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Per una lettura del reimpiego dall'antico al contemporaneo, in PETTENÒ, RINALDI, Memoria...

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L’ALBUM 18
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L’ALBUM 18

FondazioneAntonioColluto

Tutti i diritti sono riservati. È vietata in tutto o in parte la riproduzione dei testi e delle illustrazioni.

© novembre 2011Fondazione Colluto

Grafiche Turato Edizionivia Pitagora, 16/a - 35030 Rubano (PD)tel. 049 [email protected]: 978-88-89524-76-3

Composizione grafica: Matteo Annibaletto

Elena Pettenò Federica Rinaldi

MEMORIE DAL PASSATO DIIULIA CONCORDIA

UN PERCORSO ATTRAVERSO LE FORMEDEL RIUSO E DEL REIMPIEGO DELL’ANTICO

con la collaborazione di

Raffaella Bortolin e Yuri A. Marano

Se non sai dove stai andandogirati per vedere da dove vieni.

Moni Ovadia

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INDICE

Per una lettura del reimpiego dall’antico al contemporaneo (Ludovico Rebaudo) 17

Premessa (Federica Rinaldi)Genesi di una ricerca 21Struttura dell’opera 22

1 - Storia degli studi (Elena Pettenò)1.1 Il senso delle rovine 251.2 Sulle sponde del fiume Lemene 27

2 - Un punto di partenza (Elena Pettenò)2.1 Dell’antico sepolcreto concordiese 31

3 - Questioni di metodo (Elena Pettenò, Federica Rinaldi)3.1 Per una definizione terminologica 353.2 Le ‘ tappe’ dello studio 37

4 - La topografia del riuso e del reimpiego a Iulia Concordia4.1 Le premesse tra I e II secolo d.C. (Federica Rinaldi) 394.2 La memoria dell’antico nel IV-VI sec. d.C.: l’area archeologica della Basilica (Federica Rinaldi) 434.3 Nel segno della continuità. L’allestimento della piazza Cardinal Costantini e della Cattedrale (Federica Rinaldi) 514.4 La “Sala Celso Costantini”, ovvero il museo ‘ restituito’ (Elena Pettenò) 524.5 Il monumento alla bonifica (Elena Pettenò) 59

5 - La topografia del riuso e del reimpiego a Portogruaro (Elena Pettenò)5.1 Un caso emblematico: la Madonna in trono 655.2 Disiecta membra per la città 705.3 Dalla città al Museo 73

INDICE

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6 - Iulia Concordia: una storia mai finita (Elena Pettenò, Federica Rinaldi)6.1 Per una scansione cronologica del riuso/reimpiego tra Iulia Concordia e Portum de Gruario 756.2 Considerazioni topografiche 816.3 “Nani sulle spalle dei giganti” 82

Appendice I - Catalogo degli ‘spolia concordiesi’ (Raffaella Bortolin) Premessa 87Concordia, Necropoli di Levante - Sepolcreto dei Militi (catt. 1-4) 90Concordia, Settore nord-orientale della città (catt. 5-8) 92Concordia, Area della basilica paleocristiana (catt. 9-27) 94Concordia, Cattedrale di Santo Stefano (cat. 28) 103Concordia, Piazza del Municipio (cat. 29) 104Concordia, “Sala Celso Costantini” (catt. 30-106) 104Portogruaro (catt. 107a-118) 131

Appendice II - La ‘voce’ degli antichi (Yuri A. Marano) Spoliazione di edifici e reimpiego di materiali da costruzione in età romana: le fonti giuridiche 141

Spoliazione e reimpiego tra tarda Repubblica e tardo Impero 141Spoliazione e reimpiego nella legislazione di II e III secolo d.C. 145Spoliazione e reimpiego in età tardoantica 149Il reimpiego nell’età di Teoderico 157

Appendice III - Catalogo delle fonti (Yuri A. Marano) 161

Appendice IV - Tavole (Elena Pettenò, Federica Rinaldi) 175

Bibliografia (a cura di Elena Pettenò, Federica Rinaldi) 183

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PER UNA LETTURA DEL REIMPIEGODALL’ANTICO AL CONTEMPORANEO

È sempre bene interrogarsi sul tema di un libro, e nel caso di un libro sul reimpiego, sen-za dubbio uno dei fenomeni più complessi del mondo antico e medievale – in certe aree anche dell’età moderna fino alla soglie della contemporaneità – lo è doppiamente. Il reimpiego è per sua natura un fenomeno complesso, con diversi gradi di intenzionalità e consapevolezza, e non può essere giudicato con un solo metro. Per questo studiarne le forme e i significati è un cimento non banale, che mette alla prova non solo l’occhio e il fiuto dello studioso ma anche il suo buon senso.

Un primo aspetto da sottolineare è che in senso ampio l’azione di re-impiegare, cioè di “usare di nuovo” qualcosa che sia già stato usato in precedenza, non è fenomeno ‘altro’ e lon-tano da noi, un retaggio del passato, bensì un comportamento ordinario della vita quotidia-na di qualsiasi epoca umana, compresa la nostra. Avvolgere un oggetto in un giornale, usare una borsa della spesa come contenitore per i rifiuti non sono forse forme minime di reimpie-go? Certo, l’abitudine a un altro termine, l’ inglese riciclo (recycle), aiuta a mimetizzare queste azioni e a vederle piuttosto nella prospettiva della moderna coscienza ecologica; ma non dob-biamo lasciarci fuorviare dal fatto linguistico: simili comportamenti sono reimpieghi a tut-ti gli effetti e come tali vanno considerati. È un dato banale ma richiama un fatto importante: l’esistenza di un vastissimo ‘grado zero’ del reimpiego, senza moventi culturali o ideologici, senza significati consapevoli, ma ben radicato nelle abitudini del quotidiano.

Naturalmente, come esiste un reimpiego di grado zero, così esistono altri livelli in cui la consapevolezza e l’ intenzionalità sono fuori di dubbio. Penso alla fortunata iniziativa di un’azienda che ha messo in commercio con successo assi per parquet recuperate dai pavimenti di vecchie abitazioni. Di sicuro chi acquista quel prodotto non agisce per necessità, dato che le assi ‘antiche’ sono molto più costose e difficili da trovare delle nuove. Le motivazioni riguarda-no, piuttosto, la sfera del gusto: possiamo immaginare che ai suoi occhi il legno ‘ vissuto’ porti in casa l’atmosfera e il colore del passato. Il reimpiego è in questo caso un atto consapevole, non fosse altro perché richiede un investimento cospicuo. La motivazione economico-utilitaria la-scia il posto a un movente culturale, che dobbiamo considerare e valutare come tale.

LUDOVICO REBAUDO

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In certi casi infine il reimpiego può essere caricato di intenzionalità e significati così forti da toccare il paradosso di divenire fine a se stes-so. I ready-mades dadaisti o gli assemblages di Picasso ad esempio: oggetti che nascono per di-mostrare che ogni cosa ha in sé molte nature e può essere usata di nuovo in un senso diverso da quello originario, diventando così scultura. Nel-le mani di Picasso la sella e il manubrio di una bicicletta diventano una geniale Testa di toro che ricorda le pitture neolitiche di Lascaux o gli af-freschi dei palazzi del Medio Minoico. Inutile dire che il combinare due oggetti siffatti non ri-sponde ad alcun bisogno, né produce un effetto utile. Il senso dell’operazione è tutto nell’attri-buire a cose familiari un nuovo, imprevisto si-gnificato: cioè, in una parola, nel reimpiegarle.

Questa piccolo ventaglio di esempi è più che sufficiente a mettere in luce quello che è il vero problema dello studio del reimpiego e che mi preme qui sottolineare: l’ impossibilità di ricorrere a un’ unica chiave di lettura. Perché, se dalla dimensione quotidiana ci spostiamo a quella storica e poniamo al centro dell’attenzio-ne il reimpiego nel mondo antico e medievale come fanno con successo le Autrici di questo libro, le difficoltà sono ancora più evidenti e i rischi maggiori. Il reimpiego storico non è solo un fenomeno diffuso in tutto il territorio dell’ impero (quindi dell’ Europa medievale) e tal-mente vario da sfuggire a ogni possibilità di codificazione; è, soprattutto, una stratificazione di comportamenti, nella quale sullo sfondo praticamente ubiquo della prassi di grado zero si levano momenti alti e spettacolari che attirano l’attenzione e sui quali pericolosamente, alme-no a mio modo di vedere, vengono tarati gli strumenti critici.

Per molto tempo fra XIX e XX secolo il reimpiego ha interessato poco gli studiosi ed è prevalsa una linea moralistica che vi riconosceva solo una manifestazione della decaden-za della fine dell’antichità. Poi, dopo gli studi di Hans Peter L’Orange e di Friedrich Wilhelm Deichmann sull’arco di Costantino e sulle colonne e i capitelli antichi nell’architettura pale-ocristiana, si è imposta la tendenza opposta a leggere il reimpiego in chiave di nuova sensi-bilità estetica e di manifesto ideologico1. Non più, quindi, come un fenomeno indotto da ne-cessità materiali o da considerazioni di convenienza, bensì come scelta per esprimere conte-nuti simbolici e trasmettere messaggi prevalentemente politici. L’arco di Costantino è dive-nuto l’archetipo di questo tipo di lettura: i rilievi sottratti ai monumenti di Traiano, Adriano e Marco Aurelio, ricollocati e aggiornati con la rilavorazione dei ritratti, vengono interpretati come un messaggio che dice più o meno “Costantino è il successore degli augusti dell’età au-rea dello stato e il continuatore della loro opera politica”.

Il momento di massima fortuna di questo tipo di approccio sono stati gli anni Ottanta e Novanta, grazie soprattutto agli studi di Salvatore Settis, che ha messo nelle mani degli studiosi un raffinato arsenale critico basato sull’antitesi continuità/distanza rispetto al passato2. L’appli-cazione non sempre misurata di quelle categorie ha portato a eccessi, per cui ogni riga di ogni contributo si è virtualmente trasformata in una caccia al messaggio nascosto. Paolo Liverani ha

1 L’Orange 1940, pp. 114-130.2 Soprattutto Settis 1986, pp. 373-486, frequentemente citato come riferimento. Ma si veda anche Settis 1984, pp. 309-317.

Parigi, Musée National Picasso. “Testa di toro” (1942).

PER UNA LETTURA DEL REIMPIEGO DALL’ANTICO AL CONTEMPORANEO

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richiamato l’esempio degli spolia del battistero lateranense, ai quali, basandosi sullo scrupoloso inventario e sulla precisa classificazione di ogni pezzo effettuata negli anni Trenta, è stato attri-buito un preciso richiamo politico per ciascuna epoca ‘ rappresentata’ da ciascun pezzo3.

Questo è, appunto, il pericolo che si corre quando si sceglie una chiave di lettura uni-ca: la sovrainterpretazione. Non a caso l’ ultimo decennio ha visto affacciarsi una linea criti-ca più moderata che si identifica soprattutto nella formula coniata nel 2004 da Paolo Livera-ni, il reimpiego senza ideologia, che ha incontrato un meritato consenso (anche di chi scrive). Simbolicamente a partire dall’arco di Costantino, Liverani ha richiamato l’attenzione sulla pluralità dei possibili moventi, sia generali che legati al contesto, e ha introdotto nel dibattito un salutare elemento di riflessione4. Alla categoria unica dell’ ideologia è necessario affiancar-ne altre, di grado diverso e non necessariamente in conflitto, ma altrettanto pesanti: in primo luogo l’estetica deichmanniana, come proponeva Beate Brenk già negli anni Ottanta, ma an-che pragmaticamente la tecnica, la disponibilità e la convenienza economica. Dimentichia-mo per un attimo la Cappella Palatina, il Duomo di Pisa e la tomba del cardinale de Braye: in molti monumenti importanti, è vero, i modi del reimpiego e il contesto possono ben giustifi-care una lettura degli spolia come manifesto. Ma consideriamo la normalità della prassi tar-doantica e altomedievale: il reimpiego è prima di tutto un fattore basilare dell’economia. Re-centi studi cominciano a mostrare che dalla fine del II secolo d.C. la sostenibilità delle politi-che edilizie, uno dei principali ambiti di investimento delle risorse pubbliche dello stato ro-mano, era basata su un meccanismo di ‘decostruzione e riuso’ 5. Tutti i programmi, più am-biziosi, in primo luogo quello costantiniano di sostegno al Cristianesimo romano attraverso la costruzione delle grandi basiliche, sarebbero stati impossibili senza il massiccio ricorso al reimpiego di materiale più antico. Gli spolia erano in primo luogo una forma di finanziamen-to dell’ impresa attraverso la diminuzione dei costi. La complessa legislazione in materia, che comincia addirittura nel I secolo d.C., è un chiaro specchio di questa dimensione economi-ca, che muoveva senza dubbio interessi consistenti6. E allora, mi chiedo, possiamo veramente permetterci di espungere questi aspetti dal nostro arsenale critico? Non sarà il caso di consi-derare i fattori di grado zero almeno a lato, se non prima, del tradizionale dualismo estetica/ideologia? Specie quando, da un certo momento in poi, il reimpiego diventa una necessità le-gata a esigenze primarie che toccano l’ intero ambito della vita quotidiana; dunque il reimpie-go diventa un aspetto della mentalità collettiva (penso, per fare un esempio estremo, alle tes-sere vitree dei pavimenti musivi, trasformate in malinconici vaghi di collana)7.

La sostanza delle considerazioni che precedono è, in definitiva, questo: lo studio del reim-piego richiede prudenza e buon senso; non applicazione di categorie a priori ma studio accura-to del contesto e valutazione caso per caso dei fattori in gioco. È appunto il merito principale di questo libro, che si occupa del reimpiego dei materiali di Iulia Concordia, un caso difficile perché di lunghissimo periodo (numerosi sono i reimpieghi di pieno Ottocento) e diviso fra due realtà municipali, Concordia e Portogruaro, la cui vicenda moderna non potrebbe esser più diversa.

Le Autrici studiano la casistica senza preconcetti e senza ricorrere immediatamente a facili e ‘ brillanti’ letture ideologiche; sono inclini ad applicare categorie di Settis, cui tributa-no il giusto riconoscimento, ma mantengono sempre con la giusta dose di prudenza, che in più occasioni affiora nel linguaggio (“il tentativo di ricontestualizzare i frammenti riusati o

3 Liverani 2004, pp. 383-434. Il riferimento è a Romano 1991, pp. 31-80.4 Liverani 2004, pp. 383-400. In precedenza su basi meno sistematiche era venuta la proposta di Brenk 1987, pp.

103-109. Si veda ora, fra gli altri, Pace 2006, pp. 180-187.5 Barker 2010, pp. 127-142. Si veda anche Il reimpiego in architettura 2008; Marginesu 2008, pp. 41-55.6 Anguissola 2002, pp. 13-29. Un riscontro nel caso dell’ Aqua Felix: Palmerio 2008, pp. 373-393.7 Cavalieri 2011, pp. 613-626.

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reimpiegati di Iulia Concordia è partito dalla consapevolezza della difficoltà di prendere posi-zione rispetto al paradigma di Settis…”: p. 82). La precisione dei dati topografici è accompa-gnata da un sistematico e puntuale ricorso alla documentazione d’archivio.

Il libro si presenta quindi come un catalogo ragionato che disegna lo sviluppo del reim-piego secondo ben precise coordinate topografiche e cronologiche, e la precisione dei dati, es-senziale in questo tipo di indagini, è assicurata da un sistematico e puntuale ricorso alla do-cumentazione d’archivio. Il risultato è ciò che veramente possiamo chiamare una storia ma-teriale e culturale del reimpiego concordiese.

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Elenco delle abbreviazioni delle riviste e dei periodici

Sono stati scritti per esteso, in corsivo, i titoli privi di abbreviazione

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Finito di stampare nel mese di novembre 2011a Rubano (PD) da Grafiche Turato


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