+ All Categories
Home > Documents > Ricerche di iconografia mineralogica: I.La pietra «gagate» nel Codex medicus graecus 1della...

Ricerche di iconografia mineralogica: I.La pietra «gagate» nel Codex medicus graecus 1della...

Date post: 22-Nov-2023
Category:
Upload: dicospe
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
24
Rend. Fis. Acc. Lincei s. 9, v. 13:89-112 (2002) Storia delle scienze sperimentali. Ricerche di iconografia mineralogica: I. La pietra «gagate » nel Codex medicus graecus 1 della Biblioteca Nazionale Austriaca. Nota (*) del Socio A. Mottana. Abstract. Studies in mineral iconography :1. The «gagate » stone in the Austrian National Library Codex medicus graecus 1. The «Vienna Dioscorides» codex, written and illuminated 512 AD in Constan- tinople, contains (f. 395r) what is possibly the first figure intentionally representing a mineral which came down to us: a colored picture of the «gagate » stone i.e., of jet, the velvet-black glossy variety of lignite. This picture does not occur in Dioscorides’ text on medical matters that constitutes the bulk of the codex, but in the paraphrase by Eutecnius of Nicander’s poem on remedies against poisonous bites, an appendix, which anyway was written and illuminated at the same time as the codex main text. Key words: Illuminated codex; Dioscorides; Jet; Mineral; Vienna. Riassunto. — Il codice del «Dioscoride di Vienna», scritto e miniato a Costantinopoli nel 512 AD, contiene al f. 395r quella che ` e probabilmente la prima rappresentazione intenzionale di un singolo minerale a noi pervenuta: la «gagate » o giaietto, forma compatta e lucente di lignite picea nero-vellutata. Questa figura ` e contenuta non nel testo del De materia medica di Dioscoride, che costituisce la parte maggiore del codice, ma in quello della parafrasi di Eutecnio (III sec. AD) del poema sui rimedi contro i morsi velenosi scritto da Nicandro da Colofone, una delle appendici, che fu in ogni caso scritta e miniata contemporaneamente con la parte principale del codice. Introduzione «Una figura, anche se mal riuscita, spesso fa capire di pi` u di una lunga descrizione». Affermazioni di questo tipo sono ricorrenti nella letteratura naturalistica e trovano ampia giustificazione nella difficolt` a di esprimere a parole le caratteristiche di sistemi complessi come quelli naturali; sistemi che, per altro, sono percettibili in alcune delle loro pecu- liarit` a significative tramite la sola analisi a vista. Ovvia conseguenza di questa situazione ` e stata che, non appena le tecniche grafiche si furono evolute a sufficienza, entr` o in uso nella letteratura scientifico-naturalistica di corredare i testi con figure. Soprattutto nel caso di testi concepiti per la divulgazione, queste immagini hanno ultimamente rag- giunto un elevatissimo grado di qualit` a: la stampa a colori, ancora rara trent’anni fa, ` e ormai una costante dell’editoria digitale. In passato, le figurazioni di oggetti naturali erano per lo pi` u limitate allo stretto neces- sario, anche perch´ e richiedevano tecniche tipografiche onerose (silografia, calcografia, lito- grafia, ecc.). Questo ` e particolarmente vero per la Mineralogia, scienza complessa che stu- dia materiali naturali per lo pi` u non appariscenti se non nel colore, vale a dire in una pro- priet` a impossibile o quasi da riprodurre a stampa fino alla seconda met` a del XIX sec.( 1 ). (*) Pervenuta in forma definitiva all’Accademia il 5 luglio 2001. ( 1 ) Esistono splendide illustrazioni a colori in trattati a stampa del XVIII sec., ma sono state ottenute tramite la colorazione a mano, generalmente ad acquerello, delle campiture delineate dal tratto del disegno a stampa.
Transcript

Rend. Fis. Acc. Linceis. 9, v. 13:89-112 (2002)

Storia delle scienze sperimentali. — Ricerche di iconografia mineralogica: I. La pietra«gagate » nel Codex medicus graecus 1 della Biblioteca Nazionale Austriaca. Nota (*) delSocio A. Mottana.

Abstract. — Studies in mineral iconography : 1. The «gagate » stone in the Austrian National LibraryCodex medicus graecus 1. The «Vienna Dioscorides» codex, written and illuminated 512 AD in Constan-tinople, contains (f. 395r) what is possibly the first figure intentionally representing a mineral which camedown to us: a colored picture of the «gagate » stone i.e., of jet, the velvet-black glossy variety of lignite. Thispicture does not occur in Dioscorides’ text on medical matters that constitutes the bulk of the codex, but inthe paraphrase by Eutecnius of Nicander’s poem on remedies against poisonous bites, an appendix, whichanyway was written and illuminated at the same time as the codex main text.

Key words: Illuminated codex; Dioscorides; Jet; Mineral; Vienna.

Riassunto. — Il codice del «Dioscoride di Vienna», scritto e miniato a Costantinopoli nel 512 AD,contiene al f. 395r quella che e probabilmente la prima rappresentazione intenzionale di un singolo mineralea noi pervenuta: la «gagate » o giaietto, forma compatta e lucente di lignite picea nero-vellutata. Questa figurae contenuta non nel testo del De materia medica di Dioscoride, che costituisce la parte maggiore del codice,ma in quello della parafrasi di Eutecnio (III sec. AD) del poema sui rimedi contro i morsi velenosi scrittoda Nicandro da Colofone, una delle appendici, che fu in ogni caso scritta e miniata contemporaneamentecon la parte principale del codice.

Introduzione

«Una figura, anche se mal riuscita, spesso fa capire di piu di una lunga descrizione».Affermazioni di questo tipo sono ricorrenti nella letteratura naturalistica e trovano ampiagiustificazione nella difficolta di esprimere a parole le caratteristiche di sistemi complessicome quelli naturali; sistemi che, per altro, sono percettibili in alcune delle loro pecu-liarita significative tramite la sola analisi a vista. Ovvia conseguenza di questa situazionee stata che, non appena le tecniche grafiche si furono evolute a sufficienza, entro inuso nella letteratura scientifico-naturalistica di corredare i testi con figure. Soprattuttonel caso di testi concepiti per la divulgazione, queste immagini hanno ultimamente rag-giunto un elevatissimo grado di qualita: la stampa a colori, ancora rara trent’anni fa, eormai una costante dell’editoria digitale.

In passato, le figurazioni di oggetti naturali erano per lo piu limitate allo stretto neces-sario, anche perche richiedevano tecniche tipografiche onerose (silografia, calcografia, lito-grafia, ecc.). Questo e particolarmente vero per la Mineralogia, scienza complessa che stu-dia materiali naturali per lo piu non appariscenti se non nel colore, vale a dire in una pro-prieta impossibile o quasi da riprodurre a stampa fino alla seconda meta del XIX sec. (1) .

(*) Pervenuta in forma definitiva all’Accademia il 5 luglio 2001.(1) Esistono splendide illustrazioni a colori in trattati a stampa del XVIII sec., ma sono state ottenute

tramite la colorazione a mano, generalmente ad acquerello, delle campiture delineate dal tratto del disegnoa stampa.

90 a. mottana

Le raffigurazioni di minerali sono rare anche per un secondo e piu valido motivo:dopo la fase protoscientifica, durante la quale gli sforzi degli studiosi erano rivolti all’i-dentificazione piu immediata del minerale di cui fare oggetto di ricerca e d’estrazionee in cui il colore ha svolto un ruolo diagnostico importante, la Mineralogia e stata ingrado di trovare un rationale su cui fondarsi, come scienza, che prescindeva dall’esamevisuale; di conseguenza, e stata anche in condizione di fare a meno della raffigurazioneveristica dell’oggetto studiato, soprattutto se artistica e quindi difficoltosa da realizzare.Questo rationale fu trovato inizialmente nella morfologia, per cui tutto lo studio deiminerali sembro incentrarsi sulla misura, l’elaborazione e la proiezione con rigorosi cri-teri geometrici delle forme esterne dei solidi delimitanti i minerali: i cristalli (Romede l’Isle, 1772; Hauy, 1801: cf. Mottana, 1995). In questa fase, l’utilita della figu-razione veristica e prospettica delle forme dei cristalli, anche se di minore importanzascientifica rispetto alla loro rigorosa proiezione secondo norme geometriche, persistetteancora a lungo e infatti per tutto il XIX sec. i lavori scientifici furono ancora frequen-temente corredati da tavole, tutte pero grafiche e quindi, di norma, in bianco e nero(Johnsen, 1932).

Successivamente, pero, la Mineralogia si e ulteriormente evoluta abbracciando pa-radigmi del tutto diversi (Kuhn, 1962), per i quali la necessita di rappresentare inmodo simile al vero l’oggetto da descrivere risulta del tutto secondaria: attualmente,infatti, per definire esattamente un minerale bastano alcuni dati cristallografici chimici estrutturali essenziali (Strunz, 1941), che sono esprimibili in modo completo ed univocotramite formule e numeri, senza alcun bisogno di immagini. Tuttavia, per il comuneraccoglitore di minerali (figura di amatore ben lontana dall’essere scomparsa e, anzi, dasalvaguardare con attenzione perche fonte inesauribile d’ispirazione anche per il ricerca-tore piu evoluto), sono a disposizione testi illustrati sempre piu completi ed esaurienti,oltre che un enorme numero di immagini in rete.

In passato non era cosı, eppure Lanza (1984) precisa che le prime raffigurazioni astampa di «fossili» (nome con cui allora si definivano indifferentemente tutti gli oggettisolidi raccolti nel sottosuolo) comparvero solo alla meta del Cinquecento, cioe circaun secolo dopo l’invenzione di Gutenberg. In particolare, si tratto di quattro fossilipropriamente detti (Encelius, 1551), in altre parole di organismi gia viventi che si sonopietrificati dopo essere stati inglobati nei sedimenti (fossilizzati, diciamo adesso). Sempresecondo Lanza (1984: p. 114), inoltre (e qui egli conferma e corrobora un’affermazioneprecedente, ma appena accennata, di Accordi e Tagliaferro, 1981: p. 97), le prime raffi-gurazioni a stampa di «fossili» nel senso di minerali p.d. sarebbero quelle contenute nellibro miscellaneo di Gesnerus (1565). Per lungo tempo esse furono riprese (o spudo-ratamente plagiate senza menzionare la fonte) da mineralisti autori di testi d’indiscussovalore scientifico per la loro epoca, ma niente affatto inclini a sviluppare la materiaanche tramite un’adeguata iconografia. Vi sono, in realta, raffigurazioni di mineralia stampa piu antiche, come quelle contenute nei manualetti anonimi Probier Buchlein(1524) e Nutzlich Bergbuchlin (1527) dell’inizio del Cinquecento, ma esse non riguar-dano i minerali in quanto tali, bensı come materiali grezzi fatti oggetto d’estrazionemineraria o di trattamento metallurgico. Per trovare raffigurazioni altrettanto antiche

ricerche di iconografia mineralogica: i 91

di minerali singoli ed identificabili, concepite nell’intento di favorire il riconoscimentodell’oggetto rappresentato discriminandolo da altri simili, bisogna riferirsi a pitture e aminiature, vale a dire a prodotti di un’arte come la pittura che – normalmente – nondimostra grande attenzione verso gli oggetti inanimati, pur essendosi da sempre dedicataad essi come parte integrante della rappresentazione della natura (rocce, paesaggi, alberi,animali, ecc.) che fa da contorno a quello che in ogni epoca e stato il suo soggettoprincipe: l’uomo (o la divinita).

Tra le raffigurazioni artistiche della realta naturale, invece, un ruolo scientifico moltoimportante hanno sempre avuto quelle di piante e fiori, non foss’altro se non perchei «semplici», fondamentali nella farmacopea antica, cioe in pratica nella medicina delpassato, non potevano essere efficacemente descritti in altro modo. Anche i mineraliebbero un ruolo nella farmacopea, ma decisamente subordinato: a fronte di ca. l’80%di ingredienti d’origine vegetale, gli antichi ricavavano da minerali solamente il 10%dei loro farmaci (Riddle, 1985: p. 132). Nei manoscritti relativi alla farmacopea o,piu in generale, alla medicina e alla scienza naturale, quindi, appare del tutto logicopreventivare che il numero di raffigurazioni di minerali sia molto basso, anche perche –lo dobbiamo obiettivamente riconoscere – i campioni di minerali che sarebbe stato utilerappresentare sono decisamente meno appariscenti, e quindi meno facili da riprodurree meno appetibili per un artista dei fiori e delle piante.

Il «Dioscoride di Vienna»

Con questo nome (o, in modo aulico, con quello di Dioscorides Vindobonensis) eusualmente indicato il Codex medicus graecus 1 conservato a Vienna nella BibliotecaNazionale Austriaca. Esso e universalmente considerato uno dei piu importanti testimonidella scienza medica antica, tanto piu che e pervenuto fino a noi in ottimo stato e quasicompleto, cosı da essere uno dei piu straordinari esempi d’arte scrittoria e miniaturisticadella tarda antichita (2). Si tratta di un codice miscellaneo di 491 fogli, in parte scritti ein parte illustrati, entrato nella biblioteca nel 1569 grazie ad un acquisto effettuato circadieci anni prima a Istanbul dall’inviato imperiale presso la Sublime Porta, Augerio diBulbecke (3), che lo pago 100 ducati d’oro al figlio dell’ultimo utente: l’ebreo Hamon,medico personale del sultano Solimano I il Magnifico.

L’importanza del codice non e solo scientifica ed artistica, ma anche storica: e, infatti,uno dei pochissimi (4) codici della tarda antichita che puo essere datato con sicurezza.

(2) Per questo, il codice fa parte dei «patrimoni dell’umanita» dell’UNESCO: a mia conoscenza, e l’unicolibro valutato in questo modo.

(3) Cosı scrive il Mattioli nella lettera in cui dedica l’edizione del 1568 dei suoi Discorsi all’arciduchessaGiovanna d’Austria (v. Mattioli, 1568, nota di F. Barberi: V, p. **2). Mazal (1998: I, p. 11) lo chiama«Augerius von Busbeck» e afferma che lo acquisto nel 1569, erroneamente; inoltre non ne da l’origine. E«Fiammengo», secondo il Mattioli, e il suo «di» deve percio intendersi come «van». Invece Giuliano (1968:p. 52) ne da il nome in francese (Ogier Ghislain de Besbecque) e ne cita una lettera del dicembre 1562 incui gia egli afferma di avere in corso le trattative d’acquisto.

(4) E l’unico, in verita: sicuramente e l’unico che contiene elementi precisi di datazione interna e nonha bisogno di essere datato in modo indiretto tramite riferimenti esterni.

92 a. mottana

Rappresenta cosı il punto di riferimento per lo studio dell’evoluzione di due tra lemanifestazioni piu alte dell’attivita culturale dell’umanita: paleografia e ars illuminandi.

La datazione e basata su una grande figura dedicatoria (5) che occupa l’intero versodel foglio 6: e un medaglione formato dall’intreccio di tre figure geometriche delineatecon un cordone d’oro (un cerchio, un rombo e un quadrato), il cui campo centrale,ottagonale, presenta su fondo turchino il ritratto della principessa imperiale GiulianaAnicia, figlia di quel Flavio Anicio Olibrio (6) che per sette mesi (dall’inizio di aprileal 2 novembre 472) fu l’imperatore romano d’Occidente. Ella e rappresentata a figuraintera e in piena pompa imperiale: incoronata, ingioiellata, vestita di porpora e sedutasul trono nell’atto di accennare graziosamente con la destra ad un codice che le e offertoaperto da un erote (7). Ai suoi fianchi ci sono due donne elegantemente vestite, quellaalla sinistra seduta con in grembo un libro chiuso, e di fronte ce n’e una terza, moltopiu piccola, vestita modestamente e prostrata in ginocchio in atteggiamento di profondadedizione. Una serie di singole grandi lettere maiuscole, in oro sul fondo rosso dei lobitra gli intrecci del cordone, identifica Giuliana (Iouliana), mentre le due figure femminiliche le stanno intorno sono piu modestamente identificate da scritte sul fondo turchinodell’ottagono come figure allegoriche (Megalopsychia e Phronesis (8)) e cosı pure quellaprostrata: essa e indicata come «gratitudine degli artefici» ed e la personificazione delsobborgo costantinopolitano di Honoratae (l’odierna Pera, un quartiere di Istanbul).

Nella sua Chronographia (edita da de Boor, 1963), l’annalista bizantino Teofane ilConfessore (ca. 750-817 AD) riporta per l’anno 512/3 che Giuliana Anicia fece alloradono a questo sobborgo di una nuova chiesa in onore di Maria Theotokos, la Madre diDio. Apparentemente, i cittadini ortodossi del luogo e gli artefici della chiesa vollerodimostrare la loro gratitudine facendole omaggio del manoscritto (Buberl, 1936: p. 135).Propriamente, quindi, il medaglione non attesta la data d’esecuzione del codice che,verosimilmente (9), va anticipata di qualche anno; attesta solo che il codice era prontonel 512, quando appunto fu predisposto il medaglione dedicatorio e il tutto fu donato adAnicia. Cio avvenne, quasi certamente, prima del 6 novembre, giorno in cui si verifico

(5) Del codice esistono tre riproduzioni in facsimile di diversa qualita e con commenti che hannodiversi livelli d’approfondimento (von Karabacek et al., 1906; Gerstinger, 1965-70; Mazal, 1998-99). Iomi sono avvalso dell’ultima edizione, la piu scarna scientificamente, ma anche quella tecnicamente migliore– non foss’altro se non per motivi d’eta – nella fedelta di resa dei colori riprodotti. Ha il difetto di esserenotevolmente piu piccola (163×195 mm) dell’originale (310×380 mm), ma cio non impedisce la lettura,viste le grandi dimensioni della maiuscola biblica usata dall’amanuense.

(6) Madre di Giuliana Anicia fu Pulcheria, figlia di Valentiniano III, imperatore romano d’Occidentedal 425 al 455: Giuliana era, quindi, pronipote di Teodosio I il Grande in linea femminile.

(7) La didascalia indica che rappresenta il «piacere dell’appassionato di costruzioni».(8) Gli stessi nomi (Magnanimita e Saggezza) sono ripetuti in alto, nella parte libera della pergamena,

in una grafia corsiva che risale al tardo Medioevo e si ritiene di mano di Giovanni Cortasmeno. Qui peroil nome Giuliana e sostituito con la scritta Sophia : alla figura storica, probabilmente dimenticata all’epoca,viene sostituita l’immagine allegorica della Sapienza.

(9) Scrivere e miniare un codice di oltre 500 fogli con circa 600 figure non mi pare possa essere stataun’impresa breve neppure per uno scriptorium vicino alla sede imperiale come quello di Costantinopoli cheeseguı l’opera. Puo darsi, pero, che le varie parti siano state lavorate da piu persone, accorciando cosı iltempo complessivo (v. oltre).

ricerche di iconografia mineralogica: i 93

una rivolta degli ortodossi contro l’imperatore Anastasio I che favoriva i monofisiti, ilfallimento della quale costrinse il magister militum Flavio Areobindo Dagalaifo, il maritodi Giuliana, a fuggire da Costantinopoli (Zakynthinos, 1979) e lei stessa a defilarsi inposizione secondaria (10).

Cio che sia accaduto al codice nei secoli seguenti non e ben noto: di certo rimase aCostantinopoli e sicuramente fu usato nella pratica medica, servendo da fonte per variecopie. Dopo il sacco di Bisanzio da parte dei Crociati (1204), divenne proprieta di unmedico latino che vi aggiunse postille in latino e in francese e, dopo il ritorno dellacitta all’impero bizantino (1261), torno in mani greche. Conosciamo i nomi di alcunidei suoi proprietari tardo-medievali e sappiamo, in particolare, che fu fatto restaurarenel 1406 dal notaio bizantino Giovanni Cortasmeno per conto del Patriarcato. Fuallora, probabilmente, che perse la maggior parte dei suoi fogli deteriorati, riducendosidai 546 fogli originali agli attuali 485, anzi 491: infatti, gli furono legati insieme 6fogli non pertinenti scritti nel XII sec. Fu allora, anche, che al manoscritto originalefurono aggiunti numerose glosse e diciture in greco minuscolo (11) e un nuovo indice, einoltre una nuova impaginazione in numeri arabi (12). Dopo ulteriori passaggi di mano,durante i quali fu visto e copiato da vari umanisti e acquisto altre scritte in greco,arabo, persiano, ebraico e turco, il codice arrivo infine all’acquirente fiammingo ed allabiblioteca imperiale di Vienna.

Come gia detto, il codice e miscellaneo nel suo contenuto. I ff. 1-7 contengono gliindici e varie interessanti immagini d’introduzione (ritratti di medici e di Dioscoride),tra cui il medaglione dedicatorio sopra descritto. Seguono poi:

1. dal f. 8v al f. 387r il testo, incompleto per la caduta di una cinquantina di fogli,del trattato De materia medica («Sulla materia medicinale») di Pedanio Dioscoridedi Anazarba, nella versione alfabetica e sotto forma di erbario, cioe per la solaparte relativa ai vegetali: in tutto sono 383 figure e 391 descrizioni. Rispetto adaltri codici di Dioscoride che ci sono arrivati nella versione alfabetica, manca unapiccola parte (circa 40 figure) che, probabilmente, era caduta gia prima del 1406per il deterioramento della pergamena. Manca, inoltre, in questa variante dellaversione tramandata in forma alfabetica (13), tutto cio che Dioscoride aveva scrittosu animali e minerali (cioe l’intero V libro della versione divisa per argomenti, che el’originaria stesura di Dioscoride: cf. Wellmann, 1906-14). Al posto di queste parti,il codice viennese contiene altri sei testi, di cui cinque fin dall’origine e di caratteremedico;

(10) Successivamente la situazione religiosa miglioro, ma il fuggiasco pote rientrare in citta solo dopo lamorte di Anastasio I, quando l’ortodosso Giustino I fu eletto imperatore (518). Giuliana morı nel 527 o 528.

(11) Fino al f. 127 esse sono di mano di Giovanni Cortasmeno. L’autore delle successive non e statoancora identificato.

(12) I fogli del codice furono numerati tre volte: una prima volta in numeri greci, una seconda in numeriromani e una terza in numeri arabi. E a questi che attualmente ci si riferisce. L’indice piu antico (ff. 8r-10v)e coevo con la stesura del manoscritto; quello piu recente (ff. 4r-7r) e di mano di Giovanni Cortasmeno.

(13) Esiste una seconda tradizione della versione alfabetica, piu recente, in cui dopo i vegetali sonodescritti i minerali, separatamente, ma anch’essi secondo l’ordine alfabetico.

94 a. mottana

2. ai ff. 388r-392r, un Carmen de viribus herbarum («Poema sui poteri delle erbe»),anonimo;

3. ai ff. 393r-437v, la parafrasi in prosa scritta da Eutecnio del poema Theriaka («[Ri-medi contro i morsi degli] animali velenosi») di Nicandro di Colofone;

4. ai ff. 438r-459v, un’altra parafrasi in prosa dello stesso Eutecnio del poema Alexi-pharmaka («Contravveleni») del medesimo Nicandro;

5. ai ff. 460r-473r, una parafrasi anonima dei tre libri finali dello Halieutika («Sullapesca») di Oppiano della Cilicia (14);

6. ai ff. 474r-485v, un’altra parafrasi anch’essa anonima dello Ornithiaka («Sugli uc-celli») di Dionisio di Filadelfia;

7. ai ff. 486r-491v, un ufficio giornaliero dei santi (menologio) relativo al mese digennaio, anonimo e frammentario.

I primi sei testi fanno sicuramente parte del codice originario, perche sono scritti tuttinella stessa maiuscola biblica (15), sono corrosi ai margini in varia misura, ma sempre conun analogo grado di deterioramento, ed infine – cio che piu conta – contengono disegnia colori tutti dello stesso stile (16). Invece, gli ultimi sei fogli, scritti in una minuscolatipica del XI sec. (Mazal, 1999: II, p. 75), sono un’evidente interpolazione aggiuntadurante la rilegatura del 1406. E notevole che il foglio immediatamente precedente aquesta aggiunta (l’attuale f. 485r) sia stato numerato in antico come 526 (in cifre grechee romane (17)), poiche cio indica che, quando questo numero fu scritto, il codice avevagia perso 20 dei 546 fogli che si e calcolato lo costituissero in origine.

(14) Probabilmente di Anazarba. Non e da confondere con un altro Oppiano, di Apamea, vissutoall’epoca di Caracalla e autore di libri sulla caccia (Mair, 1963).

(15) Non mancano inserzioni di fogli piu recenti, sempre in greco, ma con scritture in onciale o d’altrostile: ad esempio i ff. 287r-289v, che sono scritti in una grafia greca umanistica decisamente posterioreal resto. Al termine del f. 485v (che precede l’ufficio dei santi) vi e un sommario in latino, di unagrafia riconosciuta per quella del bibliotecario viennese del XVII sec. Peter Lambeck (Mazal, 1999: II, p.75): questo sommario segnala come a quel punto il codice si componeva allora di 491 fogli, di cui 487membranacei definiti antiquissima, di 3 cartacei e di altri 6 membranacei definiti recentiora.

(16) L’omogeneita stilistica e fondamentale per la datazione del Dioscoride di Vienna, poiche, dal puntodi vista del materiale su cui e scritto, il codice fu miscellaneo fin dall’inizio: la pergamena antica dei primi11 fogli e di vello di capra, quella dei successivi 375 (cioe tutto il testo del De materia medica) e di vitelloe quella di tutto cio che segue (le appendici) e di una pelle particolare ottenuta conciando feti di vacca.In teoria, quindi, si potrebbe concludere che la data certa del 512 AD riguarda solo i fogli iniziali (quelliche contengono il medaglione), che tutto il resto e precedente e che il codice finale donato all’Anicia fuottenuto tramite la giustapposizione di due codici diversi. E solo per l’omogenea esecuzione grafica (tantoscrittoria quanto miniaturistica) che tutta la parte antica del codice e considerata unitaria e pressoche coevacon il medaglione datato. Questo vale, in particolare, per il testo di Dioscoride e quello delle parafrasi: siconfrontino, infatti, le rappresentazioni dell’asfodelo riportate rispettivamente al f. 26v nell’erbario e al f.397r (terza figura in basso) nel Theriaka, cioe proprio nel testo che ci interessa.

(17) La grafia di questa numerazione e del XIII sec. (Mazal, 1999: II, p. 75): probabilmente essa indicala consistenza del codice quando passo di mano tra greci e latini in occasione dei cambiamenti di governo,nel 1204 oppure nel 1261.

ricerche di iconografia mineralogica: i 95

La parafrasi di Eutecnio

Il testo del «Dioscoride di Vienna», privo com’e della parte mineralogica, non pre-senterebbe nessun interesse per un mineralista se non contenesse la «Parafrasi di Eutecniosofista dai rimedi di Nicandro» (ff. 394r-437v). E un lungo estratto di codice, rela-tivamente piu deteriorato del resto poiche presenta non solo macchie su quasi tutti itagli che sono particolarmente ampie al margine inferiore destro, ma ha anche foglimutili (e.g., ff. 404 e 407) che sono compensati solo in parte da inserzioni tardive dipergamena scritta e miniata intese a reintegrare le figure perdute (f. 407). La scritturaprincipale di tutta questa sezione e, comunque, la stessa maiuscola biblica dell’erbario,rispetto al quale l’unica differenza osservabile sta nell’uso un po’ piu frequente di righein rosso all’inizio dei capoversi (Mazal, 1999: II, p. 53).

L’omogeneita sostanziale di tutta questa sezione del codice risulta indirettamente con-fermata dal fatto che, malgrado trasposizioni e perfino cadute di interi fogli verificatesidurante la rilegatura del 1406, il testo della parafrasi e stato preso per integro non solodal suo primo editore, nel Settecento (Bandini, 1764), ma per altri due secoli ancorae, in particolare, da parte di qualificati filologi dell’Ottocento di cui e ben nota lameticolosita (Bussemaker, 1849; Schneider, 1856). Tutti hanno pubblicato la parafrasinella stessa sequenza che possiamo leggere anche noi, ora, sulle riproduzioni in facsimiledel codice viennese, senza che sorgesse in loro alcun sospetto di manomissione neppureper le occasionali discrepanze che esistono tra la sequenza degli argomenti trattati nellaparafrasi e quella degli stessi argomenti cosı come sono descritti nel poema (v. oltre).La rettifica si e avuta solo con l’ultima edizione critica (18) (Gualandri, 1968a: cf. inparticolare pp. 11-12; il testo greco e alle pp. 19-70).

La parafrasi ha inizio con l’espressa affermazione dell’autore che si tratta di unariscrittura in prosa del Theriaka [pharmaka] di Nicandro di Colofone, un poema di 958esametri che ci e pervenuto anche tramite la tradizione diretta (19) (cf. Gow e Scholfield,

(18) Questa edizione, che si presenta come critica e definitiva, tiene conto non solo del codice di Vienna(V), che e indicato come archetipo e fonte di tutti gli altri 6 codici che ci sono pervenuti (Gualandri, 1968b:p. 10), ma anche del codice 652 della Pierpoint Morgan Library di New York, del X sec. (M) e del codiceΩ75 del Monte Athos, del XII sec. (A). Trascura, volutamente, i tre apografi piu recenti ed in particolareil codice Laurenziano LXXXVI 9, del XV sec., che e proprio quello su cui si era basata la editio princeps delBandini (il quale pero lo aveva fatto collazionare con V: cf. 1764, p. 282) e tutte le edizioni successive,ritenendolo tardo e pieno d’errori. Questa edizione critica e, quindi, riorganizzata, nella sequenza degliargomenti, rispetto al codice di Vienna, che l’autrice ritiene sia stato manomesso in epoca tarda (Gualandri,1968b: p. 10), e si riporta direttamente nell’ordine degli argomenti al poema di Nicandro, indicandonetramite blocchi di versi l’equivalenza col testo parafrasato da Eutecnio. Il testo greco, purtroppo, non ecorredato di nessuna traduzione.

(19) La editio princeps del poema e di Aldo Manuzio (Venezia, luglio 1499) nello stesso volume di quelladel testo greco del trattato di Dioscoride nella versione per argomenti divisa in cinque libri. Ne e un estrattola seconda edizione, apparsa a Venezia nel 1523 a cura della tipografia aldina e limitata ai soli due poemi diNicandro. Nessuna delle due edizioni contiene figure di alcun genere, ma solo amplissimi scoli. Il poemaha successivamente avuto parecchie edizioni, fino all’edizione critica del 1953 ad opera di Gow e Scholfield.Ha avuto, nel Cinquecento, una traduzione in latino da parte di Giovanni Gorreo (Jean Gorris) e, all’iniziodel Settecento, anche una traduzione in italiano effettuata da Antonio Maria Salvini, stampata poi, per laprima e unica volta, in un volume che contiene testo greco e traduzione latina dei due poemi di Nicandro

96 a. mottana

1953). Manca di titolo all’inizio, ma l’ha alla fine, nel colofone (f. 437v), secondo unmodo di fare che e tipico degli scritti avvolti in rotolo e che solo talvolta ci e statoconservato al momento della loro trascrizione su codice impaginato (Mazal, 1999: II,p. 54). Il testo contiene numerose figure, 66 in tutto (20), che riguardano soprattuttoserpenti (25) e insetti (19), ma anche piante (14), altri rettili (4) e pesci (3). Sonopercio singolari per il soggetto che rappresentano le due figure contenute nel testo delf. 395r: un animale (cervo) e un minerale («gagate »).

A certi specialisti, le figure del trattato sui rimedi sono apparse diverse per qualitae per stile da quelle presenti nell’erbario di Dioscoride, all’inizio. In effetti, c’e unacerta differenza di qualita tra l’immagine dell’asfodelo che e riportata qui (f. 397r) equella che compare nell’erbario (f. 26v). Si tratta pero di una differenza di dimensionee di tratto solamente, perche il modello del disegno e identico. Vi sono altri speciali-sti, percio, che sostengono che le figure del codice nel suo complesso siano del tuttoanaloghe tra loro e che ritengono che l’intero ricchissimo corredo iconografico del «Dio-scoride di Vienna» assommi in se due diverse tradizioni iconografiche: una squisitamentegreca, derivante dagli erbari ellenistici dei rizotomi Crateua, Dionisio e Metrodoro ci-tati da Plinio (Naturalis Historia, XXV.48; cf. Wellmann, 1914: III, pp. 139-146),tutti raccoglitori di erbe che prima disegnavano accuratamente la pianta dal vero e poila descrivevano brevemente in un testo aggiunto, ed una seconda, comunemente detta«egizia», perche attestata soprattutto in frammenti di papiro rinvenuti in Egitto, piu sbri-gativa nell’immagine, ma piu descrittiva nel testo d’accompagnamento. Il miniaturistadel «Dioscoride di Vienna», secondo i sostenitori della teoria dell’origine composita delleillustrazioni (Singer, 1927: pp. 8-17; Blunt e Raphael, 1979: p. 18; von Premerstein,in von Karabacek et al., 1906: p. 88; Riddle, 1985: p. 212), non riprendeva i fioridal vero, ma copiava le illustrazioni che gli sembravano migliori e piu attinenti al testosottopostogli dall’amanuense tra quelle che poteva osservare in svariati codici piu antichiche aveva di fronte. In questo modo, egli si sforzava di raggiungere il miglior risultatopossibile, forse per gareggiare con l’amanuense (pure lui attentissimo nello scrivere nelmodo piu chiaro ed elegante possibile) oppure, piu probabilmente, nell’intento di benfigurare presso la principessa imperiale alla quale sapeva che il codice era destinato, maperdeva in freschezza artistica e in omogeneita, in quanto copiava figure gia diverse traloro, sia per attinenza alla realta sia per qualita di disegno.

Questa teoria ha trovato conferma nella diversa collocazione delle immagini sui foglidel codice: mentre gran parte delle illustrazioni di piante dell’erbario alfabetico iniziale(che si presumono derivare direttamente dalla tradizione ellenistica del II sec. a.C.) sonoa tutta pagina, a fronte del testo corrispondente di Dioscoride, nei cinque testi medici inappendice la gran maggioranza delle figure si inserisce nel testo allo stesso modo in cui si

(Bandini, 1764: pp. 18-133) ed inoltre le loro parafrasi in greco (pp. 283-340), precedute da un «avviso allettore» (p. 282) e non tradotte. Nello stesso volume sono riportate anche le note di commento in latino(Adnotationes) a cura del Gorreo (pp. 134-182).

(20) Intercalati allo scritto vi sono 29 ulteriori spazi vuoti predisposti per figure poi non eseguite, di 24delle quali e dato pero il titolo in rosso. Complessivamente, gli argomenti trattati e da illustrare sono 125.

ricerche di iconografia mineralogica: i 97

inserivano i disegni nelle colonne scritte di un papiro, cioe in spazi appositamente lasciativuoti dall’amanuense che si estendono quasi sempre dal margine sinistro a quello destrodel foglio (righe), in modo tale che le illustrazioni non lo occupino mai completamente(Weitzmann, 1970). Questo e il caso, appunto, del f. 395v. Per i sostenitori della teoriacomposita, tuttavia, le figure «egizie», anche se artisticamente piu povere, sarebbero dimaggiore significato scientifico delle altre (Riddle, 1985: p. 177): sarebbero, infatti, piutarde (I o II sec. AD) e, quindi, piu vicine a quelle che erano certamente contenutenello scritto originale di Dioscoride (se non addirittura derivate da questo: Buberl,1936: pp. 129-133) di quanto non lo siano quelle «greche» tratte da artisti del IIo III sec. a.C. Cio risulterebbe anche dal confronto con un frammento di papirogreco-romano d’eta imperiale rinvenuto presso al-Fayyum (il Tebtunis II no. 679, inJohnson, 1913).

Questa ipotesi non e stata esente da contestazione, ma cio non ha importanza ainostri fini, poiche non delle illustrazioni dell’erbario dovremo trattare, ma di una raffi-gurazione mineralogica che non ha eguale in alcun documento coevo. Caso mai, sarautile, piuttosto, prendere in considerazione quanto e noto sulla tradizione delle raffigu-razioni di animali, dato che la raffigurazione del minerale che ci interessa e associata aquella di un cervo.

Tornando al testo in questione, occorre anzitutto osservare che del poeta Nicandrodi Colofone si sa piuttosto poco: persino l’epoca in cui visse e poeto non e sicura (21)(Pasquali, 1986: I, pp. 340-387). Attualmente si propende a considerarlo coevo diAttalo III di Pergamo (regnante dal 138 al 133 a.C.) per due motivi: perche dedicouno dei suoi poemi ad un Attalo non meglio specificato e perche Attalo III aveva creatoun giardino botanico in cui coltivava piante velenose del tipo descritto nel poema (Mazal,1999: II, p. 53). Nicandro e un poeta didascalico (Capponi, 1990: p. 636) o erudito(Montanari, 1993: p. 236), seguace cioe di un genere letterario avente spiccato interesseper le scienze che divenne di moda durante l’Ellenismo, ma che e ora poco studiatoperche non ha dato risultati qualitativamente rilevanti. La sua opera e talmente ricca diarcaismi e virtuosismi poetici, intrecciati con i piu inconsueti tecnicismi scientifici, darisultare quasi incomprensibile se non a pochi specialisti; e pero un’autentica goduria peri filologi, perche mette a loro disposizione un numero enorme di termini che altrimentisarebbero scomparsi (Capponi, 1961; Crugnola, 1971; White, 1987).

Se le opere di Nicandro sono di poco valore, sia dal punto di vista della qua-lita poetica sia da quello dell’ispirazione, sono tuttavia utili a darci un’idea dello statodella conoscenza greca sulla natura alla meta del II sec. a.C. Inoltre, dato che per laloro stessa difficolta furono oggetto d’analisi e di glossa da parte di una lunga seriedi scoliasti greci posteriori (cf. Bussemaker, 1849; Schneider, 1856; Crugnola, 1971;Geymonat, 1974), esse rappresentano un elemento di riferimento per valutare lo svi-luppo della scienza anche in epoca susseguente: per lungo tempo, infatti, sono state

(21) Parte di cio e dovuto al fatto che gia nell’antichita sono stati confusi due Nicandri, entrambi diColofone e forse della stessa famiglia: uno figlio di Anassagora, il cui floruit si colloca verso la meta del IIIsec. a.C., e il secondo figlio di Dameo e sacerdote di Apollo Clario, che e il nostro (Kroll, 1936).

98 a. mottana

saccheggiate per ricavarne le numerosissime notizie che contenevano e sono state divolta in volta reinterpretate alla luce di idee nuove. In tutte queste nuove interpreta-zioni sono, percio, raccolti spunti di un’eredita culturale di molti secoli: si tratta diricerche condotte con metodi empirici, sicuramente, ma non per questo degne di unminore rispetto (Montanari, 1993: pp. 235-237) anche se ripetitive. Gia la materiadei Theriaka e probabilmente derivata dal trattato in prosa Perı therıon («Sugli ani-mali») di Apollodoro Iologo, un erudito fiorito all’inizio del III sec. a.C., al tempodei due primi Tolomei (Capponi, 1990: p. 636), con ulteriori apporti tratti dai poemidi Numenio di Eraclea, un poeta didascalico della meta del III sec. a.C.: uno inti-tolato anch’esso Theriaka e un secondo intitolato Halieuticon («Sulla pesca») che ci epervenuto frammentario in latino e che e stato anche attribuito ad Ovidio (Capponi,1972; ma, per un parere contrario, v. Richmond, 1976). Il contenuto dei Theriaka diNicandro e stato recentemente esaminato dal punto di vista scientifico da Scarborough(1977, 1979) e da Knoefel e Covi (1991), i quali hanno creduto di poter dimostrareche esso fu la fonte della maggior parte delle nozioni di tossicologia sparse nell’opera diDioscoride (22).

Se sappiamo piuttosto poco di Nicandro (23), purtroppo sappiamo ancora di meno dicolui che l’ha parafrasato: Eutecnio, definito «sofista», con un termine che all’epoca stavaad indicare un insegnante di retorica, cultura e scienza in generale. Della sua produzioneletteraria si conosce, in pratica, solamente cio che e contenuto nel «Dioscoride di Vienna»e cioe le due parafrasi dei poemi di Nicandro ed anche, forse, la parafrasi del poemasulla pesca di Oppiano, che le segue, benche nel codice questa sia anonima (Gualandri,1968b). Se anche questa parafrasi fosse sua, allora Eutecnio sarebbe databile tra la finedel II e l’inizio del III sec. AD, poiche il poema di Oppiano e dedicato a un Antoninoimperatore, che puo essere o Marco Aurelio oppure Commodo: anzi, probabilmente, siriferisce al periodo della loro coreggenza (176-180 AD, Mair, 1963: p. XXI).

Sulle qualita letterarie di Eutecnio e possibile dare un giudizio proprio perche glioriginali dei due poemi da lui parafrasati ci sono pervenuti (24) per tradizione diretta.Nello stile, le sue parafrasi si presentano abbastanza ricercate, con strutture e cadenzeinsolite, giochi di parole e ridondanze d’espressione che cercano di riflettere i virtuosismilinguistici del poema originale (Gualandri, 1968a: pp. 16-17). Nella sostanza, poi, laparafrasi di Eutecnio ai Theriaka e «un riassunto abbastanza ampio del testo nicandreo,

(22) Quella intera edita dal Wellmann (1906-14), non quella presente nel «Dioscoride di Vienna», chee privo del libro V dedicato ad animali e minerali.

(23) Non e, comunque, un poeta da trascurare, se e vero che le sue opere (che sono varie e numerose,in aggiunta alle due qui citate) arrivarono a rappresentare uno dei modelli di Virgilio per le Georgiche e diOvidio per le Metamorfosi!

(24) Forse per questo motivo, nella sua editio princeps del De materia medica in greco (1499) AldoManuzio preferı pubblicare in appendice i poemi originali di Nicandro e non le parafrasi. Va notato chedell’esistenza di queste egli era certo a conoscenza, poiche esse dovevano figurare nel codice (perduto) dalui utilizzato, che riportava la stesura originale (non alfabetica) dei cinque libri del De materia medica eche conteneva in aggiunta due testi sui veleni (libro VI e libro VII), attribuiti anch’essi a Dioscoride, masicuramente apocrifi.

ricerche di iconografia mineralogica: i 99

inframmezzato spesso da precisazioni e spiegazioni che attestano un preciso legame congli scholia» (Gualandri, 1968a: pp. 12-13). In altre parole, Eutecnio non solo mise inprosa il testo di Nicandro rispettandone lo stile, col risultato, quindi, di essere pure luipiuttosto oscuro (White, 1987), ma ritenne opportuno arricchire il suo elaborato coninvolute spiegazioni di termini botanici e geografici, risultando cosı, a volte, ancora piutecnico dell’originale (Gualandri, 1968a: pp. 13-14). Pare, inoltre, che egli, pur se-guendo la sequenza del poema di Nicandro in modo piuttosto rispettoso, disponesse diun testo o un po’ piu ampio di quello che ci e pervenuto oppure con varianti d’autoreche ora ci mancano (Gualandri, 1968a: p. 14). Introduce, infatti, nella sua parafrasi di-gressioni su termini che l’originale attualmente disponibile di fatto non contiene. Tra ledigressioni piu ampie, interessano la Mineralogia quelle sul QrÅkioV liqoV (Gualandri,1968a: p. 24) e sul miltoV (Gualandri, 1968a: p. 39) e, soprattutto, quella su:

liqon, “on gagathn prosagopeuousinpietra, che chiamano gagate (25)

(Gualandri, 1968a: p. 23), che e appunto il soggetto dell’illustrazione riportata dalcodice viennese che ora ci interessa.

L’immagine della «gagate »

Il f. 395r del codice contiene due illustrazioni inserite tra le 17 righe di scrittura;piu esattamente: 10 righe - figura - 2 righe - figura - 5 righe (fig. 1).

La prima figura e di un colore ocra carico e rappresenta (cosı e scritto nella sopra-stante didascalia in rosso) la testa di un cervo. La seconda, di un colore violaceo scuro,rappresenta (sempre secondo la soprastante didascalia in rosso) la pietra «gagate ».

Questa seconda immagine e molto chiaramente delineata da una sagoma sottile innero, con il campo interno in colore. Rappresenta un oggetto informe: un sasso oblungosubarrotondato, la cui dimensione massima, misurata lungo una diagonale appena incli-nata rispetto alla base del foglio, e di 44 mm, mentre la massima ampiezza (misurataortogonalmente alla stessa diagonale e circa a meta) e di 25 mm. Il contorno disegnatoe riempito in modo non uniforme dal colore, che e un violaceo scuro con ombreggiatureancor piu scure al bordo e all’interno, disposte in modo tale da far apparire chiaramenteche la forma esterna del campione rappresentato non e uniformemente liscia, ma e ir-regolarmente arrotondata, come un vero ciottolo. Il campo in viola ha subito stacchidi colore, che si rendono riconoscibili per il trasparire del fondo giallastro della per-gamena. Gli stacchi sono in parte dovuti al deperimento della superficie pittorica conl’eta, ma in parte dipendono anche da cause artificiali: al centro dell’immagine, infatti,tre graffi rettilinei, che sembrano dovuti a intervento umano, delineano (apparente-mente) una A inclinata a destra (oppure il numero arabo 4, anch’esso inclinato, del tipomoderno).

(25) Nel codice questa frase si trova al rigo 13 e continua al rigo 14 del f. 395r (cf. fig. 1).

100 a. mottana

Fig. 1. – Raffigurazione della «gagate » nel «Dioscoride di Vienna» (f. 395r).

Al di sotto della raffigurazione della pietra «gagate » il foglio presenta 2 cm di spazio,sufficienti per due linee di scrittura, ma lasciati vuoti: cio fa chiaramente intendere che

ricerche di iconografia mineralogica: i 101

didascalia e miniatura furono aggiunte quando tutto il testo della pagina era gia statoscritto. Tuttavia l’argomento trattato raggiunge la sua completezza gia a fine pagina.Quest’ultimo fatto e costante nel Codex medicus graecus 1 e, anzi, e stato preso (assiemecon la bellissima scrittura capitale biblica) come un’indicazione della grande cura conla quale esso e stato redatto dall’amanuense: una cura maggiore, di fatto, di quella delminiatore che, pur avendo ricercato tra i suoi testi di riferimento la migliore immaginedella «gagate » da copiare, non si e posto il problema di variarne le dimensioni in modotale da utilizzare tutto lo spazio di codice lasciatogli a disposizione. Rimane il fatto,tuttavia, che in tutto il manoscritto e sempre raggiunto un quasi perfetto equilibrio trafigure e testo.

Commento

L’esistenza dell’immagine della «gagate » nel codice viennese porta con se due tipi diproblemi:

1. quale ne sia la fonte sotto l’aspetto iconografico;

2. che importanza essa abbia sotto l’aspetto scientifico.

Quanto al primo, e generalmente ammesso che il miniaturista del «Dioscoride diVienna» non sia un artista originale, ma che abbia lavorato ricopiando le diverse imma-gini da codici che aveva sotto mano. Il problema, pero, e cosı semplicemente rinviato:non si tratta piu di identificare un campione, ma una fonte libraria. Il problema di-venta di ancor meno facile soluzione, non soltanto perche gran parte dei testi greci si epersa col tempo, ma anche perche, come gia accennato, vi sono due scuole di pensieroche si disputano l’origine prima delle illustrazioni del codice viennese. In particolare,mentre e prevalente l’opinione che le raffigurazioni della prima parte, che riporta gliargomenti di carattere botanico del De materia medica di Dioscoride, risalgano alla tradi-zione greco-ellenistica degli erbari figurati, forse a quello di Crateua (Wellmann, 1914:III, pp. 139-146), un rizotomo attivo tra il 120 e il 70 a.C., non vi e nessun accordosull’origine delle raffigurazioni contenute nella seconda parte, cioe quella che contienele parafrasi che sostituiscono i libri del De materia medica di argomento zoologico emineralogico, tra cui, appunto, la parafrasi di Eutecnio alle Theriaka di Nicandro. Vi e,anzi, una significativa propensione tra gli specialisti a ritenere che le illustrazioni di que-sta parte di codice derivino da due se non tre tradizioni iconografiche, una delle qualipotrebbe addirittura partire dai disegni stessi di Dioscoride (Riddle, 1985: p. 214). Aquesta conclusione sembra portare, soprattutto, il fatto che le illustrazioni della secondaparte non sono a piena pagina (come quelle della prima), ma si inseriscono negli spazidel manoscritto lasciati vuoti dall’amanuense senza occuparli interamente, esattamentecome avveniva nei papiri della tradizione «egizia» d’eta greco-romana (von Premerstein,in von Karabacek et al., 1906: p. 88; Singer, 1927: pp. 8-17; Buberl, 1936: pp. 129-133; Blunt e Raphael, 1979: p. 18; Riddle, 1985 p. 212), che e considerata quella cuidoveva riferirsi l’opera di Dioscoride.

102 a. mottana

A dirimere la questione, la figura stessa della «gagate » non puo dare nessun con-tributo: anzitutto perche e unica ed irrintracciabile in tutta la precedente tradizionepapiracea (purtroppo lacunosa) ed in secondo luogo perche e troppo sciatta, dal puntodi vista artistico, per prestarsi a correlazioni stilistiche con pitture e mosaici contenentiillustrazioni naturalistiche d’eta romana imperiale conservate in monumenti (ad esempioa Pompei ed Ercolano, oppure nella stessa Costantinopoli). Questa correlazione e statasostenuta dal Kadar (1978: p. 46) e dalla Jashemski (1979: p. 55) anche appoggiandosia confronti con pitture vascolari, ma, nel caso dell’immagine della «gagate », non puoportare a nessuna conferma proprio perche il soggetto raffigurato e unico e troppo pococaratterizzato.

Piu convincente a far da guida verso la risoluzione della questione sembra, invece,essere un altro argomento, che pero non e di carattere artistico. Il primo autore classicoa parlare della «gagate » – anzi, ad introdurre il termine – e proprio Dioscoride (Demateria medica, V.128, in Wellmann, 1914: III, p. 103) che, apparentemente, nonriteneva piu attuale il vocabolo gia usato da Nicandro (Theriaka, 37) e che conosceva ladescrizione teofrastea dello spınos (De lapidibus, II.13, in Mottana e Napolitano, 1997:p. 215), da lui ridenominato «pietra tracia» (De materia medica, V.129, in Wellmann,1914: III, p. 104). Dioscoride distinse nettamente la sua «gagate » da questa secondapietra, che descrisse negli stessi termini di Teofrasto e dello stesso Nicandro (26), purse con alcune aggiunte forse originali: Eutecnio, nel parafrasare Nicandro, si adeguoalla nuova terminologia, senza pero cambiare il testo in altro modo. Inoltre, visto cheintroduceva un nome nuovo per un minerale poco appariscente e da distinguere daun altro simile, ma ormai diventato poco noto, Dioscoride puo aver voluto chiarireil suo pensiero con un’illustrazione, nuova anch’essa, quindi, e poco definita, ma ade-guata quanto bastava per illustrare il suo pensiero. Questa figura fu da lui tracciatasu papiro ed eseguita secondo lo stile piuttosto schematico del suo tempo, corrispon-dente alla tradizione ora detta «egizia». Da questo originale, oppure da un suo apo-grafo papiraceo, avrebbe poi tratto ispirazione il miniaturista del codice viennese, cosıattento ai particolari da rispettare non solo i rapporti dimensionali, ma perfino le di-mensioni, con cio non arrivando ad occupare interamente lo spazio lasciatogli liberodall’amanuense.

Se questa interpretazione e corretta, saremmo in presenza di una riproduzione fedeledi un disegno originale di Dioscoride.

Quanto al secondo problema, per comprendere le implicazioni scientifiche contenutenella parafrasi ed il loro contributo all’evoluzione della scienza cui fu poi dato il nomedi Mineralogia, e necessario risalire all’indietro nel f. 395r del codice, almeno fino allariga 8, che nel manoscritto e contrassegnata da un capoverso, e proseguire poi nellepagine seguenti fino alla riga 10 del f. 396v. Questo lungo passo trasferisce in prosai versi 35-56 del poema di Nicandro (Gualandri, 1968a: p. 23, righe 24-31 e p. 24,

(26) Non e invece corretto cio che fa Plinio, che accomuna, sotto il solo nome di «gagate », tutti i caratteridi questa, dello spınos e della «pietra tracia» (Naturalis Historia, XXXVI.141-142, in Corso et al., 1988:pp. 685-687).

ricerche di iconografia mineralogica: i 103

righe 1-21) e recita (27):

[f. 395r]Credo dunque che per te sara preferibile, se vuoi, allontanare serpenti e la morte provenienteda questi animali, posto sul fuoco un suffumigio [che sia fatto di], in parte, corno di cervoche abbia la parte migliore sia delle punte sia delle forme, in parte anche [di] pietra, quellache chiamano gagate (che bruciando per la maggior parte e stando a contatto col fuoco restaincorruttibile: non c’e nessun modo che sia consumata dal fuoco, poiche questa [pietra]non e solita accogliere questa natura)[f. 395v]e [in parte, infine, del-] la fronda di quella pianta che [alcuni] chiamano «blachnon»,altri invece [chiamano] «pteri » (28), posta sul fuoco e bruciata diventa causa di fuga per iserpenti,[f. 396r]diventa poi per i serpenti niente di meno del rosmarino che brucia, quello che i moltichiamano «kachrus » (29), traendo la denominazione dalla stessa radice: la radice di questapianta e infatti somigliante alla radice dell’orzo. Allo stesso modo anche la pianta [detta]«melanthion », poiche in essa si nascondono in parti uguali l’asfalto e lo zolfo, bruciata, perla sgradevolezza dell’odore puo allontanare le bestie. Per fare un po’ la stessa cosa anche lapietra di Tracia bruciata, quella che se data al fuoco dopo averla bagnata nell’acqua, piuattira a se il fuoco, ma bruciando non tollera l’olio, ne assolutamente intorno a questa pietrapotresti vedere il fuoco, se su questa pietra mentre brucia[f. 396v]tu verserai olio. E questa e proprio, come dicevamo, la natura di questa pietra. Un fiumein Tracia porta questa pietra e questo fiume ha nome Ponto, e la pietra si trova in esso ebruciando allontana con la pesantezza dell’esalazione le stirpi dei serpenti.

Questo e quanto di mineralogico e descritto ed illustrato nell’intera parafrasi diEutecnio ai Theriaka. Si tratta, dunque, della ricetta di un suffumigio che ha lo scopod’allontanare i serpenti velenosi ed e realizzato bruciando insieme vari materiali. Questaoperazione e ripetuta ben tre volte con ricette e modi diversi:

in primis, vengono usate sostanze di tutti e tre i regni della natura-vegetale (ilblachnon, una pianta identificata con la specie arborea Aspidium filix mas L., della fami-glia Polypodiaceae (Mazal, 1999: II, p. 55), minerale (la «gagate », appunto) e animale(il corno di cervo);

in secundis, la descrizione e ripetuta prendendo in considerazione solamente unasostanza vegetale – il comune rosmarino (Rosmarinus officinalis L., della famiglia delleLabiatae) o, in alternativa, il «melanthion», che e stato identificato col cumino nero(Nigella sativa L., della famiglia delle Ranunculaceae); le proprieta di queste due piantesono interpretate nel senso che allontanano i serpenti per il fatto di essere un miscuglionaturale a base di due sostanze minerali quali bitume e zolfo; ed infine,

(27) Traduzione effettuata ex novo sulla base dell’edizione critica della parafrasi curata dalla Gualandri(1968a). Ne ho successivamente verificata la sostanziale correttezza confrontandola con la traduzione delSalvini dello stesso passo del poema (v. oltre).

(28) Entrambi questi termini sono tradotti con «felce» dai normali vocabolari.(29) Termine oscuro, considerato quasi intraducibile, che si riferisce di solito al frutto del rosmarino,

ma talvolta anche all’intera pianta.

104 a. mottana

in tertiis, la proprieta di allontanare le serpi e attribuita ad una singola sostanzaminerale, poco nota, ma con caratteristiche del tutto eccezionali poiche brucia convigore quando e bagnata, mentre si spegne immediatamente quando e cosparsa conl’olio (ovviamente d’oliva) usato nelle lampade. Qui la parafrasi di Eutecnio si ricollega,senza citarla, alla descrizione che Teofrasto aveva fatto delle proprieta dello spınos (Delapidibus, II.13, in Mottana e Napolitano, 1997: p. 215), una pietra di identificazioneincerta e controversa.

Che i fumi, soprattutto se densi e maleodoranti, allontanino i serpenti, e cosa nota.Che per produrre questi fumi si debba ricorrere proprio ai materiali citati e falso, tantoe vero che l’autore sente il bisogno di proporre varie soluzioni via via piu semplici.Tuttavia, ricette del tipo descritto corrispondevano in pieno al gusto del misterioso checi e testimoniato da tanti testi pseudoscientifici del periodo greco-romano: un gusto checulminera, tra il III e il IV sec. AD, nella trasformazione delle esperienze protoscientifichedi comportamento al fuoco dei materiali in una pseudoscienza occulta, cosı distorcendoil significato originale dell’Alchimia. Un simile gusto, tuttavia, poteva certamente esisteregia non solo nella mente di Eutecnio, che scrive alla fine del II sec. AD, ma perfinonelle fonti di Nicandro, dato che si ritrova nei frammenti residui dell’opera di Bolo diMende (il falso Democrito), vissuto nel III o IV sec. a.C., ed e sicuramente presentenegli scoli cui fa riferimento Eutecnio (Crugnola, 1971; Geymonat, 1974). Tutta laparafrasi di Eutecnio e, infatti, molto fedele ai versi di Nicandro, anche se qua e laemerge qualche ampliamento introdotto a scopo di precisazione, in cui Eutecnio fasfoggio di una cultura acquisita tramite la lettura degli scoli (Gualandri, 1968a: p. 16).

Nel poema di Nicandro l’argomento e descritto nel modo che segue (30) (Bandini,1764: pp. 22-24):

[p. 22]Fugherai delle serpi l’oltraggiosacocente parca, di quella, ch’an moltepunte, corna di cervo, con fumacchio;talor di ganga arida pietra ardendo,cui non dome ne men gagliardo fuoco;metti sul fuoco la partita felce,o tu di ramerin prendendo caldaradice, col nasturzio mescolandoin ugual dose, l’odorato mescolanelle lance pesando, di cervettonuovo corno indurito, e di nicella[p. 23]d’orrendo fiato, ed or di solfo, ed oradi bitume portando egual porzioneo la Tracia bruciando in fuoco pietra

(30) Non traduco direttamente il poema, ma faccio uso della traduzione settecentesca in versi di AngeloMaria Salvini (morto nel 1729) che e stata riportata dal Bandini (1764) in calce alla sua edizione greco-latina.Lo faccio sia per rispetto nei confronti dell’unico sforzo italiano di tradurre un testo cosı astruso, sia perchedal diretto confronto tra la traduzione moderna della parafrasi e quella antica del poema ci si rende piufacilmente conto delle particolarita dell’una e dell’altro.

ricerche di iconografia mineralogica: i 105

[p. 24]che bagnata dall’acqua folgoreggia,e spegnesi, allorche pur una stillad’olio spruzzato sopra, ella n’odori;cui recano i pastori del Tracio fiumeche chiaman Ponto, ove i guardiani Traci,che le teneri carni van mangiandodietro sen vanno all’oziose gregge.

I versi italiani sono pessimi sia nell’interpunzione sia nella comprensibilita, ancheperche la traduzione si sforza di seguire per quanto possibile alla lettera la sequenza deitermini dell’originale greco (31). Il confronto dei due testi, pero, conferma in modoincontrovertibile che la parafrasi di Eutecnio e molto rispettosa dell’originale, anzi chene e quasi pedissequa, fuorche – ovviamente – nella metrica. Vi e un solo caso didivergenza profonda e riguarda proprio la pietra da usare nei suffumigi. Nella suaversione, infatti, il Salvini ha tradotto i termini eggaggida petrhn usati da Nicandro(v. 37), che Eutecnio alla sua epoca aveva, non si sa quanto correttamente, interpretatocon liqon : : : gagathn e dopo di lui il Gorreo con petram : : : gagatis (Bandini, 1764:p. 23), come «di ganga : : : pietra» (p. 22), dimostrando con cio di non avere capitoaffatto quale fosse la natura mineralogica del materiale citato dal poeta.

«Ganga» e un termine di derivazione germanica che non ha nulla a che fare – a menodi un’assonanza accidentale – con la pietra citata da Nicandro (32) il cui nome deriva(come giustamente osserva il Gorreo nella sua nota 10: cf. Bandini, 1764: p. 134)dal nome del fiume della Licia Gagges o Gagis, che scaricava nel Mediterraneo le pietrebituminose che i greci raccoglievano ed usavano a scopo terapeutico fin dai tempi diNicandro. In realta, la spiegazione del Gorreo non fa altro che ricalcare quanto scrivePlinio (Naturalis Historia, XXXVI.141-142, in Corso et al., 1988: pp. 685-687), cheanzi fornisce molte piu indicazioni di quante ne diano Nicandro e Dioscoride, traendole,oltre che da Nicandro (Naturalis Historia, I, in Barchiesi et al., 1982: pp. 202-203), dauna fonte non identificata, ma citando anche, tra l’altro, che la «gagate » mette in fugai serpenti.

Resta quindi accertata la sostanziale aderenza di Eutecnio a Nicandro e, nel com-plesso, sembra accertato che questo autore e fonte sia di Dioscoride sia di Plinio, l’unoindipendentemente dall’altro, mentre sembrerebbe che Eutecnio, che scrive un secolodopo, sia stato influenzato dal primo nel trascrivere il termine nicandreo nella forma«gagate » che ci e stata poi tramandata.

(31) Gli esametri latini della traduzione del Gorreo sembrano migliori, almeno nella cadenza, ma sonoanche loro piuttosto poco chiari. Tuttavia le note del Gorreo completano e chiariscono molto meglio dellatraduzione italiana il significato di molti tratti del poema.

(32) Il Salvini puo essere stato tratto in errore, oltre che da ignoranza della Mineralogia, dal fatto chenella pronunzia erasmiana il termine nicandreo diventa «enganghida» e quindi, omesse la sillaba iniziale e ladesinenza, sembra identico al termine moderno. Tuttavia, il termine «ganga» gli era certamente famigliare,anzi – stando al Dizionario Etimologico della Lingua Italiana (Cortellazzo e Zolli, 1980: II, p. 475) – eproprio lui che l’ha introdotto nella lingua italiana e l’ha spiegato per primo. L’errore nella traduzione nonsi comprende, quindi, se non con un suo ghiribizzo poetico.

106 a. mottana

La «gagate », ieri e oggi

Il termine «gagate » non e frequente, ma neppure del tutto raro nella terminologiamedico-farmacologica greco-antica (Stromberg, 1944; Van Brock, 1961). La sua primatestimonianza e proprio quella di Dioscoride (33), un autore che la maggior parte deifilologi da come attivo durante l’impero di Nerone (fl: 50 AD), anche se qualcuno ritieneche abbia scritto il suo trattato piu tardi, in un periodo compreso tra il 60 e il 78 AD(Riddle, 1985: p. 14). Quasi contemporaneamente ne scriveva, indipendentemente,Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XXXVI.141-142, in Corso et al., 1988: pp. 685-687), che concluse il suo trattato con l’introduzione dedicata a Tito nel 77 o 78 AD.Plinio, anzi, fornisce sulla «gagate » non solo la traslitterazione dal greco e l’etimologia,ma anche riferimenti geografici precisi e descrizioni dell’uso che sono sotto certi aspettiancor piu dettagliati di quelli di Dioscoride. All’epoca dei due autori, quindi, il termine(e il minerale) dovevano essere piuttosto noti, almeno nell’ambiente medico e tra i dotti,tanto greci quanto latini.

Successivamente, in greco, si hanno nuove testimonianze di «gagate » in Galeno(De simplicium medicamentorum facultatibus, XII.194, XII.203, XIII.497, ecc., in Kuhn,1821-33) e nello pseudo-Orfeo (Lithica, 474-493, in Halleux e Schamp, 1985: pp. 107-109), autori che scrissero entrambi nel II sec. AD; poi, molto piu tardi, se ne ha unatestimonianza da parte di Cassiano Basso, che compilo nel VI sec. un trattato sulleattivita che si effettuano in campagna traendo materiale da autori precedenti, ma il cuitesto ci e pervenuto solo in una rielaborazione bizantina del X sec. (Geoponica, 15.1.31:in Beckh, 1994: p. 435). In latino, invece, derivano da Plinio (34) la testimonianzadi Solino (Collectanea rerum memorabilium, XXII.11, in Mommsen, 1864), che scrissenel III sec. AD, e quella di Isidoro (Etymologiarum sive originum libri XX, XVI, 4.3,in Lindsay, 1911), del VI sec. Da quest’ultima, oltre che da Plinio stesso, ha iniziol’ininterrotta trasmissione del termine «gagate » al latino medievale, fino al poema diMarbodo (Liber lapidum seu de gemmis, 18, in Riddle, 1977), la cui enorme diffusione eprolungata influenza ne ha poi garantito la conservazione fino ad ora, senza interruzionine sostanziali distorsioni di significato.

La pietra «gagate » descritta dagli autori, sia antichi sia moderni, e la lignite (Riddle,1985: p. 160), anzi, piu precisamente, il giaietto (35), una varieta di lignite picea par-ticolarmente compatta e omogenea, di un bel colore nero «vellutato», quasi vetrosaall’aspetto, che assume col pulimento una vivace lucentezza e che fu continuativamenteusata in passato per ornamenti e anche gioielli di pregio, benche fosse presto ben notala sua natura di materia vicina al carbone. Molti insistono, anche ora (Webster, 1994:

(33) Ometto, ovviamente, di citare la diversa parola usata da Nicandro, che considero adeguatamentechiarita prima.

(34) Il termine ricorre anche in Apuleio (Pro se de magia, 45, in Moreschini, 1990: pp. 174-175), main questo caso non e certo che derivi da Plinio perche Apuleio conosceva bene il greco e l’opera di Nicandro(cfr. ibidem, 41, in Moreschini, 1990: pp. 164-165).

(35) I testi scientifici moderni considerano il termine «gagate » un sinonimo antiquato di giaietto (e.g.,de Fourestier, 1999: p. 127).

ricerche di iconografia mineralogica: i 107

p. 235), sull’affinita che esiste tra la «gagate » e l’ambra, di cui fu sempre riconosciutal’origine organica di resina fossile grazie al fatto che conteneva resti vegetali e insetti.Anche nella «gagate », infatti, sono spesso riconoscibili frustoli vegetali (36): di qui ilnome di «ambra nera» con cui in passato era commercializzata.

Giorgio Agricola, il padre della Mineralogia moderna, ha dedicato alla nostra pie-tra (37) parecchie pagine del suo trattato fondamentale (De natura fossilium, 1546 (38)), ri-costruendone la storia delle descrizioni antiche tramite riferimenti a Dioscoride, Galeno,Nicandro, Plinio, Strabone, Teofrasto, Solino e Senocrate: in pratica, tutti gli autori delpassato classico, che egli ben conosceva per la sua formazione universitaria. Egli arrivoalla conclusione che «ne [= ne] ogni Gagate e carbone, cioe bitume fossile » (cf. traduzioneitaliana, p. 235) e che con essa erano stati confusi vari altri materiali, tra cui ossidiana edagata. In sostanziale accordo con Agricola, anche Anselmo Boezio de Boot, uno dei piuantichi gemmologi, non solamente riconobbe che la «gagate » differisce dal carbon fossilesolo perche e piu compatta e piu densa, ma ne indico, come proprieta distintiva da que-sto, quella di rilasciare una specie di umidita oleosa durante il riscaldamento effettuatoper distillarla: caratteristica questa che, secondo lui, l’avvicina al bitume (de Boot, 1636:pp. 335-338).

Ma lasciamo la descrizione della pietra alle parole stesse di Dioscoride (De materiamedica, V.128, in Wellmann, 1914: III, p. 103), che cito, pero, nella traduzionecinquecentesca di Pietro Andrea Mattioli (1568: p. 1444) conservandone l’ortografia:

Della pietra Gagate, Cap. CIII:Quella pietra Gagate piu s’approua, che piu presto s’accende, & spira odore di bitume.Il piu delle uolte e nera, & squallida, crostola, & molto leggera. Ha uirtu di mollificare,& di risoluere. Fattone fumento, discuopre il mal caduco: gioua alle prefocationi dellamadrice: fa fuggire co’l suo mal odore le serpi. mettesi ne i medicamenti delle podagre, &delle lassitudini. Suol nascere in Cilicia poco lontano dalla foce d’un fiume, che entra inmare, appresso a un castello chiamato Plagiopoli. chiamasi il luogo, e’l fiume Gagas, nellabocca del quale si ritrouano queste pietre.

Il Mattioli fa seguire a questo breve testo un proprio commento, che e molto piu am-pio della stessa descrizione di Dioscoride, scrittore sempre misurato nell’esprimere anchele sue informazioni piu dettagliate. In questo commento, che e originale (pp. 1444-1445), egli menziona l’esistenza di nuovi affioramenti di «gagate » in Tirolo, Fiandra eanche in Italia (presso Brescia), ma non ricorda quelli della Britannia (Inghilterra) giacitati da Solino. Egli nega che la «gagate » sia lo stesso materiale del «pissasphalto», una

(36) Se non si riscontrano esattamente nella «gagate », i frustoli vegetali sono sempre comuni nello stratodi lignite da cui essa viene ricavata, che si presenta in genere fibrosa, quando non «schistoide» (Aschieri,1855: p. 129).

(37) Il traduttore italiano di Agricola (forse lo stesso Michiele Tramezzino che fu il curatore della raccolta,vivente ancora Agricola, 1550) usa il termine «gagate » al maschile, come in greco liqoV gagathV e in latino(lapis gagates); successivamente pero ha prevalso la forma al femminile, che e un aggettivo sostantivato chesottintende il nome pietra.

(38) Il testo relativo e alle pp. 231-236 della traduzione italiana del 1550, che e intitolata Della naturadelle cose fossili.

108 a. mottana

forma di bitume da lui stesso raccolta sulle rive del Mar Morto. Nega anche che si trattidi carbon fossile, poiche questo non brucia se non quando e sottoposto al fiotto d’ariadel soffio dei mantici, mentre la «gagate » brucia in condizioni normali, rilasciando olioed emettendo fumo. Afferma di non averne trovata traccia sulla costa anatolica nel corsodi una sua apposita esplorazione in barca. Raccomanda di non confonderla con l’agatae, per finire, ne ricorda i nomi in greco e in latino. Dopo di che, Mattioli passa adescrivere le diverse proprieta terapeutiche della pietra, sia in quanto tale, sia quando esciolta nel vino e nell’olio, sia quando e distillata rilasciando olio, sia quando e bruciatarilasciando fumo: in particolare, ci tiene molto a mettere sempre in risalto di avernecontrollato l’efficacia egli stesso.

Non insistero oltre in questo confronto tra i significati del termine in antico enell’epoca moderna e contemporanea. Mi limito a ripetere che si tratta sempre dellastessa pietra, ma che e stato il paradigma della Mineralogia a cambiare, nel XX sec.,creando cosı le condizioni per cui, ora, ne «gagate » ne giaietto trovino piu posto nelleclassificazioni sistematiche.

L’odierna nomenclatura mineralogica, infatti, e basata su principi cristallochimici(omogeneita di composizione chimica definita da una formula e perfezione di stato cri-stallino definita da un gruppo spaziale: Mottana, 1995) e quindi o ignora oppure rifiutail giaietto, perche lo considera un aggregato di varie sostanze organiche poco cristalline,se non del tutto amorfe: ne relega il nome tra quelli incorretti o obsoleti (de Foure-stier, 1999: p. 169). Questo non e pero l’atteggiamento assunto dalla nomenclaturagemmologica, che e sempre stata piu attenta alle applicazioni pratiche di quanto nonsia ai principi scientifici astratti (39). Nella letteratura gemmologica, anche recentissima,il giaietto e sempre preso in considerazione ed e parificato all’ambra tra le sostanze or-ganiche d’uso gemmologico (Webster, 1994: pp. 735-746), anche se ne e poi rilevatoil grande calo di popolarita dopo l’epoca vittoriana.

Le caratteristiche fisiche del giaietto, usato per gemme ed ornamenti da lutto, sono(Webster, 1994: pp. 744-745): colore nero lucido, vellutato; durezza media 2,5 (tenero)con punte fino a 4 (semiduro); frattura concoide lucida; densita ca. 1;33 g · cm−3 (conper estremi 1,30 e 1,35); indice di rifrazione ca. 1,66, mal definito; non da reazione airaggi X e ai raggi ultravioletti; strofinato emana un odore intenso e talora si elettrizza;brucia in aria come il carbon fossile e la lignite (di cui e una varieta: cosı afferma senzaesitare il Webster, 1994: p. 7 e p. 745).

Il giaietto piu tipico (giaietto «duro») si trova in giacimenti sedimentari orizzontalicostituiti da strati sottili (2-15 cm) intercalati nelle argilliti del Lias superiore dell’Inghil-terra settentrionale. Queste argilliti affiorano anche lungo le falesie del Mare d’Irlanda equindi, spesso, il giaietto e trovato tra i blocchi franati sulla costa, oppure come scagliao frammento spiaggiati dal mare. La localita piu famosa d’estrazione e di lavorazione ela citta di Whitby (Yorkshire), fiorente gia ai tempi dei Romani, nelle cui vicinanze sono

(39) Non esiste pero un solo lessico nazionale o internazionale recente che menzioni sinonimi come«gagata», «gajetto» e «giavazzo» che erano ancora in uso in Italia nei secoli XVIII e XIX: l’unico nomesopravvissuto sembra essere giaietto (cf. Aschieri, 1855; AA.VV., 1984).

ricerche di iconografia mineralogica: i 109

state trovate anche evidenze archeologiche di un’estrazione databile al 1500-1400 a.C.Oltre ad altri luoghi dello Yorkshire e, piu in generale, dell’Inghilterra settentrionale, itesti moderni indicano come localita in cui si e avuta una recente attivita d’estrazionedi giaietto per uso gemmologico Villoviciosa nelle Asturie (Spagna), il dipartimentodell’Aude (Francia) e vari paesetti in Germania, Russia e Stati Uniti d’America. Innessuna di queste miniere l’estrazione e stata sistematica e ha raggiunto un’importanzaindustriale, tanto e vero che il grezzo saltuariamente estratto era quasi sempre inviatoper la lavorazione a Whitby.

Ulteriori notizie sull’uso del giaietto nell’antichita ci sono fornite dagli scavi ar-cheologici. Nel giacimento paleolitico (Maddaleniano, ca. 13000 a.C.) della grotta diPetersfeld in Turingia (Germania) ne e stata rinvenuta un’intera collana, i cui pendaglisono intagliati in forma di figure femminili steatopigie stilizzate (Muller-Karpe, 1984:p. 356). Gioielli romani d’epoca imperiale anche di notevoli dimensioni sono presentiin vari musei, soprattutto in Inghilterra.

Non ho rintracciato, nello spoglio della letteratura scientifica moderna, alcuna in-dicazione di utilizzazioni mediche o farmacologiche del giaietto e neppure di usi chepossano far pensare ad una sua sopravvivenza nella medicina tradizionale.

Conclusioni

La «gagate » rappresentata nel testo della parafrasi di Eutecnio al poema di Nicandrocontenuto nel «Dioscoride di Vienna» (Codex medicus graecus 1 ) e la stessa sostanzadel giaietto attuale: una forma dura, nera e compatta di lignite che, nelle classificazionimineralogiche moderne, non ha piu il diritto di essere considerata un minerale. Tuttavia,sembra trattarsi del primo materiale affine a un minerale (e usato tuttora come gemmadi poco pregio) che sia mai stato preso singolarmente ad oggetto di una raffigurazioneiconografica, per di piu a colori.

Questa raffigurazione rappresenta, quindi, non solo un testimonio significativo perla storia delle conoscenze greche (e romane) sui materiali naturali, ma e anche di par-ticolare importanza per la storia della Scienza in generale perche documenta uno statodi sviluppo della Mineralogia ancora pre-scientifico e tuttavia gia in grado d’isolarecomposti omogenei sulla base di precisi caratteri distintivi, pur se non abbastanza chia-ramente definiti da poter essere compiutamente espressi con descrizioni e senza l’ausiliodell’immagine.

La Mineralogia moderna basa la sua classificazione sistematica su parametri oggettividi tipo chimico e strutturale, a differenza di quanto ancora avviene per altre scienzenaturali come, in particolare, la Botanica. Tuttavia, un’immagine si presta a voltemeglio di molte concettose descrizioni a definire la complessita di certi minerali, cosıcome avviene per le piante e gli animali. In particolare, l’immagine della «gagate »contenuta nel «Dioscoride di Vienna», per quanto poco indicativa nei suoi particolari, esufficientemente precisa per permetterci di affermare che i greci raccoglievano campionidi materiali solidi naturali omogenei esattamente allo stesso modo in cui lo facciamo noi

110 a. mottana

ora e trasferivano poi questi campioni grezzi a rudimentali laboratori per determinarnequelle proprieta tipicamente diagnostiche che li rendevano interessanti per i successiviusi farmacologici.

Ringraziamenti

La scoperta del particolare mineralogico nel «Dioscoride di Vienna» si deve ad un viaggio in quellacitta per conto dell’Accademia Nazionale dei Lincei durante il quale ho avuto modo di visitare la BibliotecaNazionale. Le traduzioni dal greco sono state corrette dalla Prof.ssa Carla Triulzi: date la peculiarita ela straordinaria difficolta dei testi da tradurre la ringrazio in modo particolare. Devo al Prof. MassimoPeri dell’Universita di Padova preziose fotocopie di testi altrove introvabili, ed al Prof. Antonio Praturlondell’Universita di Roma Tre perfette riproduzioni delle miniature del manoscritto. La Dott.ssa EnricaSchettini ha rintracciato nella Biblioteca Corsiniana dell’Accademia l’incunabolo aldino di Nicandro eAlessandro Adami me ne ha recuperato, da quella universitaria, l’edizione critica moderna con la parafrasidi Eutecnio. Un contributo economico della Commissione per i Musei Naturalistici e Musei della Scienzadell’Accademia dei Lincei ha sopperito a parte delle spese.

Bibliografia

AA.VV., 1984. Dizionario di scienze della Terra. Rizzoli, Milano.Accordi B., Tagliaferro C., 1981. I Lapidarii dall’Antichita al Rinascimento e il concetto di classificazione

del regno minerale. Atti Acc. Lincei Rend. fis., s. 8, 71: 95-100.Agricola G., 1550. De la generatione de le cose, che sotto terra sono, e le cause de’ loro effetti e nature. Lib. V.

De la natura di quelle cose, che da la terra scorrono. Lib. IIII. De la natura de le cose fossili, e che sotto laterra si cauano. Lib. X. De le minere antiche e moderne. Lib. II. Il Bermanno, o de le cose metallice, dialogo.Sybilla, Vinegia [trad. ital. a cura di M. Tramezzino dall’originale latino del 1546].

Aschieri G., 1855. Dizionario compendiato di geologia e mineralogia. Pirotta, Milano.Bandini A.M., 1764. Nicandri Theriaka et Alexipharmaca Io. Gorrhaeus latinis versibus reddidit italicis

vero qui nunc primum in lucem prodeunt Ant. Mar. Saluinius. Accedunt variantes codicum lectio-nes, selectae adnotationes, et graece Eutecni Sophistae metaphrasis ex codicibus Madicae, & Vindobon.Bibliothecae descripta ac nondum curante Ang. Mar. Bandinius I.V.D. S.C.M. Regio Mediceae Bi-bliothecae et pub. Marucellianae prefecto. Florentiae, Mauckiana [trad. latina e ital. dei poemi diNicandro, che contiene in appendice le due parafrasi di Eutecnio in greco, delle quali e editio princeps].

Barchiesi A., Centi R., Corsaro M., Marcone A., Ranucci G., 1982. Plinio. Storia naturale. vol. I: Libri1-6. Cosmologia e geografia. Einaudi, Torino.

Beckh H., 1994. Geoponica, sive Cassiani Bassi scholastici De re rustica eclogae, recensuit HB. Teubner,Stutgardiae-Lipsiae [rist. anast. dell’ed. 1895].

Blunt W., Raphael S., 1979. The illustrated herbal . Thames & Hudson, New York.Boor C. de, 1963. Theophanis Chronographia (2 voll.). Hildesheim, Olms-Weidmann [rist. anast. dell’ed.

critica con commento 1883-85, Teubner, Leipzig].Boot A.B. de, 1636. Gemmarum et lapidum historia. Nunc vero recensuit, a mendis repurgavit, commen-

tariis, & plurimis, melioribusque figuris illustravit & multo locupletiore indice auxit Adrianus Toll.Ex officina Joannis Maire, Lugduni Batavorum [rist. commentata dell’ed. 1609].

Buberl P., 1936. Die antiken Grundlagen der Miniaturen der Wiener Dioskurides-codex . Jahrbuch des Deut-schen Archaologischen Instituts, 51: 114-136.

Bussemaker U.C., 1849. Scholia et paraphrases in Nicandrum et Oppianum. partim nunc primum edidit,partim collatis cod. mss emendavit, annotatione critica instruxit et indices confecit U.C.B. Didot,Parisiis [fa seguito a: Scholia in Theocritum auctiora reddidit et annotatione critica instruxit Fr. Dubner].

Capponi F., 1961. La lingua di Nicandro. Acme, 14: 119-152.Capponi F., 1972. P. Ovidii Nasonis Halieuticon (2 voll.). Brill, Leiden [ed. critica con trad. ital.].Capponi F., 1990. Didascalici (poeti). In: F. Della Corte (ed.), Dizionario degli scrittori greci e latini (3

voll.). Marzorati, Milano, vol. I: 623-647.

ricerche di iconografia mineralogica: i 111

Corso A., Mugellesi R., Rosati G., 1988. Plinio. Storia naturale. Vol. V: Libri 33-37. Mineralogia e storiadell’arte. Einaudi, Torino.

Cortellazzo M., Zolli P, 1980. Dizionario etimologico della lingua italiana. Vol. 2, D-H. Zanichelli,Bologna.

Crugnola A., 1971. Scholia in Nicandri Theriaca: cum glossis. Cisalpino, Milano-Varese [ed. critica ecommento].

Encelius C., 1551. De re metallica, hoc est, de origine, varietate, & natura corporum metallicorum, lapidum,gemmarum, atq; aliarum, quae ex fodinis eruuntur, rerum, ad medicinae usum deservientium, libri III .Apud Egenolphum, Francfurti.

Fourestier J. de, 1999. Glossary of mineral synonyms. The Canadian Mineralogist Special Publication 2,Ottawa, Ontario.

Gerstinger J., 1965-70. Dioscurides Codex Vindobonensis Med. Gr. 1 (5 voll.). Akademische Druck- undVerlagsanstalt, Graz [facsimile a colori, con commento].

Gesnerus C., 1565. De rerum fossilium, lapidum & gemmarum maxime, figuris et similitudinibus libri; nonsolum medicis, sed omnium rerum naturae ac philologiae studiosis, utilis et jucundus futurus. Apud I.Gesnerum, Tiguri.

Geymonat M., 1974. Scholia in Nicandri Alexipharmaca: cum glossis. Cisalpino-Goliardica, Milano [ed.critica e commento].

Giuliano A., 1968. Il codice di Dioscoride in Vienna in una notizia di Giovanni Tortelli. La parola del passato,23:52-54.

Gow A.S.F., Scholfield A.F., 1953. Nicander Colophonius: the poems and poetical fragments. CambridgeUniversity Press, Cambridge [ed. critica con note e trad. inglese].

Gualandri I., 1968a. Eutecnii paraphrasis in Nicandri Theriaca. Cisalpino, Milano-Varese [ed. critica ecommento].

Gualandri I., 1968b. Incerti auctoris in Oppiani Halieutica paraphrasis. Cisalpino, Milano-Varese [ed. criticae commento].

Halleux R., Schamp J., 1985. Les lapidaires grecs. Les Belles Lettres, Paris [ed. critica e trad. francese].Hauy R.-J., 1801. Traite de Mineralogie (2 voll.). Louis, Paris.Jashemski W., 1979. The gardens of Pompeii, Herculaneum and the villas destroyed by Vesuvius. Caratzas, New

Rochelle NY.Johnsen A., 1932. Die Geschichte einer kristallomorphologischen Erkenntnis. Sitzungsberichte der Preussischen

Akademie der Wissenschaften, physikalisch-mathematische Klasse, 26: 3-14.Johnson J. De M., 1913. A botanical papyrus with illustrations. Archiv fur Geschichte der Naturwissen-

schaften und der Technik, 4: 403-408.Kadar Z., 1978. Survivals of Greek zoological illuminations in Byzantine manuscripts. Akademiai Kiado,

Budapest.Karabacek J. von, Premerstein A. von, Wessely C., Mantuani J., 1906. De codicis Dioscuridei Aniciae

Iulianae nunc Vindobonensis Med. Gr. 1 (4 voll.). Sijthoff, Leiden [facsimile edito a cura di J.K, concommento di A.P., C.W. e J.M.].

Knoefel P.K., Covi M.C., 1991. A hellenistic treatise on poisonous animals (The Theriaca of Nicander ofColophon) : a contribution to the history of toxicology. Lampeter, Lewiston.

Kroll W., 1936. Nikandros (10 & 11). In: Paulys Real-Encyclopadie der classischen Altertumswissenschaft,XVII.1 (a cura di G. Wissowa con W. Kroll, K. Witte, K. Mittelhaus, K. Ziegler). Druckenmuller,Stuttgart: coll. 250-265.

Kuhn C.G., 1821-33. Claudii Galeni opera omnia (20 voll. in 22 parti, in: Medicorum graecorum opera quaeextant; accedit Index compilato da Fr.W. Assmann). Cnoblochii, Leipzig [rist. anast., 1964-65, Olms,Hildesheim].

Kuhn T.S., 1962. The structure of scientific revolution. The University of Chicago Press, Chicago [trad. ital.della 4a ed. inglese, Einaudi, Torino 1978].

Lanza V., 1984. Il «De re metallica : : : » di Christophorus Encelius (1517-1583). Le prime illustrazioniesplicative di fossili. Geologica Romana, 23: 111-120.

Lindsay W.M., 1911. Isidori Hispalensis Episcopi Etymologiarum sive originum libri XX (2 voll.). ClarendonPress, Oxford.

112 a. mottana

Mair A.W., 1963. Oppian, Colluthus, Tryphiodorus. Heinemann-Harvard University Press, London-Cam-bridge [rist. dell’ed. critica con traduzione inglese e commento 1928].

Mattioli P.A., 1568. I discorsi di M. Pietro Andrea Matthioli sanese, medico cesareo, et del serenissimo principeFerdinando archiduca d’Austria &c. nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia medicinale.Hora di nuovo dal suo istesso autore ricorretti, & in piu di mille luoghi aumentati. Appresso VincenzoValgrisi, In Venetia (5 voll.) [facsimile della 7a ed. veneziana di Vincenzo Valgrisi del 1568, a cura diR. Peliti con nota introduttiva di F. Barberi. Julia, Roma 1967-70].

Mazal O., 1998-99. Der Wiener Dioskurides. Codex medicus graecus 1 der Osterreichischen Nationalbibliotek(2 voll.). Akademische Druck- und Verlagsanstalt, Graz [ed. fototipica a colori, con commento].

Mommsen Th., 1864. C. Iulii Solini Collectanea rerum memorabilium. Weidmann, Berlin.Montanari F., 1993. L’erudizione, la filologia e la grammatica. In: G. Cambiano, L. Canfora, D. Lanza

(eds.), Lo spazio letterario della Grecia antica (3 voll.). Salerno, Roma, vol. I, tomo II: 235-281.Moreschini C., 1990. Apuleio. La magia. Introduzione, traduzione e note di C.M. Biblioteca Universale

Rizzoli, Milano.Mottana A., 1995. Storia della mineralogia. Museologia scientifica, 11: 333-349.Mottana A., Napolitano M., 1997. Il libro «Sulle pietre» di Teofrasto. Prima traduzione italiana con un

vocabolario dei termini mineralogici. Rend. Fis. Acc. Lincei, s. 9, 8: 151-234.Muller-Karpe H., 1984. Storia dell’eta della pietra. Laterza, Roma - Bari [trad. ital. dall’originale tedesco

1974].Pasquali G., 1986. I due Nicandri. In: Scritti filologici: letteratura greca, letteratura latina, cultura contem-

poranea, recensioni (2 voll.). Olschki, Firenze: 340-387 [raccolta a cura di F. Bornmann, G. Pascucci eS. Timpanaro, con ristampa di un articolo scritto nel 1913].

Richmond J., 1976. The authorship of the «Halieutica» ascribed to Ovid . Philologus, 70: 92-106.Riddle J.M., 1977. Marbode of Rennes’ De lapidibus. Sudhoff Archiv Beihefte, 20. Steiner, Wiesbaden.Riddle J.M., 1985. Dioscorides on pharmacy and medicine. University of Texas Press, Austin.Rome de l’Isle J.-B.-L., 1772. Essai de Cristallographie, ou description des figures geometriques, propres a differens

corps du regne mineral, connus vulgairement sous le nom de cristaux . Didot - Knapen & Delaguette, Paris.Scarborough J., 1977. Nicander’s Toxicology I: Snakes. Pharmacy in History, 19: 3-23.Scarborough J., 1979. Nicander’s Toxicology II: Spiders, scorpions, insects and myriapods. Pharmacy in

History, 21: 3-34 e 73-92.Schneider O., 1856. Nicandrea: Theriaca et Alexipharmaca recensuit et emendavit fragmenta collegit, com-

mentationes addidit O.S.. Accedunt Scholia ad Theriaca ex recensione Henrici; Scholia in Alexiphar-maca ex recognitione Bussemakeri et R. Bentlei emendationes partim ineditae. Teubner, Lipsiae.

Singer C., 1927. The herbal in antiquity. Journal of Hellenistic Studies, 47: 1-52.Stromberg R., 1944. Griechische Wortstudien: Untersuchungen zur Benennung von Tieren, Pflanzen, Korper-

teilen und Krankheiten. 3a ed., Elander, Goteborg.Strunz H., 1941. Mineralogische Tabellen. Geest & Portig, Leipzig [7a ed ult. Ed., 1978, Akademische

Verlagsgesellschaft Geest & Portig, Leipzig].Van Brock N., 1961. Recherches sur le vocabulaire medical du grec ancien. Klincksieck, Paris.Webster R., 1994. Gemme. Giacimenti, descrizione, identificazione. Zanichelli, Bologna [trad. ital. della 4a

ed. inglese, 1983, rivista da B.W. Anderson].Weitzmann K., 1970. Illustrations in roll and codex . Princeton University Press, Princeton.Wellmann M., 1906-14. Pedanii Dioscoridis Anazarbei de materia medica libri quinque (3 voll.). Weidmann,

Berlin [rist. dei primi 2 volumi, 1958, Weidmann, Berlin].White H., 1987. Studies in the poetry of Nicander . Hakkert, Amsterdam.Zakynthinos D.A., 1979. Byzantinische Geschichte 324-1071. Bohlau, Wien-Koln-Graz [trad. tedesca del-

l’originale neogreco del 1970].

Pervenuta in forma definitiva il 5 luglio 2001.

Universita degli Studi di Roma TreDipartimento di Scienze Geologiche

Largo S. Leonardo Murialdo, 1 - 00146 Roma


Recommended