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Stato, cittadini e social norms

Date post: 03-Dec-2023
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1 Stato, cittadini e social norms Come la Behavioral Economics può salvarci dalla crisi Alessandro Del Ponte 1 A man ought to be a friend to his friend and repay gift with gift. People should meet smiles with smiles and lies with treachery. Edda, sec. XIII You are at your mother-in-law’s house for Thanksgiving dinner, and what a sumptuous spread she has put on the table for you! […] “Mom, for all the love you’ve put into this, how much do I owe you?” you say sincerely. As silence descends on the gathering, you wave a handful of bills. “Do you think three hundred dollars will do it? No, wait, I should give you four hundred!” A glass of wine falls over; your mother-in-law stands up red-faced; your sister-in-law shoots you an angry look; and your niece bursts into tears. Next year’s Thanksgiving celebration, it seems, may be a frozen dinner in front of the television set. Dan Ariely, Predictably Irrational Le crisi economiche mettono in discussione il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato. Nel caso italiano, in particolare, la crisi rischia di mettere a repentaglio un rapporto per molti versi già compromesso, che mina le basi per il rinnovamento del sistema-Paese e rende problematico un ritorno duraturo a sviluppo e crescita. In questo paper si individua nel distacco cronico tra Stato e cittadini la causa principale della situazione corrente e si propone di sfruttare alcuni concetti di economia comportamentale (Behavioral Economics) per disegnare le riforme del futuro e, più in generale, per impostare il rapporto tra Stato e cittadini. Riconoscere l’importanza degli aspetti psicologici nel comportamento degli agenti economici e incorporarli nelle decisioni di politica economica può accrescere la coesione sociale e ridurre il rischio di implementation gaps delle politiche pubbliche. In particolare, la struttura dell’intervento è la seguente: nella sezione I si analizza il concetto di reciprocità con riferimento ai public goods experiments, evidenziandone l’utilità per un efficace public policy design; nella sezione II si considera il framework proposto da Ostrom per la gestione dei commons (i Design Principles of Cooperative Regimes); nella sezione III si evidenziano gli scostamenti più significativi dal modello di Ostrom; nella sezione IV si suggerisce un mutamento di paradigma, da market norms a social norms, nell’impostare il 1 Alessandro Del Ponte è Graduate Scholar presso la New York State Assembly e studente double degree di Economia e Management delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali all’Università Bocconi e del Master of Public Administration al Rockefeller College of Public Affairs and Policy a SUNY Albany.
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Stato, cittadini e social norms Come la Behavioral Economics può salvarci dalla crisi

Alessandro Del Ponte1

A man ought to be a friend to his friend

and repay gift with gift.

People should meet smiles with smiles

and lies with treachery.

Edda, sec. XIII

You are at your mother-in-law’s house for Thanksgiving dinner, and what a sumptuous

spread she has put on the table for you! […]

“Mom, for all the love you’ve put into this, how much do I owe you?” you say sincerely. As

silence descends on the gathering, you wave a handful of bills.

“Do you think three hundred dollars will do it? No, wait, I should give you four hundred!”

A glass of wine falls over; your mother-in-law stands up red-faced;

your sister-in-law shoots you an angry look; and your niece bursts into tears. Next year’s

Thanksgiving celebration, it seems, may be a frozen dinner in front of the television set.

Dan Ariely, Predictably Irrational

Le crisi economiche mettono in discussione il rapporto di fiducia tra cittadini e Stato. Nel

caso italiano, in particolare, la crisi rischia di mettere a repentaglio un rapporto per molti

versi già compromesso, che mina le basi per il rinnovamento del sistema-Paese e rende

problematico un ritorno duraturo a sviluppo e crescita. In questo paper si individua nel

distacco cronico tra Stato e cittadini la causa principale della situazione corrente e si propone

di sfruttare alcuni concetti di economia comportamentale (Behavioral Economics) per

disegnare le riforme del futuro e, più in generale, per impostare il rapporto tra Stato e

cittadini. Riconoscere l’importanza degli aspetti psicologici nel comportamento degli agenti

economici e incorporarli nelle decisioni di politica economica può accrescere la coesione

sociale e ridurre il rischio di implementation gaps delle politiche pubbliche.

In particolare, la struttura dell’intervento è la seguente: nella sezione I si analizza il concetto

di reciprocità con riferimento ai public goods experiments, evidenziandone l’utilità per un

efficace public policy design; nella sezione II si considera il framework proposto da Ostrom

per la gestione dei commons (i Design Principles of Cooperative Regimes); nella sezione III

si evidenziano gli scostamenti più significativi dal modello di Ostrom; nella sezione IV si

suggerisce un mutamento di paradigma, da market norms a social norms, nell’impostare il

1 Alessandro Del Ponte è Graduate Scholar presso la New York State Assembly e studente double degree di

Economia e Management delle Amministrazioni Pubbliche e delle Istituzioni Internazionali all’Università

Bocconi e del Master of Public Administration al Rockefeller College of Public Affairs and Policy a SUNY

Albany.

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rapporto tra Stato e cittadini; nella sezione V si presenta un’applicazione di policy sul tema

dell’evasione fiscale; la sezione VI conclude.

I. Reciprocità: un asset inesplorato per il successo della politica economica

La teoria economica tradizionale sostiene che i beni pubblici spesso non riescono ad essere

forniti per via del fenomeno chiamato free-riding. Gli individui sarebbero perfettamente

razionali, massimizzatori della loro singola utilità e, pertanto, coglierebbero l’occasione, non

appena gliene venga lasciata la possibilità, di sottrarsi dal contribuire al bene pubblico.

In realtà, la tipologia dell’homo oeconomicus è decisamente meno diffusa di quanto

l’economia mainstream affermi. In numerose situazioni le persone non si comportano

seguendo il loro egoistico interesse, ma esibiscono spiccata prosocialità. Se gli individui si

comportassero davvero egoisticamente come i modelli economici tradizionali prevedono, ad

esempio, si registrerebbero tassi di evasione fiscale ben più elevati (vedi infra, parte V); il

volontariato sarebbe un fenomeno del tutto marginale (chi accetterebbe di sacrificare risorse

proprie per aumentare quelle altrui?); le elezioni verrebbero disertate (l’utilità attesa del voto

del singolo individuo tende a zero); il fenomeno dei software open-source sarebbe

inspiegabile (Meier 2006).

E’ evidente che l’agire delle persone non è dettato esclusivamente da interessi personali, ma è

mosso (anche) da altre motivazioni. I filoni principali sono tre: le teorie delle preferenze pro-

sociali, in cui l’utilità del singolo è funzione delle utilità altrui; l’approccio che sottolinea

l’importanza della propria identità e dell’immagine di sé, secondo cui gli individui

accrescono la propria utilità nel vedersi sotto una luce positiva grazie alle proprie buone

azioni; infine, le teorie della reciprocità, secondo cui gli individui agiscono in un determinato

modo in risposta alle azioni altrui. In questo paper mi soffermerò su quest’ultimo punto,

particolarmente rilevante per la strutturazione della politica economica.

La reciprocità può essere di due tipi: positiva o negativa. Nel primo caso, gli individui

rispondono pro-socialmente al comportamento amichevole altrui, a prescindere dalla

convenienza economica; nel secondo, essi diventano vendicativi in risposta ad azioni

percepite come lesive nei loro confronti, e tendono a punire colui che ha commesso l’offesa,

anche a costo di sopportare una perdita in senso strettamente economico. Inoltre, secondo le

norme della reciprocità, le intenzioni percepite contano quanto le azioni effettivamente

compiute. La nozione di reciprocità non entra nella sfera del calcolo economico puramente

razionale: in altri termini, esula dal mondo delle norme di mercato (market norms), ma rientra

in quello delle norme sociali (social norms) (Fehr e Gächter 2000).

La reciprocità costituisce la base per la creazione e il mantenimento del capitale e delle

norme sociali, che contribuiscono alla formazione del tessuto sociale. Essa, infatti, permette il

mantenimento di regolarità comportamentali ampiamente accettate e condivise dalla

comunità, operando con meccanismi premianti e sanzionatori (Bruni 2006).

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Tale concetto risulta un ingrediente rilevante per un public policy design efficace: ciò appare

chiaro considerando l’evidenza empirica raccolta nei vari public goods experiments condotti,

tra gli altri, da Fehr e Gächter (2000).

Public Goods Experiment

Prendiamo un gruppo con quattro persone, e diamo a ciascuno 20 gettoni. Per ogni gettone

non speso dal soggetto, egli guadagna un altro gettone. Per ogni gettone impiegato in beni

pubblici, tutti i soggetti del gruppo ricevono 0,4 gettoni. Qual è la strategia massimizzante?

Per il singolo, il free-riding: se egli tiene per sé tutti i gettoni, guadagnerà altri venti gettoni,

più 0,4*X gettoni che verranno investiti dagli altri nel bene pubblico. Per la collettività,

tuttavia, il benessere è massimizzato se tutti i soggetti investono tutti i gettoni nel bene

pubblico. Il ritorno per ciascuno, infatti, sarà di 0,4*(20*4)=32 gettoni, cosicché la collettività

disporrà di 32*4=128 gettoni.

Secondo la teoria economica neoclassica, il risultato finale del gioco dovrebbe essere

l’impossibilità di fornitura del bene pubblico, causata dall’egoismo razionale degli individui;

in realtà, gli esperimenti condotti sul campo mostrano ben altri risultati. I partecipanti,

innanzitutto, tendono a mostrare reciprocità positiva nel decidere quanto investire nel bene

comune: se i giocatori vedono che gli altri contribuiscono, essi a loro volta fanno la loro

parte. Quando ciò non accade, gli altri partecipanti puniscono il recalcitrante, ove sia data

loro la possibilità, anche a costo di rimetterci dei gettoni (Fehr e Gächter 2000). Inoltre, ove

la comunicazione tra i partecipanti è permessa, i livelli di contribuzione al bene pubblico

aumentano considerevolmente, e la collaborazione dura più a lungo, riducendo drasticamente

il free-riding (Isaac e Walker 1988).

I risultati dei public goods experiments sono applicabili alla politica economica e, più in

generale, all’impostazione del delicato rapporto tra comunità dei cittadini e Stato. Incorporare

tali concetti nell’architettura della governance dello Stato e delle singole politiche può

costituire il fattore critico di successo per instaurare quei regimi cooperativi di governo dei

beni collettivi descritti da Ostrom (1990) come la forma di governo della cosa pubblica di

maggior efficacia e longevità.

II. Principi per la governance dei beni collettivi: i Design Principles of Cooperative

Regimes

Secondo il premio Nobel Elinor Ostrom (2000), la legge dello Stato non si applica con la

forza dei controlli a tappeto e di costrizioni dall’alto; la civile convivenza e la condivisione

dei beni collettivi si ottiene efficacemente, invece, sfruttando alcuni aspetti della psicologia

umana. I presupposti per governare i commons con successo sono norme di reciprocità,

credibilità e fiducia nei leader della comunità: risorse e fattori intangibili, ma critici per la

prosperità e la sopravvivenza a lungo termine dello Stato. In particolare, ogni regime

indipendente di gestione delle risorse collettive, per avere successo, ha bisogno di poggiare su

otto principi costitutivi, chiamati Design Principles of Cooperative Regimes (Ostrom 1990).

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I principi costitutivi

1) Un set di regole chiare e confini ben delineati. I partecipanti allo sfruttamento delle

risorse comuni (i cittadini) devono poter avere un’idea chiara dei propri diritti e dei propri

doveri con riferimento all’appropriazione dei beni collettivi, e devono sapere con chi

collaborare e a chi rivolgersi per lo sfruttamento di tali beni. In altri termini, la comunità deve

dotarsi di un sistema giuridico limpido, comprensibile a tutti e a misura di cittadino, senza

opacità e aree d’ombra. Le regole devono essere user-friendly.

2) Un set di regole equo e rispettoso delle specificità locali. Tali regole consentono

l’accesso alle risorse comuni a tutti i cittadini, poiché ne limitano le quantità, i tempi e la

tecnologia ammissibili per la loro appropriazione. I cittadini, inoltre, ottengono benefici dallo

sfruttamento delle risorse in proporzione al contributo offerto per la fornitura del bene

collettivo (i costi d’uso sono proporzionati ai benefici). Infine, tali regole si adattano alle

specifiche caratteristiche regionali, prevedendo opportune modifiche qualora in un

determinato luogo la risorsa sia particolarmente scarsa o abbondante. In altre parole, equità,

sostenibilità e rispetto della diversità devono informare il sistema giuridico vigente.

3) Meccanismi inclusivi di partecipazione democratica. La maggioranza degli individui

interessati da tale regime di governo dei beni collettivi deve poter stabilire le norme che lo

costituiscono e, se necessario, proporre di apportarvi delle modifiche. E’ dimostrato che le

comunità che rispettano questa condizione sono in grado di disegnare sistemi regolatori più

efficaci e duraturi nel tempo. La partecipazione democratica a tale processo deve essere la più

ampia possibile: diversi studi condotti in vari Paesi mostrano che l’efficacia del sistema

giuridico è inferiore quando la popolazione ha la percezione che le regole siano imposte

dall’alto da un’elite dominante. Famoso il caso di un sistema di irrigazione in India, in cui

Bardhan (2000) ha rilevato come la qualità della manutenzione dei canali fosse sensibilmente

inferiore quando i contadini ritenevano che le regole fossero state decise da una elite al

potere. Inoltre, le violazioni delle regole erano più frequenti, e i contributi per la

manutenzione tendevano ad essere inferiori.

4) Controllori legittimati dalla comunità a far rispettare le regole. I cittadini selezionano i

loro controllori, deputati a far rispettare le regole e accountable nei loro confronti. A volte,

tali controllori possono essere gruppi di cittadini che sfruttano le risorse comuni in prima

persona e si impegnano a partecipare all’enforcement delle regole. Talora, inoltre, il ruolo di

controllore è a rotazione, cosicché ogni utilizzatore della risorsa ha la possibilità di diventare

controllore a sua volta. Si tratta di un altro esempio di meccanismo inclusivo che caratterizza

i governi delle risorse collettive di maggior successo e durata.

5) Uso di sanzioni progressive. Le sanzioni nei confronti di chi infrange la legge sono

graduali e dipendono dalla serietà e dal contesto della violazione. In particolare, la sanzione

iniziale è molto blanda, ed è ascrivibile a una semplice informazione nei confronti del

cittadino sanzionato e della comunità nel suo insieme. Infrazioni ripetute, tuttavia, innescano

una rapida escalation della gravità delle sanzioni, fino all’extrema ratio, costituita dal bando

del soggetto dalla comunità. Tale architettura sanzionatoria permette di distinguere tra

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violazione occasionale e violazione sistematica, in grado di minare le basi di fiducia e

reciprocità tra gli utilizzatori.

6) Risoluzione delle controversie rapida e a basso costo. Istituzioni credibili e affidabili

deputate al dispute settlement tra cittadini e controllori permettono di mantenere e

corroborare la fiducia degli utilizzatori delle risorse nel sistema giuridico e nell’architettura

sociale cui essi stessi contribuiscono in prima persona. Tali istituzioni, inoltre, fanno luce su

possibili ambiguità e difficoltà interpretative della legge, agendo con il ruolo di facilitatori

della convivenza civile e non di impositori dall’alto del controllo.

7) Possibilità di modificare le regole in base alle necessità locali. Il settimo principio,

informato a criteri di sussidiarietà e autodeterminazione, prevede che le comunità locali

abbiano il diritto di innovare le regole nel loro territorio, rendendole ancora più rispondenti

alle loro esigenze. Per poter fare ciò, è necessario il placet del governo centrale.

8) Per sistemi più estesi e complessi, una struttura di governance a più livelli. Qualora le

risorse collettive siano molteplici e il loro sfruttamento complesso e su vasta scala, si rende

necessaria una governance appropriata, basata sui criteri precedentemente richiamati di

sussidiarietà e autodeterminazione.

III. Minacce alla sopravvivenza dello Stato

Ostrom (2000) passa in rassegna le minacce identificate empiricamente in letteratura ai

regimi di governo dei commons che fondano il loro successo su norme di reciprocità e

fiducia. Innanzitutto, la premessa per mantenere tale capitale sociale inalterato consiste nella

coesione sociale, che secondo Ostrom è messa a repentaglio quando i flussi migratori in

uscita e in entrata sono talmente significativi da far evaporare la fiducia reciproca tra i

membri della collettività, che si riflette nella ricerca del proprio “particulare”, a discapito

dell’edificio comune di governo dei commons. Per dirlo con Putnam (2000), c’è il rischio che

i membri della comunità inizino a giocare a bowling da soli. In tal modo, i regimi di governo

delle risorse collettive si disintegrano in breve tempo.

Altre cause –endogene ed esogene- del dissolvimento del capitale sociale e che minacciano il

fallimento del governo delle risorse collettive (e quindi dello Stato) includono: 1) un governo

nazionale accentratore, che non tiene conto dei principi di sussidiarietà e di

autodeterminazione, scatenando reazioni centrifughe da parte delle comunità locali. Ciò porta

allo sfaldamento dello Stato, percepito come un nemico; 2) rapidi cambiamenti nella

tecnologia e nella disponibilità dei fattori; 3) scomparsa del civismo e del rinnovamento

generazionale, che si declinano in: a) scarso turnover tra anziani e giovani; b) sclerosi della

trasmissione da una generazione all’altra dei principi alla base del governo delle risorse

collettive; 4) la ricerca troppo frequente di aiuti provenienti dall’esterno, che si traduce in

sostanziale perdita di autonomia nel definire e rispettare il set di regole di governo; 5) aiuti

internazionali di natura top-down, che non tengono conto delle esigenze e delle specificità

locali, trascurando know-how e istituzioni locali; 6) il prosperare di corruzione e pratiche

opportunistiche come l’evasione fiscale; 7) l’assenza di istituzioni che assicurino una

risoluzione delle controversie autorevole, rapida e a basso costo. Aggiungo un ulteriore

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punto, 8) una Pubblica Amministrazione inefficace e inefficiente, con rappresentanti

inadeguati e poco accountable nei confronti dei cittadini, utilizzatori delle risorse collettive.

Zero Contribution Thesis

Conseguenza del dissolvimento di fiducia e reciprocità è il raggiungimento dello stadio che

Olson (1965) chiama zero contribution thesis. Gli individui si comportano da free riders,

facendo diminuire a zero il loro contributo al bene pubblico, pur continuando a goderne i

benefici, dato che esso è, per definizione, non rivale e non escludibile nel consumo. E’ chiaro

che se ciascun individuo persegue questo corso d’azione, la fornitura del bene pubblico

diviene ben presto impossibile. Per Olson, pertanto, l’azione collettiva diviene problematica,

e gli individui, egoisti e razionali, devono essere influenzati tramite la predisposizione di

incentivi monetari e benefici adeguati.

IV. Come uscire dall’impasse? Il passaggio dalle market norms alle social norms

In realtà l’approccio di Olson è stato superato dalle acquisizioni recenti della Behavioral

Economics. I meccanismi di mercato (market norms), caratterizzati da scambi monetari, non

sono adeguati per impostare il delicato rapporto tra Stato e cittadini. I comportamenti e i

processi cognitivi e decisionali delle persone, infatti, sono contraddistinti da una buona dose

di irrazionalità e, con buona pace della saggezza convenzionale, spesso le considerazioni non

monetarie prevalgono sul resto (Ariely 2010a). Il nostro mondo è modellato in gran parte

dalle norme sociali (social norms), che si fondano su reciprocità e scambi gratuiti. Il nostro

universo interpersonale si basa su questi presupposti, sia nella vita privata che in quella

lavorativa. Ogni manager di successo conosce bene l’importanza di mantenere e sviluppare

eccellenti reti informali di relazioni con colleghi e clienti; allo stesso modo, il negoziatore

geniale sa che la riuscita di un negoziato dipende dalla capacità di ampliare la torta della

contrattazione, creando valore per sé e la controparte, in modo da acquisirne la fiducia anche

per il futuro. Secondo Bazerman e Malhotra (2007), “[y]our goal should not simply be to get

the best possible deal while preserving the relationship, but to get the best deal while

strengthening the relationship and your reputation”. Se il mondo in cui viviamo è questo,

perché il policy making dovrebbe funzionare diversamente?

L’errore nel quale i policy makers perseverano troppo spesso è quello di cedere alla

tentazione di creare distacco tra governo e cittadini, nel tentativo (fallace) di rimarcare i

rapporti di potere in gioco. Ne consegue una deriva paternalistica distorta, che mal si concilia

con l’obiettivo di migliorare la vita dei cittadini e rappresentarne gli interessi. Chi governa

imposta una relazione con i cittadini basata su market norms. Si registra, di conseguenza, un

arido appiattimento su diritti e doveri; la sottoposizione ad un regime fiscale oscuro (e

percepito come ingiusto in quanto tale) e ad una giustizia non meno aliena ai cittadini;

l’evaporazione del capitale sociale e del senso civico; la riduzione dell’impegno civile.

Riassumendo, il sistema si ripiega su stesso, poiché i cittadini, invece che formare un network

la cui massima espressione è lo Stato, si disperdono in un arcipelago di isole non

comunicanti. Il collante tra i cittadini si dissolve e lo Stato viene percepito come estraneo, un

“intruso” nel proprio microcosmo.

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Questa condizione, pur rappresentando un problema, non è sufficiente a minare le basi del

governo delle risorse comuni. Finché le market norms vengono rispettate, il sistema funziona.

Il problema, tuttavia, risiede nel fatto che, senza social norms forti e consolidate e

meccanismi di reciprocità e fiducia, anche le market norms iniziano a rivelarsi insufficienti e

a non essere più rispettate. Quando ciò accade, la crisi è manifesta e sia l’opinione pubblica

sia i policy makers sono consci della serietà della situazione.

L’errore ancor più grave, a questo punto, consiste nel tentare di risolvere la condizione di

cortocircuito delle market norms portando avanti soluzioni imperniate su queste ultime. Tale

corso d’azione, infatti, porterebbe ad una spirale perversa in cui i cittadini si sentono sudditi,

invece che partecipanti alla costruzione dell’edificio collettivo, con conseguenze nefaste e

potenzialmente drammatiche.

Levi, nel suo saggio A State of Trust (2003), descrive la fiducia reciproca tra Stato e cittadini

come una conditio sine qua non per ottenere il consenso contingente (contingent consent) dei

cittadini. In altri termini, solo se i cittadini hanno fiducia nello Stato e lo ritengono equo e

accountable sono disposti alla collaborazione, ricreando il tessuto sociale necessario alla

sopravvivenza e alla prosperità del regime di governo dei beni collettivi, che agisce attraverso

lo Stato stesso.

Pertanto, un policy making efficace non può prescindere dall’affidarsi alle social norms per

impostare il rapporto tra Stato e cittadini. Accountability, partecipazione collettiva, inclusione

sociale nei processi decisionali, mobilità sociale, equità e soprattutto comunicazione

trasparente ed immediata dell’azione di governo devono essere i pilastri su cui fondare l’agire

pubblico. Tali principi devono essere tuttavia corroborati da un sistema educativo appropriato

nella trasmissione da una generazione all’altra dei principi alla base del governo delle risorse

collettive. Il termine “educazione civica” appare limitante: non si tratta semplicemente di

insegnare i principi costituzionali o di fornire delle pur minime basi del vivere civile. Si

tratta, invece, di disegnare un sistema educativo che, nel suo complesso, metta in condizione i

cittadini del futuro di comprendere l’architettura della società, partecipando attivamente al

governo della comunità.

Gli ultimi decenni hanno visto l’affievolirsi dell’attenzione per le social norms, che ha avuto

come contraltare l’ossessione per l’applicazione universale delle market norms a tutti gli

aspetti delle nostre vite. Si sono snaturate le relazioni tra cittadini e tra cittadini e Stato. Gli

effetti sono sotto gli occhi di tutti. Parafrasando Ariely (2010a), provate a pagare vostra

suocera dopo che vi ha cucinato il pranzo di Natale. Ne subirete le conseguenze!

V. Social norms in azione: il caso dell’evasione fiscale

Un esempio di area di policy in cui il cambiamento di paradigma da market norms a social

norms potrebbe rivelarsi fruttuoso è quello della tassazione. In un Paese come l’Italia, in

particolare, il problema dell’evasione fiscale è una spada di Damocle per l’economia, avendo

raggiunto dimensioni talmente vaste (secondo il rapporto 2010 della GdF, i redditi non

dichiarati ammontano a 50 miliardi) da tarpare le ali alla crescita del Paese e da minare le

basi della coesione nazionale. Che fare dunque?

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Secondo i modelli economici tradizionali, fondati su meccanismi di deterrenza, gli individui

valutano se evadere o meno in base a un calcolo puramente razionale. La decisione dipende

strettamente dalla probabilità di essere scoperti e dalle sanzioni pecuniarie previste. Tuttavia,

come mostra una vasta letteratura di Behavioral Economics, se il modello di deterrenza

rappresentasse fedelmente la realtà, l’evasione fiscale costituirebbe un fenomeno ancor più

diffuso di quanto non accada (Feld e Frey 2003, Slemrod 2007, Congdon, Kling e

Mullainathan 2009). La probabilità di essere scoperti, infatti, è in tutti i Paesi troppo bassa per

essere considerata un deterrente efficace. Del resto gli accertamenti fiscali, da soli, non

saranno mai in grado di conseguire una totale tax compliance.

I modelli di deterrenza, infatti, sono riconducibili esclusivamente al mondo delle market

norms. Come sappiamo, tuttavia, le social norms sono almeno altrettanto importanti nel

modellare il comportamento degli agenti economici. Il settore della tassazione non fa

eccezione. Slemrod (2007) spiega l’importanza del ruolo del contingent consent nel

pagamento dei tributi. I cittadini, infatti, pagano quanto dovuto allo Stato non solo perché

sono obbligati a farlo (come abbiamo visto, potrebbero facilmente sfuggirvi), ma anche e

soprattutto per una “morale fiscale” (tax morale) intrinseca. Feld e Frey (2003) giungono ad

affermare che la tassazione è un fenomeno “quasi volontario”. E’ proprio la morale fiscale a

scendere ai livelli più bassi quando le market norms prendono il sopravvento sulle social

norms. In particolare, essa cala sotto il livello di guardia quando i cittadini nutrono profonda

sfiducia nello Stato, che percepiscono come ingiusto e recalcitrante nel perseguire i loro

interessi. Ariely (2010a) elenca numerosi altri principi psicologici alla base di fenomeni

dell’evasione fiscale o della corruzione: 1) l’assenza di una normativa chiara e comprensibile;

2) la percezione di ingiustizia del tributo (si tratta di un esempio di self-serving bias); 3) la

percezione che non sia un “peccato grave”; 4) il fatto che non implichi fisicamente l’atto del

furto (evasori anche milionari sono spesso individui che non ruberebbero mai nulla in un

supermercato, perché si tratterebbe di un furto diretto); 5) la percezione che il fenomeno sia

diffuso; 6) la mancanza di identificazione con le “vittime” del fenomeno (i cittadini onesti o

quelli disagiati, che ricevono meno sussidi dallo Stato a causa dell’evasione) (Ariely 2010b).

Come, dunque, ottenere il contingent consent da parte dei cittadini? Levi (2003) sottolinea

l’importanza della fiducia nello Stato, che si consegue attraverso meccanismi di

partecipazione inclusiva dei cittadini e procedure eque. Tale fiducia è reciproca: i cittadini

non sono guardati con sospetto. Congdon, Cling e Mullainathan (2009) suggeriscono di

pubblicizzare le cosiddette benefit tax, tasse che finanziano un beneficio saliente e

direttamente visibile dai cittadini. E’ possibile, inoltre, sfruttare concetti di Behavioral

Economics quali drop-in the bucket effect, identifiable victim effect e il principio di social

proof. Il primo, discusso da Ariely (2010b), attiene al fenomeno per il quale le persone sono

riluttanti a contribuire ad una causa per la quale essi percepiscono di non essere in grado di

fare la differenza. Nel campo dell’evasione fiscale, possiamo osservare che molti cittadini

evadono perché pensano che le loro tasse verranno impiegate male, o andranno a finire nel

nulla, non traducendosi in servizi concreti e miglioramento del benessere pubblico.

Conoscendo questo pattern comportamentale, possiamo porvi rimedio sfruttando

l’identifiable victim effect, descritto anch’esso in Ariely (2010b). Si tratta del fenomeno per

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cui le persone tendono a contribuire alle cause in cui riescono a identificare in maniera

circostanziata il destinatario della loro buona azione. Le ONLUS usano regolarmente questa

strategia per assicurarsi donazioni, preferendo mostrare le foto di un singolo bambino

bisognoso (facile da aiutare con poco) invece che far riferimento alle masse di disperati per le

quali sarebbero necessari miliardi di euro. Lo Stato dovrebbe sfruttare questi aspetti

psicologici per aumentare la tax morale e il contingent consent.

Non meno importante è il principio di social proof, descritto da Cialdini (2009): le persone

determinano ciò che è giusto e sbagliato in base alle convinzioni altrui. In altri termini, il

principio di social proof sta alla base dell’effetto gregge: tendiamo a osservare il

comportamento altrui e, di solito, ci uniformiamo. Nel caso dell’evasione fiscale, la

convinzione che si tratti di un malcostume dilagante gioca un ruolo significativo nel

determinare il comportamento dei cittadini. Il fatto che personaggi famosi del mondo dello

sport, dello spettacolo e della politica siano conclamati evasori fiscali o diano prova di una

condotta non esemplare nei confronti delle istituzioni contribuisce a rinforzare questo

meccanismo. Bisogna quindi sfruttare il principio di social proof a favore della tax

compliance, fornendo modelli positivi ai cittadini e pubblicizzando il comportamento di chi

rispetta la legge ed è un cittadino onesto per innescare fenomeni virtuosi di imitazione.

VI. Considerazioni conclusive

Il takeaway principale di questo paper è che la politica economica deve mostrarsi vitale e

innovativa per fronteggiare le sfide complesse del mondo odierno. La crisi economica e

finanziaria internazionale ha messo a nudo l’obsolescenza dei vecchi modelli dell’economia

mainstream, che ha dominato gli ultimi decenni del Novecento. La Behavioral Economics si

candida ad essere determinante nell’offrire spunti per una politica economica creativa ed

efficace per gli anni a venire, e i governi dovrebbero aprirsi all’adozione di strumenti e

paradigmi nuovi per impostare la propria azione.

E’ necessario un ritorno alla centralità della persona in quanto combinazione di razionalità e

irrazionalità, di mente e cuore, ed è urgente riconoscere che l’homo oeconomicus

congetturato nell’ultimo secolo non esiste. Basandosi su tale assioma, in questi decenni sono

stati commessi errori notevoli di politica economica, che hanno condotto al

ridimensionamento delle social norms e al dissolvimento del collante sociale, in favore di

market norms dettate da un economicismo perverso, distante dalla realtà e dai cittadini. Il

predominio della finanza sull’economia reale costituisce un aspetto di questa deriva, che ha

prodotto le ben note dolorose conseguenze.

E’ tempo di ricostruire il rapporto tra Stato e cittadini basandosi sui principi ispirati a

reciprocità, fiducia e inclusione suggeriti da Ostrom e scoprendo forme di democrazia

realmente rappresentativa. Incorporare i bias, gli errori e i pattern comportamentali delle

persone nelle analisi economiche significa dimostrare onestà intellettuale, ingrediente

indispensabile per riuscire in questo non facile compito.

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Note bibliografiche

Ariely, D., Predictably Irrational: the Hidden Forces that Shape Our Decisions, Revised

and Expanded Edition, HarperCollins, 2010.

Ariely, D., The Upside of Irrationality: The Unexpected Benefits of Defying Logic at Work

and at Home, HarperCollins, 2010.

Bardhan, P., Irrigation and Cooperation: An Empirical Analysis of 48 Irrigation

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