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*Si prega di non citare senza l’approvazione dell’autore.
Questa è una versione provvisoria e non definitiva di un articolo in corso di stampa per
Archivio di studi Urbani e Regionali
Rio de Janeiro e il sogno della città globale: mega-eventi e politica urbana.
1. Introduzione.
Rio de Janeiro rappresenta un caso studio di particolare interesse per riflettere sulle
connessioni che legano capitalismo e urbanizzazione. Dalla seconda metà degli anni
duemila, la città è stata sottoposta a un’articolata strategia di globalizzazione,
simultaneamente simbolica e spaziale, caratterizzata da una consapevole gestione dei simboli
e delle rappresentazioni urbane, dall’accelerazione della trasformazione spaziale e
dall’intensificazione della messa in valore delle risorse della città nei circuiti dell’economia
capitalistica, con effetti di rafforzamento reciproco.
L’obiettivo dell’articolo è analizzare la politica urbana di Rio in preparazione dei Giochi
Olimpici 2016, attraverso l’adozione di una prospettiva insieme relazionale e territoriale in
grado di mettere in luce le complesse dinamiche che regolano i rapporti tra attori urbani,
flussi globali e azione locale.
L’articolo è strutturato in quattro parti. La prima parte, di carattere più teorico e
metodologico, descrive la relazione tra mega-eventi e sviluppo urbano e motiva la
prospettiva analitica adottata, connettendola al più recente dibattito riguardante la
globalizzazione del fenomeno urbano.
La seconda parte ripercorre brevemente le traiettorie di sviluppo della città ed esamina la
strategia globale di Rio, focalizzando l’attenzione sulla peculiare relazione che lega
immaginari urbani, circuiti globali di conoscenza e città informale.
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La terza parte descrive le principali strategie di accumulazione capitalistica connesse agli
ambiziosi progetti di trasformazione spaziale, discutendo le contraddizioni e le contestazioni
sociali che accompagnano la produzione dello spazio urbano.
Nella parte conclusiva, si evidenzia come lungi dall’essere interpretabile in relazione di
differenza con le norme dominanti che definiscono il nesso tra globalizzazione e
urbanizzazione, l’organizzazione dei giochi sembra ridurre la distanza di Rio dai centri
globali di produzione delle teorie urbane. Ciò non di meno, uno sguardo più attento alle
caratteristiche storico-istituzionali dei percorsi di sviluppo urbano e ai meccanismi di
regolazione locale fa emergere un insieme variegato di elementi che illustra la natura ibrida,
contradditoria e conflittuale della politica urbana.
2. Mega-eventi, sviluppo urbano e competizione globale.
I megaeventi, come i giochi Olimpici, sono stati studiati in primo luogo come manifestazioni
locali di processi globali, festival itineranti imbevuti di visioni culturali e valori
imprenditoriali globalizzati, in grado di svolgere un ruolo centrale nei meccanismi di
produzione e riproduzione del tardo capitalismo (Shaw, 2008). Un ruolo centrale è svolto dal
potente Comitato Olimpico Internazionale (COI), un’organizzazione non governativa, con
sede a Losanna, che supervisiona l’organizzazione dei giochi e valuta le candidature
proposte dai Comitati Olimpici Nazionali, beneficiando di esenzioni fiscali pressoché
illimitate e senza essere soggetto a controllo indipendente (Short, 2008).
Mentre durante il ventesimo secolo l’organizzazione dei giochi olimpici è attribuita quasi
esclusivamente a città del Nord del mondo, dal ventunesimo secolo si assiste a un nuovo
trend che vede il sempre più diffuso successo delle candidature proposte da città dell’Est e
del Sud del mondo. Il diffuso coinvolgimento di città appartenenti alle economie emergenti
delle nazioni BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa) dimostra la correlazione che
lega ambizioni d’integrazione nell’economia capitalistica globale, obiettivi di crescita
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economica e attrattività dei mega eventi: Pechino ha ospitato le Olimpiadi del 2008, Sochi
quelle del 2014, Rio le ospiterà nel 2016; i Mondiali di calcio sono stati ospitati dal Sud
Africa nel 2010, dal Brasile nel 2014 e saranno organizzati nel 2018 in Russia.
I mega eventi sono stati diffusamente interpretati anche come strategia di proiezione del
locale nell’arena competitiva globale, soprattutto dopo i successi dei Giochi di Los Angeles
nel 1982, inseriti nell’immaginario urbano globale come esempio di Olimpiadi capitalistiche,
interamente finanziati da privati (Gruneau e Neubauer, 2012), e quelli di Barcellona del
1992, che hanno avuto un medesimo successo, imponendosi però come modello universale
di rigenerazione spaziale della città (Gonzales, 2011).
Un’abbondante letteratura di studi urbani ha analizzato soprattutto come l’organizzazione di
megaeventi guida lo sviluppo di molteplici pratiche di imprenditorialismo urbano, quali,
campagne di branding urbano, investimenti in supporto di progetti di rigenerazione spaziale
e la creazione di apposite partnership pubblico-private (PPP) in grado di garantirne la rapida
realizzazione (Hiller, 2000; Gold e Gold, 2008; Zhang e Zhao, 2009; Raco, 2014).
Attraversate da molteplici flussi globali di idee, immagini, turisti e beni, le città olimpiche
diventano nodi chiave di quella che l’antropologo indiano, Arjun Appadurai (1990) definisce
la globalizzazione culturale, in cui immaginari globalmente significativi sono tramutati in
strategie di crescita economica e in progetti di sviluppo locale. In tale ottica, le Olimpiadi
rappresentano una strategia culturale, attraverso cui la città utilizza la storia e la cultura
locale, lo stile di vita e la qualità dei luoghi, per ottenere una più attraente immagine
internazionale e immettere il suo capitale immateriale e simbolico nei circuiti dell’economia
capitalistica (Gold e Gold, 2008; Short, 2008).
I mega-eventi costituiscono anche straordinarie occasioni di trasformazione urbana, di
restituzione alla città di spazi e luoghi in declino economico e sociale, di realizzazione di
impianti sportivi e infrastrutture, di miglioramento dei trasporti locali e dei servizi per la
cultura.
Sin dalla progettazione delle candidature, i governi elaborano ambiziosi piani di
trasformazione urbana, avvalendosi delle esperienze delle città olimpiche del passato, oltre
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che della conoscenza prodotta entro e attraverso i circuiti globali del capitalismo. La
conoscenza prodotta lungo le reti transnazionali di esperti, imprese e politici, è utilizzata
come strumento di sviluppo locale, funzionale a strategie di accumulazione capitalistica
connesse alla trasformazione materiale della città, e come strumento di promozione politica,
una volta convertita in nuovi e originali “prodotti politici” che rendono appetibili e quindi
vendibili all’esterno le soluzioni innovative create in loco (McCann, 2013; Allen e
Cochrane, 2014; Laueramm, 2014).
Attraverso il rigido controllo di attori extra-locali, come il COI, e l’attribuzione delle
responsabilità organizzative a ‘ibridi’ pubblico-privati, i mega-eventi promuovono anche
l’imposizione di modelli neoliberisti di governance urbana (Vanwynsberghe et al., 2013).
Mentre la complessità tecnica legittima l’adozione di una governance tecnocratica che
attribuisce priorità assoluta agli accordi contrattuali che legano autorità locali, comitati
organizzatori e istituzioni internazionali, la privatizzazione degli spazi decisionali e il
ricorso, in nome dell’emergenza, a pratiche di pianificazione eccezionali impongono una
logica post-politica nel governo della trasformazione urbana. Dal canto loro, le città, sin
dalla fase di selezione delle candidature, devono dimostrare di avere supporto popolare,
cosicché da un lato diventa fondamentale formulare una politica del consenso che enfatizza
le ricadute economico-sociali in ambito locale, mentre dall’altro si sviluppa una vera e
propria intolleranza verso ogni forma di dissenso, giacché tutti gli sforzi sono diretti a ridurre
i ‘rischi contrattuali’, derivanti dalle domande democratiche (Rako, 2014).
Difatti, pur promettendo benefici di lungo periodo per l’intera popolazione locale, i mega-
eventi sono spesso generatori anche di profonde dissimmetrie socio-spaziali che si riflettono
nella geografia dello sviluppo urbano sotto forma di processi di gentrificazione,
turisticizzazione, privatizzazione ed espulsione, che colpiscono soprattutto le popolazioni più
povere (COHRE, 2007; Davis, 2011).
L’analisi della strategia globale di Rio focalizza l’attenzione sugli attori, i discorsi, le
rappresentazioni e i conflitti che accompagnano la trasformazione dello spazio urbano in
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vista dei giochi olimpici. Il quadro di riferimento teorico si ispira a un approccio di
economia politica urbana, mentre da un punto di vista metodologico il caso studio si avvale
della revisione della principale documentazione istituzionale connessa all’organizzazione dei
giochi e alla pianificazione urbana di Rio, e di altri documenti autoprodotti dal basso dalle
mobilitazioni (tab. 1), oltre che del confronto con le analisi critiche già esistenti sviluppate
da ricercatori brasiliani.
La politica urbana è intesa in un’accezione più ampia, che include le pratiche discorsive di
rappresentazione dello sviluppo urbano, le strategie di competitività e di trasformazione
spaziale della città, e le forme di resistenza, opposizione e rivendicazione di “diritti alla
città” (Rossi e Vanolo, 2010).
Questo complesso campo d’indagine è osservato attraverso una chiave di lettura insieme
territoriale e relazionale (McCann e Ward, 2010). Mentre la prima aiuta a contestualizzare la
politica urbana, ponendo al centro dell’analisi le caratteristiche storico-geografiche delle
traiettorie di sviluppo urbano e il ruolo dell’azione locale nei processi di territorializzazione,
la seconda evidenzia il ruolo degli attori extra-locali, l’importanza delle relazioni inter-
urbane e l’influenza dei flussi globali della conoscenza.
La produttiva tensione tra relazionalità e territorialità aiuta a comprendere, in particolare,
come la politica urbana finisca per trascendere i confini spaziali della città (Allen e
Cochrane, 2014), come la “conoscenza in viaggio” è differentemente appropriata dagli attori
urbani, e come questa, attraverso l’intermediazione dell’azione locale, dai territori rimbalza
sul livello globale, incidendo sull’ordine reticolare dello spazio dei flussi (McCann e Ward,
2010).
Tale impostazione ha, inoltre, l’indubbio merito di evitare spiegazioni deterministiche dei
meccanismi di mediazione politica e di regolazione urbana, respingendo l’impulso di
un’adozione a-critica di schemi interpretativi dominanti – in primis quello del neoliberismo
– che, come messo in rilevo da un’ampia letteratura di studi post-coloniali, ha finito per
renderli dei contenitori non ben definiti e per lo più improduttivi come strumenti d’indagine
e di critica. L’egemonia concettuale e analitica di teorie euro-centriche ha, infatti, alimentato
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la perpetuazione di narrative occidentali di ristrutturazione economica, con l’effetto di creare
l’illusione che la globalizzazione sta forgiando un mondo più uniforme, a immagine e
somiglianza del Nord globale, di sminuire il ruolo dell’azione locale, oscurando importanti
dinamiche sociali che si vengono a sviluppare all’interno e tra le città “altre”, e di de-
potenziare le pratiche di critica sociale e di contestazione (Ong, 2006; Roy, 2009; Parnell e
Robinson, 2012).
Infine, mentre il dibattito pubblico tende a radicalizzarsi, tra visioni trionfalistiche connesse
ad ambiziosi piani di legacy e aspre critiche che interpretano il megaevento come entità
predatoria interessata esclusivamente all’estrazione di ricchezza dal territorio, questa chiave
di lettura consente di evidenziare come il mega-evento rappresenta, anche e soprattutto, uno
“spazio conteso”. Segnando una discontinuità profonda nella traiettoria di sviluppo della
città, il mega-evento mette, infatti, in tensione gli assetti di potere preesistenti, aprendo una
finestra di opportunità politiche per coalizioni competitive, pratiche di resistenza e
movimenti sociali, che possono sfruttare il grado di visibilità pubblica garantito dalla
copertura mediatica planetaria per dare voce e legittimità alle proprie rivendicazioni,
rendendo visibile l’elevata conflittualità rispetto agli usi possibili dello spazio urbano.
3. Il miracolo di Rio de Janeiro: immaginari urbani, flussi globali e città informale.
Fino alla metà degli anni duemila, Rio ha subìto un lungo periodo di declino,
tradizionalmente associato alla perdita dello status di capitale negli anni sessanta, che ha
avuto il suo apice tra gli anni ottanta e novanta quando la città soffrì maggiormente gli effetti
della crisi economica nazionale nella forma di una spirale di disoccupazione, povertà,
espansione delle favelas, decadenza spaziale e violenza (Ribero, 2014).
Durante gli anni novanta, in Brasile, l’avvio di un programma di riforme neoliberali si
giustappone all’affermazione di una politica orientata ai diritti sociali, connessa al
riconoscimento della funzione sociale della città, prevista dalla Costituzione del 1988, e
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ulteriormente rafforzata, nel 2001, dal pioneristico Statuto della Città. Il risultato è la
formazione di un’arena politica caratterizzata da una strana collisione tra istanze di
neoliberalizzazione e altre di democratizzazione, che si materializza in una forma ibrida di
governance nazionale orientata tanto all’integrazione del Brasile nell’economia globale
quanto all’universalizzazione dei diritti sociali. La politica del presidente, Luiz Inácio Lula
da Silva, spesso definita con l’etichetta altrettanto ambigua di “keynesismo neoliberale”, ben
illustra la schizofrenia che caratterizza la politica brasiliana di quel periodo (Ribeiro e Santos
Junior, 2014). Tale ambiguità diventa ancora più marcata durante il secondo mandato del
presidente Lula, dal 2006-07, quando si assiste al rilancio del ruolo interventista dello Stato,
facilitato dalla crescita dell’economia nazionale e dalla sua maggiore capacità di spesa
pubblica, che concentra gli investimenti nelle aree metropolitane più competitive, in grado di
garantire canali diretti di accesso al mercato globale (Klink, 2013).
A Rio, il risultato è un insieme di politiche disegnate in modo da riconoscere la funzione
sociale della città nel momento stesso in cui la sua funzione economica globale diventa
prioritaria.
Tale processo inizia a materializzarsi con l’elaborazione del primo Piano strategico della
città nel 1995 che, traendo ispirazione dal modello Barcellona, si avvale dell’attiva
collaborazione della società di consulenza “Tubsa” (Tecnologies Urbanes de Barcelona SA),
indica i grandi eventi come leve strategiche di rilancio dell’immagine urbana e di
rigenerazione spaziale, e stabilisce le regole e gli strumenti che devono guidare lo sviluppo
della città, coniugando gli obiettivi della crescita economica e della coesione sociale (Acioly,
2001).
Tuttavia soltanto nella seconda metà degli anni duemila, quando il Brasile si aggiudica
l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2014 e delle Olimpiadi del 2016, si giunge alla
piena realizzazione di questa strategia. Lo scenario di Rio cambia drasticamente e si assiste
all’emersione di una “macchina per lo sviluppo transnazionale” (Surborg et al., 2008), che
opera sotto il rigido controllo di istituzioni internazionali, come la Fifa e il Coi, si avvale del
lavoro congiunto dei differenti livelli di governo, federale, statale e municipale, spesso in
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conflitto tra loro, oltre che di altri tradizionali e nuovi attori privati, e implementa un
modello di governance imprenditoriale orientata a realizzare il sogno di trasformare Rio in
una città globale (Ribeiro, 2014).
Le profonde implicazioni geopolitiche della candidatura olimpica si riflettono nel ruolo
chiave esercitato dal lavoro congiunto di governi e istituzioni brasiliane che, offrendo al COI
l’immagine di un forte allineamento politico multi-scalare, hanno favorito la candidatura del
Brasile.
Un altro fattore di vantaggio è determinato dalle superiori opportunità speculative offerte al
COI dalla crescita dell’economia Brasiliana durante la crisi economico-finanziaria globale.
Mentre, infatti, Chicago e Madrid, le principali antagoniste di Rio, dovevano fare i conti sia
con la recessione economica sia con un clima sociale particolarmente teso, che si manifesta
in una crescente ostilità pubblica e politica contro il possibile sperpero delle sempre più
scarse risorse pubbliche, a Rio le resistenze politiche appaiono molto più limitate e il boom
dell’economia nazionale garantisce un budget di investimenti pubblici pari a 29 miliardi di
R$ che, insieme alle promesse di generare eredità urbane e sociali di più ampia portata,
garantiscono al COI la possibilità di attrarre a sé una maggiore quantità di investimenti
privati e al Brasile di superare la competizione internazionale (Gaffney, 2014).
A questi fattori si aggiunge la scelta, risultata vincente, di lanciare una candidatura che
attirava l’attenzione sullo status periferico del Brasile, insistendo sul fatto che il movimento
olimpico doveva affrancarsi dal suo centrismo occidentale e dar corpo ai suoi ideali
d’internazionalismo espandendosi nel Sud globale e soprattutto in America Latina (Clift e
Andrews, 2012).
Mentre Rio vince insistendo sulla sua diversità rispetto all’occidente, i giochi olimpici sono
rappresentati come una straordinaria occasione di integrazione nell’economia globale, che
renderanno Rio «una grande città globale» (Comitato Olimpico Brasiliano, 2009, p. 23). Il
proposito di far entrare Rio nella storia mondiale dello sport come la città che ha organizzato
«i Giochi Olimpici della Trasformazione» è supportato dalla promessa di realizzare un
complessivo progetto di rigenerazione urbana, in grado di creare una città migliore per i
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propri abitanti, attraverso la realizzazione di cambiamenti strutturali nel sistema dei trasporti,
nelle infrastrutture urbane e nello sviluppo sociale e ambientale (Prefeitura do Rio de
Janeiro, 2014).
L’ultimo Piano strategico, elaborato come interfaccia del Piano olimpico, sin dal sottotitolo
«Rio: più integrata e competitiva», conferma il rafforzamento di un approccio
imprenditoriale del governo urbano, con l’incorporazione all’interno dell’agenda “Rio città
Meravigliosa” di alcuni dei principali schemi universali di sviluppo che viaggiano lungo i
circuiti transnazionali delle politiche urbane (Prefeitura do Rio de Janeiro, 2013).
L’ambizione di utilizzare i mega-eventi come l’occasione per trasformare Rio in un modello
di città verde, sin dal 1988 elemento centrale nelle valutazioni delle COI (Short, 2008), trova
riscontro nell’indicazione, tra le priorità dell’azione di governo, della riconoscibilità della
leadership globale di Rio nelle questioni connesse alla sostenibilità ambientale urbana
(Prefeitura do Rio de Janeiro, 2013, p. 175). Il “Piano di gestione della Sostenibilità Rio
2016” guida l’intero ciclo di progettazione, realizzazione e valutazione ex-post delle attività
e dei progetti connessi all’organizzazione degli eventi e promuove lo sviluppo di rigidi
criteri e di innovativi modelli di gestione della sostenibilità, esportabili, a scala nazionale e
internazionale, e replicabili in altre città destinate ad accogliere grandi eventi sportivi (Rio
2016 Organising Commitee, 2013).
In risposta alle esigenze di creare un sistema urbano della mobilità e del trasporto pubblico
più razionale, integrato e accessibile, la retorica propria della smart city accompagna il
progetto di espansione della rete di trasporto pubblico veloce su gomma, giustifica la
creazione di infrastrutture tecnologiche di monitoraggio e gestione del traffico (Tràfego
inteligente) e si materializza nella costruzione del maestoso Centro Operativo Intelligente
IBM, funzionale alla creazione di un sistema in grado di rispondere alle emergenze socio-
ambientali della città. Se per IBM, Rio ha funzionato come canale di ingresso nel nuovo
mercato delle economie emergenti e ha offerto l’occasione per sperimentare il prototipo del
centro operativo hi-tech, per l’amministrazione locale la partnership con la corporazione
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statunitense ha consentito di proporsi come polo d’eccellenza nella sperimentazione politica
urbana legata al mercato dei big data.
L’investimento nelle politiche della smart city abbraccia anche il tema dell’integrazione
sociale, riconoscendo l’inclusione digitale come una delle possibili eredità post-olimpiche.
Al riguardo, il governo urbano in collaborazione con Cisco ha lanciato un piano, noto come
“Piazze della Conoscenza”, che prevede l’installazione di quaranta strutture distribuite nelle
varie favelas provviste di gallerie multimediali, librerie digitali e varie strumentazioni
funzionali a promuovere la diffusione della cultura digitale e a formare comunità
tecnologicamente intelligenti e creative.
La modernizzazione delle infrastrutture tecnologiche intelligenti supporta anche la
sperimentazione di iniziative connesse agli obiettivi dell’efficienza amministrativa
(Prefeitura do Rio de Janeiro, 2013, p. 141) e a quelli dell’ordine urbano (ivi, 125).
Con riguardo a quest’ultimo aspetto, il programma di pacificazione delle favelas, noto come
UPP (Unidade de Polícia Pacificadora), lanciato nel 2008 per garantire il corretto e sicuro
dispiegamento delle attività legate ai grandi eventi sportivi e per creare consenso attorno alla
più generale trasformazione urbana tra le élite locali e presso l’opinione pubblica
internazionale, più di recente ha anche previsto la realizzazione di diverse unità dotate di
avanguardistici sistemi di sorveglianza elettronici.
Il tanto contestato programma di pacificazione è indicato come leva strategica del progetto
Chocque de ordem (“Shock di ordine”) e come strumento di riappropriazione del controllo
territoriale delle favelas da parte dello Stato, di rivitalizzazione dello spazio pubblico urbano
e di liberazione delle sue potenzialità creative, sociali e imprenditoriali.
La rappresentazione di Rio una città creativa è, invece, usata come cappello nelle iniziative
di rivitalizzazione economica che intendono trasformare Rio in una capitale globale del
turismo e dell’industria creativa, in alcuni dei più significativi progetti di trasformazione
urbana connessi all’organizzazione dei giochi, come quello del Porto Maravilha, e in gran
parte dei programmi di urbanizzazione delle favelas, che da sempre rappresentano il cuore
dell’identità culturale della città.
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Infine, potendo contare sia sul progetto federale “Start-up Brazil” e sul programma statale
“Rio Start-up”, il governo locale ha dichiarato l’intenzione di trasformare Rio nel più
importante incubatore di imprese tecnologiche e digitali del Sud America, riformulando la
sua immagine come global start-up city. Attraverso tale rappresentazione, le stesse favelas
sono mobilitate come laboratori di sperimentazione di soluzioni innovative utili ad affrontare
i più complessi problemi sociali della città: per esempio, “Rio favela Startup weekend” e
“Startup Weekend Change Makers”, sono iniziative promosse dal Comitato per la
democratizzazione dell’Informatica, con il supporto delle istituzioni locali e di corporazioni
globali, come Google, rispettivamente nella favelas Morro da Providencia e Pavão-
Pavãozinho, come occasione di ideazione e sviluppo di soluzioni tecnologiche in grado di
rispondere ai bisogni delle popolazioni più povere.
Attraverso l’incorporazione dei principali paradigmi universali di sviluppo urbano, la
politica urbana assume la forma di un ibrido innovativo, in cui specifiche “parti dell’altrove”
sono riarticolate in modo nuovo e originale attraverso l’intensificazione della distruzione
creativa del policy-making (Harvey, 2006) e la promozione di modelli politici originali e
innovativi (Cock e Ward, 2011; McCann, 2013): il governo brasiliano propone le proprie
politiche contro la povertà come modello globale di rigenerazione delle città informali
(Magalhães e Villarosa, 2012), il modello carioca di città intelligente diventa una risorsa
discorsiva da promuovere anche in altre città del Sud globale, come quelle indiane
(Economic Times, 2012), mentre la politica di pacificazione attira l’attenzione di diverse
città, soprattutto in America Latina, come Buenos Aires (Murakami-Wood, 2013).
Entro questo processo di “promozione politica” un ruolo chiave è svolto dalle favelas, che,
ribattezzate come “comunidades”, sono state sottoposte dalla politica dei mega-eventi a un
duplice regime discorsivo e a una doppia strategia, solo apparentemente contradditoria:
quella della criminalizzazione e quella della celebrazione.
Da un lato, la diffusione di discorsi che reificano rappresentazioni generalizzate di questi
territori come luoghi della violenza e del degrado sociale che vanno liberati dal controllo
delle bande di trafficanti e restituiti alla città, ne legittima l’occupazione militare. Dall’altro
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lato, emerge con forza la retorica della celebrazione della cultura e della creatività delle
favelas e dei loro abitanti, che si traduce in un variegato processo di messa in valore delle
risorse materiali e immateriali della città informale entro i circuiti di accumulazione
capitalistica (Ribeiro e Olinger, 2014).
Lo spazio della marginalità è così riconfigurato in nuova “centralità urbana”, come
esperienza emotiva da consumare attraversando “esotici itinerari turistici” (Roy, 2011) e
come spazio di produzione ed estrazione di conoscenza, che offre nuova visibilità
internazionale alla città e intensifica la connessione con i flussi globali di persone, idee,
pratiche e modelli di politica urbana.
L’accurata gestione dei simboli, della cultura e degli immaginari urbani, all’esterno,
supporta l’ambizione delle élite economico-politiche locali di riposizionare la città come
nuovo centro globale di produzione della conoscenza politica, mentre all’interno, serve a
legittimare un’accelerata e controversa trasformazione spaziale della città.
4. Spazi contesi: trasformazione territoriale e diritto alla città.
La pervasività dei modelli universali di sviluppo urbano si riflette nella promozione dei
mega-eventi come occasione non solo di crescita economia, ma anche di integrazione sociale
e qualità ambientale, mentre la retorica dell’eredità olimpica serve all’attrazione di
investimenti, interni e stranieri, e alla legittimazione delle strategie di accumulazione
capitalistica connesse alla trasformazione dello spazio urbano.
Un ruolo centrale è svolto dalla questione della sicurezza che ruota attorno alla politica di
pacificazione delle favelas. A scala locale, il discorso della pacificazione ha cercato di
ottenere il consenso pubblico enfatizzando gli aspetti connessi tanto alla securizzazione delle
aree residenziali elitarie quanto alla promessa di migliorare le condizioni esistenziali degli
abitanti delle favelas. A livello internazionale, invece, la questione è stata riformulata nei
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termini della sicurezza garantita ai visitatori degli eventi, centrale per la reputazione della
città e strategica per gli interessi dei comitati organizzatori (Gaffney, 2010).
Nella sua dimensione ambientale, invece, il discorso della sicurezza ha le sue origini nella
legge municipale che stabilisce che le rimozioni dalle favelas possono avvenire soltanto
quando le condizioni fisiche degli insediamenti informali impongono seri rischi per la
popolazione locale.
Data la localizzazione di molte favelas nell’area montuosa della foresta pluviale del Tijuca,
soprattutto dopo le frane del 2010, il rischio ambientale e le promesse dell’eredità olimpica
confluiscono nel legittimare operazioni di rimozione e ricollocazione di numerose comunità,
malgrado solo una ridotta percentuale di questi territori sia localizzata nelle aree a rischio e
sia stata coinvolta dalle frane (Gonçalves, 2014).
L’integrazione tra politiche di sicurezza, abitative e di rinnovamento degli spazi e dei servizi
urbani, manifesta la messa in moto di una complessa strategia di “accumulazione tramite
espropriazione” (Harvey, 2004). La trasformazione dello spazio urbano coinvolge soprattutto
il rinnovamento degli impianti sportivi, la produzione di nuove infrastrutture della mobilità e
la creazione di nuovi spazi residenziali (Sanchez e Broudehoux, 2013) (fig. 1).
Gli ingenti investimenti riguardanti le strutture olimpiche si concentrano in quattro aree:
Barra de Tujuca, Copacabana nella zona sud della città, l’area del Maracana e quella di
Deodoro.
Così come già accaduto durante i giochi panamericani, ancora una volta la maggior parte
delle risorse è concentrata nel quartiere di Barra da Tijuca, nella zona sud della città, che
sarà investito dalla stragrande maggioranza degli investimenti destinati al sistema dei
trasporti e alle infrastrutture della mobilità, come le linee di bus rapidi e a lunga distanza
(Brt). Barra accoglierà anche la Villa Olimpica, il Parco Olimpico e oltre il 50% dei nuovi
posti letto previsti in strutture alberghiere.
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Fig. 1 – La mappa concettuale delle connessioni e delle centralità delle Olimpiadi Rio 2016.
Fonte: Dossier della candidatura di Rio de Janeiro, 1, 2009.
Nel momento in cui il progetto del Parco Olimpico ha iniziato a far convergere ingenti
risorse pubbliche su Barra, la vicina comunità di Vila Autódromo, ha dovuto confrontarsi
con il rischio incombente di espulsioni e rilocalizzazioni. Nonostante, nel 1994, la comunità
avesse ricevuto dallo Stato di Rio un permesso all’uso del suolo della validità di 99 anni, e
nel 2005, il governo locale avesse dichiarato l’area come “zona speciale d’interesse sociale”,
garantendo molti residenti di ulteriori protezioni extra-legali, nel 2011, la Secretaria
Municipal de Habitação notifica ai residenti l’inizio di una serie di rilocalizzazioni forzate
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presso il complesso residenziale Parque carioca, in appartamenti finanziati, attraverso il
Programa de Aceleração do Crescimento (PAC), dal programma nazionale Minha Casa
Minha Vida (McMv).
Inizialmente giustificati con il rischio ambientale determinato dalla prossimità
dell’insediamento con la laguna Jacarepaguá, la successiva realizzazione del piano del Parco
Olimpico ha svelato come lo spostamento della comunità di Vila fosse in realtà strumentale
allo sviluppo della rete stradale che connette il Parco con la nuova stazione centrale di Brt di
Barra (Tanaka, 2014). Nel corso degli ultimi anni, Vila Autódromo è diventata simbolo di
resistenza contro la trasformazione imposta dal progetto della città olimpica. Sin da quando è
stato ufficializzato il progetto di dislocamento, la comunità ha intrapreso in collaborazione
con architetti e pianificatori di alcune università locali un percorso partecipato di
elaborazione di un Piano Popolare alternativo che, pur non riuscendo a bloccare le
espulsioni, nel 2013 è stato premiato con il Deutsche Bank Urban Age Grant, come esempio
innovativo di sviluppo urbano democratico.
Fuori da quest’area, altri progetti connessi allo sviluppo dell’infrastruttura urbana riguardano
essenzialmente la rigenerazione degli isolati attorno allo stadio Maracanã, con il rinnovo
dello stadio stesso, e la riqualificazione dell’area portuale, con il progetto Porto Maravilha.
Un’area oggetto di massicci interventi in vista degli eventi sportivi è quella che circonda lo
stadio Maracanã. Il mitico stadio, simbolo dell’identità e della cultura popolare brasiliana, ha
già ospitato la finale della Coppa del Mondo nel 2014 e sarà il palcoscenico delle cerimonie
di apertura e di chiusura dei Giochi olimpici 2016. Sottoposto a sostanziali interventi di
recupero in occasione dei giochi panamericani, il glorioso stadio sarà riformulato in base ai
nuovi standard architettonici e qualitativi richiesti dalla Fifa (Gaffney, 2010). Diverse
proteste popolari hanno puntato il dito contro il progetto di privatizzazione della struttura e
contro diversi interventi di restauro e rinnovamento che rischiano di alterare la sua integrità
come patrimonio materiale e immateriale della comunità locale. Conflitti sono emersi anche
in merito ad altri interventi nelle aree circostanti allo stadio, soprattutto per il rischio
demolizione che incombe sulla scuola municipale Fredenreich, sullo stadio Célio de barrios
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di atletica leggera, sul parco acquatico Julio Delamare e sull’edificio storico del Museo
aborigeno, con la giustificazione di dover garantire un perimetro di sicurezza e di creare una
grande area destinata al parcheggio. La favela Mangueira, che si erige alle sue spalle e già
dal giugno 2011 target dell’intervento di pacificazione, è stata sottoposta a vari progetti di
abbellimento: qui è prevista una nuova scuola di samba progettata dal più famoso architetto
brasiliano, Oscar Niemeyer, una nuova funivia, la riqualificazione degli spazi pubblici e
molteplici programmi di intervento sociale.
L’imponente progetto di riqualificazione del Porto Maravilha, che punta a trasformare la
vecchia area portuale in un distretto internazionale residenziale, commerciale e di
intrattenimento, si è ispirato ai principali modelli internazionali di riqualificazione dei
waterfront urbani, dal Porto Vell di Barcellona al porto Madero di Buenos Aires.
L’intervento è stato organizzato attorno alla PPP Companhia de Desenvolvimento Urbano da
Região do Porto do Rio (CDURP), che a sua volta ha affidato la gestione della maggior parte
degli appalti riguardanti tanto le infrastrutture quanto i relativi servizi urbani a un consorzio
di grandi imprese private, tra cui i colossi nazionali OAS e Odebrecht.
È qui prevista la conversione di cinque kmq di vecchie abitazioni e di edifici industriali in
uffici e torri residenziali sofisticate, la costruzione di un nuovo terminal per navi da crociera,
la creazione di musei di arte e di shopping malls, oltre la conversione delle banchine e dei
magazzini abbandonati in luoghi di produzione e consumo culturale (Sanchez e Broudehoux,
2013.
Il diffuso ricorso da parte del governo locale a meccanismi di regolazione che, in nome
dell’eredità olimpica, bypassano le norme giuridiche convenzionali per accelerare i processi
di produzione dello spazio urbano e avvantaggiare gli interessi del mercato, ha prodotto
l’effetto, secondo il sociologo Carlos Vainer, di trasfigurare la morfologia socio-spaziale
dell’area e di trasformare Rio in una vera e propria “città dell’eccezione” (Vainer, 2011).
Tanto le PPP, quanto strumenti legali e finanziari, come il “Cepac” (Certificados de
Potencial Adicional Construtivo) che garantisce il permesso di costruire entro un’area
specifica oltre i limiti consentiti, introdotti dallo Statuto per facilitare e velocizzare iniziative
17
di sviluppo sociale, rimuovendo ostacoli finanziari e regolativi, attraverso il progetto del
porto sono stati convertiti in strumenti di crescita economica, mettendo a disposizione degli
investitori privati ingenti risorse pubbliche e garantendo molteplici eccezioni legali (Gaffney
e Olivera, 2010; Sanchez e Broudehoux, 2013).
Uno dei fattori di maggior rischio per la buona riuscita del progetto è determinato dalla
presenza della favela Morro de Providência che, con i suoi cinque mila abitanti e la sua
storia centenaria, incombe come una minaccia sull’intero progetto immobiliare (fig. 2).
Fig. 2 – Il Porto Maravilha visto dal mare con la favela Morro de Providência sulla sfondo.
Fonte: Central de movimentos populares RJ, 2011.
La Providência è stata il primo insediamento informale a prendere il nome di favela e ha
ospitato molte generazioni di lavoratori portuali. A lungo stigmatizzata per motivi di
pregiudizio razziale, la vecchia favela ha subìto un ulteriore processo di marginalizzazione a
causa dell’emergere di violente bande di narcotrafficanti negli anni ottanta.
Durante gli ultimi anni, la localizzazione di una perenne unità di pacificazione ha garantito la
neutralizzazione dell’immagine negativa della favela e l’ha resa un posto più sicuro. Nel
frattempo l'attivazione di vari strumenti ispirati allo Statuto ha supportato le iniziative di
18
urbanizzazione e riqualificazione. In particolare il programma Morar Carioca, lanciato nel
2010 dal governo urbano con l’obiettivo di urbanizzare tutte le favelas entro il 2020, ha
finanziato diverse operazioni di cosmesi urbana, come la recente costruzione di una funivia,
che hanno contribuito a trasformarla in una vera e propria attrazione turistica.
Mentre i residenti, agitando lo slogan “urbanizzazione sì, funivia no!”, si adoperavano in una
lotta per affermare la funzione sociale della favela e contrastare la sua turisticizzazione, oltre
cinquecento case sono state sottoposte a decreto di rimozione a causa dei rischi ambientali,
cui si sono aggiunti altri trecento sfratti, legittimati da un nuovo discorso sui vantaggi della
rilocalizzazione, che hanno imposto lo spostamento collettivo in appartamenti finanziati dal
programma McMv (Gonçalves, 2014).
Diverse analisi hanno denunciato come la politica dei mega-eventi ha trasformato McMv da
dispositivo di democratizzazione del diritto alla casa in strumento di rimozione forzata, che
ha coinvolto anche famiglie che vantavano condizioni abitative migliori rispetto a quelle per
cui il programma era stato previsto (Healey, 2014). Inoltre le nuove abitazioni sono state
spesso costruite dai privati nelle zone più deprezzate e periferiche della città, cosicché a
dispetto della legge municipale che prevede che le rilocalizzazioni rimangano in aree
prossime alle residenze originarie, gran parte delle rimozioni ha spostando residenti poveri
dal centro a distanti periferie (Gonçalves, 2014).
Turisticizzazione e gentrificazione, sgomberi e rilocalizzazioni, illustrano l’intensificazione
di un più complessivo processo di mercificazione delle favelas, che si alimenta tanto della
conquista di nuovi mercati da parte del mondo delle imprese (Cocco, 2011), quanto dello
sviluppo immobiliare, svelando come il progetto di città olimpica prende forma attraverso
una specifica razionalità speculativa: dal 2009, i valori immobiliari in alcune “comunità
pacificate”, come Vidigal, Rocinha e Santa Marta, sono cresciuti fino al 400% (Gaffney,
2014b). Ciò nonostante, l’ampia gamma di relazioni negoziali e conflittuali che accompagna
la trasformazione urbana riflette l’esistenza di disparate logiche di territorializzazione, legate
a una multiforme e spesso interconnessa rete di interessi sociali (Ribeiro e Santos Junior,
2014).
19
Se la confluenza di attori apparentemente molto diversi, come organismi internazionali,
istituti culturali, banche, consulenti, imprese, artisti, attori del no profit, ha promosso
molteplici forme di imprenditorializzazione della città informale come principale strumento
di emancipazione sociale (McFarlane, 2012), il lavoro congiunto di centri sociali e culturali,
comitati civici e associazioni di quartiere, ha supportato anche la sperimentazione di modelli
alternativi di rigenerazione urbana.
Diverse organizzazioni, come Afro Reggae e Meu Rio, per citare due tra gli esempi più noti e
attivi nella politica urbana, operano dal basso sulle capacità di emancipazione sociale e di
controllo democratico di una rinnovata cittadinanza urbana attraverso una moltitudine di
pratiche culturali, di impegno civico e di innovazione tecno-sociale. Dal canto loro, le
mobilitazioni delle singole comunità hanno creato nuovi spazi di partecipazione e
contestazione, come consigli di quartiere e forum popolari, da dove denunciare
l’insostenibilità della politica dei giochi, decostruendo i discorsi egemonici di città creativa,
intelligente e sostenibile, per ricostruirli attraverso nuove narrative che riaffermano il
primato del valore d’uso del suolo su quello di scambio. Sono nati così il Piano Popolare di
Vila, il Forum Comunitario del Porto e il Comitato Civico di Morro di Providência che,
nonostante le difficoltà, hanno contribuito a creare reti sociali più ampie attraverso cui hanno
potuto discutere e partecipare alla politica urbana.
L’esempio più importante è il Comitê Popular da Copa e das Olimpíadas, formatosi nel
2010 dopo il World Social Urban Forum, che ha denunciato le violazioni di diritti sociali,
così come le contraddizioni che hanno caratterizzato la politica dei mega-eventi sportivi,
dall’eccessiva esposizione finanziaria del settore pubblico, alla chiusura dei processi
decisionali che non ha permesso alcuna forma di partecipazione alla società civile e ai
movimenti popolari. Con riguardo specifico al diritto alla casa, è stata contestata l’elusione
dei meccanismi decisionali democratici previsti dalla costituzione brasiliana, la mancanza di
trasparenza e di informazione e la strumentalizzazione dei principi e dei dispositivi legali e
finanziari dello Statuto, al fine di facilitare progetti infrastrutturali e operazioni immobiliari,
che nella sola Rio hanno determinato la rimozione e il pericolo di rimozione per quasi 11
20
mila famiglie (Dossiê do Articulação Nacional dos Comitês Populares da Copa, 2012;
Dossiê do Comitê Popular da Copa e Olimpíadas do Rio de Janeiro, 2013). La violazione del
diritto all’abitazione ha inoltre comportato anche la negazione del diritto di intere comunità
povere a rimanere nelle aree centrali, che grazie alla vicinanza alle comunità di appartenenza
e a essenziali infrastrutture urbane, dai servizi pubblici alle zone del commercio, garantiva
l’accesso a supporti fondamentali (Souza, 2012).
L’eruzione delle proteste del giugno 2013, che ha coinvolto oltre 400 città e 10 milioni di
partecipanti e ha visto una base sociale particolarmente eterogenea reclamare il diritto
all’esercizio di un potere comune sui processi di urbanizzazione, a Rio ha agevolato
l’incontro tra comitati popolari, residenti delle favelas, studenti e ceto medio, facilitando
l’articolazione di domande comuni. Iniziata come protesta contro l’aumento delle tariffe dei
trasporti pubblici e ulteriormente rinvigorita dalla repressione poliziesca, l’ondata di
manifestazioni urbane ha finito per abbracciare un’agenda politica via via più ampia che ha
incorporato la richiesta di diritti specifici, come la partecipazione democratica, l’educazione,
la salute, il trasporto pubblico, la casa, la lotta contro la povertà, fino a caratterizzarsi come
domanda collettiva di trasformazione radicale della società brasiliana e di profonda riforma
dell’esercizio del potere politico (Holston, 2013; Silva, 2013).
Mentre il modello neoliberista di organizzazione dei giochi ha puntato a privatizzare il
controllo del surplus prodotto dall’organizzazione dei giochi, slogan come ‘Chiamami
Coppa del Mondo e investi in me’, ‘Vogliamo scuole e ospedali di qualità Fifa’, ‘Il furto
deve finire’, ‘Contro i crimini della Coppa del Mondo’, ‘Coppa del Mondo per chi?’, sono
diventati i manifesti semiotici di una lotta strategica di più ampio respiro per un diritto, non
solo legale ma anche morale, all’abitare.
5. Conclusioni
Rio de Janeiro rappresenta una città dalle molte facce e dalle grandi contraddizioni,
incastonate nella sua unicità e nella sua complessa topografia. Il contrasto tra il mondo delle
21
favelas e quello della Rio benestante, descritto nel linguaggio quotidiano carioca come la
dicotomia “morro/asfalto”, più di ogni altro elemento rappresenta la complessità delle
divisioni e delle linee di segregazione che attraversano la città.
Il contrasto morro/asfalto è strettamente connesso all’accelerazione impressa ai processi di
trasformazione della città, giacché l’adozione di un modello imprenditoriale di governance
urbana ha ricondotto tale contrasto a una logica di pacificazione delle favelas funzionale
soprattutto alla messa in valore dell’unicità delle risorse materiali e immateriali della città
nei circuiti dell’economia globale.
La logica neoliberista che guida la politica dei mega eventi prende forma grazie a strategie
imprenditoriali che riguardano tanto le infrastrutture fisiche (trasporti, comunicazioni,
edifici, impianti) quanto quelle sociali (educazione, tecnologia, cultura, controllo sociale),
con l’obiettivo di dar vita a un sistema di sinergie nei processi di urbanizzazione che
permetta la creazione e la realizzazione di forme di accumulazione e di rendite sia per gli
interessi privati che per i poteri statali.
La ricerca di tali rendite riguarda la sfera dello sviluppo immobiliare, delle iniziative
economiche, della finanza pubblica, dell’innovazione politica, e di quella che Harvey (2012)
definisce la “sfera del capitale simbolico”, attraverso cui la stessa meta-narrazione “Rio città
Meravigliosa”, assurge a nuovo marchio urbano che vende l’immagine della città come
ambiente favorevole agli investimenti e diventa esso stesso un grande business (Jaguaribe,
2012).
Mentre a scala nazionale la transizione al neoliberismo avviene più lentamente, a Rio i
mega-eventi sportivi hanno operato da meccanismi di accelerazione dell’implementazione di
un modello di governance neoliberale (Gaffney, 2014).
Ciò nonostante, dall’analisi sono emerse diverse peculiarità che rischiano di rimanere
oscurate dall’adozione a-critica e deterministica di schemi interpretativi convenzionali.
In primo luogo, l’analisi della strategia dei mega-eventi ha mostrato come il sogno di
trasformare Rio in una città globale sia strettamente connesso a specifiche dinamiche
economico-politiche nazionali e locali: un aspetto non centrale nelle analisi convenzionali
22
che, invece, tendono a enfatizzare il ruolo di fattori esterni, per esempio i programmi di
aggiustamento strutturale, come elementi cruciali per l’implementazione delle politiche
neoliberali nelle città del Sud globale (Ong, 2006).
La stessa introiezione di modelli universali di sviluppo e di pianificazione della città, lungi
dal rappresentare il risultato di un progetto neocoloniale imposto da attori globali e dal
capitale finanziario, come diverse narrazioni post-coloniali tendono a enfatizzare (Vainer,
2014), è stata promossa dal governo urbano come strumento di sviluppo locale e di
competizione globale, in grado di valorizzare la diversità e l’unicità della città del Sud
globale. D’altra parte, la forza persuasiva di tale strategia urbana nei confronti del
movimento olimpico e di altri attori globali dimostra come il capitalismo si alimenta tanto
d’integrazione e omogeneizzazione territoriale, quanto di valorizzazione delle differenze.
In secondo luogo, l’analisi ha rilevato che la “mondializzazione” di Rio determina una
complessa riconfigurazione dei rapporti centro-periferia (Roy, 2011). Mentre le teorie
convenzionali della città globale accentuano l’importanza della concentrazione di funzioni
direzionali e dell’attrazione di imprese, capitali e lavoratori qualificati, il riposizionamento di
Rio nei flussi materiali e immateriali del capitalismo globale si lega soprattutto alla
“globalizzazione” delle sue periferie e alla decentralizzazione dello spazio reticolare di
produzione della conoscenza.
In terzo luogo, nonostante la conferma di una profonda de-politicizzazione della governance
urbana, il confronto con le contraddizioni e le tensioni che caratterizzano la produzione dello
spazio urbano ha, anche, dimostrato che la città delle eccezioni è fondamentalmente locale e
politica. La strategia globale di Rio ha aperto una finestra di opportunità politiche per reti di
attori, visioni di sviluppo e progetti politici di segno anche opposto. Tali considerazioni
appaiono ancor più cariche di significati in una realtà come l’America latina che, oltre ad
esser stata usata come laboratorio di politiche neoliberiste, ha operato anche come terreno di
sperimentazione di modelli politici alternativi ed extra-neoliberali. La storia dello Statuto
della Città, in particolare, ha dimostrato la capacità dei movimenti sociali urbani di
23
influenzare non solo la politica locale e nazionale, ma le stesse visioni globali di
emancipazione ed equità sociale (UN Habitat, 2006; Parnell e Robinson, 2012).
In un’ottica più pragmatica, se egemonia globale e autonomia locale, territorialità e
relazionalità, sono elementi co-costitutivi della politica urbana, si ha un aumento della
complessità analitica, dato che il processo definito di territorializzazione viene a dipendere
dall’incontro-scontro di molteplici logiche di organizzazione territoriale, che vanno studiate
nella loro complessa interazione sia per una migliore comprensione della realtà esistente, che
comprende anche la valutazione degli effetti prodotti dalla politica dei mega-eventi, sia per
l’immaginazione di un nuovo territorio e di una nuova società.
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