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Sources for Philo's "De vita Mosis"

Date post: 23-Apr-2023
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Fra le numerose opere di Filone Alessandrino, autore quanto mai proli- fico e piuttosto ben conservato, il De vita Mosis è certamente una delle più controverse quanto a genere letterario, collocazione nel corpus filoniano e destinazione 1 . Raramente, peraltro, ci si è soffermati sulle fonti su Mosè impiegate da Filone, anche se non mancano studi sulle fonti dell’opera filoniana nel suo insieme, e in particolare sulla formazione culturale di Filone 2 . Eppure, è Filone stesso che conduce l’attenzione del lettore del De vita Mosis a questa tematica, con riferimenti espliciti sistemati nei punti più evidenti dell’opera: l’introduzione e la conclusione 3 . 1. L’introduzione del De vita Mosis Tra le varie affermazioni programmatiche che aprono il De vita Mosis 4 , ve ne sono alcune dedicate alle fonti che Filone ha intenzione di utilizzare per raccogliere le informazioni necessarie alla composizione dell’opera: 1 La bibliografia relativa a questi argomenti è vasta e analizza tutte le posizioni; fra i lavori più significativi si possono citare: COHN, Chronologie, 417; LEISEGANG, Philon, 30-32; GOODENOUGH, Introduction, 35, ed Exposition, 109-110 e 124-125; SANDMEL, Philo, 11; DANIÉLOU, Filone, 28-30 e 101; NIKIPROWETZKY, Commentaire, 182 e 195- 197; PEARCE, King Moses, 42-45; RUNIA, Philon, 852; BORGEN, Philo, 118; PRIESSNIG, Form, 150-155; MCGING, Philo’s Adaptation, 20. 2 Tra gli studi più rilevanti su questo tema si vedano: WOLFSON, Philo, 88-90; DA- NIÉLOU, Filone, 54; SANDMEL, Philo, 13; GOODENOUGH, Introduction, 9; LEISEGANG, Phi- lon, 4; MORRIS, Filone, 1140; NIKIPROWETZKY, Commentaire, 81; SCHWARTZ, Philo, 18; WINSTON, Philo, 235. BORGEN, Philo, 124-126, sintetizza le diverse posizioni. 3 Va sottolineato che nelle altre biografie conservate non si trovano mai invece neppure brevi cenni alle fonti. La rilevanza che queste ottengono nel De vita Mosis è probabilmente un indice della diversità del destinatario: per un pubblico greco, abituato a conoscere le fonti dichiarate degli storici e in possesso di informazioni che Filone in- tende confutare (Mos. 1,2), la conoscenza della provenienza dei dati era indispensabile. 4 Nei primi paragrafi l’autore definisce l’oggetto del suo trattato, e cioè Mosè, legislatore e sommo sacerdote del popolo giudaico, e si sofferma sulla sua intenzione di fornirne un’immagine corretta a quanti siano degni di conoscerlo, smentendo in tal modo le calunnie diffuse sul suo conto per invidia. Questo è un tovpo" piuttosto comune nella letteratura biografica, come rileva SWAIN, Portraits, 263; cfr. anche l’introduzione alla Vita di Apollonio di Filostrato (1,2). MANUELA BARETTA FILONE, IL DE VITA MOSIS E LE SUE FONTI SCO 60 (2014), 73-97 · DOI 10.12871/97888674149946
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Fra le numerose opere di Filone Alessandrino, autore quanto mai proli-fico e piuttosto ben conservato, il De vita Mosis è certamente una delle più controverse quanto a genere letterario, collocazione nel corpus filoniano e destinazione1. Raramente, peraltro, ci si è soffermati sulle fonti su Mosè impiegate da Filone, anche se non mancano studi sulle fonti dell’opera filoniana nel suo insieme, e in particolare sulla formazione culturale di Filone2. Eppure, è Filone stesso che conduce l’attenzione del lettore del De vita Mosis a questa tematica, con riferimenti espliciti sistemati nei punti più evidenti dell’opera: l’introduzione e la conclusione3.

1. L’introduzione del De vita MosisTra le varie affermazioni programmatiche che aprono il De vita Mosis4,

ve ne sono alcune dedicate alle fonti che Filone ha intenzione di utilizzare per raccogliere le informazioni necessarie alla composizione dell’opera:

1 La bibliografia relativa a questi argomenti è vasta e analizza tutte le posizioni; fra i lavori più significativi si possono citare: Cohn, Chronologie, 417; Leisegang, Philon, 30-32; goodenough, Introduction, 35, ed Exposition, 109-110 e 124-125; sandmeL, Philo, 11; daniéLou, Filone, 28-30 e 101; nikiprowetzky, Commentaire, 182 e 195-197; pearCe, King Moses, 42-45; runia, Philon, 852; Borgen, Philo, 118; priessnig, Form, 150-155; mCging, Philo’s Adaptation, 20.

2 Tra gli studi più rilevanti su questo tema si vedano: woLfson, Philo, 88-90; da-niéLou, Filone, 54; sandmeL, Philo, 13; goodenough, Introduction, 9; Leisegang, Phi-lon, 4; morris, Filone, 1140; nikiprowetzky, Commentaire, 81; sChwartz, Philo, 18; winston, Philo, 235. Borgen, Philo, 124-126, sintetizza le diverse posizioni.

3 Va sottolineato che nelle altre biografie conservate non si trovano mai invece neppure brevi cenni alle fonti. La rilevanza che queste ottengono nel De vita Mosis è probabilmente un indice della diversità del destinatario: per un pubblico greco, abituato a conoscere le fonti dichiarate degli storici e in possesso di informazioni che Filone in-tende confutare (Mos. 1,2), la conoscenza della provenienza dei dati era indispensabile.

4 Nei primi paragrafi l’autore definisce l’oggetto del suo trattato, e cioè Mosè, legislatore e sommo sacerdote del popolo giudaico, e si sofferma sulla sua intenzione di fornirne un’immagine corretta a quanti siano degni di conoscerlo, smentendo in tal modo le calunnie diffuse sul suo conto per invidia. Questo è un tovpo" piuttosto comune nella letteratura biografica, come rileva swain, Portraits, 263; cfr. anche l’introduzione alla Vita di Apollonio di Filostrato (1,2).

manueLa Baretta

Filone, il DE VItA MosIs e le sue Fonti

SCO 60 (2014), 73-97 · DOI 10.12871/97888674149946

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ta; peri; to;n a[ndra mhnuvsw maqw;n aujta; kajk bivblwn tw`n iJerw`n, a}" qaumavsia mnhmei`a th`" auJtou` sofiva" ajpolevloipe, kai; parav tinwn ajpo; tou` e[qnou" presbutevrwn: ta; ga;r legovmena toi`" ajnaginwskomevnoi" ajei; sunuvfainon (1,4)5.

L’autore afferma dunque di fare affidamento su due tipi di fonti: scritte e orali. Per quanto riguarda le prime, non c’è dubbio che si trat-ti del testo biblico, e in particolare del Pentateuco, del quale proprio Mosè è considerato l’autore6. Più precisamente, è chiaro che la base per quest’opera è costituita dai libri di Esodo, Levitico, Numeri e Deutero-nomio, che contengono appunto le vicende relative alla vita di Mosè, dalla situazione degli Ebrei in Egitto al tempo della nascita del pro-tagonista fino all’arrivo nella terra di Canaan e alla morte della guida designata da Dio7.

Molto probabilmente si tratta del testo greco della Bibbia: Filone, Giudeo della Diaspora perfettamente integrato nella società alessandrina insieme a tutta la sua famiglia8, aveva certamente più familiarità con la lingua greca che con quella ebraica9. Questo è confermato anche dall’in-sistenza con la quale Filone definisce la traduzione greca ‘sacra’10 e dalla veemenza con la quale asserisce l’ispirazione divina dei traduttori, equi-parando in tal modo la versione greca al testo ebraico originale11. Vi sono

5 «Rivelerò quanto riguarda quell’uomo, dopo averlo appreso sia dai testi sacri, che lasciò come meravigliosi ricordi della propria saggezza, sia da alcuni anziani del popolo: infatti ho sempre intrecciato i racconti orali con quelli letti».

6 Filone stesso attribuisce la paternità del Pentateuco a Mosè, ed è il primo a farlo, come sottolinea rosso uBigLi, Image, 61-62; siegert, Philo, 171, ritiene tuttavia che questa sia una semplice concessione apologetica alla cultura ellenistica, «in which a hero of the past and a great author is more credible – and no less venerable – than a voice from heaven».

7 Benché siano testi scritti, secondo le indicazioni dello stesso Filone non vanno conteggiate in questa categoria le opere degli autori giudaico-ellenistici, certamente meno affidabili di uno scritto sacro.

8 Si vedano in particolare su questo le testimonianze di Flavio Giuseppe, Ant. 18,159-160; 19,276-277; 20,100; BJ 5,45-46; 5,205; 6,237, e Tacito, Hist. 1,11; 2,74; 2,79.

9 Ritengono che conoscesse l’ebraico poco o per nulla goodenough, Introduction, 9; Leisegang, Philon, 4; morris, Filone, 1140; nikiprowetzky, Commentaire, 81; sCh-wartz, Philo, 18; winston, Philo, 235. In controcorrente sono invece woLfson, Philo, 88-90, che ritiene che Filone conoscesse l’ebraico, benché preferisse ricorrere al testo dei Settanta, più familiare al suo pubblico, e daniéLou, Filone, 54, sulla base della spiegazione del significato di alcuni termini ebraici.

10 Per esempio in Mos. 1,4; 2,45; 2,59; 2,188.11 Cfr. per esempio Mos. 2,25-40. Su Filone e la traduzione dei Settanta, anche in

relazione alla Lettera di Aristea, cfr. sLy, Philo’s, cap. 4; si veda anche kamesar, Bi-blical, 65-72. A proposito del testo biblico di Filone, cfr. katz, Bible, che individua un testo greco diverso dai Settanta e dalla recensione di Aquila; lo studio è però discutibile

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inoltre nel De vita Mosis alcuni passi, peraltro piuttosto celebri, che indi-cano una consonanza con la Bibbia dei Settanta piuttosto che con quella ebraica. Per esempio, nel narrare la piaga delle cavallette, Filone, come la Bibbia greca, narra che gli insetti furono portati da un vento prove-niente da sud (novto", Mos. 1,120; novton, Ex. 10,13), mentre il testo ma-soretico parla di un vento dell’est. E mentre il testo ebraico riferisce che Balaam e Balaq offrirono sacrifici alla divinità insieme (Num. 23,2), i Settanta e Filone narrano che il re sacrificava sugli altari da solo, mentre il profeta pregava Dio (Mos. 1,277): l’impossibilità di spiegare altrimen-ti questa modifica suggerisce che Filone conoscesse l’episodio secondo i Settanta. Ancora, fra i segni della potenza divina offerti nell’episodio del roveto ardente (Mos. 1,79), Filone non fa cenno al paragone fra la mano bianca e la lebbra che si trova nel testo ebraico (Ex. 4,6), ma non in quello greco o negli autori giudaico-ellenistici conservati. In questo caso resta però qualche dubbio, in quanto l’omissione potrebbe anche essere deliberata, al fine di non alimentare le dicerie che collegavano Ebrei e lebbrosi proprio a proposito dell’esodo12: anche nell’ipotesi che l’autore conoscesse il paragone, è molto difficile pensare che ne avrebbe parlato, visto il contesto in cui viveva. Non manca tuttavia almeno un passo in cui Filone sembra più vicino al testo ebraico che a quello greco: nella piaga delle ulcere, che viene affidata a entrambi i fratelli, i Settanta13 in-dicano come unico esecutore Mosè (Ex. 9,10), mentre nel De vita Mosis, come in ebraico, sia Mosè sia Aronne prendono la terra, anche se è il solo profeta a gettarla in aria. Questo caso non può però essere conside-rato decisivo, in quanto l’ordine di Dio (Ex. 9,8) in entrambe le versioni contempla la compartecipazione di tutti e due i fratelli e Filone, che insi-ste su questo aspetto rilevante per la sua ripartizione dei castighi, potreb-be essersi ispirato solo alle parole di Dio o aver deliberatamente ignorato il particolare meno congeniale. Nonostante questi punti fermi relativi alla lingua della Bibbia di Filone, il discorso resta comunque complesso, perché coinvolge tutte le problematiche relative alla situazione del testo biblico tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C. ad Alessandria d’Egitto14.

perché non tiene conto dell’abitudine alla parafrasi che domina nel testo e più in genera-le nella letteratura antica. Il De vita Mosis non viene comunque preso in considerazione. Cfr. anche l’accurata analisi di royse, text, 17-22.

12 La calunnia della lebbra era molto diffusa fra gli autori antisemiti dell’epoca: si veda, per esempio, Apione in Ios., Ant. 2,15 o Tacito, Hist. 5,4.

13 Con l’eccezione del codex Alexandrinus, dove si legge e[labon; si tratta però di un manoscritto generalmente vicino al testo ebraico e quindi poco affidabile in questio-ni di questo tipo.

14 Innumerevoli sono i testi che affrontano la complessa questione; cfr., per esem-pio, soggin, Introduzione; fernández marCos, Bibbia.

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Per quanto riguarda i racconti degli anziani del popolo, le cosiddette fonti orali, per loro stessa natura, sono complesse da individuare, da-tare e contestualizzare. In base a quanto afferma Filone e alla tematica dell’opera, si tratta di materiale narrativo più che esegetico o legislativo, quindi haggadico più che halakhico15. È molto probabile che Filone pen-si a racconti trasmessi all’interno della sinagoga da coloro che detene-vano la maggiore autorità morale, a fianco delle interpretazioni religiose del testo biblico. Sul contenuto di queste leggende non è però possibile avere alcuna certezza; tutt’al più si possono avanzare ipotesi e cercare di tracciare alcune linee generali grazie al confronto fra le numerose narra-zioni extrabibliche conservate, che tuttavia, proprio in quanto tali, hanno perso il carattere orale. Proprio per questo risulta impossibile stabilire quali autori o quali opere fossero conosciuti da Filone16. Le narrazioni riguardanti Mosè, data la rilevanza del personaggio, sono particolarmen-te numerose17, ma non vi sono certezze sui loro reciproci rapporti né sull’interazione con la tradizione orale; molto vasta è anche la succes-siva esegesi rabbinica, che però va considerata con estrema cautela, in quanto si tratta di un corpus che, per quanto probabilmente riprenda tra-dizioni in parte antiche, fu registrato in epoca più tarda18.

2. La conclusione del De vita MosisAl termine dell’opera, dopo aver narrato in toni elevati e quasi incre-

duli la prodigiosa morte di Mosè, Filone conclude con solennità accen-nando ancora alle fonti di riferimento per la sua opera:

15 Così anche kamesar, Grammatikē, 231: le fonti orali sono un supplemento alla registrazione biblica. Cfr. anche kamesar, Narrative, 68.

16 Anche su questo punto la critica appare divisa: sandmeL, Philo, 13, afferma che Filone non mostra alcuna relazione diretta con gli autori giudaico-ellenistici, mentre siegfried, Ausleger, 145-146, rileva da parte di Filone una buona conoscenza dell’hag-gada, e sterLing, rev. di Cohen, 188, nota significativi contatti fra Filone ed Ezechiele con divergenze comuni dai Settanta, soprattutto a livello lessicale e kamesar, Biblical, 1, sostiene che la conoscenza dell’esegesi giudaica da parte di Filone era molto appro-fondita.

17 Di Mosè, generalmente considerato il personaggio più rilevante della storia ebraica, oltre a Filone, parlano, per lo più in modo piuttosto ampio, Aristobulo, Artapa-no, Eupolemo, Ezechiele tragico, Flavio Giuseppe, il Liber Antiquitatum Biblicarum, il Libro dei Giubilei.

18 Cfr. a questo proposito la lucida analisi di graBBe, Aggada, passim, che esorta anche a tener conto di luoghi comuni del giudaismo e dei processi esegetici di Filone, in gran parte dipendenti dalle correnti filosofiche greche; secondo lo studioso una cor-retta analisi dell’esegesi filoniana deve partire dai paralleli con autori a lui precedenti o contemporanei.

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toiou`to" me;n oJ bivo", toiauvth de; kai; hJ teleuth; tou` basilevw" kai; nomoqevtou kai; ajrcierevw" kai; profhvtou Mwusevw" dia; tw`n iJerw`n grammavtwn mnhmoneuvetai (2,292)19.

A questo punto, dunque, l’autore ricorda esclusivamente la fonte scritta sulla quale si è basato, senza citare quelle fonti orali che in pre-cedenza parevano l’indispensabile e mai trascurato sostegno al Testo Sacro. Proprio per questa assoluta rilevanza, però, non bisogna pen-sare che la loro omissione nella conclusione dell’opera sia una svista di Filone o che l’autore voglia in alcun modo sminuirne l’importanza. Piuttosto, il riferimento alla sola fonte scritta, sacra e perciò autorevole sopra ogni altra, si spiega qui con il tono solenne che caratterizza que-sta parte, tono con il quale si armonizza perfettamente un testo sacro, e meno, forse, racconti orali e variegati.

3. Fonti orali e fonti scritte in FiloneAnche altrove Filone accenna alle fonti utilizzate. In De Abrahamo

99, per esempio, Filone menziona una tradizione esegetica che a quanto pare era diffusa a livello orale: egli afferma h[[kousa mevntoi kai; fusikw`n ajndrw`n oujk ajpo; skopou` ta; peri; to;n tovpon ajllhgorouvntwn oi} to;n me;n a[ndra sumbolikw`" e[faskon spoudai`on ei\nai nou`n20. Analogamente, in De spec. 1,8 si legge tau`ta me;n ou\n eij" ajkoa;" h\lqe ta;" hJmetevra" ajrcaiologouvmena para; qespesivoi" ajndravsin oi} ta; Mwusevw" ouj parevrgw" dihreuvnhsan21. in questi passi il rimando è evidentemente a esegesi contemporanee di stampo filosofico, non a materiale di tipo narrativo come invece è plausibile intendere nel prologo del De vita Mosis: Filone fornisce perciò un’interessante informazione sull’esistenza di una fervida attività sul testo biblico nel

19 «Così dunque è registrata la vita, e così anche la morte del re, legislatore, sommo sacerdote e profeta Mosè, secondo le Sacre Scritture».

20 «Ho sentito anche uomini che studiano la natura che interpretavano non a spro-posito allegoricamente il luogo: dicevano che l’uomo è la mente virtuosa». Il riferimen-to qui è agli insegnamenti pronunciati da alcuni filosofi studiosi della natura, troppo spesso concentrati sul solo significato allegorico delle Scritture al punto da tralasciare l’osservanza letterale della Legge, motivo per il quale Filone li critica. Questa tematica ricorre più volte nella sua opera: in Migr. 89-93, per esempio l’autore insiste sull’im-portanza di ricercare e rispettare entrambi i sensi della Scrittura. Non mancano peraltro critiche anche ai letteralisti puri, che perdono il senso complessivo del testo biblico e rischiano di cadere nell’empietà: si vedano somn. 1,102; QGen. 3,3; Deus 21-22.

21 «Questo dunque abbiamo sentito, trattato come antichità, da uomini straordinari che interpretavano Mosè non superficialmente».

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contesto alessandrino22, ma non offre indizi sui racconti menzionati su Mosè.

In termini più generali, non circoscritti all’ambito delle fonti delle proprie opere, si trovano in Filone altri cenni alla compresenza di orali-tà e scrittura: in De sacr. 78-79, commentando Lev. 19,32 e Num. 11,16 e osservando che è dovere dell’uomo seguire la tradizione, costituita appunto da oralità e scrittura, egli parla di gravmmata sofw`n ajndrw`n e di gnwvmai kai; dihghvsei", i primi, evidentemente, scritti, i secondi orali23. La rilevanza dell’oralità, peraltro, è sottolineata anche a propo-sito dell’educazione religiosa dei bambini, come in spec. 4,149-150, dove si parla dell’importanza della legislazione non scritta e del mante-nimento delle tradizioni, definite ‘leggi non scritte’ (e[qh ga;r a[grafoi novmoi). Del resto, in Legat. 115, l’autore afferma che Mosè insegnò agli Ebrei a credere in un solo Dio creatore del mondo sia attraverso le leggi sacre (tw`n ijerw`n novmwn) sia attraverso tradizioni orali (tw`n ajgravfwn ejqw`n), prova chiara che Filone conosceva e riconosceva come autore-vole anche la Torah in forma orale.

Non c’è perciò dubbio sul fatto che Filone conoscesse e ampiamente utilizzasse, senza significative distinzioni di valore, entrambi i tipi di fonti a sua disposizione, concorrendo peraltro anche alla formazione e alla diffusione della tradizione orale nell’ambito sinagogale24 e della se-

22 Non vi sono certo dubbi sull’esistenza in età antica di pratiche esegetiche orali sulla Scrittura, volte a illustrarne le contraddizioni interne o i passi di difficile com-prensione, come anche ad abbellire o amplificare la narrazione: cfr. BiCkerman, Ebrei, 237-254, e danieL, specialibus, LXII, che pone come prima testimonianza di questa tradizione orale nel tempo la Lettera di Aristea, 128-171, dove sono spiegate le motiva-zioni di alcune prescrizioni bibliche di purità.

23 Questo passo è individuato e discusso da kamesar, Philo, 231-234: secondo lo stu-dioso per Filone la narrativa haggadica corrisponde alla parte storica della grammatikhv intesa in senso ellenistico, come studio dei personaggi, dei luoghi e delle azioni.

24 In effetti gli studiosi in gran parte propendono per una certa conoscenza della tradizione orale da parte di Filone; Borgen, Philo, 124-126 sintetizza le varie posizio-ni a questo proposito e mette quindi in evidenza come, data l’impossibilità di dividere nettamente il giudaismo palestinese da quello ellenistico, un certo contatto fra Filone e l’esegesi palestinese vada necessariamente supposto, anche perché Filone stesso si recò in pellegrinaggio a Gerusalemme. Alcuni studiosi, inoltre, hanno messo in luce analogie fra le spiegazioni di Filone e quelle dei rabbini, per esempio sulla manna (Borgen, Bread) o sulla nascita di Mosè (Meeks). A questo vanno aggiunte, fra le altre, le posizioni di Cohen, origins, 40, che ritiene che le fonti orali fossero preferite e analizza la storia della nascita di Mosè nella tradizione giudaica; di sfameni ga-sparro, Balaam, 37, che, in riferimento all’episodio di Balaq e Balaam, nota come sia «difficile se non impossibile individuare la natura e i contenuti» della tradizione orale, dato importante per valutare l’originalità di Filone; cfr. anche graBBe, Aggada, passim. Leisegang, Philon, 4, e meeks, Prophet-king, 101-102, sostengono invece che Filone avesse come base essenzialmente la Torah e che conoscesse solo poche

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rie di esegesi e approfondimenti sul testo biblico tipici della letteratura giudaico-ellenistica.

4. Fonti orali e fonti scritte nell’antichità greco-romana e giudaicaLa discussione sull’uso delle fonti, scritte od orali, è frequente nella

letteratura antica, greca e giudaica: in entrambi i casi si può notare una significativa e generalizzata preferenza per le seconde. Per gli storici greci, per esempio, le notizie più affidabili provenivano dall’autopsia, che ovviamente diveniva impossibile in caso di avvenimenti lontani nel tempo, oppure da testimonianze raccolte oralmente e selezionate in modo più o meno rigoroso; piuttosto raro era il ricorso a fonti scrit-te, come archivi o documenti, interessanti soprattutto per il genere antiquario erudito o apprezzate in epoca più tarda25. Erodoto, come dichiara più volte nel corso dell’opera, basava la propria ricerca sia su fonti scritte sia sui racconti degli abitanti dei luoghi visitati, e sotto-poneva poi ogni informazione al personale giudizio. Tucidide (1,20,1; 1,22,2-3) afferma con decisione il valore dell’autopsia e dei resocon-ti orali, purché sia verificata con attenzione l’affidabilità della fonte, mentre critica le fonti orali se accettate senza alcun discernimento26. In campo filosofico, Socrate aveva del tutto rifiutato lo scritto, con-centrandosi invece sul dialogo, e Platone (Phaedr. 277d-e) sviluppò un’articolata riflessione sul testo scritto, mostrandone limiti e forme opportune27.

Nella tradizione giudaica, accanto all’indiscussa autorità della Bib-bia, esisteva una forma di legislazione orale, la halakah, di valore pari a quello dei testi sacri e volta a fornire indicazioni sulle nuove situazioni di vita quotidiana con valore pari a quello dei testi sacri. Si andava inol-tre progressivamente formando la haggadah, un corpus orale di narra-zioni, spiegazioni e abbellimenti dei racconti contenuti nella Bibbia,

tradizioni aggadiche. Tuttavia questa posizione sembra ipotizzare un isolamento di Filone dall’intera comunità giudaica assolutamente lontano dalle testimonianze ester-ne e dell’autore stesso. Si veda come prova definitiva e indiscutibile il fatto che ogni bambino ebreo veniva istruito nelle Leggi sacre e nei costumi non scritti (Legat. 115). È del resto probabile che Filone abbia tenuto lezioni esegetiche durante le riunioni sinagogali del sabato, come osservano BarCLay, Diaspora, 160; daniéLou, Filone, 26-27; runia, Philon, 851.

25 Sulle fonti degli storiografi antichi, cfr. BettaLLi, Introduzione, 56-59; magnet-to, in BettaLLi, Introduzione, 141-144; momigLiano, Storiografia, passim.

26 Cfr. anche Plut., Demost. 31,7.27 Su questa tematica si veda anche il proemio del teeteto, sul metodo di registra-

zione dei dialoghi di Socrate, e gaiser, Platone, 77-101.

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in particolare per quanto riguarda i patriarchi e Mosè; un sostanziale contributo proveniva anche dai Giudei ellenizzati, che interpretavano il testo sacro alla luce della cultura ellenistica.

L’unica, significativa, voce discordante sul valore da attribuire alle fonti orali sembra essere quella di un altro Giudeo ellenizzato come Filone: Flavio Giuseppe. Lo storico, infatti, pur accettando anche l’au-topsia come fonte autorevole (C. Ap. 1,53-54), insiste più volte sulla propria scrupolosa aderenza ai testi sacri, rifiutando, almeno in via pro-grammatica, testimonianze prive di fondamento scritto (Ant. 20,260-261), e ritenendo perciò poco valida la storiografia greca, tanto con-traddittoria (C. Ap. 1,15-27). Egli misura l’affidabilità propria e degli avversari sulla base della fonte di riferimento: nel Contra Apionem, per esempio, Manetone è ritenuto degno di fede finché riporta quanto è registrato negli archivi egiziani (C. Ap. 1,73), ma diviene portatore di menzogne nel momento in cui si basa sulle favolette tramandate fra il popolo (C. Ap. 1,229). Lo stesso Apione viene confutato con pungente ironia perché sostiene di basarsi su quanto raccontano alcuni degli an-ziani fra gli Egizi proprio a proposito di Mosè28.

5. Le motivazioni di FiloneÈ dunque evidente che Filone si inserisce in una tradizione nella

quale, grazie a precedenti autorevoli di entrambe le culture, narrazio-ni scritte e narrazioni orali potevano essere utilizzate con pari dignità come fonti per un racconto storico o biografico. La stessa tradizione imponeva comunque di dichiarare, almeno genericamente, quali fosse-ro le fonti utilizzate, per un’esigenza di completezza dell’informazione alla quale era impossibile sottrarsi per non perdere la fiducia dei lettori. Del resto lo stesso Filone, dopo aver specificato che la sua opera poggia su fonti scritte e orali, precisa anche lo scopo di questa operazione: kai; dia; tou`t’e[doxa ma`llon eJtevrwn ta; peri; to;n bivon ajkribw`sai29 (1,4). La commistione di ogni possibile tipo di fonte assicura a Filone la massima precisione riguardo ai fatti e gli permette dunque di superare quanti si erano cimentati nell’impresa prima di lui e di meritare così l’attenzione del pubblico al quale egli si rivolge.

28 ios., CAp. 2,10: h[kousa para; tw`n presbutevrwn tw`n Aijguptivwn. Cfr. 2,13 per la risposta di Giuseppe.

29 «E in questo modo penso di essere stato preciso più di altri a proposito della vita».

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6. La fonte scritta del De vita Mosis: esempiAssai rare sono le citazioni letterali delle Scritture non solo nel De

vita Mosis, ma più in generale nell’intero corpus filoniano30. in nessun caso l’autore menziona la fonte della sua citazione, che risulta ricono-scibile solo grazie alle parole che la introducono o alla familiarità del lettore con la Bibbia.

Una prima categoria di citazioni, la più vasta, è costituita da termini tecnici e toponimi che Filone riprende dal testo biblico con una certa precisione; solitamente questi casi sono ben segnalati attraverso il verbo ojnomavzw o suoi sinonimi. In un inciso a 1,188, per esempio, è presente un toponimo, Aijlei;m wjnomavzeto, ripreso da Ex. 15,27, dove la differente forma Ailim è spiegabile per itacismo. Così, a 1,219 si legge il nome dell’altare costruito da Mosè: ajpo; tou` sumbebhkovto" wjnovmase qeou` katafugh;n, ripresa alquanto libera di Ex. 17,15: ejpwnovmasen to; o[noma aujtou` Kuvriov" mou katafughv. Anche la definizione di Mosè come ‘amico di Dio’ è chiaramente ripresa dal testo biblico, come indica anche la presenza del verbo di dire: a 1,156 si dice f ivlo" oJ profhvth" ajneivrhtai qeou`, ripreso da Ex. 33,11. A questi esempi vanno aggiunti alcuni termini tecnici del culto, come a 2,95 to; legovmenon ejn iJerai`" bivbloi" iJlasthvrion, secondo la definizione di Ex. 25,17 per il coperchio dell’Arca dell’Alleanza; e a 2,109 to; de; prosagoreuovmenon ejpwmiv", come si trova in Ex. 28, passim, per indicare uno dei paramenti del sommo sacerdote; a 2,112, con tw/` prosagoreuomevnw/ logeivw/ come in Ex. 28, 15 per il pettorale del sommo sacerdote. In entrambi i casi il verbo di dire suggerisce la vicinanza con una fonte, che si può individuare senza difficoltà nel testo biblico. Un caso particolarmente interessante si trova infine a 1,37, nel corso della narrazione dei soprusi e dei lavori imposti agli Ebrei dal Faraone, causa di tanta sofferenza per Mosè: qui il termine tecnico ejrgodiwvkth", presente esclusivamente nei Settanta (Ex. 3, passim) viene ripreso e spiegato con ejrgodiwvkta" ajpo; tou` sumbebhkovto" wjnovmazon. In questo passo sorprende che venga introdotta questa spiegazione etimologica relativa alla denominazione dei sorveglianti egiziani degli Ebrei, spiegazione poco rilevante per il racconto e per la sua interpretazione. Il termine, benché piuttosto raro, non doveva certo risultare particolarmente ostico, in quanto composto da parole diffuse e facilmente comprensibili. È possibile che qui Filone abbia cercato la massima precisione lessicale per i suoi lettori più

30 Sulla questione delle citazioni bibliche in Filone cfr. l’esauriente status quae-stionis in passoni deLL’aCqua, text: qui vengono passati in rassegna i principali studi e si evidenzia come il problema sia ancora aperto. La studiosa invita giustamente a tenere in considerazione durante l’analisi ragioni esegetiche, ma anche letterarie e stilistiche.

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esigenti, riportando una definizione sconosciuta a quanti non avevano l’abitudine di frequentare il testo biblico e riconducendone l’origine al contesto nel quale essi vivevano31, secondo un gusto per l’erudizione che non è estraneo a Filone32.

Altre volte Filone propone parole o espressioni del testo biblico per mostrarne la rilevanza e l’adeguatezza al contesto: egli elogia dunque la scelta lessicale e la precisione di Mosè, illustrandone le motivazioni. Questo avviene, per esempio, quando la citazione di una breve frase tratta da Ex. 8,15 per descrivere la piaga della zanzara e ripresa a 1,112, davktulo" qeou` tou`t’ejstiv, diviene l’occasione per provare l’invincibile potenza di Dio. O anche a 2,149, ripreso anche a 2,152, o}n ejtuvmw" teleiwvsew" ejkavlesen, così come in Ex. 29,26 e Lev. 8,22: qui Filone presenta un termine tecnico del sacrificio, per spiegarne subito dopo l’etimologia e lodarne la scelta. Più avanti, quando Filone illustra la legislazione riguardo gli aventi diritto all’eredità dei genitori, per due volte egli mostra di approvare il linguaggio scelto dal profeta. A 2,243, infatti, l’autore sottolinea come per le figlie femmine, che ottenevano parte dell’eredità solo in mancanza di figli maschi, i beni non costituissero una reale proprietà, ma quasi un ornamento esclusivamente esterno: di conseguenza appare particolarmente appropriato l’uso del verbo peritiqevnai, con il quale si raffigurava dunque il gesto di indossare qualcosa che non entra però a far parte dell’essere. Più discutibile è il giudizio di Filone su altri termini sempre inerenti al tema dell’eredità: a 2,242 si sottolinea come le parole indichino con chiarezza (ejnargevstata) che per una femmina l’eredità era un dono (dovma e dwvsei") e non un pagamento (ajpovdoma e ajpodwvsei"), in quanto esse erano in realtà oggetto di una grazia (carizomevnwn) e non ricevevano qualcosa di dovuto (lambanovntwn). Qui Filone, che ovviamente conosceva perfettamente la lingua greca, non sembra tuttavia essere del tutto nel giusto, in quanto il termine ajpovdoma, che ricorre solo nei Settanta (Num. 8,13), ha in realtà proprio il significato di ‘dono’. Tuttavia, la sua spiegazione può essere accettata in nome di una simmetria stilistica che doveva dare maggiore efficacia al suo giudizio anche senza una precisione assoluta dal punto di vista linguistico.

31 nella Bible d’Alexandrie, 107, si osserva tuttavia che questa annotazione di Filone deriva da un errore dell’autore, che nella sua narrazione confonde i capi e i sorveglianti, distinti in Ex. 5,6; a p. 90 si nota inoltre che il termine greco non ha in sé implicazioni di oppressione né in altri passi dei Settanta (cfr. 2Par. 8,10) né nelle poche attestazioni papirologiche.

32 Si veda a questo proposito anche la citazione accessoria del termine neovkoroi (2,174), per cui anche infra.

Filone, il DE VItA MosIs e le sue Fonti 83

Particolarmente sentito è infine l’elogio di Filone per le parole con le quali Mosè richiama presso di sé quanti non si erano allontanati dal culto del Signore e avevano rifiutato il vitello d’oro durante la sua permanenza sul Sinai (Mos. 2,168); in questo caso l’autore si soffer-ma a evidenziarne la concisione e al contempo la straordinaria forza espressiva, per poi approfondirne il significato. L’esortazione riprende in maniera pressoché letterale quella del profeta nel testo biblico (Ex. 32,26): al biblico ti;" pro;" Kuvrion; i[tw prov" me, traduzione letterale dell’ebraico, corrisponde il più elegante ma meno incisivo ei[ ti" pro;" kuvrion i[tw pro;" mev. Al di là delle differenze stilistiche, è qui evidente l’influenza del testo biblico su Filone, con anzi un contatto stretto con la lezione della Vulgata33.

È poi possibile individuare nel De vita Mosis passi che riprendono numerose parole del testo biblico, benché in forma diversa da quel-la scritturale: si tratta forse di citazioni ‘libere’, forse a memoria34. le modifiche stilistiche vanno presumibilmente ascritte alla sintassi e al lessico della traduzione greca, che difficilmente poteva essere inserita in un testo scritto in un greco corretto e scorrevole e necessitava dunque di una parafrasi. Così, le profezie di Balaam presentano, dal punto di vi-

33 Non è peraltro impossibile che l’autore citi letteralmente un testo biblico diverso da quello che conosciamo noi, ma ipotizzabile anche sulla base della Vulgata, dove si legge si quis est Domini iungatur mihi. Il suo commento, con il riferimento alle ‘parole pronunciate’ (to; lecqevn) fa anzi propendere per questa ipotesi.

34 Se per i passi che seguono la presenza di numerose parole o di intere espressioni suggerisce con una buona probabilità la dipendenza dal testo biblico, più dubbi sono altri punti, dove solo un termine o un’espressione molto comune accomunano il testo biblico e il De vita Mosis. Si vedano così passi come 1,9 o 1,18, dove Filone, per defini-re la bellezza di Mosè, utilizza lo stesso termine della Bibbia (Ex. 2,2): ajstei`o"; il ter-mine è di uso così comune che è difficile avere la certezza della ripresa terminologica. Anche a 1,122 i ministri del Faraone, sconvolti dall’invasione delle cavallette, esortano il re a lasciar partire gli Ebrei, affermando «che l’Egitto è perduto» (o{ti ajpovlwlen Ai[gupto"), con le stesse parole che pronunciano in Ex. 10,7 in occasione della stessa punizione: anche in questo caso, però, la frase è così semplice che può solo richiamare vagamente il testo biblico. Anche le lamentele che gli Ebrei rivolgono a Mosè sulle rive del Mar Rosso (Mos. 1,171) presentano qualche somiglianza con quelle del testo bibli-co (Ex. 14,11), ma si tratta di termini tanto comuni (mnhvmata; ejxhvgage") e di frasi così rielaborate che il richiamo è solo molto generico. Nello stesso modo, ma con qualche probabilità in più, vanno considerati gli aggettivi scelti da Mosè per sminuire le proprie capacità oratorie: il nesso ijscnovfwnon kai; braduvglwsson compare nel testo biblico (Ex. 4,10) e in Filone (Mos. 1,87) e, nonostante non si tratti di termini tanto particolari da garantire la dipendenza, l’unione dei due offre alcune certezze. Si noti poi che il primo aggettivo si trova anche in Ezechiele tragico (fr. 10), che utilizza inoltre la litote oujk eu[logon, presente anche in Filone: è probabile che quest’ultimo conoscesse la tragedia sull’esodo ed è possibile che alcuni versi risuonassero nella sua mente durante la composizione dell’opera.

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sta lessicale, numerose assonanze con quelle presenti nel testo biblico, nonostante le ovvie differenze stilistiche e in parte anche concettuali35: in questo caso, considerato che i discorsi dell’indovino nella Bibbia sono in forma poetica, non si può escludere che Filone li ricordasse a memoria e li seguisse da vicino considerandoli abbastanza belli anche per un pubblico istruito. Per esempio, uno dei discorsi di Balaam, che avrebbe dovuto maledire Israele per conto di Balaq, si apre in Filone con le stesse parole che troviamo nel corrispondente discorso biblico: ejk Mesopotamiva" metepevmyatov me Balavkh" (Mos. 1,278, cfr. Num. 23,7). Un caso analogo e, va notato, sempre all’interno di un di-scorso diretto, è la risposta del Faraone alla richiesta di Mosè e Aronne di lasciar partire il popolo (1,88): il contenuto e il tono del discorso sono identici a quelli biblici (Ex. 5,2), e anche alcune parole sono riprese, come tiv" ejstin ou|; oujk oi\da to;n ... kuvrion; oujk ejxapostevllw, anche se la risposta è insieme più elegante e fluida, come in tutta l’opera di Filone. Qualche vaga assonanza si trova anche nella replica di Dio alle paure di Mosè di fronte alla missione di liberare il popolo ebraico dall’Egitto: retoricamente la divinità chiede a Mosè chi abbia fornito all’uomo la capacità di parlare: al ti;" e[dwken stovma ajnqrwvpw/ di Eso-do, 4,11, corrisponde in Filone to;n dovnta ajnqrwvpw/ stovma (1,84), che certamente si ispira alla fonte. Anche la frase che racconta l’ingresso di Mosè nella nuvola divina ripropone la terminologia biblica: a 1,158 si trova ei[" te to;n gnovfon, e[nqa h\n oJ qeov", eijselqei`n levgetai (cfr. Ex. 20,21); anche qui i termini sono piuttosto comuni, ma il legame con la fonte è segnalato dal verbo levgetai.

Ancora più significativo è l’inizio dell’esortazione che Dio rivolge a Mosè affinché si affretti a raggiungere il suo popolo colpevole di idola-tria verso il vitello d’oro: bavdize tacevw" ejnqevnde, katabhvqi si legge in Filone (Mos. 2,165), bavdize to; tavco" ejnteu`qen, katabhvqi è nella versione dei Settanta (Ex. 32,7). Tra i due testi non ci sono significative differenze: le uniche diversità riguardano la forma dei due avverbi, che in Filone assumono uno stile leggermente più attico36. La dipendenza è dunque chiara e non si può neppure escludere che il testo biblico di Filone suonasse così come si trova nella sua opera.

È dunque chiaro che queste riprese della fonte riguardano per lo più singole parole, in particolare termini tecnici o nomi propri, inseriti

35 La rilevanza di questo episodio per lo studio delle fonti è sottolineata anche da sfameni gasparro, Balaam, 37.

36 tacevw" e to; tavco" hanno lo stesso significato, ma il secondo si trova prevalente-mente nelle testimonianze papirologiche; ejnqevnde ed ejnteuqen non hanno sostanziali dif-ferenze d’uso e significato. È da notare che alcuni manoscritti del De vita Mosis (BEMF) riportano la lezione ejnteuqen, evidentemente corretta sulla base del testo biblico.

Filone, il DE VItA MosIs e le sue Fonti 85

quasi in forma incidentale e talvolta impercettibile nella narrazione. In qualche sporadico caso alcune parole sono riportate per sottolinearne l’appropriatezza nel contesto, mentre più spesso frasi di particolare rile-vanza conservano una somiglianza con il testo biblico, ma con uno stile più scorrevole e comprensibile, evidentemente corretto da Filone sulla scia del greco classico.

7. Le fonti oraliIl discorso sulle fonti orali è più complesso perché risulta pressoché

impossibile individuarle con certezza; si possono tuttavia ipotizzare delle fonti orali in alcuni casi precisi, grazie a indizi lasciati dallo stesso Filone.

Un primo segnale può essere la presenza di verbi di dire; queste occorrenze, tuttavia, vanno valutate caso per caso. Non sempre, infat-ti, l’impiego di verbi di dire garantisce l’oralità della trasmissione, in quanto potrebbero anche essere usati in riferimento a testi scritti37 o per altri fini, come segnalare eventi di per sé incredibili o sovrannaturali, ma che si trovano nelle fonti scritte. Si pensi al caso delle piaghe che colpirono l’Egitto, fatto assolutamente eccezionale e difficile da crede-re: si trova perciò un fasiv nel racconto delle tenebre (1,124), uno nella ricapitolazione delle ripartizioni delle piaghe (1,126) e uno in quello della morte dei primogeniti (1,135), per avvenimenti riportati anche nel testo biblico (Ex. 10,23; 12,29 e passim). Poco più avanti Filone affer-ma che ‘si dice’ (fasiv) che una nube guidò il cammino degli Ebrei nel deserto (1,165): l’evento è certamente molto particolare, ma si ritrova anche nella Bibbia (Ex. 13,21-22) e non è quindi possibile pensare a una fonte esclusivamente orale38. Vi sono anche alcune occorrenze di fasiv o termini simili in riferimento non al testo biblico o a narrazioni analoghe orali o scritte, ma a nozioni di ambiti diversi e per lo più non messe in discussione: di questo tipo sono, per esempio, il passo che ricorda il comportamento normale dei fiumi in contrapposizione al Nilo

37 kamesar, Philo, 222, considera l’occorrenza di fasin un segnale per indicare più in generale tradizioni separate dal testo biblico, in forma orale o come congetture di altri esegeti: è improbabile, sostiene lo studioso, che Filone distinguesse fra le due possibilità. Del resto, in Mos. 2,99 l’autore espone la sua opinione per iscritto introdu-cendola con ejgw; d’a]n ei[poimi, il che fa certo supporre uno scambio di opinioni fra esegeti, non necessariamente orale. La presenza di termini legati all’udito allude più probabilmente, ma non necessariamente, a fonti orali.

38 Un altro caso del genere si trova nel resoconto della strage di Ebrei guidata da Finees, quando Filone precisa che ‘si dice’ (fasiv) che furono uccisi ventiquattromila uomini (1,304), tanti quanti sono indicati nel testo biblico (Num. 25,9).

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(Mos. 1,6), l’informazione sul periodo di fioritura del mandorlo (Mos. 2,186) o l’osservazione sul rapporto tra la morte del bestiame e quella degli uomini (Mos. 1,133).

Talvolta le parole dell’autore sembrano però veramente implicare in-formazioni probabilmente conosciute per via orale, come sulla figura della figlia del Faraone che salvò e accolse Mosè: la sua descrizione è introdotta da un fasiv (1,13) e non vi sono corrispondenze nel testo bi-blico, mentre gli autori giudaico-ellenistici vi si soffermano più o meno a lungo e in particolare Artapano, come Filone, afferma che era sterile39. E benché non vi siano verbi che possano suggerire una fonte orale, anche tutta la parte relativa all’educazione di Mosè è assente nel testo biblico, mentre ha una certa rilevanza negli autori giudaico-ellenistici e potrebbe essere stata trasmessa oralmente40.

In alcuni casi le opinioni, scritte od orali, degli altri commentatori sono riportate e poi confutate, come nel caso dell’interpretazione allegorica dei Cherubini sull’Arca: dopo aver enunciato l’interpretazione allegorica di alcuni commentatori sui Cherubini (tauta dev tine" mevn fasin, 2,98), Filone esprime il proprio parere esponendo una teoria diversa sulla loro simbologia (ejgw; d’a]n ei[poimi, 2,99). In un altro caso si accenna a una fonte extrabiblica, anche se non è chiaro se scritta o orale: a 2,174, parlan-do della rivolta dei Leviti, Filone afferma che «alcuni li chiamano servi-tori del Tempio» (ou}" newkovrou" e[nioi kalousin). La formulazione in-dica indiscutibilmente che la parola non è filoniana e non vi è dubbio che derivi da una fonte esterna alla Bibbia in quanto il termine non compare mai nella traduzione dei Settanta: si tratta di un vocabolo antico e attico, presente in Erodoto, Senofonte e Platone. Questo è interessante perché conferma l’esistenza di commenti o rielaborazioni della narrazione bibli-ca, che certamente Filone conosceva e ai quali sentiva l’esigenza almeno di accennare, senza peraltro, come di consueto, nominarne gli autori41.

8. L’influenza delle fonti grecheNon va poi dimenticata l’influenza della cultura e della letteratura

greca sull’opera di Filone in generale, che riguarda in primo luogo,

39 Apud eus. praep. ev. 9,27,3.40 Va notato, con shuLer, Philo’s, 93, che un argomento di questo tipo potrebbe

semplicemente derivare da tovpoi retorici di provenienza greca, anche se resta qualche perplessità per la presenza del fasiv.

41 siegert, Philo, 165, nota che questa pratica era diffusa fra i filosofi che non parlano mai dei loro insegnanti e dei primi manuali, dai quali comunque traevano mate-riale. hay, References, 97, sostiene che l’anonimato delle opinioni indicava che queste andavano valutate indipendentemente da chi le formulava.

Filone, il DE VItA MosIs e le sue Fonti 87

come si è già accennato, lo stile del racconto, e poi la valutazione di alcuni eventi, alcuni concetti espressi, la prospettiva dell’autore più che la narrazione vera e propria.

Per esempio, il giovane Mosè a corte segue, accanto agli studi egiziani e assiri, anche il normale corso di studi greco e gli insegnanti provenienti dalla Grecia sono gli unici a essere appositamente convocati e riccamente ricompensati, in segno di onore (1,23). Più volte Filone spiega che, disprezzando i piaceri materiali, il suo eroe si impegnava solo per raggiungere le virtù, fra le quali spiccano la continenza (ejgkravteiai), la fermezza (karterivai), la saggezza (swfrosuvnai), la giustizia (dikaiosuvnai). Si tratta evidentemente delle quattro virtù fondamentali nell’etica greca, teorizzate già da Platone (Alc. Magg. 121e7-8) e della massima rilevanza nella filosofia stoica, come si legge in Crisippo (sVF 3,264).

Un caso particolarmente ampio di influenza concettuale e stilistica greca sul racconto di Filone si ravvisa nel discorso che Mosè rivolge ai dodici esploratori prima della loro partenza per Canaan42:

[1,220] Meta; th;n mavchn tauvthn e[gnw dei`n th;n cwvran, eijı h}n ajpwkivzeto to; e[qno", kataskevyasqai < deuvteron d’oJdoiporou`sin e[toı ejneisthvkei < boulovmeno" mh;, oi|a filei`, gnwsimacei`n oujk eijdovta", ajll’ajkoh`/ promaqovntaı aujth;n, ejpisthvmh/ tw`n ejkei` bebaiva/ crwmevnou", to; praktevon ejlogivzesqai. […] [222] Fhsi tavde: tw`n ajgwvnwn kai; kinduvnwn, ou}" uJpevsthmen kai; mevcri nu`n uJpomevnomen, a\qlovn eijsin ai} klhroucivai, w|n th`ı ejlpivdoı mh; diamavrtoimen e[qno" poluanqrwpovtaton eij" ajpoikivan parapevmponte". [Esti d jwjfelimwvtaton hJ tovpwn kai; ajnqrwvpwn kai; pragmavtwn ejpisthvmh, w{sper hJ a[gnoia blaberovn. [223] uJma`" ou\n ejceirotonhvsamen, i{na tai`" uJmetevrai" o[yesiv te kai; dianoivai" tajkei` qeaswvmeqa: givnesqe dh; tw`n tosouvtwn muriavdwn w\ta kai; ojfqalmoi;. [224] Pro;ı th;n w|n ajnagkai`on eijdevnai safh` katavlhyin. }A de; gnw`nai poqou`men, triva tau`t’ejstivn: oijkhtovrwn plh`qov" te kai; duvnamin, povlewn th;n ejn eujkairiva/ qevsin kai; ejn oijkodomivai" ejcurovthta h] toujnantivon, cwvran eij baquvgeiov" ejsti kai; pivwn, ajgaqh; pantoivou" karpou;" ejnegkei`n spartw`n te kai; devndrwn, h] leptovgew" e[mpalin, i}na pro;" me;n ijscu;n kai; plh`qo" oijkhtovrwn ijsorrovpoi" dunavmesi fraxwvmeqa, pro;" de; th;n ejn toi`" tovpoi" ejrumnovthta mhcanhvmasi kai; tai`" eJlepovlesin: ajnagkai`on de; kai; th;n cwvran eijdevnai, eij ajretw`sa h] mh;: peri; ga;r lupra`" eJkousivou" kinduvnou" uJpomevnein hjliqiovthto". [225] ta; d’o[pla kai; mhcanhvmata hJmw`n kai; pa`sa hJ duvnami" ejn movnw/

42 Su questo episodio si veda l’accurata analisi di feLdman, spies, 29-48, che però non prende minimamente in considerazione possibili fonti non giudaiche.

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tw/` pisteuvein qew/` kei`tai: tauth;n e[conte" th;n paraskeuh;n oujdeni; tw`n foberw`n ei[xomen: iJkanh; ga;r ajmavcou" rJwvma" eujexivai", tovlmai", ejmpeirivai", plhvqesin ejk pollou` tou` periovnto" katakratei`n, di’h}n kai; ejn ejrhvmh/ baqeiva/ corhgivai pavntwn eijsin o{sa ejn eujethriva/ povlewn. [226] JO de; kairo;", ejn w|/ mavlista cwvra" ajreth;n dokimavzesqai sumbevbhken, e[ar ejstivn, o} nu`n ejfevsthken: w{ra/ ga;r e[aroı ta; me;n sparevnta telesforei`tai gevnh, aiJ de; tw`n dendrw`n fuvsei" ajrch;n lambavnousin. [Ameinon d’a]n kai; ejpimei`nai mevcri qevrou" ajkmavzonto" kai; diakomivsai karpou;" oiJonei; deivgmata cwvra" eujdaivmono". […] [228] jEf’uJyhlovtaton o[ro" tw`n peri; to;n tovpon ajnadramovnte", kateqew`nto th;n cwvran, h|" pedia;" me;n h\n pollh; kriqofovro", purofovro", eu[corto", ojreinh; d’oujk e[latton ajmpevlwn kai; stelecw`n a[llwn katavplew", eu[dendro" a{pasa, lavsio", potamoi`" kai; phgai`" diezwsmevnh pro;ı a[fqonon uJdreivan, wJ" ejk tw`n propovdwn a[cri tw`n korufw`n o{la tw`n oJrw`n ta; klivmata devndresi kataskivoi" sunufavnqai, diaferovntw" de; touŸ" aujcevna" kai; o{sai baqei`ai diafuvsei". [229] Kateqew`nto de; kai; ta;ı povlei" ejrumnotavta" dicovqen, e[k te topikh`" peri; th;n qevsin eujkairiva" kai; peribovlwn ejcurovthto". jExetavzonte" de; kai; tou;ı oijkhvtora" eJwvrwn ajpeivrou" to; plh`qo", perimhkestavtou" givganta" h] gigantwvdei" ta;ı tw`n swmavtwn uJperbolai; e[n te megevqesi kai; rJwvmai"43.

43 «[1,220] Dopo quella battaglia ritenne necessario esaminare la regione verso la quale il popolo emigrava – era iniziato il secondo anno per i viaggiatori –: non voleva che cambiassero opinione non conoscendola, come accade solitamente, ma che, es-sendone in precedenza informati dai racconti, grazie a una salda consapevolezza della situazione del luogo, riflettessero sul da farsi. […] [222] Disse: – Per le contese e i pe-ricoli che abbiamo affrontato e sopportiamo ancora ora, sono un premio le porzioni di terreno: cerchiamo di non sbagliare a riporre in esse le nostre speranze, mandandovi ad abitare un popolo numerosissimo! È dunque utilissima la conoscenza dei luoghi e degli uomini e delle situazioni, così come l’ignoranza è dannosa. [223] Perciò abbiamo scelto voi per vedere là attraverso i vostri occhi e il vostro pensiero: siate le orecchie e gli oc-chi di una tale moltitudine per una chiara percezione di quanto è necessario conoscere! [224] Ciò che desideriamo conoscere sono queste tre cose: degli abitanti la quantità e la forza, delle città la localizzazione in una posizione favorevole e la solidità nella costru-zione o il contrario, la terra se è fertile e ricca, adatta a produrre prodotti di ogni tipo, dei campi e degli alberi, o al contrario povera, perché per la forza e la quantità degli abitanti ci muniamo di truppe equivalenti, per le fortezze nei luoghi di macchine da guerra e d’assedio. È necessario conoscere anche la terra, se è prospera o no: infatti sopportare pericoli volontari per una regione povera sarebbe da stolti! [225] Ma le nostre armi e le nostre macchine e tutta la nostra forza stanno solo nell’aver fiducia in Dio: con questo equipaggiamento non cederemo a nulla di spaventoso. Infatti è in grado di vincere con grande superiorità truppe imbattute per vigore, audacia, esperienza e numero: ed è gra-zie a questo che anche nel deserto profondo ci sono approvvigionamenti di tutto quanto si trova nell’abbondanza della città. [226] Poi, la stagione nella quale maggiormente si riesce a verificare le qualità di una regione è la primavera, che è sopraggiunta ora: in-fatti nel tempo primaverile giungono a maturazione le piante seminate, mentre iniziano

Filone, il DE VItA MosIs e le sue Fonti 89

Filone illustra in primo luogo le motivazioni che muovevano Mosè, in modo da presentarlo come una guida previdente44 e capace di evi-tare quei disastri che, l’autore afferma con una generalizzazione e un malcelato disprezzo verso la folla, accadono solitamente: oi|a filei`. Il profeta si preoccupa che gli Ebrei conoscano la terra che stanno per occupare, cosicché siano saldi nella loro decisione: l’obiettivo è espres-so con il nesso oujk... ajllav, ma la contrapposizione fra i due membri è sbilanciata, perché il primo regge un solo participio, il secondo, più rilevante in quanto riflette il desiderio di Mosè, due.

Da buon generale45 e buon oratore, Mosè tiene quindi agli esploratori un discorso ben articolato, che parte dall’analisi della situazione presen-te per illustrare e motivare i provvedimenti presi, chiarendo le richieste rivolte ai dodici capi scelti; questi vengono poi rincuorati mettendo in mostra gli elementi positivi a sostegno del popolo ebraico. Le parole di Mosè riprendono punto per punto uno schematico discorso biblico (Num. 13,17-20), ma lo ampliano con le singole motivazioni per ciascu-na richiesta e con la descrizione dei mezzi utili a conseguire il successo. Queste parole, come sempre strutturate con chiarezza passo dopo passo, offrono un mirabile esempio di persuasione e incoraggiamento in ambi-to militare e riprendono anche lessicalmente gli elementi necessari per una spedizione militare o per la descrizione di una regione, come viene enunciato da Aristotele (Rhet. 1,4,1359b-1360a) e da Menandro Retore (344,16-346,25). Mosè richiama innanzitutto alla mente i pericoli già corsi, posti in incipit nel discorso (twn ajgwvnwn kai; kinduvnwn, 1,222), a sottolineare quanto già è stato affrontato e così sollevare gli animi, e pre-cisa che la terra di Canaan è la ricompensa di tutto. A questo punto però egli procede passo per passo, con molta concretezza, spiegando la rile-

a nascere i frutti degli alberi. Sarebbe meglio restare anche fino al culmine dell’estate e portare alcuni frutti come testimonianza di una terra fortunata –. […] [228] Salirono sul monte più alto dei dintorni e osservarono la regione: la sua pianura era ampia, ricca di orzo e di grano e ben fornita di pascoli, mentre la montagna non era meno fornita di vigne e di altri alberi, tutta ricca di piante, boscosa, circondata da fiumi e sorgenti, così da avere abbondanza d’acqua, tanto che dai piedi alle cime tutti i pendii dei monti erano intrecciati con alberi verdeggianti, soprattutto le gole e ogni fenditura profonda. [229] Osservarono anche le città fortificate in due modi: dalla condizione favorevole del luogo in quanto a posizione e dalla solidità delle mura di cinta. Esaminando anche gli abitanti videro che erano enormi di stazza, smisurati giganti o di grandezza dei corpi gigantesca nelle dimensioni e nella forza».

44 Secondo feLdman, spies, passim, questa è una delle linee guida principali per le scelte di Filone relativamente a questo episodio. Canevet, Remarques, 190, lo affianca al Pericle di Tucidide, per cui cfr. supra.

45 Canevet, Remarques, 196 e 199, osserva che questo è uno dei punti in cui Mosè è presentato solo come un generale e perde completamente ogni funzione profetica.

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vanza di una conoscenza precisa del luogo e dei suoi abitanti, definendo-la ‘utilissima’ (wjfelimwvtaton) e contrapponendola ai danni dell’igno-ranza (hJ a[gnoia blaberovn). Posta questa necessità, Mosè chiarisce che la conseguenza è l’averli scelti in quanto esploratori e ne sottolinea l’im-portanza definendoli ‘orecchie e occhi di tante migliaia’: twn tosouvtwn muriavdwn w\ta kai; ojfqalmoiv (1,223). Quindi egli esprime le richieste, le stesse del testo biblico, prima dicendone il numero, poi spiegandole punto per punto, con precisione e senza possibilità di fraintendimenti: a} de; gnwnai poqoumen triva taut’ejstivn (1,224); i tre argomenti, per maggior chiarezza, vengono poi posti in incipit per ognuna precisazio-ne: oijkhtovrwn... povlewn... cwvran. Di ciascuno Mosè chiarisce anche la causa, per motivare maggiormente gli incaricati, e nuovamente i tre punti vengono ripresi nel medesimo ordine, con chiarezza: i{na pro;" mevn... pro;ı dev... ajnagkaion dev; l’ultimo caso viene distinto in quanto più che una conoscenza necessaria per prendere provvedimenti militari è una vera e propria motivazione all’azione che può apparire più adatta a un generale previdente che a un obbediente servitore di Dio46. Però Mosè non dimentica affatto il carattere divino della sua missione e del viaggio del popolo ebraico e dimostra ancora una volta la sua incrollabi-le fiducia in Dio: così, con la particella dev (1,225) a segnalare lo stacco dal precedente discorso pratico, e in aggiunta alla valutazione delle forze a disposizione del popolo ebraico, menziona i veri elementi a sostegno del popolo ebraico, ricordando in primo luogo proprio il favore divino, che già in passato li aveva sostenuti. Nella fede risiede perciò tutta la forza e l’equipaggiamento degli Ebrei, in grado così di sconfiggere ogni potenza, quali che siano le sue armi: così l’accumulo eujexivai", tovl-mai", ejmpeirivai", plhvqesin si pone in contrasto con la semplicità della vittoriosa azione divina, la cui efficacia è rinforzata da un’allusione alla manna e all’abbondante nutrimento fornito nel deserto. Ancora, anche la stagione, la primavera, è favorevole all’esplorazione: i vantaggi sono elencati attraverso il nesso mevn... dev, mentre il discorso si chiude con un’ultima esortazione a rimanere nella regione fino all’estate per coglie-re i frutti e portarli come testimonianza.

Con questo discorso, Filone amplia le raccomandazioni di Mosè, seguendo evidentemente anche le indicazioni che possiamo trovare in autori greci. L’invio di esploratori in una regione poco conosciuta era infatti una pratica comune prima delle azioni militari47: resoconti di tali missioni possono dunque trovarsi nelle biografie di comandanti mili-

46 Come sottolinea Canevet, Remarques, 199, anche se non si può escludere che per Filone queste due funzioni non fossero sovrapponibili.

47 Cfr. Plut., Nicia, 14,5.

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tari48 o anche in opere storiche che trattino di guerre. L’importanza di riflettere prima di agire, ricordata da Mosè, è sottolineata da Tucidide49 per bocca di Pericle, che elogia questa qualità negli Ateniesi: ouj tou;" lovgou" toi`" e[rgoi" blavbhn hJgouvmenoi, ajlla; mh; prodidacqh`nai ma`llon lovgw/ provteron h] ejpi; a} dei` e[rgw/ ejlqei`n. Diaferovntw" ga;r dh; kai; tovde e[comen w{ste tolma`n te oiJ aujtoi; mavlista kai; peri; w|n ejpiceirhvsomen ejklogivzesqai (2,40,2-3)50. In particolare, è da segnalare in Mosè la necessità di valutare tutto prima di procede-re alla conquista, ovviamente secondo una prospettiva non adatta alla mentalità religiosa giudaica, ma piuttosto a esigenze pratiche e militari: parrebbe che Filone desideri proprio mostrare Mosè come un buon ge-nerale secondo i canoni di Tucidide e degli storici greci51.

Durante l’esplorazione, i prescelti si avviano salendo su un monte, po-sizione privilegiata per scorgere tutta la terra palestinese (kateqew`nto, 1,228): la descrizione di Filone è molto generica, ma proprio questa vaghezza tende a sottolineare gli straordinari pregi della regione sotto tutti gli aspetti. Un’esposizione teorica delle informazioni necessarie prima di affrontare un nemico si trova, come si è detto, in Aristotele, Rhet. 1,4,1359b-1360a: un buon generale deve conoscere la potenza della città (th;n duvnamin... th`" povlew"), la difesa del territorio, la consistenza numerica della difesa (to; plh`qo"... th`" fulakh`") e il tipo e la localizzazione dei posti di guardia. Anche Menandro Retore, senza riferirsi specificamente all’ambito militare, indica gli elementi di cui tener conto nella lode di una regione e gli aspetti cui prestare mag-gior attenzione nell’esaminarla: la sua natura, ossia se è montuosa o pianeggiante, secca o ricca d’acqua, fertile o sterile, e la sua posizione, in relazione al mare, al cielo e agli altri paesi (344-346). Così la terra viene suddivisa da Filone in pianura e montagna (pedia;" me;n... oJreinh; dev), anche se poi la raffigurazione diviene totalizzante (a{pasa); in tutti i casi, la ricchezza del suolo è posta in evidenza dall’accumulo di agget-tivi e sostantivi coordinati che creano un senso di pienezza. La descri-zione acquista un tono elevato grazie alla scelta di aggettivi composti, poetici e piuttosto rari, come kriqofovro", purofovro"52, eu[corto".

48 Cfr., per esempio, Xen., Cyr. 5,2,1-4; 6,3,2.49 Citato, seppur erroneamente come I,40,2, da Canevet, Remarques, 199.50 «Riteniamo che sia dannoso per l’azione non il parlare, ma piuttosto il non es-

sere informati prima dalle parole su ciò che deve giungere con l’azione. Soprattutto siamo così: noi medesimi osiamo e riflettiamo su quanto stiamo per intraprendere al massimo grado».

51 Così Canevet, Remarques, 190.52 Secondo Plutarco (Mor. 915d-e), in realtà, ben difficilmente lo stesso terreno

avrebbe potuto avere le due caratteristiche contemporaneamente, in quanto l’orzo ri-

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L’osservazione continua, come indica la ripresa del medesimo verbo riguardo alla terra: kateqew`nto (1,229); tuttavia in questo caso la vi-sione è meno positiva, almeno agli occhi di futuri conquistatori, come si evince anche dall’avversativo dev, in quanto le città appaiono ben for-tificate. Anche qui Filone non si sottrae alla tendenza a schematizzare e specifica che la difesa proviene ‘da due parti’ (dicovqen), prima di spiegare quali esse siano. Anche gli abitanti sembrano spaventosamente forti, fino all’esagerazione dell’autore che, senza razionalizzare il mito presente anche nella Bibbia53, li paragona a giganti.

In ambito lessicale, Filone ricorre a una terminologia tecnica greca per descrivere la difficile situazione degli Ebrei schiavizzati in Egitto, con evidenti e dolorosi richiami all’attualità dei Giudei alessandrini54:

[1,35] OiJ ga;r xέnoι pαρ’ejμοi; κριτh/ τwν uJpοδεxαμένων iJκέται γραφέσθωσαν, μέτοικοι δe; pρo;ς iJκέταις καi; φίλοι, σpεύδοντες εijς ajστwν ijσοτιμίαν καi; γειτνιwντες h[δη pολίταις, ojλίγw/ τwν αujτοχθόνων διαφέροντες55.

Prima di introdurre la narrazione dell’uccisione del sorvegliante egiziano da parte di Mosè, il discorso viene portato sul piano generale della condizione degli stranieri, che Filone esorta a valutare anche dal punto di vista burocratico, con grafevsqwsan56, in modo più personale

chiedeva un terreno povero, il grano uno molto grasso; non è tuttavia il caso di aspet-tarsi da Filone una precisione scientifica in questo passo, e non è neppure da escludere che nella Terra Promessa si trovasse ogni sorta di terreno.

53 A differenza di Giuseppe, che la presenta con un implicito scetticismo metten-dola in bocca agli esploratori contrari alla conquista (Ant. 3,305), mentre i rabbini am-pliarono liberamente la narrazione.

54 Che erano, lo ricordiamo, perennemente in bilico fra il riconoscimento dello sta-tus di cittadino e l’assegnazione di altri diritti minori – condizione che tanto angustiava lo stesso Filone, che altrove definisce i suoi correligionari ‘residenti’ (kavtoikoi, Flac. 172), senza specificare altro. Per un quadro aggiornato ed esaustivo di questo complesso problema, cfr. BarCLay, Diaspora, 70-81. Sull’Alessandria di Filone, cfr. sLy, Philo’s, in particolare i capp. 1 e 11; CaLaBi, Pensiero, 23. dawson, Readers, 117-118, sostiene che Filone stia rispondendo alle accuse mosse da Apione contro i Giudei alessandrini (apud ios. C.Ap. 2,38; 2,66; 2,71). Cfr. anche arnaLdez, mondésert, Mosis, ad loc., che sottoli-neano proprio il ricorso a un lessico propriamente greco, indice di un pubblico greco; sul-la terminologia legale, cfr. anche woLfson, Philo, ii, 398-399 e CarLier, Cité, 213-317.

55 «[35] Infatti gli stranieri, a mio giudizio, sono da registrare come supplici di coloro che li accolgono, ma oltre che supplici come emigranti e amici, che mirano all’uguaglianza di condizione con gli abitanti della città e, ormai simili ai cittadini, in poco differiscono dagli indigeni».

56 Il valore di questo termine è propriamente burocratico e legale, in particolare per la registrazione degli stranieri, come si vede in Platone, Leg. 850b; cfr. CarLier, Cité, 142.

Filone, il DE VItA MosIs e le sue Fonti 93

e affettivo (fivloi), ma soprattutto a riconoscere come quasi pari ai cittadini. Il testo si arricchisce dunque di termini tecnici relativi alla complessa situazione della cittadinanza nel mondo greco ed ellenistico, a partire da mevtoikoi, termine che qualificava una posizione inferiore a quella dei cittadini, ma superiore agli stranieri57. In rapida successione, con qualche differenza non meglio precisata, vengono quindi citati ‘gli abitanti della città’ (ajstw`n) e ‘i cittadini’ (polivtai")58, rispetto ai quali si auspica la ‘parità di diritti’ (ijsotimivan). Inoltre, compaiono gli ‘auctoctoni’ (aujtocqovnwn), termine il cui uso appare decisamente particolare: propriamente59, doveva indicare gli Egiziani, dai quali era invece importante per gli Ebrei differenziarsi; tuttavia, considerato il contesto della vita di Mosè, Filone non avrebbe potuto qui parlare diversamente60. Infine, è rilevante la definizione degli stranieri come ‘supplici’ (iJkevtai), perché conduce il discorso su un piano religioso caro ai Greci. Addirittura, Filone non si fa scrupoli e definisce Dio con appellativi tradizionalmente legati a Zeus61, quali ejleuqevrion, xevnion, iJkevsion, ejfevstion (1,37), certo di toccare in questo modo corde sensibili e di suscitare così la simpatia di un pubblico greco.

9. ConclusioniIl discorso sulle fonti di Filone non può considerarsi chiuso: gli ar-

gomenti toccati sono troppi e inoltre sono numerosi gli aspetti non an-cora ben definiti, come lo stato del testo biblico nel I sec. a.C. e d.C., l’attività esegetica della sinagoga, la diffusione degli scritti giudaico-ellenistici. Quel che emerge senza ombra di dubbio è che Filone si ri-

57 il termine mevtoikoi non è di semplice traduzione: si tratta di un vocabolo tecnico che ad Atene indicava quanti si erano stabiliti nella città e pagavano una tassa speciale, senza per questo godere dei diritti civili; a volte il trasferimento era considerato stabile e quindi implicava un certo attaccamento alla nuova città, mentre in altri casi essi si allon-tanavano dalla città d’adozione dopo un certo periodo (cfr. Plat. Leg. 850a-c). Arnaldez-Mondésert traducono: ‘résidents domiciliés’, Colson ‘settler’, mentre anche Graffigna sceglie ‘emigranti’; nel commentare questo passo woLfson, Philo, II, 399, rende con ‘settlers’, ma precisa che normalmente Filone utilizzava polivth" in riferimento ai Giu-dei d’Egitto, che presumibilmente si collocavano a metà fra gli Egiziani e i Greci.

58 Commentando questo passo woLfson, Philo, II, 399 osserva che i primi costi-tuiscono la classe più privilegiata, formata dai Greci, mentre i secondi normalmente corrispondono a una classe intermedia, per lo più di Giudei; la differenza, sottile ma innegabile, fra i due gruppi sarebbe evidente nel diverso trattamento fiscale.

59 Come nota anche woLfson, Philo, ii, 399.60 Filone stesso in Congr. 22 accosta aujtovcqwn a polivth", per indicare il vero

cittadino, sia pure in senso metaforico.61 Cfr., per esempio, Hom. od. 13,213; 14,284; 17,155; Aesch. suppl. 385; 478-9;

Plat. Leg. 953e2-3; Plut. Arat. 54; Paus. 3,11,11.

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faceva a diversi tipi di fonti che padroneggiava con abilità e con le quali probabilmente si confrontava ogni giorno: in primo luogo il testo biblico, presumibilmente in lingua greca; poi le opere almeno di alcuni scrittori giudaico-ellenistici, come Artapano ed Ezechiele tragico. Infi-ne, narrazioni orali, volte ad abbellire e a chiarire la storia biblica; così egli si inserisce in una vivace attività esegetica che doveva coinvolgere e appassionare numerosi studiosi dei testi sacri dell’epoca: l’apprezza o la confuta e soprattutto ne trae ricchi spunti di riflessione. Senza di-menticare, in ogni momento, il prezioso apporto della tradizione greca in termini di contenuto, di stile e di riflessione.

La dichiarazione programmatica di Filone rispetto alle sue fonti va dunque correttamente intesa secondo il suggerimento di Filone stesso: la frase precedente si chiude infatti con kai; dia; tou`t’e[doxa ma`llon eJtevrwn ta; peri; to;n bivon ajkribw`sai. L’esigenza è la completezza dell’informazione, che solo il ricorso a più fonti, se non sempre realiz-zato almeno dichiarato, può fornire62; in questo Filone poggiava sulle due culture, greca e giudaica. Nella conclusione dell’opera, il riferi-mento alla sola fonte scritta, sacra e perciò autorevole sopra ogni altra, si spiega con il tono solenne che caratterizza questa parte.

Questo non significa che si debba necessariamente cercare di ricon-durre ogni idea espressa nell’opera a una fonte precedente o contempo-ranea a Filone, ma comunque a lui esterna: il ricco e complesso corpus filoniano è il prodotto dello studio e della riflessione originale del suo autore, il cui merito non va affatto ridotto alla mera conservazione di analisi e narrazioni precedenti.

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62 Così anche sfameni gasparro, Balaam, 35.

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Manuela Baretta, Filone, il De vita Mosis e le sue fonti (pp. 73-97)Philo, De vita Mosis and its sourcesThis paper focuses on Philo of Alexandria’s De vita Mosis, one of the most controversial works of the prolific philosopher. In particular, the research is centred on the sources from which Philo derives his knowledge, and which the author himself specifies in the introduction and conclusion: that is, the written ones, and especially the Scrip-tures, and the oral ones. While the connections with the Bible are quite easy to identify, the same cannot be said about the oral sources, about which little is known. However, the influence of the Greek tra-dition, both in the choice of the sources and in the way the episodes are introduced, is undeniable; in addition, there is a degree of original contribution from Philo, who went beyond the mere quoting of the pre-existing [email protected]

Vincenzo Bellino, L’esercito di Ducezio. Guerra e influenze culturali durante il periodo della synteleia (pp. 53-71)Ducetius’ army. War and cultural influences in the age of the synteleiaThis article is an attempt to reconstruct the armament, the tactics and the strategies used by the army of the Sicel leader Ducetius between 460 and 450 B. C. Following the path of other tribal leaders, Ducetius transformed the Sicel guerrillas in a real regular army, able to fight in pitched battles. The study of the creation of the Sicel army allows us to observe the deep and mutual cultural influences active in Sicily dur-ing the fifth century, which, especially in military context, pushed the Sicels and the Greeks to tactical choices that, even if based on Hellenic models, were original in many aspects and specific of the historical and cultural context in which they [email protected]

ABSTRACTS

SCO 60 (2014), 413-420

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alBerto Borghini, Dante, Inf. III 113-114. Un ulteriore modello virgi-liano? (pp. 411-412)Dante, Inf. III 113-114: a further vergilian model?In this Dante’s passage the leaves comparison echoes not only Verg. Aen. VI 309 ff., but also Aen. IV [email protected]

DoMitilla caMpanile, Una tragedia d’antico regime: The King’s Whore (Axel Corti, 1990) (pp. 235-274)An ‘ancien régime’ tragedy: The King’s Whore (Axel Corti, 1990)This contribution aims at analysing the film The King’s Whore (Axel Corti, 1990). Firstly, the author discusses the quantity and the variety of films set in the early modern period; afterwards she devotes atten-tion to the plot of The King’s Whore and to the existence of different versions of this film. The author investigates also the actual story in the Duchy of Savoy at the end of the XVII century. Specific attention is dedicated to the scenic and pictorial values of the movie, particularly to the baroque setting and to the symbolic message of one painting. Some choices are very successful in enhancing the plot, such as the disquieting masquerade ball, the peculiar function of the mirrors and the special role attributed to the courtiers. However, it is the dramatic switch of the narrative which elevates this movie and deserves con-sideration and a careful analysis, in particular from classical scholars. Credit has to be given to the screenwriter Frederic Raphael for a clever use of the Greek tragedy as a powerful tool to resolve and conclude the [email protected]

Marcella chelotti, La proprietà imperiale nella Calabria della regio secunda augustea: alcune considerazioni (pp. 295-305)The imperial property in the Calabria of the second Augustan regio: some considerationsIn this paper, the Author proposes some reflections on the origin of the Imperial properties in the Roman Calabria, on the basis of epigraphical and literary evidence. The result of this analysis shows that an unit of these properties is likely to have had origin from Mark Antony’s estates, inherited by his son, Iullus Antonius, and daughters, Antonia maior and Antonia minor, as Dio reports. From the properties of Antonia maior the estates of Domitia Lepida might also derive, as Tacitus tells in An-

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nales 12, 65. Subsequently these land properties, for various reasons, passed to the imperial patrimony, as epigraphical documents of impe-rial liberti and servi [email protected]

alessanDro costantini, Sepolture tardoantiche in Toscana (III-VI sec. d.C.): corredi ed epigrafi (pp. 99-161)Late antique burials in Tuscany (III-VI cent. AD): objects and inscrip-tionsThis paper deals with the evidence relating to the funerary world in Tuscany in Late Antiquity (especially between 3rd and 6th century AD), focusing on grave goods and inscriptions that accompany the dead. These elements allow us to assess the profound changes occurred in the practices which relate to the funerary sphere between the Imperial period and the Early Middle Ages and which reflect broader changes in the social and cultural [email protected]

alBerto Dalla rosa, Prolegomeni allo studio della proprietà imperiale in Asia Minore: la questione dell’imperatore come acquirente (pp. 329-348)Prolegomena to the study of imperial property in Asia Minor: the Em-peror as a buyerThe first part of this paper takes inspiration from Fergus Millar’s judge-ment about the impossibility of writing a history of the property of the Roman Emperor in order to assess the progresses of research in this im-portant field. Except for the recent monograph of Marco Maiuro, very few studies of general character have been dedicated to the issue in over a century. Despite that, significant advancements in our knowledge of the ancient economy as well as the growing number of epigraphic and papyrologic sources can now provide the historian of the required means to reverse Millar’s pessimism. The second section of the paper tries to verify the hypothesis that the Roman Emperor (i.e. the fiscus) never acted as buyer of landed estates on the free market. As a mat-ter of fact, the present evidence shows that the owners were always compelled to sell and that the purchased goods were used for public purposes (i.e donated to temples, given as gifts to others) and not kept for the ruler’s sake. The Emperor acted like any other senator probably only in the acquisition of luxury [email protected]

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DaViDe Faoro, Osservazioni sugli inizi della proprietà imperiale nelle province del Nord (pp. 381-401)Some observations on the beginnings of imperial property in the North-ern provincesThe discovery of Plumbum Germanicum has offered in recent years a new picture on the beginnings of Res Caesaris. In particular it is the short life of the provincia Germania (7 BC - 9 AD) which helps us to understand the forms and the rapidity of the incorporation of the mines into the patrimonium of Augustus, Livia and amici principis. This mod-el can be effectively extended to Raetia, Noricum and the Alpine prov-inces in general, so as to conclude that imperial property in the northern provinces of Augustan conquest is since the beginning a structural part of the provincial [email protected]

Marco Maiuro, Regionalismo del Patrimonio del fisco e sue implica-zioni teoriche e pratiche (pp. 279-293)Regionalism of landed properties of the imperial fiscus and its theoreti-cal and practical implicationsIn this article, I review the recent trends in the study of ancient econ-omy. With regard to the role of the imperial financial administration, I argue that a highly promising field of application of modern economic theories such as the ‘New Institutional Econonomics’, is indeed the study of the economic role of the imperial landed properties. By taking as case studies the creation of local offices for the financial manage-ment of imperial domains, and the refusal of the Flavian Emperors to encroach upon the economic interests of the propertied classes of Italy, I have tried to prove the case that the imperial fiscus managed its landed properties proactively; we may indeed speak of an ‘imperial economic policy’ with reference to the imperial [email protected]

giuseppe Marcellino, Lo studio delle antichità romane e la propagan-da antiturca nella Roma triumphans di Flavio Biondo (pp. 163-186)The study of Roman antiquities and anti-turkish propaganda in Flavio Biondo’s Roma triumphansRoma triumphans, the last great work of the Italian humanist Flavio Biondo, was composed after the Fall of Constantinople at the hands of Mahomet II (1453) and was completed during the Congress of Mantua

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convoked by Pope Pius II in order to set up a crusade against the Turks. In some passages of Roma triumphans, which is actually a thematic en-cyclopedia of Roman antiquities, Biondo focuses on the problem of the Turkish threat. The aim of this paper is to analyze both these passages within the discussion of Roman antiquities, as well Biondo’s propagan-dist intent, which is particularly present in the latter part of the [email protected]

eManuela pariBeni, siMonetta segenni, Le cave di Carrara e la pro-prietà imperiale (pp. 307-328)The Marble Quarries of Carrara and the Imperial Property.The A. examine the development of the marble quarries of Carrara (Luni). In the first part of the paper, the history of the use and exploitation of the marble quarries located in Luna territory is reconstructed. The A. under-line the questions raised by the examination of the archaeological and epi-graphical material from the quarries. Particularly important are the notae lapicidinarum, which is subject of a research project. In the second part, the paper deals with the problem of the acquisition of the quarries by the Emperor examined within the framework of the quarry management by the colonia of Luna and of the active presence of private [email protected], [email protected]

luDoVico portuese, Alcune ipotesi sulla ‘stele del banchetto’ di Assur-nasirpal II (pp. 9-20)Some hypothesis on the ‘Banquet Stele’ of Ashurnasirpal IIThis article offers a new iconographic and textual perspective about the Banquet Stele, one of the most famous and peculiar Neo-Assyrian monu-ments, erected by King Ashurnasirpal II. Through a synoptic and com-parative study of the iconography and of the text of this stele, it is possible to put forward a new interpretation: the long sceptre/rod, represented on the monument, was used by the king in situations of non-belligerency, to promote his own image of pacific sovereign and ‘marvellous shepherd’[email protected]

siMone renDina, La ‘malattia sacra’ di Cambise: una diagnosi erodo-tea? (pp. 21-51)Cambyse’s ‘sacred disease’: a herodotean diagnosis?The author analyses Herodotus’ choice of his sources in order to ‘strike

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a balance’ between two recent publications which define Herodotus’ text as almost exclusively ‘religious’ or ‘scientific’. The case study is the description of the figure of Cambyses in the third book of the Histories. There are historical grounds for the narrative of Cambyses’ infamous deeds in Egypt. The traditional thesis of the deprivation of economic privileges for the Egyptian temples by Cambyses as the only cause of his negative fame in ancient historiography should be rejected. It is likely that at least the first part of Cambyses’ reign in Egypt was marked by violent and dramatic changes – which anyway do not in-clude Cambyses’ alleged murder of the bull-god Apis. The influence of Hippocratic medicine on Herodotus’ depiction of Cambyses’ madness should not be overestimated. Although Herodotus is familiar with some ideas and notions shared by contemporary physicians, his narrative of Cambyses’ actions is not strongly conditioned by them, and certainly has no connection with the main thesis of the author of the Hippocratic work named On the sacred disease. The sources and opinions collected by Herodotus do not aim at a ‘scientific’ narrative of a madman’s deeds, but rather at a moral vision of a Persian monarchic [email protected]

alessanDro russo, Il Pascoli latino e la Roma prima di Roma (pp. 221-234)Latin Pascoli and Rome before RomeIn two of his Latin poems (Sosii fratres bibliopolae and Ultima linea), set respectively in 29 and 8 BC, Giovanni Pascoli establishes a contrast between the new monumental Rome, which was growing in those years under the urge of Octavian, and the early Rome, made of bare and sim-ple huts. In Pascoli’s representation the great monuments of imperial Rome are not the symbol of a glorious progress, but the symbol of a social and moral degeneration.In this respect on the one hand Pascoli follows an older literary tra-dition (in particular the description of the kingdom of Evander in the eighth book of Virgil’s Aeneid – the ‘Rome before Rome’, according to Pascoli’s definition) that nostalgically recalled the peaceful, simple early Rome; on the other hand, Pascoli refuses (although not without inconsistencies) a later literary tradition (also represented by his teacher G. Carducci), which exhibited the monumental remains of Rome as an evidence of the greatness of Roman civilization.In his representation of monumental Rome, however, Pascoli not only reworked such a twofold literary tradition, but he also expressed all the concerns of the modern age related to the overwhelming growth of the

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imperialist metropolises in the late nineteenth [email protected] struFFolino, Proprietà imperiali in Cirenaica? Alcune consi-derazioni (pp. 349-380)Imperial domains in Cyrenaica? Some considerationsAcknowledging the existence of imperial domains in Cyrenaica means first of all coming to terms with the lack of historical evidence at our disposal and with the fact that our evidence is all dating back to the Severan period. This has led to the hypothesis that the procurators men-tioned in the documents acted as governors, rather than as administra-tors of the princeps’ assets. Nevertheless, a survey of the vicissitudes of the land in Cyrenaica, with support from other sources, suggests the beginning of a process of transformation of the χώρα βασιλική into ager publicus. This process followed the usual methods of land dispos-al, the entrusting to the publicans of the management of the finances, cadastral revision and revaluation, resulting in the simultaneous pres-ence of parcels of land with a different legal status. Most probably, part of this land gradually formed the first properties of the princeps, administered by members of the familia Caesaris. At the same time, the increasing interference of the fiscal authority meant that state land must have been gradually taken away from the Roman populus (and the incomes from the aerarium) and slowly incorporated into the patri-monium fisci. It is very likely that a crucial change took place after the Jewish Revolt, with the renewed interest of the emperors in this region from Hadrian onwards. The imperial interest reached its climax when the Libyan Septimius Severus entrusted his procurators from the eques-trian order with the administrative and financial management of the lands acquired, which he included in the newly established res privata. Documents dating back to Late Antiquity seem to confirm this [email protected]

chiara oMBretta toMMasi, Il nome segreto di Roma tra antiquaria ed esoterismo. Una riconsiderazione delle fonti (pp. 187-219)The secret name of Rome between antiquarianism and exoterismusStarting from a well known passage in the Saturnalia (3,9), where Mac-robius describes the ancient, and probably cognate rituals of evocatio and devotio hostium, this paper scrutinizes some other Greco-Roman sources that deal either with the notion of a secret name or with a tutelary deity of Rome, whose knowledge and utterance was strictly prohibited, in order to forestall the danger of an enemy’s evocatio.

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Besides an obviously implied Redetabu, it is possible to argue for a po-litical use of this motif – namely in the famous episode of Valerius Sora-nus, allegedly accused to have divulged the secret during the Social War or, later, of Stilicho, proditor arcani imperii. Finally, the discussion of Lydus’ De Mensibus 4,73, which apparently reveals the sacred and the mysteric names of Rome (stating that the city was also called Flora and Amor) allows us to examine in detail some more esoteric interpretations, concerning the probably bisexual nature of the tutelary deity, and offers a hint to present a little known Italian theatrical text about the Sacred Origins of Rome. Originally written in 1914 by a Sicilian nobleman, the representation of this work was made possible ten years later thanks to some neopagan and traditionalist intellectuals, in an attempt at reviving Roman traditions under the newly established Fascist [email protected]


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