decisa sull’acceleratore.

Laggiù c’è la pianura.

Laggiù l’aspetta un nuovo

giorno.

E Linda è certa che sarà di fuoco.

3

Superbia

«Ma ben arrivata, Linda! Meno

male che ti avevo detto subito.»

Bosi appoggia sulla scrivania gli

occhiali da vista con la montatura

blu elettrico e si allunga sullo

schienale della poltrona girevole,

a ondando una mano tra i suoi

folti capelli brizzolati.

«C’era un tra co tremendo»

mente Linda, entrando spavalda

nell’u cio. Si abbassa per

sistemarsi il cinturino dei sandali

verdi tacco dodici, pescati dal

bagagliaio della spider. «Ci ho

messo un quarto d’ora solo per

attraversare via Cavour, c’era un

casino di macchine…»

«Lo sai che a Conegliano è

sempre così di mattina» osserva lui,

sporgendosi in avanti a sbirciare

con un sorriso amaro. «Non cercare

scuse.» Nota la vistosa collana

rosso fuoco al collo di Linda, e la

scollatura discreta ma sensuale, e

storce le labbra. Lei si sente il suo

sguardo addosso, ma fa nta di

nulla.

«Infatti non mi stavo a atto

giusti cando» replica Linda, con il

tono prepotente di chi non deve

nulla a nessuno. Si ferma un

istante al centro della stanza e

raddrizza la schiena: cerca di

respirare con la pancia, vago

ricordo di una lezione di pilates di

secoli prima, come a raccogliere

tutta l’energia che ha. In u cio

gliene serve sempre una quantità

inesauribile, così nel tempo ha

dovuto trovare il suo modo per non

farsela rubare… e respirare bene è

il miglior punto di partenza.

Allo studio di Conegliano è

approdata dopo il master in

Architettura d’interni allo Iuav di

Venezia, dove l’architetto Gianluigi

Bosi insegnava Luxury Interior

Design, un corso gettonatissimo tra

gli studenti del primo anno.

Quando gli capitò sotto gli occhi

uno degli eccentrici progetti di

Linda, capì subito che la ragazza

aveva una marcia in più. Rimase

colpito

dalla

sua

naturale

inclinazione a stravolgere le regole

e – quando la sottopose ad alcune

prove sul campo – dalla sua

spiccata capacità di reagire con

forza

alle

circostanze

più

sfavorevoli. E così, nel giro di

qualche mese, ancora prima che lei

si laureasse, l’aveva presa a

lavorare nel suo studio.

«Allora, cosa dovevi dirmi di

tanto urgente?» chiede Linda un

po’ sfacciata, facendosi spazio tra

le due poltroncine in legno

massello di fronte alla scrivania.

Ha sempre dato del tu al suo capo,

e nessuno dei due si ricorda se sia

stato lui a volere così all’inizio del

loro rapporto professionale o se

piuttosto sia stata lei a non

accettare da subito la classica

gerarchia verbale capo-dipendente.

A quel punto Bosi sbotta e le

dice, tutto d’un

ato: «Ho

modi cato il progetto dei Grimani

come ci chiedevano loro, è giusto

che tu lo sappia».

«Cosa?!»

esplode

Linda,

scagliando a terra la borsa con

dentro i cataloghi.

«Sono settimane che chiedono la

doccia orizzontale al posto della

vasca da bagno. Non mollavano.

Cosa dovevo fare?»

«E me lo chiedi anche?! Dire la

verità, per esempio? Fargli capire

che è un’idiozia bella e buona?»

Una ruga le si forma tra le

sopracciglia folte e ben disegnate.

Bosi allarga le braccia, sul suo

viso

un’espressione

tra

il

rassegnato e il realista: «Ricordati

che il cliente ha sempre ragione. È

la regola numero uno».

«Ah, davvero? E allora perché si

rivolgono a noi? Potevano

arredarselo da soli l’attico!» La

voce le si alza all’improvviso di

alcuni toni. Ha quasi perso il

controllo.

Bosi non sa cosa rispondere, si è

irrigidito, scuote la testa… Poi, in

un maldestro tentativo di sfogare

la tensione, inizia a muovere le

dita a caso sull’iPad. La foto di

Ivanka in bikini gli restituisce

all’istante una botta di vitalità.

Linda lo osserva con una

smor a. «Hanno visto una stupida

doccia orizzontale in una stupida

rivista e subito hanno pensato:

ecco come possiamo far crepare

d’invidia i nostri amici! E questo è

tutto quello che i loro stupidi

cervelli hanno saputo elaborare.

Ma noi… noi siamo professionisti,

e abbiamo il dovere di dirgli che

una doccia orizzontale è una gran

cazzata e che per di più non è

adatta al loro bagno!» continua

con voce stridula. Ormai non si

trattiene più. È diventata una

questione di principio. E su quelle,

Linda non molla.

«Non è esattamente così» cerca di

essere diplomatico Bosi, «siamo

pagati anche per assecondare i

desideri dei clienti.» In quel

momento gli squilla il cellulare

nella tasca della giacca. S’in la gli

occhiali, osserva il display, un

sorrisetto gli compare sulle labbra

mentre risponde, quasi in un

sussurro: «Ivy, darling, ora non

posso. Ti richiamo tra un istante».

Ma Ivy a quanto pare non demorde

e lui è costretto ad abbassare

ancora di più la voce, ruotando

sulla sedia girevole alla ricerca di

un’impossibile privacy. «Sì, sì, ti ho

detto che ti ci porto… ma non

questo weekend.» Una specie di

grugnito gli esce dalla bocca.

«Amore, ci sentiamo dopo. Bacio.

Ciao, ciao, ciao.»

Linda gli punta addosso gli occhi,

ora più verdi che azzurri, e si

aggancia con entrambe le mani al

bordo della scrivania, riprendendo

il discorso da dove l’aveva

interrotto. Non c’è scampo per

Bosi, non con Linda. «Non c’è

spazio per due piattaforme» gli

so a in faccia, sillabando con

cattiveria ogni parola. «Sei getti ad

alta intensità, non so se hai

presente… dove glieli piazzo i

punti

di

uscita?»

strilla,

fulminandolo con uno sguardo

infuocato. «Te lo dico io» prende

ato, «vedrai se non gli cresce la

mu a per l’umidità spaventosa che

avranno in bagno!»

«E questo sarà un problema loro»

taglia corto il suo capo, autoritario.

Linda batte un pugno sulla

scrivania, facendo sobbalzare

leggermente Bosi, che non riesce

più a reagire ai suoi attacchi. Non

sa che al di là della parete di vetro,

nell’u cio accanto, due occhi

impenetrabili, di un blu tendente al

grigio, la stanno osservando già da

un po’, attoniti e insieme curiosi.

È proprio in quel momento che

Linda punta l’indice contro Bosi, e

gli urla in faccia: «Il vero

problema, capo, non è la doccia

orizzontale, ma il fatto che tu mi

hai scavalcata!». Spalle al muro, lui

alza gli occhi al cielo: sa già come

andrà a nire. «Stravolgi un mio

progetto e non hai nemmeno la

decenza di consultarmi!»

Bosi la osserva senza atare – ha

ragione lei, non può ribattere – ma

intanto con la visione periferica

sbircia la stanza accanto: il cliente

più importante, quello con gli occhi

grigio blu, è lì di anco a loro. È

un’occasione unica, un a are con

troppi zeri e non può permettersi

di perderlo. Che idea si starà

facendo della professionalità dei

suoi collaboratori? Adesso maledice

il giorno in cui ha messo quelle

pareti di vetro a separare gli

ambienti. Per fortuna, Ludovico

Fassina e Alice Vanzella, gli

architetti con più anzianità dello

studio, si stanno spendendo in

larghi sorrisi e frasi di circostanza

con Tommaso Belli e la sua

compagna Nadine Hariri, le galline

dalle uova d’oro. Loro sì che sanno

trattare i clienti plurimilionari!

Certo, non sono dei creativi geniali

come la sua ex allieva prodigio, ma

per

le

pubbliche

relazioni

funzionano decisamente meglio.

«È una questione di principio»

riattacca Linda. E su questo, Bosi

non aveva il minimo dubbio. «Il

mio lavoro lo faccio molto bene, lo

sai, ci metto anima e corpo. Perciò,

se scelgo una cosa, pretendo che

sia quella e basta. E soprattutto che

tu stia dalla mia parte!»

A quel punto Bosi cerca il suo

tono più pacato – «Calmati, Linda»

è tutto quello che riesce a

biascicare – e solleva il mento in

direzione dell’u cio accanto. «Stai

dando spettacolo, e di là ci sono dei

clienti. Molto importanti. » Aggrotta

la fronte su cui si formano tante

linee orizzontali: quanto botox

sprecato, pensa Linda, e a stento

riesce a trattenere un sorrisetto

maligno. Poi si volta di scatto verso

la parete a vetro e incontra loro, i

Grandi Occhi Grigio Blu. Per un

attimo si dimentica dov’è, di avere

un capo un po’ codardo, della

rabbia: quegli occhi la catturano,

non riesce a distogliere lo sguardo,

a pensare ad altro. Poi vede anche

lui, il quarantenne e poco più,

algido e impeccabile, tutto lisciato

nel suo blazer color ottanio. Non

una piega fuori posto, nessun

dettaglio che non gli sembri cucito

addosso.

«Ma chi? I due che vogliono

arredare la villa Grippo-Bel ?»

chiede Linda dopo essersi ripresa,

con una punta di curiosità nella

voce, che ora è sensibilmente scesa

di volume.

Bosi appro tta del momentaneo

calo di tensione – non sa quanto

potrà durare – e le risponde al

volo. «Esatto. Andreucci di Bassano

del Grappa ha curato il restauro

conservativo dell’esterno e poi è

stato così gentile da mandarli da

noi.» Sul viso gli spunta

un’espressione

di

trionfo.

«Dobbiamo trattarli bene. Guanti di

velluto.»

Linda torna a guardare i due

individui oltre la parete.

Lui

è

Tommaso

Belli,

quarantaquattro anni di ghiaccio e

fascino magnetico. Lavora nell’alta

diplomazia internazionale ed è

appena rientrato in Veneto – la

terra dov’è nato e cresciuto – dopo

un

mandato

biennale

all’ambasciata italiana di Abu

Dhabi. Lei è la sua danzata

Nadine Hariri, classe ed eleganza

innata, ha quarantadue anni ma ne

dimostra dieci in meno. Una di

quelle donne che sembrano uscite

da un servizio patinato di un

giornale di moda anche quando si

svegliano la mattina. Di origine

libanese, appartiene a una delle

famiglie politicamente più in uenti

di Beirut ma è cresciuta a Parigi, ha

frequentato le scuole francesi e

parla cinque lingue, italiano

compreso. Tommaso ha incontrato

Nadine durante una missione in

Medio Oriente e stanno insieme da

sette anni. Sono entrambi ricchi,

colti e ra nati: la coppia perfetta,

fastidiosamente perfetta. Hanno

appena acquistato una villa in stile

palladiano nella zona del Montello

e si sono rivolti allo studio Bosi per

arredarla. E

nora si sono

dimostrati

dei

clienti

incontentabili, perché dei mille

progetti che Ludovico e Alice gli

hanno presentato nessuno gli

andava bene. Troppo classico uno,

troppo stravagante l’altro…

Linda non sa perché, ma è

stranamente attratta da quei due, e

così si distrae un attimo a ssarli. È

solo un istante, poi i suoi pensieri

ritornano a quella dannata doccia

orizzontale. «Allora, cosa facciamo

con quegli imbecilli dei Grimani?»

Storce le labbra in una smor a e

conclude: «Spero tu abbia la

decenza di farmici parlare, perché

solo io posso convincerli».

«No, Linda, ormai è deciso»

taglia corto Bosi, raddrizzandosi

sulla poltrona. Poi la scruta con gli

occhi a fessura. «Tu sei in gamba e

hai un gran talento. Ma lo sai n

troppo bene: il tuo problema è la

superbia» sentenzia, con l’aria di

un motivatore da programma

televisivo. «Ed è un brutto vizio,

dammi retta, dovresti starci

attenta.»

A Linda viene da sorridere. Non

proprio un sorriso divertito, forse

c’è una leggera vena di sarcasmo.

Questa storia dei vizi è una

persecuzione, pensa. Prima Linus

alla radio, adesso ci si mette anche

Bosi. Ma che diavolo si sono bevuti

tutti, stamattina? Sarà una

coincidenza, non lo sa, o forse

qualcuno le vuole dire qualcosa…

Scuote la testa per scacciare il

pensiero e torna al presente con un

nuovo slancio di rabbia: «Sì, certo.

E se il mio è la superbia, il tuo è la

mancanza di palle».

Gelo.

«Ohi Linda, stai calmina e

abbassa la cresta, eh.» Bosi si è

risvegliato, all’improvviso. Può

sopportare tutto, ma gli insulti

proprio no. «Sono il tuo capo, ogni

tanto ricordatelo e porta un po’ di

rispetto.»

«Appunto, e dovresti fare il capo,

invece di strisciare davanti a degli

idioti come i Grimani!» replica

Linda,

poi

lo

pianta

lì,

allontanandosi

con

falcate

leggermente instabili sui tacchi, lo

sguardo cupo puntato a terra. Così

non si accorge di lui, che sta

uscendo proprio in quel momento

dall’u cio accanto e va dritta a

sbattere contro la schiena di

Tommaso.

«Ma stia un po’ attento, no?»

brontola a denti stretti, quasi senza

alzare gli occhi.

«Mi scusi» si limita a dire lui,

lisciandosi il blazer sui anchi e

sistemandosi il colletto della

camicia bianca.

Linda continua a camminare

senza voltarsi, mentre Tommaso,

alle sue spalle, raccoglie un foglio

da terra e cerca di richiamare la

sua attenzione. «Signorina…»

A quel punto Linda si gira. «Dice

a me?»

«Sì. Le è caduto questo.»

Tommaso sventola il foglio.

«Ah… lo butti pure via.» Poi si

volta senza degnarlo di un’occhiata

di ringraziamento e in la l’uscita.

«Il progetto del bagno dei Grimani»

borbotta. «Che si fottano, cazzo.»

Dopo mezz’ora di sfrecciate

nervose in spider attraverso le

colline della Marca trevigiana,

Linda

arriva

nalmente

a

Serravalle. Qui vive lo zio Giorgio,

uno dei pochi punti fermi della sua

vita. Ed è qui che viene a rifugiarsi

quando non ne può più di nessuno

e ha bisogno di staccare.

Giorgio è il fratello del padre di

Linda. Ha cinquantacinque anni e

se li porta con un’invidiabile e

solare leggerezza. È un artigiano

eccentrico, una specie di alchimista

del legno o, come lui stesso ama

de nirsi, “un giocoliere al quale

ogni tanto cade una pallina per

terra”. Rompendo con gli schemi

della tradizione del mobile antico –

molto viva nella Marca – disegna e

poi crea dei prototipi molto

originali, con un’attenzione quasi

maniacale per la qualità dei

materiali e una ricerca estetica

so sticata. Linda adora lo stile

dello zio e gli ha fatto realizzare

alcuni pezzi di arredo per la Casa

Azzurra.

«Buongiorno, zio! Mi apri?» trilla

Linda al citofono.

«Tesoro…» risponde lui, in bilico

tra sorpresa e felicità di vedere la

sua amata nipote. Poi fa scattare la

serratura dell’antico cancello in

legno d’abete.

Linda, che ha sostituito con le

espadrillas i sandali tacco dodici,

chiude il mondo fuori e attraversa

la corte interna che conduce

all’abitazione, una casa davvero

bizzarra che ha l’aspetto di una

sorta di bunker bohémien. Un po’

atelier d’altri tempi, un po’

capanno di caccia in salsa pop, un

po’ residenza nobile stile Impero in

piena decadenza. Insomma, un

posto speciale con molte anime,

che si adatta perfettamente alla

personalità del suo estroso

proprietario.

«Già qui, tesoro? Ti aspettavo

per stasera…» Giorgio si a accia

alla soglia in bermuda a scacchi,

camicia stropicciata e sandali da

frate. Si pulisce le mani imbrattate

di colla con uno straccetto

imbevuto di solvente.

«Lo so, zio» sussurra Linda

abbracciandolo

stretto

e

stampandogli due baci sulle

guance, «è che ho litigato con

quell’imbecille di Bosi e non mi

andava proprio di restare al

lavoro.»

Giorgio tira un lungo sospiro

mentre gli si disegna sulle labbra

un sorriso che Linda conosce

davvero bene. «Ah, e perché hai

litigato?»

«Oh, niente, cazzate.» Alza le

spalle. «Lo sai che sul lavoro non

sopporto di essere contraddetta»

aggiunge, con enfasi, lo sguardo

sicuro puntato sullo zio.

Lui scuote la testa. «E non solo

sul lavoro, direi» la rimprovera

bonariamente con un bu etto sulla

guancia. In realtà è innamorato del

carattere irruento della nipote, le

persone come lei senza peli sulla

lingua lo fanno impazzire. «Vieni

dentro, dài, che ti faccio vedere i

pezzi della tua libreria. Me ne

manca solo uno, ho quasi finito.»

«Che soddisfazione mi dai, zio!

C’è ancora qualcuno a questo

mondo che fa le cose come

piacciono a me!» sospira Linda. Ha

già cambiato umore, con la stessa

disinvoltura con cui si cambierebbe

le scarpe.

Entrando in casa, la accoglie un

profumo intenso di cera d’api e

poi, subito dopo, l’odore rustico

delle cose, i pavimenti in legno

scricchiolanti, le pareti tappezzate

di stampe, quadri e scritte, gli

stipiti con inserti di mosaico…

Un’assortita quantità di oggetti

curiosi riempie gli ambienti.

Giorgio ha battuto per anni

negozietti dell’usato, mercatini

delle pulci e siti internet per

scovare arredi vintage, parafernalia

e pezzi d’arte di cui popolare la sua

tana. Dipinti e statue di bronzo su

piedistalli accanto a mucchi di

riviste, antichi kilim, orologi

d’epoca, vasi da farmacia dei primi

del Novecento, candelabri e

lampadari in cristallo. Ovunque c’è

un po’ di lui, Giorgio Ottaviani, in

ogni angolo di quell’universo sta

succedendo qualcosa, proprio come

nella sua testa.

Un’ampia

nestra ad arco

illumina il laboratorio con i muri

délabré. Dal so tto pende

un’esotica lampada in lo di ottone

e ceramica; vari attrezzi da lavoro

sono sparsi alla rinfusa nella

stanza, alcune forme in legno per

realizzare prototipi sono appese a

uno schermo di ferro vicino al

bancone da lavoro, cosparso di

tasselli di infinite misure.

«Ecco qua» dice Giorgio,

indicando un segmento di libreria

appoggiato in verticale alla parete.

Linda si avvicina al ripiano e lo

accarezza, con la stessa delicatezza

che userebbe su un vestito di seta.

«Zio, è stupendo! Hai fatto un gran

lavoro…» Prova un piacere sico a

toccare quel pezzo di legno,

vorrebbe annusarlo, ma subito lo

sguardo le cade sul cassetto

appoggiato a terra sopra un telo di

nylon. «Oddio!» esulta, eccitata, e

si accovaccia.

«Non toccarlo, eh, che quello è

appena verniciato…»

Linda, quasi in ginocchio, si

volta verso Giorgio con due occhi

adoranti. «Questo è proprio il

colore che volevo» dice, con la voce

intrisa di sincera gratitudine.

«Non troppo blu, ma neanche

troppo azzurro» ammicca Giorgio.

«Ma come facevi a saperlo? Non

ti avevo detto nulla…» A quel

punto Linda si rialza e gli mette

una mano sulla spalla. «È così bello

non aver bisogno di parole con te,

zio, tu mi leggi nel pensiero!»

«E non hai ancora visto il pezzo

forte.» Giorgio va al bancone da

lavoro ed estrae lentamente da una

scatola un pomello in bianchissimo

marmo di Carrara.

Linda si illumina. «Per il

cassetto?»

Giorgio fa sì con la testa.

«Basta, adesso piango!» E invece

ride come una bambina.

«Su, vieni di là che ti o ro un

rosso» la invita Giorgio. «Tempo

mezz’ora e il cassetto è asciutto…

così poi ti porti a casa tutto.»

«Grazie zio!» Linda ha gli occhi

lucidi. La sua giornata ha

decisamente preso la piega giusta.

«Non so cosa farei, senza di te.»

E poi lo segue, pensando che è la

nipote più fortunata del mondo

perché può condividere con Giorgio

praticamente tutte le sue passioni.

Si spostano in cucina, dove il

piano del tavolo da pranzo è

niente meno che la sezione di un

tronco di quercia millenaria.

Giorgio versa del Cabernet Franc in

due bicchieri, poi va a prendere un

caprino stagionato al profumo di

noci e Traminer e taglia alcune

fette di pane fatto in casa.

«Assaggia» dice a Linda,

allungandole la punta del coltello

da formaggio.

Lei non si tira certo indietro. È

curiosa, e adora i sapori come ama

i colori e le forme. «Mmm…

buonissimo» dice, gustando il

boccone.

«Me l’ha portato Fausto» le

racconta Giorgio. Gli brillano gli

occhi quando pronuncia quel nome.

«Fausto chi, il tuo amico

pianista?» Linda ne taglia un altro

pezzo.

«Sì» risponde lui, con un sorriso

limpido. «A proposito, siamo

invitati al suo concerto da camera

alla Fenice.»

«Ah, però…» Linda solleva le

sopracciglia e addenta un pezzo di

pane.

«Cioè, ha invitato me» si

corregge Giorgio, «ma vorrei che

venissi anche tu.»

«E quando?»

«Il 25 luglio, c’è ancora tempo…

Ma te lo dico in anticipo, so che hai

sempre mille impegni.»

«Insomma» azzarda Linda, ben

sapendo che lo zio è sempre molto

riservato sui suoi a ari di cuore,

«sembrerebbe una cosa seria con

lui…»

«Non lo so.» Una vena

d’imbarazzo gl’incrina per un

attimo la voce. «Comunque a lui ci

tengo.»

«Bene» sospira Linda. «Mi sa che

è meglio che vada ora…»

«E scappi via così?»

«Sì, non vorrei proprio dirlo, ma

il senso del dovere mi chiama.

Forse posso ancora combinare

qualcosa a casa.»

Giorgio si a accia alla nestra e

butta un occhio alla spider. «Te li

porto io i pezzi in macchina. Me la

stai trattando bene?» Era sua, la

Duetto rossa del ’79. All’epoca,

Giorgio si divertiva a fare il bullo

con le ragazze del paese; solo più

tardi aveva ammesso a se stesso e

poi agli altri che i suoi gusti

andavano altrove, e che non erano

le donne a fargli girare la testa.

«Certo… ne dubiti forse, zio? Te

la sto trattando come un gioiello.

Le ho fatto anche potenziare il

motore!»

«Ci avrei giurato.» Alza gli occhi

al cielo. «Quindi raccomandarti di

andare piano resta sempre una

battaglia persa…»

Linda si stringe nelle spalle come

se volesse scusarsi, e poi ride,

strizzandogli l’occhio.

Il tempo di arrivare a casa, e

tutte le buone intenzioni di Linda

sono svanite: non ha più alcuna

voglia di lavorare per lo studio

(soprattutto dopo il trattamento

che le ha riservato Bosi), riesce solo

a pensare alla sua libreria. Con un

entusiasmo quasi infantile scarica

dalla spider i pezzi e li porta in

salotto. Non sta nella pelle: tra

poco potrà vedere il risultato

finale!

Si mette subito al lavoro. Prima

inserisce il cassetto azzurro nello

spazio vuoto del segmento

centrale.

«Perfetto.»

Poi prende il ripiano e salendo

su una sedia – il suo metro e

sessantuno di altezza, se può essere

un vantaggio a letto, non l’aiuta

certo in questo tipo di imprese – lo

incastra nell’ultima fila di tasselli.

«Me-ra-vi-glio-so!» esulta.

Scende e inizia ad ammirare

l’opera, prima da vicino, poi

arretrando a piccoli passi no a

sdraiarsi sul divano in pelle

capitonné.

La

guarda

con

compiacimento, socchiudendo le

labbra in un’espressione estatica.

«Proprio come l’avevo desiderata.»

La voce è un sussurro, quasi stesse

provando un orgasmo.

E subito pensa che, almeno con i

mobili, tutto riesce a incastrarsi

alla perfezione e a produrre il

risultato sperato. Peccato che nella

vita non sia sempre così…

4

Il

ledwall

intermittente

all’incrocio della statale segna le

18.37. Linda sta guidando la sua

spider, capote abbassata e capelli

al vento, nonostante il fresco della

sera che a tratti diventa freddo.

Finalmente è venerdì. Uno di

quegli splendidi venerdì di ne

maggio in cui già pregusti l’estate e

i suoi colori. La giornata lavorativa

è alle spalle, ma lei non può fare a

meno – ancora per poco, si

conosce, presto tutto scivolerà via –

di ripensare alle facce plasti cate

dei Grimani, al delirio che

imperversa nello studio all’arrivo

di un nuovo cliente, al suo capo

che si comporta come un leccapiedi

senza dignità, a Ivanka che ogni

giorno all’ora di pranzo passa a

trovarlo, si chiude a chiave nel suo

u cio… e gli regala il suo misero

quarto d’ora di piacere quotidiano.

Le viene da ridere, mentre con le

mani giocherella prima con il

volante e poi con la leva del

cambio, il piede destro sempre

premuto sull’acceleratore. Pensa

che, oltre alla corsa, poche cose le

trasmettono una sensazione di

libertà come la guida: magari un

giorno si stuferà della sua Duetto,

anche se ne dubita seriamente, e si

comprerà anche lei come tutti una

macchina nuova, una di quelle che,

quando hai il piede a tavoletta, in

un attimo il contachilometri schizza

sopra i cento. Una fantasia da

uomo, la sua, insospettabile per chi

si limitasse a guardare il suo

aspetto angelico e insieme

sensualissimo. Ma in fondo, pensa

Linda, che cosa se ne fa di una

macchina senz’anima, con i sedili

che puzzano ancora di fabbrica? La

sua spider fa alla perfezione quello

che deve fare, e il brivido che le

regala lei è impagabile.

Imbocca la provinciale che si

addentra tra le colline. L’aria è

umida e calda, sa di pulito, dopo il

violento

acquazzone

del

pomeriggio. Un debole raggio di

sole sta sbucando da una cresta

delle Prealpi, mentre le nuvole si

disperdono in masse sempre meno

compatte.

È bella, la sua terra. Ed è in

momenti come questi che Linda

non può fare a meno di pensare

che non vivrebbe da nessun’altra

parte.

Preme

ancora

di

più

sull’acceleratore,

totalmente

appagata da quella sensazione, ma

dopo una serie di curve larghe

l’Alfa inizia a perdere colpi e a

vibrare tutta, dal cofano al tubo di

scappamento.

«No! Ancora!» sbu a Linda

tentando inutilmente di tenere il

motore su di giri. Lo sa che non c’è

niente da fare. L’auto continua a

rallentare, giusto il tempo di

accostare,

e

la

abbandona

de nitivamente, spegnendosi con

un

rumore

per

niente

incoraggiante.

«’Fanculo!» Linda batte un pugno

sul volante e si fa male alle nocche.

«Ahia, cazzo!» Non è la prima volta

che la spider va in panne. «E

adesso cosa diavolo avrà?» Si

sgancia la cintura di sicurezza con

stizza e spinge indietro il sedile al

massimo. Poi preme un paio di

volte sul pedale della frizione e

prova

a

riaccendere

con

un’accelerata violenta: la chiave

gira a vuoto. Nessuna reazione,

l’auto non dà segni di vita.

«Merda,

merda,

merda!»

impreca. Non può essere nita la

benzina, l’ho fatta prima, ri ette.

Che dipenda dalla cinghia? Magari

è l’olio, o semplicemente la

batteria, ipotizza con poca

convinzione. La spensieratezza di

un attimo prima è stata spazzata

via dal nervosismo, che ora le

contorce lo stomaco. Dopo aver

passato l’intero pomeriggio a

litigare con gli operai nell’attico

dei Grimani – maledetta doccia

orizzontale! – mancava pure questa

seccatura per chiudere la settimana

in bellezza. È proprio vero: non ci

sono limiti alla quantità di s ga

che si può accumulare in una sola

giornata partita male.

Ma Linda non è una che si

scoraggia facilmente. A erra una

chiave ad anello dalla cassettina

del cruscotto, scende dall’auto,

apre il cofano e si mette ad

armeggiare con il motore. Non che

sia un’esperta, ma qualche

trucchetto lo ha imparato da

Alessio Calligaris, un commerciante

di Audi usate con cui anni fa le è

capitato di passare qualche notte di

sesso. Per esempio: allentare i due

bulloni che chiudono i poli della

batteria e poi riavvitarli. Di solito

con la spider funziona.

«Dài, non mi lasciare… riparti!»

dice alla sua Duetto quasi

supplichevole, e risale veloce in

macchina

per

provare

a

riaccendere il motore.

Niente. Il trucco di Alessio

stavolta non l’aiuta. La chiave gira

a vuoto.

«Che palle!» grida a quel punto,

senza più contegno.

Ma non si dà ancora per vinta. Si

leva il giubbino in pelle – quando è

nervosa, le sale la temperatura – e

lo scaglia sul sedile del passeggero.

Con uno scatto apre e richiude la

portiera e ritorna davanti al

motore. Poi appoggia le mani sulla

guaina in gomma. «Adesso tu vedi

di darmi retta e ripartire, sennò

sono cazzi!» dice, come se stesse

parlando a una persona.

Tocca qualche cavo a caso, come

per invocare un intervento

provvidenziale della Fortuna, poi

sul viso le si disegna una smor a

quasi di scon tta. Stavolta il

problema sembra più serio del

solito e in lei si sta facendo strada

l’idea che non riuscirà a risolverlo

da sola.

D’istinto dà un calcio a una

ruota, poi si appoggia con la

schiena e il sedere alla ancata,

lasciandosi cadere le braccia lungo

i anchi, e resta lì a sbu are, con il

cofano alzato e il motore che non

vuol saperne di riaccendersi. Si

guarda le sneakers ai piedi e si

liscia il tubino turchese smanicato,

tirandoselo giù no alle ginocchia.

Cosa può fare adesso? È troppo

lontana da casa per arrivarci a

piedi, e poi non abbandonerebbe

mai lì il suo gioiellino… Spazia

lontano con lo sguardo, sperando

di

incontrare

l’insegna

di

un’o cina, o almeno di un

distributore, ma non ne vede. La

strada è deserta, si scorge solo, a

un chilometro circa, un gruppo di

case.

Sta per prendere il cellulare dalla

tasca del giubbino, quando dal

fondo della carreggiata vede

arrivare un SUV grigio metallizzato,

che inizia a rallentare

nché

accosta di anco alla spider: è un

Range Rover Evoque Prestige tutto

tirato a lucido, con i cerchi in lega

che brillano e i vetri oscurati

antiri esso.

Linda

rimane

immobile, non conosce nessuno con

quell’auto e non sa cosa pensare,

anche se la lusinga l’idea che

qualcuno si sia fermato per lei.

Subito si alza, sistemandosi il

vestito.

Il nestrino del lato passeggero

si abbassa e dal sedile di guida

spuntano loro: i Grandi Occhi

Grigio Blu. Quelli di Tommaso

Belli. «Serve aiuto?» chiede, con

una gentilezza quasi a ettata.

Spegne il motore e, slacciandosi la

cintura, apre la portiera. Scende e

fa per presentarsi. «Non so se si

ricorda di me, sono…»

Linda lo previene: «Lo so chi sei:

Tommaso Belli». Storce la bocca in

una smor a, e il brivido di piacere

che un istante prima avvertiva

nella pancia si spegne in un

secondo. «In studio sei famoso,

ormai.»

«Ah, sì? E per cosa? Spero sia

una buona fama…» chiede,

stagliandosi davanti a lei nel suo

atletico metro e ottanta di

perfezione.

Un momento di silenzio, poi

un’espressione impertinente si

dipinge sul viso di Linda. «A dire il

vero per essere un gran

rompicoglioni.»

«Però… viva la sincerità!»

replica Tommaso senza scomporsi,

accennando un sorriso. Poi sposta

lo sguardo sulla spider. «Be’, a

questo punto immagino di non

poterle essere di alcun aiuto qui, in

quanto rompicoglioni.»

«Mah, se proprio vuoi dare

un’occhiata…» risponde Linda, a

metà tra lo scettico e il saccente,

con un tono che scoraggerebbe il

più tenace degli uomini. Ma subito

dopo aver parlato si accorge che

Tommaso potrebbe essere la sua

unica possibilità di andarsene da lì.

E corregge un po’ il tiro. «Ecco, mi

è morta mentre ero in corsa e non

c’è stato verso di farla ripartire.»

Linda lo scannerizza con lo

sguardo. È ancora più alto e solido

di come lo ricordava. Indossa una

camicia celeste con le maniche

arrotolate e un paio di pantaloni

grigio chiaro, ai piedi scarpe in

pelle nera lucidissime, che al

contatto con l’asfalto producono un

fastidioso rumore di tacco nuovo.

Tommaso intanto si avvicina al

cofano e guarda dentro. Si passa le

dita tra i capelli, biondi e corti, e si

gratta leggermente la nuca. «Ha

idea di quale possa essere il

problema?» chiede a Linda con

voce esperta, tenendo un registro

neutro che, spera, dovrebbe

nascondere

l’imbarazzo

del

momento.

Linda fa no con la testa e

accenna un sorrisetto di s da

mentre

l’osserva

a

braccia

incrociate. Non le sembra certo il

tipo che se ne intende di

macchine…

Tommaso abbassa di nuovo gli

occhi sul motore, si rimbocca le

maniche della camicia e studia con

attenzione tutti i componenti, poi

fa un sospiro carico di dubbi: «Di

che anno è quest’auto?».

«Del Settantanove» risponde

Linda, con una nota di orgoglio.

«Ha più anni di lei, allora.»

«Un paio…»

Non se lo aspettava: Lord

Perfection ha anche il senso

dell’umorismo.

Tommaso solleva le sopracciglia,

e sulla fronte gli si disegnano tre

rughe di espressione. Sono

tremendamente sexy, pensa lei. E

non vorrebbe averlo pensato. Non

in quella situazione, quantomeno.

Con uno scatto atletico lui si stende

a terra, la testa sotto il cofano, e

da laggiù Linda lo sente borbottare

qualcosa. Si sorprende a ssargli i

quadricipiti

scolpiti

che

s’intravedono attraverso il tessuto

dei pantaloni. Ma subito distoglie

lo sguardo quando Tommaso si

rialza in piedi scuotendo la testa.

Spera che non l’abbia vista. Lui

ritorna a osservare il motore e le

sue mani esplorano di nuovo

valvole e cavi. «Qui non c’è niente

fuori posto. Ma per caso prima di

fermarsi ha sentito la macchina

sobbalzare leggermente, emettere

dei fischi?»

Linda annuisce. Sembra davvero

che Tommaso ne sappia qualcosa.

«Allora dev’essere per forza la

cinghia» decreta. «E purtroppo, in

questo caso, non ci possiamo fare

nulla.» Scuote la testa e alla ne si

decide a dire: «Dobbiamo chiamare

un carro attrezzi».

«Era quello che stavo per fare

prima che arrivassi tu» ribatte lei

un po’ stizzita, e inizia a cercare un

numero sul telefono. Dopo un

istante dice: «Ehi Max, come sei

messo? Hai ancora il camion?

Senti… è successo di nuovo. Sono

qui con la Duetto in panne al bivio

per Vittorio Veneto, vicino alla

tenuta dei Maccaro». Sta parlando

con Massimiliano Sarti, ex

compagno di scuola e procacciatore

della migliore erba che lei abbia

mai fumato. «Già… io e il gioiellino

avremmo

bisogno

di

un

passaggio…»

«La accompagno io, non se ne

parla

nemmeno»

cerca

di

interromperla Tommaso, facendo

un gesto perentorio con la mano.

«Ah, come non detto, tranquillo

Max… io mi arrangio per tornare a

casa, l’importante è che vieni a

togliere la macchina dalla strada»

riprende Linda, facendo di sì con la

testa a Tommaso. «Poi domani

passo

io

in

o cina

a

riprendermela.» Con una manata

chiude il cofano della spider.

«Grazie Max, sei un angelo. E io ti

devo un favore» miagola, poi

riattacca. «Ecco. Tutto risolto»

conclude, con l’aria compiaciuta di

una a cui fila sempre tutto liscio.

Quando solleva la testa, il cielo è

scuro, coperto da grosse nuvole

color piombo mosse da un vento

freddo.

«Dobbiamo aspettare l’arrivo del

carro attrezzi?» chiede Tommaso.

«Ma gurati!» fa Linda. «Max è

un amico e non è la prima volta

che mi tira fuori dai guai con

questa piccolina…»

«Perfetto. Allora andiamo. Mi

dica soltanto dove. È inutile

perdere altro tempo qui.» Fa per

voltarsi verso il SUV, ma nell’attimo

stesso in cui si gira passa una

monovolume che centra in pieno

una pozzanghera e lo inzuppa

dalla testa ai piedi.

È un attimo, e Lord Perfection si

trasforma in testimonial di una

pubblicità per smacchiatori. Linda

non può trattenersi: e le esce,

davvero senza volerlo, una risata

sonora di quelle cristalline, sincere.

Tommaso non si scompone e,

con un gesto di un’eleganza

assolutamente fuori luogo in quella

situazione, si scrolla la camicia e i

pantaloni. È fradicio, in ogni

centimetro del corpo, gocciola

come un albero dopo il temporale,

ma riesce comunque a mantenere

un perfetto autocontrollo.

Linda però non riesce a smettere

di sorridere, è più forte di lei. La

vista di Tommaso – sempre preciso,

neanche un dettaglio fuori posto –

conciato in quel modo le fa un

e etto

comico

di cile

da

controllare. Nonostante i pettorali

bagnati le provochino una reazione

di

altro

tipo,

altrettanto

incontrollabile e assolutamente

spontanea.

A quel punto si accorge che lui

non ride affatto e la sta fissando, lo

sguardo penetrante e un po’ torvo.

Linda si zittisce all’improvviso ma

poi scoppia di nuovo, non ce la fa

proprio. Ed è in quel momento che

anche Tommaso cede, e si

abbandona con lei a una risata

fragorosa e rilassata.

Anche lui, dopo tutto, è umano,

pensa Linda.

Ma

dura

poco,

perché

evidentemente

questi

accessi

d’ilarità non sono proprio una sua

abitudine, almeno non di fronte a

un

pubblico.

Tommaso

si

ricompone e apre il bagagliaio del

SUV, mettendosi a frugare dentro

con aria preoccupata. «Accidenti!

Non ho nemmeno un cambio.» Si

volta verso Linda: «Di solito mi

porto sempre dietro una camicia di

scorta. Ma non stavolta…» spiega

con gesti misurati. «Pazienza, non

è un grosso problema» continua,

ma è chiaro che pensa il contrario.

Apre la portiera del lato

passeggero e fa cenno a Linda di

avvicinarsi. «Prego» la invita a

prendere posto.

Linda raccoglie velocemente il

giubbino e la borsa dalla spider.

Un attimo dopo è nel SUV.

Tommaso recupera da un vano

del bagagliaio il coprisedile e lo

aggancia al posto di guida, poi si

mette al volante, tutto intirizzito

nei suoi abiti umidi. Una specie di

corrente fredda gli sale su per la

schiena e su per la nuca no alla

punta dei capelli. Si volta verso

Linda, le chiede: «Quindi? Ha

voglia di dirmi dove andiamo?» e

allunga una mano verso il touch

screen del navigatore.

«Ti guido io» fa Linda. «Ma a una

condizione.»

«Cioè?» Tommaso spalanca gli

occhi, più blu del solito.

«Che la smetti di darmi del lei.»

Tommaso sorride, ma non è a

suo agio, si capisce. «D’accordo,

ehm…» trascina la voce alla

disperata ricerca di un nome che

proprio non gli viene in mente.

«Linda» si a retta a dire lei. «Mi

chiamo Linda.»

«Già!» esclama lui, portandosi

una mano alla tempia, e sembra

davvero desolato. «Perdonami. Di

solito i nomi mi restano stampati

in testa. Non so cosa mi sia

successo, ma è un periodo in cui

sono parecchio sovrappensiero.»

Poi distoglie lo sguardo da lei e

accende il motore. «Diamoci del tu,

hai ragione.»

Linda gli indica la strada: «Per

circa sei chilometri è tutta dritta,

poi c’è un bivio dove devi girare,

ma te lo dico quando ci arriviamo».

«Perfetto. Agli ordini» risponde

lui,

azionando

il

cambio

automatico.

Linda sprofonda nel sedile e

annusa il lusso discreto ed elegante

dell’abitacolo avvolto in nissima

pelle Oxford, i sedili color

cammello ri niti con cuciture

doppie, la plancia bianca con

inserti in legno e metallo.

«Hai delle preferenze per la

musica?» chiede subito dopo

Tommaso, mentre il computer di

bordo si illumina di giallo e

compare la scritta MUSIC.

«Mmm… vediamo se mi stupisci.

Fai tu» lo provoca Linda.

Tommaso inizia a scorrere la

lunga playlist – mentre Linda

sbircia con terrore, vedendo solo

brani di musica classica – no alla

C. «I Coldplay possono andare?»

«Sì, loro mi piacciono» dice

Linda, sorpresa, in uno slancio che

è anche un po’ un sospiro di

sollievo. Non se lo aspettava da lui.

P a r t e Paradise.

Tommaso

l’anticipa e alza il volume, senza

darle il tempo di chiederglielo.

Linda apprezza il gesto, lascia

a orare un sorriso soddisfatto, e

inizia a canticchiare sopra la

canzone senza conoscerne bene il

testo. Osserva Tommaso attenta a

non farsi sorprendere da lui: è tutto

concentrato, gli occhi ssi sulla

strada. Ha un pro lo elegante, la

pelle chiara, i capelli biondi mossi

ma curati, la barba rasata, un

piccolo neo sulla guancia destra

all’altezza del labbro inferiore.

Esibisce, e ne è perfettamente

padrone, una bellezza pulita quasi

geometrica, nordica, non proprio il

tipo che Linda preferisce. Ma non

può non ammettere che il suo

fascino sia indiscutibile.

A un tratto la musica si ferma e

l’abitacolo è invaso dallo squillo di

una chiamata. Sul computer di

bordo appare in verde un nome:

NADINE.

Tommaso preme un pulsante sul

lato destro del volante e risponde

con un «Nadine?» che nasconde

male una sensazione di sorpresa

non proprio graditissima.

Dalle casse arriva una voce

femminile ovattata e profonda, con

una musicale in essione arabo-

francese. « Mon amour, a che punto

sei? Ti ricordi, vero, la cena dal

governatore…»

I

pensieri

di

Tommaso

convergono all’istante verso la

serata u ciale a cui dovrà

presenziare. «Ma certo, non me

n’ero dimenticato.» Lo dice con

sicurezza, Nadine non può che

credergli. Ma Linda, che ce l’ha di

anco, percepisce nella sua voce

una nota di inso erenza. «Tu dove

sei, tesoro?»

«Sono appena uscita dal

parrucchiere» dice Nadine. Sembra

quasi divertita e senz’altro

soddisfatta, forse per la messa in

piega o qualche altro motivo per

Linda inutile e sconosciuto.

«Bene.»

«Ti aspetto a casa. Dobbiamo

essere da Ballan per le nove. Non

fare tardi, mi raccomando…» È un

avvertimento pronunciato in tono

mieloso, ma che suona chiaramente

come un ordine. Quando usa quel

suo tono di dolcezza a ettata,

Nadine

sa

essere

davvero

perentoria.

«Certo, tesoro. A dopo.»

« À bientôt. Bisou! »

Tommaso chiude la chiamata, e

nell’abitacolo tornano i Coldplay.

«Tua moglie?» chiede Linda.

Tommaso fa di no con la testa.

«È la mia compagna. Non siamo

sposati, ma è come se lo fossimo.»

«Ah» si limita a commentare lei.

«Ho una cena importante

stasera, e stavo quasi per

scordarmela. Non so cosa mi stia

succedendo» spiega Tommaso, con

un mezzo sorriso che gli de nisce

alla perfezione la bocca sottile.

«Una di quelle cose a metà tra

amicizia e lavoro…»

«E che lavoro fai, tu?» indaga

Linda.

«L’agente diplomatico.»

«Sarebbe a dire?» Linda lo

guarda con una certa curiosità: sarà

una

di

quelle

professioni

superspecialistiche

altamente

quali cate, non sa bene cosa

immaginarsi.

«Lavoro per la Farnesina»

continua Tommaso. Resta sul

generico, forse non la ritiene in

grado di capire i dettagli.

«Quindi sarai spesso all’estero»

osserva Linda, e mentre lo dice si

rende conto che è davvero la prima

banalità che le è passata per la

testa. Non conosce nulla di quel

mondo, ne ha un’idea piuttosto

stereotipata, da

lm d’azione

americano un po’ alla 007: stanze

insonorizzate, armi col silenziatore,

jet privati, ventiquattrore piene di

contanti…

Insomma,

segreti

internazionali da proteggere a

costo della propria vita: una specie

di lavoro sotto copertura per cui

Tommaso le sembra davvero la

persona perfetta.

È strano, ri ette, come quella

parola ricorra spesso nei suoi

pensieri associata a lui.

«Diciamo di sì, vivo parecchio

fuori

dall’Italia»

risponde

Tommaso. «Sono praticamente

vent’anni che giro il mondo.»

«E per fare cosa, di preciso?» lo

incalza Linda.

«Be’, dipende da quali mandati

mi affidano.»

Linda gli indica un bivio sulla

strada, a un centinaio di metri di

distanza: «Ecco, ci siamo. Laggiù

devi girare a destra» dice e poi

aggiunge: «Scusa, ti ho interrotto,

stavi parlando di mandati».

«Sì, sono missioni esecutive che

in genere durano due anni»

chiarisce Tommaso. «Mi occupo di

diplomazia

economica

e

nanziaria. Tutto ciò che riguarda

la cooperazione con altri Paesi e la

partecipazione a programmi di

sviluppo internazionali.»

«Mmm, non è chiarissimo, ma

lavorerò un po’ d’immaginazione:

comunque niente pistole e valigette

piene di dollari?»

«Direi di no… cerco solo di

evitare problemi di relazioni

economiche tra l’Italia e altri Paesi

e faccio in modo che sul territorio i

rapporti

restino

amichevoli.

Insomma, grandi strette di mano e

attenzione a evitare gli sgambetti.»

Tommaso sorride, poi guarda la

strada e rallenta. «A quell’incrocio

dove vado?»

«Da questa parte. Siamo quasi

arrivati.» La strada sale in mezzo ai

lari di vite. Sulla sinistra, svetta

da un’altura una torre medievale

diroccata. Poco più avanti, dopo il

pianoro, una fonte d’acqua sgorga

da una vasca in roccia viva. «Ecco,

gira lì dove c’è il cartello turistico»

lo guida Linda.

Tommaso fa in tempo a leggere

parte della scritta: ITINERARIO N° 1:

AI

PIEDI DEL CANSIGLIO.

«Adesso fa’ attenzione» lo

avverte Linda, «c’è una stradina

sterrata.»

Dopo qualche centinaio di metri

di vitigni e uliveti, appare la Casa

Azzurra. Sembra sospesa tra terra e

cielo.

Tommaso rallenta.

«Abiti qui?» domanda lui, con

una voce che esprime stupore, un

tono che non ha mai usato con lei.

«Sì. Era la casa dei miei nonni.»

«È

un

posto

splendido»

commenta Tommaso, fermando

l’auto al centro della stradina.

«Parcheggia pure dove vuoi.

Anche lì, tra i due oleandri.»

«Veramente dovrei andare…»

Tommaso piega un po’ la testa di

lato, è indeciso ma qualcosa lo

trattiene lì con lei. «Credo di essere

già in ritardo per quella cena.»

«Lasciati almeno o rire un

aperitivo! Dài, per sdebitarmi…» lo

stuzzica Linda, con una strana luce

negli occhi.

«E va bene» cede Tommaso.

Toglie le mani dal volante e spegne

il motore. «Ma dieci minuti

davvero, non di più. Poi scappo.»

Scendono dal SUV.

Linda lo precede, con le chiavi in

mano e il giubbino buttato su una

spalla. Il vento so a tra gli alberi,

intorno alla casa, creando piccoli

vortici che le fanno nire i capelli

sugli occhi.

Tommaso si gira verso le colline

coperte di alberi alle loro spalle,

con la sensazione acuta di trovarsi

in luogo che non c’è sulle mappe

del suo navigatore, fuori dal

mondo e dal tempo.

«Vieni» lo invita Linda senza

girarsi. Fa ruotare la chiave nella

serratura.

Tommaso la segue e si so erma

con lo sguardo sulla targa in

marmo accanto alla porta, con il

cognome

Ottaviani

dipinto

d’azzurro: la trova di un’originalità

genuina, lontana dalla serialità

patinata delle cose a cui lui è

abituato. Poi solleva la testa e nota

la meridiana a rescata sul muro.

Ogni dettaglio di quel posto è un

indizio di bellezza, qualcosa che gli

lascia una sensazione di meraviglia

sospesa.

«Sta lì da non so quanto» spiega

Linda, voltandosi verso di lui. «La

dipinse Ursula, un’amica austriaca

di nonna, negli anni Quaranta. Ma

ti confesso che non ho mai capito

nemmeno come si legge…»

Tommaso la guarda con l’aria di

chi invece ne sa abbastanza ma

non vuole farlo pesare. « Nul a dies

sine linea.» Legge a voce alta

l’iscrizione che compare in un

riquadro a sinistra della meridiana.

«Nessun giorno senza una linea»

traduce Linda. «È una frase di

Plinio il Vecchio.» O, almeno, così

le hanno sempre raccontato.

«Se non sbaglio, era riferita al

celebre pittore Apelle, che non

lasciava passare un solo giorno

senza tratteggiare col pennello

qualche linea» risponde Tommaso.

Linda lo guarda incuriosita e lui

continua. «Un po’ come dire:

bisogna

impegnarsi

quotidianamente per raggiungere i

risultati che si vogliono ottenere.»

E mentre lo dice, sembra che si

riconosca perfettamente in quel

motto.

Linda alza le spalle. «Sarà…

Comunque la costanza non è mai

stata il mio forte. È una qualità

piuttosto noiosa, non trovi?»

Tommaso non risponde ma

accenna un debole sorriso,

decisamente non di approvazione,

poi passa due volte le scarpe sullo

zerbino ed entra seguendo Linda. Si

guarda intorno senza parlare, la

sua ammirazione scivola attraverso

gli occhi: quella casa emana un

calore fortissimo, gli ricorda il Nord

Africa di una missione di tanti anni

prima. È un luogo vissuto, lo

avverte, carico di estro e fantasia.

E poi il suo naso registra nell’aria

un

odore

particolarissimo,

profondo e vagamente esotico.

« Santalum album.» Sono le prime

parole che dice, dopo quasi un

minuto di silenzio.

«Ma come…?»

«Sandalo bianco indiano, giusto?

Uno degli incensi che amo di più.»

«Sì, lo metto a bruciare nelle

ciotole di terracotta per puri care

l’aria»

dice

Linda,

stupita,

indicando alcuni vasi di diversa

capienza disposti a semicerchio in

un angolo del corridoio. «E poi

tiene anche lontane le zanzare!»

Tommaso socchiude gli occhi,

riempiendosi d’aria le narici e i

polmoni. «Mi ricorda Varanasi.»

«Ci sei stato in missione?»

«No…» Fissa un punto a terra,

come per recuperare un ricordo,

poi continua: «Ci sono andato da

ragazzo, a diciott’anni, in viaggio

con due amici. Uno dei miei primi

viaggi, forse quello decisivo.

Quando sono tornato, mi sono

iscritto a Scienze politiche. Ed

eccomi qua».

Linda

sta

cercando

di

immaginare

Tommaso

a

diciott’anni, quando lo sguardo le

cade su un punto della stanza.

«Cazzo, nooo! Non è possibile»

impreca, portandosi la mano alla

fronte. «Che sfiga, un’altra volta!»

A farla imbestialire è una scia

bagnata, che da una trave del

so tto è scesa lungo la parete

bianca del salotto e ha formato una

pozza d’acqua stagnante sul

pavimento in cotto.

«Ho il tetto rotto… mancano le

tegole e varie altre cose» spiega a

Tommaso, moderando leggermente

il tono. «Morale: quando piove

tanto, mi entra dentro l’acqua.»

Tommaso solleva lo sguardo

verso le travi, studiando la

situazione. «Si può fare qualcosa?»

«Sarebbe tutto da rifare, quel

tetto»

risponde

Linda,

con

un’espressione

sconsolata.

«Scusami, prendo un attimo lo

straccio, tu intanto accomodati.»

Sguscia

fuori

dal

salotto,

borbottando qualche parola poco

gentile verso i muratori e le loro

mogli.

Tommaso resta lì in piedi, non

vuole lasciare tracce umide sul

divano in pelle, anche se ormai i

pantaloni gli si sono praticamente

asciugati addosso, sensazione non

proprio gradevole. Osserva la

stanza a ascinato. I mobili hanno

una patina antica che si amalgama

alla

perfezione

con

la

contemporaneità degli oggetti,

creando un tutt’uno armonioso e

originale. L’attaccapanni in ferro

battuto, il cassone in legno

decorato con stampe prismatiche, i

tre comodini bianchi assemblati su

cui è sistemata la tv, la colonna in

marmo con sopra una lampada in

vetro so ato: tutti pezzi molto

diversi come stile, ma che insieme

danno l’idea di una precisa

partitura musicale.

Linda ritorna con lo straccio e

una camicia di lino da uomo di un

arancione molto tenue, recuperata

da un angolo nascosto dell’armadio

in camera da letto. Dev’essere

un’eredità di qualcuno dei suoi

amanti, ma non saprebbe ricordare

di chi. La porge a Tommaso.

«Tieni, questa è asciutta» dice.

Tommaso resta per un attimo

impietrito, come se si sentisse

obbligato a prenderla: non può

evitare di domandarsi a chi

appartenesse. «Sei gentilissima,

Linda, ma tanto adesso vado»

replica, e fa per restituirgliela.

Lei lo blocca: «Avanti, mettitela.

La tua è ancora zuppa, non puoi

girare così».

«D’accordo» si rassegna lui,

anche se non ricorda di aver mai

indossato un indumento di quel

colore.

Esita solo un istante, poi si

sbottona la camicia bagnaticcia e

l’appoggia allo schienale di una

sedia. Linda è di fronte a lui,

l’osserva, nota la cura con cui ha

scolpito il suo corpo: i muscoli

pettorali che disegnano due

semicerchi perfetti intorno allo

sterno, quelli addominali che

producono una serie di righe

parallele sopra e sotto l’ombelico.

La pelle è chiara, senza peli, i

capezzoli bruni e lucidi.

Tommaso pensa che forse

dovrebbe provare imbarazzo a

spogliarsi di fronte a una donna

sconosciuta

che

invece

di

distogliere lo sguardo continua a

ssarlo, ma non è così: gli sembra

una specie di piccola cerimonia

tribale, innocente e insieme

sensuale. Un rito che gli va di

celebrare senza fretta. E infatti si

prende tutto il suo tempo. A erra

la camicia che gli porge Linda dal

divano, se la in la con un brivido e

chiude i bottoni, lentamente,

lasciandone aperti un paio vicino

al colletto.

«Fatto.» Poi sta per sistemarsela

all’interno dei pantaloni quando

Linda gli si avvicina e d’istinto,

senza

pensarci,

lo

blocca,

s orandogli la mano. Il primo

contatto.

«Sei matto? Questa si porta

fuori!»

Tommaso sorride mentre Linda si

allontana subito senza guardarlo e

prende due calici dalla credenza.

Poi li appoggia sul tavolino in

legno d’ebano e puntandogli gli

occhi addosso gli dice: «Ti sta bene

questo colore».

«Mi stai prendendo in giro?»

«No, sul serio.» Scompare in

cucina e riappare dopo un istante

con una bottiglia di Prosecco di

Valdobbiadene.

«Vedo che anche tu hai viaggiato

parecchio in giro per il mondo.»

Tommaso

sta

indicando

l’installazione fotogra ca alla

parete. «Sei stata in tutti quei

posti?»

«Magari!»

sospira

Linda,

versando il vino nei calici. «Sono

foto-cartolina che mi hanno

spedito.» Le s’illumina lo sguardo

mentre parla. «Dài, adesso

beviamo, che tu hai i minuti

contati, giusto?» Gli strizza

l’occhio, poi a erra i due calici e

ne porge uno a Tommaso.

«Grazie» dice lui.

«No, grazie a te per avermi

riportata a casa.» Avvicina il

bicchiere a quello di Tommaso, i

cristalli si toccano dolcemente.

Tommaso beve un sorso.

Continua a guardarla, quasi

stregato dalla naturalezza con cui

si muove e parla: un impasto di

vivacità, ironia e grazia non

artefatta che gli provoca una

strana pressione tra lo stomaco e il

cuore e gli fa scottare la pelle delle

mani.

È la suoneria del suo cellulare a

farlo uscire da quella specie di

trance. Lo estrae dalla tasca dei

pantaloni e ssa il display con aria

contrariata.

«Nadine» dice, ma non risponde.

«Mi sa che abbiamo sforato i

famosi

dieci-minuti-non-di-più.»

Linda allarga le braccia e fa un

sorriso irresistibile.

«Già, e senza accorgercene

proprio» conferma Tommaso,

controllando l’orologio al polso.

«Devo scappare.» Raccoglie in

fretta la camicia inzuppata. «E

questa?» domanda, prendendo un

lembo di quella che indossa.

«Puoi tenerla, non mi serve.»

«Grazie, allora. È stato un

piacere.» Le dà la mano e in

quell’istante decide che ha voglia di

salutarla con un bacio sulla

guancia. Non lo fa mai.

«Piacere mio. Ciao.»

Chiudendosi la porta alle spalle,

Linda pensa che è la magia

dell’imprevisto a fare la di erenza.

Soprattutto nelle giornate di

merda.

5

È una domenica di sole che

scivola leggera, e Linda vorrebbe

non nisse mai. Corre con lui da

una decina di chilometri, godendosi

il calore e il profumo di quella

mattinata di ne maggio. Sono

stanchi e felici, hanno ancora ato

per scherzare, sorridere, prendersi

in giro.

Si sono dati appuntamento alle

dieci al bivio per la Casa Azzurra, e

da lì attraverso i lari delle viti si

sono spinti no al limite del bosco.

Davide è arrivato puntuale, in T-

shirt, pantaloncini, scarpe tecniche

con sensori collegati all’iPhone.

Linda era già sul posto ad

aspettarlo, shorts inguinali e

canotta striminzita, i capelli legati

in una coda alta. Quando si tratta

di correre, è una puntuale. Dopo la

sera del concerto, Davide l’ha

chiamata un paio di volte, la prima

per il classico «Ciao, come stai?», la

seconda per chiederle se aveva

voglia di correre con lui. E Linda

non si è fatta certo pregare: il tipo

la stuzzica abbastanza per provare

a farci qualcos’altro dopo l’ottima

performance in macchina dell’altro

giorno. Non è una che sa resistere

alle s de, e vuole fargli vedere che

non se la cava bene solo a letto.

«Alla

ne della strada ci

fermiamo e facciamo cinque minuti

di allungamenti prima di ripartire»

dice Davide, con il piglio sicuro del

personal trainer.

«Sei già stanco?» lo sfotte Linda,

sentendolo

ansimare

pesantemente.

«Ma va’, gurati… lo dico per

te.» Le dà una piccola pacca sul

sedere, con un colpetto da

percussionista.

«Per me?» sembra stupirsi lei, ma

in fondo gode di aver dimostrato la

sua supremazia. «Non si direbbe, a

giudicare dal tuo fiato…»

«Domani vuoi ritrovarti con i

muscoli dei polpacci strappati?»

Davide cerca di recuperare

respirando a fondo: «Fidati, dopo

tre saliscendi come quelli che

abbiamo appena fatto, è bene che

strecciamo un po’».

«Ok» si rassegna Linda. Ma è

carichissima, correrebbe ancora un

paio di chilometri.

Percorrono tutta la sterrata, poi

si fermano sulla macchia di prato

che si allarga a lato della stradina.

Ora anche lei ha il respiro corto –

nonostante continui a impegnarsi

per dimostrare a Davide il

contrario – e i piedi stanchi.

Sciolgono i muscoli, facendo

qualche piccolo saltello sul posto.

Davide divarica leggermente le

gambe e inizia con le essioni. Poi

Linda comincia a fare stretching,

ettendo il busto in avanti no a

prendersi le caviglie. Lo provoca, e

ne è ben consapevole, anche se

non ha davvero idea dell’e etto

che sortisce su di lui, che non riesce

a staccarle gli occhi dal seno, così

tonico, alto… una terza tendente

alla quarta che non cede di un

centimetro alla forza di gravità.

«Facciamo qualche esercizio,

adesso» dice Davide distogliendo

gli occhi con uno sforzo immane.

Si a erra la caviglia destra con

la mano e tira la gamba più in alto

che può. Linda lo segue, ma non è

attenta… è più impegnata ad

ammiccare. Ripetono insieme

l’esercizio per la sinistra, poi

Davide la invita a sedersi a terra,

sull’erba morbida. Sono l’uno di

fronte all’altra, a specchio. Linda

divarica le gambe, come ha fatto

Davide, solleva in alto le braccia,

le allunga in diagonale verso il

piede destro, poi verso il centro,

in ne verso il piede sinistro.

Quando ricomincia la sequenza, le

sue mani incontrano quelle di lui. È

in quel momento che stringe la

presa e, dandosi la spinta sui

talloni, va a sbattere con il corpo

contro il suo. Sorride, ma solo per

un istante; subito dopo gli dà un

pugno nello stomaco con tutta la

forza del suo braccio allenato.

Davide emette una specie di

guaito animale; sente l’aria che gli

esce tutta insieme dai polmoni,

mentre si piega in due. Cerca di

riprendere ato, poi la guarda

incredulo. «Ma sei matta?» dice.

«Mi hai fatto male!»

«Sul serio?» fa Linda. «Sei così

deboluccio?»

«Certo, ti piacerebbe… così

potresti ridurmi in tuo potere!»

replica Davide con un guizzo

d’orgoglio, poi si raddrizza e

riprende la sua espressione

normale. In un paio di secondi,

riesce addirittura a sorridere.

Anche Linda sorride. «Non male

come fantasia…» Poi salta in piedi,

lo prende per una mano e lo fa

alzare bruscamente, trascinandolo

verso un piccolo gruppo di alberi

poco più avanti.

Con uno scatto improvviso, gli

a erra le spalle e lo bacia sulla

bocca. Davide risponde al bacio,

in landole la lingua tra i denti e

strappandole via l’elastico dai

capelli:

una

massa

bionda

disordinata le copre gli occhi, le

ricade selvaggia lungo il collo no

alle spalle.

Linda spinge Davide a terra, sul

tappeto di erba, argilla e foglie, e

gli fa ombra con i capelli: preme

labbra contro labbra, lingua contro

lingua, fronte contro fronte. È

calda, sinuosa e insistente: non

molla la preda, gli si stringe

addosso, lo domina con mani e

gambe.

Davide prova ad alzarsi per

guardarla meglio negli occhi, ma

lei gli spinge la testa all’indietro, lo

schiaccia con forza sull’erba. Lui a

quel punto reagisce a quella

pressione che genera calore;

prende Linda e la gira, sbattendola

a terra. Lei lo guarda da sotto in su

con le pupille dilatate, le labbra

socchiuse, le guance infuocate.

Davide è sdraiato sopra di lei, in

bilico

tra

eccitazione

e

preoccupazione, con una gamba

tra le sue: certo, le prime case sono

lontane, pensa, ma sono pur

sempre all’aperto, di domenica

mattina, e qualcuno potrebbe

passare da un momento all’altro.

Ma per Linda non c’è più tempo,

deve averlo lì e ora, è stanca di

aspettare; con una mossa da arti

marziali lo rovescia di nuovo e gli

si preme contro con tutta la voglia

che ha in corpo. Lo bacia sulla

bocca e sul collo, poi sulle orecchie,

in landogli dentro la lingua e

mordendogli un lobo. Tra ca con

la canotta di Davide e con le

striscioline di nylon che gli

chiudono i pantaloncini: slaccia,

allarga e insinua una mano dentro.

«Aspetta un attimo» dice lui.

Cerca di bloccarla, ma c’è troppo

poco spazio tra i loro corpi e lei

non ha nessuna voglia di

ascoltarlo, è già sotto la sto a con

le dita mentre lui si dibatte come

un animale in trappola. «Aspetta,

cazzo.» Davide le afferra il polso.

Linda si ferma, tira su la testa

con un’espressione perplessa.

«Cosa c’è?»

«Niente»

risponde

Davide.

Sguscia un poco indietro, si

puntella sui gomiti, si guarda

intorno, circospetto.

«Non vuoi?» gli chiede lei. La sua

mano si ritrae attraverso il tessuto

dei pantaloni.

«Sì che voglio» replica Davide. «È

solo che…» Si guarda di nuovo alle

spalle, come se fosse in un

territorio nemico e un commando

armato

potesse

irrompere

all’improvviso.

«Ma

così,

all’aperto? E se arriva qualcuno?»

Linda scuote piano la testa, le

sue pupille si stanno restringendo.

«Come vuoi» sussurra, con

ostentata indi erenza. Poi si toglie

un lo di erba secca dai capelli.

«Non importa.» Si alza in piedi,

scuotendosi i vestiti. In certi casi

mollare la presa funziona, lo sa

molto bene. Fa per andarsene.

Infatti Davide reagisce da

manuale. «Eh no, Linda» dice. La

a erra per i polsi. «Altroché se

importa.» Se la preme addosso e la

bacia con ardore, possedendola con

tutta la lingua.

Poi la rovescia a terra e si

aggancia alle sue ginocchia. Le

accarezza i capelli, il collo, scende

con la mano sul seno e con un solo

gesto le strappa via shorts e slip.

La guarda, la annusa, le respira

così vicino che le sensazioni e i

gesti si sovrappongono e si

confondono in un unico stato

magmatico. È lei, adesso, che cerca

di opporgli resistenza, ma non è un

vero tentativo di difesa, è solo un

furioso gioco di muscoli e ormoni di

cui ora ha perso il controllo: può

solo risalire tra le sue cosce sode e

lisce da runner verso il caldo e

l’umido custodito al loro interno.

L’incertezza di un istante fa si è

dissolta in un ume impetuoso che

lo trascina senza lasciargli spazio

nemmeno per un respiro o un

pensiero vagamente razionale. Gli

sembra di essere tornato alle

origini del mondo, in un’esplosione

selvaggia d’istinto e sensi. Si libera

dei suoi vestiti, si allunga tra le

gambe di Linda no a penetrare la

tensione

elastica

della

sua

femminilità, con un’urgenza e una

smania di possesso incontenibili.

Lei gli si preme addosso, asseconda

il suo ritmo primitivo inarcando il

bacino, scivola su e giù sentendolo

dentro, ondeggia con un’intensità

che cresce, una frenesia che

potrebbe andare avanti per

sempre; e invece rompe gli argini,

senza controllo, si libera in un

respiro che sale dal fondo, un

tremito che la attraversa tutta, le

fa contrarre le cosce e la fa godere

insieme a lui. Sono due corpi che si

fondono: grida, gemiti, umori che

si mescolano e pompano al ritmo

del cuore della terra sotto di loro, si

espandono oltre gli alberi,

saturando di energia la luce bianca

del cielo.

«Non è arrivato nessuno, hai

visto?» dice Linda, guardandolo

con occhio complice, mentre

solleva un poco la testa.

Davide riemerge un po’ alla

volta dal suo orgasmo tribale e la

guarda con occhi sognanti. «Non

mi sarei fermato neanche se fosse

arrivato il padre eterno.»

Lei si mette a ridere, poi lo

sguardo le cade sul polpaccio

destro, dove da un po’ sente un

pizzicore. «Oh, merda!» esclama.

«Che c’è?» fa lui.

Linda

solleva

la

gamba.

«Dev’essere stato un ragnetto» dice,

senza troppa preoccupazione.

Davide

guarda

il

lieve

arrossamento. «Andiamo via. Devi

metterci subito qualcosa.» Fa per

saltare su.

Linda lo blocca con una mano.

«Tranquillo. Agli insetti ci sono

abituata.» Poi lo bacia sulla bocca e

gli afferra il sesso ancora duro.

È pronta a ricominciare, e lui

con

lei.

Entrambi

senza

aspettative: sanno perfettamente

che non ci sarà un’altra volta, che

oltre quel prato non andranno, che

tutto si risolverà tra quegli alberi.

Nessuno s’innamorerà e nessuno si

farà male.

6

Esce dalla doccia e a erra

l’accappatoio dalla spalla della

dea, una riproduzione in resina

nera

della Venere italica del

Canova, scovata un anno fa in un

bizzarro negozio di oggettistica del

basso Veneto e da allora

posizionata accanto al lavello: il

nuovo appendino del bagno.

Respira profondamente, sente i

polmoni allargarsi, i battiti del

cuore rallentare. La stanza si è

riempita di un vapore denso che

profuma

di

olii

essenziali

himalayani, il suo toccasana.

Almeno, quello del momento.

È lunedì mattina, giugno è

appena cominciato, e Linda si è

svegliata in ritardo. Ma non ci

pensa, sono quasi le nove e non ha

intenzione di darsi una mossa. Le

piace fare le cose con calma prima

di andare al lavoro. Dopo la

domenica rilassante di ieri – il

sesso con Davide, l’aperitivo con

gli amici di sempre, quattro

chiacchiere con suo zio Giorgio e

un’oretta di lettura – ora si sente

carica, piena di energia, pronta a

cominciare una nuova settimana.

Con l’accappatoio slacciato, si

accovaccia sul tappeto di spugna e

si massaggia i piedi con un

unguento

dalla

consistenza

burrosa, facendolo scivolare bene

tra le dita. Allunga poi un braccio

verso il cesto delle creme corpo e

ne estrae un acone di olio secco

elasticizzante. Ne versa alcune

gocce sul palmo delle mani, quindi

se lo passa sulle gambe, risalendo

dalle caviglie all’inguine. Facendo

leva sui talloni si alza in piedi con

uno scatto, prende un asciugamano

dalla cassettiera e, buttando la

testa in avanti, se lo attorciglia sui

capelli a mo’ di turbante. Raccoglie

dalla Venere gli slip di seta nera e

se li in la, poi a piedi nudi scivola

fuori dal bagno e si avvia verso la

cucina.

Di solito non è una che indulge

nella cura del corpo: non si diverte,

la trova una faticaccia, ma passato

il traguardo dei trenta si è resa

conto, un po’ a malincuore, che lo

sport non basta e qualche aiutino

serve sempre.

Prende dallo scolapiatti la moka

da sei e la riempie con poco ca è e

tanta acqua, la mette sul fornello e

va a collegare alle casse il

notebook sulla scrivania del

salotto, selezionando la playlist

ROCK REVIVAL dalla cartella

MUSICA.

Parte una canzone dei Pink Floyd

di cui non ricorda il titolo che le fa

venire i brividi, e tanta voglia di

ballare.

Ancheggiando, Linda torna in

cucina e si siede sullo sgabello da

bar ad aspettare che il ca è venga

su. Osserva il cielo fuori dalla

nestra: oggi è senza nuvole, di un

azzurro da cartolina. Pensa che tra

qualche giorno raccoglierà le

ciliegie dai due alberi lì davanti e

le porterà a sua madre perché le

prepari la sua confettura squisita.

Ecco, appunto: sua madre. I suoi

genitori non li sente da più di un

mese, non si ricorda nemmeno

quando è stata l’ultima volta che è

andata a trovarli nel loro piccolo

B&B nel cuore delle Dolomiti…

Natale? Pasqua dell’anno prima?

Non che abbia un brutto rapporto

con loro. Semplicemente, da

quando, dopo la pensione, se ne

sono andati per dedicarsi al sogno

di una vita – aprire un’attività tutta

loro in montagna – Linda ha

lasciato che le cose andassero

avanti da sé, le telefonate (da

parte sua) si sono diradate e si

sono ridotte a delle “chiamate di

sicurezza”, come le ha de nite sua

mamma Carla, in cui la premurosa

genitrice

veri ca

in

modo

telegra co che la glia sia ancora

viva e tutta intera. E la avvisa

quando sta per mandarle le sue

famose marmellate. Se si mettesse

a farle da sola, Linda non saprebbe

da dove cominciare e di sicuro

nirebbe per buttare via tutto,

spinta da quella frenesia rabbiosa

che la pervade ogni volta che

qualcosa non le riesce alla

perfezione.

Si leva l’asciugamano dalla testa

sfregandolo sulla folta chioma

bionda ancora umida e si stringe la

cintura dell’accappatoio a kimono,

lungo no a metà coscia. Sta per

abbassare la amma del fornello,

quando si accorge che un’auto sta

arrivando a tutto gas dalla stradina

sterrata, sollevando nuvole di

polvere bianca. È una vecchia Mini

Cooper verde bottiglia degli anni

Settanta.

Tetto

bianco

e

inconfondibile rombo del motore

ancora capace di prestazioni

notevoli. Lo riconoscerebbe tra

mille, quel suono. E conosce bene

anche la faccia da schia alla

guida: Alessandro!

Linda fa un balzo sullo sgabello e

si precipita fuori, con una foga che

non può contenere. Apre la porta e

lo vede. Solo ora si accorge di

quanto le è mancato! È arrivato

senza

preavviso,

come

un

temporale estivo. E in questo

momento spera ardentemente che

non se ne vada con la stessa fretta.

Lui scende dall’auto e chiude lo

sportello con un gesto deciso. Per

un istante la guarda senza parlare.

È un po’ più magro e con la

carnagione più scura dell’ultima

volta che l’ha visto, però le sembra

più alto, più statuario. I capelli

tagliati corti sono ancora neri e

qualche

principio

di

riccio

s’intravede qua e là, ma alla luce

del mattino hanno un ri esso quasi

bluastro che Linda non ricordava.

Si è lasciato crescere i ba e i

lineamenti

sono

leggermente

induriti, come se avessero trovato

solo adesso la loro forma

de nitiva. Le sopracciglia folte, il

naso dal dorso un po’ largo, la

mandibola squadrata. Non è più un

ragazzo, oggi Alessandro è un

uomo. Ma gli occhi… quelli sono

come li ricordava, di un castano

tendente al giallo, un colore quasi

innaturale. Nella sua vita, Linda

non ne ha mai incontrati di simili.

Indossa una T-shirt bianca, il

collo fasciato in una ke ah

sdrucita. Sopra gli stivali in pelle

scamosciata porta un paio di jeans

un po’ strappati. E non certo ad

arte. È maledettamente sporco di

vita, la sua sola presenza basta a

scaldare la temperatura attorno a

lui.Alessandro sorride e le va

incontro; lei fa lo stesso, con i

capelli ancora bagnati e i piedi

nudi che so rono sulla ghiaia.

Prima piano, poi corre. Con quel

suo sorriso le ha aperto un mondo:

gli salta al collo e lo abbraccia con

tutta la forza che ha. E lui la

stringe con mani potenti e ruvide.

«Non ci credo che sei qui»

mormora Linda, su di giri.

Continua a toccarlo, a tastarlo

sulla schiena e sulla faccia: deve

rendersi conto che è davvero lui, ha

paura che le si smaterializzi tra le

braccia.

«Nemmeno io» dice Alessandro.

Si guarda intorno. «Però, ti sei

sistemata bene. Questa casa me la

ricordavo che era un rudere…»

Linda lo prende per mano e gli

fa strada. «Mentre tu girovagavi

per il mondo, io ero qui con le

mani piene di calli a lavorare!»

E adesso anche Alessandro si

mette a ridere di gusto: lei non è

cambiata di un pixel, ha la stessa

esuberanza di quando erano

adolescenti.

«Ma sei appena arrivato?» gli

domanda Linda sbirciando le sue

occhiaie.

«Stamattina

alle

sei,

a

Malpensa.» Alessandro si lascia

scappare uno sbadiglio. «Sono

stanco morto, ho fatto un viaggio

di ventiquattr’ore» spiega, senza

smettere di guardarsi intorno. «Ma

è troppo bello essere di nuovo qui.

Era

tantissimo

tempo

che

mancavo.» Resta fermo per un

istante sulla porta, gli occhi pieni

d’incanto, i muscoli che si rilassano

sotto la pelle accaldata dal viaggio.

«Stavolta rimani un po’, vero?

Prometti che non te ne riparti

subito come l’ultima volta?»

«Sì, mi fermo di più… Ho delle

cose da sistemare prima di

rimettermi in viaggio.»

«E che cosa, se posso

permettermi?» fa lei con un’aria

piccata.

Alessandro si guarda intorno

come se volesse sfuggire a quella

domanda troppo stringente, poi

risponde: «Ho avuto qualche

problema ad Hanoi e adesso è

meglio se me ne sto un po’

tranquillo».

«Il solito idealista avventuriero.

Non sei cambiato per niente,

vedo.» Linda alza gli occhi al cielo.

«Cos’hai combinato stavolta?»

«Diciamo che ho fotografato cose

che era meglio non fotografare…»

Alessandro è serio, adesso. «Stavo

collaborando con un blogger che

denuncia il lavoro minorile nelle

fabbriche.» Sospira. «Lui è stato

arrestato e io sono stato per così

dire invitato dalla polizia a togliere

il disturbo.»

Linda ha un brivido; Alessandro

non sembra troppo preoccupato.

«Ma stai tranquilla, non gliela do

mica vinta» continua deciso.

Lei gli mette una mano sulla

spalla. «Ehi, non farmi andare in

ansia…»

Lui le s ora la fronte, come a

cancellarle una ruga. «Dài, fammi

vedere questo capolavoro di casa.»

Entrano in cucina. Il ca è è

traboccato, inondando il fornello di

un liquido scuro che ha di uso

nell’aria un odore domestico e non

gradevole di bruciato.

«Oddio, che casino!» Linda

solleva il coperchio della moka e

guarda dentro. «Ne è rimasto un

po’, ma lo rifaccio.»

«Per me no» dice Alessandro,

accomodandosi sullo sgabello e

guardandosi intorno. «Io voglio

una birra.»

«Eh?» Lei strabuzza gli occhi.

«Dài, non ho voglia di caffè, sono

tutto sfasato. Ho ancora l’orario

asiatico.»

«Ma non so se c’è della birra in

frigo.»

«Male, ragazza! Come si fa a non

avere birra in casa? Non hai

proprio imparato niente in questi

anni senza di me?»

«Scusa, sai…» Linda incrocia le

braccia. «È che stamattina non

prevedevo l’arrivo di Ale-torno-

quando-mi-pare…» risponde un po’

sarcastica.

Alessandro scuote la testa con

disapprovazione – «Ah, come siamo

invecchiate!» – e Linda gli dà una

sberla sulla nuca. Ma poi va a

in lare la testa nel ripostiglio del

corridoio e, dopo un istante, torna

in cucina con una Moretti in mano.

«Ecco, direttamente dalla mia

riserva

personale.

Non

è

freschissima ma fattela bastare.»

Alessandro la stappa e ne prende

un lungo sorso.

È in quel momento che Linda si

rilassa, gli punta gli occhi sul viso,

e si prepara ad ascoltarlo. «Forza,

raccontami tutto» lo incalza,

buttando giù un goccio di ca è

freddo. Poi ci ripensa. «Oddio,

forse proprio tutto tutto no, cinque

anni sono tanti. Comincia da

Hanoi.»

Alessandro la guarda, la testa

chiaramente altrove, e poi

comincia a parlare. «È una città

pazzesca.» Beve dalla bottiglia e

assaggia una nocciola da un

recipiente in legno sul tavolo. «Un

formicaio di gente, un tra co… il

problema più grande è attraversare

la strada.» Prende un’altra

nocciola. «Ti ci perdi, ti fa sentire

piccolo tra migliaia di persone.

Non ci crederai, ma è una

sensazione quasi liberatoria.» Poi

una fame arretrata lo travolge con

forza inaspettata e se ne cca in

bocca una manciata, divorandola

senza badare alle buone maniere,

con avidità quasi animalesca,

esaltato dall’idea di poterlo fare

proprio lì, con lei e in quel preciso

momento.

«Il Vietnam è un Paese

complicato» prosegue pulendosi la

bocca con il dorso della mano. «Sta

cambiando, e questo porta con sé

un carico incontrollabile di tensioni

sociali e ingiustizie, purtroppo.» Si

capisce che nella sua testa, in

questo momento, si sovrappongono

una quantità di immagini e

pensieri che lei può solo intuire.

Qualcuna molto scomoda e

macabra. Ma a lei, adesso, vuole

raccontare

solo

il

meglio.

«Nonostante tutto, resta un posto

meraviglioso. I paesaggi più belli

sono i volti delle persone che ho

incontrato. Hanno una dignità e

un’eleganza

quasi

regale.

Lineamenti che incantano.»

«E le vietnamite, come sono?»

ammicca Linda.

«Tra le asiatiche, forse le

migliori: sico longilineo, pelle

chiara, capelli lunghi, neri,

liscissimi, pelle di velluto…»

Socchiude

gli

occhi

in

un’espressione estatica. «Se solo hai

la fortuna di vederle.»

«Perché?»

«Perché in città le ragazze se ne

vanno in giro bardate come tuareg

nel deserto: praticamente non

riesci a sbirciare neanche gli

occhi.»

«Come mai?!» Linda scuote la

testa.

«Sono terrorizzate dal sole, lo

evitano in tutti i modi, indossano

protezioni di ogni tipo, calze,

guanti,

cappelli,

mascherine.

Capisci che diventa un’impresa

anche solo capire se una sia carina

o no?» Alessandro si stiracchia la

schiena, piega la testa prima a

destra, poi a sinistra. «E comunque,

Hanoi è diversa…»

«In che senso?»

«Nel senso che, anche se sei

sempre in Asia, te la scordi

quell’atmosfera

di

sfacciata

sensualità che trovi nei go-go bar di

Bangkok o nelle Filippine.»

«Ah, ho capito… Sono un po’

bacchettone, le vietnamite.»

«Diciamo che sono relativamente

pudiche e di denti. Togliti dalla

testa l’immaginario da turismo

sessuale a cui stai pensando e non

farmi quella faccia…»

«Dovrei credere che non ne hai

conquistata nemmeno una?» È

curiosa, non riesce a non esserlo.

«Diciamo che ho dovuto faticare

un po’ più del solito» sorride lui,

enigmatico. E lei vorrebbe

conoscerla la donna che sa resistere

a un sorriso così.

«Stai con una adesso?» gli

domanda Linda a bruciapelo.

«Scusa?!» fa Alessandro. «Ma

gurati! Non ho né il tempo né la

voglia per impegnarmi in qualcosa

di serio.»

A volte, nelle mail che si sono

scritti nel corso degli anni, lui le

parlava delle donne che conosceva

in giro per il mondo. E lei si

divertiva a leggere i suoi racconti

da marinaio in cui senz’altro si

mescolavano verità e piccole bugie:

la incantavano, lasciandola sempre

in bilico tra invidia e gelosia.

«E tu, invece, hai qualcuno?»

«Mah… non proprio» risponde

lei, vaga, e piega le labbra

all’ingiù. Per un istante le viene in

mente Davide: ma non lo considera

nemmeno una storia.

Alessandro la guarda. La studia

come un soggetto da fotografare,

nella luce che penetra dalla

nestra e le sfuma i contorni. «Non

è vero che sei invecchiata, sei come

ti ricordavo. Ancora più bella,

forse.»

Linda abbassa gli occhi, sorride.

Da quando lui è arrivato, uno

spirito irregolare la attraversa. È

come una corrente che spinge gesti

e pensieri a fare degli scatti di cili

da prevedere, li mette sottosopra,

produce reazioni contraddittorie. E

poi una serie di ricordi inde niti –

emozioni, più che immagini – si

sono come risvegliati nella sua

memoria. Anche Alessandro è come

lei lo ricordava. Più bello, forse.

«No, aspetta… qualcosa di

diverso c’è.» Gli spunta un

sorrisetto diabolico. «Ti sono

cresciute le tette!» e le indica con il

dito.

«Certo, come no.» Linda si

sistema un lembo dell’accappatoio.

«Mentre eri via sono andata a

siliconarmi, solo un rinforzino,

anche se non credo proprio che ne

avessi bisogno.» Si mette a ridere.

«È che devono arrivarmi…»

«Ah già che tu sei una di quelle

che aumenta di una taglia. Non me

li scordo io, certi dettagli.»

«Scemo che sei.» Lo colpisce a

una spalla.

«Splendida che sei.» Le sorride.

«Eddài…» Gli sferra un pugno sul

petto.

«Mi sei mancata.» La prende per

la vita e l’abbraccia. Per un

momento a lei si riempiono le

narici di un odore familiare, l’odore

di Alessandro, unico.

«Ho una cosa per te in

macchina» dice lui a un tratto. Si

divincola

con

una

fretta

improvvisa e un po’ goffa.

Linda scosta le mani da lui e lo

lascia andare, resistendo alla

tentazione di a ondargli il naso

nell’incavo del collo.

Alessandro si ripresenta poco

dopo con un copricapo in paglia

intrecciata e bre naturali in

mano, decorato a motivi geometrici

dai colori vivacissimi.

Linda è in salotto, sta tra cando

al computer. E lui arriva alle sue

spalle. «Questo te l’ho preso in un

mercato di Hanoi.» Le appoggia il

cappello sulla testa.

«Cavoli, è bellissimo!» esclama

Linda togliendoselo e rimirandolo,

in uno slancio di allegria. Poi se lo

rimette sulla testa.

Alessandro la guarda con un

sorriso compiaciuto. «E ti sta pure

bene.»

«Sì? Non sembro un fungo?» Le

esce una risata squillante.

«Di quelli velenosi!» Prima che

lei possa rendersene conto,

Alessandro le fa uno scatto con la

fotocamera dell’iPhone, che sa

usare come pochi altri.

Linda si toglie il copricapo e lo

appoggia sul divano.

«Ma che meraviglia, qui!»

esclama Alessandro. Voltandosi, si

è

accorto

dell’installazione

fotografica sulla parete.

«Ti piace?» gli chiede lei. «Sono

le cartoline che mi hai spedito tu.

Tutti i tuoi scatti in giro per il

mondo.»

«Lo vedo» risponde Alessandro,

quasi senza ato. Gli occhi gli

brillano. «Fanno un e etto

magni co così. Non l’avrei mai

immaginato.»

I Doors scivolano fuori dalle

casse del MacBook Air, liberando

nella stanza una sottile energia

erotica.

Alessandro a erra la chitarra

acustica di Linda appoggiata a una

parete – una delle sue tante

passioni perse per strada – si

adagia sul divano e inizia a

strimpellare. «Vieni qua» le dice, e

in un attimo la sua voce calda

copre quella di Jim.

Linda si siede per terra di fronte

a lui e lo segue sottovoce, il testo di

Light My Fire lo conosce a memoria.

Scandisce il tempo tamburellando

con le dita sulle ginocchia.

Vanno avanti nché la canzone

non nisce e all’improvviso a

Linda viene in mente che dovrebbe

essere già al lavoro da un pezzo, e

invece è ancora in accappatoio… e

in più non ha la macchina!

«Aiuto, che ore sono in questo

esatto momento?» chiede ad

Alessandro, con una vocina

isterica.

«E che ne so!» fa lui. Si porta la

mano davanti agli occhi. L’orologio

al polso segna le quattordici e

quarantacinque,

è

ancora

impostato sul fuso di Hanoi. «In

teoria qui dovrebbero essere le

dieci meno un quarto.»

«Cazzo, dobbiamo andare!» dice

Linda, tirandosi su. Poi inizia a

sistemarsi i capelli con le mani.

«Ma dove, scusa?» domanda lui.

«Al lavoro» sbu a lei. Linda lo

guarda con occhi supplichevoli. «Mi

dai uno strappo no allo studio,

vero? Ho la spider da Max, in

o cina» spiega, cadendo dalle

nuvole.

«Che novità» la prende in giro

lui. «Va bene, dài, ti porto io.

Sbrigati!»

«Grazie, grazie, grazie!» strilla lei

e lo spettina, ricordandosi quanto

gli dà fastidio.

Lui, per tutta risposta, la

sculaccia. «Fila, adesso vatti a

vestire.»

«Volo!»

«Io ti aspetto qua.» Alessandro

riprende in mano la chitarra e

mette in la qualche accordo,

inseguendo una melodia confusa

che gli vibra nella testa.

7

Avarizia

Qualcuno bussa alla porta del

suo u cio con due tocchi leggeri e

nervosi.

«Avanti» dice Linda, inchiodata

alla scrivania davanti a una

catasta di preventivi e disegni

Autocad.

Ludovico Fassina apre la porta. È

un tipo rigido e secco, sempre

ingessato in una camicia da prete

chiusa no all’ultimo bottone, gli

occhialini rettangolari con la

montatura invisibile in titanio, i

pantaloni di un taglio largo molto

poco alla moda. Sta ssando Linda

come un oggetto fuori posto. «Ah,

sei qui» dice. «Ero passato a casa

tua a prenderti, ma ho aspettato in

macchina per un po’ e poi me ne

sono andato, erano quasi le otto e

mezza…»

Una lampadina si accende nella

testa di Linda, che si batte la mano

sulla fronte. «Oddio, scusami, Ludo!

Mi sono totalmente scordata!»

Non ha il coraggio di

confessarglielo ma, a quell’ora, lei

dormiva ancora. Poi, con l’arrivo di

Alessandro, si era completamente

dimenticata di lui. E Ludovico,

invece, è l’ultima persona che

dimenticherebbe un appuntamento:

arriva sempre in studio all’alba,

molto

prima

dell’orario

di

apertura, accende tutti i computer,

dispone in rigoroso ordine i

quotidiani del giorno e le riviste

nuove sul tavolo della sala ospiti,

poi si parcheggia alla scrivania in

attesa di qualche istruzione

dall’alto. È così pignolo e zelante

che a Linda saltano i nervi solo a

vederlo.

«Va be’, non importa» risponde

lui, ma è evidente che sta

pensando: stronza, sei una stronza

appro ttatrice. Ovviamente non lo

direbbe mai ad alta voce. Non a

Linda, per cui ha un debole che

non ammetterebbe nemmeno a se

stesso. Fa per chiudere la porta, poi

ci ripensa. «Ah, ricordati che oggi

bisogna chiamare il conte Grimani.

Sta sempre aspettando quella

modifica.»

Linda sospira, lei non sa proprio

nascondere quando è scocciata.

«Avrà la sua dannata doccia

orizzontale. Stavo giusto per

ritrasferire sul computer tutto il

preventivo.» Solleva un foglio

mezzo scarabocchiato e glielo

mostra

con

una

smor a

d’inso erenza. «Comunque grazie

per avermelo ricordato.»

«Prego» dice Ludovico, e se ne

va.Linda a erra il mouse e chiude il

l e GRIMANI. Poi inserisce nella

fessura del mangiacarte a lato della

scrivania il foglio del vecchio

preventivo, che in un paio di

secondi si dissolve in tante fettucce

simili

a

stelle

lanti.

Quell’operazione le dà ogni volta

una sensazione immediata di

sollievo e godimento quasi sico, la

stessa che le capita quando si

sbarazza di una cosa vecchia che

non vuole più vedere.

All’improvviso ha un desiderio

feroce di caffeina e zuccheri. Si alza

dalla sedia e sta per andare alla

macchinetta del ca è, quando il

telefono sulla scrivania squilla. Un

intero catalogo d’imprecazioni le

scorre in sovrimpressione tra i

pensieri. Sarà qualche cliente

petulante o, peggio, il conte

Grimani in persona. Sbircia il

display: è il capo, deve rispondere.

Alza la cornetta e accenna un «Sì?»

svagato.

«Potresti venire un attimo nel

mio u cio?» dice l’architetto

Gianluigi Bosi, con un tono

indecifrabile.

«Adesso? Stavo per prendere un

caffè.»

«Adesso!» Ora è chiaro. Il tono è

categorico.

«Arrivo.» Linda riattacca, lancia

un’occhiata

sconsolata

alla

macchinetta ed esce.

Attraversa il corridoio a lunghi

passi ed entra nello studio di Bosi.

«Siediti.» Il capo le fa un cenno

con la mano.

«Oddio» Linda scuote la testa,

«quando mi dici di sedermi, di

solito va per le lunghe.» Sposta un

po’ indietro la sedia e si mette

comoda. Oggi che è uscita di fretta

non ha neanche fatto in tempo a

mettersi dei tacchi decenti – lei, che

per l’altezza ha quasi una

ssazione – ma un paio di sandali

raso terra in pelle bianca.

Bosi la guarda con un misto di

curiosità e delusione. «Una cosa del

genere non me l’aspettavo proprio

da te.»

« Q u a l e cosa, scusa?» chiede

Linda, con una delle sue

espressioni da caduta dalla luna.

«Una cosa abbastanza grave.»

«Bosi, non ti seguo davvero.»

Linda cerca nella sua testa una

ragione di qualunque tipo, ma non

riesce a trovarla. O meglio, ne

trova milioni. Ma nessuna così

eclatante da meritare quella

convocazione.

«Certo, potevo immaginarlo. Sei

sempre stata una tipa ambiziosa,

quasi ribelle» continua lui, «ma

rubare il lavoro ai tuoi colleghi, e

in questo modo poi…» Piega la

bocca, visibilmente contrariato.

Linda strabuzza gli occhi. «Io?»

chiede, perplessa, l’espressione

poco convinta di chi non accetta

proprio a testa bassa le accuse.

«Ah, no? Vuoi dirmi che davvero

non ne sapevi niente?» L’architetto

Bosi piega il capo da un lato, in

attesa di una risposta.

«Ma ti sei fatto un acido

stamattina?» ribatte Linda, con un

tremito che non può più trattenere.

«Non riesco a seguirti. Non so di

cosa cavolo tu stia parlando.»

«Prima di tutto, abbassa il tono e

controllati, per favore.»

«Sei tu che alludi e non mi dici

chiaramente le cose!»

L’architetto Bosi rimane in

silenzio un istante, poi sentenzia:

«Mi ha chiamato Tommaso Belli

chiedendomi di te».

«E perché?»

«Vuole una consulenza per la sua

villa.»

«Cosa?!» Linda spalanca gli

occhi.

«È proprio così, mi ha chiesto di

poterti parlare» conferma Bosi.

«Sul serio, Linda, vorresti farmi

credere che non sei stata tu a

proporti?»

Ora la conversazione ha

decisamente preso la piega di un

interrogatorio. L’architetto la ssa,

registra i suoi gesti, studia la sua

inflessione.

«No. Non ne sapevo un bel

niente» replica Linda, o esa. È

come se si sentisse una lampada a

infrarossi puntata contro. «Devi

credermi! Lo conosco a malapena!»

Il tono è così accorato che in Bosi

inizia a farsi strada il sospetto che

Linda sia davvero all’oscuro di

tutto. «Va bene. Ti credo. Mi

dispiace per Ludovico e Alice, che

in quel lavoro ci stanno buttando il

sangue… ma la loso a del nostro

studio è sempre stata di soddisfare

il cliente, qualsiasi richiesta faccia.

Perciò, se Belli vuole parlare con

te, è giusto che parli con te.»

Linda accenna un sorriso, solo

ora inizia a rendersi conto

dell’opportunità che le è piovuta

dal cielo. Anche se non riesce a

spiegarsi perché Tommaso voglia

proprio lei. Non sarà per il breve

incontro dell’altro giorno…?

«Ti avverto, Linda, Belli è un

cliente molto di cile» la mette in

guardia Bosi. «Perciò non farti

illusioni. Magari sta solo seguendo

un capriccio e poi ci ripensa. Non è

detto che ti dia l’incarico sul serio.

Preparati, e abbassa da subito la

cresta. Non tutti sono tolleranti

come il tuo capo.»

Linda si limita ad annuire, persa

in un vortice di domande senza

risposta.

«Quel

progetto

è

molto

impegnativo, forse troppo per una

persona sola. Non so se hai

presente la planimetria della villa.

Sono 960 metri quadri, sette

camere, cinque bagni e venti

vani…»

Bosi non la smette di accumulare

dati, ma Linda ormai da un po’ non

lo segue più, sta rincorrendo mille

pensieri nella sua testa.

«Ma mi stai ascoltando?» la

riprende il capo, che si è accorto di

parlare a un muro.

«Eh?» fa Linda, come se si stesse

svegliando da un sogno. «Sì, sì,

certo.»

«Belli ti aspetta alla villa nel

primo pomeriggio. Ma è il caso che

prima gli telefoni per prendere

accordi sull’orario.» Le mette in

mano un faldone. «In questa

cartella

c’è

tutto:

disegni,

planimetrie,

assonometrie.

Sull’ultimo foglio ci sono i suoi

contatti.»

«Perfetto»

risponde

Linda

sfogliando velocemente le pagine.

«In bocca al lupo. Non ho altro

da dire.»

«Crepi.»

Bosi ha già dismesso la voce

inquisitoria ed è ritornato quasi

paterno, un tono che riserva solo a

lei. Quello che gli interessa è che

Belli, la sua gallina dalle uova

d’oro, resti un cliente dello studio:

poco importa quale dei suoi

collaboratori riuscirà a soddisfarlo.

Se sarà Linda, tanto meglio.

Quando lei accenna a uscire, lui la

richiama.

«Se mai dovessi convincerlo a

darti l’incarico, punta molto alto,

mi raccomando. Con uno come lui

puoi osare…» e già si immagina i

soldi che Linda farà piovere nelle

casse dello studio, ma pensa anche

che stavolta con lei sarà generoso e

le darà una percentuale sui

guadagni. «È messo molto meglio

dei Grimani e di tanti altri residuati

bellici di nobiltà decaduta. Perciò,

non trattenerti.»

«Perché, l’ho mai fatto? Ah, e se

mai dovesse scegliere me, il cliente

è mio. E mi prendo il quaranta per

cento.»

Bosi non fa in tempo ad aprire la

mascella in una smor a di

disapprovazione,

vorrebbe

replicare ma Linda non gliene dà il

tempo: gli ha già strizzato l’occhio

ed è sgusciata fuori dall’u cio con

un movimento sinuoso, quasi un

passo di danza. Bosi non la può

sentire, ma ha appena esultato

sottovoce. Dentro di sé ha un

concerto rock che suona a tutto

volume.

Dopo aver recuperato la spider

in o cina – quel genio di Max,

oltre ad avergliela rimessa a

nuovo, pulito carrozzeria e interni,

le ha lasciato un piccolo cadeau di

erba nel cruscotto – imbocca la

statale per Bassano del Grappa e

accosta alla prima piazzola

alberata per mangiare la focaccina

farcita “Barbanera” che ha

comprato in una paninoteca sulla

strada.

Scende dall’auto e si appoggia

alla

ancata.

Azzanna

direttamente dal sacchetto di carta

un pezzo della granata ripiena di

cotto a umicato, gorgonzola,

carcio ni e maionese che il tizio

tatuato alla cassa le ha consigliato

come “proposta del giorno”. È

eccitata come non ricordava da

tempo, e non riesce a non pensare

a quel giorno, a Tommaso tutto

sporco di fango, e poi a lui tutto

imbarazzato con la sua camicia

addosso. Ha l’auricolare del

telefono all’orecchio: tra un

boccone e l’altro, da più di dieci

minuti sta parlando con il conte

Pier Filippo Grimani, che continua

a lamentarsi perché la doccia

orizzontale non è del colore esatto

che voleva la moglie Nicoletta. Ha

deciso che oggi vuole lasciarlo

sfogare, poveretto, non ha senso

sprecare le proprie energie con chi

non merita il suo talento. La

notizia del nuovo incarico le ha

aperto una voragine nello stomaco,

una specie di fame chimica. Per

non sporcarsi la camicetta di seta

bianca, si sporge in avanti a ogni

morso, ma non riesce a evitare che

una goccia giallastra e unta le

nisca sulle scarpe. Linda sente

blaterare il conte, e ogni sette-otto

secondi intercala con un «Ahà» a

bocca piena, si fa convincere a

mandargli degli operai per

sistemare la faccenda del colore,

anche se sa benissimo che sarà

un’operazione inutile. Quando alla

ne riesce a chiudere la

conversazione, se ne esce con un

liberatorio: «Che rompicazzo, ’sti

Grimani!», e si china a pulirsi la

maionese dalle scarpe con il

tovagliolino di carta.

Si scola una lattina intera di

Coca-Cola, quindi sale in macchina

e si rimette alla guida. La statale

taglia a metà un piccolo paese di

campagna, che si dissolve dopo

poche centinaia di metri. Ormai è

fuori dall’abitato, oltre una

caserma dei carabinieri e le ultime

villette a schiera. Si vedono ancora

un paio di casette moderne con le

recinzioni in cemento, poi solo

rustici di pietra e mattoni sempre

più distanti l’uno dall’altro, tra

campi coltivati che si estendono sui

due lati verso le colline. Linda si

gode l’armonia di forme e colori,

respira a fondo, incantata dalle

sfumature di rosa, bianco e giallo

degli alberi in fiore.

Lasciandosi alle spalle i campi,

prende una strada secondaria,

stretta e tortuosa, che conduce alla

sommità di un colle addolcito da

ulivi secolari. A metà della via, c’è

un cancello verde in ferro battuto

con le estremità a punta di lancia,

delimitato da due colonne bianche

in pietra levigata. È mezzo aperto.

Dev’essere quello, a giudicare dalla

costruzione che si intravede sullo

sfondo. Con una rapida manovra,

Linda ci s’in la con la spider,

percorre un lungo viale di ghiaia

costeggiato da piante di limone in

crateri di terracotta. Sembra di

tornare indietro nel tempo. Metro

dopo metro, la costruzione si svela

in tutta la sua eleganza: è una

lussuosa villa di chiara impronta

palladiana, con due barchesse

laterali collegate alla facciata da

un portico ad archi bugnati.

Linda parcheggia nello spazio

libero tra una fontana con i putti e

una

Jaguar XK cabrio grigio

metallizzato. Scende dall’auto e

scorge subito Tommaso poco

lontano, intento a parlare con

alcuni operai che si stanno

evidentemente

occupando

di

ridefinire l’assetto del giardino.

«Dove va quel materiale?» chiede

Tommaso a un ometto tarchiato e

rubizzo, che avanza manovrando

una carriola piena di ghiaia.

«L’architetto paesaggista del

vivaio» spiega quello, tutto

ossequioso, «avrebbe proposto il

lapillo per quest’aiuola qui e i

ciottoli bianchi per l’altra laggiù.»

«Capisco…» dice Tommaso,

esaminando con attenzione il

contenuto della carriola. «Ma non

sono d’accordo. Ora che lo vedo,

preferisco scartare il lapillo. Usate

ciottoli bianchi e corteccia di

larice.» Ha un tono estremamente

sicuro. E un aspetto solido anche in

tenuta semisportiva, i piedi scalzi

nei mocassini, i pantaloni beige di

cotone, la polo blu a manica corta

da cui spuntano i muscoli torniti

delle braccia. «Per quel che

riguarda le rose, invece, siamo

d’accordo sulle varietà: Flora

Danica,

Tivoli

e

Royal

Copenhagen» spiega, con un tono

che non ammette repliche. «E non

provate a rifilarmi altre qualità, me

ne accorgerei.» Quindi con un

cenno del capo lascia intendere che

la conversazione si chiude lì, per

quel che lo riguarda, e congeda

l’uomo con un sorriso diplomatico.

«Certo, signor Belli» risponde

quello. «Sarà tutto come lei

desidera.» Poi fa dei gesti a uno dei

suoi che è tutto assorto a scavare

un buco con la pala nell’aiuola

destinata alle Tivoli.

Linda sta per annunciarsi, ma

Tommaso si gira di scatto e la

anticipa: «Buongiorno, Linda». Le

stringe la mano. «Grazie per essere

venuta subito.»

«Figurati» risponde lei. «Al

telefono mi eri sembrato piuttosto

impaziente.»

«Vieni, spostiamoci da qui.»

Scansando due operai, le fa strada

verso la maestosa scalinata

dell’ingresso, dai cui lati li

osservano

statue

in

pietra

ra guranti divinità romane. Si

schiarisce la voce e dice:

«Innanzitutto, vorrei scusarmi».

«Per cosa?» Linda lo guarda

senza capire.

«Per non averne parlato prima

con te» risponde Tommaso, serio.

«È che non avevo nessun contatto

telefonico e non sapevo come

rintracciarti. Non era il caso di

piombarti in casa, che dici? Per

questo mi sono rivolto all’architetto

Bosi.»

«Non c’è bisogno di scusarsi.

Sono felice che tu l’abbia fatto.» E

non è mai stata così sincera con

lui.«Perfetto.»

Di nuovo quella parola.

Tommaso abbassa per un istante

lo sguardo e subito lo rialza. I suoi

occhi sembrano più azzurri che blu

alla luce del sole. «Allora entriamo

subito» dice facendo un gesto verso

l’ingresso, «così ti mostro di cosa si

tratta.»

Linda si ferma al centro della

scalinata a osservare la villa,

incantata. «Comunque l’esterno è

veramente splendido. Non ne

vedevo una così ben conservata da

anni…» Ruota la testa, si gode la

visione

panoramica.

Quattro

colonne ioniche a fusto liscio

scandiscono il ritmo della facciata,

suggerendo l’idea del tempio greco-

romano. «C’è molto Palladio»

mormora, con un respiro largo.

«Neoclassicismo puro.»

Tommaso fa un cenno di assenso:

«Equilibrio, armonia, rigore. È per

questo che l’ho scelta. Rispecchia

esattamente la mia idea di mondo».

Linda lo osserva: anche lui

sembra integrarsi perfettamente in

quel paesaggio. Il disegno della

mascella, il modo di parlare, di

occupare lo spazio: un campione

olimpico che sprigiona forza e

bellezza. La sua energia è

essenziale,

razionale,

per no

severa nella sua purezza.

Tommaso si avvia su per la

scalinata, e Linda lo segue con la

stessa

ammirazione

che

riserverebbe a una divinità. Ma

sbirciargli il sedere non sembra

a atto blasfemo, è quasi doveroso,

perché anche quella è una visione

celestiale.

«La villa è disabitata da almeno

cinque anni» le spiega Tommaso,

fermandosi in cima alla scalinata e

voltandosi indietro a cercare il suo

sguardo.

Linda distoglie subito gli occhi

sperando che non se ne sia accorto.

«Certo» annuisce, con studiato

interesse.

Lui la osserva in modo

penetrante,

sembra

quasi

trattenere un sorriso, poi si fa da

parte per lasciarla entrare dal

grande portone.

Linda

prova

una

certa

soggezione, si guarda intorno,

respira a pieni polmoni la bellezza

degli spazi. Quel posto la fa sentire

strana, quasi imperfetta.

«Questo salone è l’unica stanza

che conserva ancora qualcosa di

cinquecentesco» prosegue lui. «Per

il resto è tutto ne Settecento e

oltre.»

Lei punta gli occhi sulle pareti,

anche per resistere alla forza

attrattiva di quelle natiche.

«Orditura a vista del solaio, porte a

timpano…» commenta a quel

punto, cercando il suo tono più

professionale. Si volta verso

Tommaso e dice: «Quelle porte

vanno conservate, te lo dico già.

Bisognerà farle restaurare, ma

devono assolutamente restare dove

sono, perché danno senso a tutto il

resto».

«Vedo che sei già entrata nella

parte» osserva Tommaso, e la

introduce in un’altra ala della villa.

«Di qua c’era uno studio.» Sostano

sulla soglia di una piccola stanza

che conserva elementi d’arredo

originali e oggetti d’arte antica.

«Ma andiamo di là, nella sala da

pranzo.»

«O mio dio!» esclama Linda,

alzando gli occhi al so tto. Al

centro della sala è rimasto un

prezioso lampadario in vetro di

Murano a struttura asimmetrica,

composto da singoli elementi a

incastro. «Ovviamente anche quello

va tenuto. Tutto il resto è da

buttare.» Non si preoccupa

dell’e etto di ciò che dice, e

continua a esplorare lo spazio. Dà

un’occhiata storta a una serie di

seggiole con lo schienale alto

mezze marce e a un tavolo

rosicchiato in più punti.

«Mi piace che tu stia già

ragionando in termini di arredo…»

commenta lui, con un sorriso

soddisfatto.

Linda si limita a registrare le

piccole rughe che gli si formano

agli angoli delle labbra e non dice

niente, ma dentro di sé inizia ad

avvertire uno strano godimento.

Formalmente non c’è ancora

nessun accordo tra di loro, ma è già

sicura che sarà lei ad arredare

questa villa e che si rivelerà

un’avventura entusiasmante. Poi, a

essere sincera no in fondo, il fatto

che la proposta venga da un uomo

come lui rende tutto più

interessante.

Salgono

al

piano

nobile

attraverso una maestosa scala,

adornata da ringhiere in ferro,

battuto senz’altro a mano. A quel

punto, davanti a loro si apre un

immenso salone, con ampie

porte nestre e pareti decorate da

alcuni a reschi incorniciati da

stucchi. Linda ormai è in visibilio:

la mente corre lontano, pensa in

grande, oltre loro due, questa

dimora, questo momento, ha nella

testa un collage di immagini che

scorrono avanti e indietro lungo la

linea del tempo.

«Era il salone da ballo» le illustra

Tommaso. «Vieni.» Le fa strada

verso una porta nestra che dà sul

retro della villa. «Da qui si vede

bene anche il parco.»

Si affacciano al balcone.

«Incredibile!» esclama Linda. «È

enorme.» Osserva lo spazio con

un’attenzione sensoriale. Saranno

all’incirca tre ettari di terreno con

varie specie di alberi secolari; in

lontananza si scorge un laghetto e,

subito dietro la villa, una piscina

che ha seriamente bisogno di essere

rimessa in sesto. Linda la guarda

meglio e all’improvviso ricorda: è

la piscina in cui lei e Alessandro si

erano tu ati una sera, da ragazzi,

entrando di nascosto da un buco

nella recinzione! Un’idea di

Alessandro,

naturalmente.

All’epoca la villa era abitata e per

poco non erano stati scoperti. A un

certo punto avevano sentito il

guardiano

sbraitare,

erano

schizzati fuori dall’acqua come due

pesci all’alba, si erano messi a

correre mezzi nudi e grondanti,

no a saltare nella Mini di Ale (che

lui ogni tanto rubava ai suoi per

uscire la sera) e lanciarsi in una

folle corsa con un solo faro acceso

– la macchina aveva sempre

qualche piccolo guasto – nel cuore

della notte. Linda non riesce a

nascondere un sorriso e caccia il

ricordo con un movimento rapido

della testa, tornando al presente.

«Che

buon

profumo»

dice,

aspirando più aria possibile con il

naso e con la bocca.

«È il Viburnum tinus, quella serie

di piante laggiù.» Tommaso le

indica un gruppo di arbusti

ricoperti di ori bianchi. «Quando

oriscono, emanano un dolce

profumo agrumato.»

«Però…» Linda lo ssa con

un’espressione incuriosita, la stessa

che aveva poco prima in giardino,

quando lui sciorinava nomi di rose

come fossero marche di automobili.

«Certo che te ne intendi davvero di

botanica…»

«Sì, è una delle mie passioni. Me

l’ha trasmessa mia madre.»

Tommaso si perde per un momento

dietro un fantasma, poi torna a

guardarla con il solito piglio sicuro.

«Allora, passiamo alle cose

concrete. Voglio una proposta da

te, un piano di arredo. Se riesci a

convincermi, il lavoro è tuo.»

Linda rimane in silenzio. Poi dà

voce al pensiero che le frulla in

testa da ore. «Perché vuoi me?

Ludovico e Alice non andavano

bene?»

Tommaso si aspettava questa

domanda e ha già pronta una

risposta. Diplomatica, ovviamente.

«I tuoi colleghi sono molto

preparati, ma al loro lavoro manca

qualcosa

di

fondamentale:

l’originalità.» Si guarda intorno,

come se i suoi occhi cercassero un

altrove. «Io voglio rendere questo

posto unico. Restaurarlo non mi

basta, voglio farlo vivere. Per

questo cerco qualcuno che gli dia

personalità, che faccia scelte che io

non so nemmeno immaginare.

Qualcuno che non si limiti a

soddisfare le mie aspettative, ma

che le superi. Che mi sorprenda,

insomma» conclude, posando gli

occhi su di lei.

«Capisco.» Linda sostiene quello

sguardo e va no in fondo. «E sei

sicuro che io possa farlo.

Sorprenderti.»

«Non lo so, ora sta a te. Però ho

visto la tua casa, con quanto estro

l’hai arredata, lontana da tutte le

convenzioni che conosco

n

troppo, e che mi annoiano…»

spiega, come se si trattasse di una

semplice constatazione. Il suo tono

è ipercontrollato, come sempre, e

Linda fatica a cogliere il

complimento che – ne è certa – si

cela dietro le sue osservazioni.

«In e etti ci ho messo l’anima lì

dentro. È la mia tana» replica lei,

con una scintilla nella voce.

«È proprio questo il punto:

voglio che anche questa villa abbia

un’anima.»

Linda lo osserva nella luce

so usa della stanza: occhi di

ghiaccio, corpo di roccia. È un

colosso. Quest’uomo le rimescola

nella

pancia

sentimenti

contrastanti:

sensualità

e

agitazione, ammirazione e rabbia.

La imbarazza, e poche persone

riescono a farlo, e insieme avrebbe

voglia di scandalizzarlo con

qualche gesto folle, solo per il

gusto di provocare in lui una

reazione. Eppure, nemmeno lei sa

perché, di una cosa è sicura: questa

freddezza solida e questo controllo

spinto all’estremo lo circondano di

un fascino irresistibile.

«Ti darò un piccolo anticipo, per

ora. Se il tuo progetto mi piacerà,

sarai tu a dirigere i lavori.

Ovviamente con un compenso

adeguato.»

Linda fatica a trovare le parole

giuste per replicare; in e etti, non

si è ancora accennato ai soldi.

Dev’essere una cosa poco elegante,

per uno come lui.

Tommaso però le sta addosso:

«Ti avviso: i tempi sarebbero un

po’ stretti».

«Quanto stretti?»

«Due mesi» risponde, lapidario.

«Due mesi?!» Linda sgrana gli

occhi.

«Bisogna concludere i lavori per

la fine di agosto.»

«Ma così diventa tutto più

complicato…»

commenta

scuotendo la testa.

All’improvviso, sente quella voce

di donna. È lei. « Mon amour, ci

sei?»

«Ottimo, è arrivata anche la mia

compagna» dice Tommaso, a bassa

voce. Poi si sporge sul ballatoio e,

alzando il tono quanto basta per

farsi sentire, le risponde: «Nadine,

siamo qui. Sali».

Dopo pochi istanti Nadine

compare sulle scale, splendida e

senza un dettaglio fuori posto,

come la prima volta che Linda l’ha

intravista dalla parete a vetri dello

studio. È alta, magra, ha un

portamento elegante e sicuro, l’aria

da diva. Indossa un tailleur giacca-

pantalone di seta bianca, a tracolla

esibisce una Chanel Black&White

abbinata alle décolleté dello stesso

colore. Da vicino, incute quasi

soggezione per la sua immacolata

bellezza esotica: la carnagione

ambrata, gli occhi di un nocciola

brillante, il viso dai lineamenti

simmetrici, i capelli scuri, lisci e

lucenti, laccati in una piega a

prova di vento.

Stringe la mano a Linda e le

rivolge un sorriso formale. «Allora,

a che punto siete con le trattative?»

le domanda con quella voce

melodica che arrota le R e scivola

sulle C.

Di anco a quella donna, Linda

si sente piccola e fuori posto, cosa

che raramente le succede.

«Eravamo arrivati al capitolo

“compenso”» interviene Tommaso.

Nadine lo guarda come per

invitarlo a proseguire.

Lui si volta verso Linda.

«Facendo una stima grossolana,

credi che settantamila euro

potrebbero

bastare?»

chiede,

sicuro. «Tieni conto che dovrai

lavorare solo sugli arredi» si

a retta a precisare. «Di muratura,

montaggio, cablatura si occuperà

una squadra esterna con cui poi ti

accorderai al momento della messa

in opera.»

Linda resta senza parole. La cifra

è davvero molto al di sopra degli

standard di mercato. Potrebbe

accettarla e ritenersi più che

soddisfatta, ma non è da lei

arrendersi alla prima o erta. Resta

un secondo in silenzio, prende un

lungo

respiro

e

dice:

«Quest’incarico

è

molto

impegnativo e con una tempistica

estremamente serrata. Inoltre»

aggiunge per darsi un tono, «ho già

altri lavori e non posso certo

mollarli di punto in bianco…».

Tommaso e Nadine si scambiano

un’occhiata

consapevole

e

complice, senza però lasciar

trapelare alcuna reazione. Lui poi

si rivolge a Linda: «E dunque, che

cifra ti soddisferebbe?».

«Centomila.» L’ha detto. Sa che

sta chiedendo un compenso

esagerato e un po’ si sente in

colpa,

ma

potrebbe

essere

l’occasione della sua vita. Magari

chiudono a ottantamila… Dopo

tutto, le contrattazioni sono sempre

state il suo forte.

«E sia» conclude lui, lasciandola

di stucco.

A Linda inizia a mancare il ato.

Era pronta a combattere, aveva

appena tirato fuori gli artigli e

all’improvviso si trova disarmata.

Non c’è quasi gusto, così… anche se

quarantamila euro tutti per lei non

li ha mai nemmeno sognati. Sta

pensando anche che il lavoro da

fare è davvero tanto, e richiederà

pure il contributo di un light

designer, di più restauratori: il

povero Bosi dovrà farsi bene i suoi

calcoli, per questo progetto…

«Perfetto…» dice, tentando di

non sembrare incredula.

Nadine si volta verso Tommaso.

C’è il più sottile degli attriti quando

i loro sguardi s’incontrano.

Evidentemente non approva la

mossa di lui, ma non intende

esplicitare a parole il suo

disaccordo. Non voleva che

cedesse. E Tommaso, che si

aspettava proprio quella reazione,

sta pensando, invece, che anche il

minimo sussulto può rivelare tutto,

in una relazione di lunga data.

«Ma prima devi dimostrarmi che

li vali» precisa Tommaso. «Lo hai

detto

tu,

sono

un

gran

rompicoglioni.»

Linda ride in modo un po’

sfrontato, ricordandosi la sua

piccola impertinenza. È eccitata,

adesso, vuole a tutti i costi vincere

quella s da, lasciare quest’uomo a

bocca aperta e prendersi la sua

lauta ricompensa. È così impegnata

a fantasticare che quasi non si

accorge che Tommaso le sta

tendendo la mano.

«Allora siamo d’accordo» dice lui.

«Aspetto al più presto tue notizie.

Bosi ti potrà fornire tutti i dettagli

di planimetria e quello che ti serve

per il progetto.»

«D’accordo» ripete lei, quasi

inebetita, stringendo quella mano

ampia e calda.

Anche Nadine le stringe la mano;

ma la sua stretta è fragile e

frettolosa.

«Grazie» la saluta Tommaso.

«Grazie a voi.» Linda fa un

leggero inchino con la testa e si

avvia verso l’uscita, cercando di

non mettersi a saltare per la gioia.

Ha vinto la prima battaglia, ma la

guerra è ancora tutta da

combattere.

8

Sono quasi le otto di sera, ma fa

ancora molto caldo a Treviso. Un

sole rosso pallido si sta spegnendo

tra le nuvole. L’aria sa di estate e

mare, e una luce quasi euforica

abbraccia il paesaggio e le persone,

sui volti tracce di pensieri rilassati,

pensieri da vacanza.

Linda cammina a passi rapidi

sotto i portici della città, verso

Piazza dei Signori. La stanno

aspettando ai So oni per il solito

aperitivo del venerdì: agli ultimi

due ha dato forfait, il progetto per

la villa le sta rubando tutto il

tempo, anche quello libero. Ma non

le pesa. Quando ha deciso di

buttarsi in quest’impresa, sapeva

perfettamente che caricarsi sulle

spalle un lavoro simile sarebbe

stato un impegno ben diverso da

quello abituale allo studio. Ma

come poteva dire no a un’occasione

del genere? Del resto la dimensione

della s da è il suo habitat: ama il

rischio, l’idea che ogni cosa

dipenda dal suo talento.

Accelera un po’ l’andatura. Pensa

che i tronchetti in pelle

scamosciata le stringono i piedi, i

jeans skinny la fanno sudare, che

non è riuscita neanche a passare da

casa per ritoccarsi il trucco. Ma

questo è il meno: ha deciso che

forse non si truccherà neanche più

da quando Alessandro le ha detto

che la invecchia e che la preferisce

al naturale. E di lui si fida, sempre.

Supera un gruppetto di sedicenni

tutte tirate a lucido, con l’ombelico

in bella mostra tra i pantaloni a

vita bassa e le canottiere cortissime

e attillatissime. Non riesce a

sentirsi superiore o a guardarle con

occhio severo, le spunta subito un

sorriso involontario e si rivede a

quell’età, insicura e capace di stare

ovunque tranne che al mondo. Poi

ha

un’istantanea

del suo di

ombelico e di come Davide glielo

leccava quando hanno fatto sesso

nel bosco: come se farlo potesse

svelargli la parte più nascosta di

lei, quella sotto pelle. Doveva

piacergli parecchio, si ricorda

molto bene l’espressione persa che

aveva stampata sul viso dopo quel

giochetto erotico. A proposito: da

quando è arrivato Alessandro,

Davide non lo ha più sentito. Tutto

sommato è normale così.

Linda continua a camminare, e

guardarsi intorno per lei signi ca

perdersi in dettagli architettonici

che a chiunque passerebbero

inosservati:

i

disegni

dei

sanpietrini, gli incastri dei

marciapiedi, le maniglie dei

portoni, le sedie dei bar, le sagome

dei manichini nelle vetrine dei

negozi, le forme dei lampioni, il

colore delle grondaie. Non è

semplice

deformazione

professionale, ma qualcosa di più

profondo: un’attitudine a osservare

le cose da più punti di vista che ha

da sempre, da quando era

bambina. Svolta in un vicolo

laterale e, dopo averlo percorso

no

in

fondo,

sbuca

improvvisamente in Piazza dei

Signori, il palcoscenico del gossip

cittadino tra le quinte medievali

dei palazzi. C’è un viavai di

persone, volti noti e meno noti,

improvvisate passerelle di prêt-à-

porter in cui si esibiscono gli ultimi

acquisti gri ati, uno spettacolo

umano di forme, colori, voci e

odori che stordisce nella sua

teatralità sfacciata.

Sotto la Loggia si scontra con un

gruppetto di bambini che si

spintonano urlando, mentre un

plotone di madri vestite a festa li

richiama con versi da circo. Linda

li supera, rischiando di calpestarne

un paio, e nalmente raggiunge il

tavolo della compagnia.

In posizione strategica, gli occhi

puntati come laser sulla piazza, c’è

Carlo Bitto, avvocato e grandissimo

tombeur de femmes, uno che

potrebbe scrivere il dizionario

enciclopedico del lato B da quanti

sederi ha avuto modo di… toccare

con mano. Alla sua destra siede il

dottor Ra aele Zanon, giovane

chirurgo estetico, detto “il conte”

per i suoi eccessi di eleganza nel

modo di vestire. Accanto a lui c’è

Salvo Giu rida, “il siciliano”, uno

che non si è mai capito bene che

lavoro faccia ma si sa che

guadagna montagne di denaro e

frequenta gli ambienti dell’alta

nanza. Dall’altro lato del tavolo,

invece, tra due sedie vuote, spicca

Valentina Falcomer, la reginetta

del Nordest, fresca di messa in

piega, sfoggiando una noia da star

dei

rotocalchi:

conduce

un

programma di sport su Antenna

Tre, l’emittente locale più seguita

del Veneto, ed è nota per cambiare

fidanzato con cadenza settimanale.

«Ciao a tutti!» Linda fa un saluto

generale, sbaciucchiando una

faccia alla volta prima di sedersi.

«Guarda un po’ chi si vede, è

tornato il gliol prodigo! Ma che

ne avevi fatto?» strilla Valentina.

«E poi scusa, tesoro, ti sembra

l’ora?»

la

rimprovera,

picchiettando il quadrante del suo

orologio gioiello con il dito laccato

di smalto vinylux. «Siamo già al

secondo giro di spritz, noi.»

«Sai com’è» replica Linda,

indicando se stessa, «c’è anche

gente che lavora qui…»

Tra l’altro, sta pensando, prima

di uscire si è scordata di controllare

se quell’artigiano produce ancora

boiserie di radica a motivi

geometrici

che

starebbero

splendidamente su…

«Ma

sentitela!»

Ra aele

interrompe i pensieri di Linda, da

troppi giorni monopolizzati da

quella villa, addentando una

patatina dorata. «Ma se lavorerai

sì e no tre ore al giorno…»

«Ha parlato il doctor House!» fa

Carlo, di rimando. Distoglie per un

istante lo sguardo dalla piazza e

lancia un occhiolino di solidarietà a

Linda, che non può fare a meno di

scoppiare a ridere.

Ra aele ssa l’avvocato con un

lampo di s da negli occhi. «Se

permetti, sono stato a cucire tette

no a mezz’ora fa. Da stamattina

alle otto!»

«Beato te! E ti lamenti pure…»

Carlo alza gli occhi al cielo, lo

sguardo sognante. «Invece io mi

sono rotto i coglioni tutto il giorno

con separazioni e divorzi di gente

paranoiata a morte.»

«Ti assicuro che non è proprio

uno spettacolo» replica Ra aele,

sistemandosi la sciarpa di seta

bianca sul collo abbronzato. «Un

conto è in larci il naso in mezzo

quando sono belle sode, un altro è

aprirle e vedere quello che c’è

dentro.» Muove le mani come se

stesse avvitando bulloni.

Carlo ride.

«Quanto siete grezzi» commenta

Valentina, guardandoli di sbieco.

Sta tra cando con l’iPad, aperto

su una pagina della “Gazzetta dello

Sport” che sembra interessarle

particolarmente.

«Ti sei fatta il colore?» Linda le

accarezza una ciocca di capelli e

beve un sorso dello spritz al

Campari che Valentina ha ordinato

per lei. «Stai bene, sai?»

commenta, ma con troppo poca

convinzione.

«Lasciamo perdere» ribatte subito

Valentina, con una smor a di

inso erenza. «Fa schifo, questo

colore. Sono incazzata nera con

Aldo» e poi parte con il racconto

della tragedia, che Linda ascolta

senza battere ciglio, perfettamente

calata nella parte.

Gli aveva chiesto solo una

spuntatina, al suo parrucchiere di

fiducia, e un ritocco ai colpi di luce.

Poi si era rilassata un attimo

sfogliando una rivista di gossip, e

quando aveva rialzato gli occhi allo

specchio, ormai era troppo tardi: si

era ritrovata una testa tutta a

striature giallastre. E un’ora dopo

era dovuta persino andare in onda

conciata così davanti a migliaia di

persone! Un vero e proprio

dramma, che Valentina non vedeva

l’ora di condividere con qualcuno.

«Non so se sia perché si è mollato

con Fausto» continua Valentina,

scuotendo la testa, «ma di certo

non è più lo stesso Aldo di sempre.»

«Fausto?»

s’interessa

all’improvviso Linda.

«Sì, il pianista» risponde

Valentina.

Quel Fausto? Lo stesso Fausto

con cui da un po’ si vede suo zio

Giorgio? Sente l’oliva dello spritz

andarle di traverso e i muscoli

della faccia irrigidirsi, ma si sforza

per non darlo a vedere.

«Erano tre anni, ormai, che si

frequentavano»

continua

Valentina. «Lo sapevano tutti.»

«Ah» si limita a replicare Linda.

Incrocia le braccia per chiudere il

discorso e si gira verso Salvo. «Per

caso tu hai sentito Ale?» gli chiede.

«No»

risponde

lui.

«Conoscendolo, se arriva, sarà tra

un’ora almeno.»

«Già…» Linda fa un sospiro.

Arrivare in ritardo è una

caratteristica che li accomuna. Le

viene il dubbio che possa essersi

addirittura

dimenticato

dell’appuntamento: non sarebbe la

prima volta. Alessandro è così, lei

lo sa bene: si nisce per dubitare di

lui anche quando dice la cosa più

innocente, e non si può mai essere

davvero certi di dove si trovi,

anche se ha giurato e stragiurato di

essere dietro l’angolo.

«Ho visto il suo servizio da Hanoi

sull’ultimo inserto di “Traveller”»

dice Salvo, ammirato. Nonostante

abiti al Nord da quindici anni, il

suo accento siciliano è ancora

marcato. Ed è ovviamente motivo

d’orgoglio, per lui. «Belle foto,

quasi poetiche. Lontane da quei

ridicoli cliché da Instagram per cui

oggi tutte le immagini di un certo

tipo devono essere uguali, non

importa dove tu stia scattando e

quale sia il soggetto. Si vede

proprio che c’è un professionista

con le palle dietro ogni singolo

scatto.»

«Non so come faccia, ma lui sa

sempre vedere cose che altri non

vedono» osserva Linda. «Sembra

quasi che siano i suoi scatti a

reinventare la realtà, invece che il

contrario.»

All’improvviso,

arriva

un

cameriere con un vassoio ricolmo

di paninetti caldi alla porchetta, il

must degli spuntini trevigiani.

«Ragazzi, o re la casa!» dice. Non

fa in tempo ad appoggiare il

vassoio sul tavolo che un’orda di

mani fameliche ci si avventa sopra

con una foga cannibalesca.

A un certo punto, dalla sua

posizione strategica, interviene

Carlo simulando una voce da

megafono rotto: «Signore e signori,

attenzione! Avvistata nuova coppia

al centro della piazza».

Tutti si voltano verso il punto

indicato da Carlo.

«No, non ci posso credere!»

esclama

Valentina.

«L’avevo

sentito in giro, ma era solo una

voce…»

L’ex ministro Alfredo Baresotti,

ignaro

dei

commenti,

sta

passeggiando insieme a Cecilia

Bellomo, diciannove anni, da poco

“Miss Veneto”. Le cinge la vita, la

mano gli cade un po’ sotto, sui

anchi, poi dietro, sul sedere,

dentro una tasca dei jeans.

«Saranno a aracci loro, no?»

sbu a Linda. Riesce a reggere il

pettegolezzo di quartiere per dieci

secondi massimo, poi inizia a dare

segni d’insofferenza.

«Eh no, cara. Sono anche cavoli

miei!» grida Valentina, sentendosi

subito chiamata in causa. «Quella

troietta

voleva

rubarmi

il

programma! Non la sopporto, ti

giuro!» La voce le diventa

fastidiosamente stridula. «Per poco

non ci menavamo…» Prende ato,

stira le labbra in un sorrisetto

maligno. «Fortuna che il direttore

di rete ha capito subito che era una

sciacquetta senza qualità. E infatti

adesso glielo succhia a quel mostro

di Alfredo Baresotti. Ma non lo sa

che quello non conta più niente? E

poi, l’hai visto?! È proprio

inguardabile…»

Un attimo dopo, nella piazza

passano Ludovico e Alice, con la

valigetta da lavoro a tracolla. Quei

due, pensa Linda stizzita, provano

un piacere quasi sessuale a fare gli

straordinari; arrivano prestissimo e

si trattengono molto oltre Bosi,

magari dopo aver fatto anche una

decina di supervisioni in esterna.

Linda li saluta sbracciandosi,

ormai l’hanno vista e non può far

nta di nulla. «Bevete qualcosa?» È

un invito che in altre condizioni

non le sarebbe uscito, ma è entrata

nel clima festaiolo che si respira al

tavolo.

È Alice a rispondere per prima:

«In realtà dovremmo passare dal

professor Borsato per la cucina del

suo super attico».

Linda sgrana gli occhi. «A

quest’ora?»

« S ì , a quest’ora» replica secco

Ludovico.

«Sai, se Borsato ti dice un orario,

è quello» continua Alice. «Non

cambia idea come altri nostri

clienti…» conclude sarcastica. Il

colpo di testa del multimilionario

Tommaso Belli non è stato preso

bene. Alice si è fatta il sangue

amaro e ha subito pensato a trame

segrete, cospirazioni contro di lei e

abusi di potere, ma soprattutto a

sporchi giochi di seduzione con

Linda come sordida protagonista.

«Vabbè, se dovete andare, non

insisto» dice Linda, con un sorriso

falso e conciliante. Il retropensiero

di Alice è chiaro, ora. Ma non la

riguarda. Che creda quel che vuole,

chissenefrega! Lei la coscienza ce

l’ha cristallina.

«Allora, ciao» la saluta Alice, con

un tono così freddo e distante da

far ghiacciare l’aria.

Ludovico le fa eco, senza

nemmeno guardare Linda in faccia.

Poi, con un eccesso falsissimo di

cortesia, aggiunge: «A lunedì». E

non si capisce se sia più rabbioso o

deluso.

I due si allontanano, parlottando

tra loro. Poi Alice si volta un

istante e lancia a Linda

un’occhiataccia che elimina gli

ultimi dubbi – se ancora ce n’erano

– su cosa pensi di lei.

«Che brutti musi i tuoi colleghi…

hanno proprio delle facce noiose»

commenta Valentina, con in mano

il terzo spritz.

«Ma no, poveracci, sono solo

drogati di lavoro» risponde Linda,

smorzando i toni. Non è una che

ama perdere tempo a parlare male

degli altri, e poi non ha proprio

voglia di aprire il capitolo

Tommaso Belli: con Valentina la

notizia diventerebbe in un attimo

di dominio pubblico, colorata da

chissà quali sfumature.

Ha appena tirato fuori l’iPhone

dalla

borsa,

quando

sente

un’improvvisa colata di liquido

gelido

scenderle

lungo

un

polpaccio.

Si gira di scatto e a poco più di

mezzo metro da terra incontra due

occhietti furbi che la guardano con

innocenza e poi, poco più sotto,

una manina pa uta che impugna

un cono spiaccicato, esibito come

un trofeo.

È Sara, la glia di Marcella

Facchini, una vecchia amica di

Linda. Insieme hanno fatto le

elementari, poi le medie, sempre

come compagne di banco. Poi

Linda ha scelto il liceo classico e

Marcella il linguistico, e così le loro

strade hanno iniziato un po’ alla

volta a dividersi, ma la loro

amicizia è sempre rimasta solida,

sopravvivendo al tempo e alle

diversità sempre più evidenti delle

loro vite.

«’Cusa» dice Sara, la voce

a ranta e gli occhi neri liquidi che

intenerirebbero un boia sul

patibolo. Ha solo tre anni e sa già

ngere con impeccabile abilità

attoriale.

Linda abbassa lo sguardo sui suoi

jeggings: un’enorme macchia rosa

le imbratta il polpaccio destro, e ha

l’inconfondibile

consistenza

appiccicosa del gelato alla fragola.

Si sforza di dissimulare l’irritazione

che in un attimo le è montata

dentro, ma non ci riesce benissimo.

Uno a zero per Sara.

Poi osserva la bambina, quel suo

viso tondo e simpatico. «Non fa

niente» dice. Sorride, la contrattura

rabbiosa che stava per deformarle i

lineamenti si scioglie lasciando il

posto a un’espressione dolce. Si

abbassa e prende la piccola per le

guance. «Vieni qua, piccola peste, e

dammi un bacino!»

Sara, che ha un brillìo

improvviso negli occhi, esegue con

slancio, e di bacini gliene stampa

tre di fila.

«Bravo mostricino» dice Linda,

pizzicandole di nuovo una guancia,

«la tua mamma dov’è?»

Non fa in tempo a nire la frase

che alle spalle della piccola spunta

la sua gura sinuosa strizzata in un

abito al ginocchio di seta azzurrina,

i capelli raccolti in un’elegante

coda. «Saraaa! Cos’hai combinato?»

strilla Marcella, desolata. «Chiedi

subito scusa!»

Linda sta per dirle che lo ha già

fatto, ma ormai Marcella è partita.

«Quando arriviamo a casa, fai i

conti con papà!» Ha un tono

leggermente minaccioso, ma si

capisce da come guarda sua glia

che in realtà è la mamma più

buona del mondo e sta solo

cercando di fare la dura. Fa nta di

dare a Sara una pacca sul culetto,

mentre con l’altra mano culla nel

passeggino la sua seconda belva

travestita da angelo, Francesco,

l’ultimo arrivato, e insieme accosta

il viso a quello di Linda per

baciarla.

«Tesoro, scusami.» Marcella

scuote la testa e abbassa gli occhi

sulle due creature. «A volte sono

insopportabili!» Ondeggia un po’

sui sandali in tessuto blu con zeppa

di corda e poi le sussurra,

all’orecchio: «E io vorrei tanto

scappare da sola su un’isola

deserta…».

Linda alza le spalle e le fa un

sorriso solidale. La capisce eccome:

lei non saprebbe come fare a

gestirne uno, figuriamoci due.

«Come stai?» le chiede Marcella.

«Bene, direi proprio di sì»

risponde convinta. Si allontana di

un passo dal tavolo della

compagnia. «E tu?»

«Solito.» Sorride, ma è un sorriso

smorzato, il suo. «Dovevo prendere

a Umberto il dopobarba all’acqua

di mirto, ce l’hanno solo da

Glamour. E allora ne ho

appro ttato per fare due passi, ma

con questi due qui» guarda i gli

amorevole e insieme esaurita «è

praticamente un’impresa anche

solo uscire di casa!» Lo dice con

enfasi, scuotendo la testa e facendo

dondolare

furiosamente

gli

orecchini a goccia di perla che

indossa.

L’Umberto

che

usa

quel

so sticato dopobarba è il marito e

fa il dentista, professione che ha

ereditato dal padre, lo stimatissimo

dottor Alfredo Zonta. A uno

sguardo super ciale, Marcella

sembrerebbe il tipo di donna agli

antipodi rispetto a Linda: regina

del focolare, madre premurosa,

moglie perfetta – in simbiosi con il

suo adorato marito – manager

organizzatissima di una casa che

dirige

con

rigore

svizzero,

impegnata in parrocchia e, se

questo non bastasse, sempre

impeccabile nella mise, messa in

piega scolpita e trucco senza una

sbavatura. Ma sotto questa spessa

patina di signora perbene, ha

sempre battuto un cuore un po’

spavaldo, un carattere coriaceo

che, con la maternità, ha dovuto

smussare parecchi spigoli.

«Allora, sei danzata?» È la

seconda domanda che Marcella le

fa sempre dopo il “come stai”,

davvero solo un intercalare.

«Per niente.» Linda fa no con la

testa, tutta soddisfatta. E Marcella,

come sempre, mette su quella

faccia di compatimento (ma forse

anche di invidia latente), come se

essere libera fosse una temibile

malattia contagiosa. È il loro saluto

di rito.

C’è da dire che Linda non si è

mai sentita veramente tagliata per

la vita di famiglia: se n’è andata di

casa subito dopo il liceo, senza

strappi né particolare nostalgia dei

genitori. E nemmeno il matrimonio

è mai rientrato tra le sue priorità.

Uno dei pochi ragazzi con cui ha

avuto una relazione stabile, Dario –

all’epoca direttore di una liale di

Veneto Banca – le aveva fatto la

proposta, con tanto di Chopard in

oro bianco. Stavano insieme da un

paio d’anni, quasi un record per

lei, e lui era praticamente l’uomo

ideale:

intelligente,

brillante,

sensibile,

a ascinante

e,

soprattutto, innamorato. Sarebbe

stato la gioia dei suoi e anche della

sorella Alberta. Non la sua, però, e

non aveva avuto dubbi quel giorno.

Così, al fatidico «Vuoi sposarmi?»,

Linda lo aveva lasciato in grande

stile, restituendogli l’anello e due

anni di illusioni, consapevole della

riprovazione di tutti e di non avere

forti argomentazioni dalla propria

parte. La sera stessa, dopo essersi

tolta di dosso quello che ormai le

sembrava sempre più un cappio al

collo, si era sentita nalmente

libera: in pace con se stessa e

assolta dalla grande bugia di un

sentimento ormai svanito.

Negli anni successivi, quando

tutte le sue amiche avevano

iniziato a sposarsi e a sfornare

bambini, Linda si era chiesta molto

spesso se le scelte che una persona

fa nella vita siano davvero libere, o

piuttosto dettate da concatenazioni

di eventi a senso unico. Marcella e

Umberto, per esempio, sembrano

felici nella loro solida unione

coniugale. E lei non sa se invidiarli

o no. Quello che sa per certo è che

non si sente ancora pronta per un

passo del genere. O forse,

semplicemente, non ha trovato la

persona giusta con cui farlo.

«Arriverà anche per te quello che

ti mette il guinzaglio, tesoro… stai

pronta, e spera di avere l’intimo

combinato, quel giorno» continua

Marcella, e le strizza l’occhio.

«Chissà…» dice Linda, poco

interessata. Si mordicchia la

pellicina intorno a un gra o che si

è fatta sulla mano. Poi si guarda

intorno, oltre il perimetro del

tavolo, come fiutando l’aria.

«Aspetti qualcuno?» le chiede

Marcella, muovendo su e giù il

passeggino per tenere buono

Francesco mentre Sara sta

tentando di farle a brandelli la

sottoveste del vestito in seta.

«Sì, sto aspettando Alessandro»

risponde Linda.

«Ma dài… è tornato?»

«Sì.»

Marcella sorride, ammiccante.

«Quindi siete sempre amici voi

due?»

«Sì, proprio così. Siamo sempre

amici» conferma Linda, che non ha

intenzione

di

cogliere

la

provocazione.

«Certo. E quindi non state ins…»

Marcella vorrebbe approfondire,

ma Sara la tira con insistenza per il

anco. «Mammaaa, ancoa gelato!»

strilla, piagnucolosa.

«Sara, amore, non vedi che sto

parlando con zia Linda?!» cerca di

zittirla Marcella, ma senza risultati.

La piccola continua a frignare.

Per fortuna, a sottrarre Linda

dall’impaccio arriva Alessandro, un

Robinson Crusoe in camicia

spiegazzata e pantaloni strappati

naufragato per sbaglio in una

piazza del Nordest. A tracolla ha

una delle sue Re ex, forse più per

abitudine che per vezzo. Lancia

un’occhiata calorosa a Linda e,

spendendosi in saluti e pacche sulle

spalle, si unisce alla comitiva.

Un po’ perché ha la netta

sensazione di essere di troppo e un

po’ perché colta da un improvviso

attacco di responsabilità coniugale,

Marcella si congeda da Linda con

due baci. «Adesso devo scappare,

tesoro. Umberto sarà già a casa e a

quest’ora avrà chiamato la

polizia… Devo preparare la cena.»

«Non farti segregare di nuovo,

Marce, mi raccomando… Mi ha

fatto tanto piacere vederti.» Linda

la stringe in un abbraccio. «E

vedere anche loro.» Dà un bu etto

sulla spalla a Sara.

«Già, dovremmo davvero trovarci

più spesso. Lo diciamo sempre, ma

poi…» È evidente: mollerebbe le

due angeliche creature al primo

passante disponibile pur di

fermarsi a quel tavolo a ubriacarsi

– cosa che non le capita dai tempi

del liceo – o se non altro a bere

no a ricordarsi di nuovo cosa

signi chi essere brilli senza

pensieri.

Dopo che Marcella se n’è andata,

Linda torna a immergersi nel clima

euforico

della

compagnia.

Alessandro sta raccontando del suo

ultimo reportage in Vietnam: tutti

lo ascoltano in silenzio, solo

Valentina resta concentrata sul suo

iPad, immersa tra le pagine di tutte

le testate sportive che conosce.

«Stai preparando la puntata di

domani?» chiede Linda, che non

l’ha mai vista così ansiosa.

«Sì. Sono letteralmente nella

merda» risponde Valentina, le

pupille dilatate. «In studio abbiamo

un ospite importante, l’allenatore

del Vicenza, bisogna fargli la

scheda di presentazione. In più c’è

da fare lo speciale sul Giro d’Italia,

e Zanolin, quel de ciente del mio

direttore, dato che manca la

stagista,

mi

ha

detto

di

arrangiarmi. Pensa tu» spiega

senza neanche prendersi un

secondo per ri atare. «Proprio io,

guarda, che di ciclismo non ne so

niente. Che poi, fossero almeno

interessanti, ’sti ciclisti. Niente,

sono uno più brutto dell’altro. Che

palle!» Sbu a, si passa una mano

tra i capelli, nervosa. «Comunque

io gliel’ho detto a Zanolin che non

si può continuare così. O mi

procura un’assistente seria, o io me

ne vado.»

«E dove te ne andresti, per

curiosità?» A Linda viene un po’ da

ridere.

«A Milano» risponde Valentina,

con una prontezza eccessiva.

«Perché io» si punta l’indice al

petto, «potevo avercelo il posto in

Mediaset!» Fa un sospiro. «Sono

stata proprio una cretina a mollare

Luca.»

«No, cara, se permetti, hai fatto

una delle cose più sensate della tua

vita» replica Linda. «Quel tipo era

un laido.»

Valentina nge di non aver

sentito. Guarda il cielo, come

assorta in un ricordo. «All’epoca si

arrabattava

ancora

tra

un

programma e l’altro, era solo un

quadro… ma adesso, accidenti, è

diventato direttore di rete!» Torna

a ssare Linda. «Potevo esserci io

al posto della cubana idiota che

non sa spiccicare una parola

d’italiano.»

«Appunto» ribatte Linda. «La

Perez non è stata messa lì per

parlare.»

«Be’, all’occorrenza so anche

stare zitta, sai?»

«Dubito…» Linda scuote la testa.

«Ma non è questo il punto.»

«E quale sarebbe?»

«Lo sai anche tu» dice, cercando

di riportarla alla realtà. «Il punto è

che quella, oltre a essere di una

bellezza da togliere il ato, è stata

scelta per due precise ragioni

anatomiche…»

«E allora? Non mi pare di essere

messa così male.» Valentina

abbassa lo sguardo sul suo seno,

strizzato in un top di almeno una

taglia più piccola del dovuto.

A farle crollare del tutto le

quotazioni del momento ci pensa

Ra aele, che s’intromette nella

conversazione con più strafottenza

del solito. «Vale, devi venire da me

un giorno. Te lo faccio vedere io

come sono fatte, le tette della

Perez: ho 250 prototipi in

ambulatorio. Vedrai che qualcosa

riusciamo a fare…»

«Che orrore!» Valentina fa una

smor a. «Non mi farei toccare da

te neanche da morta.»

«Ragazzi, vi prego, parliamo di

cose serie» interviene Carlo, che ha

appena concluso un estenuante

scambio di battute su WhatsApp

con una delle sue tipe. «Stasera c’è

un festone a Jesolo. Andiamo a

mangiare il pesce e poi si fa

nottata al Vanilla Club?»

«Io ci starei anche, ci

scapperebbe un salutino a Spiller,

ma non ce la faccio» dice

Valentina,

con

studiata

noncuranza.

«Ma chi? Il deejay?» chiede

Linda, maliziosa. «Mmm, carino

lui…»

«Già…» Valentina risponde con

una strizzata d’occhio.

«Io invece avrei altri programmi»

dice

Alessandro,

piazzandosi

accanto a Linda e sferrandole un

pizzicotto sul anco senza farsi

vedere. Lei si gira di scatto e lo

ssa, prima infastidita, un secondo

dopo complice.

«Sì, vabbè, voi due dovete

andare a imboscarvi» se ne esce

Salvo, con una risata fuori luogo.

Gli sguardi di tutti per un istante lo

fulminano ma subito dopo tornano

a convergere su Carlo, che sta

raccontando

una

storia

improbabile sulla ragazza che lo

stressa al telefono. Solo Linda lo

ssa ancora, e sta per replicare

qualcosa quando Valentina, di

punto in bianco, alza i tacchi e fa

per andarsene.

«Bene. Scappo a preparare ’ste

cazzo di schede per la diretta di

domani. Alla prossima, ragazzi.»

Dal modo in cui lo dice è sottinteso

che ha altri programmi per la

serata, forse il cestista americano

con cui è uscita la settimana prima.

«E quindi? Voi due che fate?»

domanda Carlo ad Alessandro e

Linda.

I due si guardano e Linda, un po’

spaesata, gli chiede: «Noi due che

facciamo?».

Lui coglie al volo l’occhiata di lei

e si a retta a rispondere:

«Facciamo che tu mi dài un

passaggio a casa. Domattina mi

devo svegliare alle quattro, c’è la

luce migliore. Devo fotografare una

modella sul greto del Piave».

«Però» dice Linda, con una

neanche troppo sottile venatura di

gelosia.

«Grande, Ale!» lo incita Carlo,

alzandosi. «E la tipa com’è?»

«Valida.» Alessandro si accarezza

il mento, evasivo. «È molto valida,

ma non è roba per te.»

«Allora, forza, muoviamoci da

qui.» Ra aele tira Carlo per un

braccio. Anche Salvo è in piedi,

adesso. «A Jesolo si va con la mia,

ho appena fatto il pieno al

Cayenne.»

«Il solito sborone» commenta

Linda e bacia Ra aele sulla

guancia. «Ragazzi, divertitevi!»

«Anche voi!» fanno eco i tre, e se

ne vanno ridacchiando.

Quando arrivano alla spider,

parcheggiata in divieto di sosta in

un vicolo dietro la piazza,

Alessandro è smanioso di tenere

quel volante tra le mani: ama la

macchina di Linda, ed è davvero

troppo tempo che non la guida.

«Dammi le chiavi, dài.» Fa segno

a Linda di passargliele. «Guido io.»

«Cosa?» si scandalizza lei. «Non

se ne parla nemmeno. Non hai più

la mano.»

«Avanti, non fare storie» la

incalza lui. «Non ti fidi più?»

«Senti, con la tua Mini ci fai

quello che vuoi, ma il mio

gioiellino è un’altra cosa… e poi

con tutto il tempo che passi

all’estero senza guidare, secondo

me non sei più capace…»

Alessandro la inchioda con uno

sguardo che non ammette risposte

negative, non sa se ha voglia di

ridere. È un tipo un po’ sanguigno,

e quando lei fa la stronza, ci mette

poco a uscire di testa.

«E va bene. Non squadrarmi così

però!»

«Vado piano, ok?» si addolcisce

lui a quel punto.

«Tieni.» Linda gli lancia le

chiavi. «Secondo me non ti ricordi

neanche come si fa a mettere in

moto» dice con un sorrisetto

sarcastico.

Alessandro si mette al volante,

piede sinistro sulla frizione. Mette

in prima, gira la chiave con forza,

ma l’auto non parte. E già sente

una rabbia fastidiosa montargli

nello stomaco.

«Da’ un colpetto all’acceleratore»

lo istruisce Linda. «Non è come le

altre, la mia!» Sembra irritata.

«Bionda, stai calmina, eh…» Lui

non ha mai imparato a prendere

ordini da altri.

«Sennò cosa mi fai?» lo provoca.

«Questo ti faccio.» Alessandro le

punzecchia un anco con le dita,

sapendo bene quanto le dia fastidio

il solletico, e senza accorgersene

urta con il gomito contro lo

sportellino del cruscotto, che si

apre a metà lasciando fuoriuscire il

sacchetto con l’erba.

Alessandro

lo

guarda

compiaciuto. «Da dove diavolo

arriva quella roba?» Poi accende

finalmente il motore.

«Me l’ha lasciata lì Max, quando

ho portato la spider in officina.»

«Grandissimo Max. È sempre il

migliore.»

«Concordo.»

«Hai voglia?»

«Secondo te?»

«Allora andiamo a fumarcela alle

grotte.» Preme sull’acceleratore e

sgomma verso la statale.

Dopo un tratto di autostrada e

diversi chilometri di campi e

colline, arrivano a Fregona. La

spider attraversa il centro, deserto,

e s’inerpica su per una stradina

tortuosa, che sembra condurre alla

ne del mondo. Superato un ponte

in

muratura,

Alessandro

parcheggia in uno slargo sterrato a

lato della carreggiata. Spegne il

motore e si stiracchia il collo e la

schiena. Poi prende l’erba dal

cruscotto e con una certa destrezza

si mette a rollare la canna.

Linda scende dall’auto, inspira

l’aria tiepida della notte, guarda in

alto, il cielo ormai di un buio pesto

punteggiato di stelle che sembrano

moltiplicarsi davanti ai suoi occhi,

e subito dopo guarda in basso,

l’acqua del torrente che scorre

vorticosa nella forra producendo

borbottii profondi, quasi mistici.

«È sempre così speciale, qui» dice

a mezza voce. «E poi è incredibile,

un posto così, un Grand Canyon in

miniatura, proprio tra queste

colline.»

Alessandro arriva alle sue spalle,

la prende per una mano. «Forza,

scendiamo alle grotte.»

«Ok. Solo fino alla prima, però.»

«Cos’è? Hai paura di fare la

passerella sospesa di notte?»

«Certo che no» risponde lei,

piccata. Ma sta già pensando che

con le scarpe che indossa non sarà

di certo la cosa più semplice del

mondo.

Scendono per un largo sentiero

illuminato ai lati da potenti fasci di

luce blu, no a percorrere un tratto

appena sopra al torrente. Il rumore

dell’acqua s’incontra con quello

della terra, copre il so o del

vento, che porta con sé l’odore di

argilla e di muschio, di vapori e di

piante selvatiche. La luce della

luna scontorna i rami dei salici,

attraversa i ciuffi del canneto.

Camminano anco a anco.

Alessandro

sembra

rilassato,

tenerla per mano gli provoca una

specie di vibrazione, lo aiuta a

muoversi più leggero. Anche per

Linda è così, si sente attraversata

da una sorta di calore quasi

elettrico, come capita sempre

quando stanno troppo vicini.

All’improvviso, davanti a loro si

staglia un ampio portale in roccia

viva, l’accesso alla prima grotta, in

cui una serie di massi inclinati

sostengono strati su strati di pietra

millenaria. Alessandro e Linda si

spingono fino al parapetto in legno

sopra il torrente: da lì si scorge la

seconda grotta, dove le acque

precipitano in numerose cascate

alte parecchi metri, con alla base

grandi marmitte. Alessandro si

china a raccogliere un sasso piatto,

lo tira in acqua: rimbalza una

decina di volte giù per la corrente.

Lo faceva da ragazzino, e non ha

perso l’abitudine.

Poi indietreggiano no all’arco

di roccia ed entrano nella prima

cavità. Ed è come trovarsi al centro

della terra. I rumori esterni sono

tutti annullati e lo spazio sembra

vuoto e in nitamente pieno

insieme. Alcune gocce d’acqua

cadono dal so tto di roccia,

producendo una musica metallica,

mentre una flebile luce rossa si alza

dal suolo e proietta la sua ombra

sulle stalagmiti dalle forme più

varie.

«Mettiamoci

qui»

dice

Alessandro.

Linda fa sì con la testa, e si siede

con lui sul letto di roccia che si

eleva tra due colonne di arenaria.

I l loro letto: è qui che lei ha fatto

per la prima volta l’amore. Con lui.

Ed è qui che si sono incontrati per

la prima volta. A pensarci bene,

tutto è cominciato in questo posto.

Nessuno dei due lo sapeva, ma

entrambi avevano eletto proprio le

grotte a loro rifugio segreto: Linda

per

scappare

dai

genitori,

apprensivi e parecchio invadenti

negli anni dell’adolescenza più

strafottente, e Alessandro per

andare a scattare, a inventarsi le

prime inquadrature, quelle che

hanno fatto di lui il fotografo

curioso e perfezionista che è

diventato. Quel luogo nascosto e

mozza ato, immerso in una luce

surreale ma anche custode di

oscurità quasi spaventose, era

magico. E magico è rimasto anche

ora, pensa Linda.

Le viene da sorridere ripensando

a quel giorno, al loro primo

“scontro”. Perché di quello si era

trattato, a tutti gli e etti. Sdraiata

su un telo nella penombra della

prima grotta, tutta intenta a

sfogliare una rivista di design che

le aveva prestato lo zio Giorgio,

era stata praticamente calpestata

da Alessandro, che era entrato

nella

caverna

camminando

all’indietro, l’occhio nell’obiettivo

della sua prima Re ex. Lei,

sovrappensiero, aveva gridato

terrorizzata, poi aveva alzato lo

sguardo e aveva incrociato quello

di lui. Senza dire una parola si

erano subito scambiati un sorriso e

avevano cominciato a parlare.

Lei lo conosceva di vista, quel

ragazzo dal viso a lato e dai ricci

scapigliati: a scuola frequentavano

compagnie diverse, lui aveva fama

di ribelle (i genitori separati gli

concedevano una libertà che ai

coetanei era sconosciuta) e si

diceva addirittura che la polizia

l’avesse beccato una volta a rubare.

Quel giorno Linda aveva scoperto

qual era stato l’oggetto del furto –

una

macchina

fotogra ca,

ovviamente – e aveva deciso che

sarebbero diventati amici.

Lei aveva quindici anni. Lui

diciotto. E da quel momento, così

era stato. Un legame fortissimo che

l’anno dopo li aveva uniti con una

forza che nessuno dei due avrebbe

mai immaginato.

Da qualche settimana Linda

stava con un ventenne, Roberto,

ma si erano limitati a scambiarsi

qualche bacio infuocato e alcune

carezze che le sembravano spinte

ai limiti del proibito. Sapeva che di

lì a poco sarebbero andati oltre, ma

voleva arrivare pronta alla sua

prima volta. Così aveva chiesto

aiuto ad Alessandro, e lui l’aveva

portata in questo luogo incantato

per farle scoprire cosa c’era in

quell’ oltre che le faceva tanta

paura.

Alessandro aveva pensato a

tutto,

persino

alla

musica,

recuperando da un amico uno di

quegli stereo che si usavano in

spiaggia. Ci aveva messo la

cassetta dei Guns N’ Roses con

Don’t Cry: la caverna avrebbe fatto

da ampli catore naturale. E poi

aveva riempito lo zaino di candele,

che aveva acceso nella grotta a

formare un cerchio di luce intorno

al letto di pietra. C’erano gli stessi

rumori, odori, colori di adesso. Era

estate, una di quelle sere calde

dove tutto sembra possibile, e

Linda era terrorizzata: riusciva a

sentire solo quel brivido eccitante

di paura tra stomaco e cuore.

Eppure lo voleva. Il desiderio era

lì, forte e disobbediente, e lei era

pronta a far esplodere quel corpo

di donna sbocciato da un giorno

all’altro.

«Se sto per fare qualcosa che non

vuoi, dimmelo ora» le aveva

sussurrato Alessandro, facendola

sedere sulle sue ginocchia.

Lei aveva annuito, poi piano

piano si era lasciata andare,

abbandonandosi a lui.

Alessandro,

baciandole

la

schiena, si era sbottonato i jeans e

con gesto deciso le aveva s lato la

canottiera blu. Si erano ritrovati

seminudi, lei accartocciata come

una foglia su di lui, seduta sulle sue

gambe muscolose. Non le aveva

tolto gli slip. L’aveva inumidita

piano, spingendo delicatamente

con un dito, con in nita dolcezza.

Muoveva la mano come se avesse

paura di rompere un ore di

cristallo.

Lei

non

poteva

immaginare no a che punto si

sarebbe spinto; a un tratto aveva

sentito un pizzico, qualcosa

a ondare. Era solo un dito, non

pensava potesse bastare a spezzare

il con ne tra ciò che era e ciò che

non sarebbe più stata.

Poi Alessandro le aveva s lato

gli slip, l’aveva fatta sdraiare a

terra, sopra una coperta, e l’aveva

penetrata piano, scivolando dentro

di lei già umida di piacere. Le

gocce cadevano sulla voce di Axl

Rose, mescolandosi al rumore della

corrente. Poesia, ovunque. Si

sarebbe potuta dire qualunque

cosa, di quel loro momento, ma

non che non ci fosse stato amore.

Era troppo presto però perché

entrambi, ognuno impegnato nelle

piccole grandi battaglie di quegli

anni, potessero ammetterlo a loro

stessi. Si erano donati piacere,

fregandosene dei divieti e delle

regole, di dove sarebbero andati a

nire, ed era stato incredibile.

Quella notte li aveva legati

de nitivamente.

Nella

trasgressione ma anche nella

tenerezza di due cuori che da allora

in avanti si sarebbero sempre

cercati.

«A te l’onore del primo tiro.»

Alessandro la riporta alla realtà,

in landole la canna tra le labbra

socchiuse.

Linda ha un’espressione stranita,

il ritorno al presente è stato un po’

brutale.

«A cosa stavi pensando?» le

chiede Alessandro, che si è accorto

del

suo

cambiamento

di

espressione.

Linda cerca una frase da dire ma

non le viene: ha troppe sensazioni

dentro, non le sa decifrare. «A

niente» risponde alla fine.

Alessandro accende, Linda aspira

una prima boccata, poi gli passa la

canna. Lo guarda e pensa che è

bello stare insieme, in questa notte

di velluto, che promette tante cose.

È bello, anche quando stanno in

silenzio. Perché con lui si sente a

casa.

9

Gola

Sta camminando avanti e

indietro sotto il portico della villa,

a lato dell’ingresso principale. È un

mattino perfetto: il cielo limpido,

l’aria asciutta, calda e trasparente,

una lieve brezza che spettina le

chiome delle betulle e dei faggi

rossi nel parco. I vestiti che indossa

s’intonano alla bellezza assoluta di

quello scenario: camicia bianca

aperta al secondo bottone con le

maniche rimboccate in tre piccoli

risvolti

regolari

a

metà

avambraccio, pantaloni di lino

écru,

mocassini

in

pelle

scamosciata. Ha un modo elegante

di bilanciarsi sulle gambe, di girare

sui talloni quando arriva al muro

perimetrale per poi tornare

indietro. I suoi movimenti sono il

ri esso

visibile

della

sua

personalità: perché Tommaso è un

uomo di classe, padrone del suo

mondo, forte di un autocontrollo

quasi magnetico che suscita in

chiunque

ducia,

calma

e

approvazione.

Però, da quando è rientrato in

Italia e il suo incarico al consolato

di Abu Dhabi è stato a dato a

Fabrizio Stucchi – uno che a parer

suo non ci ha mai capito molto di

diritto internazionale – Tommaso

Belli non è calmo proprio per

nulla. Il suo profondo senso di

responsabilità non gli dà tregua. Il

fatto è che ogni successione di

mandato

si

presenta

sistematicamente

come

un

problema. Tommaso era già in

Veneto quando Stucchi si è

insediato, quindi in teoria dovrebbe

essere fuori dal pasticcio che il

nuovo agente diplomatico ha

combinato

al

momento

dell’insediamento. Peccato che non

riesca comunque a mettersi il cuore

in pace, perché Stucchi l’ha fatta

davvero grossa: un terribile

misunderstanding con l’ad della

National Bank of Abu Dhabi. È

abbastanza certo che entro qualche

giorno sarà tutto sistemato, ma non

riesce ad allontanare il pensiero

che questo episodio spiacevole

possa avere ripercussioni sulla sua

immacolata carriera, considerando

la gura meschina che il Ministero

sta facendo a livello mediatico.

La testa carica di pensieri cupi,

Tommaso ha bisogno di sentire

qualcosa di familiare. D’istinto si

porta il polso sotto il naso e inspira

l’eau de parfum Jubilation XXV di

Amouage che si è spruzzato questa

mattina dopo la doccia: cannella e

davana indiana, un aroma intenso

e inconfondibile. Il suo preferito.

Poi osserva il giardino. È

soddisfatto del lavoro, è stata

un’idea

geniale

aggiungere

all’aiuola centrale delle rose Fairy

Queen e altre della varietà

Polianta, la più amata da sua

madre.

Vedere i boccioli di quel ore gli

provoca un piccolo smottamento

interiore, e non può fare a meno di

pensare a lei, Erminia, una donna

minuta, dal carattere forte ed

energico ma insieme così fragile,

delicato: proprio come quella rosa,

che è sempre stata la sua passione.

Senza Erminia lui non sarebbe mai

diventato l’uomo che è; senza il suo

modello di tenacia e sacri cio – e

con suo padre così centrato sul

lavoro e maldestro nella gestione

delle

in nite

amanti

che

periodicamente venivano a turbare

il loro equilibrio familiare –

Tommaso sarebbe stato uno

sbandato.

Quando un refolo di vento gli

porta il profumo della Polianta, il

ricordo improvviso di Erminia che

si prendeva cura dei ori nella

serra della villa di famiglia

attraversa la sua mente. Con le sue

mani piccole e nervose sapeva fare

miracoli, ed erano quelli i soli

momenti in cui lui si ricorda di

averla vista serena: per il resto, il

tempo della madre, glia di nobili

veneti

decaduti

e

sposata

giovanissima a un imprenditore di

belle speranze, era sempre

trascorso nella monotonia delle sue

giornate di ricca moglie senza

un’occupazione prima, e di madre

iperprotettiva poi. Se si escludono i

pianti e le scenate in cui sfogava le

delusioni dei continui tradimenti

del marito.

Per qualche istante Tommaso si

blocca, smette di camminare: non

riesce a fermare il corso dei ricordi.

E ora si trova a rivivere il giorno in

cui, a diciott’anni, Erminia se n’è

andata per sempre. È stato allora

che ha deciso: non avrebbe so erto

come lei. Non sarebbe mai dipeso

emotivamente da nessuno, avrebbe

evitato il dolore del cuore. E lo

avrebbe fatto con l’unica arma che

gli sembrava possibile: il controllo

totale dei sentimenti. Così aveva

scelto di nascondere il lato più

debole e passionale di sé, evitando

gli scontri che per tutta l’infanzia

aveva

vissuto

indirettamente

attraverso le liti tra mamma e

papà. E con quella decisione,

rendere la sua innata abilità

diplomatica una professione era

stato un passo breve.

Una noti ca dell’iPhone e

Tommaso ritorna al presente:

estrae dalla tasca dei pantaloni il

telefono e controlla la posta

elettronica. Legge in fretta la mail

del consolato, ma sembra che la

situazione sia stabile. Non sa

ancora dove sarà la prossima

missione, ma spera tanto che gli

permetta di restare in Europa. A

volte gli manca terribilmente. Poi

appoggia il telefono sul tavolino

rotondo in ferro battuto, incrocia le

mani dietro la testa, fa due tre

essioni laterali. Espira quando

arriva al limite sinistro, inspira

quando torna al centro, espira

quando arriva al limite destro. La

simmetria è fondamentale, insieme

alla regolarità della cadenza e al

ritmo della respirazione. Il vero

motivo per cui ha cominciato a fare

il suo lavoro, prima ancora dei

guadagni stellari, è proprio il suo

prepotente bisogno di equilibrio e

mediazione. Ogni disarmonia lo ha

sempre disturbato, n da bambino:

dal giocattolo rotto al disordine in

una stanza no alla relazione

sbagliata tra lui e una donna o tra

due Stati. Ha avuto n da piccolo

una naturale inclinazione a

riparare, razionalizzare, mediare.

Alla quarta inspirazione non

resiste più, è più forte di lui.

Chiama Julius Schwartz, il suo

assistente dal primo mandato a

Berlino. Lui saprà dirgli qualcosa di

più sull’ affaire Emirati.

Schwartz risponde al quinto

squillo. «Mi dica, signor Belli»

esordisce, come se fosse lui in

attesa di notizie e non viceversa.

«Sei tu che mi devi dire, Julius.»

Tommaso ha un tono freddo,

perentorio. Il loro è un rapporto

gerarchico strettamente funzionale,

in cui i ruoli sono ben chiari.

«Niente di nuovo. È tutto

stabile.» Nonostante sia in Italia da

quando ha dieci anni, Julius ha un

accento che rimarca le sue origini

bavaresi: non è mai riuscito a

liberarsene.

«Al contrario» replica Tommaso,

«mi sembra chiaro che l’assenza di

sviluppi accentui l’instabilità della

situazione.»

«Sono in contatto costante con

Pisanò e con la Pedroni, come

d’accordo» si a retta a speci care

Julius. «Non è uscito niente, né

sulle agenzie stampa, né sui canali

riservati.»

«E Pisanò cosa dice?»

«Di avere pazienza, mantenere le

posizioni.»

«Il fatto è che non stanno

mantenendo

proprio

nessuna

posizione» osserva Tommaso,

contrariato.

«Hanno

fatto

esattamente il contrario. Mettere

Fabrizio Stucchi su un elicottero

militare e farlo espatriare come un

ricercato è stata in assoluto la

soluzione

più

vile

e

controproducente,

ai

limiti

dell’illegalità.» Tommaso prova un

certo fastidio all’idea di dover

dipendere da un uomo mediocre

come Guglielmo Pisanò. Se lo

immagina in questo momento,

barricato nel suo u cio alla

Farnesina, sprofondato in una

poltrona girevole, la batteria di

telefoni sulla scrivania, a dibattersi

in considerazioni stupide, estranee

a ogni logica diplomatica e anche

solo di buon senso.

«Era l’unica opzione ragionevole,

signor Belli.» Julius vorrebbe

rassicurarlo. «Stucchi non poteva

restare ad Abu Dhabi in attesa

della tempesta, ammesso che

arrivi.»

«Arriverà, se non fanno nulla per

fermarla.»

«L’u cio legale sta facendo il

possibile in quel senso. E

comunque, se posso avanzare un

mio personalissimo consiglio, lei

non dovrebbe preoccuparsene, dato

che è del tutto estraneo alla

faccenda.»

«D’accordo, Julius» conclude

nervoso Tommaso. «Ora ti devo

lasciare, ma tu continua a tenermi

informato.»

«Certo. Sarà fatto.»

Tommaso mette giù, poi guarda

la Duetto rossa entrare dal

cancello, percorrere il viale

sterrato e inchiodare con una

frenata secca accanto alla sua

Jaguar XK cabrio.

Linda scende e gli va incontro a

passi veloci. Indossa un mini abito

a grandi pois bianchi e neri dal

taglio asimmetrico, scarpe basse in

vernice nera; con la destra tiene la

valigetta da lavoro verde uo da

cui sbucano alcuni fogli posizionati

in verticale in modo caotico.

Mentre cammina in fretta verso di

lui, qualche foglio le scappa via

dalla borsa e lei si gira di scatto,

chinandosi a raccoglierlo con un

gesto atletico, incurante dello

sguardo che Tommaso non riesce a

staccarle di dosso e che indugia un

attimo di troppo sulla curva del suo

sedere. Quando si rialza, come se

nulla fosse, ha un’espressione felice

e convinta, di una che ha voglia di

strappare ogni istante un sorriso al

mondo. Al progetto Belli ha

lavorato giorno e notte, s dando la

resistenza

e

lo

scetticismo

dell’architetto Bosi, che invece di

incoraggiarla l’ha ostacolata con

continue

critiche

e

sadici

avvertimenti. Per non parlare dei

colleghi – Alice sempre più per da

e Ludovico, che ormai non le

rivolge nemmeno più la parola –

che non hanno fatto altro che

metterle i bastoni tra le ruote

anziché collaborare, ognuno ha

forzato la mano con le proprie

competenze speci che. Ma Linda

non ha mollato. Crede troppo in

questo progetto; è una s da più

grande di lei e ha un unico scopo:

vincerla.

Per realizzare i disegni ha

cercato di interpretare i desideri di

Tommaso (un po’ meno quelli della

sua compagna Nadine, più

indecifrabile), capire quale stile

fosse più vicino a lui, trasferendo

su carta una realtà immaginata che

presto, si augura, assumerà una

forma concreta. Sarebbe stato

troppo scontato realizzare una villa

dichiaratamente

classica,

con

mobili e oggetti che si limitassero a

raccontare i fasti del patriziato

veneziano, quello opulento che

d’estate abbandonava i palazzi sul

Canal Grande per rifugiarsi nel

lusso sfrenato delle dimore di

terraferma. Linda ha preferito

seguire un’altra strada, più di cile

ma

anche

più

intrigante,

richiamando atmosfere evocative

ma non esplicite e banali.

«Benvenuta.» Tommaso le stringe

la mano.

«Scusa il ritardo. Mi aspetti da

molto?»

«No,

gurati. Sono appena

arrivato anch’io.» Sta mentendo,

non le farebbe mai notare che è in

difetto.

«Ah, meno male» sospira lei, che

invece è una ritardataria cronica e

sa quanto questo possa infastidire

gli altri.

«Possiamo accomodarci qui sotto

il portico, la giornata è splendida.»

Tommaso le sposta una sedia per

invitarla a prendere posto.

«Certo.» Linda si siede, appoggia

la valigetta a terra ed estrae un

fascicolo, due cataloghi e alcuni

fogli sparsi. Socchiude gli occhi,

come per lasciarsi sfiorare dal sole.

«Già, l’ideale sarebbe un po’ di

relax in piscina…» Tommaso

sposta lo sguardo verso il retro

giardino, «ma dobbiamo aspettare

che sia pronta.»

Lei lo ignora, è tutta concentrata

sul fascicolo che ha già aperto alla

prima pagina.

«Sono davvero molto curioso.»

Tommaso s’inclina sul tavolo e

sbircia i fogli.

È arrivato il momento: Linda sa

che si sta giocando tutto in questi

minuti, anzi, in questi secondi

cruciali. Ci ha lavorato giorno e

notte a quei disegni, ci ha messo il

meglio di sé: fantasia, impegno,

coraggio. È molto soddisfatta del

risultato,

ma

adesso

deve

convincere lui. Perché, purtroppo,

è sempre il cliente ad avere

l’ultima parola.

«Dunque» si schiarisce la voce,

«premetto che per formazione

personale il mio lavoro parte

sempre dal confronto con il luogo e

con chi lo vive. Ma non scarto mai

a priori una soluzione che

rappresenti

una

rottura

di

concetto.» Si sposta da un lato la

morbida ciocca bionda che le ricade

sulla fronte. «Anzi, a dirla tutta le

rotture sono proprio il mio forte.

Quando sento l’esigenza di una

strada nuova, diversa, inizio a

cercarla proprio tra gli elementi

contraddittori, che poi provo a

fondere tra loro in un insieme

armonico.

Come

in

questo

progetto, in cui ho detto sì a un

gusto contemporaneo, ma a un

contemporaneo che rimanga ben

innestato nella tradizione.»

«Interessante.» Tommaso non si

sbilancia.

Linda si accontenta per ora di

aver acceso la sua attenzione. È

solida e pronta, in questo

momento, tono da professionista

a dabile e occhi da gatta che s da

il mondo. «Una villa palladiana si

presta a un linguaggio classico ma

rigoroso, senza orpelli: sono quelli

che ti aspetti, e quindi sono di

troppo.» Fa una pausa studiata.

«Un

linguaggio

nel

quale

prevalgano

colori

pastello,

contrastati da inserti di rosso e

nero primari.» Sfoglia il fascicolo

no alla sezione dei disegni. Li

mostra a Tommaso.

«Un vestibolo sgombro e

strutturato, un semplice piano

d’appoggio,

una

lampada

veneziana calata dall’alto so tto

no a toccare la linea del

pavimento» spiega, percorrendo il

foglio con l’indice laccato di rosso.

«La zona giorno divisa in spazio

living e spazio biblioteca. Una

divaneria importante in pelle, una

libreria in legno ricercato a tutta

parete, una poltrona di lettura che

crei uno stacco cromatico, so ci

tappeti, arazzi alle pareti.» Ogni

tanto prende ato e gira pagina.

«Tavolo rotondo nel bay window

che si relaziona esternamente con

lo spazio piscina del giardino sul

retro e funge da elemento cerniera

con lo spazio cucina, ampie vetrate

che portano negli interni luce e

colori della natura. Un angolo

cottura con dettagli estremamente

contemporanei per il freddo, i

fuochi, il lavello; piani top in

Corian, che si confrontano con il

calore dell’ambiente.» Non smette

di parlare. È un fiume in piena. «La

zona notte è un incrocio tra

minimale e barocco. Per la camera

padronale ho pensato a un’alcova

in cuoio o in pelle, il bagno privato

con vasca a lo pavimento, cabina

armadio adiacente. Nei bagni di

servizio

sposerei

rivestimenti

marmorei e lavelli art déco a

materiali hi-tech. Poi, disimpegni

vuoti a valorizzare l’architettura

dell’edi cio. Nel corridoio, due

armadi a muro ricavati in nicchia e

qualche mobile d’antiquariato,

Settecento

veneziano.

Esili

tendaggi trasparenti su serramenti

lignei. Rigorosamente bianchi,

ovvio.» Poi si ferma, e lo guarda

dritto negli occhi.

«E, in ne…» gira l’ultimo foglio,

sicura dell’e etto che otterrà. «Il

giardino d’inverno. All’ultimo

piano, nel vecchio magazzino

abbandonato. Struttura di legno,

so tti e pareti di vetro. Il luogo

perfetto per coltivare la tua

passione botanica.»

Tommaso non ha detto una

parola no a questo momento. Si è

limitato a scorrere i disegni con

espressione impenetrabile e ad

ascoltarla. Adesso prende quello

del giardino tra le mani e lo

osserva. A Linda sembra di vedere

una scintilla nei suoi occhi di un

blu glaciale.

«Allora, che ne dici?» lo incalza.

Quel

silenzio

la

turba

profondamente. Non lo sa gestire.

Lui solleva lo sguardo su di lei,

grave: «Dico che è proprio questo,

quello che volevo. Da te non mi

aspettavo niente di meno. Il

progetto è approvato. Per intero».

Scandisce bene l’ultima parola.

Linda è alle stelle. Vorrebbe

saltargli addosso per la felicità, ma

qualcosa le dice che Tommaso non

la prenderebbe bene, e quindi si

trattiene, con uno sforzo quasi

mostruoso.

«Ottimo» si limita a dire. «Quindi

sono riuscita a stupirti.»

Lui sorride,

nalmente. «Un

giardino d’inverno. Molto ru ana

come idea, ma ha funzionato.»

Lei sorride di rimando. Lo

sapeva, era il suo asso nella

manica.

«L’incarico è tuo. Dirò ai miei

avvocati di chiudere il contratto

con Bosi domani stesso.»

«Non abbiamo discusso del

budget

totale

per

arredi,

pavimenti, luci…» cerca di

concludere lei, pratica, indicando

l’ultima pagina del fascicolo.

«Non m’interessa. Mostra il

preventivo dettagliato ai miei

collaboratori. Approveranno loro

senza

problemi»

risponde

Tommaso. L’ennesima conferma: i

soldi sono la sua ultima

preoccupazione.

«Un’altra cosa…» prosegue Linda

estraendo dalla borsa un catalogo

che posa sul tavolo accanto al

fascicolo del progetto. «Per la

realizzazione del giardino ho

pensato di a darmi a Giorgio

Ottaviani, mio zio. È un artigiano

incredibile e scrupolosissimo, lo

conoscono tutti qui in zona.» Gli

passa il volume. «Qui puoi vedere

alcuni dei lavori che ha fatto.»

Tommaso inizia a sfogliarlo,

so ermandosi su qualche pagina.

Ha un’espressione compiaciuta.

«Molto originale» commenta.

Linda vorrebbe dire molto di più,

ma poi pensa che non è il caso di

esporsi troppo.

«Fa tutto da solo?» domanda

Tommaso.

«Di solito sì. Quando si tratta di

produrre esemplari unici, è meglio

creare in solitudine.» Poi prosegue,

quasi di getto: «Non c’è niente di

peggio delle interferenze esterne,

quando uno sa fare bene il proprio

mestiere». Sta pensando ai

Grimani, la sua spina nel fianco.

Tommaso richiude il catalogo, lo

appoggia sul tavolino e la guarda

come

se

avesse

capito

perfettamente.

«Da me avrai sempre carta

bianca, Linda. Ti chiedo solo di

rispettare i tempi, per il resto mi

do. Ti ho già vista arrabbiata e

non

ci

tengo

a

rivivere

l’esperienza.» Lo dice con il viso

serio, senza ombra d’ironia.

Linda invece accenna un sorriso,

per sdrammatizzare. «Sarà fatto

tutto nei tempi stabiliti, nché sarò

io a dirigere i lavori. Puoi starne

certo.»

Tommaso le stringe la mano, un

po’ più forte di prima.

«A presto, allora» lo saluta lei.

«A presto.»

Tommaso la osserva mentre

raggiunge la Duetto, facendo

oscillare la valigetta verde uo

come un nastro, con un passo da

bambina a cui hanno appena

comprato il giocattolo dei sogni.

Sorride soddisfatto, ma è un sorriso

intimo, che non esternerebbe per

nulla al mondo, e pensa che ha

fatto proprio bene a scegliere lei.

Solo quando si rimette in

macchina, appena fuori dalla villa,

Linda

inizia

davvero

a

metabolizzare quanto le è appena

successo. Scivola giù per le colline

a velocità folle, e poi continua a

sfrecciare tra i campi di mais della

pianura. Come in una camera di

decompressione senza coperchio,

ride e urla di gioia, dando

nalmente sfogo a tutta l’esultanza

trattenuta fino a quel momento.

«Sì, cazzo! Vai, vai, vai!»

Picchietta le dita sul volante della

spider. «Quarantamila euro tiro su

stavolta, tutti per me!» Pompa al

massimo il volume della vecchia

autoradio e canta a squarciagola

sopra The Final Countdown degli

Europe, alzando entrambe le

braccia al cielo nel rettilineo.

Un

contadino

che

sta

raddrizzando una riga di pomodori

solleva la testa a guardarla,

allibito, come se avesse visto un

ufo. Per tutta risposta, lei dà una

strombazzata di clacson e urla

«Yuhuuu!»

agitandosi

come

un’ossessa,

«quarantamilaaa!».

Finalmente potrà riparare il tetto

della Casa Azzurra e fare tutti quei

lavoretti che rimandava da una

vita… e magari farsi pure un bel

viaggio a Bali.

A un tratto sente una goccia sul

braccio nudo e si accorge che nel

frattempo il cielo si è coperto di

nuvole grigie, ma manca poco per

arrivare a casa. Invece, neanche un

chilometro ed è costretta a fermarsi

per abbassare la capote della

spider. In un attimo si è scatenato

un inferno di pioggia, ma

nonostante ciò l’entusiasmo di

Linda non si spegne.

Anche se già s’immagina che a

casa starà succedendo il solito

disastro: la pioggia starà battendo

sulle tegole del tetto e sui vetri

delle nestre del salotto, colerà

lungo l’angolo di muro ormai senza

intonaco, s’in ltrerà nei piccoli

buchi aperti che nessuno stucco ha

saputo chiudere e gocciolerà sul

pavimento appena pulito. Ma ora

non le importa. Ora non le viene

da maledire come sempre tutti gli

dei del cielo e della terra.

Quando arriva alla Casa Azzurra,

apre la porta con un sorriso largo

stampato sul viso, mette un secchio

sotto la perdita più grande e si

siede in poltrona a osservare la

pioggia che ci cade dentro con quel

rumore fastidioso. Che presto, se

tutto va bene, non sarà più

costretta a sentire.

Nei giorni successivi alla chiusura

del contratto, Linda si avventura in

una folle corsa a ostacoli tra negozi

d’antichità,

atelier

d’arredo,

rivendite di materiali di lusso,

showroom

e

mercatini

d’antiquariato. Tommaso, come

preannunciato, non le ha fatto

problemi di budget, e quindi si può

permettere di acquistare tutto

quello che ha sempre sognato.

Finalmente può saziare la fame di

bellezza che, come ogni suo

appetito,

è

praticamente

inesauribile.

I posti che le danno più

soddisfazione sono i negozi

d’antiquariato. Un giorno ha

perlustrato

mezzo

Triveneto,

passando

ore

tra

bronzi

rinascimentali, stipi barocchi,

argenterie di Augsburg, busti e

mosaici, vetri, favolose specchiere

settecentesche veneziane e raccolte

di smalti Limoges. Ventimila euro

si sono volatilizzati per acquistare

tre pezzi della biblioteca – una

lampada in vetro di Murano, una

poltrona con nitura in gomma

lacca, una dormeuse stile Impero,

in legno nito a foglia d’argento.

Prima di concludere il giro,

dall’ultimo negozio si è portata via

a un prezzo folle uno splendido

vaso in cristallo di Lalique.

Ma è stato solo l’inizio. Per la

sala da pranzo ha scelto lampadari

e candelabri di Baccarat; per il

salotto due poltrone Roche Bobois

vestite da Jean Paul Gaultier,

abbinate a un lampadario in ferro,

cristallo

di

Boemia,

strass

Swarovski e porcellana. Il pezzo

forte, però, è stato Kalì, un

complemento d’arredo che ha fatto

la gioia di Tommaso; è un mobile

multifunzione, realizzato in cedro

spagnolo: nella parte centrale è

una vetrina per sigari, con tanto di

umidi catore

dinamico,

climatizzatore a celle Peltier e

illuminazione a led. Una volta

aperto svela una sezione bar, le

quattro ante battenti laterali sono

predisposte con ripiani studiati per

contenere

bottiglie.

L’ultima

sorpresa si nasconde nella parte

inferiore,

dove

è

possibile

installare una cassaforte.

Era sicura che a Tommaso

sarebbe piaciuto.

Ci sta mettendo tutta se stessa

per realizzare al meglio il progetto,

ed è costantemente alla ricerca

dell’idea nuova, dei volumi giusti,

dell’accostamento

inedito

dei

materiali per creare forme che,

fondendo innovazione e tradizione,

esprimano al pieno eleganza,

creatività e libertà.

Nel frattempo, Giorgio è stato

assunto da un Tommaso entusiasta,

e ha già dato avvio ai lavori del

giardino d’inverno. Un giorno,

mentre è all’opera, incontra per la

prima volta Nadine, e l’impressione

che ne ha è quella di una dea

orientale, strizzata in un abito

bianco elegantissimo dal severo

taglio occidentale. Lui, invece, in

tenuta da combattimento sembra

un incrocio tra un naufrago e un

profugo: gli zoccoli di cuoio ai

piedi, la camicia a quadri aperta

sul torso nudo, le braghe di tela

stinta, la barba di una settimana e

i capelli da tagliare.

Lavora di sega, seghetto, sgorbia,

scalpello e mazzuolo per preparare

i pezzi. Non usa quasi mai viti né

giunti di metallo per le sue

creazioni, cerca di ridurre al

minimo indispensabile anche la

colla. Gli piace giuntare legno con

legno, usando a seconda dei casi le

varie tecniche di spinatura,

incastro a dentelli, a L, a coda di

rondine. Procedere così richiede più

tempo e uno studio attento dei

singoli pezzi, ma è l’unico modo

per ottenere risultati omogenei.

Ogni volta che gli capita di vedere

mobili in legno avvitato, o

addirittura inchiodato in malo

modo, prova un senso di

tradimento, come di fronte a una

profanazione. Per non parlare

della tristezza che gli suscitano i

truciolati,

i

laminati,

gli

impiallacciati con PVC. Le ragioni

non sono solo estetiche o

funzionali, ma anche spirituali: è

convinto che ogni pezzo di legno

abbia un carattere, un’anima, una

memoria dell’albero che è stato.

Bisogna

comprendere

e

interpretare le sue irregolarità, i

nodi, la porosità e la densità, il

suono che produce quando lo

tocchi, il colore, il peso, la

essibilità, l’odore. Solo così quel

legno collaborerà con il falegname,

gli suggerirà forme, asseconderà la

propria funzione. Ci vuole estremo

rispetto, quando si lavora il legno:

Giorgio non ha dubbi a riguardo, e

vorrebbe che tutti lo capissero.

Nadine

sembra

invece

lontanissima da queste alte

considerazioni loso che quando

lo saluta. «Buongiorno. Lei

dovrebbe essere il falegname,

giusto?» Lo richiama con la sua

voce che trasuda naturale grandeur.

Giorgio si volta. «Piacere, sono

Nadine, la compagna del signor

Belli.»

«Ah,

buongiorno.

Piacere.»

Giorgio fa per darle la mano

imbrattata di polvere e cera, ma

Nadine si ritrae.

Più che un falegname, le sembra

uno strano personaggio da circo, e

dentro di sé si sta chiedendo per

quale motivo Tommaso si sia

a dato a un soggetto del genere.

«Mi assicura che questa struttura

sarà solida?» gli chiede sondandolo

con occhi preoccupati.

«Certo.»

Giorgio

vorrebbe

rassicurarla. «Si di, signora. È in

buone mani.»

«Lo spero.» La dea fa un sospiro

e se ne va.

Scendendo al piano inferiore,

sente Linda che sta urlando a uno

dei montatori in cucina: «Sen-za

chio-di! Ma come cazzo devo

dirtelo?!».

Nadine prova un brivido di

fastidio per quell’uscita sgarbata, e

pensa che non riuscirebbe mai a

formulare un ordine così duro e

perentorio: si farebbe inibire dalla

cortesia formale che ha regolato da

sempre i rapporti con gli altri nella

sua vita. Si rende conto che n da

piccola ha lavorato per sfumare i

propri impulsi vitali, più o meno

passionali, e si chiede se questo

dipenda dal fatto di essere donna o

dal suo temperamento, dalla sua

rigida educazione famigliare. E

mentre ri ette, si domanda per la

prima volta se le piaccia questo

lato di sé o se invece ne sia

esasperata, se lo abbia accentuato

da quando accanto a lei c’è

Tommaso. Che è come lei. Più o

meno.

I giorni passano, l’estate vera sta

per arrivare, e Linda continua a

dirigere i lavori con piglio sicuro.

Tra una lite e l’altra.

Quasi si stesse lentamente

alzando un sipario, col tempo

davanti ai suoi occhi prendono vita

manufatti diversi, vengono disposti

negli ambienti mobili dallo spirito

contraddittorio, che pur nella

varietà degli stili dialogano in

modo armonico. Nella villa il

Barocco

conversa

con

il

Modernismo

e

l’arte

contemporanea, gli oggetti non

sono più cose morte, appartenenti

al passato, ma inserite in quel

contesto tornano a vivere,

diventando parte del presente.

Così, il sofà di Le Corbusier

nell’anticamera, tradizionalmente

in cuoio nero, con un nuovo

rivestimento in raso verde

smeraldo acquista una nuova luce,

e lo specchio del Seicento in

cornice dorata, collocato sopra una

consolle di acciaio inossidabile, ha

un riflesso quasi avanguardistico.

A volte Linda fa compagnia allo

zio e non si tira indietro se serve

dargli una mano. Quando poi

Giorgio

nisce di montare la

struttura del giardino, Nadine

rimane a bocca aperta. Per una

volta è costretta a ritornare sui

propri passi, ad abbandonare i

preconcetti che l’avevano spinta a

guardare quell’uomo con occhi

sbagliati, fermi alla super cie delle

cose.

I lavori alla villa l’hanno

assorbita completamente. Tanto

che, nel caos delle ultime

settimane, non ha più visto né

sentito Alessandro. Lui le ha scritto

varie volte, invitandola a uscire,

ma lei ha sempre detto di no,

rinunciando per no al consueto

ritrovo del venerdì in piazza con la

compagnia.

Stamattina, verso mezzogiorno –

l’ora in cui di solito si sveglia il

sabato – Alessandro le ha mandato

uno dei suoi tipici sms provocatori:

O sei diventata una stachanovista delcazzo,

o questo Tommaso ti ha fatto unincantesimo.

Linda non ha risposto. Le è

venuto un po’ da ridere per il

linguaggio diretto di Alessandro e,

forse, per l’intuizione che ha avuto.

Che nell’ultimo periodo lo abbia

trascurato è incontestabile: una

mancanza a cui ha assoluta voglia

di rimediare.

Per questo ora sta andando dal

suo amico, con due birre in mano e

un’immensa voglia di abbracciarlo.

Non l’ha avvertito, vuole fargli una

sorpresa. Tanto è sicura che alle tre

di sabato pomeriggio Alessandro

può essere soltanto in un luogo: sul

divano a purgare le tossine

alcoliche della notte prima.

Parcheggia la spider nello

spiazzo di fronte al casale giallo.

Un esercito di gatti, vedendola

arrivare, si disperde un po’ sul tetto

un po’ tra i vitigni lì intorno.

Suona alla porta, ma nessuno si

a accia ad aprirle. Pigia di nuovo

il campanello con più convinzione.

«Aleee! Apri, sono io!» si mette a

urlare.

Qualche istante dopo, Alessandro

compare sulla porta: infradito,

petto nudo, i capelli spettinati più

del solito e la cerniera dei

pantaloni aperta, che lascia

intravedere i boxer blu notte. «Ohi,

Linda, sei tu? Ma sei matta a

suonare così forte?»

«Che accoglienza, eh…» Linda gli

tocca il petto con il collo di una

Heineken.

«Scusa, è che sono un po’…»

Alessandro si gratta la testa.

«Lo credo! Scommetto che hai

fatto l’alba anche stanotte…»

ammicca Linda.

«No.» Alessandro si passa una

mano sul volto. «È che non ti

aspettavo…

adesso.»

Ha

un’espressione strana, sembra non

volerla lasciare entrare.

«Vabbè, era per farti una

sorpresa.» Linda gli si avvicina, lui

arretra a fatica. «Dài che ci

facciamo due birre.»

«Veramente…» Alessandro si

volta verso il soggiorno.

Poi, all’improvviso, da un punto

inde nito della casa arriva una

voce femminile. «Ale, ma chi è?»

«Oh, cazzo, scusami! Non avevo

capito… che idiota!» dice Linda. Ed

è come se l’avessero appena

schia eggiata in pieno viso. Era la

voce di Valentina, pensa, e per

giunta mezza ubriaca o strafatta di

qualcosa. E il suo pensiero trova

sostanza in quello che i suoi occhi

non possono fare a meno di notare

nel soggiorno: la maglietta con

paillettes abbandonata sul divano,

la stessa che le ha visto addosso la

sera della sua festa di compleanno

al Movida.

Alessandro non sa cosa dire,

l’imbarazzo è palpabile.

«Oddio, perdonami, non avrei

dovuto piombare qui così» farfuglia

Linda, gli mette in mano le due

birre, poi arretra con uno scatto.

«Ma no, aspetta un attimo.»

Alessandro vorrebbe trattenerla.

«Scusami tanto.» È morti cata.

«Ci sentiamo un’altra volta, ok?

Ciao ciao.» Si gira senza lasciargli

il tempo di rispondere e va di corsa

alla macchina.

Alessandro rimane lì sulla porta.

Non trova la forza per rientrare in

casa da Valentina, ma nemmeno

per rincorrere Linda.

Che gura di merda, che gura

di merda, che gura di merda!, si

ripete Linda. Poi sale sulla spider e

sgomma via come una pazza, senza

meta e senza riguardo per i limiti

di velocità. Alza al massimo il

volume dell’autoradio e, mentre

sfreccia sulla strada, si racconta

che dovrebbe essere solo contenta

se Ale frequenta Valentina,

contenta per entrambi: sono suoi

amici. Non ha senso rimanerci

male, proprio nessun senso. E

soprattutto, quel fastidio che sente

alla bocca dello stomaco è solo un

po’ d’imbarazzo e non gelosia.

Senza nemmeno rendersene

conto si ritrova sulla strada che

porta alla villa di Tommaso. Ed è

quasi naturale imboccare il

vialetto.

Percorre la scalinata d’ingresso a

passi rapidi ed entra in casa. L’aria

sa ancora troppo di vernici e

collanti, di lavori appena niti o in

corso, malgrado le nestre aperte.

Linda ne prende una boccata

piena, attraversa il grande salone

centrale e raggiunge la sala della

biblioteca. Fa un giro su se stessa,

lo

sguardo

le

cade

sull’assemblaggio di assi grezze che

servirà a completare la libreria a

parete. Vedendo gli strumenti da

lavoro sul pavimento, d’istinto le

viene voglia di far qualcosa.

Magari così riuscirà a sfogare quel

veleno sottile che le è entrato nel

sangue.

Scaglia la borsa in un angolo, si

china e a erra da terra una delle

raspe. Poi prende un’asse, la mette

sul tavolo da lavoro e inizia a

levigare, come più volte ha visto

fare a suo zio. Tiene la raspa con

mano ferma, la passa sul legno con

movimenti lunghi ed energici.

Sbozza, sgrossa, raschia; piccoli

trucioli di legno cadono a terra

come briciole. Inizia a sudare, le

guance le si colorano di rosso. Si

leva la camicia, la getta sulla

borsa, rimane in canotta e shorts.

Alcune gocce di sudore le scendono

dalla fronte; altre dal collo si

annidano nell’incavo del seno. Ma

Linda non sente la stanchezza,

continua a fregare il legno come in

trance.

Non sa che dalla porta alle sue

spalle Tommaso la sta osservando

da un po’. Che fosse una donna di

carattere, l’aveva capito subito, ma

non pensava no a questo punto.

Vederla così concentrata a fare un

lavoro che non dovrebbe essere il

suo, un lavoro da uomini, gli crea

uno strano rallentamento interiore.

Un istinto viscerale lo spingerebbe

ad a errarla dalle spalle e

stringerla

con

forza.

Ma,

ovviamente, lo mette a tacere nel

momento stesso in cui lo avverte.

Linda prende l’asse e si avvicina

alla struttura sulla parete. Si butta

a terra per avere un ancoraggio

migliore e, indietreggiando con la

testa come farebbe un meccanico

sotto un’auto, prova a inserire il

pezzo nei tasselli appositi. Fa forza

con le braccia, spinge con i muscoli

delle gambe, piantandosi sulle

sneakers, socchiude gli occhi e

stringe

le

mascelle

tutta

concentrata, ma il pezzo non vuole

saperne di entrare.

«Merda.» Gon a le guance e

sbu a. «Bisogna passarlo con la

carta abrasiva.» A volte è questione

di una frazione di millimetro

perché gli incastri riescano, pensa,

accorgendosi che sta parlando da

sola, come fa spesso quando

lavora. È mentre sta per alzarsi che

avverte una presenza nella stanza.

«Non immaginavo sapessi fare

questo genere di cose» dice

Tommaso quando Linda si alza da

terra e si gira incredula a

osservarlo. Ha uno sguardo

affascinato.

Linda si pulisce gli shorts

passandosi la mano sul sedere.

Anche se non vuole ammetterlo, è

visibilmente imbarazzata. «È stato

lo zio a insegnarmi» spiega, il ato

corto per la fatica.

«Vedo che ci stavi prendendo

gusto.» Sorride con gli occhi e fa

due passi verso di lei.

«Sai, ogni tanto mi piace usare le

mani, non solo la testa.»

«Anche a me.» Tommaso respira

a pochi centimetri dal volto di lei.

Può sentire il calore che il suo

corpo sudato emana.

Linda lo guarda negli occhi per

un istante. Non li aveva mai visti

così da vicino: sono blu, ma hanno

un centro nero che quasi la

ipnotizza.

Tommaso le passa due dita tra i

capelli, le toglie un truciolo di

legno rimasto imprigionato in una

ciocca e lo getta a terra.

«Grazie.» Lei si asciuga il sudore

dalla fronte. «Sono proprio un

disastro.»

«No. A atto.» Tommaso si sposta

di lato e nel farlo la s ora con un

braccio.

Linda ha un brivido lungo il lato

sinistro del corpo: la attraversa

tutta e aumenta il suo calore

interno. Non se lo spiega, ma è

così. Elettricità con Lord Perfection.

Chi l’avrebbe mai detto.

All’improvviso si sente un

rumore di tacchi provenire

dall’anticamera. E una voce,

inconfondibile, che rimbomba tra

le pareti appena intonacate: « Mon

amour, dove sei?».

Tommaso si volta nella direzione

di quella voce, ma non si muove.

«C’è anche Nadine?» chiede

Linda.

Lui sembra più deluso che

sorpreso per quell’interruzione. O

forse Linda se lo sta solo

immaginando. Perché è quello che

vuole credere.

«Sì, passavamo di qua con una

coppia di amici e abbiamo pensato

di mostrare loro la villa» spiega

Tommaso.

Con un tempismo impeccabile,

come ogni suo gesto, Nadine

compare sulla soglia della stanza,

perfetta in tutto. A giudicare dal

colore del vestito Armani che

indossa, deve avere la ssa del

bianco: è questo il primo pensiero

che ha Linda nel vederla. Lei, al

confronto, sembra una ragazzina

tutta arcobaleno scappata di casa

per andare a un rave.

«Buongiorno,

Linda.

Non

immaginavo fossi qui.»

«Ciao.» Linda stira le labbra in

un sorriso forzato. «In e etti è un

fuori programma.»

Nadine lancia un’occhiata sbieca

a Tommaso. «François e Julie

hanno il volo per Parigi tra due

ore. Dobbiamo andare.»

«Certo.» Tommaso si allontana

verso la porta.

Linda nge di sistemare l’asse sul

tavolo da lavoro, ma lo sguardo

viaggia inevitabilmente in un’altra

direzione.

Nadine e Tommaso restano fermi

per qualche secondo, senza dirsi

niente e senza neanche guardarsi

in modo diretto: Nadine raccoglie

solo segnali marginali, ma che le

sembra gridino come veri e propri

manifesti. Poi va verso Linda e la

saluta con un cenno della testa.

La notte Tommaso fatica a

addormentarsi: continua a rigirarsi

nel letto. Gli passano in testa

alcune immagini di Linda nella

villa: lei che scende dalla Duetto,

che cammina, smeriglia il legno, si

abbassa, poi si volta e lo guarda.

Sono istantanee che gli sono

rimaste impresse nella memoria,

vivide e tridimensionali. Riesce

quasi a intravedere le sue forme

sotto i vestiti, a sentire il suo

leggero odore orito. E non va

bene, non va per niente bene, per

uno che ha un disperato bisogno di

dormire, e deve farlo accanto a

un’altra donna.

Quella domenica mattina, Linda

va al mercato dell’antiquariato di

Asolo, uno dei più famosi della

zona. Di solito riesce sempre a

scovare qualche pezzo interessante.

E poi ne vale la pena anche solo

per immergersi nell’atmosfera di

quel borgo arroccato sui colli che è

un trionfo di arte, fascino e colore.

È quasi mezzogiorno, il sole di

ne giugno picchia sui tetti dei

palazzi, la luce ri essa crea una

sottile pellicola bianca intorno alle

mura che si diramano dall’antica

Rocca. Linda passeggia lungo le

viuzze ciottolate del centro storico,

tra un’in nità di mobili, oggetti

d’altri tempi, gioielli antichi,

pergamene e stampe d’epoca.

Curiosando qua e là, i suoi occhi si

so ermano senza un motivo su un

quadro privo di cornice, esposto su

un treppiede a lato di una

bancarella. Linda si blocca e non

può fare a meno di ssarlo, come

rapita da una forza aliena, più

grande di lei. La tela è un quadrato

di circa un metro per un metro, e il

fascino

del

soggetto

è

straordinario: sette muse di una

bellezza

sublime,

nude

e

incatenate, compaiono al cospetto

di Minosse, il feroce giudice

dell’ Inferno nella Divina Commedia

di

Dante.

Sotto

ciascuna,

un’iscrizione latina in eleganti

caratteri rossi graziati: superbia, ira,

luxuria, avaricia, invidia, gula, acidia.

Linda resta incantata. «È

meraviglioso» si trova a dire a voce

alta, ma sta di nuovo parlando da

sola. I sette vizi capitali come non

le era mai capitato di vedere

rappresentati. Quel quadro deve

essere suo. Ha già in mente il posto

preciso dove collocarlo nella villa:

la nicchia nel corridoio del piano

notte.

«Bello, no?» interviene il

venditore da dietro la bancarella.

«È un olio su tela di un pittore

locale del XVII secolo» spiega, con

un certo orgoglio.

«A quanto lo vende?» domanda

Linda.

«Settemila.»

«Ma è una follia!» Linda scrolla

la testa, e la massa di ricci biondi

ondeggia, disordinata e leonina.

«Signorina, le assicuro che questo

quadro li vale tutti» ribatte il

venditore.

«Lo

stato

di

conservazione è praticamente

perfetto. Guardi la grana del

colore. E poi il tratto: è chiaro che

l’autore discende dalla scuola di

Giorgione.»

«Anche in caso fossi davvero

interessata, non le darei più di

cinquemila» dice Linda, piantata

sui solidi polpacci.

«Non se ne parla, al massimo

potrei farle seimila e cinque»

riprende il rigattiere. «E sarebbe

uno sconto non da poco!»

Inizia così una contrattazione

selvaggia che Linda gestisce con la

determinazione di un’ambulante

nata e cresciuta in un suk, mentre

il venditore difende la sua

posizione con ostinazione mulina.

Dopo mezz’ora di rimpalli e

traccheggi, non c’è verso di farlo

scendere sotto la soglia dei seimila

e trecento euro. Ormai non è più

una questione di budget, perché i

soldi ci sarebbero: è diventata una

questione di principio, una s da

tra lei e questo tizio con le guance

arrossate e un dente d’oro.

«Vabbè, se le cose stanno

davvero così, chiudiamola qui. Io

me ne vado» sbotta Linda alla ne.

«Mi ha proprio stancata.»

Gira i tacchi e scompare dietro la

piazzetta, pensando di tornare più

tardi per spuntarla, come fa

sempre quando si tratta di

concludere a ari di questo genere.

Ne appro tta per farsi un giro tra i

negozi di Asolo e un’oretta dopo

torna sui suoi passi.

Quando arriva alla bancarella, la

tela non c’è più e si trova a ssare

il venditore con occhi interrogativi.

«E il quadro?»

«Venduto!» Il rigattiere allarga le

braccia, fa un ghigno soddisfatto, il

dente d’oro che luccica ai raggi del

sole.

«Come sarebbe a dire, venduto?»

Linda è furiosa.

«L’ho comprato io» dice una voce

alle sue spalle.

Linda si volta. «Tu?!»

Di fronte a lei c’è Tommaso, in

jeans, polo azzurra e scarpe

sportive.

«Sì, proprio io.» Tommaso ride.

«Questa sì che è bella…» Linda

ha un’espressione incredula e un

po’ infastidita. «E io che volevo

prenderlo per la tua villa!»

«Non immaginavo che fossimo in

competizione. L’ho visto e mi è

piaciuto.»

«E quanto l’avresti pagato?

Sentiamo.» Linda arretra dalla

bancarella, lanciando un’occhiata

torva al venditore.

«Settemila.»

«Bravo! Ma complimenti… Lo sai

che ti sei fatto fregare?»

«Non m’importa. Ne è valsa la

pena.»

«Non è così che funziona» sbu a

Linda. «Se mi avessi lasciato fare,

sarei riuscita a spuntarla!» Alza le

spalle e spinge in avanti la testa,

sembra un ariete in posizione da

combattimento: come ogni volta

che sta per fare guerra.

«Oh, andiamo, Linda…» Quella

sua sicità aggressiva gli comunica

una strana miscela di simpatia e

preoccupazione. «Ti ho messo a

disposizione

un

budget

considerevole. Che senso ha stare

qui a contrattare? Peraltro sono

convinto che il quadro quei soldi li

valga tutti.»

Linda lo sonda con sguardo

torvo: sta valutando se dargli

ragione o no.

Lui sorride, divertito. «Che ne

dici se t’invito a pranzo?»

Linda rotea gli occhi, ma sa

benissimo che in fondo vuole

soltanto dirgli di sì.

«Dài, ti porto al ristorante di

Villa Cipriani.» La prende a

braccetto. «Il proprietario è un mio

vecchio amico.»

«E va bene» dice, come se gli

stesse

facendo

una

gentile

concessione. E intanto si gode il

contatto di lui, i muscoli di quelle

braccia addestrate che premono

contro la sua pelle tesa.

Pochi minuti dopo stanno

sorseggiando un Bellini sulla

magni ca terrazza di Villa

Cipriani. È un luogo unico, con una

vista mozza ato sull’intera vallata

asolana: il panorama che si ha da

qui non conosce paragoni.

Tommaso è riuscito a farsi dare il

tavolo migliore. Si respira una

calma assoluta di fronte a quella

bellezza declinata in forme pure, i

colori del paesaggio tolgono il

ato. E all’ombra della veranda, il

caldo faticoso di quel giugno si

stempera in un tepore piacevole.

Linda ha lo sguardo sognante e i

sensi appagati, e non può evitare

che si veda da fuori.

«A cosa pensi?» le chiede

Tommaso.

«Penso a come doveva essere qui

quando ci viveva Caterina

Cornaro, la regina di Cipro.»

Solleva lo sguardo verso il castello

rinascimentale. «O quando ci

veniva Eleonora Duse, l’amante di

D’Annunzio.»

Non è esattamente il primo

pensiero che ha avuto, ma non è il

caso di esplicitarlo. Quanto meno,

non ora.

«Non credo sia cambiato molto.

Asolo è sempre stata e sempre sarà

un rifugio perfetto per il corpo e

per lo spirito» risponde Tommaso,

l’aria di chi conosce bene il posto.

«Può cambiare la forma, ma

l’anima di un luogo rimane

immutata nel tempo.»

Linda, appesa alle parole di lui,

assume

per

un

attimo

un’espressione

ingenua,

involontariamente erotica: labbra

carnose dischiuse, occhi verdi persi

in quelli blu di Tommaso. «Tu sei di

queste parti, vero?»

«Ci sono nato, anche se per la

maggior parte della mia vita ho

vissuto all’estero. Mio padre era un

diplomatico…

tradizione

di

famiglia.»

Il maître, seguito da un

cameriere con il secchiello del

ghiaccio, porta al tavolo una

bottiglia di Soave Classico. Aspetta

che l’altro sistemi il secchiello nel

support de seau e se ne vada, poi

stappa, con una combinazione di

disinvoltura e competenza. Versa

un dito di vino nel bicchiere di

Tommaso, si ritrae di mezzo passo,

tiene la bottiglia inclinata in bella

mostra.

Tommaso fa ruotare lievemente

il calice tenendolo per lo stelo, lo

accosta al naso, prende un piccolo

sorso, se lo fa girare in bocca, poi

deglutisce. «Ottimo» è il responso.

Il maître riempie a metà il calice

di Linda, solo dopo quello di

Tommaso, avvolge la bottiglia nel

tovagliolo, la sistema nel secchiello

del ghiaccio e si ritira con un

mezzo inchino.

Una volta soli, Tommaso e Linda

avvicinano i loro bicchieri in un

piccolo brindisi, bevono, sorridono.

Ordinano un risotto all’asolana

con germogli di ortica e come

secondo una tartare di salmone

affumicato con gelato all’avocado.

Linda divora letteralmente ogni

portata: ha un appetito smodato,

sta dando il meglio di sé. E poi

l’alcol accentua la sua esuberanza

naturale, spingendola a fare facce

e gesti bu mentre parla.

Tommaso la studia curioso e

divertito, mentre un’idea sta

prendendo corpo nella sua mente.

«I lavori alla villa stanno

procedendo alla grande, non

credi?» se ne viene fuori Linda a un

tratto.

Tommaso elude la domanda.

Sbilanciarsi non è da lui, e

risponde con un’altra domanda:

«Quanto tempo credi che ci vorrà

perché siano finiti?».

«Mah, direi più o meno un

mese.»

«Speravo meno.»

«Impossibile, se vuoi che sia tutto

perfetto. Perché a te piacciono le

cose perfette, non è così?»

«Stai facendo un grande sforzo di

supervisione. Ho visto come fai

rigare dritto gli operai.» Di nuovo

lui svicola, non coglie la

provocazione.

Lei non ha voglia di farglielo

notare, è troppo euforica, e quindi

sorride: dopo tutto, il complimento

le fa piacere. «Con me lo sanno che

non possono scherzare troppo.»

Tommaso non riesce a staccarle

gli occhi di dosso. Le labbra di

Linda sprigionano una sensualità

naturale,

una

femminilità

primordiale: non riesce bene a

decifrare quanto lei ne sia

inconsapevole e quanto la usi come

arma di seduzione. Avrebbe voglia

di morderle.

Il cameriere porta i due dessert:

tiramisù con foglia d’oro e gelatina

di champagne per Tommaso,

pavlove al cioccolato bianco con

frutti di bosco per Linda.

«Si capisce subito che hai un

caratterino…» Tommaso la sta

apertamente stuzzicando, ora.

Linda alza le spalle, è contenta

che stia abboccando al suo amo. «È

quello che mi dicono.»

«E perché?» la incalza lui.

Linda si sente come bruciare il

lato della faccia che lui sta

osservando. «Perché sono troppo

testarda, troppo critica, troppo

attenta

ai

dettagli,

troppo

irrequieta. Parlo troppo, leggo

troppo, ho troppe opinioni, a volte

confuse e in contraddizione tra

loro. Basta così? Ah, e poi sto

sempre sveglia no a troppo

tardi.»

«Esattamente quanto tardi?» le

chiede Tommaso.

«Dipende»

ammicca

Linda.

«Finché c’è qualcosa da leggere, da

pensare… o da fare.» Prende una

cucchiaiata di dessert e se la caccia

in bocca in modo un po’ go o.

«Mmm,

buonissimo

questo!»

sussurra socchiudendo gli occhi: è

godimento puro.

«Vedo che ti piacciono i dolci.»

Tommaso si sporge in avanti.

«Li adoro. Vivrei solo di

zuccheri.» Linda si rende conto che

forse sono troppo vicini, eppure

non fa niente per arretrare o

spostarsi.

«Assaggia il mio, allora.»

Tommaso le avvicina alle labbra

un cucchiaino del suo tiramisù.

Linda lo assaggia, non è una che

fa complimenti. «Oddio… è quasi

un orgasmo!» Poi si ferma un

attimo. Forse sta esagerando un

po’. Cerca di recuperare, dandosi

un tono: «Tra il mio e il tuo non

saprei quale scegliere. Sono ottimi

entrambi».

Non ha idea di cosa stia

pensando Tommaso di lei:

probabilmente la trova grezza e un

po’ sfacciata. E invece lui è

incantato, e pensa che l’ultima

volta che ha vissuto un momento

come questo insieme a Nadine, che

è a dieta sette giorni su sette, risale

probabilmente al loro primo

appuntamento.

Quando tornano alle rispettive

macchine, Tommaso si ferma dal

rigattiere a ritirare il quadro, ma

invece di tenerlo per sé lo dà a

Linda.

«Per me?» chiede lei sorpresa,

con le braccia immobili. È un

regalo inaspettato, non è sicura di

poterlo accettare.

Tommaso sistema allora il

quadro nel bagagliaio della spider,

assicurandolo con una fune al

gancio di chiusura. «Penso che

appartenga molto più a te che a

me.» Poi la guarda negli occhi,

avvicinando il suo viso a quello di

lei. «Ho visto quanto ci tenevi ad

averlo e sono convinto che in

fondo lo desiderassi per te.»

«Ma no, lo volevo prendere per

la villa, te l’ho detto…» mente

Linda, che non sa bene come

gestire quella sensazione di

elettricità che le provoca ora

Tommaso. Non sa nemmeno lei

cosa le stia succedendo.

«Tienilo tu.» Tommaso le prende

delicatamente il mento con la

mano. «Se dovessi pensare a un tuo

ritratto, è così che lo immaginerei.

Tutti i difetti del mondo in

un’armonia perfetta.»

Linda si sente le ginocchia

improvvisamente deboli; fa un po’

di resistenza, poi piega il viso di

qualche centimetro verso di lui,

prima di fermarsi. Si guardano le

labbra, si respirano a distanza

molto ravvicinata. I sensi sono in

allerta, la temperatura sale, i

battiti del cuore cambiano ritmo.

Sta per accadere qualcosa.

Stava per accadere qualcosa,

prima che il cellulare di lei si

mettesse a squillare.

«Merda!» Linda gon a le guance,

stringe le labbra carnose e sbu a,

in un smor a infantile che manda

Tommaso fuori di testa. «È Bosi,

cazzo!»

«Rispondi» dice lui.

«No. Adesso no.» Linda gli

a erra il collo e lo bacia a stampo

sulla bocca, senza pensare troppo

alle conseguenze irreversibili del

suo gesto. «Grazie per il quadro.»

Apre la portiera e sale in

macchina.

Tommaso spalanca gli occhi. Non

sa che dire: l’esuberanza di questa

donna

lo

ha

conquistato.

De nitivamente. «Grazie a te. Vai

piano.»

«Certo.» Linda gli strizza l’occhio

e sgomma via.

Una volta a casa, sola, Linda

appende il suo nuovo quadro in

camera, di fronte al letto.

In mutande e reggiseno sulle

lenzuola di seta bianca lo

contempla, studiando una a una le

sette muse rappresentate con le

spoglie dei peccati capitali. Le

trova di una bellezza struggente.

In quel momento, il telefono sul

comodino trilla con due note di

carillon. «E che palle, Bosi! Lo so, ti

devo chiamare, lo so…» farfuglia

lei, allungando un braccio.

A sorpresa, il messaggio non è di

Bosi, ma di Alessandro.

E quindi? Hai intenzione di sparire per

sempre o ci vediamo uno di questigiorni?

Sì, pensa Linda, ci vedremo

presto. Ha voglia di vederlo, ma

anche di non vederlo più. Non ci

capisce davvero più niente, adesso.

Sarà il vino, sarà l’e etto di

Tommaso. Adesso ha solo voglia di

stare lì e non pensare a nulla.

10

Ira

Le è sempre piaciuto guidare,

anche per molte ore di seguito.

Premere

sull’acceleratore,

impugnare la leva del cambio,

osservare il mondo che scappa dai

nestrini: le regala un senso di

libertà che nessun’altra cosa sa

darle.

Sta andando al mare, stamattina.

E insieme a lei c’è Alessandro. L’ha

chiamata lui, dopo quel piccolo

incidente di percorso. E lei ha

accettato al volo la proposta,

sciogliendo in una risata – come

fanno sempre tra loro – quella

leggera sensazione di fastidio che

aveva provato l’altro giorno. Sono

o non sono due buoni amici, che

vogliono vedere l’altro felice,

sempre e comunque? Non le ha

proposto Jesolo o Lignano, dove

vanno tutti. No, vuole andare con

lei a Trieste, perché lui adora gli

scogli, le spiaggette selvagge di

sassi, le rocce aspre del Carso.

Un’idea nata così, su due piedi, e

buttata lì, senza preamboli e inutili

retropensieri. Lei in verità avrebbe

dovuto fare alcuni controlli alla

villa, ma non ha resistito: dopo

settimane di duro lavoro, si è

convinta che non ci fosse nulla di

male a concedersi il piccolo lusso di

una gita al mare. «Chissenefrega,

non muore nessuno se per un

giorno faccio quel cazzo che mi

pare» ha risposto ad Alessandro al

telefono, già immersa con la testa

nell’acqua salata. E adesso eccoli,

nella Duetto rossa, lanciati verso

sud senza una preoccupazione in

testa.

Lui è stravaccato sul sedile, in T-

shirt, bermuda e cappello di paglia

in testa, i piedi appoggiati al

cruscotto. Sta tra cando con la

Re ex, la sua inseparabile

compagna:

rinuncerebbe

tranquillamente a una donna, ma

mai alla sua macchina fotogra ca,

pensa Linda mentre lo osserva con

la coda dell’occhio, senza che lui se

ne accorga. Alessandro fa scorrere

sul display le immagini scattate in

Veneto negli ultimi giorni. Aver

vissuto all’estero così a lungo gli ha

regalato uno sguardo nuovo nei

confronti della sua terra d’origine.

Ha

fatto

delle

fotogra e

spettacolari, ha avuto davvero una

fortuna pazzesca a scattare con

quella luce: gli dei del meteo sono

stati dalla sua. Si accarezza la

barba con un gesto di soddisfazione

che ha qualcosa di ammiccante.

Linda continua a spiarlo di

nascosto: è curiosissima, vorrebbe

accostare l’auto e guardare gli

scatti insieme a lui. Le foto di

Alessandro hanno sempre avuto su

di lei un’attrattiva incredibile.

Gira il collo di poco, le mani

ferme sul volante. «È il Ponte

Vecchio, quello?»

«Sì» dice Alessandro. Zooma

sull’immagine e la gira verso

Linda.

«Figo da quella prospettiva.»

«Eh, mi son buttato nel Brenta

per scattare!» Fa un gesto verso il

parabrezza. «Attenta alla strada,

please.»

«Rilassati!» Linda si riconcentra

sulla guida. «Come mai sei andato

a Bassano?»

«Ci ero stato con Vale, quel a

mattina…»

«Ah.» Linda avvampa, e spera

che lui non se ne accorga,

ripensando alla gura di merda di

quel sabato.

«Doveva fare un’intervista a un

ciclista, un tizio di cui non ricordo

il nome…» continua Alessandro.

«Così ne ho appro ttato per

scattare un po’.»

«Ti sei divertito con Vale?»

«Parecchio.» Gli a ora un

sorrisetto sulle labbra.

Linda lo guarda di traverso, con

un’espressione inde nibile, e lei

stessa non capisce se sia più

stupore, imbarazzo o gelosia la

stupida sensazione che prova. «Ma

lei ti piace?» gli chiede a

bruciapelo.

Alessandro esita. «Non lo so

nemmeno io, dài» dice alla ne,

con una leggerezza che confonde

tutto. «Non so neanche se ci sarà

una seconda volta.»

Linda osserva la strada. Si ripete

di nuovo che dovrebbe essere

contenta se Alessandro frequenta

Valentina; peccato che in questo

preciso istante non riesca a gioire.

Tra i suoi pensieri c’è tutto tranne

che gioia.

Ad Alessandro non sfugge nulla.

Le studia il pro lo con uno sguardo

a raggi X, senza timore di essere

sorpreso a sbirciarla. Tra ca con

lo zoom della Re ex e le scatta una

foto. Subito dopo controlla il

risultato sul display, quel che basta

per avere la conferma che cercava:

i lineamenti di Linda bucano

l’obiettivo, oggi come dieci anni

prima.

Nel frattempo, davanti a loro si

materializza la cartolina del golfo

di Trieste: è un paesaggio che apre

il cuore, visto da quella costiera. E

non importa se il cielo adesso è

plumbeo.

Linda ha alcune istantanee che le

a orano in testa. Di quando, da

ragazzini, avevano tentato una

fuga rocambolesca verso il grande

Est. Era l’estate del ’99. Alessandro

aveva avuto un litigio piuttosto

furioso con il padre; se n’era uscito

di casa come un pazzo, con l’idea

di non tornare più indietro, ma

prima di andarsene era passato da

Linda. L’unica persona che avrebbe

rimpianto di non salutare. E lei

non se l’era sentita di lasciarlo solo

in quel momento; aveva rubato

ventimila lire dal portafoglio di sua

madre, buttato due vestiti nello

zaino, e poi via di corsa verso la

stazione,

per

salire

come

clandestini sul primo treno per

Trieste.

Si gira verso Alessandro. «Ti

ricordi quella volta?»

Lui, che alla vista del golfo ha

avuto il suo stesso pensiero,

annuisce. «Eravamo pazzi.» Scuote

la testa e si mette a ridere.

«Ancora un po’ e rischiavamo di

nire in prigione.» Anche Linda

ride. «Tu e la tua idea di girare con

le canne nello zaino!»

«Cosa ne sapevo io che mio

padre aveva dato l’allarme e i

carabinieri ci cercavano?»

Linda alza gli occhi al cielo.

«Però era stato stupendo. Una

botta di vita.»

«Sì! Siamo stati proprio dei

coglioni!» Alessandro ride, adesso è

orgoglioso. «Be’, non che adesso sia

cambiato qualcosa…» A nessuno

verrebbe in mente di andare al

mare con un cielo così nero.

Parcheggiano sul ciglio della

costiera, poco prima della galleria

naturale che taglia la montagna. E

ovviamente, appena scendono

dall’auto, inizia a piovigginare. Ma

che

importa:

si

scambiano

un’occhiata complice, e a piedi

nudi corrono giù per il ripido

sentiero selciato che porta

all’arenile di Canovella.

La pioggia scende di taglio, calda

e battente su di loro e sugli alberi

intorno, con un fruscio che si

mescola al rumore del vento. La

brezza di Sudovest arriva a strappi,

so a in faccia e nelle narici aria di

mare, sale, granelli di roccia.

Alessandro e Linda continuano a

camminare, decisi come due

guerrieri, mentre i bagnanti

risalgono veloci la strada per

mettersi al riparo. S’imbattono in

un’anziana signora, tutta avvolta

nel suo pareo, che li guarda come

dei marziani e in triestino stretto li

apostrofa

con

una

frase

incomprensibile,

mentre

si

picchietta una tempia con l’indice

per dare enfasi. Loro si prendono

per mano e corrono giù ridendo in

mezzo alle palme e agli ulivi, una

s da bella e buona alla minaccia

che sta per cadere giù dal cielo: ha

iniziato a diluviare.

Ancora qualche gradino e

nalmente sono sulla piccola

spiaggia di sassi, ormai deserta.

Un’onda di spavalderia li travolge,

l’adrenalina gli circola nel sangue.

Lo sanno tutti e due che, arrivati

qui, si può solo andare avanti, che

dopo aver s dato il cielo non si

può fare a meno di s dare il mare,

anche se è mosso da fare paura.

Si guardano in faccia, nello

stesso momento, fermi sulla

battigia. Scoppiano a ridere,

complici: sono i due ragazzini di

una volta, adesso, vicini, sferzati

dall’aria fresca. Poi è un attimo. Si

tolgono i vestiti con irruenza, li

lasciano cadere sulla sabbia

bagnata, e totalmente nudi corrono

a tu arsi nel blu scurissimo del

mare che nasconde ogni cosa.

Alessandro guarda il golfo di

Trieste in lontananza, e il ricordo

di quella fuga si fa sempre più

vicino: voleva imbarcarsi su una di

quelle grandi navi che avevano

sempre

acceso

la

sua

immaginazione, si sentiva un eroe

alla conquista di un nuovo mondo.

Quella volta non c’era riuscito, ma

era stato contagiato da un virus

incurabile, che lo spingeva a

partire, a non trovare pace in

nessun luogo. E infatti, dopo

qualche anno, una nave l’aveva

presa davvero ed era riuscito ad

andarsene da casa. Da allora fa

una vita da zingaro. Ma non

rimpiange niente e ha imparato a

non guardarsi indietro. Solo, a

volte, si ritrova a pensare che c’è

una sola cosa che sempre avrebbe

voluto portare con sé. Ed è Linda.

La prende per mano, nuotano

insieme,

anco a

anco. Si

rincorrono, attraversano le onde, si

fanno trasportare dalla corrente

no a togliersi il ato. Ci sono solo

loro due, che adesso fanno il morto

a galla, come da ragazzi. Acqua

sopra e sotto. Sono due destini che

si s orano, in un istante

irripetibile.

Al ritorno, Linda e Alessandro

decidono di raggiungere gli altri a

Treviso per il classico aperitivo del

venerdì.

Sono scarmigliati, i vestiti ancora

umidi, i capelli impastati di

salsedine e le infradito. Ma non se

ne curano più di tanto, anzi,

camminano così sicuri che sembra

ne siano quasi orgogliosi.

Stanno per arrivare in Piazza dei

Signori, quando Linda vede Nadine

uscire da un negozio con in mano

una busta di Armani. Si è comprata

l’abito per la festa d’inaugurazione

della villa, ne è certa. Sarà uno di

quei suoi vestiti da dea greca, linee

classiche, “perché con re Giorgio

non si sbaglia mai”. Oppure,

chissà, magari la loro stylist – un

giorno Tommaso aveva accennato

all’esistenza di questa donna

misteriosa – avrà scelto per lei

qualcosa di più eccentrico…

«Oh, cavolo!» Linda fa una

smor a e abbassa la testa. «C’è

Nadine.» Vorrebbe far nta di non

averla notata, ma è troppo tardi.

Nadine l’ha già intercettata, la sta

salutando con un cenno della

mano.

«Chi?!» domanda Alessandro.

Linda gli risponde a denti stretti:

«La compagna del tizio a cui sto

arredando la villa».

«Ciao, Nadine, che piacere

vederti.» Linda sfodera il suo

migliore sorriso di circostanza.

«Ciao, Linda.» Nadine, invece, le

lancia un’occhiata dall’alto in

basso, poi sposta lo sguardo su

Alessandro.

«Lui è Alessandro» lo introduce

Linda con una prontezza eccessiva.

«Un mio carissimo amico.»

«Salve.» Alessandro fa una specie

di cenno con la mano e osserva

Nadine con interesse. Lei lo ssa

con uno sguardo ammiccante, che

fa sentire Linda in qualche modo

oscurata dalla sua presenza.

Nadine è una delle poche persone

che riescono a metterla a disagio.

«Siamo appena tornati dal mare»

confessa, come a giusti care il loro

aspetto da profughi.

Nadine le si avvicina. Le rimette

a posto una ciocca, squadrandola

in modo stranamente sensuale. «Mi

piacciono molto i tuoi capelli» dice.

«Sono belli, anche da spettinati.»

«Grazie» risponde Linda, allibita.

Era l’ultima cosa che si aspettava

di sentire da lei. Solo ora ha la

netta percezione di avere dei

capelli totalmente fuori luogo, un

naso troppo ingombrante, zigomi

troppo alti. È in imbarazzo, ma si

sforza di non dimostrarlo, perché si

sente brutta, e non le è mai

capitato.

«È quasi tutto pronto, vero, per

l’inaugurazione

di

sabato

prossimo?» le chiede Nadine,

bilanciandosi sulle sue Ferragamo

bianche.

«Certo» risponde Linda. «Manca

davvero poco; qualche lavoro di

rifinitura e ci siamo.»

«Benissimo.» Nadine s’in la gli

occhiali da sole coprenti. «Porta

pure Alessandro, se vuoi.»

«Grazie» dice lui.

«Figurati» replica Nadine. Se lo

starà mangiando con gli occhi.

Nadine sparisce in fretta dietro

di loro, con il suo passo fermo da

donna di classe. E lui si gira un

istante a guardarla. Gran bel culo,

sembra un cuore perfetto; troppo

ben fatto per essere vero, gli viene

da pensare.

Intanto lo smartphone di Linda

emette un trillo acuto nella borsa

di panno a tracolla. Lo estrae e

legge il nome sul display: è Davide,

i l suo personal trainer. Non è il

momento, e lei fa no con la testa,

tocca la cornetta rossa per ri utare

la chiamata. Non ha alcuna voglia

di rivederlo. È una storia chiusa, di

un paio di notti. Un paio che non

hanno

alcuna

speranza

di

diventare tre.

«Ragazzi?» La voce di Carlo

Bitto, lo sciupafemmine, arriva dal

tavolo sotto la Loggia.

«Ehi!» fa Linda, sbracciandosi, al

centro della piazza. Si volta verso

Alessandro, sorride.

Un giro di spritz è quello che ci

vuole.

Il giorno dopo Linda arriva alla

villa molto presto. È un bel mattino

di ne luglio. Con passo agile sale

la scalinata bianca dell’ingresso; ha

un’energia incontrollabile nelle

gambe, un tepore attorno al cuore,

pensa alla giornata speciale che le

si sta spalancando davanti.

Entra in casa, con il desiderio di

lasciarsi avvolgere da tutta la

bellezza che è riuscita a creare. È

davvero un’emozione impagabile

vedere le stanze che hanno preso

vita, gli spazi che si sono animati.

Dopo quasi due mesi di

complicazioni, angosce in nite, le

sembra un miracolo. La fatica

sfiancante di seguire tutti i dettagli,

essere regista della scena e al

tempo stesso attrice (perché ogni

spazio va anche interpretato),

cercare di sistemare ogni dettaglio:

uno stress che lei è abituata a

gestire, ma che le ha comunque

causato qualche notte in bianco.

Ora è tutto reale e lei è era del

suo lavoro.

Attraversa il salone centrale a

testa alta, gon a di soddisfazione,

gli occhi che brillano di felicità, i

piedi che s orano il pavimento.

Poi, a un tratto, le basta

oltrepassare la porta della sala da

pranzo perché tutta questa onda di

entusiasmo s’infranga di colpo.

«No!» esclama. Si prende il viso

tra le mani. Un lampo di orrore le

attraversa gli occhi, come davanti

a una scena da lm di paura. «Ma

come cazzo è possibile?» chiede

mettendosi le mani tra i capelli.

Le ragioni del suo panico

improvviso stanno tutte lì, in

quella la di sedie Rococò rivestite

in velluto giallo senape: e lei aveva

speci cato al tappezziere che

voleva una sto a rosso carminio.

Un colore acceso, scelto proprio

per non ripiegare sul tradizionale

rosso veneziano da villa padronale.

«Come diavolo si fa a confondere

il giallo con il rosso?» È allibita,

fuori di sé. Parla a voce alta, come

sempre nei momenti in cui

qualcosa non va come vuole.

«Posso

ancora

capire

un

vermiglione al posto del carminio,

diciamo che è tollerabile, ma quel

senape» agita le mani nell’aria,

«cosa c’entra sulle sedie quel giallo

merda… che sembra ci abbia

cagato su un uccello?»

Eppure il tappezziere Egidio

Vallin, in assoluto il migliore nella

zona, lo conosce da anni; non ha

mai sbagliato un colpo in tutti i

lavori che lei gli ha commissionato.

Non se lo spiega, un errore così

grossolano. Proprio adesso, poi,

che

manca

una

settimana

all’inaugurazione u ciale della

villa. Questa era l’ultima grana che

ci voleva!

Sbu ando come una cavalla

inferocita, estrae il telefono dalla

borsa. Sfoglia la rubrica con furia

omicida, ha gli occhi fuori dalle

orbite, lo stomaco che urla. Sente

montarle dentro una violenza

feroce.

«Sì?» Risponde una voce pacata e

serena. Intollerabilmente serena.

A sentirla, Linda si agita ancora

di più. «Signor Vallin, sono Linda

Ottaviani.» Non gli lascia il tempo

di replicare, va dritta al sodo. «Mi

spiega per quale dannato motivo le

sedie di villa Belli hanno il

rivestimento giallo senape?»

«È il colore che mi aveva chiesto»

risponde placido il tappezziere,

piuttosto scosso dal tono acceso di

Linda.

«No, io al suo assistente avevo

detto rosso carminio!» si a retta a

precisare lei, calcando la voce sul

colore. Le parole le escono un po’

rauche, sono quasi dei grugniti.

«Mi pare strano» replica il

tappezziere. «Non credo che il mio

assistente si inventi i colori così…

Magari vi siete capiti male.»

«No, magari è lui che ha capito

male» si scalda Linda. È tesa, una

corda di violino. E infatti continua

a

vibrare

mentre

percorre

instancabile il perimetro del tavolo

come una tigre in gabbia. È una

scossa di adrenalina in forma di

donna, non riesce a stare ferma.

«Ma non c’è problema» dice subito

dopo, ostentando una fastidiosa

tranquillità che non le appartiene

in quel momento, «perché tanto me

le rifarete tutte in rosso carminio.

Il colore giusto. E vi do al massimo

tre giorni, non uno in più.»

«Ma guriamoci!» esclama il

tappezziere. «Non ho nessuna

intenzione di rifare il lavoro. Sa

quanto tempo mi ci è voluto per

recuperare i tessuti e montarli? Per

non parlare dei costi del materiale:

le sto e, il lo, i chiodini, tutta la

colla che ho consumato… non se ne

parla nemmeno.»

«Non me ne frega niente di

quello che ci rimetterà» grida

Linda, così forte che le corde vocali

e i timpani le fanno male. Le

nestre della stanza vibrano come

una scatola sonora. «Il prodotto

non è stato consegnato come da

accordi con il cliente, perciò per

me non ha alcun valore. Il lavoro

va rifatto da capo, è chiaro?»

«Non se ne parla. E su questo

sono categorico.» Il tappezziere

difende

la

sua

posizione,

irremovibile. «Se lei ha sbagliato a

prendere accordi con il mio

assistente, non vedo perché…»

Non riesce a nire la frase che

Linda passa già al contrattacco. «È

lei che ha sbagliato!» urla come

una pazza. Le vene del collo si

gon ano e la faccia è tutta

congestionata, gocce di saliva si

nebulizzano nella luce della sala.

«Vedo che non ci siamo capiti,

signorina Ottaviani.» Anche il

tappezziere adesso inizia a

scaldarsi. «Io non ho sbagliato

proprio niente.»

«Che

cosa?!»

Linda

è

decisamente fuori dai binari. «Ha

anche il coraggio di negare che è

tutta

colpa

sua?

Dovrebbe

vergognarsi!» Linda butta giù il

telefono, è esplosa.

«’Fanculo! Non sai fare il tuo

lavoro e scarichi la responsabilità

addosso a me? Brutto incompetente

testa di cazzo!» In un impeto di

nervosismo, Linda dà un pugno sul

tavolo di legno massiccio.

«Ahiaaa!» urla poi, senza

contegno. Una smor a di dolore

acuto le si disegna sul viso. «Cazzo

che male!» Stringe gli occhi,

contrae le mascelle. Si prende la

mano ammaccata con l’altra: un

rivolo di sangue le sta sporcando

una nocca. Prova a muovere le dita

ma fa fatica, si piega in due.

In

quel

momento

entra

Tommaso, che si è precipitato giù

dal piano di sopra, sentendola

sbraitare al telefono. Si sta

maledicendo per non essere

arrivato in tempo a impedirle di

fracassarsi la mano. Le si avvicina,

cauto. «Che succede?»

Linda solleva lo sguardo dal

pavimento. «Succede che quel

de ciente del tappezziere ha

sbagliato

il

colore

del

rivestimento.» Gesticola furiosa con

la mano sana in direzione delle

sedie. Trema tutta, fatica a

respirare, batte i piedi.

Tommaso, invece, è il suo

specchio inverso: mantiene il solito

tono di perfetto autocontrollo. Le

mette una mano sulla spalla.

«Calmati,

Linda»

le

dice,

rassicurante.

«No che non mi calmo!» È

indignata, e si è messa a piangere,

isterica.

«Su,

vieni.»

Tommaso

l’accompagna con gentilezza no

al

divanetto

nell’angolo.

«Aspettami qua. Vado a prendere

qualcosa per medicarti.»

«Ma no, non serve» sbu a lei.

All’improvviso sembra un’altra, ha

persino ripreso colore in viso.

«Invece sì. Serve. Ti ho detto di

aspettarmi qui, e questa volta

ubbidirai agli ordini di qualcuno»

Tommaso le lancia un’occhiata

severa, «giusto?» Poi scivola fuori

dalla stanza, i passi che

riecheggiano nel corridoio.

Linda avrebbe voglia di urlare e

liberarsi da tutto quel groviglio di

emozioni, invece chiude gli occhi e

appoggia la testa alla parete. Non

può accettare di aver perso quella

battaglia che le sembrava così

semplice. Ma quel tappezziere

gliela pagherà cara, di questo è più

che sicura.

Un minuto dopo, Tommaso è di

ritorno con una bottiglia di

disinfettante, del cotone e un

rotolo di garza, recuperati dalla

cassetta del pronto soccorso nel

bagno di servizio. Si siede accanto

a Linda, le prende la mano con una

delicatezza che lei non ha mai visto

in altri uomini: è un contatto, il

suo, che riscalda e rassicura.

Imbeve il cotone di disinfettante e

glielo preme con leggerezza sulla

ferita. «Ti brucia?»

«Un po’, ma è sopportabile.»

Sarà perché la mano di Tommaso è

calda, sarà perché sentirla sulla sua

è piacevole, ma prova una specie

di scossa uida giù nel ventre. Non

sa spiegarselo, ma ha qualcosa di

erotico.

Tommaso la guarda con i suoi

penetranti occhi grigio blu. E lei si

scioglie. «Non capisco perché tu ti

sia infuriata tanto.» Inclina un po’

la testa.

«Perché sono fatta così.» Linda

alza le spalle. «Non riesco a

tenermi dentro le emozioni, belle o

brutte.»

Tommaso è a ascinato e

incuriosito. «Ok, ma non era il caso

di arrivare a farsi addirittura del

male» e avvolge con cura due giri

di garza attorno alla mano.

«È che non mi controllo. È come

se un’altra Linda prendesse il

sopravvento su ogni parte di me»

risponde lei, con un tono da ribelle.

A Tommaso viene da sorridere

per il modo bu o in cui Linda

reagisce agli stimoli. Gli ricorda

qualcuno, forse addirittura lui da

ragazzo. Prima che sua madre lo

lasciasse. Prima di decidere che

avrebbe avuto il dominio totale su

ogni suo sentimento. Le blocca la

garza con un nodo. «Stringe?»

«No.»

Tommaso la ssa dritto negli

occhi. «Forse è meglio se lo chiamo

io, il tappezziere.»

«Pensi di riuscire a fargli

cambiare idea?» Lo dice quasi

digrignando i denti, e solo a

sentirlo nominare, le risale un

fremito di rabbia.

«Tu lasciami provare» la

tranquillizza Tommaso, con quel

suo tono che sembra appianare

tutto.

«Se

proprio

insisti,

accomodati…» Linda gli mette

sotto il naso il telefono, già

impostato per chiamare il numero

del tappezziere.

Tommaso lo prende, si schiarisce

la voce, s ora il rettangolo verde.

Poi si sposta qualche passo più in

là.

Linda lo osserva da seduta; le

arrivano soltanto dei frammenti di

conversazione, più che su cienti

per a errare il senso generale del

discorso. Tommaso ha questo modo

elegante e ovattato di muoversi,

sembra una pantera pronta a

scattare, e parla con un tono così

inconfondibilmente diplomatico e

persuasivo

da

sembrarle

stucchevole. Eppure funziona, a

giudicare dalle parole che riesce a

captare. Ascoltandolo, constata con

amarezza che lei non è proprio

nata per risolvere i con itti. Lui,

invece, a quanto pare ne ha fatto il

suo mantra, oltre che la sua lucrosa

professione. È davvero un maestro

se c’è da contrattare. E poi è così

radicato e fermo. Dà sempre l’idea

di sapere perfettamente cosa fare o

dire, e di non perdere mai il

controllo della situazione.

Ecco, ce l’ha fatta. Sta ritornando

verso di lei. Un sorrisetto

soddisfatto sulle labbra. Ha

convinto il tappezziere a rifare il

lavoro.

Pazzesco!

Molto

probabilmente, la stessa persona

che poco fa con lei era ostile e

tranchant, ora con lui è stata

disponibile e aperta al dialogo.

Tommaso chiude la chiamata. Si

volta verso Linda con un sorriso

trionfale. «Tutto risolto.» Le

restituisce il telefono. «Avremo le

nuove sedie per tempo.» Scendere a

compromessi, invece di andare allo

scontro, a volte aiuta: nessuno lo

sa meglio di lui.

Dopo che Linda ha ripreso a

lavorare, Tommaso è salito

all’ultimo piano della villa per

rifugiarsi nel giardino d’inverno.

Questo luogo è diventato il suo

piccolo angolo di Eden: qui la

calma regna sovrana, il frastuono

del mondo non esiste, la bellezza si

manifesta nelle forme straordinarie

delle piante, autentiche opere

d’arte naturali.

Sono trascorse ormai un paio

d’ore da quando è qui, ha perso la

cognizione del tempo. A erra le

forbici da giardiniere e si mette a

potare la Black Baccara, una delle

più belle rose inglesi che esistano,

di un rosso scuro con venature

nere, la consistenza del velluto, le

linee che seducono. Tommaso ha

un’espressione

concentrata,

i

muscoli delle braccia in tensione

sotto la camicia bianca, gli occhi

attenti. Ogni tanto si guarda

intorno, respira l’energia del luogo,

e pensa che Linda è stata davvero

magni ca:

l’intuizione

di

trasformare in giardino questo

angolo negletto della villa ha del

geniale. È anche entusiasta di come

l’ha arredato: so tto con le

antiche travi a vista, lampade a

lanterna, colonne di sostegno in

marmo bianco, aiuole con i muretti

in pietra a secco, un mobile per gli

attrezzi in noce massiccio, un

tavolo in ferro battuto e un divano

rivestito in broccato blu. E poi, al

centro della stanza, la piccola

fontana di roccia che e onde

nell’aria un vapore e una luce

giallo

oro,

producendo

un

piacevole suono da atmosfere zen.

Ripone il vaso con la Black

Baccara sul davanzale in marmo di

una delle nestre, poi si concentra

su una pianta di Medinilla che, si

accorge controllando il terriccio e

le foglie, ha bisogno di un velo

d’acqua. Prende il nebulizzatore e

spruzza con delicati tocchi precisi,

ricoprendo foglie e ori di piccole

gocce.

In quell’istante esatto, sulla

porta alle sue spalle, compare

Linda. Non ha mai osato invadere

il regno segreto di Tommaso con

dentro lui. E l’idea di essere lì in

quel momento le mette addosso

una sottile eccitazione. Lo spia da

dietro: è a ascinante, deve

prenderne atto. Ha quell’aria

solida, quelle braccia muscolose, e

poi quel fondoschiena così perfetto

da

sembrare

una

statua.

Guardandolo

non

riesce

a

trattenere dei pensieri sconvenienti

– non che abbia la minima

intenzione di farlo…

Linda forza un leggero colpo di

tosse.

Tommaso si volta. «Ah, sei tu…»

La osserva con interesse acceso, un

misto di curiosità e desiderio.

«Sì» dice lei, avanzando di

qualche

passo.

«Stavo

per

andarmene, ma volevo prima

salutarti.» Per tutto il tempo in cui

è stata sotto a lavorare, le è

sembrato di percepire la presenza

di Tommaso: una sensazione

stranissima, quella che l’ha spinta a

salire nel giardino, quasi fosse

stato lui a chiamarla.

«Come va la mano?» Tommaso la

indica con il mento.

Linda se la porta davanti al viso.

«Meglio.» Poi la rimette giù. «Molto

meglio.»

«E il tappezziere?»

«Se n’è appena andato. Ha

assicurato che in tre giorni ci

porterà le sedie con i nuovi

rivestimenti.» Linda si stringe nelle

spalle, non riesce ancora a credere

a quanto ha detto.

«Benissimo.»

«A

proposito,

volevo

ringraziarti.» Linda abbassa lo

sguardo, poi lo rialza, e i suoi occhi

sono riconoscenti, pieni di luce. «Se

non fosse stato per te…»

Tommaso fa un accenno di

sorriso. Certe espressioni di lei lo

rapiscono.

Sono

spontanee,

incontrollate, e colme di una grazia

naturale che non ha mai conosciuto

in nessun’altra donna.

Linda osserva la Medinilla tutta

cosparsa

di

goccioline

che

luccicano. È affascinata dalle forme

e dai colori, le grandi foglie ovali

solcate da nervature bianche, i ori

pendenti rosa antico, i pistilli che

sembrano fatti di zucchero.

«Ti piace?» le chiede Tommaso.

«Moltissimo.» Linda sorride, le si

forma una fossetta sulla guancia

destra.

«È una pianta tropicale,

originaria dell’isola di Giava»

spiega Tommaso.

«È un vero capolavoro» dice lei,

incantata. Il verde dei suoi occhi è

più acceso che mai.

«Nel suo habitat naturale può

raggiungere anche due metri e

mezzo di altezza» continua lui. «Ma

non sono piante facili: bisogna

avere pazienza e osservare precise

regole di coltivazione, se le si

vogliono vedere in fiore.»

A Tommaso non mancano certo

pazienza e regole, pensa Linda, che

all’improvviso se ne esce con

questa domanda: «E tu come fai a

mantenere sempre la calma?».

«Non è di cile. Basta conoscere

e saper prevedere le proprie

emozioni.» Tommaso lo dice come

se ne avesse fatto una loso a di

vita. «Alla ne, è tutto un discorso

mentale, sai.» Si picchietta una

tempia con le dita.

«Sarà…» Linda aggrotta le

sopracciglia. «Ma io proprio non ci

riesco.» Fa un lungo sospiro, è

spazientita solo a parlarne. «Cioè,

voglio dire, come fai a controllare

un’emozione che ti nasce dentro? È

come un temporale, un terremoto:

quando arriva non ti avvisa di

certo, e senz’altro non puoi

fermarla.» Agita le mani nell’aria.

Sta uscendo di nuovo la sua anima

più passionale.

Tommaso si gode l’essenza delle

sue espressioni, sorride per la sua

totale mancanza di ltri. «Però

puoi

sempre

imparare

a

riconoscerne i segnali e a calmarla,

o per lo meno a metterti al riparo,

prima che sia troppo tardi.»

Ecco qua, è arrivato al cuore del

problema: il predominio della

ragione sul cuore. Linda è colpita,

e anche se non condivide, il suo

modo di parlare la a ascina. Ha

come l’impressione che Tommaso

vanti su di lei, e su tutti in

generale, una sorta di superiorità

spirituale, come se il suo controllo

estremo facesse di lui un essere

umano più evoluto, lontano da

tutti.

«Le passioni le puoi dominare, se

davvero lo vuoi» continua lui,

ssandola con una soglia di

attenzione

sconcertante.

«Le

emozioni in sé e per sé non

esistono, sono soltanto creazioni

illusorie della nostra mente.»

Mentre parla con Linda lì davanti

a lui, non sa perché ma non è più

troppo convinto di quello che sta

dicendo.

«Sei sempre stato così, tu?» lo

incalza lei.

Tommaso annuisce, il usso tra i

loro sguardi adesso è un’onda, si

può toccare. «Controllarmi è quel

che ho imparato a fare n da

bambino.» Sta mentendo, sa

benissimo quando ha cominciato a

farlo. «Mi sono sempre imposto

una ferrea autodisciplina, per

raggiungere gli obiettivi che avevo,

ma anche per prendere le distanze

da mia madre, per non diventare

come lei.» All’improvviso la sua

espressione si fa cupa. Si appoggia

con la schiena al davanzale della

finestra centrale.

Linda muove un passo verso di

lui. «Perché, com’era tua madre?»

«Una donna straordinaria. Ma

per tutta la vita ha so erto a causa

degli altri, ed è rimasta in balìa di

se stessa e delle proprie fragilità.»

Tommaso alza lo sguardo verso

l’alto, come a cercare un ricordo.

«Aveva un carattere instabile, era

troppo emotiva. Cambiava umore

con una velocità che mi lasciava

sempre allibito.»

«Un po’ come me, insomma.»

«Sì, ma senza la tua forza vitale»

sorride Tommaso, scrutandola con

un’urgenza sconosciuta. Lei gli

piace, se ne rende sempre più

conto, e non può farci nulla. È

diversa dalle altre donne che ha

incontrato: è libera, senza regole e

senza limiti. Ma di una libertà

reale, che non si risolve in una

trasgressione di facciata. Sì,

d’accordo, forse a volte è un po’

esagerata e sopra le righe, ma

questa sua personalità così diretta e

sincera lo strega totalmente.

«È il tuo modo per dirmi che

sono un disastro?» Linda gli si

avvicina ancora, adesso è a pochi

centimetri dal suo viso.

Tommaso distoglie per un istante

gli occhi da lei, si gira verso la

porta. Un’intensità misteriosa gli

altera il ritmo del cuore, glielo fa

battere in un modo che non è

normale. All’improvviso a erra

Linda per un polso, se la tira

contro, le prende anche l’altro

polso. «Sì, sei un disastro dei più

devastanti» le sussurra. Un vortice

di pensieri folli gli gira nella testa,

troppo veloce per fermarlo. E che

vada al diavolo tutta la sua teoria

sul controllo delle emozioni. Di

fronte a lei, gli sembra un castello

di sabbia nel mezzo di uno

tsunami.

Linda sente un brivido salirle per

la spina dorsale, no alla nuca, e

ancora più su, n sotto i capelli.

Gli si preme contro, la pelle che

scotta, i liquidi del corpo che vanno

in circolo, bollenti.

«Linda Ottaviani… tu lo sai che

non dovremmo, vero?» Tommaso

scuote la testa, arretra un po’. La

guarda, incerto: che razza di gioco

stanno facendo? E soprattutto, qual

è il suo ruolo? Vorrebbe riportare il

cuore a un battito normale, ma non

ci riesce: c’è un’insopprimibile

tensione erotica tra loro. Non può

più negarlo.

«Tommaso Belli, l’uomo delle

regole…» Linda ride, eccitata. E

per nulla spaventata.

Poi, in un attimo, le parole

diventano del tutto super ue.

L’atmosfera

si

carica

di

un’elettricità

trepidante,

primordiale. Stanno condividendo

le stesse intenzioni, i sensi di

entrambi sono in allerta. Non c’è

dubbio, non c’è spazio per

equivoci.

Linda gli preme le labbra contro

le labbra, gli spinge la lingua nella

bocca, forte.

Tommaso vive pochi secondi di

perdita totale che gli toglie l’aria

dai polmoni, il sangue dal cuore, la

forza dalle gambe. Poi l’eccitazione

del bacio richiama altre sensazioni

di godimento più profonde, ancora

più difficili da contenere.

Si schiacciano e stro nano con

urgenza l’uno contro l’altro, e

intanto la mano di Tommaso

scende no all’orlo del vestito di

lei, lo solleva, risale sulla pelle

nuda delle sue gambe muscolose, su

su, con il dito medio che prende a

vibrare contro la seta umida delle

mutandine.

Linda allarga le cosce, muove la

lingua contro quella di lui, va

indietro nché tocca con i polpacci

il muretto di un’aiuola. In la una

gamba tra quelle di Tommaso e la

struscia contro i pantaloni di lino

morbido, no a dove lo trova tutto

duro e fremente.

Tommaso si leva la camicia, la

lascia cadere sul pavimento. È

intossicato

dall’adrenalina,

i

muscoli del petto in tensione, i

ri essi nervosi molto più veloci dei

pensieri. Strappa il vestito a Linda,

con un impeto che lui stesso stenta

a riconoscere, la prende in braccio

e la adagia sul divano di broccato

blu.

Lei gli allenta la cintura dei

pantaloni, gli sbottona la patta,

glieli tira un po’ giù. I boxer che lui

ha addosso le sembrano una

scoperta vera: di Derek Rose,

talmente stirati che lui potrebbe

anche uscire la sera con solo quelli

addosso senza dare scandalo. Il

segno intimo di un maschio di

un’altra categoria rispetto a tutti

gli altri uomini che ha visto in

mutande no ad ora: sono i boxer

di chi sa vivere al top, di uno che

conosce perfettamente le donne e sa

trovare i modi giusti per baciarle,

accarezzarle, per muovere quel dito

avanti e indietro, né troppo forte

né troppo piano. Come sta facendo

adesso. Con la pressione giusta,

con l’insistenza giusta. Poi, a un

tratto, Tommaso scosta l’elastico

che stringe la coscia e scivola sotto,

un po’ prepotente e insieme

delicato, a penetrare nell’umido

caldo, ma solo appena, con avidità

e misura.

Per lui è un gioco carnale,

in nitamente

pericoloso,

impossibile da tenere a freno. Si

sente invaso da un’onda emotiva

che sta spazzando via qualunque

resistenza della ragione. Non è più

lui, le toglie le mutandine e con la

lingua si avventa sul sesso di lei. Di

colpo non gli importa più niente

delle possibili conseguenze dei suoi

gesti: tutto quello che conta è

l’intensità vibrante e sovversiva del

momento, la passione senza freni

che lo attraversa. È una corrente

più forte della volontà, che riporta

in vita parti sopite della sua

natura, impulsi sepolti sotto strati e

strati di atteggiamenti perfezionati

in anni di infinita determinazione e

coerenza.

Linda gli libera il sesso

dall’elastico dei boxer. Lo guarda,

senza pudore: è bello, uno dei più

belli che le sia mai capitato di

vedere. Lungo, liscio, fatto a regola

d’arte. E duro. Tanto duro.

Ansimano sullo stesso respiro, si

schiacciano e strusciano e frugano

con sempre più foga; c’è tutta

questa frizione, tutto questo calore,

tutti questi liquidi bollenti,

vischiosi. Tommaso la penetra con

una spinta potente. Lei se ne lascia

devastare; è sotto di lui, e con lo

sguardo gli sta chiedendo di non

fermarsi. Lui prende un ritmo

deciso. Gemono, urlano i loro

nomi, fanno echeggiare le voci in

suoni sempre meno articolati. È un

crescendo inarrestabile di cuori che

battono, sangue che circola,

polmoni che pompano, pelle che

suda. Il chiaro della luce dorata, il

vapore della fontana che si fonde

insieme a quello del loro ato, il

respiro delle rose che aleggia sul

profumo dei loro corpi.

Linda si sente lì lì per lasciarsi

travolgere, andare a fuoco; respira

sempre più a fondo, butta la testa

all’indietro, tende ogni muscolo,

dalle caviglie alla nuca, no quasi

a farsi male.

Fino a esplodere sotto di lui,

insieme a lui, in in nite schegge

liquide, nel loro lancinante

orgasmo segreto, qualcosa che

sconvolge i sensi e nello stesso

istante scalda il cuore.

11

Invidia

«È perfetto, Dana, proprio come

lo volevo! Tu mi leggi nel

pensiero… sei una strega, di’ la

verità…» Linda si guarda nello

specchio a parete della sartoria,

sorride soddisfatta e poi fa un giro

su se stessa, per avere la visuale

completa.

Trovare il vestito giusto è stata

un’odissea. Ha perlustrato tutti i

suoi negozi preferiti a Treviso, ma

non c’è stato verso di scovare

qualcosa di particolare, che si

avvicinasse almeno un po’ all’idea

che aveva in testa: originale e di

classe. Non voleva il solito abito da

cerimonia per un evento come

l’inaugurazione di villa Belli. Così,

dopo un’estenuante serie di giri a

vuoto nelle boutique del centro,

Linda ha deciso di comprarsi la

sto a e farsi cucire il vestito su suo

disegno da Dana, la sarta russa –

anche se de nirla “sarta” è

davvero riduttivo – che fa le cose

esattamente come le vuoi tu.

È

stato

proprio

da

Tessuti&Tessuti, il paradiso del

taglio e cucito, che le è capitato di

incontrare Marcella. Linda si stava

già avviando alle casse, con un

rotolo di crêpe cady sotto braccio,

quando se l’è vista sbucare fuori

dal reparto merceria, intenta a

spingere un carrello traboccante di

sto e a fantasia e a quadretti

bianchi e blu. Ma ha stentato a

riconoscerla, perché Marcella

questa volta non aveva per nulla

l’aspetto ultra patinato a cui lei è

sempre stata abituata. Sembrava

uscita

dal

set

di Desperate

Housewives, però con un’aura

molto più casalinga e soprattutto

molto

più

disperata

delle

protagoniste della serie: quasi

sfatta, si è ritrovata a pensare

Linda.

La

faccia

sbattuta,

pallidissima, le occhiaie, la

ricrescita ben evidente, e un

vestitino a ori da grandi pulizie di

primavera.

«Marcella!» Linda le è andata

subito incontro con uno slancio di

entusiasmo, cercando di camu are

lo straniamento che provava.

«Ciao, tesoro…» L’amica ha

risposto con un sorriso tirato,

quello di chi sperava di non essere

vista. «Come stai?»

«Io bene» ha risposto Linda. «E

tu…?»

«Eh, abbastanza, dài. Ma tu cosa

ci fai qui?»

«Ho preso questo tessuto per

farmi un vestito.» Linda le ha

messo sotto il naso il rotolo di

crêpe cady rosso cadmio.

«Bellissimo!» Marcella ne ha

accarezzato un lembo con occhi

sognanti.

«In giro non sono riuscita a

trovare nulla di carino, così ho

pensato di farmi fare un abito su

misura. E me lo sono disegnato.»

«Grande idea!» ha annuito

Marcella. «È per un’occasione

particolare?» ha chiesto poi, e si

vedeva chiaramente che stava

morendo dalla curiosità.

«Sì,

è

per

la

festa

d’inaugurazione della villa che ho

arredato. Ti ricordi? Credo di averti

parlato di villa Belli…»

«Ma certo! Dev’essere un posto

splendido.» A sentire la notizia,

sembra quasi che Marcella abbia

preso colore in viso. E Linda

avverte una punta d’invidia nella

sua voce. «Dicono che il

proprietario sia bellissimo. E poi,

se fa il diplomatico, dev’essere uno

a cui certo non mancano i soldi…»

«Sì,

confermo

tutto»

ha

commentato Linda un po’ vaga,

per cambiare subito discorso: ha

sempre mal tollerato le chiacchiere

di paese. «E tu? Cosa devi farci con

tutta questa roba?» ha domandato,

sbirciando dentro il carrello di

Marcella.

«Le tovaglie per la casa al mare»

risponde, e le sfugge un sospiro da

madonna addolorata. «Ho i tavoli

fuori misura. E poi le lenzuola,

perché anche i letti sono fuori

standard.» Poi ha alzato gli occhi al

cielo. «Sai com’è Umberto, lui vuole

le cose perfette…»

«A proposito, come sta? Andrete

un po’ in vacanza, vero?»

«Speriamo! Deve solo decidere in

quali settimane chiudere lo studio.»

Marcella ha fatto uno sbu o

d’inso erenza. «Che poi, parlare di

“vacanza”…» ha storto la bocca,

«con i bambini non è certo il

massimo del relax!»

«Be’, ti capisco» ha mentito

Linda, lontana anni luce dal

comprendere il carico di lavoro che

due gli piccoli possono in iggerti.

«E i due diavoletti come stanno?»

«Bene! Figurati… loro stanno

come dei pascià. Ma oggi li ho

lasciati alla nonna, per fortuna» ha

risposto, sollevata. Poi ha fatto una

pausa lunghissima e ha guardato

Linda dritto negli occhi. E, come se

fosse in confessionale, a un certo

punto Marcella è esplosa: «Io li

amo più di me stessa, i miei due

mostriciattoli, ma ascoltami bene,

tesoro: non avere fretta di fare

gli. Ti giuro che tra i bimbi e le

pretese di Umberto, arrivo a sera

che non ce la faccio più. E vorrei

solo scappare».

Linda, in verità, ad avere una

famiglia non ci ha ancora

nemmeno pensato, e la situazione

di Marcella fa davvero fatica a

immaginarsela.

«Scusa,

ma

Umberto non ti aiuta un po’?» le ha

chiesto, quasi scandalizzata.

«Come no… Non sai quanto!»

Marcella ha fatto un gesto nervoso

nell’aria. «È così concentrato su se

stesso e sul lavoro che a volte ho

l’impressione si dimentichi di me.»

«Ma non dire così, non ci credo

minimamente.»

Marcella ha annuito, poi le ha

sussurrato all’orecchio: «E ti dirò di

più, è da un bel po’ che lo faremo

sì e no una volta ogni due mesi».

«Oddio, non ci credo!» Linda si è

messa una mano sulla bocca, sotto

shock. Ed è stato in quel preciso

istante che una certa idea le è

balenata in testa. «Marce, stavo

pensando… ma perché non inizi a

ritagliarti un po’ di tempo per te e

non vai nella palestra che

frequentavo io?» ha buttato lì con

un

tono

dichiaratamente

ammiccante. «Magari ti rilassi un

po’. Fare sport aiuta, sai.» E qui le

ha strizzato l’occhio, per fugare

ogni dubbio sulla sua proposta.

«Ma come faccio?» Marcella ha

scosso la testa, perplessa. «Con i

bambini e tutto il resto, non saprei

dove trovare il tempo.»

«La palestra è aperta dalle otto

di mattina alle dieci di sera» ha

replicato

Linda,

pronta

all’obiezione. «Vuoi non riuscire a

ritagliarti un’oretta tutta per te?»

«Forse…»

In un lampo Linda ha preso il

telefono dalla borsa e si è messa a

cercare nella rubrica. «Senti, ti

lascio il numero di Davide. È il

personal trainer» ha spiegato, con

un sorriso malizioso. «Chiamalo,

che poi lui ti fa un bel

programmino.»

«Grazie!» le ha risposto Marcella,

con un sorriso riconoscente, e si è

a rettata a memorizzare il numero

sul suo cellulare. «Mi sa proprio

che lo chiamerò.» Altro sorriso, più

sfacciato. «E poi ti farò un bel

report dettagliato, amica mia…»

Ora che Linda è nell’atelier di

Dana ad ammirare il suo rotolo di

crêpe cady trasformato in vestito

d a grande soirée, le viene da

pensare che è stato davvero un

colpo di genio dare il numero di

Davide a Marcella. Non sa bene il

motivo, ma ha la netta sensazione

che i due si piaceranno.

«Oh, Dana, un lavoro migliore

non potevi farlo!» esclama su di

giri. In e etti, la sarta ha compiuto

un vero miracolo: realizzare

nell’arco di due giorni un abito

destrutturato

con

gonna

drappeggiata a strascico e corpetto

ricamato in pizzo non è proprio

un’impresa da tutti. «Sei la mia

Vivienne Westwood, la regina di

tutte le sarte!»

«Cara, mi sono limitata a seguire

il tuo disegno.» Dana si stringe

nelle spalle. In e etti, chiamarlo

“disegno” è un po’ esagerato: Linda

le aveva portato uno schizzo fatto

in velocità su un foglio di giornale

strappato. Più un’intuizione che

una vera e propria traccia da

seguire. «Se posso consigliarti,

aggiungerei questa.» Le mette sulle

spalle una stola di tulle nero che

richiama il ricamo del corpetto.

Linda si specchia un’ultima volta,

di fronte e poi di lato. «Sì, mi hai

convinta» dice. «Ora scappo perché

sono in ritardissimo. La festa inizia

praticamente tra un’ora.» Si

sgancia la zip laterale e sguscia

fuori dal vestito.

«Vai, vai… Però mi raccomando:

voglio le foto del tuo out t e

dell’evento. Così le appendo qui

nell’atelier, come si fa con le dive!

E torna presto a trovarmi» dice

Dana.

«Questo è poco ma sicuro… e ti

farò come sempre un bel po’ di

pubblicità!» Linda le dà un bacio

a ettuoso sulla guancia e scappa

via.

Alessandro arresta la sua Mini

con una frenata secca, sollevando

una nube di polvere bianca davanti

alla Casa Azzurra, e inizia a

strombazzare il clacson come un

ossesso. Scende dall’auto e lancia

un paio di schi in aria per farsi

sentire meglio. Finalmente è

arrivato, con soli cinquanta minuti

di ritardo. Linda esce di corsa, si

chiude la porta alle spalle, scavalca

i

due

gradini

dell’ingresso

rischiando di inciampare sui

sandali tacco dodici e gli va

incontro fingendosi furibonda.

«Ti pare l’ora di arrivare?! Siamo

in super ritardo!» gli urla.

«Rilassati… stai calma! Vorrà

dire che ci aspetteranno.» Prova

uno strano groppo in gola a

vederla con quell’abito rosso: toglie

il ato. «Mi ero messo a lavare la

macchina per l’occasione, ma il

tempo è volato.» Se la mangia con

gli occhi. «Certo che sei una gnocca

da paura, vestita così!»

«Grazie.» Linda ride per la sua

espressione colorita, e intanto lui le

ha già scattato una foto con

l’iPhone. Guarda la Mini tirata a

lucido. Poi osserva lui da vicino.

«Fatti un po’ vedere.»

Alessandro gon a il petto e

sorride con una certa spavalderia.

«Ti piaccio?»

È la prima volta che Linda lo

vede in smoking. Lo trova

bellissimo, sembra un modello.

«Puoi andare» dice lei, con

noncuranza.

Ostenta

un’espressione indi erente, mentre

lo

studia

centimetro

per

centimetro, ma dentro di sé sorride

di gusto.

« C o m e puoi andare?» ribatte

Alessandro, piccato.

«Scemo.» Linda gli dà una pacca

sul petto. «Stai da dio. Sei un go

pazzesco!»

«Ah, ecco, mi sembrava.»

Alessandro riprende la sua faccia

spavalda.

«Dove l’hai recuperato ’sto

smoking? Non è roba da te.»

«L’ho a ttato.» Alessandro

estrae un cravattino dalla tasca

della giacca. «Sono un uomo pieno

di risorse. Mi fai il nodo?»

«Dammi qua.» Linda glielo passa

intorno al collo e lo annoda

all’altezza giusta, aggiustando il

colletto della camicia di seta rossa.

«Sembra che ci siamo messi

d’accordo sui colori.»

«No, ragazza, è che io so leggerti

nel pensiero. Te lo sei scordata?»

Alessandro le tocca la fronte con le

dita a forbice.

«Sì, a distanza!» Linda si diverte

a prenderlo in giro, ma lo sa anche

lei che sono legati da un lo

invisibile, rosso, per l’appunto.

«Andiamo, dài, che è tardissimo.»

« Madame. » Alessandro le apre la

portiera, e l’aiuta con lo strascico

della gonna. Poi si siede al suo

posto, mette in moto e sgomma

via, con il tettuccio aperto e i

finestrini tutti giù.

Arrivano alla villa che sono già

le dieci e mezza. E l’invito diceva

che la festa sarebbe cominciata alle

dieci. Le colline intorno si perdono

nel buio caldo dell’estate, le stelle

disegnano in cielo scie e

costellazioni.

Alessandro parcheggia la Mini

nello spiazzo subito dopo il

cancello. Percorrono a piedi il

vialetto d’ingresso, disseminato di

grandi lumini a cera, mentre sopra

le loro teste oscillano le di

lanterne di carta, che proiettano a

terra aloni di luce rossa. C’è già

molta gente, donne elegantissime,

un’esplosione di chi on, seta,

ta età, raso; gli uomini, quasi tutti

in smoking o in doppiopetto.

Vedono l’architetto Bosi in

completo bianco che si lamenta con

Ivanka, fasciata in un tubino di

lamé inguinale. È inciampato in

uno dei giganteschi lumini pieno di

cera bollente e se l’è mezzo

rovesciato addosso.

Ivanka

si

abbassa

per

controllargli le condizioni della

gamba. Cerca di sollevare piano la

sto a bianca, staccandola dalla

pelle bruciata. «Amore, che

disastro» miagola. Manca solo che

si metta a leccargli il polpaccio. È

imbarazzante.

«Dài, Ivy, lascia stare. Mi sistemo

in bagno.» Bosi la scalcia quasi via.

«Ma che diavolo ti è successo?»

gli chiede Linda, passandogli

accanto.

«Niente, niente.» Bosi cerca di

darsi un contegno. «Ivy, alzati, su.»

Prende Ivanka per una spalla.

«Architetto.» Alessandro lo saluta

con un cenno del capo, poi supera

la coppia. Si rivolge a Linda

sottovoce: «Che personaggio, il tuo

capo. E tu prenderesti ordini da

lui?». Poi fa una risatina cattiva.

«Ale, io non prendo ordini da

nessuno. Dovresti saperlo… Mi fa

solo tenerezza quando lo sento

sbraitare in studio, poveretto!»

«E io scommetto che in quanto

ad acuti tu lo superi alla grande.»

«Infatti. Come soprano sarei

stata una bomba, ma ho scelto la

strada del design, caro mio. I

palcoscenici dovranno fare a meno

di me!» conclude, esibendosi in una

specie di gorgheggio strozzato.

«Scema!»

Sulla scalinata d’ingresso sono

disposti altri lumini, un po’ più

piccoli di quelli del vialetto, due

per ogni gradino. Dal salone della

villa proviene una musica quasi

tribale, con dei bassi molto forti,

come un tamburo ostentato che fa

vibrare l’aria calda. All’ingresso,

d u e door selectors vestiti di nero

con gli auricolari controllano gli

inviti sui loro iPad. Nadine ha fatto

le cose in grande.

Quando Linda fa il suo nome, i

buttafuori la salutano con molta

gentilezza, non la spuntano

nemmeno dalla lista, come se già

sapessero chi è. Devono essere stati

avvertiti, anche se in questo caso di

certo non è opera di Nadine.

Linda rivolge un sorriso complice

ad Alessandro, lo prende per mano

e lui la asseconda nell’inscenare il

loro ingresso teatrale.

Una volta dentro, si mescolano

alla folla che si muove per le varie

sale, incrociandosi secondo tutte le

direttrici geometriche. Frotte di

camerieri in sari argentato si

aggirano tra gli invitati reggendo

vassoi colmi di calici di champagne

e poi tartine con granchio,

aragosta, gamberetti, porcini,

caviale rosso e nero, bottarga di

muggine, burro e tartufo bianco.

Tutti i cliché del lusso, serviti con

classe ed eleganza.

Sia Alessandro che Linda

prendono un calice e una tartina,

poi si siedono su un divanetto a

osservare la fauna umana che

popola la stanza. Riconoscono tre

politici abbastanza famosi, con

rispettive compagne o amanti di

turno,

un’attrice

francese

(verosimilmente amica di Nadine)

che ora sta parlando con un noto

imprenditore edile della zona e uno

scrittore di noir. Due ragazze si

aggirano ai lati opposti della sala e

si osservano con odio a distanza,

perché si sono ritrovate con lo

stesso abito blu elettrico.

Linda cerca Tommaso con gli

occhi. È tesa. Non l’ha più rivisto

da quando hanno fatto l’amore nel

giardino d’inverno e non sa cosa

aspettarsi; in verità, non saprebbe

nemmeno cosa dirgli. Non si tratta

di imbarazzo, lei non si sente

praticamente mai a disagio, ma

diciamo che trovarsi nello stesso

luogo in cui si aggira anche la

compagna dell’uomo che si è

portata a letto non è esattamente

la situazione più rilassante che

abbia mai vissuto. Fino ad ora è

riuscita a non tornarci su con la

mente, tutta presa dai preparativi

della festa e dai lavori della casa,

ma

qui,

nella loro villa, è

impossibile non provare un minimo

di agitazione, anche per uno spirito

libero come lei.

È Tommaso a toglierle il

pensiero, sbucando da una porta

alle loro spalle. «Benvenuti» li

accoglie, con il tono del perfetto

padrone di casa. Poi saluta Linda

con due baci sulle guance. Ed è in

quel momento che Alessandro si

accorge di un impercettibile

arrossamento sulle gote di Linda.

Dura solo un istante. Ma nessuno

la conosce come Alessandro, che

non dice nulla e si appunta questo

piccolo segnale in testa. La sua

amica, evidentemente, non gli ha

raccontato proprio tutto su

Tommaso.

«Lui è Alessandro, un mio amico»

lo presenta Linda. E intanto fa una

scansione di Tommaso dalla testa

ai piedi: è sexy nel suo smoking

nero con i bottoni d’oro, ha tutto il

fascino dell’uomo in uniforme.

«Tommaso Belli.» Tommaso

stringe la mano ad Alessandro, e

gli elargisce il più splendido e

luminoso

dei

suoi

sorrisi

diplomatici.

Alessandro ricambia la stretta, fa

un cenno con il viso.

«Sta andando bene, mi pare,

no?» Tommaso cerca conferma in

Linda.

«Benissimo!» Linda annuisce,

anche se nota in lui un certo

distacco.

Poi Tommaso si volta, sentendosi

tirare leggermente per un braccio.

«Onorevole Galli, è un piacere

averla qui.» Si gira di nuovo verso

Linda e Alessandro e dice:

«Scusatemi, ci vediamo più tardi»,

prima di sparire insieme al tizio,

evidentemente un pezzo grosso.

Attraversano la sala e raggiungono

Nadine, bellissima nel suo abito a

sirena color cipria che ne esalta le

forme impeccabili.

Linda li osserva da lontano e non

capisce quel sentimento che sta

provando: è invidia? Gelosia? Non

che in questo momento le manchi

qualcosa, questo no, però a vedere

Nadine e Tommaso insieme, così

elegantemente perfetti, al centro

dell’attenzione di tutti, le viene una

specie di crampo allo stomaco.

Distoglie lo sguardo da quello

spettacolo, per rivolgerlo, con una

sorta di magnetismo animale, su

Alessandro, che se ne sta in silenzio

ma in testa è chiaro che ha un

vortice di pensieri. Linda non vuole

parlargliene ora, di Tommaso, ma

Alessandro intuisce benissimo che

c’è sotto qualcosa. «Dovrebbe

esserci anche mio zio, qui» gli fa

notare lei.

«Giorgio?»

«Sì, ma non lo vedo.»

Alessandro allunga il collo per

guardare meglio. «Non è quello

laggiù?»

Linda lo scorge, e apre la bocca,

sorpresa. «Ha portato anche

Fausto!» Lo riconosce dal nido

arru ato di capelli ricci che gli

arriva fino alle spalle.

«Il pianista» replica Alessandro.

«Lo conosci?»

«Altroché, è famoso!» dice, come

se fosse un suo grande fan. «Ma è

amico di Giorgio?»

«Sì. In realtà è un po’ più che

amico.» Linda lo dice quasi con un

sussurro. «Ma se spi eri qualcosa

in giro, giuro che ti ammazzo!» lo

minaccia, nascondendo un sorriso.

«Figurati, ti sembro il tipo che va

in giro a parlare?»

«No, tu no, certo… sai quanto

tengo a mio zio.» Linda saluta

Giorgio e Fausto, gli fa cenno con

la mano di raggiungerli.

È in quel momento che

Tommaso, dal centro della sala, le

lancia un’occhiata. E tutto il

castello di emozioni trattenute o

mai ammesse crolla in un so o.

Linda non può fare a meno di

ricambiare, con tutta l’intensità di

cui è capace. Il loro è un incontro

penetrante di sguardi, che produce

un’onda calda dentro il cuore di lei

e una tensione fulminea nel corpo

di lui.

Alessandro, cha ha visto tutto, le

dà una gomitata. «Lui ti piace,

vero?» le chiede, a bruciapelo.

Linda strabuzza gli occhi. «Lui

chi, scusa?»

«Ma come, chi? Tommaso. Lo

capirebbe anche un cieco, dài.»

A Linda scottano le guance.

Quando erano al liceo, lei e

Alessandro si con davano le

reciproche cotte; ma perché adesso

le sembra così difficile?

«Guarda che a me lo puoi dire,

eh!» Alessandro la pungola ai

fianchi.

«E va bene» confessa Linda. «Sì,

un po’ mi piace.»

«E a giudicare da come ti ssa,

anche tu gli piaci» osserva

Alessandro, improvvisamente più

attento. Guarda Tommaso, poi

torna su Linda. Un pensiero

fulmineo gli attraversa la mente.

«Di’ un po’, non è che tu e lui

avete…?» Sorride, con il tono di chi

ha colto un bambino con le mani

nella marmellata.

Linda si stringe nelle spalle, poi

distoglie gli occhi, alla disperata

ricerca di un’àncora di salvezza. Ed

ecco che l’àncora arriva. Giusto in

tempo per levarla dall’imbarazzo.

«Zio!» Si butta tra le braccia di

Giorgio, che nel frattempo si è

avvicinato a loro. Non è mai stata

così contenta di vederlo: in

doppiopetto scuro e papillon è una

visione bizzarra e impeccabile

insieme. Come tutte le sue

creazioni.

«Alessandro?» Giorgio si volta

verso il ragazzo accanto a sua

nipote.

«In carne e ossa.» Alessandro gli

dà una stretta di mano e una

piccola pacca sulla spalla. «È

passato un po’ di tempo…»

«Sono davvero contento di

vederti. Linda mi tiene sempre

aggiornato sui tuoi viaggi.» Giorgio

sprizza gioia genuina. «Lui è

Fausto.» Lo presenta come un

amico di vecchia data.

Per

qualche

minuto

si

trattengono a parlare, ridere, bere.

Poi è Fausto a lanciare la proposta:

«Che ne dite se ci buttiamo in pista

anche noi a ballare?».

«Sì! Scateniamoci» grida Linda,

entusiasta. Abbandona la stola di

tulle sul divanetto, mentre gli

uomini si spogliano delle loro

giacche.

Raggiungono il centro della sala,

dove c’è già un gruppetto di

scatenati che si è radunato attorno

a una provocante Ivanka. La

famosa deejay austriaca Dominique

Jardin – fortemente voluta da

Nadine e profumatamente pagata

da Tommaso – si sbraccia dalla sua

postazione rialzata per richiamare

più gente a ballare.

È sul remix di Mundian To Bach

Ke di Panjabi MC che Nadine

irrompe tra la folla e si mette ad

ancheggiare proprio davanti ad

Alessandro. Giorgio e Fausto si

sono aggiunti al trenino di Ivanka.

Suo malgrado, Linda è costretta a

spostarsi, per non correre il rischio

di farsi calpestare dai tacchi

vertiginosi della pantera del

Libano, che ora sta ballando come

una campionessa di bel y dance.

Linda sente un’onda di fastidio

profondissimo risalirle dal centro

dello stomaco. È tutta rossa in

faccia, vibra d’indignazione – Ma

perché? non può fare a meno di

chiedersi – in più ha una

sensazione di s nimento assoluto,

un po’ per l’alcol che le sta

andando in circolo, un po’ per

l’inevitabile competizione che le è

scattata dentro. E che le scatta

sempre quando ha davanti una

rivale degna di tale nome. Avrebbe

voglia di strapparle il vestito e

tirare via Alessandro per un

braccio, e invece si accascia su una

poltroncina e rimane a guardare.

Niente da fare, contro Nadine ha

perso in partenza.

Alessandro intanto partecipa

divertito al balletto della gran

signora; non può fare altro che

assecondarne

i

movimenti,

tentando di inseguire i suoi passi

ritmati. Di Linda, della sua

irritazione,

non

si

accorge

minimamente: la situazione con la

splendida padrona di casa non gli

dispiace a atto. Nadine ha uno

sguardo magnetico, gli occhi

nocciola disegnati con il kajal e

spolverati di ombretto nero. E poi

ha questi capelli lisci e lucenti, che

non può fare a meno di desiderare

sul

suo

corpo:

vorrebbe

accarezzarli, a ondarci il naso per

godere a pieno di quel profumo

fantastico.

«Balli bene, ma te lo diranno

tutti» le sussurra Alessandro.

«Grazie. Lo so.» Nadine gli s ora

una guancia con l’indice. «Ma detto

da te, il complimento ha tutto un

altro sapore.» Ha una bocca che

provoca, la signora.

Alessandro le sorride. Gli sembra

che le orecchie gli ronzino un po’.

Poi va avanti a ballare senza

seguire bene il ritmo, solo per stare

al suo gioco. Solleva piano le

braccia davanti a sé, come se

indicasse lei, ma guarda nel vuoto

delle luci; poi piega le braccia

dietro la testa, scende con le mani

sulla camicia sbottonata a metà, e

arriva

no

ai

pantaloni,

fermandosi sul bacino, in un

movimento uido e irresistibile.

Almeno, così gli pare. Anche se non

è un grande esperto di seduzione,

involontaria per lo meno.

Funziona. Prima che il pezzo sia

nito, Nadine gli a erra un polso e

gli dice qualcosa all’orecchio.

Pagherebbe oro per sapere cosa,

Linda, che ha visto tutta la scena e

non vuole credere ai propri occhi.

Adesso Nadine sta trascinando

Alessandro verso la porta che dà

sul retro della villa. Lui si volta

solo un istante, forse a cercare lei,

poi si lascia ingoiare dal buio.

Linda li vede fuggire fuori, le

sagome che scompaiono tra gli

alberi del parco.

«Stronza» non si trattiene dal

mormorare, tutti i muscoli contratti

per l’irritazione. Ma non dovrebbe

provarla. Non ha senso ora come

non aveva senso quel giorno con

Valentina.

È in quel momento che il

sussurro di Tommaso la raggiunge.

«Sei bellissima stasera» le s ora il

collo delicatamente. «Ancora più

del solito, se è possibile.»

Linda si gira, il ato mozzato

all’improvviso. Anche lui deve aver

visto la scena, era lì a un passo da

lei quando Nadine si è buttata

come una tigre su Alessandro.

«Grazie… Ma non hai altro da

dire?»

Tommaso sorride, un po’ a

fatica. Prende due calici di

champagne da un vassoio, gliene

porge uno. «Di cosa?»

«Li hai visti anche tu, non fare

nta di niente.» Linda tiene il

calice tra le mani, ma non beve.

Tommaso lo s ora appena. «Tra

me e lei c’è un tacito patto» spiega,

con una naturalezza inde nibile, in

un tono leggero che però sembra

quasi o uscato dal bagliore cupo

che ha negli occhi.

«Cioè?» Linda scuote la testa,

allibita. «Fammi capire, ti prego.»

Prende un lungo sorso di

champagne. Scende per la gola

freddo, secco, forte.

«Io non sono un tipo geloso. Né

tanto meno potrei stare con una

donna gelosa.» Tommaso ha uno

sguardo di una durezza minerale,

inquieta un po’. «Di tutte le

passioni umane la gelosia è la più

dannosa. Nadine è una donna

adulta e consapevole ed è libera di

fare ciò che vuole con il suo corpo.»

Eppure, nel vedere Linda arrivare

insieme ad Alessandro gli si è

smosso dentro qualcosa, almeno a

se stesso lo deve ammettere.

«Non ci credo che non ti dia il

minimo fastidio sapere che ora se

ne sta a farsi i suoi comodi con il

mio amico» sonda lei.

«Ti sbagli. Sono serenissimo.

L’importante è che sia discreta e

che non mi metta in imbarazzo. E

di questo sono assolutamente

sicuro» dice Tommaso, adesso con

freddezza soprannaturale. In realtà

ora il suo pensiero non è rivolto a

Nadine, ma a Linda. Non riesce

proprio a capire cosa lo attrae così

tanto di lei: la luce calda e ironica

nello sguardo, le sue espressioni

bu e e genuine? La sua presenza,

quest’aura magica che l’avvolge?

«E a te va bene così?» Linda fa

una faccia sconvolta.

«È già successo che ci siamo

traditi, ma tutto è rimasto sepolto

nell’intimità della coppia.»

Linda si appoggia alla colonna,

guarda per terra, non sa come

reagire a questa rivelazione. Forse,

e se ne rende conto solo in quel

momento, non era poi così

imprevedibile, in un uomo come

Tommaso. Sono solo una delle

tante?, le viene comunque da

chiedersi.

Lui le s ora il mento e le solleva

il viso con due dita. «Ma adesso

non voglio parlare di questo» dice

con voce profonda.

Linda lo guarda negli occhi,

sente un brivido. Lui le piace,

dannazione, non sa cosa farci.

«Nemmeno io voglio parlarne.» Lo

tira a sé, a errandolo per la

cintura.

È tutto in questo contatto:

nell’essere l’uno di fronte all’altra,

ora e qui. Nel volerne di più,

nell’averne bisogno. Un’urgenza

primordiale e inevitabile. Tommaso

la strattona dietro una colonna, le

in la una mano sotto la gonna, tra

le cosce. «Voglio fare l’amore con

te» le so a nell’orecchio e, prima

che lei possa atare, le tappa la

bocca con un bacio.

Sono nel salone principale,

quello delle cerimonie, pieno di

gente, in questo momento. La

stanza è percorsa da due le di

colonne massicce. Non abbastanza

larghe, però, da nasconderli.

Ma, in fondo, forse nessuno dei

due ha il minimo interesse a

nascondersi.

Alessandro è brillo, ma non così

tanto da non riuscire a registrare i

dettagli del posto in cui Nadine lo

ha trascinato. La dépendance

privata della signora è dotata di

ogni comfort. Lo spazio è raccolto,

strategicamente illuminato con fari

azzurrini a pavimento. Nell’aria c’è

un profumo intenso di

ori,

zucchero e mirra che seduce e

scalda. Dalle casse nascoste arriva

una musica so usa, con sonorità

arabeggianti. Su una serie di

sca ali a muro sono disposti con

cura aconi di creme, vasi in vetro,

boccette e ampolle dalle forme

ra nate contenenti lozioni per la

cura del corpo, spatole e arnesi da

bellezza in legno di cedro. Sembra

di stare in una piccola beauty farm.

Se il paradiso personale di

Tommaso è la botanica, quello di

Nadine è di sicuro la cosmesi,

declinata in ogni sua forma.

Ecco che in un attimo sono

davanti al letto a baldacchino,

circondati da una distesa di seta

blu notte. Nadine comincia a

spogliarlo, gli apre uno a uno i

bottoni della camicia rossa, poi lo

spinge sul letto, si china su di lui e

gli lecca piano il capezzolo sinistro,

tracciando cerchi concentrici con la

punta della lingua. Alessandro

chiude

gli

occhi,

estasiato

dall’incredibile

erotismo

del

momento. Dopo qualche istante si

accorge che Nadine ha smesso il

suo giochino. Ora è in piedi, di

fronte a lui, e lo guarda con

un’insistenza famelica. Si s la

lentamente il suo elegantissimo

Armani, lasciandolo cadere a terra;

scalcia i sandali di raso e rimane

solo con un ra nato completo

intimo avorio con inserti di

macramè color giada. Una

catenina sottile che le corre intorno

alla vita termina con uno smeraldo

proprio sull’ombelico. Ha la pancia

piatta, un

sico scolpito da

estenuanti sedute in palestra e

costosi trattamenti estetici.

Alessandro è eccitato da morire

alla vista di un corpo così

sfacciatamente perfetto, con questo

colore esotico, queste proporzioni

disegnate ad arte. Si leva la

camicia e comincia a slacciarsi i

pantaloni. Nadine si avvicina per

aiutarlo; ha mani delicate e sicure.

Alessandro sta pensando che è da

un po’ che non gli capita di scopare

con una donna come lei, o che

forse non gli è capitato mai, ma lei

non gli lascia il tempo di ri ettere:

gli ha già tirato giù i pantaloni e i

boxer di cotone nero. Poi a erra la

sua erezione con una mano e come

una gatta sale su di lui, s’in la in

bocca la sua punta turgida e

comincia a leccargliela. Questa

donna sa davvero come prenderlo

in bocca e far godere. Alessandro

pensa per un istante di metterle la

mano sulla testa per accompagnare

i suoi movimenti, ma capisce di

non poterlo fare. Non sono ancora

abbastanza in intimità. Nadine si fa

scivolare in bocca tutto il cazzo,

succhiandolo no alla base con

movimenti lunghi e lenti, mentre

con la mano destra gli accarezza

gli addominali, che lui continua a

tenere in tensione.

«Mi piacciono gli uomini come

te» sussurra. Con la lingua risale

dal suo membro eretto ai peli del

petto. Alessandro non è uno che si

depila, come Tommaso: e la

sensazione, per lei, è totalmente

diversa. Poi torna verso il basso

s orandogli il membro più volte

con il seno, quindi riprende a

succhiarglielo, intrecciando la

lingua sull’asta.

Alessandro ha gli occhi socchiusi,

in un principio di godimento che

va oltre ogni aspettativa. Capisce

che è il momento di essere parte

attiva nel gioco quando la vede

portarsi la mano sinistra tra le

gambe: sembra che anche lei abbia

parecchia voglia di godere. Così a

un tratto si alza sulle cosce, in

ginocchio sul copriletto nero, la

prende svelto per la nuca e la bacia

sulla bocca.

Nadine lo guarda quasi stupita;

evidentemente, non si aspettava di

essere baciata. Alessandro la mette

distesa sul letto, si china tra le sue

gambe lisce allargandole appena

con le mani, poi fa salire la lingua

lungo l’interno delle cosce, sode ma

non muscolose. Lei solleva le

braccia dietro la testa e inarca il

bacino emettendo un miagolio di

eccitazione. Quando Alessandro

arriva più su e scosta il lembo delle

mutandine, gli occhi iniziano a

esplorare la sua ga, bella, tutta

depilata. Ne odora il profumo:

incenso, anche lì. Avvicina la

lingua e la sente aprirsi piano sotto

di lui, calda e umida. Nadine inarca

di più il bacino. Alessandro le

strappa via le mutandine, poi

muove la lingua ancora più in

profondità e con un dito comincia

ad accarezzarle il clitoride. Nadine

geme. Lui sente che dentro è

sempre più caldo, più umido, forse

più salato; continua a scoprire il

suo piacere no a quando lei non

gli solleva la testa, tirandolo piano

ma con decisione per i capelli.

Senza sorridergli, Nadine allarga

ancora le cosce e lascia che lui

prema un po’ la punta del pene

duro contro le sue labbra bagnate.

Alessandro

spinge

appena,

entrando piano dentro di lei.

Nadine si ritrae e gli fa un accenno

di sorriso, poi allunga una mano

verso il cassetto del comodino,

dove

trova

all’istante

un

preservativo, con una sicurezza che

un po’ lo spiazza.

Lo scarta e glielo avvicina. Un

denso aroma di mango si di onde

nell’aria. Esita un attimo, si sporge

in avanti a prenderlo in bocca

ancora una volta, prima di

accostare il disco alla punta e

srotolarlo lentamente, mentre con

la lingua scende sotto le palle e

continua a eccitarlo. Lo ssa per

un momento negli occhi con lo

sguardo ammiccante di chi sa bene

cosa sta facendo, poi si gira, senza

dire niente. Alessandro vede la sua

schiena inarcata e capisce come

vuole essere presa la signora: da

dietro. Si avvicina al suo culo

fantastico e appoggia il cazzo

contro il suo nido bagnato, che si

apre mentre lui le scivola dentro

con un colpo solo. Lei gli chiede di

spingere e di non smettere. Lui

continua a prenderla, poi stringe

con forza le mani sui suoi anchi e

comincia a muoverla avanti e

indietro. Lei, che prima era

poggiata sui gomiti contro il

cuscino di seta, si abbassa

tendendo le braccia davanti a sé,

mentre la sua schiena si ette

ancora di più verso il letto.

Alessandro solleva la mano destra

dal anco, le stringe un seno e poi

risale no al collo, no alla nuca, e

spinge con intensità via via

crescente. Sente che Nadine sta

cedendo, ma sembra volerne

ancora. O forse è lui a volerne

ancora. Aumenta il ritmo e

continua a prenderla da dietro,

no a quando viene. Scompare

tutto, tra gemiti e sudore, non sa

dire se la signora sia venuta

insieme a lui.

È quasi l’alba quando gli ultimi

ospiti vanno via.

Uscendo dalla villa, alla vista

della piscina Alessandro ha un

déjà-vu. «Ma noi qua ci siamo già

stati…» dice a Linda, disorientato.

«Sì.» Linda sorride, ma è un

sorriso un po’ spaesato. E tirato.

Per quello che sa, per quello che è

certa sia accaduto poche ore prima.

Nella mente di Alessandro si fa

sempre più nitido il ricordo di loro

due ragazzini che fuggono nel

cuore della notte dopo essersi

tuffati in quella piscina.

Anche adesso sembra un po’ una

fuga, ma forse più da loro stessi

che dai padroni della villa.

Uno strano silenzio li avvolge,

appena salgono in macchina. Sono

vicini e distanti, ancora amici

eppure diversi da sempre.

La luce debole dell’alba inizia

appena a rischiarare il cielo; il buio

della notte invece continua ancora

a vivere dentro l’abitacolo.

Alessandro accende l’autoradio; nel

lettore che Max gli ha installato

due giorni fa è rimasto il cd di Rino

Gaetano, uno dei suoi miti. Le note

d i Tu, forse non essenzialmente tu

rendono il silenzio tra loro ancora

più struggente.

Per la prima volta da quando si

conoscono, sono in imbarazzo,

entrambi. Alessandro ha gli occhi

ssi sulla strada, Linda guarda

fuori dal nestrino, rannicchiata

con i piedi sul sedile. Dovrebbero

parlare, ridere, prendersi in giro,

raccontarsi quello che è successo

dentro la villa, ma ormai sono

fuori, sulla strada di casa. E quel

che è successo, come sempre

quando passano una serata

insieme, non si potrà mai più

cancellare.

12

Lussuria

Rimettere in sesto il tetto della

Casa Azzurra non è un’impresa da

poco, con il caldo africano di ne

luglio e il vento continuo che fa

tremare tutto.

Giorgio Ottaviani lavora in

silenzio,

ed

è

sempre

concentratissimo. Quando Linda

qualche giorno prima gli ha

mostrato le tremende in ltrazioni

sulle pareti del salotto, è stato

molto chiaro, e subito disponibile:

«Tesoro, bisogna correre ai ripari

immediatamente! Il tetto è la

prima cosa a cui pensare quando si

restaura una casa vecchia, e io

avrei una certa idea da proporti»

ha detto con un tono di bonario

rimprovero. Linda ha capito che

contraddirlo

sarebbe

stato

impossibile e le è nata dentro una

curiosità folle di scoprire cosa lo zio

intendesse: perché Giorgio, quando

si mette all’opera, non fa le cose

tanto per farle, ma ci mette tutto

l’estro artistico che solo lui ha. Ed è

stato così che è venuta fuori la

pazzia di far verniciare di rosso e

azzurro alcune delle tegole.

Adesso Giorgio è lì sul tetto a

rattoppare,

spostare,

posare,

ri nire, componendo lassù un

originale disegno geometrico: una

tegola rossa, una blu, di nuovo una

rossa, poi un’altra blu. Si è

costruito

un’imbragatura

artigianale, passandosi una fune

intorno

al

cinturone

e

assicurandola a una trave interna

della so tta. Dovesse scivolare o

avere un capogiro, sarebbe

comunque al sicuro, dato che la

struttura in legno è solida – e poi

lui non pesa certo un quintale, ha

un sico ancora molto atletico per

la sua età.

Linda lo osserva da sotto, dove

c’è la carrucola, e ogni tanto gli

lancia un schio per veri care che

sia tutto a posto. «Zio, hai bisogno

che ti mandi su altre tegole?»

«Ancora no. Ti dico io quando.»

«Ok, ma non a aticarti. Mi

raccomando. Lo sai che mi sento

responsabile della tua salute,

vecchietto…» Gli strizza l’occhio. A

volte rimane davvero sconvolta

dalla sua resistenza alla fatica.

Chissà dove va a prendere tutta

quella forza. «Con questo caldo sto

schiattando io da qui, non voglio

immaginare tu lassù…»

«Quassù va tutto bene» la

rassicura Giorgio. Eppure lo sa

anche lui che non ha più l’energia

di un ragazzo, che il cuore ogni

tanto gli batte più rapido del

normale, ma lui se ne in schia

delle raccomandazioni che gli ha

fatto il medico all’ultima visita

cardiologica. E poi in questo

momento corpo e testa sono abitati

dalle sensazioni della notte passata

insieme a Fausto. Avrà dormito

un’ora, forse due, ma non è stanco;

è frastornato dal riverbero delle

emozioni che ha provato, e questo

frastuono dei sensi gli regala nuova

ispirazione artistica.

A un tratto si alza un rombo

dalla strada e una nuvola di

polvere bianca si solleva nell’aria.

È Alessandro su una Harley Road

King nera, senza casco né

giubbotto.

Si

ferma

con

un’inchiodata a pochi passi da

Linda.

«Oddio, e questa da dove salta

fuori?» chiede lei sgranando gli

occhi e allargando le braccia.

«Me

l’ha

prestata

Max.»

Alessandro smonta dalla moto. «Ho

fatto solo un giro di prova. Non

avevo mai guidato una bestia così.»

«Figa,

comunque.»

Linda

accarezza la sella.

«Sei nella fase grandi opere?»

Alessandro la osserva nella sua

tenuta da lavoro, pantaloncini

stinti, canotta macchiata, capelli

raccolti in un mollettone.

«Già, il tetto cade a pezzi.» Linda

solleva lo sguardo al cielo.

Poi si sente un colpo di martello

e anche Alessandro alza la testa.

«Ah, ma c’è Giorgio!» Urla per farsi

sentire e si sbraccia, salutandolo.

Giorgio si volta all’improvviso,

ha un attimo di sbandamento, poi

si pianta bene sui piedi per non

perdere

l’equilibrio.

«Ehi,

Alessandro!»

«Serve una mano?» gli domanda

subito.

«Manca poco, ma se insisti… io

non faccio complimenti.» Giorgio

gli indica la scala. «Dài sali, così

finiamo prima.»

«Arrivo!» Alessandro si toglie la

T-shirt bianca e rimane a petto

nudo. «Sto morendo di caldo.»

«Ale, mettiti la corda di

sicurezza, però» lo redarguisce

Linda. E intanto l’occhio le cade sul

suo culo ben delineato dai jeans

strappati che sembrano disegnati

sui glutei. Poi si so erma sui

pettorali forti, i muscoli scolpiti

dalla fatica di una vita sempre in

prima linea.

«Ma gurati! Ho fatto di peggio,

dài» dice lui, ed è già sul terzo

gradino della scala. Si arrampica

con agilità, ai piedi ha degli an bi

leggeri.

Fa passare una fune sulla

carrucola, la cala in modo che

Linda possa prenderla e mandargli

su altre tegole.

Quando il carico arriva in cima, i

due ce la mettono tutta, gambe e

polmoni al massimo, in una specie

di competizione mascolina di forza

e resistenza. Alessandro si muove

perfettamente a suo agio, come se

avesse fatto il manovale per una

vita, posa i pezzi con un vigore in

apparenza solo funzionale ma che

forse lui enfatizza un po’, dato che

Linda lo sta osservando. Dopo

mezz’ora di manovre, si ferma per

asciugarsi la fronte con il dorso

della mano, guarda giù e chiede a

Linda: «Com’è il disegno? Ti

torna?».

Lei punta gli occhi in alto e con

una mano si ripara dal sole. «Sta

venendo una meraviglia!» esclama.

«Altri dieci minuti e abbiamo

finito» dice Giorgio, senza voltarsi.

«Grande zio! Non avevo dubbi!»

urla lei, felice come una bambina.

Dopo un po’ i due lavoratori

scendono a rimirare l’effetto, tutti e

tre a occhi socchiusi contro la luce

accecante.

«Meglio di così era impossibile.»

Linda è euforica.

«Sì, devo ammettere che abbiamo

fatto un lavoro superbo.» Giorgio si

passa due dita sul mento, è

soddisfatto. Poi si appoggia al

sedile della moto, ha il respiro

corto e il cuore a aticato. E Linda

lo osserva con apprensione. Non si

perdonerebbe mai se gli succedesse

qualcosa. Gli mette una mano sulla

spalla. «Zio, adesso però vai dentro

e ti riposi un po’ sul divano. Ci

pensiamo io e Ale a sistemare gli

attrezzi.»

«Sì, Giorgio. Hai fatto anche

troppo, tu» rincara la dose

Alessandro.

Giorgio alza le mani in segno di

resa. «Ok, ok, me ne vado al

fresco» concede, dirigendosi verso

la porta d’ingresso.

È in quel momento che a Linda

arriva un sms. Estrae il telefono

dalla tasca dei pantaloncini e si

mette a leggere.

Passo a prenderti alle 19.

Ti porto in un bel posto.

Non accetto un no.

È Tommaso. A Linda viene da

sorridere, mentre gli risponde,

senza lasciar passare nemmeno un

secondo.

Dove?

Tommaso le scrive un attimo

dopo.

Non accetto nemmeno domande.

Linda muore dalla curiosità. Gli

occhi le brillano, le labbra si

dischiudono mentre s ora il touch

screen.

Adoro le sorprese.

Alessandro, che ha osservato la

scena in silenzio, non riesce a

trattenersi: «Era lui?».

Nei giorni scorsi, si è fatto una

lunga chiacchierata con Linda

sull’ affaire Tommaso, ed è stato

schietto come solo Alessandro può

essere: non avrebbe mai pensato

che una ragazza tosta e

indipendente quale lui l’ha sempre

considerata si facesse sedurre dal

fascino del potere. Tra le righe,

così era sembrato a Linda, le aveva

dato dell’arrivista, della donna

leggera, e lei non ci ha visto più, si

è sentita ferita: gli ha risposto che

non erano stati certo i soldi e tutti i

derivati ad avvicinarla a Tommaso.

L’aveva attratta per altre ragioni,

che certo un vagabondo inquieto

come lui non avrebbe mai potuto

capire. A quel punto i toni del

discorso si sono in ammati, ma

solo per Linda – Alessandro è

rimasto sereno e per nulla turbato.

Ma era chiarissimo che, mentre gli

insulti di lei erano dettati solo dalla

rabbia di una donna ferita, le

giusti cazioni sulla sua passione

per Tommaso non l’avevano

convinto no in fondo. L’ultima

cosa che Alessandro voleva, però,

era sembrare il giudice della sua

più cara amica, così ha concluso

dicendo che forse si era sbagliato e

poi non era più tornato

sull’argomento.

La voce di Alessandro riconduce

Linda alla realtà. Annuisce. «Vuole

portarmi in un bel posto, ma non

mi dice dove.»

«E tu?»

«Gli ho risposto di sì.»

«Insomma, quest’uomo non ti

lascia scampo…»

«Diciamo che gli permetto di non

lasciarmene.»

Linda

ha

un’espressione compiaciuta. Ormai

lei e Tommaso hanno preso a

vedersi sempre più spesso, ma

ancora non sa come interpretare il

loro rapporto. Sa soltanto una

cosa: che quando è con lui, lei sta

bene. Anche se a tutti gli e etti sta

facendo, per la prima volta nella

sua vita, l’amante. E come le ha

ricordato saggiamente lo zio

Giorgio, l’unica persona oltre ad

Alessandro con cui si è con data,

fare l’amante non è mai una

posizione comoda.

«A proposito… Tu la signora l’hai

più vista?» domanda Linda con

fare ammiccante. E mentre lo

chiede pensa che Tommaso a

Nadine non ha detto nulla di quello

che è successo tra loro, anche se è

probabile che lei sospetti qualcosa.

Comunque non dovrebbe fargli

storie se, come le ha spiegato

Tommaso, si sono già traditi in

passato e a lei la cosa non ha mai

dato fastidio, a patto che non

compromettesse i loro progetti

matrimoniali. Forse però non è un

caso se proprio negli ultimi giorni,

come le ha confessato Tommaso un

giorno alla villa, Nadine gli ha

accennato di nuovo ai preparativi

delle nozze dopo tanto tempo… Ma

non sono a ari suoi, si dice. Non ci

deve pensare. In fondo, non ha

nemmeno capito cosa vuole lei da

Tommaso.

«Figurati, Nadine è stata solo un

incontro interessante, diciamo, ma

io non ho tempo per queste cose,

adesso. Ho ben altro per la testa.»

Lo dice con un’espressione un po’

preoccupata.

«E sarebbe?»

«Di sicuro non una donna.»

«Tu mi stai nascondendo

qualcosa, lo so…» e lo guarda con

un’occhiata minacciosa.

«Finiscila, Linda, ti sembro uno

che è in grado di nascondere

qualcosa?»

Alessandro

sta

chiaramente sviando il discorso.

Smonta la corda dalla carrucola.

«Dài, sistemiamo tutto, così poi

Giorgio sarà contento.»

Linda ha una mezza idea di cosa

possa essere questo altro che lui ha

per la testa. Non insiste, ma spera

tanto dentro di sé di sbagliarsi.

Stanno viaggiando da un’ora e

mezza. La Jaguar XK ha s orato i

centonovanta in autostrada, e

Linda, che pure ama la velocità, ha

sgranato gli occhi ogni volta che è

riuscita a sbirciare il tachimetro.

Tommaso è più sciolto e rilassato,

impugna il volante e s da la strada

con una disinvoltura da pilota

consumato. Linda lo osserva,

compiaciuta. Quest’uomo ha la

capacità di sorprenderla per come

riesce sempre a svelare un nuovo

lato di sé. E poi non può fare a

meno di pensarlo: è bello da paura,

la sua è una bellezza oggettiva e

per questo non lascia scampo,

anche ora, in versione casual, con

una semplice polo blu e i pantaloni

kaki di cotone. Ma a stregarla più

di tutto sono quei suoi occhi grigio

blu, un mix letale di mistero e

magnetismo; e poi, quel pro lo

dritto, quasi nordico, la mascella

leggermente scavata, la barba

sempre fatta, mai un pelo fuori

posto. Ha una classe, una

compostezza

che

la

fanno

sciogliere.

«Non mi vuoi ancora dire dove

mi stai portando, vero?» gli chiede

Linda, dondolando sul sedile.

Anche se non riesce a immaginare

la destinazione nale del viaggio, è

parecchio su di giri.

Tommaso distoglie per un

secondo lo sguardo dalla strada.

«Tra un po’ lo scoprirai da sola.» Le

posa una mano sul ginocchio come

per farla stare buona.

«Ma io sto morendo dalla

curiosità!» si agita lei.

«Ed è proprio questo il bello,

no?» Tommaso si gode il suo

entusiasmo.

Linda continua a punzecchiarlo.

«Nemmeno un piccolo indizio?» Sta

cercando di fare appello a tutte le

armi di seduzione che conosce. Ma

il tentativo di ottenere quello che

vuole facendo la gattina non

funziona.

Tommaso difende il suo territorio

con

ostinazione.

«Segreto

diplomatico» rincara la dose, con

quella voce di velluto, da chi sa e

può spiegare tutto.

Percorrono un lungo tratto di

autostrada

verso

Nord,

attraversano una vallata, un ume,

alcune gallerie. Linda è sempre più

curiosa, adrenalinica. Alla ne di

una galleria riconosce il cartello

verde che indica l’uscita TARVISIO,

l’ultima in Italia, ma Tommaso non

toglie il piede dall’acceleratore, e

ora stanno superando il cartello

bianco di Stato con la scritta

AUSTRIA-ÖSTERREICH.

«Stiamo andando in Austria?»

Linda si tira su dal sedile, guarda

fuori dal finestrino euforica.

Tommaso stira le labbra in una

specie di sorriso, le reazioni di lei

lo

divertono

troppo.

«U cialmente, siamo già in

Austria» precisa, tornando serio.

«Che gata!» esclama lei di

slancio.

«Aspetta a dirlo.»

«Ovunque tu mi stia portando,

sono già felice.» Linda osserva il

paesaggio con occhi incantati.

Il cielo sta iniziando a scurirsi,

ma non così tanto da rovinare il

panorama. La Jaguar lascia

l’autostrada e si immette su una

strada secondaria, costeggiata da

boschi di faggi e abeti. Tommaso

accosta un istante per permettere

alla capote di abbassarsi in piena

sicurezza, guarda Linda con

complicità, poi le accarezza i

capelli e riparte con un’accelerata

leggera. Davanti ai loro occhi un

palcoscenico color smeraldo mosso

da una brezza argentina dove

l’armonia

delle

architetture

contribuisce a creare l’incanto di

un mondo fatato. Le piccole case

con grappoli di ori ai balconi

fanno quasi da contraltare al

fascino drammatico e imponente

delle montagne.

A un tratto uno squarcio di blu

intenso rompe la monotonia verde

della vallata.

Linda si sporge dal nestrino. «È

un lago?»

«Sì, il Wörthersee» dice Tommaso

con un perfetto accento tedesco, «il

lago più grande della Carinzia.» Ha

l’aria di conoscere bene questi

luoghi.

A breve distanza, su un

promontorio roccioso, si erge un

piccolo castello asburgico, dipinto

di un caldo giallo Impero ravvivato

dagli ultimi, ebili bagliori del

crepuscolo. Tommaso prende la

stradina che s’inerpica sull’altura.

«Mi stai portando in quel

castello?» Linda è esterrefatta. È

tutta la situazione a metterle

addosso

una

frenesia

incontrollabile.

«Indovinato» risponde Tommaso,

con una punta di orgoglio. «E ho

tutta l’intenzione di chiuderti

dentro le segrete e buttare via la

chiave, se mi farai arrabbiare,

perciò stai molto attenta a non

contrariarmi…»

aggiunge,

strizzandole l’occhio.

Linda sorride, è eccitata come un

bambino il primo giorno di scuola.

Dopo qualche minuto scendono

dall’auto. Il castello si specchia

ero nelle acque del lago, in un

meraviglioso gioco di luci. Intorno

regna una quiete soprannaturale, si

sente solo il rumore del vento che

agita i rami degli alberi e rimbalza

sulle pareti delle montagne. Le

forze della natura sono padrone

della scena. Linda osserva il

paesaggio, ormai quasi notturno,

con

una

percezione

straordinariamente acuta della

propria irrilevanza; si sente un

puntino felice, in questo paradiso.

Percorrono in silenzio un tratto

di una stradina di ghiaia, ma più

camminano e più il colore del cielo

sfuma in quello della vegetazione:

le distanze sembrano annullarsi, lo

spazio si addensa. A un certo punto

il verso di un animale s’insinua tra

il so o del vento e il rumore dei

loro passi.

Linda si blocca di scatto, i

sandali di cuoio scivolano sulla

ghiaia, i sensi in allerta. «Cos’era?»

«Sarà

un

gufo»

risponde

Tommaso, per tranquillizzarla.

Anche se lei non ha a atto l’aria di

una che cerca rassicurazioni, è solo

curiosa. «O una civetta.» Il verso si

sente di nuovo.

«Sembra più un animale di

terra… mi sa che tu non te ne

intendi di fauna come di ora, o

sbaglio?» ribatte Linda divertita,

con aria di sfida.

«Se lo dici tu… Non è che invece

per

caso

hai paura?» chiede

Tommaso.

Linda non gli risponde ma

sghignazza, alzando le spalle con

spavalderia. Intanto il portale

d’ingresso del castello si spalanca,

illuminato da piccoli fari bianchi.

«È un albergo?»

«Più o meno.» Tommaso le

strizza l’occhio. «È un posto

riservato, dove staremo bene.»

Non ci sono macchine, a quanto

pare non ci sono altri ospiti,

sembra di entrare in una aba.

Linda si sente un po’ a disagio,

come fuori luogo. Non immaginava

che Tommaso l’avrebbe portata in

un posto così esclusivo. A saperlo,

si sarebbe messa un vestito

decente,

non

minigonna

e

camicetta di seta.

«Potevi avvisarmi, però, mi sarei

portata un cambio.» Guarda

Tommaso un po’ piccata, ma con

occhi comunque grati e sognanti.

«Non ce ne sarà bisogno, dati»

la rassicura lui, con un sorrisetto

diabolico. «Non staremo molto

vestiti.»

Linda si sente attraversare da

una corrente calda, ogni molecola

del suo corpo è un condensato di

felicità ed eccitazione. Si aggrappa

al collo di Tommaso. «Grazie per

tutto

questo»

gli

sussurra

all’orecchio, mordicchiandogli il

lobo. Poi lo bacia sulla bocca.

Tommaso assapora la pienezza

delle sue labbra, le accarezza il

sedere, e fatica a non spingere

oltre la mano. Linda lo rapisce in

una maniera totalizzante, come

non si ricorda che sia mai

accaduto. E ora deve ricorrere a

tutto il suo autocontrollo per non

deragliare. Quando è con lei, pensa

ora d’istinto, stenta davvero a

riconoscersi.

Entrano nella hall. Il castelletto

all’interno è un resort molto

accogliente, con arredi ricercati e

lussuosi, che non ha perso il fascino

dell’impianto rinascimentale. Linda

è senza parole, continua a

spalancare gli occhi a ogni

dettaglio che incontra il suo

sguardo. Vengono accolti da una

bellissima bionda dalle forme

generose che indossa un tailleur blu

e bianco fasciante e ha i capelli

raccolti in una coda alta.

«Signor Belli.» La bionda stringe

la mano a Tommaso e fa un cenno

del capo a Linda. Sfoggia un

italiano perfetto e dei denti bianchi

e splendenti.

«Buonasera, Karen.» Tommaso la

saluta con un gesto galante della

mano e un tono con denziale.

Forse un po’ troppo. È a suo agio,

s’intuisce che è già stato qui.

«La chiave della Royal Suite,

come aveva richiesto.» Karen gli

porge una piccola busta in carta

pergamenata con all’interno la

scheda magnetica.

«Grazie mille.» Tommaso prende

la busta e la in la nel taschino

della polo. «Immagino sia tutto

pronto…»

Karen s ora due volte il touch

screen del computer. «Mi conferma

di aver richiesto il pacchetto

Deluxe?»

«Ovviamente sì.»

«Perfetto.» Karen muove una

mano aperta davanti al monitor,

dalle casse escono due note di

violino. «Potete già salire, se

desiderate.»

«Benissimo.» Tommaso prende

Linda per mano. «Andiamo, baby.»

È la prima volta che la chiama così,

gli è sembrato naturale, tenero e

simpatico insieme.

Linda, che l’ha notato, gon a il

petto emozionata. Non è una da

nomignoli, ma detto da Tommaso,

quel baby ha tutto un altro sapore.

Vorrebbe baciarlo, e infatti lo fa, lì

davanti a Karen, non riesce a

trattenersi, e poi continua per tutta

la salita in ascensore – e lui sembra

apprezzare.

Entrano nella Royal Suite: due

livelli collegati da una scala a

chiocciola, con a accio sul lago. È

un ambiente caldo, arredato in stile

veneziano, con accostamenti di

sete, damaschi, broccati, velluti in

tutte le gradazioni di rosso e oro.

Su un tavolo sono elegantemente

disposti un vassoio d’argento con

composizioni di frutta fresca, una

struttura a piramide di so sticato

nger food, due calici in cristallo di

Boemia, un secchiello del ghiaccio

con una bottiglia di Perrier-Jouët

Belle Epoque.

Tommaso a erra la bottiglia e

versa da bere. Si gira verso Linda.

«Allora, ti piace qui?»

«E me lo chiedi anche? È

fantastico!»

Lui le porge un bicchiere. «È

tutto per noi» dice, guardandosi

intorno. Avvicina il suo calice a

quello di lei no a farli toccare.

«Voglio che sia una notte

indimenticabile.»

«Lo è già.» Linda prende un

sorso, all’unisono con Tommaso.

Poi lui appoggia il calice sul

tavolo, si sbottona il colletto della

polo.

«Caldo?» fa lei, con un sorriso

malizioso.

«No,

a atto…»

risponde

Tommaso, con aria noncurante.

«Iniziavo solo a prepararmi per la

spa.»

«Allora ti do una mano.» Linda

gli si avvicina, gli s la la polo con

un gesto deciso. Abbassa lo sguardo

sul suo petto muscoloso e liscio,

sente

già

montarle

dentro

un’attrazione irresistibile. E sente

che anche lui si sta eccitando.

Gli occhi di Tommaso sono

diventati di un blu ancora più

intenso. Appoggia le labbra sulla

fronte di lei, le s ora il collo e la

base dell’orecchio con la lingua,

passandole le dita tra i capelli.

«Come sei premurosa» le sussurra,

in un gioco che sta diventando

sempre più erotico.

Linda gli slaccia la cintura dei

pantaloni. «Non lo sarò mai

abbastanza…» e la sua voce è

profonda mentre tira giù la zip.

« Baby, tu sei fantastica.» La bacia

sotto il lobo, stringendo la presa

sui suoi capelli. Le tira dolcemente

indietro la testa, con la bocca le

accarezza il collo.

Poi si mette dietro di lei, davanti

allo specchio a tutta parete, e con

delicatezza le s la la camicetta di

seta e le slaccia il reggiseno. La

pelle di Linda è attraversata

all’istante da una ragnatela di

brividi, i capezzoli le diventano

duri come punte di diamante.

Tommaso le abbassa la cerniera

della minigonna di jeans. Poi,

continuando a baciarle il collo e

in landole i pollici nelle tasche,

gliela fa scivolare lungo le gambe.

Si piega a terra, cingendole le

ginocchia con le braccia. Risalendo

fa scorrere la lingua lungo la linea

delle gambe e le morde il sedere,

facendola sussultare. Accosta il suo

viso a quello di lei, le appoggia la

sua mano calda sulla pancia.

Insieme guardano le loro immagini

ri esse, in silenzio, perché adesso

non hanno più bisogno delle

parole.

Tommaso fa per levarle le

mutandine.

Linda lo blocca. «No, queste

lasciale.» Lo dice con un sussurro, e

intanto preme lì sopra la mano di

Tommaso, tra il tessuto e la sua

carne umida: è una sensazione che

la fa impazzire.

Tommaso si libera dei pantaloni,

rimane in boxer. Quei boxer

perfetti che l’avevano fatta morire

la prima volta. Poi a erra due

accappatoi dall’armadio del bagno,

ne porge uno a Linda. «Avanti,

scendiamo. Il meglio deve ancora

venire.» Preme un pulsante dorato

sulla parete. Si aprono le porte

dell’ascensore privato, fatto di

specchi ornati di Swarovski.

Tommaso digita un codice e in

pochi secondi sono direttamente

nella Romantik Raum, una spa

esclusiva per due, dotata di una

sala per massaggi di coppia, bagno

turco,

biosauna

alle

erbe

aromatiche, letto ad acqua e

piscina esterna privata con vista

sul lago.

Appena accedono al bagno turco,

l’ambiente si colora di una

piacevole luce rosa e blu, mentre in

sottofondo si sente una dolce

musica orientale. L’aria calda è

pervasa dal profumo degli olii

essenziali. Linda se ne lascia

accarezzare le narici, sente che dal

naso le arriva piano piano alla

pancia.

Tommaso

appoggia

l’accappatoio su una mensola di

marmo con inserti in quarzo, Linda

fa lo stesso, e insieme raggiungono

il sedile a mezzaluna ricoperto di

pietre preziose. La luce blu si

specchia sui cristalli e crea disegni

ad arabesco sulle pareti di roccia

salina.

Hanno caldo e iniziano a sudare,

la temperatura della stanza è

vicina ai cinquanta gradi. Gli odori

dei loro corpi si fondono con i

vapori aromatici. Il profumo

ricercato che ricorda antiche

essenze tahitiane di lui, l’odore

conturbante e un po’ salato di lei,

che non ama indossare fragranze.

Tommaso allunga una mano e

accarezza la coscia di Linda. «Si sta

così bene qui.» Ha un tono basso,

profondo; i suoi pettorali si alzano

e si abbassano, si bagnano di

sudore a ogni respiro.

«Sì, è tutto perfetto, qui con te.»

Con un dito, Linda gli s ora la

linea del petto, raccoglie una

goccia del suo sudore, s’in la

l’indice in bocca e ssa Tommaso

con occhi di fuoco. Lui ha un

tremito, un brivido gli corre sotto

la pelle che scotta. Linda

deglutisce, sente quel gusto salato

scenderle giù per la gola. Poi una

domanda le esce di bocca, di

slancio, non è riuscita a

trattenerla: «Ma tu ti stai

innamorando?».

«Tu cosa pensi?» Tommaso forza

le labbra in un sorriso che dice

tutto e nulla e rovescia un po’

all’indietro la testa, le pupille

dilatate.

«Io penso che non mi vuoi

rispondere.» Sorride anche lei, ma

è anche molto seria.

«Oh, Linda.» Il sudore gli cola giù

dalle tempie, sul collo no al

centro del petto e va a nire

sull’ombelico. «Come faccio a dirlo?

So solo che è molto più di così.»

«Molto di più come?» Adesso è

consapevole della sua insistenza,

non vuole deliberatamente dargli

tregua.

«Molto di più.» Per la prima

volta da quando lo conosce, Linda

percepisce una qualche forma di

disagio in lui. Gli ha fatto l’unica

domanda che forse ha il potere di

metterlo in imbarazzo.

«Molto di più come?» insiste

Linda, che ormai non ha intenzione

di fermarsi. Si respirano vicini,

ato contro ato, odore contro

odore, calore contro calore.

«Presto lo capirai.» La bacia sulla

bocca, con una forza che non è sua,

le infila la lingua tra denti, come se

volesse prendersi tutto di lei,

rubarle anche i respiri.

Linda si alza, percorre qualche

passo verso la fontana di ghiaccio

al centro dell’ambiente. Una specie

di solletico attraversa la seta

nissima delle mutandine mentre

s’immagina che Tommaso le stia

guardando il culo: perché lo sa, è

certa che lui se lo sta mangiando

con gli occhi. Inarca un po’ la

schiena

per

dargli

rilievo,

ancheggia leggermente. Stacca un

lingotto di ghiaccio dal bacino di

raccolta della fontana e torna da

lui. Si avvinghia alle sue ginocchia,

accosta il lingotto alle sue labbra.

«Leccalo» gli sussurra.

Lui apre la bocca, va indietro

con la testa mentre lei gli preme il

ghiaccio contro la bocca. «Brava,

Linda, ecco cosa ci voleva…» dice,

in un sospiro. Adesso ha la voce

roca, è tutto un bollore, tutto

arriva dal fondo.

Linda è sempre più elettrica,

energia allo stato puro. Adora

questa sua posizione di dominio,

adora tenerlo bloccato, le piace da

morire, cazzo. «Non provare a

muoverti, non ho nito con te.» Gli

stringe il polso con una mano per

fargli capire che non sta giocando,

molto più forte di quanto

servirebbe. Non capisce da dove

arrivi questa voglia di averlo in suo

potere e non lasciarlo andare. Poi

gli passa il lingotto sul collo,

intorno ai capezzoli, lo fa scivolare

sulla linea mediana del petto. Più

gli serra il polso, più lui trema e

scotta, più lei si scioglie come il

ghiaccio che ha in mano, si sente

bagnata tra le gambe. Questa

sospensione è così dannatamente

incredibile, un delirio di attesa che

si propaga nel suo corpo in cerchi

concentrici, ed è fatto di sangue

che scorre nelle vene, che pulsa

nelle orecchie come un ritmo

tribale.

Tommaso piega di nuovo

indietro la testa, con il collo forte,

un collo da dio greco, statuario,

però così vivo, caldo, pulsante, gli

addominali che si contraggono e si

rilasciano

restando

sempre

perfettamente scolpiti. Le fa un

sesso tremendo, Tommaso. E

insieme sente anche che c’è

qualcosa di più. Il ghiaccio ormai

brucia nella mano di Linda, sul

petto di Tommaso. Tutto brucia, i

loro corpi scaldano l’aria; non c’è

più di erenza di temperatura tra

dentro e fuori.

«Tu mi fai morire così, Linda.»

Tommaso ha questa vibrazione

bassa che la fa sciogliere ancora di

più, risveglia tutti i nervi dalle dita

dei piedi, le accelera i battiti del

cuore, le rintrona nei timpani, le fa

scottare la pelle e a annare il

respiro. Sempre di più.

A quel punto gli monta sopra, a

cavalcioni, e il cuore sembra

schizzarle fuori mentre si spinge

avanti con il bacino, no al punto

dove lui è più duro; lo sente

attraverso le mutandine proprio

come se fosse nuda, o forse anche

meglio, la seta sottile sempre più

umida. Percepisce la sua erezione

che le preme contro mentre si

stro na avanti e indietro, sente il

cuore di lui che batte sopra e

insieme al suo. È sempre più

liquefatta dal caldo dentro e fuori,

dal respiro di lui, dall’aria rovente.

Gli bacia il petto e il collo e le

spalle e la bocca, e intanto lo sta

montando come in un rodeo, le sue

cosce serrate alle cosce di lui, occhi

verdi che guardano dentro occhi

grigio blu, che guardano no in

fondo, quello che c’è al di là:

l’attrazione, il desiderio, il

possesso. E sono entrambi sorpresi

da quello stesso fremito, in una

vibrazione continua: Linda e Lord

Perfection, ecco l’unico pensiero in

qualche modo razionale che riesce

ad avere in questo momento. Sta

per farsi possedere da Tommaso,

dalla Perfezione in persona.

S’inginocchia davanti a lui, gli

s la i boxer e lo prende in bocca

avviluppandolo con una leccata

larga, piatta (lo Shirley Temple

non è per tutti, ma per Tommaso

sì), ampie pennellate con la lingua;

poi crea una situazione di vuoto

nella bocca e inizia a muoversi su e

giù, e mentre lo fa ruota la testa,

come se seguisse il movimento di

un cavatappi, gli dà piccoli colpetti

con la punta della lingua.

Tommaso stringe la mascella,

pensa che nessuna gli ha mai fatto

u n a fel atio così, con tanta

maestria, con tanta elegante

intraprendenza:

chiamarlo

pompino sarebbe quasi blasfemo.

Prova adorazione e un piacere

incontenibile. Ha una specie di

rantolo, poi uno scatto, spinge

all’indietro con le gambe, con il

busto, trema tutto, ma ha ancora

forza per prenderle la nuca, tirarla

a sé, strapparle le mutandine e

farla salire sulle proprie gambe. Lei

gli si preme e stro na contro per

un po’, il suo sesso bagnato che

quasi scotta; poi se lo in la dentro

e insieme gli lecca un dito, perché

sa che a lui piace continuare a

immaginare, e piace anche a lei. Si

muove su e giù, avanti e indietro,

lui le prende i anchi, la sposta

sulla sua erezione e l’attrito cresce

a partire proprio da lì, ma poi si

di onde ovunque, verso la pancia

il cuore la schiena le mani i piedi la

nuca i capelli. Non smette di salire,

è un delirio, un delirio di passione

incontrollata,

un’energia

che

scardina, una fusione di liquidi

bollenti che montano inarrestabili

no a esplodere in un orgasmo

violento. Assoluto.

«Linda, ti adoro.» La voce di

Tommaso è un so o. Le sue

braccia la stringono fortissimo.

«Anch’io ti adoro.» Lei gli crolla

addosso, si lascia avvolgere dal suo

corpo caldo e muscoloso.

Non fanno in tempo a

riprendersi che già sono immersi

nel letto d’acqua comunicante con

la piscina esterna di pietra lavica.

Si lasciano cullare dalla dolcezza

delle onde arti ciali che smuovono

petali di rosa e polveri d’oro. Si

fanno trasportare fuori, nella vasca

a cielo aperto, dove Tanja e Mark,

i loro massaggiatori personali,

stanno sistemando sul bordo alcune

lanterne e una serie di ûte con

idromele, acqua di cocco e succo di

sambuco.

Nel nero del cielo spicca un

quarto di luna, le stelle brillano

con un’intensità che a Linda

sembra straordinaria. Fumi di

vapore si alzano sopra la vasca,

accendendosi di colori, dal rosso

all’indaco al turchese. Linda e

Tommaso scivolano in silenzio

nell’acqua calda, e ervescente, il

vento so a sui loro visi e tra i

capelli mentre dietro i vetri delle

lanterne ondeggiano

ammelle

evanescenti. Ogni folata porta

odore di foresta, di cespugli

selvatici, di ori estivi. Linda ha

perso ogni contatto con il mondo là

fuori, si sente sospesa in una

dimensione altra, insondabile,

come se i suoi piedi non toccassero

la pietra sul fondo, come se fosse

immersa nella leggerezza della

notte stessa. È felice come poche

altre volte. Non pensa a nulla. Non

ai consigli dello zio, all’opinione

fastidiosa di Alessandro, a Nadine,

che

la

fa

sentire

così

tremendamente imperfetta. Ora c’è

solo Tommaso. Che le prende il

volto con entrambe le mani e la

bacia, piano ma intensamente. Lei

lo stringe a sé, ricambiando il suo

bacio con tutta la passione di cui è

capace.

L’attenzione che Tommaso ha

per lei è così densa e calda da

riempire l’aria di una vibrazione

magnetica, le appanna gli occhi a

forza di sguardi. Averlo vicino le

mette addosso una specie di

frenesia libera, fuori controllo. È

così diverso dagli altri uomini che

ci hanno provato con lei. È

maschio, sì, ma non quel tipo di

maschio zerbino che pende dalle

tue labbra e ti mette su un

piedistallo, né quel genere di

maschio arrogante che gode in

modo vanesio della propria virilità

e del vederti sottomessa. Da

prenderli a schia entrambi, senza

pietà! Tommaso è di un altro

pianeta, sa corteggiarti con

eleganza e cavalleria ma senza

sembrare uscito da uno stupido

libro di abe, di quelle che le

mamme raccontano alle

glie

alimentando la speranza ridicola

che un giorno un principe in

calzamaglia arriverà su un cavallo

bianco a chiederle in spose.

Per Tommaso, invece, Linda è

estrema, in tutti i sensi:

imprevedibile, vitale ma sotto la

super cie anche delicata, fragile

come una ragazzina, a volte. Non

c’è da stupirsi se tende quasi

sempre all’eccesso, se il suo

equilibrio non è proprio esemplare:

ma è quello il suo lato migliore. È

la sua spontaneità ciò che ama di

più: lei fa esattamente quello che le

va,

senza

retropensieri

o

costruzioni mentali. Come adesso,

che si struscia con la schiena contro

il suo petto, con il sedere contro il

suo sesso. Poi di colpo si allontana,

e va verso il bordo della piscina.

Prende un ûte, lo solleva in

aria. «Vuoi?» gli chiede.

Tommaso fa sì con la testa. La

guarda ammirato. Da due metri di

distanza le domanda: «Lo sai che

sembri la donna di un quadro?».

«Quale quadro?» Linda è insieme

lusingata e perplessa.

« A Mermaid di John William

Waterhouse» risponde Tommaso

nel suo inglese perfetto, da

manuale.

Linda pensa a quel nome,

sedotta dalla cultura eclettica di

Tommaso, mentre avanza con i due

calici in mano. «È uno dei

preraffaelliti?»

«Brava» dice Tommaso.

«Mi suonava, infatti. Amo le

atmosfere

romantiche

dei

prera aelliti, li conosco bene, ma

quel quadro non lo ricordo.

Com’è?»

«Rappresenta una sirena, per me

è una delle donne più incantevoli

della storia dell’arte» risponde

Tommaso. «Ha una naturalezza

delicata, ma anche energica,

nobile, solare e insieme ombrosa,

limpida, e palpitante di vita.»

Linda non dice nulla, forse

s’imbarazza un po’, poi abbassa lo

sguardo. Porge il ûte a Tommaso

e prende un sorso insieme a lui,

registrando il sapore fruttato e

acidulo dell’idromele, il contrasto

del freddo che le scende per la gola

con la temperatura dell’acqua. Tra

loro c’è questa vicinanza sottile

nascosta dall’oscurità, rivelata solo

dai bagliori oscillanti della

lanterna.

A un tratto Tanja, appostata

dietro una porta, con voce ovattata

dice: «Se desiderate, io e Mark

siamo pronti per il massaggio a

due».

Tommaso si volta verso Linda.

«Ti va di farti massaggiare?» le

chiede sottovoce, passandole una

mano tra i capelli. Una carezza

così

dolce

che

vorrebbe

mangiarselo.

«Se siamo ancora insieme, certo

che mi va» risponde lei, pronta.

Tommaso fa un cenno a Tanja

con la mano e lei dispone due

accappatoi su una chaise longue lì

davanti.

Escono

dalla

vasca

e

s’immergono nel buio della notte.

Linda

urta

appena

contro

Tommaso, che si è in lato

l’accappatoio. Non si vede nulla, là

fuori. Lui la avvolge tra le braccia

e lei gli preme la fronte sul petto.

Poi Tommaso prende l’altro

accappatoio e glielo gira intorno

alle spalle. «Ecco qua.» La sua voce

riscalda. «Hai freddo?» le chiede,

frizionandole un po’ le braccia.

«No.» Linda in realtà sta

tremando, ma è un tremore intimo,

che nasce da dentro, da una

sensazione che non crede di aver

mai provato.

«E invece mi stai mentendo, e io

ti ho chiesto di fare la brava, qui…

altrimenti nisci nelle segrete,

ricordi?» Tommaso ride e la stringe

forte con tutte e due le braccia, se

la preme contro.

Lei smette di respirare. Poi

respira di nuovo. Non è un

semplice abbraccio, è una fusione

di due anime, una somma di battiti

di cuore. Linda ha la sensazione di

potercisi perdere, per un istante. A

un tratto ha la chiara percezione

che dentro quell’abbraccio ci sia

qualcosa di grande, qualcosa che

deve ancora potersi esprimere

pienamente.

Poco dopo sono nella sala

cobalto, distesi su due lettini vicini,

ad ascoltare una rilassante nenia

orientale.

Tanja

massaggia

Tommaso, Mark si prende cura di

Linda. L’olio profumato scivola

sulla loro pelle, accompagnato da

morbidi tocchi di mani esperte.

Piedi, caviglie, gambe, glutei,

schiena, spalle, e poi su no alla

nuca, e poi di nuovo giù, nuca,

spalle, schiena, glutei, gambe,

caviglie, piedi. È un massaggio che

assorbe l’anima e insieme apre la

mente, e sembra voler oltrepassare

ogni limite del corpo. Linda e

Tommaso possono vedere le loro

sagome ri esse sulle piastrelle a

specchio, nella luce appena

accennata delle candele.

Quando Tanja e Mark si

allontanano in punta di piedi,

Tommaso ruota la testa verso

Linda e le sistema una ciocca dietro

l’orecchio. «Non avrei mai pensato

di dire una cosa del genere a una

donna, ma se penso che tra due ore

ci dobbiamo salutare, mi assale una

tristezza che quasi fa male…

piccola mia.»

«Per me è lo stesso» risponde

Linda, il cuore scaldato dalle

parole di lui. «Ma è giusto

ripartire, se devi essere a Roma

domattina. A che ora hai il volo?»

«Non vado in aereo.» Tommaso

le si avvicina, o forse è lei che si

avvicina a lui, oppure si vengono

incontro nello stesso istante. «Mi

mandano un’auto diplomatica alle

dieci. Farò il viaggio con

l’onorevole

Galli.»

Non

ha

un’espressione

troppo

felice.

«Dobbiamo discutere di un

importante progetto

nanziario

per la Comunità Europea.»

«Allora sarà meglio iniziare a

salire.» Linda fa per sollevarsi dal

lettino.

Tommaso le posa le mani sulle

spalle, la riporta vicino a sé.

Restano così per un tempo che si

dilata all’in nito, mentre riescono

a scorgere via via solo qualche

piccolo ri esso l’uno dell’altra: un

bagliore di occhi, uno zigomo, un

frammento di fronte che si sfoca

dietro la luce delle candele. Poi si

stringono. Le loro labbra si

toccano, calde, si dischiudono, le

loro lingue scivolano una sull’altra.

Si stringono più forte che possono,

respiro dentro respiro, in questa

notte profonda e mossa che li

unisce e li nasconde da tutto e da

tutti.

Non ha dormito quasi niente,

Linda. Poco prima dell’alba

Tommaso l’ha riaccompagnata a

casa e sulla soglia si sono dati

ancora un bacio, che nessuno dei

due saprebbe dire quanto sia

durato. Dopo lui è tornato alla

macchina con un’espressione carica

di rimpianto, un rimpianto misto a

rabbia per non poterla tenere con

sé più a lungo e nostalgia per

averla troppo lontana da sé.

Si è rotolata mille volte tra le

lenzuola per quel poco che restava

della notte, mentre brandelli di

parole gesti pensieri sensazioni le

scorrevano tra la testa e il cuore,

sopra e sotto la pelle. La voce di

lui, i suoi occhi grigio blu, le sue

mani, le sue labbra, il suo respiro,

le sue braccia. E poi, ma solo un

ash, Nadine e la sua perfezione,

Nadine e la sua sicurezza, Nadine

la donna u ciale. Ma è stato un

attimo. E il pensiero fastidioso di

lei si è dissolto in fretta lasciando

ria orare

i

lineamenti

di

Tommaso nella sua memoria. Si è

rigirata mille volte, e ogni

posizione era sbagliata, incapace di

adattarsi a tutti i movimenti della

mente e del corpo. Quando verso le

sette è stata sul punto di

addormentarsi, le è squillato il

cellulare sul comodino, e non ha

potuto fare a meno di rispondere,

vedendo il nome di Alessandro

lampeggiare sul display.

«Pronto?» Linda ha fatto un

verso da animale sorpreso nella

propria tana.

«Ciao… sono io, lo so che è

presto.» La voce di Alessandro le è

arrivata all’orecchio come una

martellata. «È che ti devo chiedere

un favore urgentissimo.»

«Se posso…» ha detto lei, non

troppo cosciente, impastata di

sonno.

«Mi

accompagneresti

all’aeroporto di Venezia oggi

pomeriggio?»

«Scusa?!» Si è risvegliata davvero

solo in quel momento.

«Devo partire.»

«Ma come devo partire?» Linda ha

fatto un balzo sul letto, poi è

ricaduta sul cuscino, senza forze.

«Sì, per il Vietnam. Alle cinque

ho il volo.»

«Eh?! E me lo dici così?» Linda

ha farfugliato qualcos’altro, ma

Alessandro non gliene ha dato il

tempo, tutto preso da questa

partenza lampo. A un tratto Linda

ha un’intuizione, ma non vuole

credere che sia vera: sente, ma

spera tanto di sbagliarsi, che il suo

amico ha deciso di tornare

nell’occhio del ciclone.

«Dài, ti spiego tutto dopo. Stai

tranquilla. Basta che passi da me

per le due.»

«Ale, non so in che cavolo di

casino tu ti stia cacciando stavolta,

ma va bene, sono con te. Come

sempre.» Le parole le sono uscite al

rallentatore, con una fatica

pazzesca. «Ci vediamo più tardi.»

«Fantastico! Lo sapevo che

saresti stata incredibile anche

questa volta! Grazie davvero» ha

risposto lui, su di giri in modo

sospetto.

Lei ha spento il cellulare, lo ha

buttato da qualche parte sul letto.

S nita, ha a ondato la testa nel

cuscino ed è sprofondata nel sonno

con uno sciame di pensieri

inde nibili, nei quali i volti di

Alessandro

e

Tommaso

si

sovrapponevano in un’alternanza

inquietante.

Adesso la luce entra a otti dagli

scuri, il vento preme contro i vetri.

Che ore saranno? Le nove? Le

dieci? Dovrebbe alzarsi – tra l’altro,

cazzo!, deve pure passare da Bosi

stamattina – ma è tentata di

restare ancora a letto, in attesa che

il coraggio venga a bussarle alla

porta. Apre gli occhi ma non riesce

a

liberarsi

subito

dall’annebbiamento che la avvolge.

Forza. Uno, due, tre. In piedi,

finalmente. E sembra un miracolo.

Nemmeno Tommaso è riuscito a

chiudere occhio. Adesso si sta

facendo la barba davanti allo

specchio del bagno di servizio.

Restare in camera accanto a

Nadine che ancora dorme gli stava

provocando

un’ansia

insopportabile. È sicuro che anche

lei ha passato la notte fuori, non

saprebbe dire con chi. È

abbastanza sgomento per la

distanza che in così pochi giorni è

cresciuta tra loro, senza che

nessuno dei due avesse il tempo di

correre ai ripari. Si passa la

lametta sulla schiuma, la scuote nel

lavello, la lava sotto il getto del

rubinetto. Pensa che i loro gesti e i

loro corpi di adesso sono più o

meno gli stessi che anni prima

producevano

un’alchimia

irresistibile: si domanda cosa sia

successo nel frattempo, dove se ne

sia andata l’attrazione, insieme

all’attenzione all’altro, al sano

divertimento, alla

ducia, alla

curiosità e per no alla stima. Non

lo sa, non riesce a capirlo, ma ora

ha altro a cui pensare.

L’antico orologio a pendolo nel

salone d’ingresso segna le nove e

mezza. Deve darsi una mossa e

anche una svegliata, se non vuole

farsi sorprendere ancora rintronato

quando arriverà l’auto blu con

l’onorevole.

Quello che è capitato con Linda

lo ha completamente stravolto. Era

sicuro della sua capacità di

mantenere un certo distacco, non

nel senso ascetico del termine, ma

nell’ottica di riuscire a evitare

anche la più remota possibilità di

un coinvolgimento sentimentale.

Perché da questo punto di vista era

già abbastanza imbarazzato e

per no nauseato dalla delusione

della storia con Nadine, che era

ormai diventata una miscela

patetica di ri essi condizionati,

atteggiamenti impostati, cliché. Ma

poi, con l’arrivo di Linda nella sua

vita, tutte le barriere costruite con

anni di faticoso lavoro su se stesso

hanno cominciato a incrinarsi. Da

subito: dalle prime parole che si

sono detti, i primi sguardi che si

sono scambiati. La gioia di questa

confusione leggera lo ha travolto

con un’intensità e una tenerezza a

cui non era per nulla preparato.

Adesso il suo equilibrio è

compromesso, da ogni punto di

vista. Ed è successo mentre lui

permetteva che accadesse. Ma

com’è possibile, si chiede ora,

quando ormai è troppo tardi, che

capiti una cosa del genere a uno

che non stava cercando nulla di

simile, e che forse non ci credeva

neanche più? Quando la diga di

difese emotive che hai costruito in

una vita si rompe, possono uscire

cose che credevi nascoste, al sicuro

negli strati più profondi del tuo

cuore. E ora Tommaso non sa più

se vuole evitarlo o se invece ha

l’urgenza che diventi realtà, il

prima possibile. Non è più sicuro di

niente, adesso, avrebbe solo voglia

di tornare da lei, invece di salire su

quell’auto blu e affrontare un lungo

e noioso viaggio no a Roma. Gli

basta ripensare al corpo di lei

sopra il suo, a quella vicinanza

travolgente, a quello scambio di

emozioni, pensieri, respiri perché

sulla pelle senta gli stessi brividi e

il cuore inizi a battergli in maniera

strana.

Basta. Deve tornare in sé.

Ma qual è il vero se stesso, ora?

Hanno suonato al citofono del

cancello e lui deve ancora vestirsi.

Vorrà dire che lo aspetteranno,

forse per la prima volta.

Alle due in punto Linda arriva al

casale di Alessandro. Lui la sta già

aspettando fuori, seduto su un

blocco di granito, maglietta nera,

pantaloni militari e an bi, la

Re ex a tracolla nella sua custodia,

lo zaino da spedizione antartica

abbandonato lì per terra. Senza

scendere dalla spider, lei con la

mano gli indica il bagagliaio sul

retro. Alessandro si tira su di

scatto, a erra lo zaino, lo lancia

dentro la macchina e a una velocità

supersonica guadagna il posto di

fianco a lei.

«Dobbiamo andare come razzi

perché non sono riuscito a fare il

check-in da casa, con quel cazzo di

scalo a Londra che mi tocca fare»

dice in un ato, dopo averle

stampato un bacio sulla guancia.

«Intanto stai calmino, e poi

allaccia le cinture, please!» Linda

ingrana la prima e preme

sull’acceleratore al massimo.

Alessandro si appoggia al sedile,

ma resta un po’ rigido. «Stai

calmina anche tu però.» Si fa il

segno della croce appena vede il

contachilometri balzare in pochi

secondi dai trenta ai cento e passa.

Poi scoppia in una fragorosa risata,

un po’ nervosa in verità.

«Mi calmo solo quando mi

spieghi per lo e per segno come

cavolo ti è venuto in mente di

ripartire per il Vietnam.» Scuote la

testa in segno di disapprovazione.

«Tu devi essere pazzo!» Poi gli

sferra un piccolo pugno sulla

gamba. «E io sono più pazza di te a

darti corda.» Eppure lo sa anche lei

che è giusto così.

«Vado a dare man forte al mio

amico blogger che è stato

condannato» dice Alessandro. «Non

ce la faccio più a rimanere qui con

le mani in mano.»

«Molto bene! Immagino che tu

stia facendo le cose in sicurezza,

giusto?» Più che rimprovero si

annida preoccupazione sincera

nella voce di lei.

«Mi è arrivato un comunicato da

fonti certe. So che ci sarà un

movimento di protesta in suo

favore.» Alessandro si infervora,

parla come se fosse già lì, a urlare

slogan contro la polizia vietnamita

per la liberazione di un uomo che

ha agito solo in nome del Bene.

Eccolo lì, l’idealista mai in pace

con se stesso. Sempre impegnato a

cercare il giusto e lo sbagliato in

tutto quello che ha attorno. È fatto

così, ha un senso della giustizia così

forte che a volte gli fa mettere in

secondo piano ogni cosa: gli affetti,

l’amore, la sua sicurezza personale.

Di fronte a ogni con itto, grande o

piccolo, ha bisogno di decidere da

che parte stare.

«Vedi di farti ammazzare, mi

raccomando. Che qui in Italia

senza tue notizie al cardiopalma ci

annoiamo troppo.» Linda è agitata,

sente un nodo allo stomaco che

non riesce a sciogliere.

«Idiota! Lo sai che sono un tipo

prudente…»

«No, Ale.» Sbatte una mano sul

volante. «Non scherzo: stavolta

sono seriamente preoccupata.»

«Ma non ce n’è motivo» cerca di

rassicurarla lui.

«E invece sì. Hai già rischiato

una volta e adesso vai a rin larti

dritto dritto nella tana del lupo?»

«Non mi succederà niente. Stai

tranquilla. Ti stai girando da sola

un lm nella testa.» Alessandro

ridacchia. Non sottovaluta la

situazione, vorrebbe solo smorzare

un po’ la tensione. «Davvero»

conclude.

Linda fa un sospiro e poi un

sorriso, scorre le dita sul cruscotto

per cercare di accendere la radio.

«Mettiamo un po’ di musica, dài,

così smetto di fare la mamma

rompipalle…»

«Faccio io, tu pensa a guidare.»

Alessandro le prende la mano e

gliela posa dolcemente sul cambio,

quindi si mette a frugare nel

cruscotto dove sono stipate alla

rinfusa vecchie cassette che

probabilmente Linda non ascolta

da anni, ammesso che funzionino

ancora. Mette su una compilation

dei Beatles, che si sente benissimo,

e per un po’ se ne stanno in

silenzio ad ascoltare le parole.

Quando parte il ritornello di

Come Together, però, non riescono

a resistere e si mettono a cantare a

squarciagola. È un pezzo che ha

sempre avuto un posto d’onore tra

i loro preferiti. Cantano sempre più

forte – Linda intonata prende in

giro Alessandro, che lo è un po’

meno – s dandosi con lo sguardo e

ridendo per allontanare i pensieri

negativi. Linda si dondola avanti e

indietro, tenendo le mani sul

volante, Alessandro mima la

rullata di batteria con le mani.

«Questa canzone me la scarico

subito sull’iPhone, così quando

l’ascolterò laggiù ti penserò.»

«Oh, il mio romanticone…»

Linda si volta un istante verso di

lui e gli sorride, ma lui resta serio.

La guarda come se volesse

imprimersi la sua immagine negli

occhi e farne una fotogra a. La più

bella di tutte.

All’improvviso tra di loro si

avverte un’atmosfera strana, densa

di promesse mai fatte e desideri

sopiti. In silenzio, è come se si

parlassero. Potevamo darci di più

in questo tempo passato insieme e

chissà perché non l’abbiamo fatto.

Forse per paura, timidezza o

indecisione. In ogni caso adesso è

troppo tardi. E bisogna guardare al

futuro.

«Quando pensi di tornare?» gli

chiede Linda, rompendo quel

silenzio che da qualche minuto si è

fatto pesante.

«Quando sarà il momento. Come

sempre.»

Ecco,

di

nuovo

quell’atmosfera

palpabilmente

sospesa.

Finalmente sono arrivati e quel

clima inde nibile è smorzato

dall’esigenza di fare presto.

Parcheggiano nel primo posto

libero e si precipitano dentro. Per

fortuna non c’è troppa coda al desk

e Alessandro è rapido nelle

pratiche d’imbarco.

C’è giusto il tempo per andare a

bersi una cosa al bar del piano

superiore prima della partenza.

Prendono la scala mobile e, dopo

aver

ordinato

due

ca è,

s’impadroniscono

del

primo

tavolino libero.

Linda non lo butta giù d’un ato,

come al solito. «È l’ultimo ca è

italiano» dice Alessandro godendosi

il suo con un sospiro. E ha il gusto

amaro e strano di un addio. Estrae

con un gesto veloce la Re ex e le

scatta una foto. «Su, non fare

quegli occhi tristi» le ordina,

sollevandole il mento.

«Metti

via

quell’arnese.»

All’improvviso

Linda

ha

l’impressione di rivivere una scena

di molti anni prima.

Era partito dall’aeroporto di

Venezia, la prima volta, ed era

stata lei ad accompagnarlo. Lei che

aveva appena preso la patente e

sapeva sì e no ingranare la retro.

Alessandro

aspettava

quel

momento da anni. Pochi giorni

dopo l’esame di maturità, la grande

decisione: partire e non tornare per

un po’. A fare cosa, esattamente,

non lo sapeva né gli importava

granché. Qualche soldo messo da

parte, una Canon a rullino, un

biglietto per Lima e uno zaino

pieno di sogni. Separarsi era stato

un dolore per entrambi: avevano

vissuto gli ultimi anni in simbiosi,

come due fratelli, due amici

innamorati, ma sapevano che quel

momento sarebbe arrivato.

È stato allora che Linda gli ha

chiesto di mandargli una cartolina,

una foto, una traccia di sé da ogni

Paese in cui sarebbe stato: voleva

essere certa che non si sarebbero

dimenticati mai, e lui è stato di

parola. Eppure se lo ricorda

straziante quell’addio, un po’ come

adesso, anche se ora sono adulti –

ognuno a modo suo – e certe cose

fanno più fatica a dirsele.

L’altoparlante annuncia il volo

di Alessandro e riporta Linda alla

realtà. Si alzano dal tavolo e

tornano al piano di sotto, lei lo

accompagna no ai controlli. È il

momento. Un’altra volta.

«Bene, ci salutiamo qui.»

Alessandro la abbraccia e le

imprime due baci sulle guance.

«Fa’ buon viaggio.» Linda lo

stringe forte a sé per secondi che le

sembrano interminabili e insieme

così brevi, poi lo lascia andare.

«Promettimi che starai attento.»

«Te lo prometto.» La guarda

negli occhi, il nero contro il verde.

«Mi mancherai. Davvero. Ma

questa non è una novità.»

«Anche tu.»

Alessandro si sistema la tracolla

della Re ex, fa tre passi, poi

all’improvviso si gira e torna verso

di lei. Linda pensa che abbia

dimenticato qualcosa, sta per

chiederglielo, ma lui glielo

impedisce, sigillandole la bocca con

un bacio profondo. Lei è così

sorpresa che non sa reagire. Le

mani di Alessandro, delicate e forti,

le tengono ferma la testa e

a errano

i

suoi

pensieri,

imprigionandoli nello spazio che

ora manca tra loro. Linda chiude

gli occhi, trattiene il respiro, e

adesso lo sta baciando anche lei.

Alessandro si stacca. «Ora posso

andare»: così la saluta, tenendole il

viso tra le mani.

«Sì» risponde Linda, ancora

stordita.

Alessandro stringe le mani di lei

nelle sue, le posa sulla fronte un

altro piccolo bacio. Ci sarò sempre,

le sta dicendo. Perché lo sanno

entrambi che non sarà mai un

addio.

13

Accidia

Ciao ragazza,

finalmente riesco a scriverti!

Ho una grande notizia per te: oggi

hanno liberato Xuan, il mio amico

blogger. Gli attivisti hanno protestato

per dieci giorni davanti al a prigione

di Stato, e io con loro. Stare lì in

mezzo è stato grandioso, non ti dico

che gente pazzesca ho incontrato, dei

fuori di testa con un senso del a

giustizia e un coraggio incredibile…

Poi, quando hanno sgomberato il

nostro presidio davanti al carcere, ci

siamo barricati davanti al Palazzo

Presidenziale e lì abbiamo resistito

nché ci hanno ascoltati. Al a ne il

governo vietnamita è stato costretto a

cedere. Io ero davvero l’ultima ruota

del carro in questa storia, ma se non

avessi testimoniato in favore di Xuan

forse la sua scarcerazione avrebbe

richiesto mesi. Solo io purtroppo

potevo farlo, perché ero l’unico ad

avere in mano le prove del e sua

innocenza, le foto. E le foto dicono

sempre la verità. Sono così felice di

aver fatto una cosa giusta. Una gioia

così piena non la provavo da tanto

tempo.

Quando l’hanno fatto uscire e ho

potuto riabbracciarlo, ero emozionato

come un bambino, e ho addirittura

pianto (e tu lo sai che io non piango

MAI). Adesso lui è qui accanto a me.

Ti sto scrivendo da un posto fuori

Hanoi. Nessuno sa dove siamo, è

meglio restare per un po’ sotto

copertura… Anche perché la faccenda

non nisce qui, no. Adesso arriva la

fase cruciale, non ci ferma più

nessuno! Siamo pronti a riprendere la

nostra battaglia contro gliimprenditori

corrotti, i bastardi sfruttatori e i pezzi

di merda col usi con la ma a locale.

Oggi io e Xuan abbiamo fatto una

serie di scatti da brivido, rubati in una

fabbrica mentre nessuno si accorgeva

di noi (ma non ti agitare, il rischio era

minimo, è tutto sotto control o). Tra

un po’ li pubblicheremo, bisogna solo

aspettare il momento giusto.

Credo che ci sposteremo a Ho Chi

Minh, il centro più grosso dove questi

criminali maledetti reclutano i

bambini per farli poi lavorare in

condizioni disumane.

C’è troppo da portare al o scoperto,

credimi, tanta vergogna che è

doveroso far conoscere al a comunità

internazionale.

Mi sento vivo come mai prima d’ora

e ti prometto che starò attento. Non

preoccuparti se non ti scrivo per un

po’, qui non è così facile… e poi, per

il momento, meno lascio tracce di me

in rete e via telefono (non sai che

voglia avrei di chiamarti!) meglio è.

Ti penso sempre e non vedo l’ora

di tenerti di nuovo tra le mie braccia.

Grazie per avermi accompagnato in

aeroporto. Grazie di esserci. Questa

vittoria è anche un po’ tua!

Ti voglio bene e lo sai.

Ale

Anch’io ti voglio bene, pensa

Linda. Salva la mail nella cartella

POSTA IMPORTANTE, alza lo sguardoal

cielo, e sorride: che sollievo sapere

che sta bene, che ha fatto qualcosa

di grande e che è felice! È passato

un mese dal giorno in cui

Alessandro è partito e non aveva

sue notizie da allora. L’aveva

capito da subito quanto ci tenesse

alla liberazione di Xuan. E ora

l’entusiasmo del suo amico l’ha

contagiata. Certo, ovviamente non

crede a una sola parola riguardo

alla situazione di pericolo e allerta:

mente per tranquillizzarla, lo sa

bene. Chissà se sarà davvero al

sicuro, laggiù! Chissà in che casini

sarà capace di cacciarsi! Perché lei

lo conosce n troppo bene: uno

come lui non si ferma davanti a

nulla se si tratta di inseguire una

giusta causa.

Appoggia il telefono sul tavolino

di legno, al riparo dell’ombrellone,

e torna a stendersi sul comodo

lettino in tela. Sono quasi le sei e la

piscina dell’Asolo Golf Club inizia a

svuotarsi mentre tra le colline ltra

la luce più bella del giorno. È stato

Tommaso a portarla in questo

luogo meraviglioso, ed è la prima

domenica che passano insieme. Lui

è riuscito a svincolarsi da Nadine

con la scusa di un impegno

importantissimo di lavoro, uno di

quei meeting internazionali –

s’immagina Linda – che decidono le

sorti politiche dell’Europa e a cui è

impossibile mancare. Mentire non

è nel suo DNA, ma per trascorrere

del tempo con lei ha dovuto

cominciare a farlo, e più spesso di

quanto

lui

stesso

potesse

immaginare. Ne è sempre valsa la

pena, finora.

Linda si distende su un lato,

allunga un braccio verso Tommaso,

gli s ora la spalla con un dito.

«Quante ore di di erenza ci sono

tra qui e il Vietnam?»

Tommaso fa un’espressione un

po’ stranita ma le risponde subito.

«Se non sbaglio, cinque.» Si gratta

la

testa.

«Perché?»

chiede

abbassando sul naso i Lozza in

legno striato.

Linda si morde un labbro, mentre

si aggiusta il reggiseno del bikini

azzurro cielo. «Alessandro è lì e mi

ha appena scritto una mail.»

«Ah.» Tommaso si sistema di

nuovo i Lozza sul naso. «Come

sta?»

«Bene, per fortuna.» Linda tira

un sospiro. «È riuscito a far liberare

un amico blogger che avevano

messo in prigione ingiustamente.»

Tommaso annuisce, sa benissimo

di cosa sta parlando. «Laggiù la

libertà di stampa è ancora un

miraggio. E si conquista spesso al

prezzo del sangue.» Non sa perché,

ma prova una sensazione strana e

nuova, che non sa decifrare e che

lo spinge a farle quella domanda:

«Lui ti manca?».

«Un po’» risponde Linda

piegando la testa da un lato. Con

Tommaso non riesce a non essere

sincera. Poi si sforza di fare una

specie di sorriso. «Sai, c’è sempre

stato un legame profondo tra me e

lui,

n da quando eravamo

ragazzi.»

«Questo si intuisce…»

Linda si tira su a sedere. «Che

fai, non sarai mica geloso? No no

no… per il Signor Controllo-tutte-

le-emozioni questa è un’infrazione

alle regole bella e buona!»

«Io?!» Tommaso scuote la testa,

ma è chiaro che è appena stato

colto in

agrante. «Figurati.

Assolutamente no.»

«E invece sì…» Linda lo studia, si

alza e va a sedersi sul bordo del suo

lettino. «Sei geloso, ammettilo.» Gli

punzecchia i muscoli del petto.

«Forse.» Tommaso abbassa gli

occhi. Non vuole riconoscere che si

è sbilanciato.

«Oddio, non ci posso credere.»

Linda

è

divertita,

adesso.

«Tommaso

Belli,

il

grande

diplomatico che gestisce crisi

internazionali, confessa di essere

geloso?»

«Io non ho confessato proprio

n ul l a , baby. Le sue, signorina

Ottaviani, sono solo illazioni.»

Tommaso sorride. «Vieni qua,

sfaticata.» La tira a sé e le ruba un

bacio.

«Oh, sì!» Linda gli tempesta il

viso di piccoli baci, si allunga sopra

il corpo di lui. «Si sta così bene

attaccati a te…»

Tommaso le accarezza il naso

con un dito, con una tenerezza che

quasi stenta a riconoscere come

sua. Ma con lei è così, è tutto

spontaneo, la ragione non riesce a

ltrare le emozioni e incanalarle

come lui ha sempre fatto. «Lo sai

che stamattina non sei stata niente

male come giocatrice?»

«E tu invece come bugiardo sei

pessimo.» Linda ride rivivendo con

la mente le lezioni di golf di

Tommaso. Le è sembrato un

inferno ricordare che le mazze

hanno mille nomi e speci cità

diverse: i “legni”, i “ferri”, i putter,

e poi il driver, e il sand wedge. Se

gliele mettessero davanti ora, già

non saprebbe più nulla. Per non

parlare della dinamica del gioco: le

buche, il numero dei colpi, questo

diavolo di par che ci ha messo

un’ora per imparare cosa fosse.

Tommaso poi era tutto uno

sciorinare termini tecnici, doppio

eagle di qua, e triplo bogey di là, ebirdie, e albatross, e condor. Non ci hacapito niente, deve ammetterlo,

ma vivere quest’esperienza con lui,

lasciarsi guidare è stato eccitante,

soprattutto quando si metteva

dietro di lei e l’aiutava a

impugnare la mazza, o quando le

spiegava come dare forza al tiro.

«Davvero» la incalza Tommaso.

«Sei stata la mia allieva più

promettente.»

«Certo, perché probabilmente

sono stata anche l’unica, visto che

come maestro sei così… diciamo

aderente.»

Tommaso ride di gusto, adesso.

«Non sto scherzando, secondo me

hai delle grandi potenzialità. Con

un altro paio di lezioni, una volta

che avrai preso dimestichezza col

campo,

potresti

addirittura

battermi.»

«Questo proprio lo escluderei…»

Eppure lo spirito di competizione

non le manca. Anzi. L’idea di

confrontarsi con lui, che negli anni

ha vinto parecchi tornei, la fa

andare subito su di giri.

«Comunque, possiamo provare. A

tuo rischio e pericolo.»

Tommaso le accarezza la testa.

«Mi piace quando tiri fuori le

unghie…» Poi le lascia un morbido

bacio sulla fronte. «Che facciamo,

ceniamo qui stasera, ti va?»

«Se tu puoi, sì.» Dura un attimo,

però il pensiero di Nadine le

attraversa la mente. La signora

non la prenderà bene di certo,

anche se sono abituati a fare vite

quasi separate… ma questo non la

riguarda, è un problema che deve

gestire Tommaso: l’idea di una

cena in terrazza a lume di candela,

magari dopo un bel massaggio

rilassante, la stuzzica. E se può

averlo tutto per sé senza sforzo,

Linda non vede perché buttare via

l’occasione.

«Certo che posso.» Tommaso ha

un tono quasi severo. «E,

soprattutto, lo voglio.»

Linda gli salta al collo, lo guarda

negli occhi blu che ora sono accesi

come il cielo. «Fantastico! Stasera

voglio solo te.»

Tommaso scuote la testa.

«Anch’io. E non sai quanto.»

Mentre lo dice, pensa che anche lui

non ha capito bene i con ni di

questa attrazione che prova per

Linda. È un’emozione che lo

spiazza, e che ormai non riesce più

a controllare. Allarga le braccia,

con nta rassegnazione, mentre gli

scappa da ridere. «Ormai, sono in

tuo potere. Fa’ di me ciò che vuoi.»

Ad Hanoi è l’una del mattino.

Alessandro ha appena chiuso gli

occhi. Il divano letto del

monolocale è scomodissimo, ma

per uno che ha passato le ultime

dieci notti all’aperto è come un

hotel a cinque stelle. Xuan è uscito

un’ora fa; ha deciso di andare a

dormire da Duyên, la ragazza che

stava frequentando prima che lo

arrestassero. Tornerà all’alba, poi

insieme partiranno per Ho Chi

Minh.

Alessandro si rigira sul divano.

Fa un caldo so ocante, e lui suda,

nonostante sia in boxer e il

ventilatore a elica sul so tto

muova un po’ l’aria stantia e

bollente

della

stanza.

Ha

accumulato troppa adrenalina nei

giorni precedenti e gli ci vorrà

parecchio per smaltirla, o forse non

la smaltirà mai, considerato quello

che lui e Xuan hanno intenzione di

fare. Intrufolarsi nelle fabbriche e

immortalare l’atroce verità dello

sfruttamento minorile non è

proprio una passeggiata. Sa bene

che basterà una sola mossa

sbagliata, perché tutto vada in

fumo.

Mentre si dibatte tra questi

pensieri, uno strano rumore rompe

il silenzio del monolocale. Apre gli

occhi e nel buio della stanza

avverte una presenza. Umana.

«Xuan, sei tu?» farfuglia,

cercando l’interruttore sul muro.

Nessuna risposta, solo un

convulso vociare basso. Alessandro

si tira su a sedere di scatto.

Finalmente riesce a premere

l’interruttore della luce di servizio.

«Oh, merda!»

Ci sono due uomini davanti alla

scrivania. Uno, piccoletto e magro,

con una lunga cicatrice che gli

percorre la guancia, se ne sta in

piedi, come per fare il palo

all’altro, grosso e pelato, che fruga

tra i cassetti con una foga

spaventosa.

«Chi diavolo siete?» Alessandro

salta giù dal divano e con uno

scatto rapidissimo si avventa sui

due. «Che ci fate qui? Che cazzo

volete? What are you looking for,

here?»

« Photo. Your photo» biascica in un

inglese stentato il piccoletto con lo

sfregio mentre caccia fuori il ferro,

una piccola semiautomatica calibro

22, e glielo punta alla tempia,

tenendolo fermo per un braccio con

una presa d’acciaio. « Where? Where

photo?»

Alessandro

non

si

lascia

impressionare. Guarda i due con gli

occhi carichi di odio e serra la

mascella. Dovrete passare sul mio

cadavere per averle. « Which photos?

I don’t understand. What do you

mean? » dissimula con tutta la forza

che ha.

A quel punto il tipo grosso e

pelato si alza dalla sedia, farfuglia

qualcosa

in

vietnamita

al

compagno. Questo, come una furia,

colpisce Alessandro in faccia con

un pugno, poi gli dà una

ginocchiata in mezzo alle gambe

che lo stende a terra. Alessandro di

ri esso si mette una mano sulle

palle; una smor a di dolore gli

irrigidisce il viso e un rivolo di

sangue gli cola dal naso. Il

piccoletto gli preme lo scarpone

chiodato sul petto per farlo stare

giù. Ma Alessandro glielo a erra

con le mani e lo ribalta a terra. In

un groviglio di braccia e gambe

iniziano a lottare nché, proprio

quando il vietnamita sta per

soccombere, non interviene l’altro

a strappare il compagno dalle sue

grin e. E poi, a turno, lo

riempiono di calci, pugni, sputi.

Quando è abbastanza stordito da

essere inerme, il piccoletto gli

punta la pistola in mezzo alla

fronte. « I kil you. Speak. Where

photo» lo minaccia, urlando come

un indemoniato.

Alessandro è a terra, ha il torace

in amme, i muscoli doloranti, la

testa che rimbomba. Prova a

reagire di nuovo. La violenza non è

mai stata la sua arma, ma quando

non hai altro a disposizione… Con

un improvviso colpo di mano fa

volare via la pistola al piccoletto,

gli dà uno spintone con le gambe e

lo stende sul pavimento. Con la

poca forza che ancora ha, fa per

alzarsi, ma non ci riesce. Sente due

mani più forti delle sue che lo

spingono giù: è il tizio grosso. Gli

preme sulla bocca un fazzoletto

imbevuto di cloroformio.

Poi è un attimo. La luce, il buio.

Alessandro ha un sussulto, perde i

sensi e si accascia fra le braccia

dello sconosciuto.

Da un po’ di giorni si alza presto.

Sarà l’aria frizzante di questo

settembre pieno di sorprese, sarà

perché l’estate sta per nire e lei

non vuole perdersi un solo

momento di sole e vita all’aria

aperta. Anche perché già pensa ai

primi grigiori autunnali che fanno

del Nordest un posto malinconico e

poco attraente. Oggi che è sabato è

salita in sella alla sua bici da corsa

– è troppo tempo ormai che la sta

trascurando – e si è messa a fare un

po’ di chilometri di saliscendi tra le

colline.

È una di quelle mattinate con il

cielo azzurro, il sole e l’aria tiepida

che la fanno sentire leggera. Da

quassù riesce per no a intravedere

il mare sulla linea dell’orizzonte.

Linda è felice. Con Tommaso sta

andando alla grande: i loro

incontri sono passione allo stato

puro, nessuno dei due ha voglia di

farsi troppe domande sul futuro e

così stanno vivendo a mille ogni

singolo istante che riescono a

condividere. Non potrebbe chiedere

nulla di più. Unico neo alla gioia di

questo momento è Alessandro, che

dopo quella mail non ha più

mandato notizie, ma in fondo ha

sempre fatto così, lo conosce bene:

è capace di ritornare un bel giorno

all’improvviso, senza nemmeno

avvertirla, proprio come l’ultima

volta. Chissà su che informazioni

scottanti avrà messo le mani… Se

lo immagina intento a scattare

come un matto, negli scenari più

incredibili del Vietnam. Beato lui,

che ha sempre avuto quello spirito

nomade. Lei invece nella sua terra,

il Veneto, ci ha piantato radici

saldissime e la abbandona solo se

proprio deve, per qualche breve

vacanza o viaggio di lavoro.

Ma è davvero solo questo a

turbarla, il fatto di non avere

notizie del suo amico di sempre?

Scuote il capo per allontanare da

sé il ricordo di quel bacio che

ancora non si spiega, in

quell’attimo sospeso in mezzo alla

confusione dell’aeroporto. Si mette

a pedalare più veloce.

Percorre una discesa, poi

imbocca la stradina pianeggiante

che costeggia l’argine di un

umiciattolo,

ed

eccola

a

Serravalle, a casa di zio Giorgio,

che l’aspetta per pranzo. Meno

male che lui c’è. Senza di lui, con la

famiglia lontana e gli amici sempre

presi tra lavoro e casa, si

sentirebbe persa.

Linda entra in casa. Dalla cucina

arrivano rumori di pentole e piatti,

sembra un concerto di percussioni:

come in ogni cosa che fa, anche in

cucina Giorgio mette estro e

passione a volontà. E poi ha

sempre voglia di sperimentare.

Oggi, per esempio, gli è saltato in

mente di fare una ricetta thai, il

pollo al latte di cocco e curry,

accompagnato da riso basmati. È

sicuro che a Linda piacerà.

«Zio!» Linda lo saluta con due

baci. Lancia un’occhiata di

apprezzamento

all’elegante

grembiule rosso che indossa.

«Tenuta da grande chef, oggi?»

«Tesoro, o le cose si fanno bene,

o non ci si prova nemmeno, mi

conosci!»

«Giusto.» Linda gli batte un

cinque. «Della tavola mi occupo

io.»«Certo, tesoro, in quello di sicuro

sei più brava tu.» Le strizza

l’occhio.

Mentre parlano, sullo sfondo si

sente la sigla del telegiornale.

Linda a erra il telecomando e

abbassa il volume: i tg le danno sui

nervi per la quantità di cazzate che

riescono a trasmettere. E per di più

a tavola o quando è in compagnia

non tollera la presenza fastidiosa

della televisione. Ma se Giorgio

l’ha accesa, non gl’imporrà di certo

il suo volere. Stende la tovaglia di

lino bianco e piega a ventaglio due

tovaglioli.

Poi apre la credenza. «Metto i

calici o i cilindri in vetro so ato?»

chiede, per sicurezza.

«Direi la seconda, visto il menu

etnico» risponde Giorgio.

«Ok.» Linda si alza sulle punte

per a errare i bicchieri. È mentre li

sta posando sul tavolo che lo

sguardo le nisce sullo schermo

della televisione. La giornalista

bionda ha un viso scuro, da lutto;

alle sue spalle compare la foto di

un volto maschile. Linda si sente

raggelare il sangue, non crede a ciò

che

vede.

«Ma

quello

è

Alessandro!» esclama, sconvolta.

Alza rapida il volume.

Giorgio si volta e corre subito lì,

lasciando traboccare dal coperchio

l’acqua in cui sta bollendo il riso.

Ascoltano immobili, muti, gli

occhi incollati allo schermo.

«Era in Vietnam da poche

settimane, Alessandro Degan, il

fotoreporter

italiano

misteriosamente scomparso ad

Hanoi, la capitale.» La voce della

giornalista

è

fastidiosamente

asettica.

«Trentacinque

anni,

veneto, l’uomo collaborava con

un’agenzia

di

stampa

internazionale. Dalle poche notizie

giunte in Italia, si sa che stava

lavorando a un reportage sullo

sfruttamento del lavoro minorile

nel Paese. L’ipotesi del rapimento,

non ancora confermata dal

Ministero degli A ari esteri

italiano, sembra la più probabile.

Potrebbe trattarsi di un sequestro

per mano della ma a locale che

gestisce il tra co dei minori.

Tuttavia, l’Interpol non esclude

l’ipotesi

dell’omicidio.

Aggiornamenti saranno forniti

nelle prossime edizioni del

giornale.»

Linda e Giorgio si guardano

increduli, pietri cati. In quel

preciso momento tutto intorno a

loro si svuota di senso e

importanza.

Linda si accascia sulla sedia, si

prende la testa tra le mani, scoppia

a piangere. «Non è possibile, non ci

credo.» Le lacrime le rigano le

guance, scivolando salate sulle

dita, in bocca.

La giornalista bionda continua la

recita delle notizie. In due secondi

passa da un’espressione di dolore

assoluto a una di placida allegria.

«Si

conclude

stasera

la

settantunesima

Mostra

internazionale

d’arte

cinematografica. Sentiamo il nostro

corrispondente da Venezia.»

Giorgio spegne in fretta la tv,

con la poca lucidità che gli è

rimasta.

Linda ha lo sguardo sso su un

punto inde nito della tovaglia.

«Quel maledetto testa di cazzo ce

l’ha fatta a cacciarsi nei guai.» Poi

batte un pugno sul tavolo. «No, no

e poi no!» Urla no a sentire male

ai polmoni, invasa da un’angoscia

crescente.

È scossa, le mani le tremano. Si

sente piccola e inutile, lì seduta su

un comodo divano in quel

tranquillo paesino dove non

succede mai niente, mentre il suo

amico è in prima linea a occuparsi

di questioni serie.

Giorgio la abbraccia con

dolcezza. Ha gli occhi rossi, sta per

piangere ma non vuole farlo di

fronte a Linda. Sua nipote, adesso,

ha bisogno di qualcuno più forte di

lei. «Calmati, tesoro» le sussurra,

accarezzandole

la

testa.

«Alessandro è un ragazzo troppo in

gamba per non uscirne. Se la

caverà di sicuro, fidati.»

Linda ora tace. Ha solo la forza

per chiudere gli occhi e liberare nel

pianto la sua disperazione.

È barricata in casa da giorni. Ha

provato un migliaio di volte a fare

il numero di Alessandro, ma il suo

telefono non dà segni di vita. Linda

ha seguito tutte le edizioni dei tg di

tutte le reti possibili, con sempre

più

angoscia:

nessun

aggiornamento, nessuna novità. E

purtroppo, si premurano di

concludere con un’indi erenza

irritante tutti i giornalisti, le

autorità che si stanno interessando

al caso – chissà quanto gliene può

fregare di un reporter scomodo

come Alessandro, pensa lei – hanno

iniziato ad avvalorare l’ipotesi

dell’omicidio. Dio, è orribile! Chissà

dove l’avranno buttato! Non ce la

fa a sopportare il peso di certe

visioni che le passano per la testa.

Non riesce a darsi pace: sarebbe

cambiato qualcosa se l’avesse

convinto a non partire? Se avesse

cercato di farlo ragionare,

mettendogli davanti agli occhi tutti

i rischi a cui stava per esporsi?

Sarebbe cambiato qualcosa, cazzo?

No, certo che no. Idealista e

cocciuto com’era (com’è?), lui

avrebbe seguito comunque la sua

strada, come ha sempre fatto. Ma

saperlo non alleggerisce a atto il

peso che le grava sulla coscienza,

quella sensazione di impotenza che

le impedisce di pensare ad altro.

Tommaso l’ha cercata più volte

ogni giorno, ma lei non gli ha mai

risposto. Non risponde a nessuno,

neanche allo zio. Ha solo voglia di

stare sola, di crogiolarsi nella sua

tristezza. Ha smesso anche di

lavorare. È almeno una settimana

che non va in studio – senza

peraltro aver fornito a Bosi la

minima giusti cazione – ma tanto

che senso avrebbe? È demotivata e

s nita come non si è sentita mai,

disillusa nel profondo, spossata

no al limite del dolore sico. Certi

giorni le è sembrata un’impresa

titanica anche solo trascinarsi dal

letto al divano, o prepararsi un

ca è, l’unica cosa che riesce a

buttar giù. Non è mai stata così.

Mai. La vita ha perso tutti i suoi

colori, ora, e si è trasformata in

una massa di negatività di fronte

alla quale ci si può solo arrendere,

un carico di angoscia che non le dà

un istante di tregua.

Stamattina ha pianto per quattro

ore di fila. Lacrime che fanno male,

e lei non ha nemmeno provato a

combatterle. Adesso che sono quasi

le tre del pomeriggio si butta sul

divano. Ha freddo, lo stomaco

chiuso, la testa pesante, nel cuore

un groviglio di sentimenti confusi e

contrastanti.

Prende la coperta a rombi, ci si

avvolge,

rannicchiandosi

in

posizione fetale. Ripensa all’ultima

volta che l’ha visto, a quel bacio

rubato in aeroporto. È straziante,

questo lm, e le scorre in testa a

ciclo continuo da giorni. Vorrebbe

avere

un

telecomando

per

cambiare

subito

canale,

teletrasportarsi altrove, sparire da

qui e ritrovarsi nell’abbraccio forte

di Alessandro.

Mentre le passa per la testa una

quantità ormai insopportabile di

pensieri,

sente

suonare

il

campanello. Non ha idea di chi

possa essere e non ha intenzione di

aprire a nessuno. Non vuole farsi

vedere in queste condizioni, tanto

meno parlare con qualcuno. Resta

zitta e immobile, la televisione

accesa a volume zero, sua unica

compagna in questi giorni di

solitudine. Ma chiunque la cerchi,

là fuori, è un tizio testardo, perché

il campanello ricomincia a

suonare, più insistente di prima.

«Linda, apri!»

Tommaso. È venuto da lei. Ed è

la prima volta che lo sente urlare.

«Ti prego, sto impazzendo a non

sapere come stai…»

Linda si tira su a sedere, la testa

le gira; non sa se alzarsi o

rimettersi giù.

«Lo so che ci sei.» Tommaso non

si arrende. «Aprimi. Sono qui per

te. Non voglio nulla. Solo vederti e

sapere che stai bene.»

Linda si trascina per inerzia

davanti alla porta, con la coperta

sulle spalle. Non sa resistere, non

ha più le forze per opporsi. Come

un automa gli apre e lo lascia

entrare.

Tommaso l’abbraccia forte senza

parlare, anche se sa tutto. E Linda

per un istante si abbandona a lui.

Poi si riavvolge addosso la coperta

e torna sul divano.

Tommaso la segue. Non l’ha mai

vista così, sembra un’altra. Ha

un’aria

distrutta.

Tutta

quell’energia,

quella

carica

squisitamente femminile che è

sempre stata la sua cifra, è sepolta

sotto strati di dolore.

Tommaso si siede sul bordo del

divano. Le accarezza la testa, la

guarda negli occhi con tutto il

calore che ha. «Quello che è

successo è tremendo, ma adesso

devi tirarti su.»

«E come faccio?» Le lacrime

iniziano a sgorgarle di nuovo dagli

occhi gon . «Come faccio a

perdonarmi? L’ho lasciato partire

senza dire nulla, l’ho anche

accompagnato io all’aereo! Dimmi

come faccio a tirarmi su, se non so

nemmeno cos’è successo! Come

cazzo lo hanno…» non ce la fa a

dirlo, si sente so ocare «…

ammazzato?»

Tommaso si china su di lei, se la

stringe contro il petto, le

massaggia la schiena.

Linda a quel punto esplode in

singhiozzi ancora più forti. «Non ci

voglio credere, non ci riesco. Non

posso pensare che sia morto.»

«E allora non farlo. Non ci sono

prove che sia andata così.»

Tommaso vorrebbe scuoterla.

«Fidati. Ne ho già visti, di casi

simili.»

Linda solleva di poco la testa.

«Tu pensi che sia ancora vivo?» Si

stro na gli occhi, si passa il dorso

di una mano sotto il naso, tira su.

«Non è stato ritrovato nessun

corpo, tanto per cominciare.

L’Unità di Crisi della Farnesina sta

lavorando al caso, ma al momento

nessuno può dire con certezza come

stanno le cose.»

«E quando è così, è una notizia

buona o cattiva?» Linda lo guarda

con occhi disperati, ma almeno

adesso sembra più reattiva.

Tommaso è riuscito a darle una

speranza.

«È una situazione che lascia

aperto un ventaglio di possibilità.»

Deve stare attento a quello che

dice. Non può sbilanciarsi.

«E quindi?»

«L’unica cosa da fare è non

abbattersi. Non serve a nulla.»

Tommaso la prende dolcemente

per un braccio, la tira su a sedere.

«Adesso basta piangere. Promettimi

che sarai forte.»

Linda si asciuga ancora le

lacrime, si aggiusta la maglietta

spiegazzata. «Non ce la faccio. Non

sapere niente di lui mi sta

distruggendo.»

Tommaso le a erra le spalle, la

guarda sso negli occhi. «Linda,

devi

darti di me, davvero.

Nessuna notizia non signi ca brutte

notizie. Mi credi?»

Linda fa sì con la testa.

«Ci sono io con te.» Tommaso le

posa le labbra tiepide sulla fronte e

la avvolge in un abbraccio quasi

paterno, che non le ha mai dato.

Un abbraccio che sa andare oltre,

ed è già una promessa.

Nadine è distesa sul letto della

camera padronale, indossa slip di

pizzo bianco e babydoll coordinato.

Sta leggendo le poesie di Omar

Khayyam in arabo, la schiena

appoggiata alla morbida testiera

rivestita in raso rosso.

Manca poco alle undici quando

vede entrare Tommaso dalla porta.

È scuro in volto, percepisce

chiaramente la tensione che

irrigidisce il suo corpo. La saluta

biascicando un debole «Ciao» che la

colpisce come un pugno in piena

faccia.

«Sei stato da lei?» Nadine non

resiste, glielo chiede a bruciapelo.

E Tommaso non riesce a negare.

«Sì» risponde a voce bassa, senza

guardarla in faccia. Apre un’anta

dell’armadio, fruga dentro alla

ricerca di qualcosa. Lo sa benissimo

che la distanza tra loro è diventata

una terra di nessuno in cui è

meglio non avventurarsi.

Anche Nadine se n’è resa conto.

Il modo in cui Tommaso si

comporta è il segno evidente che si

è rotto qualcosa. Qualcosa che

forse non si può più riaggiustare.

Perché Nadine l’ha capito da

subito, con l’istinto infallibile della

femmina di classe superiore che ha

sempre avuto: e le è stato chiaro

ancora prima che a Tommaso che

non si è mai trattato solo di sesso,

con lei. Per qualche scopata, non si

sarebbe fatta problemi.

Ma Linda ora è molto di più, e il

coinvolgimento di Tommaso con lei

ha segnato il con ne tra quello che

si può o meno tollerare. Anche in

una relazione libera come la loro.

Non è più solo una questione di

sesso, sta diventando – e non

avrebbe mai pensato di doverlo

dire di Tommaso – una questione di

cuore. Il fatto è che Tommaso si

spende per quella ragazza come

per nessun’altra creatura al mondo;

in questi ultimi giorni non ha fatto

altro che interessarsi a Linda –

anche solo pensare quel nome le dà

fastidio – e al suo amico

scomparso. Certo, per Alessandro è

dispiaciuta anche lei. Scopare con

lui era stato fantastico. Ma da qui a

mobilitare mezzo mondo con

telefonate e mail, come sta facendo

Tommaso, ce ne vuole.

Tommaso tira giù il piccolo

trolley

dall’ultimo

ripiano

dell’armadio, lo posa a terra, lo

apre.

«Parti?» domanda Nadine.

«Sì,

domattina.»

Tommaso

continua a non guardarla, prende

un paio di pantaloni, li piega e li

ripone con cura nella valigia.

«Si può sapere almeno dove

vai?»

Tommaso si gira e nalmente

ferma gli occhi su di lei. «A

Londra.»

«E immagino che per ragioni di

riservatezza non puoi dirmi altro.»

«Credimi. Meno informazioni

lascio qui, meglio è.»

Nadine è sicura che questa

partenza improvvisa abbia a che

vedere con l’amico di Linda, ci

mette la mano sul fuoco. Quella

donna lo ha stregato, e lui ora è in

suo potere.

«Cos’è? Non ti di?» chiede,

deglutendo.

«Non è per questo.» Tommaso la

squadra: è così perfettamente bella

da non comunicargli nulla.

«E allora cos’è? Parla. Ti

ascolto.»

«No. Perché quello che vuoi

sentirmi dire lo sai già.»

Quella frase. Una pietra che

scal sce l’immobilità delle acque di

uno stagno. E cancella in un attimo

tutti i non detti su cui hanno

galleggiato in queste settimane. Lui

sa che lei sa. Ora non possono più

fingere.

«Tornerò in un paio di giorni»

dice in ne lui. «Parleremo al mio

ritorno.»

Il Boeing 767 della British

Airways è decollato da un quarto

d’ora.

Tommaso si slaccia la cintura di

sicurezza, allunga le gambe, si

stiracchia la schiena sul sedile di

business class. Guarda l’orologio al

polso, le lancette d’oro segnano le

11.55.

«Signore, desidera?» chiede la

giovane assistente di volo con il

carrello delle bevande.

«Un Martini dry.» Tommaso

abbassa il tavolino.

L’assistente mora gli porge un

calice con l’aperitivo, e un piccolo

vassoio di assaggini salati.

«Grazie» dice Tommaso.

«A lei.» La ragazza esibisce un

sorriso

immacolato.

«Buon

viaggio.»

Tommaso prende un sorso dal

bicchiere e cerca di ritornare

padrone dei propri pensieri:

allontana

consapevolmente

l’immagine di Nadine che lo guarda

uscire di casa con occhi di ghiaccio.

E anche il calore che il sorriso di

Linda gli accende nel petto. Deve

restare concentrato. Pensare a

come comportarsi a Londra,

quando nella hall del Claridge’s

incontrerà Sergio Pietrangeli, un

imprenditore italiano da sempre in

affari con il Sudest asiatico.

L’ha conosciuto una decina di

anni fa a Roma alla sede del

Ministero e poi l’ha incontrato a

diversi meeting internazionali. È

uno che fattura milioni di euro

l’anno,

ha

un

marchio

d’abbigliamento che spopola tra i

teenager. Parecchi dei suoi

investimenti sono in Vietnam e non

sono certo del tutto puliti:

Pietrangeli non è uno che segue le

regole, tanto meno l’etica del

lavoro, Tommaso lo sa bene. Ha un

ash vivido dell’ultima volta in cui

l’ha visto, l’anno scorso a Dubai: gli

occhi bovini in quel viso dai

lineamenti quasi infantili, le

sopracciglia folte, i capelli neri

lucidi, il tozzo corpo scattante

malgrado la pancetta, e quella

voce inconfondibile, ambigua e

melli ua, la

nta deferenza,

l’affettazione simulata e strisciante.

Tommaso non ha troppa voglia

di incontrarlo, ma è l’unica carta

che può giocarsi per avere notizie

di Alessandro. Perché Pietrangeli

ha una capacità di penetrazione

nel territorio molto più profonda

ed efficace di quanto possano avere

le vie u ciali. Per mandare avanti

la sua azienda, che legalmente ha

ancora sede in Italia, compra

prodotti vietnamiti da imprenditori

privi di scrupoli, collusi con la

criminalità locale. Figuriamoci

quanto gli stanno a cuore le

ingiustizie subite dagli operai. È un

poco di buono, una specie di

ma oso, Tommaso ne è al

corrente, ma in questo momento è

il solo in grado di fornirgli un aiuto

concreto.

Dovrà

convincere

Pietrangeli – che di favori gliene

deve, eccome – a mobilitare tutte le

sue risorse sul campo: solo così c’è

speranza di capire che ne abbia

fatto Alessandro.

Poco importa, a questo punto, se

dovrà

ricattarlo.

In

modo

estremamente elegante e con

parole misurate gli farà intendere i

termini della questione: se non lo

aiuta, darà in pasto alla stampa

informazioni

sulle

sue

responsabilità nello sfruttamento

della manodopera minorile. E per

Pietrangeli, in questo momento,

uno scandalo potrebbe essere

fatale. Tommaso già s’immagina le

fasi cruciali della conversazione,

prova mentalmente i toni, i modi, i

gesti. Con uno come Pietrangeli

non puoi improvvisare restando sul

generico o vendendogli fumo:

quello ti obbliga a vedere le carte

subito e capisce se stai blu ando

ancora prima che tu abbia pensato

di farlo. Ma stavolta Tommaso sarà

diretto

e

senza

possibili

contromosse: non può permettersi

di sbagliare.

Mentre è preso da questi pensieri

cupi, scuote la testa. Non è il

genere di a ari che gli piace

trattare, ma in una visione più

aperta delle cose si tratta pur

sempre di diplomazia – solo a un

livello molto più subdolo e

sotterraneo. Prende un lungo

respiro, alza gli occhi al cielo.

Tutto quello che sta per fare, sarà

per Linda; perché la vuole, e non

sopporta di vederla in quello stato.

L’indicatore luminoso si accende

sopra il sedile. Tommaso si

riallaccia la cintura di sicurezza.

Tra pochi minuti atterrerà a

Londra.

Che Dio gliela mandi buona.

Sono quattro giorni che non

sente Tommaso. Le ha mandato

qualche sms, certo, ma sentire la

sua voce è diverso, l’aiuterebbe a

farsi coraggio, a uscire dal guscio.

Le ha detto che sarebbe stato

all’estero per un impegno di

lavoro, perciò non si sogna

nemmeno di disturbarlo. E allora

alle sei del pomeriggio non le resta

che rimanersene accartocciata sul

divano, un cuscino sullo stomaco,

ad aspettare che succeda qualcosa

che non succederà.

Avesse almeno un cane, un

animale di cui prendersi cura e che

le facesse compagnia! Ma forse, a

pensarci bene, meglio così:

probabilmente l’avrebbe fatto

morire di fame in questi giorni. E

proprio in quel momento squilla il

telefono. Allunga un braccio a terra

e lo raccoglie dal tappeto. Sul

display lampeggia un numero

sconosciuto, forse con un pre sso

internazionale. Potrebbe essere lui:

deve rispondere!

«Pronto?»

«Linda, sono io.»

Tutte le lacrime che non ha

ancora versato le scivolano dagli

occhi come una cascata. Ma

stavolta sono di gioia. Con un lo

di voce riesce a dire: «Ale, sei tu?».

«Sì. Non piangere. Ti prego.»

«Oddio, dimmi che stai bene, che

sei vivo!»

«Se ti sto parlando, ho buone

ragioni per pensare di esserlo, tu

che dici?» Ha ancora la forza di

scherzare.

«Oh, Ale!» Linda a questo punto

scoppia in un pianto incontrollato,

interrotto da tremiti e singhiozzi, e

per un attimo le sembra di non

essere più nella sua casa. «Ma cosa

ti era successo? Dov’eri finito?»

«Ascolta, non ho molto tempo.»

Alessandro parla a voce bassa,

sembra molto stanco. «Ti ho

chiamato al volo per dirti che sto

bene. Mi hanno catturato, ho fatto

dieci giorni di prigionia, ma un’ora

fa sono stato liberato. E ora sto

all’ambasciata.»

«Non scherzi, vero? Dimmi che è

la verità.»

«Sì! Credo che sia intervenuto un

pezzo grosso dall’Italia. Pare ci

siano state delle trattative segrete,

così mi hanno fatto intendere i

rapitori al momento del rilascio.»

Linda resta per un attimo in

silenzio. Crede di aver intuito

qualcosa. «Ma torni, vero? Ti prego

dimmi quando… presto?»

«Non lo so. Ma è questione di

giorni.» Arriva qualcuno a

richiamarlo. «Devo mettere giù

adesso. Ciao.»

«Ciao, Ale.» Linda abbandona il

telefono sul divano, si alza in piedi

con uno scatto e si mette a ridere

con gli occhi che ancora liberano

lacrime. È impossibile tenersi

dentro un’emozione simile.

Ora Linda è gioia allo stato puro:

il corpo è percorso da un fremito

vitale, ha addosso tanta energia da

spaccare il mondo. Sale sulla spider

e a tutta velocità corre alla villa,

da Tommaso. È stato lui, ne è

sicura, e chi altri sennò? Ha fatto

in modo che il miracolo accadesse,

ma da grande uomo qual è non le

ha detto nulla: è un signore,

discreto ed e ciente come la sua

professione richiede, e non è certo

uno che fa le cose per il gusto di

sbandierarle poi ai quattro venti.

Supera un’auto in doppia linea

continua, preme come una

forsennata sull’acceleratore e si

mette per no a suonare il clacson

in centro abitato. Chissà se

Tommaso sarà a casa! Spera con

tutto il cuore di trovarlo e non le

importa se ad aprirle sarà Nadine:

è troppo euforica per badare al

buon senso, adesso.

Quando arriva alla villa, il

cancello è aperto. Percorre il

vialetto d’ingresso a una velocità

folle, poi di colpo frena, spegne il

motore, scende dall’auto e si onda

verso lo scalone d’ingresso.

Tommaso è sul terrazzino, sembra

quasi la stesse aspettando.

Linda sale le scale di corsa, ha il

cuore in gola, le gambe che

tremano.

Lui le va incontro a passi

misurati, trattenendo a stento un

sorriso.

«Sei stato tu, vero?»

«In qualche modo, sì.» Tommaso

annuisce, ora sorride davvero. «E

un giorno, forse, ti dirò come.» La

tira a sé e l’abbraccia con tutto il

calore che ha.

Anche Nadine, richiamata dai

rumori, sta per uscire. Ma ha

sentito quel a voce e si è fermata

qualche passo prima dell’arco

d’ingresso a osservare la scena in

disparte. Le arrivano solo parole

sconnesse, ma bastano per capire

che non ha più senso rimanere lì,

accanto a un uomo che non la ama

più, che forse non l’ha mai amata,

un uomo per il quale lei stessa non

riesce a provare nulla.

«Grazie.» Linda si lascia stringere

da quelle mani forti e rassicuranti,

scoppiando

in

un

pianto

liberatorio. «Grazie, grazie, grazie»

ripete tra un singhiozzo e l’altro.

«Non te lo dirò mai abbastanza.»

Tommaso si stacca un istante da

lei, asciuga una lacrima sul suo

viso e le punta gli occhi negli occhi.

«Farei di tutto per vederti

sorridere.» Ed è chiaro a entrambi

che anche quella frase vale come

una promessa. Molto di più, forse.

14

È sveglia dalle quattro del

mattino. Ha aperto gli occhi di

scatto,

perché

un

bagliore

fastidioso ltrava da sotto la porta.

Colpa di Tommaso, che non si

ricorda mai di spegnere la luce

sulle scale. E lei ha il sonno

leggerissimo, non riesce quasi mai

a riaddormentarsi. Ma questo lui lo

sa bene e, a quanto pare, ora non

gliene frega più nulla davvero. Si è

agitata, Nadine, era inquieta già

nel sonno – i sogni ultimamente

sono strani, confusi – ma per

alzarsi serviva una forza che lei

proprio non aveva. Così è rimasta

a rigirarsi tra le lenzuola, cercando

un pensiero che la tranquillizzasse,

riportandola tra le braccia di

Morfeo, ma non c’è stato verso.

Sono quasi le sette, ora, e ha lo

sguardo vuoto incollato al so tto,

in testa un caos di sensazioni

scomode che non le danno tregua.

Si gira su un lato, guarda

Tommaso nell’altra metà del letto:

sembra dormire, o forse fa solo

nta, ultimamente è diventata la

sua specialità. Nadine ha voglia di

cercarlo, un po’ per noia, un po’

per provocazione, un po’ per

rivalsa, un po’ perché ha fame di

qualcosa che da troppo tempo non

può più avere. Saranno almeno due

mesi che non lo fanno. Con un

movimento quasi felino allunga

una gamba sul corpo di lui e

percorre la sua pelle calda, dai

polpacci no alle cosce con il piede

nudo e liscio, poi lo in la sotto i

boxer no a sentire il suo sesso,

rilassato e morbido. Studia il viso

di Tommaso: stringe gli occhi,

muove un poco la bocca, forse sta

sognando qualcosa che lo turba,

perché sposta la testa a piccoli

scatti. Adesso emette anche qualche

mormorio

indecifrabile,

sta

iniziando a svegliarsi. Nadine

toglie il piede e con la mano scosta

il tessuto dei boxer, lo accarezza

pizzicandolo leggera, quindi gioca

con le dita sull’asta che comincia a

tendersi, la impugna e scivola

lentamente su e giù. Poi, con uno

scatto inaspettato, arriva la mano

di Tommaso a bloccarla: è una

mano ferma, che con decisione le

a erra il polso costringendola a

farla nita con quello che ormai è

davvero solo un gioco.

«No.» Scuote la testa a occhi

chiusi, Tommaso, e fa un lungo

sospiro. «No.» La sua voce è un

sussurro, ma quella sillaba pesa

come un macigno su quello che

sono e quello che non saranno.

Nadine si tira su a sedere. Ora è

tutto chiaro, è caduto per sempre il

velo impalpabile del loro patto: ma

non c’è rabbia, non c’è nulla,

perché loro due non esistono più.

Vorrebbe guardarlo negli occhi, le

deve almeno questo. Accende

l’abat-jour sul comodino e gli punta

lo sguardo sul volto, fredda e

perentoria. «Avanti. Adesso dillo.»

Anche Tommaso a quel punto si

tira su, appoggia la testa allo

schienale, solleva gli occhi al

soffitto. Ma tace.

«Voglio che tu lo dica. Coraggio»

insiste lei, prendendolo per un

braccio. «È nita?» lo incalza con

quegli occhi di ghiaccio. «Siamo

abbastanza adulti per a rontare la

cosa, non credi?»

Tommaso ha una sensazione di

angoscia che quasi gli impedisce di

respirare, e d’istinto si mette una

mano sul petto. Non è reticenza, la

sua. Vuole parlare, ha già deciso da

prima di partire per Londra. Ma ha

troppo rispetto di Nadine e della

loro storia, che è stata la più

importante della sua vita, per

chiuderla nel modo sbagliato, con

le parole sbagliate o nel momento

sbagliato. E quindi ha aspettato.

Ora, però, è tempo di scoprire le

carte. Così, con una fatica

sovrumana, socchiude gli occhi,

prende

ato, deglutisce, lascia

uscire l’aria dalla bocca. «Sì» dice,

in un so o, guardandola negli

occhi. «È finita.»

«Sei innamorato di lei?» La voce

di Nadine è ferma, nessuna ombra

di pianto.

«Perché vuoi farti male?»

Tommaso ha gli occhi lucidi. Non si

ricorda da quanto non piange

davanti a una donna. Forse non

l’ha mai fatto, se non di fronte a

sua madre.

«Perché ho il diritto di sapere.

Me lo devi.»

«Che io sia innamorato o no, non

ha importanza. Era già finita prima

che lei arrivasse, lo sai bene anche

tu. Ci abbiamo provato, forse

anche troppo. Ma non è servito a

nulla.»

«O forse non ci siamo impegnati

abbastanza.» Nadine distoglie gli

occhi da lui, fa un lungo respiro

per spezzare quel nodo profondo

che le artiglia la gola.

«Non è così, non puoi crederlo

davvero: la verità è che ci siamo

impegnati dal primo giorno»

ribatte Tommaso, «ma l’amore non

è solo una questione d’impegno. Ed

è l’amore che tiene insieme una

coppia.»

«L’amore? Tu che mi parli

d’amore?» lo incalza lei, sempre

senza perdere la calma, con

un’espressione che è così serena da

risultare preoccupante. «Se fossimo

sposati non parleresti così.

Avremmo dovuto farlo tanto tempo

fa. Adesso sarebbe tutto diverso.»

Tommaso tace. Non è d’accordo,

ma ora è meglio tenerselo per sé. Il

matrimonio non li avrebbe tenuti

più uniti, piuttosto il contrario: se

non si sono mai sposati, un motivo

c’è. Ma ovviamente non è sempre

stato così: con Nadine si sono

trovati e riconosciuti n dal primo

momento. Si sono amati, anche,

ma come si ama qualcuno che

appartiene al tuo stesso mondo,

che è come te. E forse è per questo

che si sono illusi di appartenere

l’uno all’altra.

Nadine sembra aver intuito i suoi

pensieri, perciò parlarne ancora

sarebbe insensato. Ha l’espressione

rassegnata, quella di una donna

sicura di sé, ferita, ma che non ha

paura di a rontare il futuro da

sola. «Bene, allora non c’è altro da

aggiungere.»

Lui la conosce come nessun altro.

Sa bene chi ha davanti, sa che non

ci saranno scenate e ripicche. Per

questo l’ha scelta. L’ aveva scelta.

Ma ora nella sua vita tutto è

diverso. «Puoi rimanere qui quanto

vuoi» le dice Tommaso. «Questa

casa è tua, e lo sarà sempre.»

«Dove starò è l’ultimo dei miei

problemi. Adesso basta.» Nadine si

alza

dal

letto

come

se

all’improvviso avesse fretta. Forse

vuole piangere e, se è così, vuole

farlo da sola. «Abbiamo tutti e due

una giornata impegnativa. Tu devi

andare a Roma al Ministero, io…

io ho un sacco di cose da sistemare.

Riprendiamoci ognuno la propria

vita senza troppe storie, niente

melodrammi. Non sono da noi.»

Poi lascia la stanza, senza voltarsi

indietro, senza un’esitazione.

Il viaggio di ritorno da Roma è

stato uno dei più pesanti della sua

vita. Ha guidato per sei ore con i

pensieri che gli martellavano il

cervello, nemmeno il suo amato

Bach in sottofondo è riuscito a

sciogliere

il

groviglio

di

preoccupazioni che gli si addensa

nella testa. Il Ministero gli ha

a dato un incarico di tre anni a

Lisbona; da settimane aveva

subodorato l’ipotesi, girava qualche

voce a riguardo, ma la certezza, in

questa professione, non ce l’hai

mai no al giorno dell’investitura

u ciale.

Quando

gliel’hanno

comunicato, la prima sensazione è

stata di sollievo: ci sperava, di

rimanere un po’ in Europa dopo

anni in terra araba. Poi ha pensato

a quello che aveva qui, nel suo

Veneto, all’idea che in questi mesi

lo aveva solleticato, ovvero di

avere una dimora ssa: la sua

meravigliosa villa, che ha rimesso a

nuovo proprio come aveva sempre

sognato. E poi, Nadine: cosa ne

sarà di lei? Da quando si sono

parlati, ieri mattina, non l’ha più

sentita e non ha idea di come possa

stare. A dire il vero, un po’ se lo

immagina, perché anche lui si

sente qualcosa di spezzato dentro il

cuore, ora. È stato straziante

mettere ne al loro rapporto, al

loro comodo mondo conosciuto,

anche se non c’è più un sentimento

vivo a legarli. Dove andranno da

soli?

Al pensiero di salire in casa,

adesso, e discutere della loro ne,

si sente male. Ma lo deve fare. Ha

ancora addosso la stanchezza del

viaggio e dell’estenuante colloquio

con Pisanò, ma non importa:

quando si è in guerra si combatte,

punto. Vorrebbe servirsi delle sue

doti diplomatiche, della sua

freddezza rassicurante e infallibile

con Nadine. Ma ora non ce la

farebbe. Quanto gli piacerebbe che

lasciarsi fosse come metter ne a

un

rapporto

meramente

economico. Che si potesse farlo con

un trattato, una dichiarazione: in

modo indolore, senza lacrime. Ma

mentre si dirige verso la camera da

letto, sa già che non sarà così.

«Nadine?» la chiama. «Sono

arrivato.»

Nessuna risposta. Probabilmente

dorme. In fondo, è già mezzanotte.

Apre allora la porta, ma la

stanza è vuota. Si guarda intorno,

si a accia sul corridoio. «Nadine, ci

sei?» La voce risuona tra le pareti,

si perde per i corridoi della villa.

A quel punto Tommaso rientra in

camera e si accorge che sulla

scrivania in mogano c’è un piccolo

biglietto,

piegato

a

metà.

Un’intestazione, Tu, scritta con la

sua calligrafia elegante. Lo apre.

L’amore che c’è stato rimane, lo

porto via con me.

Addio, Tommaso.

Si felice, anche senza noi.

Nadine

Si siede sul letto, ammutolito ma

nemmeno troppo sconvolto. Questo

gesto è da lei: in quelle parole c’è

tutta Nadine. Chissà dove sarà, ora.

Forse dai suoi a Beirut, forse dalla

sua amica Julie a Parigi, forse da

Werner a Berlino. Di certo avrà

scelto la cosa più giusta. Ora che ci

pensa, in tutti questi anni non ha

fatto una sola mossa sbagliata.

Una vera donna, una signora,

anche nel momento dell’addio. E,

mentre rilegge quelle parole, il

cuore sta già correndo altrove. Da

Linda.

È quasi l’una quando suona alla

porta della Casa Azzurra. Ha deciso

di farlo d’istinto, senza ascoltare

nulla se non le sue emozioni, anche

se si rende conto che è abbastanza

fuori luogo piombare nel cuore

della notte a casa di una donna

senza prima averla avvertita. Ma

le scelte razionali e ponderate, in

questo momento, non si ricorda

nemmeno come si facciano: con

una come Linda, vale la pena

dimenticare un po’ il pensiero e

usare il cuore. Tutto quello che ha.

Lei gli apre la porta in shorts del

pigiama e maglietta, stava per

andare a letto. «Tommaso?» Sgrana

gli occhi. «Cosa ci fai qui a

quest’ora? È successo qualcosa?»

Ha un’espressione preoccupata,

pensa subito ad Alessandro.

«Sono successe un po’ di cose»

risponde lui. Ha l’aria stanca,

sembra un reduce dal fronte, ma ha

uno sguardo lucente, vivo come lei

forse non gli ha visto mai. «Se mi

fai entrare, te le racconto.»

«Certo.» Linda gli fa strada.

«Entra.»

«Scusami, forse sono stato un po’

irruento.

Ma

non

potevo

aspettare.» Una pausa. «Spero di

non averti spaventata.»

«Figurati.» Linda si mette quasi a

ridere. Ma è curiosa, ora, non sa

davvero cosa aspettarsi. «Più che

altro, mi domandavo chi diavolo

potesse essere a quest’ora.» Di

nuovo la mente corre ad

Alessandro, l’uomo delle partenze e

degli arrivi inaspettati. «Ma vado

matta per le improvvisate. Vuoi

qualcosa da bere?»

«No.» Tommaso la tira a sé. «Io

voglio te.» Le tappa la bocca con

un bacio e la spinge sul divano.

«Mmm, interessante.» Linda si

divincola, fa sedere lui e gli sale

sulle ginocchia, con le mani si

aggancia al suo collo. «Allora, cosa

volevi raccontarmi?»

Tommaso per un istante si

rabbuia. «Tra me e Nadine è nita»

dice, in un so o. «Ci siamo

lasciati.»

«Ah… mi dispiace.» Ma poi ci

ripensa. «No, ho detto una cazzata.

La verità è che non mi dispiace per

niente» continua con espressione

colpevole.

«Mi

trovi

imperdonabile?»

«No.» Scuote la testa, lui,

guardandola come una creatura

strana

ed

estremamente

a ascinante. «Mi piace che tu sia

sincera.»

«E tu come stai?» lo incalza lei.

Sente un brivido correrle lungo la

schiena: tenta di non dargli peso e

di restare concentrata sulla storia

di Tommaso, la storia dolorosa

della ne di un rapporto. Ma non

le riesce molto bene.

Tommaso si stringe nelle spalle.

«Lasciare qualcuno è sempre triste,

è la ne di qualcosa in cui hai

creduto. Ma so di aver fatto la cosa

giusta. E ora mi sento libero, come

non mi sentivo da troppo tempo,

ormai.»

Linda lo ascolta in silenzio: non

sa perché per un momento le viene

naturalissimo identi carsi con

Nadine. «Ha scoperto di noi?»

«Sì.» Tommaso le sposta una

ciocca di capelli dalla fronte, gliela

sistema dietro l’orecchio. «E non

starò qui a dirti che tu non c’entri

niente. Perché tu c’entri eccome,

Linda.»

Il cuore di lei salta un battito e

un respiro si ferma a metà.

«C’è un’altra cosa che devo dirti.»

«Cosa?»

«Oggi ho avuto un nuovo

incarico dal Ministero. Si tratta di

una missione all’Ambasciata di

Lisbona.»

Questa notizia la trova ancora

meno preparata della prima.

«E quanto dura una missione?»

«Tre anni.»

Linda deglutisce. Cazzo, pensa. E

il suo sguardo rivela tutta la sua

delusione e il dispiacere. «Mi stai

dicendo che non ti rivedrò più?»

«Non

proprio»

risponde

Tommaso, guardandola dritto negli

occhi. «Stavo per chiederti se vuoi

venire via con me.»

Linda spalanca gli occhi, la

bocca aperta, in un’espressione

vagamente stordita. Forse non ha

capito bene, si dice. Ma sa che non

è così. È senza ato, incapace di

articolare una sola parola sensata.

«Non devi rispondermi subito»

precisa Tommaso. Non gli va di

metterle pressione, anche se

vorrebbe prenderla e portarla via

adesso, senza valigie, così com’è, in

pantaloncini, la coda arru ata, i

ricci biondi e selvaggi che le

incorniciano il viso. «Hai un po’ di

giorni per pensarci» spiega poi,

con il suo tono più rassicurante.

«Stavolta

sei

riuscito

a

spiazzarmi davvero.» Linda è

incredula. «Non so cosa dire.» Ha

iniziato a tremare, e sa già che

pensiero sta prendendo forma nella

sua testa.

«Io voglio te. E ti voglio

ovunque» continua lui. «Lisbona

potrebbe essere un’occasione unica,

e voglio che ci pensi bene.»

Tommaso le prende il viso tra le

mani, la guarda con quei suoi occhi

profondi che non accettano un

ri uto. Ha la barba un po’ sfatta,

nota Linda in quel momento, non è

da lui. «Se decidi di seguirmi, devi

prepararti a cambiare vita. Perciò

voglio che tu sia sicura della scelta

che farai. Mi risponderai tra

qualche giorno, ora non pensarci.»

Si avvicina ancora di più al viso di

lei, la bacia con un’intensità quasi

commovente. «Adesso voglio che

pensi solo a questo…»

È un attimo, e tra loro si

sprigiona una carica elettrizzante

che li travolge, una forza a cui è

impossibile resistere. Senza darsi

risposte, si cercano soltanto: si

spogliano

lentamente,

si

accarezzano, si baciano, si

gra ano, si leccano. Si vogliono

con ogni bra, ogni battito, ogni

respiro.

La

sensazione

straordinaria di poter attingere il

nettare

stesso

della

vita

possedendosi. L’autenticità nuda,

l’assenza di ltri, la sincerità

brutale. Il desiderio cieco, assoluto.

E l’amore, che è appena nato.

Ci ha pensato bene: si è ascoltata

dentro, ma la risposta era già lì,

c’era sempre stata, e quindi non ci

ha messo molto a dirgli di sì.

Perché la decisione di partire

insieme a lui l’aveva già presa

quella notte, su quel divano,

nell’attimo stesso in cui lui

gliel’aveva chiesto. Si rende conto

che

sta

per

stravolgere

inesorabilmente la sua esistenza,

ma è una s da, la sua linfa vitale,

e non può non coglierla al volo. In

fondo, da quando è nata ha sempre

vissuto lì, nella sua terra, e adesso

ha voglia di sperimentarsi, di

cambiare aria. Pensa che le farà

bene, indipendentemente da come

andranno le cose con Tommaso. La

loro non è solo attrazione, di

questo è certa: non sa ancora se

diventerà amore o se lo è già, ma

con lui starà bene. Tommaso c’è

stato in uno dei momenti più bui

della sua vita, quando credeva di

aver perso Alessandro. Si prenderà

cura di lei, e lei glielo lascerà fare,

come non ha mai permesso a

nessuno di farlo.

Prima della partenza si è presa

del tempo per salutare tutti. È

andata a trovare i suoi genitori a

San Vito di Cadore: all’inizio non

l’hanno presa benissimo, sua madre

in particolare; ma dopo una lunga

e accesissima discussione, tra una

risata e una lacrima, le hanno

detto: «Se tu sei felice, lo siamo

anche noi».

Poi è stata la volta dello studio.

Bosi alla notizia è sbiancato. «Se

avessi saputo che quel Belli

m’avrebbe portato via l’elemento

più valido, non ti avrei mai messo

in mano quel progetto!» Era

furioso. «Comunque Lisbona è una

città interessante per il design e

l’architettura. Vedi di imparare

nuove cose. E di ritornare, capito?

Perché quando torni – e io lo so che

tornerai – qui le porte per te

saranno sempre aperte.» Non

l’avrebbe mai creduto, che Bosi alla

ne si sarebbe dimostrato un uomo

degno di rispetto! Ludovico e Alice,

invece, hanno messo su due faccine

dispiaciute ma nte da fare schifo:

era evidente che dentro di loro

stavano godendo di brutto. Niente

di nuovo, insomma. Povero Bosi,

ha pensato lei: sostituirla con quei

due zerbini non sarà facile…

Con gli amici si è ritrovata a

Bassano per un aperitivo da

Nardini, la storica distilleria

all’inizio del Ponte Vecchio, cornice

perfetta per salutare il suo Veneto.

C’erano tutti: Valentina, che ora

sta insieme al ginecologo – e, da

come ne parla, c’è speranza che sia

una relazione seria – poi Carlo,

Ra aele, Salvo, i tre moschettieri

della

gnocca

ancora

irreparabilmente

single.

Le

mancheranno, già lo sa.

Marcella, invece, ha voluto

incontrarla da sola. Si sono date

appuntamento una mattina da

Chocolat, la ca etteria del centro

che fa dei cappuccini da urlo. La

sua amica è arrivata radiosa come

non mai, il volto rilassato, gli occhi

luminosi, i capelli lucidi e

perfettamente in piega. A un certo

punto, tra un macaron e l’altro, ha

preso Linda per un braccio e le ha

sussurrato

all’orecchio:

«Ti

ringrazierò a vita per avermi dato

il numero di Davide». È stato

l’inizio di una lunga confessione

ricca di particolari piccanti.

«Ero certa che vi sareste piaciuti»

ha commentato Linda, con un

sorriso provocante. «E con

Umberto?»

«Umberto ovviamente non sa

nulla. Forse sto sbagliando tutto; se

penso ai miei gli mi prende male,

eppure con Davide mi sento viva.

Viva come non succedeva da

tempo!» Ha abbassato di nuovo la

voce, come se fosse stata sul punto

di dire qualcosa di gravissimo:

«Scopiamo da paura».

«Non ho dubbi, tesoro, dati…»

ha replicato Linda, soddisfatta.

Salutare Marcella non è stato

facile. L’abbraccio che si sono

scambiate fuori dal locale, prima di

separarsi, sembrava non nire più,

aveva quel calore buono che sanno

darti solo le persone con cui hai

un’affinità elettiva.

Ancora più di cile è stato

salutare zio Giorgio. Non sa come

farà senza di lui, e viceversa. C’è

sempre stato, Giorgio, da quando

era

bambina,

l’ha

sempre

incoraggiata in tutte le sue scelte e

così ha fatto stavolta, nonostante

la fitta al cuore che sente all’idea di

non vederla per così tanto – anche

se Linda, a dire il vero, sui tempi

ha glissato un po’.

Durante la cena di addio, gli ha

consegnato le chiavi della Casa

Azzurra. «Prenditene cura tu,

quando e se puoi» gli ha

raccomandato.

«Di questo puoi stare sicura» ha

risposto Giorgio, con un sorriso

bonario. «Ti ridipingerò anche i

muri esterni, ormai ce n’è bisogno.»

«Lasciali azzurri, però, mi

raccomando!»

«Bimba, per chi mi hai preso?

Certo che li lascio azzurri. La

tradizione va mantenuta; in questa

casa ci sono nato e l’ho sempre

vista di questo colore» ha ribadito

lui, quasi o eso. Poi ha tirato fuori

dalla tasca dei pantaloni un

ciondolo d’oro con una pietra

d’ametista incastonata al centro, e

l’ha messo in mano a Linda.

«Questo era di tua nonna. Tienilo

tu, adesso. Ti proteggerà.»

«Ma zio… è… è bellissimo!» ha

esclamato lei, gli occhi traboccanti

d’amore. Si è rigirata il pendente

tra le mani, e si è accorta che sul

retro c’erano quattro raggi

accompagnati da quattro nomi

latini incisi in corsivo: prudentia,

iustitia, fortitudo, temperantia.

«Tua nonna quelle virtù ce le

aveva tutte» ha aggiunto Giorgio.

Poi le ha agganciato il ciondolo al

collo. «Tu non lo so… ma di certo ti

sta benissimo, tesoro.»

«Zio, mi mancherai troppo.»

Linda lo ha stretto forte a sé.

«Anche tu mi mancherai.»

Giorgio ha trattenuto con tutta la

forza che aveva una lacrima ribelle

e l’ha avvolta in un abbraccio forte

e sentito. «Ma sono tranquillo,

sono sicuro che sarai in buone

mani.»

Ha un unico rimpianto, Linda:

non essere riuscita a salutare

Alessandro, che ancora non è

tornato. Ma, viste le circostanze,

già solo sapere che è sano e salvo

le basta. In fondo loro due sono

sempre riusciti a parlarsi senza le

parole, anche nel silenzio della

lontananza. Ciao Ale, vado via, ma

ti terrò comunque vicino a me. E

mentre lo pensa, non ha dubbi che

anche stavolta lui la stia

ascoltando.

È uscito all’improvviso, mentre

nell’aria c’era ancora una densità

profumata di pioggia, e adesso il

sole vibra di luce nuova; le nuvole

grigie si stanno piano dissolvendo

per fare spazio all’azzurro del cielo.

Meno male che c’è questo tempo.

L’idea di partire con la pioggia le

avrebbe messo addosso troppa

tristezza, ma ora è felice, perché è

a colori e non in bianco e nero,

l’ultima immagine che si porterà

via del suo Veneto.

Linda chiude con il lucchetto il

piccolo trolley. Dentro ci sono solo

le cose essenziali, come si è

raccomandato Tommaso. «Porta i

vestiti a cui tieni di più, al resto

penserò io» le ha detto ieri sera,

quasi volesse invitarla a lasciare a

casa tutto, anche i ricordi. «Magari

prendi pure il quadro che ti ho

regalato, così lo mettiamo nella

casa nuova.»

E adesso Linda è pronta:

cammina verso la porta della Casa

Azzurra con i sette vizi sotto

braccio, le quattro virtù appese al

collo e una valigia semivuota da

riempire con un futuro ancora da

scrivere. Una volta fuori, lascia il

trolley sul primo gradino e

appoggia il quadro al muretto.

Poi, mentre sta già per rientrare,

eccolo lì. È ancora una sagoma

lontana che si avvicina a passi

lenti; e più viene avanti, più lei si

sente mancare.

È lui, non riesce a crederci:

Alessandro. Indossa un paio di

jeans scuciti e una maglia verde

militare; sul braccio destro ha una

fasciatura, sulla fronte i resti di

una ferita. Cammina sicuro. Sta

bene, non gli hanno fatto nulla,

non ci sono riusciti.

Linda inizia a tremare: vorrebbe

correre, ma non riesce a muovere

un passo. Si prende il viso tra le

mani, socchiude la bocca e

spalanca gli occhi, come davanti a

un fantasma.

«Non

svenire,

ti

prego.»

Alessandro le fa un sorriso. «Sono

io, sì, se per caso avevi ancora

qualche dubbio.» Ride di gusto,

adesso. «In carne e ossa.»

Linda gli va incontro, lo

abbraccia, piano perché teme di

fargli male, di romperlo. Ma

Alessandro la stringe con più

veemenza. La felicità di ritrovarsi è

più forte di qualsiasi cosa.

«Mi hai fatto perdere dieci anni

di vita, maledetto!» mormora Linda

abbandonata sulla sua spalla.

«Quante storie per un banale

sequestro di persona» replica lui.

Ha visto in faccia l’inferno, eppure

ha la solita incredibile leggerezza

di chi sa cogliere l’attimo, di uno

che vive nell’ora. E che non si

perde un solo istante di vita.

«Pensavo che non ti avrei rivisto

mai più.»

«E invece, grazie a Tommaso,

sono qui.»

Linda ha un attimo di esitazione.

«Come fai a sapere che è stato lui?»

chiede, staccandosi di colpo

dall’abbraccio per guardarlo in

faccia.

«Mi sono informato» dice, con un

sorriso vago. «Sei stata tu a

chiedergli di intervenire?»

«Veramente ha fatto tutto da

solo.» A Linda brillano gli occhi. «È

stato un grande, no?»

Alessandro si limita ad annuire.

Se lei sapesse a quali compromessi

Tommaso è dovuto scendere per

salvarlo,

non

sarebbe

così

entusiasta. Ma non è lui che deve

dirglielo. Non adesso, che la vede

così felice. Poi, a un tratto, nota il

trolley appoggiato allo scalino.

«Ma stai partendo?» le domanda.

«Sì, ho un volo tra due ore.»

«E per dove, di grazia? Arriva il

gliol prodigo e tu che fai? Vai a

festeggiare senza di lui?»

«Vado a Lisbona.» Poi una pausa.

«Con Tommaso.»

Silenzio. Denso di incertezze.

«Ah. Quindi ora state insieme…»

«Sì.» In realtà, se ci pensa, Linda

sa solo che sta per partire insieme

a lui. “Stare insieme” è, forse, solo

una conseguenza pratica di quella

scelta: qualcosa che lei si sente

nalmente pronta a vivere, ma che

non aveva mai pronunciato a voce

alta.

«E quanto starai via, signorina?»

«Be’… un po’, direi. Gli hanno

affidato una missione di tre anni.»

«Ah.» Alessandro accenna un

sorriso di circostanza, ma non ce la

fa. Non con lei, la sua amica più

cara. Non se lo merita. «Sei

convinta, vero?»

«Sì.» Non c’è ombra di dubbio

nella voce di Linda. «Sto facendo la

cosa giusta. Lo sento.»

«Se è così, sono dalla tua, come

tu sei sempre stata dalla mia»

conclude Alessandro. Non si può

fermare uno spirito libero, nessuno

lo sa meglio di lui. Forse vorrebbe

farlo, forse no, ma non fa nulla per

trattenerla: Linda deve poter

scegliere senza interferenze, deve

avere la possibilità di sbagliare o di

conquistarsi

la

felicità.

È

lasciandosi vicendevolmente questa

libertà che negli anni hanno

continuato a volersi bene. «Vieni

qui.» La attira a sé con un sorriso

aperto, la stringe forte. È un

abbraccio che passa attraverso la

pelle e arriva al cuore, per poi

fermarsi ancora più dentro, in

quello spazio che sa tutto di noi e

non ha nome. «Buona fortuna,

ragazza. Stavolta tocca a te

partire.»

Linda sta in silenzio mentre una

lacrima le scivola lungo la guancia.

È un attimo assoluto, che racconta

di tutta la loro vita.

È Alessandro a staccarsi per

primo. «Ciao» le dice. La osserva

un’ultima volta.

Anche Linda lo guarda; ha la

sensazione che non si siano detti

tutto, ma non riesce a sporcare con

le parole questo istante perfetto.

Solleva una mano in aria, la fa

danzare sopra di loro e poi fa per

a errare qualcosa d’invisibile: lui è

dentro il suo respiro, come il mare

dentro una conchiglia.

Poi Alessandro si volta e se ne

va, con il passo sicuro di chi può

percorrere

chilometri

senza

avvertire la fatica del viaggio, solo

godendo della gioia di farlo.

Grazie

a voi, lettrici e lettori.

alla mia famiglia.

a Michele.

a Caterina e tutta la “compagnia

del sesto”.

a Silvia.

a Massimo.

a Giovanna e la sua mitica

squadra.

a tutta la Rizzoli, dal piano terra

all’ultimo.

a Maddalena.

ad Al.

a Diana, Elena e Laura.

alle persone che in vari modi

sono state fonte di ispirazione:

Federico T., Licia N., Tommaso V.

(voi sapete come e perché).

alle ore 18.42 del 13 aprile 2014.

ai luoghi magici della mia terra.

a tutti gli sbagli.

Indice

1.

2.

3. Superbia

4.

5.

6.

7. Avarizia

8.

9. Gola

10. Ira

11. Invidia

12. Lussuria

13. Accidia

14.

Grazie

LEI È PASSIONE,

LUI CONTROLLO,

L’ALTRO LIBERTÀ.

MA NEL GIOCO DEL

TRADIMENTO

SONO I PECCATI

CAPITALI I SOLI

VINCITORI.

La storia di Linda

continua con

PER TUTTO

L’AMORE

Volume II

È

passato

quasi

un

anno

dal

suo

incontro

con

Tommaso, e ora Linda

vive con lui a Lisbona.

Ha cambiato vita e sta

provando a diventare la

donna che lui desidera.

E quando il destino la

obbligherà a fare i conti

con la parte più vera di sé,

il suo spirito libero e

indomabile,

si

scoprirà

pronta a tutto per non

perdere

l’anima

gemella.

Quella che ti vuole per come

sei.

Document OutlineFrontespizioCopyrightDedica1.2.3. Superbia4.5.6.7. Avarizia8.9. Gola10. Ira11. Invidia12. Lussuria

13. Accidia14.Grazie


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