+ All Categories
Home > Documents > USO IRRIGUO DELL'ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI DI NATURA AMBIENTALE CD-ROM

USO IRRIGUO DELL'ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI DI NATURA AMBIENTALE CD-ROM

Date post: 14-Nov-2023
Category:
Upload: independent
View: 0 times
Download: 0 times
Share this document with a friend
354
USO IRRIGUO DELL’ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI DI NATURA AMBIENTALE USO IRRIGUO DELL’ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI DI NATURA AMBIENTALE Istituto Nazionale di Economia Agraria a cura di Guido Bonati e Claudio Liberati rapporto irrigazione rapporto irrigazione MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE contiene CD-ROM
Transcript

USO IRRIGUO DELL’ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI

DI NATURA AMBIENTALE

USO IRRIGUO DELL’ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI

DI NATURA AMBIENTALE

Istituto Nazionale di Economia Agraria

a cura di Guido Bonati e Claudio Liberati

rapp

orto

irr

igaz

ione

rapp

orto

irr

igaz

ione

MINISTERO DELL’AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

contieneCD-ROM

USO IRRIGUO DELL’ACQUA E PRINCIPALI IMPLICAZIONI

DI NATURA AMBIENTALE

a cura di

Guido Bonati e Claudio Liberati

Istituto Nazionale di Economia Agraria

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina I

Il Rapporto è a cura di Guido Bonati e Claudio Liberati. La stesura del rapporto è stata curata,nelle singole parti, da diversi autori:

Introduzione: Claudio Liberati

Capitolo 1: Francesco Martucci Clavica

Capitolo 2: Luigi Perini

Capitolo 3: Corrado Lamoglie

Capitolo 4: Pasquale Nino

Capitolo 5: Mario Schiano lo Moriello

Capitolo 6: Massimo Iannetta

Capitolo 7: Claudio Fabiani

Capitolo 8: Domenico Barreca

Capitolo 9: Marco Arcieri

Capitolo 10: Raffaella Zucaro

La grafica e l’impaginazione sono state curate da Laura Fafone.

Il coordinamento editoriale è a cura di Federica Giralico.

Foto di copertina: Chiara Bonapace.

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina II

INDICE

Introduzione VII

CAPITOLO 1

QUADRO NORMATIVO E ASSETTO DELLE COMPETENZE ISTITUZIONALI

1.1 Quadro legislativo nazionale 11.2 La normativa comunitaria 141.3 Legislazione regionale vigente in materia di bonifica 16

CAPITOLO 2

RAPPORTO METEO-CLIMATICO PER L’ANNO 2004Premessa 55

1. Note metodologiche 561.1 Dati di base 561.2 Grandezze ed indici meteo-climatici 571.2.1 Temperatura 571.2.2 Precipitazione piovosa 581.2.3 Sommatorie termiche 581.2.4 Gelate 591.2.5 Evapotraspirazione 591.2.6 Bilancio idrico 601.3 Aree climatiche 601.4 Ambiente di lavoro 622. Profili meteo-climatici 622.1 Area climatica Aaw - Arco Alpino Occidentale 632.2 Area climatica Aae - Arco Alpino Orientale 642.3 Area climatica Ppa - Pianura Padana 652.4 Area climatica Pia - Peninsulare interna alta 662.5 Area climatica Pim - Peninsulare interna media 672.6 Area climatica Pib - Peninsulare interna bassa 682.7 Area climatica Vta - Versante tirrenico alto 692.8 Area climatica Vtm - Versante tirrenico medio 692.9 Area climatica Vtb - Versante tirrenico basso 702.10 Area climatica Vaa - Versante adriatico alto 712.11 Area climatica Vam - Versante adriatico medio 712.12 Area climatica Vab - Versante adriatico basso 722.13 Area climatica Sut - Versante sud tirrenico 722.14 Area climatica Sua - Versante sud adriatico 732.15 Area climatica Sic - Sicilia costiera 742.16 Area climatica Sii - Sicilia interna 75

III

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina III

2.17 Area climatica Sac - Sardegna costiera 752.18 Area climatica Sai - Sardegna interna 763. Mappe 77

CAPITOLO 3

MONITORAGGIO DELLA STAGIONE IRRIGUA 2003Premessa 80

1. Le problematiche sulle disponibilità idriche nelle regioni meridionali 812. Il monitoraggio della stagione irrigua 853. I Principali risultati regionali della stagione irrigua 2003 86

CAPITOLO 4

STIMA DEI VOLUMI IRRIGUI E DEI FABBISOGNI IDRICI COLTURALI, PER LE COLTUREPREVALENTI NEGLI ORDINAMENTI COLTURALI DELLE REGIONI OBIETTIVO

Premessa 1244.1 Metodologia di stima dei volumi irrigui 1254.1.1 Identificazione delle aree irrigue 1254.1.2 Costruzione di un data base sulle colture prevalenti nelle aree irrigue 1264.1.2.1 Integrazione fra data base di uso del suolo e dati di natura statistica

ed amministrativa 1314.1.3 Raccolta ed organizzazione dei dati sui fabbisogni idrici colturali 1334.2 Metodologia di calcolo dei fabbisogni idrici colturali attraverso un modello

di bilancio idrologico 1354.2.1 I dati di input del modello 1374.2.2 Generalità d’impiego del modello 1374.2.3 Visualizzazione dei risultati 1384.3 Risultati 141

Conclusioni

CAPITOLO 5

ANALISI DELLA STAGIONE IRRIGUA PER LE COLTURE ORTOFRUTTICOLE

Premessa 1465.1 Il quadro produttivo nazionale 1475.1.1 La superficie investita 1475.1.2 La produzione 1495.1.3 Ripartizione regionale della superficie ortofrutticola e della produzione raccolta 1535.2 L’industria di trasformazione 1625.2.1 Pomodoro da industria 1635.2.2 Industria agrumaria 1695.3 Il mercato dei prodotti ortofrutticoli freschi 1715.3.1 I prezzi nelle diverse fasi di scambio: origine, ingrosso e dettaglio 1725.4 I consumi di prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati 175

IV

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina IV

5.4.1 Gli acquisti domestici per area geografica 1765.4.2 Gli acquisti domestici per canale distributivo 1775.5 Il commercio con l’estero 1795.6 Considerazioni conclusive 184

CAPITOLO 6

ANALISI DEGLI ASPETTI ECONOMICI ED AMBIENTALI LEGATI ALLA DESERTIFICAZIONE

Premessa 1886.1 Descrizione del fenomeno 1886.2 Le cause della desertificazione 1896.2.1 Le cause naturali 1896.2.2 Le cause antropiche 1906.2.3 I processi di degrado 1926.2.4 Fattori predisponenti 1946.2. Caratterizzazione tipologica delle principali forme di degrado osservate

e studiate nelle regioni meridionali italiane 1956.2.1 Identificazione di aree trattate da più studi 1966.3 Indicatori per l’analisi ed il monitoraggio della desertificazione 2006.3.1 Schemi concettuali di riferimento più utilizzati 2006.4 Estensione del fenomeno desertificazione 2066.5 Studio delle dinamiche di uso delle terre e degli impatti dei relativi cambiamenti

sui fenomeni di desertificazione 2106.5.1 Obiettivo dello studio 2106.5.2 Approccio metodologico 2106.5.3 Carta dei sistemi di terre 2116.5.4 L’analisi dei cambiamenti delle coperture delle terre 1960-2000 2136.5.5 Processi di degrado delle risorse naturali 2146.5.6 Mitigazione del fenomeno 2156.5.7 Sistemi di allerta precoce (EWS) e di supporto alle decisioni (DSS) 2166.6 L’atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione 2186.7 Aspetti economici 2196.7.1 Acqua come bene economico legato alla desertificazione 2196.7.2 Suolo come bene economico legato alla desertificazione 2236.8 Azioni di lotta alla desrtificazione 2256.8.1 Progetti realizzati ed in corso 2256.8.2 Applicazione della Convenzione ONU sulla lotta alla Siccità e alla Desertificazione 2256.8.3 Accordi di Programma 2004 e 2005 tra Ministero dell’Ambiente e della Tutela 230

del Territorio e Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità e alla Desertificazione 2306.8.3.1 Piano operativo 2004 del Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità

e alla Desertificazione 2306.8.3.2 Piano operativo 2005 del Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità

e alla Desertificazione 2316.9 Conclusioni 238

V

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina V

CAPITOLO 7

ANALISI SULLA QUALITÀ DELLE ACQUE DESTINATE A SCOPI IRRIGUI

7.1 La qualità delle risorse idriche: una premessa necessaria 2407.2 Riferimenti normativi in tema di qualità delle acque 2437.3 Dati di qualità 2517.3.1 Cianobatteri e qualità delle acque invasate 2587.4 Usi delle risorse 2597.5 Riuso acque depurate 267

Conclusioni 272

CAPITOLO 8

IL FUNZIONAMENTO E LA GESTIONE DEGLI ENTI GESTORI DELLA RISORSA IRRIGUA

8.1 Cenni sul quadro normativo di riferimento 2748.2 Composizione dei Bilanci, lettura e descrizione delle singole voci 2758.3 Attività dei Consorzi di Bonifica, Classi di Costo e di Ricavo, Analisi Comparativa

dei dati di Bilancio di Tre Consorzi di Bonifica, Indicatori Gestionali 2808.4 Conclusioni 291

CAPITOLO 9

SCENARI FUTURI DELL’IRRIGAZIONE

Premessa 2969.1 L’impatto ambientale della PAC 2989.2 La Direttiva Quadro 2000/60/CE 3089.3 Gli scenari alternativi 313

CAPITOLO 10

POLITICHE AGRICOLE E AMBIENTALI INERENTI LE RISORSE IDRICHE

10.1 Principali problematiche relative ad irrigazione e ambiente 32010.1.1 Il settore irriguo nazionale 32010.1.2 Agricoltura e ambiente 32110.1.3 Esternalità positive prodotte dall’attività agricola sull’ambiente 32410.2 Principale normativa e strumenti di programmazione per il settore irriguo

e relativi risvolti sull’ambiente 32510.3 Gli strumenti di programmazione regionale per il settore irriguo

e i relativi risvolti sull’ambiente 330

VI

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina VI

INTRODUZIONE

L’attenzione posta in questi ultimi anni alle risorse idriche e al loro utilizzo a fini irriguinon è focalizzata solo sui paesi in via di sviluppo o in situazioni locali a rischio di desertificazio-ne; anche in Italia, infatti, si avverte fortemente l’esigenza di un approfondimento conoscitivosul tema dell’acqua e sul settore primario, responsabile dell’utilizzo di buona parte delle risorseidriche disponibili, soprattutto in riferimento ai ricorrenti fenomeni di crisi idrica che interessa-no il nostro Paese.

I fenomeni siccitosi non sono più geograficamente limitati soltanto alle Regioni meridiona-li, ma si estendono anche a quelle del Nord, caratterizzate da un’agricoltura fortemente dipen-dente dalla risorsa idrica, ma che non avevano mai manifestato in passato reali situazioni diemergenza. Le regioni meridionali sono invece tradizionalmente interessate da carenze idriche,che hanno messo in difficoltà produzioni ortofrutticole di pregio, da cui, in assenza di insedia-menti industriali, dipende l’economia di intere aree.

Il quadro normativo e l’assetto delle competenze sono in una fase di profonda evoluzione,anche per la necessità di recepire la Direttiva Quadro 2000/60/CE sulle Acque, e gli aspettiambientali (in termini di emungimento della falda, di intrusione del cuneo salino o di riutilizzo diacque reflue depurate) sono visti sempre più in termini di emergenza.

L’agricoltura, in particolare, catalizza l’attenzione degli esperti. Il settore primario è, infat-ti, il maggiore utilizzatore di risorsa idrica ed è spesso indicato come causa di sprechi o ineffi-cienze. In realtà, l’irrigazione è necessaria per una moderna agricoltura, ed è costante l’attenzio-ne del decisore politico, a livello nazionale e regionale, verso un utilizzo razionale dell’acqua.

Da questo contesto nasce l’esigenza di un rapporto sullo stato dell’agricoltura irrigua ita-liana e sulle sue implicazioni ambientali. La realizzazione di un rapporto su queste tematiche èstata sino ad oggi limitata dalla carenza di dati di base, in particolare sulle superfici irrigate esugli altri dati di carattere strutturale del comparto. Grazie al lavoro svolto dall’INEA in questiultimi anni, tale limite, seppur in qualche misura e per alcune tipologie di dati continui a sussi-stere, si sta in parte superando.

Pur con i limiti imposti dalla carenza di dati di base, questo primo rapporto può costituireun positivo elemento di riflessione sull’intero comparto, in grado di evidenziare la funzionalità, leefficienze e le inefficienze di un servizio vitale per le nostre produzioni agricole.

Per la realizzazione di questo lavoro non sono state effettuate nuove indagini o realizzatenuove banche dati, ma sono state raccolte le informazioni esistenti in maniera organica e funzio-nale in base alla disponibilità riscontrata sul territorio. Per questo motivo, la descrizione di alcu-ne componenti che caratterizzano l’agricoltura irrigua potrà risultare più approfondita per alcu-ne aree geografiche rispetto ad altre.

Nella redazione del presente rapporto sono state affrontate diverse tematiche afferenti alsettore. Nel capitolo 1 si ricostruisce il quadro della normativa, regionale, nazionale e comunita-ria, sulle risorse idriche, con particolare riferimento al settore irriguo, rappresentando gli even-tuali cambiamenti nell’assetto delle competenze gestionali.

Il capitolo 2 analizza l’andamento climatico nel corso della stagione irrigua ed evidenziaeventuali situazioni di criticità e di scostamenti rispetto alla media. Sono individuate le grandez-ze meteorologiche e gli indici in grado di descrivere l’andamento meteorologico dell’anno diriferimento in rapporto anche agli scostamenti rispetto alla norma climatica.

VII

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina VII

Il capitolo 3 descrive l’andamento della stagione irrigua in funzione delle disponibilitàidriche e della gestione dell’irrigazione all’interno dei territori consortili delle Regioni Ob. 1.

Nel capitolo 4 si è voluto presentare le attività svolte dall’INEA in due specifici campi diattività: la costruzione di un data base sulle colture irrigue, da cui è possibile estrarre informa-zioni relative alla localizzazione geografica delle aree irrigate e ai volumi irrigui utilizzati; ladefinizione di un modello di calcolo dei fabbisogni idrici colturali, quale strumento in grado dideterminare, sulla base dell’analisi dei complessi rapporti del sistema acqua-atmosfera-suolo-pianta, i quantitativi di acqua da erogare per soddisfare le esigenze idriche delle colture ed imomenti di intervento più opportuni.

Il capitolo 5 analizza l’andamento della stagione per le colture ortofrutticole; attraversol’analisi delle recenti tendenze produttive del settore si pongono in evidenza i riflessi che glieventi climatici hanno sulle coltivazioni ed in particolare sulle rese areiche.

Nel capitolo 6 ci si sofferma, invece, sull’analisi degli aspetti economici ed ambientalilegati alla desertificazione; sono stati analizzati i modelli di riferimento per esplicitare le relazio-ni di causa ed effetto dei diversi processi di degrado ambientale e socio-economico e per deter-minarne la loro intensità, nonché l’estensione sul territorio. Si è cercato, inoltre, di integrare gliaspetti ambientali legati all’utilizzo delle risorse idriche e dei suoli con l’analisi economica, sul-la base di indicatori significativi.

Nel capitolo 7 si affronta un’analisi sulla qualità delle acque utilizzate, sia in termini di sta-to dell’arte o modifiche alla normativa, sia sulla base di eventuali analisi puntuali effettuate daenti gestori o enti pubblici, sia per quanto riguarda l’utilizzo delle acque reflue depurate. Nel qua-dro attuale non sono disponibili controlli e protocolli specifici per le acque destinate all’uso irri-guo, pur esistendo numerose norme tecniche di qualità delle acque per i vari usi che, se applicate,garantiscono un uso sicuro e razionale delle risorse idriche. Da un punto di vista agronomico, laqualità delle acque, consigliata in funzione del tipo di coltura e delle tecniche di irrigazione, è defi-nita sulla base di considerazioni di tipo produttivo o igienico-sanitario tenendo conto solo margi-nalmente degli aspetti prettamente ambientali. Analogamente, per quanto riguarda l’uso dell’ac-qua in agricoltura, non vi sono specifici programmi regionali di monitoraggio e controllo dellaqualità, se non in situazioni locali segnate da una qualche criticità che li renda necessari. Pertan-to, le acque utilizzate in agricoltura presentano di fatto la qualità delle acque del corpo idrico dacui sono prelevate senza specifici controlli o trattamenti. Questa condizione è molto importante percapire la diversità tra obiettivi ambientali (152/99 e decreto sul riuso delle acque reflue), obiettividi protezione della salute (acque destinate al consumo umano) e obiettivi di interesse produttivo.

L’analisi svolta nel capitolo 8 ha avuto l’obiettivo di ricostruire un quadro del funziona-mento degli enti gestori della risorsa idrica ad uso irriguo. Particolare attenzione è stata dataalla capacità di copertura dei costi di gestione delle attività istituzionali dei Consorzi di Bonifica.I regimi di pagamento dell’acqua usata in agricoltura, infatti, hanno subito nel tempo cambia-menti rilevanti. Negli ultimi anni, i pagamenti irrigui di molte aree agricole hanno subito unincremento notevole, soprattutto perché, in diversi casi, si è ridotta la partecipazione delle Regio-ni al finanziamento delle spese sostenute dai Consorzi stessi. In particolare, si sono azzerati icontributi alla spesa per l’acquisto di energia elettrica e per la remunerazione del personale del-la maggior parte degli enti. Questo ha contribuito ad accrescere, a volte in misura consistente, lecontribuzioni richieste agli utenti serviti dai Consorzi di Bonifica. L’analisi comparativa dei datidi bilancio dei Consorzi esaminati, ha permesso di individuare il grado di copertura, attraversola contribuzione privata, dei costi sostenuti dagli enti per le attività istituzionali. Il risultato èpoco incoraggiante; risulta, infatti, indiscutibile il ruolo dei contributi pubblici, che continuanoad assumere un’importanza cruciale nel sostenere il complesso delle attività consortili.

VIII

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina VIII

Il capitolo 9 mira a valutare l’impatto combinato che la Direttiva Quadro 2000/60/CE e laPolitica Agricola Comune (PAC) possono avere sulla domanda di acqua per l’uso irriguo. I datipreliminari ottenuti dalle principali fonti statistiche evidenziano che le risposte ottenute all’appli-cazione di queste due politiche non sono sempre univoche e che, ciò che è più importante, nonvanno necessariamente in direzione del conseguimento di obiettivi di salvaguardia ambientale.

Nel capitolo 10, infine, sono individuate le principali caratteristiche agricole e gestionali,derivate dallo specifico assetto idrogeologico e morfologico del territorio e sono descritti, a livel-lo generale, i principali elementi di criticità del settore irriguo inerenti il rapporto tra risorseidriche ed attività agricola. Parallelamente si evidenzia una serie di esternalità con effetti positi-vi sull’ambiente prodotte dall’uso dell’acqua in agricoltura. In conclusione, sono indicati edescritti nel dettaglio i principali strumenti per la programmazione fisica e finanziaria operata alivello nazionale e regionale per il settore irriguo.

IX

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina IX

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina X

CAPITOLO 1

QUADRO NORMATIVO E ASSETTO DELLE COMPETENZE ISTITUZIONALI*

Abstract

In materia di risorse idriche, l’approccio del legislatore è mutato sensibilmente nel corsodel tempo; gli interventi dell’appena costituito Regno d’Italia erano, infatti, prevalentementeorientati verso l’obiettivo della tutela della popolazione e del territorio nei confronti dei rischirappresentati, principalmente, dall’irregolarità del regime dei corsi d’acqua; un diverso approcciocaratterizza la fase legislativa successiva, principalmente attraverso il Regio Decreto n. 215 e n.1775 del 1933; questi ultimi, rispondendo all’esigenza di stimolare lo sviluppo agricolo ed indu-striale del Paese, miravano a regolare lo sfruttamento della risorsa idrica. L’approccio attuale del-l’intervento del legislatore è maggiormente concentrato sui problemi della scarsità e della qualitàdella risorsa idrica e sulle conseguenti necessità di tutela e sfruttamento razionale.

In quest’ambito si pone l’emanazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Legge Galli) cheriorganizza completamente il sistema della gestione delle acque, nel complesso dei suoi aspetti –captazione, adduzione, distribuzione, gestione delle acque reflue; la riforma è stata di tale portatache, a dodici anni dall’entrata in vigore, essa non è ancora stata portata a termine.

Altro fatto saliente è stato il trasferimento di funzioni legislative ed amministrative dal Gover-no alle Regioni ed agli Enti locali, che ha riguardato – tra le altre – anche le competenze in materia ditutela del territorio, gestione delle bonifiche e – ovviamente – attuazione della legge Galli.

Il quadro normativo si completa con le norme comunitarie, tra le quali – in particolare – laDirettiva 2000/60/CE, che però non ha ancora trovato completa attuazione da parte del legislato-re italiano.

Lo scopo di questo studio è fornire una sintetica disamina del quadro normativo statale,integrato dalla legislazione regionale in materia di bonifica, nonché della attuazione della riformadella legge 1994, n. 36.

Italian laws about water resources have set different objectives to the policy makers; in thefirst years after the unification of the kingdom, concerns were about the security of land andtowns against harmful events, so the laws regulated mainly the realisation of hydraulic works.Later, in the first half of the 20th century, the Government programme pointed to the economicdevelopment – either industrial, or agricultural. The State recognised the need to improve theextension of soils and the exploitation of the water, particularly for energetic production; so, thiswas the new first aim of legislation. These subjects are, nowadays, under regional jurisdiction,after several transfer of power from central to local governments, in the last three decades.

At the end of the century, instead, the first problem to face was shortage of water, as well asthe regulation of its quality; the reaction of the legislator was a reform of the whole water exploi-tation and utilization system (law January 5th, 1994, nr. 36), that was so deep that the puttinginto practice is not yet complete, even twelve years after the promulgation of the law.

This study describes, in synthesis, Italian legislation about water resources, since thebeginning up to date, completed with the regional legislation about drainage and with the pre-sent-day condition of the water resources reform.

1

* Francesco Martucci Clavica, consulente.

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 1

1.1 Quadro legislativo nazionale

Il quadro normativo nazionale, che disciplina la materia delle risorse idriche, inizia a deli-nearsi con la L. 20 marzo 1865, n° 2248 – per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia,allegato F – sui lavori pubblici. Lo Stato intendeva salvaguardare le popolazioni da eventi danno-si attraverso la predisposizione di misure strutturali idonee. Si disciplina in particolare l’imputa-zione e l’organizzazione dell’intervento pubblico attraverso l’applicazione, tecnico-economica,di opere a diversi comparti di beni e di attività. L’amministrazione statale si manifestava in formafortemente accentrata e l’organo di riferimento era il Ministero dei Lavori Pubblici, che era pre-posto ad intervenire nell’economia solo per motivi inerenti la sanità o la sicurezza.

In particolare il titolo III “delle acque soggette a pubblica amministrazione” affida algoverno la suprema tutela sulle acque pubbliche e la ispezione sui relativi lavori. Il Capo II dispo-ne l’ordinamento dei consorzi per le opere di difesa sulle acque pubbliche, ed in particolare, gliarticoli da 105 a 119, ne regolamentano la costituzione e l’organizzazione. Il Capo V, relativo allederivazioni delle acque pubbliche, definisce, negli artt. da 132 a 139, la concessione; vengonostabilite la quantità, il tempo, il modo e le condizioni dell’estrazione, le condizioni della condottae dell’uso delle acque e il canone annuo o il prezzo di vendita da corrispondere alle Finanze del-lo Stato.

Il legislatore aveva individuato nella concessione lo strumento idoneo a regolare ed equili-brare l’utilizzazione della risorsa da parte dei singoli, senza ledere gli interessi della società. Leacque venivano considerate sotto il profilo idrogeologico, per cui assumeva rilevanza la localizza-zione dei singoli corpi idrici e, pertanto, l’interesse legislativo doveva contemperare le esigenzelocali con quelle generali.

Fece seguito alla normativa del 1865 sulle opere pubbliche il R.D. 25 luglio 1904, n. 523 –Testo unico delle disposizioni di legge intorno alle opere idrauliche delle diverse categorie, cherappresenta una delle più importanti e articolate leggi in materia di difesa del suolo mai uscite inItalia, tanto che parte dei suoi 102 articoli è tuttora in vigore, anche se, talvolta, in contrasto con isuccessivi interventi legislativi, accavallatisi nel corso del tempo con rilevanti problemi di inter-pretazione ed, in particolare, con la normativa della Direttiva comunitaria 2000/60.

L’Italia del tempo aveva bisogno di regolare le acque per meglio utilizzarle in agricoltura,per contenere i rischi e consentire l’espansione dei centri urbani; a tal fine, il Regio Decreto face-va ordine nella disciplina sulle opere idrauliche, in particolare classificando tali opere in diversecategorie e determinandone le modalità di realizzazione e di gestione per ognuna di esse; inoltre,introduceva una serie di norme su navigazione nelle acque interne, trasporto dei legnami a galla esfruttamento delle acque pubbliche.

Le finalità perseguite hanno favorito il consolidamento di un approccio di tipo infrastruttu-rale alla gestione degli ecosistemi fluviali; il fiume, infatti, è stato spesso ridotto alla stregua diuna via d’acqua da contenere e da sfruttare utilizzando le competenze proprie dell’ingegneriaidraulica. Tale approccio è sicuramente riduttivo, soprattutto alla luce dell’attuale orientamento,che riconosce la necessità di una gestione integrata, basata sulla pianificazione di bacino idrogra-fico e su competenze ampie ed interdisciplinari (non solo di ingegneria idraulica, ma anche diidrologia, geomorfologia, ecologia, ecc.).

Importanti modifiche sono state apportate con il R.D. 11 dicembre 1933, n. 1775 (v. infra)e con la L. 13 luglio 1911, n. 744.

Successivamente, con il Regio Decreto 13 febbraio 1933 n. 215 – Nuove norme per labonifica integrale, il legislatore interviene in materia in risposta ad un radicale mutamento del-l’obiettivo della bonifica, che non era più, come in precedenza, soltanto un’azione da svolgere in

2

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 2

zone lacustri e paludose, ma un’attività da estendere a tutto il territorio in modo da incrementarnela produttività mediante l’esecuzione di opere di interesse generale, mirate sia alla trasformazio-ne, sia al mantenimento dell’assetto territoriale.

Il Testo Unico disciplinò, oltre che la politica dei lavori idraulici, anche la protezione delpatrimonio idrico in relazione ai bisogni dell’agricoltura. La decisione di sostenere il settore agri-colo, quale settore debole, provocò la separazione tra opere irrigue ed interventi idraulici legatialle esigenze del settore.

L’intervento statale, finanziario e programmatorio, per l’utilizzazione delle risorse idrichesi fonda sull’Istituto della concessione e del Consorzio. Certamente l’istituto del Consorzio nelsistema della bonifica è l’elemento fondamentale al quale è riconosciuta personalità giuridicapubblica.

Il Titolo I, articolo 1 recita: “Le opere di bonifica sono quelle che si compiono, in base adun piano generale di lavori e di attività coordinate, con rilevanti vantaggi igienici, demografici,economico sociali, in Comprensori in cui cadono laghi, stagni, paludi e terre paludose, o costitui-ti da terreni montani dissestati nei riguardi idrogeologici e forestali, ovvero da terreni, estensiva-mente utilizzati per gravi cause d’ordine fisico o sociale, e suscettibili – rimosse queste – di unaradicale trasformazione dell’ordinamento produttivo.

Le opere di miglioramento fondiario sono quelle che si compiono a vantaggio di uno o piùfondi, indipendentemente da un piano generale di bonifica.

Nella nozione di opere di bonifica rientrano anche le opere di competenza privata, in quan-to si riferiscono a singoli fondi o ad agglomerati di fondi, che abbiano interesse pubblico; allalibera iniziativa privata, invece sono lasciate le opere di miglioramento, che si compiono indi-pendentemente da un piano generale di bonifica.

Il titolo II del Regio Decreto definisce la classificazione dei comprensori ed il piano dibonifica che, sono classificati in due categorie: “alla prima appartengono quelli che hanno un’ec-cezionale importanza specialmente ai fini della colonizzazione e richiedono, a tale oggetto, operegravemente onerose per i proprietari interessati; appartengono alla seconda tutti gli altri”.

Il fine agricolo della bonifica trova riscontro nell’elencazione delle opere di competenzadello Stato all’art. 2, 2° comma, ove vengono indicate le opere di rimboschimento, di correzionedei tronchi d’acqua, di rinsaldamento delle pendici volte ai fini della stabilità del terreno e delbuon regime delle acque; le opere di bonifica dei laghi e degli stagni, delle paludi e delle terrepaludose, il consolidamento delle dune e la piantagione di alberi frangivento, le opere di provvi-sta di acqua per le popolazioni rurali, le opere di distribuzione di energia elettrica ai fini agricoli,le opere infrastrutturali di interesse del comprensorio, la riunione di più appezzamenti in conve-nienti unità fondiarie.

L’articolo 4 prevede che per ciascun comprensorio classificato sia redatto il piano generaledi bonifica il quale “contiene il progetto di massima delle opere di competenza statale e le diretti-ve fondamentali della conseguente trasformazione dell’agricoltura, in quanto necessaria a realiz-zare i fini della bonifica e a valutare i presumibili risultati economici d’altra natura”.

Il Capo III “dell’esecuzione delle opere” prevede che l’esecuzione delle opere pubbliche dibonifica sia riservata alla Stato che può provvedervi direttamente o per concessione. “La conces-sione è accordata al consorzio dei proprietari dei terreni da bonificare o al proprietario della mag-gior parte dei terreni anzidetti: solo in difetto di iniziative dei proprietari la concessione può esse-re fatta a province, comuni o loro consorzi”. La concessione assurge all’importanza di mezzo e dicondizione del pieno conseguimento dei risultati della bonifica.

Per quanto concerne le opere di competenza privata, i proprietari hanno l’obbligo di ese-

3

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 3

guirle in conformità delle direttive del piano generale di bonifica. Qualora i proprietari non inten-dano provvedervi direttamente possono chiedere che provveda il Consorzio.

Il Consorzio assurge a naturale esecutore della bonifica; è l’ente preposto alla manutenzio-ne delle opere eseguite, deve curarne l’esercizio, provvedere al riparto ed alla riscossione dellacontribuenza. Nel 1972 il Decreto delegato n. 11 di trasferimento delle funzioni amministrativerelative all’agricoltura, foreste, caccia e pesca dispose il trasferimento alle Regioni delle funzioniamministrative statali concernenti la bonifica integrale e montana, la sistemazione dei bacinimontani, la classificazione e declassificazione dei comprensori di bonifica integrale e montanadi seconda categoria, i compiti di redazione, approvazione e attuazione dei piani generali di boni-fica e di programmi di sistemazione dei bacini montani e delle zone depresse.

Il D.P.R. 616/77 ha confermato, all’art. 66, la competenza regionale in materia di bonifica.Le Regioni dispongono quindi delle funzioni di vigilanza e tutela, nonché delle altre funzioniamministrative spettanti allo Stato, non possono incidere sulla loro esistenza, i Consorzi sono staticoncepiti come Ente di autogoverno, degli agricoltori interessati alla bonifica non solo integrale,ma come attività pubblica alla quale partecipano tutti i soggetti che ne hanno veramente interesse.

Lo stesso anno è stato varato il Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, – Approvazionedel Testo Unico delle disposizioni di legge sulle acque e sugli impianti elettrici. Tale normativa siproponeva come statuto per la gestione delle acque, e riorganizzava per intero l’intervento ammi-nistrativo in considerazione dell’uso specifico cui era destinata la risorsa, producendo, peraltro,un eccessivo appesantimento degli apparati amministrativi.

La posizione di preminenza accordata al Ministero dei Lavori Pubblici, poneva il Ministe-ro dell’Agricoltura in posizione di dipendenza deputato alla sola gestione degli impieghi irriguidell’acqua in un quadro integrato di bonifiche.

Questo testo di legge considerava l’acqua, non più sotto il profilo geologico, ma privile-giando il massimo sfruttamento a fini produttivi, in particolare la produzione di energia elettricaera considerata spesso a discapito degli interessi agricoli

Il Testo unico è suddiviso in cinque Titoli: nel I (artt. 1-91) le derivazioni e le utilizzazionidelle acque pubbliche; nel II (artt. 92-106) le acque sotterranee; nel III (artt. 107-137) trasmissio-ne e distribuzione dell’energia elettrica; nel IV (artt. 138-210) il contenzioso sulle acque pubbli-che; nel V (artt. 211-234) disposizioni generali e transitorie.

La disciplina della concessione, la quale individua gli utenti, i requisiti e le informazionitecniche che debbono corredare la domanda, risulta essere il cardine di tutta la normativa.

Quanto alla disciplina dell’uso irriguo, il T. U. prevede in particolare:

– all’articolo 2, i requisiti soggettivi;

– all’articolo 5, la costituzione, a cura del il Ministero delle Finanze di un catasto delleutenze di acqua pubblica, che deve essere formato e conservato in ogni provincia;

– all’articolo 6, definisce le grandi e piccole derivazioni, disponendo i limiti per l’irriga-zione e per bonifica;

– agli articoli da 7 a 19 sono indicati i requisiti ed i criteri per il rilascio di nuove conces-sioni;

– all’articolo 20 che il trasferimento delle utenze ad uso irriguo di cui siano i titolari i pro-prietari dei terreni da irrigare, in caso di trapasso del fondo, operi in capo al nuovo pro-prietario limitatamente alla competenza del fondo stesso;

– all’articolo 28 il rinnovo della concessione, l’ufficio istruttore verifica l’effettivo fabbi-sogno della superficie irrigua da irrigare;

4

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 4

– all’articolo 31 il diniego della concessione ad uso irriguo a chi non abbia la proprietàdei terreni da irrigare;

– all’articolo 32 il diritto di riscatto;

– all’articolo 35 il pagamento di un canone annuo;

– all’articolo 58 la costituzione di “consorzi obbligatori” fra tutti o parte degli utenti di uncorso o bacino d’acqua con l’intervento di rappresentanti dell’amministrazione pubblica;

– all’articolo 59 che: “qualora si tratti di sole utenze irrigue, la costituzione del Consorzioavverrà nei modi previsti dalla bonifica integrale”.

Il parlamento repubblicano ha successivamente individuato l’esigenza di aumentare lasistematicità e l’integrazione delle attività di programmazione e di controllo. La legge 19 marzo1952, n. 184 – piano orientativo ai fini di una sistematica regolazione delle acque e relazioneannua del Ministero dei Lavori Pubblici, risponde all’esigenza di una conoscenza sempre aggior-nata dell’utilizzazione della risorsa idrica, prevedendo che la redazione del piano fosse finalizza-ta alla creazione di opere di difesa nei corsi d’acqua, ribadendo così la competenza del Ministerodei Lavori Pubblici in materia di opere idrauliche; la legge 25 gennaio 1962, n. 11 – Piano diattuazione per una sistematica regolazione dei corsi d’acqua naturali, obbligava l’amministrazio-ne a predisporre un programma quinquennale delle opere idrauliche già iniziate al fine di realiz-zare un piano di attuazione per la sistematica regolazione dei corsi d’acqua naturali.

L’orientamento del periodo prevede l’interessamento paritario del Ministero dei Lavoripubblici e del Ministero dell’Agricoltura in relazione alla predisposizione degli strumenti tecnicoamministrativi di programma, e sancisce la compatibilità degli usi alternativi delle risorse idriche,nonché il collegamento tra politica delle acque e difesa generalizzata del suolo. In particolarel’art. 3 della legge 25 gennaio 1962, n. 11 recita “debbono avere per oggetto il coordinamentodegli usi congiunti delle acque ai fini irrigui, idrodinamici, civili e di navigazione interna con gliinterventi rivolti alla sistematica regolazione dei corsi d’acqua ai fini della lotta contro le erosio-ni del suolo e della difesa dei territori contro le esondazioni dei fiumi e dei torrenti”.

Con la L. 27 luglio 1963, n. 632 – Autorizzazione di spesa per l’esecuzione di opere disistemazione e difesa del suolo, venne istituita una seconda Commissione alla quale si richiedevadi individuare i problemi tecnici, economici, legislativi e amministrativi al fine di perseguire eintensificare gli interventi necessari per la generale sistemazione idraulica e difesa del suolo.

Con l’istituzione delle Regioni inizia il decentramento dei poteri in materia di risorse idri-che. Il D.P.R. 14 gennaio 1972, n. 5 trasferisce le funzioni amministrative “in materia di navigazio-ne lacuale, fluviale e lagunare, e sui canali navigabili ed idrovie, che si svolge nell’ambito territo-riale di una Regione”; il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 – Attuazione della delega di cui all’art. 1della legge 22 luglio 1975, n. 382, Trasferimento di funzioni alle Regioni, nel Capo IV – “Viabili-tà, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale”, delinea il quadro di distribuzione delle com-petenze tra Stato e Regioni relativamente ad acquedotti, opere idrauliche e acque in generale.

L’articolo 87 attribuisce alla Regione le funzioni amministrative relative alla materia viabi-lità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale, gli acquedotti di interesse regionale, leopere pubbliche di qualsiasi natura qualora si eseguano nel territorio della Regione.

L’articolo 88 riserva allo Stato le funzioni amministrative concernenti le opere marittime,le opere idrauliche di prima categoria, le opere per le vie navigabili, le acque pubbliche nei limitidi cui al successivo articolo 90.

L’articolo 89 prevede una scadenza temporale per la delimitazione dei bacini idrografici acarattere interregionale e trasferisce alle regioni tutte le opere idrauliche relative ai bacini idrogra-fici non interregionali.

5

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 5

L’articolo 90 delega alle Regioni tutte le funzioni relative alla tutela, disciplina ed utilizza-zione delle risorse idriche; in particolare sono delegate le funzioni concernenti: gli aggiornamen-ti e le modifiche del piano regolatore generale degli acquedotti, gli interventi per la costruzione ela gestione degli impianti e dei servizi di acquedotto, l’imposizione e la determinazione delletariffe di vendita delle acque, la ricerca, l’estrazione e l’utilizzazione delle acque sotterranee, lapolizia delle acque.

L’articolo 91 riserva allo Stato le funzioni concernenti la programmazione nazionale gene-rale o di settore della destinazione delle risorse idriche, ed in particolare: la dichiarazione di pub-blicità delle acque, la formazione e la conservazione degli elenchi o catasti di acque pubbliche, ladeterminazione e la disciplina delle acque pubbliche anche sotterranee, il censimento nazionaledei corpi idrici, l’imposizione dei vincoli, l’individuazione dei bacini idrografici a carattere inter-regionale, l’utilizzazione delle risorse idriche per l’energia elettrica.

Una riorganizzazione del quadro delle competenze amministrative avviene con la legge 18maggio 1989, n. 183 – Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo(legge quadro), che ha come obiettivo l’impostazione di una politica di settore attraverso stru-menti di pianificazione e programmazione che comprendano i profili di tutela, gestione e attua-zione. Il raggiungimento di tali obiettivi è ricercato attraverso una politica di difesa del suolo, dirisanamento delle acque, di organizzazione, fruizione e gestione del patrimonio idrico per gli usidi sviluppo economico e sociale, di tutela ambientale.

Alla Pubblica Amministrazione è demandata l’attività di programmazione e pianificazione.

La legge quadro si compone di tre Titoli: il primo – le attività, i soggetti, i servizi; il secon-do – gli ambiti, gli strumenti, gli interventi, le risorse; il terzo – le disposizioni transitorie e finali.

La Regione ha competenza in materia di:

– raccolta dati difesa nel settore della difesa del suolo (art. 2)

– delimitano i bacini idrografici (art. 10)

– rilevamento e nell’elaborazione del progetto di piano dei bacini (art. 10)

– proposte per la formazione dei programmi e la redazione di studi (art. 10)

– elaborazione, adozione, approvazione e attuazione del piano (art. 10)

– programmi triennali d’intervento per l’attuazione del piano (art. 21)

– approvazione ed esecuzione dei progetti (art. 10)

– organizzazione e funzionamento servizi di polizia idraulica, gestione e manutenzionedelle opere e degli impianti (art. 10)

– organizzazione navigazione interna (art. 10)

– costituzione comitati di bacino (art. 10)

– relazione annuale uso del suolo (art. 10)

– iniziative conservazione e difesa del suolo (art. 10)

– competenza invasi non superiori a 1.000.000 di metri cubi (art. 10)

– funzioni relative al vincolo idrogeologico (art. 10)

– difesa delle coste (art. 10)

– stabiliscono i criteri per l’intesa, in materia di difesa del suolo, con Comuni, Province,Comunità montane e Consorzi di bonifica (art. 10)

– redazione del piano di bacino (art. 17)

La novità fondamentale della legge quadro consiste nell’individuazione del bacino idro-

6

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 6

grafico quale ambito territoriale di riferimento; vengono individuati i nuovi organismi pubblicipreposti alla gestione: le autorità di bacino, e vengono predisposti gli strumenti pianificatori costi-tuenti la base della disciplina del suolo e delle acque: i piani di bacino.

L’art. 1 comma 3, lettera d), dispone che si intende: “per bacino idrografico: il territorio dalquale le acque pluviali o di fusione delle nevi e dei ghiacciai, defluendo in superficie, si raccolgo-no in un determinato corso d’acqua direttamente o a mezzo di affluenti, nonché il territorio chepuò essere allagato dalle acque del medesimo corso d’acqua, ivi compresi i suoi rami terminalicon le foci in mare e il litorale marittimo prospiciente; qualora un territorio possa essere allagatoda più corsi d’acqua esso s’intende ricadente nel bacino idrografico il cui bacino imbrifero mon-tano ha la superficie maggiore”.

L’intero territorio nazionale è quindi ripartito in bacini idrografici, classificati in bacini dirilievo nazionale, interregionale e regionale (artt. 13, 14, 15, 16).

Successivamente, il legislatore ha riconosciuto l’esigenza di introdurre una gestione razio-nale delle risorse idriche, che consenta di ridurre gli sprechi, favorendo il riutilizzo qualora possi-bile; di creare gestioni non frammentate delle risorse; di ridefinire gli aspetti economici e tariffa-ri; di instaurare un preciso rapporto tra esigenze di tutela e servizi idrici, approvando la legge 5gennaio 1994, n. 36 – Disposizione in materia di risorse idriche, che ha, fra i suoi obiettivi:

– l’uso dell’acqua indirizzato al risparmio e al rinnovo delle risorse per non pregiudicareil patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la fauna e la flora acquati-che, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici;

– delimitazione di determinate aree naturali ad assoluta protezione;

– esclusione di qualsiasi captazione delle acque sorgive, fluenti e sotterranee necessariealla conservazione degli ecosistemi;

– priorità dell’uso dell’acqua per il consumo umano rispetto a tutti gli altri usi del medesi-mo corpo idrico superficiale e sotterraneo;

– collocazione, nella scala gerarchica, dell’uso agricolo dell’acqua immediatamente dopoil consumo umano.

La legge si compone di cinque Capi; il primo – principi generali; il secondo – servizio idri-co integrato; il terzo – vigilanza, controlli e partecipazione; il quarto – usi produttivi delle risorseidriche; il quinto – disposizioni finali e transitorie.

Il centro decisionale del sistema è individuato nell’ente locale, la cui operatività viene defi-nita all’interno di un insieme di vincoli ed incentivi prodotti da soggetti esterni: Governo, Autori-tà di bacino e Regione.

Lo Stato attraverso l’emanazione di decreti, determina:

– le direttive generali e di settore per il censimento delle risorse idriche, per la disciplinadell’economia idrica e per la protezione delle acque dall’inquinamento;

– le metodologie generali per la programmazione della razionale utilizzazione delle risor-se idriche e le linee della programmazione degli usi plurimi delle risorse idriche;

– i criteri e gli indirizzi per la programmazione di trasferimenti di acqua per il consumoumano;

– le metodologie ed i criteri generali per la revisione e l’aggiornamento del piano regola-tore generale, degli acquedotti, e successive varianti da effettuarsi su scala di bacino;

– le direttive ed i parametri tecnici per l’individuazione delle aree a rischio di crisi idrichecon finalità di prevenzione di emergenze idriche;

7

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 7

– i criteri per la gestione del servizio idrico integrato, costituito dall’insieme dei servizipubblici di captazione, adduzione e distribuzione e di acqua ad usi civili, di fognatura,di depurazione delle acque reflue;

– i livelli minimi dei servizi che devono essere garantiti in ciascun ambito territoriale otti-male, nonché i criteri e gli indirizzi per la gestione dei servizi di approvvigionamento,di captazione e di accumulo per usi diversi da quello potabile;

– meccanismi ed istituti di conguaglio a livello di bacino ai fini dell’equilibrio tariffario.

Alle Regioni sono attribuiti i compiti di:

– delimitare gli ambiti territoriali ottimali;

– dettare norme integrative sugli scarichi;

– formulare il piano di risanamento;

– adottare convenzioni tipo con gli enti gestori;

– provvedere all’aggiornamento del piano regolatore generale degli acquedotti su scaladi bacino.

Ai Comuni e alle Province il compito di organizzare e gestire il sistema idrico integrato e ladefinizione delle tariffe.

Il cardine della riforma poggia sull’equilibrio del bilancio idrico, inteso come contempera-mento tra disponibilità delle risorse e fabbisogno per diversi usi. Per la prima volta vengono,infatti unificati, all’interno di uno stesso testo normativo e di un progetto unitario di governo delterritorio, principi di salvaguardia ambientale e di efficienza economica che in parte erano giàemersi nella legislazione precedente.

L’art. 1 della legge dispone che tutte le acque, senza distinzione, sono pubbliche, inseriscenel nostro ordinamento una dichiarazione generalizzata di pubblicità ex lege che va a sovrappor-si e a sostituirsi alla precedente definizione di acqua pubblica; al riguardo, il successivo D.P.R. 18febbraio 1999, n. 238 – Regolamento recante norme per l’attuazione di talune disposizioni dellalegge 5 gennaio 1994, n. 36, in materia di risorse idriche precisa che debbono considerarsi pubbli-che tutte le acque sotterranee e superficiali, anche raccolte in invasi e cisterne, eccetto tutte leacque piovane non ancora convogliate in invasi e cisterne. La raccolta di queste ultime in invasi ecisterne al servizio di fondi rustici o di edifici è libera e non è soggetta a licenza o concessione diderivazione; l’obiettivo del legislatore è quello di garantire il più completo sfruttamento dellarisorsa idrica, di qualsiasi tipo ed origine, non lesivo o pericoloso o comunque incompatibile coninteressi pubblici ed in conformità a principi generali di risparmio della risorsa.

L’articolo 4 introduce la nozione di “Servizio Idrico Integrato”. L’articolo 8 riorganizza iservizi idrici sulla base di ambiti territoriali ottimali secondo i criteri di rispetto dell’unità delbacino idrografico, del sub-bacino e dei bacini idrografici contigui, di superamento della fram-mentazione delle gestioni e conseguimento di adeguate dimensioni gestionali. L’articolo 13 fissai criteri di determinazione della tariffa tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servi-zio fornito. L’articolo 19 prevede i poteri sostitutivi in casi di inadempienza da parte della Regio-ne qualora non individui gli ambiti territoriali ottimali.

L’articolo 27 conferisce ai Consorzi di bonifica ed irrigazione la facoltà di realizzare e gesti-re le reti a prevalente scopo irriguo, gli impianti per l’utilizzazione in agricoltura di acque reflue,gli acquedotti rurali e gli altri impianti funzionali ai sistemi irrigui e di bonifica. L’articolo 28dispone che, la risorsa idrica deve essere assicurata, dopo il consumo umano, all’uso agricolo.

Lo stato di avanzamento nell’attuazione della legge 1994, n. 36 è trattato nel successivoparagrafo 3.

8

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 8

Negli anni seguenti si registrano altri interventi in materia di decentramento amministrati-vo. In particolare, il D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 112 – Conferimento di funzioni e compiti ammini-strativi dello stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo1997, n. 59 realizza il più ampio decentramento amministrativo a costituzione invariata. Taleprovvedimento interessa anche le competenze in materia di risorse idriche:

– all’art. 86 viene affidata la gestione del demanio idrico alle Regioni ed agli enti localicompetenti, i proventi ricavati dalla utilizzazione del demanio idrico sono introitati dal-la Regione e destinati – sentiti gli enti locali interessati – al finanziamento degli inter-venti di tutela delle risorse idriche e dell’assetto idraulico e idrogeologico sulla basedelle linee programmatiche di bacino.

– all’art. 88 vengono delineati i compiti di rilievo nazionale relativi:

a) al censimento nazionale dei corpi idrici;

b) alla programmazione ed al finanziamento degli interventi di difesa del suolo;

c) alla determinazione di criteri, metodi e standard di raccolta elaborazione e consulta-zione dei dati, alla definizione di modalità di coordinamento e di collaborazione trai soggetti pubblici operanti nel settore, nonché indirizzi volti all’accertamento,ricerca e studio degli elementi dell’ambiente fisico e delle condizioni generali dirischio; alla valutazione degli effetti conseguenti alla esecuzione dei piani, dei pro-grammi e dei progetti su scala nazionale di opere nel settore della difesa del suolo;

d) alle direttive generali e di settore per il censimento ed il monitoraggio delle risorseidriche, per la disciplina dell’economia idrica e per la protezione delle acque dal-l’inquinamento;

e) alla formazione del bilancio idrico nazionale sulla scorta di quelli di bacino;

f) alle metodologie generali per la programmazione della razionale utilizzazione dellerisorse idriche e alle linee di programmazione degli usi plurimi delle risorse idriche;

g) alle direttive e ai parametri tecnici per la individuazione delle aree a rischio di crisiidrica con finalità di prevenzione delle emergenze idriche;

h) ai criteri per la gestione del servizio idrico integrato come definito dall’articolo 4della legge 5 gennaio 1994, n. 36;

i) alla definizione dei livelli minimi dei servizi che devono essere garantiti in ciascunambito territoriale ottimale di cui all’articolo 8, comma 1, della legge 5 gennaio1994, n. 36, nonché ai criteri ed agli indirizzi per la gestione dei servizi di approvvi-gionamento, di captazione e di accumulo per usi diversi da quello potabile;

l) alla definizione di meccanismi ed istituti di conguaglio a livello di bacino ai fini delriequilibrio tariffario;

m) ai criteri e agli indirizzi per la programmazione dei trasferimenti di acqua per il con-sumo umano laddove il fabbisogno comporti o possa comportare il trasferimento diacqua tra regioni diverse e ciò travalichi i comprensori di riferimento dei baciniidrografici;

n) ai compiti fissati dall’articolo 17 della legge 5 gennaio 1994, n. 36, in particolarealla adozione delle iniziative per la realizzazione delle opere e degli interventi ditrasferimento di acqua;

o) ai criteri ed indirizzi per la disciplina generale dell’utilizzazione delle acque desti-nate a scopi idroelettrici ai sensi e nei limiti di cui all’articolo 30 della legge 5 gen-naio 1994, n. 36, fermo restando quanto disposto dall’articolo 29, comma 3;

9

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 9

p) alle direttive sulla gestione del demanio idrico anche volte a garantire omogeneità, aparità di condizioni, nel rilascio delle concessioni di derivazione di acqua, secondoi principi stabiliti dall’articolo 1 della legge 5 gennaio 1994, n. 36;

q) alla definizione ed all’aggiornamento dei criteri e metodi per il conseguimento delrisparmio idrico previsto dall’articolo 5 della legge 5 gennaio 1994, n. 36;

r) alla definizione del metodo normalizzato per definire le componenti di costo edeterminare la tariffa di riferimento del servizio idrico;

s) alle attività di vigilanza e controllo indicate dagli articoli 21 e 22 della legge 5 gen-naio 1994, n. 36;

t) all’individuazione e delimitazione dei bacini idrografici nazionali e interregionali;

u) all’esercizio dei poteri sostitutivi in caso di mancata istituzione da parte delle regio-ni delle autorità di bacino di rilievo interregionale di cui all’articolo 15, comma 4,della legge 18 maggio 1989, n. 183, nonché dei poteri sostitutivi di cui agli articoli18, comma 2, 19, comma 3, e 20, comma 4 della stessa legge;

v) all’emanazione della normativa tecnica relativa alla progettazione e costruzione del-le dighe di sbarramento e di opere di carattere assimilabile di qualsiasi altezza ecapacità di invaso;

z) alla determinazione di criteri, metodi e standard volti a garantire omogeneità dellecondizioni di salvaguardia della vita umana, del territorio e dei beni;

aa) agli indirizzi generali ed ai criteri per la difesa delle coste;

ab) alla vigilanza sull’Ente autonomo acquedotto pugliese.

– art. 89 alle Regioni ed agli enti locali sono trasferite tutte le funzioni non elencate nel-l’articolo 88 ed in particolare e quelle relative:

a) alla progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di qualsiasi natura;

b) alle dighe non comprese tra quelle indicate all’articolo 91, comma 1;

c) ai compiti di polizia idraulica e di pronto intervento di cui al regio decreto 25 luglio1904, n. 523 e al regio decreto 9 dicembre 1937, n. 2669, ivi comprese l’imposizio-ne di limitazioni e divieti all’esecuzione di qualsiasi opera o intervento anche al difuori dell’area demaniale idrica, qualora questi siano in grado di influire anche indi-rettamente sul regime dei corsi d’acqua;

d) alle concessioni di estrazione di materiale litoide dai corsi d’acqua;

e) alle concessioni di spiagge lacuali, superfici e pertinenze dei laghi;

f) alle concessioni di pertinenze idrauliche e di aree fluviali anche ai sensi dell’artico-lo 8 della legge 5 gennaio 1994, n. 37;

g) alla polizia delle acque, anche con riguardo alla applicazione del testo unico appro-vato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775;

h) alla programmazione, pianificazione e gestione integrata degli interventi di difesadelle coste e degli abitati costieri;

i) alla gestione del demanio idrico, ivi comprese tutte le funzioni amministrative rela-tive alle derivazioni di acqua pubblica, alla ricerca, estrazione e utilizzazione delleacque sotterranee, alla tutela del sistema idrico sotterraneo nonché alla determina-zione dei canoni di concessione e all’introito dei relativi proventi, fatto salvo quan-to disposto dall’articolo 29, comma 3, del presente decreto legislativo;

l) alla nomina di regolatori per il riparto delle disponibilità idriche qualora tra più uten-

10

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 10

ti debba farsi luogo delle disponibilità idriche di un corso d’acqua sulla base dei sin-goli diritti e concessioni ai sensi dell’articolo 43, comma 3, del testo unico approva-to con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775. Qualora il corso d’acqua riguardi ilterritorio di più regioni la nomina dovrà avvenire di intesa tra queste ultime.

Un secondo intervento in materia di decentramento amministrativo è contenuto nel D. Lgs.18 agosto 2000, n. 267 – Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Anche gli entilocali sono interessati alla gestione delle risorse idriche. Alla Provincia compete, infatti, la reda-zione del piano territoriale di coordinamento, il quale deve stabilire le linee di intervento per lasistemazione idraulica, idrogeologica ed idraulico forestale ed in genere per il consolidamentodel suolo e la regimazione delle acque (art. 20). Le Regioni hanno la facoltà di definire ambitisovracomunali per l’esercizio coordinato delle funzioni degli enti locali, attraverso forme associa-tive e di cooperazione, anche per quanto concerne gli interventi in difesa del suolo e di tutelaidrogeologica oltre alla raccolta, distribuzione e depurazione delle acque (art. 24).

Alcune norme di rilievo in materia di risorse idriche sono state introdotte per recepire alcu-ne direttive comunitarie: ad esempio con il D.P.R. 24 maggio 1988, n. 236 – Attuazione delladirettiva CEE n. 80/778 concernente la qualità delle acque destinate al consumo umano, ai sensidell’articolo 15 della legge 16 aprile 1987, n. 183, che recepisce nel nostro ordinamento principie criteri direttivi in materia di salvaguardia della salute umana e di protezione dell’ambiente,modificato con il successivo D. Lgs. 11 maggio 1999, n. 152 – Disposizioni sulla tutela delleacque dall’inquinamento e recepimento della direttiva comunitarie 91/271 concernente il tratta-mento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676 relativa alla protezione delle acque dal-l’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole.

Il decreto è stato emanato in base alla delega contenuta nell’art. 17 e della L. 128/1998(Legge Comunitaria) che prorogava di un anno il termine già concesso dalle due precedenti leggin. 146/1994 e n. 52/1996, ed estendeva l’ambito della delega precisando che, “in sede di recepi-mento delle due direttive sono apportate le modificazioni ed integrazioni necessarie al coordina-mento ed al riordino della normativa vigente in materia di tutela delle acque dall’inquinamento,secondo le modalità di cui all’art. 10”. Quest’ultimo articolo autorizzava il Governo ad emanare“testi unici compilativi delle disposizioni dettate, in attuazione delle deleghe conferite per il rece-pimento di direttive comunitarie, coordinando le norme vigenti nelle stesse materie ed apportan-dovi le integrazioni e le modificazioni necessarie al predetto coordinamento”. Inoltre l’art. 17 del-la L. 128 prevedeva, per la redazione della norma, quattro criteri relativi a:

– la tutela quantitativa delle acque;

– la liquidazione del danno ambientale;

– il rispetto della normativa europea in tema di limiti agli scarichi e di obiettivi di qualità;

– la copertura dei costi di adeguamento e di gestione degli impianti di fognatura e depura-zione attraverso la tariffa per il servizio idrico integrato.

In realtà il Decreto Legislativo ha realizzato il riordino generale della materia della tuteladelle acque dall’inquinamento ritenendo che la norma produrrà effetti innovativi sul tessuto nor-mativo preesistente, in quanto “la tutela riferita ad un sistema unitario, e la prevenzione dell’in-quinamento rivolta ad una pluralità di fenomeni, non riconducibili allo scarico di sostanze inqui-nanti ovvero a fenomeni di inquinamento diffuso bensì riguardanti diverse e svariate attivitàantropiche incidenti sulla qualità e quantità delle risorse”.

Quanto all’attribuzione delle competenze, spetta allo Stato svolgere Funzioni di indirizzo ecoordinamento distribuendole fra Ministero dei LL.PP. e Ministero dell’Ambiente; al Ministerodei LL.PP. compete la formulazione di linee guida per il bilancio idrico di bacino, il Minimo

11

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 11

Deflusso Vitale (art. 22),e la gestione delle dighe (art. 40). Al Ministero dell’Ambiente competel’emanazione delle norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue (art. 26), per il riutilizzoagronomico di determinati reflui (art. 38), per la gestione delle dighe (art. 40).

Le Regioni:

– definiscono gli obiettivi di qualità ambientale (art. 4);

– identificano la classe di qualità (art. 5);

– fissano le misure necessarie al mantenimento degli obiettivi di qualità ambientale (art. 5);

– elaborano i programmi per la qualità delle acque (art. 6);

– inviano, al M. Sanità, i dati relativi al monitoraggio e alla classificazione delle acquepotabili (art. 7);

– effettuano l’analisi biologica, la classificazione delle acque in funzione dell’esistenzadi banchi e popolazione naturale di molluschi (artt. 10/14);

– individuano le aree sensibili e non (art. 18);

– individuano ulteriori zone vulnerabili;

– controllano la concentrazione di nitrati da uso agricolo e relativi programmi di risana-mento dall’inquinamento;

– integrano il codice di buona pratica agricola, provvedono alla formazione ed informa-zione degli agricoltori (art. 19);

– individuano le aree vulnerabili da prodotti fitosanitari e da processi di desertificazione(art. 20);

– individuano aree di salvaguardia distinte in zone di tutela assoluta e zone di protezione(art. 21);

– stabiliscono le misure necessarie per la riduzione dei consumi idrici (art. 25);

– definiscono i valori limite di emissioni, compilano una relazione biennale sulla funzio-nalità dei depuratori di acque reflue (art. 28);

– dettano al disciplina per gli scarichi a forte fluttuazione stagionale (art. 31);

– stabiliscono le norme tecniche per l’utilizzazione agronomica degli effluenti di alleva-mento, delle acque di vegetazione dei frantoi oleari, delle acque reflue provenienti daallevamenti ittivi e da aziende agricole agroalimentari (art. 38);

– disciplinano l’uso delle acque meteoriche (art. 39);

– disciplinano gli interventi di trasformazione e gestione delle aree di pertinenza dei cor-pi idrici (suolo e soprasuolo) (art. 41);

– provvedono ad elaborare programmi di rilevamento utili per la descrizione delle caratte-ristiche del bacino idrografico e per la valutazione dell’impatto antropico (art. 42);

– adottano il piano di tutela delle acque (art. 44);

– disciplinano le fasi di autorizzazione provvisoria agli scarichi degli impianti di depura-zione delle acque (art. 45);

– disciplina le modalità di approvazione dei progetti di impianti di depurazione (art. 47);

Ai Comuni compete l’organizzazione e la gestione della rete idrica (acquedotti) e fognaria(art. 45).

Alle Autorità d’ambito compete:

– la gestione del servizio idrico integrato mediante forme di cooperazione intercomunale;

– la formulazione di proposte per l’individuazione delle aree di salvaguardia (art. 21);

12

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 12

– la determinazione di criteri per la gestione delle acque reflue (art. 33).

Alle Autorità di bacino compete:

– la pianificazione del bilancio idrico (art. 22);

– il rilascio del parere di compatibilità sulle grandi e piccole derivazioni (art. 23);

– la formulazione di un parere sul risparmio idrico in agricoltura (art. 25);

– la verifica di conformità sui piani di tutela delle acque (art. 44).

La disciplina è stata rivista con il D. Lgs. 18 agosto 2000, n. 258 – Disposizioni correttiveed integrative del decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 152, in materia di tutela delle acque dal-l’inquinamento, a norma dell’art. 1, comma 4, della legge 24 aprile 1998, n. 128 ha apportatodisposizioni modificative di carattere formale e sostanziale al decreto legislativo n. 152 del 1999.

In particolare le modifiche introdotte dalla nuova norma ribadiscono che tutto il territorionazionale è assoggettato a tutela e si precisa che tutte le acque sono considerate pubbliche; inol-tre, si prevede un regime di autorizzazione anche per tutte le acque di scarico, comprese quellemeteoriche convogliate in fognature separate. Si fa riferimento al bacino e quando si parla di areesensibili si ha riguardo anche ai relativi bacini drenanti; si prevedono quindi maggiori controlliper i prelievi in modo da poter effettuare più efficacemente il bilancio idrico assicurando il flussovitale.

È modificata, inoltre, la disciplina degli scarichi e degli smaltimenti, rendendo più restritti-va la disciplina allo scopo di tutelare maggiormente le riserve idriche e il territorio; si prevede chele Regioni conservino la possibilità di definire valori limite relativamente allo scarico di acquereflue urbane in corpi idrici superficiali o sul suolo, e relativamente anche allo scarico di acquereflue urbane in corpi idrici ricadenti in aree sensibili.

In relazione all’utilizzazione agricola, le Regioni hanno obbligo di disciplinare le attività diutilizzazione sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con Decreto del Ministrodelle Politiche Agricole e Forestali, garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzial-mente interessati e in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità.

Nell’evoluzione del quadro normativo è evidente, quindi, il mutamento dell’orientamentoin materia di risorse idriche: in origine si trattava l’intervento pubblico limitatamente alla realiz-zazione di opere idrauliche per la sicurezza del territorio, quindi in ottica agricola e fondiaria e,infine, di tutela delle risorse naturali ed ambientali; al riguardo, vale menzionare il D.P.R. 17 giu-gno 2003, n. 261 – Regolamento di organizzazione del Ministero dell’Ambiente e della Tuteladel Territorio, che attribuisce all’ente, ed in particolare alla Direzione generale per la qualità del-la vita, le seguenti funzioni:

– definizione degli obiettivi di qualità dei corpi idrici, superficiali e sotterranei, relativa-mente alla quantità e qualità delle acque, alla qualità dei sedimenti e del biota, al fine dimantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, di sostenere comuni-tà animali e vegetali ampie e ben diversificate, nonché di consentire gli usi legittimi del-le risorse idriche, contribuendo alla qualità della vita e alla tutela della salute umana;

– definizione, in collaborazione con la Direzione per la difesa del suolo, delle direttiveper il censimento delle risorse idriche per la disciplina dell’economia idrica, nonchéindividuazione di metodologie generali per la programmazione della razionale utilizza-zione delle risorse idriche e linee di programmazione degli usi plurimi delle risorse idri-che, anche attraverso la definizione e l’aggiornamento dei criteri e metodi per il conse-guimento del risparmio idrico e il riutilizzo delle acque reflue, con particolare riferi-mento all’uso irriguo;

13

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 13

– definizione dei criteri per la gestione del servizio idrico integrato, nonché promozionedel completamento dei sistemi di approvvigionamento idrico, di distribuzione, di fogna-tura, di collettamento, di depurazione e di riutilizzo delle acque reflue, in attuazionedegli adempimenti comunitari e delle disposizioni legislative;

– concessioni di grandi derivazioni di acqua che interessino il territorio di più regioni epiù bacini idrografici in assenza della determinazione del bilancio idrico e concessionidi grandi derivazioni per uso idroelettrico;

– supporto alle attività del Comitato per la Vigilanza sull’uso delle Risorse Idriche, garan-tendo la funzionalità della Segreteria tecnica e dell’Osservatorio di cui agli articoli 21 e22 della legge 5 gennaio 1994, n. 36.

La direzione generale per la difesa del suolo esercita poteri sostitutivi in caso di mancataistituzione, da parte delle regioni, delle Autorità di bacino di rilievo interregionale di cui all’arti-colo 15, comma 4, della legge 18 maggio 1989, n. 183, nonché dei poteri sostitutivi di cui agliarticoli 18, comma 2, 19, comma 3, e 20, comma 4, della stessa legge.

1.2 La normativa comunitaria

Il problema della tutela delle risorse idriche ha impegnato il legislatore comunitario a par-tire dagli anni Settanta, attraverso provvedimenti diretti innanzitutto ad arginare gli effetti deva-stanti dell’inquinamento proveniente dalle attività produttive. Tale interesse è sorto anche primache lo stesso Trattato di Roma attribuisse agli organi comunitari specifiche competenze in materiaambientale, introdotte solo nel 1986, ed ha dato luogo ad un’attività normativa sorta ai sensi del-l’art. 235 del Trattato sui poteri impliciti (che prevedeva la possibilità che il Consiglio intrapren-desse azioni per raggiungere scopi comunitari in assenza di poteri appositamente previsti), utiliz-zando lo strumento della direttiva.

L’acqua è diventata oggetto d’attenzione nel contesto più generale della tutela dell’ambien-te, dominato dal principio della precauzione e dell’azione preventiva, della eliminazione dei dan-ni causati all’ambiente, della risarcibilità dei danni da parte dell’inquinatore.

In particolare la politica dell’acqua si fonda su un’articolata manovra d’intervento dell’auto-rità pubblica, la quale, superando le politiche legate ai territori nazionali o regionali, attua un siste-ma informativo aggiornato dello stato delle risorse idriche, e mira ad una razionalizzazione pro-grammata dell’uso della risorsa stessa. La relativa competenza è stata attribuita alla Direzione gene-rale XI “ambiente e consumatori”, e solo marginalmente alla Direzione generale VI “agricoltura”.

Gli strumenti normativi comunitari sono i programmi di azione in materia di ambiente adefficacia poliennale, le direttive del Consiglio, le decisioni e risoluzioni del Consiglio.

Il principale intervento normativo vigente è costituito dalla Direttiva 2000/60/CE del Parla-mento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comuni-taria in materia di acque1.

La direttiva istituisce un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, di transi-zione, costiere e sotterranee diretto, in particolare, ad agevolare un utilizzo idrico sostenibile fon-dato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili, a proteggere l’ambienteacquatico anche attraverso la graduale riduzione degli scarichi, a contribuire a mitigare gli effettidelle inondazioni e delle acque sotterranee.

14

1 Gazzetta ufficiale n. L 327 del 22/12/2000 pag. 1-73.

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 14

In tale contesto gli Stati membri dovranno individuare tutti i bacini idrografici presenti nelloro territorio ed assegnarli a singoli distretti idrografici, designando per ognuno di loro un’auto-rità competente. Le misure previste nel piano di gestione del distretto idrografico dovranno esse-re ispirate da finalità di tutela preventiva delle acque superficiali e sotterranee.

Con decorrenza dal 2010 gli Stati membri dovranno provvedere affinché le politiche deiprezzi dell’acqua incentivino gli utenti a usare le risorse idriche in modo efficiente e affinché ivari comparti dell’economia diano un adeguato contributo al recupero dei costi dei servizi idrici,compresi i costi per l’ambiente e le risorse.

Il termine previsto per l’attuazione della direttiva da ogni Stato membro era fissato al 22dicembre 2003, tuttavia l’iter per il recepimento della direttiva dovrebbe concludersi nel corsodel 2006.

È importante menzionare anche la Decisione 1600/2002 del Parlamento e del Consiglio 22luglio 2002, che istituisce il sesto programma comunitario di azione in materia di ambiente (Gaz-zetta ufficiale n. L 242 del 10/09/02 pag. 1-15). Il programma costituisce il quadro della politicaambientale comunitaria nel periodo 2002/2010, allo scopo di assicurare un’elevata protezione,tenendo conto del principio di sussidiarietà e della diversità di situazioni nelle varie regioni dellaComunità, e di realizzare la dissociazione tra crescita economica e pressioni sull’ambiente. Esso èfondato segnatamente sul principio “chi inquina paga”, sul principio di precauzione, sull’azionepreventiva e sul principio di riduzione dell’inquinamento alla fonte.

Il programma, oltre a mirare agli obiettivi della stabilizzazione delle concentrazioni dei gasa effetto serra nell’atmosfera ad un livello tale da escludere qualsiasi pericolosa interferenza del-le attività umane sul sistema climatico, della salvaguardia o ripristino degli ecosistemi e della bio-diversità, e della garanzia di un ambiente in grado di assicurare un’elevata qualità della vita e delbenessere sociale, punta a garantire una migliore efficienza nell’utilizzo delle risorse e di unamigliore gestione dei rifiuti ai fini del passaggio a modelli di produzione e consumo più sostenibi-li, dissociando pertanto l’impiego delle risorse e la produzione dei rifiuti dal tasso di crescita eco-nomica, e cercando di garantire che il consumo di risorse (compresa l’acqua) rinnovabili e nonrinnovabili non superi la capacità di carico dell’ambiente.

Gli obiettivi definiti nel programma sono perseguiti anche attraverso:

– lo sviluppo di nuova normativa comunitaria e, se del caso, le modifiche alla normativavigente;

– l’incentivo all’attuazione e all’applicazione più efficaci della normativa comunitaria inmateria di ambiente, fermo restando il diritto della Commissione di avviare proceduredi infrazione;

– la promozione di modelli di consumo e di produzione sostenibili, che internalizzino gliimpatti ambientali positivi e negativi attraverso l’utilizzo di una combinazione di stru-menti, compresi strumenti di mercato ed economici;

– il miglioramento alla collaborazione e al partenariato con le imprese e con le organizza-zioni che le rappresentano e coinvolgere le parti sociali, i consumatori e le relative asso-ciazioni, ove opportuno, per migliorare la prestazione ambientale delle imprese e perse-guire modelli di produzione sostenibili;

– la garanzia che i singoli consumatori, le imprese e gli enti pubblici nel loro ruolo diacquirenti dispongano di migliori informazioni sui processi e sui prodotti in termini diimpatto ambientale per raggiungere modelli di consumo sostenibile;

– la creazione un regime comunitario in materia di responsabilità;

15

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 15

– l’incentivo e la promozione dell’uso e della gestione efficaci e sostenibili del territorio edel mare tenendo conto delle considerazioni ambientali, affrontando, tra l’altro, l’inqui-namento, l’erosione, la desertificazione, il degrado del territorio, l’occupazione del suo-lo ed i rischi idrogeologici, tenendo conto della diversità regionale, ivi compresa la spe-cificità delle regioni di montagna e delle zone aride.

Le politiche comunitarie in materia comprendono, oltre all’intervento normativo, anchequello finanziario, relativo all’asse I – “Risorse naturali” – del Quadro Comunitario di Sostegno2000-2006, da realizzarsi con gli interventi dei Fondi Strutturali. Detti interventi permettono allearee interessate di beneficiare di un sostegno finanziario per la realizzazione di varie tipologie diintervento.

1.3 Legislazione regionale vigente in materia di bonifica

I Consorzi di bonifica svolgono le funzioni di cui al Regio Decreto 13 febbraio 1933,n. 215, “Nuove norme per la bonifica integrale”, e successive integrazioni, nel quadro della pro-grammazione economica e dei piani territoriali, ai fini dello sviluppo della produzione agricola,del reddito agricolo, della difesa del suolo, della regolarizzazione e della utilizzazione delleacque.

Lo strumento fondamentale dell’intervento regionale è il piano regionale per le attività dibonifica ed irrigazione, approvato dal consiglio regionale, con la definizione di indirizzi generali,tipologie di intervento, principali opere da realizzare; conformemente alle impostazioni organichecontenute nel piano, la giunta approva il piano triennale delle opere di bonifica ed irrigazione.

I Consorzi di bonifica sono competenti nei relativi comprensori individuati su iniziativadei privati proprietari degli immobili compresi negli stessi, o su iniziativa regionale; le propostesono trasmesse ai comuni ed alle province interessate e quindi presentate dalla giunta al consiglioregionale. La stessa procedura si applica per le modifiche della delimitazione dei comprensori.

Il Consorzio di bonifica redige il piano generale di bonifica e tutela del territorio rurale perl’area di propria competenza. Il piano definisce le linee di intervento della bonifica nel compren-sorio, le opere di bonifica con relative priorità, gli indirizzi per le opere di competenza dei priva-ti, le opere da proporre per la tutela e la valorizzazione ambientale e rurale del territorio.

Piemonte

– L. R. 9 agosto 1999, n. 21

La disciplina della Regione Piemonte è costituita dalle disposizioni della L. R. 9 agosto1999, n. 21 – norme in materia di bonifica e di irrigazione – con il duplice obiettivo dello svilup-po, soprattutto qualitativo, delle produzioni agricole e della salvaguardia dell’ambiente e dellerisorse naturali. Per il raggiungimento di tali finalità, si riconosce un ruolo fondamentale nei con-sorzi di bonifica, di irrigazione e di irrigazione e bonifica.

Un aspetto fondamentale dell’intervento regionale in materia è l’ispirazione al principio disussidiarietà; il legislatore regionale, infatti, lascia spazio al riordino volontario incentivando lacessione dei diritti d’acqua con uno strumento che finanzia fino al 50% del valore di detti trasfe-rimenti.

16

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 16

La legge della Regione Piemonte assegna ai Consorzi vaste competenze, che, oltre alleopere per il controllo delle acque, alle infrastrutture di supporto ed alla manutenzione e protezio-ne dalle calamità naturali e dissesti idrogeologici, comprendono anche iniziative per il riordinofondiario, finalizzato a contenere il fenomeno della polverizzazione della proprietà fondiaria.

Il finanziamento delle opere viene definito nel programma triennale regionale, compatibil-mente con le risorse finanziarie disponibili; è fissato un limite del 5% per il contributo dei priva-ti per le opere di bonifica la cui realizzazione non sia a loro carico; è previsto un limite del 95% alcontributo, in conto capitale, per le iniziative inerenti la ricerca, la raccolta e la distribuzione del-le acque ad uso irriguo.

Lombardia

– L. R. 26 novembre 1984, n. 59 – Riordino dei Consorzi di bonifica

– L. R. 25 maggio 1989, n. 18

– L. R. 14 gennaio 1995, n. 5

La Regione Lombardia ha disciplinato l’intervento in materia di bonifica con la L. R. 26novembre 1984, n. 59 – Riordino dei consorzi di bonifica – successivamente modificata ed inte-grata dalla L. R. 25 maggio 1989, n. 18 e dalla L. R. 14 gennaio 1995, n. 5. Successivamente, talnorme sono state abrogate con la L. R. 16 giugno 2003, n. 7 – Norme in materia di bonifica edirrigazione, volta a garantire in primo luogo la sicurezza idraulica del territorio, l’uso plurimo e la

17

Tabella 1.1 - Consorzi di bonifica e di irrigazione per Regione

Regione Superficie Consorzi di Bonifica Consorzi di Superficie compr.

(ha) I grado II grado totale Irrigazione (ha) %

Piemonte 2.539.894 16* 426.399 18,2

Valle d’Aosta 326.226 – – –Lombardia 2.385.855 18 2 20 8 1.220.490 51,15

Trentino A.A. 1.361.831 3 1 4 – 15.563 1,14

Veneto 1.836.456 20 1 21 – 1.169.567 63,68

Friuli V.G. 784.413 4 4 – 338.980 43,21

Liguria 541.797 1 1 – 3.506 0,01

Emilia R. 2.212.318 15 2 17 3 2.212.318 100

Toscana 2.299.248 13 13 – 820.435 35,68

Umbria 845.604 2 2 – 306.406 36,23

Marche 969.342 5 5 – 807.936 83,34

Lazio 1.720.274 10 10 – 1.526.981 88,76

Abruzzo 1.079.413 5 5 – 685.371 63,49

Molise 443.764 3 3 – 94.867 21,37

Campania 1.359.533 12 12 2 458.645 33,73

Puglia 1.935.725 6 6 – 1.737.892 89,77

Basilicata 999.227 3 3 – 407.446 40,77

Calabria 1.508.032 17 2 19 1 894.825 59,33

Sicilia 2.570.723 11 11 – 1.339.896 52,12

Sardegna 2408.989 9 9 – 950.433 39,45

ITALIA 30.128.664 157 8 165 30 15.453.956 51,29

Fonte: Associazione Nazionale Bonifiche, Irrigazioni e Miglioramenti Fondiari

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 17

razionalizzazione dell’uso a scopo irriguo, l’adeguatezza qualitativa e quantitativa di scorte idri-che, il risparmio idrico e, infine, la salvaguardia e la valorizzazione del territorio.

Contrariamente alla disciplina emanata dalla Regione Piemonte, la L. R. 14 gennaio 1995, n.5 non prevede la creazione di nuovi consorzi di irrigazione, consentendo il mantenimento di quelligià in essere, con il vincolo che le iniziative non siano incompatibili con quelle dei Consorzi di boni-fica che venissero costituiti con competenza sul territorio in cui i consorzi di irrigazione si trovino.

La Regione concorre alla realizzazione delle iniziative per il conseguimento delle finalitàdella L. R. 14 gennaio 1995, n. 5, all’attuazione dei piani e programmi regionali e comprensorialicon contributi a favore dei consorzi di bonifica di I e II grado. Il contributo può raggiungere il 90%della spesa ammissibile per opere di pronto intervento ed opere di carattere esclusivamenteambientale, nonché per le opere irrigue che comportino un sostanziale miglioramento anche indi-retto all’assetto generale della bonifica, dell’irrigazione o del territorio rurale; per le opere di rile-vante interesse comprensoriale, il limite scende all’80%. Per oneri di sollevamento eccedenti i costiordinari, per la redazione di piani di riordino irriguo, per la realizzazione di opere di competenzadei privati e per spese tecnico-organizzative, il limite al concorso finanziario regionale è del 60%.

P. A. di Bolzano

– L. prov. 11 giugno 1975, n. 28 – Disposizioni per le opere di bonifica, di miglioramen-to fondiario e di ricomposizione fondiaria;

– L. prov. 8 novembre 1982, n. 34 – Disposizioni sui Consorzi di bonifica integrale, modi-fiche alla legge prov. 11 giugno 1975, n. 28, e disposizioni sulla ricomposizione fondiaria;

– L. prov. 24 febbraio1993, n. 6 – Norme in materia di bonifica e ricomposizione fondiaria;

– L. prov. 27 aprile 1995, n. 9 – Istituzione dell’anagrafe provinciale del bestiame e delleaziende do allevamento e disposizioni urgenti nel settore dell’agricoltura.

La disciplina dei Consorzi di bonifica, di bonifica montana e di miglioramento fondiariorisale alla L. 25 luglio 1952, n. 991 ed alla legge regionale 8 febbraio 1956, n. 4. Le disposizionisono state modificate con la legge provinciale 11 giugno 1975, n. 28 – Disposizioni per le operedi bonifica, di miglioramento fondiario e di ricomposizione fondiaria, si è stabilito che l’esecuzio-ne di opere di bonifica possa avvenire sia per intervento diretto dell’amministrazione provinciale,sia per concessione a Consorzi di bonifica e di bonifica montana.

I Consorzi di bonifica integrale, di cui fanno parte i soli proprietari di suoli ad uso agricolo,sono disciplinati dalla successiva legge provinciale 8 novembre 1982, n. 34, che prevede l’ap-provazione dello statuto da parte della Giunta provinciale, nonché l’obbligo, per i consorzi dibonifica integrale esistenti, di conformare il proprio statuto alle disposizioni emanate.

Similmente, la Provincia è intervenuta per modificare l’assetto normativo in materia diorganizzazione e amministrazione dei Consorzi di bonifica, bonifica montana e di miglioramentofondiario, con legge provinciale 24 febbraio1993, n. 6.

In seguito all’ultimo intervento normativo con la legge provinciale 27 aprile 1995, n. 9, laprovincia può concedere contributi variabili tra il 40% ed il 70% della spesa ammissibile per ini-ziative di manutenzione straordinaria, di ripristino di opere di interesse comprensoriale e di acqui-sto di macchinari, e tra il 40 e l’87,5% per il miglioramento fondiario, l’irrigazione, il migliora-mento e consolidamento della produzione e l’acquisto di immobili; è, inoltre, possibile la conces-sione di contributi per le spese di gestione consortile relative ai costi del personale.

18

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 18

P. A. di Trento

– L. prov. 24 luglio 1978, n. 24 – Disposizioni sui Consorzi di bonifica

– L. prov. 31 agosto 1981, n. 17 – Interventi organici in materia di agricoltura

La disciplina dei Consorzi di bonifica della provincia autonoma di Trento è stata modifica-ta dalla legge provinciale 24 luglio 1978, n. 24 per quanto attiene alla materia di organizzazione eamministrazione dei consorzi; il provvedimento ha anche finanziato il ripianamento dei disavan-zi di gestione dei Consorzi di bonifica integrale fino al 1977, prevedendo anche la concessione dicontributi nel limite del 70% delle spese di gestione per gli esercizi 1978-1982.

Con la legge provinciale 31 agosto 1981, n. 17, si è stabilito che, per gli interventi per ilmiglioramento ed il ripristino della capacità produttiva, ai Consorzi di bonifica ed ai Consorzi dimiglioramento può essere concesso un contributo annuo costante posticipato del 14% della spesaammissibile per 15 anni, o, in alternativa, un contributo in linea capitale del 70% per iniziative disistemazione idraulico-agrarie del suolo, per la ricerca, la raccolta e la distribuzione delle acquead uso irriguo.

Le opere di bonifica comprese nell’art. 2, c. 2, del R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, e succes-sive modificazioni, sono invece integralmente a carico della provincia.

Veneto

– L. R. 13 gennaio 1976, n. 3 – Riordinamento dei Consorzi di bonifica e determinazionedei relativi comprensori

– L. R. 31 ottobre 1980, n. 88 – Legge generale per gli interventi nel settore primario

– L. R. 1 marzo 1983, n. 9 – Nuove disposizioni per l’organizzazione della bonifica

– L. R. 20 dicembre 1985, n. 66 – Provvedimento generale di rifinanziamento e modificaalle procedure di spesa e alle modalità di intervento di leggi regionali nei diversi settori …

– L. R. 8 gennaio 1991, n. 1 – Disposizioni per l’innovazione in agricoltura e programmaregionale di sviluppo agricolo e forestale per il periodo 1990/1994

– L. R. 18 dicembre 1993, n. 53 – Disciplina dell’attività di vigilanza e di controllo suglienti amministrativi regionali

– L. R. 19 agosto 1996, n. 25 – Integrazioni e modifiche alla legge regionale 13 gennaio1976, n. 3

La Regione del Veneto ha riordinato la disciplina dei Consorzi di bonifica, ivi compresa ladeterminazione dei relativi comprensori, con la L. R. 13 gennaio 1976, n. 3, integrata nell’elencodegli interventi dalla L. R. 31 ottobre 1980, n. 88; la stessa legge, la successiva L. R. 1 marzo1983, n. 9 e la L. R. 19 agosto 1996, n. 25 modificano l’impianto originale della disciplina inmateria organizzativa dei consorzi, mentre la legge L. R. 18 dicembre 1993, n. 53 opera una revi-sione dell’attività di vigilanza e di controllo dell’attività dei consorzi.

Il contributo regionale a favore dei consorzi è determinato nella misura massima del 78%,elevabile all’88% nelle aree classificate come svantaggiate ai sensi della vigente normativa comu-nitaria; la L. R. 31 ottobre 1980, n. 88, introduce la possibilità del concorso regionale alla realiz-zazione delle opere di competenza dei privati nel limite del 40% (elevabile al 50% per i consorzidi prima categoria e nelle zone svantaggiate) della spesa ammissibile.

19

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 19

Contributi per spese di gestione, in particolare per oneri di sollevamento ed impianti di irri-gazione, sono introdotti dalla L. R. 1 marzo 1983, n. 9 fino al compimento di singoli lotti o all’ul-timazione della bonifica. Tali contributi, concedibili sulla base del consuntivo dell’anno prece-dente ed entro il limite di stanziamento iscritto in bilancio regionale, devono rispettare il seguen-te ordine di priorità:

– gestione impianti di sollevamento delle aree Bresparola e Canavella prima e seconda,nel limite massimo del 90%;

– gestione impianti di sollevamento nell’area compresa tra l’autostrada VE-BO a ovest, ilmare a est, il fiume Po a sud ed i fiumi Adige, Gorzone e Brenta a nord, nel limite mas-simo del 70%

– gestione impianti di sollevamento nel restante territorio regionale, nel limite massimodel 30%;

– per interventi di manutenzione di canali artificiali e corsi d’acqua, che fanno parte inte-grante dei sistemi di bonifica e irrigazione, nel limite massimo del 35% nell’area corri-spondente al precedente punto 2, 25% nel restante territorio regionale.

La L. R. 8 gennaio 1991, n. 1, attribuisce ai Consorzi di bonifica, ed alle aziende agricolein generale, funzioni di manutenzione e tutela dello spazio rurale e difesa dei sistemi naturalisticie ambientali, assoggettando i piani generali di bonifica alla compatibilità con il “piano specificointegrato ‘Agricoltura e ambiente’”, che individua pratiche di produzione compatibili con la pro-tezione dell’ambiente, regole e criteri in ordine all’intensità produttiva, alla densità del bestiame,alle azioni per la riduzione dell’impiego di fertilizzanti, alle azioni per il trattamento delle deie-zioni animali ecc.

Friuli Venezia Giulia

– L. R. 11 giugno 1983, n. 44 – Norme in materia di bonifica, di tutela del territorio e sul-l’ordinamento dei Consorzi di bonifica

– L. R. 19 giugno 1985, n. 25

– L. R. 23 agosto 1985, n. 43

– L. R. 4 settembre 1991, n. 43

– L. R. 17 giugno 1993, n. 47

– L. R. 28 aprile 1994, n. 5

– L. R. 19 giugno 1995, n. 25

– L. R. 25 marzo 1996, n. 16

– L. R. 4 luglio 1997, n. 23

– L. R. 13 luglio 1998, n. 12;

– L. R. 9 novembre 1998, n. 13;

– L. R. 20 aprile 1999, n. 9 – Disposizioni varie in materia di competenza regionale;

– L. R. 3 luglio 2002, n. 16; – Disposizioni relative al riassetto organizzativo e funziona-le in materia di difesa del suolo e di demanio idrico;

– L. R. 29 ottobre 2002, n. 28 – Norme in materia di bonifica e di ordinamento dei Con-sorzi di bonifica, nonché modifiche alle LL. RR. 9/1999, in materia di concessioniregionali per lo sfruttamento delle acque, 7/2000, in materia di restituzione degli incen-tivi, 28/2001, in materia di Deflusso Minimo Vitale delle derivazioni d’acqua e16/2002, in materia di gestione del demanio idrico.

20

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 20

L’atto fondamentale in materia di bonifica, di tutela del territorio e della disciplina dell’or-dinamento dei Consorzi di bonifica è la L. R. 11 giugno 1983, n. 44. Il provvedimento individuanello sviluppo della produzione agricola, nella difesa del suolo e nella difesa dei suoli e dell’am-biente rurale le finalità dell’intervento regionale nel settore delle bonifiche e determina le proce-dure per la definizione dei comprensori di bonifica (montana e integrale), per la costituzione deiconsorzi e per il coordinamento della loro attività mediante la costituzione di un apposito comita-to di coordinamento. Inoltre, definisce le funzioni dei consorzi stessi, che comprendono le attivi-tà di miglioramento e ricomposizione fondiaria, il loro ordinamento e la loro amministrazione.

La disciplina viene poi modificata ed integrata in materia di vigilanza con la L. R. 23 ago-sto 1985, n. 43, che configura il nuovo assetto delle strutture e procedure di controllo; con la L. R.9 novembre 1998, n. 13, e con la L. R. 20 aprile 1999, n. 9 in materia di ordinamento ed ammini-strazione dei Consorzi.

Tale disciplina viene poi sostituita dalle disposizioni della L. R. 29 ottobre 2002, n. 28, chepone la difesa del suolo, la tutela delle risorse idriche e la salvaguardia dell’ambiente, naturale erurale, in posizione preminente rispetto alla stessa tutela e valorizzazione delle produzioni agrico-le ed indica esplicitamente, tra le funzioni dei consorzi, le opere di tutela e di recupero naturalisti-co-ambientale del territorio. Accanto a queste, opere di ricomposizione e miglioramento fondia-rio, come nella precedente normativa.

Un’innovazione della L. R. 29 ottobre 2002, n. 28, consiste nell’obbligo di mantenimentodell’equilibrio finanziario, permettendo il ricorso all’indebitamento nelle sole forme dell’anticipa-zione delle entrate annue in bilancio di previsione, in misura non superiore a quattro dodicesimi,e dell’accensione di mutui di durata non superiore a 15 anni ed impegno massimo del 15% delleentrate iscritte al bilancio preventivo annuale per capitale ed interessi.

Con la L. R. 3 luglio 2002, n. 16 è attribuita ai Consorzi di bonifica la competenza per leattività di

– progettazione, realizzazione e gestione delle opere idrauliche di difesa del suolo, conrelative pertinenze;

– manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere suddette;

– servizi di piena e pronto intervento idraulico sui corsi d’acqua del comprensorio;

– a richiesta delle amministrazioni comunali, pulizia di tratte dei corsi d’acqua, manuten-zione di muri d’argine, sfalcio di erba e taglio di cespugliame presenti sugli argini,rimozione di depositi e materiali che ostruiscono gli alvei canalizzati e le opere di attra-versamento delle sedi stradali.

Liguria

– L. R. 20 novembre 1979, n. 41;

– L. R. 23 gennaio 1984, n. 6 – Norme in materia di bonifica integrale;

– L. R. 28 giugno 1994, n. 28 – Disciplina degli Enti strumentali della Regione;

– L. R. 14 giugno 1999, n. 18.

La Regione Liguria ha adottato quattro provvedimenti normativi inerenti i Consorzi di boni-fica; il primo, la L. R. 20 novembre 1979, n. 41, contiene norme per l’elezione degli organi e per ilcontrollo dei Consorzi di bonifica integrale, emanate ad integrazione delle disposizioni del R.D. 13febbraio 1933, n. 215 – che restano valide fino all’emanazione della disciplina organica contenuta

21

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 21

nella L. R. 23 gennaio 1984, n. 6, con la quale sono definiti finalità, procedure di classificazione edeclassificazione dei comprensori, costituzione dei consorzi di primo e secondo grado.

La L. R. 23 gennaio 1984, n. 6, pone a carico della Regione le spese per l’esecuzione e lamanutenzione delle opere individuate nel piano generale di bonifica, che sono affidate in conces-sione da consorzi di Comuni e Comunità montane. La legge fissa quindi le modalità per l’eroga-zione delle relative somme, prevedendo un primo acconto del 40% all’approvazione del progetto,un secondo acconto del 50% in corrispondenza di uno stato di avanzamento dei lavori pari al 40%del totale delle opere ed il saldo ad approvazione degli atti del collaudo. Ai proprietari degli immo-bili spetta il pagamento di oneri relativi alle spese di esercizio e di funzionamento dei consorzi.

Con la L. R. 28 giugno 1994, n. 28 si innova il quadro normativo delle procedure di con-trollo degli enti strumentali; nel suo ambito di applicazione è inquadrato anche l’unico Consorziodi bonifica e irrigazione della Regione, quello del Canale Lunense.

Emilia-Romagna

– L. R. 24 marzo 1975 n. 18 e ss. mm. e ii.;

– L. R. 10 maggio 1982, n. 20;

– L. R. 2 agosto 1984, n. 42 – Nuove norme in materia di Enti di bonifica. Delega di fun-zioni amministrative;

– L. R. 23 aprile 1987, n. 16 – Disposizioni integrative della legge regionale 2 agosto1984, n. 42 – Nuove norme in materia di Enti di bonifica. Delega di funzioni ammini-strative;

– L. R. 7 febbraio 1992, n. 7 – Ordinamento dei controlli regionali sugli enti locali e suglienti dipendenti dalla Regione

– L. R. 19 aprile 1995, n. 44 – Riorganizzazione dei controlli ambientali e istituzione del-l’Agenzia Regionale per la prevenzione e l’ambiente (ARPA) dell’Emilia-Romagna

– L. R. 19 aprile 1995, n. 45 – Disciplina delle attività e degli interventi della RegioneEmilia-Romagna in materia di protezione civile

– L. R. 21 aprile 1999, n. 3

– L. R. 24 marzo 2000, n. 20

– L. R. 24 marzo 2000, n. 22

– L. R. 7 aprile 2000, n. 26

– L. R. 19 dicembre 2002, n. 37 e ss. mm. e ii. (L. R. 3 giugno 2003, n. 10)

La Regione Emilia-Romagna ha emanato la normativa organica in materia di bonifica conla L. R. 2 agosto 1984, n. 42, individuando nella stabilità delle condizioni idrogeologiche e losviluppo agricolo del territorio le finalità degli interventi, che comprendono sia la bonifica monta-na che quella idraulica: la legge, infatti, sopprime i Consorzi di bonifica montana, già costituiti aisensi della L. 23 luglio 1952, n. 991, attribuendo le stesse funzioni ai Consorzi di bonifica.

La costituzione dei consorzi era su proposta dei proprietari consorziandi, salvo il caso dimancanza di iniziativa privata. Tuttavia, la successiva L. R. 19 aprile 1995, n. 45, disponendo chel’intero territorio regionale rientrasse nell’ambito di un comprensorio di bonifica, ha previsto lanuova delimitazione di questi ultimi e la costituzione di nuovi consorzi, con relativo trasferimen-to di funzioni e competenze da quelli insistenti in tutto o in parte sullo stesso territorio.

22

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 22

Gli stessi proprietari sono chiamati a concorrere sia alla copertura delle spese di esercizio,sia alla realizzazione delle opere a loro carico; per queste ultime, la Regione eroga un contributoin conto capitale nel limite del 70% (90% nelle zone montane e collinari ex art. 15 della L. 27dicembre 1977, n. 984) della spesa ammissibile. Altri contributi sono concedibili anche per leopere non incluse in programmi poliennali di bonifica e irrigazione; in questo caso, però, il limi-te massimo è del 30% della spesa ammissibile (fino al 50% nelle zone montane e collinari ex art.15 della L. 27 dicembre 1977, n. 984), sia in linea capitale, sia in conto interessi su mutui.

Nel quadro normativo inerente il sistema dei controlli ambientali e degli interventi in mate-ria di protezione civile (L. R. 19 aprile 1995, n. 44, L. R. 19 aprile 1995, n. 45, L. R. 21 aprile1999, n. 3, L. R. 24 marzo 2000, n. 20, L. R. 24 marzo 2000, n. 22) viene introdotta con la L. R.7 aprile 2000, n. 26, la possibilità per la Regione di affidare l’esecuzione delle opere di propriacompetenza anche ai Consorzi di bonifica.

A completamento della disciplina del controllo dei Consorzi di bonifica, la L. R. 7 aprile2000, n. 26 istituisce l’autorità garante dell’utenza di bonifica, che ha il compito di assicurare ilrispetto dei criteri stabiliti dalla Giunta regionale in ordine al riparto delle spese consortili.

La L. R. 19 dicembre 2002, n. 37, modificata ed integrata dalla L. R. 3 giugno 2003, n. 10,armonizza la normativa regionale in materia di espropri, attribuendo ai Consorzi di bonifica lacompetenza per lo svolgimento delle procedure di esproprio relative alle opere da essi realizzate.

Toscana

– L. R. 23 dicembre 1977, n. 83 – Norme in materia di bonifica e di miglioramento fon-diario. Delega di funzioni agli enti locali;

– L. R. 5 maggio 1994, n. 34 – Norme in materia di bonifica

– L. R. 29 luglio 1994, n. 59

– L. R. 3 febbraio1995, n. 17

– L. R. 14 novembre 1996, n. 86

– L. R. 15 gennaio 1997, n. 2

– L. R. 18 novembre 1998, n. 83

– L. R. 11 dicembre 1998, n. 91

– L. R. 29 luglio 2003, n. 38

La prima normativa regionale in materia di bonifica e miglioramento fondiario risale allaL. R. 23 dicembre 1977, che delegava le funzioni regionali in materia di bonifica, segnatamentela programmazione, la progettazione, l’esecuzione, l’esercizio e la manutenzione delle opere dibonifica integrale e montana, alle Province e alle comunità montane competenti per territorio;fatte salve le funzioni esercitate per legge dai Consorzi di bonifica. Queste hanno facoltà di riunir-si in consorzio con altre e con i Comuni, e provvedono mediante concessione a detti consorzi; senon costituiti, provvedono direttamente o mediante concessione a Comuni, Province, Comunitàmontane, Consorzi per il miglioramento fondiario o privati proprietari della maggior parte deiterreni interessati dall’intervento.

L’ordinamento descritto è stato soppresso con la L. R. 5 maggio 1994, n. 34, che stabiliscela ridefinizione dei comprensori e la nuova disciplina dell’istituzione e funzionamento dei Con-sorzi di bonifica, ai quali è riconosciuto un prevalente ruolo ai fini della progettazione, realizza-

23

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 23

zione e gestione delle opere di bonifica. La legge riconosce anche l’importanza delle finalità con-nesse alla salvaguardia dell’ambiente e delle risorse naturali. È stabilito il concorso dei proprieta-ri al sostegno degli oneri finanziari per la realizzazione delle opere, qualora ne traggano un bene-ficio rilevante, nel limite massimo del 25% della spesa, oltre alla copertura dei costi di gestione; èstabilito altresì l’obbligo di realizzare, a carico dei privati, le opere il cui beneficio sia limitato aisingoli immobili. In questo caso, la Regione può erogare un contributo in conto capitale nel limi-te del 35% della spesa ammissibile; il limite sale al 70% nei territori montani e nelle aree classifi-cate svantaggiate.

Nel nuovo quadro normativo, i consorzi sono istituiti con deliberazione del Consiglioregionale su proposta della Giunta, ma è prevista anche l’istituzione su proposta dei consorziandi.

Umbria

– L. R. 25 novembre 1986, n. 44 – Disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrativedi controllo sui Consorzi di bonifica e integrazione della L. R. 20 febbraio 1984, n. 5;

– L. R. 25 gennaio 1990, n. 4 – Norme in materia di bonifica. Nuova disciplina dei Con-sorzi di bonifica;

– L. R. 2 marzo 1999, n. 3 – Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi delsistema regionale e locale delle autonomie dell’Umbria, in attuazione della legge 15marzo 1997, n. 59 e del d. lgs. 31 marzo 1998, n. 112;

– L. R. 27 dicembre 2001, n. 37.

Il primo provvedimento della Regione Umbria in materia di bonifica riguarda la disciplinadelle funzioni di controllo sui consorzi, trasferite ai sensi del D.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 e 24luglio 1977, n. 616.

La Regione ha poi emanato il quadro normativo completo delle attività di bonifica, con laL. R. 25 gennaio 1990, n. 4, modificato nell’articolo riguardante i contributi consortili dalla L. R.27 dicembre 2001, n. 37. Le opere di bonifica sono distinte tra quelle di pubblica utilità, intera-mente a carico della Regione, e quelle di interesse particolare dei singoli fondi, a carico dei priva-ti ma con il contributo regionale nel limite del 35% della spesa ammissibile, che sale al 45% neiterritori montani e/o classificati svantaggiati.

Ai sensi della L. R. 27 dicembre 2001, n. 37, le funzioni di controllo delle risorse idriche edifesa del suolo, e segnatamente quelle relative:

– ai compiti di polizia idraulica;

– agli sbarramenti di ritenuta;

– alla ricarica artificiale delle acque sotterranee;

– agli approvvigionamenti idrici di emergenza;

– al rilascio di concessioni per le piccole derivazioni di acque pubbliche;

– alla ricerca, estrazione, utilizzo delle acque sotterranee;

– alla progettazione, realizzazione e gestione di opere idrauliche;

– alle concessioni di estrazione di materiale litoide funzionali alla regimazione dei corsid’acqua;

– alle concessioni di spiagge e di superfici di pertinenza dei laghi;

– alle concessioni di pertinenze idrauliche ed aree fluviali;

24

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 24

– alla nomina di regolatori per il riparto delle disponibilità idriche;

– sono state delegate alle Province, che le esercitano avvalendosi (salvi casi particolariper motivate ragioni) dei Consorzi di bonifica o, laddove non siano stati costituiti, delleComunità montane.

Marche

– L. R. 17 aprile 1985, n. 19 – Norme per il riordinamento degli interventi in materia dibonifica;

– L. R. 9 maggio 1997, n. 30

– L. R. 23 marzo 2000, n. 21

La disciplina della Regione Marche in materia di bonifica è stabilita con la L. R. 17 aprile1985, n. 19, che attribuisce alla programmazione ed all’esecuzione delle opere di bonifica le finali-tà di sviluppo agricolo, di utilizzo razionale delle risorse e di salvaguardia del suolo e dell’ambiente.

Le funzioni amministrative in materia di opere di bonifica sono delegate alle Province, cheprovvedono alla progettazione, all’esecuzione ed alla gestione delle opere attraverso i Consorzi o,laddove non siano costituiti, direttamente. La legge non fissa i limiti al contributo regionale alsostegno degli oneri per la manutenzione delle opere ed alla loro esecuzione a carico dei privati,che possono essere concessi secondo gli stanziamenti di bilancio.

La Regione ha successivamente emanato la L. R. 9 maggio 1997, n. 30, che disponevaanche la soppressione dei Consorzi di bonifica; il provvedimento è stato, però, abrogato dallaCorte Costituzionale, con sentenza n. 326 del 14/24 luglio 1998. Con la L. R. 23 marzo 2000, n.21, (finanziaria 2000) la Regione ha assoggettato i gestori del servizio idrico integrato agli onericonsortili in proporzione al beneficio diretto ottenuto, disponendo che Autorità d’ambito e Con-sorzi di bonifica stipulassero apposite convenzioni entro 6 mesi dall’entrata in vigore della legge,o, in mancanza, l’applicazione di procedure sostitutive da parte della Regione.

Lazio

– L. R. 18 settembre 1978, n. 54

– L. R. 21 gennaio 1984, n. 4 – Norme in materia di bonifica e di Consorzi di bonifica

– L. R. 11 luglio 1987, n. 41

– L. R. 26 agosto 1988, n. 53

– L. R. 29 aprile 1993, n. 26

– L. R. 7 ottobre 1994, n. 50 – Nuove norme in materia di bonifica e di Consorzi di boni-fica. Modificazioni ed integrazioni alla legge regionale 21 gennaio 1984, n. 4.

– L. R. 5 marzo1997, n. 4 – Criteri e modalità per l’organizzazione delle funzioni ammi-nistrative a livello locale;

– L. R. 22 maggio1997, n. 11

– L. R. 22 maggio 1997, n. 12

– L. R. 11 dicembre 1998, n. 53 – Organizzazione regionale della difesa del suolo inapplicazione della legge 18 maggio 1989, n. 183

25

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 25

– L. R. 7 giugno 1999, n. 6

– L. R. 16 febbraio 2000, n. 12

– L. R. 16 febbraio 2000, n. 14

– L. R. 10 maggio 2001, n. 10 – Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio del-la Regione Lazio per l’esercizio finanziario 2001

– L. R. 10 maggio 2001, n. 11

– L. R. 16 aprile 2002, n. 8

La disciplina delle opere e dei Consorzi di bonifica della Regione Lazio è stata introdottacon le disposizioni della L. R. 21 gennaio 1984, n. 4, perseguendo gli obiettivi di sviluppo agrico-lo e salvaguardia dell’ambiente e delle sue risorse. La normativa ha poi subito modifiche ed inte-grazioni di minore rilievo con la L. R. 11 luglio 1987, n. 41, e la L. R. 26 agosto 1988, n. 53,

Riconosciuto che la delimitazione dei comprensori di bonifica deve rispondere al criterio diunitarietà del bacino idrografico di riferimento, la legge ha disposto non la soppressione, ma laverifica e la eventuale variazione della delimitazione dei comprensori allora esistenti. La nuovadelimitazione dei comprensori è stata approvata con delibera del Consiglio regionale del 31 gen-naio 1990, n. 1112. I consorzi hanno operato in regime di prorogatio, ai sensi della L. R. 29 apri-le 1993, n. 26, fino alla nomina di un commissario ad acta per lo svolgimento delle elezioni e lanomina del consiglio di amministrazione.

Con la L. R. 7 ottobre 1994, n. 50 la Regione ha operato una prima profonda revisione delquadro normativo, ancora in conseguenza alla revisione dei comprensori. La legge ha disposto alsoppressione dei Consorzi di bonifica Tevere-Nera, Aurunco e del Tronto, la cessazione dai com-piti di bonifica attribuiti all’Ente regionale di sviluppo agricolo nel Lazio (ERSAL).

Il bilancio regionale prevede appositi capitoli di spesa destinati sia al finanziamento delleopere previste nel programma di intervento regionale, sia al finanziamento di interventi di emer-genza. Qualora quest’ultimo capitolo non venga utilizzato nel corso dell’esercizio finanziario, ilrelativo stanziamento può essere utilizzato per incrementare lo stanziamento del precedente, rela-tivamente allo stesso esercizio finanziario. Integralmente a carico della Regione sono la progetta-zione e l’esecuzione delle opere di bonifica ed irrigazione, nonché la manutenzione e la gestionedi quelle riconosciute di rilevante utilità pubblica e sociale, anche se è previsto il concorso deiprivati al sostegno dei costi di esercizio e manutenzione; tuttavia, anche per la manutenzione ordi-naria e straordinaria delle opere che non rientrino nel novero delle precedenti, è possibile un con-tributo pubblico, erogabile sia dalla Regione che dalle autorità provinciali, che può raggiungereanche il 100% della spesa. Ulteriori agevolazioni, il cui limite è specificato dalle norme pro tem-pore vigenti, possono essere concesse quali contributi o pagamenti in conto interessi sui mutuiagrari concessi per la realizzazione delle opere a carico dei privati.

Alla costituzione, modifica e soppressione dei consorzi provvede il Consiglio regionale suproposta della Giunta; inizialmente era prevista anche l’iniziativa privata.

La L. R. 5 marzo 1997, n. 4 trasferisce alle Province le funzioni in precedenza esercitatedalla Regione, in particolare quelle relative a

– opere idrauliche;

– opere di bonifica;

– forestazione;

– polizia idraulica, servizi di piena e pronto intervento;

26

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 26

– sbarramenti di ritenuta di altezza inferiore a dieci metri per una capacità dell’invasoinferiore a mc 100.000.

Con la L. R. 11 dicembre 1998, n. 53, emanata in applicazione della legge 18 maggio 1989,n. 183, è disciplinato il riordino delle funzioni amministrative in materia di difesa del suolo. Inparticolare, la legge dispone che la Giunta provveda alla dichiarazione delle opere idrauliche dipreminente interesse regionale, che la Regione e le province provvedono a eseguire e gestire cononeri totalmente a loro carico; che, allo stesso modo, siano dichiarate di preminente interesseregionale le opere di bonifica dirette alla protezione dei territori soggetti alle esondazioni dei cor-si d’acqua o con difficoltà di scolo naturale, comprendenti:

– la regolazione di bacini collinari e montani influenti;

– canali delle acque alte;

– canali delle acque medie;

– principali canalizzazioni delle acque basse;

– impianti idrovori e manufatti connessi;

– collettori emissari.

Le altre opere di bonifica, soggette ad autorizzazione regionale, sono eseguite invece a curae spese dei soggetti beneficiari.

La competenza delle opere suddette è attribuita alle Province, che si avvalgono dei Consor-zi di bonifica per la realizzazione

– delle opere di bonifica di preminente interesse regionale;

– delle opere idrauliche di preminente interesse regionale;

– della manutenzione die corsi d’acqua per i quali sia organizzato il servizio pubblico dimanutenzione;

– del servizio di piena.

I Consorzi di bonifica provvedono altresì alla realizzazione, gestione e manutenzione delleopere di bonifica non dichiarate di preminente interesse regionale, con oneri a carico della contri-buenza che ne trae beneficio.

Ulteriori modifiche alla L. R. 21 gennaio 1984, n. 4, alla L. R. 7 ottobre 1994, n. 50, alla L.R. 22 maggio 1997, n. 11, della L. R. 11 dicembre 1998, n. 53 e della L. R. 16 febbraio 2000, n.12, inerenti l’organizzazione, l’amministrazione ed il controllo dei Consorzi di bonifica, sonocontenute nella L. R. 10 maggio 2001, n. 10 – Disposizioni finanziarie per la redazione del bilan-cio della Regione Lazio per l’esercizio finanziario 2001 (art. 120).

Abruzzo

– L. R. 19 dicembre 1974, n. 51

– L. R. 10 marzo 1983, n. 11 – Normativa in materia di bonifica

– L. R. 22 novembre 1984, n. 79

– L. R. 27 giugno 1986, n. 21

– L. R. 15 gennaio 1988, n. 13

– L. R. 14 settembre 1989, n. 84

– L. R. 16 gennaio 1991, n. 1

– L. R. 2 giugno 1993, n. 19

27

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 27

– L. R. 8 giugno 1993, n. 24

– L. R. 7 aprile 1994, n. 21

– L. R. 25 novembre 1994, n. 89

– L. R. 20 dicembre 1994, n. 98

– L. R. 19 marzo 1996, n. 17

– L. R. 7 giugno 1996, n. 36 – Adeguamento funzionale, riordino e norme per il risana-mento dei Consorzi di bonifica

– L. R. 12 agosto 1998, n. 69

– L. R. 12 agosto 1998, n. 70

– L. R. 7 aprile 1999, n. 21

– L. R. 22 febbraio 2000, n. 13

– L. R. 22 febbraio 2000, n. 16

– L. R. 24 agosto 2001, n. 39

– L. R. 17 aprile 2003, n. 7

Le prime linee programmatiche per l’agricoltura della Regione vengono dettate dalla L. R.3 giugno 1982 n. 31 – Legge organica per lo sviluppo dell’agricoltura abruzzese nel quadriennio1982-83, con la quale la redazione dei programmi esecutivi delle opere pubbliche di irrigazione,di competenza territoriale, è affidata alle associazioni dei comuni competenti per territorio d’inte-sa con l’ERSA, utilizzando le strutture tecniche dei Consorzi di Bonifica, secondo le direttivedella Regione che si avvale del centro regionale di sperimentazione irrigua (art. 13). La progetta-zione e la realizzazione delle predette opere può essere affidata ai Consorzi di Bonifica ed alleComunità montane.

La normativa in materia di bonifica è stata emanata con la L. R. 10 marzo 1983, n. 11, suc-cessivamente modificata con la L. R. 27 giugno 1986, n. 21, con la L. R. 16 gennaio 1991 L. R. 2giugno 1993, n. 19, n. 1 e L. R. 7 aprile 1994, n. 21.

La disciplina in materia di controllo sugli atti degli enti dipendenti dalla Regione è contenu-ta nella L. R. 8 giugno 1993, n. 24, modificata ed integrata dalla L. R. 25 novembre 1994, n. 89.

Le finalità e le funzioni dei Consorzi di Bonifica, disciplinate dall’art. 1, sono raggiunteed esercitate dai Consorzi sotto la vigilanza ed il controllo della Giunta Regionale, SecondoDipartimento Settore Agricoltura, foreste ed alimentazione, alla quale devono essere inviate ledelibere degli organi consorziali nelle materie espressamente indicate dalla legge, entro otto gior-ni dalla data delle deliberazioni stesse, per la loro approvazione (art. 14). Gli organi dei Consorzidi Bonifica sono l’Assemblea, il Consiglio dei delegati, la Deputazione amministrativa, il Presi-dente ed il Collegio dei revisori dei conti (art. 5).

La Regione, con L. R. 22 novembre 1984, n. 79, – Concessione mutui agevolati ai Consor-zi di Bonifica per l’esecuzione di infrastrutture e di opere pubbliche di bonifica, in armonia con lelinee programmatiche di sviluppo dell’agricoltura, promuove la realizzazione e l’ammoderna-mento delle seguenti infrastrutture: opere irrigue, strade rurali, ripristino e manutenzione straordi-naria delle opere pubbliche di bonifica. I programmi di intervento sono redatti dai Consorzi diBonifica e, nelle zone montane, su indicazione delle Comunità montane, competenti per territo-rio. Nelle altre zone della Regione i programmi sono sottoposti, dai Consorzi di bonifica, al pare-re dei Comuni competenti per territorio. Alla progettazione, esecuzione, sorveglianza e manuten-zione delle opere provvedono i Consorzi di bonifica competenti per territorio. I progetti esecutivi

28

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 28

sono istruiti ed approvati a norma dell’art. 22 della L. R. n. 11 del 1983. La Regione autorizza iConsorzi di bonifica a contrarre mutui agevolati per l’intero importo delle opere approvate. Dettimutui sono garantiti da fidejussione della Regione.

Con L. R. 2 febbraio 1990, n. 6, – Modifiche ed integrazioni alla Legge Regionale n. 66 del16/9/87 concernente “Norme per la individuazione degli Enti destinatari delle opere acquedotti-stiche realizzate dalla Cassa per il Mezzogiorno ed attualmente in gestione provvisoria da partedella Regione ed altri” e successive modificazioni, è prevista la costituzione provvisoria dei Con-sorzi comprensoriali in attesa che i Comuni interessati provvedano alla delimitazione degli ambi-ti territoriali definitivi dei rispettivi Consorzi. Sono individuati tre Consorzi comprensoriali: ilConsorzio Comprensoriale dell’Aquilano, il Consorzio Comprensoriale della Marsica, il Consor-zio Comprensoriale del Sulmonese.

Con L. R. 19 marzo 1996, n. 17, – Intervento straordinario in favore dei Consorzi di boni-fica, la Regione dispone la sua partecipazione al pagamento degli interessi in proporzione allerate pagate nel corso dell’anno 1995 dai Consorzi di bonifica, onde consentire loro di fronteggia-re le rate dei mutui in essere in attesa del provvedimento organico di riordino degli stessi. A talescopo, nello stato di previsione della spesa del bilancio per l’esercizio 1996, è stato istituito ediscritto il capitolo denominato “Intervento straordinario a favore dei Consorzi di Bonifica” con lostanziamento, in termini di sola competenza, di lire 650.000.000.

Il risanamento dei Consorzi di bonifica integrale e montana, la riduzione del numero deiConsorzi e la ridefinizione delle loro funzioni, ai sensi dell’art. 73 del D.P.R. n. 616/77 e dell’art.3 della L. n. 142/90 sono attuati dalla Regione Abruzzo con la L. R. 7 giugno 1996 n. 36, – Ade-guamento funzionale, riordino e norme per il risanamento dei Consorzi di bonifica. Sono dunquesoppressi ai sensi dell’art. 14 i Consorzi esistenti, ed è attribuita alla Giunta Regionale il compitodi costituire un Consorzio di bonifica per ogni comprensorio di nuova delimitazione derivantedalla delimitazione degli Ambiti Territoriali Ottimali, i quali dovranno succedere in tutti i rappor-ti giuridici attivi e passivi, ai preesistenti Consorzi ricadenti in tutto od in parte nel comprensoriostesso (art. 3). Il risanamento e la gestione dei nuovi consorzi è affidata ad un Commissario appo-sitamente nominato per ciascun Consorzio dal Presidente della Giunta Regionale, su proposta delcomponente preposto al Settore agricoltura foreste e alimentazione.

Restando invariate le competenze dell’Autorità di Bacino in materia di pianificazione di cuialla L. n. 183/89 e della programmazione provinciale in materia di difesa del suolo di cui all’art. 15della L. n. 142/90, in attuazione del Piano di difesa del territorio e di bonifica, i Consorzi di bonifi-ca esercitano ai sensi dell’art. 11 le funzioni relative alla realizzazione, manutenzione ed eserciziodelle opere di bonifica e d’irrigazione; alla realizzazione, manutenzione di strade, acquedotti edelettrodotti rurali; alla realizzazione di opere finalizzate alla manutenzione ed al ripristino ambien-tale e di protezione delle calamità naturali mediante forestazione ed interventi di manutenzioneidraulica; alla progettazione delle opere da eseguire nelle materia di propria competenza; ogni altrocompito connesso e funzionale alla difesa ed alla manutenzione del territorio che sia espressamen-te affidato ai Consorzi dagli atti di programmazione della Regione, dell’Autorità di bacino, dallaProvincia o dai Comuni o dalle Comunità montane, nell’ambito delle rispettive competenze.

Nell’ambito di tale nuova definizione delle funzioni, sono trasferite alle Province in attua-zione degli artt. 14 e 15 della L. n. 142/90, i compiti di programmazione in materia di opere dibonifica integrale (art. 9 L. R. n. 36/96). È affidata alle Province, in osservanza alle indicazionidel Piano di bacino, e in mancanza, alle direttive impartite dall’Autorità di Bacino ovvero dallaGiunta Regionale, Settore agricoltura foreste alimentazione, la predisposizione del “Piano di dife-sa del territorio e di bonifica” relativamente a ciascun Consorzio di bonifica compreso nel rispet-tivo territorio. Il Piano costituisce lo strumento programmatorio, ha validità triennale e può esse-

29

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 29

re aggiornato ogni qual volta la Provincia lo ritenga opportuno. Il Piano è approvato dal ConsiglioRegionale su proposta della Giunta Regionale. Fino all’approvazione del Piano di difesa del terri-torio e di bonifica, la presentazione dei progetti esecutivi di singole opere deve essere autorizzatadalla Giunta Regionale, sentita la Provincia competente.

Resta invariata la competenza delle Comunità montane in ordine alla individuazione, nel-l’ambito del Piano di sviluppo socio-economico di cui all’art. 29 della L. 142/90, degli interventidi salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente mediante il riassetto idrogeologico, la sistemazio-ne idraulico-forestale e l’uso delle risorse idriche (art. 10).

Un ulteriore intervento finanziario a sostegno dei Consorzi di bonifica è posto con la L. R.12 agosto 1998, n. 70, – Provvedimenti per il risanamento dei Consorzi di bonifica, con la quale iConsorzi sono autorizzati a contrarre mutui con istituti di credito, per la quota parte dei disavan-zi finanziari, assumendo il costo a carico del bilancio regionale. Gli oneri previsti da tale legge,valutati per il 1998 in 17 miliardi di lire, saranno fronteggiati con i fondi iscritti al capitolo relati-vo al “finanziamento dei Consorzi di bonifica per l’irrigazione, per la manutenzione delle operedi bonifica e per il risanamento degli stessi Enti – L. R. 36/96”.

Ai sensi dell’art. 23, settimo comma, L. R. 16 settembre 1998, n. 81, – Norme per il rias-setto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, il piano di difesa del territorio di bonificadi cui all’art. 9 della L. R. n. 36/96 si conforma al Piano di bacino o ai suoi stralci e si coordinacon il programma triennale di intervento di cui all’art. 14 della legge regionale n. 81/98.

Ulteriori modifiche alla normativa in materia di bonifiche sono apportate con la L. R. 7aprile 1999, n. 21 e la L. R. 22 febbraio 2000, n. 13, che disciplinano le procedure di dichiarazio-ne di pubblica utilità di urgenza e indifferibilità, nelle more dell’approvazione del piano di difesadel territorio e di bonifica; con la L. R. 24 agosto 2001, n. 39 viene modificata la normativa inmateria di organizzazione dei consorzi e controllo.

Molise

– L. R. 3 luglio 1991, n. 10 – Normativa in materia di bonifica

– L. R. 2 aprile 1993, n. 9

Le funzioni esercitate dai Consorzi di bonifica montana, costituiti ai sensi della L. 25/7/52,n. 991, sono trasferite alle Comunità montane dalla L. R. 25 giugno 1976, n. 19 – Trasferimentodelle Comunità montane delle funzioni in materia di Bonifica Montana.

La L. R. 24/78 – Interventi per lo sviluppo delle zone irrigue e per l’estendimento dell’irri-gazione, utilizza, per lo sviluppo e per l’aumento delle aree irrigue, i Consorzi di bonifica, a cuisono concessi contributi per il finanziamento delle spese consortili.

Ai Consorzi di bonifica integrale viene assegnato un contributo finanziario dalla Cassa peril Mezzogiorno per gli oneri derivanti dall’esecuzione di opere ed attività pubbliche, con la L. R.6 giugno 1978, n. 12 – Consorzi di bonifica integrale – Contributo finanziario “una tantum”.

Una norma finanziaria è stata emanata con la L. R. 4 gennaio 1982, n. 2, – Interventiaggiuntivi nei settori della bonifica e delle opere di miglioramento fondiario, al fine di contribui-re al ripristino dell’efficienza di opere di bonifica danneggiate da avversità atmosferiche.

Legge organica in materia di bonifica, è la L. R. 3 luglio 1991, n. 10 – Normativa in mate-ria di bonifica, modificata dalla L. R. 2 aprile 1993, n. 9, che definisce le norme di riferimento perle attribuzioni proprie dei Consorzi di bonifica.

30

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 30

In particolare la norma dispone che “I Consorzi di bonifica partecipano alla programma-zione regionale con la elaborazione del piano generale di bonifica, provvedono alla progetta-zione, esecuzione, manutenzione ed esercizio di tutte le opere pubbliche di bonifica (infrastrut-ture agricole, captazioni, accumulo, risanamento, adduzione e distribuzione delle acque ai finiirrigui, difesa del suolo e dell’ambiente, di riassetto del territorio) finalizzate al miglioramentodel reddito agricolo e allo sviluppo della produzione agricola nonché alla valorizzazione delcomprensorio … partecipano all’esercizio delle attività regionali in materia di difesa del suolo”(art. 1).

I Consorzi predispongono il piano generale di bonifica (art. 2), che contiene, tra l’altro, lepossibili utilizzazioni agricole produttive. Sul territorio regionale sono determinati i seguentiConsorzi di bonifica (art. 4):

– Consorzio di bonifica della Piana di Venafro;

– Consorzio di bonifica Destra Trigno e Basso Biferno;

– Consorzio di bonifica integrale Larinese.

È istituito presso l’Assessorato all’agricoltura e Foreste, il Comitato Regionale per la Boni-fica, composto: dal componente della giunta regionale, preposto al settore agricoltura e foreste,che svolge le funzioni di Presidente; da un rappresentante di ciascun consorzio; da tre tecnicidipendenti regionali; da un rappresentante per ciascuna delle organizzazioni professionali agrico-le, maggiormente rappresentative a livello nazionale; da un rappresentante per ciascuna delleorganizzazioni sindacali dei lavoratori della bonifica.

Il Comitato esprime parere (art. 7):

– sulla delimitazione dei comprensori di bonifica;

– sul piano generale di bonifica;

– sui piani di classifica per il riparto degli oneri di bonifica e delle spese di organizzazio-ne e di amministrazione;

– sui programmi di bonifica e di irrigazione;

– sui problemi attinenti alla bonifica.

Organi dei Consorzi sono l’Assemblea dei consorziati, il Consiglio dei delegati, la Deputa-zione amministrativa, il Presidente, il collegio dei revisori dei conti.

Campania

– L. R. 11 aprile 1985, n. 23 – Norme in materia di bonifica integrale

– L. R. 7 febbraio 1994, n. 8 – Norme in materia di difesa del suolo – Attuazione della L.18 maggio 1989, n. 183 e successive modificazioni ed integrazioni

– L. R. 5 agosto 1999, n. 5

– L. R. 25 febbraio 2003, n. 4 – Nuove norme in materia di bonifica integrale

Il territorio che oggi delinea la regione Campania si presentava, all’indomani della costitu-zione del Regno d’Italia, con il maggior numero delle “confidenze” di bonifica che non hannosubito, fino alla seconda guerra mondiale modifiche di rilievo. Nel complesso sistema idrologicodel fiume Volturno e dei sui affluenti, erano situati i comprensori del bacino inferiore del Voltur-no, del lago Fusaro e dei Regi Lagni, degli Stagni di Marcianise, del Lago d’Averno, dei torrentidi Nola, della Conca di Agnano e Bagnoli, delle Paludi di Napoli e Volla, dei torrenti di Somma e

31

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 31

Vesuvio; altri comprensori erano rappresentati dalla piana del Sele, dai bacini di bonifica del-l’agro Sarnese e dell’agro Sarnese Nocerino e dal Vallo di Diano.

La risorsa acqua sottostava a regole di uno sviluppo incerto delle pratiche irrigatorie condi-zionate da situazioni ambientali e socio-produttive non sempre favorevoli. All’impossibilità difar fronte ad una necessaria ed impegnativa regolazione dei deflussi dei bacini, si aggiungeval’incuria nella manutenzione delle opere, la noncuranza dei proprietari ed i continui disboscamen-ti e dissodamenti dei terreni situati a monte. Al fine di allargare le aree coltivate, per intensificarele colture, per evitare lo spopolamento, per eliminare l’arretratezza produttiva e la miseria, fuindividuato quale strumento riformatore, un intervento capillare di bonifica, in particolare nellepianure costiere, in larga parte incolte. L’allargamento di ordinamenti colturali fondati sull’uti-lizzo delle acque a scopo irriguo doveva costituire il fulcro di questa riforma.

Nel 1866 era stata realizzata solo la bonifica idraulica della conca di Agnano con il pro-sciugamento del lago, esteso per circa 92 ettari, mediante la costruzione di un canale emissario didue chilometri, scavato in galleria sotto il monte Spina; nel 1873 risultavano compiuti i lavori dicolmata di 758 ettari di terreno paludosi degli oltre 5300 per i quali era stato deciso il prosciuga-mento; nel 1891 in seguito ai lavori di canalizzazione venne dichiarata l’ultimazione degli stagnidi Marcianise.

Nella terza relazione parlamentare sulle bonifiche, predisposta dal Ministero dei LavoriPubblici nel 1915, si legge che vi era ancora l’impossibilità di raggiungere un’effettiva prosperi-tà agricola sia per la mancanza di canalizzazioni complete di scolo, sia per la poca diligenza daparte dei proprietari; si riscontrava, pertanto, la permanenza della malaria. Fino alla metà deglianni ’20 si riscontrava la presenza di aree classificate come malariche ed insalubri che non sem-pre corrispondeva a quella delle paludi. La causa era da attribuirsi “al piccolo ma infinito disordi-ne idraulico de’ suoi corsi d’acqua, massime dei minimi”. Il perfezionamento dei sistemi di pro-sciugamento meccanico dei polder paludosi mediante impianti di sollevamento meccanico delleacque, portò nuove possibilità di realizzare interventi di prosciugamento e risanamento dei terre-ni. Restavano, però, molto limitate le possibilità di trasformare queste aree per la mancanza di unimpegno finanziario da parte dello Stato.

Solo nel 1933 con l’emanazione del Testo Unico sulla Bonifica Integrale si poté assicurareun efficace intervento di trasformazione delle aree di bonifica e di sistemazione idraulica. Il com-pletamento della bonifica idraulica, non ancora pienamente efficiente in molti comprensori, costi-tuiva il presupposto indispensabile a qualsiasi successiva trasformazione nei primi anni del secon-do dopoguerra. Vennero, quindi, destinati i finanziamenti iniziali attivati sui fondi dell’“EuropeanRecovery Program”.

Nel dopoguerra l’impulso decisivo alla trasformazione delle campagne meridionali è venu-to dall’esterno: principali fattori di questo processo sono stati l’afflusso d’ingenti risorse finanzia-rie pubbliche e l’avvio con la Riforma agraria del 1950, di un ampio frazionamento della pro-prietà terriera.

Tuttavia, sul decisivo versante della riconversione irrigua dell’agricoltura, i risultati dei pri-mi programmi di intervento della Cassa per il Mezzogiorno, nonostante la rilevanza dell’impegnofinanziario, sono stati, in Campania, molto contraddittori. Nel 1961, in provincia di Caserta, ilproblema dell’irrigazione rimaneva ancora una questione da affrontare mentre proprio nelle zonedi bonifica andava concentrandosi lo sviluppo di attività di altro ordine che ne avrebbero mutato,in pochi anni, la fisionomia.

Le competenze in materia di bonifica sono state attribuite alle Regioni (art. 66 DPR616/77).

32

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 32

La prima legge regionale in materia (L. R. 22.07.1974 n. 27 – Interventi regionali nel setto-re della bonifica integrale), prevede che la Regione attui programmi organici di intervento voltialla bonifica agrario-fondiaria ed alla valorizzazione ambientale del territorio. Nei comprensori dibonifica integrale è finanziata, a totale carico della regione, l’esecuzione di opere pubbliche dibonifica aventi prevalentemente lo scopo di estendere l’irrigazione, anche mediante il potenzia-mento e l’ammodernamento degli impianti esistenti, completare le opere di cui sia stata iniziatal’esecuzione al fine di renderle organicamente funzionali, assicurare la funzionalità delle opererealizzate.

Le opere di bonifica, in tal senso previste, sono affidate in concessione agli enti abilitati asvolgere funzioni di bonifica, in economia, a cura degli Uffici del Genio Civile. La Giunta Regio-nale, su proposta dell’Assessore per l’Agricoltura e, sentito il Comitato consultivo, predisponeex art. 7, il programma annuale degli interventi.

È affidata alla Regione, con Legge regionale 11 aprile 1985 n. 23 – Norme in materia dibonifica integrale, la valorizzazione e tutela del territorio regionale, in particolare di quello rura-le, nonché lo sviluppo della produzione agricola, l’attività di promozione e attuazione, nell’ambi-to della programmazione nazionale e regionale, della bonifica integrale come mezzo permanentedi difesa, conservazione del territorio e dell’ambiente, con particolare riguardo alla regimazionedelle acque ed all’utilizzazione delle risorse idriche a scopo irriguo.

L’art. 4 dispone che il Consiglio Regionale con propria delibera provveda, su proposta del-la Giunta Regionale, alla costituzione, fusione e soppressione dei Consorzi di bonifica integrale,nonché alla delimitazione dei perimetri consortili. Alla costituzione dei consorzi si provvede surichiesta di almeno il 25% dei proprietari dei terreni interessati, che rappresentano almeno il 25%della superficie del territorio. In assenza di iniziative degli interessati, i consorzi possono esserecostituiti d’ufficio.

Gli interventi di bonifica integrale sono attuati nell’ambito della programmazione nazionale eregionale dai Consorzi di bonifica, i quali predispongono, ex art. 2, i piani pluriennali di intervento.

I Consorzi di bonifica integrale provvedono alla gestione, alla manutenzione, ed all’eserci-zio degli impianti e delle opere pubbliche di bonifica integrale. L’art. 5 istituisce la ConsultaRegionale per la bonifica, con compiti consultivi per tutto quanto attiene l’intervento pubblico inmateria di bonifica integrale.

Il degrado ambientale diffuso su tutto il territorio, legato alle caratteristiche geomorfologi-che dell’area, ed alla mancanza di sufficienti interventi di tutela e manutenzione, ha indotto laGiunta a provvedere con interventi specifici sulla vasta area montana, a difesa del suolo e dellasistemazione idraulico-forestale.

Sono, pertanto, espressamente previsti dalla Legge regionale 7 maggio 1996 n. 11 – Modi-fiche ed integrazioni alla Legge regionale 28.02.1987 n. 13, concernente la delega in materia dieconomia, bonifica montana e difesa del suolo, interventi di sistemazione idraulico-forestale del-le pendici, di consolidamento delle dune litoranee, oltre alla realizzazione di altre opere pubblichedi bonifica montana a carattere infrastrutturale strettamente connesse alla diffusione dell’irriga-zione ed alla raccolta delle acque per uso plurimo. L’art. 3 prevede la delega alle Comunità Mon-tane per i territori dei rispettivi Comuni e di quelli interclusi, ed alle Amministrazioni Provincialiper i restanti territori, delle funzioni amministrative relative all’attuazione degli interventi di siste-mazione idraulico-forestale delle pendici, e di realizzazione delle opere pubbliche di bonificamontana a carattere infrastrutturale, strettamente connesse alle categorie di intervento previstedalla stessa legge, ivi comprese quelle relative alla diffusione dell’irrigazione ed alla raccolta diacque per uso plurimo.

33

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 33

L’art. 5 dispone che il Piano Forestale Generale predisposto per il periodo 1997-2006 siaarticolato per comprensori. I Piani vanno trasmessi all’Autorità di Bacino competente per il pare-re, che deve essere espresso entro dieci giorni dalla ricezione. L’art. 19 prevede che siano poste atotale carico della Regione le opere di sistemazione idraulico-forestali e di difesa del suolo, voltea conseguire la stabilità dei terreni e la migliore regimazione delle acque, le opere di rimboschi-mento a scopo protettivo, nonché le opere di correzione dei corsi d’acqua, e di rinsaldamento del-le pendici e di sistemazione idraulico-agraria delle pendici stesse.

Infine, la L. R. 25 febbraio 2003, n. 4 dispone nuove norme in materia di bonifica integra-le, al fine di riorganizzare le funzioni dei consorzi, il loro risanamento finanziario ed il riordinodei comprensori, oltre ad attribuire funzioni nell’ambito degli interventi in applicazione della L.n. 36 del 1994 ed in esecuzione dei programmi delle Autorità di Bacino. L’intervento di riordinoha prodotto sette comprensori, relativi ai bacini idrografici “Volturno-Garigliano”, “Medio Voltur-no-Calore”, “Sarno”, “Sele”, “Alento”, “Ufita” e “Tanagro”. La norma dispone, per ciascun Con-sorzio di bonifica, l’accertamento della situazione economica e finanziaria; qualora emerga unamassa passiva netta tale da non poter essere ripianata con il solo gettito della contribuenza, laGiunta adotta un provvedimento per il risanamento o la riduzione di detta massa passiva, a condi-zione che i consorzi interessati applichino misure per la riduzione dei costi, di recupero dei credi-ti o di alienazione di cespiti.

Puglia

– L. R. 31 maggio 1980, n. 54 – Norme in materia di determinazione dei comprensori ecostituzione dei Consorzi di bonifica integrale

– Reg. R. 9 dicembre 1983, n. 3

– L. R. 24 maggio1985, n. 42

– L. R. 18 aprile 1994, n. 15 – Disposizioni per l’affidamento degli impianti irrigui collet-tivi ai Consorzi di bonifica

– L. R. 30 dicembre 1994, n. 37

– L. R. 3 marzo 1998, n. 9

– L. R. 4 maggio 1999, n. 17

– L. R. 13 dicembre 1999, n. 32

– L. R. 12 aprile 2000, n. 9

– L. R. 30 novembre 2000, n. 16

– L. R. 15 dicembre 2000, n. 25

– L. R. 11 maggio 2001, n. 13

– L. R. 31 maggio 2001, n. 14

– L. R. 27 luglio 2001, n. 20

– L. R. 5 dicembre 2001, n. 32

– L. R. 9 dicembre 2002, n. 19

– L. R. 9 dicembre 2002, n. 20

– L. R. 7 marzo 2003, n. 4

La normativa in materia di Comprensori e Consorzi di bonifica integrale della Regione

34

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 34

Puglia è stata introdotta con la L. R. 31 maggio 1980, n. 54 ed il successivo regolamento di attua-zione del 9 dicembre 1983. La Regione assume a suo carico la spesa per le opere di competenzaregionale ed il concorso, sino al limite dell’80%, nella spesa relativa ad opere di interesse deiconsorziati e, similmente, fa fronte ai mutui contratti per detti fini.

Con la legge n. 15 del 1994, il legislatore regionale affida ai Consorzi di bonifica compe-tenti per territorio la gestione degli impianti di irrigazione già dell’Ente per lo Sviluppo dell’Irri-gazione e della Trasformazione Fondiaria alla Regione, in adempimento al DPR 10 aprile 1979.

Con la entrata in vigore della predetta legge regionale, la Giunta nomina una appositaCommissione Tecnica che provvede all’inventario dei singoli impianti irrigui e relativi materialidi scorta, attrezzature, pertinenze mobili ed immobili, agli accertamenti ed adempimenti ammini-strativi necessari per una corretta utilizzazione di una opera irrigua di uso pubblico. La consegnadefinitiva degli impianti e delle pertinenze a fini irrigui è effettuata dalla Regione ai Consorzi dibonifica contestualmente alla sottoscrizione dell’inventario predetto. I rapporti tra la Regione ed isingoli Consorzi di bonifica sono disciplinati da apposita convinzione, approvata dalla Giuntaregionale.

La Regione, ai sensi dell’art. 6 della legge regionale n. 15 del 1994, esercita la vigilanzasulla gestione degli impianti irrigui affidati ai Consorzi di bonifica, attraverso gli Uffici dell’Ispet-torato Provinciale dell’Agricoltura competenti per territorio. Le disposizioni finanziarie della leggen. 15 disciplinano la cessazione del trasferimento di fondi ai Consorzi di bonifica per la gestionedegli impianti irrigui regionali, con l’adeguamento dei canoni di utenza a totale copertura dellespese di gestione. Il termine inizialmente previsto è stato prorogato al 31 dicembre 2000, conassunzione dei relativi oneri in capo alla Regione, con la L. R. 13 dicembre 1999, n. 32.

Ancora, la legge regionale n. 15 del 1994 prevede che il Piano Operativo Plurifondo1994/1999, relativamente al triennio 1994/1996, deve contenere una misura per l’ammoderna-mento degli impianti irrigui ad uso pubblico, al fine di razionalizzare l’utilizzo delle acque sotter-ranee. Tale progetto espressamente prevede nella misura acqua, una sottomisura specifica perl’utilizzo delle acque reflue e per la ricarica delle falde acquifere con le stesse acque.

L’approvvigionamento idrico in Puglia presenta consistenti deficit nel settore potabile ed inquello irriguo, nel quale, gli elevati costi di depurazione delle acque spingono gli agricoltori adapprovvigionarsi dalla falda sotterranea attraverso i pozzi privati. Attività, quest’ultima, che hacreato notevoli dissesti idrogeologici in molte aree della Puglia. Particolare attenzione viene datanella programmazione regionale, oltre quanto già indicato per la depurazione, agli interventi tesiall’approvvigionamento, alla adduzione, ed alla distribuzione idrica.

L. R. 9 dicembre 2002, n. 19 istituisce l’Autorità di bacino, cui spetta la predisposizionedei piani di bacino e dei programmi triennali di attuazione. La progettazione ed esecuzione dellerelative opere è attribuita prioritariamente ai Consorzi di bonifica; i relativi oneri, come quelli digestione e manutenzione, ricadono sulla Regione.

Interventi per il risanamento finanziario dei consorzi sono contenuti nella L. R. 9 dicembre2002, n. 20, che autorizza la stipula di mutui per il consolidamento delle passività con concorsopubblico nel pagamento degli interessi (nel limite massimo dell’80%) e con la L. R. 7 marzo2003, n. 4, che impone ai consorzi “variazioni al proprio bilancio prevedendo l’abbattimento del30% della spesa corrente e riducendo, proporzionalmente, gli oneri di contribuenza”; questi ulti-mi devono essere riformulati, nel caso fossero stati definiti anteriormente al 1 gennaio 2000; inol-tre, si dispongono atti necessari alla riorganizzazione delle funzioni.

35

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 35

Basilicata

– L. R. 4 settembre 1979, n. 35 – Organizzazione delle attività di bonifica dei Consorzi edelle Comunità montane

– L. R. 7 settembre 1981, n. 35

– L. R. 23 febbraio 1985, n. 2

– L. R. 28 febbraio 1995, n. 22 – Nuove norme in materia di bonifica integrale e montana

– L. R. 27 gennaio 1996, n. 5

– L. R. 6 settembre 2001, n. 33 – Norme in materia di bonifica integrale

– L. R. 29 luglio 2003, n. 26

La disciplina in materia di bonifica della Regione Basilicata è stata emanata tre volte: unprimo quadro normativo è stato introdotto dalla Legge regionale 4 settembre 1979 n. 35 – Orga-nizzazione delle attività di bonifica dei Consorzi e delle Comunità Montane, e quindi sostituitocon la L. R. 28 febbraio 1995, n. 22 ed, infine, con la L. R. 6 settembre 2001, n. 33.

L’articolo 1 della Legge regionale 4 settembre 1979 n. 35 recita: “la programmazione, laesecuzione, l’esercizio e la manutenzione delle opere di bonifica, sono finalizzati allo sviluppodella produzione agricola, delle aree irrigue, alla difesa e conservazione del suolo e alla tuteladell’ambiente”. Il Consiglio Regionale provvede con legge alla classificazione ed alla declassifi-cazione dei comprensori di bonifica integrale e di bonifica montana, nonché alle relative modifi-cazioni. Le funzioni regionali in materia di programmazione delle opere di bonifica integrale emontana, gli adempimenti regionali concernenti la concessione per la esecuzione delle opere dibonifica, nonché le funzioni regionali di tutela e di vigilanza sui consorzi stessi sono delegati, neirispettivi territori, ai consorzi dei Comuni, alle Comunità montane, ai comprensori eventualmen-te costituiti. Gli Enti delegati provvedono alla redazione di programmi pluriennali. Alla costitu-zione dei Consorzi di bonifica si provvede ai sensi dell’art. 8, con Decreto del Presidente dellaGiunta Regionale su conforme deliberazione del Consiglio Regionale, su richiesta di almeno unterzo dei proprietari dei terreni inclusi nel perimetro del consorzio, che rappresentino almeno unterzo della superficie del territorio. Alla modifica dei confini territoriali dei Consorzi di bonifica,alla fusione o alla soppressione dei consorzi stessi, provvede il Presidente della Giunta Regiona-le con Decreto. Sono organi dei Consorzi di bonifica l’Assemblea dei consorziati, il Consigliodei delegati, la Deputazione amministrativa, il Presidente, il Collegio dei revisori dei conti.

La Regione Basilicata provvede con Decreto del Presidente della Giunta Regionale, allasoppressione del Consorzio di bonifica del Gallitello e del Consorzio di bonifica del Pollino per laparte ricadente in territorio lucano. Le competenze di tali consorzi sono trasferite alle Comunitàmontane competenti per territorio che le assumono e le esercitano entro i limiti stabiliti dalle leggiregionali e nazionali nonché degli Statuti comunitari. Il consorzio dell’Alta Val d’Agri, per la par-te di territorio ricadente nella Regione Basilicata, è riclassificato come regionale con decreto delPresidente della Giunta Regionale. La soppressione e la regionalizzazione dei Consorzi di bonificadel Pollino e dell’Alta Val d’Agri sono subordinate all’esito delle necessarie intese rispettivamen-te con i competenti organi della Regione Calabria e della Regione Campania. Le funzioni, sul ter-ritorio di bonifica interregionale del Pollino, saranno esercitate tra le Comunità montane del Lago-negrese, del Medio Sinni – Pollino – Raparo e del Sarmento da quella che comprende la parte piùestesa del comprensorio. Previe intese tra le Regioni Calabria e Basilicata, il Consorzio di bonificadel Pollino dovrà presentare alla Giunta Regionale di Basilicata il Piano di riparto tra le due Regio-ni interessate del patrimonio, del personale e degli altri rapporti giuridici attivi e passivi.

36

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 36

La Regione, con Legge Regionale 28 febbraio 1995 n. 22, – Nuove norme in materia dibonifica integrale e montana, “promuove ed attua la bonifica integrale come mezzo permanentedi tutela e valorizzazione del territorio e dell’ambiente per la difesa e conservazione del suolo eper una corretta utilizzazione e tutela delle acque ad usi agricoli nonché di potenziamento e svi-luppo delle produzioni agricole e dell’irrigazione nel quadro della programmazione economicacomunitaria e nazionale, con particolare riferimento agli strumenti di politica agricola, ambien-tale e di difesa del suolo, dei programmi della Regione e delle Province e dei piani socio-econo-mici delle Comunità montane”. Nello svolgimento delle attività di vigilanza, sorveglianza o con-servazione delle opere pubbliche affidate ai consorzi per la manutenzione e l’esercizio, i Consor-zi di bonifica provvedono al rilascio delle concessioni e delle licenze ed i relativi canoni restanoa beneficio del consorzio. I Consorzi di bonifica adottano il Piano generale di bonifica, i pro-grammi e gli stralci annuali. La Giunta Regionale approva Piani, programmi e stralci annualientro trenta giorni dal loro ricevimento, verificando la rispondenza alle Direttive emanate dalConsiglio Regionale. Le Comunità montane e le Province possono affidare ai Consorzi di boni-fica la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle opere in relazione alle materie delegatedalla Regione. Le Autorità di bacino, e fino alla loro costituzione la Regione, possono affidare aiConsorzi di bonifica la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle opere di difesa e conser-vazione del suolo.

Il Presidente della Giunta Regionale, ai sensi dell’art. 8, previo parere della competenteCommissione consiliare e sentiti gli Enti interessati e le Organizzazioni Professionali agricolemaggiormente rappresentative a livello regionale, provvede su conforme deliberazione dellaGiunta, con proprio decreto per l’intero territorio regionale, alla classificazione, alla declassifica-zione ed alla delimitazione dei Comprensori di bonifica integrale e montana, nonché alle eventua-li successive modifiche. Nella fase di prima applicazione della presente legge sono confermate ledelimitazioni comprensoriali già delineate. Sono costituiti i seguenti Consorzi di bonifica:

a) Bradano e Metaponto;

b) Vulture-Alto Bradano;

c) Val d’Agri.

Sono organi dei Consorzi di bonifica l’Assemblea dei consorziati, il Consiglio, il Comitatoesecutivo, il Presidente, il Collegio dei Revisori dei Conti. I Consorzi di bonifica, allo scopo disoddisfare esigenze comuni, per un opportuno coordinamento e per tenere continui rapporti congli organi centrali dello Stato, con la Regione e con gli Enti locali, possono costituire ai sensi del-l’art. 57 del RD n. 215/33, un Consorzio di II grado. Il Consorzio di II grado può avvalersi del-l’attuale Unione regionale delle bonifiche, della irrigazione e dei miglioramenti fondiari di Basi-licata già costituito fra tutti i Consorzi di bonifica della Regione.

Con la L. R. 6 settembre 2001, la Regione Basilicata individua le finalità della bonificaconsistenti nel “garantire la sicurezza idraulica e la manutenzione del territorio, la provvista, larazionale utilizzazione e la tutela delle risorse idriche a prevalente uso irriguo, la conservazione edifesa del suolo lo sviluppo rurale, la tutela e la valorizzazione delle produzioni agricole con par-ticolare riguardo alla qualità, la salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente e dello spazio rurale.Le risorse per la realizzazione del piano di bonifica, tutela e valorizzazione del territorio rurale,predisposto dalla provincia sulla base delle direttive adottate del Consiglio Regionale, provengo-no da diverse fonti che, oltre alla contribuenza, comprendono:

– contributi regionali per le spese di esercizio e manutenzione;

– contributi dei soggetti gestori del Servizio Idrico Integrato;

– i proventi ricavati dalla regione per la concessione e l’uso del demanio idrico;

37

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 37

– i finanziamenti per gli interventi pubblici di interesse regionale;

– i finanziamenti per la realizzazione delle opere affidate da Regione, Autorità di bacino,Province, Comuni e Comunità montane;

– i finanziamenti ricevuti nell’ambito del Quadro Comunitario di Sostegno;

– i finanziamenti ottenuti dalla Regione per la realizzazione di opere riconosciute di inte-resse nazionale.

Calabria

– L. R. 10 marzo 1988, n. 5 – Norme in materia di bonifica

– L. R. 5 agosto 1992, n. 12

– L. R. 19 ottobre 1992, n. 20

– L. R. 29 novembre 1996, n. 34

– L. R. 29 novembre 1996, n. 35

– L. R. 3 ottobre 1997, n. 10

– L. R. 16 aprile 2002, n. 19

– L. R. 12 agosto 2002, n. 34

– L. R. 23 luglio 2003, n. 11 – Disposizioni per la bonifica e la tutela del territorio rurale.Ordinamento dei Consorzi di bonifica

In Calabria le prime opere di bonifica furono seguite a cura di Società private, concessiona-rie di opere di competenza statale, che esse stesse avevano progettato, come consentiva la legge.I primi Consorzi di bonifica cominciarono ad essere costituiti nella Regione a partire dal 1925. Ilterritorio regionale venne organizzato in Comprensori di bonifica classificando i territori concaratteristiche uniformi. Quelli di bonifica integrale, tutti ubicati nella fascia del territorio com-presa fra il mare e la bassa o media collina. Quelli di bonifica montana, rappresentati da massiccimontagnosi ben delimitati quali il Pollino, la Sila e l’Aspromonte, o da fasce di territorio a carat-tere montano comprendenti i tratti medio alti di alcuni gruppi di bacini idrografici.

Le diverse perimetrazioni dei Consorzi di bonifica si susseguono nel tempo, i criteri per larideterminazione territoriale delle aree di competenza dei singoli Consorzi di bonifica sono statetracciate dalla L. R. n. 5 del 1988 cui fanno seguito numerosi decreti del Presidente della Giuntae delibere della Giunta regionale che attuano i trasferimenti delle funzioni dai consorzi o dalleComunità Montane soppresse ai Consorzi operativi. Con DPGR n. 1239 del 4 dicembre 1989 lefunzioni di bonifica montana esercitate dal Consorzio di bonifica del Ferro e dello Sparviero sonostate trasferite alla Comunità montana Alto Jonio che le eserciterà sul territorio di propria compe-tenza. Detto decreto dispone che sino al riordino dei Consorzi di bonifica integrale, le attivitàconnesse alla gestione degli impianti irrigui dell’area in esame sono attribuite in via provvisoriaalla Comunità montana dell’Alto Jonio. Il Consorzio di bonifica del Ferro e dello Sparviero sarànuovamente costituito con la DGR 30 maggio 1994 n. 2972. Con DGR 18 maggio 1992 n. 1736vengono trasferite al Consorzio di bonifica della Piana di Sibari e media Valle del Crati le funzio-ni connesse alla gestione degli impianti connessi al soppresso Consorzio di bonifica montana delFerro e dello Sparviero. La Giunta regionale con le delibere n. 4600 del 1992 e n. 2659 del 1993provvede alla revisione dei confini ai sensi della L. R. n. 5 del 1988, ridefinizione che consentiràgli ultimi accorpamenti adottati con le DLGR n. 2201 del 1995, n. 4251, 4460 e 137 del luglio

38

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 38

1996. La bonifica montana è oggetto di due decreti del Presidente della Regione n. 1546 e 1553entrambi del giorno 8 novembre 1994, con le quali viene soppresso il Consorzio di Bonifica mon-tana del Pollino e le funzioni trasferite al Consorzio di bonifica integrale del Pollino, nonché tra-sferite al Consorzio di bonifica integrale del Ferro e dello Sparviero le funzioni richiamate nelladelibera n. 2972/94 relative all’omonimo Consorzio di bonifica montana soppresso.

Tra le regioni geografiche della Penisola, la Calabria è la più nota per il disordine idraulicoal quale è stata soggetta e per le disastrose alluvioni che hanno colpito le limitate, fertili pianure.Nell’opera svolta per arginare tale deficienza di strutture idrauliche, una forte responsabilità diiniziativa e di esecuzione è stata affidata ai Consorzi di bonifica, che hanno provveduto a granparte della sistemazione idraulica collinare e delle sottostanti aree pianeggianti per circa il 13%del territorio regionale ed hanno iniziato l’acquisizione di risorse idriche e la loro distribuzionenei complessi irrigui. Tra le opere idrauliche sono state affrontate fondamentali sistemazioni flu-viali e torrentizie e costruzione di canalizzazioni alternative ai recapiti fluviali.

Gli interventi normativi regionali che delineano il riassetto delle competenze per i Consor-zi di bonifica in Calabria sono la L. R n. 5 del 1988 e la L. R. n. 20 del 1992, oltre alla L. R. 5agosto 1992, n. 12 che introduce norme sul controllo degli atti degli altri Enti locali. La Regione,con la L. R. 10 marzo 1988 n. 5, – Norme in materia di bonifica, definisce gli scopi dell’attività dibonifica regionale, stabilisce le azioni e gli interventi mediante i quali questa si realizza e discipli-na il funzionamento degli organismi che devono attuarla. Gli indirizzi generali da seguire per ilconseguimento della bonifica sono definiti da un piano regionale per la bonifica e l’irrigazioneapprovati dal Consiglio regionale su proposta della Giunta (art. 3). Nelle more dell’adozione delpiano gli interventi di bonifica sono attuati in base ai programmi poliennali approvati dal Consi-glio regionale su proposta della Giunta (art. 4). Ciascun comprensorio redige a cura dei consorzi,sentiti gli Enti locali interessati, il piano comprensoriale di bonifica coordinato con gli altri pianie programmi di assetto e sviluppo del territorio (art. 5). Il piano comprensoriale di bonifica con-tiene l’indicazione degli interventi, degli incentivi e dei vincoli necessari alla tutela, all’assetto edallo sviluppo del territorio. In particolare il piano deve tendere ad assicurare la conservazione e larazionalizzazione del suolo, la sistemazione e la regolarizzazione dei corsi d’acqua e delle retiidrauliche di colo ad esclusione dei bacini interregionali di cui al DPCM 22 novembre 1977, latutela e la utilizzazione delle risorse idriche, la tutela e la valorizzazione degli ecosistemi, lo svi-luppo delle comunicazioni al servizio dell’agricoltura (art. 6). I piani comprensoriali non hannouna scadenza temporale e possono essere modificati dagli stessi Consorzi di bonifica anche suproposta delle Province, delle Comunità montane, dei consorzi e dei Comuni interessati (art. 8).Alla manutenzione delle opere pubbliche di bonifica la Regione provvede sulla base dei program-mi annuali approvati dalla Giunta regionale su proposta dell’Assessore all’Agricoltura. La Regio-ne provvede alla delimitazione dei comprensori di bonifica includendovi i territori compresi neibacini idrografici interessati all’irrigazione, sia in atto che programmata, nonché le aree di valo-rizzazione agricola connesse (art. 14). Ai sensi dell’art. 32 sono soppressi i Consorzi di bonificamontana e le funzioni da questi esercitate sono trasferite, nelle more dell’approvazione della leg-ge sul riordino delle autonomie locali, alle Comunità montane che le esercitano in tutto il territo-rio di loro competenza entro i limiti stabiliti dalla legge e dai rispettivi statuti.

Con la L. R. 19 ottobre 1992 n. 20, – Forestazione, difesa del suolo e foreste regionali inCalabria, la Regione disciplina gli interventi in materia di forestazione ed assicura la gestionedelle foreste regionali al fine di concorrere alla tutela dell’ambiente ed alla difesa idrogeologicadel territorio. Per il raggiungimento di tali obiettivi sono espressamente individuati quali settori diintervento l’assetto idrogeologico del territorio al fine di ottenere la correzione dei corsi d’acquae per conseguire la riduzione del trasporto solido ed il rinsaldamento delle sponde, quali interven-

39

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 39

ti a carattere integrativo e complementare per la sistemazione dei bacini, nonché le opere infra-strutturali intese a migliorare la sistemazione idraulico agraria dei bacini versanti mediante lacostruzione di laghetti collinari e la sistemazione delle condotte di adduzione principali, al fine direalizzare i piccoli sistemi irrigui esistenti nelle aree interne (art. 2). Gli interventi effettuati neisettori indicati saranno eseguiti dall’Agenzia Forestale della Regione Calabria, AFOR, istituitacon l’art. 9 della legge stessa, su tutto il territorio regionale ad esclusione di quello compreso neicomprensori di bonifica integrale che saranno effettuati dai Consorzi di bonifica.

Le Autorità di bacino interregionale dei fiumi Lao, Noce e Sinni e l’Autorità di bacinoregionale sono state istituite con la L. R. 29 novembre 1996, n. 34 e la L. R. 29 novembre 1996,n. 35; la L. R. 3 ottobre 1997, n. 10 recepisce le disposizioni di legge n. 36 del 1994. Disposizio-ni perla tutela e l’uso del territorio e norme per il riordino delle funzioni amministrative regiona-li e locali sono contenute rispettivamente nella L. R. 16 aprile 2002, n. 19 e nella L. R. 12 agosto2002, n. 34.

Infine, il legislatore regionale ha introdotto la nuova disciplina con la L. R. 23 luglio 2003,n. 11 – Disposizioni per la bonifica e la tutela del territorio rurale. Ordinamento dei Consorzi dibonifica. Sono classificate opere di bonifica:

– le opere per il recupero e la tutela dei sistemi naturalistico-ambientali;

– le opere per la tutela dello spazio rurale e la conservazione delle risorse primarie;

– le opere di canalizzazione e regimazione dei corsi d’acqua;

– le opere di captazione ecc. di acqua ad uso prevalentemente agricolo;

– gli impianti di sollevamento e derivazione;

– le opere di cui alla legge n. 36 del 1994;

– le opere per la sistemazione idraulica agraria e forestale, e di forestazione produttiva;

– la razionalizzazione della distribuzione;

– le opere di sistemazione idrogeologica;

– le opere per lo sviluppo agricolo e forestale;

– le opere di interesse di singoli fondi direttamente connesse alle finalità e funzionalitàdella bonifica;

– le infrastrutture di supporto;

– le strade di bonifica ed interpoderali.

L’esercizio e la manutenzione delle opere suddette sono a carico degli immobili in base albeneficio ricevuto, con un concorso regionale nel limite del 50% fino al compimento del singololotto o all’ultimazione della bonifica; per la gestione degli impianti di bonifica idraulica ed irriga-zione, la Regione concorre nel limite del 30% per gli impianti a scorrimento e nel limite del 50%per quelli di sollevamento.

Sicilia

– L. R. 25 maggio 1995, n. 45 – Norme sui Consorzi di bonifica

– L. R. 18 maggio 1996, n. 33

– L. R. 27 maggio 1997, n. 16

– L. R. 2 luglio 1997, n. 20

– L. R. 6 agosto 1997, n. 27

40

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 40

– L. R. 27 aprile 1999, n. 10

– L. R. 17 marzo 2000, n. 8

– L. R. 26 marzo 2002, n. 2

– L. R. 16 aprile 2003, n. 4

La Regione, con Decreto Presidenziale 22 ottobre 1947 n. 588 – Costituzione del Comita-to Provvisorio Regionale per la Bonifica, ha delegato al Comitato Regionale per la Bonifica ilcompito di fissare le direttive e coordinare l’attività di bonifica. Il Comitato può essere sentito sututti gli affari sui quali l’Assessore Regionale dell’Agricoltura e delle Foreste ritenga opportunointerpellarlo e, in particolare su: i piani generali di bonifica, i piani di riordinamento delle utenzeirrigue, i piani regolatori dei bacini idrografici, i provvedimenti di determinazione e di modificadei perimetri dei comprensori di bonifica. L’Assessore Regionale per l’Agricoltura e le Forestepuò incaricare (art. 1) il Comitato di redigere i programmi annuali e pluriennali di esecuzione diopere di sistemazione idraulico-forestali di bacini montani, di bonifica e di irrigazione.

Nel 1979, con il Decreto Presidenziale n. 70, è stata attribuita all’Assessorato dell’Agricol-tura e Foreste la competenza in materia di bonifica, consorzi ed altri enti di bonifica (art. 8).

La Regione ha riordinato i Consorzi di bonifica con la L. R. 25 maggio 1995 n. 45 – Nor-me sui Consorzi di bonifica. Garanzie occupazionali per i prestatori d’opera dell’ESA e disposi-zioni per i Commissari Straordinari, con cui promuove ed organizza la bonifica come mezzo per-manente di difesa, conservazione, valorizzazione e tutela del suolo, di utilizzazione e tutela delleacque e di salvaguardia dell’ambiente.

Tra gli interventi di bonifica espressamente previsti dall’art. 2 della legge regionale n. 45del 1995 sono individuate:

a) le opere di sistemazione e conservazione del suolo e del suo assetto idrogeologico, conparticolare riferimento a quelle rivolte a dare stabilità ai terreni e a prevenire e consoli-dare le erosioni ed i movimenti franosi nei territori collinari e montani, e le opere disistemazione ed adeguamento delle reti scolanti;

b) le opere di salvaguardia ambientale e di risanamento delle acque con particolare riguar-do alle opere di rinverdimento degli argini, alle azioni per il monitoraggio delle acque dibonifica e di irrigazione, per la tutela dello spazio rurale nonché per la salvaguardia delpaesaggio e dell’ecosistema agrario;

c) le opere di regimazione e sollevamento delle acque, di provvista, di adduzione e didistribuzione delle acque per usi irrigui e zootecnici ed ogni altra azione di tutela delleacque di bonifica e di irrigazione e di utilizzazione delle acque reflue ad uso irriguo e ditutela delle acque sotterranee;

d) le opere infrastrutturali di supporto per la realizzazione, gestione e manutenzione delleopere di cui alle lettere a), b), e c).

Le opere pubbliche a cui si riferisce tale legge appartengono al demanio regionale e sonorealizzate dalla Regione, fatte salve le competenze attribuite dalla legislazione regionale agli entilocali.

In tale contesto normativo, il territorio regionale è suddiviso in undici comprensori di boni-fica. All’interno di ciascun bacino di bonifica, gli imprenditori agricoli e non, proprietari, enfiteu-ti o affittuari tenuti per legge o per contratto al pagamento dei contributi consortili che usufruisco-no delle opere, impianti e servizi, sono riuniti in consorzio. I consorzi sono persone giuridiche didiritto pubblico costituiti con decreto del Presidente della Regione (artt. 5 e 6), su proposta del-

41

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 41

l’Assessore Regionale per l’Agricoltura e le Foreste. Gli interventi di bonifica sono realizzati nelquadro dei programmi adottati conformemente ai contenuti dei piani di bacino, di cui alla Legge18 maggio 1989 n. 183.

Nelle more dell’adozione dei piani di bacino ai sensi della Legge n. 183 del 1989, i pro-grammi sono approvati nel rispetto delle opere di difesa idraulica e di irrigazione esistenti o incorso di completamento. L’approvazione del programma degli interventi di bonifica equivale adichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza delle opere in esso previste (art. 4). Leopere di bonifica ed irrigazione, individuate con decreto assessoriale, eseguite dall’Ente di Svi-luppo Agricolo, vengono trasferite, per la gestione, ai Consorzi di bonifica competenti per territo-rio. La programmazione per gli interventi di bonifica è effettuata mediante piani predisposti daiconsorzi (art. 7). Il piano deve individuare l’ordine di priorità delle opere pubbliche, stabilendonei tempi di esecuzione, fissando il termine di inizio e compimento delle opere private dichiarateobbligatorie. Sono di competenza dei consorzi la gestione, la manutenzione ordinaria e straordi-naria e la vigilanza delle opere pubbliche e degli impianti di bonifica e di irrigazione (art. 8).Spettano all’Assessore Regionale per l’Agricoltura e le Foreste le funzioni di vigilanza, coordina-mento ed indirizzo dei consorzi (art. 20). Sono altresì sottoposti alla approvazione della Giuntaregionale gli Statuti dei consorzi e le deliberazioni di assunzione e di inquadramento del persona-le (art. 21).

In particolare, l’art. 3 della L. R. n. 45 del 1995, che suddivide l’intero territorio siciliano in11 Consorzi di bonifica, è stato attuato con la successiva delimitazione dei consorzi con il Decre-to Presidenziale dell’8 febbraio 1996 e con il Decreto Presidenziale del 23 maggio 1997. La disci-plina delle funzioni non trasferite dai consorzi soppressi ai nuovi consorzi è regolata dalla L. R.27 maggio 1997, n. 16 e quindi dalla L. R. 27 aprile 1999, n. 10.

Altri interventi riguardano il sostegno finanziario ai consorzi (L. R. 18 maggio 1996, n. 33,L. R. 6 agosto 1997, n. 27, L. R. 17 marzo 2000, n. 8, L. R. 26 marzo 2002, n. 2, L. R. 16 aprile2003, n. 4).

Sardegna

– L. R. 23 ottobre 1978, n. 62 – I controlli sugli enti locali

– L. R. 26 gennaio 1984, n. 7

– L. R. 14 maggio 1984, n. 21 – Riordinamento dei Consorzi di bonifica

– L. R. 23 agosto 1985, n. 20

– L. R. 13 novembre 1985, n. 27

– L. R. 10 luglio 1986, n. 46

– L. R. 15 luglio 1988, n. 27

– L. R. 20 marzo 1989, n. 11

– L. R. 15 gennaio 1991, n. 4

– L. R. 6 novembre 1992, n. 20

– L. R. 29 aprile 1994, n. 18

– L. R. 21 giugno 1995, n. 16

– L. R. 23 agosto 1995, n. 20

– L. R. 5 dicembre 1995, n. 33

– L. R. 15 febbraio 1996, n. 9

42

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 42

– L. R. 15 febbraio 1996, n. 11

– L. R. 11 marzo 1998, n. 8

– L. R. 24 dicembre 1998, n. 37

– L. R. 5 settembre 2000, n. 18

– L. R. 24 aprile 2001, n. 6

– L. R. 22 aprile 2002, n. 7

– L. R. 9 agosto 2002, n. 13

In Sardegna i primi interventi bonificatori risalgono al XVIII secolo e sono limitati all’in-sediamento di coloni nell’isola di San Pietro, nell’isola di Sant’Antioco e dell’Asinara, in alcunezone del Sulcis quali Gonnesa, Domusdemaria e Muse, e del Nuorese quali Salti di Montresta.

Nel XIX secolo, oltre ai nuovi insediamenti colonici, trovano attuazione le prime vere ope-re di bonifica: nel 1827 viene prosciugato un piccolo stagno nella zona di Paulilatino; nel 1838viene data in concessione l’opera di prosciugamento degli stagni di Sanluri e di Samassi; neglianni 1839, 1840 e 1841 vengono iniziate le opere di bonifica di numerose paludi site nella provin-cia di Cagliari, quali Ollasta, Simaxis, Soleminis e Lunamatrona. Nella seconda metà dell’otto-cento nonostante le numerose proposte mirate a risollevare le sorti dell’agricoltura, la situazioneagricola dell’isola, anche in merito alla bonifica, ha compiuto modesti progressi. Solo nel 1897 èstata approvata la prima legge speciale per la Sardegna, legge 2 agosto 1897 n. 382, con la qualevenivano stanziate delle somme per le opere di correzione dei corsi d’acqua, di bonifica e di rim-boschimento. Per le opere di irrigazione lo Stato si impegnava a versare, per quarant’anni, uncontributo annuo e dava ai Consorzi di irrigazione la facoltà di espropriare i terreni compresi nel-la zona irrigabile, ai proprietari che rifiutassero di acquistare l’acqua necessaria all’irrigazione.

La legge n. 382/1897 è stata successivamente integrata, in particolar modo per quanto attie-ne gli interventi relativi alla sistemazione idraulica, il risanamento dei bacini montani ed ilmiglioramento agrario, da altre leggi speciali approvate nel periodo 1902-1907. Tutta la legisla-zione speciale emanata in tale periodo, fatta eccezione per la legge 11 luglio 1913 n. 985 (la qua-le regolava la concessione per la concessione per la costruzione e l’esercizio dell’impianto idroe-lettrico e di irrigazione del Tirso), tesa a modificare profondamente la struttura agricola della Sar-degna prevalentemente attraverso lo strumento della bonifica, ha sortito risultati modesti. Ciò nonper la inadeguatezza degli interventi legislativi, bensì per gli stanziamenti finanziari, i quali almomento della loro applicazione si rivelavano essere fortemente insufficienti.

Con il T.U. n. 3256/1923 venivano riconosciute le opere di bonifica di prima categoria,individualmente identificate nelle province di Cagliari e Sassari. Nel decennio che segue, 1924-1934, la bonifica regionale ha avuto un notevole sviluppo, anche se i vasti obiettivi iniziali hannodovuto essere ridimensionati. Tale progresso è stato favorito dal R.D. 6 novembre 1929 n. 1931,con il quale veniva stanziata una ingente somma per la esecuzione di opere pubbliche. Dettointervento dello Stato ha favorito la predisposizione di un Piano regolatore per le opere pubblichein Sardegna, articolato in due grandi gruppi di opere. Il primo dei due prevedeva gli interventivolti a trasformare l’ambiente naturale, risanandolo dalla malaria e rendendolo idoneo a fornirepiù elevate produzioni. In vaste aree si sono ottenuti risultati molto apprezzabili. Con l’approva-zione del R.D. L. 13 febbraio 1933 n. 215, l’attività di bonifica si è andata intensificando e si èsviluppata secondo la concezione di integralità della bonifica insita nella legge stessa.

Un interessante impulso all’opera di bonifica è stato dato dalla legislazione sulla riformafondiaria con la legge 21 ottobre 1950 n. 841, la quale ha esteso l’attività di bonifica ad intere

43

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 43

regioni classificate, sino ad allora, solo parzialmente. Per la Sardegna ciò è avvenuto in parte conil R.D. 13 febbraio 1933 n. 215, e per una maggiore estensione di territorio interessato con la leg-ge 25 luglio 1952 n. 991. Con la L. n. 991/52 sono stati definiti i comprensori ed i Consorzi dibonifica montana, oltre ad essere state poste a totale carico dello Stato alcune opere generali pre-viste dalla legge di bonifica integrale del 1933.

I motivi che hanno portato alla classificazione dei vari comprensori di bonifica in Sarde-gna, prima della estensione della classifica a tutta l’isola, avvenuta come conseguenza della rifor-ma fondiaria, L. n. 32/1952, sono analoghi a tutti i comprensori. Occorreva individuare il modo diprocedere al risanamento idraulico di aree più o meno vaste, di provvedere alla raccolta, alla con-servazione ed alla distribuzione dell’acqua irrigua.

L’intero territorio della Gallura è stato classificato quale comprensorio di bonifica montanacon la legge 16 maggio 1956 n. 501 e con la legge 24 luglio 1959 n. 622. Tali leggi prevedonoconsiderevoli somme per il finanziamento delle opere di bonifica, con particolare riguardo allautilizzazione, a fini irrigui, delle acque del fiume Liscia.

L’opera di bonifica è stata ulteriormente rivitalizzata dai cosiddetti Piani Verdi, adottati conla legge 2 giugno 1961 n. 454 e la legge 27 ottobre 1966 n. 910, i quali prevedevano per i quin-quenni 1961-65 e 1966-70, finanziamenti per contributi ad opere pubbliche o private di bonificaed irrigazione, nonché ad opere pubbliche di bonifica montana e a miglioramenti fondiari.

Negli anni 70-80 l’Ente Flumendosa ed i Consorzi Riuniti di Bonifica hanno sviluppato unprogramma congiunto, il quale pone come obiettivo la dotazione infrastrutturale della Regione,dove dovrà essere utilizzata in rilevanti proporzioni, l’acqua accumulata e da accumulare.

Intervento di carattere finanziario, rilevante per la gestione irrigua, è realizzato con la L. R.26 gennaio 1984 n. 7 – Gestione irrigua nei Comprensori di bonifica, a favore del Consorzio dibonifica della Sardegna meridionale, al fine di fronteggiare le passività onde evitare di gravare icanoni delle utenze irrigue dei costi aggiuntivi derivanti dalle utilizzazioni delle acque del bacinodel medio Flumendosa, anche per la produzione di energia elettrica.

Nel quadro della programmazione economica nazionale e regionale con la L. R. 14 maggio1984 n. 21 – Riordinamento dei Consorzi di bonifica (modificato dalla L. R. 15 luglio 1988, n.27, dalla L. R. 29 aprile 1994, n. 18, dalla L. R. 5 dicembre 1995, n. 33, dalle LL. RR. 15 febbra-io 1996, nn. 9 e 11 e dalla L. R. 24 aprile 2001, n. 6), sono state riordinate le competenze deiConsorzi di bonifica. Sono state attribuite ai Consorzi di bonifica la proposizione, la esecuzione ela gestione delle opere di competenza pubblica e privata attinenti la bonifica, lo sviluppo delleproduzioni agricole, la difesa del suolo e dell’ambiente. In particolare, la competenza dei Consor-zi di bonifica è limitata a quelle opere, o parti di esse che abbiano prevalente funzione agricola(art. 4). I conduttori di imprese agricole, o i proprietari di fondi ricadenti nei comprensori di boni-fica che risultano serviti da impianti di distribuzione dell’acqua effettivamente funzionanti a livel-lo aziendale, ma non utilizzati a scopo irriguo, o comunque, solo parzialmente utilizzati o inmisura del tutto insufficiente in rapporto alle possibilità reali di sviluppo agricolo della zona, sonoobbligati a presentare piani aziendali di sviluppo agricolo finalizzati alla utilizzazione razionaledelle risorse idriche e dei vari fattori produttivi, in conformità ai piani ed ai programmi stabilitidalla Regione, dagli organismi Comprensoriali e dalle Comunità montane (art. 6).

La normativa sul controllo degli atti degli enti locali risale alla L. R. 23 ottobre 1978, n. 62,è stata modificata ed integrata dalla L. R. 23 agosto 1985, n. 20 dalla L. R. 13 novembre 1985, n.27, dalla L. R. 10 luglio 1986, n. 46 e dalla L. R. 22 aprile 2002, n. 7.

Altri interventi riguardano interventi straordinari di finanziamento dei consorzi in rispostaad eventi calamitosi (L. R. 20 marzo 1989, n. 11, L. R. 15 gennaio 1991, n. 4, L. R. 23 agosto

44

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 44

1995, n. 20, L. R. 5 settembre 2000, n. 18, L. R. 9 agosto 2002, n. 13) e non (L. R. 6 novembre1992, n. 20, L. R. 11 marzo 1998, n. 8 e L. R. 24 dicembre 1998, n. 37.

Attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36

Come è noto, la legge 5 gennaio 1994, n. 36 – Disposizioni in materia di risorse idriche –riorganizza il sistema dei servizi idrici in Italia, al fine di razionalizzare l’utilizzo delle risorseidriche riducendo il numero degli operatori e delineando un perimetro territoriale efficiente allaloro attività; inoltre, stabilisce una netta separazione dei ruoli di indirizzo e di controllo dall’atti-vità operativa.

Prima della riforma, infatti, il sistema della distribuzione dell’acqua, della raccolta delleacque reflue e della depurazione era caratterizzato da un’estrema frammentazione fra circa 15.500operatori distinti, che agivano su singole fasi funzionali e su ambiti territoriali estremamente limi-tati; per effetto della riforma, questi dovrebbero diventare un centinaio di soggetti, operativi inaree più ampie e, soprattutto, in grado di realizzare lo sviluppo di una vera industria dei serviziidrici, con una gestione imprenditoriale al posto di modelli gestionali obsoleti e con la capacità disostenere i cospicui investimenti di cui necessita il settore.

Tutte le Regioni hanno emanato le relative leggi di attuazione (il Friuli Venezia Giulia solorecentemente con la L. R. 23 giugno 2005, n. 13) con eccezione del Trentino Alto Adige, per ilquali sono stati ravvisati motivi di incostituzionalità nella legge n. 36 del 1994. La Corte Costitu-zionale, infatti, con sentenza n. 412 del 7 dicembre 1994, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 8 inquanto lesivo della sfera di autonomia delle Province autonome di Trento e di Bolzano, che ver-rebbero a sottostare alle determinazioni dell’Autorità di bacino che assumerebbe impropriamentepreminenza sulle attribuzioni provinciali, in violazione dell’art. 14 dello Statuto e degli artt. 5 e 8del D.P.R. n. 381 del 1974 (art. 8 commi 1, 2, 3, 4 della l. 1994, n. 36), attribuendo alle stesse Pro-vince solo competenze normative integrative (art. 8 comma 5 della l. 1994, n. 36) anziché concor-rente (art. 9, n. 9, Statuto). Pertanto, la Regione Trentino-Alto Adige non ha recepito le disposi-zioni della legge 1994, n. 36. I provvedimenti adottati dalle Regioni per recepire le disposizionidella legge 1994, n. 36 sono raccolti di seguito nella tabella 1.2.

Nella realizzazione della riforma, alle Regioni sono spettate le funzioni i compiti più delicati:

– determinare gli Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) sulla base dei quali verrà organizza-to il servizio;

– indicare le modalità istitutive delle Autorità di Ambito e le condizioni per renderle pie-namente operative;

– definire le convenzioni tipo che dovranno disciplinare i rapporti tra le Autorità d’Ambi-to e i gestori.

L’attuazione della legge 1994, n. 36 procede, generalmente, attraverso le fasi proceduralidella determinazione degli Ambiti territoriali Ottimali, della ricognizione sugli stessi, della reda-zione del Piano di Ambito e nell’affidamento del servizio.

Le Regioni hanno individuato 91 Ambiti Territoriali; la relativa delimitazione è solo par-zialmente riconducibile al criterio del rispetto dell’unità del bacino idrografico o del sub-bacino(art. 8 legge 36/94): infatti, il riferimento territoriale ed amministrativo adottato più frequente-mente è quello delle Province, scelto da sei regioni (Liguria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia,Emilia Romagna, Calabria e Sicilia), mentre altre sei hanno delineato confini molto simili a quel-li delle stesse (Piemonte, Veneto, Umbria, Marche, Lazio ed Abruzzo); cinque regioni hanno indi-

45

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 45

viduato un unico ATO regionale (Valle d’Aosta, Puglia, Basilicata, Molise, Sardegna). Quindi,solo Toscana e Campania hanno delimitato gli ATO sulla base di criteri di aggregazione deicomuni diversi da quelli amministrativi.

Le forme di cooperazione fra Comuni compresi negli ambiti territoriali variano, nellediverse regioni, dall’organizzazione consortile (art. 31 D. Lgs. 267/00), dotata di una vera e pro-pria struttura tecnica e amministrativa (Consiglio di Amministrazione, Assemblea dei Sindaci),alla convenzione fra enti (art. 30 D. Lgs. 267/00), affidando di solito alla Provincia il ruolo dicoordinamento; in alcuni casi si è lasciata libera scelta fra le due forme (Veneto, Liguria, EmiliaRomagna, Lazio, Molise, Calabria, Sicilia).

Quanto alla regolamentazione dell’attività operativa, è da rilevare che non sempre leRegioni imposto l’unicità di gestione dei servizi all’interno di ogni ambito; in alcuni casi si preve-dono più gestori, in altri si prevede una fase transitoria durante la quale coesistono più gestori.

Sui 91 ATO previsti dalle leggi regionali, ne risultano costituiti 88, mancando tre dei quat-tro ambiti della Regione Friuli Venezia Giulia. La popolazione residente negli ATO insediati cor-risponde a circa il 98% della popolazione complessiva, mentre i Comuni associati in ATO inse-diati sono 7.365, pari al 96% dei 7.695 Comuni delle diciannove regioni interessate all’attuazionedella legge 1994, n. 36 – con esclusione, quindi, del Trentino-Alto Adige.

Fra gli ATO insediati nel Centro Italia, ad eccezione di quelli della Regione Lazio, la formaassociativa prevalente è quella del consorzio (art. 31 D. Lgs. 267/00). Al Nord invece prevale laconvenzione (art. 30 D. Lgs. 267/00). Laddove la legge regionale lasciava libera scelta, gli ATOhanno optato per la forma organizzativa della convenzione, ad eccezione del Veneto, dell’Emilia-Romagna e della Sicilia, in cui entrambe le forme sono state utilizzate. Complessivamente 41ATO hanno scelto la forma del consorzio e 46 hanno scelto quella della convenzione.

La costituzione degli ambiti ha dato luogo, in alcuni casi, a procedure anomale. In Valled’Aosta la legge regionale ha creato un unico ATO e ha attribuito le funzioni dell’Autorità diAmbito al “B.I.M. Dora Baltea” – Consorzio dei 74 Comuni del Bacino Imbrifero Montano,costituito già nel 1955, che ha il compito di valutare le attività di ricognizione e di redigere il Pia-no d’Ambito, secondo direttive prestabilite dalla Giunta regionale. Il B.I.M. coordina e indirizzal’attività dei Comuni, che a loro volta organizzano l’erogazione del servizio singolarmente o informa associata con altri Comuni, creando “sotto ambiti” omogenei dal punto di vista territorialeo per settore specialistico.

Infine, vale segnalare il tentativo di creare il primo ambito interregionale ad opera delleRegioni Veneto e Friuli Venezia Giulia. Il territorio coincide all’incirca con il bacino del Lemene,in cui operano due consorzi interregionali che captano l’acqua nel territorio friulano e la distribui-scono, successivamente, parte nel territorio della Regione Friuli Venezia Giulia e parte nel territo-rio della Regione Veneto. Pertanto, con deliberazione della Giunta Regionale del Veneto del 2000“per la definizione dell’ATO Interregionale Livenza-Tagliamento” sono stati, quindi, esclusi dal-l’ATO Veneto Orientale undici comuni (Meduna di Livenza, Annone Veneto, Cinto Caomaggiore,Concordia Sagittaria, Fossalta di Portogruaro, Gruaro, Portogruaro, Pramaggiore, San Michele alTagliamento, San Stino di Livenza e Teglio Veneto); successivamente, la Giunta Regionale delFriuli Venezia Giulia ha adottato le “Linee guida per la gestione delle risorse idriche” di recepi-mento della legge 1994, n. 36, che prevedono, tra l’altro, la costituzione del citato ATO Interre-gionale Livenza-Tagliamento.

La fase logicamente successiva, quella della ricognizione, porta alla raccolta dei dati cherappresentano la situazione demografica del territorio, la dotazione di infrastrutture ed il lorolivello di funzionalità, e costituisce il fondamento per la stesura del Piano di Ambito, con la rela-

46

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 46

tiva definizione dei livelli di servizio che costituiscono l’obiettivo del programma degli interven-ti nell’arco di un periodo medio ventennale.

Nella maggior parte dei casi, quindi, questa fase si è avviata quando gli Ambiti costituitihanno esperito le pratiche preliminari, consistenti nell’approvazione dei bilanci preventivi, dellastruttura organizzativa, nella predisposizione del programma di lavoro, ecc.; in alcuni casi, tutta-via, si è assistito ad iter differenti, con le ricognizioni avviate direttamente dagli organi regionali,indipendentemente dal fatto che i rispettivi ATO fossero insediati o meno: è questo il caso delleRegioni Piemonte e Marche, probabilmente al fine di accelerare il processo di attuazione, nellemore degli accordi tra gli enti locali raggruppati in ATO. In altri casi, nelle Regioni del Mezzo-giorno, la ricognizione è stata operata dalla Sogesid S.p.A., società integralmente controllata dalMinistero del Tesoro, costituita ai sensi del D. Lgs. 96/93 in sede di liquidazione della Cassa peril Mezzogiorno ed affidataria, in regime di concessione, della gestione degli impianti idrici giàdetenuti dalla stessa Cassa, a fronte di intese tra il Ministero dei lavori pubblici (successivamenteil Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell’ambiente e della tutela del terri-torio), le Regioni e gli enti locali. Anche in questi casi, alcune ricognizioni sono terminate primadell’insediamento dei rispettivi ATO (è il caso, ad es., della Regione Puglia ove, però, la ricogni-zione è stata riavviata dopo la costituzione dell’ATO).

In generale, la ricognizione è stata completata in ottantaquattro ATO, è mancante in sei edè di nuovo in corso nella Regione Puglia.

L’accertamento sullo stato delle opere e degli impianti idrici è funzionale alla definizionedel Piano d’Ambito. La conoscenza della capacità produttiva delle strutture esistenti consente difissare gli obiettivi sui livelli di servizio; molti di questi livelli di servizio sono dettati dalla nor-mativa esistente in materia di risorse idriche, altri invece sono determinati dall’ATO e modulatisulle esigenze dell’utenza locale. Sulla base del riscontro dello stato delle infrastrutture e degliobiettivi dei livelli di servizio, l’ATO può individuare gli elementi di criticità sui quali è necessa-rio intervenire con il piano degli investimenti e, in particolare, le aree critiche, caratterizzate inmodo omogeneo da un problema organizzativo o tecnico, in riferimento a uno o più livelli di ser-vizio, per il quale è necessario un progetto di intervento.

Quanto allo stato di avanzamento lavori nell’elaborazione dei Piani di Ambito, alla fine del2005 ne risultano approvati ottanta. Le Regioni in cui la procedura di approvazione dei piani non èstata completata, oltre al Friuli Venezia Giulia, sono il Piemonte, la Lombardia e la Valle d’Aosta.

Oltre all’attività di ricognizione e di predisposizione del piano, l’ATO ha l’importante com-pito istituzionale di affidare il Servizio Idrico Integrato. Al riguardo, circa la metà degli ambitiinsediati ha optato per l’affidamento diretto ad una Società per Azioni a prevalente capitale pub-blico locale.

Nei 38 Ambiti che hanno completato il processo, il Servizio Idrico Integrato è stato affida-to a società per azioni a prevalente capitale pubblico locale; spicca l’eccezione dell’ATO 5 LazioMeridionale-Frosinone, che ha effettuato la gara ex art. 20 della legge 1994, n. 36.

Le operazioni relative agli affidamenti sono partite con un ritmo piuttosto lento, con ilcompletamento nei soli ATO Valle del Chiampo, Toscana 4 Alto Valdarno, Lazio Centrale-Roma,Sarnese Vesuviano, Unico Puglia; per quest’ultimo, vale rilevare che il relativo affidamento è sta-to effettuato in modo particolare, e cioè tramite il D. Lgs n. 141/99, che ha trasformato l’EnteAutonomo Acquedotto Pugliese in società per azioni (A.Q.P. S.p.A.) affidando alla stessa, fino al31 dicembre 2018, la gestione del Servizio Idrico Integrato.

La legge finanziaria 2002 ha poi indotto una notevole accelerazione delle procedure giàdal momento dell’approvazione, così che al 31 dicembre 2001 erano già affidati anche i servizi

47

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 47

relativi agli ATO Toscana 2 Basso Valdarno, Toscana 3 Medio Valdarno, Toscana 5 Costa, Tosca-na 6 Ombrone, Umbria 2 e 3. Ciò, in quanto la stessa legge ha prodotto un’importante riforma delD. Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (Testo Unico sull’ordinamento delle autonomie locali), introdu-cendo l’obbligo di individuare i gestori del servizio mediante una procedura di gara (art. 35). Pri-ma dell’entrata in vigore della legge in questione, le forme di affidamento previste, per il servizioidrico integrato, erano quelle indicate dall’art. 113 del sopra citato D. Lgs. n. 267/00, e cioè laconcessione a terzi e l’affidamento diretto (a S.p.A. o S.r.l. mista a maggioranza pubblica oppuread un’Azienda Speciale).

Affidamenti diretti sono avvenuti anche in vigenza della legge 2001 n. 448; per questi, tut-tavia, è divenuta obbligatoria una procedura di gara per la scelta di un socio privato, nel terminedi due anni dall’affidamento, pena la revoca dello stesso.

Successivamente, il ritmo al quale si sono succeduti gli affidamenti è rimasto elevato; fra lemotivazioni vi è sicuramente anche l’accesso ai finanziamenti dell’Unione Europea, in particola-re quelli previsti dai Quadri Comunitari di Sostegno (QCS). Questi ultimi, infatti, prevedevanocome una delle condizioni per l’erogazione dei finanziamenti, che si procedesse all’attuazionedella legge 1994, n. 36 con l’insediamento dell’ATO, la successiva approvazione del Piano e l’af-fidamento del servizio.

Un quadro sintetico dello stato di attuazione della legge 1994, n. 36, a dodici anni dallasua emanazione, è costituito dai dati raccolti nella seguente tabella 1.3. Tuttavia, bisogna tenerconto di alcuni rilievi di irregolarità nelle procedure di affidamento; in particolare, il Co.Vi.Ri. haavanzato ricorso amministrativo avverso ai provvedimenti di affidamento degli ambiti di Berga-mo, di Brescia, Polesine, di Genova, Medio Valdarno (Firenze), Marche ATO 4; la CommissioneEuropea ha aperto un procedimento di messa in mora del Governo italiano riguardo agli affida-menti degli ATO Polesine, di Rimini, Basso Valdarno (Pisa) e Medio Valdarno (Firenze), UmbriaAmbito 3, Marche Centro-Ancona.

48

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 48

49

Tabella 1.2 - Quadro dei provvedimenti di attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36

Regione Provvedimenti

Piemonte L. R. 29/01/1997 n. 13; D.G.R. 21/04/1997 n. 36-18438; D.G.R. 24/11/1997 n. 31-23227;D.G.R. 07/06/1999 n. 47-27538

Valle d’Aosta L. R. 08/09/1999 n. 29Lombardia L. R. 20/10/1998 n. 21; L. R. 12/12/2003 n. 26Veneto L. R. 27/03/1998 n. 5; D.G.R. 12/02/1999 n. 388; D.G.R. 21/03/2000 n. 1067Friuli V.Giulia D.G.R. 09/04/98 n. 1045; D.G.R. 16/01/2004 n. 74; L. R. 23/06/2005, n. 13Liguria L. R. 16/08/1995 n. 43; D.C.R. 43/1997; L. R. 15/05/1998 n. 17; D.G.R. 1736/98Emilia Romagna L. R. 13/08/1999 n. 25; L. R. 28/01/03 n.1Toscana L. R. 21/07/95 n. 81; L. R. 04/04/97 n. 26; D.C.R. 08/02/2000 n. 53; L. R. 08/03/2000 n. 21Umbria L. R. 05/12/1997 n. 43; D.G.R. 05/08/1998 n. 4724Marche L. R. 22/06/1998 n. 18Lazio L. R. 22/01/1996 n. 6; D.G.R. 02/08/1996 n. 6729; D.G.R. 04/11/1997 n. 6924; L. R. 09/07/98

n. 26; L. R. 04/11/1999 n. 31Abruzzo L. R. 13/01/1997 n. 2; L. R. 26/07/97 n. 70Molise L. R. 03/02/1999 n. 5; D.G.R. 13/03/2000 n. 382Campania L. R. 21/05/1997 n. 14Puglia L. R. 06/09/1999 n. 28; L. R. 21/05/2002 n. 7Basilicata L. R. 23/12/1996 n. 63Calabria L. R. 03/10/1997 n. 10; D.G.R. 07/09/1998 n. 4388Sicilia L. R. 27/04/1999 n. 10; D.P.G.R. 16/05/00 n. 114; D. Pres. 07/08/2001; D.P.G.R. 29/01/02 n. 16Sardegna L. R. 17/10/1997 n. 29; L. R. 07/05/99 n .15; D.G.R. 13/09/2000 n. 37/14

Dati al 31.12.2005

Fonte: ns. elaborazione su dati CO.VI.R.I. e Bollettini Ufficiali Regionali

nota: L. R. = legge regionale; D.G.R = Deliberazione di Giunta Regionale; D.C.R. = Deliberazione del Consiglio regionale;D.P.G.R. = Decreto del Presidente di Giunta Regionale.

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 49

50

Tabe

lla 1

.3 -

Sta

to d

i ava

nzam

ento

del

l’at

tuaz

ione

del

la l.

5 g

enna

io 1

994,

n. 3

6

Reg

ione

N.

Den

omin

azio

neC

omun

i P

opol

azio

neC

osti

tuit

oF

orm

a R

icog

nizi

one

Pia

no

Aff

idam

ento

coop

eraz

ione

d’A

mbi

to

Piem

onte

1V

erba

no, C

usio

, Oss

ola,

16

550

2.60

9SI

Con

venz

ione

Term

inat

aN

ON

OPi

anur

a N

ovar

ese

2B

ielle

se, V

erce

llese

, Cas

ales

e18

544

6.47

7SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

3To

rine

se30

622

.08.

729

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SID

iret

to4

Cun

eese

250

554.

348

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

NO

NO

5A

stig

iano

, Mon

ferr

ato

147

254.

818

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

6A

less

andr

ino

147

323.

280

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

Val

le d

’Aos

ta1

Uni

co74

119.

610

SIC

onso

rzio

Non

avv

iata

NO

NO

Lom

bard

iaB

GB

erga

mo

244

949.

862

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

BS

Bre

scia

206

1.08

0.21

2SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

SIC

dMC

ittà

di M

ilano

11.

032.

808

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SID

iret

toC

OC

omo

163

535.

471

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

NO

NO

CR

Cre

mon

a11

533

2.04

0SI

Con

venz

ione

Term

inat

aN

ON

OL

CL

ecco

9030

5.96

4SI

Con

venz

ione

Term

inat

aN

ON

OL

OL

odi

6119

3.03

6SI

Con

venz

ione

Term

inat

aN

ON

OM

IPr

ovin

cia

Mila

no18

72.

434.

438

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

MN

Man

tova

7037

0.63

8SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

PVPa

via

190

495.

406

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

OSO

Sond

rio

7817

7.29

8SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

VA

Var

ese

141

811.

778

SIC

onve

nzio

neN

on a

vvia

taN

ON

OV

enet

oA

VA

lto V

enet

o66

205.

839

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

BB

acch

iglio

ne14

41.

071.

441

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

SIB

RB

rent

a72

496.

647

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

NO

LVL

agun

a di

Ven

ezia

2464

3.51

7SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

PPo

lesi

ne52

264.

895

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

VV

eron

ese

9780

6.44

2SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

VC

Val

le d

el C

hiam

po10

52.8

39SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

Dir

etto

VO

Ven

eto

Ori

enta

le11

592

7.53

6SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SIN

OFr

iuli

Ven

ezia

Giu

liaC

EN

Cen

tral

e (p

rov.

Udi

ne)

138

520.

000

NO

Non

avv

iata

NO

NO

OC

CO

ccid

enta

le (

prov

. PN

)50

275.

000

NO

Non

avv

iata

NO

NO

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 50

51

Segu

eTa

bella

1.3

- S

tato

di a

vanz

amen

to d

ell’

attu

azio

ne d

ella

l. 5

gen

naio

199

4, n

. 36

Reg

ione

N.

Den

omin

azio

neC

omun

i P

opol

azio

neC

osti

tuit

oF

orm

a R

icog

nizi

one

Pia

no

Aff

idam

ento

coop

eraz

ione

d’A

mbi

to

OR

GO

rien

tale

-Gor

izia

no25

138.

000

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

OO

RT

Ori

enta

le-T

ries

tino

625

0.00

0N

ON

on a

vvia

taN

ON

OL

igur

iaG

EG

enov

a67

751.

918

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SID

iret

toIM

Impe

ria

6738

4.48

3SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

SPL

a Sp

ezia

3217

7.54

7SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

SVSa

vona

6917

8.81

3SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

Em

ilia

Rom

agna

1Pi

acen

za48

265.

899

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

SI2

Parm

a47

393.

971

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

NO

3R

eggi

o E

mili

a45

438.

613

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

O4

Mod

ena

4761

6.66

8SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SISI

5B

olog

na60

910.

593

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

6Fe

rrar

a26

351.

856

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

7R

aven

na18

350.

019

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SISI

8Fo

rlì-

Ces

ena

3035

1.60

4SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

SI9

Rim

ini

2026

7.87

9SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

toTo

scan

a1

Tosc

ana

Nor

d52

531.

487

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

SI2

Bas

so V

alda

rno

(PI)

6276

6.17

9SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

to3

Med

io V

alda

rno

(FI)

501.

207.

359

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

4A

lto V

alda

rno

(AR

)37

297.

497

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Con

gar

a pe

r so

ciet

à m

ista

5To

scan

a C

osta

3437

0.51

2SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

to6

Om

bron

e (G

ross

eto)

5235

4.26

9SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

toU

mbr

ia1

Am

bito

138

458.

811

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

2A

mbi

to 2

3222

1.04

3SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SIC

on g

ara

per

soci

età

mis

ta3

Am

bito

322

151.

860

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

Mar

che

1M

arch

e N

ord

Pesa

ro, U

rbin

o67

340.

830

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

NO

2M

arch

e C

entr

o A

ncon

a45

381.

982

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

3M

arch

e C

entr

o M

acer

ata

4832

6.99

1SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

to4

Mar

che

Sud

Alto

Pic

eno

Mac

erat

ese

2711

3.25

2SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SISI

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 51

52

Segu

eTa

bella

1.3

- S

tato

di a

vanz

amen

to d

ell’

attu

azio

ne d

ella

l. 5

gen

naio

199

4, n

. 36

Reg

ione

N.

Den

omin

azio

neC

omun

i P

opol

azio

neC

osti

tuit

oF

orm

a R

icog

nizi

one

Pia

no

Aff

idam

ento

coop

eraz

ione

d’A

mbi

to

5M

arch

e Su

d A

scol

i Pic

eno

5928

7.82

4SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SISI

Laz

io1

Laz

io N

ord

Vite

rbo

6129

8.43

1SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

Dir

etto

2L

azio

Cen

tral

e R

oma

112

3.69

6.09

7SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

Dir

etto

3L

azio

Cen

tral

e R

ieti

8117

3.08

6SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

4L

azio

Mer

idio

nale

Lat

ina

3859

6.29

2SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

Con

gar

a pe

r so

ciet

à m

ista

5L

azio

Mer

idio

nale

Fro

sino

ne86

578.

231

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIC

on g

ara

per

soci

età

mis

taA

bruz

zo1

Aqu

ilano

3610

1.94

2SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

to2

Mar

sica

no35

131.

896

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

3Pe

ligno

Alto

San

gro

3775

.167

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

4Pe

scar

ese

6443

9.00

9SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

to5

Tera

man

o41

255.

190

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

6C

hiet

ino

9227

2.83

6SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

toM

olis

e1

Uni

co13

632

9.89

4N

OTe

rmin

ata

SIN

OC

ampa

nia

CI

Cal

ore

Irpi

no19

573

2.31

3SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SIN

ON

VN

apol

i-V

oltu

rno

136

2.82

1.64

0SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SIA

vvia

to a

ff.

Soci

età

mis

taS

Sele

144

788.

021

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

SVSa

rnes

e-V

esuv

iano

161.

454.

925

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Dir

etto

Pugl

ia1

AT

O P

uglia

258

4.09

0.06

8SI

Con

venz

ione

In c

orso

SID

iret

toB

asili

cata

11

131

610.

330

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SID

iret

toC

alab

ria

1C

osen

za15

575

1.91

8SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

Dir

etto

2C

atan

zaro

8038

4.48

3SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

3C

roto

ne27

177.

547

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

O4

Vib

o V

alen

tia50

178.

813

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

O5

Reg

gio

Cal

abri

a97

578.

231

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

OSi

cilia

1Pa

lerm

o82

1.24

4.64

2SI

Con

venz

ione

Term

inat

aSI

NO

2C

atan

ia58

1.09

7.85

9SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SIN

O3

Mes

sina

108

681.

843

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

O

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 52

53

Segu

eTa

bella

1.3

- S

tato

di a

vanz

amen

to d

ell’

attu

azio

ne d

ella

l. 5

gen

naio

199

4, n

. 36

Reg

ione

N.

Den

omin

azio

neC

omun

i P

opol

azio

neC

osti

tuit

oF

orm

a R

icog

nizi

one

Pia

no

Aff

idam

ento

coop

eraz

ione

d’A

mbi

to

4Si

racu

sa12

403.

478

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

NO

5R

agus

a21

301.

854

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

O6

Enn

a20

403.

478

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

Con

gar

a pe

r so

ciet

à m

ista

7A

grig

ento

4346

9.28

8SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SIN

O8

Cal

tani

sset

ta22

282.

256

SIC

onso

rzio

Term

inat

aSI

NO

9T

rapa

ni24

434.

005

SIC

onve

nzio

neTe

rmin

ata

SIN

OSa

rdeg

na1

AT

O S

arde

gna

377

1.66

1.42

9SI

Con

sorz

ioTe

rmin

ata

SID

iret

to

Dat

i al

31.

12.2

005

Fon

te:

elab

oraz

ione

su

dati

CO

.VI.

R.I

. e A

utor

ità

di A

mbi

to

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 53

•Capitolo01 13-06-2007 10:06 Pagina 54

CAPITOLO 2

RAPPORTO METEO-CLIMATICO PER L’ANNO 2004*

Abstract

Il rapporto nasce dall’esigenza di confrontare e valutare, a livello nazionale, le caratteri-stiche meteorologiche dell’anno 2004 rispetto all’andamento climatico calcolato, secondo pras-si convenzionale, sul periodo 1961-1990. Le grandezze meteo-climatiche prese in considera-zione sono la temperatura, le precipitazioni piovose, le sommatorie termiche, le gelate e l’eva-potraspirazione. È stato inoltre implementato uno schema di bilancio idrico dei suoli al fine diincludere nel rapporto anche alcuni importanti parametri di valutazione concernenti lo stressidrico delle colture. La scala temporale prescelta è quella mensile mentre, a livello spaziale, leanalisi sono riferite ad aree del territorio italiano ritenute climaticamente omogenee. Per ognu-na delle 18 aree climatiche la descrizione dell’andamento meteorologico del 2004 è riportata informa di commento, grafici e tabelle oltre ad una serie di mappe tematiche realizzate inambiente GIS.

This report concerns a national level comparison between meteorological trends of 2004and climatic characteristics in the referring period 1961-1990. The weather-climatic variablesare temperature, rainfall, growing degree days, frost occurrences and evapotranspiration. Inorder to include also some important parameters of crop water deficit, we have implemented awater soil balance. The rendering time resolution is the monthly period and spatial resolution isgiven by homogeneous climatic areas of Italy. For each climatic area the report provides adescription of the 2004 meteorological trend through texts, diagrams and tables beyond to a sev-eral thematic maps realized with GIS methods.

Premessa

Il presente rapporto nasce nell’intento di descrivere l’andamento meteorologico registratoin Italia nell’anno 2004 e consentire un valido confronto con i riferimenti climatici.

L’impostazione impartita al lavoro risente della necessità di conciliare due aspetti di solitoin antitesi tra loro: l’analisi e la sintesi. Una descrizione meteo-climatica, infatti, quando non èlimitata ad un singolo punto del territorio (stazione meteorologica), ma è tenuta a considerareun’area territoriale più o meno estesa che comprenda più punti di misurazione, deve fornire prefe-ribilmente un quadro d’insieme di chiara interpretazione e, allo stesso tempo, per quanto possibi-le, una certa attenzione al particolare. In termini generali, le problematiche risultano in buona par-te connesse alla individuazione degli indici di sintesi e di variabilità che meglio possano rappre-sentare l’insieme delle diverse informazioni puntuali nella dimensione spaziale ed in quella tem-porale. Ulteriori aspetti critici riguardano la scelta dell’intervallo temporale su cui strutturare leaggregazioni dei dati e l’estensione territoriale cui riferire l’analisi.

Considerando le finalità del lavoro e seguendo procedure ampiamente confortate dalla pras-si climatologica, i dati puntuali relativi a ciascuna grandezza meteorologica presa in esame sono

55

* Luigi Perini, agrometeorologo CRA-UCEA.

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 55

stati convenientemente rapportati a livello di area climatica (porzione di territorio contraddistintada una sufficiente omogeneità climatica) e, quindi, opportunamente analizzati su base mensile.

Il presente lavoro è costituito da una parte generale – con la descrizione dei dati e dellemetodologie utilizzate – e da una parte specifica dove sono riportati i risultati delle elaborazionisottoforma di brevi commenti, tabelle, grafici e mappe (in appendice).

La lettura propedeutica della parte generale può risultare utile per l’acquisizione correttadell’informazione relativa a ciascun profilo meteo-climatico e, quindi, per cogliere l’appropriatosignificato attribuito ad ogni singolo elaborato.

1. Note metodologiche

1.1 Dati di base

Per realizzare un’analisi meteo-climatica affidabile e significativa, soprattutto se estesa ascala territoriale, è richiesta necessariamente la disponibilità di dati meteorologici attendibili, ade-guatamente distribuiti sul territorio, appartenenti a serie storiche sufficientemente lunghe, omoge-nee e complete. La meteorologia italiana, diversamente dalla maggior parte degli altri Paesi a Svi-luppo Avanzato, ha visto proliferare nel corso della sua lunga storia un numero considerevole diServizi nazionali e locali che hanno paradossalmente reso più difficoltoso l’accesso all’informa-zione meteo-climatologica. Oltre alla dispersione delle fonti informative, già di per sé un ostaco-lo alla fruizione di dati relativi a più zone del territorio nazionale, l’impianto e la gestione dellestazioni meteorologiche è stata dettata da finalità istituzionali diverse (navigazione aerea, esigen-ze militari, monitoraggio idrologico, agricoltura, produzione di energia, ecc.) e ha prodotto datinon sempre confrontabili fra loro a causa delle differenti modalità e dei diversi orari di osserva-zione adottati, del funzionamento molte volte aleatorio delle stazioni, dei diversi formati di rac-colta ed archiviazione, ecc.

A motivo di tali ragioni e considerando gli ambiti e le finalità del presente studio – in spe-cial modo la necessità di comparare i dati di un particolare anno (2004) con un valido riferimen-to climatologico – è stato scelto di utilizzare un database di valori giornalieri di grandezze (tem-peratura dell’aria minima e massima, precipitazione piovosa, eliofania, umidità relativa e veloci-tà del vento a 10 m) stimate con procedimenti di Analisi Oggettiva (A.O.)1 ai nodi di una griglia aschema regolare estesa su tutto il territorio italiano. Ogni nodo della suddetta griglia rappresenta,pertanto, il centroide di una cella meteo di circa 30 Km di lato, mentre ciascun dato è il risultatodi una interpolazione opportunamente pesata delle osservazioni meteorologiche originarie deriva-te, prevalentemente, da stazioni UCEA2, SMAM3, RAN4 presenti nella Banca Dati Agrometeoro-logica Nazionale (BDAN)5.

Il dataset utilizzato nel presente studio si riferisce ad un numero complessivo di 306 punti(fig. 1, in appendice) distribuiti regolarmente sul territorio nazionale e risponde ottimalmente ai

56

1 Le elaborazioni di Analisi Oggettiva sono state effettuate dalla Finsiel nell’ambito del Sistema Informativo Agricolo Nazionale(SIAN) del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

2 Ufficio Centrale di Ecologia Agraria (UCEA) del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura (CRA).3 Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare (SMAM). Attualmente, molte stazioni meteorologiche in origine appartenenti al

SMAM, sono in carico dell’Ente Nazionale di Assistenza al Volo (ENAV).4 Rete Agrometeorologica Nazionale del Sistema informativo Agricolo Nazionale (SIAN).5 La Banca Dati Agrometeorologica Nazionale (BDAN) è stata realizzata in ambito SIAN. In essa sono archiviati i dati meteorologi-

ci delle reti di rilevamento UCEA e di altri Servizi Meteorologici italiani.

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 56

requisiti di confrontabilità, omogeneità, completezza e qualità cui si è già accennato in preceden-za. Il Kriging, infatti, cioè la metodologia alla base della A.O., è per definizione uno stimatorecorretto: l’errore medio di stima è nullo mentre lo scarto tra la media dei dati stimati e la mediadei dati reali tende a zero quanto più ampia è l’estensione del dominio di analisi. In altre parole,alla scala nazionale cui è riferito il presente studio, le proprietà statistiche degli eventi meteorolo-gici stimati con l’A.O. sono egregiamente riprodotte dal modello numerico, anche se, a scalalocale, un certo effetto smoothing può comportare la parziale perdita di quel dettaglio consentitoinvece dal dato realmente misurato. Il periodo preso in considerazione per stimare la climatologiaè il 1961-1990 che corrisponde al trentennio più recente indicato dall’Organizzazione Meteorolo-gica Mondiale (OMM/WMO) quale riferimento convenzionale per le analisi ed i confronti clima-tologici.

Inoltre, per alcune particolari elaborazioni (bilancio idrico) sono state utilizzate le infor-mazioni pedologiche riguardanti il contenuto medio di acqua utilizzabile dei suoli (AWC) ricava-te dall’Atlante Agroclimatico del territorio italiano (Perini, 2004).

1.2 Grandezze ed indici meteo-climatici

Il territorio italiano è stato analizzato prendendo in considerazione alcune grandezze edalcuni indici che potessero ben descriverne le caratteristiche agrometeo-climatiche ed il loroandamento nel corso dell’anno solare, da Gennaio a Dicembre:

– Temperatura minima

– Temperatura massima

– Temperatura media

– Precipitazione piovosa

– Sommatorie termiche

– Gelate

– Evapotraspirazione

– Bilancio idrico

Per ogni nodo di griglia e per ciascuna grandezza/indice è stata calcolata la relativa statisti-ca mensile (climatica e per il 2004) al fine di consentire le valutazioni di merito ed il confrontofra aggregazioni temporali adeguatamente commisurate alle specifiche finalità dello studio.

1.2.1 Temperatura

Sono stati presi in considerazione i valori giornalieri delle temperature massime (Tmax),delle temperature minime (Tmin) e delle temperature medie (Tmed) ottenute, quest’ultime, comesemisomma delle due precedenti. Sono state, quindi, calcolate le medie mensili delle suddettegrandezze:

57

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 57

dove:

TM : temperatura media mensile (minima, massima o media);

Tg : temperatura (minima, massima o media) dell’i-esimo giorno del mese;

n : numero di giorni del mese (= 28, 29, 30, o 31);

N : numero di anni del periodo (= 30 per la climatologia; = 1 per il solo anno 2004).

1.2.2 Precipitazione piovosa

Partendo dai dati giornalieri di precipitazione piovosa sono stati calcolati i singoli totalimensili di precipitazione relativi a ciascun anno del trentennio analizzato. La climatologia mensi-le dei totali di precipitazione è stata calcolata come 50° percentile (mediana) dei 30 valori ottenu-ti per ognuno dei dodici mesi dell’anno.

1.2.3 Sommatorie termiche

Un metodo per misurarne l’effetto della temperatura sui processi di crescita e sviluppo del-le specie agrarie è quello di stimare la quantità di “calore utile” ricevuta complessivamente dallacoltura in un determinato arco di tempo. La quantità di calore utile giornaliera, solitamente indi-cata in Gradi Giorno o Growing Degree Days (GDD) utilizzando la formulazione più semplice egenerica, è stata calcola nel seguente modo:

dove:

Tmax : temperatura massima giornaliera;

Tmin : temperatura minima giornaliera;

Tbase : valore di temperatura al di sotto del quale i processi di crescita e sviluppo risultanosignificativamente inibiti.

Nel presente studio il calcolo dei GDD è stato realizzato per due diverse Tbase (10°C e15°C) per tener conto di esigenze colturali più o meno accentuate.

A partire dai valori giornalieri di GDD ottenuti per ciascuna delle due soglie termiche pre-scelte, sono state calcolate le rispettive Sommatorie termiche (St) mensili:

dove:

n : numero di giorni del mese (= 28, 29, 30, o 31);

N : numero di anni del periodo (= 30 per la climatologia; = 1 per il solo anno 2004).

Il contributo di eventuali valori negativi di GDD, dovuti a temperature medie giornaliereinferiori alla soglia termica di base prescelta, è stato considerato nullo.

58

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 58

1.2.4 Gelate

Le gelate rappresentano un rischio per l’agricoltura in funzione della accidentalità che lecaratterizza. Sono, infatti, soprattutto le gelate primaverili tardive e quelle autunnali precoci aprovocare i danni più seri perché si manifestano imprevedibilmente durante le fasi vegetative o,peggio ancora, riproduttive del ciclo colturale. Nel presente studio è stato considerato come“evento gelata” l’occorrenza di temperature minime giornaliere inferiori a 0°C; la climatologiadelle gelate, di conseguenza, è stata determinata come frequenza media di tutte le occorrenze ditemperature minime giornaliere inferiori a 0°C.

1.2.5 Evapotraspirazione

L’evapotraspirazione riassume in sé due distinti processi: l’evaporazione diretta dal suolo ela traspirazione delle piante che, nell’insieme, portano alla dispersione nell’atmosfera, sotto for-ma di vapore, dell’acqua presente nel sistema suolo-coltura. Si definisce evapotraspirazione diriferimento (ET0) quella stimata sulla base dei soli dati meteorologici supponendo standard lealtre condizioni ambientali (ovvero un prato polifita di ampia estensione i cui processi di crescitae produzione non sono limitati dalla disponibilità idrica o da altri fattori di stress). Per definizio-ne, quindi, l’ET0 esprime un attributo ambientale confrontabile e caratterizzante. Fra i diversimetodi disponibili per stimare l’ET0, è stato utilizzato quello di Penman-Monteith che, nella for-mulazione proposta dalla FAO, si presenta come di seguito:

dove:

ET0 : flusso evapotraspirativo di riferimento [mm d-1]

Rn : radiazione netta alla superficie colturale [MJ m-2 d-1]

G : densità di flusso di calore nel suolo [MJ m-2 d-1]

T : temperatura media dell’aria [°C]

U2 : velocità del vento misurata a 2 m [m s-1]

es : tensione di vapore saturo alla temperatura media dell’aria [kPa]

ea : valore medio della tensione di vapore dell’aria [kPa]

(es-ea) : deficit di saturazione [kPa]

D : pendenza della curva della tensione di vapore saturo in funzione della temperatura[kPa °C-1]

g : costante psicrometrica [0.066 kPa °C-1]

A partire dai dati giornalieri di ET0 sono stati calcolati i valori cumulati mensili ottenendo,nel caso della climatologia, il valore medio mensile.

59

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 59

1.2.6 Bilancio idrico

In questo studio è stato adottato un semplice modello di bilancio idrico dei suoli secondoquanto proposto da Thornthwaite e Mather. Per le sue pecularietà esso è generalmente utilizzatonegli studi di climatologia ed è riconosciuto dalla Soil Taxonomy, del Dipartimento dell’Agricol-tura degli Stati Uniti d’America (U.S.D.A.) quale metodologia standard nel calcolo del regimeidrico dei suoli a livello tassonomico.

Allo schema originario, però, sono state apportate alcune varianti per migliorarne le perfor-mance. Ad esempio, è stata utilizzata la Et0 calcolata con la formula di Penman-Monteith al postodi quella dello stesso Thornthwaite.

Il bilancio idrico presenta le seguenti caratteristiche:

– opera su base mensile

– richiede come input i soli valori di precipitazione (P) ed evapotraspirazione (ET0)

– richiede come dato pedologico il solo valore della riserva idrica potenziale AWC (il“serbatoio”)

– parte (da Gennaio) con il terreno a “serbatoio” pieno. Una ulteriore miglioria (nel casodel calcolo del bilancio idrico climatico) ha riguardato il riaggiustamento della riservaidrica alla partenza qualora l’effettiva riserva idrica di Dicembre fosse risultata inferio-re alla AWC a causa di una insufficiente ricarica da parte delle precipitazioni piovose(P). Ciò ha comportato il calcolo reiterato dell’intero bilancio annuale fino al raggiungi-mento del suo equilibrio interno. Nel caso del bilancio idrico per il solo anno 2004, lariserva idrica di partenza è stata in un certo senso “convalidata” considerando i dati di Ped ET0 degli ultimi tre mesi del 2003.

Man mano che il bilancio procede si ha il calcolo dei seguenti termini (espressi in mm):

– P-ET0: quando è negativo evidenzia un deficit pluviometrico

– APWL: deficit pluviometrico cumulato (sommatoria dei termini P-ET0 negativi)

– SM: riserva idrica del suolo. Viene calcolata sulla base di APWL

– ETr: evapotraspirazione reale

– D: deficit idrico

– S: surplus idirico.

Come valore di AWC è stato adottato quello medio riferito all’area climatica di volta involta analizzata (vedere capitolo successivo).

1.3 Aree climatiche

La complessità del territorio italiano discende dall’ampia gamma di ambienti diversi cheesso presenta (pianure, colline, montagne, coste, isole, ecc.) che viene accentuata e ulterior-mente variegata dalla sua estensione in senso latitudinale (dai 36° ai 47°) nonché dall’essere inparte incastonato nell’Europa continentale e in parte proteso nel bacino mediterraneo verso ilContinente africano. Di conseguenza è quasi impossibile descrivere un unico clima italiano senon attraverso approssimazioni molto generiche e, di solito, poco utili da punti di vista piùoperativi. Nasce, quindi, l’esigenza – ormai consolidatasi anche come procedura corrente negli

60

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 60

studi di climatologia – di definire sottoaree del territorio climaticamente omogenee: le areeclimatiche.

Esistono diverse metodologie (vegetazionale, geografica, morfologica, empirica, ecc.) perindividuare tali aree, ognuna con una propria validità concettuale ma anche non prive di carenzenella capacità di distinguere appieno differenze ed affinità territoriali. Nel presente studio si èscelto di utilizzare una classificazione di tipo misto (geo-morfologico-dinamico), proposta daRosini (1988), che appare particolarmente adatta agli scopi del lavoro. Tenendo conto della piùampia e omogenea base informativa oggi disponibile, tale classificazione è stata appositamenterielaborata nel rispetto, comunque, dell’impostazione originaria. In particolare, è stato incremen-tato il numero di aree climatiche da 10 a 18 (tab. 1 e fig. 2) migliorando, in definitiva, il dettagliodell’analisi meteo-climatica. Le aree climatiche, inoltre, sono state opportunamente ridisegnatesulla base dell’orografia sottesa utilizzando strumenti GIS e un modello digitale del terreno(DEM) a 250 m.

Tabella 1 - Aree climatiche omogenee del territorio italiano e numero di nodi di grigliaricadenti in ciascuna di esse

Sigla Area climatica n° nodi di griglia

Aaw Arco alpino occidentale 26

Aae Arco alpino orientale 28

Ppa Pianura Padana 46

Pia Peninsulare interna alta 19

Pim Peninsulare interna media 27

Pib Peninsulare interna bassa 18

Vta Versante tirrenico alto 5

Vtm Versante tirrenico medio 15

Vtb Versante tirrenico basso 13

Vaa Versante adriatico alto 11

Vam Versante adriatico medio 10

Vab Versante adriatico basso 12

Sut Sud tirrenico 13

Sua Sud adriatico 10

Sic Sicilia costiera 19

Sii Sicilia interna 12

Sac Sardegna costiera 18

Sai Sardegna interna 4

Fonte: dati CRA-UCEA

61

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 61

Figura 2 - Aree climatiche italiane

Fonte: dati CRA-UCEA

1.4 Ambiente di lavoro

Analisi ed elaborazioni dei dati sono stati realizzati utilizzando diversi strumenti software:

– Visual Basic per il calcolo delle climatologie e delle statistiche mensili

– Microsoft Excel per la produzione di grafici e tabelle

– ArcView (8.2) per la produzione della cartografia

– SPSS (11.0) per le analisi statistiche

2. Profili meteo-climatici

Con questo capitolo inizia la parte specifica del rapporto nel quale sono esposti analitica-mente i risultati dello studio. Per ogni singola area climatica sono mostrati e brevemente com-mentati i grafici e le tabelle relativi alle grandezze meteo-climatiche prese in esame.

Come annotazione generale va detto che, sulla base di un confronto meramente statisticoeffettuato tra valori medi mensili, l’andamento meteorologico dell’anno 2004 ha mostrato unasostanziale conformità al riferimento climatico (1961-1990) non risultando, salvo in un paio dieccezioni, differenze statisticamente significative.

Ciò non può negare, ovviamente, l’evidenza di eventi “estremi”, anche di particolare rile-vanza, che hanno comunque contrassegnato l’andamento meteorologico del 2004 ad una scalaspaziale e temporale di maggior dettaglio. Quindi, per meglio circostanziare il campo di variazio-ne assunto dalle varie grandezze nel corso dell’anno preso in esame, oltre al valore medio sonostati riportati nei grafici e nelle tabelle anche i valori massimi ed i valori minimi registrati in asso-luto nei singoli mesi e, per consentire un opportuno confronto, anche gli indici di variabilità cli-matica (deviazione standard, 5° e 95° percentile).

62

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 62

L’andamento meteorologico registrato in Italia nel 2004 è stato ovviamente condizionatodagli eventi atmosferici a scala globale. A livello mondiale, ad esempio, la temperatura mediaalla superficie del globo ha oltrepassato di 0.44°C la normale climatica (14.0°C riferita al periodo1961-1990). Ciò ha fatto posizionare il 2004 al quarto posto fra gli anni più caldi dall’inizio del-le rilevazioni strumentali (1861) subito appena dopo il 2003 (+0.49°C). Sempre a scala globale, leprecipitazioni piovose sono state mediamente più abbondanti della media climatica anche se inmolte zone della Terra, specialmente in Africa, è stata registrata un’intensa e persistente siccitàche ha causato forti riduzioni della produzione agricola, fino al 40% in meno. In Europa, a causadi un notevole abbassamento delle temperature, si sono verificate nevicate eccezionali nell’ultimadecade di Gennaio che hanno interessato principalmente Inghilterra, Germania, Danimarca eFrancia.

Per quanto riguarda nello specifico l’Italia, si può affermare che il 2004 ha presentato unandamento termico abbastanza fedele alle attese climatiche, soprattutto nei primi cinque mesi del-l’anno. Nella terza decade di Gennaio, come già accennato in precedenza, una discesa di ariafredda artica ha investito principalmente le regioni centro meridionali provocando un forte abbas-samento delle temperature e precipitazioni nevose anche a bassa quota. A partire dal mese di Giu-gno, gli andamenti delle temperature minime e delle temperature massime sono stati costante-mente superiori ai tracciati delle rispettive medie climatiche (1961-1990). Nel mese di Ottobre,poi, l’intero territorio italiano è stato interessato lungamente da un vasto campo di alta pressione“africano” (fig. 3, in appendice) che ha fatto innalzare sensibilmente le temperature ben oltre ivalori normali della stagione. In alcuni casi, sono stati oltrepassati abbondantemente anche i limi-ti superiori della variabilità climatica (valore medio + 3 σ). Nonostante il generale favorevoleandamento termico, la richiesta evapotraspirativa (Et0) espressa complessivamente nel corso del2004 è risultata quasi ovunque al di sotto dei valori medi climatici e ciò, associato a precipitazio-ni piovose un po’ più abbondanti e/o meglio distribuite fra i vari mesi, ha consentito di ridurre inmolti casi il fisiologico stress idrico della stagione estiva.

In alcune aree climatiche settentrionali, tuttavia, è stato registrato un deficit pluviometricopiuttosto consistente che ha interessato quasi tutti i mesi dell’anno. In questo caso è stata riscon-trata una differenza statisticamente significativa rispetto ai riferimenti climatici.

Più regolare e senza particolari sorprese si è rivelato l’accumulo dei gradi giorno che si èsvolto ovunque nei periodi indicati dalla climatologia (stagione di crescita) ed ha raggiunto (espesso superato) i traguardi fissati dalle sommatorie termiche climatiche.

Nel 2004 le occorrenze di gelo (T<0°C) sono risultate prevalentemente circoscritte ai mesifreddi accusando, in generale rispetto al clima, una frequenza più alta nella prima parte dell’anno(Gennaio-Marzo), più bassa verso la fine (Novembre-Dicembre).

2.1 Area climatica Aaw - Arco Alpino Occidentale

Il clima dell’area risulta essere caratterizzato da una stagione estiva piuttosto breve e dauna stagione invernale, al contrario, lunga e particolarmente rigida. L’andamento delle temperatu-re registrato nel corso del 2004, pur mostrando scostamenti di notevole evidenza, non ha manife-stato nel complesso un comportamento tanto anomalo da legittimare una differenza statisticamen-te significativa nei confronti dei riferimenti climatici (1961-1990).

Nella seconda metà dell’anno 2004, all’incirca nel periodo Giugno-Dicembre, tutti gli scar-ti dalla norma climatica sono stati contrassegnati dal segno positivo. In particolare, lo scostamen-to più rilevante (+2.3°C) è stato registrato per la temperatura minima nel mese di Ottobre. Anche

63

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 63

in questo caso, però, i valori della temperatura sono risultati compresi nei limiti della variabilitàclimatica.

Il mese in termini assoluti più caldo, con una temperatura massima di 21.7°C e una tempe-ratura media di 16.3°C, è stato Luglio, mentre Giugno, con i suoi 20.1°C di Tmax (+1.8°C rispet-to al clima) merita di essere menzionato per la particolare “anomalia calda” che ha fatto registra-re. Le linee rosse e gialle dei grafici, corrispondenti ai valori massimi e minimi assoluti registratipuntualmente nell’area, mostrano che, nel 2004, il campo di variazione delle temperature è statoper vari mesi dell’anno (in primavera ed in estate) ben più ampio della variabilità climaticaespressa da tre volte il valore della deviazione standard (3 σ) e ciò, in parte, può essere spiegatodalla orografia notevolmente complessa dell’area.

Le precipitazioni piovose del 2004 hanno totalizzato nel complesso 701.6 mm registrandouno scarto negativo di -238.1 mm rispetto al totale di precipitazione climatico calcolato sul perio-do 1961-1990. L’entità del deficit pluviometrico e l’anomala distribuzione delle piogge nell’arcodell’anno hanno reso statisticamente significativa la differenza fra l’anno 2004 e la climatologia.In particolare, si evidenzia nuovamente il mese di Giugno la cui piovosità di appena 24.9 mm (-78 mm rispetto al clima) risulta considerevolmente più bassa del quinto percentile climatico (63.5mm) di riferimento.

Osservando l’ammontare delle piogge nei diversi mesi, si rileva, in buona sostanza, unasensibile carenza di precipitazioni nel periodo primaverile-estivo. Un modesto recupero, peraltrotardivo ed insufficiente a risollevare le sorti di un’annata siccitosa, si è verificato nel mese diNovembre quando sono piovuti circa 110 mm, ovvero +33.4 mm rispetto alle attese climatiche.

Anche il bilancio idrico dei suoli conferma l’andamento caldo e secco del 2004. Infatti, afronte di una quasi perfetta sovrapposizione delle curve di Et0 ed Etr nel grafico del clima, cioè diuna disponibilità ottimale di acqua (fra apporti piovosi e riserva dei suoli), nel 2004 si è manife-stato invece un periodo siccitoso di ben 5 mesi (maggio-ottobre) ed un deficit idrico di -131.1mm. Oltre alla carenza di pioggia che ha determinato la mancata ricarica della naturale riserva deisuoli, i tassi di evapotraspirazione del 2004, soprattutto nei mesi centrali dell’anno – Giugno inparticolare – hanno evidenziato valori superiori alla norma anche se di entità tale da non far emer-gere differenze statisticamente significative.

L’accumulo di gradi giorno è stato grossomodo allineato alla climatologia (fatta eccezioneper il +54% di Giugno) e così anche per quanto riguarda le occorrenze di gelo. Per quest’ultime,a dire il vero, va evidenziata una lieve flessione a livello annuale considerando, in ogni caso, chel’occorrenze di temperature basse (T<0°C) sono un’evenienza costante e non accidentale nell’ar-co dell’intero anno, tali da non consentire l’individuazione di un cosiddetto free-frost period.

2.2 Area climatica Aae - Arco Alpino Orientale

L’Arco Alpino Orientale, al pari di quello occidentale, risulta climaticamente caratterizzatoda estati piovose e relativamente calde, inverni lunghi e particolarmente freddi.

Nel 2004 l’andamento delle temperature ha mostrato una variabilità in genere più contenu-ta rispetto al settore occidentale ma, anche in quest’area, gli scostamenti dal clima si sono verifi-cati in maniera più evidente grossomodo negli stessi periodi. Infatti, per quanto riguarda ad esem-pio le temperature minime, si segnala per il mese di Ottobre uno scarto di +2.9°C.

Nel periodo Giugno-Dicembre, i valori medi delle temperature minime e delle temperaturemassime sono stati costantemente più alti dei riferimenti medi climatici senza però rappresentareun’anomalia statisticamente significativa e rientrando, comunque, nei margini della variabilità

64

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 64

climatica. La temperatura massima di Luglio (20.7°C), in ossequio alla climatologia, è risultata lapiù elevata dell’anno ma, grazie a valori di temperatura minima particolarmente elevati, è stato ilmese di Agosto che si è rivelato a sorpresa il mese più caldo con una temperatura media di 15.4°C(+1.4°C rispetto alla climatologia).

Se si considera l’ampiezza del campo di variazione delle temperature (curve rosse e gialledei grafici), l’andamento termico del 2004 ha mostrato una maggiore omogeneità rispetto al setto-re alpino occidentale (Aaw) anche se in diversi è stata ugualmente oltrepassata la soglia massimadella variabilità climatica corrispondente a tre volte il valore di deviazione standard (3 σ).

L’ammontare complessivo delle precipitazioni piovose nel 2004 è stato di 903.9 mm edha fatto registrare uno scarto di circa -50 mm rispetto al riferimento climatico. Il deficit pluvio-metrico, anche se contenuto, ha interessato comunque gran parte dell’anno risultando particolar-mente pesante in Giugno quando sono mancati all’appello 45 mm. Le variazioni positive chehanno contribuito a compensare parte del deficit pluviometrico, si devono invece ai mesi di Feb-braio ed Ottobre nei quali si sono registrati rispettivamente +40.1 mm e +94.8 mm rispetto allaclimatologia.

L’andamento meteorologico più conforme alla climatologia è stato confermato anche dalbilancio idrico dei suoli: lo scarto complessivo tra ET0 ed ETr, del tutto trascurabile, è risultatoinfatti di appena 18.2 mm ed ha riguardato solo i tre mesi estivi.

Per quanto riguarda le occorrenze di gelo non si evidenziano particolari anomalie se nonper il mese di Ottobre, il cui mite andamento termico ha determinato una netta diminuzione diesse (-70%) rispetto alla climatologia.

2.3 Area climatica Ppa - Pianura Padana

La regione rappresenta indubbiamente l’area a vocazione agricola più importante del Pae-se. Prevalentemente pianeggiante, ricca di corsi d’acqua, con terreni alluvionali profondi, essa ècircondata su tre lati da catene montuose, mentre a est si apre sul Mare Adriatico. Il clima del-l’area, che può considerarsi a metà strada fra quello continentale e quello mediterraneo, presentaestati calde, inverni abbastanza rigidi ed una piovosità abbastanza omogeneamente distribuita nel-l’anno.

Il 2004, rispetto ai riferimenti climatici, è stato caratterizzato da un andamento termicoalquanto regolare e senza particolari anomalie. Soprattutto nei primi cinque mesi, sia per la tem-peratura massima, sia per la temperatura minima, si nota una sostanziale sovrapposizione con lerispettive curve climatiche. Da Giugno in poi, invece, i valori medi del 2004 sono stati costante-mente superiori a quelli del clima realizzando gli scostamenti maggiori nel mese di Ottobre(+3.2°C per la Tmin) e nei mesi di Giugno, Agosto, Novembre e Dicembre (rispettivamente+1.5°C, +1.6°C, +1.8°C, +2.3°C per la Tmax).

I mesi di Luglio ed Agosto 2004, ciascuno con una temperatura media di 23.7°C, sonorisultati i più caldi dell’anno. Il campo di variazione delle temperature, indicato nei grafici dallecurve rosse e gialle relative ai valori massimi e minimi assoluti, è rimasto sostanzialmente com-preso nei limiti della variabilità climatica espressa da tre volte la deviazione standard (3 σ).

I valori massimi (curva rossa), in particolare, risultano in genere molto appressati alla cur-va dei valori medi (linea magenta) denotando, in tal modo, un compattamento delle temperatureverso la parte alta della scala termica e, quindi, la possibile esistenza di un trend positivo. L’ana-lisi statistica non ha comunque evidenziato differenze significative fra le temperature del 2004 equelle del riferimento climatico.

65

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 65

Le precipitazioni piovose del 2004 sono ammontate a complessivi 862.0 mm, con unoscarto positivo di circa +20.0 mm rispetto alla precipitazione climatica. A tale risultato hanno par-tecipato principalmente le precipitazioni registrate in Febbraio (+38.3 mm), nei mesi primaverilied in quelli autunnali.

Durante la stagione estiva, invece, gli scarti della precipitazione rispetto al clima sono sta-ti tutti negativi e ciò ha influito nell’amplificare l’intensità dello stress idrico stimato tramite ilbilancio di Thornthwaite e Mather (-183.1 mm del 2004 contro i -110.6 mm climatici). Lo stressidrico, oltre che dal deficit di pioggia dei mesi estivi, ha subito gli effetti di tassi evapotrasirativisuperiori alla norma che, soprattutto in Giugno e Luglio, hanno oltrepassato la soglia massimadella variabilità climatica (3 σ).

L’accumulo di gradi giorno nel 2004 ha delineato una stagione di crescita di circa novemesi, da Marzo a Novembre che, pur non differenziandosi in maniera significativa da quella cli-matica, ha risentito positivamente dell’andamento termico superiore alla norma facendo registra-re scarti sempre positivi (ad eccezione di Maggio).

Le occorrenze di gelo hanno interessato i primi tre mesi e gli ultimi due del 2004 con unaincidenza leggermente superiore a quella climaticamente prevedibile (ad eccezione del mese diDicembre per il quale si rilevata una variazione di -34%). Non si sono verificati, fortunatamente,eventi di gelo tardivi (primaverili) o precoci (autunnali) tali da compromettere la stagione di cre-scita colturale.

2.4 Area climatica Pia - Peninsulare interna alta

L’area, anello di congiunzione e transizione tra l’arco alpino e la dorsale appenninica, presen-ta un clima caratterizzato da una stagione invernale prolungata e rigida ed estati relativamente bre-vi e calde. Il 2004 ha avuto, anche in questo caso, un decorso meteorologico non troppo dissimiledai riferimenti climatici. Nel caso delle temperature, ad esempio, l’andamento medio annuo è statocaratterizzato da una variabilità compresa nei limiti definiti dalla climatologia senza manifestazionidi particolari eventi estremi. Il mese di Ottobre, tuttavia, merita di essere menzionato per le sue tem-perature elevate che hanno fatto registrare, nel caso delle temperature minime, uno scarto positivodi +3.1°C che ha sfiorato il limite superiore della variabilità climatica (3 σ). Temperature superiorialla media climatica si sono registrate comunque da Giugno a Dicembre ed hanno riguardato sia ivalori minimi, sia quelli massimi. In termini assoluti e contrariamente alle indicazioni climatiche, ilmese più caldo è stato Agosto per il quale è stata registrata una temperatura media di 21.0°C(+1.4°C). I valori di temperatura massimi assoluti registrati nel 2004 (curva rossa nei grafici) risul-tano in genere abbastanza ravvicinati alla curva dei valori medi (curva magenta) e, soprattutto nelcaso della Tmin, denotano un compattamento delle temperature verso la parte alta della scala termi-ca e, quindi, la possibile esistenza di un trend positivo interannuale. L’analisi statistica non hacomunque evidenziato differenze significative fra le temperature del 2004 e i riferimenti climatici.

Le precipitazioni piovose del 2004 ammontano a complessivi 859.7 mm, con uno scartonegativo di oltre 95 mm rispetto al totale climatico stimato sul periodo 1961-1990. A questo risul-tato hanno contribuito i deficit pluviometrici di 8 mesi su 12. Nel mese di Giugno, in particolare,le precipitazioni registrate (37.1 mm) sono risultate addirittura inferiori al 5° percentile (38.7 mm)designato quale limite inferiore della variabilità climatica. Il deficit pluviometrico 2004 ha accre-sciuto lo stress idrico durante la stagione estiva: già dal mese di giugno, infatti, si è creato unapprezzabile divario tra la richiesta evapotraspirativa (Et0) e l’effettivo evapotraspirato (Etr) che,nel complesso, ha portato ad accusare nell’anno un deficit di -224.6 mm, più del doppio di quel-

66

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 66

lo climaticamente atteso (-100.7 mm). L’evapotraspirazione da Maggio ad Agosto è stata sempresuperiore ai riferimenti climatici, anzi, in Luglio, sono stati stimati 154.2 mm hanno che hannooltrepassato il limite superiore (3 σ) della variabilità climatica (151.1 mm).

Le sommatorie termiche hanno beneficato il 2004 con una più abbondante disponibilitàcomplessiva di gradi utili rispetto al clima ma, comunque, non tanto da giustificare una differen-za statisticamente significativa.

Nel 2004 si sono avute occorrenze di gelo da Gennaio ad Aprile e da Novembre a Dicem-bre. Sulla base della climatologia (1961-1990) si può affermare che nei primi mesi dell’anno l’in-cidenza delle occorrenze di gelo è stata leggermente più elevata rispetto alla norma, mentre nel-l’ultima parte dell’anno (Dicembre), grazie all’andamento termico più favorevole, si è registratocirca il 30% in meno di tali eventi.

2.5 Area climatica Pim - Peninsulare interna media

L’area, pur se interna e caratterizzata da orografia complessa, è parte del territorio peninsu-lare italiano e pertanto presenta connotazioni climatiche di tipo mediterraneo come, ad esempio,una ridotta piovosità estiva.

Le analisi statistiche non hanno rilevato differenze significative fra l’andamento meteoro-logico del 2004 rispetto al clima dell’area. Vanno evidenziate tuttavia alcune particolarità come,ad esempio, gli effetti dell’intrusione di masse d’aria fredda nel bacino mediterraneo che, all’ini-zio dell’anno, ha fatto piombare le temperature a livelli bassissimi facendo così registrare scosta-menti dalla norma davvero notevoli.

Nel mese di Gennaio, infatti, la media delle temperature minime è stata di -6.2°C e quelladelle temperature massime di appena 1.3°C. Esse sono risultate anche più basse del limite inferio-re della variabilità climatica (3 σ). I valori minimi assoluti di Gennaio (curva gialla nei grafici)sono stati da vero record sfiorando i -20°C per la Tmin ed i -10°C per la Tmax.

Durante il resto dell’anno, invece, l’andamento delle temperature è risultato abbastanzaconforme alla climatologia anche se, seguendo l’andamento meteorologico generale, nel secondosemestre si sono registrati solo scostamenti positivi dalla norma, il più alto dei quali, nel mese diOttobre (+2.9°C per la Tmed), ha quasi fatto sfiorare il limite superiore della variabilità climatica.Il mese più caldo, a conferma delle indicazioni climatiche, è risultato Agosto con una temperatu-ra media di 22.1°C (+1.4°C rispetto al clima).

Le precipitazioni piovose del 2004 sono ammontate a complessivi 1035.1 mm, con unoscarto positivo di circa 200 mm rispetto al totale climatico. Particolarmente piovosi sono statiFebbraio, Marzo, Aprile, Maggio e, più di ogni altro, il mese di Dicembre che, con i suoi 183.4mm, ha misurato uno scostamento dalle attese climatiche di oltre 98 mm superando abbondante-mente il 95°p (144.5 mm).

Malgrado la positiva performance della precipitazione piovosa 2004, la stagione estiva èstata caratterizzata da uno stress idrico un po’ più grave rispetto a quanto climaticamente ci sipoteva attendere (-257.6 mm contro -210.9 mm) a causa della scarsa piovosità di quei mesi ma,anche, di una più elevata richiesta evapotraspirativa registrata proprio nel trimestre Giugno-Luglio-Agosto.

Le sommatorie termiche hanno conferito al 2004 una più abbondante disponibilità com-plessiva di gradi utili rispetto al clima: +15% per le sommatorie termiche su base 10°C; +26% perle sommatorie termiche su base 15°C. Anche in questo caso, però le differenze non sono risultatestatisticamente significative.

67

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 67

A prescindere dal mese di Gennaio, decisamente più freddo del solito, nel 2004 si sonoavute occorrenze di gelo in misura mediamente più ridotta rispetto al riferimento climatico. Nelmese di Dicembre, in particolare, si è registrato circa il 40% in meno di tali eventi.

2.6 Area climatica Pib - Peninsulare interna bassa

L’area è costituita fondamentalmente dalle propaggini meridionali della dorsale appennini-ca e, per quanto riguarda il clima, risente, in una certa misura, della sua posizione protesa all’in-terno del bacino mediterraneo.

Le analisi statistiche condotte sulle diverse variabili meteo-climatiche non hanno rilevatodifferenze significative fra il 2004 ed il clima dell’area (1961-1990). Anche in questo caso, tutta-via, sono emerse particolarità degne di menzione determinate dalla discesa di aria molto freddasul bacino mediterraneo che, all’inizio dell’anno, ha provocato un sensibile abbassamento delletemperature. Nel mese di Gennaio, infatti, la media delle temperature minime è stata di -1.7°C equella delle temperature massime di 4.4°C. Tali valori hanno fatto registrare rispettivamente scar-ti dalla climatologia di -3.2°C e di -3.0°C che, tuttavia, sono risultati compresi entro il limite divariazione climatica stabilito da tre volte la deviazione standard (3 σ). L’andamento dei valorimedi delle temperature nel 2004 (curva magenta nei grafici) ha mostrato un andamento grosso-modo allineato alla curva climatica (curva tratteggiata nei grafici) ad eccezione di qualche scosta-mento più considerevole che si è verificato in Gennaio, come già citato, ed in Ottobre e Dicembrequando si sono registrati scarti di segno positivo di una certa ampiezza. In tutti i grafici riguardan-ti la temperatura, inoltre, la curva magenta dei valori medi è nettamente ravvicinata alla linea ros-sa dei valori massimi assoluti. Ciò denuncia un addensamento delle temperature nella parte altadella scala termica e, in buona sostanza, un probabile trend positivo.

Le precipitazioni piovose del 2004 sono ammontate a complessivi 947.9 mm, con un gua-dagno di circa 155 mm rispetto al totale climatico di 792.3 mm. I maggiori apporti piovosi sisono verificati in primavera-inizio estate (nel periodo da Marzo a Giugno) e soprattutto negli ulti-mi due mesi dell’anno quando sono piovuti circa 100 mm in più rispetto alla climatologia.

Ad eccezione dei mesi estivi di Giugno, Luglio ed Agosto, l’evapotraspirazione di riferi-mento (Et0) è sempre stata sempre inferiore ai valori climaticamente attesi. In alcuni casi (Genna-io, Ottobre, Novembre e Dicembre) lo scarto negativo ha portato il valore mensile di Et0 al di sot-to del limite inferiore della variabilità climatica (3 σ).

In considerazione delle piogge complessivamente più abbondanti e delle più moderaterichieste evapotraspirative, lo stress idrico stimato per il 2004 è risultato inferiore a quello clima-ticamente atteso (-271.1 mm contro -330.6 mm).

Le sommatorie termiche, grazie all’andamento delle temperature più favorevole, hannobeneficato il 2004 con una più abbondante disponibilità complessiva di gradi utili rispetto al cli-ma: circa +15% per le sommatorie termiche su base 10°C; circa +24% per le sommatorie termi-che sopra i 15°C.

Nel 2004 le occorrenze di gelo hanno interessato i mesi più freddi lasciando fondamental-mente libero il periodo da Aprile ad Ottobre. Nel complesso, comunque, l’incidenza di gelo è cre-sciuta nel 2004 di circa il 22% rispetto al clima.

68

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 68

2.7 Area climatica Vta - Versante tirrenico alto

Le analisi statistiche hanno evidenziato per l’alto versante tirrenico una differenza signifi-cativa fra la pluviometria registrata nel 2004 e quella climatologica. Nello specifico, a fronte diun totale annuo di 1030.8 mm, nel 2004 sono stati totalizzati poco più di 800 mm con uno scartonegativo di -226.4 mm, pari a circa il 22% in meno di pioggia.

A parte i segni positivi registrati in Febbraio, Maggio ed Ottobre, peraltro di scarso rilievoquantitativo, tutti gli altri mesi hanno accusato un sensibile deficit pluviometrico che, nel mese diNovembre, ha segnato il massimo annuo con -66.6 mm.

È necessario puntualizzare, tuttavia, che la climatologia delle precipitazioni dell’area(1961-1990) presenta una variabilità oltremodo dilatata e notevolmente differenziata da mese amese, tale, comunque, da comprendere anche la pessima performance del 2004.

In ragione dello scarso apporto piovoso, ma anche di una richiesta evapotraspirativa poten-ziale (1030.9 mm su base annua) abbastanza conforme a quella climatologica, lo stress idricoestivo si è quasi raddoppiato rispetto alle attese climatiche (-312.8 mm contro -156.9 mm).

Le temperature non hanno mostrato grosse particolarità se non valori mediamente più ele-vati in autunno e nei seguenti mesi di Novembre e Dicembre, determinati, principalmente, dal-l’andamento della temperatura minima. A tale proposito è necessario evidenziare quanto i valorimedi del 2004 (curva magenta nei grafici) siano poco discosti dalla curva rossa indicante i valorimassimi assoluti. Ciò denuncia un addensamento delle temperature nella parte alta della scala ter-mica e la presenza di un probabile trend positivo. Tutti gli scostamenti delle temperature risultanocomunque compresi nei limiti della normale variabilità climatica (3 σ).

In linea con l’andamento termico, anche l’accumulo di gradi utili chiude l’anno con un sal-do positivo, rispetto alla climatologia, di circa +8% per le sommatorie sopra i 10°C; e di circa+14% per le sommatorie sopra i 15°C.

Nel 2004 le occorrenze di gelo si sono concentrate esclusivamente nei mesi più freddilasciando fondamentalmente libero il periodo da Aprile ad Ottobre senza costituire un rischio rea-le per le colture. Nel complesso, comunque, l’incidenza di gelo è cresciuta nel 2004 di circa il13% rispetto a quanto indicato dalla climatologia.

2.8 Area climatica Vtm - Versante tirrenico medio

Come conseguenza alla discesa di aria fredda settentrionale fino alle latitudini mediterra-nee, l’andamento termico 2004 è stato caratterizzato da un inizio d’anno molto rigido che hadeterminato nel mese di Gennaio una media delle temperature minime pari a 0.0°C ed uno scartonegativo dalla climatologia di -2.6°C.

I valori minimi, tuttavia, sono scesi localmente anche al di sotto dei -15°C. In termini gene-rali, escludendo l’anomalia di Gennaio, si può affermare che il primo semestre dell’anno è statopiuttosto conforme alla climatologia, mentre nella seconda parte del 2004 l’andamento delle tem-perature è stato caratterizzato da valori superiori alla media. Gli scostamenti maggiori sono attri-buibili ad Ottobre (+3°C per la Tmin; +1.7°C per la Tmax) e Dicembre (+2.6°C per la Tmin;+1.8°C per la Tmax). Il mese di Agosto, con i suoi 24.0°C di Tmed, si conferma quale mese piùcaldo dell’anno.

Il potenziale accumulo di gradi giorno (su base 10°C) in ognuno dei dodici mesi, definisceper l’area una possibile stagione di crescita lunga l’intero anno. Nel 2004 sono stati cumulati, sul-la base dei 10°C, 2142 gradi giorno (+12.5%) e, sulla base di 15°C, 1037.7 gradi giorno (+19%).

69

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 69

La stagione di crescita, definita sulla base della disponibilità di gradi utili, trova in ognicaso una limitazione nelle occorrenze di gelo che, climaticamente parlando, si attendono nei mesidi Gennaio, Febbraio, Marzo, Novembre e Dicembre. Il 2004, pur non smentendo la climatologiaperché non ha presentato occorrenze di gelo nel periodo colturalmente più vulnerabile da Aprilead Ottobre, ha manifestato comunque un incremento di tali eventi di circa il 42%.

La pluviometria tipica dell’area risponde alquanto bene al tipo di pluviometria del climamediterraneo: precipitazioni mediamente più abbondanti nei mesi iniziali e finali, più scarse neimesi centrali con un periodo fisiologico di siccità cui contribuiscono anche gli elevati tassi dievapotraspirazione estiva. Nel 2004 la piovosità mensile ha rispettato grossomodo lo schema cli-matico e, per quanto riguarda la quantità complessiva degli apporti piovosi, si è determinato unsurplus pluviometrico di circa 108 mm (anno 2004: 920.8 mm; Clima: 812.2 mm).

Nonostante ciò, la siccità estiva del 2004, anche se durata circa un mese in meno rispetto aquella climatologica, ha accusato un deficit idrico di -334.7 mm contro i -289.4 mm del clima.

2.9 Area climatica Vtb - 0Versante tirrenico basso

All’inizio dell’anno l’intrusione di aria fredda proveniente dalle latitudini più settentrionali haavuto effetti molto severi sulle regioni centro-meridionali italiane. Nel basso versante tirrenico ciò siè manifestato con un fortissimo abbassamento delle temperature in Gennaio che, per quanto riguar-da i valori medi dell’area, ha toccato -5.5°C di temperatura minima e 1.4°C di temperatura massima.Gli scarti dalla norma sono stati rispettivamente di -8.8°C e -9.7°C che hanno abbondantementeoltrepassato il limite inferiore della variabilità climatica (3 σ). L’anomalia termica di Gennaio, tutta-via, non è bastata per differenziare significativamente il 2004 dalla climatologia a fronte comunquedei restanti 11 mesi nei quali si è registrato una quasi perfetta aderenza al clima (1961-1990).

Anche nel basso versante tirrenico il secondo semestre è risultato più caldo rispetto ai rife-rimenti climatici ma, rispetto ad altre regioni più settentrionali, gli scarti dal clima sono stati leg-germente più contenuti.

Secondo la climatologia, l’accumulo di gradi giorno (su base 10°C) è potenzialmentedistribuito su ogni mese definendo per l’area una possibile stagione di crescita lunga l’interoanno. Nel 2004 sono stati cumulati, sulla base dei 10°C, 2222 gradi giorno (+12.6%) e, sulla basedei 15°C, 1074.7 gradi giorno (+18%).

La stagione di crescita, definita sulla base della disponibilità di gradi utili, trova in ognicaso una forte limitazione nelle occorrenze di gelo che, climaticamente parlando, sono attesi neimesi di Gennaio, Febbraio, Marzo, Novembre e Dicembre. Il 2004, fedele alla climatologia, nonha presentato occorrenze di gelo nel periodo colturalmente più vulnerabile che va da Aprile adOttobre ma ha manifestato comunque un incremento di tali eventi di circa il 156% dovuto, inbuona parte, alla particolare situazione meteorologica di Gennaio.

La pluviometria tipica dell’area risponde molto bene al tipo di pluviometria del climamediterraneo: precipitazioni mediamente più abbondanti nei mesi iniziali e finali, più scarse neimesi centrali. Al conseguente periodo fisiologico di siccità estiva, contribuiscono anche gli eleva-ti tassi di evapotraspirazione estiva. Nel 2004 la piovosità mensile ha rispettato grossomodo loschema climatico e, per quanto riguarda la quantità complessiva degli apporti piovosi, si è deter-minato un surplus pluviometrico di circa 98 mm (anno 2004: 1021.7 mm; Clima: 924.2 mm).

Nonostante ciò, la siccità estiva del 2004, anche se durata circa un mese in meno rispetto aquella climatologicamente attesa, ha accusato un deficit idrico di -285.2 mm praticamente similea quello climatico di -287.1 mm.

70

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 70

2.10 Area climatica Vaa - Versante adriatico alto

L’andamento meteorologico 2004 nell’area dell’alto versante adriatico ha mostrato unaquasi perfetta aderenza ai riferimenti climatici e un range di variabilità estremamente contenuto.

Nel caso delle temperature, ad esempio, anche il forte abbassamento delle temperature chesi è riscontrato in Gennaio in molte zone del Paese, non hanno avuto praticamente conseguenze inquest’area se non un irrilevante scarto dalla climatologia di appena -0.4°C per i valori di tempera-tura minima. Nei primi cinque mesi dell’anno, quindi, non c’è stata quasi storia. A partire da Giu-gno, come riscontrato in tutte le aree climatiche, l’andamento termico è stato costantemente supe-riore ai riferimenti climatici e, in particolare, nell’ultimo trimestre quando si sono registrati gliscostamenti più consistenti dal clima, come, ad esempio, in Ottobre (+3.2°C per la temperaturaminima) e in Dicembre (+2.5°C per la temperatura massima).

Le precipitazioni piovose, così come indicato dalla climatologia dell’area, si sono distribui-te abbastanza omogeneamente fra i vari mesi dell’anno. L’apporto piovoso complessivo registra-to nel 2004 è stato di 928 mm con un incremento di 94.4 mm rispetto alle attese climatiche. Otto-bre, con 144.1 mm ed un saldo pluviometrico positivo di oltre 66 mm rispetto al clima, è stato inassoluto il mese più piovoso dell’anno.

Malgrado il maggiore volume di piogge e la più contenuta richiesta evapotraspirativa, si èmanifestato nella stagione estiva 2004 un periodo siccitoso leggermente più severo di quello cli-matico. Nel 2004, infatti, lo stress idrico è stato di -144.7 mm, contro i -128.3 mm climatici.

Le sommatorie termiche hanno mostrato nel 2004 un certo incremento grazie, soprattutto,al più favorevole andamento termico del secondo semestre. I gradi utili cumulati sulla soglia dei10°C sono ammontati a circa 2000 unità (8.5% in più rispetto al clima), mentre per la soglia dei15°C la somma raggiunta è di circa 980 unità (11% in più rispetto al clima.

Nel periodo da Aprile ad Ottobre non si sono registrati eventi di gelo che, in ottemperanzaalla climatologia, hanno riguardato fondamentalmente i mesi invernali. Il 2004, rispetto alla nor-ma climatica, ha comunque registrato un incremento delle occorrenze di gelo di circa il 12%.

2.11 Area climatica Vam - Versante adriatico medio

L’anno 2004, per quanto riguarda le temperature, ha fatto registrare una sostanziale confor-mità ai riferimenti climatici mostrando con un range di variabilità estremamente contenuto. Ilmedio versante adriatico è stato direttamente investito nel mese di Gennaio dalla discesa di massed’aria fredda che hanno fatto precipitare le temperature a livelli bassissimi, più bassi anche dellimite inferiore della variabilità climatica individuata da tre volte il valore della deviazione stan-dard (3 σ). Le temperature minime di Gennaio hanno toccato mediamente i -3.9°C con punte estre-me inferiori ai -13°C. Anche le temperature massime sono risultate eccezionalmente basse ferman-dosi ai 3.2°C, ovvero -5.4°C in meno rispetto alla climatologia. A partire da Giugno, l’andamentotermico è stato costantemente superiore ai riferimenti climatici evidenziando gli scostamenti dalclima più consistenti nel mese di Ottobre quando, con una temperatura minima di 13.4°C ed unatemperatura massima di 21.4°C, sono stati registrati rispettivamente scarti di +3.3°C e di +2.1°C.

Le precipitazioni piovose 2004 sono state complessivamente più abbondanti di quelle cli-maticamente attese (936.4 mm contro 741.5 mm) distribuite però nell’anno in maniera non con-forme alla climatologia. In particolare, si vuole evidenziare, da un lato, il deficit pluviometricodei mesi di Luglio ed Agosto di quasi -60 mm e, dall’altro, le precipitazioni abbondantissime diNovembre e Dicembre che hanno apportato da sole circa 120 mm di pioggia in più.

71

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 71

Nei mesi estivi la richiesta evapotraspirativa è stata leggermente più intensa rispetto alla nor-ma, tuttavia, pur considerando il pesante deficit pluviometrico dell’estate, il bilancio idrico dei suo-li ha stimato per il 2004 uno stress idrico (-258.5 mm) inferiore a quello climatico (-294.8 mm).

Le sommatorie termiche del 2004 hanno subìto un incremento grazie al contributo positivodi tutti i mesi con l’unica eccezione di Maggio che è stato alquanto più freddo della norma. I gra-di utili cumulati sulla soglia dei 10°C sono ammontati a circa 2011 unità (13% in più rispetto alclima), mentre per la soglia dei 15°C la somma raggiunta è di circa 980 unità (21% in più rispet-to al clima).

Il periodo da Aprile ad Ottobre si rivelato libero da eventi di gelo che, in ottemperanza allaclimatologia, hanno riguardato fondamentalmente i mesi invernali. Il 2004, rispetto alla normaclimatica, ha comunque registrato un incremento delle occorrenze di gelo del 22%.

2.12 Area climatica Vab - Versante adriatico basso

Per quanto riguarda le temperature, il 2004 ha fatto registrare poche particolarità. Non si èregistrato, infatti, quel forte abbassamento delle temperature come in altre aree è avvenuto in Gen-naio. Dopo un Aprile abbastanza più caldo della norma, il mese di Maggio ha evidenziato tempera-ture più basse dei valori medi climatici (scarto delle Tmin: -1.8°C; scarto delle Tmax: -1.2°C). Ver-so la fine dell’anno le temperature sono state invece alquanto elevate. In Ottobre e Dicembre letemperature medie sono cresciute rispettivamente di +3.2°C e +2.1°C rimanendo comunqueampiamente comprese nei limiti della variabilità climatica (3 σ).

La piovosità dell’area, climaticamente di tipo mediterraneo, nel 2004 è stata caratterizzatada apporti piovosi mediamente più abbondanti della norma. Giugno, ad esempio, si è rivelatomolto piovoso con 85.2 mm che hanno quasi sfiorato il limite superiore della variabilità climaticafissata al 95° percentile (88.2 mm). Ancora più abbondanti le piogge misurate a fine anno inNovembre (140.4 mm) e Dicembre (90.8 mm). Nel complesso, le precipitazioni 2004 sonoammontate a 721.5 mm, quasi il 27% in più rispetto al clima.

Considerando la più favorevole pluviometria e una richiesta evapotraspirativa sostanzial-mente simile a quella climaticamente attesa, il bilancio idrico dei suoli ha evidenziato per il 2004una netta riduzione del fisiologico periodo di siccità ed uno stress meno severo (-471.3 mm con-tro -646.3).

Le sommatorie termiche del 2004 hanno subito un incremento grazie al contributo positivo ditutti i mesi con l’unica eccezione di Maggio che è stato alquanto più freddo della norma. I gradi uti-li cumulati sulla soglia dei 10°C sono ammontati a 2407 unità (12% in più rispetto al clima), mentreper la soglia dei 15°C la somma raggiunta è di circa 1229 unità (16% in più rispetto al clima).

Il periodo da Aprile ad Ottobre si rivelato libero da eventi di gelo che, in pieno rispetto del-la climatologia, hanno riguardato fondamentalmente i mesi invernali. Il 2004, rispetto alla normaclimatica, ha comunque registrato un incremento delle occorrenze di gelo del 130%.

2.13 Area climatica Sut - Versante sud tirrenico

L’area può essere classificata fra i climi temperati caldi ed è caratterizzata da un prolunga-mento della stagione estiva e da inverni miti. Nel 2004 l’andamento delle temperature non si èdifferenziato significativamente dalla norma climatica presentando, tuttavia, alcuni comporta-menti particolari. Le temperature di Gennaio sono risultate più basse dei valori di riferimento cli-

72

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 72

matico senza, però, toccare valori estremi come verificatosi in altre zone del Paese. Lo scarto del-le temperature minime è stato infatti di -0.9°C e quello delle massime di appena -0.4°C. Successi-vamente, dopo un Aprile moderatamente caldo (scarto delle Tmed: +1.0°C), in Maggio le tempe-rature hanno segnato uno scostamento dalle medie climatiche di -1.6°C per le temperature mini-me e di -1.3°C per le temperature massime. Dal mese di Giugno in poi le temperature del 2004sono state costantemente superiori alla norma, soprattutto in Ottobre (Tmed: 20.0°C) e Dicembre(Tmed: 11.9°C), quando si sono misurati scarti rispettivamente di +2.5°C e +1.6°C.

Dalle indicazioni climatiche si evince che l’accumulo di gradi giorno, definito sulla basedei 10°C, implica potenzialmente il contributo di tutti i mesi rendendo teoricamente possibile unastagione di crescita lunga quanto tutto l’anno. Il 2004, con i suoi 2459 gradi giorno, ha sostanzial-mente confermato le attese climatiche realizzando anche uno scarto positivo del 9%. Per le som-matorie termiche calcolate sulla base dei 15°C il cumulo di gradi giorno è stato di 1192 unità conuno scarto positivo del 13%.

Le occorrenze di gelo, come da climatologia, hanno riguardato nel 2004 esclusivamente imesi più freddi (Gennaio, Febbraio, Marzo, Novembre e Dicembre) con una frequenza di eventisuperiore del 129% rispetto alle attese climatiche.

La pluviometria dell’area corrisponde perfettamente al tipo di clima mediterraneo: precipi-tazioni mediamente più abbondanti nei mesi iniziali e finali, più scarse o nulle nei mesi centralidell’anno. Ciò sottintende un periodo fisiologico di siccità estiva cui contribuiscono anche gli ele-vati tassi di evapotraspirazione proprio in corrispondenza dei mesi estivi meno piovosi. Nel 2004la piovosità ha osservato grossomodo lo schema climatico realizzando, tuttavia, un maggioreapporto piovoso. Il totale annuo di piogge è stato infatti di 937.2 mm contro gli 855.6 mm clima-tici. Particolarmente piovoso è stato il mese di Novembre (185.8 mm) che ha fatto segnare unoscarto positivo di 78 mm rispetto al totale dei millimetri di pioggia attesi climaticamente.

Gli apporti piovosi più abbondanti registrati nel 2004 hanno contribuito a ridurre la lun-ghezza del periodo siccitoso e ad abbassare l’entità dello stress idrico che, dai -436 mm climatici,è risultato di -369 mm.

2.14 Area climatica Sua - Versante sud adriatico

L’area può essere classificata fra i climi temperati caldi, caratterizzata da un prolungamen-to della stagione estiva e da inverni miti a causa, principalmente, dell’influenza marittima. Nel2004 l’andamento delle temperature non ha presentato differenze significative rispetto alla normaclimatica mostrando, tuttavia, alcune peculiarità dovute a situazioni meteorologiche che, più ingenerale, hanno interessato l’intero Paese. Le “anomalie” più evidenti hanno riguardato le tempe-rature minime registrate in Maggio, Ottobre e Dicembre in cui sono risultati scostamenti dallamedia climatica rispettivamente di -2.1°C, +2.3°C e +2.4°C. Anche le temperature massime han-no seguito più o meno lo stesso andamento, soprattutto in Ottobre (Tmax: 25.0°C; +3.5°C di scar-to rispetto al clima).

L’accumulo di gradi giorno ha risentito ovviamente delle temperature generalmente piùelevate del 2004. Le sommatorie termiche hanno raggiunto valori di 2567 gradi giorno, per quel-le calcolate sulla base dei 10°C, e 1315 gradi giorno per quelle calcolate sulla base dei 15°C. Loscarto rispetto alla climatologia è stato rispettivamente del 9% e dell’11%.

Le occorrenze di gelo si sono manifestate sostanzialmente nel primo trimestre dell’annoaccusando, rispetto alla climatologia, un incremento dell’82%.

La pluviometria dell’area corrisponde perfettamente al tipo di clima mediterraneo: precipi-

73

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 73

tazioni mediamente più abbondanti nei mesi iniziali e finali, più scarse o nulle nei mesi centralidell’anno. Ciò determina un periodo fisiologico di siccità cui contribuiscono anche gli elevati tas-si di evapotraspirazione che si registrano proprio in corrispondenza dei mesi più caldi e menopiovosi. Nel 2004 le piogge dei vari mesi sono state mediamente quasi sempre più abbondanti diquelle indicate dalla climatologia dell’area. È opportuno evidenziare fra tutti l’eccezionale appor-to piovoso di 227.6 mm registrato in Novembre, che è stato di ben 165.8 mm superiore al valoreclimatico oltrepassando di gran lunga anche il 95° percentile (166.9 mm) assunto quale limitesuperiore della variabilità climatica.

Lo stress idrico complessivo, calcolato sulla base dei valori medi climatici, indica un defi-cit evapotraspirativo di -648.5 mm ed un periodo siccitoso della durata di circa otto mesi. Nel2004, grazie ai più abbondanti e meglio distribuiti apporti piovosi, lo stress idrico si è sensibil-mente ridotto a -497.3 mm ed anche il periodo siccitoso si è contratto a circa sei mesi.

2.15 Area climatica Sic - Sicilia costiera

Il clima dell’area può essere definito temperato-caldo di tipo insulare con stagione estivamolto prolungata ed inverno mitigato dall’influenza marittima. Nel 2004 l’andamento delletemperature non ha presentato differenze significative rispetto alla climatologia ma, in alcunimesi, lo scostamento dalle medie climatiche è stato relativamente più importante. Gli scartinegativi hanno riguardato solo tre mesi: Gennaio, Maggio e Settembre e, principalmente, i valo-ri di temperatura minima. Più consistenti sono state le “anomalie” positive fra cui si distinguequella di Ottobre per la temperatura massima (+3.1°C) e quella di Dicembre per la temperaturaminima (+1.7°C).

Il 2004 è stato sostanzialmente un po’ più caldo della norma e ciò ha evidentemente influi-to sull’accumulo dei gradi giorno. Le sommatorie termiche hanno raggiunto valori di 2855 gradigiorno (su base dei 10°C), e 1452 gradi giorno (su base dei 15°C) con uno scarto rispetto alla cli-matologia rispettivamente del 5% e del 6%.

Le occorrenze di gelo, praticamente sconosciute per la climatologia dell’area, si sonomanifestate in Gennaio in corrispondenza di un generale raffreddamento che ha interessato l’inte-ro Paese.

La pluviometria dell’area, tipicamente mediterranea, presenta nel trimestre estivo volumidi precipitazione estremamente ridotti o nulli, mentre le piogge relativamente più cospicue sonoriunite soprattutto nei mesi invernali. Ciò determina un periodo fisiologico di siccità cui contri-buiscono anche gli elevati tassi di evapotraspirazione che si registrano proprio in corrispondenzadei mesi più caldi e meno piovosi. Nel 2004 le precipitazioni mensili sono state in genere piùabbondanti di quelle indicate dalla climatologia dell’area. Particolarmente piovosa è stata la sta-gione autunnale che si è giovata dei quasi 90 mm caduti in Settembre (+50 mm oltre la media cli-matica e +5 mm oltre la soglia del 95°p) e dei 129 mm di Novembre (+61 mm oltre la media cli-matica). Ancora più abbondante la pioggia di Dicembre (180.6 mm) che ha oltrepassato di circa20 mm la soglia del 95° percentile (161.2 mm) assunto quale limite superiore della variabilità cli-matica. Nel complesso, la pioggia caduta nel 2004 ha raggiunto i 735.4 mm.

Lo stress idrico complessivo, calcolato sulla base dei valori medi climatici, indica perl’area un deficit evapotraspirativo di -758.4 mm ed un periodo siccitoso della durata di quasi novemesi. Nel 2004, grazie ai più abbondanti e meglio distribuiti apporti piovosi, lo stress idrico si èsensibilmente ridotto a -556.9 mm ed anche il periodo siccitoso si è contratto a circa sei mesi.

74

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 74

2.16 Area climatica Sii - Sicilia interna

Il clima dell’area interna della Sicilia può essere definito temperato-caldo di tipo insulareanche se l’influenza del mare risulta in questo caso un po’ più attutita rispetto all’area costiera.Una peculiarità riguarda, ad esempio, le temperature o, con più evidenza l’occorrenza di gelateche, nei mesi invernali, sono un evento comunque contemplato nell’area, anche se associato aduna probabilità molto bassa. Nel primo trimestre 2004, considerando per di più la generale fles-sione delle temperature di inizio anno, si è manifestata addirittura un’impennata del 125% dieventi di gelo rispetto alle attese climatologiche.

Per quanto attiene in generale l’andamento delle temperature, l’analisi statistica non hariscontrato differenze significative rispetto alla climatologia. Per alcuni mesi, tuttavia, lo scosta-mento dalle medie climatiche è stato pittosto evidente come, ad esempio, il +1.7°C della tempera-tura minima in Dicembre, o il +3.3°C di temperatura massima in Ottobre che ha fatto quasi sfio-rare il limite superiore della variabilità climatica indicata da tre volte la deviazione standard (3 σ).Di un certo rilievo anche alcuni scarti negativi (-1.4°C per la Tmin e -1.3°C per la Tmax) chehanno caratterizzato in particolare il mese di Maggio.

Come in genere riscontrato a livello nazionale, il 2004 è risultato in quest’area un po’ piùcaldo della norma e ciò ha evidentemente influito anche sull’accumulo dei gradi giorno. Le som-matorie termiche hanno raggiunto valori di 2342 gradi giorno (su base 10°C), e 1176 gradi giorno(su base 15°C) con un guadagno rispetto alla climatologia rispettivamente del 6% e del 7%.

La pluviometria dell’area, di tipo mediterraneo, presenta una distribuzione degli apportipiovosi concentrata prevalentemente su sei mesi (il primo ed il quarto trimestre dell’anno). Con-siderando, oltretutto, il limitato volume di pioggia complessivamente atteso in un anno (508 mm),l’area risulta caratterizzata da un periodo fisiologico di siccità aggravato anche dagli elevatitassi di evapotraspirazione che si registrano proprio in corrispondenza dei mesi più caldi emeno piovosi. Il 2004, però, si è distinto per una precipitazione piovosa più abbondante delsolito (712 mm) grazie soprattutto al contributo delle stagioni primaverile ed autunnale. Partico-larmente piovosi sono stati i mesi di Settembre (84.3 mm), Novembre (132.0 mm) e Dicembre(186.6 mm) le cui precipitazioni hanno fatto registrare scarti dalla climatologia rispettivamente di+49.7 mm, +62.9 mm, +112.3 mm. Nel caso di Settembre e Dicembre sono state oltrepassateanche le rispettive soglie di massima precipitazione indicate dal 95° percentile.

Lo stress idrico complessivo, calcolato sulla base dei valori medi climatici, indica perl’area un deficit evapotraspirativo di -739.8 mm ed un periodo siccitoso della durata di circa ottomesi. Nel 2004, grazie ai più abbondanti apporti piovosi (soprattutto quelli primaverili), lo stressidrico si è sensibilmente ridotto a -551 mm ed anche il periodo siccitoso si è contratto a circa seimesi.

2.17 Area climatica Sac - Sardegna costiera

Il clima dell’area può essere classificato come temperato-caldo di tipo insulare caratterizza-to da un certo prolungamento della stagione estiva e una sensibile influenza marittima in grado dimitigare eventuali valori estremi della stagione invernale. Grazie anche a questa sua peculiarità,l’area non ha praticamente risentito dell’abbassamento delle temperature che in Gennaio ha inte-ressato, a parità di latitudine, buona parte dell’Italia continentale. Anzi, si può affermare chel’unica variazione tangibile di segno negativo rispetto alle medie climatiche si è registrata soltan-to in Maggio con uno scarto di circa -1.5°C, sia per la temperatura minima, sia per la temperatu-ra massima. Per quanto riguarda tutti gli altri mesi dell’anno, si è palesata una sostanziale confor-

75

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 75

mità ai riferimenti climatici. Anche in quest’area, però, si devono evidenziare le temperature piut-tosto elevate del mese di Ottobre (Tmax: 25.0°C; Tmin: 16.0°C) che hanno fatto registrare note-voli scostamenti dal riferimento climatologico (+3.4°C per la Tmax; +2.2°C per la Tmin).

L’accumulo di gradi giorno su base 10°C è potenzialmente distribuito su tutto l’anno, men-tre su base 15°C il periodo va grossomodo da Maggio a Novembre. Nel 2004 la dinamica dellesommatorie termiche è stata abbastanza aderente alla climatologia per quanto riguarda il periododi accumulo e la quantità gradi giorno. Su base 10°C la sommatoria termica ha raggiunto i 2537gradi giorno (+8%), mentre su base 15°C il cumulo è stato di 1283 gradi giorno (+14%).

La lunga stagione di crescita, definita dalla disponibilità di gradi utili ai processi vegetali dicrescita e sviluppo, deve in qualche modo confrontarsi con episodici eventi di gelo che trovanoriscontro nella climatologia dell’area e riguardano sostanzialmente il periodo da Novembre adAprile. Così è stato anche nel 2004 che, a parte piccole variazioni mensili, ha presentato nel com-plesso una incidenza di occorrenze di gelo del tutto confrontabile con quella climatica.

La pluviometria dell’area è abbastanza simile a quella di tipo mediterraneo e presenta pre-cipitazioni relativamente più abbondanti in autunno ed inverno, scarse in primavera, nulle o qua-si in estate. Viene così a determinarsi un periodo fisiologico di siccità aggravato dagli elevati tas-si di evapotraspirazione estiva. Nel 2004, dopo un Gennaio ed un Febbraio alquanto avari di piog-gia, le successive precipitazioni mensili hanno quasi sempre abbondato rispetto alla climatolo-gia, soprattutto in Aprile (99.6 mm) quando è stata oltrepassata la soglia massima della variabili-tà climatica fissata al 95° percentile (93.7 mm). Anche le precipitazioni di Novembre (123.7 mm)e Dicembre (142.7 mm) sono state molto abbondanti. Nel complesso, l’apporto di pioggia del2004 (670.2 mm) è stato di quasi il 28% maggiore dei riferimenti climatici.

Le migliori performance pluviometriche hanno contribuito a mitigare le condizioni siccito-se dell’area portando lo stress idrico a -568 mm rispetto a quello climaticamente previsto di -684.3 mm e riducendo contemporaneamente la lunghezza del periodo di siccità da otto a cinquemesi.

2.18 Area climatica Sai - Sardegna interna

L’area, benché interna e caratterizzata da una orografia complessa, può essere comunqueascritta al tipo di clima temperato-caldo di tipo insulare. L’andamento delle varie grandezze pre-se in esame, da un punto di vista climatico, non differisce di molto da quello dell’area costiera.Nel 2004, invece, emergono differenze dovute fondamentalmente ad una più bassa variabilitàespressa dall’area interna.

Le temperature 2004 hanno avuto un flesso rimarchevole in Maggio misurando uno scartodi -1.5°C per la temperatura minima e di -1.7°C per la temperatura massima. Anche in quest’areasi devono evidenziare le temperature piuttosto elevate del mese di Ottobre (Tmax: 24.8°C; Tmin:16.7°C) che hanno fatto registrare notevoli scostamenti dal riferimento climatologico (+3.3°C perla Tmax; +2.1°C per la Tmin) arrivando quasi a toccare il limite superiore della variabilità clima-tica (3 σ).

L’accumulo di gradi giorno su base 10°C è climaticamente distribuito su tutto l’anno, men-tre su base 15°C il periodo è compreso da Maggio a Novembre. Nel 2004 la dinamica delle som-matorie termiche è stata abbastanza aderente alla climatologia sia per quanto riguarda il periododi accumulo, sia per la quantità gradi giorno. Su base 10°C la sommatoria termica ha raggiunto i2402 gradi giorno (+9%), mentre su base 15°C il cumulo è stato di 1209 gradi giorno (+15%).

La lunga stagione di crescita, così come definita dalla disponibilità di gradi utili ai proces-

76

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 76

si vegetali di crescita e sviluppo, anche in questo caso deve confrontarsi con eventi di gelo acci-dentali che afferiscono ad climatologia che indica una quasi assenza di tali eventi. Nel 2004 sisono manifestati eventi di gelo in Gennaio ed in Marzo.

La pluviometria climatica dell’area presenta precipitazioni relativamente più abbondanti inautunno ed inverno, scarse in primavera, nulle o quasi in estate. L’area è pertanto contrassegnatada un periodo fisiologico di siccità aggravato dagli elevati tassi di evapotraspirazione estiva. Nel2004, dopo un Gennaio ed un Febbraio pluviometricamente deficitari, le precipitazioni mensilihanno quasi sempre abbondato rispetto alla climatologia, soprattutto in Aprile (92.7 mm) quan-do è stata oltrepassata la soglia massima della variabilità climatica fissata al 95° percentile(91.5 mm). Anche le precipitazioni di Novembre (119.0 mm) e Dicembre (142.2 mm) sono sta-te particolarmente abbondanti. Nel complesso, l’apporto di pioggia del 2004 (671.7 mm) è statodi quasi il 19% maggiore dei riferimenti climatici.

Le buone performance pluviometriche del 2004 hanno contribuito a mitigare le condizionisiccitose dell’area portando lo stress idrico a -577.9 mm rispetto a quello climaticamente previstodi -605.7 mm e riducendo contemporaneamente la lunghezza del periodo di siccità da circa ottomesi a cinque mesi.

3. Mappe

In appendice sono presentate alcune mappe (figg. 22-37) del territorio italiano relative aivalori medi annuali (o totali cumulati) e agli scostamenti rispetto al clima (1961-1990) registratinell’anno 2004 di:

– Temperatura minima

– Temperatura massima

– Temperatura media

– Precipitazione piovosa

– Sommatorie termiche (Tsoglia = 10°C)

– Sommatorie termiche (Tsoglia = 15°C)

– Occorrenze di gelo

– Evapotraspirazione di riferimento.

Le mappe sono state ottenute utilizzando le funzionalità di elaborazione e di grafica dispo-nibili nel modulo Geostatistical Analyst di ArcView. In considerazione della distribuzione regola-re dei punti di griglia, è stato utilizzato come strumento interpolatore l’Inverse Distance Wei-ghting (IDW).

Alle mappe sono stati sovrapposti i confini amministrativi regionali per consentire undiverso livello di lettura dei risultati.

77

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 77

Bibliografia

– AA.VV., Carta climatica del Piemonte, Regione Piemonte, Torino, 1998.

– Anselmi B., Geologia, geomorfologia e climatologia, Progetto LIFE Natura (LIFE99/NAT/IT/6229) Azione A2 Inventario scientifico. WWF-Italia 2000.

– Benincasa F., Maracchi G., Rossi P., Agrometeorologia, Pàtron - Bologna, 1991.

– Blasi C., “Il fitoclima d’Italia”, in Giorn. Bot. Ital. vol. 130, 1, 1996: 166-176.

– Bonini Baraldi A., Caratterizzazione climatologica del territorio veneto - Regione Veneto -Centro Sperimentale per l’Idrologia e la Meteorologia, Teolo (PD), 1993.

– Castrignanò A., Stelluti M., Studio della variabilità spaziale mediante la geostatistica, Isti-tuto Sperimentale agronomico, Bari, 2001.

– Ciavatta C., Vianello G., Bilancio idrico dei suoli: applicazioni tassonomiche, climatiche ecartografiche, CLUEB - Bologna, 1989.

– Constantinidis C., Bonifica ed irrigazione, Edagricole - Bologna, 1981

– Isaaks E.H., Srivastava R.M., An indroduction to applied geostatistics, Oxford UniversityPress, New York, 1989.

– Maracchi G., Pieri M., Manuale di spazializzazione dei dati agrometeorologici, ManualeTecnico n.11, Ce.S.I.A., Accademia dei Georgofili, Firenze, 1994.

– Mennella C., Il clima d’Italia, F.lli Conte Editori - Napoli, 1973.

– Perini L. et al. Atlante Agroclimatico - agroclimatologia, pedologia, fenologia del territorioitaliano. UCEA, Roma, 2004.

– Petrarca S., et al, Profilo climatico dell’Italia, ENEA, Roma, 1999.

– Pignatti S., Ecologia Vegetale, UTET - Torino, 1995.

– Pinna M., L’atmosfera e il clima, UTET Torino, 1978.

– Rosini E., Introduzione all’agroclimatologia (Parte prima: Le basi della climatologia),E.R.S.A. - Servizio Meteorologico Regionale - Bologna, 1988.

– Rosini E., Introduzione all’agroclimatologia (Parte seconda: Richiami di statistica),E.R.S.A. - Servizio Meteorologico Regionale - Bologna, 1988.

– Spiegel M.R, Statistica (2a edizione), Collana SCHAUM - ETAS Libri - Milano, 1992.

– Thornthwaite C.W. and Mather J.R., “Instructions and tables for computing potential evapo-transpiration and the water balance”. Publications in Climatology, Vol. 10, No. 3, pp. 185-311. Laboratory of Climatology, Drexel Institute of Technology, Centerton, New Jersey,1957.

– WMO, “État du climat mondial” en 2004 Bulletin Vol. 54 (2) Avril 2005; 87-91.

78

•Capitolo02 13-06-2007 10:07 Pagina 78

CAPITOLO 3

MONITORAGGIO DELLA STAGIONE IRRIGUA 2003*

Abstract

L’Italia è considerata un Paese ricco di risorse idriche, tuttavia alcuni fattori inerenti lanatura del territorio e la difforme distribuzione delle precipitazioni tra i diversi contesti geografi-ci, non consentono di ottimizzare l’utilizzo delle risorse potenzialmente disponibili. Negli ultimianni abbiamo assistito ad un susseguirsi di periodi siccitosi, che hanno interessato dapprima ilSud Italia, nel triennio 2000-2002 e, successivamente, il Centro-Nord Italia, nel corso del 2003, inaree tradizionalmente non soggette a questo tipo di problematiche.

Si pone all’attenzione delle autorità competenti, quindi, l’importanza della messa a puntodi un sistema di monitoraggio permanente del settore irriguo, che consenta di restituire alleAmministrazioni centrali e regionali, gli elementi di analisi più opportuni per una gestione dell’ir-rigazione all’interno dei territori consortili segnalando, se necessario, eventuali problematiche chedovessero insorgere nel corso della stagione.

Attualmente i dati sull’irrigazione in Italia si presentano disomogenei rispetto ai diversicontesti geografici. Per il Sud, l’indagine INEA fornisce un quadro stabile sullo stato strutturale edinfrastrutturale dell’irrigazione, mentre per il Centro e per il Nord la carenza di informazioniegualmente dettagliate, non consentono di definire un quadro coerente della situazione.

I vincoli sulle disponibilità idriche a disposizione dell’agricoltura irrigua meridionale, nonsono dovuti solo alla riduzione degli apporti pluviometrici, che pure hanno inciso, ma ancheall’aumento della domanda di acqua per usi diversi e non coordinati a livello territoriale, all’obso-lescenza delle reti, ad una gestione delle risorse ed alla realizzazione di investimenti non semprecoerenti con le esigenze, proprio per l’assenza di un sistema di monitoraggio integrato e perma-nente del settore idrico.

Nel documento in esame sono, quindi, analizzate nei dettagli le problematiche sulle dispo-nibilità idriche nelle regioni meridionali rientranti nell’obiettivo 1.

Italy is regarded as a rich water supplies country; nevertheless, the resources potentiallyavailable cannot be properly improved and optimized due to a few factors related to the structureof the territory and the unequal distribution of the precipitation.

In the last few years, droughty periods have followed each other continually, at first duringthe years 2000-2002 in Southern Italy, and then during 2003 in the Middle-North of Italy, inareas traditionally not affected by these problems.

The competent authorities should take great care over the planning of a permanent moni-toring system of irrigation. This system should provide to the central and regional administra-tions correct breakdowns for a proper handling of irrigation inside farmers’ unions; if necessaryit should also point out related problems which could rise during the season.

At present the data on irrigation available in Italy are odd and uneven in comparison withthe different geographical realities which can be fount in Italy.

Regarding Southern Italy the INEA analysis provides a steady picture on the structural and

79

* Corrado Lamoglie, MiPAF.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 79

infrastructural conditions of irrigation; regarding the Center and the North of Italy there is a lackof detailed information, which does not allow outlining a clear picture of the situation.

The constraints on the water resources at the disposal of southern irrigation agricultureare due to different factors, some of which are listed here below:

– the reduction of rainfalls (which have had a high incidence)

– the increase of water request for various and not co-ordinate uses at territorial level

– the obsolescence of the waterworks

– the proper use of water supplies

– investments of capitals. These investments are not always consistent with the demands,as there is no proper enduring survey of water supplies.

In this document, we provide a detailed analysis on the problems of water availability inthe Southern areas concerning the objective n. 1.

Premessa

In Italia, se pure considerata un Paese potenzialmente ricco di risorse idriche, la natura delterritorio, la difforme distribuzione delle precipitazioni tra contesti geografici, la conseguenteirregolarità dei deflussi superficiali e lo stato infrastrutturale delle reti non consentono di utilizza-re appieno le risorse potenzialmente disponibili. Ulteriori difficoltà per gli approvvigionamentiidrici sono considerati i periodi siccitosi che nel corso degli ultimi anni hanno interessato vastearee del nostro Paese, dapprima il Sud Italia nel triennio 2000-2002, successivamente il Centro-Nord Italia nel corso del 2003, aree tradizionalmente non soggette a questo tipo di problematiche.Proprio gli eventi siccitosi hanno portato all’attenzione generale i problemi legati alle variazioniclimatiche che stanno interessando il nostro territorio e alle conseguenti ripercussioni negativesoprattutto sul settore primario.

Da qui l’importanza della messa a punto di un sistema di monitoraggio permanente del set-tore irriguo che, basandosi sulla conoscenza delle principali variabili dell’irrigazione, consentadi restituire alle Amministrazioni centrali e regionali, deputate alla programmazione delle risorseidriche a fini irrigui, gli elementi di analisi sull’andamento dell’esercizio irriguo tenuto conto del-le disponibilità idriche mensili (in funzione dello stato delle fonti e delle reti), della gestione del-l’irrigazione all’interno dei territori consortili (volumi di acqua disponibili, superfici irrigate evolumi idrici distribuiti alle colture) e, segnalando laddove necessario, eventuali problematicheche dovessero insorgere nel corso della stagione.

Rispetto al quadro conoscitivo della dimensione dell’irrigazione in Italia, in termini didisponibilità, fabbisogni e uso delle risorse idriche a scopo irriguo, i dati a disposizione si presen-tano disomogenei e con un diverso grado di approfondimento per i diversi contesti geografici.Mentre per il Sud l’indagine INEA1, ha fornito un quadro ormai consolidato sullo stato strutturaleed infrastrutturale dell’irrigazione; la carenza di informazioni egualmente dettagliate anche per ilCentro e per il Nord, il diverso approccio metodologico seguito nelle sole rilevazioni per le qualisi dispone di dati e le competenze in materia diversamente distribuite e in molti casi frammentate,non consentono di definire in un quadro omogeneo lo stato dell’irrigazione nel nostro Paese.

80

1 Pom “Ampliamento e adeguamento della disponibilità e dei sistemi di adduzione e distribuzione delle risorse idriche” - Sottopro-gramma III Misura 3 - Studio sull’uso irriguo della risorsa idrica, sulle produzioni agricole irrigate e sulla loro redditività. - Qcs1994/99.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 80

Per quanto riguarda l’Italia meridionale, dove l’attività di monitoraggio della stagione irri-gua viene realizzata sin dal 1999, si riportano gli ultimi dati disponibili riferiti alla stagione 2003.Le informazioni rilevate, in particolare, hanno riguardato il grado di riempimento mensile degliinvasi artificiali, le superfici irrigate e le coltivazioni che sono state realizzate nel corso della sta-gione irrigua, le eventuali iniziative regionali e consortili adottate per migliorare l’allocazionedelle risorse idriche disponibili tra gli utilizzatori finali, prima fra tutti il settore primario.

Prima di passare in rassegna i principali risultati dell’attività di monitoraggio, vale la penaricordare che i vincoli sulle disponibilità idriche a disposizione dell’agricoltura irrigua meridiona-le non sono dovuti solo alla riduzione degli apporti pluviometrici, che pure hanno inciso ed inci-dono principalmente sullo stato delle fonti di approvvigionamento, ma che molto dipende anchedall’aumento della domanda di acqua per usi diversi e non coordinata a livello territoriale, dal-l’obsolescenza delle reti, da una gestione delle risorse e dalla realizzazione di investimenti nonsempre coerenti con le esigenze, da un livello di conoscenza dell’impiego di acqua per i diversiusi non sempre attendibile e tempestivo, proprio per l’assenza di un sistema di monitoraggio per-manente del settore idrico.

1. Le problematiche sulle disponibilità idriche nelle regioni meridionali

I sistemi irrigui meridionali si sviluppano attraverso schemi idrici più o meno complessi aseconda del numero e della natura delle fonti di approvvigionamento, delle quantità di acquadisponibili e trasferite e delle distanze tra fonti di approvvigionamento e territori serviti. Con rife-rimento alle diverse tipologie di fonti di approvvigionamento, gli schemi idrici dell’Italia meri-dionale sono condizionati dalle disponibilità idriche presenti nei serbatoi idrici artificiali, che nerappresentano nel complesso le fonti prevalenti sia per gli schemi regionali che per quelli interre-gionali. In Sardegna, Sicilia, Calabria e Basilicata si concentra più del 40% della capacità di inva-so artificiale italiana.

Nonostante il numero delle dighe presenti nel Mezzogiorno ed il volume di acqua in essepotenzialmente accumulabile, diverse risultanze emerse da una recente indagine del dipartimentodella protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno confermato la progressi-va riduzione dei volumi accumulabili nei serbatoi idrici artificiali a causa della riduzione del 10-20% della piovosità media annuale, registrata in più di cinque anni di osservazione2. In Basilicata ein Sardegna, ad esempio, una riduzione del 20% delle piogge avrebbe causato un calo del 50%delle acque disponibili. La stima dell’indice di precipitazione standardizzato (SPI), fornita dai Ser-vizi della Protezione Civile, ha evidenziato su scala nazionale una tendenza verso valori negativi,cioè un progressivo e costante aggravamento dello stato siccitoso nell’arco degli ultimi 25 anni inSicilia, Sardegna, Puglia ed Alpi centrali. In particolare, nel periodo di osservazione che va dal set-tembre 2001 al gennaio 2002, il deficit di precipitazioni è risultato pari al 50% nel Nord, al 36% alCentro e al 50% nel Sud, rispetto al valore medio delle serie storiche di osservazioni per lo stessoperiodo. Sulla scorta di queste osservazioni, la porzione di territorio nazionale affetta da fenomenisiccitosi perduranti stagionalmente, è passata negli ultimi 20 anni dall’8% al 20%.

Proprio le regioni meridionali a causa della loro posizione geografica e del clima, diffusa-mente semiarido, sono le più vulnerabili a periodi siccitosi prolungati. Difatti, la sequenza diannate siccitose registrate a partire dal 2000 ha determinato una progressiva riduzione delle risor-se idriche disponibili presso tutte le fonti di approvvigionamento (sorgenti, invasi, falde), con

81

2 Appunti per una campagna d’informazione sulle crisi e le emergenze idriche, Roma, luglio 2003.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 81

valori minimi registrati nella prima metà del 2002. La conseguente crisi gestionale di tutti glischemi di approvvigionamento idrico ha causato ingenti danni soprattutto al settore agricolo, datoche la legge Galli, in caso di difficoltà a soddisfare la domanda intersettoriale, stabilisce comeprioritario il fabbisogno potabile e civile.

Attraverso l’indagine sull’uso delle risorse idriche a scopo irriguo effettuata dall’INEA si èpotuto rilevare in media per le regioni meridionali una disponibilità idrica totale per l’irrigazionedi poco superiore a 3.300 milioni di metri cubi, a fronte di un fabbisogno irriguo di quasi 3.700milioni di metri cubi3. Rispetto a questo deficit che appare strutturale e, considerando la variabili-tà degli eventi climatici, il solo obiettivo di raggiungere il pareggio tra disponibilità e fabbisognitotali può non essere sufficiente a garantire adeguate disponibilità idriche annue. Infatti nelleregioni che risultano maggiormente deficitarie (Basilicata, Puglia, Sardegna e Sicilia) gli eventisiccitosi che hanno contraddistinto il triennio 2000-2002 hanno dimostrato quanto possa diventa-re allarmante la situazione; tutto ciò è ancor più evidente se si analizza, ad esempio, l’andamentodelle disponibilità idriche negli invasi delle quattro regioni citate nel quinquennio 1999-2003.

La riduzione delle precipitazioni piovose registrata a partire dal periodo invernale del 2000fino alla prima metà del 2002 ha impedito la realizzazione di riserve idriche sufficienti a soddisfa-re le richieste provenienti dai diversi settori produttivi. Le situazioni più critiche sono state regi-strate in Basilicata e Puglia nel periodo estivo-autunnale del 2001, in corrispondenza del quale,l’emergenza idrica ha raggiunto livelli drammatici tali da pregiudicare l’approvvigionamentopotabile delle due regioni; questa situazione si è protratta sino alla fine dell’estate del 2002.Anche per la Sicilia e la Sardegna, nonostante il 2001 abbia fatto registrare una leggera ripresadei volumi idrici accumulati rispetto al 2000, la nuova riduzione delle piogge sino alla fine del-l’estate dello stesso anno, ha determinato forti ripercussioni sulle disponibilità idriche per la sta-gione irrigua 2002.

Dai dati riportati in tabella 1.1, si evince che a fronte di una capacità di invaso dei 68 serba-toi considerati (invasi e regioni per le quali si hanno a disposizione dati significativi per più anni)pari a circa 3.594 milioni di metri cubi, è stato registrato all’inizio della stagione irrigua 2002 unaquantità di acqua raccolta pari a 766 milioni di metri cubi: solo il 21% della potenzialità comples-siva di invaso delle quattro regioni considerate.

Rispetto al 2001, anno già particolarmente siccitoso, il 2002 ha fatto registrare sin dall’ini-zio della stagione irrigua, valori fortemente deficitari dei volumi invasati in Basilicata (-76%), inSardegna (-56%), in Sicilia (-47%) e in Puglia (-15%), regione quest’ultima che dipende in mas-sima parte dai trasferimenti di acqua dagli invasi lucani. Se si tiene conto, inoltre, che gli invasilucani e pugliesi sono parte fondamentale di schemi idrici interregionali che coinvolgono anche laCampania, il Molise e la Calabria, le difficoltà di approvvigionamento e di utilizzazione irriguadella Basilicata e della Puglia hanno coinvolto anche alcuni comprensori delle altre regioni limi-trofe. La crisi idrica ha indotto i Consorzi di bonifica, enti che gestiscono più di 800.000 ettari disuperficie attrezzata per l’irrigazione del Mezzogiorno, ad emanare urgenti direttive all’avvio del-la stagione irrigua 2002 volte a scoraggiare gli investimenti a colture erbacee ed orticole annualie ad assicurare la risorsa agli allevamenti zootecnici, alle colture foraggere e ai soli impianti arbo-rei. Tutto questo però non ha evitato danni ingenti alle produzioni agricole di pieno campo eanche agli allevamenti zootecnici che non hanno potuto contare su scorte alimentari sufficienti.

Un’ulteriore conseguenza rilevata durante i periodi in cui non si è potuto disporre di ade-guate quantità di acqua, è stato l’aumento del prelievo autonomo di risorse idriche sotterranee,

82

3 Queste rilevazioni hanno tenuto conto dello stato funzionale effettivo, delle potenzialità di erogazione e dei vincoli sull’utilizzazio-ne delle fonti di approvvigionamento censite.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 82

83

Tabe

lla 1

.1 -

Vol

umi d

i acq

ua c

ompl

essi

vam

ente

acc

umul

ati n

egli

inva

si d

elle

reg

ioni

mer

idio

nali

nelle

sta

gion

i irr

igue

199

9-20

03 (

mili

oni d

im

etri

cub

i)

Reg

ione

Serb

atoi

idri

ci

Stag

ione

irri

gua

arti

fici

ali m

onit

orat

i

1999

2000

2001

2002

2003

nrca

paci

tàin

izio

1m

ese

iniz

iom

ese

iniz

iom

ese

iniz

iom

ese

iniz

iom

ese

d’in

vaso

di p

unta

2di

pun

tadi

pun

tadi

pun

tadi

pun

ta

Bas

ilica

ta6

755

468

351

359

211

337

212

8110

755

538

7Pu

glia

543

426

312

916

574

8857

7568

361

229

Sici

lia23

732

341

194

263

230

343

256

183

138

372

302

Sard

egna

341.

673

695

468

420

224

961

665

427

262

1.22

393

5

tota

le68

3.59

41.

767

1.14

21.

207

739

1.72

91.

190

766

575

2.51

11.

853

% s

u to

tale

del

la c

apac

ità d

i inv

aso

49,2

31,8

33,6

20,6

48,1

33,1

21,3

16,0

69,9

51,6

1A

vvio

del

la s

tagi

one

irri

gua

(coi

ncid

e co

n m

arzo

-apr

ile)

2M

ese

con

mag

gior

e fa

bbis

ogno

idr

ico

(coi

ncid

e co

n lu

glio

-ago

sto)

Fon

te:

elab

oraz

ione

IN

EA

su d

ati

forn

iti

dagl

i en

ti g

esto

ri e

dal

la R

egio

ni

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 83

anche dove sono presenti reti irrigue normalmente servite da acque superficiali gestite dai Con-sorzi di bonifica. I dati raccolti dall’INEA proprio in corrispondenza delle stagioni irrigue 2001-2002 hanno dimostrato quanto sia frequente da parte degli imprenditori agricoli il ricorso adacque sotterranee. Questa forma di approvvigionamento ha determinato, soprattutto lungo lefasce costiere delle regioni meridionali, un abbassamento del livello delle falde e un depaupera-mento delle risorse idriche sotterranee a causa della crescente intrusione salina.

Lo stato delle disponibilità idriche accumulate negli invasi è migliorato solo nel corso del-la stagione invernale 2002-2003 quando le piogge abbondanti di questo periodo, al di sopra deivalori medi stagionali, hanno permesso di rilevare nella primavera del 2003 una significativaripresa dei volumi idrici accumulati che si sono attestati ad un +228% rispetto allo stesso periododel 2002. L’aumento generalizzato delle disponibilità idriche invasate rispetto al 2002, con puntesignificative raggiunte proprio in Basilicata e Puglia, +585% e +382% rispettivamente, e di quel-le provenienti dalle altre fonti di approvvigionamento (ad esempio sorgenti), hanno consentito,dopo due anni critici, il normale decorso dell’esercizio irriguo 2003 nella maggior parte dei Con-sorzi di bonifica delle regioni meridionali.

Infine, gli eccezionali eventi pluviometrici che hanno continuato a caratterizzare l’ultimaparte del 2003 e l’inizio del 2004 hanno determinato un ulteriore incremento delle disponibilitàidriche come registrato all’avvio della stagione irrigua 2004. Nella tabella 1.2, sono riportati idati di monitoraggio degli invasi al 31 maggio 2004 confrontati con quelli alla stessa data del2003. Rispetto a quest’ultimo anno si registra un aumento del 33% della risorsa idrica totale accu-mulata; i maggiori incrementi sono stati registrati in Sicilia e Sardegna rispettivamente con il 42 e36% di acqua in più. L’aumento generalizzato dei volumi invasati, che in diversi serbatoi a causadel protrarsi delle abbondanti ed intese piogge hanno raggiunto livelli di guardia rispetto allecapacità di accumulo massima o a quelle autorizzate, ha richiesto l’apertura degli organi di con-trollo degli sfiori delle dighe per lasciare defluire a valle degli invasi cospicui quantità di acqua.

Stante le disponibilità rilevate al secondo trimestre del 2004, la stagione irrigua attuale èiniziata sotto i migliori auspici per quanto riguarda i volumi idrici a disposizione dell’agricolturairrigua delle regioni meridionali. Tenuto conto, però, del carattere di regolazione pluriennale checaratterizza la maggior parte degli invasi considerati, dei livelli attuali raggiunti negli invasi e,per contro, delle situazioni drammatiche registrate negli anni passati, le regioni meridionali sonochiamate ad affrontare, come molte stanno già facendo, con la dovuta attenzione la programma-zione e la distribuzione dell’acqua tra i diversi settori produttivi all’inizio di ogni stagione, pergarantire riserve idriche sufficienti a protezione degli invasi qualora dovessero verificarsi nuovieventi siccitosi. Per lo stesso motivo diventa strategico, nell’attuale contesto, promuovere azionivolte alla razionalizzazione dell’uso dell’acqua in tutti i settori compreso quello irriguo. Nel casodell’uso agricolo dell’acqua, una condizione necessaria per l’adozione di sistemi di gestione epianificazione razionale delle risorse idriche per l’irrigazione è il continuo aggiornamento dellostato di conoscenza per individuare le aree e/o i punti critici dei sistemi irrigui, ciò permetterebbedi specificare le esigenze prioritarie di intervento e di porre in essere azioni che possano garanti-re un uso razionale e parsimonioso di una risorsa sempre più limitata.

84

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 84

2. Il monitoraggio della stagione irrigua

La necessità di realizzare un sistema di monitoraggio costante delle stagioni irrigue discen-de proprio dall’esigenza di colmare alcune carenze informative a livello locale sulle principalivariabili irrigue e di omogeneizzare i dati ottenibili ed utilizzabili in ognuna delle regioni monito-rate. Il quadro di riferimento che scaturisce dalle rilevazioni effettuate nel corso della stagioneirrigua 2003 presso le Regioni e i Consorzi di bonifica, appare ancora disomogeneo a causa delladiversa gestione e del diverso trattamento dei dati relativi ai risultati dell’esercizio irriguo.

Al fine di monitorare la stagione irrigua, infatti, oltre all’analisi dell’andamento delledisponibilità idriche è necessario individuare anno per anno e per ognuno dei Consorzi di bonifi-ca, i fabbisogni idrici necessari, i prelievi e le erogazioni effettuate dagli enti gestori in relazioneagli ordinamenti produttivi praticati nei singoli comprensori irrigui. Le analisi e le valutazioni diqueste informazioni nonché la loro integrazione con i dati agrometeorologici, dai quali questotipo di analisi non può prescindere per individuare i momenti opportuni per l’apporto irriguo, e laloro sovrapposizione con gli altri strati informativi già disponibili ed organizzati in un sistemainformativo per la gestione delle risorse idriche in agricoltura (SIGRIA) messo a punto dall’INEA

(uso del suolo, fabbisogni irrigui, stato della rete, schemi idrici, tipologie degli investimenti pro-posti), possono essere utili per individuare:

– eventuali aree o schemi irrigui suscettibili a possibili rischi dovuti ai ricorrenti fenome-ni siccitosi o a carenze infrastrutturali;

– il grado di rischio e le cause determinanti una riduzione delle disponibilità idriche (scar-se precipitazioni, obsolescenza delle reti, pressione della domanda idrica intersettoriale,inadeguate tecniche di irrigazione, etc.);

– le priorità di intervento che, rispetto allo stato di realizzazione in atto degli interventiprogrammati e finanziati dalle Amministrazioni nazionali e regionali, possono risponde-re ad eventuali necessità congiunturali (si veda ad esempio la problematica relativaall’utilizzazione delle acque reflue emersa durante le passate stagioni siccitose).

In merito ai prelievi e alle erogazioni idriche è opportuno rilevare la difficoltà oggettivaincontrata per pervenire a dati puntuali a causa della carenza dei dati relativi ai volumi stagionalieffettivamente erogati e distribuiti per la pratica irrigua; la determinazione è inoltre resa difficile

85

Tabella 1.2 - Volumi di acqua complessivamente accumulati al 31 maggio negli invasi diquattro regioni meridionali negli ultimi tre anni (valori in milioni di metri cubi)

Regione Serbatoi idrici artificiali Monitoraggio al 31 maggio

capacità Var. %nr d’invaso 2003 2004 2004/2003

Basilicata 6 755 508 698 37,4Puglia 5 434 341 357 4,7Sicilia 23 732 401 570 42,1Sardegna 34 1.718* 1.176 1.605 36,5

totale 68 3.639 2.426 3.230 33,1

% su totale della capacità di invaso 66,7 88,8

* Si riferisce alla capacità d'invaso massima autorizzata a maggio 2004

Fonte: elaborazione INEA su dati degli enti gestori degli invasi e delle Regioni

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 85

dal fatto che i volumi di acqua prelevati variano in funzione della domanda espressa dall’agricol-tura per singola stagione irrigua la quale dipende a sua volta dall’andamento climatico, dallecaratteristiche dei suoli agrari e dagli ordinamenti produttivi praticati; per queste ultime informa-zioni non sempre sono disponibili dati sufficienti.

Un altro elemento indispensabile per definire la quantità di acqua effettivamente utilizzatain agricoltura e il grado di efficienza nella distribuzione idrica, è la possibilità di misurare il con-sumo di acqua in tutti i comprensori irrigui. Come per i prelievi, anche la determinazione dei con-sumi irrigui appare problematica poiché manca un sistema in grado di fornire sistematicamente eper ogni anno di osservazione le informazioni riguardanti i volumi effettivamente distribuiti dal-le singole aziende agricole e i sistemi irrigui adottati. In molti casi non sono disponibili i dati rela-tivi alle superfici e alle colture che si intendono irrigare a causa anche dei diversi sistemi di con-tribuenza adottati. Per questi motivi, la determinazione dei fabbisogni e la conseguente richiestadei volumi idrici necessari per garantire il normale svolgimento di una stagione irrigua è, nellamaggioranza dei casi, basata su stime dei fabbisogni idrici ottenute attraverso l’utilizzazione diparametri che forniscono informazioni sulle dotazioni idriche medie necessarie per unità di super-ficie irrigabile (indipendente dalla coltura praticata); in questi casi si perviene a stimare notevol-mente in eccesso i fabbisogni e di conseguenza i consumi realmente realizzati.

3. I Principali risultati regionali della stagione irrigua 2003

Basilicata

Andamento delle disponibilità idriche

La situazione delle disponibilità idriche registrata tra il 2001 e il 2002 e il decorso meteoro-logico rilevato sino alla prima metà del 2002, non lasciavano intravedere possibilità di ripristino divolumi idrici sufficienti a programmare sia le stagioni irrigue future che l’allocazione ottimale del-le risorse idriche agli altri settori (civile ed industriale). Tali considerazioni4 erano peraltro avvalo-rate dal fatto che la regolazione dei principali invasi lucani, come la maggior parte di quelli presen-ti nelle regioni meridionali, è prevalentemente di tipo pluriennale, per cui se non si fossero verifi-cati consistenti apporti pluviometrici negli anni a seguire, altrettanto eccezionali quanto lo statosiccitoso fino ad allora delineatosi, lo stato critico nel quale versavano le principali fonti di approv-vigionamento era destinato ad aggravarsi ulteriormente con gravissime ripercussioni non solo sul-l’economia agricola regionale ma anche su quella delle regioni confinanti, visto che dagli stessiinvasi lucani si trasferiscono cospicue quantità di acqua anche alle regioni limitrofe. Infatti, glischemi idrici di maggiore rilevanza (Jonico-Sinni, Basento-Bradano ed Ofanto) hanno carattereinterregionale, interessando anche le regioni limitrofe alla Basilicata, soprattutto la Puglia. A que-sto riguardo è opportuno, prima di analizzare l’andamento delle disponibilità idriche registratepresso gli invasi lucani, richiamare brevemente le competenze e le attività che oggi regolano laprogrammazione, l’utilizzazione e il trasferimento delle risorse idriche tra queste due regioni.

Lo schema che maggiormente coinvolge gli interessi lucani e quelli pugliesi, è lo Jonico-Sinni alimentato da ben tre fiumi della Basilicata, il Sinni, l’Agri ed il Bradano, che sfociano nel-lo Jonio e i cui apporti d’acqua, anche per i bacini del Bradano e del Sinni ricadenti parzialmentein Puglia e in Calabria, provengono quasi esclusivamente dal suolo lucano. Data la complessità

86

4 Cfr “Rapporto finale sull’andamento della stagione irrigua 2001” - http//www.inea.it.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 86

infrastrutturale e la rilevanza delle opere di approvvigionamento che interessano questo schema,nonché l’estensione dei territori ad esso sottesi e i settori produttivi coinvolti, diminuzioni sensi-bili (come quelle registrate negli anni passati) dei volumi di acqua accumulati negli invasi posso-no influire in maniera determinante sulle attività produttive delle regioni interessate. Proprio peraffrontare e risolvere le problematiche connesse alla gestione razionale e ottimale delle risorseidriche lucane condivise con le altre regioni per i diversi usi, l’Autorità di Governo5 della risorsaidrica condivisa tra le Regioni Basilicata e Puglia, è stata individuata quale organismo che deverealizzare le attività previste per l’adozione del bilancio idrico complessivo predisposto dalle dueRegioni e dei criteri utili a programmare l’uso, la destinazione e l’allocazione territoriale dellerisorse idriche, nonchè la determinazione della tariffa dell’acqua all’ingrosso e le azioni di salva-guardia dei bacini interessati dagli invasi e dalle infrastrutture idrauliche.

Un aspetto rilevante di tale attività ha riguardato l’elaborazione di un modello di previ-sione del bilancio idrico, la sua applicazione agli invasi interessati dall’Accordo di Programmae il monitoraggio dei fabbisogni idrici per i diversi usi (potabili, agricoli, industriali) espressidagli enti destinatari della risorsa presenti sul territorio interessato (Acquedotto Pugliese,Acquedotto Lucano, Consorzi di bonifica, Consorzi industriali). Proprio in riferimento all’atti-vità citata e a seguito del periodo siccitoso che ha caratterizzato il biennio 2001-2002, l’Autori-tà di Governo riguardo alle risorse idriche condivise degli invasi di Monte Cotugno sul Sinni,del Pertusillo sull’Agri, di S. Giuliano sul Bradano, a quelle regolate dalla traversa Santa Vene-re sull’Ofanto e al fine di evitare situazioni di crisi come quelle verificatesi negli scorsi anni,prima dell’inizio di ogni stagione irrigua valuta le richieste idriche degli utilizzatori, confrontale disponibilità con i fabbisogni e programma l’allocazione delle risorse disponibili fra gli uten-ti degli schemi interregionali, verificando che siano soddisfatti innanzitutto i fabbisogni ad usoidropotabile come previsto dalla legge 36/94 (c.d. Galli) e che sia garantita una riserva “cusci-netto” di risorsa idrica al di sotto della quale non sono consentiti prelievi se non in casi eccezio-nali e solo per l’uso potabile.

Le regole per la programmazione dell’uso delle risorse idriche dettate dall’Autorità diGoverno alla luce dei periodi siccitosi verificatesi negli anni precedenti e l’eccezionale andamen-to pluviometrico che ha caratterizzato il periodo autunno 2002 - primavera 2003, hanno contribui-to a preservare una sufficiente riserva idrica negli invasi lucani. In particolare i livelli di accumu-lo che sono stati rilevati nel corso del 2003 sono risultati al di sopra dei valori registrati nel corsodegli anni precedenti e notevolmente superiori a quelli del 2002, che nell’ultimo quindicennio èstato il secondo anno dopo il 1990 in cui sono stati registrati i volumi minimi storici delle dispo-nibilità idriche. Questo stato è evidente se si confrontano per esempio nelle figure 3.1 e 3.2 i datimensili delle disponibilità dei due principali invasi lucani, Monte Cotugno e Pertusillo, durantegli ultimi quindici anni.

87

5 Istituita nell’ambito dell’Accordo di Programma tra le Regioni Basilicata e Puglia e il Ministero dei Lavori Pubblici (ai sensi del-l’ex art. 17 della l. 36/94) il 5 agosto del 1999 è composta da un rappresentante dell’ex Ministero dei Lavori Pubblici, dai Presi-denti delle due Regioni e dai Segretari delle Autorità di Bacino di Puglia e Basilicata.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 87

Figura 3.1 - Andamento delle disponibilità idriche mensili nel quindicennio 1998-’03 nel-l’invaso di Monte Cotugno

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’EIPLI e dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

Figura 3.2 - Andamento delle disponibilità idriche mensili nel quindicennio 1998-’03 nel-l’invaso del Pertusillo

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’EIPLI e dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

88

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Mesi per anno

Milioni mc

gen. febr. marzo apr. mag. giug. lugl. agosto sett. ott. nov. dic.

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003

Mesi per anno

Milioni mc

gen. febr. marzo apr. mag. giug. lugl. agosto sett. ott. nov. dic.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 88

Se si restringe il campo di osservazione agli ultimi cinque anni e si considerano tremomenti della stagione irrigua, aprile, luglio e novembre che segnano rispettivamente l’inizio, ilmese di punta e la fine della stagione, è ancora più evidente il recupero di risorsa idrica disponibi-le nel corso del 2003; in particolare, le variazioni percentuali dei valori relativi alle risorse idrichetotali accumulate nel 2003 rispetto a quelli dell’anno precedente sono pari a +281% di aprile, a+264% di luglio e a +167% di novembre (figura 3.3).

Figura 3.3 - Confronto dei volumi totali di acqua disponibili negli invasi lucani nel quinquen-nio 1999-’03 (valori in milioni di metri cubi)

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’EIPLI e dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

Nelle figure successive si riportano gli andamenti riferiti agli stessi periodi per i singoliinvasi lucani. In tutti i casi e i periodi considerati, il 2003 ha fatto segnare valori superiori rispet-to al quinquennio in esame per gli invasi Monte Cotugno e Pertusillo e rispetto ai tre anni prece-denti per l’invaso di San Gliuliano (invasi importanti per la gestione e la condivisione delle risor-se idriche con la Puglia); anche gli altri invasi registrano riprese sensibili rispetto al biennio sicci-toso 2001-2002 ad eccezione della traversa di Gannano i cui volumi idrici si mantengono su valo-ri più o meno costanti.

89

0

100

200

300

400

500

600

1999

aprile 491,17

luglio 351,03

novembre 206,66

2000

369,75

211,30

106,13

2001

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

372,97

211,63

33,44

2002

147,64

106,51

103,41

2003

562,93

387,22

275,98

Var. % 2003-2002

281,3

263,5

166,9

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 89

Figura 3.4 - Volumi idrici disponibili nei singoli invasi lucani nel quinquennio ’99-’03

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’EIPLI e dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

90

50

0aprile

100

150

200

250

300

350

4001999

luglio novembre

stagione irrigua

Monte Cotugno

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

20

0aprile

40

60

80

100

120

1401999

luglio novembre

stagione irrigua

Pertusillo

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

80

90

1001999

luglio novembre

stagione irrigua

San Giuliano

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

2

0aprile

4

6

8

101999

luglio novembre

stagione irrigua

Gannano

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

5

0aprile

10

15

20

25

30

35

401999

luglio novembre

stagione irrigua

Camastra

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

5

0aprile

10

15

20

25

30

35

401999

luglio novembre

stagione irrigua

Basentellod

isp

onib

ilità

idric

he (M

mc)

2000 2001 2002 2003

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 90

A fronte delle disponibilità raggiunte all’inizio della stagione irrigua 2003, l’Autorità diGoverno ha potuto programmare l’allocazione delle risorse idriche tra gli utilizzatori senza regi-strare particolari problemi. Nella tabella 3.1, si riportano le richieste idriche medie effettuate daiprincipali utilizzatori delle risorse idriche regionali mentre nelle tabelle 3.2 e 3.3, sono riportate leerogazioni annuali autorizzate per i diversi usi dagli invasi del Sinni e del Pertusillo dal 1992 eripartite fra la Basilicata e la Puglia. Per quanto riguarda l’invaso di San Giuliano sul Bradano,gestito dal Consorzio di bonifica di Bradano e Metaponto, le erogazioni annuali sono regolate daspecifica convenzione, tra questo Consorzio e quello dello Stornara e Tara in Puglia, che stabili-sce una ripartizione al 50% tra i due consorzi delle risorse idriche disponibili.

Tabella 3.1 - Richieste idriche medie annue dai principali invasi lucani

Invasi Utilizzatori Regione Volumi idrici richiesti (mc)

Monte Cotugno Acquedotto Pugliese Puglia-Basilicata 110.000.000Consorzio di Bonifica Bradano e Metaponto Basilicata 100.000.000Consorzio di Bonifica Alta Val d’Agri Basilicata 6.000.000Consorzio di Bonifica Stornara e Tara Puglia 35.000.000Consorzio di Bonifica Ferro e Sparviero Calabria 9.000.000ILVA di Taranto Puglia 13.000.000

Pertusillo Acquedotto Pugliese Puglia-Basilicata 110.000.000Consorzio di Bonifica Bradano e Metaponto Basilicata 50.000.000Consorzio di Bonifica Alta Val d’Agri Basilicata 7.000.000

San Giuliano Consorzio di Bonifica Bradano e Metaponto Basilicata 30.000.000Consorzio di Bonifica Stornara e Tara Puglia 30.000.000

Camastra Acquedotto Pugliese Basilicata 10.000.000Consorzio ASI Val Basento Basilicata 6.000.000Consorzio di Bonifica Bradano e Metaponto1 Basilicata 10.000.000

Basentello Consorzio di Bonifica Bradano e Metaponto Basilicata 6.000.000

Rendina Consorzio di Bonifica Vulture Alto Bradano Basilicata 10.000.000

TOTALE 542.000.000

1 Solo in caso di emergenza idrica

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

91

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 91

Tabella 3.2 - Erogazioni idriche dall’invaso di Monte Cotugno sul Sinni dal 1992 al 2003(valori in metri cubi)

Anno Regioni Totale annuo erogato

Basilicata Puglia

Utilizzazione Irriguo Potabile Irriguo Potabile Industriale

1992 117.441.855 7.275.254 12.561.480 108.449.723 8.232.390 253.960.7021993 66.666.369 7.508.074 9.382.176 97.534.971 11.630.045 192.721.6351994 134.637.047 8.050.226 30.183.913 102.624.206 15.736.695 291.232.0871995 105.097.994 7.627.848 26.401.220 116.385.552 16.650.086 272.162.7001996 110.106.378 7.693.540 28.327.053 110.252.225 17.839.437 274.218.6331997 154.847.424 8.247.416 34.594.084 114.126.710 18.367.797 330.183.4311998 157.703.792 8.224.565 33.395.790 115.035.639 18.535.321 332.895.1071999 158.234.169 8.152.108 32.768.984 120.247.028 18.225.824 337.628.1132000 92.535.059 8.239.718 22.785.338 109.537.401 16.203.463 249.300.9792001 109.438.791 8.250.784 32.164.867 107.348.454 13.448.627 270.651.5232002 18.334.885 6.665.933 4.274.676 81.097.718 10.350.675 120.723.8872003 104.626.080 7.069.507 31.708.800 93.923.453 11.050.560 248.378.400

media per utilizzazione 110.805.820 7.750.414 24.879.032 106.380.257 14.689.243 264.504.76642% 3% 9% 40% 6% 100%

media per regione 118.556.235 145.948.532 264.504.76645% 55% 100%

Tabella 3.3 - Erogazioni idriche dall’invaso del Pertusillo sull’Agri dal 1992 al 2003 (valoriin metri cubi)

Anno Regioni Totale annuoerogato

Basilicata Puglia

Utilizzazione Irriguo Potabile Potabile

1992 56.884.000 3.150.000 108.233.000 168.267.0001993 45.254.000 3.150.000 100.081.000 148.485.0001994 77.150.000 3.150.000 104.033.000 184.333.0001995 55.169.000 3.150.000 107.465.000 165.784.0001996 50.548.000 3.150.000 110.927.000 164.625.0001997 51.695.000 3.150.000 101.908.000 156.753.0001998 52.535.000 3.150.000 108.970.000 164.655.0001999 42.791.000 3.150.000 108.220.000 154.161.0002000 54.782.000 3.150.000 102.544.000 160.476.0002001 54.374.000 3.150.000 99.997.000 157.521.0002002 2.000.000 3.784.320 86.109.680 91.894.0002003 41.415.840 3.146.170 101.726.150 146.288.160

media per utilizzazione 48.716.487 3.202.541 103.351.153 155.270.18031% 2% 67% 100%

media per regione 51.919.028 103.351.153 155.270.18034% 67% 100%

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

92

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 92

La stagione irrigua nei Consorzi di bonifica

Negli ultimi anni le carenti disponibilità idriche hanno rappresentato il fattore limitantel’esercizio irriguo nei territori consortili, fino al punto di determinare gravissime conseguenze atutti gli ordinamenti produttivi praticati e all’intera economia agricola regionale. Al contrario,l’andamento delle precipitazioni durante il 2003 ha favorito il recupero delle disponibilità idrichenegli invasi e il ripristino delle portate nelle falde acquifere e nelle sorgenti; le disponibilità idri-che sufficienti hanno consentito di soddisfare le richieste irrigue di tutti e tre i Consorzi di bonifi-ca lucani.

Eventuali criticità, ove si sono presentate, sono state determinate principalmente da ritardinelle erogazioni idriche in corrispondenza delle fasi fenologiche delle colture praticate particolar-mente sensibili alle carenze idriche, e da limiti infrastrutturali e dimensionali delle condotte idri-che adduttrici a fronte della maggiore richiesta di acqua e della necessità, visti gli andamenti del-le temperature e dell’evapotraspirazione che hanno fatto registrare valori superiori alla media, diturnazioni irrigue molto ravvicinate.

Benché la superficie irrigata possa variare annualmente in funzione di molte variabili e traqueste, quelle climatiche e di disponibilità idriche, nel caso della riduzione evidenziatasi rispettoagli anni precedenti, occorre una breve considerazione. La riduzione della superficie irrigata puòinfatti essere imputata alle condizioni siccitose registrate negli anni precedenti, durante i qualinon è stato possibile garantire erogazioni idriche sufficienti alle aziende. I conseguenti risultatinegativi delle produzioni agricole nelle stagioni precedenti hanno probabilmente indotto gliimprenditori agricoli ad una maggiore cautela negli investimenti, soprattutto per gli impianti dicolture orticole.

Tabella 3.4 - Superfici irrigue consortili (in ettari)

Consorzi Superficie Superficie Variazione % Irrigata/attrezzata attrezzata irrigata 1998/2003 %

2003 1998 2003 1998 attrezzata irrigata 2003 1998

Alta Val d’Agri 14.723 14.723 5.200 6.310 0,0 -17,6 35,3 42,9

Bradano Metaponto 62.424 62.424 23.000 25.555 0,0 -10,0 36,8 40,9

Vulture Alto Bradano 6.854 6.573 2.774 2.755 4,3 0,7 40,5 41,9

Basilicata 84.001 83.720 30.974 34.620 0,3 -10,5 36,9 41,4

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

Tabella 3.5 - Dotazioni idriche durante la stagione irrigua

Consorzi Reti irrigue Volumi idrici 2003 Durata stagione irrigua

disponibile* erogato 2003(km) (Mmc) (Mmc)

Alta Val d’Agri 39,3 19,900 19,900 mag-set

Bradano Metaponto 269,8 176,034 176,034 mag-ott

Vulture Alto Bradano 102,6 17,304 17,304 mag-set

Basilicata 411,7 213,2 213,2

* Oltre al volume disponibile ed erogato dai Consorzi di bonifica vi sono disponibilità provenienti dalle sorgenti e dalle fluenze liberedi difficile determinazione

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

93

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 93

Puglia

Andamento delle disponibilità idriche

Vista la scarsa dotazione della risorsa acqua di provenienza regionale, l’analisi delle dispo-nibilità idriche per la regione Puglia non può prescindere dallo studio delle disponibilità idrichetrasferite attraverso gli schemi idrici interregionali ai quali la stessa regione fa riferimento (sche-mi Jonico-Sinni, Basento-Bradano, Ofanto).

Inoltre, l’illustrazione completa delle disponibilità idriche pugliesi, deve tenere conto deiprelievi di acqua effettuati dalle falde sotterranee sia da parte di enti pubblici che dai singoli pri-vati. Questa forma di approvvigionamento idrico si è sviluppata al fine di sopperire sia ai fabbiso-gni irrigui delle colture di pregio coltivate nei comprensori irrigui non serviti da risorsa idricaaccumulata in invasi, sia per soddisfare l’esigenza idrico-potabile di vaste aree della Puglia (adesempio il Salento).

Nelle figure di seguito riportate si evidenziano le disponibilità totali di risorsa idrica prove-nienti dagli invasi regionali e la variazione del volume accumulato rispetto al 2002 riferite rispet-tivamente all’inizio (1 aprile), nel mese di punta del fabbisogno irriguo (luglio) ed alla fine dellastagione irrigua (30 novembre).

Figura 3.5 - Confronto dei volumi totali di acqua disponibili negli invasi pugliesi nel quin-quennio 1999-’03 (valori in milioni di metri cubi)

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica Capitanata e Terre d’Apulia

94

0

50

100

150

200

250

300

350

400

450

1999

aprile 263,12

luglio 128,51

novembre 55,87

2000

164,89

74,00

23,67

2001

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

87,84

57,24

15,45

2002

74,76

68,24

67,45

2003

360,51

228,92

154,27

Var. % 2003-2002

382,2

235,5

128,7

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 94

Figura 3.6 - Volumi idrici disponibili nei singoli invasi pugliesi nel quinquennio ’99-’03

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di Bonifica Capitanata e Terre d’Apulia

95

50

0aprile

100

150

200

250

3001999

luglio novembre

stagione irrigua

Occhito

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

5

0aprile

10

15

201999

luglio novembre

stagione irrigua

Osento

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

801999

luglio novembre

stagione irrigua

Capacciotti

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

5

0aprile

10

15

20

25

301999

luglio novembre

stagione irrigua

Celone

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

801999

luglio novembre

stagione irrigua

Loconed

isp

onib

ilità

idric

he (M

mc)

2000 2001 2002 2003

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 95

I maggiori scarti positivi dei volumi idrici accumulati negli invasi pugliesi nel 2003 rispet-to a quelli registrati nello stesso periodo del 2002, sono stati rilevati per gli invasi di Occhito(+630%) e del Celone (+550%). Nelle due precedenti stagioni irrigue, invece, i volumi accumula-ti sono stati appena sufficienti a soddisfare i fabbisogni potabili, lasciando completamente ineva-se le richieste di acqua provenienti dal settore agricolo.

I valori dei volumi accumulati all’avvio della stagione irrigua 2003 nei due invasi suddetti,sono stati pari a 246 Mmc per Occhito e quasi 17 Mmc per l’invaso del Celone; tali valoro sonorisultati prossimi alle rispettive capacità massime di invaso autorizzate, rispettivamente stabilite a250 e 17 Mmc.

Per l’invaso di Occhito, questo evento ha consentito di completare la procedura di invasosperimentale che, avviata nei primi anni ’60 (anno di costruzione dell’invaso), non era stata com-pletata a causa dei bassi livelli annuali raggiunti, superati invece abbondantemente solo a seguitodelle rilevanti piogge cadute nel corso del periodo autunno-invernale 2002-2003. Inoltre, le rinno-vate disponibilità di risorsa idrica di questo invaso, hanno permesso di abbassare il livello diattenzione sulle quantità di acqua disponibili necessarie per soddisfare le esigenze potabili del-l’intera provincia di Foggia (ancora oggi interamente dipendente dalle disponibilità di risorsa idri-ca proveniente dall’invaso di Occhito) e soprattutto hanno consentito il ripristino del servizio irri-gazione nel comprensorio del Fortore che con i suoi 102.000 ettari attrezzati rappresenta il piùesteso tra i comprensori irrigui pugliesi e che è stato il più penalizzato dagli eventi siccitosi delbiennio 2000-2002.

Spostandosi più a sud, i volumi accumulati negli invasi di Marana Capacciotti e dell’Osen-to durante il 2003, attestatisi rispettivamente a 48 e 11 Mmc, sono risultati sufficienti a determina-re un regolare esercizio irriguo per il comprensorio Sinistra Ofanto.

Anche per l’invaso del Locone, importante fonte di approvvigionamento dello schema idri-co interregionale dell’Ofanto, il 2003 ha rappresentato un anno di ripresa per le quantità di acquaaccumulate e disponibili per la stagione irrigua; infatti, i 38 Mmc registrati all’avvio della stagio-ne irrigua sono risultati sufficienti a soddisfare sia i fabbisogni potabili che quelli irrigui dei com-prensori di Minervino Alto e di Loconia.

Per quanto riguarda, infine, le fonti di approvvigionamento del Consorzio di bonifica Sto-nara e Tara, ubicate nella limitrofa Basilicata, la valutazione delle disponibilità idriche deve tene-re conto appunto delle riserve idriche accumulate negli invasi lucani di Monte Cotugno sul Sinnie di San Giuliano sul Bradano e dei relativi volumi idrici trasferibili autorizzati dall’Autorità diGoverno delle acque condivise tra le due regioni (cfr. capitolo III - Basilicata). Per il biennio2002-2003 al Consorzio Stornara e Tara è stata assegnata una portata massima, pari a 700 l/s per15 giorni nei mesi di giugno, luglio ed agosto del 2002, mentre per l’anno 2003 le portate mediesono variate da 500 l/s per i mesi di aprile-ottobre e novembre a 1.300 l/s nei mesi di maggio-giu-gno con punte di 2.500 l/s nei mesi di luglio ed agosto.

Nel complesso, quindi, se si tiene conto non solo delle disponibilità idriche degli invasiregionali ma anche delle quantità di acqua trasferite dalla Basilicata, le risorse idriche erogatecomplessivamente per la Puglia nel corso del 2003 sono state pari a circa 637 Mmc di cui quasi247 Mmc utilizzati per uso irriguo (nel 2002 su un erogato totale di 265 Mmc ne erano stati utiliz-zati per l’uso irriguo solo 27 Mmc) (tabella 3.6).

Dal punto di vista delle utilizzazioni settoriali, l’agricoltura pugliese nel 2003 ha impiega-to circa il 66% della risorsa idrica disponibile, mentre l’uso potabile ne ha assorbito circa il 27%.Pertanto, nel 2003 l’impiego di acqua in agricoltura si è decuplicato rispetto all’anno precedentepassando, da 16,9 a 168,6 Mmc; pressoché costante è stato l’impiego di acqua per l’uso potabile.

96

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 96

Nelle annate siccitose, invece, come quelle del 2001 e del 2002, si è cercato soprattutto di assicu-rare la disponibilità idrica per l’uso potabile e civile, mentre volumi limitati di risorsa idrica sonostati assegnati ai settori agricolo ed industriale.

Tabella 3.6 - Volumi idrici erogati per la Puglia nel biennio 2002-2003 (valori in Mmc)

Invaso Volumi accumulati Erogazioni Puglia 2003 Volumi accumulati Erogazioni Puglia 2002

aprile 2003 totale anno per uso irriguo aprile 2002 totale anno per uso irriguo

Occhito 246,84 241,84 136,92 39,06 39,06 0,00

Celone 16,88 16,88 13,23 3,07 3,07 0,00

Capacciotti 48,21 48,21 29,05 14,44 14,44 11,68

Osento 11,90 11,90 11,90 3,90 3,90 4,58

Locone1 38,56 38,56 8,52 17,29 17,29 0,68

Monte Cutugno2 318,00 136,68 31,71 22,76 95,72 4,27

San Giuliano2 82,66 41,33 15,20 11,51 5,76 5,76

Pertusillo2 115,00 101,73 0,00 27,74 86,11 0,00

1 10 Mmc costituiscono la riserva di protezione della diga2 Invasi della Basilicata (schema idrico interregionale Jonico-Sinni) - acque condivise tra Basilicata e Puglia

Fonte: elaborazione INEA su dati degli Enti gestori degli invasi e dell’Autorità di bacino interregionale di Basilicata

A completamento del quadro delle disponibilità e degli impieghi di risorsa idrica regionalesi devono considerare i volumi di acqua prelevati dalla falda sotterranea dagli enti pubblici e daiprivati. Come si evince dalla tabella successiva l’acqua prelevata ed erogata per l’uso irriguo daipozzi gestiti direttamente dalla Regione e dai Consorzi di bonifica (Consorzi dell’Ugento e del-l’Arneo) è stata pari a circa 9,2 Mmc per il 2003, mentre la mancanza del dato di erogazione rife-rito al Consorzio dell’Arneo non consente di definire i volumi erogati nel corso del 2002.

Tabella 3.7 - Fonti, ore di erogazione e volumi di acqua prelevati dalla falda sotterranearegionale

Ente Fonte Tempo di erogazione Erogazioni totali per uso(ore) irriguo (mc)

2002 2003 2002 2003

Consorzio di bonifica Montana del Gargano Sorgenti/Pozzi 11.055 11.423 n.d. n.d.

Consorzio di bonifica di Ugento Pozzi n.d. n.d. 6.180.000 6.490.000

Consorzio per la bonifica speciale dell’Arneo Pozzi n.d. 25,388 n.d. 901.969

Regione Puglia Pozzi1 29.800 44.250 1.224.489 1.870.214

1 Impianti di Bari Nord – mancano i dati degli impianti a sud di Bari e delle province di Brindisi, Lecce e Taranto

Fonte: elaborazione INEA su dati della Regione Puglia e de Consorzi di bonifica

Il ricorso a fonti di approvvigionamento autonomo viene effettuato quasi sempre per l’irri-gazione di soccorso nei mesi in corrispondenza dei quali più elevato è il fenomeno evapotraspira-tivo e quindi, di conseguenza, più stringente è la necessità dell’intervento irriguo. Inoltre, i Con-sorzi di bonifica e la Regione Puglia, gestori degli impianti di captazione, hanno a disposizionestrutture distributive che impongono un’organizzazione del servizio irriguo (ad esempio quelloturnato) che mal si presta a consistenti incrementi dei volumi erogabili.

97

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 97

Altro fattore da considerare nella valutazione del fenomeno irrigazione in Puglia è il prelie-vo autonomo effettuato dagli operatori privati che, attraverso pozzi autorizzati e/o abusivi, siapprovvigionano della risorsa idrica necessaria a soddisfare i fabbisogni irrigui delle colture pra-ticate. Data l’estensione di questo fenomeno è difficile quantificare i volumi idrici prelevati dallafalda sotterranea ma, come verrà illustrato nella trattazione dell’irrigazione nei singoli Consorzi,assume un peso importante tanto nelle aree non servite dal servizio pubblico che in quelle serviteda impianti di irrigazione collettiva.

Impianti gestiti dalla Regione Puglia

A partire dal 2001 la Regione Puglia ha ripreso a gestire direttamente 25 impianti diapprovvigionamento e di distribuzione di acqua da falda (campi pozzi), presenti in diverse areedel territorio pugliese. Sino al 2001, infatti, gli stessi impianti venivano gestiti dai Consorzi dibonifica Terre d’Apulia, Stornara e Tara e dell’Arneo, i quali visti gli elevati costi di gestione,dovuti soprattutto al sollevamento e alla manodopera necessaria, e le difficoltà organizzativeincontrate dagli enti gestori, hanno ritenuto di rimettere alla Regione Puglia l’incarico di gestiregli stessi impianti. La Regione Puglia, a sua volta, ha affidato ai tecnici al Settore Demanio ePatrimonio dell’Assessorato ai Lavori Pubblici, il compito di riattivare e di gestire tutti gliimpianti regionali.

A partire dal 2001, quindi, i tecnici della Regione hanno cominciato ad effettuare un’operadi verifica funzionale di tutti gli impianti riattivando gli stessi laddove riscontravano problemiinfrastrutturali che impedivano l’erogazione di risorsa idrica. Fino al 2002 erano stati attivati gliimpianti dei campi pozzi nella sola provincia di Bari.

Gli impianti regionali sono importantissimi perché costituiti da reti di distribuzione che siapprovvigionano di acqua di falda per mezzo di pozzi e di vasche di accumulo, a servizio di areeche presentano una elevata vocazione all’agricoltura intensiva e di qualità nello stesso tempo(litorale barese, una parte dell’arco ionico tarantino, area orticola del brindisino e del salento).

Altra caratteristica dei pozzi gestiti dalla Regione Puglia è la profondità di escavo deglistessi (dai 98 ai 688 metri); ciò sta a significare che se in queste aree non vi fossero impianti pub-blici, la possibilità di prelevare acqua dalla falda è pressoché nulla, visto gli elevati costi di realiz-zazione e gestione dei pozzi e delle relative reti di distribuzione.

In queste aree, quindi il servizio fornito da questi impianti risulta essere indispensabile persoddisfare i fabbisogni irrigui degli agricoltori locali e per permettere la produzione di particola-ri colture pregiate quali ciliegio, ortaggi, uva da tavola e olive da mensa e da olio di qualità.

Dai dati attualmente disponibili su otto dei 24 impianti, si evince come nel 2003, il volumecomplessivamente prelevato dagli impianti ubicati a nord della provincia di Bari sia stato pari a1,82 Mmc rispetto a 1,22 Mmc dell’anno precedente, con un incremento delle erogazioni quindipari a al 53%.

L’analisi ed il confronto dei dati sulla distribuzione nelle due annate irrigue riportate intabella 3.9 evidenzia che l’impianto di Toritto (BA) sia stato quello con il maggiore incremento divolume erogato (+910%). Questo incremento è giustificato dalla possibilità di erogare nei mesi digiugno, luglio e settembre anziché nel solo mese di agosto come avveniva in precedenza.

98

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 98

Tabella 3.9 - Volumi erogati da impianti di distribuzione Bari - Nord

Impianti Erogazione 2003 Erogazione 2002 Var. % 2003-2002mc mc

Andria 445.554 290.160 54Barletta 117.972 56.844 108Corato 60.318 42.363 42Mariotto 95.591 53.995 77Palo del Colle 212.476 99.027 115Ruvo di Puglia 263.290 186.030 42Terlizzi 664.560 495.035 34Toritto 10.453 1.035 910Totale 1.870.214 1.224.489 53

Fonte: Assessorato al Patrimonio e al Demanio della Regione Puglia

99

Tabella 3.8 - Impianti gestiti dalla Regione Puglia in provincia di Bari

Impianti irrigui

Denominazione Comuni Superficie Tipo Pozzi/Sorgentiinteressati attrezzata di rete

Totale in esercizio (fissa/ Totale in esercizio Portata(1)mobile) (nr.) (nr.) totale (l/s)

Provincia di BARI:

Acquaviva Acquaviva 80 80 mobile 3 2 30Adelfia Adelfia 924 560 fissa 21 19 283Alberobello Alberobello 40 40 mobile 1 1 10Andria Andria 1.320 396 fissa 24 22 245Altamura Altamura // // // 2 2 16Barletta Barletta 1.620 360 fissa 11 9 128Bitonto Bitonto-Mariotto // // // 4 3 32Canosa di Puglia Canosa di Puglia // // // 2 2 26Casamassima Casamassima 106 64 fissa 5 5 75Conversano Conversano 1.080 1.080 mobile 24 24 1.805Corato Corato 40 40 mobile 1 1 10Grumo Appula Grumo Appula // // // 2 2 34Locorotondo Locorotondo 80 80 mobile 3 2 13Martina Franca (TA) Martina Franca 168 168 mobile 5 0 0Mola di Bari Mola di Bari 280 280 mobile 8 6 168Monopoli Monopoli 120 120 mobile 6 5 93Noci Noci 120 120 mobile 4 4 43Palo del Colle Palo del Colle 160 160 mobile 5 5 50Putignano Putignano 0 0 0 0 0 0Ruvo di Puglia Ruvo di Puglia 240 240 mobile 7 7 79Terlizzi Terlizzi 520 360 fissa 12 10 124Toritto Toritto 4 3 50Triggiano Triggiano 220 220 mobile 7 6 105Turi Turi 224 224 mobile 12 8 162Totale Bari 7.582 4.832 189 160 3.786

Fonte: elaborazione INEA su dati Assessorato Lavori Pubblici - Ufficio Demanio e Patrimonio

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 99

Anche per gli altri impianti si è assistito ad un incremento dei prelievi che hanno assuntovalori interessanti per gli impianti di Barletta e di Palo del Colle (rispettivamente pari al 108 e115%). In questo caso a determinare gli incrementi sono stati esclusivamente le richieste di acquaprovenienti dall’agricoltura locale.

Il più alto fabbisogno idrico è stato registrato in luglio in corrispondenza del quale sonostati erogati 656.000 mc di acqua che hanno coperto il 35% del volume totale distribuito durantel’anno.

Confrontando i dati relativi ai volumi erogati con quelli riguardanti il numero di ore di ero-gazione nei due anni considerati, si evidenzia che a fronte di una crescita di erogazione del 53%,il numero di ore di erogazione della risorsa idrica è stata del 33%.

Tabella 3.10 - Ore di erogazione degli impianti di distribuzione Bari - Nord

Impianti Ore di erogazione Ore di erogazione Var. % 2003-20022003 2002

Andria 11.960 7.700 36

Barletta 3.277 1.579 52

Corato 1.117 785 30

Mariotto 2.986 2.041 32

Palo del Colle 6.065 3.824 37

Ruvo di Puglia 6.908 5.168 25

Terlizzi 11.697 8.681 26

Toritto 242 24 90

Totale 44.251 29.802 33

Fonte: Assessorato al Patrimonio e al Demanio della Regione Puglia

I dati dimostrano l’impegno dei responsabili regionali nelle attività di ripristino funzionaledegli impianti gestiti e il miglioramento dell’efficienza di distribuzione della risorsa idrica.

Un’analisi delle colture irrigate non può essere effettuata in quanto non è stato possibiledeterminare con precisione l’estensione superficiale ed il tipo di coltura irrigata dagli impiantiregionali; queste informazioni non vengono prese all’atto della prenotazione e l’attuale organizza-zione irrigua non contempla la raccolta in campo di questa tipologia di dati.

Si ricorda inoltre che i dati riportati si riferiscono solo ad una parte degli impianti regiona-li e che gli stessi funzionari stanno comunque provvedendo a fornire al proprio personale, schededi rilevazione necessarie ad acquisire da tutti gli impianti le informazioni relative agli impieghi,alle superfici ed alle colture irrigate.

La stagione irrigua nei Consorzi di Bonifica

Durante il 2003 si è assistito ad una normalizzazione di tutte attività irrigue regionali, dopoi vincoli imposti dagli eventi siccitosi registrati fino all’anno precedente. Infatti, dopo tre anni disiccità, le abbondanti precipitazioni invernali e primaverili hanno fatto affluire negli invasi regio-nali ed extraregionali quantitativi di acqua sufficienti a riempire i bacini artificiali sottesi e adattenuare lo stato di emergenza idrica dichiarato negli anni precedenti.

La rinnovata disponibilità idrica ha imposto agli enti gestori (Consorzi di Bonifica, EnteIrrigazione ed Acquedotto Pugliese) ed alle Autorità competenti per la gestione delle acque condi-vise (Regione Basilicata e Regione Puglia), una nuova politica di allocazione della risorsa accu-

100

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 100

mulata, volta a riequilibrare il deficit fabbisogni/disponibilità e a determinare di conseguenza unrisparmio idrico e una riserva utile a garantire disponibilità anche per gli anni futuri.

Oltre alle attività politiche che hanno caratterizzato il rapporto tra la Basilicata e la Pugliaper la condivisione delle risorse idriche lucane e influito sull’esercizio irriguo, anche la politicaregionale ha influenzato la passata stagione irrigua. Con la legge regionale n. 4 del 7 marzo 2003sono stati dettati i nuovi criteri di riscossione dei contributi consortili che impongono ai Consorzila definizione di nuovi piani di classifica attraverso un maggiore coinvolgimento dei comuni entrocui i terreni assoggettati ricadono. Tale condizione ha influito negativamente sulle attività consor-tili in quanto non avendo potuto incassare i contributi, si sono aggravate le già precarie condizionifinanziarie dei Consorzi creando difficoltà nelle attività di gestione dell’esercizio irriguo.

L’analisi dell’andamento della stagione irrigua regionale deve inoltre tenere conto delledifferenze esistenti tra le diverse aree regionali rispetto alle fonti di approvvigionamento idrico,alle superfici servite ed irrigate, alla diffusione e all’importanza economica delle colture pratica-te. Tali differenze si evidenziano soprattutto tra la parte dei territori ubicati entro i comprensoriirrigui che si approvvigionano con la risorsa proveniente dagli invasi (Fortore e Sinistra Ofanto,Minervino Alto, Loconia e Stornara e Tara) e la restante parte della regione, servita ed irrigata coni prelievi dalla falda sotterranea. Poiché le diverse fonti di approvvigionamento determinano dif-ferenti problematiche gestionali ed operative, nella trattazione di ciascun Consorzio verranno illu-strati i risultati della passata stagione irrigua e le specifiche problematiche rilevate6.

La rilevazione dei dati sullo stato dell’irrigazione a livello consortile per il 2003, ha evi-denziato una diminuzione di quasi il 7% della superficie complessivamente attrezzata e gestitadirettamente dai Consorzi di bonifica rispetto a quella rilevata con l’indagine INEA avviata nel1998. La diminuzione della superficie attrezzata si è verificata nei territori dei Consorzi Stornatae Tara, Arneo, Ugento lì Foggi e Terre d’Apulia che gestivano i campi, i pozzi regionali e le rela-tive superfici sottese che invece a partire dalla stagione irrigua 2001 sono passati sotto la gestionediretta della stessa Regione Puglia.

Considerando anche le superfici gestite dalla Regione, la superficie totale attrezzata inPuglia nel 2003 è stata pari a 235.218 ettari di cui circa il 59% si localizza entro in limiti consor-tili della Capitanata.

Se si considera il dato relativo alla superficie in esercizio e alla superficie irrigata per mez-zo di fonti pubbliche, si vede come l’incidenza della agricoltura irrigua della Capitanata è paririspettivamente al 69% e all’81% del totale regionale (68.540 ettari su 79.452 complessivamenteirrigati in Puglia da fonti pubbliche).

È quindi evidente che nel momento in cui in Puglia si dispone di autonome fonti di approv-vigionamento e relative disponibilità idriche e si riesce a fornire agli operatori un servizio efficien-te, il territorio risponde attivando investimenti e trasformazioni fondiarie; le stesse che hanno por-tato la Puglia ad essere una delle regioni più importanti dal punto di vista agricolo. Si deve inoltreconsiderare che la necessità di risparmiare l’acqua e l’obbligo di pagamento della stessa sulla basedegli effettivi consumi, ha imposto l’adozione di sistemi di distribuzione estremamente efficienti,come dimostra l’ampia diffusione dei metodi irrigui a bassa pressione localizzata e l’attività speri-mentale dei sistemi irrigui per subirrigazione praticata in diverse arre del territorio pugliese.

Per quanto riguarda i fabbisogni irrigui, allo stato attuale non è possibile stimare in manie-ra dettagliata i fabbisogni regionali in quanto, la carenza di informazioni disponibili, rende diffi-

101

6 I dati riportati nella presente trattazione sono stati acquisiti direttamente presso i Consorzi di bonifica e presso l’Assessorato aiLavori Pubblici - Ufficio Demanio e Patrimonio della Regione Puglia.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 101

coltosa la determinazione delle superfici relative alle singole colture praticate ed irrigate. Inoltre,per alcuni importanti aree del territorio servite dai pozzi o da impianti di proprietà della Regionenon è possibile avere notizie puntuali sulla superficie irrigata e sulle colture praticate; per gliimpianti regionali la cui gestione e controllo sono stati da poco ripresi dalla Regione, si deveancora implementare un sistema di raccolta di dati indispensabile per poter stimare i fabbisogniirrigui. Indirettamente si può pensare di individuare come fabbisogno, la richiesta di acqua perl’irrigazione che gli enti preposti alla distribuzione inoltrano alle Amministrazioni regionali enon, responsabili della gestione delle fonti di approvvigionamento. In questo modo, si può ottene-re un dato che pur non essendo rispondente alla effettiva esigenza idrica delle colture praticate,descrive con buona approssimazione il fenomeno. Di conseguenza, il fabbisogno irriguo totaleper il 2003 tenuto conto delle fonti di approvvigionamento dalle quali viene effettuata l’erogazio-ne idrica, è stato pari a 318 Mmc di cui il 55% è dato dai distretti sottesi all’invaso dell’Occhito,mentre le aree irrigue della Capitanata esprimono complessivamente il 78% del fabbisogno irri-guo pugliese.

Tabella 3.11 - Fabbisogni irrigui delle aree consortili per fonte di approvvigionamento

Fonti di approvvigionamento Totale fabbisogno (Mmc) % sul totale

Occhito 176.84 56

Celone 16.88 5

Capacciotti 48.21 15

Osento 5.95 2

Locone 12 4

Monte Cutugno 17 5

San Giuliano 41 13

Totali 318 100

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

In realtà se si considerano le altre fonti di approvvigionamento impiegate sia dagli entipubblici che da soggetti privati e si tiene conto che intere parti della Puglia, come il litorale bare-se, il Salento o il Brindisino non rientrano in questo computo in quanto non servite da serbatoiidrici artificali, si rileva come il dato relativo al fabbisogno sia molto più rilevante e che il datoriportato in tabella 3.11 è sicuramente sottostimato.

Tabella 3.12 - Superfici irrigue consortili (in ettari)

Consorzi Superficie Superficie Variazione % Irrigata/attrezzataattrezzata* irrigata 1998/2003 %

2003 1998 2003 1998 attrezzata irrigata 2003 1998

Capitanata 140.378 140.378 53.667 53.667 0,0 0,0 38,2 38,2

Stornara e Tara 24.486 26.016 5.359 13.203 -5,9 -59,4 21,9 50,7

Terre d’Apulia 9.601 17.645 2.570 2.570 -45,6 0,0 26,8 14,6

Ugento Lì Foggi 12.741 14.685 1.575 2.120 -13,2 -25,7 12,4 14,4

Arneo 15.148 18.552 880 1.127 -18,3 -21,9 5,8 6,1

Gargano 670 570 528 428 17,5 23,4 78,8 75,1

Puglia 203.024 217.846 64.579 73.115 -6,8 -11,7 31,8 33,6

* La diminuzione di superficie attrezzata consortile rispetto al 1998 è dovuta al passaggio della stessa alla gestione diretta daparte della Regione Puglia. Nel complesso la superficie attrezzata gestita dalla Regione è pari a 32.194 ettari

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di Bonifica e dell’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Puglia

102

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 102

Tabella 3.13 - Dotazioni idriche durante la stagione irrigua

Consorzi Reti irrigue Volumi idrici stagionali Durata stagione irrigua 2003

disponibile* erogato(km) (Mmc) (Mmc)

Capitanata 846,0 287,000 218,000 mar-setStornara e Tara 116,0 46,900 41,200 apr-setTerre d’Apulia 84,0 8,500 8,500 apr-setUgento Lì Foggi 58,0 6,500 6,500 apr-setArneo 4,0 0,902 0,902 apr-setGargano 9,0 n.d. n.d. mag-ottPuglia 1.117,0 349,802 275,102

* Oltre alle disponibilità rilevate presso i Consorzi vanno considerate quelle derivabili dai pozzi gestiti dalla Regione per unvolume di 1,9 Mmc

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di Bonifica e dell’Assessorato ai Lavori Pubblici della Regione Puglia

Calabria

Andamento delle disponibilità idriche

Il favorevole regime pluviometrico del 2003 rispetto agli anni immediatamente precedenti,ha determinato un aumento dei volumi idrici accumulati negli invasi regionali e extraregionalidal quale vengono trasferiti volumi idrici al Consorzio del Ferro e Saprviero7. Dall’analisi deidati forniti dall’Ufficio Dighe della Regione Calabria sulle disponibilità idriche relative a seiinvasi regionali presi a riferimento8 (perché utilizzati per l’irrigazione) risulta che il volume d’ac-qua complessivo in essi contenuto si è mantenuto sempre più alto rispetto al 2002. All’avvio del-la stagione irrigua in base ai dati disponibili, erano invasati complessivamente quasi 35 Mmc diacqua. Significativo è stato l’aumento registrato all’inizio della stagione irrigua rispetto al 1999(+18,2%) e al 2000 (+15,2), anni particolarmente siccitosi; rispetto agli stessi anni il 2003 ha fat-to registrare nel mese di punta della stagione irrigua incrementi significativi del 39 e del 44%rispettivamente.

Gli invasi monitorati fanno parte di schemi idrici regionali che identificano tre sistemi irri-gui territoriali9: settentrionale, centrale e meridionale; oltre a queste macro aree ne vengono iden-tificate altre sottese a sistemi irrigui minori afferenti ai Consorzi di bonifica del Pollino, del Ferroe dello Sparviero (Fascia costiera Jonica Settentrionale), del Lao e dei bacini Tirrenici, di Poro-Marepotamo-Mesima, dell’Area dello Stretto e del Versante Calabro Jonico Meridionale.

103

7 Dall’invaso di Monte Cotugno in Basilicata nel 2003 sono stati trasferiti quasi 7 Mmc di acqua.8 Volumi accumulati nei serbatoi idrici regionali mensilmente dal 1999 al 2003, relativi alle dighe Timpa di Pantaleo, Farneto del

Principe, Monte Marello, Sant’Anna e alla traversa di Tarsia. 9 Descrizione tratta dal documento redatto all’inizio del 2004 dal Dipartimento Agricoltura Caccia e Pesca della Regione Calabria

nell’ambito del Programma Nazionale per l’approvvigionamento idrico in agricoltura e per lo sviluppo dell’irrigazione.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 103

Sistema irriguo Settentrionale

Il Sistema, che identifica i tre bacini destra Esaro, basso Esaro e Neto, poggia sulla funzio-nalità della traversa di Tarsia e dell’invaso dell’Esaro (Farneto del Principe); per il bacino delNeto, dove si localizzano le aree agricole dell’Altipiano Silano caratterizzate dalla pataticolturada semina e dall’allevamento zootecnico, i due invasi presenti non risultano allo stato in eserci-zio: la diga Votturino, il cui sbarramento è situato sul torrente Fiumarella, dalla capacità di invasodi circa 4 Mmc risulta fuori esercizio da circa 10 anni a causa di perdite dall’impianto che ne han-no fatto revocare l’autorizzazione all’invaso; la diga Redisole, il cui sbarramento è posto sul tor-rente Ceraso, che risulta completato da circa 10 anni ma occorrono lavori di completamento del-l’impianto per richiederne l’autorizzazione all’invaso10.

Destra Crati - è alimentato dalle acque derivate dalla traversa di Tarsia sul fiume Crati chepresenta una capacità di 16 Mmc, con regolazione annuale. Gli afflussi sono determinati dalleianete del bacino e dai rilasci della centrale idroelettrica del Mucone sottesa al lago Cecita (percirca 60 Mmc annui). Per questa traversa sono previsti lavori di consolidamento, comprendenti,altresì, il ripristino della strumentazione di controllo; attualmente è previsto l’esercizio sperimen-tale della traversa, con un livello di accumulo autorizzato fissato a 54 m s.l.m. ed una capacità diappena 6,3 Mmc, a fronte dei 16 previsti, con invaso alla quota massima di regolazione di 57,85m s.l.m.. Attualmente si registra una perdita di capacità d’invaso pari a il 25% a causa dei feno-meni di interramento provocati dall’erosione superficiale e dal conseguente dilavamento dei

104

Figura 3.7 - Confronto dei volumi totali di acqua disponibili negli invasi della Calabria nelquinquennio 1999-’03 (valori in milioni di metri cubi)

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’Ufficio dighe regionale

0

10

20

30

40

50

60

1999

aprile 29,30

luglio 25,40

novembre 23,16

2000

30,06

24,55

17,69

2001

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

34,12

33,34

19,88

2002

29,05

31,31

16,18

2003

34,62

35,31

24,72

Var. % 2003-2002

19,2

12,8

52,8

10 Per entrambi i serbatoi il Dipartimento Agricoltura della Regione Calabria ha attivato gli interventi occorrenti per la messa insicurezza degli impianti.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 104

detriti originatasi a monte della traversa. Particolare attenzione va posta anche nel monitoraggiodella galleria adduttrice a valle della diga che, in alcuni tratti, si presenta in uno stato precario.

Le aree agricole afferenti al Sistema irriguo, si snodano sulla fascia costiera jonica (Pianadi Sibari); le destinazioni colturali, unitamente ad una imprenditoria agricola molto dinamica,pongono la zona al primo posto dell’economia agricola calabrese.

Basso Esaro - lo sbarramento realizzato sul fiume in località “Farneto del Principe” in agrodi Roggiano Gravina, attualmente in esercizio sperimentale fino alla quota autorizzata di 130 ms.l.m. per circa 10 Mmc, consente un accumulo di 38,85 Mmc. Di recente, la Commissione diCollaudo ha dato parere all’aumento della quota d’invaso fino alla massima di regolazione di139,70 m s.l.m.. Nello schema Esaro è prevista, altresì, la condotta di collegamento diga BassoEsaro - traversa di Tarsia, il cui primo lotto dei lavori è stato già realizzato.

Il comprensorio irriguo sotteso si sviluppa fra le aree poste in sx del Crati e la valle del-l’Esaro.

Sistema irriguo Centrale

Nell’ambito di questo sistema va segnalata la ripresa dei lavori per la realizzazione dell’in-vaso sul fiume Melito; tale importante opera, a prevalente uso irriguo, consentirà di regolare oltre100 Mmc di risorsa da utilizzarsi anche per alimentare, attraverso le opportune interconnessioni,gli schemi idrici centro-meridionali.

Angitola - lo schema irriguo sotteso alla diga di Monte Marello sul fiume Angitola, ali-menta gli impianti della Piana di Sant’Eufemia sul versante tirrenico. La diga ha una capacità diinvaso di 21 Mmc.

La problematica legata a tale schema irriguo è riferibile alla quota dell’invaso (44,20 ms.l.m), che determina una quota di derivazione a 25 m s.l.m.; tale quota non consente l’erogazio-ne dell’acqua a gravità su gran parte del comprensorio irriguo. Si sta realizzando un lotto di lavo-ri di adeguamento funzionale dell’impianto.

Alli-Simeri - sottende i comprensori irrigui della fascia costiera jonico-catatanzarese cheutilizzano i rilasci delle centrali idroelettriche silane per 25 Mmc annui, oltre le ianete di baciniminori. Sono in corso di appalto i lavori relativi alla vasca di demodulazione sul torrente Simeri.

Tacina - sottende i comprensori irrigui della fascia costiera jonico-crotonese. Lo schema èalimentato dai rilasci degli impianti idroelettrici silani, mediante l’invaso di Migliarite per 30Mmc annui, oltre le ianete del Tacina e del Soleo, e dei volumi regolati nell’invaso S.Anna, aven-te una capacità di 16 Mmc.

Neto - lo schema è sotteso ai grandi laghi silani Arvo e Ampollino che, alimentando ilsistema idroelettrico a valle degli stessi, rilascia annualmente circa 150 Mmc, di cui circa 30Mmc sono destinati ad usi potabili ed industriali. Il comprensorio irriguo interessato è la BassaValle del Neto.

Sono in corso di realizzazione i lavori che interessano la costruzione della vasca di com-penso di Calusia, della condotta adduttrice e la ristrutturazione della rete irrigua della Bassa Val-le Neto.

Fiume Nicà - questo comprensorio non dispone di proprie risorse idriche ed inoltre rappre-senta un territorio ad alto rischio di desertificazione. Le persistenti siccità verificatesi nell’ultimo

105

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 105

decennio hanno determinato notevoli perdite di produzioni agricole di pregio, come quelle relati-ve alla coltivazione della la vite nell’area di Cirò. Gli indiscriminati prelievi dalla falda sotterra-nea realizzati per mezzo dei pozzi, per alimentare sistemi autonomi aziendali di irrigazione, maanche per uso potabile, hanno determinato e determinano l’avanzamento del cuneo salino, condanni ambientali forse irreversibili. Per questi motivi sono allo studio iniziative progettuali perl’approvvigionamento idrico del territorio in esame (realizzazione di opere di accumulo e diattrezzamento irriguo).

Sistema Irriguo Meridionale

Metramo - sottende i comprensori della fascia costiera tirrenico-reggina, che si estende dal-l’Impianto Mesima alla Piana di Gioia Tauro e Rosarno. Utilizza le acque invasate nel serbatoiodi pianete sul fiume Metramo, avente capacità di 27,24 Mmc ed un volume regolabile di circa 50Mmc annui. Attualmente l’invaso è posto all’esercizio sperimentale, con quota autorizzata di 860m s.l.m. per un volume invasato di circa 8 Mmc.

Sono in corso di realizzazione le opere di derivazione ed adduzione a valle dello sbarra-mento e la rete irrigua dei Piani della Ghilina. Contestualmente sono in esecuzione i lavori dirazionalizzazione del comprensorio irriguo dell’Impianto Mesima.

Lordo - è alimentato dall’invaso sul torrente Lordo in località Timpa di Pantaleo, agro diSiderno (RC). Il serbatoio ha una capacità utile di 9 Mmc; attualmente è in fase di invaso speri-mentale per un volume invasato di 5,5 Mmc.

Sono state completate le opere di adduzione a valle e della distribuzione nel comprensorioirriguo jonico-reggino.

Gli invasi rappresentano una fonte importante ma ancora poco utilizzata per assicurare l’ir-rigazione nei territori dei Consorzi di bonifica; molto importante resta l’approvvigionamento daicorsi d’acqua superficiali e in diversi comprensori, l’approvvigionamento idrico autonomo attra-verso prelievi dalla falda sotterranea per mezzo dei pozzi; laddove quest’ultima pratica trova unaeccessiva espansione, come in alcune aree prossime alla costa dove tra l’altro si praticano colturedi notevole pregio qualitativo, si assiste ad un progressivo avanzamento del cuneo salino chepotrebbe determinare danni ambientali di rilevante portata.

Sempre con riferimento agli invasi presenti sul territorio regionale, oltre ai sei serbatoi cita-ti per l’analisi dell’andamento annuale delle disponibilità idriche, si riporta una scheda che sinte-tizza lo stato al 2003 degli altri serbatoi presenti in Calabria, alcuni dei quali, se in esercizio,potrebbero destinare risorsa idrica anche al comparto irriguo.

106

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 106

107

Tabe

lla 3

.14

- St

ato

dei p

rinc

ipal

i inv

asi i

n C

alab

ria

nel 2

003

Dig

aC

orso

C

apac

ità

Uti

lizzo

Stat

o de

i lav

ori

Ope

re d

i G

esto

re

Stag

ione

irri

gua

d’ac

qua

max

(M

mc)

dist

ribu

zion

e

Apr

ileL

uglio

Nov

embr

e

Quo

ta

Vol

. med

. Q

uota

V

ol. m

ed.

Quo

ta

Vol

. med

. m

ed.

Inva

sato

med

.In

vasa

tom

ed.

Inva

sato

Inva

so(m

c)In

vaso

(mc)

Inva

so(m

c)

Cec

ita*

Muc

one

108,

22Id

roel

ettr

ico

In e

serc

izio

Ene

l Pro

duzi

one

1.13

9,00

80.7

58,6

001.

139,

0080

.758

,600

1.13

5,15

48.0

70,6

00

Sacc

oman

no**

Lau

renz

ana

115,

00Pl

urim

oSo

spes

i Pa

rzia

lmen

te

(ind

ustr

ia -

irri

guo)

real

izza

te

Cam

eli

Esa

ro10

2,00

Plur

imo

(pot

abile

-irr

iguo

)So

spes

i N

on r

ealiz

zate

Gim

iglia

noM

elito

106,

00Pl

urim

o (p

otab

ile-i

rrig

uo)

Sosp

esi

Noc

elle

Arv

o84

,00

Idro

elet

tric

o In

ese

rciz

ioE

ndes

a It

alia

1.

273,

0042

.506

,500

1.27

4,70

54.1

27,0

001.

269,

8012

.330

,000

Tre

pidò

Am

polli

no67

,00

Idro

elet

tric

o In

ese

rciz

ioE

ndes

a It

alia

1.

265,

0037

.876

,420

1.26

4,50

35.8

39,4

251.

262,

0026

.263

,670

Pass

ante

A

lli38

,00

Plur

imo

(pot

.-id

roel

ettr

ico)

In e

serc

izio

Esi

sten

tiE

ndes

a It

alia

1.

115,

0025

.096

,000

1.11

4,30

24.6

38.4

8011

09,9

018

.550

,000

Mam

one

Ala

co31

,00

Pota

bile

Inva

so s

peri

men

tale

Esi

sten

tiR

egio

ne C

al.

Men

ta**

*M

enta

18,0

0Pl

urim

o (p

ot.-

irri

guo)

Ulti

mat

i U

ltim

ate

Reg

ione

Cal

.

Vot

turi

no**

**N

eto

3,00

Irri

guo

Ulti

mat

i U

ltim

ate

AR

SSA

(non

in e

serc

izio

)

Ari

amac

ina

Net

o2,

00Id

roel

ettr

ico

In e

serc

izio

Ene

l Pro

duzi

one

1.31

7,30

947.

575

1.31

7,00

817.

750

1.31

7,00

817.

750

Red

isol

e***

Fium

arel

la1,

50Ir

rigu

oU

ltim

ati

Ulti

mat

eA

RSS

A

Pove

rella

Savu

to1,

00Id

roel

ettr

ico

In e

serc

izio

End

esa

Ital

ia

1.15

9,00

610.

720

1.15

8,00

433.

670

1.15

8,00

433.

670

Mig

liari

teM

iglia

rite

0,40

Idro

elet

tric

oIn

ese

rciz

ioE

ndes

a It

alia

79

4,45

331.

954

786,

2016

5.64

179

2,40

286.

804

Ori

chel

laA

mpo

llino

0,20

Idro

elet

tric

oIn

ese

rciz

ioE

ndes

a It

alia

79

2,35

140.

000

791,

6013

5.00

079

3,00

150.

000

Gig

liara

****

*M

onte

0,10

Irri

guo

Fuor

i ese

rciz

io

C.B

. Ass

i Sov

erat

o

Mor

man

no1,

10Id

roel

ettr

ico

Ene

l Pro

duzi

one

784,

4018

0.32

078

4,40

180.

320

784,

5018

0.32

0

Satr

iano

0,13

Idro

elet

tric

oE

ndes

a It

alia

28

9,40

97.9

7428

8,80

88.0

7128

9,39

97.9

74

Car

dina

le0,

82Id

roel

ettr

ico

End

esa

Ital

ia

Gar

ga S

arac

ena

Gar

ga0,

01Id

roel

ettr

ico

End

esa

Gre

en

625,

506.

000

625,

306.

000

625,

406.

000

Pow

er

*L

a st

rutt

ura

è do

tata

di

due

“sa

lti”

. All

a fi

ne d

el s

econ

do s

alto

l’a

cqua

con

flui

sce

nell

a va

sca

Muc

one

è ut

iliz

zata

a f

ini

irri

gui

dal

C.B

. Sib

ari

Cra

ti

**Il

pro

gett

o è

com

post

o di

due

str

alci

. I l

avor

i pr

evis

ti n

el p

rim

o st

ralc

io s

on c

oncl

usi,

con

capa

cità

di

inva

so d

i 3,

5 M

mc

***

I la

vori

dev

ono

anco

ra e

sser

e co

llau

dati

****

Fuo

ri e

serc

izio

tem

pora

neo

****

*F

uori

ese

rciz

io i

n qu

anto

in

fase

di

coll

audo

si

è ve

rifi

cata

una

per

dita

su

una

spal

la d

ella

dig

a

Fon

te:

elab

oraz

ione

IN

EA

su d

ati

dell

’Uff

icio

dig

he r

egio

nale

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 107

La stagione irrigua nei Consorzi di bonifica

L’irrigazione pubblica è realizzata in Calabria dai Consorzi di Bonifica; oltre ad essi, finoal 1993 anche l’ex Ente di Sviluppo Agricolo della Calabria (ESAC) aveva in gestione 40 impian-ti irrigui minori. Con il passaggio da Ente di Sviluppo ad Agenzia Regionale per lo Sviluppo e iServizi in Agricoltura – ARSSA – e la conseguente revisione dei compiti istituzionali, le compe-tenze sull’irrigazione sono state eliminate.

La recente emanazione della L.R. del 23 luglio 2003, n. 11 “Disposizioni per la bonifica ela tutela del territorio rurale - Ordinamento dei Consorzi di Bonifica”, recante norme per il riordi-no dei Consorzi di Bonifica calabresi, pone all’attenzione la ridelimitazione dei comprensori dibonifica su basi territoriali più vaste e che tengano conto delle dimensioni geografiche dei baciniidrografici; ciò al fine di individuare perimetri consortili che consentano una gestione del territo-rio più efficiente, efficace ed economica. Il raggiungimento di tale obiettivo, purtroppo, compor-ta anche la risoluzione di problemi gestionali legati allo stato in cui versano taluni Consorzi11. Inogni caso, per superare le criticità circa l’esercizio e la manutenzione degli impianti pubblici diirrigazione, il riordino dei comprensori rimane il fine irrinunciabile.

Tabella 3.15 - Superfici irrigue consortili (in ettari)

Consorzi Superficie Superficie Variazione % Irrigata/attrezzataattrezzata irrigata 1998/2003 %

2003 1998 2003 1998 attrezzata irrigata 2003 1998

Piana di Sibari e Media Valle del Crati 24.378 27.223 8.505 10.164 -10,5 -16,3 34,9 37,3

Ferro e Sparviero 4.570 4.950 1.600 2.450 -7,7 -34,7 35,0 49,5

Pollino 2.483 2.315 1.707 1.493 7,3 14,3 68,7 64,5

Lao e Bacini Tirrenici del Cosentino 4.140 4.560 2.360 2.980 -9,2 -20,8 57,0 65,4

Bassa Valle del Neto 6.000 6.425 2.500 2.244 -6,6 11,4 41,7 34,9

Punta delle Castella-Capo Colonna 14.400 10.618 2.219 3.735 35,6 -40,6 15,4 35,2

Alli-Punta delle Castella 5.750 5.420 3.300 3.400 6,1 -2,9 57,4 62,7

Alli-Punta di Copanello 3.220 3.220 600 570 0,0 5,3 18,6 17,7

Assi-Soverato 885 885 430 430 0,0 0,0 48,6 48,6

Piana di Sant’Eufemia 3440 4.131 1.760 1.849 -16,7 -4,8 51,2 44,8

Poro Mesima Marepotamo (ex-VV) 730 706 390 3,4 53,4 0,0

Caulonia 2289 2.346 766 1.319 -2,4 -41,9 33,5 56,2

Versante Calabro Jonico Meridionale 1.821 1.488 426 347 22,4 22,8 23,4 23,3

Piana di Rosarno 7.194 6.214 1.333 1.563 15,8 -14,7 18,5 25,2

Calabria 81.300 80.501 27.896 32.544 1,0 -14,3 34,3 40,4

108

11 Per il Consorzio di bonifica Piana di Sibari e della Media Valle del Crati, le attività di bonifica sono state assunte direttamente dal-l’Amministrazione regionale dell’aprile 2003.

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 108

Tabella 3.16 - Dotazioni idriche durante la stagione irrigua

Consorzi Reti Volumi idrici Durata stagione irrigue 2003 irrigua 2003

disponibile erogato(km) (Mmc) (Mmc)

Piana di Sibari e Media Valle del Crati 403,3 262,000 60,000 apr-ott

Ferro e Sparviero 122,3 17,550 11,400 apr-nov

Pollino 119,0 17,670 5,300 mag-ott

Lao e Bacini Tirrenici del Cosentino 128,9 27,500 22,800 apr-ott

Bassa Valle del Neto 330,0 79,800 12,500 apr-set

Punta delle Castella - Capo Colonna 165,8 40,000 40,000 mag-set

Alli - Punta delle Castella 159,3 50,000 14,900 mag-ott

Alli - Punta di Copanello 74,2 24,000 2,700 mag-set

Assi - Soverato 14,2 12,700 6,600 mag-set

Piana di Sant’Eufemia 54,3 15,000 11,920 apr-ott

Poro Mesima Marepotamo (ex VV) 50,0 0,144 0,107 apr-nov

Caulonia 86,2 11,100 2,500 mag-set

Versante Calabro Jonico Meridionale 69,6 7,300 2,700 mag-set

Piana di Rosarno 78,1 50,400 6,700 mag-ott

Calabria 1.855,2 615,164 200,127

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

Molise

Andamento delle disponibilità idriche

Nell’ambito del territorio molisano sono presenti quattro schemi idrici ad uso irriguo:Biferno, Volturno, Fortore e Trigno. Il più importante è il Biferno per volume di acque erogate eper estensione delle superfici irrigue servite, coincidenti con gran parte delle superfici attrezzatedei due Consorzi di Bonifica del basso Molise. L’altro schema irriguo importante per l’uso irriguoè il Volturno che alimenta il comprensorio irriguo della Piana di Venafro.

Di importanza secondaria è il Fortore, per le irrisorie quantità di acqua che dall’invaso diOcchito arrivano ai comprensori irrigui del Consorzio di Bonifica di Larino. L’altro schema, quel-lo del Trigno, non ha alcuna importanza per il Molise, in quanto l’invaso della diga di Chiauci,tutto in territorio molisano, è in fase di ultimazione. Inoltre, entro i confini amministrativi di alcu-ne Comunità Montane del Molise, sono ubicati degli schemi idrici secondari a servizio di com-prensori irrigui di estensione limitata che, tuttavia, non saranno presi in considerazione nella pre-sente trattazione.

I Consorzi di Bonifica del Molise (Destra Trigno Basso Biferno, Integrale larinese e Pianadi Venafro) gestiscono quasi tutta (22.428 dei 24.780 ettari complessivi) la superficie attrezzatacon reti irrigue presente sul territorio regionale; solo una piccola parte (2.352 ettari) della superfi-cie attrezzata, quella delle “aree irrigue minori”, è gestita dalle Comunità Montane, nemmeno il10% della quale viene regolarmente irrigata.

In considerazione di ciò le analisi condotte di seguito circa le disponibilità idriche per usoirriguo, ma anche quelle sull’utilizzazione delle superfici e sui relativi fabbisogni saranno svoltein relazione alle sole aree consortili (Consorzi di Bonifica del Basso Molise e dell’area di Vena-fro). Di conseguenza le informazioni riguardanti le disponibilità idriche per uso irriguo saranno

109

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 109

riferite allo schema irriguo Volturno, che alimenta il comprensorio irriguo della Piana di Venafroe all’invaso di Ponte Liscione, attraverso il quale vengono servite le superfici irrigue, coincidenticon gran parte delle superfici attrezzate dei due Consorzi di Bonifica del basso Molise; per ilConsorzio Integrale larinese non vengono analizzate le disponibilità idriche dell’invaso di Occhi-to, gestito dal Consorzio della Capitanata e pertanto analizzato nella specifica parte inerente laregione Puglia.

Schema Volturno

Gestito dal Consorzio di Bonifica della Piana di Venafro lo schema idrico Volturno hacome unica fonte di approvvigionamento idrico la traversa sul fiume Volturno di Contrada Mac-chie nell’agro del Comune di Colli a Volturno.

Il Consorzio di Bonifica venafrano, per concessione è autorizzato a derivare 58,97Mmc/anno (1,870 l/s) dei quali 34,25 Mmc/anno per la produzione di energia elettrica e 24,72Mmc/anno per scopi irrigui. La produzione di energia elettrica è affidata ad una centrale idroelet-trica, ed è conferita all’ENEL che provvede ad erogarla agli impianti di sollevamento del Consor-zio durante la stagione irrigua e ad altri utenti per altri scopi nel restante periodo dell’anno.

Sulla base delle informazioni acquisite direttamente presso il Consorzio è possibile affer-mare che il volume d’acqua prelevato per scopi irrigui nel corso del 2003 è stato all’incirca di 21Mmc, un valore che rimane tuttavia inferiore alle disponibilità rilevate nell’ambito dell’indagineINEA del 1998 (24,72 Mmc).

Invaso di Ponte Liscione

L’invaso è gestito dall’ERIM. La disponibilità di risorsa idrica per l’anno medio è valutatain 258,93 Mmc, mentre riferito all’anno deficitario garantito uno su venti tale valore si riduce a138,37 Mmc.

Le risorse idriche presenti nell’invaso hanno un utilizzo promiscuo o plurimo, essendo aduso potabile, irriguo ed industriale. Non sempre si conoscono i corpi idrici effettivamente deriva-ti o impiegati per i diversi usi, a causa della mancanza di misuratori di portata, sia alla derivazio-ne dei corpi idrici dalla fonte, sia alla consegna alle aziende. La tabella seguente riporta i volumiannui affluiti nell’invaso di Ponte Liscione nel corso degli anni dal 1987 al 2003. Tali volumisono a loro volta distinti tra le portate rilasciate in alveo al piede della diga e gli usi a carico del-la risorsa idrica; la differenza tra i volumi affluiti e i volumi rilasciati in alveo e gli utilizzi, costi-tuiscono i volumi accumulati di anno in anno nell’invaso.

Riguardo all’uso potabile, l’invaso di Ponte Liscione costituisce la fonte di approvvigiona-mento idrico dell’Acquedotto Basso Molise; per questo uso è noto il volume derivato, che perl’anno 2003 è indicato pari a poco più di 9 Mmc.

Diversamente, non è dato conoscere con esattezza i volumi derivati per gli usi industrialeed irriguo, cui si aggiunge quello relativo alla produzione di energia elettrica realizzata da centra-li idroelettriche poste a valle dello sbarramento della Diga del Liscione. Per tali usi, infatti, è notocon certezza il solo volume complessivo, indicato per il 2003 in quasi 127 Mmc (tabella 3.17).Occorre segnalare come le abbondanti precipitazioni registrate nel corso del primo quadrimestredel 2003 abbiano consentito di accumulare nell’invaso di Ponte Liscione per il secondo anno con-secutivo un volume di 25 Mmc, dopo due annate, quelle del 2000 e 2001, di bilancio in negativotra i volumi derivati e quelli affluiti. Il volume affluito nel corso del 2003, infatti e risultatodell’80% superiore a quanto registrato nell’anno precedente.

110

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 110

Tabella 3.17 - Volumi idrici registrati all’invaso di Ponte Liscione - 1987-2003

Anno Volume rilasciato Volume derivato Volume derivato Volume Volume in alveo al piede per usi potabili per l’adduttore accumulato affluito

della diga (mc) irriguo-industriale (mc) (mc)(mc) (mc)

2003 195.266.400 9.069.406 126.530.170 25.849.000 356.714.9762002 34.797.571 9.005.473 128.818.230 24.813.000 197.434.2742001 31.536.000 8.659.008 103.675.740 -29.231.000 114.639.7482000 40.622.400 9.176.544 102.934.324 -4.176.000 148.557.2681999 119.794.500 8.707.392 111.103.180 7.048.000 246.653.0721998 58.861.800 10.916.640 132.272.770 -9.345.000 192.706.2101997 78.102.000 9.573.984 170.911.056 -4.184.000 254.403.0401996 84.826.877 7.781.184 131.001.465 28.404.000 252.013.5261995 61.497.900 8.312.544 90.593.264 4.270.000 164.673.7081994 190.335.960 7.369.056 84.447.724 -26.305.000 255.847.7401993 126.015.300 6.248.016 79.349.580 6.568.886 218.181.7821992 256.048.200 6.538.752 59.331.767 -12.155.000 309.763.7191991 230.968.800 6.576.768 41.933.976 860.000 280.339.5441990 139.914.450 7.510.752 42.631.801 3.110.000 193.167.0031989 178.482.600 7.382.016 28.312.256 2.502.000 216.678.8721988 153.779.400 7.075.296 21.960.276 2.191.000 185.005.9721987 258.821.100 6.600.960 22.743.092 816.000 288.981.152Valore max 356.714.976Malore medio 227.985.977Valore minimo 114.639.748Frequenza 80% 185.005.972Frequenza 90% 164.673.708

Fonte: Assessorato Lavori Pubblici - IV Direzione Regionale

Relativamente all’uso irriguo si ricorda che l’indagine INEA del 1998 indicò un volume idri-co disponibile per l’uso irriguo pari a 33,57 Mmc, 20 dei quali a favore del Consorzio di BonificaDestra Trigno Basso Biferno. Al riguardo occorre segnalare come, mancando i misuratori di porta-ta sia al prelievo dell’acqua dalle fonti di approvvigionamento, sia alla distribuzione all’azienda,tali valori siano il risultato di stime elaborate dai tecnici dei Consorzi di Bonifica ed al tempo stes-so siano contestati dall’ERIM che dichiara di erogare quantitativi superiori a quanto stabilito negliaccordi, pur non avendo quest’ultimo ente fornito informazioni ufficiali al riguardo.

La stagione irrigua nei Consorzi di Bonifica - Problematiche gestionali

Piana di Venafro - Le problematiche gestionali riscontrate durante l’esercizio irriguoriguardano le frequenti diminuzione della portata idrica derivata all’opera di presa, dovute per lopiù ad usi impropri di altri concessionari e/o utilizzatori delle medesime. Tale inconveniente hadeterminato nell’anno 2003 anche la rottura dell’adduttrice causata da fenomeni di colpo d’ariete.

Integrale larinese - Purtroppo, nonostante le disposizioni contenute nel “Disciplinare perl’esercizio irriguo”, ed alcune disposizioni debitamente riportate sulle domande di derivazione edai manifesti, sono tornati a ripetersi i soliti problemi legati ad un utilizzo sconsiderato degliimpianti in contrada Saccione, Distretti VI e VII in agro di San Martino in Pensilis. Tali problemisi sono anzi aggravati, tanto da costituire un’emergenza, che ha costretto il Consorzio ad impe-gnare i consorziati a turnare la distribuzione ed impedire prelievi abusivi dalle vasche di com-penso e dagli sfiati lungo le adduzioni.

111

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 111

L’emergenza idrica della regione Puglia ha generato un esodo di agricoltori dai limitrofiterritori, che hanno affittato tutti i terreni disponibili in alcuni distretti irrigui per coltivarli apomodoro. Il fabbisogno idrico di tale coltura, che nei distretti VI e VII in contrada Saccione inagro di San Martino in Pensilis ha superato il 50% della superficie servita, ha letteralmente man-dato in crisi gli impianti di distribuzione che, come tutti gli impianti realizzati nella nostra regio-ne, sono dimensionati per distribuire una portata continua di 0,45 litri/sec per ettaro e non i 10litri/sec che richiedono i pomodori.

Oltre a tali problematiche si segnala che la distribuzione dell’acqua a misura, con l’utilizzodi una tariffa binomia in cui la parte variabile è strettamente legata agli effettivi consumi di acqua,è stata ritenuta da questo Consorzio l’unico reale modo di ottenere, attraverso il corretto utilizzodella risorsa idrica, una riduzione dei consumi, quindi miglior funzionamento degli impianti disollevamento e una minor spesa di esercizio; tale scelta è stata, peraltro, accolta con grande soddi-sfazione da tutti i consorziati.

Destra Trigno Basso Biferno - Relativamente allo schema irriguo Biferno si segnala unagenerale soddisfacente disponibilità della risorsa idrica nel corso della stagione irrigua. Si sonoriscontrati problemi momentanei nella erogazione legati alla concentrazione dei fabbisogni conse-guenti alla estensione di alcune colture industriali (pomodoro).

Viceversa per lo schema irriguo Trigno, l’erogazione è stata parziale, sia rispetto alle super-fici attrezzate, che rispetto ai tempi di erogazione, a causa della assoluta insufficienza della risor-sa, soprattutto nei momenti di maggiore fabbisogno.

La gestione viene effettuata sulla base del vigente Regolamento Irriguo. Nel corso del2003, in riferimento allo schema Biferno, il Consorzio ha adottato specifiche decisioni per risol-vere le momentanee carenze di acqua, mediante una temporanea, seppure informale, turnazionedella fornitura.

Tabella 3.18 - Superfici irrigue consortili (in ettari)

Consorzi Superficie Superficie Variazione % Irrigata/attrezzataattrezzata irrigata 1998/2003 %

2003 1998 2003 1998 attrezzata irrigata 2003 1998

Piana di Venafro 4.279 4.279 3.750 3.600 0,0 4,2 87,6 84,1

Integrale Larinese 6.400 5.547 3.243 1.925 15,4 68,5 50,7 34,7

Dx Trigno Basso Biferno 12.602 12.602 3.277 3.277 0,0 0,0 26,0 26,0

Molise 23.281 22.428 10.270 8.802 3,8 16,7 44,1 39,2

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

Tabella 3.19 - Dotazioni idriche durante la stagione irrigua

Consorzi Reti irrigue Volumi idrici 2003 Durata stagione irrigua 2003

disponibile erogato*

(km) (Mmc) (Mmc)

Piana di Venafro 984,85 24,720 21,000 apr-ottIntegrale Larinese 393,43 13,570 9,282 apr-ottDx Trigno Basso Biferno 500,77 20,000 19,000 apr-ottMolise 1879,05 58,290 49,282

* Per il Destra Trigno e Basso Biferno sono stati riportati i dati rilevati con l’indagine INEA nell’ambito del POM Irrigazione 1994/99

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

112

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 112

Sardegna

Andamento delle disponibilità idriche

Il monitoraggio delle disponibilità idriche accumulate nei serbatoi idrici artificiali dellaSardegna è stato condotto su 34 invasi per i quali in corrispondenza dell’avvio della stagione irri-gua 2003 era stata autorizzata complessivamente una capacità di massimo invaso di 1.614 Mmc(questo limite è stato ridefinito successivamente in 1.664 Mmc, da metà aprile a metà giugno, epoi in 1.672 Mmc fino a dicembre 2003). Il numero dei serbatoi e i volumi idrici in essi accumu-labili, fanno degli invasi la fonte prevalente per l’approvvigionamento idrico regionale; per l’usoirriguo in particolare l’acqua viene erogata da ben 24 dei 34 invasi considerati. Nonostante ilnumero degli invasi e i volumi potenzialmente accumulabili, la Sardegna ha dovuto fare i continel quinquennio 1999-2003 almeno con due annate estremamente siccitose, nel 2000 e nel 2002,che hanno determinato una riduzione delle disponibilità idriche accumulate che per entità e criti-cità ricordano solo quelle registrate alla fine degli anni ’80.

Figura 3.8 - Confronto dei volumi totali di acqua disponibili negli invasi della Sardegnanel quinquennio 1999-’03 (valori in milioni di metri cubi)

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’Ufficio del Commissario Governativo per l’Emergenza Idrica in Sardegna

Soltanto l’eccezionale andamento pluviometrico che ha caratterizzato l’autunno 2002 e tut-to il primo quadrimestre 2003 ha permesso il ripristino delle disponibilità idriche invasate cheall’avvio della stagione irrigua facevano segnare complessivamente un volume di 1.223 Mmc conun incremento rispetto all’anno precedente di quasi il 187% di acqua in più. Particolarmentesignificativi sono stati gli aumenti registrati nei 12 invasi appartenenti alla Zona idrografica VIIdel sistema Flumendosa nei quali è stato raggiunto un volume totale di 336 Mmc, ben 306 Mmcin più rispetto al 2002, e dai quali si approvvigionano i Consorzi di Bonifica della Sardegna Meri-dionale e del Cixerri che nel complesso presentano una superficie attrezzata per l’irrigazione di60.628 ettari (figura 3.9 e tabella 3.20). Sempre con riferimento ai sistemi irrigui regionali,importanti sono risultati pure gli incrementi di disponibilità idrica registrati negli invasi delleZone idrografiche II - Tirso e III - Coghinas-Mannu-Temo che hanno fatto registrare aumentirispetto al 2002 del 160 e del 167% rispettivamente; a queste zone idrografiche appartengono i

113

0

200

400

600

800

1000

1200

1400

1999

aprile 694,65

luglio 467,91

novembre 245,58

2000

420,23

223,62

227,46

2001

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

961,08

665,32

265,10

2002

426,87

261,79

241,92

2003

1223,31

935,29

866,79

Var. % 2003-2002

186,6

257,3

258,3

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 113

114

Consorzi di Bonifica Oristanese, Nord Sardegna e Nurra. Andamento analogo, infine, è stato regi-strato nelle altre quattro zone idrografiche nelle quali, pur con volumi idrici inferiori a quelliaccumulabili negli invasi delle zone precedentemente descritte, ci sono stati incrementi di acquadisponibile fra il 64% nella Zona VI - Sud Orientale e il 346% della Zona I - Sulcis.

Tabella 3.20 - Invasi utilizzati per uso irriguo e volume accumulato ad aprile del 2002 e2003 (volumi in Mmc)

Invasi per Consorzio Zona idrografica Capacità invaso Risorse accumulatedi bonifica di appartenenza

massima autorizzata 2002 2003 Var. % 03-02

Nord sardegnaCoghinas III-Coghinas-Mannu-Temo 261,929 223,906 69,270 201,143 190,375Casteldoria “ 3,470 3,470 2,490 1,538 -38,233Mannu Pattada “ 71,840 71,840 19,660 53,210 170,651

NurraCuga “ 33,925 25,000 17,045 14,477 -15,066Temo “ 81,176 58,865 13,539 34,609 155,624

GalluraLiscia IV-Liscia 104,000 63,900 27,212 55,350 103,403

Sardegna CentralePosada V-Posada-Cedrino 25,000 25,000 15,539 25,000 60,886Cedrino “ 16,050 16,050 15,539 15,770 1,487

OgliastraSanta Lucia VI-Sud-Orientale 3,100 3,100 0,635 3,072 383,780Bau Muggeris “ 58,367 56,807 37,320 56,127 50,394

OristaneseCantoniera* II-Tirso 748,200 260,000 97,159 310,000 219,065

Basso SulcisMonte Pranu I-Sulcis 49,340 38,440 7,916 35,752 351,642Bau Pressiu “ 8,250 8,250 1,880 7,570 302,660

Sardegna MeridionaleFlumendosa VII Flumendosa 263,000 232,000 10,061 118,582 1078,630Basso Cixerri “ 24,000 24,000 4,960 24,000 383,871Rio Leni “ 19,500 19,500 9,914 19,500 96,692Is Barrocus “ 12,250 12,250 5,105 12,250 139,961Mulargia “ 323,000 323,000 4,547 136,271 2896,943Flumineddu “ 1,420 1,420 0,102 0,066 -35,294Sa Forada “ 1,270 1,130 1,152 1,064 -7,639Casafiume “ 0,750 0,750 0,279 0,184 -34,050Simbirizzi “ 30,300 30,300 1,743 19,557 1022,031

CixerriPunta Gennarta “ 12,200 12,200 5,201 7,502 44,241Medau Zirimilis “ 18,800 1,887 0,379 1,887 397,889

Totale invasi regionali 2280,101 1613,698 400,168 1227,769 206,813

* Fino al 1999 era presente l’invaso di Omodeo (Santa Chiara) in corrispondenza del quale è stato realizzato quello diCantoniera attualmente in fase di invaso sperimentale (capacità autorizzata in variazione)

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’Ufficio del Commissario Governativo per l’Emergenza Idrica in Sardegna

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 114

115

Figura 3.9 - Confronto dei volumi totali di acqua disponibili negli invasi della Sardegnaper zona idrografica nel quinquennio 1999-’03 (valori in milioni di metri cubi)

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

801999

luglio novembre

stagione irrigua

I-Sulcis

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

801999

luglio novembre

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

IV-Liscia

50

0aprile

100

150

200

250

300

3501999

luglio novembre

stagione irrigua

II-Tirso

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

801999

luglio novembre

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

V-Posada-Cedrino

50

0aprile

100

150

200

250

300

350

4001999

luglio novembre

stagione irrigua

III-Coghinas-Mannu-Temo

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

10

0aprile

20

30

40

50

60

70

801999

luglio novembre

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

VI-Sud Orientale

50

0aprile

100

150

200

250

300

350

4001999

luglio novembre

stagione irrigua

VII-Flumendosa

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

2000 2001 2002 2003

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’Ufficio del Commissario Governativo per l’Emergenza Idrica in Sardegna

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 115

La stagione irrigua nei Consorzi di Bonifica

Dopo il mediocre risultato produttivo conseguito nel 2002 a causa della siccità, l’agricoltu-ra sarda nel 2003 è stata contrassegnata, dal punto di vista della produzione, da una annata anco-ra negativa. Infatti alcune gelate invernali, i venti di marzo-aprile e le temperature elevate del-l’estate hanno danneggiato molte ortive in pieno campo, i pescheti e gli agrumeti (boccioli fiora-li). Inoltre dal punto di vista climatico, se da gennaio a maggio e da ottobre a dicembre, le pioggesono cadute regolarmente portando beneficio a tutte le colture, particolarmente agli erbai e aipascoli, le alte temperature di giugno, luglio, agosto e settembre hanno causato danni soprattuttoalla coltura del pomodoro in pieno campo e ai frutteti. Gli agricoltori hanno evitato perdite mag-giori solo grazie al ricorso a numerose irrigazioni straordinarie, con un notevole aggravio deicosti di produzione. Si spiega così l’impennata dei prezzi, soprattutto quelli al consumo, di fruttae verdura durante quasi tutto l’anno.

Le colture cerealicole, colture tipiche della regione, hanno registrato una diminuzionedelle superfici e delle produzioni ad esclusione del grano duro le cui rese unitarie sono aumen-tate rispetto all’anno precedente. Segno negativo anche per il mais per il quale sono diminuite lesuperfici e le produzioni a causa di alcuni eventi climatologici sfavorevoli durante il ciclo coltu-rale.

Per i produttori di riso dell’Oristanese invece è stata un’ottima annata conseguita graziealle maggiori superfici investite e alla ritrovata disponibilità di acqua.

Per il pomodoro da industria, nonostante ci si attendeva una maggiore produzione in consi-derazione del 15% in più di superfici investite, le rese unitarie sono state inferiori a quelle del2002 a causa del caldo torrido estivo e delle virosi che hanno fatto deprezzare considerevolmen-te il prodotto. Segno negativo anche per il pomodoro da mensa sia rispetto alle superfici (-3%rispetto all’anno precedente) che alle rese (-6%).

Annata produttiva negativa anche per la resa produttiva dei frutteti: -12% per il pesco, 35%per l’arancio e -70% per i clementine.

Bene invece il carciofo, che potendo contare sulla regolare disponibilità di acqua e su unacongiuntura commerciale favorevole ha fatto registrare rese e prezzi più alti, l’olivo (annata dicarica) e la vite, la cui produzione di vino, di ottima qualità, è aumentata di circa il 9-10%.

Tabella 3.21 - Superfici irrigue consortili (in ettari)

Consorzi Superficie Superficie Variazione % Irrigata/attrezzataattrezzata irrigata 1998/2003 %

2003 1998 2003 1998 attrezzata irrigata 2003 1998

Basso Sulcis 4.714 4.714 1.038 1.838 0,0 -43,5 22,0 39,0

Cixerri 9.265 9.265 713 1.661 0,0 -57,1 7,7 17,9

Ogliastra 4.584 4.584 4.174 3.784 0,0 10,3 91,1 82,5

Gallura 6.810 5.583 677 655 22,0 3,4 9,9 11,7

Nord Sardegna 11.250 19.550 3.482 4.441 -42,5 -21,6 31,0 22,7

Nurra 18.555 18.555 3.510 4.128 0,0 -15,0 18,9 22,2

Sardegna Centrale 13.752 13.752 5.679 5.679 0,0 0,0 41,3 41,3

Oristanese1 31.519 31.519 16.141 20.504 0,0 -21,3 51,2 65,1

Sardegna Meridionale 51.363 59.589 10.959 16.156 -13,8 -32,2 21,3 27,1

Sardegna 151.812 167.111 46.373 58.846 -9,2 -21,2 30,5 35,2

1 Campidano d’Oristano e Terralba Arborea

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

116

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 116

Tabella 3.22 - Dotazioni idriche durante la stagione irrigua

Consorzi Reti irrigue Volumi idrici 2003 Durata stagione irrigua 2003

disponibile erogato(km) (Mmc) (Mmc)

Basso Sulcis 42,4 33,000 13,000 apr-set

Cixerri 80,1 11,000 11,000 apr-ott

Ogliastra 50,0 26,000 26,000 apr-ott

Gallura 79,7 20,100 19,000 apr-set

Nord Sardegna 103,9 22,310 12,850 apr-set

Nurra 163,4 35,000 35,000 apr-ott

Sardegna Centrale 156,6 34,500 29,000 apr-set

Oristanese (1) 278,0 314,000 138,000 apr-ott

Sardegna Meridionale 87,0 145,700 78,000 apr-ott

Sardegna 1041,1 641,610 361,850

1 Campidano d’Oristano e Terralba Arborea

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

Sicilia

Andamento delle disponibilità idriche

Le abbondanti piogge registrate nel corso del 2003 hanno determinato, in tutti gli invasimonitorati, il raggiungimento di livelli di accumulo di risorsa idrica superiori a quelli registratinell’ultimo quinquennio e significativamente superiori rispetto al 2002, anno che sarà ricordatoper i numerosi problemi causati dalla carente disponibilità idrica regionale. Se si confronta infat-ti il dato ottenuto dal monitoraggio mensile degli invasi presi a riferimento e si osservano i valo-ri dei volumi idrici registrati nel 2003 e nel 2002, si evince che la quantità totale di acqua in essicontenuto all’avvio della stagione irrigua è stato rispettivamente di circa 372 e 183 Mmc facendosegnare quindi un incremento del 103%.

Questo dato ha suscitato però un eccessivo ottimismo. Se, infatti, si considera che il 2001ha segnato un deficit di precipitazioni del 66,7% e che il 2002 ha chiuso a -42%, l’evento di unperiodo di piogge appena normale è stato salutato come la fine dell’emergenza; ma in realtà solopiogge molto più abbondanti e prolungate avrebbero potuto ricaricare anche le depauperatissimefalde idriche.

Andando ad esaminare quello che è avvenuto nella passata stagione irrigua relativamenteall’irrigazione collettiva gestita dai Consorzi di Bonifica siciliani, ci si rende conto di come que-sta si sia presentata in maniera assolutamente diversificata a seconda dei territori considerati.

117

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 117

La stagione irrigua nei Consorzi di Bonifica

Il decorso stagionale dell’esercizio irriguo relativo al 2003 è stato generalmente migliorerispetto a quello nel 2002, pur registrando qualche difficoltà in taluni comprensori irrigui di Gela,di Ragusa e di Siracusa legati all’adduzione e distribuzione della risorsa idrica. Nel complesso,dunque, non sono state ravvisati problemai rilevanti tant’è che da parte della Regione non sonostate adottate particolari misure in aiuto degli agricoltori. Dal punto di vista infrastrutturale, inol-tre, si segnala la realizzazione di alcuni investimenti previsti dall’APQ Risorse idriche e relativi alavori di ammodernamento e di estendimento delle reti irrigue di alcuni Consorzi (Trapani, Ennaed Agrigento); questi investimenti, quasi tutti completati, potrebbero determinare impatti positivigià a partire dalla stagione irrigua 2004.

Si evidenzia però che la scorsa stagione irrigua non è stata pienamente soddisfacente ancheper il repentino innalzamento anticipato delle temperature che ha reso necessario, in alcunidistretti, l’anticipo della stessa. Nonostante la disponibilità idrica sufficiente su quasi tutto il terri-torio, come è stato rilevato nel dettaglio nei singoli Consorzi, in nessun comprensorio sono statiraggiunte le dotazioni idriche per ettaro descritti in letteratura (4.000 mc /ha per l’agrumeto, 1.200mc/ha per il vigneto, 5.000 mc /ha per le ortive stagionali, 2000-2200 mc/ha per il frutteto, coltu-re prevalenti in Sicilia).

Con un fabbisogno al campo stimato per le superfici consortili effettivamente irrigate dipoco meno di 120 Mmc d’acqua, a fronte di una disponibilità di circa 180 Mmc ne sono stati ero-gati 101 Mmc.

Il problema dell’acqua per l’irrigazione resta quindi drammaticamente attuale, anche neglianni normali dal punto di vista idrologico; l’utilizzazione di risorse idriche per l’irrigazione alcampo risulta stentata e difficilmente programmabile, con aggravio di costi e con possibili contra-zioni, anche se temporanee e in dipendenza di periodi siccitosi, sia delle superfici che delle pro-duzioni agricole a detrimento dell’economia regionale.

118

Figura 3.10 - Confronto dei volumi totali di acqua disponibili negli invasi siciliani nel quin-quennio 1999-’03 (valori in milioni di metri cubi)

Fonte: elaborazione INEA su dati dell’ESA e dei Consorzi di bonifica

0

50

100

150

200

250

300

350

400

1999

aprile 340,83

luglio 194,17

novembre 151,65

2000

262,73

229,94

139,23

2001

stagione irrigua

dis

pon

ibili

tà id

riche

(Mm

c)

342,94

256,49

157,31

2002

183,30

138,04

112,62

2003

371,89

302,44

259,56

Var. % 2003-2002

102,9

119,1

130,5

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 118

Le associazioni di categoria hanno dichiarato che nel 2003 il maltempo, nel caso specificoil gelo e il caldo hanno condizionato in modo rilevante l’andamento produttivo del settore agrico-lo determinando stress idrico a diverse colture: l’uva da tavola di Mazzarrone e di Canicattì, gliagrumeti di Ribera, le primizie del Ragusano, l’ortofrutta della provincia di Palermo.

Tabella 3.23 - Superfici irrigue consortili (in ettari)

Consorzi Superficie Superficie Variazione % Irrigata/attrezzataattrezzata irrigata 1998/2003 %

2003 1998 2003 1998 attrezzata irrigata 2003 1998

1 - Trapani 10.690 10.164 8.839 5.874 5,2 50,5 82,7 57,8

2 - Palermo 6.082 9.479 2.161 6.417 -35,8 -66,3 35,5 67,7

3 - Agrigento 39.653 35.864 18.296 21.284 10,6 -14,0 46,1 59,3

5 - Gela 10.810 10.890 1.201 2.469 -0,7 -51,4 11,1 22,7

6 - Enna 5.263 7.775 1.728 1.407 -32,3 22,8 32,8 18,1

7 - Caltagirone 8.100 7.007 3.100 3.190 15,6 -2,8 38,3 45,5

8 - Ragusa 10.849 10.849 8.250 7.957 0,0 3,7 76,0 73,3

9 - Catania 48.579 48.579 17.079 20.020 0,0 -14,7 35,2 41,2

10 - Siracusa 15.746 15.465 1.168 1.871 1,8 -37,6 7,4 12,1

11 - Messina 377 227 328 227 66,1 44,5 87,0 100,0

Sicilia 156.149 156.299 62.150 70.716 -0,1 -12,1 39,8 45,2

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

Tabella 3.24 - Dotazioni idriche durante la stagione irrigua

Consorzi Reti irrigue Volumi idrici 2003 Durata stagione irrigua 2003

disponibile erogato(km) (Mmc) (Mmc)

1 - Trapani 123,00 30,934 14,040 mag-ott2 - Palermo 34,30 11,740 4,170 apr-ott3 - Agrigento 147,10 31,650 14,708 apr-ott5 - Gela 97,60 4,800 0,837 mar-ott6 - Enna 66,20 6,513 4,600 mag-ott7 - Caltagirone 74,30 9,315 4,000 giu-ago8 - Ragusa* 190,70 1,650 1,550 giu-ago9 - Catania** 236,20 69,242 69,242 mag-nov10 - Siracusa 92,50 3,100 1,923 giu-set11 - Messina 31,50 0,849 0,849 apr-novSicilia 1.093,40 169,793 115,919

* Dati riferiti al solo comprensorio irriguo Acate** 20 Mmc provengono, secondo stime consortili, da laghetti aziendali

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di bonifica

Campania

La situazione meteorologica che si è venuta a delineare negli ultimi anni, caratterizzata dauna diminuzione delle precipitazioni nel periodo autunno-invernale e in maniera inconsueta anchedi quelle della tarda primavera, non ha permesso il ripristino delle falde né un ottimale riempimen-to degli invasi limitando, di fatto, l’approvvigionamento idrico sia per l’agricoltura che per gli altrisettori produttivi. Tale situazione è stata tanto più critica in aree che dipendono in maniera quasi

119

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 119

esclusiva dalla risorsa accumulata nei serbatoi artificiali e nelle quali si è giunti alla stagione irrigua2002 dopo due anni, 2000 e 2001, già contrassegnati da uno stato perdurante di siccità.

A solo titolo di esempio si riporta che la capacità di invaso della Diga del Macchioni –Area Irpina – al luglio 2003 era al 50% rispetto al 2001, annata già di per se stessa inferiore allamedia ventennale della Diga.

Oltre alla siccità va tenuto conto anche della scarsità di opere di accumulo (invasi), soprat-tutto nelle aree interne nelle quali potrebbero svolgere un ruolo importante anche nelle attività dicontrollo e spegnimento degli incendi boschivi.

D’altro canto, è anche vero che i pochi invasi esistenti presentano in alcuni casi problemistrutturali o di interrimento per i quali si richiedono interventi di ripristino funzionale per un pie-no recupero delle capacità utili, mentre in altri casi la rete di distribuzione a valle si presenta tec-nologicamente obsoleta e non rispondente alle moderne tecniche irrigue, non consentendo un usoefficiente della risorsa disponibile.

In definitiva, il problema dell’emergenza idrica già presente negli ultimi anni nelle regionidel Sud ed aggravato dall’ormai ricorrente fenomeno della siccità, ha coinvolto nel 2003 anchemolte aree della Campania, determinando in agricoltura uno stato di crisi che ha assunto dimen-sioni notevoli, interessando praticamente, tutti i comparti produttivi, e tutte le aree geografichedella regione.

La stagione arida ha avuto inizio ancor prima della primavera, se si eccettua qualche brevepiovasco nella prima decade di giugno. Il volume pluviometrico in Campania dalla metà di apri-le a ottobre è stata nettamente inferiore alla media ventennale registrata. Fenomeno che si è regi-strato in maniera piuttosto uniforme nell’intero territorio regionale.

Questa prolungata siccità, alla quale si sono aggiunti evidentemente altri fattori come latemperatura e la conseguentemente più intensa evapotraspirazione, ha condizionato lo sviluppoed il completamento produttivo delle colture agrarie che hanno, quindi, subito stress idrici in unao più fasi fenologiche critiche con gravi ripercussioni sul normale sviluppo vegetativo.

I danni che si sono registrati hanno interessato tanto le aree agricole intensive di pianuraquanto quelle collinari interne.

Nelle zone pianeggianti in cui operano Enti di Bonifica e di Irrigazione questi hanno assun-to drastici provvedimenti per la limitazione della distribuzione all’utenza, determinando fortedisagio e proteste da parte degli agricoltori penalizzati dalla riduzione di disponibilità che si riper-cuote, negativamente, sulle colture di pregio (orto-frutticole in pieno campo ed in serra) e sulleproduzioni da cui dipende l’allevamento zootecnico (erbai primaverili-estivi) a carico delle qualisi ipotizza un calo di resa produttiva di circa il 40% rispetto alla produzione media annuale.

Tale situazione è stata comune alle aree della Piana Campana (Napoli-Caserta), della Pianadel Sele, dell’Agro Sarnese Nocerino, del Basso Cilento, delle Valli del medio Volturno, dell’Ufi-ta e del Vallo di Diano.

I dati forniti dai Consorzi di Bonifica sulle disponibilità idriche destinate all’irrigazioneevidenziano una riduzione del 50% sulla dotazione media stagionale, con punte del 70% laddovela risorsa è prelevata, normalmente, da falde sotterranee e da invasi.

Lo stato di grave emergenza idrica che ha caratterizzato l’intero Sud Italia è aumentatonotevolmente nei periodi di settembre-ottobre.

È infatti da considerare che in molti invasi artificiali la riduzione della disponibilità si aggra-va ulteriormente nei casi in cui gli accumuli (es. Cilento e Volturno) dovevano soddisfare anchel’esigenza idropotabile cui gli stessi sono destinati attraverso trattamenti di potabilizzazione.

120

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 120

Inoltre, particolarmente grave è stata la situazione dell’agricoltura delle zone interne dellaRegione in quanto la crisi del settore foraggero ha avuto conseguentemente ripercussioni cata-strofiche sul patrimonio zootecnico regionale ed in particolare su razze autoctone di particolarepregio. Si tratta, infatti, di un’area che risente in particolare della mancanza di idonee attrezzatu-re per l’accumulo.

121

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 121

•Capitolo03 13-06-2007 10:08 Pagina 122

CAPITOLO 4

STIMA DEI VOLUMI IRRIGUI E DEI FABBISOGNI IDRICI COLTURALI, PER LE COLTURE PREVALENTI NEGLI ORDINAMENTI COLTURALI

DELLE REGIONI OBIETTIVO 1*

Abstract

La produzione agricola proveniente da colture irrigue rappresenta più dei due terzi del

valore aggiunto del settore agricolo meridionale. La superficie occupata dalle colture irrigue è di

circa 1.600.000 ettari, cui corrisponde circa il 60% del consumo totale di risorsa idrica. Pertanto

l’acqua è un elemento chiave per l’economia del settore agricolo, non solo meridionale. Uno dei

principali problemi che l’area meridionale (e non solo, viste le recenti crisi idriche che hanno

caratterizzato negli ultimi anni anche il Centro Nord) è spesso tenuta ad affrontare, è sicuramen-

te la scarsità di risorsa idrica, anche in considerazione dell’aumento della domanda di acqua in

altri settori (civile, industriale, turistico). Considerando che in futuro difficilmente si può prevede-

re un incremento di disponibilità della risorsa, l’ottimizzazione e la piena utilizzazione dell’acqua

disponibile in agricoltura rappresenta un fattore chiave per lo sviluppo rurale e per la gestione

agro-ambientale del territorio. Partendo da tali considerazioni, in questo capitolo si intende pre-

sentare le attività svolte dall’INEA in due specifici campi di attività: la costruzione di un data

base sulle colture irrigue, da cui sia possibile estrarre informazioni relative alla localizzazione

geografica delle aree irrigate e dei volumi irrigui utilizzati; la definizione di un modello di calco-

lo dei fabbisogni idrici colturali, quale strumento in grado di determinare, sulla base dell’analisi

dei complessi rapporti del sistema acqua-atmosfera-suolo-pianta, i quantitativi di acqua da eroga-

re per soddisfare le esigenze idriche delle colture ed i momenti di intervento più opportuni.

Irrigated agricultural productions represent about 74% of total agriculture’s added value

of Southern Italy Regions. The total area covered by irrigated crops is about 1.600.00 hectares. It

represents the 60% of the total water consumption. Water is therefore a key element for the agri-

cultural sector, not only in the Southern Region. One of the principals problem which Southern

area (and not only, considering the recent water crisis that has been characterised the Centre

North) often must face is the scarcity of water also considering the water demand in others sector

(urban areas, industries and tourist resorts). Thus optimisation and full utilisation of available

water in agriculture are key factors in rural development and agri-environmental management.

Which these consideration at the base, it is intended with this chapter to present the activity

realised by INEA in two specific field: data base on irrigated crop building that allow to spatial

referencing irrigated areas and water volumes utilised; Calculation model on Crop Water

Requirements defining, as tools to compute-based on the analysis of the complex relation on the

system water-atmosphere-soil-plant - both the quantity of water to dispense in order to satisfy the

water needs of crop and the appropriate timing.

123

* Pasquale Nino, Andrea Fais INEA.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 123

Premessa

Dall’analisi dei dati statistici disponibili (ISTAT ’99-’00) risulta che più dei due terzi delvalore del settore agricolo meridionale provengono da produzioni che richiedono l’utilizzo del-l’acqua. Il Valore Aggiunto (VA)1 dell’agricoltura meridionale rappresenta il 39,8% dell’interosettore primario nazionale ed incide per il 5,6% sul totale dell’economia delle regioni Obiettivo 1.In termini occupazionali l’agricoltura meridionale rappresenta il 49,3% del totale degli occupati2

nel settore agricolo a livello nazionale.

I risultati ottenuti dal settore agroalimentare nelle regioni Obiettivo 1 sono il frutto di dina-miche di sviluppo proprio delle produzioni tipiche di queste regioni, per le quali il peso dell’atti-vità agricola irrigua è preponderante: circa il 74%3 del valore della produzione a prezzo di base4 ècostituito da produzioni irrigue. Frutta, agrumi e uva da tavola, con il 41,4% sul totale della pro-duzione a prezzi di base, e patate e ortaggi con il 25,7%, risultano essere i comparti che maggior-mente contribuiscono alla produzione a prezzi di base.

L’acqua di irrigazione consente di coprire le esigenze idriche fisiologiche delle colture, esi-genze che negli ambienti continentali in genere sono soddisfatte dagli eventi idrometeorici. In talsenso l’irrigazione rende possibile, con la sola limitazione del mercato, l’adozione di ordinamen-ti colturali diversamente non praticabili, con conseguenti vantaggi in termini occupazionali edeconomici.

Pertanto l’acqua è un elemento chiave per l’economia del settore agricolo, non solo meri-dionale. Uno dei principali problemi che l’area meridionale (e non solo, viste le recenti crisi idri-che che hanno caratterizzato negli ultimi anni anche il Centro Nord) è spesso tenuta ad affrontare,è sicuramente la scarsità di risorsa idrica, anche in considerazione dell’aumento della domanda diacqua in altri settori (civile, industriale, turistico). Considerando che in futuro difficilmente si puòprevedere un incremento di disponibilità della risorsa, l’ottimizzazione e la piena utilizzazionedell’acqua disponibile in agricoltura rappresenta un fattore chiave per lo sviluppo rurale e per lagestione agro-ambientale del territorio.

Partendo da tali considerazioni, in questo capitolo si intende presentare le attività svoltedall’INEA in due specifici campi di attività: la costruzione di un data base sulle colture irrigue, dacui sia possibile estrarre informazioni relative alla localizzazione geografica delle aree irrigate edei volumi irrigui utilizzati; la definizione di un modello di calcolo dei fabbisogni idrici colturali,quale strumento in grado di determinare, sulla base dell’analisi dei complessi rapporti del sistemaacqua-atmosfera-suolo-pianta, i quantitativi di acqua da erogare per soddisfare le esigenze idrichedelle colture ed i momenti di intervento più opportuni.

Per quanto riguarda il primo aspetto, in questo rapporto sono analizzate le dinamiche usodel suolo/volumi irrigui relativamente alle Regioni Obiettivo 1 (Abruzzo incluso) attraverso l’uti-lizzazione delle banche dati esistenti. In tali Regioni l’INEA ha realizzato un Sistema InformativoGeografico – denominato Sistema Informativo per la Gestione delle Risorse Idriche in Agricoltu-

124

1 Il VA è stato calcolato utilizzando il nuovo concetto di prezzi di base, introdotto dalla revisione dei conti economici secondo ilSistema Europeo dei Conti SEC 95. Tali valori includono i contributi sui prodotti ed escludono le imposte sugli stessi.

2 Nuova serie delle rilevazioni trimestrali ISTAT sulle forze lavoro - 2000.3 Il valore della produzione è stato desunto dai dati 2000, per quanto riguarda: cereali, patate e ortaggi, piante industriali, coltiva-

zioni arboree e dai dati del ’99 per le colture foraggere, in quanto i dati 2000 non presentano più la disaggregazione tra foraggi eprodotti dell’allevamento.

4 La produzione a prezzi di base comprende, oltre alla produzione venduta sul mercato o conservata in forma di scorte, oppure auto-consumata, anche i reimpieghi, cioè quella parte di produzione utilizzata per i consumi intermedi, ad opera della stessa unità pro-duttiva, nel corso del medesimo esercizio.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 124

ra (da ora in avanti SIGRIA) focalizzato sulle problematiche irrigue, attraverso la rilevazione deidati strutturali dei Consorzi di Bonifica.

La banca dati è stata costruita attraverso delle apposite rilevazioni presso i Consorzi diBonifica delle Regioni Obiettivo 1 e contiene, per la maggior parte dei comprensori irrigui, oltreagli elementi cartografici in formato digitale (limiti dei consorzi di bonifica, dei comprensori edistretti irrigui, reti irrigue, stazioni meteo ecc.) informazioni relative alla disponibilità di acqua,la provenienza e l’uso della risorsa idrica, le caratteristiche strutturali delle reti di adduzione e didistribuzione, la tipologia dei terreni soggetti all’irrigazione, nonché la situazione generale checaratterizza la risorsa idrica del comprensorio (limiti, emergenze, soggetti coinvolti, ecc.).

La metodologia adottata per le Regioni Obiettivo 1 consente, inoltre, di definire le proce-dure d’acquisizione ed elaborazione dei dati in vista dell’estendimento del Rapporto alle Regionidel Centro-Nord in cui, attraverso il progetto Interregionale “Monitoraggio dei sistemi irrigui delCentro-Nord”, si sta procedendo alla raccolta delle basi di dati che formano l’impalcatura delSIGRIA, al fine di costituire un data base geografico omogeneo per tutto il Paese.

Il termine “volumi irrigui” in questo contesto è da intendersi nel senso di fabbisogni irriguicolturali “normalizzati”, cioè valori medi in base a dati di fonte consortile, Istituti di ricerca e ser-vizi agrometeorologici operanti nelle regioni meridionali. Si tratta sostanzialmente di un datomedio unitario per coltura, caratteristico di ciascuna area consortile.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, sono analizzate le attività focalizzate alla stima delfabbisogno idrico colturale attraverso l’applicazione – in quattro aree test di ridotta estensione sucui sono stati condotti appositi rilievi – di un modello di calcolo del bilancio idrologico, basato suun algoritmo di simulazione dinamica del moto dell’acqua nel sistema suolo-pianta-atmosfera.

4.1 Metodologia di stima dei volumi irrigui

La stima dei volumi irrigui utilizzati nelle diverse aree geografiche necessita di informazio-ni di estremo dettaglio nei seguenti aspetti:

– identificazione aree irrigue;

– caratteristiche dell’uso del suolo all’interno delle aree irrigue;

– fabbisogno idrico colturale delle singole specie.

4.1.1 Identificazione delle aree irrigue

Le aree in cui è praticata l’irrigazione sono state divise in due tipologie:

– aree attrezzate, dotate di infrastrutture irrigue pubbliche, all’interno dei Consorzi diBonifica (Enti pubblici, amministrati dai propri consorziati, che coordinano interventipubblici ed attività privata nei settori della difesa idraulica, dell’approvvigionamentoidrico e dell’irrigazione);

– aree irrigate esterne alle precedenti.

I limiti delle aree attrezzate all’interno dei Consorzi di Bonifica sono stati acquisiti attra-verso delle indagini dirette presso i Consorzi stessi. I supporti cartografici presenti negli archividei Consorzi, normalmente disponibili in formato cartaceo, sono stati acquisiti, tramite scansioneelettronica, in formato digitale, georeferenziati, ed inseriti in formato vettoriale all’interno delSIGRIA.

125

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 125

Occorre precisare che i limiti delle aree attrezzate non coincidono, nella generalità dei casi,con le aree effettivamente irrigate, ciò in virtù di diversi fattori, quali rotazioni agronomiche, scar-sità di risorsa in alcune stagioni irrigue, ecc.

Per individuare le aree effettivamente irrigate, sia interne che esterne ai limiti delle areeattrezzate di gestione Consortile, si è fatto ricorso a tecniche di telerilevamento5 come decrittonel successivo paragrafo.

Figura 4.1.1 - Aree attrezzate (in rosso) nelle Regioni Obiettivo 1

Fonte: elaborazione INEA su dati dei Consorzi di Bonifica

4.1.2 Costruzione di un data base sulle colture prevalenti nelle aree irrigue

La metodologia proposta per l’identificazione delle aree irrigate, si basa su un approccio ditipo modulare e per successivi livelli di approfondimento, articolato in due fasi.

L’obiettivo primario della prima fase è stato quello di suddividere l’area di studio in duegrandi categorie attraverso la realizzazione di un prodotto cartografico, denominato CASI2 (Car-ta delle Aree di Studio per l’Irrigazione n° 2):

– aree di esclusione, che sicuramente non sono interessate dall’irrigazione (zone al disopra di una certa fascia altimetrica, terreni al di sopra di una determinata pendenza,aree con uso del suolo non agricolo);

– aree di inclusione, che sicuramente (comprensori irrigui, aree ricadenti nei progetti diampliamento e limitrofe ad invasi parzialmente o affatto utilizzati), o potenzialmente (percaratteristiche orografiche e di uso del suolo) sono interessate al fenomeno irrigazione.

126

5 Con il termine di telerilevamento si intende l’insieme degli strumenti e delle tecniche che consentono l’acquisizione di dati riguar-danti il territorio e l’ambiente, nonché l’insieme dei metodi e delle tecniche per la successiva elaborazione e interpretazione.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 126

Tale attività è stata realizzata utilizzando i dati disponibili al 19986:

– dati dell’uso e copertura del suolo del Progetto Corine Land Cover;

– dati di quota del territorio nazionale (Modello Digitale del Terreno);

– dati riguardanti le aree dei Comprensori irrigui.

Figura 4.1.2 - Regione Campania - Aree di inclusione/esclusione

Fonte: INEA

Nella seconda fase, denominata CASI 3, si è proceduto alla costruzione della banca daticolturale all’interno delle aree di inclusione (1:50.000 per quanto riguarda l’accuratezza tematicae 1:25.000 per quella geometrica) utilizzando le potenzialità offerte dal telerilevamento nellamappatura delle aree irrigate, anche in considerazione del notevole sviluppo della tecnologia spa-ziale caratterizzata dalla messa in orbita di sensori ad elevata risoluzione7. I vantaggi offerti daltelerilevamento sono molteplici:

– visione sinottica del territorio;

– osservazione ripetuta e costante, a intervalli di tempo regolari, delle modificazioni del-le condizioni agricolo-ambientali del territorio;

– aggiornata disponibilità dei dati.

Dall’analisi delle piattaforme satellitari all’epoca presenti, l’unico sensore in grado di for-nire una copertura completa del territorio con immagini di buona qualità (sgombre di nuvole ocon percentuali di nuvolosità basse) è risultato essere il Tematic Mapper montato sui satelliti del-la serie Landsat 5.

Aree escluse

Aree incluse

127

6 Per una descrizione dettagliata della metodologia adottata si veda “Il progetto CASI - guida tecnica e presentazione dei risultati.INEA - LG. - Roma: dicembre 2001 - pp. 120.

7 Con il termine di risoluzione nel campo del telerilevamento si fa riferimento ai seguenti aspetti:

– Risoluzione geometrica: dimensioni dell’area elementare al suolo in cui si rileva l’energia elettromagnetica; un’immagine tele-rilevata è costituita da elementi base denominati pixel (picture element) dalla cui dimensione dipende la risoluzione geometrica;

– Risoluzione spettrale: intervallo di lunghezze d’onda a cui è sensibile lo strumento;

– Risoluzione radiometrica: minima energia in grado di stimolare l’elemento sensibile affinché produca un segnale elettrico rile-vabile dall’apparecchiatura;

– Risoluzione temporale: periodo di tempo che intercorre tra due riprese successive di una stessa area.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 127

Tale sensore pur presentando una buona risoluzione spettrale (7 bande) e temporale (16giorni), presenta notevoli limitazioni in termini di risoluzione geometrica (30 metri) per l’otteni-mento della scala richiesta (1:25.000).

Per superare le limitazioni dovute alla risoluzione geometrica del sensore Thematic Map-per e raggiungere il dettaglio di scala previsto nelle aree di inclusione, l’interpretazione dellediverse classi di uso del suolo è stata derivata dall’osservazione delle immagini TM (integrata danumerose indagini di campo soprattutto per quanto riguarda le colture permanenti) con opportunecombinazioni di bande (in genere 432, 542, o 453), mentre la geometria dei relativi poligoni è sta-ta digitalizzata sulle ortofoto digitali in toni di grigio (risoluzione geometrica 1 metro) affiancateall’immagine satellitare.

Nella scelta del sistema di classificazione si è tenuto conto, da una parte della necessità dicollegarsi alla nomenclatura CORINE Land Cover, dall’altra di adeguarla al livello di dettagliorichiesto per l’individuazione dell’insieme delle colture irrigue, attraverso la definizione di unquarto livello relativamente alla classe 2 (territori agricoli).

La definizione del quarto livello del sistema di classificazione è stata preceduta da unapposito studio, indirizzato ad individuare l’insieme delle colture irrigue più significative delleregioni meridionali ed i relativi indici di massima copertura vegetale (funzionale all’individuazio-ne dei periodi vegetativi e di massimo fabbisogno idrico colturale).

Dall’analisi dei dati risultati da tale studio è stata elaborata la nomenclatura CASI 3,espressamente orientata all’agricoltura irrigua.

Tabella 4.1.1 - Il sistema di nomenclatura CASI 3, relativo alle sole classi agricole

Codice Codice DescrizioneCORINE CASI 3

211 211 Seminativi non irrigui212 2121 Colture erbacee da pieno campo a ciclo primaverile-estivo

2122 Colture orticole da pieno campo a ciclo estivo-autunnale o estivo-primaverile 2123 Colture orticole da pieno campo a ciclo primaverile-estivo 2124 Vivai2125 Colture in serra

213 213 Riso221 2211 Vigneti irrigui

2212 Vigneti non irrigui222 2221 Frutteti irrigui

2222 Frutteti non irrigui223 2231 Oliveti irrigui

2232 Oliveti non irrigui231 231 Prati irrigui

232 Prati non irrigui

Fonte: INEA

Definita la metodologia di acquisizione dei dati ed il relativo sistema di classificazione si èproceduto alla selezione delle immagini Landsat Tematic Mapper (TM) in corrispondenza di treperiodi (inverno/primavera, primavera/estate, autunno), in cui si registra la massima coperturavegetale delle diverse colture irrigue praticate nelle regioni meridionali, relative a tre differentianni, compresi tra il 1993 e il 1998, di cui una prossima al periodo delle riprese fotogrammetricheutilizzate per le ortofoto AGEA nelle singole regioni.8

128

8 Per una descrizione dettagliata della metodologia adottata cfr nota 6.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 128

Il prodotto finale di tale attività è costituito da tre differenti banche dati di uso del suolo(una relativa alla stagione primaverile, una a quella estiva ed una a quella autunnale).

Figura 4.1.3 - Confronto banche dati di uso del suolo per stagione

Fonte: INEA

Inoltre le tre banche dati sono state sintetizzate in un unico data base, denominato PEA (pri-mavera-estate-autunno), che fornisce utili indicazioni sia sulla localizzazione delle aree irrigue;

Fig. 4.1.4 - Rappresentazione irriguo non irriguo

Fonte: INEA

IRRIGUO/NON IRRIGUOseminativi irriguiseminativi non irriguicolture arboree irriguecolture arboree non irrigueprati irriguiprati non irriguirisaieagricolo mistoaree naturalicorpi d’acquazone umidearee urbanizzate

129

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 129

Che dei periodi irrigui.

Figura 4.1.5 - Rappresentazione stagioni irrigue

Fonte: INEA

Inoltre, attraverso l’operazione spaziale di intersezione tra la banca di sintesi ed i limiti deicomprensori irrigui sono state individuate le aree irrigate esterne ai limi ti delle aree attrezzate deiConsorzi di Bonifica.

Figura 4.1.6 - Aree irrigate interne (rosso) ed esterne (gialle) ai limiti delle aree attrezzate

Fonte: INEA

IRRIGUO PER STAGIONIirrigazione primaverileirrigazione estivairrigazione autunnaleirrigazione primaverile-estivairrigazione estivo-autunnaleirrigazione autunnale-primaverilearboree con irrigaz. permanenteseminativi con irrigaz. permanenteprati con irrigazione permanenterisaiecolture non irrigatearee urbane, naturali e corpi d’acqua

130

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 130

4.1.2.1 Integrazione fra data base di uso del suolo e dati di natura statistica edamministrativa

Il sistema di nomenclatura utilizzato nell’ambito del data base di uso del suolo CASI 3consente di discriminare in maniera dettagliata solo alcune colture permanenti (vite ed olivo irri-guo), mentre non risulta essere sufficientemente dettagliato per i seminativi ed i frutteti irrigui.

Infatti, ad esempio nella classe 2121 – “Colture erbacee da pieno campo a ciclo primaveri-le/estivo” – sono incluse differenti specie quali: mais, barbabietola da zucchero, tabacco, sorgoecc, con diverse esigenze irrigue.

Per poter individuare le colture prevalenti nelle diverse aree geografiche è stata sviluppatauna metodologia che prevede l’integrazione, mediante l’utilizzo della tecnologia GIS, fra dati dinatura cartografica (CASI 3) con dati di fonte statistica e amministrativa.

L’integrazione dei dati cartografici con quelli alfanumerici, ha comportato la definizione diuna metodologia INEA, in grado di utilizzare i seguenti dati (tutti riferiti all’anno 1998):

– ISTAT congiunturali (sia a livello provinciale, che di Regione Agraria nelle province dil’Aquila, Teramo e Chieti): rappresenta la principale fonte di informazione circa lesuperfici e le produzioni in Italia ed è costituita da una serie di indagini, condotteannualmente con metodo estimativo (metodo di stima sintetico non campionario affida-to ad esperti). I dati sono generalmente riferiti alle singole province e possono prevede-re l’acquisizione dei dati fino al dettaglio delle regioni agrarie9. Le rilevazioni censuariedecennali costituiscono punti fermi che permettono di ricalibrare le stime a causa deglierrori che si accumulano nel corso degli anni10;

– AGEA: domande di compensazione al reddito della Politica Agricola Comune (PAC);

– dati provenienti dalla Rete Informativa Contabile Agricola (RICA) dell’INEA;

– dati amministrativi dei Consorzi di Bonifica sugli investimenti colturali praticati neidistretti irrigui (laddove disponibili).

In particolare, l’attività di integrazione dei dati per la realizzazione della banca dati coltureha previsto le seguenti attività:

– selezione cartografica della provincia e dei relativi comuni da GEOSTAT (databasegeografico prodotto dall’ISTAT);

– taglio dei poligoni CASI 3 relativi alla provincia e successivamente ai comuni;

– definizione delle superfici totali relativi alle classi CASI 3 per singola provincia;

– raggruppamento e definizione delle superfici totali relativi alle classi CASI 3 dei daticongiunturali ISTAT per singola provincia;

– calibrazione del dato ISTAT con quello CASI 3 (stesse superfici per stessa classe);

– controllo e integrazione del dato ISTAT con i dati aggregati per Comune (AIMA e RICA)e dei dati consortili aggregati per comprensorio o di distretto; in base a tali dati sono stateindividuate per ogni comune delle classi di frequenza di colture per classe CASI;

– all’interno del singolo poligono CASI 3, sono state individuate le possibili classi difrequenza delle colture praticate (ad esempio: poligono a seminativo irriguo, classe2121 sup. 30 ettari: 45% mais, 20% barbabietola, 15% tabacco, 10% girasole, 10%sorgo, = 100%), da cui si ha la superficie per coltura e per limiti comunali;

131

9 Raggruppamenti di Comuni contigui che presentano uguali condizioni naturali (geologia, clima, rilievo, ecc.) ed agricole (coltureattuali e potenziali), definite dall’ISTAT.

10 ISTAT, 1993, Manuale delle statistiche agricole rilevate con metodo estimativo.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 131

– i poligoni CASI 3 con le relative classi di frequenza sono stati ritagliati sui limiti deiConsorzi di Bonifica per arrivare alla produzione di un dato di superficie per colturasignificativo – in termini statistici – a livello di Consorzio.

Nello svolgimento del lavoro, si è considerata la copertura CASI 3 relativa al periodo esti-vo in quanto, da un raffronto tra le diverse coperture è risultata, a seguito di una preliminaredeterminazione delle superfici, quella maggiormente rappresentativa delle colture irrigue ed inparticolare di quelle a ciclo primaverile estivo.

La banca dati così costituita, presenta la seguente struttura:

– codice Consorzio di Bonifica;

– codice comprensorio irriguo;

– codice uso del suolo CASI 3 in corrispondenza delle singole colture, con riporto dellasuperficie per Consorzio di Bonifica.

Di seguito si riporta un esempio dell’applicazione della metodologia descritta. La figuraseguente mostra la mappa di uso del suolo con legenda al IV livello di un comprensorio irriguo.

Fig. 4.1.7 - Mappa di uso del suolo di un comprensorio irriguo

Fonte: INEA

In seguito all’applicazione dei passaggi descritti in precedenza è possibile attribuire alleclassi di uso del suolo, 2121-2122-2123, le singole colture che, dai dati integrativi ISTAT, AGEA,RICA, Consorzio di Bonifica, risultano essere maggiormente diffuse nell’area in esame.

Compresorio BoundariesLand use map

212121222123221122212231

ID Polygon 1

ID Polygon 3

ID Polygon 2

132

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 132

Tabella 4.1.2 - Integrazione fra dati cartografici ed alfanumerici

Codice Codice ID Polygon Codice Codice database Descrizione Ha totali % Ha Consorzio Comprensorio Casi 3 colture poligono coltura

Capitanata Ofanto 1 2121 21211 Barbabietola 50 60 30

21213 Mais 40 20

2 2122 21221 Carciofo 70 43 30

21222 Cavolfiore 7 5

21223 Insalate 21 15

21224 Patata 29 20

3 2123 21231 Pomodoro 86 17 15

21232 Melanzana 9 8

21233 Anguria 15 13

21234 Melone 12 10

21235 Asparago 47 40

Fonte: INEA

4.1.3 Raccolta ed organizzazione dei dati sui fabbisogni idrici colturali

Definita la distribuzione delle principali colture all’interno dei limiti dei Consorzi di Boni-fica, il passo successivo per la stima dei volumi irrigui consiste nel quantificare il fabbisogno idri-co colturale delle singole specie individuate.

A tale proposito sono stati raccolti tutti i lavori e le pubblicazioni esistenti sull’argomento,ed estratti dal database del SIGRIA i dati forniti dai Consorzi di Bonifica (laddove presenti).

Di seguito si riportano per ciascuna Regione le fonti informative consultate.

Abruzzo

Il dato relativo ai fabbisogni idrici medi unitari per coltura e area consortile, è stato ottenu-to attraverso l’uso integrato di diverse fonti; in particolare:

– nella Piana del Fucino, da uno studio condotto nell’ambito della rilevazione INEA, pres-so alcune aziende agricole sui consumi idrici dichiarati dagli agricoltori, e da uno studiodell’Agenzia Regionale Servizi Sviluppo Agricolo, sui fabbisogni idrici colturali;

– per il resto delle aree irrigue, dai dati forniti dal Consorzio per la Divulgazione e la Spe-rimentazione delle Tecniche Irrigue.

Basilicata

– “Studio agronomico del comprensorio irriguo del Consorzio di Bonifica di Bradano eMetaponto per la gestione delle risorse idriche ai fini irrigui” redatto dal Dipartimentodi Produzione Vegetale dell’Università degli Studi della Basilicata;

– Progetto di ricerca e divulgazione OTRIS: “Ottimizzazione dell’uso delle risorse idri-che, convenzionali e non, in sistemi colturali sostenibili. L’irrigazione e la fertirrigazio-ne delle colture erbacee negli ordinamenti produttivi di Puglia e Basilicata”. Coordina-tore scientifico: Emanuele Tarantino.

Calabria e Campania

Il dato relativo ai fabbisogni idrici medi unitari per coltura e area consortile è stato fornitodall’Istituto di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee dell’Università di Napoli, nell’ambi-

133

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 133

to di un’apposita convenzione tra l’INEA e l’Istituto di Agronomia. In sintesi, il territorio regio-nale è stato disaggregato in diverse zone climatiche omogenee in base a due parametri, evapotra-spirazione potenziale e piovosità. Nell’ambito di ogni area climatica omogenea sono stati calcola-ti i fabbisogni idrici delle singole colture.

Molise

Dati forniti dall’Ente di Sviluppo Agricolo per la Regione Molise (ERSAM) e dai Consor-zi di Bonifica, relativi ai fabbisogni idrici medi unitari per coltura ed area consortile, omogenei edaggiornati, riguardanti le singole aree in esame. Tali dati sono stati ottenuti attraverso il ricorso atecnici dei Consorzi e del locale Ente di Sviluppo Agricolo, i cui divulgatori specializzati hannofornito per svariate colture le serie storiche dell’evapotraspirato (anni 1996-97-98), consentendocosì di ricostruire il pattern descrittivo dei fabbisogni idrici. Ciò, in particolare, è stato possibileper il comprensorio del Consorzio di Bonifica Destra Trigno e Basso Biferno, per il cui territorioè stato possibile anche desumere informazioni aggiornate ed attendibili sul grado e sulla tipologiadegli investimenti colturali operati in loco, in termini di superfici investite.

Puglia

Il dato relativo ai fabbisogni idrici medi unitari per coltura e area consortile è stato ottenutodall’Istituto di Agronomia Generale e Coltivazioni Erbacee - IACE dell’Università di Bari, deter-minati nell’ambito della convenzione tra Regione Puglia e Università degli Studi di Bari relativa alpiano di bacino (provvedimento G.R. n. 5485 del 14/11/96), a cui si rimanda per la descrizionemetodologica di dettaglio. In sintesi il territorio regionale è stato disaggregato n 11 zone climaticheomogenee in base a due parametri (evapotraspirazione potenziale piovosità); nell’ambito di ogniarea climatica omogenea sono stati calcolati i fabbisogni idrici delle singole colture.

Sicilia

Il dato relativo ai fabbisogni idrici medi unitari per coltura e area consortile è stato ottenu-to attraverso l’uso integrato di diverse fonti, in particolare:

– un dato medio a livello regionale, ricavato tramite un modello di calcolo, basato sualcune caratteristiche dei suoli, del clima e sui diversi livelli di produttività delle singo-le colture (realizzato ed utilizzato all’interno di Agronix, un software di supporto all’ir-rigazione predisposto all’A.D.M.S.r.l. di Ragusa);

– un dato sui fabbisogni medi unitari per area geografica e fascia altimetrica, ottenutoattraverso la procedura del bilancio idrologico del terreno irrigato (ITACONSULT, Pia-no delle acque della Sicilia studio sulla domanda di acqua in agricoltura, Volume V,Roma, agosto 1977);

– un dato sui fabbisogni medi unitari per provincia, che si basa sul valore medio climati-co del deficit idrico annuo (Istituti di Idraulica e Idraulica Agraria dell’Università diPalermo, Atlante di idrologia agraria per la Sicilia), presentato dalla Cassa per il Mezzo-giorno nel Piano Acque della Regione Sicilia, Volume V, 1983;

– un dato derivato dai fabbisogni idrici sull’irrigazione collettiva per consorzio e sub-comprensori, basato sulla stima delle superfici irrigate e sui dati relativi alle caratteristi-che funzionali e strutturali degli schemi idrici e alle disponibilità ed erogazioni dellarisorsa idrica (CSEI - Centro Studi di Economia applicata all’Ingegneria, Interventi peril risparmio idrico in agricoltura e per la mitigazione degli effetti della siccità: il caso distudio della Sicilia, realizzato nell’ambito del Programma Integrato di formazione sullaGestione delle Acque e dell’Ambiente (PIGA), Catania, settembre 2000).

134

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 134

Sardegna

Il dato relativo ai fabbisogni idrici medi unitari per coltura e area consortile è stato fornitodal Servizio Agrometeorologico Regionale per la Sardegna (SAR), nell’ambito di un’appositaconvenzione tra l’INEA e il SAR.

La struttura finale del data base è riportata nella seguente tabella:

Tabella 4.1.2 - Integrazione fra dati cartografici ed alfanumerici

Codice Codice ID Codice Codice Descrizione Ha totali % Ha FabbisognoConsorzio Comprensorio Polygon Casi 3 database poligono coltura unitario

colture (000 mc)

Capitanata Ofanto 1 2121 21211 Barbabietola 50 60 30 4,621213 Mais 40 20 4,5

2 2122 21221 Carciofo 70 43 30 3,221222 Cavolfiore 7 5 1,521223 Insalate 21 15 70021224 Patata 29 20 2,2

3 2123 21231 Pomodoro 86 17 15 5,121232 Melanzana 9 8 5,521233 Anguria 15 13 4,621234 Melone 12 10 4,621235 Asparago 47 40 5,5

Fonte: INEA

A questo punto si è proceduto alla fase di elaborazione dei dati relativamente alle aree irri-gate (sia interne che esterne alle aree attrezzate) al fine di pervenire ad una stima dei volumi irri-gui utilizzati.

I risultati delle elaborazioni sono riportati nelle tabelle presenti nel paragrafo 4.3.

4.2 Metodologia di calcolo dei fabbisogni idrici colturali attraverso un modellodi bilancio idrologico

Contemporaneamente alla fase di ricostruzione dei volumi irrigui distribuiti nelle variearee geografiche delle regioni meridionali, è stato portato avanti un programma di ricerca destina-to a fornire indicazioni numeriche in merito agli effettivi fabbisogni idrici colturali, attraverso lamodellazione dei complessi fenomeni che regolano il movimento dell’acqua nel sistema suolo-pianta-atmosfera.

Dall’analisi della letteratura esistente numerosi modelli possono essere impiegati per gui-dare la gestione dell’irrigazione (FAO, 1994.b). Questi possono essere raggruppati nelle dueseguenti tipologie:

– modelli che definiscono schematizzazioni statiche del sistema suolo-pianta-atmosfera:il suolo viene in genere assimilato ad un serbatoio, la cui capacità dipende dalla pro-fondità dell’apparato radicale e da parametri legati alle caratteristiche del profilo di suo-lo ed i volumi d’adacquamento vengono fissati riempiendo il serbatoio-suolo, fino alripristino della capacità di campo;

– modelli basati sulla soluzione numerica delle equazioni del moto dell’acqua nel sistemasuolo-pianta-atmosfera: in cui il sistema è visto in continuo ed in esso l’acqua, in virtù

135

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 135

del suo stato energetico, si muove nel suolo dove, in considerazione delle caratteristichedei diversi orizzonti, in parte raggiunge le radici, attraversa i tessuti ed il sistema vasco-lare delle piante, giunge alle foglie dove evapora (traspirazione) e diffonde attraversogli stomi nell’atmosfera, in parte evapora dal suolo, in parte percola in profondità.

Tale attività di ricerca è stata preceduta da una rivisitazione della modellistica esistente nelcampo della simulazione idrologica, al fine di identificare un modello in grado di rispondere alleseguenti esigenze:

– essere basato su un algoritmo di soluzione numerica delle equazioni del moto dell’ac-qua nel sistema suolo-pianta-atmosfera;

– dare la possibilità di risolvere l’equazione del bilancio idrico in un ampio intervallo dirisoluzione spaziale (un intero comprensorio irriguo o una singola parcella) e tempora-le (giorno, decade, mese, stagione irrigua);

– essere gratuito sia in termini di software sia di codice sorgente;

– consentire l’integrazione dell’algoritmo di calcolo in ambiente GIS.

Tra i vari modelli individuati, rispondenti alle caratteristiche citate, è stato scelto l’algorit-mo di bilancio sviluppato da Alterra e dall’Università di Wageningen, denominato Soil WaterAtmosphere Plant (SWAP).

Il modello SWAP è il successore del modello agro-idrologico Swatr, originato nel 1978 e dialtri modelli da questo derivati. SWAP integra flusso di acqua, trasporto di soluti e crescita dellecolture secondo le concezioni modellistiche e le tecniche di simulazione più recenti, ed offre ungrande ventaglio di possibilità di uso sia nel settore agricolo, che di gestione dell’acqua, che del-la protezione dell’ambiente.

Rispetto alle caratteristiche desiderate il modello SWAP non presenta la possibilità di gesti-re dati geografici attraverso un’interfaccia GIS.

Per tale motivo è stata stipulata una convenzione tra l’INEA e il Dipartimento di Ingegne-ria Agraria ed Agronomia del Territorio dell’Università di Napoli Federico II, al fine di sviluppa-re un’apposita interfaccia, per l’inserimento dei dati necessari al funzionamento del modello, edalla visualizzazione dei risultati di calcolo, in ambiente GIS. Il nuovo modello derivato da talecollaborazione è stato denominato “Bilancio”.

L’applicazione del modello è avvenuta nelle seguenti aree test:

Figura 4.2.1 - Localizzazione delle aree test e relativa superficie

Fonte: INEA

136

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 136

4.2.1 I dati di input del modello

Il comprensorio irriguo viene visto come un insieme di aree elementari omogenee dal puntodi vista colturale, pedologico e climatico. Questi tre livelli di informazione rappresentano l’insiememinimo di dati richiesti all’utente, attraverso i quali si accede agli archivi interni della procedurasoftware per la generazione dei parametri d’ingresso del modello relativi a coltura, suolo e clima.

Nelle aree test tali dati di ingresso nel modello sono stati rilevati ad un livello di estremodettaglio soprattutto per quanto riguarda l’uso del suolo e la pedologia.

Uso del suolo

Per ciascuna area test è stata realizzata una cartografia di uso del suolo alla scala 1:5.000,idonea alla mappatura delle singole colture, attraverso rilievi diretti in campo e utilizzando, qua-le supporto, la stampa delle ortofoto digitali AGEA.

Pedologia

La parte relativa a tale attività è stata realizzata, in convenzione, con l’Istituto Sperimentaleper lo Studio e la Difesa del Suolo (ISSDS) Sezione Genesi, Classificazione e Cartografia di Firenze.

Il risultato di tale fase ha portato alla costituzione delle banche dati pedologiche per le 5aree test, attraverso la realizzazione di rilievi diretti in campo e successive analisi di laboratorioorientate in modo specifico al comportamento dei suoli nei confronti del movimento dell’acqua.

Dati agrometeorologici

La parte relativa a tale attività è stata realizzata in collaborazione con l’INEA, dall’UfficioCentrale di Ecologia Agraria (UCEA - Ministero per le Politiche Agricole).

Il contributo UCEA si colloca da un lato nelle fasi operative per la scelta e validazione delmetodo di calcolo dell’ETo, e dall’altro nella costituzione della banca dati agrometeorologica.Nella banca dati sono confluiti i seguenti dati:

– dati già presenti nella Banca Dati Agrometeorologica Nazionale (BDAN), relativi a sta-zioni e osservatori del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare, del ServizioIdrografico e Mareografico Nazionale, della rete meccanica UCEA, della rete automati-ca UCEA (Rete Agrometeorologica Nazionale) e, per quanto riguarda la sola regionePuglia, di reti regionali (359 stazioni);

– dati rilevati a livello regionale o locale, censiti e raccolti presso gli uffici dei servizimeteorologici regionali e Consorzi di Bonifica delle varie regioni interessate dal proget-to (18 stazioni).

Banca dati parametri colturali

Tale attività è stata realizzata in collaborazione con l’Università di Bari, facoltà di Agraria– dipartimento di Agronomia – ed ha permesso la costituzione di una banca dati in cui confluisco-no dati bibliografici e sperimentali relativi ad aspetti morfo-fisiologici delle colture (fase fenolo-gia, Kc, LAI, approfondimento radicale, fattori di stress ecc.).

4.2.2 Generalità d’impiego del modello

Dalla simulazione del bilancio idrologico giornaliero vengono stimati in ogni parcella iprofili verticali del contenuto d’acqua θ(z) e del potenziale idrico nel suolo h(z) (figura 4.2.2). In

137

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 137

base a queste informazioni, vengono individuate le parcelle ove si rendono necessari interventiirrigui, calcolandone i corrispondenti volumi in funzione del deficit idrico nel suolo.11

Figura 4.2.2 - Esempio di profili di potenziale (a sinistra) e di contenuto idrico volumetricodel suolo (a destra) simulati in ogni poligono (o parcella) della cartografia fornita in input.In ascissa è riportata la profondità di suolo in cm

Fonte: INEA

Vengono così generate le mappe di evaporazione di acqua dal suolo, di traspirazione effet-tiva e la distribuzione spaziale della domanda d’acqua per irrigazione in tutto il comprensorio.La simulazione può quindi essere estesa per valutare la domanda d’acqua nel corso della stagioneirrigua o durante periodi di particolare interesse dell’utente.

4.2.3 Visualizzazione dei risultati

Al termine delle elaborazioni è possibile visualizzare i seguenti risultati:

– traspirazione effettiva giornaliera T, per ciascun poligono di uso del suolo (cm);

– evaporazione dal suolo E (cm);

– volume irriguo specifico V (cm).

Viene visualizzata la lista dei giorni di simulazione di cui sono disponibili i risultati.

Si possono così selezionare le date d’interesse, specificando altresì se si desidera esamina-re i valori giornalieri o i cumulati (sommatorie) riferiti al medesimo intervallo temporale.

È possibile visualizzare anche in momenti successivi i risultati delle simulazioni, che resta-no memorizzati nella directory di output specificata dall’utente.

In 4.2.3 sono riportati alcuni esempi di risultati del modello, in particolare le mappe di tra-spirazione reale delle colture, evaporazione di acqua dal suolo e volumi irrigui risultanti dallasimulazione.

Dalla distribuzione spaziale dei volumi irrigui, è possibile individuare le zone ove è pre-sente una maggiore domanda d’acqua e valutare, conseguentemente, le effettive capacità dellarete di distribuzione nel soddisfare questi fabbisogni.

138

11 D’Urso G. (2001) - Simulation and Management of On-Demand Irrigation Systems: A combined agrohydrological and remote sen-sing approach. PhD thesis, Wageningen University, Wageningen, The Netherlands.

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 138

Figura 4.2.3 - Esempi di elaborazioni ottenibili dal modello Bilancio - area test Campidanodi Oristano

Fonte: INEA

Il grafico in figura 4.2.4 illustra il risultato più significativo prodotto dal modello, e cioè

che i fabbisogni irrigui di ogni tipologia colturale risultino essere dipendenti dalla tipologia di

suolo presente.

Transpirazione cumulata0 - 99 - 1818 - 2727 - 3636 - 4545 - 54No Data

Evaporazione cumulata

3 - 55 - 77 - 99 - 1111 - 1313 - 1515 - 17No Data

Irrigazione cumulata

0 - 1111 - 2122 - 3232 - 4242 - 5353 - 6363 - 74No Data

0 5 10 Kilometers

139

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 139

Figura 4.2.4 - Istogramma dei fabbisogni irrigui per le quattro colture irrigue di maggiordiffusione in funzione dei diversi tipi di suolo presenti (riportati in ascisse). I volumi irri-gui in cm sono riferiti al periodo compreso tra i giorni giuliani 70 e 270

Fonte: INEA

4.3 Risultati

I dati presentati nelle seguenti tabelle sono riferiti all’anno di riferimento dell’indaginecondotta dall’INEA presso i Consorzi di Bonifica e di realizzazione della cartografia di uso delsuolo (1998). Nel frattempo sono intervenuti dei cambiamenti rilevanti nella struttura dei Consor-zi di Bonifica, soprattutto nelle Regioni Campania, Basilicata e Sardegna, a seguito di nuove deli-mitazioni dei Consorzi e/o loro fusione.

È inoltre necessario precisare che il risultato ottenuto con CASI 3 in termini di superficienon vuole assumere valore statistico assoluto perché, nell’analizzare le aree irrigate all’internoed all’esterno dei comprensori irrigui, non si è sempre riusciti ad individuare le rotazioni cheavrebbero potuto interessare le superfici oggetto d’indagine. Questo perchè le immagini satellita-ri riescono a fornire informazioni attendibili se riferite perlopiù alla sola stagione estiva, per viadella difficoltà d’interpretazione che l’analisi delle immagini nelle altre stagioni comporta.

La classificazione colturale all’interno di queste superfici irrigate risulta pertanto alquantocomplessa, soprattutto per le orticole orticole, soggette ad avvicendamento ed in genere praticatein appezzamenti di ridotte dimensioni, spesso anche al di sotto della risoluzione geometrica delsensore utilizzato, mentre le superfici interessate dalle colture arboree (vigneti, oliveti e fruttiferi)risultano di più facile interpretazione, grazie all’ausilio in fase di fotointrepretazione delle ortofo-to digitali (vedere tabelle in appendice).

80

AR

Z0

BA

R0-

PIR

0

CA

P0

CA

R0

FAI0

FAN

0/C

OR

0

GR

U0/

NA

X0

IST0

LUA

0/IS

C0

MAT

0/FU

R0

NU

S0

PAL0

PAR

0/LI

L0

STA

0

Girasole Riso Arancio Barb. zuc.

Fab

bis

ogno

irrig

uo s

tagi

onal

e (c

m)

Tipologia di Suolo

Comprensorio Oristanese

70

60

50

40

30

20

10

0

140

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 140

Conclusioni

Al fine di poter definire il livello di accuratezza della metodologia impostata per la localiz-zazione delle aree irrigate, è stato effettuato un confronto tra i risultati ottenuti e i dati di fonteconsortile.

Tale confronto è stato effettuato nella regione Sardegna, attraverso la collaborazione delSAR.

I risultati del confronto possono essere riassunti nei seguenti punti:

– in alcuni comprensori irrigui i dati dichiarati dai Consorzi e rilevati dall’INEA e quellidesunti con la metodologia CASI 3 risultano essere decisamente congruenti. È il casodella Sardegna meridionale, dell’Oristanese, della Sardegna centrale ed in misura mino-re del Cixerri, del Basso Sulcis, del Nord Sardegna e della Gallura. Si potrebbe dedurre,quindi, che in questi comprensori la metodologia adottata rispecchia con buona affida-bilità le risultanze della realtà dichiarata;

– esaminando invece i dati per i comprensori dell’EAF, dell’Ogliastra e della Nurra, appa-re evidente la completa non confrontabilità delle due informazioni;

– analizzando le informazioni per le aree extra comprensoriali, ma incluse nei perimetriconsortili, le indicazioni che se ne traggono sono ancor più rilevanti. Secondo le risul-tanze della fotointrepretazione CASI 3, nel complesso in Sardegna si hanno circa39.000 ettari irrigati esterni alle aree attrezzate. Scendendo nel dettaglio dei singoliConsorzi salta subito all’occhio il dato della Sardegna meridionale in cui circa 22.000ettari risulterebbero irrigati fuori dal comprensorio irriguo;

– per le altre amministrazioni consortili, invece, i risultati ottenuti sono meno sorpren-denti anche per quelle zone, come l’Oristanese, il Basso Sulcis e la Nurra, nelle quali ilricorso alla risorsa idrica sotterranea può essere considerato usuale per quanto non diret-tamente rilevabile dai Consorzi stessi.

Tale risultanze mostrano la necessità di definire una strategia di validazione della metodo-logia adottata, da condursi con un dettagli pari a quello di alcune particelle di terreno in diversearee test.

Tale attività è in corso nelle aree test in cui viene applicato il modello di calcolo dei fabbi-sogni idrici colturali, ed in altre aree test (in particolare quella della Nurra) interessate da altriprogetti (il progetto “MONIDRI” e il progetto “Attività di assistenza tecnica e supporto agli enticoncessionari nel settore dell’uso irriguo delle risorse idriche” in cui è previsto un aggiornamen-to del CASI 3 sulle aree irrigate non gestite dai Consorzi di Bonifica).

Dalle prime analisi risulta che il dato CASI 3 (il confronto è stato effettuato con la carto-grafia di uso del suolo alla scala 1:5.000 realizzata nelle varie aree test), soprattutto nell’area del-la Nurra, è eccessivamente sovrastimato in termini di superfici, pur confermando l’esistenza diutilizzi di risorsa ad uso irriguo che sfuggono al controllo delle amministrazioni consortili.

È, comunque, importante sottolineare che la presenza di superfici irrigate di una certa con-sistenza, anche all’esterno dei comprensori irrigui dei consorzi, assume un ruolo rilevante nel-l’ottica di una corretta ed oculata gestione della risorsa idrica, soprattutto in quanto si tratta, nellamaggior parte dei casi, di risorsa il cui uso sfugge al controllo diretto da parte degli Enti preposti.

Un elemento rilevante della metodologia proposta, la localizzazione da un punto di vistageografico del fenomeno dell’irrigazione non gestita pubblicamente, risulta di notevole aiuto siaperché consente ai Consorzi di localizzare eventuali evasioni e/o prelievi indiscriminati dellarisorsa, sia perché permette al programmatore di stimare la propensione, da parte delle comunità

141

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 141

ricadenti in un territorio attualmente non servito da irrigazione, ad affrontare i rischi e gli onericonnessi alla riconversione colturale.

Inoltre, l’applicazione del modello di calcolo Bilancio può contribuire in maniera determi-nante al risparmio idrico, attraverso la determinazione dei volumi irrigui da erogare alle colturenelle diverse situazioni di tipologia di suolo, al contrario di quanto spesso accade attualmente, incui i volumi per le diverse colture sono distribuiti in maniera uniforme su tutta la superficie Con-sortile.

Dall’analisi dei risultati del modello Bilancio si può anche confrontare il fabbisogno irriguocomplessivo del comprensorio con la disponibilità della risorsa idrica. È possibile quindi simularediversi scenari, variando sia i criteri irrigui adottati sia gli ordinamenti colturali, al fine di program-mare, all’inizio della stagione irrigua, un uso efficiente delle risorse idriche disponibili.

Bibliografia e altre pubblicazioni consultate per la realizzazione del rapporto

– Annoni A., Perdigão W. (1997) - Technical and methodological guide for updating CORI-NE Land Cover Database. European Commission, European Environment Agency.

– Agrotec s.r.l. (1983) - Studio sulla domanda d’acqua intersettoriale della Regione Cala-bria. Settore usi agricoli Vol. I, Rapporto Generale, Vol. III, Irrigazione: strutture, criteri eparametri. Cassa per il Mezzogiorno, Ripartizione Progetti Speciali, Divisione III - Proget-to Speciale 26.

– Bonati G., Fais A., Michelini D., Nino P.(1998) - Il SIGRIA: Sistema Informativo per laGestione delle Risorse Idriche in Agricoltura - Regioni Obiettivo 1. Atti del II ConvegnoNazionale ASITA, Bolzano, Vol. I, pag. 361-366.

– Convenzione tra Regione Puglia e Università di Bari (Istituto di Agronomia e ColtivazioniErbacee) relativa al piano di Bacino (Provvedimento G.R. n. 5485 del 14/11/96).

– Crop evapotranspiration - Guidelines for computing crop water requirements - FAO Irriga-tion and drainage paper 56.

– CSEI Catania (Centro Sudi di Economia Applicata all’Ingegneria - 2000). Interventi per ilrisparmio idrico in agricoltura e per la mitigazione degli effetti della siccità: il caso studiodella Sicilia.

– D’Urso G. (2001) - Simulation and Management of On-Demand Irrigation Systems: Acombined agrohydrological and remote sensing approach. PhD thesis, Wageningen Uni-versity, Wageningen, The Netherlands.

– Fais. A. Nino P. (1999) - Le iniziative INEA per la realizzazione di carte di uso del suolo edata base sulle colture irrigue nelle Regioni Obiettivo 1. Atti del Seminario di Roma, OrtoBotanico “Cartografia e database di uso e copertura del suolo”, Documenti del Territorio n°42, Roma.

– Gomarasca M. A. (1992) - I Satelliti per l’Osservazione della Terra. In, Il Telerilevamentoa cura di Brivio P.A., Lechi G., Zilioli E. Carlo. Delfino Editore, Sassari.

– ISTAT, 1993, Manuale delle statistiche agricole rilevate con metodo estimativo.

– ITACONSULT, Piano delle acque della Sicilia studio sulla domanda di acqua in agricoltu-ra, Volume V, Roma, agosto 1977.

– Nino P. et. Altri (2001) - Il progetto CASI (Carta delle Aree di Studio per l’Irrigazione).Guida tecnica e presentazione dei risultati. INEA Rapporti Irrigazione.

142

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 142

– Nino P. et Altri (2001) - ATLANTE DELL’IRRIGAZIONE REGIONI MERIDIONALI.INEA Rapporti Irrigazione.

– Progetto OTRIS - L’irrigazione e la fertirrigazione delle colture erbacee negli ordinamen-ti produttivi di Puglia e Basilicata. Coordinatore scientifico: Emanuele Tarantino.

– S.A.R, I fabbisogni idrici colturali determinati nel settennio 1995-2001 secondo la meto-dologia FAO (Michele Fiori).

– Van Dam, J.C., 2000. Field-scale water flow and solute transport. SWAP model concepts,parameter estimation, and case studies. PhD-thesis, Wageningen University, Wageningen,The Netherlands, 167 p., English and Dutch summaries.

143

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 143

•Capitolo04 13-06-2007 10:13 Pagina 144

CAPITOLO 5

ANALISI DELLA STAGIONE IRRIGUA PER LE COLTURE ORTOFRUTTICOLE*

Abstract

L’utilizzo di acqua irrigua risulta di fondamentale importanza per tutte le produzioni orto-frutticole. In questo capitolo, attraverso l’analisi delle recenti tendenze produttive del settore sipongono in evidenza i riflessi che gli eventi climatici hanno sulle coltivazioni ed in particolaresulle rese areiche. Nel periodo preso in esame – il triennio 2002-2004 – si sono verificati moltiepisodi che hanno interferito sul normale sviluppo produttivo delle coltivazioni. La campagna2003, ad esempio è stata caratterizzata da numerosi eventi climatici sfavorevoli che hanno drasti-camente ridimensionato i volumi prodotti, mentre la campagna 2004 è stata contrassegnata da unandamento climatico abbastanza buono che ha influenzato positivamente le rese.

La descrizione della filiera ortofrutticola parte dall’analisi della superficie investita e delleproduzioni raccolte. Di queste due variabili viene presentata anche la ripartizione a livello regio-nale, in modo da evidenziare, per ciascun aggregato di prodotto, le aree geografiche che presenta-no una maggiore vocazione e specializzazione. Successivamente viene riportato l’andamentocongiunturale dell’industria di trasformazione dei prodotti ortofrutticoli con particolare riferimen-to alla lavorazione del pomodoro e degli agrumi. Per questi prodotti, si prendono in esame ledisponibilità di materia prima, le resa di trasformazione e la produzione di derivati.

Per quanto concerne il mercato dei prodotti ortofrutticoli, nel periodo considerato nell’anali-si, si sono registrate forti tensioni in tutte le fasi di scambio (origine, ingrosso e dettaglio), anchecome conseguenza delle avversità climatiche che hanno determinato improvvisi vuoti d’offerta. Inoccasione delle crisi di mercato i prezzi hanno manifestato una elevata volatilità, generando il diso-rientamento sia degli operatori sia dei consumatori. A ciò si sono aggiunte anche le difficoltà lega-te al changeover del gennaio 2002 che ha segnato il debutto della moneta unica europea. Tale situa-zione di instabilità ha accelerato un processo di contrazione degli acquisti di prodotti ortofrutticoligià in atto da qualche anno. Solamente nel 2004 si è verificata una parziale inversione di tendenzadi questo fenomeno con un timido aumento dei volumi acquistati anche se la contemporanea fles-sione dei prezzi ha determinato la diminuzione della spesa per i consumi di prodotti ortofrutticoli.

Il quadro si chiude con la descrizione sintetica dell’andamento degli scambi con l’esterodel nostro Paese, caratterizzati negli ultimi anni dalla contrazione delle esportazioni e dal nettoincremento delle importazioni. Di conseguenza, si è assistito ad un deciso deterioramento del sal-do monetario della bilancia commerciale.

The irrigation is particularly essential for Fruit & Vegetables cultivation. In this section,the description of recent trend of production shows favourable and unfavourable climatic eventsand their relationship with hectare yield of F&V cultivation. This analysis is extremely interestingbecause during the last few years there have been many important and different climatic events.In 2003 there were exceptional rains in south Italy regions, spring frost (in April), heat anddrought weather in the summer. All these events had a negative impact on F&V production andon their markets. In 2004, the relative normal weather conditions led to a good yield of F&Vcrops to have a good production, but a negative impact on markets.

145

* Mario Schiano lo Moriello, Ismea.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 145

The description of Fruit & Vegetables sector begins with the analysis of investments interms of land surface and in terms of harvest at national and regional level, for the most impor-tant crops. Then follows the trend of F & V manufacturing industry, particularly focused on toma-to and citrus fruits processing.

In the period 2002-2004, F & V market showed strong tension at all levels of the chain(production, wholesale and retail prices). In some cases, climatic problems generated a lack ofsupplies, thus prices raised showing a high volatility. Market crisis caused confusion betweenproducers, sellers and consumers. In January 2002, the introduction of the currency Euro in Italymade the situation more troubled. This unsteadiness accelerated the reduction of F&V consump-tion of Italian families. In 2004, this trend had a little change, in fact the volume of sales grew up,but reduction in prices caused the decrease of sales, in terms of money.

The section ends with trend of national trade with foreign countries. In the last years, theItalian foreign trade of F&V has been characterized by a reduction of exportation and an increa-se of importation. Thus, the monetary balance has suffered a loss never recorded in the last thir-ty years.

Premessa

In questo capitolo si presenta un’analisi della produzione, trasformazione e commercializ-zazione, sul mercato domestico e su quello estero, delle produzioni ortofrutticole. Prima però diconcentrare l’attenzione su queste colture si vuole descrivere sinteticamente il quadro generaledell’utilizzazione della superficie agricola italiana.

I dati congiunturali dell’Istat evidenziano per il periodo 2002-2004 una flessione del 2%della Superficie Agricola Utilizzata (SAU), anche se negli ultimi due anni si è riscontrata unasostanziale stabilità. Nel 2004 la SAU ammontava a circa 14,5 milioni di ettari. Le colture mag-giormente diffuse sono rappresentate dai cereali (30% della SAU complessiva) e dai pascoli(24%), seguono le coltivazioni ortofrutticole (9%), l’olivo ed i prati avvicendati (8%), gli erbai edi prati (6%), la vite da vino (5%) e chiudono l’elenco con quote residuali i semi oleosi (2%), labarbabietola da zucchero (1%) ed il tabacco (0,2%).

Tabella 5.0 - Superficie agricola utilizzata nel periodo 2002-2004 (in ettari)

Superficie totale 2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Cereali 4.284.427 4.148.400 4.278.780 3,1% -0,1%

Pascoli 3.473.939 3.467.874 3.481.942 0,4% 0,2%

Colture ortofrutticole 1.364.891 1.360.375 1.365.391 0,4% 0,0%

Olivo 1.170.362 1.162.713 1.166.022 0,3% -0,4%

Prati avvicendati 1.182.605 1.151.536 1.116.351 -3,1% -5,6%

Erbai 956.127 933.523 920.541 -1,4% -3,7%

Prati 904.928 879.640 872.605 -0,8% -3,6%

Vite da vino 797.977 789.155 768.045 -2,7% -3,8%

Semi oleosi 327.392 307.837 277.431 -9,9% -15,3%

Barbabietola da zucchero 245.664 210.620 185.805 -11,8% -24,4%

Tabacco 37.676 36.577 33.760 -7,7% -10,4%

Piante tessili 357 924 1.090 18,0% 205,3%

Superficie Agricola Utilizzata 14.746.345 14.449.174 14.467.763 0,1% -1,9%

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati congiunturali Istat

146

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 146

Nel 2004, le coltivazioni foraggere ricoprivano oltre 6,3 milioni di ettari, corrispondenti acirca il 45% della SAU nazionale. Queste coltivazioni possono essere distinte in due grandi grup-pi: le foraggere permanenti (pascoli e prati) e le foraggere temporanee (prati avvicendati ederbai). Le superfici a pascolo ricoprivano 3,5 milioni di ettari, ossia circa un quarto della SAU,mentre i prati si attestavano a quota 872mila ettari. Tra le foraggere temporanee si ha una preva-lenza dei prati avvicendati rispetto agli erbai, con i primi che occupavano 1,1 milioni di ettari,pari all’8% della SAU. Il 70% dei prati avvicendati era rappresentato dalla coltivazione di erbamedica (768mila ettari). Gli erbai invece ricoprivano oltre 920mila ettari, circa il 6% della SAU,con la netta prevalenza degli erbai monofiti (534mila ettari nel 2004) sui polifiti (386mila ettari).I principali erbai monofiti sono quelli di mais ceroso e loietto.

Un altro grande gruppo di colture, in termini di superficie investita, è rappresentato daicereali, che comprendono: frumento duro e tenero, mais, orzo, riso, avena, sorgo, segale ed altricereali minori. Nel 2004, la superficie investita a cereali era pari a 4,3 milioni di ettari, ossia cir-ca un terzo della SAU. Le produzioni ortofrutticole si estendevano su 1,3 milioni di ettari, il 9%sulla SAU. La coltivazione dell’olivo interessava poco meno di 1,2 milioni di ettari, pari all’8%della SAU ed a seguire si collocavano la viticoltura da vino (768mila ettari), la produzione disemi oleosi (277mila ettari) prevalentemente soia, ma anche girasole e colza; la coltivazione del-la barbabietola da zucchero (185mila ettari), il tabacco (34mila ettari) ed infine le piante tessili(canapa e lino) che occupavano superfici modestissime anche se in rapido aumento rispetto aglianni precedenti.

Grafico 5.0 - Ripartizione della Superficie Agricola Utilizzata per aggregati colturali (2004)

Fonte: elaborazioni dell'Autore su dati congiunturali Istat

5.1 Il quadro produttivo nazionale

5.1.1 La superficie investita

Nel 2004, le superfici investite nelle produzioni ortofrutticole risultavano pari a 1.340.687ettari1, evidenziando una sostanziale stabilità (-0,04%) sia rispetto all’anno precedente, sia rispet-to al 2002.

Cereali29,6%

Pascoli24,1%

Colture ortofrutticole9,4%

Olivo8,1%

Prati avvicendati7,7%%

Erbai6,4%

Prati6,0%

Vite da vino5,3%

Semi oleosi1,9%

Barbabietolada zucchero

1,3%

Tabacco0,2%

147

1 Gli ettari investiti a produzioni ortofrutticole riportati in questo paragrafo risultano lievemente inferiori a quanto riportato intabella 5.0. Tale differenza è dovuta al fatto che per il pomodoro da industria viene qui utilizzato il dato Agea e non quello di fon-te Istat.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 147

Grafico 5.1.1 - La superficie ortofrutticola italiana (in ettari)

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati Istat e Agea

Il grafico 5.1.2 mostra la ripartizione della superficie ortofrutticola nazionale nei diversiaggregati e, quindi, la loro importanza relativa. Gli ortaggi in pieno campo, incluso il pomodoroda industria (33,4%) e la frutta fresca (23,4%), presentano la maggiore incidenza percentuale;seguono gli agrumi (12,8%) e la frutta in guscio (11,7%) e quindi le piante da tubero (5,5%), leuve da tavola, i legumi secchi (5,3%) e gli ortaggi in serra (2,6%).

Grafico 5.1.2 - Ripartizione della superficie ortofrutticola totale per aggregato (2004)

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati congiunturali Istat ed Agea

Se si esamina la dinamica congiunturale della superficie investita relativa agli aggregatiche compongono il comparto ortofrutticolo (si veda la tabella 5.1.1) è possibile osservare che:

– gli ortaggi in pieno campo, escluso il pomodoro da industria, hanno segnato nell’ultimacampagna una riduzione di circa 5mila ettari (-1,4%) a causa di una diminuzione che hainteressato quasi tutte le produzioni orticole;

Ortaggi in pieno campo26,8%

Pomodoro da industria6,6%

Frutta in guscio11,7%

Agrumi12,8%

Ortaggi in serra2,6%

Legumi secchi5,3%Uva da tavola

5,3%Piante da tubero5,5%

Frutta fresca23,4%

1.341.2731.341.208

1.340.687

1.340.000

1.340.500

1.341.000

1.341.500

2002 2003 2004

148

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 148

– la frutta fresca, che nel 2004 raggiunge 290mila ettari, mostra un incremento pari a 0,1punti percentuali, ma perde il 2,1% rispetto al 2002;

– gli agrumi nel 2004 sono arretrati a 171.700 ettari perdendo lo 0,7%, rispetto al 2003 edil 4,3% rispetto al 2002;

– la frutta in guscio subisce una contrazione della superficie di circa 2mila ettari (-1,5%);

– il pomodoro da industria aumenta la superficie investita, che si attesta ad 88mila ettari,crescendo dell’8,4% rispetto al 2003 e del 28% rispetto al 2002;

– le patate e le patate dolci, perdono il 2% della superficie rispetto al 2003, scendendo da75.300 a 73.800 ettari; la perdita è ancora più consistente (-5,8%) rispetto al 2002;

– l’uva da tavola, in due anni, contrae la superficie investita di circa duemila ettari (-2,6%);

– gli ortaggi in serra superano nel 2004 i 34mila ettari (+8,3% rispetto al 2003) consoli-dando un trend positivo in atto da diversi anni;

– i legumi secchi incrementano per il secondo anno consecutivo la superficie investita;+0,5% rispetto al 2003 e +7,9% rispetto al 2002.

Tabella 5.1.1 - La superficie ortofrutticola italiana 2002-04 (in ettari)

Coltivazioni 2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortaggi in pieno campo (escluso pomodoro da industria) 364.931 364.998 359.962 -1,4% -1,4%

Frutta fresca 320.193 312.956 313.421 0,1% -2,1%

Agrumi 179.470 172.838 171.666 -0,7% -4,3%

Frutta in guscio 159.610 159.037 156.711 -1,5% -1,8%

Pomodoro da industria1 68.815 81.356 88.179 8,4% 28,1%

Piante da tubero (patate e batate) 78.359 75.340 73.837 -2,0% -5,8%

Uva da tavola 73.620 72.445 71.676 -1,1% -2,6%

Legumi secchi 65.667 70.488 70.840 0,5% 7,9%

Ortaggi in serra 30.608 31.750 34.395 8,3% 12,4%

TOTALE ORTOFRUTTA 1.341.273 1.341.208 1.340.687 -0,04% -0,04%

Frutta fresca e in guscio + Agrumi + Uva 732.893 717.276 713.474 -0,5% -2,6%

Ortaggi + Legumi + Patate 608.380 623.932 627.213 0,5% 3,1%

1 Dati Agea

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati congiunturali Istat ed Agea

5.1.2 La produzione

Nel 2004, la produzione raccolta di ortofrutticoli ha superato i 28 milioni di tonnellate, conun incremento del 15% rispetto all’anno precedente. L’aumento delle quantità prodotte nel 2004 èda porre in relazione al positivo andamento climatico che ha favorito la produzione, in quanto lesuperfici investite sono rimaste invariate. D’altro canto, il 2003 era stato caratterizzato da nume-rosi problemi di natura climatica, come ad esempio le gelate primaverili in aprile, che hanno com-promesso buona parte della produzione di drupacee (pesche, nettarine, ciliegie ed in misura mino-re le susine), oltre a danneggiare tutte le ortive all’epoca presenti in piena aria. Nei mesi estivipoi, si è verificata una eccezionale ondata di caldo torrido che ha investito l’Italia e molte regionieuropee.

149

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 149

Grafico 5.1.3 - La produzione ortofrutticola italiana (in tonnellate)

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati Istat ed Agea

Nel 2004, la produzione di ortaggi in pieno campo incideva per il 26% sulla produzionecomplessiva di ortofrutticoli. La frutta fresca ha sfiorato quota 21%, superata dal pomodoro daindustria che deteneva il 23%. A seguire si sono piazzati gli agrumi (12%), le piante da tubero(7%), gli ortaggi in serra e l’uva da tavola (5%). Chiudevano l’elenco la frutta in guscio (1%) edi legumi secchi (0,5%).

Grafico 5.1.4 - Produzione ortofrutticola raccolta (2004)

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati Istat e Agea

L’incremento di produzione registrato nel 2004 ha interessato tutti gli aggregati di prodottiortofrutticoli.

Tra le principali colture spicca il pomodoro da industria che nel 2004 ha raggiunto livellimai toccati in precedenza con una produzione record di 6,4 milioni di tonnellate ed una variazio-ne positiva del 21% rispetto alla campagna precedente e del 50% rispetto al 2002.

Ortaggi in pienocampo26,1%

Frutta fresca20,7%Pomodoro da industria

23%

Agrumi11,9%

Piante da tubero6,6%

Uva da tavola5,0%

Ortaggi in serra5,4%

Frutta in guscio0,9%

Legumi secchi0,5%

24.543.314

28.147.800

23.000.000

22.000.000

24.000.000

25.000.000

26.000.000

27.000.000

28.000.000

29.000.000

2002 2003 2004

24.484.733

150

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 150

Gli ortaggi in pieno campo, il principale aggregato in termini di volume della produzioneortofrutticola, hanno superato 7,3 milioni di tonnellate (+4,7% rispetto al 2003); la frutta fresca siè attestata a 5,8 milioni di tonnellate, incrementando di oltre un milione di tonnellate la produzio-ne 2003, +21,5%. La variazione è particolarmente elevata proprio in ragione del basso livelloproduttivo del 2003 determinato dalle gelate primaverili. La produzione di agrumi è stata pari a3,3 milioni di tonnellate, +20% rispetto al 2003. È aumentata anche la produzione di uva da tavo-la che ha superato 1,4 milioni di tonnellate, +7%. Per l’uva da tavola però l’incremento della pro-duzione non è stato accompagnato da un sufficiente livello qualitativo. In alcuni areali di produ-zione pugliesi, infatti, la fioritura e l’allegagione sono state ostacolate dai bassi livelli delle tem-perature e da una primavera che stentava a decollare. Ciò ha comportato anomalie nella formazio-ne del grappolo che risultava composto da molti acini di piccolissimo diametro e quindi ad unoscadimento qualitativo e commerciale del prodotto.

Considerevole, inoltre, l’incremento produttivo delle piante da tubero (patate e batate) chesono cresciute del 13% rispetto alla precedente campagna, con una raccolta pari a 1,8 milioni ditonnellate e della produzione di ortaggi in serra (+11%) che ha superato 1,5 milioni di tonnellate.Aumenta infine la produzione di frutta in guscio che ha sfiorato quota 249mila tonnellate, con unbalzo del 41% rispetto al 2003 e quella di legumi secchi, che ha raggiunto 136mila tonnellate conun incremento del 19%.

Tabella 5.1.2 - La produzione ortofrutticola italiana 2002-2004 (in tonnellate)

Coltivazioni 2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortaggi in pieno campo (escluso pomodoro da industria) 6.929.281 7.027.635 7.358.776 4,7% 6,2%

Pomodoro da industria1 4.310.424 5.315.128 6.454.675 21,4% 49,7%

Frutta fresca 5.767.573 4.791.484 5.820.144 21,5% 0,9%

Agrumi 2.789.211 2.781.298 3.335.585 19,9% 19,6%

Piante da tubero (patate e batate) 1.870.937 1.631.079 1.844.004 13,1% -1,4%

Ortaggi in serra 1.179.278 1.378.835 1.530.949 11,0% 29,8%

Uva da tavola 1.299.236 1.326.574 1.418.438 6,9% 9,2%

Frutta in guscio 224.537 176.666 248.841 40,9% 10,8%

Legumi secchi 114.257 114.616 136.388 19,0% 19,4%

TOTALE ORTOFRUTTA 24.484.733 24.543.314 28.147.800 14,7% 15,0%

Ortaggi + Legumi + Patate 14.404.177 15.467.292 17.324.792 12,0% 20,3%

Frutta fresca e in guscio + Agrumi + Uva 10.080.556 9.076.021 10.823.008 19,2% 7,4%

1 Dato Agea

Fonte: elaborazioni dell’Autore su dati Istat e Agea

Il grafico 5.1.5 mostra l’evoluzione del valore della produzione alla fase agricola2 dei prin-cipali aggregati nel periodo che va dal 1995 al 2004. Il trend di lungo periodo risulta positivo pertutti gli aggregati con tassi di variazione medi annui (t.v.m.a.) del 3,8% per gli agrumi, 3% perpatate ed ortaggi, 2,5% per la frutta fresca e dell’1,3% per i legumi secchi3.

151

2 A prezzi correnti.3 Il tasso di variazione medio annuo è stato calcolato con la seguente formula: ⎨[(vn/v1)^1/(n-1)]-1⎬*100. Dove vn è il valore della

produzione a prezzi correnti nell’ultimo anno considerato e v1 è il valore della produzione a prezzi correnti nel primo anno consi-derato. n è il numero di anni considerati.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 151

L’andamento delle ultime due campagne evidenzia invece:

– l’incremento (+2,2% rispetto al 2003) per l’intero aggregato dei prodotti ortofrutticoli;

– la contrazione dell’aggregato ortaggi e patate che perde terreno (-4,7% rispetto al 2003),anche se si attesta su livelli superiori a quelli 2002;

– l’incremento del segmento della frutta fresca (+18%) che ritorna – dopo la flessione del2003 – sui livelli del 2002;

– l’incremento degli agrumi che nel 2004 sono cresciuti del 10% rispetto al 2003;

– l’incremento dei legumi secchi, +21,7% rispetto al 2003.

Grafico 5.1.5 - Evoluzione del valore della produzione dei principali aggregati (in .000 Euro)

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat

La tabella 5.1.3 riporta l’andamento della produzione alla fase agricola – tra il 2002 ed il2004 – delle principali colture ortofrutticole. In termini di volume, le variazioni 2004/03 sonopositive per tutte le colture e vanno da +0,6% dei cavolfiori, fino al 61% delle nocciole; l’unicoprodotto in controtendenza è il cavolo che evidenzia una lievissima flessione (-0,3%) rispettoall’anno precedente.

Per quanto riguarda il valore ai prezzi di base delle produzioni ortofrutticole, il 2004 haavuto un diverso andamento per gli ortaggi e per la frutta. Infatti, nel 2004 i prezzi all’origine dimolti ortaggi hanno subito una pesante flessione che ha determinato la diminuzione del valoredella produzione ai prezzi di base nonostante l’incremento dei volumi prodotti.

In particolare la diminuzione di valore ha interessato indistintamente la maggior parte del-le produzioni orticole, con flessioni molto lievi per quanto riguarda carote, lattuga e peperoni finoad arrivare alla perdita di valore di oltre il 30% registrata per i cavolfiori. Le uniche variazionipositive del valore della produzione alla fase all’origine sono state osservate per carciofi (0,6%),zucchine (+1,2%), cocomeri (+3,7%), cipolle e porri (+15,4%) e patate (+19,9%).

Di contro le produzioni frutticole hanno incrementato il valore della produzione ai prezzi di

1.000.000

2.000.000

3.000.000

4.000.000

5.000.000

6.000.000

7.000.000

8.000.000

1995 1996 1997 1998 1999 2000 2000 2002 2003 2004

Legumi secchi Patate e ortaggi Agrumi Frutta

152

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 152

base. I maggiori aumenti sono stati registrati per nocciole (+85,8%), pesche (+17%), uve da tavo-la (+16,1%), pere (+11,5%), arance (+11,3%) e mele (+10,8%).

Tabella 5.1.3 - Produzione delle principali colture ortofrutticole nazionali 2002-04

PRODOTTI Quantità (.000 di tonnellate) Valore (.000 €)

2002 2003 2004 Var % 2002 2003 2004 Var % 2004/03 2004/03

Pomodori 5.748 6.652 7.229 8,7% 972.750 1.198.598 1.116.599 -6,8%

Mele 2.199 1.954 2.068 5,8% 795.451 724.860 803.172 10,8%

Patate 1.855 1.611 1.797 11,6% 620.063 557.029 667.663 19,9%

Arance 1.724 1.734 2.064 19,0% 556.206 589.458 656.320 11,3%

Uva da tavola 1.139 1.176 1.393 18,5% 523.438 562.455 653.132 16,1%

Pere 923 826 890 7,8% 449.360 413.463 461.175 11,5%

Carciofi 455 392 489 24,9% 434.397 452.218 454.799 0,6%

Pesche 1.065 753 1.066 41,5% 414.654 336.770 394.063 17,0%

Lattuga 476 466 492 5,6% 329.759 381.153 374.212 -1,8%

Zucchine 410 470 501 6,7% 303.619 369.166 373.671 1,2%

Fragole 151 155 168 8,3% 265.982 300.124 310.971 3,6%

Limoni 487 520 565 8,6% 222.087 262.130 282.965 7,9%

Actinidia 379 323 382 18,5% 266.566 240.476 280.035 16,5%

Carote 561 571 589 3,2% 254.269 265.437 264.021 -0,5%

Peperoni 326 360 398 10,5% 204.500 254.223 248.378 -2,3%

Fagioli freschi 205 190 208 9,1% 222.750 247.802 218.397 -11,9%

Poponi 506 570 608 6,8% 179.617 229.184 210.213 -8,3%

Nocciole 120 83 134 61,3% 151.622 109.683 203.796 85,8%

Cipolle e porri 428 373 412 10,5% 175.644 167.895 193.734 15,4%

Cavolfiori 452 485 488 0,6% 209.410 272.264 189.199 -30,5%

Melanzane 332 369 384 4,1% 169.471 201.130 187.617 -6,7%

Clementine 398 344 416 20,9% 169.261 153.813 175.178 13,9%

Cavoli 423 428 427 -0,3% 160.592 189.645 162.483 -14,3%

Radicchio 227 236 240 1,7% 147.242 153.500 132.521 -13,7%

Indivia 215 220 241 9,2% 107.765 116.812 97.965 -16,1%

Mandorle 105 91 105 15,2% 69.580 63.107 83.823 32,8%

Mandarini 177 177 187 5,6% 78.739 81.455 82.049 0,7%

Cocomeri 545 529 563 6,4% 77.295 76.758 79.608 3,7%

Noci 14 10 11 4,9% 25.426 17.732 19.735 11,3%

Fonte: elaborazione Ismea su dati Istat - Tavole agricoltura

5.1.3 Ripartizione regionale della superficie ortofrutticola e della produzione raccolta

Qui di seguito è riportata la ripartizione per regione della superficie totale e della produzio-ne raccolta. La ripartizione per regione riguarda sia le coltivazioni ortofrutticole nel complessosia i principali aggregati (frutta fresca, agrumi, uve da tavola, frutta in guscio, ortaggi in pienocampo, ortaggi in serra, patate e legumi). Allo scopo di favorire la lettura, le elaborazioni grafichesono state costruite rappresentando solamente le regioni che incidono maggiormente su quell’ag-gregato. In appendice statistica sono riportati i dati relativi a tutte le regioni italiane. Le elabora-zioni sono state effettuate utilizzando i dati congiunturali Istat, aggiornati al dicembre 2005.

153

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 153

Totale ortofrutta

Nel 2004, la superficie italiana investita a prodotti ortofrutticoli ammontava a 1.365.391ettari4, pari al 9,4% della superficie agricola utilizzata, mentre la produzione raccolta era pari acirca 28 milioni di tonnellate.

A livello regionale la superficie ortofrutticola nazionale vede cinque regioni con più di100mila ettari investiti: Sicilia (328mila ettari), Puglia (230mila ettari), Emilia Romagna(153mila ettari), Campania (133mila ettari) e Calabria (100mila ettari). Seguono il Lazio, che hauna superficie ortofrutticola superiore a 70mila ettari, il Veneto (62mila ettari), la Sardegna ed ilPiemonte con 50mila ettari, Trentino Alto Adige, Abruzzo e Basilicata con 30mila ettari.

Se si considera la produzione raccolta nel 2004, l’Emilia Romagna con 4,8 milioni di ton-nellate stacca le altre regioni ed è seguita da Puglia e Sicilia, rispettivamente con 4,5 e 4,4 milio-ni di tonnellate. Seguono Campania (2,6 milioni di tonnellate), Calabria (2,3 milioni di tonnella-te), Veneto (1,5 milioni di tonnellate), Trentino Alto Adige (1,4 milioni di tonnellate) e Lazio (1,3milioni di tonnellate).

Grafico 5.1.6 - Totale ortofrutta: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Frutta fresca

Questo raggruppamento comprende mele, pere, pesche, nettarine, percoche, kiwi o actini-dia, susine, albicocche, ciliegie, cachi, nespole, etc. Mele e pere rappresentano – in termini divolume – oltre il 50% della produzione dell’intero aggregato. Nel 2004, la superficie italiana

Superficie totale

Produzione raccolta

Sicilia24,1%

Emilia Romagna17,3%

Puglia16,0%

Sicilia15,7%

Campania9,3%

Calabria8,0%

Veneto5,4%

TrentinoAlto Adige

4,9%

Lazio4,7%

Puglia16,8%

Emilia Romagna11,2%

Campania9,7%

Calabria7,3%

Lazio5,2%

Veneto4,6%

Sardegna3,7%

Piemonte3,6%

Altre regioni13,8%

Altre regioni18,5%

154

4 La superficie investita risulta lievemente superiore a quanto riportato nel paragrafo 5.1.1 in quanto per il pomodoro da industriaviene qui utilizzato il dato di fonte Istat, mentre in precedenza era stato riportato quello Agea.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 154

investita a frutta fresca ammontava a 313.421 ettari, pari al 23% della superficie ortofrutticolanazionale, mentre la produzione raccolta era pari a 5,8 milioni di tonnellate (21%).

La superficie frutticola nazionale vede otto regioni con oltre 10mila ettari: Emilia Roma-gna (82mila ettari), Campania (43mila ettari), Sicilia (31mila ettari), Trentino Alto Adige(30mila ettari), Veneto (25mila ettari), Puglia (24mila ettari), Piemonte (21mila ettari) e Lazio(14mila ettari).

Se si considera la produzione di frutta fresca, nel 2004, Emilia Romagna e Trentino AltoAdige detenevano una quota pari al 50% della produzione nazionale, rispettivamente con 1,6 e1,3 milioni di tonnellate. A seguire si collocavano Campania (673mila tonnellate) e Veneto(535mila tonnellate), quindi Piemonte (419mila tonnellate), Sicilia (278mila tonnellate), Lazio(215mila tonnellate), Puglia (123mila tonnellate), Calabria (119mila tonnellate), Basilicata(116mila tonnellate) e Lombardia (102mila tonnellate).

Grafico 5.1.7 - Frutta fresca: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Agrumi

Questo aggregato comprende arance, limoni, mandarini, clementine, pompelmi ed agrumiminori. Nel 2004, la superficie agrumicola italiana ammontava a 171.666 ettari, pari al 12,6%della superficie ortofrutticola nazionale, mentre la produzione raccolta era pari a 3,3 milioni ditonnellate (12%). Le arance rappresentano circa i due terzi della produzione agrumicola.

A livello regionale gli agrumi sono presenti in sette regioni, anche se Sicilia e Calabria con-centrano oltre l’80% della superficie agrumicola nazionale e l’85% della produzione. La Siciliadetiene il primato nazionale con più di 97mila ettari ed una produzione raccolta di 1,7 milioni ditonnellate; segue la Calabria con 43mila ettari ed 1,2 milioni di tonnellate di produzione. A note-

Superficie totale

Produzione raccolta

Emilia Romagna26,1%

Emilia Romagna27,0%

Trentino Alto Adige22,9%

Campania11,6%

Veneto9,2%

Piemonte7,2%

Sicilia4,8%

Lazio3,7%

Campania13,7%Sicilia

9,8%Trentino Alto Adige

9,5%

Veneto7,%

Puglia7,7%

Piemonte6,7%

Lazio4,5%

Altre regioni14,2%

Altre regioni13,7%

155

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 155

vole distanza si piazzano la Basilicata con 7.800 ettari e 182mila tonnellate di produzione; laPuglia con 12mila ettari e 128mila tonnellate di agrumi prodotti; la Sardegna con 7mila ettari ecirca 76mila tonnellate di produzione; la Campania con 3.500 ettari e 66mila tonnellate di produ-zione ed il Lazio, 1.000 ettari e 13 tonnellate. Liguria, Toscana e Abruzzo, infine, presentanosuperfici investite inferiori a 100 ettari.

Grafico 5.1.8 - Agrumi: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Uve da tavola

L’aggregato delle uve da tavola comprende numerose varietà, generalmente con acinogrande, coltivate esclusivamente per la commercializzazione sul mercato del fresco. Tra le varie-tà più diffuse nel nostro Paese si ricordano Italia, Matilde, Regina e Victoria (uve bianche);Michele Palieri, Black Magic, Red Globe, Cardinal e Alphonse Lavallée (uve rosse o rosate);Thompson e Sugraone (varietà apirene).

Nel 2004, la superficie italiana investita ad uve da tavola era pari a 71.676 ettari, ossia il5,2% della superficie ortofrutticola nazionale, mentre la produzione raccolta ammontava a 1,4milioni di tonnellate (5%). Questa coltura è presente in tutte le regioni, ad eccezione della Valled’Aosta, ma è solamente in Puglia e Sicilia che assume particolare rilevanza economica.

La Puglia è la regione leader con i due terzi della superficie nazionale (oltre 47mila ettaricoltivati) ed il 70% della produzione raccolta (circa 1milione di tonnellate). La Sicilia presentauna superficie investita di 18mila ettari, corrispondente ad un quarto del totale nazionale ed unaproduzione di 339mila tonnellate. Seguono a notevole distanza Abruzzo, Basilicata, Lazio e Sar-degna con produzioni che vanno dalle 27mila tonnellate dell’Abruzzo alle 11mila della Sarde-gna. Marginale risulta il ruolo di tutte le altre regioni.

Superficie totale

Produzione raccolta

Sicilia56,6%

Calabria24,8%

Sicilia51,3%

Calabria34,8%

Basilicata5,4%

Puglia3,8%

Sardegna2,3% Campania

2,0%

Lazio0,4%

Puglia7,1%

Basilicata4,6%

Sardegna4,1%

Campania2,1%

Lazio0,6%

Altre regioni0,1%

Altre regioni0,02%

156

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 156

Grafico 5.1.9 - Uve da tavola: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Frutta in guscio

L’aggregato frutta in guscio comprende nocciole, mandorle e pistacchi.

Nel 2004, la superficie italiana investita a frutta in guscio era pari a 156.711 ettari, corri-spondente all’11,5% della superficie ortofrutticola totale, mentre la produzione raccolta ammon-tava a circa 249mila tonnellate (1%). La produzione di frutta in guscio è concentrata prevalente-mente in Sicilia, Campania, Lazio, Puglia e Piemonte.

La Sicilia è prima tra le regioni italiane con 68mila ettari investiti ed una produzione dicirca 83mila tonnellate, ripartita tra mandorle (78%), nocciole (22%) e pistacchi (0,3%). È benemettere in evidenzia che in Sicilia è localizzata l’intera superficie italiana investita a pistacchi(3.600 ettari).

A seguire si posizionano due produttori chiave di nocciole, Campania e Lazio, la primacon 53mila tonnellate prodotte e 23mila ettari coltivati, mentre la seconda produce 51mila tonnel-late ed ha una superficie che supera 19mila ettari.

In Puglia si coltiva esclusivamente il mandorlo, con una superficie investita di 31mila etta-ri ed una produzione di circa 37mila tonnellate.

Il Piemonte, infine, si distingue per la coltivazione di nocciole destinate principalmentealle industrie dolciarie presenti in quel comprensorio, rinomate per la crema gianduia ed i gian-duiotti. La superficie investita non raggiungeva i 10mila ettari e la produzione 2004 ammontavaad oltre 20mila tonnellate. Seguono a notevole distanza Sardegna e Calabria con produzionirispettivamente di 2.600 e 2.100 tonnellate.

Superficie totale

Produzione raccolta

Puglia65,9%

Sicilia24,8%

Puglia69,4%

Sicilia23,9%

Abruzzo1,9%

Basilicata1,6% Lazio

1,4%

Sardegna0,8%

Abruzzo2,7%

Sardegna2,0%

Lazio1,6%

Basilicata1,3%

Altre regioni1,7%

Altre regioni1,0%

157

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 157

Grafico 5.1.10 - Frutta in guscio: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Ortaggi in pieno campo

Le principali colture comprese in questo aggregato sono il pomodoro destinato alla trasfor-mazione industriale, le ortive di pieno campo (carciofi, cavolfiori, meloni, angurie, insalate, zuc-chine, peperoni, melanzane, etc.) ed altri ortaggi destinati all’industria di trasformazione dei sur-gelati, come ad esempio: fagiolini, spinaci, etc. Nel 2004, la superficie italiana investita ad ortag-gi ammontava a 472.845 ettari, pari al 34,6% della superficie ortofrutticola nazionale, mentre laproduzione raccolta era stimata in 13,7 milioni di tonnellate, ossia il 49% di quella complessiva.Il pomodoro da industria (si veda il paragrafo 5.2.1) ha raggiunto 6,4 milioni di tonnellate, ossiacirca la metà della produzione degli ortaggi coltivati in pieno campo.

La Puglia è la prima regione per superficie investita (circa 100mila ettari) mentre, in terminidi produzione, Puglia ed Emilia Romagna si trovano appaiate in testa, rispettivamente con pocopiù e poco meno di tre milioni di tonnellate di ortaggi raccolti. A seguire troviamo la Sicilia che hauna superficie investita (76mila ettari) superiore a quella dell’Emilia Romagna, ma una produzioneraccolta nettamente inferiore (1,3 milioni di tonnellate) e la Campania che è l’ultima regione a van-tare una produzione di ortaggi superiore ad un milione di tonnellate (38mila ettari ed 1,1 milioni ditonnellate di produzione raccolta). Quindi, a maggiore distanza si collocano: Calabria (31mila etta-ri ed 770mila tonnellate di produzione raccolta), Lazio e Lombardia, entrambe con 692mila tonnel-late di produzione raccolta e rispettivamente 22mila ettari e 16mila ettari investiti; Veneto (29milaettari e 677mila tonnellate di produzione raccolta), Abruzzo (18mila ettari e 544mila tonnellate diproduzione raccolta), Sardegna (27mila ettari e 320mila tonnellate di produzione raccolta), Marche(17mila ettari e 301mila tonnellate di produzione raccolta), Basilicata, Toscana e Piemonte con11mila ettari e rispettivamente 421mila, 285mila e 275mila tonnellate di produzione raccolta.

Superficie totale

Produzione raccolta

Sicilia43,4%

Sicilia33,3%

Campania21,2%

Lazio20,4%

Puglia14,7%

Piemonte8,1%

Puglia19,8%

Campania14,6%

Lazio12,1%

Piemonte6,1%

Sardegna2,3%

Calabria1,0% Altre regioni

0,7%

Sardegna1,0%

Calabria0,9% Altre regioni

0,4%

158

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 158

Grafico 5.1.11 - Ortaggi in pieno campo: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Ortaggi in serra

Questo aggregato comprende tutti gli ortaggi che sono coltivati in serra allo scopo di otte-nere delle produzioni in periodi dell’anno in cui le stesse colture non sono presenti in piena aria.Le principali colture comprese in questo aggregato sono pomodoro, zucchine, insalate, peperoni,melanzane, fragole, meloni, cetrioli ed angurie. Nel 2004, la superficie italiana investita ad ortag-gi in serra ammontava a 34.395 ettari, pari al 2,5% della superficie ortofrutticola nazionale, men-tre la produzione raccolta era di oltre 1,5 milioni di tonnellate (5,4%).

La produzione è concentrata in quattro regioni: Sicilia5, che ha una superficie investita di8.800 ettari ed una produzione raccolta di 422mila tonnellate; Campania, con 8.500 ettari e327mila tonnellate, Lazio, con 5.600 ettari e 255mila tonnellate e Veneto, 4.200 ettari e 171milatonnellate di produzione raccolta. Seguono Sardegna, con 91mila tonnellate raccolte ed 800 etta-ri, Lombardia con 90mila tonnellate e 1.900 ettari ed Emilia Romagna con 53mila tonnellate e1.200 ettari. Un altro gruppo composto da tre regioni Basilicata, Piemonte e Calabria, è caratteriz-zato da una produzione compresa tra 30 e 20mila tonnellate, mentre la superficie totale investita ècompresa tra 500 e 1.000 ettari.

Superficie totale

Produzione raccolta

Puglia21,0%

Puglia22,1%

Emilia Romagna21,8%Sicilia

9,5%

Campania8,2%

Calabria5,6%

Lombardia5,1%

Lazio5,1%

Veneto5,0%

Sicilia16,0%

Emilia Romagna12,6%

Campania8,1%

Calabria6,5%

Veneto6,1%

Sardegna5,6%

Lazio4,7%

Altre regioni19,5%

Altre regioni17,7%

159

5 La fascia trasformata, localizzata sulla costa orientale della Sicilia – tra le province di Siracusa e Ragusa – vede un’elevata con-centrazione di aziende serricole specializzate nella produzione di ortaggi e fiori.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 159

Grafico 5.1.12 - Ortaggi in serra: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Piante da tubero

Questo aggregato comprende le patate comuni, quelle novelle (o primaticce) e le patatedolci (o batate). Nel 2004, le piante da tubero interessavano complessivamente una superficie di74mila ettari, pari al 5,4% della superficie ortofrutticola nazionale, mentre la produzioneammontava a 1,8 milioni di tonnellate (7%). Le patate comuni sono la principale coltura del-l’aggregato sia per quanto riguarda la superficie investita sia per la produzione raccolta, rispetti-vamente 50mila ettari ed 1,3 milioni di tuberi raccolti. Le patate primaticce sono prodotte esclu-sivamente in Sicilia, Puglia e Campania e nel 2004 occupavano una superficie di 22mila ettari,con una produzione di 480mila tonnellate. La batata, infine, è coltivata quasi esclusivamente inPuglia ed ha un peso marginale nell’aggregato con 1.400 ettari investiti e 22.500 tonnellate diproduzione raccolta.

La ripartizione regionale dell’aggregato delle piante da tubero vede al primo posto laCampania, con 12mila ettari e 363mila tonnellate di patate prodotte. Seguono Sicilia ed EmiliaRomagna, con la prima che vanta 12mila ettari investiti – come la Campania – ed una produzio-ne di 244mila tonnellate, quasi esclusivamente primaticce, mentre l’Emilia Romagna investe6.800 ettari – localizzati per lo più in provincia di Bologna – ed ha una produzione di 234milatonnellate.

A maggiore distanza si colloca un gruppo di quattro regioni: Abruzzo (4.400 ettari e163mila tonnellate), Calabria (8.600 ettari e 162mila tonnellate), Puglia (7.400 ettari e 146milatonnellate), Veneto (3.900 ettari e 136mila tonnellate) e Lazio (oltre 3mila ettari e 69mila tonnel-late). La produzione laziale è fortemente concentrata nel comprensorio di Grotte di Castro neipressi del lago di Bolsena.

Superficie totale

Produzione raccolta

Sicilia25,6%

Campania24,7%

Lazio16,3%

Veneto12,2%

Lombardia5,6%

Emilia Romagna3,5%

Basilicata2,7% Altre regioni

6,9%

Sardegna2,4%

Sicilia27,6%

Campania21,3%

Lazio16,7%

Veneto11,1%

Sardegna5,9%

Lombadia5,9%

Emilia Romagna3,5% Altre regioni

4,3%

Basilicata1,9%

Piemonte1,8%

160

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 160

Grafico 5.1.13 - Piante da tubero: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

Legumi da granella

In questo aggregato sono comprese fave, piselli, fagioli, ceci e lenticchie.

Nel 2004, i legumi da granella impegnavano una superficie di 70.840 ettari, pari al 5,2%della superficie ortofrutticola nazionale, mentre la produzione era pari a 136mila tonnellate(0,5%).

La ripartizione regionale dell‘aggregato vede al primo posto la Sicilia, con 18mila ettaricoltivati e 35mila tonnellate di produzione. Seguono quattro regioni: Lombardia (4.150 ettari eduna produzione di 15mila tonnellate); Calabria (12.500 tonnellate su 8.600 ettari); Emilia Roma-gna (12mila tonnellate ed una superficie di 3.900 ettari); ed infine Puglia (8.500 ettari ed 11.500tonnellate di produzione).

Superficie totale

Produzione raccolta

Sicilia16,9%

Campania19,7%

Sicilia13,2%

Abruzzo9,8%

Calabria8,8%

Puglia7,9%

Veneto7,4%

Campania16,0%

Calabria11,7%Puglia

10,0%

Emilia Romagna9,2%

Emilia Romagna12,7%

Abruzzo5,9%

Veneto5,2%

Lazio4,1%

Sardegna4,1%

Altre regioni16,9%

Altre regioni21,3%

161

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 161

Grafico 5.1.14 - Legumi da granella: ripartizione di superficie e produzione (2004)

Fonte: elaborazione dell’Autore su dati Istat

5.2 L’industria di trasformazione

L’industria di trasformazione dei prodotti ortofrutticoli comprende:

– le conserve di pomodoro;

– le altre conserve vegetali (ortaggi lessati, ortaggi sottolio, ortaggi sottaceto, salse e con-dimenti a base di ortaggi);

– gli ortaggi e le patate surgelate;

– i succhi di frutta ed agrumi;

– le conserve di frutta (marmellate, puree e composte, frutta sciroppata o in succo di frutta);

– la frutta surgelata.

Si tratta, quindi, di produzioni estremamente eterogenee sia per la natura della materia pri-ma avviata alla trasformazione, sia per i processi di lavorazione ed i prodotti ottenuti.

L’attività di trasformazione dei prodotti ortofrutticoli evidenzia degli elevati picchi stagio-nali in corrispondenza delle epoche di raccolta delle materie prime agricole. Di conseguenzaanche la dinamica dell’indice di trasformazione industriale del comparto presenta una spiccatastagionalità. L’indice è su livelli minimi nei mesi invernali ed aumenta in maniera progressiva inprimavera, fino a raggiungere il massimo in estate ed in autunno, in corrispondenza della trasfor-mazione di pomodoro, pesche, pere ed agrumi.

Nell’arco del quinquennio 2000-2004, si rileva una lieve tendenza all’aumento della produ-zione di frutta e ortaggi conservati, che risente anche del picco particolarmente elevato registrato

Superficie totale

Produzione raccolta

Sicilia25,0%

Sicilia25,8%

Lombardia11,4%

Emilia Romagna8,9%

Puglia8,5%

Campania6,4%

Toscana5,8%

Piemonte5,6%

Calabria12,1%

Puglia12,0%

Piemonte6,7%

Lazio6,6%

Calabria9,2%

Campania6,3%

Toscana6,2%

Lombardia5,9%

Emilia Romagna5,5%

Altre regioni13,7%

Altre regioni18,6%

162

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 162

nel 2004 ed imputabile essenzialmente all’incremento della trasformazione del pomodoro. Dicontro, l’industria dei succhi di frutta manifesta un andamento negativo.

Grafico 5.2.1 - Indice di produzione industriale del comparto ortofrutticolo (2000=100)

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat

Il fatturato 2004 dell’industria di trasformazione dei prodotti ortofrutticoli ed agrumari èstimato in 4,8 miliardi di Euro, in flessione del 3,8% rispetto al 2003 (Rapporto annuale Ismea,2005). L’industria di trasformazione dell’ortofrutta ha operato in un contesto caratterizzato oltreche dalla stagnazione dell’economia nazionale, anche da altri fattori maggiormente legati al com-parto come la riduzione dei consumi interni, la minore recettività dei principali mercati di sboccoe la crescente aggressività dei competitor internazionali.

5.2.1 Pomodoro da industria

La trasformazione del pomodoro rappresenta il segmento più importante del comparto, siain termini di volumi sia di fatturato. Negli ultimi anni, la materia prima avviata alla trasformazio-ne è aumentata in maniera considerevole, mentre il fatturato ha manifestato una tendenza altale-nante. Infatti, si parte da 1,9 miliardi di Euro del 2002, che sono aumentati a 2 miliardi nel 2003,per poi ritornare ad 1,9 nel 2004. Tali variazioni sono essenzialmente imputabili alle oscillazionisubite dai prezzi. La scarsa produzione della campagna 2002, infatti, ha determinato il rincarodei listini dei derivati del pomodoro registrato nel 2003, mentre nel corso dell’anno successivo siè verificato un netto ridimensionamento dei prezzi e, quindi, la contrazione del fatturato.

Il trend della produzione ha evidenziato una flessione tra il 2000 ed il 2002 ed un forteincremento nel biennio successivo. Nel 2002, che rappresenta il punto di minimo del periodo, lasuperficie investita è scesa sotto i 69mila ettari e la produzione agricola di pomodoro è stata paria 4,3 milioni di tonnellate, attestandosi lievemente al di sotto della soglia nazionale stabilita dal-l’Ue. Nel triennio 2000-2002, le diverse aree geografiche del Paese hanno avuto un differente

0

20

40

60

80

100

120

140

160

180

200

2000 2001 2002 2003 2004 2005

Lavorazione e conservazione di frutta e ortaggi n.c.a.

Produzione di succhi di frutta e di ortaggi

163

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 163

andamento produttivo. Al sud, in particolare in Puglia, c’è stata una sensibile contrazione degliinvestimenti imputabile ai problemi di siccità che hanno interessato il meridione del Paese. Leabbondanti precipitazioni dei primi mesi del 2003 hanno consentito la ricostituzione di abbon-danti scorte idriche nelle regioni meridionali e conseguentemente la ripresa degli investimenti inPuglia nel biennio 2003-2004.

Tra il 2000 ed il 2002 le regioni settentrionali, in particolare Emilia Romagna e Lombardia,hanno incrementato le superfici investite, compensando la contrazione avvenuta in Puglia. Anchenel biennio successivo, queste due regioni hanno continuato a crescere, contribuendo a determi-nare il progresso del comparto pomodoricolo.

Tra il 2003 ed il 2004, l’aumento delle superfici investite ed il concomitante miglioramen-to delle rese areiche ha generato l’incremento della materia prima avviata alla trasformazione, da4,3 a 6,5 milioni di tonnellate. Di conseguenza, la produzione di derivati è cresciuta da 2 a 3,6milioni di tonnellate.

L’andamento della resa è stato altalenante ed è dipeso esclusivamente da fattori di naturaclimatica. Il basso valore della resa del 2002 è riconducibile sia alla scarsità di acqua irrigua alSud, ma anche e soprattutto alle insistenti precipitazioni piovose che hanno caratterizzato il climaa partire dalla metà di agosto. Le frequenti piogge in fase di maturazione e raccolta delle bacchehanno comportato l’insorgenza di gravi infestazioni di crittogame che hanno pregiudicato i volu-mi raccolti e la qualità della produzione.

Di contro, il 2004 si è distinto per il livello particolarmente elevato della resa (73,2 tonnel-late/ettaro) che, unitamente alla grande superficie investita (oltre 88mila ettari), ha consentito diraggiungere livelli record della produzione raccolta ed avviata alla trasformazione, circa 6,5milioni di tonnellate.

Tabella 5.2.1 - Superficie, produzione, resa e trasformazione di pomodoro (2000-2004)

2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Superficie (ettari) 68.800 81.356 88.179 8,4% 28,2%

Produzione bacche (tonnellate) 4.310.424 5.315.128 6.454.675 21,4% 49,7%

Resa areica (t/ha) 62,7 65,3 73,2 12,0% 16,8%

Prodotti trasformati (tonnellate) 1.996.215 2.531.103 3.652.617 44,3% 83,0%

Resa di trasformazione (%) 46% 48% 57% 18,8% 22,2%

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Agea, Anicav e Aiipa

Per quanto riguarda l’andamento della campagna pomodoricola 2004, l’inverno è statomite con temperature standard e piogge regolari. Tuttavia non sono mancati periodi seppure bre-vi, caratterizzati da temperature rigide con nevicate anche in zone collinari e pianeggianti. Dallafine di aprile è subentrata una forte instabilità meteorologica che si è prolungata fino a giugnocreando rallentamenti, di oltre dieci giorni, nelle operazioni di trapianto. Nelle maggiori areepomodoricole – Lombardia, Emilia, Toscana, Puglia e Basilicata – dall’ultima decade di aprilealla prima di maggio si sono verificate delle marcate escursioni termiche che hanno determinato,in alcune zone, abbassamenti delle temperature di oltre 10° C, creando danni alle piantine giàmesse a dimora nei campi (Anicav, 2005).

Secondo quanto riportato nel Rapporto annuale 2005 di Anicav, al nord Italia i trapiantisono iniziati i primi giorni del mese di aprile e si sono prolungati fino alla seconda decade di giu-gno a causa delle piogge.

164

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 164

Nelle regioni settentrionali, caratterizzate da un elevato tasso di umidità, viene prevalente-mente adottata la fila semplice che consente un accesso più agevole delle macchine nei campi eduna maggiore aerazione all’interno della vegetazione. Al sud invece si preferisce la fila binatache permette un risparmio sui tubicini per l’irrigazione a goccia.

Nella seconda parte del mese di giugno intense grandinate hanno danneggiato soprattutto lecoltivazioni dell’area emiliana ed in particolare nelle province di Piacenza e Parma. A causa del cli-ma fresco e piovoso del post trapianto, il pomodoro precoce del nord Italia è stato di qualità appe-na sufficiente, mentre le colture medio e medio-tardive hanno generato raccolti abbondanti e dibuona qualità. La campagna di trasformazione è proseguita fino alla seconda decade di settembre,quando sono sopraggiunti i primi temporali che hanno decretato la conclusione della campagna.

Al centro Italia i trapianti sono stati effettuati tra aprile e la fine di giugno. Anche qui lecondizioni climatiche primaverili non sono state favorevoli alla coltura, i periodi con alte tempe-rature sono stati continuamente interrotti da perturbazioni piovose e le colture precoci hanno pro-dotto bacche di qualità scadente. I campi trapiantati dopo aprile, invece, hanno dato produzioniabbondanti e di buona qualità.

Al sud i trapianti sono stati realizzati tra la fine di marzo e la prima settimana di luglio. Lepersistenti piogge primaverili, in molti casi, hanno ritardato eccessivamente i trapianti e conse-guentemente le piante si presentavano eziolate o comunque mostravano evidenti sintomi di soffe-renza a causa delle condizioni ambientali sfavorevoli, come il terreno pesante e lo stress termico.Per tutta la primavera le temperature si sono mantenute basse – raramente oltre i 23° – e ciò hafavorito lo sviluppo di batteriosi. Nel 2004, è stata registrata la più intensa presenza di batteriosidegli ultimi anni – con gravi danni ai frutti del primo palco ed alla parte bassa del fusto dellepiante. Di contro, le malattie fungine, in particolare l’alternaria e la peronospora, si sono svilup-pate ma sempre in maniera non eccessiva. Non essendoci state alte temperature per lunghi perio-di, neanche gli attacchi di nottue (lepidotteri) ed acari hanno arrecato grossi danni.

In provincia di Foggia la raccolta è iniziata negli ultimi giorni di luglio, in ritardo di oltreuna settimana rispetto alla campagna 2003. Dopo la prima settimana di agosto le disponibilità dipomodoro sono andate gradualmente crescendo. Il clima mite del mese di ottobre ha consentito lamaturazione di tutto il pomodoro trapiantato e la raccolta dei campi tardivi fino alla fine di ottobre.

Nelle province di Brindisi e Lecce il clima primaverile fresco e piovoso ha rallentato lamaturazione, spostando l’inizio della raccolta dopo il dieci agosto. Anche in Basilicata, zona dicoltivazioni tardive, la raccolta è entrata nel vivo nella seconda metà di agosto per poi continuarefino ad ottobre. In molti casi, il pomodoro non è stato neanche raccolto, in quanto le industrieavevano già chiuso i battenti.

In Campania, infine, la raccolta è iniziata nell’ultima settimana di luglio e si è conclusanella seconda decade di agosto.

Le tabelle 5.2.2 e 5.2.3 riportano i dati relativi alla superficie investita nel 2003 e nel 2004nelle regioni e nelle province più importanti. A livello regionale il 2004 ha segnato il ritorno del-la Puglia in testa alla graduatoria delle superfici a pomodoro da industria, passando da 25.800 a30.000 ettari, con un incremento del 16,4%. Tra le province pugliesi spicca Foggia che con27.500 ettari concentra il 91% della produzione regionale e circa un terzo di quella nazionale; anotevole distanza segue Brindisi, con 1.140 ettari (400 ettari in più rispetto all’anno precedente),mentre Taranto, Bari e Lecce apportano un contributo ancora più esiguo.

L’Emilia Romagna con 29.000 ettari coltivati scende al secondo posto anche se registra unincremento delle superfici pari al 6,3%. In questa regione la superficie si presenta ripartita inmaniera omogenea tra Piacenza, Ferrara e Parma che concentrano l’87% della superficie regiona-

165

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 165

le ed il 29% di quella nazionale. Queste tre province occupano rispettivamente il secondo, terzo equarto posto nella graduatoria nazionale, subito a ridosso di Foggia. A Piacenza nel 2004 sonostati coltivati circa 12.900 ettari (900 ettari in più rispetto all’anno precedente), mentre Parmapassa da 5.326 a 5.653 ettari e Ferrara rimane stabile. Le restanti province riuniscono 3.630 etta-ri con un aumento del 16% rispetto al 2003 con un apporto significativo da parte di Ravenna,Reggio Emilia, Modena e Bologna.

Molto positivo anche l’andamento della Lombardia, che nel 2004 evidenzia un incrementodegli investimenti pari al 22,4% coprendo una superficie di 8.370 ettari. Considerevole il contri-buto apportato da Mantova (3.240 ettari) e Cremona (2.660 ettari) entrambe in aumento, mentrerisulta più esiguo quello di Pavia, Brescia e Lodi. Quest’ultima nel 2004 segna una leggera battu-ta d’arresto.

Investimenti in crescita anche in Toscana che nel 2004 raggiunge 3.676 ettari grazie soprat-tutto a Grosseto, Siena ed Arezzo, che presentano tutte un interessante tasso di crescita.

In Basilicata, la superficie a pomodoro raggiunge 3.272 ettari, con un progresso del 5,1%rispetto al 2003 ed il contributo arriva quasi esclusivamente da Potenza che con 2.638 ettari coprel’81% dell’estensione regionale.

Tabella 5.2.2 - Ripartizione regionale delle superfici a pomodoro 2003-04

N. Regione Superficie 2003 Superficie 2004 Var. 2004/03 Var. 2004/03(in ettari) (in ettari) (in ettari) (in %)

1 Puglia 25.822 30.052 4.230 16,4%

2 Emilia Romagna 27.279 28.999 1.720 6,3%

3 Lombardia 6.837 8.370 1.534 22,4%

4 Toscana 3.190 3.676 486 15,2%

5 Basilicata 3.113 3.272 159 5,1%

6 Lazio 2.493 2.453 -40 -1,6%

7 Campania 3.398 2.405 -993 -29,2%

8 Molise 2.698 2.162 -536 -19,9%

9 Calabria 2.262 1.936 -326 -14,4%

10 Piemonte 1.084 1.492 408 37,6%

11 Veneto 1.094 1.012 -82 -7,5%

12 Umbria 773 824 51 6,6%

13 Marche 353 591 238 67,5%

14 Sardegna 639 522 -117 -18,3%

15 Abruzzo 278 294 16 5,8%

16 Friuli Venezia Giulia 42 89 46 109,2%

17 Sicilia – 28 28 –ITALIA 81.356 88.179 6.822 8,4%

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Agea

166

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 166

I risultati dell’indagine Ismea 2004 sulla produzione di pomodoro, riportati in tab. 5.2.4,evidenziano il ruolo predominante che riveste il pomodoro a bacca tonda, coltivato soprattuttonelle regioni settentrionali, mentre la produzione del tipo a bacca lunga è concentrata in Puglia,dove al di là del dato medio non è raro trovare aziende con rese superiori a 100 t/ha. La produzio-ne di pomodorino, infine, è localizzata nelle regioni centro meridionali ed in particolare inambienti, anche collinari, caratterizzati da ridotta disponibilità di acqua irrigua.

In particolare, tenendo conto dei dati del 2004 relativi alla superficie investita ed alla pro-duzione raccolta, si osserva che:

– la tipologia a bacca tonda ricopre il 75% della superficie e rappresenta il 73% della pro-duzione;

– la tipologia a bacca allungata ricopre il 24% della superficie complessiva a pomodoro ecirca il 27% della produzione;

– la tipologia a bacca piccola (o pomodorino) riveste lo 0,8% della superficie e lo 0,5%della produzione conferita all’industria.

La resa media assume i valori più elevati per il pomodoro a bacca lunga (80 tonnellate perettaro), seguito dal pomodoro a bacca tonda (65 tonnellate per ettaro) ed infine dal pomodorino,con rese nettamente inferiori, circa 30 tonnellate per ettaro.

167

Tabella 5.2.3 - Superficie investita per Provincia - top 20

N. Provincia Superficie 2003 Quota 2003 Superficie 2004 Quota 2004 Var. 2004/03(ettari) (%) (ettari) (%) (%)

1 Foggia 22.611 27,8 27.458 31,1 21,4%

2 Piacenza 12.018 14,8 12.941 14,7 7,7%

3 Ferrara 6.798 8,4 6.778 7,7 -0,3%

4 Parma 5.327 6,5 5.653 6,4 6,1%

5 Mantova 2.665 3,3 3.239 3,7 21,5%

6 Cremona 2.160 2,7 2.661 3,0 23,2%

7 Potenza 2.580 3,2 2.638 3,0 2,3%

8 Campobasso 2.698 3,3 2.162 2,5 -19,9%

9 Crotone 2.054 2,5 1.742 2,0 -15,2%

10 Viterbo 1.827 2,2 1.731 2,0 -5,3%

11 Grosseto 1.572 1,9 1.722 2,0 9,6%

12 Brindisi 1.840 2,3 1.442 1,6 -21,7%

13 Ravenna 999 1,2 1.237 1,4 23,8%

14 Alessandria 934 1,1 1.149 1,3 23,0%

15 Reggio nell’Emilia 1.072 1,3 1.072 1,2 0,0%

16 Caserta 1.091 1,3 980 1,1 -10,2%

17 Lodi 947 1,2 868 1,0 -8,4%

18 Pavia 568 0,7 825 0,9 45,3%

19 Salerno 1.744 2,1 773 0,9 -55,7%

20 Perugia 720 0,9 764 0,9 6,1%

TOTALE 81.356,16 100 88.178,62 100 8,4%

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Agea

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 167

Tabella 5.2.4 - Superfici, rese e produzioni delle principali tipologie di pomodoro

Tipologia varietale 2003 2004 Var. 2004/03

Superficie (ettari)Tonde 62.208 66.278 6,5%

Allungate 18.712 21.189 13,2%

Pomodorino 437 712 63,1%

ITALIA 81.356 88.179 8,4%

Resa areica (tonnellate/ha)Tonde 63,5 71,0 11,9%

Allungate 72,4 81,0 11,8%

Pomodorino 24,5 44,3 80,7%

ITALIA 65,3 73,2 12,0%

Produzione (tonnellate)Tonde 3.948.907 4.706.897 19,2%

Allungate 1.355.523 1.716.263 26,6%

Pomodorino 10.698 31.516 194,6%

ITALIA 5.315.128 6.454.675 21,4%

Fonte: stime Ismea sulla base dell’indagine svolta in collaborazione con Uiapoa, Unacoa, Unagro ed Unaproa

Per quanto riguarda la produzione industriale di derivati del pomodoro, nel 2004 ne sonostati prodotti circa 3,7 milioni di tonnellate, come riportato in tabella 5.2.5. La composizione delpaniere di derivati del pomodoro è la seguente: pomodori pelati (1,3 milioni di tonnellate); pomo-doro triturato e polpe (1,2 milioni di tonnellate), passata di pomodori (521mila tonnellate), con-centrato di pomodoro (395mila tonnellate), pomodoro non pelato (130mila tonnellate) ed altriprodotti (48mila tonnellate). Quest’ultima voce include salse, surgelato e fiocco.

Tabella 5.2.5 - Derivati del pomodoro prodotti in Italia (in tonnellate)

Derivati 2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Concentrato 322.263 378.309 395.373 4,5% 22,7%

Pelato intero 766.292 902.052 1.342.283 48,8% 75,2%

Triturato / Polpa 570.739 752.323 1.216.122 61,6% 113,1%

Succo / Passata 276.069 349.721 521.385 49,1% 88,9%

Non pelato 55.753 107.288 129.623 20,8% 132,5%

Altri 5.094 41.410 47.831 15,5% 839,0%

Totale 1.996.210 2.531.103 3.652.617 44,3% 83,0%

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Mipaf-Agea

La domanda sta evolvendo verso il consumo di passate e di polpe, che possono essere con-siderati prodotti più moderni e maggiormente vicini alle esigenze dei consumatori. Infatti, neltriennio considerato i maggiori incrementi di produzione sono stati riscontrati per le polpe e lepassate.

168

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 168

Grafico 5.2.2 - Produzione italiana di derivati di pomodoro (2004)

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Mipaf-Agea

5.2.2 Industria agrumaria

Un altro segmento di grande importanza è rappresentato dall’industria di trasformazionedegli agrumi. La produzione agrumicola italiana nella campagna 2004/05 ammontava a 3,3 milio-ni di tonnellate, in aumento del 20% rispetto alle due precedenti campagne. La composizione delpaniere agrumicolo vede la netta prevalenza delle arance che con 2,1 milioni di tonnellate rappre-sentano il 64% del totale, a seguire si piazzano i limoni con 583mila tonnellate (18%), le clemen-tine (13%), i mandarini (5%) ed i pompelmi con una quota residuale pari a 0,2%.

Tabella 5.2.6 - Produzione italiana di agrumi (in tonnellate)

2002-03 2003-04 2004-051 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Arance 1.723.631 1.733.754 2.105.053 21,4% 22,1%

Limoni 486.408 520.128 583.443 12,2% 19,9%

Clementine 397.720 344.081 433.913 26,1% 9,1%

Mandarini 150.625 152.860 177.221 15,9% 17,7%

Pompelmi 4.441 6.563 6.768 3,1% 52,4%

Totale 2.762.826 2.757.386 3.306.397 19,9% 19,7%

1 Dati aggiornati al 14 dicembre 2005

Fonte: Istat - dati congiunturali agricoltura

Secondo le recenti stime dell’Assitrapa, nel corso della campagna 2004/056 sono statiavviati alla trasformazione circa 1,3 milioni di tonnellate di agrumi. Le arance, con 900mila ton-nellate, detengono una quota del 71% della materia prima avviata alla trasformazione. Seguonoi limoni con 174mila tonnellate, che incidono per il 14% sulla materia prima trasformata; le cle-mentine con 154mila tonnellate rappresentano il 12%; i mandarini, che con circa 45mila tonnel-late detengono una quota del 4%; i pompelmi che chiudono con circa 1.200 tonnellate trasfor-mate ed una quota residuale di 0,1%. Rispetto alla campagna agrumaria 2003/04, si è verificatoun incremento della trasformazione di arance (+15%) e clementine (+21%). Di contro, per limo-ni (-42%), mandarini (-31%) e pompelmi (-15%) c’è stata una riduzione della materia primaavviata all’industria.

Concentrato10,8%

Pelato intero36,7%

Triturato/Polpa33,3%

Succo/Passata14,3%

Altri1,3%

Non pelato3,5%

169

6 Per convenzione, la campagna agrumaria va dal 1° ottobre al 30 settembre dell’anno successivo.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 169

Tabella 5.2.7 - Agrumi avviati alla trasformazione in Italia (in tonnellate)

2002-03 2003-04 2004-051 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Arance 843.762 782.142 900.234 15,1% 6,7%

Limoni 298.888 298.085 174.008 -41,6% -41,8%

Clementine 73.828 127.393 154.214 21,1% 108,9%

Mandarini 57.278 64.812 44.744 -31,0% -21,9%

Pompelmi 2.791 1.444 1.224 -15,3% -56,2%

Totale 1.276.547 1.273.876 1.274.424 0,0% -0,2%

1 Stime Assitrapa

Fonte: elaborazione Ismea su dati Mipaf - Agea

In attesa di conoscere i dati ufficiali relativi alla campagna 2004/05, la produzione di succonaturale è stimata in aumento rispetto alle 390mila tonnellate della campagna precedente. Laprincipale motivazione che spinge a supporre un incremento della produzione complessiva di suc-co di agrumi è l’aumento del quantitativo di arance avviate alla trasformazione e la contempora-nea contrazione di limoni e mandarini. Le arance, infatti, vantano una maggiore resa in succorispetto a quella di limoni e mandarini e ciò dovrebbe, a parità di quantità complessiva trasforma-ta, determinare l’aumento della produzione di succo.

Tabella 5.2.8 - Produzione italiana di succo naturale di agrumi (in tonnellate)

2002-03 2003-04 Var. % 2003/02

Arance 294.022 255.452 -13,1%

Limoni 83.634 83.330 -0,4%

Clementine 19.507 33.005 69,2%

Mandarini 15.134 17.019 12,5%

Pompelmi 673 376 -44,1%

Totale 412.969 389.182 -5,8%

Fonte: elaborazione Ismea su dati Mipaf - Agea ed Assitrapa

In tabella 5.2.9 è riportata la quota percentuale di materia prima avviata alla trasformazio-ne sulla produzione raccolta. Nel corso della campagna 2004/05, si stima che il 43% della produ-zione nazionale di arance sia stata destinata alla trasformazione. Per i limoni tale quota è scesa al30%, dimezzandosi nel giro di due anni. Stabile rispetto alla campagna precedente, la quota diclementine e di pompelmi, mentre una netta flessione è stata registrata per i mandarini.

Tabella 5.2.9 - Quota della produzione di agrumi destinata alla trasformazione (in %)

2002-03 2003-04 2004-05

Arance 49% 45% 43%Limoni 61% 57% 30%Clementine 19% 37% 36%Mandarini 38% 42% 25%Pompelmi 63% 22% 18%Totale 46% 46% 39%

Fonte: elaborazione su dati Mipaf - Agea ed Assitrapa

170

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 170

La resa di trasformazione in succo, definita come il rapporto percentuale tra il peso del suc-co ed il peso dell’agrume integro, evidenzia come le arance hanno un maggior contenuto di succorispetto ai limoni ed agli altri agrumi.

Tabella 5.2.10 - Resa di trasformazione degli agrumi in succo (in %)

2002-03 2003-04

Arance 35% 33%Limoni 28% 28%Clementine 26% 26%Mandarini 26% 26%Pompelmi 24% 26%Totale 32% 31%

Fonte: elaborazione su dati Mipaf - Agea ed Assitrapa

5.3 Il mercato dei prodotti ortofrutticoli freschi

Negli ultimi anni, il comparto ortofrutticolo è stato investito da una profonda crisi di mer-cato che ha riguardato l’intera filiera. Le cause di questa crisi vanno ricercate in problemi sia dinatura congiunturale, sia strutturale. Tra i motivi di tipo congiunturale, si ricordano le avversecondizioni climatiche che hanno interessato il nostro Paese e spesso anche altri Paesi europei. Trail 1999 ed il 2003, si sono registrati diversi eventi climatici negativi, come le gelate primaverili(aprile 2003), il clima torrido (estate 2003), la siccità, dapprima al sud (1999-2002) e in seguito alnord (2002-2004) e le piogge eccezionali al sud (2003-2004), che hanno arrecato danni alle coltu-re erbacee ed arboree, sconvolgendo la normale programmazione colturale e creando improvvisivuoti d’offerta sui mercati. A ciò si aggiunga, sul versante domestico, la difficile congiuntura eco-nomica dell’Italia e la conseguente crisi dei consumi alimentari, mentre sul versante estero, i pro-dotti ortofrutticoli made in Italy hanno incontrato molte difficoltà a penetrare i tradizionali merca-ti di sbocco, in particolare quelli tedeschi7 e ciò ha avuto pesanti ripercussioni anche sul fronteinterno, in quanto l’offerta è risultata superiore alla domanda. Allo stesso tempo sono cresciuti iflussi delle importazioni italiane, non solo di prodotti fuori stagione, ossia quelli provenienti dal-l’emisfero australe, ma anche di prodotti provenienti da Paesi con calendario di commercializza-zione simile al nostro. Tale fenomeno è stato determinato dall’aggressività commerciale dei com-petitor tradizionali, come la Spagna, e di nuovi concorrenti (Egitto, Marocco, Turchia e Tunisia)in grado di produrre a costi medi unitari più bassi.

Per quanto riguarda gli elementi strutturali, si rammenta l’introduzione dell’Euro e le debo-lezze croniche della filiera che, soprattutto nelle aree meridionali del Paese, appare ancora legataa modelli di scambio poco moderni e scarsamente efficienti. Inoltre, la riduzione della competiti-vità sui mercati esteri e la crisi dei consumi nazionali ha determinato per alcune produzioni, adesempio, pesche, nettarine, kiwi ed uve da tavola, un eccesso di offerta rispetto alla domanda cheha assunto connotati strutturali.

171

7 Nel quinquennio 2000-2004, le esportazioni in volume verso la Germania sono diminuite del 41% per gli agrumi, del 22% perortaggi legumi e patate e del 14% per la frutta.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 171

5.3.1 I prezzi nelle diverse fasi di scambio: origine, ingrosso e dettaglio

Allo scopo di monitorare costantemente i prezzi nelle diverse fasi di scambio, alla fine del2001, il MiPAF ha istituito l’Osservatorio Prezzi Ortofrutta, realizzato in collaborazione conIsmea. I dati dell’Osservatorio evidenziano, nel triennio 2001-2003, il progressivo aumento deiprezzi in tutte le fasi di scambio. In questo periodo l’aumento dei listini è stato maggiore per gliortaggi freschi e le patate rispetto all’aggregato frutta ed agrumi. Contemporaneamente, l’incre-mento dei prezzi alla fase al dettaglio è stato superiore a quello rilevato all’origine ed all’ingrosso.

Il 2004 ha segnato una decisa e marcata inversione di tendenza rispetto al 2003 perentrambi gli aggregati analizzati ed in tutte le fasi di scambio. Nel corso del 2004, ortaggi epatate hanno subito una diminuzione molto più accentuata di quella registrata per i prodotti delpaniere frutta fresca ed agrumi. Infatti, la flessione subita dall’aggregato orticolo (-24% nellafase all’origine, -19% all’ingrosso e -13% al dettaglio) ha riportato le quotazioni medie al di sot-to del livello dei prezzi 2001, mentre la flessione riscontrata per l’aggregato frutticolo (-7% nel-la fase all’origine, -6% all’ingrosso e -7% al dettaglio) ha mantenuto le quotazioni medie 2004al di sopra dei livelli del 2001, ossia prima dell’introduzione della moneta unica europea.

Tabella 5.3.1 - Prezzi medi annui degli aggregati ortofrutticoli (Euro/kg)

2001 2002 2003 2004 Var. % Var. % Var. %2003/01 2004/03 2004/01

Ortaggi freschiOrigine 0,469 0,503 0,554 0,423 18,1% -23,7% -9,9%

Ingrosso 0,833 0,888 0,992 0,802 19,0% -19,1% -3,7%

Dettaglio 1,157 1,343 1,428 1,235 23,4% -13,5% 6,8%

Frutta frescaOrigine 0,470 0,497 0,546 0,506 16,1% -7,3% 7,7%

Ingrosso 0,976 1,031 1,084 1,018 11,1% -6,1% 4,3%

Dettaglio 1,166 1,331 1,383 1,281 18,6% -7,3% 9,9%

Fonte: Ismea, Osservatorio prezzi Ortofrutta

Ortaggi e patate

Nel 2004, la riduzione dei prezzi è stata generalizzata ed ha interessato tutti i prodotti del-l’aggregato orticolo e tutte le fasi di scambio, con due sole eccezioni: le patate, il cui prezzo all’ori-gine è rimasto invariato, mentre quello al dettaglio è aumentato8 e le carote, che pur registrandouna diminuzione all’origine e all’ingrosso, hanno mantenuto costanti le quotazioni al dettaglio.

Nella fase all’origine, le riduzioni maggiori, superiori al 30%, sono state rilevate per radic-chio, melanzane e fagiolini; mentre cipolle, pomodori, zucchine, finocchi e lattuga, hanno subitocontrazioni superiori al 20%.

Nella fase all’ingrosso, si rilevano esclusivamente variazioni negative. Zucchine, spinaci,pomodori, radicchio e fagiolini hanno subito riduzioni nell’ordine del 20%, mentre i finocchi han-no evidenziato la contrazione maggiore (-35%).

Nella fase al dettaglio, zucchine, carciofi, fagiolini, radicchio e finocchi hanno registrato iribassi più evidenti, anche se mai superiori al 30%.

172

8 Nel primo semestre 2004, le quotazioni delle patate si sono attestate su livelli elevati a causa del vuoto d’offerta determinato dal-lo scarso raccolto 2003, conseguenza dall’eccezionale ondata di caldo che ha investito l’Italia ed i produttori chiave europei.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 172

Grafico 5.3.1 - Ortaggi e patate: prezzi medi annui (Euro /kg)

Fonte: Ismea, Osservatorio prezzi Ortofrutta

Frutta fresca ed agrumi

Nella fase all’origine, i ribassi più consistenti sono stati registrati per angurie e pesche ilcui prezzo ha subito una contrazione di circa il 50%, rispetto al 2003; mentre per l’uva da tavolala riduzione delle quotazioni si è attestata intorno al 34%. Per questi prodotti i prezzi si sonoridotti anche nella fase all’ingrosso ed al dettaglio, anche se con variazioni più contenute. Nellafase all’origine, il ribasso dei prezzi ha interessato tutti i prodotti ad eccezione di limoni (+4%),meloni (+5%), mele (+9%), mandarini (+13%) e ciliegie (+33%).

Nella fase all’ingrosso, il ribasso dei prezzi ha riguardato tutti i prodotti frutticoli oggettodi monitoraggio, ad eccezione di mele (+1%), mandarini (+1%), kiwi (4%), meloni (5%) e cilie-gie (+37%).

I prezzi al dettaglio di frutta ed agrumi sono diminuiti rispetto al 2003, ad eccezione diciliegie e mele che hanno subito rincari, rispettivamente del 16 e dell’1%.

Grafico 5.3.2 - Frutta fresca ed agrumi: prezzi medi annui (Euro/kg)

Fonte: Ismea, Osservatorio prezzi Ortofrutta

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

2001

Origine Ingrosso Dettaglio

2002 2003 2004

0,470

0,976

1,166

0,497

1,031

1,331

0,546

1,084

1,383

0,506

1,018

1,281

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

2001

Origine Ingrosso Dettaglio

2002 2003 2004

0,469

0,833

1,157

0,503

0,888

1,343

0,554

0,992

1,428

0,423

0,802

1,235

173

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 173

Nel grafico 5.3.3 sono riportati i prezzi medi mensili nelle diverse fasi di scambio. Risulta-no particolarmente evidenti i picchi dei prezzi registrati in concomitanza di andamenti climaticianomali. Si osservi ad esempio il picco più alto (a sinistra) in corrispondenza delle gelate didicembre 2001 e gennaio 2002 e quello (a destra) verificatosi come conseguenza della torridaestate del 2003.

Grafico 5.3.3 - Ortaggi e patate: trend dei prezzi medi per fase di scambio (Euro/kg)

Fonte: Ismea, Osservatorio prezzi Ortofrutta

Grafico 5.3.4 - Frutta fresca e agrumi: trend dei prezzi medi per fase di scambio (Euro/kg)

Fonte: Ismea, Osservatorio prezzi Ortofrutta

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2,00

2001

Origine Ingrosso Dettaglio

2002 2003 2004 2005

0,00

0,20

0,40

0,60

0,80

1,00

1,20

1,40

1,60

1,80

2001

Origine Ingrosso Dettaglio

2002 2003 2004 2005

174

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 174

5.4 I consumi di prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati

Gli acquisti domestici di prodotti alimentari hanno manifestato nell’anno 2004, e nel con-fronto con il 2003, una flessione dei volumi pari a circa il 2%, mentre la crescita dei prezzi medial consumo (1%) ha mitigato il calo della spesa delle famiglie, che si è attestato su un più mode-sto -0,8% (Rapporto annuale Ismea, 2005, pag. 62).

Per quanto riguarda gli acquisti domestici di prodotti ortofrutticoli, in un contesto di medioperiodo caratterizzato dalla flessione sia in termini di volume, sia di valore, si rileva come il 2004abbia impresso una parziale inversione di tendenza rispetto all’andamento degli ultimi anni. Nel2004, infatti, si è registrato l’aumento dei volumi acquistati (+1,7%) rispetto all’anno precedente,anche se la forte riduzione dei prezzi al dettaglio ha imposto una contrazione del 6,2% della spe-sa delle famiglie italiane.

Il confronto con i dati relativi al 2002, indica che, nonostante la recente inversione di ten-denza, la dinamica degli acquisti domestici di prodotti ortofrutticoli ha evidenziato un trend nega-tivo. Infatti, i volumi complessivi di prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati acquistati dallefamiglie italiane si sono contratti di 85mila tonnellate (-1,5%), mentre la riduzione in valore èstata pari a 280 milioni di Euro (-3,7%).

Tabella 5.4.1 - Evoluzione dei consumi domestici di ortofrutta (in tonnellate)

2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortaggi freschi 1.940.566 1.821.961 1.895.073 4,0% -2,3%

Frutta fresca 2.502.430 2.484.416 2.503.161 0,8% 0,0%

Frutta secca 32.255 31.507 32.404 2,8% 0,5%

Ortaggi surgelati 176.209 167.432 164.152 -2,0% -6,8%

Ortaggi scatolame 822.640 794.894 794.700 0,0% -3,4%

Totale ortofrutta 5.474.101 5.300.209 5.389.493 1,7% -1,5%

Fonte: Ismea-ACNielsen

Tabella 5.4.2 - Evoluzione dei consumi domestici di ortofrutta (in .000 di Euro)

2002 2003 2004 Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortaggi freschi 2.739.979 2.765.608 2.551.621 -7,7% -6,9%

Frutta fresca 3.265.718 3.390.786 3.145.086 -7,2% -3,7%

Frutta secca 125.236 126.035 130.708 3,7% 4,4%

Ortaggi surgelati 574.963 556.731 541.678 -2,7% -5,8%

Ortaggi scatolame 805.228 872.084 862.091 -1,1% 7,1%

Totale ortofrutta 7.511.123 7.711.242 7.231.182 -6,2% -3,7%

Fonte: Ismea-ACNielsen

Nel corso del 2004 sono aumentati, rispetto all’anno precedente, i volumi acquistati diortaggi (+4%), frutta secca e in guscio (+2,8%) e frutta fresca (+0,8%); di contro, gli ortaggi sur-gelati perdono il 2%, mentre gli ortaggi ed i legumi in scatola sono rimasti invariati. Per quantoriguarda la variazione in termini di spesa, la flessione è stata considerevole per gli ortaggi (-7,7%)e la frutta fresca (-7,2%) e più lieve per gli ortaggi surgelati (-2,7%) e lo scatolame (-1,1%).L’unica variazione positiva riguarda la frutta secca ed in guscio che ha subito un aumento dellaspesa del 3,7%.

175

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 175

Segnali molto positivi giungono dalle verdure di IV e V gamma, che sebbene rappresentinoun segmento molto esiguo in termini di quantità acquistate, realizzano un continuo progresso del-le vendite. Nel 2004, è stato registrato un incremento rispetto al 2003 sia in volume (+16,7%), siain valore (+16,9%) ed una sostanziale stabilità dei prezzi al dettaglio. Le vendite di verdure di IVe V gamma sono realizzate quasi esclusivamente presso super ed ipermercati.

5.4.1 Gli acquisti domestici per area geografica

La ripartizione dei volumi acquistati di prodotti ortofrutticoli nelle quattro aree individuatedalla ACNielsen9 evidenzia per il 2004 le seguenti quote: Sud (36%), Nord Ovest (25%), Centro(22%), Nord Est (17%).

Grafico 5.4.1 - Ripartizione dei consumi domestici 2004 per area geografica (quote su quantità)

Fonte: Ismea-ACNielsen

L’analisi per area geografica consente di stigmatizzare per grandi linee le differenti abitudi-ni di consumo.

Il Sud presenta il picco dei consumi per quasi tutte le aggregazioni di prodotti ortofruttico-li: frutta fresca ed agrumi (34%), ortaggi freschi e patate (37%), ortaggi in scatola (39%) e fruttasecca e in guscio (42%), ortofrutticoli surgelati (27%).

Il Nord Ovest, con una quota del 31%, traina i consumi dei prodotti ortofrutticoli surgelati.Seguono frutta fresca ed agrumi (27%), ortaggi freschi e patate (23%), ortofrutta in scatola (22%)e frutta secca e in guscio (21%).

Le regioni del Centro detengono le seguenti quote del mercato nazionale: ortofrutta in sca-tola (26%), ortaggi surgelati (24%), ortaggi freschi e patate (22%), frutta fresca ed agrumi (21%),frutta secca e in guscio (16%).

Al Nord Est, infine, appartiene in particolare il primato del consumo di prodotti di IV e Vgamma con una quota nel 2004 del 40%. Per quanto riguarda gli altri aggregati di prodotti, ilNord Est possiede le seguenti quote: frutta secca e in guscio (21%), frutta fresca ed agrumi(18%), ortaggi freschi e patate (18%), ortaggi surgelati (18%), ortofrutta in scatola (14%).

Nord Ovest24,7%

Nord Est17,3%

Centro22,2%

Sud35,8%

176

9 Le quattro macroaree sono Nord Ovest (Val d’Aosta, Piemonte, Lombardia e Liguria), Nord Est (Veneto, Friuli Venezia Giulia eTrentino Alto Adige), Centro (Toscana, Lazio, Marche, Umbria e Sardegna) e Sud (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia,Calabria e Sicilia).

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 176

Tabella 5.4.3 - Ripartizione dei consumi domestici 2004 per area geografica (quote su quantità)

Ortaggi freschi Frutta fresca Frutta secca

Area geografica Quota % Var. % Quota % Var. % Quota % Var. % 2004/03 2004/03 2004/03

Nord Ovest 22,9% 3,6% 26,5% -2,2% 20,5% 13,3%

Nord Est 18,1% 4,0% 17,8% 0,5% 21,3% -1,4%

Centro 22,0% 1,5% 21,3% -1,6% 16,4% 2,8%

Sud 37,0% 5,9% 34,4% 4,9% 41,8% 0,5%

Ortaggi surgelati Ortaggi scatolame Totale ortofrutta

Area geografica Quota % Var. % Quota % Var. % Quota % Var. % 2004/03 2004/03 2004/03

Nord Ovest 31,4% -0,4% 22,3% 4,0% 24,7% 0,6%

Nord Est 17,7% -4,3% 13,5% 1,1% 17,3% 1,6%

Centro 24,2% 2,8% 25,5% -0,5% 22,2% -0,2%

Sud 26,6% -6,1% 38,8% -2,3% 35,8% 3,7%

Fonte: Ismea-ACNielsen

5.4.2 Gli acquisti domestici per canale distributivo

La ripartizione per canale distributivo dei volumi venduti di ortofrutta fresca e trasforma-ta (o in scatola) è la seguente: super ed ipermercati 47%, dettaglio tradizionale 21%, ambulanti emercati rionali 18%; discount 6%, liberi servizi 4% ed, infine, la voce altri canali che comprendeCash & Carry e produzione propria e detiene il 5%.

Grafico 5.4.2 - Ripartizione dei consumi domestici 2004 per canale distributivo (quote suquantità)

Fonte: Ismea-ACNielsen

La distribuzione delle quote di mercato dei principali aggregati di prodotti nei diversi cana-li per il 2004 è la seguente:

Super ed ipermercati: frutta secca ed in guscio 30%, ortaggi freschi 37%, frutta fresca42%, ortaggi surgelati e scatolame 81%.

Discount: frutta secca ed in guscio 4%, ortaggi freschi 5%, frutta fresca 5%, ortaggi surge-lati 8% e scatolame 9%.

Ipermercati e Supermercati

47,0%

Altri canali4,7%

Ambulanti e Mercati rionali

17,6%

Dettagliotradizionale

21,0% Discount6,0%

Liberi servizi3,7%

177

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 177

Liberi servizi, ossia punti vendita simili ai supermercati, ma di dimensioni inferiori: ortaggifreschi 3%, frutta fresca 4%, frutta secca ed in guscio 3%, ortaggi surgelati 5% e scatolame 5%.

Dettaglio tradizionale, ossia i negozi di Frutta & Verdura: scatolame 5%, ortaggi surgelati6%, ortaggi e frutta fresca 25%, frutta secca ed in guscio 27%.

Ambulanti ed i mercati rionali: ortaggi surgelati e scatolame 0,1%, frutta secca ed in guscio19%, ortaggi freschi e frutta fresca 21%.

La voce altri canali: ortaggi surgelati 0,3% e scatolame 0,4%, frutta fresca 4%, ortaggi fre-schi 8%, frutta secca ed in guscio 17%.

La dinamica degli acquisti domestici del 2004 evidenzia rispetto al 2003 l’aumento deivolumi di vendita presso:

– super ed ipermercati per ortaggi freschi (+4%), frutta fresca (+2%) e scatolame (+0,5%);

– i discount per ortaggi freschi (+14%), frutta fresca (+16%) e scatolame (+5%);

– i negozi di Frutta & Verdura per ortaggi freschi (+3%) e frutta secca ed in guscio(+7%);

– ambulanti e mercati rionali per ortaggi freschi (+3%).

– La dinamica degli acquisti domestici del 2004 evidenzia rispetto al 2003 la diminuzionedei volumi di vendita presso:

– il dettaglio tradizionale per frutta fresca (-2%) ed ortaggi surgelati e scatolame (-16%);

– gli ambulanti ed i mercati rionali per frutta fresca (-1%), frutta secca ed in guscio (-5%);

– i discount per ortaggi surgelati (-7%).

Tabella 5.4.4 - Ripartizione dei consumi domestici 2004 per canale distributivo (quote suquantità)

Ortaggi freschi Frutta fresca Frutta secca

Canale di Quota % Var. % Quota % Var. % Quota % Var. % distribuzione 2004/03 2004/03 2004/03

Ipermercati e Supermercati 37,3% 3,7% 41,8% 1,9% 30,1% -3,4%

Liberi servizi 3,4% -2,7% 3,5% -3,4% 3,2% -10,2%

Discount 5,2% 14,0% 5,4% 15,7% 4,1% -3,1%

Dettaglio tradizionale 24,6% 3,0% 24,4% -1,9% 26,6% 6,7%

Ambulanti e Mercati rionali 21,4% 3,0% 21,5% -1,1% 18,7% -4,9%

Altri canali 8,2% 8,4% 3,5% 2,7% 17,3% 26,4%

Ortaggi surgelati Ortaggi scatolame Totale ortofrutta

Canale di Quota % Var. % Quota % Var. % Quota % Var. % distribuzione 2004/03 2004/03 2004/03

Ipermercati e Supermercati 81,1% -0,1% 80,5% 0,5% 47,0% 1,9%

Liberi servizi 4,5% -5,9% 4,8% 3,9% 3,7% -2,0%

Discount 7,9% -6,5% 9,3% 5,2% 6,0% 11,5%

Dettaglio tradizionale 6,1% -16,4% 4,9% -15,6% 21,0% -0,6%

Ambulanti e Mercati rionali 0,1% -11,7% 0,1% -34,5% 17,6% 0,5%

Altri canali 0,3% 34,6% 0,4% -17,6% 4,7% 6,3%

Fonte: Ismea-ACNielsen

178

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 178

5.5 Il commercio con l’estero

Negli ultimi anni è in atto un processo di deterioramento del saldo della bilancia commer-ciale, causato dall’aumento delle importazioni e dalla contemporanea riduzione dell’export.

Le esportazioni di prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati nel 2004 si sono attestate a5,7 milioni di tonnellate (-5% rispetto al 2003), per un valore di 4.715 milioni di Euro (-8%),mentre le importazioni hanno raggiunto 4 milioni di tonnellate (-2%), per un valore di 3.317milioni di Euro (-4%). Il saldo della bilancia commerciale è quindi positivo ed è pari a circa 1.399milioni di Euro, in flessione del 17% rispetto all’anno precedente. Il maggiore contributo al saldoviene dagli ortofrutticoli trasformati con 942 milioni di Euro, contro i 457 milioni di Euro degliortofrutticoli freschi, rispettivamente in flessione del 4 e del 35% rispetto al saldo 2003.

Il confronto dei dati relativi al 2004 con quelli del 2002, evidenzia con ancor maggior forzail rapido deterioramento subito dalla bilancia commerciale dei prodotti ortofrutticoli. Infatti, l’anda-mento degli scambi con l’estero ha registrato nel triennio 2002-2004 una contrazione del saldo atti-vo da 2.112 a 1.399 milioni di Euro (-34%). La riduzione del saldo commerciale ha interessato siai prodotti freschi (-55%), sia i trasformati (-13%). Nel triennio in esame, la performance dell’aggre-gato ortaggi, legumi e patate è stata particolarmente negativa, perdendo il 60%, anche a causa deltriplicarsi (+356%) del saldo negativo delle patate, che passano da -10,5 a -47,9 milioni di Euro.

Gli ortaggi trasformati hanno prodotto il maggiore contributo positivo al saldo per unammontare complessivo di 715 milioni di Euro, anche se nel periodo considerato si è registratauna flessione del 12% del surplus in valore di questo aggregato. Tra gli ortaggi trasformati sisegnalano i derivati del pomodoro: pelati e concentrato (12-30% di sostanza secca), che nel 2004hanno generato un avanzo rispettivamente di 355 e 271 milioni di Euro. La frutta fresca ha parte-cipato alla formazione del saldo complessivo con circa 598 milioni di Euro, anche se nel triennio2002-04 si è registrata una flessione del 34%.

Agrumi, frutta in guscio, legumi e patate hanno apportato un contributo negativo al saldocomplessivo, in tutto il periodo considerato, con perdite nel 2004 rispettivamente di 139, 131,118 e 48 milioni di Euro. La tendenza risulta particolarmente negativa per agrumi, frutta in guscioe patate che anno dopo anno hanno aumentato il passivo, mentre segnali positivi giungono dailegumi che hanno ridotto il passivo per il secondo anno di seguito (-7% rispetto al 2002).

Negativo il trend delle esportazioni, che nel complesso hanno perso terreno rispetto al2002 (-12% in volume e -9% in valore). Nel triennio 2002-04, la riduzione ha interessato sia gliortofrutticoli freschi (-14% in volume e -13% in valore), sia l’ortofrutta trasformata (-10% involume e -4% in valore). Tra i prodotti freschi, le maggiori riduzioni dei volumi esportati hannoriguardato frutta (-9%), agrumi (-20%) e patate (-41%). Mentre per quanto riguarda l’ortofruttatrasformata, si rileva la riduzione sia dell’export di ortaggi trasformati (-10% in volume e -4% invalore), sia di frutta trasformata (-7% in volume e -5% in valore).

Tra i prodotti più rappresentativi delle nostre esportazioni si segnalano i pomodori pelati,che hanno subito una riduzione del 13% in volume e del 7% in valore; mentre tra i prodotti fre-schi, suscita particolare apprensione la riduzione delle esportazioni di pesche (-14% in volume e -16% in valore), uve da tavola (-3% in volume e -14% in valore), mele (-23% in volume e -11% invalore) e kiwi (+3% in volume e -17% in valore).

Le esportazioni dei prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati sono dirette principalmenteverso i Paesi dell’Unione europea, in particolare verso la Germania che è, in assoluto, il nostrocliente più importante, con quote del 50% per le esportazioni di ortaggi, legumi e patate, del 39%per la frutta fresca trasformata, del 22% per gli agrumi e del 21% per gli ortaggi trasformati. Aseguire troviamo la Francia, l’Austria, il Regno Unito e la Svizzera (tabella 5.5.4).

179

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 179

Tabella 5.5.1 - Evoluzione del saldo commerciale dei prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati

In volume (tonnellate) 2002 2003 2004* Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortofrutta fresca e trasformata 2.915.846 1.939.610 1.745.888 -10,0% -40,1%

Ortofrutta fresca 1.293.452 628.761 480.154 -23,6% -62,9%

Frutta fresca, in guscio, secca ed agrumi 1.019.657 736.020 594.757 -19,2% -41,7%

Frutta fresca 1.159.733 1.031.559 848.447 -17,8% -26,8%

Agrumi -82.014 -223.980 -194.270 -13,3% 136,9%

Frutta in guscio -58.063 -71.559 -59.420 -17,0% 2,3%

Ortaggi, legumi e patate 273.795 -107.259 -114.603 6,8% -141,9%

Patate (escluse da semina e da fecola) -137.013 -333.892 -339.618 1,7% 147,9%

Legumi secchi, escluso quelli da semina -415.021 -417.558 -399.997 -4,2% -3,6%

Ortofrutta trasformata 1.622.394 1.310.849 1.265.734 -3,4% -22,0%

Ortaggi trasformati 1.325.995 1.083.880 1.041.610 -3,9% -21,4%

Frutta trasformata 296.399 226.969 224.124 -1,3% -24,4%

In valore (.000 di €) 2002 2003 2004* Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortofrutta fresca e trasformata 2.111.627 1.684.850 1.398.519 -17,0% -33,8%

Ortofrutta fresca 1.022.687 699.933 456.656 -34,8% -55,3%

Frutta fresca, in guscio, secca ed agrumi 698.457 514.515 327.239 -36,4% -53,1%

Frutta fresca 903.687 829.137 597.642 -27,9% -33,9%

Agrumi -79.622 -160.258 -139.346 -13,0% 75,0%

Frutta in guscio -125.609 -154.364 -131.058 -15,1% 4,3%

Ortaggi, legumi e patate 324.230 185.418 129.417 -30,2% -60,1%

Patate (escluse da semina e da fecola) -10.501 -38.951 -47.921 23,0% 356,4%

Legumi secchi, escluso quelli da semina -126.906 -119.124 -118.151 -0,8% -6,9%

Ortofrutta trasformata 1.088.940 984.917 941.863 -4,4% -13,5%

Ortaggi trasformati 808.741 769.969 715.197 -7,1% -11,6%

Frutta trasformata 280.199 214.947 226.665 5,5% -19,1%

* I dati relativi al 2004 sono provvisori

Fonte: elaborazione Ismea su dati Istat

180

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 180

Tabella 5.5.2 - Evoluzione delle esportazioni di prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati

In volume (tonnellate) 2002 2003 2004* Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortofrutta fresca e trasformata 6.551.917 6.034.275 5.754.062 -4,6% -12,2%

Ortofrutta fresca 3.717.968 3.395.300 3.192.161 -6,0% -14,1%

Frutta fresca, in guscio, secca ed agrumi 2.607.373 2.487.398 2.341.830 -5,9% -10,2%

Frutta fresca 2.328.702 2.274.877 2.109.956 -7,2% -9,4%

Agrumi 218.286 151.126 173.830 15,0% -20,4%

Frutta in guscio 60.384 61.395 58.044 -5,5% -3,9%

Ortaggi, legumi e patate 1.110.595 907.902 850.331 -6,3% -23,4%

Patate (escluse da semina e da fecola) 310.163 197.037 182.163 -7,5% -41,3%

Legumi secchi, escluso quelli da semina 14.820 15.755 10.206 -35,2% -31,1%

Ortofrutta trasformata 2.833.949 2.638.975 2.561.901 -2,9% -9,6%

Ortaggi trasformati 2.049.469 1.868.555 1.834.635 -1,8% -10,5%

Frutta trasformata 784.479 770.419 727.265 -5,6% -7,3%

In valore (.000 di €) 2002 2003 2004* Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortofrutta fresca e trasformata 5.176.824 5.133.442 4.715.238 -8,1% -8,9%

Ortofrutta fresca 2.884.120 2.877.040 2.515.308 -12,6% -12,8%

Frutta fresca, in guscio, secca ed agrumi 2.076.703 2.110.510 1.863.441 -11,7% -10,3%

Frutta fresca 1.794.573 1.837.122 1.547.136 -15,8% -13,8%

Agrumi 111.384 86.849 96.261 10,8% -13,6%

Frutta in guscio 170.745 186.539 220.043 18,0% 28,9%

Ortaggi, legumi e patate 807.417 766.530 651.867 -15,0% -19,3%

Patate (escluse da semina e da fecola) 82.855 65.087 60.644 -6,8% -26,8%

Legumi secchi, escluso quelli da semina 10.364 9.158 6.967 -23,9% -32,8%

Ortofrutta trasformata 2.292.704 2.256.402 2.199.930 -2,5% -4,0%

Ortaggi trasformati 1.550.136 1.533.197 1.490.949 -2,8% -3,8%

Frutta trasformata 742.568 723.204 708.980 -2,0% -4,5%

* I dati relativi al 2004 sono provvisori

Fonte: elaborazione Ismea su dati Istat

Nel periodo 2002-04, l’aumento dei volumi importati nel nostro Paese (+10%) ha determi-nato un incremento della spesa per le importazioni (+8,2%). L’aumento ha riguardato sia leimportazioni di ortofrutticoli freschi (+12% in volume e +11% in valore), sia quelle di ortofruttatrasformata (+7% in volume e +5% in valore). Tra i prodotti freschi si segnalano gli incrementidelle importazioni di agrumi (+23% in volume ed in valore), patate (+17% in volume e +16% invalore) e frutta (8% in volume e 7% in valore). Tra i prodotti trasformati sono cresciute soprattut-to le importazioni di ortaggi (+10% in volume e +5% in valore) e molto eloquenti sono i dati rela-tivi al pomodoro concentrato con oltre il 30% di sostanza secca, le cui importazioni dalla Cinasono aumentate in maniera esponenziale a partire dal 2000, raggiungendo nel 2004, 155mila ton-nellate, per un valore di 72,6 milioni di Euro.

La provenienza dei prodotti ortofrutticoli importati dall’Italia presenta, invece, una mag-giore variabilità. Le importazioni di ortaggi, legumi e patate provengono soprattutto dai Paesi del-l’Ue, quali Francia, Spagna, Germania, Paesi Bassi e Belgio, ma anche dai Paesi Terzi del Medi-terraneo, in particolare Egitto e Marocco. Gli agrumi provengono da Spagna (55%), Argentina(14%), Repubblica sudafricana (11%) ed Israele (2%). La frutta fresca arriva essenzialmente dai

181

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 181

Paesi di Centro e Sud America10 come Ecuador, Costarica, Colombia, Cile ed Argentina, oltre chedall’Ue, in particolare da Spagna e Francia. La frutta trasformata ha per lo più provenienza comu-nitaria, anche se la Turchia detiene una quota significativa (7%). Per quanto riguarda infine gliortaggi trasformati, la Cina accresce, anno dopo anno, la propria quota sul mercato italiano, gra-zie alle spedizioni di pomodoro concentrato.

Tabella 5.5.3 - Evoluzione delle importazioni di prodotti ortofrutticoli freschi e trasformati

In volume (tonnellate) 2002 2003 2004* Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortofrutta fresca e trasformata 3.636.071 4.094.665 4.008.174 -2,1% 10,2%

Ortofrutta fresca 2.424.516 2.766.539 2.712.007 -2,0% 11,9%

Frutta fresca, in guscio, secca ed agrumi 1.587.716 1.751.378 1.747.073 -0,2% 10,0%

Frutta fresca 1.168.969 1.243.318 1.261.509 1,5% 7,9%

Agrumi 300.300 375.106 368.100 -1,9% 22,6%

Frutta in guscio 118.447 132.954 117.464 -11,7% -0,8%

Ortaggi, legumi e patate 836.800 1.015.161 964.934 -4,9% 15,3%

Patate (escluse da semina e da fecola) 447.176 530.929 521.781 -1,7% 16,7%

Legumi secchi, escluso quelli da semina 429.841 433.313 410.203 -5,3% -4,6%

Ortofrutta trasformata 1.211.555 1.328.126 1.296.167 -2,4% 7,0%

Ortaggi trasformati 723.474 784.675 793.025 1,1% 9,6%

Frutta trasformata 488.080 543.450 503.141 -7,4% 3,1%

In valore (.000 di €) 2002 2003 2004* Var. % Var. % 2004/03 2004/02

Ortofrutta fresca e trasformata 3.065.197 3.448.592 3.316.719 -3,8% 8,2%

Ortofrutta fresca 1.861.433 2.177.107 2.058.652 -5,4% 10,6%

Frutta fresca, in guscio, secca ed agrumi 1.378.246 1.595.995 1.536.202 -3,7% 11,5%

Frutta fresca 890.886 1.007.985 949.494 -5,8% 6,6%

Agrumi 191.007 247.106 235.608 -4,7% 23,4%

Frutta in guscio 296.354 340.903 351.101 3,0% 18,5%

Ortaggi, legumi e patate 483.187 581.112 522.450 -10,1% 8,1%

Patate (escluse da semina e da fecola) 93.356 104.038 108.565 4,4% 16,3%

Legumi secchi, escluso quelli da semina 137.270 128.282 125.118 -2,5% -8,9%

Ortofrutta trasformata 1.203.764 1.271.485 1.258.067 -1,1% 4,5%

Ortaggi trasformati 741.395 763.228 775.752 1,6% 4,6%

Frutta trasformata 462.369 508.257 482.315 -5,1% 4,3%

* I dati relativi al 2004 sono provvisori

Fonte: elaborazione Ismea su dati Istat

182

10 Da questi Paesi importiamo ingenti volumi di banane.

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 182

Tabella 5.5.4 - Principali mercati di export/ import nel 2004 (% su quantità)

Import ortaggi, patate e legumi Export ortaggi, patate e legumiPaese Quota Var. % Paese Quota var. %Francia 37,9% -10,1% Germania 49,9% -3,1%

Spagna 15,5% 6,2% Francia 9,5% 9,0%

Germania 14,3% 17,8% Austria 7,7% -9,5%

Paesi Bassi 12,1% -2,6% Svizzera 5,4% 11,6%

Egitto 9,5% 2,6% Regno Unito 5,3% 2,8%

Belgio 1,9% 5,0% Paesi Bassi 3,8% 25,2%

Marocco 0,6% 54,1% Slovenia 2,8% 32,4%

Import frutta fresca Export frutta frescaPaese Quota var. % Paese Quota var. %Ecuador 19,4% -2,4% Germania 39,3% -2,0%

Spagna 10,8% -31,3% Francia 8,9% -6,5%

Costarica 9,2% 14,0% Regno Unito 6,1% 21,3%

Francia 8,3% 2,4% Spagna 4,5% -6,9%

Colombia 6,2% -2,8% Austria 4,3% 3,4%

Cile 6,0% 16,7% Polonia 4,0% 12,5%

Argentina 5,1% -6,2% Grecia 3,4% -9,5%

Import agrumi Export agrumiPaese Quota var. % Paese Quota var. %Spagna 54,7% 0,6% Germania 22,0% 1,4%

Argentina 13,6% 2,1% Austria 14,8% -5,9%

Repubblica sudafricana 10,9% 4,8% Svizzera 11,3% -9,1%

Francia 3,9% -9,2% Francia 6,1% 1,3%

Paesi Bassi 3,9% -5,8% Slovenia 5,0% 20,2%

Cipro 2,6% -2,3% Polonia 4,4% -2,7%

Israele 2,1% 16,9% Grecia 4,1% 896,0%

Import frutta trasformata Export frutta trasformataPaese Quota var. % Paese Quota var. %Germania 17,2% 0,3% Germania 38,7% -7,1%

Spagna 15,2% -8,8% Francia 16,6% -2,1%

Austria 11,3% 14,6% Regno unito 8,7% 7,8%

Paesi bassi 9,1% 8,2% Austria 6,5% 1,3%

Francia 9,0% -36,5% Paesi bassi 5,8% -0,8%

Turchia 7,4% 4,9% Belgio 3,4% 6,4%

Grecia 6,6% 147,5% Spagna 2,7% 76,6%

Import ortaggi trasformati Export ortaggi trasformatiPaese Quota var. % Paese Quota var. %Cina 24,9% 25,8% Germania 21,4% -2,9%

Francia 17,3% -0,3% Regno unito 16,5% -9,9%

Spagna 12,6% -10,7% Francia 10,1% 8,9%

Belgio 10,0% 13,0% Stati uniti america 5,3% 16,3%

Paesi bassi 7,0% -7,2% Giappone 4,3% 15,8%

Germania 6,4% 11,4% Belgio 3,7% -7,9%

Grecia 4,9% -27,6% Australia 2,9% 15,7%

Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat

183

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 183

5.6 Considerazioni conclusive

Per le produzioni ortofrutticole il 2004 è stato caratterizzato da luci ed ombre. Sotto il pro-filo agronomico e delle rese per unità di superficie, il 2004 è stato un anno molto favorevole. Seb-bene non siano mancati numerosi episodi negativi, l’andamento climatico è stato positivo per losviluppo e la produzione delle coltivazioni ed ha determinato l’incremento delle rese rispettoall’anno precedente per tutte le colture ortofrutticole. La superficie investita ammontava ad 1,3milioni di ettari, praticamente invariata rispetto al biennio 2002-2003. È stato, quindi, l’incre-mento della resa areica a determinare l’aumento della produzione raccolta, che ha raggiunto 28milioni di tonnellate, registrando un +15% rispetto al 2003.

Le ombre che sono calate sulla filiera riguardano l’aspetto mercantile nelle sue diversesfaccettature. Nonostante l’incremento dei volumi prodotti, il valore della produzione alla fase diorigine è cresciuto pochissimo (+2,2%), a causa della flessione dei prezzi che ha interessato tuttii prodotti ortofrutticoli, anche se è stata più consistente per gli ortaggi.

Nella fase al dettaglio, è continuata la contrazione della spesa per gli acquisti domestici, cheè diminuita del 6% rispetto al 2003, mentre i volumi venduti hanno manifestato una timida ripresa(+1,7%). Quest’ultimo dato può essere interpretato come il segno evidente che la flessione deiprezzi ha riguardato non solo la fase all’origine, ma si è riverberata fino a quella al dettaglio.

L’andamento degli scambi con l’estero dei prodotti ortofrutticoli ha assunto toni addirittu-ra drammatici. Il 2004 ha, infatti, consolidato la tendenza negativa che si stava delineando già daqualche anno. Le esportazioni si sono ridotte pesantemente e contemporaneamente si è verificatol’incremento delle importazioni. Il deterioramento del saldo della bilancia commerciale dei pro-dotti ortofrutticoli è stato consistente e rapido. Nel 2002, l’avanzo era pari a 2.112 milioni di Euromentre nel 2004 si è ridotto a circa 1.400 milioni di Euro, evidenziando una flessione del 34%. Lecause di questo tracollo sono imputabili alla perdita di competitività delle nostre produzioni,rispetto a quelle dei Paesi emergenti (Egitto, Turchia ed in generale tutti quelli della sponda meri-dionale del Mediterraneo), ma anche rispetto a quelle dei nostri tradizionali competitor, la Spagnainnanzitutto, che oltre ad una struttura dei costi di produzione più snella, vantano anche una orga-nizzazione logistica e commerciale più efficiente e meno costosa. L’Italia, inoltre, risulta tagliatafuori dai principali flussi intercontinentali, che transitano nei grandi porti del Mare del Nord (Rot-terdam, Amburgo, Dunkerque, etc.).

Per quanto riguarda l’influenza del clima sulle produzioni ortofrutticole, questo capitoloha offerto diversi spunti di riflessione. Innanzitutto, si rileva come il trend produttivo degli ultimianni sia dipeso fortemente dall’andamento climatico e dalla disponibilità di acqua irrigua.

Il clima quindi, oltre ad influire sulle rese e sulla qualità delle produzioni, condiziona anchele scelte degli imprenditori agricoli, determinando la messa a coltura o meno di specie ad elevataesigenza di acqua. Tra il 1999 ed il 2002, si è verificata una consistente flessione della produzio-ne di agrumi a causa della scarsità di acqua, soprattutto nei mesi estivi. Negli stessi anni, la colti-vazione di pomodoro nella principale area produttiva, la provincia di Foggia, ha subito un pesan-te ridimensionamento, in termini di superfici investite, a causa della carenza di risorse irrigue.

Per quanto riguarda il pomodoro da industria, la campagna 2002 è stata pregiudicata oltreche dalla siccità nelle regioni meridionali, anche delle insistenti ed abbondanti precipitazioni pio-vose che si sono verificate a partire dal mese di agosto, determinando la conclusione anticipatadelle operazioni di raccolta, con effetti negativi sulle rese. Successivamente, nell’inverno e nellaprimavera 2003, le piogge abbondanti hanno consentito la ricostituzione delle scorte idriche intutte le regioni meridionali ed insulari. Ciò ha permesso agli agricoltori pugliesi di tornare adinvestire importanti superfici a pomodoro da industria.

184

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 184

Oltre ad un impatto agronomico e produttivo, la carenza di acqua e gli eventi climaticinegativi (gelate, grandinate, caldo torrido, venti forti) determinano effetti diretti sul mercato deiprodotti agricoli. Le gelate dell’aprile 2003 hanno colpito una vasta area dell’Europa mediterra-nea (Grecia, Italia e Francia), determinando una pesante contrazione della disponibilità di drupa-cee (in particolare, albicocche, pesche e ciliegie). Gli effetti sui mercati sono stati imponenti conquotazioni alle stelle in tutte le fasi di scambio. Qualche mese dopo, l’eccezionale ondata di caldodell’estate 2003 ha riguardato tutta l’Europa ed ha determinato un consistente calo della produ-zione di patate, con ripercussioni sui mercati durate fino all’apertura della successiva campagnadi commercializzazione nel luglio 2004.

Bibliografia

– 7° Rapporto sull’industria italiana delle conserve di pomodoro, Anicav settembre 2005.

– Rapporto annuale 2005, Ismea ottobre 2005.

– Newsletter Ismea, pubblicate sul sito internet www.ismea.it (vari numeri 2003 e 2004).

– Food News (vari numeri 2004 e 2005).

– Tomato News (Vari numeri 2004 e 2005).

185

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 185

•Capitolo05 13-06-2007 10:14 Pagina 186

CAPITOLO 6

ANALISI DEGLI ASPETTI ECONOMICI ED AMBIENTALI LEGATIALLA DESERTIFICAZIONE*

Abstract

La desertificazione, alle nostre latitudini, è un processo di degrado delle terre lento, maallo stesso tempo in sensibile evoluzione. Questo fenomeno è determinato soprattutto dall’impat-to antropico, mentre le componenti climatica e fisiografica rappresentano fattori più o meno pre-disponenti.

In questo lavoro, sono stati analizzati i modelli di riferimento per esplicitare le relazioni dicausa ed effetto dei diversi processi di degrado ambientale e socio-economico e di determinarnela loro intensità, nonché l’estensione sul territorio. Di seguito si è passati alla messa a punto di unsistema di valutazione delle dinamiche dei processi di degrado delle risorse naturali per unaggiornamento sullo stato della desertificazione in Italia. Si è preso spunto da “hot spot” rappre-sentativi, individuati sul territorio nazionale e attualmente oggetto di studio, per evidenziare letendenze del fenomeno, rilevandone le relazioni tra desertificazione, agricoltura, irrigazione eambiente. Per queste aree ne deriva un’analisi degli impatti prodotti e subiti dall’agricoltura eduna valutazione sull’adozione di possibili sistemi di allerta precoce.

È stata inoltre avviata un’ipotesi di lavoro per integrare gli aspetti ambientali legati all’uti-lizzo delle risorse idriche e dei suoli e l’analisi economica, sulla base di indicatori significativi.L’obiettivo è rappresentato dall’integrazione degli strumenti tradizionali di misura della ricchezzaeconomica per costruire l’informazione statistica necessaria al supporto delle decisioni. L’ultimaparte è dedicata alle azioni in corso, in termini di progetti, programmi ed iniziative, legate all’ap-plicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Lotta alla Siccità e alla Desertificazione.

Desertification, at our latitudes, is a slow but at the same time a continuous land degrada-tion process. This phenomenon is mainly determined from the anthropic impact, whereas the cli-matic and physiographical elements represent predisposing factors. Reference models describingthe cause-relation effect of several processes related to environmental and socio-economic degra-dation, their intensity and spatial extent, have been analyzed. Then, in order to update the knowl-edge about desertification state of Italian territory, a system for the evaluation of naturalresources degradation dynamics was developed. Representative “hot spot” areas, currentlyinvestigated, were utilised to outline the interrelation between desertification, agriculture, irriga-tion and environment and their trends. For these areas, an analysis of the impacts produced andendured by agriculture and an assessment on the adoption of possible early warning systemswere carried out.

Furthermore, a preliminary hypothesis aimed at integrating environmental issues relatedto water and soil exploitation and economical aspects through the use of key indicators has beenestablished. These indicators will support and strengthen traditional procedure of economicalwealth assessment and provide statistical information to decision-making actions. Finally,progress projects, programmes, initiatives and actions related to the implementation of the Unit-ed Nations Convention to Combat Desertification (UNCCD) are reported.

187

* Massimo Iannetta - Responsabile Gruppo Lotta Alla Desertificazione ENEA - BIOTEC.

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 187

Premessa

Il percorso logico di questo capitolo sulla “Analisi degli aspetti economici ed ambientalilegati alla desertificazione” parte dalla descrizione generale del fenomeno, ne sottolinea le speci-fiche peculiarità a scala locale, con particolare riferimento alle regioni meridionali italiane. Sianalizzano quindi i modelli di riferimento in grado di esplicitare le relazioni di causa ed effettodei diversi processi di degrado ambientale e socio-economico e di determinarne la loro intensità el’estensione sul territorio. Nella parte successiva, si propone un approccio metodologico innova-tivo per giungere ad un aggiornamento sullo stato della desertificazione in Italia, evidenziando ledinamiche dei processi di degrado delle risorse naturali in corso. Si prende spunto da “hot spot”rappresentativi, individuati sul territorio nazionale e attualmente oggetto di studio, in grado dievidenziare le tendenze del fenomeno, rilevandone le relazioni tra desertificazione, agricoltura,irrigazione e ambiente. Per queste aree ne deriva un’analisi degli impatti prodotti e subiti dal-l’agricoltura ed una valutazione sull’adozione di possibili sistemi di allerta precoce.

L’analisi degli aspetti economici legati alla desertificazione è argomento estremamentecontroverso e in genere si riferisce alla stima dei costi prodotti dalla “land degradation”. L’ipote-si di lavoro che si intende proporre mira ad una maggiore integrazione delle componenti econo-miche ed ambientali, sulla base di indicatori significativi, in grado di accompagnare gli strumen-ti tradizionali di misura della ricchezza economica. Si ipotizza l’utilizzo di un sistema strutturatoed integrato di indicatori ambientali, che costituirà il punto di arrivo di esperienze di ricerca incorso in ambito nazionale. Ciò consentirà di ricavare un indice di sostenibilità territoriale damonitorare nel tempo, per un’analisi continua delle dinamiche del cambiamento e dell’efficaciadelle strategie adottate. Da una parte si punta ad integrare il ragionamento economico con un’ana-lisi degli aspetti riguardanti la sostenibilità ambientale dello sviluppo, dall’altra si lavora percostruire l’informazione statistica necessaria come supporto alle decisioni, in modo da favoriretale integrazione. L’ultima parte è dedicata alle azioni in corso, in termini di progetti, programmied iniziative, legate all’applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sulla Lotta alla Sicci-tà e alla Desertificazione (UNCCD).

Si precisa che il contenuto di questo capitolo rappresenta un inquadramento di caratteregenerale sulla tematica, suscettibile di ulteriori integrazioni ed approfondimenti.

6.1 Descrizione del fenomeno

Al termine “desertificazione” è associato nell’immaginario collettivo il processo di espan-sione dei deserti sabbiosi, che è più corretto definire “desertizzazione”.

La definizione ufficiale di desertificazione è stata elaborata durante la Conferenza delleNazioni Unite su Ambiente e Sviluppo (Rio, 1992), in termini di “degrado delle terre nelle zonearide, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climati-che e le attività antropiche”. Questa definizione, recepita nell’ambito della Convenzione Interna-zionale delle Nazioni Unite sulla lotta alla Siccità e Desertificazione (UNCCD), è considerataprofondamente innovativa per tre motivi principali:

– il degrado riguarda sia la perdita delle caratteristiche bio-chimico-fisiche del suolo, siala redditività economica;

– le terre aride, semi-aride e sub-umide secche individuano le aree del pianeta più vulne-rabili, escluse le aree artiche ed antartiche, nelle quali il rapporto tra le precipitazioniannuali e l’evapotraspirazione potenziale si situa tra 0.05 e 0.65;

188

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 188

– la desertificazione può essere determinata dal sovrapporsi di cause di origine naturaleed antropica.

Fino al decennio scorso, la desertificazione era percepita non tanto come elemento struttu-rale di una evoluzione ecologica preoccupante, ma come elemento congiunturale attribuito aperiodi di siccità. Si era verificata siccità negli anni tra il 1968 e il 1973, poi il periodo di scarseprecipitazioni tra il 1974 e il 1983 e infine la terribile annata del 1984. È solo a partire da questadata che la coscienza del fenomeno diviene di dominio pubblico ed assume la connotazione di unproblema globale, seppure caratterizzato da cause locali.

Dati forniti dall’UNEP (Programma Ambientale delle Nazioni Unite) hanno mostrato cheattualmente:

– il 39% circa della superficie terrestre è affetta da desertificazione;

– 250 milioni di persone sono direttamente a contatto con la degradazione della terra nel-le regioni aride;

– più di cento paesi nel mondo sono interessati da questo fenomeno;

– la perdita di reddito imputabile alla desertificazione è di circa 50 milioni di euro ogni anno;

– il 70% dei terreni aridi utilizzati in agricoltura è già degradato;

– la desertificazione riduce le possibilità di produzione alimentare (ogni anno 12 milionidi ettari vengono persi);

– la desertificazione impoverisce la biodiversità.

Alla luce di questa drammatica situazione, tutti i Paesi colpiti più o meno gravemente dal-la desertificazione hanno sempre più sentito la necessità di monitorare e mitigare l’aumento pro-gressivo di questo fenomeno, elaborando strategie e piani di azione comuni.

Cosa si intende per desertificazione? In breve si indica con questo termine quel complessodi trasformazioni che portano un terreno, prima fertile, a divenire progressivamente “sterile”. Inaltre parole il suolo degrada perdendo la propria capacità di produrre biomassa a tal punto chenon è più possibile coltivarlo, perlomeno con le normali tecniche agronomiche. A monte di questoprocesso di degradazione vi è sempre una qualche degenerazione climatica o fisiografica, unitaall’influenza esercitata dall’azione umana (figura 6.1).

6.2 Le cause della desertificazione

L’Italia è, come gli altri paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, un paese arischio di desertificazione. Le cause di origine naturale e di origine antropica che contribuisconoa determinare il degrado del suolo nell’area mediterranea sono infatti le stesse, sia pure agenti inmisura diversa caso per caso.

6.2.1 Le cause naturali

L’aridità climatica. È un fenomeno permanente di importante scarsità di risorsa idricarispetto alla domanda in una data area. È determinata dalla contemporanea scarsità della pioggia(aree con precipitazioni annue dell’ordine dei 200-400 mm) e dalla forte evaporazione che sottraeumidità ai terreni. Si definiscono aride, semi-aride e sub-umide secche le zone in cui la pioggiaapporta al bilancio idrico un contributo inferiore al 65% di quanto potenzialmente sottratto al ter-reno dall’evaporazione.

189

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 189

La siccità climatica. È un fenomeno temporaneo di importante scarsità di risorsa idricarispetto alla domanda in una data area ed assume le caratteristiche di un evento estremo. Si veri-fica quando le precipitazioni sono sensibilmente inferiori ai livelli normalmente registrati: taleeventualità può determinare condizioni di degrado del territorio producendo danni alle attivitàproduttive agrarie e zootecniche.

Mentre infatti gli ecosistemi naturali hanno, generalmente, la necessaria resilienza persuperare periodi di siccità, i settori produttivi che dipendono da un costante apporto d’acqua pos-sono essere danneggiati. Una siccità prolungata e severa può inoltre rompere il fragile equilibriofra risorse ambientali ed attività produttive, portando crisi alimentari e abbandono di territori.

L’erosività della pioggia. Dipende dall’intensità delle precipitazioni. Quando precipitazio-ni brevi e intense colpiscono terreni privi di copertura vegetale, il ruscellamento rimuove dal ter-reno lo strato superficiale più ricco di sostanza organica. Le zone aride, semi-aride e sub-umidesecche sono esposte al rischio di piogge brevi ma intense che, invece di mitigare gli effetti dellascarsità delle precipitazioni, provocano fenomeni erosivi e quindi desertificazione.

6.2.2 Le cause antropiche

L’utilizzo delle risorse idriche. L’Italia è un paese mediamente ricco d’acqua, grazie allapresenza di estesi acquiferi calcarei e alluvionali che favoriscono l’accumulo nel sottosuolo diingenti risorse. La ricchezza di acque sotterranee è tuttavia compromessa da un uso dissennatodella risorsa stessa, caratterizzato da prelievi eccessivi e non pianificati nonché dall’inquinamen-to puntiforme e diffuso di diversa origine (urbana, agricola, industriale).

190

Figura 6.1 - Framework logico relativo al fenomeno della desertificazione

Fonte: Sciortino et al. 2000

PROCESSI DI DEGRADAZIONE

CAUSE DI DESERTIFICAZIONE

NATURALI

ANTROPICHE

3 Erosione dei suoli3 Perdita di sostanza organica3 Salinizzaione3 Contaminazione3 Inquinamento3 Perdita di biodiversità

FATTORI PREDISPONENTIECOSISTEMI FRAGILI: ambienti umidi, aree dunali, etc.LITOLOGIA: formazioni sedimentarie argilloso-sabbiose etc.IDROLOGIA: aree di ricarica acquiferi, falde superficiali etc.PEDOLOGIA: scarsa profondità suolo, assenza di struttura etc.MORFOLOGIA: forte acclività, esposizione versante etc.VEGETAZIONE: terreni privi o con scarsa copertura vegetale.AREE GIÀ COMPROMESSE: disboscate, discariche etc.

RISORSE IDRICHE: utilizzo non sostenibile delle acque superficiali e degli acquiferi sotterranei.INCENDI: distruzione delle comunità animali e vegetali, effetti negativi sulle proprietà fisico-chimiche del suolo.AGRICOLTURA: uso erroneo mezzi produzione, pratiche scorrette.ZOOTECNIA: inquinamento da deiezioni animali, incendi controllatiin aree boschive, arature in pendenza, compattazione.URBANIZZAZIONE: sottrazione di suoli fertili, impermeabilizzazionedel suolo.TURISMO: realizzazioni residenzaili/infrastrutturali non pianificata.DISCARICHE/ATTIVITÀ ESTRATTIVE: sottrazione di suoli fertili econtaminazione con ulteriore degrado.

VARIAZIONI CLIMATICHE: diminuzione delle precipitazioni, incremento delle temperature.SICCITÀ: Insufficiente disponibilità idrica er gli ecosistemi e le attività produttive.EROSIVITÀ DELLA PIOGGIA: disgregazione e trasporto del suolo dovuto all’effetto di piogge intense.

INNESCATO

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 190

L’incremento dei fabbisogni idrici e la concentrazione dei consumi in aree ben delimitate,dovuto al passaggio ad una agricoltura di tipo intensivo, ha portato ad un eccessivo prelievo del-la risorsa idrica sotterranea che ha causato l’abbassamento del livello della falda. Questo fenome-no può produrre delle modificazioni ambientali: possono essere determinate, per esempio, varia-zioni nei rapporti idraulici fra falde sotterranee e corsi d’acqua superficiali; in prossimità dellacosta, può essere provocato il richiamo di acque marine, causando la salinizzazione delle falde.Da qui si evince che il contributo negativo dello sfruttamento delle risorse idriche al fenomenodella desertificazione è da mettere in relazione più alle modalità di gestione delle risorse che aisuoi aspetti quantitativi.

Gli incendi. Possono influire sulla composizione e sulla struttura delle comunità vegetalied animali condizionandone la loro evoluzione e la loro perpetuazione. Le alte temperature dovu-te al fuoco possono avere effetti negativi anche sulle proprietà fisico-chimiche del terreno: posso-no, ad esempio, cambiarne la struttura rendendolo meno permeabile e, quindi, più esposto a pro-cessi erosivi.

Con l’incendio, si formano sostanze idrorepellenti che accelerano lo scorrimento superficia-le e quindi il trasporto solido. Gravi problemi idrologici si sviluppano pressoché sistematicamentenelle aree bruciate acclivi nella prima stagione piovosa immediatamente successiva all’incendio.

Nell’ultimo decennio in Italia si sono perduti più di 600.000 ettari di bosco a causa degliincendi, che avvengono quasi sempre per cause non naturali, cioè ricollegabili direttamente oindirettamente all’uomo. Il rischio d’incendi può aumentare in relazione all’abbandono delle pra-tiche selvicolturali tradizionali, alla costituzione di piantagioni monospecifiche (specialmente seresinose) ed all’urbanizzazione di aree boscate.

La deforestazione. La trasformazione degli ecosistemi forestali in ecosistemi agricoli avve-nuta in epoche passate, ha predisposto al rischio di degrado le aree più sensibili dal punto di vistaambientale. Le conseguenze della deforestazione sono sentite soprattutto in Sardegna, doveattualmente una risorsa tipica della regione, la quercia da sughero, subisce di anno in anno unimpoverimento.

Il disboscamento provoca una forte riduzione della capacità di ritenzione idrica da partedel suolo. Inoltre, con questi interventi, si verifica l’asportazione degli orizzonti organici di super-ficie, ossia quelli maggiormente responsabili della regimazione dei deflussi idrici e dell’attivitàbiologica del suolo. Anche il decespugliamento è una pratica dannosa perché scopre il suolo,accentuando l’erosione, altera il microclima e danneggia la fauna presente.

Allevamento di specie esotiche. Negli ultimi 50 anni, diverse aree degradate sono state risi-stemate con specie esotiche inidonee per quella tipologia di suolo e clima. In questi casi, non si èottenuto il risultato atteso, ma si è invece verificata un’erosione più spinta nelle aree collinari omontane ed una drastica diminuzione del numero delle specie locali con gravi ripercussioni sullabiodiversità. Quindi, per difendere aree a rischio, è necessario individuare e proteggere le risorsegenetiche vegetali autoctone delle diverse zone, ripristinando ove possibile la vegetazione naturale.

L’agricoltura. I processi di degrado del suolo sono il risultato dell’uso a volte erroneo deimezzi di produzione (fertilizzanti, acqua), delle superfici e delle modifiche degli ordinamenti pro-duttivi. In questo senso, si deve porre attenzione sia all’uso dei mezzi meccanici che influenzanopesantemente la costipazione, la compattazione del terreno e la fertilità chimico-fisica dello stra-to di suolo arato, sia alla potenza dei trattori che permettono sistemazioni non tradizionali dellesuperfici collinari con evidenti effetti sui processi di ruscellamento delle acque.

Le lavorazioni, se idoneamente realizzate in termini tecnici e temporali, evitano il ruscella-mento ed aiutano il mantenimento del tenore idrico del suolo. Inoltre, la modifica della zootecnia

191

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 191

da attività diffusa e di natura prevalentemente agricola (complementare nell’ambito dell’azienda)ad attività di tipo industriale separata dai cicli naturali, ha comportato l’abbandono dei più tradi-zionali ordinamenti produttivi cerealicoli-foraggeri, con il passaggio ad ordinamenti esclusiva-mente zootecnici o cerealicoli, con profonde ripercussioni come la diminuzione di erbai e la dif-fusione di monocolture di frumento depauperanti.

Il substrato organico, da elemento principale nel determinare le scelte produttive, è divenu-to così un elemento secondario, comunque sostituibile con mezzi artificiali prodotti industrial-mente. Si trascura il ruolo della sostanza organica quale elemento della fertilità fisica e micro-biologica del suolo, per effetto delle sostanze colloidali sulla struttura del terreno e dell’aumentodella capacità di ritenzione idrica, entrambi elementi benefici e contrastanti i processi di erosionesuperficiale.

La zootecnia. Il passaggio ad ordinamenti fortemente intensivi, ha modificato l’uso del ter-ritorio: da una parte si assiste a fenomeni di inquinamento a causa della necessità di smaltimentodelle deiezioni animali su superfici spesso troppo limitate, dall’altra ad un più incisivo ricorsoall’utilizzo delle aree pascolive, limitato a quelle di più facile accesso e meglio servite da acqua,strade e servizi, sulle quali si sono spesso riscontrati carichi di animali eccessivi, con conseguen-ti fenomeni di degrado della vegetazione, compattazione ed erosione dei suoli e, nelle aree piùvulnerabili, di processi di desertificazione.

Viceversa, in altre aree, si sta verificando la sottoutilizzazione di pascoli naturali gradual-mente in fase di riconquista da parte del bosco. Nel sud Italia si sta assistendo in parte a quanto ègià accaduto negli altri paesi a clima arido e semiarido del bacino del mediterraneo, dove l’attivi-tà zootecnica, che costituisce il settore principale dell’agricoltura, è ritenuta una delle più impor-tanti cause di desertificazione, associata all’impiego del fuoco per la pulizia dei pascoli ed allamala coltivazione dei terreni poveri e fortemente acclivi.

L’Industria, l’Urbanizzazione ed il Turismo. Incidono sul fenomeno della desertificazionein termini di consumo e compattazione dei suoli, drastica riduzione delle coperture vegetali eforte richiesta di risorse idriche, concentrate nel tempo e nello spazio. Discariche ed attivitàestrattive. Sono entrambi fenomeni che sottraggono la risorsa “suolo” in maniera spesso incon-trollata e possono essere correlati a processi di contaminazione che determinano ulteriore degra-do del territorio.

6.2.3 I processi di degrado

Le cause naturali ed antropiche di desertificazione portano a processi degenerativi dellerisorse suolo, vegetazione ed acqua. I processi di degradazione vengono distinti in:

– processi di degrado chimico;

– processi di degrado fisico;

– processi di degrado biologico;

I processi di degradazione di origine chimica sono:

Salinizzazione. In molte regioni d’Italia, fra le quali spiccano Toscana e Sardegna, le pianu-re costiere, specialmente nelle zone più prossime al mare, presentano notevoli problemi per quan-to riguarda il tenore di salinità dei suoli. L’innalzamento di quest’ultimo è dovuto alla risalitacapillare ed all’utilizzo di acque ricche in sali, a causa del crescente fenomeno di intrusione diacque marine nei corpi acquiferi continentali, a sua volta determinato dal massiccio emungimen-to delle acque dolci sotterranee ed a non corrette pratiche irrigue.

192

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 192

Ciò implica che, in alcune zone, si irriga con acque sempre più salate, soprattutto se le carat-teristiche di permeabilità del substrato non consentono una spontanea perdita di sali verso gli stra-ti più profondi. Un drenaggio imperfetto, legato alla presenza di strati impermeabili, come adesempio i depositi argillosi lagunari, spesso presenti nel sottosuolo di terreni alluvionali costieri,causa il permanere, in prossimità della superficie, di acqua di scarsa qualità e la conseguente risa-lita capillare nella zona radicale. Inoltre, l’eliminazione o la riduzione dell’effetto tampone dellezone umide costiere sul cuneo salino ad opera della bonifica meccanica non opportunamente orga-nizzata e monitorata, può accelerare fortemente il processo di salinizzazione delle pianure costiere.

Perdita di sostanza organica. La sostanza organica è considerata uno degli indicatori piùimportanti di desertificazione. Questo è dovuto al ruolo fondamentale che svolge nella vita e nel-le funzioni del terreno costituendo, in definitiva, uno dei principali fattori di ciò che comunemen-te viene definita la fertilità di un terreno. In linea generale, i processi che regolano l’evoluzionedella sostanza organica sono alquanto complessi ma riconducibili a reazioni di tipo degradativo(mineralizzazione) e di sintesi (umificazione).

Nel suolo i due processi tendono all’equilibrio, assicurando il mantenimento della compo-nente organica ad un livello che è funzione del clima (temperatura, piovosità), delle caratteristi-che pedologiche (struttura, permeabilità, tessitura) e degli eventuali interventi agronomici (lavo-razioni, concimazioni, etc.). I suoli naturali generalmente presentano un buon livello di sostanzaorganica, mentre i suoli coltivati, in cui il prodotto agricolo viene asportato, presentano spesso unlivello di sostanza organica basso.

Questo è determinato da lavorazioni eccessive che provocano uno sminuzzamento sia degliaggregati che della stessa sostanza organica con perdita dell’attività biologica e della biodiversità,dal regime monocolturale (abbandono delle rotazioni), dalle diminuite letamazioni e dall’elimina-zione dei residui vegetali dalla superficie del suolo. Per questo motivo, la maggioranza dei terre-ni coltivati in Italia mostra una dotazione in sostanza organica non ottimale e quindi una minorecapacità di ritenzione idrica, che riduce l’efficacia degli interventi irrigui.

Acidificazione. Nel nostro Paese non esistono aree con fenomeni rilevanti di acidificazione,visto che la gran parte dei suoli della penisola si è sviluppata su rocce sedimentarie dove preval-gono carbonati, il cui effetto è quello di tamponare l’acidità apportata dalle precipitazioni.Comunque, le aree più vulnerabili alla acidificazione del suolo nella nostra penisola sono localiz-zate sull’arco alpino (3,3% del territorio).

Contaminazione. Questo aspetto riguarda in particolare le aree industriali, le aree minerarie(soprattutto quelle abbandonate) e le grandi vie di comunicazione. Recenti studi sulle aree mine-rarie abbandonate della Sardegna hanno messo in luce il grave fenomeno di inquinamento dametalli pesanti quali piombo, zinco, cromo, cadmio, etc.

Tale contaminazione, riscontrata nella parte sud ovest della Sardegna ove esiste il più gran-de bacino minerario d’Italia e del Mediterraneo, interessa in vaste aree corsi d’acqua, falde, laghi,lagune, suoli e mare raggiunti mediante l’azione del vento e della pioggia.

I processi di degradazione di origine biologica sono:

L’erosione. Il degrado dovuto a perdita della risorsa suolo è legato sia ai processi di aspor-tazione delle singole particelle e quindi di erosione dei singoli orizzonti di suolo, sia alla sottra-zione di superficie utile per urbanizzazione e/o espansione delle attività produttive industriali,ricreazionali etc. In entrambi i casi, si tratta di processi che inibiscono o impediscono la naturalecapacità riproduttiva del suolo. L’erosione, nel territorio italiano, è dovuta principalmenteall’azione dell’acqua, sotto forma di pioggia battente e di scorrimento superficiale e solo subordi-natamente all’azione eolica.

193

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 193

Le piogge di forte entità possono infatti produrre un’azione erosiva nei confronti dellasuperficie del suolo, specialmente nelle zone soggette a deficit idrico. L’erosività della pioggia, asua volta espressione dell’aggressività climatica, va di pari passo con l’erodibilità, ossia la suscet-tività del suolo a subire processi erosivi. L’erosione idrica si esplica, infatti, più intensamente suterreni privi o con scarsa copertura vegetale, caratterizzati da forte acclività e sviluppati su sub-strati litologici appartenenti a formazioni sedimentarie argillo-sabbiose.

Per questo, le aree italiane soggette ad intensi processi di erosione idrica e di desertificazio-ne sono generalmente le aree dell’Italia meridionale ed insulare, dove sono diffusi litotipi e suolialtamente erodibili, per composizione ed assetto morfologico ed il regime climatico è caratterizza-to da un forte contrasto stagionale. Si registra, inoltre, un elevato tasso di interrimento, dovuto aprocessi erosivi, di diversi invasi realizzati in queste aree per l’accumulo di riserve d’acqua, che nepregiudica l’utilizzo ottimale nell’arco di pochi anni. Ne è un esempio il bacino del Comunelli inSicilia, dove i sedimenti accumulati hanno raggiunto circa il 90% della capacità di invasamento.

Compattazione. Determina la distruzione della porosità strutturale del suolo con conse-guente riduzione della capacità d’infiltrazione dell’acqua ed incremento del ruscellamento. È ilprocesso fisico che più frequentemente riguarda i suoli italiani, particolarmente predisposti per laloro natura spesso argillosa, soprattutto nella parte meridionale della penisola, ed è generalmenteindotto dalla meccanizzazione e dal sovraccarico animale.

I processi di degradazione di origine fisica sono:

Perdita di sostanza organica. La sostanza organica nel suolo è sottoposta a processi degra-dativi di umificazione e mineralizzazione ad opera della flora microbica. I suoli degradati, risul-tando impoveriti nel contenuto di tali microrganismi, vedono ridursi il contenuto in humus, ingrado di assicurarne un’adeguata struttura, oltre che dei minerali indispensabili al sostegno delleproduzioni agricole.

Diminuzione della biodiversità. La biodiversità, intesa come totalità dei patrimoni geneticidelle specie e degli ecosistemi, riveste grande importanza nel funzionamento dell’ecosistema ter-restre per il governo dei cicli bio-geologici, per la stabilità del clima, per la regolazione deideflussi delle acque e per il rinnovo del suolo. L’intenso sfruttamento del suolo produce un impat-to sul patrimonio naturale, stimabile in un determinato numero di specie a rischio di estinzione.Suoli degradati risulteranno, quindi, meno ricchi di microrganismi e di molteplici specie animalie vegetali importanti per la fertilità, manifestando un grave impoverimento in biodiversità.

6.2.4 Fattori predisponenti

Alcune tipologie territoriali e caratteristiche ambientali sono maggiormente sensibili aiprocessi degenerativi sopra menzionati. Nelle aree mediterranee i fattori predisponenti che posso-no accentuare le forme di degrado sono:

– ecosistemi fragili (tutte quelle aree caratterizzate da delicati equilibri bio-fisici, qualiambienti di transizione, lagune e stagni costieri, aree dunali e retrodunali, aree calanchi-ve etc.);

– litologia (formazioni sedimentarie argilloso-sabbiose, etc.);

– idrologia (aree di ricarica degli acquiferi, falde superficiali, aree costiere, etc.);

– pedologia (scarsa profondità dello strato pedogenetico, mancanza di struttura, scarsocontenuto di sostanza organica, scarsa permeabilità, etc.);

– morfologia (forte acclività, esposizione dei versanti agli agenti atmosferici, etc.);

194

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 194

– vegetazione (terreni privi o con scarsa copertura vegetale, etc.);

– aree già compromesse (aree disboscate, aree già sottoposte ad attività estrattive, discari-che, siti contaminati, etc.)

Il territorio italiano è caratterizzato da un paesaggio prevalentemente montuoso e collinare.L’esposizione dei versanti e la pendenza del terreno costituiscono un importante fattore di vulne-rabilità del territorio nel contesto climatico e geomorfologico delle regioni soggette a condizionedi stress idrico. La pendenza riduce la capacità di assorbimento aumentando la percentuale discorrimento superficiale (runoff) rispetto al volume di precipitazione che si infiltra nel terreno. Iversanti meridionali delle pendici di sistemi orografici sono inoltre esposti ad un flusso di radia-zione solare che determina condizioni microclimatiche sfavorevoli alla rigenerazione della vege-tazione naturale, una volta rimossa dall’azione diretta o indiretta dell’uomo. La pendenza el’esposizione concorrono quindi a determinare la vulnerabilità del territorio a fenomeni erosivi ditipo idro-meteorico. Al degrado del suolo concorre la degradazione quali-quantitativa della coper-tura vegetale, soprattutto nel caso della vegetazione mediterranea. La vegetazione potenziale del-la maggior parte dell’area mediterranea è costituita prevalentemente da specie sclerofille partico-larmente adattate a sopravvivere e a superare lunghi periodi di siccità, e, in proporzione inferiore,da alberi e arbusti decidui con riposo vegetativo durante la stagione fredda. Il livello massimo diorganizzazione delle fitocenosi mediterranee è costituito dalla foresta sempreverde, in cui le spe-cie dominanti sono querce sempreverdi. Diversi processi degenerativi, generalmente di origineantropica, possono degradare la foresta sempreverde portando ad associazioni vegetali più sem-plici fino a diventare suolo nudo nei casi più estremi e, man mano che avanza la serie regressiva,l’effetto protettore della vegetazione diminuisce in modo esponenziale. Quindi la continuità e laricchezza di specie della copertura vegetale è essenzialmente in relazione alla capacità di prote-zione del suolo.

Un altro elemento di criticità è rappresentato dalle risorse idriche, che seppure consistentinel nostro Paese sono sottoposte ad un uso dissennato, caratterizzato da prelievi eccessivi e nonpianificati nonché dall’inquinamento puntiforme e diffuso di diversa origine (urbana, agricola,industriale etc.). Nell’ultimo decennio, in particolare, si è assistito ad un raddoppio della quantitàdi acqua attinta da corpi d’acqua superficiali, mentre l’acqua emunta mediante pozzi abusivi sfug-ge a qualsiasi controllo. Oltre alla quantità totale emunta va rilevato che la concentrazione degliemungimenti, a parità di acqua emunta, può determinare fenomeni localizzati di desertificazione.L’incremento dei fabbisogni idrici e la concentrazione dei consumi in aree più predisposte aldegrado per problemi legati alla ricarica degli acquiferi e per la presenza di falde superficiali è larisultante dello sviluppo turistico, industriale e dell’urbanizzazione, specie nelle zone costiere.

6.2 Caratterizzazione tipologica delle principali forme di degrado osservate estudiate nelle regioni meridionali italiane

Nell’ambito di alcuni progetti di ricerca è stata evidenziata l’esistenza di lacune concettua-li importanti. In primo luogo, in gran parte delle ricerche realizzate sino ad ora, la definizione di“desertificazione e degradazione delle terre” non è stata intesa secondo l’accezione proposta dal-la UNCCD: è prevalsa la tendenza a far coincidere “degradazione delle terre” e “degradazione delsuolo” laddove “terre” dovrebbe includere “il suolo, la vegetazione, il biota in generale e i proces-si idrologici ed ecologici che operano all’interno del sistema”. Conseguentemente è stato datopoco spazio all’approfondimento dei processi di degradazione della componente forestale e idro-logica e, quando questo è stato fatto, ciò è stato inteso soprattutto in rapporto alle conseguenze di

195

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 195

tale degradazione nei confronti della componente pedologica. In secondo luogo, è molto scarsa lapresenza di studi interdisciplinari che affrontino la complessità territoriale dei processi di deserti-ficazione, considerando anche gli aspetti sociali ed economici, che spesso stanno alla base deiprocessi fisici di degradazione.

Il risultato è un’immagine incompleta che in alcuni casi non aiuta a comprendere l’originedei problemi e quasi mai propone o suggerisce strumenti di prevenzione e mitigazione.

6.2.1 Identificazione di aree trattate da più studi

a) Basilicata

Piana di Metaponto (MT)

Rapporto suoli: salinizzazione dei suoli nelle aree costiere, caratterizzate da morfologiapiana, e dai processi di degradazione, evidenti soprattutto lungo gli argini dei maggiori corsi d’ac-qua. L’intensità del fenomeno è aumentata negli ultimi anni poiché la carenza idrica costringe gliagricoltori ad attingere ingenti volumi d’acqua dalle falde freatiche profonde.

Rapporto acque: elevati livelli di inquinanti azotati (ammonio e azoto nitroso) nei fiumiBradano e Basento. In particolare, un monitoraggio svolto su 5 stazioni del fiume Basento haindividuato per tali acque le classi 1 e 3 dell’indice IBE.

Val d’Agri (PZ)

Rapporto suoli: fenomeni erosivi particolarmente intensi in aree caratterizzate da forma-zioni argillose, soprattutto nei pendii a sud e dunque esposti ad alta insolazione, e privi di coper-tura erbacea (che ha funzione protettiva del suolo) ed arborea. A questi fattori contribuisce l’atti-vità antropica, in particolare gli impianti di colture cerealicole che originano fenomeni erosivi eriducono la profondità del suolo; determinante risulta l’influenza della litologia carbonatica chegarantisce un basso grado di erodibilità.

Rapporto acque: elevati livelli di inquinanti azotati (ammonio e azoto nitroso) per le acquedel fiume Agri, che, secondo i monitoraggi effettuati nel 1987/88, hanno riportato un valoremedio dell’indice IBE pari a 11.

b) Puglia

Gargano e Tavoliere

Rapporto suoli: valori di salinità elevati (superiori a quelli consentiti dalle leggi vigenti)nelle acque utilizzate per l’irrigazione dei terreni, che, essendo costituiti dalle argille azzurre,risultano particolarmente inadatti ad esse.

Rapporto acque: contenuto salino elevato nelle acque sorgive del Gargano causato daeccessivi emungimenti o, secondo un’altra interpretazione, dalla presenza di acque fossili espulsenaturalmente dai depositi argillosi; presenza eccessiva di boro negli acquiferi profondi del Tavo-liere di Foggia.

Brindisi e Murge

Rapporto suoli: processi di salinizzazione dei suoli, legati ad un eccessivo sfruttamentodegli acquiferi costieri a scopi agricoli, industriali, civili; tecniche di rimozione dei massi, spietra-mento e macinazione dei primi 10 cm di substrato predispongono il terreno a fenomeni erosiviassai gravi, poiché la superficie si presenta livellata e priva di asperità.

Rapporto acque: fenomeni di salinazione delle acque e di inquinamento da pesticidi, prodot-

196

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 196

ti petroliferi, nitrati e cloro derivanti da scarichi fognari emessi direttamente sui suoli o, secondoun’altra interpretazione, dalla presenza di acque fossili espulse naturalmente dai depositi argillosi.

Lecce

Rapporto suoli: alta pressione antropica e bassa estensione della superficie agraria per abitan-te hanno accentuato il consumo di suoli agricoli di migliore qualità in seguito ad urbanizzazione.

Rapporto acque: processi di intrusione di cuneo salino in area costiera.

c) Sardegna

Piana di Capoterra (CA)

Rapporto suoli: studi sperimentali in parcelle d’erosione hanno evidenziato come l’euca-lipto abbia notevolmente compromesso le aree in cui è stato impiantato, poiché i fenomeni di ero-sione nelle aree da esso ricoperte risultano doppiamente consistenti rispetto a quelli delle areeattigue, caratterizzate da vegetazione naturale arbustiva ed erbacea; riduzione di sostanza organi-ca negli orizzonti superficiali e conseguente danno economico.

Rapporto acque: l’acquifero freatico presenta una salinità più elevata rispetto a quello con-finato, soprattutto nelle zone a sud, verso il mare, e ad est, a ridosso delle saline. Nell’acquiferoprofondo la salinità rimane bassa anche nella zona centrale di maggior depressione della piezo-metrica, mentre aumenta considerevolmente ad ovest della piana, probabilmente a causa dellapresenza di acque fossili o di circuiti di scorrimento della falda a differenti velocità.

Rapporto foreste: problematiche di degrado con processi erosivi innescati e/o accelerati dafrequenti incendi. Sono stati realizzati diversi studi nell’ambito del progetto MEDALUS, in seiaree, con misurazione dei deflussi superficiali e della resa di sedimenti e valutazione dell’effettoprodotto dalle differenti coperture vegetali.

Iglesiente (CA)

Rapporto suoli: consumo ed inquinamento dei suoli da attività mineraria, evidenziato daivalori delle concentrazioni di cromo, cadmio, alluminio con conseguenze visibili anche a distan-za di anni dalla dismissione dell’attività.

Rapporto acque: inquinamento da metalli pesanti esteso a tutto il corpo idrico: rio NaraCauli, rio Sa Roa, rio S. Giorgio, rio Roia Cani, rio Irvi, rio Sitzerri, rivoli d’acqua dell’areamineraria Genna S’Olioni.

Rapporto foreste: degrado dei boschi di sughera causato da intensa pressione antropica ascopi produttivi, con conseguente declino della presenza delle sugherete a scala territoriale; sem-plificazione strutturale dei popolamenti e presenza esclusiva di individui d’origine agamica; alte-razione della composizione floristica verso forme tipiche delle aree coltivate; diminuzione dellapresenza di specie arboree; diminuzione (verosimile) della produttività biologica del suolo conse-guente alla frequenza e virulenza degli attacchi di insetti fitofagi e patogeni.

Sarrabus Gerrei (CA)

Rapporto suoli: consumo ed inquinamento dei suoli da attività mineraria evidenziato daivalori delle concentrazioni di arsenico, fluoro, cadmio con conseguenze visibili anche a distanzadi anni dalla dismissione dell’attività.

Rapporto acque: inquinamento da arsenico nel rio Baccu Locci in seguito a periodici scari-chi degli impianti di trattamento.

Piana di Muravera (CA)

Rapporto suoli: salinizzazione dei suoli, anche in zone lontane dalla costa (da ricondurre

197

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 197

ad irrigazione con acque poco idonee), che ha causato un calo di produttività dei terreni ed il con-seguente abbandono delle superfici agricole.

Rapporto acque: salinazione da commistione con acque fortemente salate.

Piana di Arborea (OR)

Rapporto suoli: inquinamento degli orizzonti superficiali dei suoli causato da eccessivoutilizzo di fertilizzanti e dallo smaltimento dei liquami derivanti dalle attività intensive agro-pastorali di questa zona.

Rapporto acque: intrusione marina nella parte meridionale della piana causata da eccessivie mal localizzati emungimenti delle falde; presenza di concentrazioni eccessive di nitrati derivan-ti da vicini depositi di stoccaggio e da vecchi canali contenenti liquami.

Quartu e Flumini di Quartu (CA)

Rapporto suoli: consumo di suoli particolarmente produttivi in seguito a processi di urba-nizzazione privi di strumenti di pianificazione e di razionali politiche di gestione.

Rapporto acque: salinizzazione causata da intrusione marina, dalla vicinanza con gli stagni diMolentargius e Quartu, oltre che da processi chimici legati alla naturale geologia degli acquiferi.

d) Sicilia

Piana del Simeto (CT)

Rapporto suoli: problematiche di degradazione ed erosione legate ai frequenti incendi.

Rapporto acque: elevate concentrazioni di nitrati e stato ecologico scadente, causati dascarsa depurazione delle acque, attività zootecnica, cementificazione dei canali.

Rapporto foreste: problematiche di degrado legate agli incendi frequenti.

Piana del Platani (AG)

Rapporto suoli: processi erosivi in aree a predisposizione naturale come quelli delle colli-ne argillose.

Rapporto acque: inquinamento delle acque sotterranee da composti chimici organici ecomposti chimici inorganici non metallici che le rende soggette a forti limitazioni per l’utilizzoidropotabile; salinazione da commistione con acque fortemente salate.

Rapporto foreste: processi erosivi legati ad attività incendiaria.

Licata (AG)

Rapporto suoli: salinizzazione legata a sistemi di drenaggio non efficienti nelle aree irriguedella piana e formazione di fiumi di fango che provengono dalle colline attigui; crostoni superfi-ciali di sali di sodio che rendono i terreni improduttivi.

Rapporto acque: nel fiume Imera si riscontrano alte concentrazioni di nitrati.

e) Calabria

Piana di Sibari (CS)

Rapporto suoli: presenza di suoli molto sensibili all’erosione, a causa di intense trasfor-mazioni socio-economiche e vulnerabilità intrinseca degli stessi; intrusione del cuneo salino cheprovoca salinizzazione dell’acqua di falda in corrispondenza delle fasce costiere interessate daattività agricola.

Rapporto acque: salinizzazione delle acque di falda superficiale legata ad intrusione delcuneo salino in corrispondenza delle zone a maggiore sfruttamento agricolo; valori delle concen-

198

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 198

trazioni di cloro oltre il limite di potabilità; problema di gestione e di smaltimento di rifiuti, cherilasciano inquinanti organici e metalli pesanti che da discariche inefficienti o abusive arrivanoper percolazione alle falde.

Piana di Cariati (CS) - Crotone (CR)

Rapporto suoli: intrusione del cuneo salino che provoca salinizzazione dell’acqua di faldain corrispondenza delle fasce costiere interessate da attività agricola; sono disponibili alcuni stu-di effettuati su parcelle situate in aree sensibili all’erosione e prive di vegetazione, che hanno evi-denziato la variabilità dell’erosione all’interno di uno stesso bacino in funzione del diverso tipo dicopertura vegetale.

Rapporto acque: salinizzazione; valori delle concentrazioni di cloro oltre il limite di pota-bilità.

Rapporto foreste: incendi e condizioni ecologiche sfavorevoli hanno reso le specie di euca-lipti meno resistenti verso gli insetti patogeni, danneggiando gli impianti realizzati allo scopo diconservazione del suolo in termini di capacità produttiva.

Reggio Calabria (RC)

Rapporto suoli: inquinamento chimico dei suoli per uso eccessivo di fitofarmaci e concimi.

Rapporto acque: processi di salinizzazione da commistione con acque fortemente salate inseguito a sfruttamento delle risorse idriche sotterranee per le attività produttive.

Rapporto foreste: incendi e condizioni ecologiche sfavorevoli hanno reso le specie di euca-lipti meno resistenti verso gli insetti patogeni, danneggiando gli impianti realizzati allo scopo diconservazione del suolo in termini di capacità produttiva.

f) Campania

Sarno (SA)

Rapporto suoli: processi di erosione e degradazione in aree a predisposizione naturale erese instabili dall’azione antropica.

Rapporto acque: il fiume Sarno è fortemente inquinato (classe quinta secondo l’indiceIBE) ad opera di scarichi industriali e civili; secondo una classificazione basata sui macrodescrit-tori tutti i parametri tranne l’azoto nitrico ricadono nella classe di qualità inferiore.

Provincia di Napoli

Rapporto suoli: inquinamento dei suoli dovuto ad insediamenti industriali nell’area di Ilvadi Bagnoli che disperdono le sostanze derivanti dall’attività; consumo di suoli agricoli per urba-nizzazione che riguarda terreni caratterizzati da elevata produttività e notevole valore naturalisti-co. Uno studio sull’inquinamento dell’area ha rilevato una notevole contaminazione che nel cor-so degli anni ha comportato una concentrazione di metalli pesanti.

Rapporto acque: inquinamento da nitrati (di tipo esteso) e di cromo e mercurio (di tipolocalizzato) nelle falde della piana NE della provincia; piombo e nitrati nella zona urbana diNapoli; intrusione del cuneo salino sulla costa dell’area Flegrea.

Roccamonfina (CE)

Rapporto suoli: i suoli sono caratterizzati da elevata vulnerabilità intrinseca non megliospecificata.

Rapporto acque: il fiume Savone è considerato di qualità scadente secondo macrodescrit-tori ed indice IBE.

199

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 199

6.3 Indicatori per l’analisi ed il monitoraggio della desertificazione

È molto difficile descrivere in modo sintetico quali siano le cause e gli effetti della deser-tificazione, perché questo fenomeno si manifesta sotto molteplici aspetti legati al degrado delsuolo, della vegetazione, delle risorse idriche oppure a processi economici e sociali locali, nazio-nali o internazionali. Per tentare una descrizione di questo quadro è utile ricorrere a specificimodelli logici.

6.3.1 Schemi concettuali di riferimento più utilizzati

Gli indicatori possono essere raggruppati secondo diversi criteri. Tipicamente si fa ricorsoai cosiddetti framework logici, che sono basati su quadri di riferimento concettuali, sviluppati daAgenzie nazionali (APAT) ed internazionali (EEA) per soddisfare le esigenze di ordinamento del-le conoscenze e per facilitare la comunicazione degli indicatori come strumenti di supporto deci-sionale. Per fungere da strumenti di lavoro adattabili a diverse situazioni, tali schemi si prefiggo-no di rappresentare la complessità del fenomeno da monitorare con un approccio duttile. Diseguito viene presentata una breve descrizione dei modelli più utilizzati tra quelli presenti in let-teratura (Enne e Zucca, 2000).

a. DI: Indicatori Diretti/Indicatori Indiretti

Questo schema rappresenta uno dei primi tentativi di classificare gli indicatori di desertifi-cazione, che possono essere suddivisi in:

– Diretti: costituiscono un elemento diagnostico dei fenomeni che regolano le condizioniambientali in atto;

– Indiretti: riflettono interazioni secondarie dei processi di desertificazione.

b. PSR: Pressione - Stato - Risposta

In questo approccio proposto dall’OCSE (Organizzazione Mondiale per la CooperazioneEconomica e lo Sviluppo), le interazioni uomo-ambiente assumono per la prima volta un ruoloprimario per la comprensione dei processi di desertificazione, intesa come fenomeno dinamico evariabile. Il modello PSR ricostruisce infatti un sistema a catena circolare di cause-effetti cheinnescano, e allo stesso tempo controllano, i processi. Il PSR individua tre categorie di variabili:

– Pressione esercitata dai sistemi umani sull’ambiente;

– Stato dei sistemi ambientali;

– Risposta della società al processo di degradazione.

Per ciascuno di questi tre step possono essere selezionati indicatori opportuni che descrivo-no il fenomeno in ogni anello della catena.

Il modello parte dal presupposto che lo stato dell’ambiente è influenzato da un lato daldanno che scaturisce dal consumo e dalla distruzione delle risorse naturali e, dall’altro, dal modoin cui il sistema socioeconomico stesso reagisce ai cambiamenti che avvengono nell’ambientenaturale.

200

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 200

c. DPSIR: Driving Force - Pressione - Stato - Impatto - Risposta

Questo schema, introdotto dall’Agenzia Europea per l’Ambiente, è un’evoluzione del PSR.Il modello è costituito da cinque fasi a cui corrispondono cinque categorie di indicatori che sinte-tizzano non solo lo stato ma anche l’evoluzione dell’ambiente.

– Forze Determinanti (Driving forces): costituiscono le attività ed i comportamenti umaniderivanti da stili di vita, processi economici, produttivi e di consumo, che originanopressioni sul territorio;

– Pressioni: i Processi e le azioni specifiche attraverso i quali le forze determinanti eserci-tano un impatto sull’ambiente e ne modificano lo Stato;

– Stato: definisce le qualità ed i caratteri fisici, chimici, biologici, naturalistici ed econo-mici che occorre tutelare e difendere e che sono suscettibili di degradazione;

– Impatti: conseguenze ambientali e socio-economiche della degradazione dello Stato;

– Risposte: sono tutte le azioni di governo attuate per contrastare e limitare gli impatti epossono essere indirizzate verso una qualsiasi componente DPSIR.

Questo modello, già ampiamente utilizzato dalla comunità scientifica in numerosi studisulla desertificazione, ha il vantaggio di rappresentare, anche visivamente, l’insieme degli ele-menti e delle relazioni che legano i sistemi naturali con i fattori antropici e con le politiche avvia-te a tutela dei sistemi stessi.

Il modello DPSIR sembra adatto a descrivere la desertificazione in quanto è basato sul-l’ipotesi secondo la quale sono i comportamenti della società (e le attività economiche) a compro-mettere la qualità dell’ambiente.

Esso si fonda inoltre sull’assunzione che la degradazione delle terre può essere controllatae addirittura invertita, attraverso l’importanza attribuita alle risposte e alle iniziative politiche edistituzionali necessarie (Turkelboom et al., 2004).

Il modello DPSIR si prefigge di descrivere l’evoluzione dei singoli indicatori e le loro reci-proche interazioni favorendo in tal modo una visione multidisciplinare ed integrata della deserti-ficazione. Le variazioni imposte all’ambiente dalle attività umane descritte nel modello DPSIR sisovrappongono alle naturali variazioni del clima che costituiscono una causa capace di determi-nare sul lungo periodo cambiamenti radicali sul territorio. I cambiamenti di lungo periodo esula-no dagli obiettivi della Convenzione che concentra la sua attenzione sulla necessità di assicurareuno sviluppo sostenibile alle zone aride del pianeta e di prevenire il degrado dovuto all’azioneumana. Le attività antropiche descritte dalle “forze trainanti” possono provocare cambiamenti diuso del territorio o l’adozione di tecniche produttive improprie che sono in grado di determinarenel breve periodo fenomeni di degrado del suolo, dell’acqua e della vegetazione.

I processi degenerativi si verificano in modo particolare laddove sussistono fattori predi-sponenti legati a particolari tipologie territoriali e caratteristiche ambientali.

d. Evoluzione del modello DPSIR

Una recente evoluzione del modello DPSIR è stata messa a punto nell’ambito del progettoRIADE.

Gli elementi del DPSIR (figure 6.3.1 e 6.3.2) sono stati associati agli obiettivi strategici diprevenzione, monitoraggio, mitigazione ed adattamento, in modo da assegnare all’obiettivo di“prevenzione” il significato di osservazione degli elementi sui quali occorre agire o che bisogna

201

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 201

considerare per prevenire; all’obiettivo di “monitoraggio” il significato specifico di osservazionedei fenomeni biofisici; all’obiettivo di “mitigazione/adattamento” il significato di osservazionedelle azioni messe in atto e delle conseguenze ultime, a livello di impatti socioeconomici (deiprocessi e delle azioni). A questo insieme sono stati aggiunti gli indicatori di vulnerabilità, unaclasse di indicatori che normalmente non trova spazio nel sistema DPSIR e in sistemi simili.

Le scale spaziali definite sulle righe della matrice di seguito riportata suggeriscono che, inun determinato contesto geografico e socio economico, gli aspetti riconducibili alle sei colonnepossono essere “osservati” a scale diverse. Ciò non implica che le rappresentazioni alle diversescale siano tra loro indipendenti ma evidenzia che determinati fenomeni si possono osservare inmaniera più efficace a diverse scale con informazioni e strumenti mirati. Zucca (2004) utilizzatale schema (tabella 6.3.1) come guida per inquadrare organicamente alcuni set di indicatori testa-ti in aree pilota dei progetti DESERTNET e RIADE.

Figura 6.3.1 - Rappresentazione degli elementi del sistema DPSIR

Fonte: Zucca (2004)

202

Numero capidi bestiame

Diminuzione dei redditi

Erosione da lavorazionimeccaniche

Politiche nazionali

Mercato globale

PAC

Sussidi & Mercato

Fattori culturali

Mancanza di alternative

& Povertà

Mancanza di supporti tecnici

D

R

P1

PRP2

Sovrapascolamento

Incendi

Pratiche irrazionali

P3

Riduzione della vegetazione

Compattazione/Degradazione del suolo

Degradazione chimicae fisica del suolo S

Erosione idrica:Rill/Gullies PR

I

Aumento pressionesul territorio

Abbandono delle terre/emigrazione

Aumento della richiestadi ulteriori sussidi

Fattori esterni

Fattori esterni

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 202

203

Fig

ura

6.3.

2 -

Rap

pres

enta

zion

e de

gli e

lem

enti

del

sis

tem

a D

PSI

R p

rese

ntat

o in

rel

azio

ne a

lle d

iver

se s

cale

spa

zial

i nel

le q

uali

essi

si e

splic

ano

Fon

te:

Zuc

ca (

2004

)

Num

ero

cap

id

i bes

tiam

eE

rosi

one

da

lavo

razi

oni

mec

cani

che

Pol

itich

e na

zion

ali

Mer

cato

glo

bal

e

PAC

RE

GIO

NA

LE/N

AZ

ION

ALE

SU

B-N

AZ

ION

ALE

BA

CIN

O/S

ISTE

MA

TE

RR

ITO

RIA

LELO

CA

LEPA

RC

ELL

A

RE

GIO

NA

LE/N

AZ

ION

ALE

SU

B-N

AZ

ION

ALE

BA

CIN

O/S

ISTE

MA

TE

RR

ITO

RIA

LELO

CA

LEPA

RC

ELL

A

Sus

sid

i & M

erca

to

Fatt

ori c

ultu

rali

Man

canz

a d

i alte

rnat

ive

& P

over

Man

canz

a d

i su

pp

orti

tecn

ici

D

R

P1

PR

P2Sov

rap

asco

lam

ento

Ince

ndi

Pra

tiche

irr

azio

nali

P3

Rid

uzio

ne d

ella

ve

geta

zion

e

Com

pat

tazi

one/

Deg

rad

azio

ne d

el s

uolo

Deg

rad

azio

ne c

him

ica

e fis

ica

del

suo

loS

Ero

sion

e id

rica:

Rill

/Gul

lies

PR

I

Aum

ento

pre

ssio

nesu

l ter

ritor

io

Ab

ban

don

o d

elle

ter

re/

emig

razi

one

Aum

ento

del

la r

ichi

esta

di u

lterio

ri su

ssid

i

Fatt

ori e

ster

ni

Fatt

ori e

ster

ni

Dim

inuz

ione

dei

red

diti

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 203

204

Tabe

lla 6

.3.1

- E

VO

LU

ZIO

NE

DE

LM

OD

EL

LO

DP

SIR

- P

roto

collo

inte

grat

o di

indi

cato

ri p

erl’

anal

isi e

d il

mon

itor

aggi

o de

i pro

cess

i di

Des

erti

fica

zion

e

Fon

te:

Zuc

ca (

2004

)

I D

IVE

RSI

OB

IET

TIV

I T

ER

RIT

OR

IAL

I D

I L

OT

TA A

LL

A D

ESE

RT

IFIC

AZ

ION

E

Pre

venz

ione

Mon

itor

aggi

oM

itig

azio

ne/A

datt

amen

to

Vul

nera

bilit

à:

(e/o

res

iste

nza,

re

silie

nza,

etc

.)

Dri

ving

for

ce e

pr

essi

one:

cau

se

delle

din

amic

he d

i de

grad

azio

ne

Stat

o: li

vello

di

qual

ità/d

egra

do

dei s

uoli

Din

amic

a di

pr

oces

so: i

nten

sità

e

dire

zion

ede

i pro

cess

i

Impa

tto:

co

nseg

uenz

e so

cio-

econ

omic

he d

ella

la

nd d

egra

datio

n

Ris

post

a: c

ome

la s

ocie

tà s

ta g

risp

onde

ndo

SCALE SPAZIALI DI MONITORAGGIO, ANALISI, INTERVENTO

Scal

e G

loba

le, R

egio

nale

, N

azio

nale

, sub

-Naz

., et

c.

Scal

a “a

rea

vast

a” o

com

pren

sori

a-le

(ci

rca

50.0

00 h

a)

Scal

a “l

ocal

e” (

circ

a 1.

000

ha)

Scal

a “p

arce

llare

” o

punt

uale

(c

irca

1 h

a)

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 204

205

Dri

ving

for

ces

Pove

rtà

rura

le; m

anca

nza

di a

ltern

ativ

e ec

onom

iche

; sus

sidi

pub

blic

i per

pra

tiche

agr

icol

e no

n so

sten

ibili

; m

anca

nza

di s

uppo

rti t

ecni

ci.

Pre

ssio

ni:

fatto

riA

umen

to d

el n

umer

o di

cap

i di b

estia

me

e di

azi

oni v

olte

ad

incr

emen

tare

la p

rodu

zion

e fo

ragg

era.

Atti

vità

che

gen

eran

o im

patt

i am

bien

tali

Sovr

apas

cola

men

to; p

ratic

he a

gron

omic

he n

on a

ppro

pria

te; u

tiliz

zo d

i pra

tiche

di i

ncen

dio.

Pri

ncip

ali c

ause

dir

ette

di d

egra

doR

iduz

ione

/elim

inaz

ione

del

la c

oper

tura

veg

etaz

iona

le;

com

patta

zion

e e

degr

ado

del

suol

o, c

ausa

ti di

retta

-m

ente

o in

dire

ttam

ente

da

attiv

ità a

grop

asto

rali.

Pri

ncip

ali p

roce

ssi d

i deg

rado

Ero

sion

e id

rica

che

inte

ress

a le

are

e co

llina

ri d

el m

edite

rran

eo d

el n

ord;

pre

senz

a di

rill

e g

ullie

s.

Cam

biam

enti

del

lo S

tato

del

l’am

bien

teD

egra

dazi

one

fi sic

a e

chim

ica

dei s

uoli.

Impa

tti s

ulla

soc

ietà

um

ana

Dim

inuz

ione

del

le e

ntra

te d

eriv

anti

da a

ttivi

tà a

grop

asto

rali.

Ris

post

e da

par

te d

ella

soc

ietà

Incr

emen

to n

ella

ric

hies

ta d

i ul

teri

ori

suss

idi;

aum

ento

del

la p

ress

ione

sul

ter

rito

rio;

fen

omen

i di

em

igra

-zi

one.

Tabe

lla 6

.3.2

- C

aten

a ca

use-

effe

tti d

i lan

d de

grad

atio

n, r

ifer

ita

ad u

n’ar

ea a

grop

asto

rale

del

la S

arde

gna,

inse

rita

nel

lo s

chem

a D

PSI

R c

on l’

ag-

giun

ta d

i alc

une

fasi

inte

rmed

ie.

Fon

te:

Zuc

ca (

2004

)

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 205

206

6.4 Estensione del fenomeno desertificazione

Le attuali valutazioni sull’intensità e sull’estensione della desertificazione rappresentanoun compito difficile per la mancanza di una metodologia univoca che possa essere adottata, sia alivello globale sia a livello regionale. La realizzazione di mappe di sensibilità alla desertificazio-ne è stata una finalità di molti progetti scientifici europei, soprattutto dopo che la Convenzionedelle Nazioni Unite per la Lotta alla Siccità e alla Desertificazione (UNCCD) ha affidato ai paesiaffetti dal problema l’elaborazione e l’approvazione di Programmi d’Azione Nazionali (PAN).L’elaborazione di mappe, oltre ad essere uno strumento di collaborazione scientifica tra i paesiaffetti nelle regioni del Nord Mediterraneo, è dunque diventato parte integrante delle politicheambientali adottate dai diversi paesi.

Il primo tentativo di applicazione di una metodologia comune a livello del bacino delMediterraneo è stato compiuto nell’ambito del progetto “Desertification Information System forthe Mediterranean (DISMED)”, coordinato dall’UNCCD, in collaborazione con l’Agenzia Euro-pea per l’Ambiente e la Fondazione di Meteorologia Applicata. La valutazione della sensibilitàambientale, alla scala di 1:1.250.000 (figura 6.4.1, in appendice), è stata ottenuta dalla combina-zione di diversi indicatori relativi al suolo, al clima e alla vegetazione (box 6.4.1). Dai risultatiosservabili (tabella 6.4.1), risulta che la Spagna è il paese maggiormente interessato dal rischiodesertificazione, anche se le percentuali maggiori ricadono, per tutti i paesi coinvolti nel progetto,nelle classi di media e bassa sensibilità.

Box 6.4.1 - Metodologia utilizzata nel progetto DISMED

Fonte: http://dismed.eionet.eu.int/

Tabella 6.4.1 - Sensibilità alla desertificazione dei paesi analizzati nell’ambito del progettoDISMED

Portogallo Spagna Italia Grecia

Area (km2) 91.858 505.988 301.401 131.992

Molto alta % 0 0 0 0

Alta % 2,51 8,53 3,07 5,83

Media % 28,88 48,29 32,15 36,88

Bassa % 64,70 39,93 64,11 56,27

Sensibilità totale % 96,10 96,75 99,93 98,98

Molto bassa % 3,90 3,25 0,67 1,02

Fonte: http://dismed.eionet.eu.int/

Indice di sensibilità alla desertificazione = (CQI*VQI*SQI)1/3 dove:

– VQI (Indice di Qualità della Vegetazione) = (protezione dall’erosione* resistenza alla siccità *copertura vege-tale*rischio d’incendio)1/4

– CQI (Indice di Qualità del Clima) Indice di aridità ottenuto dal rapporto tra precipitazione media annua el’evapotraspirazione potenziale media annua: Ai = P/PET

– SQI (Indice di Qualità del Suolo) = (roccia madre*tessitura*profondità*pendenza)1/4

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 206

207

Precedente all’applicazione della metodologia elaborata nel progetto DISMED è la reda-zione della carta preliminare italiana (figura 6.4.2, in appendice e box 6.4.2), realizzata nell’ambi-to delle azioni di supporto al Programma di Azione Nazionale di Lotta alla Siccità e alla Deserti-ficazione (PAN). Dai risultati delle analisi rappresentati nella carta risulta che le regioni maggior-mente interessate dal fenomeno sono la Puglia, la Basilicata, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna;complessivamente le aree vulnerabili sono risultate pari a circa 16.500 km2, corrispondenti a cir-ca il 5,5% del territorio nazionale.

Box 6.4.2 - Metodologia utilizzata nella Carta Nazionale elaborata dalla Presidenza delConsiglio dei Ministri - Dipartimento per i Servizi Tecnici Nazionali

Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, Comitato Nazionale per la Lotta alla Desertificazione, 1999

La valutazione delle aree vulnerabili in alcune regioni italiane si è basata principalmentesull’applicazione della metodologia elaborata all’interno del progetto MEDALUS (MEditerrane-an Desertification And Land USe - DGXII, Ambiente), che ha avuto come primario obiettivoquello di incrementare la comprensione di un vasto numero di problemi fisici ed ambientali e dimettere a disposizione strumenti per la loro risoluzione (box 6.4.3). Tuttavia i risultati relativi allediverse cartografie regionali non risultano tra loro confrontabili, poiché le legende ed i valorilimite utilizzati per definire le classi di rischio differiscono tra loro. Inoltre, il più delle volte, allametodologia originaria sono state apportate significative modifiche dovute all’impiego di ulterio-ri indici/indicatori calcolati con algoritmi diversi e derivanti da fonti dati non omogenee (figure6.4.3 - 6.4.13, in appendice).

È evidente come questa metodologia assuma implicitamente che ciascuno degli Indiciabbia una limitata capacità di influenza sul valore finale e che solo quando più parametri hannoun alto punteggio, un’area può essere assegnata ad una classe di alta sensitività. Questa ipotesiimplica che nessuna condizione ambientale può autonomamente escludere o determinare la possi-bilità di un rischio di desertificazione. Per quanto riguarda il clima, ad esempio, anche in presen-

Le aree vulnerabili al fenomeno sono state individuate attraverso l’elaborazione di 4 indici, che riflettono specifi-ci processi legati alla desertificazione:

Indice climatico: Ai = Pm/ETPm dove Pm rappresenta la media delle precipitazioni annuali e ETPm la mediaannuale dell’evapotraspirazione potenziale (vedi tab. 2);

Tabella 4.2 - Distribuzione delle classi di aridità

Valori Zone climatiche Area (%)

0,05 ÷ 0,2 Aride 00,20 ÷ 0,50 Semiaride 0,30,50 ÷ 0,65 Sub-umide-secche 5,2> 0,65 Umide 94,5

Indice del suolo, in relazione alla classificazione pedoclimatica del territorio italiano (in funzione del suolo e del-la sua copertura biotica);

Indice vegetazionale, ottenuto attraverso una riclassificazione delle classi originali della carta di uso del suoloCorine Land Cover;

Indice della pressione antropica, definito come percentuale di variazione della popolazione dal 1981 al 1991, ascala comunale.

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 207

208

Box 6.4.3 - Metodologia utilizzata nel progetto MEDALUS

Fonte: Progetto Medalus

La metodologia proposta individua alcuni importanti indicatori di desertificazione, integrandoli in un sistemauniforme su scala regionale e definisce, secondo un approccio multidisciplinare, 4 classi d’indicatori di desertifi-cazione afferenti alle seguenti categorie:– Suolo (6 indicatori: roccia madre, tessitura, pietrosità, profondità, drenaggio e pendenza);– Clima (3 indicatori: precipitazioni, aridità ed esposizione);– Vegetazione (4 indicatori: rischio d’incendio, protezione dall’erosione, resistenza alla siccità e copertura

vegetale);– Gestione (2 indicatori: intensità d’uso e politiche di gestione).

Dalla combinazione, tramite media geometrica, dei quattro indici si ottiene l’indice sintetico ESAI (Environmen-tal Sensitive Areas Index):

ESAI = (SQI*CQI*VQI*MQI)1/4

Il risultato sintetico viene collocato all’interno di una delle seguenti quattro classi di sensibilità alla desertificazione:6. ESAs critiche: aree già altamente degradate a causa di una precedente gestione errata e che rappresentano

una minaccia per l’ambiente delle aree circostanti;7. ESAs fragili: aree in cui qualsiasi cambiamento che alteri il delicato equilibrio tra risorse naturali e attività

umane può portare alla desertificazione;8. ESAs potenziali: aree a rischio di desertificazione solo in previsione di significativi cambiamenti climatici o

di particolari combinazioni d’uso del territorio;9. Aree non affette

za di un clima arido, che nel modello è classificato nella categoria più ad alto rischio, se le condi-zioni del suolo, della vegetazione e della gestione delle attività produttive sono ottimali, il territo-rio non è in una condizione di sensitività alla desertificazione; d’altra parte, un clima umido, clas-sificato nel modello nella categoria ottimale, non può a priori escludere il rischio di degrado delterritorio dovuto ad attività antropiche o ad altre caratteristiche naturali. Le attuali conoscenzesulla desertificazione e sul degrado del territorio confermano sostanzialmente questa assunzione.

In figura 6.4.14 (in appendice) si riporta la ripartizione delle aree sensibili alla desertifica-zione risultanti dalle cartografie regionali, allegate al rapporto.

Un modello di valutazione della vulnerabilità ai fenomeni di land degradation in Italia èstato messo a punto dall’UCEA-CRA nell’ambito del progetto CLIMAGRI.

L’approccio adottato in questo lavoro parte dalla logica DPSIR per arrivare alla elaborazio-ne di un indice sintetico tenendo conto dei seguenti aspetti:

– la valutazione dell’importanza delle variabili identificate avviene attraverso tecniche distatistica multivariata (PCA), per determinare il peso relativo delle variabili ritenuteresponsabili dei processi di desertificazione;

– le variabili (vedi tabella 6.4.3) sono rappresentate in forma cartografica. Vengono quin-di normalizzate in una scala 0-1 in modo da poter essere rese confrontabili e sommatetramite procedure GIS. Per ogni porzione del territorio viene così calcolato un indicesintetico che deriva delle diverse variabili pesate a seconda della loro importanza relati-va, in base a quanto emerso nell’analisi statistica. La figura 6.4.15, in appendice, sche-matizza la procedura adottata e le variabili utilizzate.

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 208

209

Tabe

lla 6

.4.3

- V

aria

bili

inse

rite

nel

mod

ello

di v

alut

azio

ne d

ella

vul

nera

bilit

à al

la d

eser

tifi

cazi

one

Fon

te:

L. S

alva

ti, T

. Cec

care

lli,

L. P

erin

i -

Con

venz

ione

CR

A-U

CE

A/U

NIC

AL

nell

’am

bito

del

l’A

dP20

04 U

NIC

AL

-MA

TT-

CN

LSD

Var

iabi

le/s

trat

o te

mat

ico

Uni

tà d

i mis

ura

Seri

e st

oric

he d

ispo

nibi

liR

ange

dei

val

ori e

loro

no

rmal

izza

zion

e

Cli

ma

Piog

ge m

edie

Mm

1951

- 80

1961

- 90

1971

- 00

410

(1)

– 16

50 (

0)

Var

iabi

lità

piog

gia

CV

(%

)11

(0)

– 3

8 (1

)

Con

cent

razi

one

piog

ge

mm

/mm

0.3

(1)

– 1

(0)

oppu

re 1

(0)

- 2,

2 (1

)

Gio

rni p

iovo

siN

umer

o gi

orni

67 (

1) –

139

(0)

Ari

dità

(IA

)m

m/m

m0,

4 (1

) –

3,9

(0)

Um

idità

suo

lo (

US)

N

r. gi

orni

/ann

o co

n <

20 m

m0

(0)

– 24

5 (1

)

Suol

o

AW

C

mm

1990

10 (

1) -

294

(0)

Tess

itura

C

lass

i tes

situ

rali

1990

Cfr

. Sal

vati

et a

l. (2

006)

Prof

ondi

mm

1990

200

(1)

– 11

00 (

0)

Car

boni

o or

gani

co

%19

900.

18 (

1) –

6.9

(0)

Ero

sion

e ef

fetti

vato

nn/h

a/an

no19

900

(0)

– 10

0 (1

)

Cop

ertu

ra d

el s

uolo

e v

eget

azio

ne

Res

iste

nza

a si

ccità

C

lass

i Cor

ine

1975

1990

2000

Cfr

. Sal

vati

et a

l. 20

06

Pop

olaz

ione

e im

patt

o an

trop

ico

Den

sità

dem

ogra

fi ca

Ab.

/km

219

8119

9120

0110

(0)

– 8

100

(1)

Var

iazi

one

dem

ogra

fi ca

%19

71-8

119

81-9

119

91-0

1-5

0% (

1) -

0%

(0)

oppu

re 0

% (

0) -

144

% (

1)

Inte

nsità

uso

suo

loC

lass

i Cor

ine

1975

1990

2000

Cfr

. Sal

vati

et a

l. 20

06

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 209

6.5 Studio delle dinamiche di uso delle terre e degli impatti dei relativicambiamenti sui fenomeni di desertificazione

I cambiamenti di uso delle terre sono uno dei processi che influisce in maniera rilevante suiprocessi di desertificazione in ambiente mediterraneo. L’interazione tra dinamiche di land use edegradazione delle terre è di tipo complesso. Infatti, le trasformazioni del territorio rurale nelmezzogiorno d’Italia nell’ultimo cinquantennio hanno condotto alla riorganizzazione delle attivi-tà agroforestali a scala territoriale, con il prevalere di processi di abbandono colturale e rinatura-lizzazione all’interno di sistemi di terre caratterizzati da più severe limitazioni ambientali e diaccessibilità. Nei sistemi di terre pedemontani, collinari e di pianura caratterizzati da una più ele-vata capacità produttiva, da un maggiore potenziale di meccanizzazione, da sistemi irrigui e damigliore accessibilità, si sono verificati processi di intensivizzazione colturale. Ambedue i feno-meni – abbandono colturale ed intensivizzazione – producono effetti molteplici e complessi sulledinamiche di degrado irreversibile delle terre (desertificazione).

Sovente i due processi coesistono all’interno del medesimo sistema o unità di terre. Sel’impatto sui processi degradativi è evidente nelle aree interessate da intensificazione colturale(erosione, perdita di sostanza organica, squilibri dovuti all’accresciuto fabbisogno idrico ed alladegradazione delle acque superficiali e profonde), anche i processi di abbandono colturale posso-no avere impatti sfavorevoli. In ambienti costieri italiani, francesi e spagnoli, interessati da abban-dono colturale, è stata riscontrata una progressiva diminuzione di variabilità e diversità del mosai-co ecologico, che si accompagna alla diminuzione della frequenza dei fuochi ma, paradossalmen-te, all’aumento delle superfici incendiate, per il fatto che un singolo fuoco ha modo di propagarsipiù speditamente in un paesaggio vegetale semplificato.

Lo studio, realizzato nell’ambito del progetto RIADE, si propone pertanto di caratterizzarele dinamiche evolutive del land use nei differenti sistemi di terre, in un’area compresa tra leRegioni Puglia e Basilicata avente estensione di 15.000 kmq (hot spot rappresentativo), analiz-zando gli impatti che tali dinamiche comportano a carico delle risorse di base (acque, suoli, eco-sistemi, paesaggi) e la loro influenza sui processi di degradazione e desertificazione.

6.5.1 Obiettivo dello studio

Lo studio si pone l’obiettivo di analizzare e caratterizzare con l’ausilio di strumenti GIS ledinamiche di uso delle terre nel corso del periodo che ha segnato, in Italia e nell’area di studio, undrastico mutamento del territorio rurale e delle tecniche di produzione in campo agroforestale.Ricerche analoghe realizzate in contesti territoriali simili hanno evidenziato come il declino delsettore primario, il drastico calo del ruolo dell’occupazione agricola, la contrazione del numero diaziende agricole e forestali ed il calo della SAU e della SAT abbiano prodotto nel periodo preso inconsiderazione (1960-2000) un marcato cambiamento del paesaggio rurale. Il presente studio for-nisce una caratterizzazione dettagliata delle dinamiche di transizione ed i cambiamenti d’usoall’interno dei diversi sistemi ed unità di terre presenti nell’area interessata.

6.5.2 Approccio metodologico

Lo studio si propone di analizzare le trasformazioni del territorio rurale e gli impatti deicambiamenti d’uso sui fenomeni di desertificazione mediante la caratterizzazione:

– delle strutture di lunga durata del paesaggio: i sistemi di terre con le loro peculiaritàfisiografiche, climatiche, pedologiche e vegetazionali;

210

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 210

– delle dinamiche storiche che hanno interessato l’uso dei diversi sistemi di terre, conriferimento all’ultimo quarantennio, caratterizzato nel contempo da profonde trasfor-mazioni e da sorprendenti persistenze.

Tutto ciò nella convinzione che l’analisi integrata delle caratteristiche permanenti dei siste-mi di terre e delle trasformazioni più o meno veloci che ne caratterizzano l’uso da parte dellecomunità locali possa meglio sostenere la produzione di ipotesi di lavoro plausibili relative aiprocessi di degrado irreversibile delle terre in ambiente mediterraneo. L’approccio utilizzato è ditipo integrato e si basa dunque sull’analisi di cartografie storiche in ambiente GIS; sulla caratte-rizzazione ecopedologica dei land system presenti nell’area di studio; sul rilevamento di campa-gna delle caratteristiche pedologiche, vegetazionali, agronomiche, in aree rappresentative dei dif-ferenti tipi di transizione; sulla predisposizione di matrici e grafici di transizione che illustrano ledinamiche di land use nei differenti sistemi di terre; sulla realizzazione di cartografie tematicheraffiguranti i diversi processi di degrado in corso nei diversi sistemi di terre ed il loro trend.

La carta dei “sistemi di terre”, in scala 1:100.000, si basa sulla delimitazione di unità geo-grafiche omogenee, in termini di fattori ambientali e risorse agro-forestali, in grado di influenzar-ne l’uso potenziale e le dinamiche dei possibili processi di degrado. La carta mostra 9 struttureambientali permanenti, determinate dall’azione concomitante di clima, litologia, morfologia,comunità biotiche e cambiamenti antropici permanenti (es. bonifiche, terrazzamenti, etc.). Questacarta rappresenta uno strumento preliminare per analizzare e valutare le risorse naturali del terri-torio dell’aria di studio considerata, l’uso sostenibile del sistema agro-forestale ed il rischio didegradazione determinato dall’uso storico delle terre. Le transizioni d’uso sono state ricostruitegrazie al confronto tra due carte di “land cover”; la prima del 1960 ottenuta per digitalizzazione diuna vecchia carta del CNR - Touring Club, la seconda del 2000 acquisita dal “corine land cover”.Dall’unificazione delle 2 legende sono state estrapolate 6 diverse tipologie di copertura: boschi edarbusteti, praterie, sistemi agricoli ed agroforestali complessi, arborei da frutto, seminativi, areeurbane. Dall’analisi spazializzata delle transizioni d’uso emergono profondi cambiamenti e sor-prendenti persistenze tra le diverse tipologie all’interno dei diversi sistemi di terre, non apprezza-bili dalla lettura dei soli dati censuari.

Dalla sovrapposizione ed integrazione delle carte dei sistemi di terre e delle dinamiche diland cover 1960-2000 è stato possibile estrapolare altre 2 carte; la carta del rischio di degradazio-ne con 6 possibili tipologie (degrado delle risorse idriche; salinizzazione, erosione, perdita disostanza organica, urbanizzazione, nessun rischio specifico) e la carta della tendenza del rischiodi degradazione delle terre, in funzione del cambiamento di land cover osservato nel periodo1960-2000. Un accordo di collaborazione con le amministrazioni locali e i servizi tecnici regiona-li delle 2 regioni interessate (Basilicata e Puglia) sta portando alla definizione di nuove opzioni digestione delle risorse naturali per la mitigazione dei processi di degrado, nell’ambito dei Piani diSviluppo Rurale, attraverso la messa a punto di un sistema di supporto alle decisioni.

6.5.3 Carta dei sistemi di terre

La carta dei sistemi di terre dell’area pilota è stata redatta mediante elaborazione inambiente GIS dei dati desunti dalle seguenti fonti cartografiche:

1. Carta ecopedologica d’Italia, Commissione europea, Centro di ricerca comune, Istituto“Ambiente e sviluppo sostenibile”;

2. Carta dei sistemi di terre della provincia di Foggia, facente parte della documentazionedel Piano di territoriale di coordinamento provinciale.

211

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 211

La carta dei sistemi di terre rappresenta un inventario d’insieme delle risorse ambientali edagro-forestali del territorio dell’area di studio. L’approccio analitico, di tipo fisiografico ed inte-grato, è quello dei sistemi di terre (FAO, 1998). Esso si basa sul riconoscimento di ambiti geogra-fici ragionevolmente omogenei per quanto concerne i fattori ambientali che influenzano gli usiagro-forestali ed urbani e le possibili dinamiche degradative. Essa pertanto illustra le struttureambientali più o meno permanenti, legate all’azione integrata, nel tempo, del clima, dei substrati,della morfologia, delle comunità biotiche e delle modificazioni antropiche permanenti (es. bonifi-che, terrazzamenti, erosione accelerata etc.).

La legenda della Carta si articola in due livelli gerarchici:

– sistemi di terre;

– sottosistemi di terre;

I sistemi individuati nell’area di studio sono 3:

– pianura alluvionale e costiera

– pianura terrazzata

– rilievi collinari e submontani

I sistemi di terre rappresentano il repertorio essenziale di tipologie ambientali necessarie astrutturare e descrivere la complessa articolazione territoriale presente nell’area di studio, a ren-derla comprensibile, intellegibile agli occhi di osservatori afferenti a diverse discipline.

L’elenco dei sistemi è allo stesso tempo una lista ragionata dei differenti problemi e delleopportunità con cui hanno dovuto confrontarsi nei secoli le popolazioni per soddisfare le diverseesigenze legate all’abitare e al difendersi, al reperimento delle materie prime ed alla produzionedi alimenti, alle comunicazioni ed agli scambi. All’interno di ciascun sistema le interazioni com-plesse tra clima, morfologia, suoli, manto vegetale indirizzano secondo modalità date i processiidrogeologici, ecologici, e quelli legati alle produzioni agro-forestali. Si tratta di strutture e di pre-esistenze forti, che influenzano permanentemente le dinamiche ambientali, insieme con la vita edil lavoro degli uomini, in una storia secolare di relazioni e modificazioni reciproche.

L’insieme degli attributi morfologici, funzionali ed estetico-percettivi che caratterizza uni-vocamente ciascun sistema di terre rappresenta dunque, in qualche modo, il risultato di una storiadi lungo periodo delle interazioni tra l’uomo e le terre, una storia tuttora in corso e nient’affattoconclusa. Ciascuno dei sistemi si presenta a scala di area vasta come un insieme unitario, dotatodi proprietà emergenti che lo caratterizzano rispetto agli altri sistemi. Ciò non esclude che, adun’analisi di maggior dettaglio, ciascun sistema evidenzi un’articolazione interna in porzioni che,seppur partecipano degli attributi e dei caratteri propri di quel sistema, si differenziano tra di loroper condizioni ambientali e possibilità d’uso.

Nella legenda della carta dei sistemi di terre (figura 6.5.3.1, in appendice) vengono pertan-to individuati, ad un livello gerarchico inferiore, 9 differenti sottosistemi di terre, caratterizzati damaggiore uniformità climatica, lito-morfologica, pedologica, vegetazionale, agro-forestale. Se isistemi di terre rappresentano il lessico di base necessario e sufficiente a raccontare compiuta-mente la struttura generale dell’ambiente indagato, i sottosistemi di terre costituiscono un reperto-rio più ampio di concetti e tipologie, al quale è necessario far ricorso per rendere conto delle spe-cificità e delle articolazioni locali.

Così come accennato in precedenza, nella leggenda della carta dei sistemi di terre vengonoindividuati 9 differenti sottosistemi di terre:

A - Pianura alluvionale e costiera

A1 - Pianura costiera

212

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 212

A2 - Pianura alluvionale

B - Pianura terrazzata

B1 - Terrazzi bassi

B2 - Terrazzi alti

B3 - Pianori su calcareniti

C - Rilievi collinari e submontani

C1- Collina calcarea

C2 - Collina argillosa sabbiosa

C3 - Rilievi collinari e submontani calcareo-marnosi

C4 - Rilievi calcarei del Gargano

In particolare, i sottosistemi di terre rappresentano i contenitori geografici più appropriatiper l’analisi:

– delle qualità delle terre che ne influenzano l’uso agro-forestale sostenibile;

– del rischio di degradazione delle risorse di base (suoli, acque, ecosistemi);

– delle dinamiche storiche di uso.

La caratterizzazione degli aspetti avanti menzionati costituisce il principale obiettivo dellafase di rilevamento di campagna che sarà oggetto di una successiva fase progettuale.

6.5.4 L’analisi dei cambiamenti delle coperture delle terre 1960-2000

L’analisi delle dinamiche delle coperture delle terre è stata condotta mediante confrontodei seguenti documenti:

– Carta dell’utilizzazione del suolo d’Italia in scala 1:200.000, realizzata dal Centro diStudi di Geografia Economica del CNR, in collaborazione con la Direzione Generaledel Catasto e con l’Ufficio Cartografico del Touring Club Italiano.

– Corine Land Cover 2000, in scala 1:100.000.

La Carta dell’utilizzazione del suolo, pubblicata a cavallo del 1960 dal CNR e dal TouringClub, costituisce una fonte di particolare valore conoscitivo, essendo l’unico documento tematicosull’uso delle terre prodotto su scala nazionale, utilizzando metodi di rilevamento cartografici enon statistici (Calomonico, 1953), in un momento storico cruciale per il nostro paese, quello cioèimmediatamente precedente la fase di intensa urbanizzazione ed industrializzazione che ha con-traddistinto l’ultimo quarantennio.

Il confronto in ambiente GIS dei due documenti ha richiesto la georeferenziazione e digita-lizzazione della Carta di utilizzazione del suolo del CNR e la riclassificazione delle due carto-grafie sulla base di una legenda comune semplificata, articolata in 6 unità cartografiche:

– Boschi e arbusteti

– Praterie

– Sistemi agricoli e agroforestali complessi

– Arboreti da frutto

– Seminativi

– Aree urbane

Nella tabella seguente vengono sono schematizzati i dati di uso delle terre al 1960 ed al2000 relativi all’area di studio.

213

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 213

Tabella 6.5.4.1 - Dati di uso delle terre al 1960 ed al 2000

Coperture delle terre Ettari 1960 Ettari 2000 Saldo netto Saldo netto %

Boschi e arbusteti 108.605 293.124 +184.519 +170

Praterie 415.891 118.679 -297.213 -71,6

Sistemi agricoli e agroforestali complessi 91.777 257.457 +165.680 +180,5

Arboreti da frutto 361.184 280.869 -80.314 -22,2

Seminativi 707.323 707.509 +185 +0,03

Aree urbane 10.304 40.313 +30.009 +291,2

Fonte: Iannetta M., G. Enne, C. Zucca, N. Colonna, F. Innamorato, A. Di Gennaro

Le dinamiche di cambiamento delle coperture delle terre sono state analizzate per ciascunsistema e sottosistema di terre, con l’ausilio di matrici, istogrammi e grafici di transizione (figure6.5.4.2 - 6.5.4.5, in appendice).

6.5.5 Processi di degrado delle risorse naturali

Le informazioni relative alle caratteristiche e alla qualità delle terre nei diversi sottosistemidi terre, sono state incrociate in ambiente GIS con quelle relative alle dinamiche di cambiamentodelle coperture, delle terre con l’obiettivo di analizzare la distribuzione geografica nell’area distudio:

– del tipo di rischio prevalente di degradazione delle terre;

– delle tendenze evolutive in atto dei rischi di degradazione prevalenti.

In particolare, l’attenzione è stata rivolta ai più importanti processi degradativi, con le rela-tive tendenze evolutive dei rischi prevalenti, ipotizzabili in funzione delle dinamiche di landcover osservate nel periodo 1960-2000.

La matrice successiva è costruita per incrocio delle tipologie di dinamiche del land cover(intestazione delle colonne, la cui legenda è riportata nelle pagine precedenti), con i sottosistemidi terre (intestazione delle righe). In ogni cella (tabella 6.5.5.1) compare la sigla del tipo di rischio(lettera) e della tendenza alla variazione del rischio (numero) (tabella 6.5.5.2), codificate in fun-zione delle seguenti tabelle. Per ciascun sottosistema viene valutato, in funzione della dinamica diland cover osservata, un rischio principale (prima riga corrispondente a ciascun sistema) e unrischio subordinato (seconda riga). Così, ad esempio, nel sottosistema A2 della pianura alluviona-le, il verificarsi di una intensivizzazione colturale (InA) comporta un aumento del rischio didegradazione quali-quantitativa delle risorse idriche (D1), legato soprattutto agli emungimentiincontrollati delle falde superficiali, ed un rischio subordinato legato al presumibile aumento delrischio di degradazione biologica (B2) (tabella 6.5.5.3, in appendice). Il risultato di tale attività èesplicitato dalle figure 6.5.5.1 e 6.5.5.2, in appendice, in cui è possibile visualizzare all’interno diuna mappa sia il rischio di degrado delle terre che la tendenza evolutiva.

214

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 214

Tabella 6.5.5.1 - Tipo di rischio di degradazione delle terre

Tipo di rischio di degradazione delle terre Sigla

Rischio di erosione E

Rischio di degrado delle qualità biologiche (diminuzione di sostanza organica) B

Rischio di degradazione delle proprietà chimiche (salinizzazione) C

Rischio di degradazione dello stato quali-quantitativo delle risorse idriche

(legato al maggiore sfruttamento delle falde a seguito dell’estensione di ordinamenti a più elevata intensività colturale) D

Consumo di suolo per urbanizzazione U

Nessun rischio specifico F

Fonte: Iannetta M., G. Enne, C. Zucca, N. Colonna, F. Innamorato, A. Di Gennaro

Tabella 6.5.5.2 - Tendenze evolutive

Tendenze evolutive Sigla

Presumibile stabilità 0

Aumento 1

Presumibile aumento 2

Presumibile diminuzione 3

Diminuzione 4

Fonte: Iannetta M., G. Enne, C. Zucca, N. Colonna, F. Innamorato, A. Di Gennaro

6.5.6 Mitigazione del fenomeno

Il lavoro svolto nell’ambito del progetto RIADE contribuisce a delineare, al di là degliaspetti quantitativi, una geografia del cambiamento la cui conoscenza è indispensabile per la pia-nificazione sostenibile delle risorse e per la modulazione, a scala locale, delle misure e degliinterventi di lotta alla desertificazione e di sviluppo rurale. Il territorio analizzato ha subito, nelcorso degli ultimi quaranta anni, cambiamenti la cui natura e portata non hanno riscontro in alcu-na epoca precedente.

I problemi posti dalla asimmetrica distribuzione dello spazio geografico dei processi con-trastanti di intensivizzazione e di abbandono non possono trovare soluzione in una ipotetica com-pensazione a scala regionale quanto, piuttosto, nella definizione di specifici interventi di riequili-brio alla scala appropriata. Così, ad esempio, l’aumento dirompente di naturalità che caratterizzaun sistema montano in fase di prevalente abbandono non compensa gli squilibri di una pianurasovrautilizzata: i due problemi non si elidono a vicenda, ma richiedono piuttosto soluzioni localispecifiche.

Si intravede, nella carta delle tendenze evolutive, una prima ipotesi di “Early WarningSystem” per la desertificazione, di grande utilità per la corretta individuazione degli interventi sulterritorio e per la definizione delle relative priorità. È auspicabile che, con la prossima programma-zione regionale 2007-2013, nell’ambito dei Programmi Operativi e di Sviluppo Rurale, si tengaconto di questo approccio innovativo per la individuazione di specifiche ipotesi di intervento.

Un’ipotesi di lavoro concreta è stata avviata sulla riscoperta, in chiave innovativa, di cono-scenze e tecniche tradizionali di conservazione del suolo e delle risorse idriche, che ben si coniu-ga con le nuove politiche di eco-condizionalità della PAC. È stata realizzata una sistematizzazio-ne delle tecniche e delle conoscenze tradizionali presenti nelle regioni meridionali italiane, con

215

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 215

una valutazione di compatibilità ambientale ed economica rispetto ai sistemi di terre e alle speci-fiche condizioni aziendali. Poiché molte delle informazioni riferite alle conoscenze e alle tecnichetradizionali sono sito-specifiche, esse costituiscono un punto cruciale nella valutazione delle con-dizioni territoriali a scala locale (mentre risulta arduo un loro utilizzo a livello globale), così cheogni schema usato per integrare le conoscenze tradizionali con il database scientifico dovrebbeiniziare a livello locale ed aziendale. È ciò che si sta cercando di fare coniugando le esperienzematurate a livello locale con il progetto RIADE e a livello aziendale con il progetto di ricercaeuropeo Desertlink, per la valutazione della compatibilità ambientale ed economica di tecnichetradizionali di conservazione dei suoli. Lo strumento utilizzato è il Management Practices Asses-sment “ManPrAs” (Quaranta G., 2005), in grado di fornire, in modo semplice ed immediato, ungiudizio sintetico sulle tecniche agricole. Tiene conto delle reciproche relazioni che intercorronotra le operazioni colturali, le caratteristiche climatiche e le caratteristiche fisiche-chimiche delsuolo. L’obiettivo del ManPrAs è di suggerire un metodo, basato sulla lista di indicatori delDis4Me (Desertlink), per valutare la sostenibilità delle pratiche agricole, attraverso l’indice diconservazione del suolo (ICS) ed i risultati economici (Reddito lordo), e di simulare l’impatto dicolture alternative, nonché delle relative tecniche colturali, in diversi contesti ambientali in termi-ni di degradazione del suolo, redditività aziendale e caratteristiche socio-economiche.

In questo modo quanti operano direttamente sul territorio, utilizzandone le risorse o piani-ficandone le strategie di sviluppo, possono simulare l’effetto di soluzioni tecniche diverse, valu-tando gli impatti generati da una scelta piuttosto che un’altra. Uno strumento così concepito puòvalidamente supportare la concreta diffusione di tecniche e tecnologie sostenibili, configurandosianche come un aiuto all’implementazione delle politiche comunitarie, nonché funzionale alla pro-grammazione e pianificazione su larga scala. Lo strumento è composto da due parti differenti maintegrate tra loro. La prima permette di calcolare l’indice di conservazione del suolo (ICS), unindicatore “dinamico” della qualità del suolo derivante dall’interazione tra le caratteristiche fisi-co-chimico-climatiche del contesto e le singole operazioni colturali. Ogni interazione tra le treclassi di parametri (fisico-chimico-climatici; operazioni agricole; fenomeni di degrado del suolo)è stata stabilita sia tenendo in considerazione la letteratura esistente che utilizzando i risultati del-le consultazioni con gli stakeholders. Per ogni parametro si sono derivate delle classi a partiredalle stesse informazioni. La seconda parte è dedicata alla valutazione economica delle praticheagricole. Attraverso un algoritmo è possibile ottenere il reddito lordo (RL) per ogni pratica agri-cola. Insieme ICS e RL, consentono di conoscere il grado di conservazione del suolo a livelloaziendale ed il trade-off di scelte alternative, più o meno sostenibili, e di conoscerne l’impattoeconomico ed ambientale.

6.5.7 Sistemi di allerta precoce (EWS) e di supporto alle decisioni (DSS)

La funzione principale di un Early Warning System, ossia di un sistema di allerta precoce,è la previsione, mediante una dettagliata analisi dei dati disponibili, delle evoluzioni future di unfenomeno, così che opportune misure di intervento possano essere intraprese in anticipo, preve-nendo situazioni di crisi, ad esempio periodi di siccità intensi e prolungati. Gli utilizzatori finali diun EWS dovrebbero essere degli specifici target-groups; i quali tuttavia non sono i diretti destina-tari delle informazioni prodotte dal sistema, ma ne usufruiscono attraverso la mediazione di istitu-zioni locali e nazionali che individuano le azioni che è necessario intraprendere. Dal report elabo-rato dal CeSIA - Accademia dei Georgofili (1999), in preparazione alla terza Sessione del CST inmerito a Early Warning System e desertificazione, è emerso come tali tipologie di sistemi sianostate sviluppate in particolare nel corso degli ultimi anni, soprattutto grazie alla più facile accessi-

216

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 216

bilità delle informazioni e allo sviluppo di tecniche innovative volte a raccogliere ed elaboraretali informazioni.

Gli EWS più moderni sono basati su un approccio multidisciplinare, in cui l’aspettosocioeconomico rappresenta una delle componenti principali, mentre indicatori e valori sogliacostituiscono il contenuto concettuale dell’informazione contenuta nel sistema. In generale unEWS è basato su tre componenti principali: raccolta di dati, elaborazione delle informazioni, dis-seminazione delle informazioni. Il concetto di Early Warning System per la desertificazione è sta-to sviluppato a partire dalla fine degli anni ’90, in seguito al verificarsi di eventi climatici estremi(crisi di siccità) che hanno interessato diversi continenti ed ha l’obiettivo di informare le popola-zioni di un certo territorio circa il rischio di future crisi ambientali, suggerendo opportune misuredi rimedio. Un sistema di allarme per la desertificazione differisce da un sistema di monitoraggioe di analisi dei fenomeni poiché, mentre il primo parte da una analisi di “set di indicatori bioticied abiotici per determinare lo stato e la vulnerabilità sia in termini spaziali che temporali”, ilsecondo analizza “lo stato dell’arte in un determinato momento e le evoluzioni dello scenario nelcorso del tempo” (Kar e Takeuchi, 2003). Ad ogni modo, entrambi i sistemi si possono basare sulmedesimo set di dati necessario a produrre indicatori validi.

Allo stato attuale non esistono set di indicatori globalmente condivisi a tale scopo. LaUNCCD ha fornito alcune indicazioni di massima, sottolineando la necessità di una ricerca basa-ta su un approccio multidisciplinare e auspicando l’utilizzo di indicatori biofisici e socioeconomi-ci. Durante la Terza Conferenza delle Parti è stata decisa la costituzione di un comitato di diecimembri atto ad esaminare la struttura di un EWS apposito e suggerirne il funzionamento. In par-ticolare, CILSS e OSS sono stati incaricati per individuare gli indicatori validi per un EWS e irelativi benchmarks, i cui dati forniranno una base per comprendere le dinamiche future. Talesistema si deve basare su una scala temporale ampia in grado di evidenziare le variazioni e leevoluzioni dei fenomeni di desertificazione.

Secondo Kar e Takeuchi (2003), una delle possibilità per selezionare gli indicatori per ilbacino del Mediterraneo è identificare dei criteri diagnostici per la desertificazione in merito adaspetti naturali e socioeconomici che consentono di individuare “comuni indicatori di base” dacui partire per attuarne una integrazione con altri più specifici. La chiave di lettura proposta perinterpretare i suddetti dati è articolata secondo una suddivisione in diversi settori di analisi (Kar eTakeuchi, 2003):

a. Accelerazione naturale dei processi. Gli eventi naturali concorrono ad accentuare lavelocità dei processi, soprattutto nel caso di aberrazioni climatiche a breve termine.

b. Intrinseca vulnerabilità del territorio. È valutata attraverso la Land Capability (misuradell’adattabilità del suolo alle diverse tipologie di attività sul territorio).

c. Pressioni umane. Dal momento che le attività agricole costituiscono la tipologia d’usodel suolo più diffusa nelle drylands, sono queste ad esercitare le maggiori pressioni sulterritorio. I contributi che generano tali pressioni possono derivare da tecnologie utiliz-zate, frammentazione delle terre, stato sociale, pressione del mercato, degradazione delpaesaggio. Secondo Kar e Takeuchi (2003), i punti su cui si deve basare l’EWS sulladesertificazione si riferiscono a:

– scala spaziale, che consenta una analisi a livello locale;

– conoscenze di campo (secondariamente di telerilevamento);

– approccio territoriale (bacino idrografico) per le conoscenze biofisiche;

– rafforzamento della simulazione dei modelli;

– integrazione dei dati biofisici con quelli socioeconomici.

217

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 217

Occorre pertanto mettere insieme, all’interno di un unico contenitore, rappresentato daisistemi di supporto alle decisioni (DSS), sistemi informativi geografici alla scala adeguata, siste-mi di monitoraggio efficaci di parametri significativi e sensibili, modelli di interpretazione esimulazione dei fenomeni oggetto di indagine. Si tratta di uno spazio condiviso, che integra inun ambiente interattivo, rivolto ad utenti qualificati, funzionalità e strumenti di repository, anali-si, visualizzazione e simulazione in grado di dare indicazioni adeguate sugli interventi più effica-ci di lotta alla desertificazione da realizzare sul territorio.

6.6 L’atlante nazionale delle aree a rischio di desertificazione

Un utile supporto per le Regioni potrà essere l’Atlante Nazionale delle aree a rischio diDesertificazione, di recente realizzato dall’ISSDS e dall’INEA per conto del MATT. La metodo-logia di valutazione adottata si basa sulla struttura d’analisi dei processi DPSIR (determinanti,pressioni, stato, impatto, risposta), che è stata di recente applicata anche in Italia per i processi didegradazione del suolo che possono condurre alla desertificazione (Vacca e Marrone, 2004). Nelmodello DPSIR le terre a sterilità funzionale, vulnerabili o sensibili, sono considerate indici d’im-patto delle pressioni sull’ambiente. I determinanti della sterilità funzionale sono le caratteristicheambientali che regolano le pressioni, vale a dire il clima, l’agricoltura, la geologia e la geomorfo-logia, e la pressione umana nelle sue diverse forme (Enne e Zucca, 2000). Gli indicatori di statoesprimono lo stato di avanzamento nei processi di desertificazione, come erosione del suolo, con-taminazione, salinizzazione e siccità (Dazzi, 2002). Gli indici di risposta sono le misure agroam-bientali, di pianificazione territoriale e di gestione irrigua, che possono mitigare il rischio didegradazione del suolo e riduzione della sua funzionalità.

Sono stati considerati cinque sistemi di degradazione del suolo che possono portare allasterilità funzionale agricola e forestale: l’erosione del suolo, la copertura per deposizione, la sali-nizzazione, l’urbanizzazione, la siccità. Non è stato trattato un importante processo, l’inquina-mento, a causa della scarsità di informazioni disponibili. Sono state invece considerate le perditedi suolo per deposizioni laviche recenti e alluvioni, anche se risultano interessare molto marginal-mente l’area in studio. L’urbanizzazione infine è stata valutata come un processo di desertifica-zione, in quanto induce la perdita irreversibile della funzionalità agricola e forestale, anche se ilsuolo acquista altre funzioni (Aru, 2001).

L’Atlante Nazionale delle aree a rischio di Desertificazione è costituito da una serie di indicidi impatto e di risposta appartenenti ai sistemi di degradazione delle terre considerati (erosione,deposizione, salinizzazione, urbanizzazione e siccità). La versione digitale degli indici, organizzatiin progetti su base regionale, completi di legende, si trova nel CD-Rom allegato alla relazione, cuisi rimanda per un’analisi accurata dei risultati. Nel CD-Rom vi è un progetto per ogni regione in cuisono mostrati tutti gli indici elaborati per quella regione, l’indicatore del numero dei giorni di seccoe, per dare un inquadramento ai risultati, le regioni pedologiche ottenute per aggregazione semanti-ca dei sottosistemi di terre e una elaborazione del modello digitale del terreno (hillshade) che rap-presenta la morfologia. I file sono organizzati gerarchicamente per regione e per sistema di degra-dazione delle terre e possono essere importati anche singolarmente in qualsiasi programma GIS.

Nell’Atlante sono riportate le mappe dell’area di studio, dell’indice di aridità (per le regio-ni Sicilia, Sardegna, Puglia, Basilicata, Molise, Campania e Calabria) e dell’aggressività climati-ca. Vi è poi una sintesi per tutta la zona potenzialmente a rischio di desertificazione degli indicielaborati (figura 6.6.1 e tabella 6.6.1). Per ogni Regione sono infine riportati i singoli indici del-l’Atlante, organizzati secondo il modello DPSIR.

218

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 218

Figura 6.6.1 - Area di studio identificata dall’Atlante Nazionale

Fonte: Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo ed INEA

Tabella 6.6.1 - Superfici regionali appartenenti all’area di studio

Regione Superficie regionale (ha) Superficie potenzialmentea rischio (%)

Abruzzo 1.083.015 50

Basilicata 883.015 93

Calabria 1.522.338 100

Campania 1.360.917 100

Lazio 1.721.833 75

Marche 974.955 58

Molise 446.103 97

Puglia 1.953.386 100

Sardegna 2.392.008 100

Sicilia 2.555.398 100

Toscana 2.268.096 69

Umbria 846.108 45

ITALIA 30.130.028 52

Fonte: Istituto sperimentale per lo studio e la difesa del suolo ed INEA

6.7 Aspetti economici

6.7.1 Acqua come bene economico legato alla desertificazione

Gli aspetti economici ed ambientali legati alla desertificazione sono fortemente integrati el’acqua rappresenta un indice di sostenibilità territoriale da monitorare nel tempo, per un’analisicontinua delle dinamiche del cambiamento e dell’efficacia delle strategie adottate. L’acqua è sta-ta per lungo tempo considerata, anche dagli economisti, come una risorsa abbondante e disponibi-

Aree a rischio potenzialedi desertificazioneRegioni pedologiche

219

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 219

le in modo pressoché illimitato. Questa concezione e la consapevolezza della necessità dell’acquahanno portato, quasi ovunque, ad una gestione pubblica caratterizzata da una continua espansionedell’offerta – attraverso una capillare infrastrutturazione del territorio – e dalla fornitura a costibassi, tali da garantire a tutti la possibilità di accedere ad essa. Oggi la situazione è completamen-te differente. L’aumento dell’inquinamento idrico e il cambiamento climatico in corso in questianni – con una più accentuata stagionalizzazione delle piogge e un aumento dei periodi di siccitàe delle zone del pianeta con processi di desertificazione in corso – hanno reso l’acqua una risorsascarsa. Il deficit idrico è una realtà non solo per i paesi dell’Africa, dell’Asia, del Medio Oriente edell’America Latina, ma anche per i paesi OCSE in Europa, Nord America o Australia.

Lo sviluppo di una coscienza ecologista e delle teorie della sostenibilità hanno portatoGoverni, organismi internazionali (le Nazioni Unite tra le prime) e ONG a riunirsi, nel giugnodel 1992, a Rio De Janeiro per il primo Earth Summit (United Nations Conference on Environ-ment and Development) dove hanno dato vita all’Agenda 21, un documento per la gestione soste-nibile dell’ecosistema mondiale nel 21° secolo, che include anche le acque. Ma queste stesseorganizzazioni si erano già riunite, nel gennaio dello stesso anno, a Dublino, alla InternationalConference on Water and the Environment (ICWE), dove per la prima volta si era sancito il prin-cipio che l’acqua è una risorsa scarsa, alla quale viene riconosciuto un valore economico, e checome bene economico deve essere gestito per porre fine agli sprechi e ai danni ambientali e por-tare ad un uso efficiente ed equo che spinga alla conservazione e alla protezione di essa (TheDublin Statement on water and sustainable development,1992). Nell’opinione di alcuni esperti, lagestione pubblica dell’acqua è stata inefficiente e talvolta fallimentare: le grosse infrastrutturecostruite, oltre a devastare il territorio, non sono state in grado di soddisfare il bisogno d’acquadella popolazione, sia in termini quantitativi che qualitativi; il prezzo eccessivamente basso –molto al di sotto dei costi di produzione – e la frequente evasione contributiva hanno portato adun uso eccessivo della risorsa e a veri e propri sprechi – soprattutto nel settore agricolo – nonchéalla mancanza di un costante flusso finanziario che garantisse la possibilità di fornire la manuten-zione degli impianti esistenti o la costruzione di nuovi. È opinione diffusa che sia necessario unpassaggio dalla gestione dell’offerta alla gestione della domanda, con l’utilizzo di strumenti eco-nomici per il controllo della stessa. Ciò d’altra parte non necessariamente implica che l’acqua daservizio pubblico diventi merce, anche se questa opinione è piuttosto diffusa presso i più radicalisostenitori della privatizzazione dell’acqua.

L’acqua è, dal punto di vista economico, una risorsa rinnovabile: tali sono le risorse i cuiservizi si rinnovano regolarmente e che, se gestite correttamente, possono fornire una quantitàinfinita di servizi utili. La quantità disponibile di una risorsa rinnovabile non è fissa: può essereaccresciuta o ridotta, e se il tasso di utilizzo o prelievo supera continuamente quello naturale dirigenerazione o quando lo stock scende al di sotto di una determinata soglia critica, allora la risor-sa rinnovabile rischia di non essere più in grado di autorigenerarsi e si avvia all’estinzione. Unuso non sostenibile delle risorse idriche – un eccesso di domanda rispetto all’offerta – conduce adun deficit parziale o totale rispetto alla quantità potenzialmente disponibile o necessaria al soddi-sfacimento dei fabbisogni della popolazione e degli usi produttivi. Data l’offerta esistente, il prez-zo politico, artificialmente basso, non è un adeguato indicatore di scarsità e non disincentiva l’usoin quantità superiore al tasso di rigenerazione.

Al fine di impedire l’ulteriore deterioramento degli ecosistemi acquatici proteggendone emigliorandone la qualità e la quantità, la Comunità Europea ha emanato la Direttiva 2000/60 cheistituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque: intendendo con ecosistemaacquatico non solo il sistema delle acque superficiali interne, di transizione e costiere, ma anchequelle sotterranee e marine, le zone umide e gli ecosistemi terrestri interagenti con quelli acquati-

220

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 220

ci. Il fine di ciò è condurre ad un uso idrico sostenibile fondato sulla protezione e gestione ocula-ta nel lungo periodo delle risorse idriche disponibili, invertendo la politica attuata finora consi-stente in un continuo incremento dell’offerta d’acqua (supply policy), a favore di una politica dicontrollo e gestione della domanda d’acqua (demand policy). La Direttiva offre agli Stati Membridefinizioni, approcci e misure basilari comuni, oltre ad un calendario attuativo. Gli obiettiviambientali, diversificati tra acque superficiali, sotterranee e aree protette sono riassumibili nelmiglioramento della condizione ecologica e chimica attraverso il raggiungimento di determinatilivelli qualitativi e quantitativi, nell’ottica di una gestione sostenibile che mira al recupero, allasalvaguardia e alla conservazione nel lungo periodo dei corpi idrici presenti attualmente.

Una tra le novità apportate dalla proposta è che ogni intervento non è destinato al singolocorpo idrico, bensì al bacino idrografico. Con esso s’intende “…il territorio nel quale scorronotutte le acque superficiali attraverso una serie di torrenti, fiumi ed eventualmente laghi per sfo-ciare in un’unica foce, estuario o delta” (art. 2); ogni bacino idrografico viene poi assegnato adun unico distretto idrografico, cioè “…un’area di terra e mare, costituita da uno o più baciniidrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere che, […], è definito la princi-pale unità per la gestione dei bacini idrografici” (art. 2). La gestione di ogni distretto idrograficoè affidata ad un’unica autorità, anche sovranazionale, la quale coordina e mette in atto tutte lemisure dirette ad implementare la proposta e a gestire i bacini sulla base di quanto disposto daessa. Questo anche nel caso di bacini fluviali appartenenti a più Stati, anche non comunitari: laproposta dispone infatti la creazione di bacini e distretti idrografici internazionali che permetta-no un approccio cooperativo e obiettivi comuni tra gli stati rivieraschi per una gestione congiun-ta della acque transfrontaliere.

Tra i principali strumenti decisi dalla Commissione per mettere in atto la politiche necessa-rie al raggiungimento degli obiettivi ambientali (prevenzione, recupero e miglioramento) vi sonoil piano di gestione del bacino idrografico, l’analisi economica ed il sistema tariffario ad essorelativo. I criteri per la determinazione del sistema tariffario ottimale non sono definiti in modopreciso. Il prezzo dell’acqua deve essere direttamente legato alla quantità di acqua prelevata dal-l’ambiente e all’inquinamento ad esso causato. Il prezzo deve tener conto delle differenti caratte-ristiche ed impatti dei principali settori economici quali l’agricoltura, gli usi domestici, l’energia,l’industria, il turismo e gli usi ambientali (tra i quali il trattamento dei reflui o il mantenimentodegli habitat naturali).

I principali costi che devono essere inseriti all’interno della struttura tariffaria sono:

– costi finanziari: essi includono il costo di fornitura e amministrazione dei servizi idrici;tutti i costi di funzionamento e manutenzione e i costi dell’utilizzo di capitali (il capita-le iniziale e il pagamento degli interessi, i profitti secondo equità dove appropriati); essicorrispondono al costo marginale di lungo periodo.

– costi ambientali: essi rappresentano i costi da sostenere per i danni provocati all’am-biente dagli usi imposti all’acqua e all’ecosistema e quelli causati da coloro i quali uti-lizzano l’ambiente.

– costi delle risorse: essi rappresentano i costi che occorre sostenere quando un uso nonsostenibile (cioè superiore al tasso naturale di ricarica o ravvenamento) o l’esaurimentodelle risorse determinato dall’attività di alcuni utilizzatori genera delle esternalità nega-tive nei confronti di altre categorie di users (costo opportunità).

La tariffazione per gli usi domestici deve contemperare le esigenze di efficienza economi-ca e di equità sociale (l’acqua è pur sempre un bene necessario, per livelli di consumo di base). Lastrategia ottimale per questo scopo è quella di utilizzare per specifici utilizzatori e/o settori un

221

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 221

sistema tariffario a blocchi crescenti che garantisca un equa distribuzione dei costi: garantendo dauna parte il carattere di merit good dell’acqua con prezzi bassi per livelli di consumo necessario,ed incentivando il risparmio e la riduzione degli usi water intensive eccessivi e superflui conprezzi elevati per alti livelli di consumo. Evidentemente ciò rende necessaria l’installazione disistemi di misurazione (contatori) per permettere un effettivo controllo dei consumi. L’analisi del-la funzione di domanda dell’acqua, le sue determinanti strutturali, la sua reattività al prezzo, ènecessaria in quest’ottica per comprendere e predire quali effetti le variazioni dal lato dell’offerta(sia in termini di prezzo che di quantità, oltre che di qualità) potranno avere sulla domanda e sulbenessere dei consumatori.

Nell’ambito di una collaborazione tra ENEA ed INEA sui progetti RIADE e MONIDRIsono state elaborate le stime delle quantità d’acqua domandate per usi civili ed agricoli nel Bacinodella Nurra (hot spot rappresentativo), con l’analisi delle caratteristiche demografiche e socio-eco-nomiche dell’area in esame, l’analisi dei comparti produttivi e la descrizione dell’attuale livellodei consumi nell’area. Una seconda parte è dedicata alla stima della funzione di domanda: è statacondotta un’indagine campionaria, in base alla quale è stata studiata la domanda di acqua per usiresidenziali (che costituisce la parte predominante dei consumi dell’area) nel comune di Alghero.Sono state ottenute delle stime sul valore che i consumatori attribuiscono all’acqua (condizionata-mente a determinati miglioramenti nel servizio: nella continuità dell’erogazione, o nella qualitàdell’acqua potabile); è stata calcolata la elasticità della domanda rispetto al prezzo; sono state pro-dotte delle stime della domanda d’acqua per utenza, in funzione del prezzo e del numero di indivi-dui per utenza. Tali dati potranno in lavori successivi essere utilizzati per stimare la quantità d’ac-qua domandata in seguito a determinate variazioni nella composizione media delle utenze o nelprezzo, come imposto dalla nuova struttura tariffaria approvata dall’ATO Sardegna.

Nella tabella 6.7.1.1, in appendice, si riportano i dati relativi alla Superficie irrigata e aim3 di acqua concessi dal Consorzio di Bonifica della Nurra nel 2004: 1.022 ha di colture appar-tengono alla classe A, 2.651 alla classe B e 842 alla classe C. Il 79% della risorsa idrica è statadistribuita tra le colture della classe B, a medio fabbisogno idrico.

I contributi consortili si dividono in tre categorie:

– contributo istituzionale: viene pagato ad ettaro ed è pari a circa 1,5 €/ha per gli agricol-tori le cui aziende si trovano all’esterno del consorzio irriguo e di circa 5,7 €/ha per leaziende che invece si trovano all’interno dello stesso;

– contributo manutenzione impianti consortili irrigui: viene pagato in ragione dellasuperficie dominata effettivamente dagli impianti consortili per quanto riguarda leaziende che ricadono effettivamente nel comprensorio irriguo. Fa eccezione il Comunedi Uri al quale viene concessa dell’acqua pur essendo fuori dal comprensorio. Uri, infat-ti attinge direttamente dal canale adduttore (per la cui acqua viene applicata la stessatariffa per il comprensorio irriguo, in ragione della superficie irrigata) e dal bacino delCuga (per la cui acqua invece le tariffe vengono ridotte dell’80%). Tale ruolo era pari acirca 27 €/ha nel 1998, 19 €/ha nel 1999/2000 e 13 €/ha nel 2001/2002;

– contributo esercizio irriguo: in passato veniva applicato per ha/coltura mentre dal 2002si sta cercando di applicare tale contributo sulla base dei consumi effettivi grazie a unsistema di contatori presenti nelle aziende. In base al regolamento irriguo consortile iltributo irriguo viene ripartito in ragione dell’utilizzazione dell’acqua ed in rapporto allasuperficie effettivamente irrigata ed alla qualità delle colture. Le tariffe adottate per ilcomprensorio irriguo saranno ridotte del 40% del costo ad ettaro per gli utenti delle areefuori comprensorio irrigate dal canale adduttore e dal bacino del Cuga.

222

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 222

La tabella seguente mostra la tariffa ad ettaro/coltura per l’esercizio irriguo 1999-2001.Come si è accennato, a partire dal 2002 il Consorzio applica la tariffa sulla base degli effettiviconsumi e il suo ammontare è pari a 0,03 €/m3 nel 2002.

Tabella 6.7.1.2 - Tariffa ad ettaro/coltura per l’esercizio irriguo 1999-2001

Gruppo Coltura 1999 2000 2001

A €€ 206,6 € 309,9 € 206,6B € 149,8 € 224,7 € 149,8C € 56,8Carciofo € 258,2 € 387,3 € 258,2Carciofo a goccia € 180,8 € 271,1 € 180,8

Fonte: Progetto Monidri

Una volta che entreranno in funzione i contatori, che permetteranno di pagare l’acqua inbase ai consumi effettivi di ogni azienda, rimarranno legati alla superficie soltanto i contributi isti-tuzionali e quelli di manutenzione degli impianti consortili. Con l’avvento dei contatori verrannoridotti gli sprechi e rilevato anche un eventuale uso scorretto per colture diverse dalle dichiarate (adesempio possono essere effettuate delle variazioni alle colture presenti nella domanda di richiestadell’acqua ma solo con certi criteri e rispettando certi tempi). Le letture iniziali, finali e intermediepermetteranno di avere un quadro più chiaro della situazione. Sulla base dei m3 di acqua consuma-ti verranno decisi i ruoli irrigui. Per il 2002 e 2003 il ruolo è stato pari a 0,0301 €/m3. In questomodo si creano i presupposti per integrare il ragionamento economico con un’analisi degli aspettiriguardanti la sostenibilità ambientale dello sviluppo, e al contempo si lavora per costruire l’infor-mazione statistica necessaria come supporto alle decisioni, in modo da favorire tale integrazione.

6.7.2 Suolo come bene economico legato alla desertificazione

L’Italia, ratificando il Protocollo di Kyoto (L. 120/02) formalmente in vigore al 16 Feb-braio 2005, ha deciso di condividere lo sforzo internazionale di riduzione delle emissioni di gasserra ai fini della prevenzione e mitigazione del cambiamento climatico, individuando una seriedi azioni da implementare per il mantenimento dell’impegno assunto (Delibera CIPE n. 123 del12 Dicembre 2002 “Linee Guida per le politiche e misure nazionali di riduzione delle emissionidei gas serra”). Tra queste azioni, elencate nel dettaglio nel “Piano nazionale per la riduzione del-le emissioni di gas responsabili dell’effetto serra - 2003-2010” figurano anche interventi nel setto-re dell’uso del suolo e della forestazione, dal momento che il Protocollo di Kyoto prevede, inbase a quanto statuito negli articoli 3.3 e 3.4 ed ai successivi accordi negoziali, l’impiego dei poz-zi di carbonio (sinks, foreste, suoli agrari e forestali, pascoli, rivegetazione) per la riduzione delbilancio netto nazionale delle emissioni di gas ad effetto serra.

Nel contesto delle misure nazionali previste, l’agricoltura rappresenta una delle attivitàcosiddette “addizionali opzionali”, attività, cioè, nei confronti delle quali l’Italia dovrà valutarel’opportunità di utilizzazione ai fini della realizzazione del proprio bilancio di emissioni di gas adeffetto serra1.

Il ricorso all’agricoltura tra le attività eleggibili determinerebbe oltre ad una voce di poten-ziale detrazione nel totale delle emissioni nazionali, la possibilità per l’agricoltore di far parte di

223

1 La decisone dovrà essere comunicata al Segretariato della Convenzione UNFCCC (United Nations Framework Convention onClimate Change, entro il 31 dicembre 2006.

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 223

un meccanismo2 per il quale l’impegno a realizzare opzioni di gestione in grado di aumentare il Cnel suolo e di ridurre le emissioni di gas serra associate alla pratica agricola (es. conversioneall’agricoltura biologica) determinerebbe il rilascio da parte dello Stato di un “credito di carbo-nio” remunerabile pari alla quantità di C assorbita e della mancata emissione realizzata.

Il cambio di destinazione d’uso del suolo, le lavorazioni, la meccanizzazione e la gestionedel suolo, in generale, hanno causato una perdita significativa di quella sostanza organica che eracontenuta nel terreno. Così, la media dei suoli agrari italiani contiene oggi circa lo 0,9 per centodi sostanza organica contro il 2-3 per cento di qualche decennio fa.

La sostanza organica del suolo può giocare un ruolo centrale nella mitigazione del cambia-mento climatico. Alcuni calcoli hanno giustamente sottolineato il fatto che un aumento dello0,15% del carbonio organico nei suoli arabili italiani potrebbe fissare nel suolo la stessa quantità dicarbonio che ad oggi è rilasciata in atmosfera per l’uso di combustibili fossili in un anno in Italia.

La sostanza organica di un suolo è, in media, costituita per circa il 50% da carbonio. Ecosì, la perdita di sostanza organica si traduce in un flusso netto di carbonio che sotto forma dianidride carbonica (CO2) si trasferisce dal terreno all’atmosfera. Fenomeno che prende il nome di“respirazione” e che è effettivamente un processo di ossidazione del carbonio organico a CO2operato dalla flora microbica del suolo. Se il contenuto di sostanza organica del suolo aumentas-se di una frazione pari all’1% all’anno, soli 18 milioni di ettari di terreno agrario italiano (ovverola metà della SAU) potrebbero “sequestrare” una quantità di CO2 uguale a quella che, secondogli accordi del Protocollo di Kyoto, il nostro Paese dovrebbe eliminare dalle proprie emissioni digas serra. Ma è possibile invertire questo processo? Ci sono strategie adeguate per “sequestrare”nuova sostanza organica nei suoli agricoli del nostro Paese e del mondo? L’obiettivo di unaumento di sostanza organica dei suoli dell’1% l’anno è davvero raggiungibile? Ci sono evidenzesperimentali, anche in Toscana, che una diversa gestione del suolo, come ad esempio l’introduzio-ne di tecniche alternative di lavorazione dei terreni (no-tillage o minimum tillage, concimazioniorganiche etc.), possono consentire di raggiungere questo obiettivo. Ricerche condotte dall’Uni-versità di Pisa e di Udine nell’ambito del Progetto MIUR-CARA dimostrano che questo obiettivoè alla nostra portata e va davvero perseguito. Un tema che riguarda la programmazione e la piani-ficazione degli interventi in agricoltura, un impegno a cui le pubbliche amministrazioni non pos-sono sottrarsi nel disegnare le future politiche di sostegno al settore agrario.

Ad oggi non si rilevano fonti di dati sufficienti per valutare l’effettivo potenziale dell’agri-coltura ai fini dell’aumento del C organico nel suolo e della riduzione di gas serra nella praticaagro-pastorale e la direzione Ricerca Ambientale Sviluppo del Ministero dell’Ambiente3 è attual-mente alla ricerca di tutta l’informazione disponibile a livello nazionale per supportare l’even-tuale processo decisionale.

Questi gli argomenti specifici su cui indagare:

– determinazione e valutazione dello stock di C organico del suolo nelle tipologie di eco-sistema rappresentate dalla scelta dei siti sperimentali;

– spazializzazione dei dati a livello nazionale ed incertezza associata;

– identificazione di opzioni di gestione del suolo tali da realizzare aumenti dello stock diC organico;

– potenzialità di variazione dello stock di C organico a seguito della implementazionedelle opzioni di gestione sopra identificate.

224

2 Tale meccanismo fa riferimento alle disposizioni del “Piano dettagliato per il triennio 2004-2006 per la realizzazione del potenzia-le massimo nazionale di assorbimento di carbonio” realizzato in base all’art. 7.1 della Delibera CIpe n.123/02.

3 In qualità di Focal Point della Convenzione UNFCCC.

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 224

6.8 Azioni di lotta alla desrtificazione

6.8.1 Progetti realizzati ed in corso

Forti impulsi alle ricerche nella lotta contro la desertificazione provengono da finanzia-menti europei e/o nazionali che negli ultimi anni hanno incentivato la nascita di progetti finaliz-zati alla cooperazione tecnica e scientifica tra i paesi colpiti dai processi di desertificazione (inparticolar modo i paesi dell’Annesso IV: Grecia, Italia, Spagna, Portogallo e Turchia). Nellatabella 6.8.1.1 (in appendice) vengono presentati gli obiettivi e le finalità dei principali progetti,in corso d’opera o appena conclusi, nel bacino del Mediterraneo. Ulteriori informazioni si posso-no acquisire consultando la clearing house sulla desertificazione realizzata con il progetto euro-peo CLEMDES, dove è possibile trovare anche i siti web dei vari progetti e delle organizzazionicoinvolte.

Nei progetti elencati, insieme alla dimensione bio-fisica, inizia a farsi strada sempre conmaggiore enfasi la dimensione umana, sociologica ed economica del problema e come queste duediverse dimensioni, bio-fisica e antropologica, interagiscono e si influenzano l’un l’altra.

La desertificazione ha un impatto sul territorio a scala locale e altera gli schemi produttiviche forniscono beni e servizi che gli uomini ottengono dal territorio. Gli impatti della desertifica-zione diventano significativi a livello globale soltanto attraverso gli effetti cumulativi. Le intera-zioni, nel caso della desertificazione, agiscono perlopiù ai livelli più bassi, dal regionale in giù,dove risiede la capacità di un ecosistema di fornire beni e servizi e dove agiscono gli sforzi del-l’uomo per gestire, migliorare e sostenere questa capacità.

La comprensione dell’interazione tra le dimensioni ecologiche, meteorologiche ed antropo-logiche vede impegnati ricercatori di svariate discipline in un numero sempre maggiore di inizia-tive e progetti. Il rapporto tra le scienze umane e le scienze naturali, tra “cultura” e “biologia”mette in evidenza, da un lato, la necessità di abbandonare convinzioni trionfalistiche sulle possi-bilità illimitate da parte dell’uomo di dominare la materia e, dall’altra, l’esigenza di soluzioni arti-colate, innovative e comunque il più possibile informate delle istanze provenienti da diversiambiti di conoscenza, inevitabilmente accompagnate, in misura più o meno costante, dall’ele-mento dell’incertezza. In questa luce si spiega come nell’affrontare i problemi ambientali globalisi siano sempre più abbandonate scelte politiche o misure basate sul tradizionale approccio coer-citivo, a favore di approcci nuovi che privilegiano forze alternative diverse, quali quelle di merca-to, dei movimenti di associazioni non governative o spontanee, fino al ruolo del singolo indivi-duo, attraverso un approccio partecipativo, in grado di determinare la consapevolezza del proble-ma locale. (Borelli, Casali, Iannetta, 2005).

6.8.2 Applicazione della Convenzione ONU sulla lotta alla Siccità e alla Desertificazione

La Convenzione è rappresentata da un trattato formato da sei parti, da 40 articoli e da cin-que Annessi regionali (figura 6.8.2.1, in appendice).

Si riportano di seguito solo alcuni aspetti significativi:

Organi di governo e di implementazione. La Conferenza delle Parti (COP): é l’organosupremo della Convenzione. Ha competenze su: la regolare revisione dell’applicazione dellaConvenzione e il funzionamento delle disposizioni istituzionali alla luce dell’esperienza matura-ta a livello nazionale, sub-regionale, regionale ed internazionale sulla base dell’evoluzione scien-tifica e delle conoscenze tecnologiche; la promozione e agevolazione dello scambio di informa-zioni sulle misure adottate dalle Parti; la determinazione della forma e il tempo nel quale le infor-

225

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 225

mazioni devono essere trasmesse per la sottomissione secondo l’artico 26; rivede i rapporti e faraccomandazioni in proposito.

Il Comitato Tecnico Scientifico (CST): fornisce alla COP le informazioni ed i pareri suquestioni scientifiche e tecnologiche concernenti la lotta alla desertificazione e la mitigazionedegli effetti della siccitá: rete di istituzioni, indicatori e punti di referenza, conoscenze tradiziona-li, migliori pratiche, valutazione del degrado del territorio; stabilisce e mantiene una lista di esper-ti indipendenti con professionalitá ed esperienze in vari campi.

Il Comitato per la Revisione dell’Applicazione della Convenzione (CRIC) assiste la COPnel rivedere regolarmente l’applicazione della Convenzione, alla luce dell’esperienza maturata alivello nazionale sub-regionale, regionale ed internazionale, ed agevola lo scambio di informazio-ni sulle misure adottate dalle Parti, con il fine di trarre conclusioni e proporre concrete raccoman-dazioni sugli ulteriori passi necessari per applicare la Convenzione. Per la revisione, il CRIC usa iseguenti punti tematici chiave: processi partecipativi; quadro legislativo e istituzionale; mobilizza-zione e coordinamento delle risorse; vincoli e sinergie con altre convenzioni ambientali; analisi econtrollo della siccitá e desertificazione; accesso a tecnologie appropriate; conoscenze e knowhow.

Istituzioni. Il Segretariato: prende provvedimenti per la sessione della COP e i suoi organisussidiari e fornisce loro i servizi richiesti; redige e trasmette i rapporti ad esso presentati; surichiesta, facilita l’assistenza ai paesi parte in via di sviluppo affetti da desertificazione e siccitá,particolarmente in Africa, per la redazione e comunicazione della informazione; coordina le sueattivitá con i segretariati di altri organismi internazionali e convenzioni.

Il Meccanismo Globale: identifica e stabilisce l’inventario dei programmi di cooperazionebi-multilaterale disponibili ed utili per l’applicazione della Convenzione; su richiesta, dá parerialle Parti sui metodi innovativi di finanziamento e fonti di assistenza finanziara, su come miglio-rare il coordinamento delle attivitá di cooperazione a livello nazionale; fornisce informazioni alleParti, alle organizzazioni intergovernative e non governative su fonti e meccanismi di finanzia-mento disponibili, in modo da facilitarne il coordinamento.

Nuovi sviluppi e prospettive. Il Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile (WSSD),Johannesburg 2002, ha riconosciuto la UNCCD come uno strumento importante per ridurre lapovertà. La Seconda Assemblea generale del Global Environmental Facility (GEF), Beijing 2002,ha deciso che il GEF diventi un meccanismo finanziario della UNCCD. La COP 6 ha deciso diaccettare il GEF come un meccanismo finanziario della UNCCD.

L’Annesso IV della Convenzione per il Nord Mediterraneo e l’attuazione del PAN (Pianodi Azione Nazionale)

L’Annesso IV della Convenzione fornisce le linee guida per l’attuazione dell’UNCCD neiPaesi del Nord Mediterraneo a rischio di desertificazione, aventi le seguenti caratteristiche:

– clima semi-arido, siccità stagionale, variabilità del regime pluviometrico e pioggeimprovvise violente;

– suoli poveri, sensibili all’erosione, soggetti alla formazione di croste superficiali;

– rilievi eterogenei con forti pendii e paesaggi molto variati;

– perdita di coperture forestali a causa degli incendi;

– crisi dell’agricoltura tradizionale, caratterizzata dall’abbandono delle terre e dal dete-rioramento delle strutture di protezione del suolo e dell’acqua;

– sfruttamento irrazionale delle risorse idriche che provoca gravi danni all’ambiente;

– concentrazione dell’attività economica nelle zone costiere imputabile allo sviluppo del-l’urbanizzazione, delle attività industriali, al turismo e all’agricoltura irrigua.

226

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 226

L’Italia, la Spagna, la Grecia, il Portogallo e la Turchia fanno parte della Convenzionecome Paesi dell’Annesso IV e coordinano le loro attività attraverso l’azione di un gruppo regiona-le, che ha l’obiettivo di individuare comuni strategie e programmi. Tale gruppo:

– coopera con i gruppi d’azione dei Paesi in via di sviluppo;

– coopera con i gruppi d’azione dei Paesi del Mediterraneo orientale e del sud;

– pianifica e interviene sul proprio territorio nazionale, a livello sub-regionale e regio-nale.

L’Italia con legge n. 170 del 4 giugno del 1997 ha ratificato la Convenzione delle NazioniUnite sulla lotta alla Siccità e/o Desertificazione (UNCCD) che è stata firmata a Parigi nel 1994.La Convenzione rappresenta uno strumento giuridico internazionale che impegna tutti i paesi fir-matari a cooperare nella lotta alla desertificazione con lo scopo di attenuare gli effetti della sicci-tà nei paesi gravemente colpiti mediante un approccio che migliori le condizioni di vita dellepopolazioni locali.

Per adempiere agli obblighi della Convenzione, che prevede “la predisposizione di Piani diAzione Nazionale finalizzati allo sviluppo sostenibile con l’obiettivo di ridurre le perdite di pro-duttività dei suoli causate da cambiamenti climatici e attività antropiche”, il Governo italiano haadottato il Programma di Azione Nazionale (PAN) per la Lotta alla Siccità ed alla Desertificazio-ne con Delibera CIPE n. 299/99, che mette in evidenza come il problema sia sentito sul territorioitaliano, in particolare per quanto riguarda il ruolo delle attività antropiche, in associazione coneventi climatici estremi sempre più frequenti. Il PAN individua i settori di intervento consideratiprioritari, protezione del suolo, gestione sostenibile delle risorse idriche, riduzione dell’impattodelle attività produttive, riequilibrio del territorio, e le modalità di attuazione del Programma alivello locale e i possibili strumenti di pianificazione nell’ambito dei quali ricondurre le propostefinalizzate alla lotta alla desertificazione (legge n. 183/1989, Agenda 2000, POR). In tale conte-sto, le Regioni e le Autorità di Bacino sono i soggetti preposti all’attuazione di specifici program-mi di intervento da realizzare attraverso:

– progetti di prevenzione e mitigazione del fenomeno;

– uno sviluppo dell’occupazione nelle aree interessate;

– l’utilizzo di risorse comunitarie;

– specifiche attività di formazione, informazione ed educazione;

– interventi di tipo intersettoriale con il coinvolgimento del maggior numero possibile diattori sociali pubblici e privati.

Premesso che nessuno dei livelli di governo in Italia (nazionale, regionale, subregionale)ha emanato norme specificatamente mirate al problema della desertificazione, esistono tuttavianorme o leggi a livello nazionale che fanno riferimento a tale problematica (legge 183/89 “Normeper il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo” ed il decreto legislativo 152/99“Disposizioni sulla tutela delle acque dall’inquinamento”). In particolare, il DPCM del 26/09/97istituisce, presso il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il Cominato Nazionaleper la Lotta alla Siccità e alla Desertificazione, che è un organo collegiale che si prefigge di coor-dinare l’attuazione della convenzione. È rappresentato da figure ministeriali, presidenziali, regio-nali, istituzioni scientifiche, allo scopo di affrontare il problema della desertificazione in tutti gliaspetti ambientali, sociali, economici e scientifici.

Gli obiettivi che il Comitato intende raggiungere sono:

– individuare strategie innovative per combattere la desertificazione;

– attuare il PAN;

227

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 227

– fornire il supporto necessario alle regioni e alle autorità di bacino per l’individuazionedelle “aree vulnerabili alla desertificazione”;

– precisare i parametri e gli indicatori per la valutazione del fenomeno della desertifica-zione;

– precisare gli standard e le metodologie più idonee alla conoscenza, prevenzione e miti-gazione dei fenomeni di desertificazione nelle aree vulnerabili;

– inventariare le tecnologie, le conoscenze e le pratiche tradizionali e locali che contribui-scono al risparmio delle risorse e alla lotta alla desertificazione;

– coinvolgere l’opinione pubblica;

– creare un idoneo quadro legislativo;

– promuovere le attività di ricerca;

– coordinare le attività con gli altri Paesi del Mediterraneo in particolare quelli dell’An-nesso IV.

L’attuazione del PAN è affidata alla realizzazione degli interventi da parte delle regioni edelle autorità di bacino, di accordi volontari realizzati considerando le innumerevoli realtà produt-tive che caratterizzano il nostro territorio, e coinvolgendo le amministrazioni locali, le organizza-zioni non governative ed i consumatori.

Ogni PAN è stato redatto utilizzando strumenti, norme, indicatori per la valutazione delrischio di desertificazione comuni, per armonizzare le azioni di lotta in tutti i Paesi dell’Annes-so IV.

Le linee guida da seguire per l’attuazione del PAN in Italia, prendono in considerazione leseguenti attività:

– completamento ed analisi delle conoscenze in materia di desertificazione;

– cooperazione internazionale con i Paesi in via di sviluppo ed altri colpiti dal fenomeno;

– verifica ed adeguamento dei programmi di utilizzo delle risorse agro-forestali ed idro-geologiche e contenimento dei fattori di rischio;

– individuazione delle strategie per l’integrazione delle misure di lotta alla desertificazio-ne in tutti i settori dell’attività umana;

– programmi di educazione e sensibilizzazione sui temi della desertificazione;

– politiche di prevenzione al fine della riduzione del degrado del territorio e promozionedello sviluppo sostenibile e valutazione degli effetti nell’adozione di queste politiche;

– gestione del Piano di Azione Nazionale;

– azione di coordinamento amministrativo.

Il PAN prevede la valutazione, da parte del Comitato Nazionale per la Lotta alla Siccità ealla Desertificazione, delle aree vulnerabili alla desertificazione corredata dalle misure e dagliinterventi specifici che si intendono adottare per ogni situazione, individuati in particolareggiatiprogrammi regionale.

Tali programmi prendono in considerazione quattro principali settori:

1. Protezione e gestione del suolo, che interessa in particolare:

– le aree agricole a produzione intensiva e marginale;

– le aree a rischio di erosione accelerata;

– le zone degradate da contaminazione, inquinamento, incendi;

– le aree incolte e abbandonate.

228

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 228

Si individuano misure quali:

– la realizzazione di cartografia pedologica a scala adeguata;

– la gestione sostenibile ed ampliamento del patrimonio forestale;

– l’aggiornamento degli inventari forestali e delle normative di riferimento al fine di alli-neare la politica forestale italiana con gli impegni assunti in sede europea ed internazio-nale;

– lo sviluppo della produzione vivaistica per la diffusione delle specie mediterranee;

– la prevenzione e lotta agli incendi;

– la protezione dei pendii e regimazione delle acque mediante interventi a basso impattoambientale.

2. Gestione sostenibile delle risorse idriche, che individua:

– l’adozione dei piani di tutela delle acque e la definizione del bilancio idrico a livello dibacino idrologico o per aree significative di minore estensione;

– la definizione e controllo del fabbisogno idrico;

– l’aggiornamento e revisione degli strumenti di controllo e verifica delle autorizzazionidegli scarichi e delle derivazioni, al fine di perseguire una migliore protezione dei corpiidrici superficiali e sotterranei;

– il miglioramento dell’efficienza della rete di distribuzione idrica per ridurre sprechi eperdite;

– la razionalizzazione delle attività irrigue tramite l’adozione di tecniche di distribuzioneefficienti e la corretta programmazione degli interventi irrigui, privilegiando le produ-zioni tipiche mediterranee;

– il controllo e la razionalizzazione degli emungimenti idrici;

– l’incentivazione della ricerca sugli usi multipli dell’acqua in aree rurali ed urbane;

– lo sviluppo del riutilizzo delle acque reflue in agricoltura;

– lo sviluppo dei piani di prevenzione, mitigazione ed adattamento in relazione agli effet-ti di eventi di siccità;

– la raccolta ed il riutilizzo dell’acqua piovana in nuovi quartieri urbani e ripristino neicentri storici dei sistemi di raccolta andati in disuso.

3. Riduzione dell’impatto delle attività produttive, che individua:

– la mitigazione degli impatti dei processi produttivi, al fine di ridurre il consumo di risor-se non rinnovabili;

– l’attuazione di misure finalizzate all’adozione di sistemi di produzione agricola, zoo-tecnica e forestale, in grado di prevenire il degrado fisico, chimico e biologico del suo-lo;

– l’impiego della frazione organica dei residui solidi urbani derivata dalla raccolta diffe-renziata e dagli scarti organici di origine agricola per la produzione di compost di quali-tà;

– il controllo della pressione delle attività turistiche sulle aree vulnerabili mediante incen-tivi alla destagionalizzazione, alla diversificazione dell’offerta e alla riduzione del con-sumo idrico.

4. Riequilibrio del territorio, che individua:

– il recupero dei suoli degradati;

229

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 229

– la bonifica e la rinaturalizzazione dei siti contaminati di discariche di aree minerarieabbandonate;

– la ricostruzione del paesaggio e l’attuazione di politiche integrate di pianificazione deisistemi territoriali, in particolare lungo le fasce costiere e per le isole minori;

– l’incentivazione di attività produttive e turistiche sostenibili in aree marginali collinari emontane;

– la rinaturalizzazione e la trasformazione ambientale di aree soggette a fenomeni didegrado in ambito urbano ed industriale;

– l’incentivazione all’adozione di piani urbanistici che prevedano l’impiego di tecnologieorientate al ripristino e all’uso appropriato delle risorse naturali;

– il riutilizzo delle tecnologie tradizionali ed il recupero integrato dei centri storici.

6.8.3 Accordi di Programma 2004 e 2005 tra Ministero dell’Ambiente e della Tuteladel Territorio e Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità e alla Desertificazione

6.8.3.1 Piano operativo 2004 del Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità e allaDesertificazione

Attività: Sensibilizzazione, informazione, educazione della società civile anche a mezzo diconvegni, congressi, tavole rotonde, manifestazioni varie e “mass media” disponibili e diffusionedelle conoscenze ai soggeti coinvolti nella progettazione di piani e programmi di lotta alla siccitàed alla desertificazione.

1. Progettazione, realizzazione e divulgazione di un programma di educazione, informazionee sensibilizzazione sul rischio siccità e desertificazione destinato a tutta la popolazione efinalizzato alla formazione di una coscienza ambientale formata sulla salvaguardia e sullatutela del patrimonio ambientale.

2. Convegno internazionale “Tecnologie avanzate e conoscenze tradizionali”.

3. Individuazione delle aree soggette a fenomeni di siccità - Linee guida.

4. Valorizzazione delle tecnologie e dei brevetti italiani nel settore delle energie rinnovabiliper la lotta alla desertificazione.

5. Supporto alla predisposizione e monitoraggio delle attività di regioni ed autorità di bacinoper l’implementazione del PAN.

6. Gestione e aggiornamento di un Clearing House Mechanism italiano.

7. Verifica e diffusione a livello regionale e locale di un modello di rischio desertificazioneapplicabile su scala nazionale.

8. Contributo al convegno regionale “Il ruolo dei dottori in Agraria e Forestali nelle attività dicontrasto alla desertificazione. Ipotesi progettuali per un assetto sostenibile del territorio”.

9. Contributo al Congresso internazionale “InterDrought-II”.

10. Formazione di tecnici delle istituzioni territoriali al fine di sviluppare iniziative di lotta allasiccità e alla desertificazione.

11. Elaborazione di standard operativi orientati alla gestione sostenibile e all’ampliamento delpatrimonio forestale nelle aree sensibili ai processi di desertificazione.

12. Valutazione dello stato ed evoluzione della copertura vegetale in Italia mediante l’impiegodi immagini telerilevate.

230

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 230

13. Definizione del rapporto tra tasso di erosione dei suoli e substrato litologico in base airisultati del progetto BABI.

14. Variazioni della copertura forestale nel territorio veneto del bacino idrografico dell’Adige.Verifica esistenza processi di desertificazione.

15. Predisposizione di reporting a livello nazionale (country profiles, etc.) per gli adempimen-ti degli obblighi internazionali.

16. Identificazione e formulazione di un programma-pilota di lotta contro la siccità e la deser-tificazione nelle tre principali regioni ecologiche della Tunisia (Nord, Centro e Sud delpaese).

6.8.3.2 Piano operativo 2005 del Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità e allaDesertificazione

1. EDUCAZIONE, FORMAZIONE E SENSIBILIZZAZIONE

a. Obiettivi

Al fine di attuare quanto previsto dal Programma di Azione Nazionale di Lotta alla Siccitàe alla Desertificazione, contenuto nella Delibera CIPE 299/99 del 21/12/1999, il CNLSD intra-prende un piano di promozione della formazione, dell’informazione e della sensibilizzazione,finalizzato a stimolare l’inserimento delle tematiche della lotta alla siccità e alla desertificazionenell’ambito dello sviluppo sostenibile nei Piani di Offerta Formativa delle scuole primarie esecondarie. Si prevede la realizzazione di corsi di formazione rivolti a quadri tecnici e decisorilocali e la realizzazione di campagne di informazione al pubblico da parte delle Amministrazionipubbliche, ad incremento di quanto già avviato con il precedente Accordo di Programma 2004.

b. Attività previste

Le attività previste nel piano di Educazione, di Formazione e di Sensibilizzazione sonoarticolate in tre distinti moduli, ognuno dei quali rivolto ad utenti diversi, più un’attività di forma-zione a distanza. Il primo modulo si rivolge alle scuole primarie e secondarie, il secondo adamministratori locali e tecnici, il terzo si prefigge la sensibilizzazione della popolazione attraver-so la realizzazione di attività di partecipazione con filmati, mostre e incontri. Le attività verrannosvolte in collaborazione fra il CNLSD e le Amministrazioni regionali, utilizzando i fondi delComitato con una funzione catalitica, al fine di orientare ed utilizzare anche altri fondi già esi-stenti presso le Amministrazioni regionali e provinciali.

b.1. Formazione rivolta agli insegnanti ed agli studenti delle scuole primarie e secondarie

In armonia con le attività svolte con il precedente Piano Operativo 2004 dall’Universitàdella Calabria ed in relazione alla presentazione dello stand durante il CRIC3 a Bonn del proget-to ENEA per le scuole “Educarsi al Futuro”, verranno intraprese delle azioni di sensibilizzazionee di formazione rivolte alle scuole, con il coinvolgimento degli uffici scolastici regionali e provin-ciali competenti.

Le attività promosse dal CNLSD saranno finalizzate a:

– promuovere seminari e incontri di sensibilizzazione di dirigenti scolastici, docenti diriferimento e Responsabili degli EE.LL. per la creazione di Reti di Scuole che aderi-scano al progetto e alla campagna “1 € al mese per studente”, destinata alla elettrifica-zione di scuole e villaggi rurali in aree particolarmente disagiate del Pianeta con sistemifotovoltaici;

231

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 231

– realizzare un concorso nazionale per le scuole partecipanti al progetto “Educarsi al futu-ro” che producano percorsi e materiali didattici innovativi sulla lotta alla povertà, allasiccità e alla desertificazione;

– promuovere un programma di partenariati internazionali fra le scuole in rete per la rea-lizzazione di piccoli progetti integrati di elettrificazione rurale, al fine di favorire la par-tecipazione e gli scambi fra scuole italiane e scuole del sud del mondo in aree affette dasiccità e da desertificazione.

Le attività didattiche previste dal programma “Educarsi al futuro” avranno un caratteremultidisciplinare ed affronteranno tematiche di tipo tecnologico, storico, sociale, economico edambientale, al fine di mettere in luce le interazioni tra i diversi aspetti e promuovere, insieme allaconoscenza, la sensibilizzazione e il senso di appartenenza al territorio e al suo futuro sviluppo. Ilprogetto di formazione scolastica verrà elaborato in sinergia con i programmi promossi da organi-smi internazionali (UNCCD, UNESCO), anche avvalendosi dei materiali didattici già da essi residisponibili.

b.2. Formazione dei quadri tecnici e decisori politici locali coinvolti in tematiche attinenti allasiccità e alla desertificazione

In collaborazione con i competenti uffici delle amministrazioni regionali interessate alprogetto verranno individuati i “centri di competenza - o di eccellenza” per attivare azioni diformazione a carattere teorico e pratico, finalizzati alla diagnosi ed agli interventi di lotta allasiccità e alla desertificazione. L’attività verrà svolta anche in armonia con quanto già effettuatocon il precedente Piano Operativo 2004, e sarà mirata a mostrare esempi di intervento ed a sen-sibilizzare i decisori politici locali, attraverso dimostrazioni che si avvalgano di modelli di sup-porto alle decisioni.

Sulla base di azioni già svolte con le regioni Sardegna, Sicilia e Basilicata in precenti pro-getti, verranno identificati gli stakeholders locali con i quali avviare azioni di formazione pilota acarattere tecnico-pratico.

b.3. Sensibilizzazione della popolazione

Al fine di realizzare le attività di sensibilizzazione e partecipazione da parte della popola-zione si propone di organizzare, in sinergia con le attività di formazione scolastica, conferenze eseminari regionali rivolti ai cittadini, una o più mostre itineranti ed opuscoli informativi al fine disensibilizzare l’opinione pubblica alle tematiche della siccità e della desertificazione. L’attività sipotrà avvalere della consulenza di società di grafica e di esperti editoriali. I seminari e le confe-renze verranno programmate di concerto con le Amministrazioni regionali interessate a questaattività.

b.4. Sviluppo di una piattaforma di e-learning

Si prevede la creazione di percorsi didattici e di moduli formativi a distanza, dedicati adutenti quali studenti, insegnanti, tecnici, amministratori. Sfruttando le esistenti infrastruttureinformatiche, si possono realizzare percorsi formativi sui temi della lotta alla siccità ed alla deser-tificazione. I corsi saranno fruiti da postazioni remote con l’ausilio di docenti e tutor in videocon-ferenza. L’attività richiede che il progetto possa avvalersi di esperti delle tematiche da affrontaree che la trasposizione informatica dei moduli didattici venga realizzata da società di servizio spe-cializzate in queste professionalità.

232

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 232

2. MONITORAGGIO E VALUTAZIONE FUNZIONALE DEGLI INTERVENTI DI RIMBO-SCHIMENTO E OLIVICOLTURA PER LA LOTTA ALLA DESERTIFICAZIONE IN ITALIA

a. Obiettivi

Al fine di supportare le attività regionali nell’ambito delle misure previste per il PAN dallaDeliberazione CIPE del 1999 (ampliamento del patrimonio forestale), si propone di procedere a:

– una ricognizione dello stato funzionale dei rimboschimenti e delle piantagioni da legno,e delle colture arboree (e.g., olivo) in relazione ai diversi livelli di rischio di desertifica-zione in Italia;

– prefigurazione di interventi migliorativi di riforestazione nelle aree marginali in via diabbandono dall’agricoltura nelle zone a diverso livello di rischio di desertificazione.

In particolare, nell’ottica delle specifiche raccomandazioni del CRIC-3, obiettivo finalesarà anche:

– la messa a punto un set di indicatori operativi per la valutazione comparativa del poten-ziale sinergico dei progetti di riforestazione (rimboschimenti e piantagioni da legno) edi modifica della gestione degli oliveti ai fini di lotta alla desertificazione, difesa delsuolo, conservazione della biodiversità, fissazione di carbonio atmosferico.

b. Attività previste

La definizione delle linee di gestione sostenibile delle aree sottoposte a rimboschimento e acolture arboree permanenti, con particolare riferimento all’olivo, verrà basata sull’analisi incro-ciata dei fattori di rischio di desertificazione e dell’efficienza funzionale connessa alle principalitipologie di interventi di riforestazione e all’olivicoltura. I fattori di rischio saranno individuatiutilizzando sia l’Atlante Nazionale delle aree a rischio di desertificazione (elaborato da CRA-ISSDS), sia la metodologia ESA.

Le coperture a rimboschimento e a colture permanenti (olivo) saranno identificate e loca-lizzate a partire da Corine Land Cover 2000, integrata da ulteriori documenti disponibili a livelloregionale, ricognizioni a terra e utilizzando il catasto oleicolo nazionale.

L’analisi delle situazioni di criticità funzionale sarà condotta mediante rilevamenti campionein campo e supportata dalla quantificazione dei trend spettrali indicatori della riduzione della bio-massa fotosinteticamente attiva sulla base di una serie storica di immagini di NDVI stagionali.

Ciò permetterà la verifica delle criticità delle differenti modalità di gestione e la conseguen-te definizione dei possibili interventi di mitigazione dei processi di degradazione e del suolo (ero-sione, etc.) e desertificazione eventualmente in atto e le modalità ottimali di gestione sostenibile.

Il lavoro verrà articolato nelle seguenti fasi:

– individuazione di indicatori ed elaborazione di una metodologia condivisa per il censi-mento delle formazioni forestali artificiali e delle colture arboree nelle aree sensibili deiterritori indagati;

– predisposizione del data-base relativo alla copertura delle formazioni forestali artificia-li e delle colture arboree nelle aree sensibili dei territori indagati, inclusi eventualiapprofondimenti a livello locale per l’individuazione delle zone sensibili;

– analisi dei dati e individuazione delle criticità delle differenti tipologie di gestione degliinterventi di rimboschimento e olivicoltura nei territori a diverso livello di rischio didegrazione dei suoli e desertificazione, inclusa l’elaborazione, per alcune aree, di bilan-ci idrici specifici relativi agli appezzamenti sui quali sono stati realizzati tali impianti;

– sviluppo di metodologie di valutazione e monitoraggio degli interventi utilizzando tec-niche di remote sensing;

233

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 233

– prefigurazione di interventi migliorativi nelle aree marginali in via di abbandono dal-l’agricoltura nelle zone a diverso livello di rischio di desertificazione;

– messa a punto di indicatori operativi per la valutazione comparativa del potenzialesinergico dei progetti di riforestazione e modifica di gestione degli oliveti ai fini di lot-ta alla desertificazione, difesa del suolo, conservazione della biodiversità, fissazione dicarbonio atmosferico;

– presentazione dei risultati.

3. METODOLOGIA PER LA VALUTAZIONE DEI DANNI DA SICCITÀ

a. Obiettivi

Obiettivo del Progetto è la definizione e messa a punto di una metodologia - corretta, vali-data e condivisa per la valutazione dei danni economici e sociali derivanti dalla siccità, al fine diottenere risorse finanziarie adeguate a contrastare questo fenomeno, che è ben più grave di quan-to comunemente non si percepisca.

È alla “Classe Politica” in senso lato ed ai vari livelli (Parlamento, Governo, Regioni) chespettano le decisioni circa la allocazione delle risorse disponibili tra diversi tipi di intervento possi-bili. Le risorse sono però sempre scarse e le alternative di intervento molto numerose, per cui nonc’è denaro per tutti. Il “Politico”, dovendo scegliere cosa finanziare e cosa no, ed in quale misura,orienta le sue preferenze in funzione delle sollecitazioni che ha (in particolare da parte del suo colle-gio elettorale) e delle conoscenze o percezioni che egli ha circa il maggiore o minore effetto positi-vo che egli presume si abbia allocando finanziamenti all’intervento A, oppure al B, al C, e così via.

Ovviamente, l’effetto positivo di un qualsiasi intervento può essere valutato in modo diver-so: può essere maggiore reddito, maggiore occupazione, etc. oppure minore danno da eventiavversi, e così via. Ciascun Politico si costruisce una scala di priorità tra gli interventi possibili;poi, nelle sedi competenti, dall’incontro-scontro dei diversi pareri dei diversi Politici deriva laallocazione finale delle risorse. Fin qui non si dice niente di nuovo nel meccanismo di presa del-le decisioni d’impatto pubblico.

Il punto è però che, nella scala delle priorità degli interventi, una reale ed efficace lotta allasiccità non è certamente ai primi posti. Questo accade almeno per due motivi.

Il primo è che la siccità viene percepita dalla opinione pubblica – e quindi dal “Politico” –come un fatto grave solo nel momento in cui essa è tale da farsi avvertire nettamente (si pensisolo alle recenti preoccupazioni per la pianura padana; appena cade un poco di pioggia nessuno cipensa più e si spera (per la tendenza psicologica di allontanare dalla mente cose sgradevoli ecostose) che non serva investire denaro per prevenire la prossima occasione (che ci sarà, e come).

Il secondo motivo è che l’opinione pubblica ed il “Politico” hanno solo una vaga e forte-mente incompleta idea dell’entità dei danni che determina la siccità, che ormai non è più pura-mente occasionale e straordinaria, non solo nel Mezzogiorno ma anche nel Nord (ove cresceanche la carenza di neve).

Allora, se fosse possibile definire una metodologia, corretta e ripetibile in modo omogeneonelle varie regioni, con la quale dapprima individuare l’intera tipologia dei danni che la siccitàarreca – e che non è solo la perdita di produzione agricola per la quale gli agricoltori protestano echiedono i danni allo Stato – e quindi poi, determinare con buon livello di approssimazione l’en-tità dei danni espressi in termini economici e sociali, si potrebbe dimostrare al “Politico” ed allaopinione pubblica che il danno per la collettività è molto alto, ben maggiore di quanto si può pen-sare nei soli momenti di evidente crisi.

234

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 234

Questo significherebbe far salire di molto il problema della siccità nella scala di prioritàdegli interventi pubblici, e consentirebbe una maggiore destinazione di risorse a tale problema.Naturalmente questo risultato si può ottenere nella misura in cui la valutazione dei danni non siaun fatto estemporaneo dovuto alla inventiva di un qualcuno, bensì il risultato della applicazione diuna metodologia convalidata da dati e fatti ottenuti da fonti sicure e controllabili, fonti che, allostato attuale, è spesso difficile reperire ed – a volte – interpretare.

Una prima riflessione su tale metodologia era stata avviata in riferimento alla regionePuglia, e nel Convegno di Maratea si era cercato di illustrarne i principi.

All’incontro di Kufra e nella seduta del Comitato del 31 maggio 2005 è stata verbalmentepresentata la proposta di avviare un apposito Progetto – da finanziare su le disponibilità dell’Ac-cordo di Programma 2005 – volto alla definizione della citata metodologia; nella riunione dell’8luglio 2005 è stata distribuita una nota, relativa soprattutto ad una prima fase.

A seguito dell’assenso e dell’interesse mostrato anche dai Rappresentanti delle Regioni, siè predisposto il presente Progetto che riprende l’obiettivo e la tematica e si articola in due fasi, laprima relativa alla definizione “di base” della metodologia, fatta in riferimento alla Puglia ed uti-lizzando i dati che in essa sarà possibile rilevare, e la seconda dedicata all’applicazione del meto-do – e quindi alla sua “calibratura” definitiva – nelle regioni Sicilia, Abruzzo, Piemonte.

Un Comitato scientifico, la collaborazione di Esperti e la supervisione e l’assistenza deiRappresentanti delle Regioni nel Comitato assicurerà la fattibilità del Progetto e la validità deirisultati. Il sottoscritto assicurerà il coordinamento scientifico del progetto.

b. Attività previste

Il progetto è articolato su due fasi, alle quali potrà eventualmente seguire una terza.

Prima fase: stesura delle linee metodologiche di base, con la definizione della tipologia deidanni da siccità (più semplice) e di desertificazione (più complesso), la individuazione delle fon-ti dei dati e delle problematiche legate alla loro rilevazione. Applicazione del metodo alla regionePuglia per un certo numero di anni, evidenziazione dei punti da approfondire.

Seconda fase: applicazione del metodo alle altre tre Regioni indicate e definitiva sua mes-sa a punto alla luce della eventuale ulteriore problematica emersa in esse. Definizione dellemodalità di aggiornamento e di interscambio di dati e risultati tra le Regioni.

Una terza, eventuale, fase – se il Comitato lo riterrà – è quella della presentazione pubblicadel Progetto e dei suoi risultati, attraverso un Convegno, la stampa e diffusione di un appositovolumetto, etc.

4. PROGRAMMA DI AZIONI LOCALI

a. Obiettivi

Scopo della presente scheda progettuale è quello di affiancare le Regioni e le Autorità diBacino nella messa a punto e nell’implementazione dei loro rispettivi Piani di Azione Locale(PAL), così come è espressamente richiesto al CNLSD, quale organo consultivo delle istituzionidecentrate, dalla delibera CIPE 229/99, anche al fine di individuare interventi concreti e durevoliche garantiscano:

– la protezione del suolo;

– la gestione sostenibile della risorsa idrica;

– la riduzione dell’impatto delle attività produttive;

– il riequilibrio del territorio.

235

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 235

Per gli interventi di cui sopra, individuati attraverso l’utilizzo dei criteri di sostenibilitàdegli interventi previsti dai più recenti indirizzi Comunitari e Nazionali e mirati alla mitigazionedegli effetti dei fenomeni della siccità e desertificazione, deve essere indicato il livello di prioritàe quantificato il fabbisogno finanziario.

b. Attività previste

Sulla base dei risultati derivanti dalle attività svolte nell’ambito dell’AdP 2004, e con par-ticolare riferimento alle indicazioni contenute nelle schede progettuali che prevedono la definizio-ne di “Linee guida per l’individuazione delle aree soggette a fenomeni di siccità e desertificazio-ne”, si vuole sviluppare, a livello regionale, un’attività di testing che dia modo di verificare l’ap-plicabilità e la risposta del territorio a quanto predisposto.

Per un più proficuo svolgimento della sperimentazione di cui sopra e per un ottimale utiliz-zo delle risorse economiche che verranno messe a disposizione, sono stati individuati i territori dialcune delle Regioni meridionali più soggette a fenomeni di siccità e desertificazione, come Basi-licata, Puglia, Sardegna e Sicilia; inoltre, al fine di disporre di un “campione più significativo”della realtà territoriale del paese, si è ritenuto opportuno estendere il test anche a Regioni qualiAbruzzo e Piemonte e ad Autorità di Bacino particolarmente rappresentative.

Una volta terminata la fase di sperimentazione e la messa a punto del PAL per ognuna del-le Regioni sopra citate, si potrà procedere al confronto con la metodologia ed i risultati di espe-rienze sviluppate in altre Regioni italiane al fine di pervenire ad un prodotto metodologico condi-viso da portare all’attenzione di tutte le Regioni italiane.

L’attività sopra descritta si svilupperà nelle seguenti fasi:

1. attività propedeutiche per l’organizzazione e l’impostazione generale delle attività suc-cessive e costituzione e organizzazione dei Gruppi di lavoro;

2. analisi degli elaborati e dei risultati derivanti dall’attività svolte nell’ambito dell’AdP2004 con particolare riferimento alle indicazioni contenute nelle schede progettuali cheprevedono la definizione di “Linee guida per l’individuazione delle aree soggette afenomeni di siccità e desertificazione” e l’individuazione di uno specifico set di indica-tori funzionali alla descrizione e rappresentazione del fenomeno;

3. individuazione, a partire dall’attività di analisi di cui al punto precedente, di uno speci-fico insieme di indicatori di riferimento in funzione della successiva fase di definizionedelle aree soggette a fenomeni di siccità e desertificazione; tale set di indicatori potràessere integrato attraverso l’analisi di esperienze di altre realtà regionali che hanno giàeffettuato una prima individuazione di indicatori utili per definizione di aree soggette afenomeni di siccità e desertificazione;

4. acquisizione di un adeguato quadro conoscitivo attraverso il reperimento di informa-zioni derivanti dagli strumenti di pianificazione vigenti (PTA, PAI, PSR, PIT, etc.) dal-le rispettive amministrazioni regionali; il reperimento delle informazioni primarie deri-vanti dagli strumenti di pianificazione adottati dalle Regioni coinvolte nella sperimenta-zione metodologica, dovrà essere funzionale alla costruzione del set di indicatori di cuial punto precedente;

5. individuazione, anche in relazione ai dettami del Dlgs 152/99, delle aree soggette afenomeni di siccità e desertificazione attraverso l’utilizzo delle linee guida messe a pun-to con l’AdP 2004 e del set di indicatori individuato;

6. predisposizione, attraverso l’identificazione di interventi/misure complementari ed inte-grativi mirati alla mitigazione e/o eliminazione delle criticità rilevate, del PAL perognuna delle Regioni designate;

236

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 236

7. predisposizione, tramite la stima del costo relativo ad ognuno degli interventi indivi-duati, del conseguente programma economico finanziario;

La messa a punto del dettaglio delle Azioni Locali, nell’ambito delle linee guida sopra indi-cate, terrà presente la specificità degli ambiti territoriali interessati nonché dello stato di implica-zione attiva delle istituzioni regionali. Per lo svolgimento delle Azioni Locali, in ciascuna delleRegioni interessate sarà costituito un gruppo di esperti o giovani laureati, con i quali stipulareconvenzioni/contratti, od anche a mezzo di specifiche borse di studio.

5. PROGRAMMA “CARTOGRAFIA”

L’analisi geografica e la restituzione cartografica, sia degli indici sintetici di rischio o disensibilità alla desertificazione, che delle singole variabili alla base di questo processo, sono ele-menti conoscitivi essenziali per un’efficace azione di monitoraggio e di contrasto del fenomeno.

Già nel 1999 un gruppo di lavoro costituito nell’ambito dell’allora “Comitato NazionaleLotta alla Desertificazione” ha prodotto una “Carta preliminare delle aree sensibili alla desertifi-cazione” che costituisce la prima esperienza in questo senso a livello nazionale.

Questa carta è stata costruita secondo una metodologia propria che ha, comunque, tenutoconto dei criteri generali enunciati a questo scopo dall’UNCCD. Altre esperienze si sono succe-dute che hanno visto l’introduzione del modello ESA (Environmentally Sensitive Areas), svilup-pato nell’ambito del progetto MEDALUS. Si tratta di applicazioni realizzate perlopiù a scalaregionale; tra le applicazioni a scala nazionale UCEA ha sviluppato una valutazione applicandosia il metodo ESA che un approccio proprio.

a. Obiettivi

Dai risultati finora ottenuti emerge la necessità di ottenere una cartografia aggiornata delrischio di desertificazione che costituisca un riferimento a livello nazionale e che, più in particolare:

– utilizzi un modello di valutazione da applicare a livello nazionale che sia il più possibi-le condiviso e verificato sulla base delle esperienze pregresse in molte regioni italiane eall’estero;

– risponda alle esigenze di fornire non solo una valutazione statica del rischio, ma indica-zioni sulla sua evoluzione nel tempo;

– sia in grado di fornire indicazioni operative sull’importanza relativa delle variabili daadottare, sulle procedure di derivazione degli indici sintetici di rischio, sull’analisi erappresentazione di dati a diversa scala spaziale e temporale.

In prospettiva, tutti i prodotti ottenuti (cartografie, linee-guida, etc.) dovranno essere fruibi-li attraverso modalità da definire (CD multimediale con browser per cartografia, mappe e docu-menti da “pubblicare” su siti internet, portale cartografico nazionale).

b. Attività previste

Per rispondere agli obiettivi prima enunciati si propone di svolgere le seguenti attività alivello nazionale:

– applicazione del modello ESA modificato, “componendo” le variabili secondo lo sche-ma di indici di qualità “settoriali” e di derivazione dell’indice sintetico previsto dallametodologia ESA, che tenga conto della diversa importanza delle variabili che inter-vengono nella valutazione del rischio e della conseguente attribuzione (previa analisistatistica multivariata e/o valutazione “export-based”) di pesi nella derivazione degliindici sintetici. Verifiche sulla base di analisi di sensitività (sulle variabili, sui pesi);

237

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 237

– impostazione di uno specifico lavoro cartografico su indicatori di vulnerabilità alladesertificazione per i settori agricoltura, demografia, aree protette, turismo, impattoantropico e comunque afferenti alla area tematica ESA ‘management’;

– stesura di linee guida che forniscano indicazioni operative sui criteri di selezione dellevariabili, sull’analisi e rappresentazione multi-scala e multi-temporale dei dati utilizza-ti e dei risultati ottenibili;

– predisposizione della documentazione e della cartografia ottenuta per le modalità di dif-fusione prescelte (CD multimediale o pubblicazione su sito Internet ad esempio con tec-nologie Web-GIS).

6.9 Conclusioni

Al termine di questo lavoro si può affermare che la desertificazione, alle nostre latitudini, èun processo di degrado delle terre lento, ma allo stesso tempo in sensibile evoluzione. Questofenomeno è determinato soprattutto dall’impatto antropico, mentre le componenti climatica efisiografica rappresentano fattori più o meno predisponenti. La lotta al degrado delle risorse natu-rali ad opera delle diverse attività produttive, deve rappresentare un impegno sociale, un onereper tutti i soggetti interessati a mantenere un presidio vitale sul territorio. Tra le azioni da conside-rare con priorità vi è sicuramente l’ampliamento dei comprensori irrigui, contestuale ad un mag-giore controllo degli emungimenti abusivi, nell’assunzione consapevole che una corretta gestionedell’acqua, che curi l’interesse della collettività, rappresenti un valido sistema di lotta alla deser-tificazione. Un secondo elemento è rappresentato dalle misure di conservazione dei suoli, conte-stualizzate a livello territoriale sulla base delle diverse caratteristiche pedoclimatiche, orografichee di gestione aziendale, in termini di compatibilità ambientale ed economica. L’ultimo aspettoriguarda la salvaguardia degli ecosistemi naturali, che hanno subito profonde trasformazioni nelcorso degli ultimi cinquanta anni e rappresentano un patrimonio di inestimabile valore in terminidi biodiversità e di tutela del territorio.

L’allarme lanciato da tutte le Convenzioni globali stenta a concretizzarsi in azioni efficaci alivello nazionale. Viceversa sono spesso ridondanti gli studi, le analisi, le valutazione e le attivitàdi monitoraggio. Occorre invertire questa tendenza per utilizzare al meglio le conoscenza finoraacquisite e trasformarle in azioni politiche di prevenzione ed intervento sul territorio.

Bibliografia

In appendice

238

•Capitolo06 13-06-2007 10:17 Pagina 238

CAPITOLO 7

ANALISI SULLA QUALITÀ DELLE ACQUE DESTINATE A SCOPI IRRIGUI*

Abstract

Il concetto della qualità delle acque ha subito nel tempo un progressivo approfondimentocon l’evolversi delle conoscenze sulla struttura e la funzionalità dei corpi idrici e ciò si riflettenell’aggiornamento della legislazione nazionale e comunitaria sulla tutela e gestione delle risorseidriche. Una visione ecosistemica dei corpi idrici determina la definizione di obiettivi ambientaliche rispondano ad un buono stato ecologico e chimico (buono stato ambientale) per le acque e pergli ecosistemi associati, cioè una condizione per cui il corpo idrico ha la “capacità di mantenerei processi naturali di autodepurazione e di supportare comunità animali e vegetali ampie e bendiversificate” (d.lgs 152/99, art. 4 comma 2).

Questi criteri metodologici si applicano anche ai corpi idrici artificiali quali gli invasi, ser-batoi e canali che contribuiscono alla dotazione di risorse propria di un bacino idrico.

La normativa nazionale alla base delle politiche di gestione, tutela e risanamento dellerisorse idriche è destinata a subire una sostanziale e complessiva trasformazione a seguito del-l’attesa pubblicazione del decreto legislativo derivante dalla legge 15 dicembre 2004 n° 308 chesi configura come Testo Unico sull’Ambiente e che prevede nella sua Parte Terza “Norme inmateria di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inquinamento edi gestione delle risorse idriche” e comprende il recepimento della Direttiva Quadro 2000/60/CEche istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.

In questo quadro decisamente focalizzato sulle condizioni ambientali dei corpi idrici nonsono disponibili controlli e protocolli specifici per le acque destinate all’uso agricolo pur esisten-do numerose norme tecniche di qualità delle acque per i vari usi che se applicate garantiscono unuso intelligente e sicure delle risorse.. Da un punto di vista agronomico la qualità delle acque,consigliata in funzione del tipo di coltura e delle tecniche di irrigazione, è definita sulla base diconsiderazioni di tipo produttivo o igienico tenendo conto solo marginalmente degli aspetti pret-tamente ambientali. Analogamente per quanto riguarda l’uso dell’acqua in agricoltura non vi sonospecifici programmi regionali di monitoraggio e controllo della qualità se non in situazioni localisegnate da una qualche criticità che li renda necessari

Pertanto le acque utilizzate in agricoltura presentano di fatto la qualità delle acque del cor-po idrico da cui sono prelevate senza specifici controlli o trattamenti.

Questa punto è molto importante per capire la diversità tra obiettivi ambientali (152/99 edecreto sul riuso delle acque reflue), obiettivi di protezione della salute (acque destinate al consu-mo umano) e obiettivi di interesse produttivo.

Le informazioni sugli usi delle acque prelevate dai corpi idrici naturali o artificiali nonsono aggiornate, sono molto dissimili da fonte a fonte e in genere sono molto carenti poiché sonodi fatto assenti i previsti controlli di conformità ai termini delle concessioni. Analogamente nonesiste un sistema nazionale che aggiorni periodicamente le stime sulla disponibilità in funzionedello stato degli apporti meteorici e che consenta quindi di valutare le disponibilità effettive, ilimiti dei prelievi da consentire per garantire lo stato qualitativo e quantitativo dei corpi idricisuperficiali e l’equilibrio di ricarica di quelli sotterranei.

239

* Claudio Fabiani, APAT - Servizio Tutela delle Risorse.

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 239

Scarso è il ricorso al riuso agronomico delle acque reflue trattate e nullo è il ricorso a siste-mi tecnologici di trattamento di acque marine e salmastre (dissalazione) per usi civili e agricoli.

Il tema trattato richiede quindi un approccio più organico e mirato per la raccolta e la valuta-zione delle informazioni necessarie in gran parte mancanti, vale a dire un vero progetto dedicato.

Water quality concept has deeply evolved in recent years due to the extended knowledge onwater bodies structure and functionality. This reflects on the updating of national and UE legisla-tion on water protection and management. The focus on water bodies as integrated ecosystemspush to identify environmental objectives reflecting a good ecological and chemical (environmen-tal) quality status that is a water body condition that allows “to maintain natural self-restorationprocesses and support wide and diversified animal and plant communities” (d.lgs 152/99, art. 4comma 2).

These criteria can be extended to artificial water bodies as artificial lakes, reservoirs,canals. that contributes to the available water resources in a river basin area.

The Italian legislation facing the management and protection water policy will widelychange following the enforcement of act from law December 15th 2004 n° 308 Testo Unico sul-l’Ambiente that in its Third Part establishes “Decisions on soil defence and actions againstdesertification, pollution water protection and water resources management” The legislativedecree includes the Water Framework Directive 2000/60/CE transposition into Italian nationallegislation.

This reference conceptual frame focused on the environmental water body conditions doesnot includes specific protocols and regulations for water used in agriculture even if several tech-nical guidances have been enforced for different uses of natural water resources.

The agronomic use of water in general implies quality criteria based on type of culture,irrigation techniques, human health protection while environmental concern is generally ignored.Similarly no specific programmes are in place for monitoring and control water used in agricul-ture unless of critical or emergency conditions.

Therefore water used in agriculture reflects the same quality as the water body which pro-vide the same water without specific analytical controls or treatment processes. This fact states alarge difference within environmental, health and production objectives.

Data on abstracted water and uses by sectors are poor, very different from source to sourceand not up to date, they generally repeat the term of the authorisation permits for abstraction.Similarly data on natural availability, loses and outflows are not sufficient in quality and qualityto assess sound water resources balances.

Treated wastewater reuse in agriculture is not significant and null is the contribution ofwater production from desalination processes both in civil and agriculture sectors.

To improve the picture on water quality for irrigational uses a more extended and in deepdata collection and analysis is needed.

7.1 La qualità delle risorse idriche: una premessa necessaria

Il concetto della qualità delle acque ha subito nel tempo un progressivo approfondimento,con l’evolversi delle conoscenze sulla struttura e la funzionalità dei corpi idrici presenti in un ter-ritorio e sulle mutue interrazioni tra territorio, ecosistemi e corpo idrico.

240

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 240

Prima che la tutela ambientale divenisse una priorità delle politiche territoriali, la qualità diun corpo idrico veniva valutata sulla base del valore di alcuni parametri chimici, fisici e microbio-logici rilevanti per la tutela della salute, in relazione ai diversi usi della risorsa: per il consumoumano, per la balneazione, etc.

In questa ottica l’attenzione del legislatore era focalizzata alla definizione di limiti quanti-tativi (quantitativi o di concentrazione) da rispettare nel caso di immissioni puntuali (scarichi) odiffuse di sostanze potenzialmente pericolose per la salute. Questo approccio, pur limitando loscarico incontrollato di inquinanti nelle acque, non ha sostanzialmente impedito un progressivodeterioramento della qualità delle risorse idriche e a reso necessaria una impostazione più artico-lata e mirata delle attività di tutela e risanamento dei corpi idrici.

Il processo di revisione della legislazione in atto, in Italia e più generalmente negli Statidella UE, ha comportato l’elaborazione progressiva di un diverso scenario concettuale su cuibasare le indicazioni, i criteri operativi e gli obiettivi di una più efficacia politica ambientale atutela delle acque.

Attualmente si è affermato un concetto più articolato di corpo idrico che meglio corrispon-de alle più avanzate conoscenze biologiche ed ecologiche. Un corpo idrico è ora visto come uninsieme di ecosistemi costituiti da acqua, suolo (sedimenti) e biota (comunità animali e vegetali adiversi livelli trofici), con una propria e complessa struttura e con specifiche funzionalità. In par-ticolare si sottolinea l’importanza della “funzionalità” dei corpi idrici espressa da un insieme difenomeni che tendono a garantire la vita e l’equilibrio di comunità animali e vegetali ben diversi-ficate e numerose, annullando o riducendo se possibile gli impatti qualitativi e quantitativi deter-minati dalle pressioni inquinanti o dagli usi eccessivi della risorsa.

Lo stato di qualità ecologico e ambientale del corpo idrico viene quindi a dipendere damolteplici interazioni chimiche, fisiche, biologiche e idromorfologiche tra le diversi componentinaturali dello stesso corpo idrico. Nel definire lo stato di un corpo idrico è quindi importante laqualità delle acque e dei sedimenti, la vitalità delle comunità viventi, lo scambio di materia edenergia con il territorio circostante e l’aria. Questi concetti sono assunti come principi da tutte lelegislazioni nazionali della UE anche a seguito della emanazione della direttiva quadro2000/60/CE che fissa gli obiettivi e i criteri di una politica comunitaria per le risorse idriche.

L’obiettivo minimo complessivo di questa politica è garantire e conservare un buono statoecologico e ambientale, qualitativo e quantitativo, per tutti i corpi idrici di qualunque tipologia: ifiumi, i laghi, le acque marino costiere, le acque di transizione, i corpi idrici artificiali e le acquesotterranee. Un Buono Stato Ambientale per un corpo idrico rappresenta una condizione per cui ilcorpo idrico ha la “capacità di mantenere i processi naturali di autodepurazione e di supportarecomunità animali e vegetali ampie e ben diversificate” (d.lgs 152/99, art. 4 comma 2).

Le definizioni normative dei possibili livelli in cui si può classificare lo stato ambientaledei corpi idrici (tabella 1), esemplificano in modo chiaro l’obiettivo perseguito dalla legislazione.

Le definizioni normative sono di applicazione generale per tutti i corpi idrici ma vengonospecificatamente adattate alle loro diverse tipologie, sulla base dei parametri ed elementi di quali-tà ambientali più significativi per ogni tipologia. Gli elementi di qualità ambientale consideratiriguardano comunque tre “componenti”: gli aspetti chimici, fisici, microbiologici ed idromorfolo-gici di base, il cilo dell’ossigeno, nutrienti, etc.), gli aspetti biologici e la presenza dei microinqui-nanti di sintesi e non.

Questi criteri metodologici si applicano anche ai corpi idrici artificiali quali gli invasi, ser-batoi e canali che contribuiscono alla dotazione di risorse propria di un bacino idrico. Nel casodei corpi idrici artificiali, che comunque sono anch’essi sistemi complessi come quelli naturali,

241

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 241

l’obiettivo ambientale è costituito dal massimo potenziale ecologico compatibile con la strutturadel corpo idrico e da un livello di inquinanti inferiore a certi standard ambientali fissati per tutela-re la salute dell’uomo e degli ecosistemi. Tuttavia il concetto di massimo potenziale ecologicorichiede ancora una definizione più precisa e una adeguata metodologia di calcolo o di stima,limitandosi il legislatore, a suggerire una assimilazione dello stato dei corpi idrici artificiali aquelli dei corpi idrici naturali simili: canali con corsi d’acqua, invasi con laghi.

Un concetto non immediato legato alla qualità delle risorse idriche, che comunque è sottin-teso sia nelle norme nazionali sia in quelle comunitarie è quello di “corpo idrico”.

Poiché le normative definiscono l’obiettivo ambientale per un corpo idrico, si deduce chetale obiettivo debba rappresentare tutto il corpo idrico. Ciò che bisogna chiarire è che un corpoidrico non necessariamente è rappresentato dall’intero corso d’acqua o l’intero corpo lacustre.Anche un tratto di un fiume o un area di un lago è “un corpo idrico” (e quindi il fiume o il lagopossono essere costituiti da un insieme connesso di corpi idrici fluviali o lacustri). In definitiva,un corpo idrico è quel tratto di fiume o area di costa o di lago a cui è possibile attribuire univoca-

242

Tabella 1 - Qualità ambientale dei corpi idrici

Stato ambientale Definizione

Elevato

Non si relevano alterazione degli elementi di qualità chimico fisici ed idromorfologici per queldato tipo tipo di corpo idrico in dipendenza degli impatti antropici o sono minime rispetto aivalori normalmente associati allo stesso ecotipo in condizioni indisturbate. La qualità biologicasarà caratterizzata da una composizione e un’abbondanza di specie corrispondenti totalmente oquasi alle condizioni normalmente associate allo stesso ecotipo. La presenza di microinquinanti,di sintesi e non di sintesi, è paragonabile alle concentrazioni di fondo rilevabili nei corpi idricinon influenzati da alcuna pressione antropica.

Buono

I valori degli elementi biologici per quel tipo di corpo idrico mostrano bassi livelli di alterazionederivanti dall’attività umana e si discostano solo leggermente da quelli normalmente associatiallo stesso ecotipo in condizioni non disturbate. La presenza di microinquinanti, di sintesi e nondi sintesi, è in concentrazioni da non comportare effetti a breve e a lungo termine sulle comunitàbiologiche associate al corpo idrico di riferimento.

Sufficiente

I valori degli elementi biologici per quel tipo di corpo idrico mostrano bassi livelli di alterazionederivanti dall’attività umana e si discostano solo leggermente da quelli normalmente associatiallo stesso ecotipo in condizioni non disturbate. La presenza di microinquinanti, di sintesi e nondi sintesi, è in concentrazioni da non comportare effetti a breve e a lungo termine sulle comunitàbiologiche associate al corpo idrico di riferimento.

Scadente

Si rilevano alterazioni considervoli dei valori degli elementi biologici per quel tipo di corpoidrico superficiale, e le comunità biologiche interessate si discostano sostanzialmente da quelledi norma associate al tipo di corpo idrico superficiale inalterato. La presenza di microinquinanti,di sintesi e non di sintesi, è in concentrazioni da comportare effetti a medio e a lungo terminesulle comunità biologiche associate al corpo idrico di riferimento.

Pessimo

I valori degli elementi biologici per quel tipo di corpo idrico superficiale presentano alterazionigravi e mancano ampie porzioni delle comunità biologiche di norma associate al tipo di corpoidrico superficiale inalterato. La presenza di microinquinanti, di sintesi e non di sintesi, è inconcentrazioni da comportare effetti a breve e a lungo termine sulle comunità biologicheassociate al corpo idrico di riferimento.

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 242

mente uno stato di qualità ambientale determinato dall’insieme delle pressioni che su di esso sonoesercitate per cause naturali o antropiche.

Per esemplificare il concetto vengono di seguito riprodotti alcuni schemi proposti dalleLinee guida elaborate per conto della Commissione UE in un processo, attualmente in corso,denominato CIS, Common Implementation Strategy per la direttiva quadro 2000/60/CE, cui par-tecipano tutti gli Stati Membri dell’Unione.

Per quanto detto sopra, si deduce che la qualità delle acque deve essere intesa in mododiversificato quando si parla di acque in senso generale o di acque destinate ad uno specifico uso.La normativa comunitaria non esplicita questa distinzione rimandando a specifiche direttive oregolamenti la definizione di qualità per usi specifici: direttiva balneazione, direttiva acque per ilconsumo umano, direttiva acque idonee alla vita dei pesci, direttiva acque idonee alla molluschi-coltura. In Italia, in previsione della emanazione della direttiva quadro, il d.lgs 152/99 introduceesplicitamente l’obiettivo di qualità per specifica destinazione individuato come “stato dei corpiidrici idoneo a una particolare utilizzazione da parte dell’uomo, alla vita dei pesci e dei mollu-schi” (art. 4, comma 3). La definizione normativa si riferisce sia ai corpi idrici naturali sia a quel-li artificiali.

Il d.lgs 152/99 stabilisce quindi la qualità delle acque idonee all’uso potabile, alla balnea-zione, alla vita dei pesci e alla vita dei molluschi.

La definizione della qualità delle acque per altri usi specifici, quale ad esempio la qualitàdelle acque per usi agricoli o per le acque per il consumo umano (potabile ma anche per le produ-zioni alimentari e di farmaci - d.lgs 2 febbraio 2001 n° 31 in recepimento della direttiva 98/83/CE)è rimandata a specifiche norme o regolamenti.

7.2 Riferimenti normativi in tema di qualità delle acque

La normativa nazionale alla base delle politiche di gestione, tutela e risanamento dellerisorse idriche, è destinata a subire una sostanziale e complessiva trasformazione a seguito del-l’attesa pubblicazione del decreto legislativo derivante dalla legge 15 dicembre 2004 n° 308 chesi configura come Testo Unico sull’Ambiente e che prevede e comprende nella sua Parte Terza –“Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle acque dall’inqui-namento e di gestione delle risorse idriche” – il recepimento della Direttiva Quadro 2000/60/CEche istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque.

Attualmente il complesso normativo sulle acque si fonda sostanzialmente su tre testi legi-slativi che definiscono i riferimenti territoriali, l’organizzazione e gli obiettivi di una gestionesostenibile delle risorse e gli obiettivi complessivi ambientali per la tutela ed il risanamento ditutti i corpi idrici:

– il decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152 recante “Disposizioni sulla tutela delleacque dall’inquinamento e recepimento della direttiva 91/271/CEE concernete il tratta-mento delle acque reflue urbane e della direttiva 91/676/CEE relativa alla protezionedelle acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonti agricole”;

– la legge 5 gennaio 1994 n. 36 “Disposizioni in materia di risorse idriche”;

– la legge 18 maggio 1989 n. 183 “Norme per il riassetto organizzativo e funzionale del-la difesa del suolo”.

La L. 183/89 definisce il concetto di bacino idrico come l’area territoriale più significativain cui si produce il ciclo naturale di formazione e deflusso delle risorse idriche.

243

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 243

La legge 36/94 definisce gli ATO per la gestione territoriale del ciclo idrico integrato dallacaptazione, adduzione, trattamento, distribuzione, collettamento, depurazione, restituzione.

Il d.lgs 152/99 modificato con il decreto 258 (il testo integrato è rappresentato dal decreto20 ottobre 2000, n° 172/L) esplicita invece i concetti di qualità ambientale dei corpi idrici natura-li e artificiali e gli obiettivi di qualità per le acque a specifica destinazione e cioè acque potabili,di balneazione, idonee alla vita dei pesci e alla vita dei molluschi.

L’atteso decreto legislativo introduce una profonda riorganizzazione territoriale e dellecompetenze sulle risorse idriche mentre assume gli obiettivi ambientali della Direttiva Quadro.

A livello territoriale il territorio nazionale comprese le isole minori (art. 64) è suddiviso in8 Distretti di dimensioni confrontabili se si esclude l’anomalia del “Distretto idrografico pilotadel Serchio”.

DISTRETTI IDROGRAFICI Bacini Idrici

a) Alpi Orientali Adige, Alto Adriatico, Lemene, Bacini del Friuli Venezia Giulia e del Veneto(36.500 Kmq)

b) Padano Po, Fissaro, Tartaro Canalbianco(77.000 Kmq)

c) Appennino Settentrionale Arno, Magra, Fiora, Conca Parecchia, Reno, Bacini liguri, Bacini toscani, (39.000 Kmq) Fiumi Uniti, Montone, Ronco, Savio, Rubiconde, Uso, Foglia, Arzilla,

Metauro, Cesano, Misa, Esino, Musone e altri bacini minori, Lamone, Bacini minori costa romagnola

d) Bacino Piota del Serchio Serchio(1.600 Kmq)

e) Appennino Centrale Tevere, Tronto, Sangro, Bacini dell’Abruzzo, Bacini del Lazio, Potenza,(35.800 Kmq) Chienti, Tenna, Ete, Aso, Menocchia, Tesino e bacini minori delle Marche

f) Appennino Meridionale Liri-Garigliano, Volturno, Sele, Sinni, Noce, Bradano, Saccione, Fortore e(68.200 Kmq) Biferno, Ofanto, Lao, Trigno, Bacini della Campania, Bacini della Puglia,

Bacini della Basilicata, Bacini della Calabria, Bacini del Molise

g) Sardegna Bacini della Sardegna(24.000 Kmq)

h) Sicilia Bacini della Sicilia(26.000 Kmq)

Ogni Distretto è retto da una Autorià di Bacino organizzata in una Conferenza istituziona-le permanente, un Segretario generale, la Segreteria tecnico-operativa e la Conferenza operativadei servizi (art. 63). Inoltre si introduce a livello nazionale una Autorità di Vigilanza sulle Risor-se Idriche e sui Rifiuti (art. 159).

In termini di obiettivi di qualità, specie per gli scarichi e gli standard ambientali, sembranoessere presenti importanti modifiche che richiederanno un esame più attento al momento dellaentrata in vigore della norma.

Le acque destinate ad usi agricoli sono di fatto acque provenienti da fiumi, laghi, falde sot-terranee, invasi o serbatoi e quindi, a seconda del corpo idrico da cui si effettua il prelievo, laqualità delle acque usate in agricoltura varia in funzione dello stato di qualità del corpo idricointeressato. In tal senso si evince che, ai sensi della normativa vigente, la qualità minima delleacque usate in agricoltura dovrà corrispondere allo stato di buona qualità ambientale fissato pertutte le tipologie di corpi idrici a meno di specifiche normative settoriali che impongano, a tuteladella salute umana, livelli qualitativi più severi.

244

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 244

La qualità delle acque usate in agricoltura specie a scopi irrigui possono contribuire all’ap-porto di inquinanti sul suolo e quindi alla loro dispersione nell’ambiente (inquinamento diffuso)con conseguenti impatti sulla qualità dei corpi idrici recettori superficiali e sotterranei. Il mecca-nismo di dispersione ambientale degli inquinanti eventualmente contenuti nelle acque usate inagricoltura è parallelo alla pressione esercitata dai fertilizzanti a base di N e P (nutrienti) e deipesticidi.

Inoltre tre decreti attuativi di specifici articoli del d.lgs 152/99 prevedono disposizioni d’in-teresse diretto o indiretto per la qualità delle acque per usi agricoli ed irrigui con particolare atten-zione alle aree sensibili per il prelievo di acque destinate al consumo umano e alle zone vulnera-bili ai nitrati e ai pesticidi.

Nel decreto 30 giugno 2004 sono definiti i “Criteri per la redazione del progetto di gestio-ne degli invasi ai sensi dell’art. 40, comma 2 del d.lgs 152/99”. All’art. 8, comma 1 è stabilitoche nell’ambito del piano di tutela per i corpi idrici come definiti dal citato d.lgs, le regioni preve-dono misure per la tutela delle acque invasate e per il monitoraggio ambientale dei corpi idrici amonte e a valle dello sbarramento. I piani di tutela devono prevedere i livelli delle concentrazio-ni che non possono essere superati nelle operazioni di svaso, sfangamento e spurgo in modo danon arrecare danni irreversibili ai corpi recettori. Il gestore e il concessionario sono responsabiliper eventuali danni ambientali conseguenti al non rispetto delle precedenti prescrizioni.

Il decreto 12 giugno 2003 n° 185 “Regolamento recante norme tecniche per il riutilizzodelle acque reflue in attuazione dell’art 26, comma 2 del d.lgs 152/99” fornisce i criteri di riusoproduttivo delle acque reflue trattate.

Infine il decreto 6 novembre 2003, n°367 “Regolamento concernente la fissazione di stan-dard di qualità nell’ambiente acquatico per le sostanze pericolose ai sensi dell’art. 3, comma 4 deld.lgs 152/99”, sulla base dei dati tossicologici ed ecotossicologici disponibili, degli usi e dei moni-toraggi, definisce le concentrazioni massime ammissibili, in un corpo idrico costituito da acquesuperficiali o marine e salmastre, di 167 sostanze inquinanti prioritarie comprensive delle 33 sostan-ze definite inquinanti prioritari a livello comunitario dall’allegato X della direttiva 2000/60/CE cherecepisce la decisone n° 2455/2001/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 20 novembre2001, relativa all’istituzione di un elenco di sostanze prioritarie in materia di acque.

Assumendo quindi che si raggiunga l’obiettivo ambientale fissato per tutti i corpi idrici, èutile il confronto riportato in tabella 2 (tabella 2, 2bis, 2 ter e 2 quater).

Il Decreto 12 giugno 2003 “Regolamento recante le norme tecniche per il riutilizzo delleacque reflue in attuazione dell’art. 26 del 152”, in assenza (come sembra) di norme specifichesulla qualità delle acque a scopo irriguo, fissa gli standard per il riuso delle acque reflue in agri-coltura che potrebbero essere assunti come valori di riferimento.

Altri criteri possono derivare dalle norme che regolano gli spandimenti di fanghi di depura-zione o in genere di tutela del suolo (aree sensibili, vulnerabili, codici di buona pratica agricola –direttiva nitrati).

I limiti confrontati in tabella 2 evidenziano come gli obiettivi ambientali corrispondentiallo stato sufficiente e buono sono rappresentati da livelli di concentrazione dei parametri chimi-co fisici di base più restrittivi di quelli previsti per le acque reflue trattate per un riuso agricolocon l’esclusione del parametro microbiologico “E.coli” per il quale il limite per il riuso delleacque reflue è di 100-500 volte più basso.

Di fatto non esistendo specifiche norme legislative che fissano la qualità delle acque dausare in agricoltura, concettualmente si può avanzare il criterio che la qualità di queste acque deb-ba situarsi tra un obiettivo teorico generale massimo (valore guida) definito dai limiti previsti dal

245

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 245

246

Tabella 2 - Parametri obbligatori e valori di concentrazione indicati nella legislazione ita-liana come standard qualitativi a difesa dell’uomo e degli ecosistemi. Acque superficialinaturali (fiumi e laghi) e artificiali (invasi e canali)

Parametro D.lgs 152 Stato Ecologico Riuso acque D.lgs 31/2001 reflue in Acque destinate

agricoltura al consumo umano

Sufficiente Buono

pH 6-9,5 6.5-9.5

SAR 10

Materiali grossolani assenti(mg/L)

Solidi Sospesi (mg/L) 10

Temperatura (°C)

BOD5 (O2 mg/L) < 8 < 4 20

COD (O2 mg/L) < 15 < 10 100

Fosforo tot. (P mg/L) < 0,30 < 0,15 2(fiumi, canali)

Fosforo tot. (P mg/L) < 50 < 25(laghi, invasi)

Azoto tot. (N mg/L) 15

Azoto ammoniacale < 0,50 < 0,10 2 (NH4 mg/L) 0.50 (NH4 mg/L)(N mg(L)

Conducibilità 3000 2500(μS/cm 20°C)

Durezza (mg/L CaCO3)

Azoto nitrico (N mg/L) < 5,0 < 1,5

Nitrati (come NO3) (mg/L) 50

Nitriti (come NO2) (mg/L) 0.05

Ossigeno disciolto (mg/L) < 20

Ortofosfato (P mg/L)

Fosforo tot. (P mg/L) < 0,15(fiumi, canali)

Cloruri (Cl- mg/L) 250 250

Solfati (SO4 = mg/L) 500 250

Escherichia coli < 5000 < 1000 10 (80% campioni)(UFC/100 mL)

Salmonella assente

Trasparenza (m) v. minimo < 5

Ossigeno ipolimnico (%) sat. < 80%

Clorofilla “a” (μg/L) v. max < 6

Specie Inorganiche (tabella 2 bis)

Specie organiche (tabella 2 ter)

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 246

247

Tabella 2 bis - Specie inorganiche in acque dolci

Parametro D.lgs 152/99 e DM 367/2004 Riuso acque reflue D.lgs 31/2001 Standard di in agricoltura Acque destinate

qualità ambientale (uscita impianto recupero) al consumo umano

Alluminio (mg/L) 1 0.02

Arsenico (mg/L) 0.002 0.02 0.001

Bario (mg/L) 10

Berillio (mg/L) 0.01

Boro (mg/L) 1.00 1.00

Cadmio (mg/L) 0.0001 0.005 0.005

Cromo (mg/L) 0.01 0.05

Cromo VI (mg/L) 0.0015 0.005

Cobalto (mg/L) 0.05

Ferro (mg/L) 2 0.02

Manganese (mg/L) 0.02 0.05

Mercurio (mg/L) 0.000002 0.001 0.001

Nichel (mg/L) 0.0013 0.03 0.02

Piombo (mg/L) 0.0004 0.01 0.01

Rame (mg/L) 1 1

Selenio (mg/L) 0.01 0.01

Tallio (mg/L) 0.001

Stagno (mg/L) 3

Vanadio (mg/L) 0.01 0.05

Zinco (mg/L) 0.05

Cianuri tot. (mg/L come CN) 0.05 0.05

Solfuri (mg/L H2S) 0.05

Solfiti (mg/L come SO3) 0.05

* Le concentrazioni che superano lo standard determinano la classificazione scadente per gli stati ecologici elevato, buono esufficiente e pessima per gli stati scadente e pessimo

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 247

248

Tabella 2 ter - Specie organiche

Parametro D.lgs 152/99 e DM 367/2004 Riuso acque reflue D.lgs 31/2001 Standard di in agricoltura Acque destinate

qualità ambientale (uscita impianto recupero) al consumo umano

Grassi e oli 10animali/vegetali (mg/L)

Oli minerali (mg/L) 0.05

Fenoli totali (mg/L) 0.01

Pentaclorofenolo (mg/L) 0.003

Tetracloroetilene, tricloroetilene (somma mg/L) 0.01 0.01 0:01

Solventi clorurati totali (mg/L) 0.04

Trialometani (somma mg/L) 0.03 0.03

Solventi organici 0.01aromatici (mg/L)

Benzene (mg/L) 0.0002 0.001 0.0001

Benzo(a)pirene (mg/L) 0.000000001 0.00001 0.00001

Solventi organici azotati 0.001totali (mg/L)

Tensioattivi totali (mg/L) 0.05

Pesticidi clorurati Nel range 0.0001-0.00000001 0.0001(ciascuno mg/L)

Pesticidi fosforati (ciascuno mg/L) 0.0001

Altri pesticidi totali (mg/L) 0.05

* Le concentrazioni che superano lo standard determinano la classificazione scadente per gli stati ecologici elevato, buono esufficiente e pessima per gli stati scadente e pessimo

Tabella 2 quater - Parametri microbiologici

Parametro D.lgs 152/99 Riuso acque reflue D.lgs 31/2001 e Stato buono fiumi in agricoltura Acque destinate

(uscita impianto recupero) al consumo umano

Escherichia coli (UFC/100mL) < 1000 10 (80% campioni) 0100 valore puntuale massimo

Salmonella (UFC/100 mL) Assente

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 248

d.lgs 152/99 per uno stato sufficiente o buono e i limiti minimi (valore imperativo) definito perl’uso delle acque reflue.

È importante richiamare l’attenzione sul significato di Standard di Qualità Ambientale(SQA) per le sostanze inquinanti prioritarie. Lo SQA fissa la concentrazione al di sopra della qua-le si ritiene esista un rischio per la salute dell’uomo e per quella delle specie viventi negli ecosi-stemi associati.

Di fatto anche i Metodi Ufficiali per l’Analisi delle Acque per uso agricolo e zootecnico,pubblicati dall’Editore Franco Angeli per conto del MIPAF, nella presentazione redatta dal Prof.P. Sequi, si richiamano esplicitamente ai criteri di qualità definiti dal d.lgs 152/99 per i corpi idri-ci e per le acque a specifica destinazione. Per quanto attiene queste ultime si intende per acque aspecifica destinazione: le acque di balneazione, le acque potabili, le acque idonee alla vita deipesci e quelle idonee alla vita dei molluschi e non quelle destinate ad usi agricoli o irrigui.

Tuttavia, i Metodi Ufficiali trattano in dettaglio la qualità “agronomica” richiesta sulla basedelle conoscenze tecniche e operative riferita ad una numerosa serie di parametri. La qualità agro-nomica suggerita è messa in relazione alle specifiche tecniche e produzioni agricole.

I Metodi Ufficiali indicano i problemi, per le colture e per il suolo, derivanti dalla presenzadi alcune specie chimiche e microbiologiche nelle acque di irrigazione in funzione delle diversecolture e delle diverse procedure di utilizzazione e uso delle acque per l’irrigazione. È propostaanche una classificazione in funzione della qualità. Assumendo come criterio i valori consigliatiper la Classe I (tabella 3), cioè un’acqua che non pone problemi di utilizzazione dal punto di vistaagronomico, si ottengono dei riferimenti per un confronto con i limiti posti per la qualità ambien-tale delle acque (d.lgs 152/99) e per l’uso delle acque reflue.

Discorso a parte andrebbe fatto per gli inquinanti prioritari per i quali il riferimento dovreb-be restare quello definito dagli SQA che, si ricorda, sono fissati sulla base dei potenziali effettitossici (dannosi per l’uomo, obiettivo 2008 ex DM 367/2003) ed ecotossici (dannosi per le specieviventi negli ecosistemi acquatici, obiettivo 2015 ex DM 367/2003). Bisogna ricordare che spes-so l’effetto tossico per l’uomo si verifica ad un livello di concentrazione superiore a quello eco-tossico per le specie animali e vegetali. Ciò giustifica come quasi sempre gli SQA obiettivo 2008siano meno severi di quelli previsti per il 2015.

Infine il decreto legislativo 2 febbraio 2001 n° 31 in attuazione della Direttiva 98/83/CEsulla qualità delle acque destinate al consumo umano, definisce gli standard di qualità delle acqueutilizzate nelle produzioni agro alimentari e farmaceutiche.

Non si esclude che a livello regionale siano state definite specifiche norme, considerandoche l’attività di bonifica è attualmente di competenza regionale. Tuttavia una indagine prelimina-re effettuata presso alcune regioni (Piemonte, Umbria, Basilicata, Toscana, Emilia Romagna,Lombardia, Campania, Sardegna) ha evidenziato come non esistano di fatto specifici regolamen-ti che prevedano procedure di accertamento della conformità delle acque prelevate da qualsiasifonte per usi agricoli. In genere i controlli sono effettuati sulle acque destinate sia all’uso umanosia a quello agricolo. In Piemonte non si è ritenuto di dover affrontare il problema in quanto appa-re difficile definire in modo univoco una qualità per le acque a scopo irriguo. Troppi fattori con-corrono per poterne fissare l’idoneità: su tutti la tecnica irrigua, che fa prevalere i parametri igie-nico sanitari se fosse a pioggia su vegetali a foglia commestibile, mentre occorrerebbe controlla-re i metalli pesanti e i vari parametri organici che possono dare accumulo nei frutti, qualora siirrighi per scorrimento. Diversi poi sarebbero i requisiti per vegetali non destinati all’alimentazio-ne (pioppeti, etc.). L’unico controllo “a priori” è fatto in caso di riutilizzo di acque reflue, per ilresto ci si attiene ai controlli igienico sanitari sulle derrate alimentari.

249

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 249

250

Tabella 3 - Limiti di concentrazione consigliati per un uso non dannoso agronomico delleacque

Parametro Valore limite

Salinità (influenza la disponibilità di acqua STD (mg/L) < 450per la coltura attraverso un effetto osmotico)Infiltrazione (influenza la velocità d’infiltrazione) Ecw 0.7 (SAR 0-3)

> 1.2 (SAR 3-6)1.9 (SAR 6-12)2.9 (SAR 12-20)5 (SAR 20-40)

Ione Cloro meq/LBoro (B3-) meq/LAlluminio meq/LArsenico meq/LBerillio meq/L 0,1Boro meq/L 0,5Cadmio meq/L 0,01Cobalto meq/L 0,05Cromo meq/L 0,1Fluoro meq/L 1Ferro meq/L 5Litio meq/L 2,5Manganese meq/L 0,2Mercurio meq/L 0,002Molibdeno meq/L 0,01Nichel meq/L 0,2Piombo meq/L 5Rame meq/L 0,2Selenio meq/L 0,02Stagno, Titanio, Tungsteno meq/LVanadio meq/L 0,1Zinco meq/L 2Solidi Sospesi mg/L < 30pH unità pH 5,5-8.5Azoto totale mg/L < 40Nitrati mg/L < 50Nitriti mg/L < 2Fosfati mg/L < 0,4Fitosanitari (singolo) (acque consumo umano) μg/L 0.01Fitosanitari (totali) (acque consumo umano) mg/L 0.05

Parametro microbiologico

Coliformi totali UFC/100 mL < 5.000Coliformi Fecali UFC/100 mL < 1.000Streptococchi Fecali UFC/100 mL < 1.000

STD: Residuo Salino Fisso o Sali Totali Disciolti (STD) espresso in °/°°Ecw: Conducibilità elettrica dell’acqua in dS/mSAR: Sodium Adsorption Ratio SAR = Na+ / (Ca++ + Mg++/2) 1⁄2

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 250

In Molise non esistono nome regionali specifiche, ma si eseguono analisi sulle acque desti-nate all’irrigazione su richiesta di enti pubblici e privati facendo riferimento alla classificazioneproposta da Giardini.

In Puglia non esiste una norma regionale e si controllano solo gli invasi destinati all’usopotabile e agricolo. Più diffuso è il monitoraggio delle acque sotterranee in particolare per il pro-blema della vulnerabilità da nitrati e dell’intrusione salina.

Un significativo esempio è rappresentato dal caso dell’Ente Autonomo Flumendosa (EAF)che, come è noto, gestisce una realtà molto significativa per la regione Sardegna, fatta di invasidestinati ad usi multipli ed in particolare potabile e agricolo.

I programmi di controllo di EAF vengono dichiarati conformi ai requisiti del d.lgs 152/99integrato con le disposizioni del d.lgs 31/2001 sulle acque destinate al consumo umano. Sostan-zialmente sono monitorati fiumi, invasi, impianti di potabilizzazione, serbatoi urbani, impianti ditrattamento acque reflue, sulla base delle seguenti tipologie di analisi:

– analisi limnologiche

– analisi chimiche

– analisi microbiologiche

– analisi ecotossicologiche

– sedimenti.

Lo schema operativo prevede di base la valutazione dello stato ambientale (in realtà si trat-ta dei parametri obbligatori per fiumi e laghi previsti dal d.lgs 152/99 ma non della determinazio-ne delle sostanze inquinanti prioritarie) integrata in due siti dalle analisi previste per le acquedestinate all’uso potabile (tabella 1/A, allegato 2 - d.lgs 152/99) come indicato nelle tabelle 4 e 5.

Le procedure analitiche sono in questo caso estremamente ampie ma non appaiono miratead un controllo della qualità per uso agricolo ma piuttosto a garanzie igieniche connesse con l’usopotabile delle acque.

Tuttavia, resta aperto il problema periodico costituito dallo sviluppo di cianobatteri poten-zialmente tossici.

7.3 Dati di qualità

Si è già affermato che controlli e protocolli specifici per le acque destinate all’uso agricolonon sono di fatto disponibili ed operativi presso le competenti istituzioni regionali. Inoltre da unpunto di vista agronomico la qualità delle acque, consigliata in funzione del tipo di coltura e del-le tecniche di irrigazione, come discusso nei Metodi Ufficiali, è stata definito sulla base di consi-derazioni di tipo produttivo o igienico tenendo conto solo marginalmente degli aspetti prettamen-te ambientali.

Pertanto le acque utilizzate in agricoltura presentano di fatto la qualità delle acque del cor-po idrico da cui sono prelevate senza specifici controlli o trattamenti.

Questo punto è molto importante per capire la diversità tra obiettivi ambientali (152/99 edecreto sul riuso delle acque reflue), obiettivi di protezione della salute (acque destinate al consu-mo umano) e obiettivi di interesse produttivo.

Il d.lgs 152/99 fissa obiettivi ambientali generali per la qualità di tutti i corpi idrici che, serispettati consentono un uso diretto delle risorse naturali in piena coerenza con la tutela dell’am-biente e degli ecosistemi, la tutela della salute e la qualità delle acque a specifica destinazione equindi anche per usi agricoli.

251

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 251

252

Tabella 4 - Parametri soggetti al controllo per le acque correnti gestite da EAF e destinateall’uso misto potabile e irriguo

Parametri fisici

1. Portata m3/s 1. Odore2. Temperatura °C3. Solidi sospesi (mg/L)

Parametri chimico-fisici

1. pH 1. Colore mg/L Pt/Co2. Conducibilità a 25°C μS/cm

Parametri chimici

1. Ossigeno disciolto mg/L O2 1. Cloro organico totale estraibile micron/L Cl2. Tasso saturazione ossigeno % O2 2. Fluoruri mg/L F3. Nitrati mg/L N-NO3 3. Rame μg/L Cu4. Nitriti mg/L N-NO2 4. Zinco μg/L Zn5. Azoto ammoniacale mg/L N-NH4 5. Boro μg/L L B6. Azoto totale mg/L N 6. Berillio μg/L Be7. Fosforo reattivo mg/L P-PO43 7. Cobalto microg/L8. Fosforo totale mg/L P 8. Nichel μg/L Ni9. Ferro mg/L 9. Vanadio μg/L V10. Alcalinità meq/L 10. Arsenico μg/L As11. Manganese μg/L Mn 11. Cadmio μg/L Cd12. TOC mg/L C 12. Cromo totale μg/L Cr13. TC mg/L c 13. Piombo μg/L Pb14. IC mg/L c 14. Selenio μg/L Se15. Cloruri mg/L Cl 15. Mercurio μg/L Hg16. Sodio mg/L Na 16. Bario μg/L Ba17. BOD5 mg/L O2 17. Cianuri μg/L CN18. COD mg/L O2 18. Solfati mg/L SO419. Durezza totale °F 19. Tensioattivi mg/L solfato di laurile20. Solfati mg/L SO4 20. Fenoli μg/L C6H5OH

21. Azoto Kjeldhal mg/L N22. Idrocarburi disciolti mg/L23. Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) μg/L24. Antiparassitari totali μg/L25. Sost. Estraibili con cloroformio mg/LAltri: Potassio, Calcio, Magnesio, Solfuri, Aldeidi

Parametri biologici

1. IBE

Parametri microbiologici

1. Coliformi fecali UFC/100 ml 1. Salmonella spp, presenza-assenza2. Coliformi totali UFC/100 ml3. Streptococchi fecali ed Enterococchi UFC/100 ml4. Conteggio colonie a 22°C UFC/100 ml5. Conteggio colonie a 37°C UFC/100 ml6. Escherichia Coli UFC/100 ml7. Pseudomonas aeruginosa UFC/250 ml8. Spore Clostridi solfito riduttori UFC/100 ml

Test ecotossicologici

1. Daphnia magna % organismi morti2. Batteri luminescenti % induzione della bioluminiscenza

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 252

253

Tabella 5 - Parametri soggetti al controllo per le acque invasate gestite da EAF e destinateall’uso misto potabile e irriguo

Stato di qualità ambientale (ex 152/99) Caratteristiche qualitative per uso potabile

Parametri fisici

1. Temperatura °C 1. Odore2. Trasparenza m 2. Temperatura °C

3. Solidi sospesi (mg/L)

Parametri chimico-fisici

1. pH 1. Colore mg/L Pt/Co2. Conducibilità a 25°C μS/cm 2. Conducibilità a 25°C μS/cm

3. pH

Parametri chimici

1. Ossigeno disciolto mg/L O2 1. Cloro organico totale estraibile micron/L Cl2. Tasso saturazione ossigeno % O2 2. Fluoruri mg/L F3. Nitrati mg/L N-NO3 3. Rame μg/L Cu4. Nitriti mg/L N-NO2 4. Zinco μg/L Zn5. Azoto ammoniacale mg/L N-NH4 5. Boro μg/L L B6. Azoto totale mg/L N 6. Berillio μg/L Be7. Fosforo reattivo mg/L P-PO43 7. Cobalto microg/L8. Fosforo totale mg/L P 8. Nichel μg/L Ni9. Ferro mg/L 9. Vanadio μg/L V10. Alcalinità meq/L 10. Arsenico μg/L As11. Manganese μg/L Mn 11. Cadmio μg/L Cd12. TOC mg/L C 12. Cromo totale μg/L Cr13. TC mg/L c 13. Piombo μg/L Pb14. IC mg/L c 14. Selenio μg/L Se15. Cloruri mg/L Cl 15. Mercurio μg/L Hg16. Sodio mg/L Na 16. Bario μg/L Ba17. Ossigeno ipolimnico mg/L O2 17. Cianuri μg/L CN18. Tasso saturazione ossigeno ipolimnico % O2 18. Solfati mg/L SO419. Silice reattiva mg/L Si-SiO2F 19. Tensioattivi mg/L solfato di laurile20. Solfati mg/L SO4 20. Fenoli μg/L C6H5OH

21. Azoto Kjeldhal mg/L N22. Idrocarburi disciolti mg/L23. Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) μg/L24. Antiparassitari totali μg/L25. Sost. Estraibili con cloroformio mg/L26. Nitrati mg/L N-NO327. Ferro mg/L28. Manganese μg/L Mn29. Cloruri mg/L Cl30. Fosfati mg/L PeO531. COD mg/L O232. Ossigeno disciolto mg/L O233. BOD5 mg/L O234. Azoto ammoniacale mg/L N-NH435. TOC mg/L CAltri: Torbidità, Sodio, Potassio, Calcio, Magnesio, Solfuri, Aldeidi, Nitriti, Fosforo reattivo, Silice reattiva, Alcalinità, TC

Parametri biologici

1. Clorofilla “a” mg/L2. Conta algale cel/L

Parametri microbiologici

1. Coliformi fecali UFC/100 ml 1. Salmonella spp, presenza-assenza2. Coliformi totali UFC/100 ml 2. Coliformi fecali UFC/100 ml3. Streptococchi fecali ed Enterococchi UFC/100 ml 3. Coliformi totali UFC/100 ml4. Conteggio colonie a 22°C UFC/100 ml 4. Streptococchi fecali ed Enterococchi UFC/100 ml5. Conteggio colonie a 37°C UFC/100 ml 5. Pseudomonas aeruginosa UFC/250 ml6. Escherichia Coli UFC/100 ml 6. Escherichia Coli UFC/100 ml7. Pseudomonas aeruginosa UFC/250 ml 7. Spore Clostridi solfito riduttori UFC/100 ml8. Spore Clostridi solfito riduttori UFC/100 ml

Test ecotossicologici

1. Daphnia magna % organismi morti2. Batteri luminescenti % induzione della bioluminiscenza

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 253

Questa è la situazione che si può riscontra nel 79% dei corsi d’acqua attualmente inseritinella rete nazionale di controllo (89 bacini idrici, 186 corsi d’acqua, 618 siti monitorati per laqualità ecologica - figure 2 e 3), nel 81% dei laghi (109 siti di campionamento in 99 laghi - figu-ra 4) e nel 50% dei corpi idrici sotterranei (2768 siti - figura 5 e tabella 3), attualmente monitora-ti ai sensi del d.gs 152/99 (Annuario Dati Ambientali APAT 2005). Con una qualità elevata, buo-na o sufficiente.

Una serie di studi hanno evidenziato che le acque superficiali presentano assai spesso quali-tà peggiori dei limiti fissati dal D.M. 185/03 sugli scarichi delle acque reflue da destinare al riuti-lizzo (vedi punto successivo). Ad esempio, un’indagine della Regione Emilia Romagna (“La qua-lità dei corsi d’acqua della regione Emilia Romagna”, Settembre 2003 - in Riganti, 2004) hariscontrato che per 27 corsi d’acqua, tra i quali il fiume Po, quasi tutti utilizzati a scopo irriguo, nel75% dei campioni analizzati, la concentrazione d’Escherichia Coli, nel biennio 2001-2002, variatra un valore minimo di 163 UFC/100 ml ed un valore massimo di 92.500 UFC/100 ml, valorimolto superiori al limite massimo di 100 UFC/100 ml previsto dalla normativa italiana sul riuso.

I gruppi di ricerca che si occupano della materia fanno spesso riferimento a linee guidainternazionali come, ad esempio, le linee guida degli Stati Uniti sulla qualità delle acque per irri-gazione (Metcaf and Eddy, 1991).

Le indicazioni fornite da questo tipo di documenti possono essere anche molto puntuali. Siriporta, solo a titolo di esempio, quanto indicato nell’ambito del citato documento statunitense inmerito alla presenza di cloruri nelle acque ad uso irriguo: per concentrazioni di cloruri compresetra 140-350 mg/l Cl per irrigazione superficiale e >100 mg/l Cl per irrigazione a spruzzo è previ-sto un grado di restrizione nell’uso delle acque da lieve a moderato, mentre per concentrazioni>350 mg/l Cl ne è sconsigliato l’uso.

Per gli aspetti qualitativi è in corso la definizione della rete di monitoraggio nazionale del-la qualità delle acque superficiali e sotterranee anche se i dati disponibili presso APAT riguardanocirca 18 regioni (fiumi) e un numero inferiore per laghi e acque sotterranee (Annuario DatiAmbientali APAT). Queste informazioni fornirebbero indirettamente dati di qualità nei casi diconcessioni di prelievo da corpi idrici superficiali e sotterranei e anche, dai corpi idrici artificiali(invasi).

Due aspetti rilevanti per la qualità delle acque usate in agricoltura riguardano alcuni pro-blemi critici di controllo dell’inquinamento (APAT - “Prima ricognizione sulla presenza disostanze pericolose nei corpi idrici in Italia”, serie Rapporti n° 34/2003):

– lo scarso monitoraggio a livello nazionale della presenza di microinquinanti nella acquesuperficiali e sotterranee;

– l’inquinamento diffuso di nutrienti e pesticidi di origine agricola;

– il manifestarsi periodicamente negli invasi e nei corpi lacustri del fenomeno dei ciano-batteri con componenti rappresentate anche da alghe tossiche.

254

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 254

255

Figura 1 - Schemi di definizione di Corpo Idrico ai sensi della direttiva 2000/600/CE

Part of rivermodified for landdrainage

Boundary to river waterbodies distinguished byriver confluence

Water body 1, type (a) Water body 2, type (b)

• Deep• Naturally nutrient poor water (oligotrophic)• Different reference conditions to water body 2• Different vulnerability to pressures compared with water body 2

• Shallow• Naturally nutrient rich water (eutrophic)• Different reference conditions to water body 1• Different vulnerability to pressures compared with water body 1

Sub-division of lakes on the basis of significant differences in characteristics

Limit of part of river inwhich good status cannotbe achieved because ofthe hydromorphological

effects physicalmodifications

Designations asheavily modifiedwater body

Surface water body 1

Surfa

ce w

ater

bod

y 1

Surface water body 2

Surface water body 2

Surfa

ce w

ater

bod

y 3

Surface water

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 255

256

Figura 2 - Distribuzione in classi di qualità SECA (Stato Ecologico Corsi d’Acqua) dei cor-si d’acqua costituenti la rete nazionale di monitoraggio

Classe 11% Classe 2

36%

Classe 342%

Classe 417%

Classe 54%

Figura 3 - Variazione nella distribuzione della qualità dei corsi d’acqua negli anni 2000-2003

0

20

10

30%

40

50

classe 1 classe 2 classe 3 classe 4 classe 5

2000 2001 2002 2003

Fonte: APAT, Annuario Dati Ambientali 2001, 2002, 2003, 2004

Figura 4 - Classi di qualità secondo l’indice SEL (Stato Ecologico Laghi) per I laghi dellarete nazionale di monitoraggio

0

5

10

15

20

25

30

35

40

%

45

classe 1 classe 2 classe 3 classe 4 classe 5

Fonte: APAT, Annuario Dati Ambientali 2004

Fonte: APAT, Annuario Dati Ambientali 2004

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 256

257

Figura 5 - Distribuzione delle classi di qualità secondo l’indice SquAS (APAT, Stato diqualità acque sotterranee)

Liguria

Piemonte

Val d’Aosta

Lombardia

Prov. Aut. Trento

Friuli Venezia Giulia

Veneto

Emilia Romagna

ToscanaMarche

Umbria

Campania

Classi SCAC

Classe 1

Classe 2

Classe 3

Classe 4

Classe 4-0

Classe 0-3

Classe 0-2

Classe 0

Fonte: APAT, Annuario Dati Ambientali 2004

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 257

7.3.1 Cianobatteri e qualità delle acque invasate

Il gruppo dei cianobatteri distribuito su tutto il pianeta tende ad accumularsi nelle acquesuperficiali formando schiume superficiali e in condizioni adeguate si riproducono molto rapida-mente generando anomale fioriture. I cianobatteri producono diversi tipi di tossine classificabiliin epato-, neuro- ed endotossine. Alcuni studi indicano che le cianotossine si possono accumula-re nei vari organismi di una catena alimentare con significativi rischi per la salute umana e degliecosistemi.

I cianobatteri nelle prime fasi di fioritura liberano basse quantità di tossine che si disciolgo-no in acqua a basse concentrazioni. Viceversa dopo le fioriture la lisi delle pareti cellulari puòdisperdere quantità molto più alte. Danni alla salute sono stati segnalati per ingestione (acquapotabile) ma anche per contatto (balneazione e altri usi).

Casi di fioriture di ciano batteri sono stati ricorrentemente segnalati in numerosi laghi: inTrentino (Ledro, Levico, Terlano, Serraia), nei laghi subalpini profondi Maggiore, Lugano,Como, Iseo, Garda, in Sardegna (laghi artificiali Flumendosa e Mulargia).

Spesso le cianotossine, degradate in fase di depurazione, determinano le emergenze idricheche stanno diventando frequenti e rilevanti specie nei corpi idrici destinati agli usi potabili e irrigui.

Questi aspetti critici dovranno essere sottolineati in relazione alla scarsità di standard diqualità per le acque destinate ad usi irrigui, e questi ultimi, andranno verificati in relazione aglistandard di qualità ambientali per le sostanze pericolose definiti dal DM 367/2003.

L’uso agricolo di acque di qualità inferiore, scadente e pessima, anche se non comportereb-be necessariamente un danno alle colture che, come indicato dai Metodi Ufficiali nei limiti agro-nomici consigliati, apporterebbe un contributo non desiderato all’inquinamento dei corpi idriciaggravato dal fatto che queste acque sono anche veicolo per l’apporto o la dispersione di nutrien-ti e pesticidi.

D’altro canto il DM per il riuso delle acque reflue ha proprio uno scopo di stimolare unaintegrazione delle diverse politiche al fine di favorire ove possibile un obiettivo di decouplingdelle pressioni, principio alla base di ogni politica di sviluppo sostenibile come affermato e condi-viso da tutti dopo il processo di Johannesbourg.

258

Figura 6 - Prelievi annui di acque dolci in milioni di m3 nel 1998

0

5.000

10.000

15.000

20.000

25.000

30.000

35.000

40.000

106m3

45.000

Nord Centro Sud-Isole Italia

Civili Industriali Irrigui Energia Totale

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 258

Infatti, l’uso irriguo delle acque reflue risponde alla necessità di un uso ottimale dei depu-ratori, di un riciclo ove possibile di elementi utili (nutrienti e sali apportati alle colture) riducendocontemporaneamente il loro impatti ambientale, di diminuire lo stress sulle risorse per la aliquotadi acque riutilizzate, pur imponendo limiti qualitativi compatibili con gli obiettivi generali di tute-la. Si veda in proposito quanto discusso nella sezione dedicata al riuso delle acque reflue nei pia-ni di tutela delle acque e nella sezione dedicata agli aspetti quantitativi.

In effetti i limiti qualitativi imposti alle acque reflue da utilizzare in agricoltura risultanocompresi tra quelli richiesti per gli obiettivi di tutela e quelli consigliati per usi agronomici. Uni-ca sostanziale diversità è rappresentata dai parametri microbiologici che si giustificano con unasevera attenzione ai possibili rischi sanitari.

Una considerazione particolare merita il monitoraggio delle sostanze inquinanti prioritariee degli SQA per queste, definite dal DM 367/2003.

L’importanza del controllo di queste sostanze è evidente dai dati della tabella 6 sulle acquesotterranee che segnalano le specie chimiche più rilevanti, per la loro presenza eccessiva nelleacque che determina una classificazione inferiore a buono per l’indice SCAS (Stato Chimico del-le Acque Sotterranee).

Tra i parametri di base si segnalano nitrati, solfati, cloruri, ammoniaca e tra i metalli Fe eMn. Invece tra i parametri addizionali compaiono: alitati alogenati, Pesticidi, IPA, Fluoruri, B,As e i metalli pesanti Ni, Pb, Cr, Hg, Cd, Al.

Gli SQA fissati dal DM 367/2003 possono apparire molto severi e conservativi ma si devetener presente che la procedura per fissare tali limiti dà un grande rilievo alle informazioni tossi-cologiche ed ecotossicologiche e si basa su una applicazione rigorosa del principio di precauzio-ne nel fissare safety factors molto severi in relazione alle effettive informazioni disponibili (trelivelli trofici di test acuti e cronici). Si comprende come la norma abbia voluto sottolineare gliaspetti di protezione e tutela della salute umana e delle specie viventi degli ecosistemi associati aicorpi idrici. E non deve stupire se la tutela di queste ultime (corrispondenti ai più restrittivi SQAprevisti per il 2015) sia più severa perché tali organismi sono più sensibile dell’uomo. In effettiun’acqua di piscina adeguatamente clorata per prevenire danni batteriologici ed igienici all’uomoè di fatto un “corpo idrico morto” dal punto di vista biologico.

7.4 Usi delle risorse

La disponibilità delle risorse idriche a livello nazionale o localmente riferita ai bacini idri-ci superficiali e a quelli idrogeologici, è un’informazione di base essenziale ma complessa da ela-borare ed aggiornare periodicamente.

La stima della disponibilità teorica delle risorse e di conseguenza la predisposizione deibilanci idrici dei bacini è requisito richiesto dal d.lgs 152/99, art. 22 comma 4 e tradotto nel DM28 luglio 2005 “Linee guida per la predisposizione del bilancio idrico di bacino, comprensivedei criteri per il censimento delle utilizzazioni in atto e per la definizione del minimo deflussovitale, di cui all’articolo 22, comma 4 del d.lgs 152/99”. Il bilancio idrico è, infatti, presuppostonecessario sia per la redazione del piano di gestione delle risorse dei bacini (ai sensi della diretti-va 2000/60/CE) – cioè lo strumento per l’attuazione della politica ambientale in materia di acque,sia per la redazione del piano stralcio di tutela delle acque per il conseguimento degli obiettiviambientali qualitativi e quantitativi.

È significativo segnalare che l’ultima valutazione ed analisi delle disponibilità a livello

259

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 259

260

Tabella 6 - Qualità chimica dei corpi idrici sotterranei monitorati nella rete nazionale dicontrollo

Regione/Provincia Classe Punti di prelievo Parametri critici di classeautonoma

n° % di base addizionali

Piemonte Classe 1 30 4,4Classe 2 209 30,7Classe 3 114 16,7 NitratiClasse 4 150 22 Nitrati Composti alifatici alogenati

Pesticidi, Cromo, ArsenicoClasse 0 132 19,4 Ferro, ManganeseClasse 4-0 46 6,8 Solfati, Cloruri, Nichel, Piombo,

Ammoniaca Arsenico, AlluminioTotale punti prelievo 681

Val d’Aosta Classe 2 19 86,4Classe 0 3 13,6 Ferro, SolfatiTotale punti prelievo 22

Lombardia Classe 1 5 2,1Classe 2 69 29Classe 3 40 16,8 NitratiClasse 4 53 22,3 Nitrati, Ammoniaca, Composti alifatici

Ferro, Manganese alogenati totali, Pesticidi, IPA, Cromo VI,

Mercurio, PiomboClasse 0-2 4 1,7 Arsenico, CadmioClasse 0-3 1 0,4Classe 0 66 27,7 Ammoniaca, Ferro, Arsenico

ManganeseTotale punti prelievo 238

Trentino Alto AdigeTrento Classe 1 12 41,4

Classe 2 14 48,3Classe 0 3 10,3 Manganese ArsenicoTotale punti prelievo 29

Veneto Classe 1 4 2,4Classe 2 64 37,9Classe 3 21 12,4 Nitrati,Classe 4 25 14,8 Nitrati, Cloruri, Composti alifatici alogenati,

Solfati Pesticidi, Cromo VI, Nichel, Mercurio

Classe 0 55 32,5 Ammoniaca, Ferro, ArsenicoManganese

Totale punti prelievo 169

Friuli Venezia Giulia Classe 1 1 3,7Classe 2 21 77,8Classe 3 2 7,4Classe 4 3 11,1 Composti alifatici

alogenati, PesticidiTotale punti prelievo 27

Liguria Classe 1 23 9,9Classe 2 132 56,9Classe 3 18 7,8 NitratiClasse 4 59 25,4 Nitrati, Ammoniaca, Arsenico

Ferro, Manganese, Cloruri, Solfati

Totale punti prelievo 232

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 260

261

Segue Tabella 6 - Qualità chimica dei corpi idrici sotterranei monitorati nella rete naziona-le di controllo

Regione/Provincia Classe Punti di prelievo Parametri critici di classeautonoma

n° % di base addizionali

Emilia Romagna Classe 1 2 0,5Classe 2 71 16,7Classe 3 64 15,1 NitratiClasse 4 49 11,6 Nitrati, Ammoniaca Composti alifatici

alogenati, Nichel,Piombo

Classe 0 238 56,1 Ferro, Manganese, Arsenico, Zinco, Boro, Ammoniaca Fluoruri, Alluminio

Totale punti prelievo 424

Toscana Classe 1 17 4,9Classe 2 122 35,5Classe 3 29 8,4 NitratiClasse 4 65 18,9 Nitrati, Cloruri, Solfati, Composti alifatici

Ferro, Manganese alogenati, Nichel Alluminio, Boro, Mercurio,

Cromo VI, Antimonio, Arsenico, IPA,

Cloruro di vinileClasse 0-3 5 1,5Classe 0 106 30,8 Ammoniaca, Ferro, Arsenico, Boro

Manganese, SolfatiTotale punti prelievo 344

Umbria Classe 1 6 2,7Classe 2 51 23,2Classe 3 30 13,6 NitratiClasse 4 111 50,5 Nitrati, Ammoniaca,

Ferro, ManganeseClasse 0-2 4 1,8 Ferro ManganeseClasse 0 18 8,2 Ferro Manganese

AmmoniacaTotale punti prelievo 220

Marche Classe 1 53 23,5Classe 3 33 14,6 NitratiClasse 4 44 19,5 Nitrati, Cloruri,

Solfati, ManganeseClasse 0-3 90 39,8Classe 0 6 2,7 Cloruri, Solfati, FerroTotale punti prelievo 226

Campania Classe 1 35 22,4Classe 2 64 41Classe 3 13 8,3 NitratiClasse 4 35 22,4 Nitrati, Ammoniaca, Fluoruri, Composti

Ferro, Manganese alifatici alogenati, Alluminio, Piombo,

Zinco, NitritiClasse 0-2 3 1,9Classe 0-3 1 0,6Classe 0 5 3,2 Ferro, Manganese, Arsenico

CloruriTotale punti prelievo 156

Fonte: APAT/CTN_AIM

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 261

nazionale è stata effettuata dal CNR-IRSA ed appare pubblicata nel Quaderno IRSA n° 1009 deldicembre 1999. Riportiamo la considerazione iniziale: “1 - SITUAZIONE: ESIGENZE E VINCOLI.1.1 - Disponibilità naturale. 1.1.1 Regimi di deflusso e disponibilità (pag. 3). Le informazionidisponibili a livello nazionale in termini di entità e distribuzione delle risorse idriche in Italia sonoancora in larga misura quelle elaborate in occasione della Conferenza Nazionale sulle Acque(CNA) del 1997 aggiornate, per lo più in modo induttivo, nel 1989. Pertanto nel complesso laconoscenza in materia è nella migliore delle ipotesi lacunosa e poco aggiornata, anche se è lecitoritenere che trattandosi di un fatto naturale, le informazioni tuttora acquisite siano sempre valide”.

Forse l’ultima osservazione andrebbe considerata volutamente ottimistica dopo 35 annidalla prima stima complessiva!

La rappresentazione dello studio è stata di fatto recepita e riproposta nell’ultimo Rapportoal Parlamento sullo Stato dell’Ambiente presentato dal Governo nel 2000; sono state elaborate leseguenti tabelle rappresentanti la disponibilità complessiva e l’uso settoriale delle risorse permacroregioni, e formulate le valutazione di sintesi di seguito riportate.

I settori che più incidono sugli usi delle risorse idriche, e che quindi ne determinano sia ilconsumo che il potenziale inquinamento sono: l’agricoltura e le foreste, l’industria, l’energia, gliusi civili e, in minor misura, il turismo.

Sono quindi confermati gli scenari presentati nelle Relazioni sullo stato dell’ambiente del1989, 1994 e 1997. I maggiori prelievi globali si hanno nel Nord in tutti i macrosettori considera-ti. Tra questi l’agricoltura è ancora il settore più idroesigente (47.9% dei prelievi totali, con i mag-giori prelievi nelle regioni settentrionali), seguita dal settore civile e industriale con circa il 20%dei prelievi totali.

Il livello dei prelievi in Italia è superiore alla media UE, ma è molto al di sotto delle risor-se rinnovabili potenzialmente disponibili.

La tendenza all’incremento dei prelievi verificatasi negli anni 1975-1987, con un incre-

262

Tabella 6 bis - Qualità delle acque sotterranee della rete nazionale di controllo (APAT,ADA 2004)

Classi di qualitàTotaleRegione/Provinicia

1 2 3 4 0autonoman

Val d’Aosta 0 19 0 0 3 22Piemonte 30 209 114 150 178 681Lombardia 5 69 40 53 71 238Trentino Alto Adige 12 14 0 0 3 29

Trento 12 14 0 0 3 29Veneto 4 64 21 25 55 169Friuli V.G. 1 21 2 3 27Liguria 23 132 18 59 232Emilia Romagna 2 71 64 49 238 424Toscana 17 122 29 65 111 344Umbria 6 51 30 111 22 220Marche 53 33 44 96 226Campania 35 64 13 35 9 156TOTALE classe 188 836 364 594 786 2.768% 6,8 30,2 13,2 21,5 28,4 100

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 262

mento valutato nel 35%, sembra essersi consolidata negli anni successivi (dati FederUtility exFedergasacqua relativi a circa metà della popolazione).

Lo sfruttamento delle risorse risente di una grande disomogeneità su tutto il territorio e, serapportato alla disponibilità locale (tabella 7), evidenzia elementi di criticità soprattutto nel meri-dione e nelle isole, dove si verificano situazioni di scarsità.

Tabella 7 - Stima delle risorse idriche disponibili per macroregioni e compartimenti idro-grafici in milioni di m3

Regioni Precipitazioni Acque Acque Risorse % delle risorse superficiali* sotterranee rinnovabili totali

utilizzabili utilizzabili

NORD 121.000 27.429 6.496 33.925 65(Bacino Po, Triveneto, Liguria)CENTRO 77.600 5.391 2.434 7.825 15(Romagna-Marche, ToscanaLazio-Umbria Abruzzo-Molise)SUD 60.400 4.274 1.849 6.123 12SARDEGNA 18.300 1.841 217 2.058 4SICILIA 18.800 738 1.151 1.889 4ITALIA 296.100 39.673 12.147 51.820 100

Fonte: elaborazione ANPA sui dati: CNA, 1971 e 1989, e CNR-IRSA 199, Quaderno N° 109

Lo sfruttamento della risorsa è, in termini assoluti, intenso al Nord dove si utilizza il 78%delle risorse rinnovabili disponibili nell’area (65% del totale nazionale), ma è critico nel Meridio-ne e nelle Isole dove i prelievi riguardano il 96% delle disponibilità dell’area (23% del totalenazionale) soprattutto a scopo irriguo (57%). Il Centro presenta una condizione di maggioresostenibilità.

I prelievi per usi diversi e pro-capite sono deducibili dai dati precedenti con una certadistorsione, in quanto i limiti dei compartimenti idrografici non sono sempre riconducibili alleripartizioni amministrative (nel caso alle Regioni).

In Italia si verifica un rilevante sfruttamento delle acque sotterranee specie per gli usi civi-li. In effetti, le acque sotterranee, che sono una riserva strategica, risultano sostanzialmente menoinquinate di quelle superficiali e quindi richiedono un minor grado di trattamento per gli usi cuisono destinate. Gli usi civili sono soddisfatti al Nord prevalentemente dalle acque di falda (90%),mentre al Sud acquista importanza fondamentale l’uso da invasi superficiali (15-25%). La produ-zione di acqua potabile è garantita soprattutto dai prelievi di falda che rappresentano l’85% ditutti i prelievi di acqua destinata alla potabilizzazione.

In Italia, inoltre, a differenza di altri Paesi europei come la Spagna o dell’area mediterraneacome Cipro e Malta, non si ricorre a tecnologie ormai affermate e diffuse, come i processi di dis-salazione, che possono dare importanti risorse idriche per gli usi civili e industriali.

Il sovrasfruttamento delle acque sotterranee, cioè l’eccessivo prelievo rispetto alle capacitàdi ricarica dell’acquifero che determina l’abbassamento della falda, è un problema diffuso inEuropa riguardando almeno 11 Paesi membri della UE, tra cui l’Italia. Gli effetti più rilevantiriguardano la subsidenza, il prosciugamento di fiumi e delle zone umide e l’intrusione salina nel-le zone costiere che si manifesta in almeno 9 Paesi UE tra quelli in cui esiste il sovrasfruttamen-to delle falde.

263

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 263

Il sovrasfruttamento delle acque di falda risente anche del livello delle perdite nel ciclocaptazione-erogazione. I consumi pro-capite possono essere analizzati a partire dai dati di prelie-vo e di erogazione. La differenza tra i prelievi, cioè i volumi di acqua estratti dal ciclo naturaleper l’utilizzo umano, e i consumi civili di acque dolci, che rappresentano l’aliquota di acque effet-tivamente erogate ed utilizzate, consente di stimare le rilevanti perdite nei sistemi di captazione,adduzione e distribuzione (tabella 9).

Tabella 9 - Prelievi di acque dolci pro-capite per area e settore produttivo in m3/ab/anno

Compartimenti idrografici Civili Industriali Irrigui Energia Totale

NORD 125 174 453 148 900

CENTRO 213 195 128 9 545

SUD-ISOLE 153 71 298 2 524

ITALIA 138 139 351 77 708

Fonte: elaborazione ANPA sui dati: CNA, 1971 e 1989, e CNR-IRSA 199, Quaderno N° 109

Sulla base di tale rapporto è quindi evidente la necessità di aggiornare periodicamente levalutazioni sulle disponibilità ed indirizzare l’attenzione sulle aree geografiche dove l’indice disfruttamento è eccessivo e non sostenibile ed i settori più idroesigenti.

In tabella 10 sono riportati i consumi pro-capite calcolati sui dati di popolazione dell’ultimocensimento ISTAT. I dati riguardano la rilevazione censuaria “Sistema delle Indagini sulle Acque -Anno 1999”. In relazione al sistema degli ATO, gli usi dell’acqua sono derivati dai quantitativi fat-turati all’utenza. Le informazioni, pur significative, pongono il problema della effettiva riscossionedei costi dell’acqua erogata. Gli usi irrigui e zootecnici appaiono molto contenuti, lasciando aper-to il precedente interrogativo oppure, se il dato fosse confermato, significherebbe che il sistemadegli acquedotti non è il principale fornitore di acqua per l’uso agricolo e zootecnico.

Tabella 10 - Consumi di acque potabili nell’ambito dei sistemi acquedottistici degli ATO(ISTAT)

Usi Acqua fatturata (%)

Civili domestici 74.05.00

Civili non domestici 10.02

Altri usi civili 1.06

Industria e altre attività economiche 8.09

Agricolo e zootecnico 1.05

Altri 3.02

264

Tabella 8 - Intensità di utilizzo della risorsa disponibile rispetto alla disponibilità locali

Compartimenti idrografici Disponibilità nell’area Utilizzo rispetto alle disponibilità (milioni di m3) nell’area (%)

NORD 33.925 78CENTRO 7.825 52SUD-ISOLE 10.058 96ITALIA 51.820 78

Fonti: elaborazione ANPA sui dati: CNA, 1971 e 1989, e CNR-IRSA 199, Quaderno N° 109

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 264

Riprendendo queste considerazioni si ritiene che il bilancio idrico di bacino e la definizio-ne del DMV siano gli strumenti più adeguati per superare le criticità di conoscenza prima discus-se e per fornire le informazioni di base anche per una corretta gestione delle risorse, in un quadronecessario di integrazione delle politiche settoriali.

A tale proposito si richiamano i seguenti concetti: il Bilancio idrologico è definito, con rife-rimento ad un arco temporale ed a una area geografica significativa, come bilancio tra afflussi edeflussi naturali, cioè quali si avrebbero in assenza di pressione antropica. L’obiettivo generale èil mantenimento (ripristino) di un livello di equilibrio del bilancio idrico in un arco temperale e inuna area geografica significativa per la rinnovabilità periodica e naturale della risorsa. Questoobiettivo è finalizzato alla tutela qualitativa e quantitativa della risorsa in modo da consentire ora,e garantire nel futuro, un consumo sostenibile che incorpori gli obiettivi di qualità ambientaleprevisti dalla legislazione nazionale e comunitaria. Il Bilancio idrico è quello tra le risorse dispo-nibili al netto delle risorse disponibili necessarie alla conservazione degli ecosistemi ed i fabbiso-gni, presenti e futuri, per i diversi usi. La tutela degli ecosistemi acquatici introduce nel bilancioidrico il concetto di DMV. Infine a fronte di una disponibilità teorica di risorsa idrica naturaleintegrata anche da contributi “ non convenzionali” resi possibili dalle migliori tecnologie (dissala-zione ad esempio), si valuterà una Risorsa idrica potenziale e l’aliquota di questa che costituiscela Risorsa idrica utilizzabile1.

Il bilancio idrologico, secondo i criteri proposti dal DM, estende lo schema a suo tempoproposto dal CNA nel 1971 e si riferisce esplicitamente al bacino idrico come area significativa:

Confronto tra termini di riferimento per la costruzione di un Bilancio idrico di bacino

CNA (1970-1989) DM 28 luglio 2004

Precipitazioni (A) Afflusso meteorico pluviale e nevoso

Evaporazione (B) Evaporazione

Perdite © Infiltrazione nel terreno

Deflusso totale (A-(B+C))

Risorse superficiali potenzialmente disponibili (D) Risorgente, fontanili, …

Risorse sotterranee (E) Deflusso idrico nella sezione fluviale di chiusura del

Capacità invasi esistenti bacino

Capacità invasi in costruzione Apporti o deflussi idrici profondi da altri bacini o

Altri serbatoi potenzialmente realizzabili defluenti verso essi

Risorse superficiali utilizzabili (F) Scambio idrico tra corso d’acqua e falda

Differenza tra volumi idrici invasati all’interno delsottosuolo all’inizio e alla fine del periodo di riferimento

Differenza tra i volumi idrici invasati negli eventualiserbatoi superficiali naturali all’inizio ed alla dine delperiodo di riferimento

Elementi antropici

Totale risorse disponibili (E + F)

In relazione ai tempi previsti per la presentazione del presente rapporto, non si ritiene visiano le condizioni necessarie per una indagine puntuale (numero significativo di gestori o loroassociazioni) sugli usi e sulla qualità delle acque a scopo irriguo ma, nell’ambito di un primo rap-

265

1 Risorsa idrica naturaleRisorsa idrica non convenzionaleRisorsa idrica potenzialeRisorsa idrica utilizzabile

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 265

porto di un costituendo Osservatorio, si potrebbe verificare lo stato dell’arte in alcunidistretti/zone significative equamente ripartite sul territorio (Nord Centro e Sud) ed in funzionedel tipo di “sorgente” (superficiale, sotterranea, invaso).

Nello specifico di un censimento degli invasi (numero e volumi) per l’immagazzinamentodelle acque a scopi plurimi si ritiene necessario analizzare le informazioni disponibile presso ilRID e le associazioni di servizio (Federgasacqua ora Federsutility), Consorzi di Bonifica (ANBI)ed Enti regionali (Ente Flumendosa, Sardegna).

Il sistema nazionale dei Servizi Idrici Integrati gestiti nel quadro degli Ambiti TerritorialiOttimali viene regolarmente censito dal CO.VI.RI, Comitato di Vigilanza sull’uso delle RisorseIdriche del MATT previsto dalla L. 5 gennaio 1994 n° 36 (Galli). I dati andrebbero confrontaticon i censimenti ISTAT.

L’importanza di questi censimenti è evidente se si tiene conto, come riportato dal rapportoCO.VI.RI “Lo stato dei servizi idrici 2002” (pag. 11), che l’85% del volume prodotto per l’im-missione in acquedotto proviene da acque sotterranee (di cui il 53% da pozzi e il 47% da sorgen-ti) (tabella 11). Soltanto il 14% è costituito da acque superficiali anche se in talune ATO questesono prevalenti: ATO 7 - Emilia Romagna-Ravenna (93%), ATO 3 - Toscana-Medio Valdarno(64%), ATO 1 Marche-Pesaro-Urbino (69%), Basilicata (ATO unica 87%), ATO 3 - Calabria-Cro-tone (93%) e ATO 6 - Sicilia-Enna (72%).

Tabella 11 - Rapporto Comitato Vigilanza Risorse Idriche (COVIRI) citato (per regione; latabella del rapporto evidenzia anche le rispettive ATO)

Tipologia della risorsa sfruttata Copertura servizio acquedotto(ab. Serviti/ ab. Residenti)

Codice Regione Acque Acque Acque CoperturaRegione Sotterranee Sotterranee Superficiali (%)

Pozzi (%) Sorgenti (%) (%)

1 Piemonte 58 29 14 97

2 Valle d’Aosta

3 Lombardia

4 Trentino Alto Adige

5 Veneto 56 37 7 87

6 Friuli Venezia Giulia

7 Liguria

8 Emilia Romagna 6 1 93 96

9 Toscana 59 26 15 94

10 Umbria 42 56 3 96

11 Marche 28 57 14 95

12 Lazio 37 63 1 94

13 Abruzzo 21 78 1 99

14 Molise

15 Campania 40 60 0 97

16 Puglia 100 0 0 96

17 Basilicata 1 12 87 99

18 Calabria 39 37 24 99

19 Sicilia 60 23 17 99

20 Sardegna

TOTALE 45 40 15 96

266

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 266

Infine la Legge 464/84 che prevede l’anagrafe dei pozzi in concessione per usi diversi(censimento APAT) è stata oggetto di una recente proposta di legge per la sua modifica. La rela-zione di accompagnamento prevede informazioni sui pozzi suddivisi per regione con destinazio-ne ad uso agricolo (tabelle 12 e 13). Analogo censimento sulla base di dati disponibili presso gliEE.LL evidenzia la necessità di una integrazione delle informazioni per derivare un quadro reali-stico della situazione nazionale.

Una analisi puntuale degli usi, sulla base dei dati forniti dalle diverse statistiche citate(ANBI, Federgasacqua, ISTAT), è complicata perché in genere i criteri usati non sono omogenei.

7.5 Riuso acque depurate

Le norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue in agricoltura sono definite dal Decre-to 12 giugno 2003, n° 185 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, emanato inattuazione dell’art. 26, comma 2, del d.lgs.152/99, che sostituisce l’art. 6 della L. 36/94 sulle“Modalità per il riutilizzo delle acque reflue”.

Il D.M. 185/2003 si propone la tutela qualitativa e quantitativa delle risorse idriche pro-muovendo riutilizzo d acque reflue trattate al fine di limitare il prelievo delle acque superficiali esotterranee, ridurre l’impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori e favorire il risparmio idricoanche per fronteggiare in modo strutturale situazioni di scarsità della risorsa.

Il decreto disciplina il riutilizzo delle acque reflue domestiche, urbane ed industriali attra-verso la regolamentazione delle destinazioni d’uso e dei relativi requisiti di qualità.

Il riutilizzo deve avvenire in condizioni di sicurezza ambientale, evitando alterazioni agliecosistemi, al suolo ed alle colture e rischi igienico-sanitari per la popolazione esposta. Devonoinoltre essere rispettate le vigenti disposizioni in materia di sanità e sicurezza e le regole di buonaprassi industriale e agricola.

Il comma 4, dell’art. 1, impone l’adozione delle norme previste nel decreto ministeriale neiPiani di Tutela delle Acque predisposti dalle Regioni.

Il riutilizzo delle acque reflue prevede tre destinazioni d’uso ammissibili:

– irriguo per colture destinate al consumo umano o animale ma anche a fini non alimenta-re, aree verdi o destinate ad attività ricreative e sportive;

– civile per il lavaggio delle strade in centri urbani, l’alimentazione di sistemi di riscalda-mento o raffreddamento, di reti duali di acque non potabili e degli scarichi igienici;

– industriale: acque antincendio, di processo, di lavaggio e per i cicli termici, escludendoutilizzi che comportino il contatto di tali acque con alimenti, farmaci e cosmetici.

L’art. 4 del decreto definisce i requisiti di qualità chimico-fisici e microbiologici delleacque reflue ai fini del riutilizzo.

Per l’uso irriguo, rispetto ai limiti generali riportati nella tabella allegata al decreto, si pre-cisa che i limiti per pH, azoto ammoniacale, conducibilità elettrica specifica, alluminio, ferro,manganese, cloruri e solfati, rappresentano valori guida. Per tali parametri le Regioni possonoautorizzare limiti diversi da quelli di cui alla tabella, previo parere conforme del Ministero del-l’ambiente e della tutela del territorio, per le specifiche destinazioni d’uso, comunque, non supe-riori ai limiti per lo scarico in acque superficiali previsti alla tabella 3 dell’allegato 5 del d.lgs.152/99; per la conducibilità elettrica specifica, non deve essere superato il valore di 4000 ?S/cm.Inoltre i limiti per fosforo e azoto totale possono essere elevati rispettivamente a 10 e 35 mg/l,

267

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 267

268

Tabe

lla 1

2 -

Rap

port

o d

i ce

nsim

ento

in

ambi

to

“A.P

.A.T

.” c

lass

ific

azio

ne p

ozzi

e d

eter

min

azio

ne d

ei r

icav

i, co

n ta

riff

e se

cond

o il

disp

osto

Art

. 18

Leg

ge 0

5/01

/199

4 N

°36

(le

gge

Gal

li)

Cod

ice

Reg

ioni

Poz

zi c

ensi

ti

Des

tina

zion

e D

esti

nazi

one

Des

tina

zion

e D

esti

nazi

one

Des

tina

zion

e R

egio

nepe

rR

egio

nead

uso

ad

uso

ad

uso

civ

ilead

uso

civ

ile

ad u

so

Dat

i APA

Tin

dust

rial

eag

rico

loac

qued

otti

stic

opr

ivat

o pr

omis

cuo

1Pi

emon

te

2.30

541

427

757

680

723

12

Val

le d

’Aos

ta

285

37

103

3L

omba

rdia

2.

901

522

349

725

1.01

529

04

Tre

ntin

o A

lto A

dige

81

1510

2028

85

Ven

eto

5.02

490

460

41.

256

1.75

850

26

Friu

li V

enez

ia G

iulia

177

3221

4462

187

Lig

uria

22

540

2756

7923

8E

mili

a R

omag

na3.

096

556

372

774

1.08

431

09

Tosc

ana

9.26

41.

668

1.11

22.

316

3.24

292

610

Um

bria

2.

094

377

251

524

733

209

11M

arch

e 19

935

2450

7020

12L

azio

5.

379

968

645

1.34

51.

883

538

13A

bruz

zo

689

124

8317

224

169

14M

olis

e 29

553

3574

103

3015

Cam

pani

a 1.

914

344

230

479

670

191

16Pu

glia

12

.532

256

3.50

43.

133

4.38

61.

253

17B

asili

cata

34

362

4186

120

3418

Cal

abri

a 3.

532

636

424

883

1.23

635

319

Sici

lia

7.35

332

41.

882

1.83

82.

574

735

20Sa

rdeg

na

6.44

816

01.

774

1.61

22.

257

645

TO

TA

LE

63.8

797.

495

11.6

6815

.970

22.3

586.

388

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 268

269

Tabe

lla 1

3 -

Rap

port

o d

i ce

nsim

ento

in

ambi

to “

EE

.LL

” cl

assi

fica

zion

e po

zzi e

det

erm

inaz

ione

ric

avi,

con

tari

ffe

seco

ndo

il di

spos

to A

rt. 1

8L

egge

05/

01/1

994

36 (

legg

e G

alli)

Cod

ice

Reg

ioni

Poz

zi c

ensi

ti

Des

tina

zion

e D

esti

nazi

one

Des

tina

zion

e D

esti

nazi

one

Des

tina

zion

e R

egio

nepe

rR

egio

nead

uso

ad

uso

ad

uso

civ

ilead

uso

civ

ile

ad u

so

Dat

i EE

LL

indu

stri

ale

agri

colo

acqu

edot

tist

ico

priv

ato

prom

iscu

o

1Pi

emon

te

55.6

0219

.461

13.9

0111

.120

8.34

02.

780

2V

alle

d’A

osta

45

.319

15.8

6111

.330

9.06

46.

798

2.26

63

Lom

bard

ia

46.6

7416

.335

11.6

699.

335

7.00

12.

334

4T

rent

ino

Alto

Adi

ge

52.4

2818

.350

13.1

0710

.486

7.86

42.

621

5V

enet

o 56

.814

19.8

8414

.204

11.3

638.

522

2.84

16

Friu

li V

enez

ia G

iulia

51.8

0318

.131

12.9

5110

.361

7.77

02.

590

7L

igur

ia

42.4

1314

.844

10.6

038.

483

6.36

22.

121

8E

mili

a R

omag

na66

.170

23.1

5816

.543

13.2

349.

926

3.30

99

Tosc

ana

57.1

2011

.424

19.9

9214

.280

8.56

82.

856

10U

mbr

ia

72.4

1514

.483

25.3

4518

.104

10.8

623.

621

11M

arch

e 66

.435

13.2

8723

.252

16.6

099.

965

3.32

212

Laz

io

46.3

379.

267

16.2

1811

.584

6.95

12.

317

13A

bruz

zo

65.1

8213

.036

22.8

1416

.296

9.77

73.

259

14M

olis

e 73

.659

14.7

3125

.781

18.4

1511

.049

3.68

315

Cam

pani

a 70

.108

14.0

2224

.538

1.52

710

.516

3.50

516

Pugl

ia

90-3

5018

.068

31.6

2322

.588

13.5

534.

518

17B

asili

cata

61

.818

12.3

6321

.636

15.4

559.

273

3.09

118

Cal

abri

a 59

.578

11.9

1520

.852

14.8

958.

937

2.97

919

Sici

lia

61.9

362.

387

21.6

7825

.484

9.29

03.

097

20Sa

rdeg

na

59.0

271.

806

30.6

5914

.757

8.85

42.

951

TO

TA

LE

1.20

1.18

828

2.81

338

8.69

628

9.44

018

0.17

860

.061

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 269

fermo restando quanto previsto all’art. 10, comma 1 relativamente alle zone vulnerabili da nitratidi origine agricola.

Tale articolo, relativo alle “Modalità di riutilizzo” impone che il riutilizzo irriguo di acquereflue recuperate deve essere realizzato con modalità che assicurino il risparmio idrico e non puòcomunque superare il fabbisogno delle colture e delle aree verdi, anche in relazione al metodo didistribuzione impiegato. Esso deve comunque essere subordinato al rispetto del Codice di buonapratica agricola di cui al decreto del Ministro per le politiche agricole e forestali 19 aprile 1999, n.86. A tal proposito si ricorda che gli apporti di azoto derivanti dal riutilizzo di acque reflue con-corrono al raggiungimento dei carichi massimi ammissibili, ove stabiliti dalla vigente normativanazionale e regionale, e alla determinazione dell’equilibrio tra il fabbisogno di azoto delle coltu-re e l’apporto di azoto proveniente dal terreno e dalla fertilizzazione, ai sensi dell’allegato VII,parte AIV del decreto legislativo n. 152 del 1999.

Il decreto prevede, infine, che l’autorità sanitaria può disporre, ai sensi della vigentelegislazione, divieti e limitazioni, sia temporali sia territoriali, alle attività di recupero o diriutilizzo.

Il legislatore ha voluto incentivare l’avvio dei processi di riutilizzo irriguo delle acquereflue prevedendo una deroga per tre anni sul limite del parametro E.coli fino a 100 UFC/100 ml(80% dei campioni) con un valore massimo di 1000 UFC/100 ml pur imponendo ai titolari dellereti di distribuzione alcuni vincoli cautelari: non contatto con prodotti edibili crudi e non utilizzoin aree verdi accessibili al pubblico.

Il ricorso a questa risorsa idrica secondaria non è preso in adeguata considerazione nei PTApredisposti dalle Regioni. Evidentemente la mancanza di strutture di raccolta e distribuzione(come richiesto dall’art. 5 del DM), la necessità di controllare la qualità di queste acque primadell’uso anche se è prevista la modalità dell’autocontrollo da parte del gestore (art. 7) e la man-canza di incentivazioni finanziarie (quali i costi per l’utilizzo di queste acque?), non sostengonogli obiettivi di riutilizzo. Inoltre il dover computare l’apporto di nutrienti nel massimo caricoammissibile sul terreno, a scapito quindi dell’applicazione diretta di fertilizzanti, obiettivo priori-tario del legislatore allo scopo di ridurre gli investimenti per adeguare i sistemi di depurazionespecie nelle aree sensibili o vulnerabili e nei bacini drenanti in aree sensibili e vulnerabili, sembraessere un ostacolo alla diffusione del riutilizzo irriguo delle acque reflue.

Tuttavia devono essere segnalate alcune applicazioni significative in aree territoriali affet-te da scarsità di risorse idriche.

L’impianto di depurazione di Is Arenas (Cagliari) con capacità tra 40 e 60 Mm3/anno rap-presenta una significativa risorsa locale in un territorio affetto da ricorrenti eventi siccitosi e darilevanti fenomeni di intrusione salina per uno eccessivo sfruttamento delle falde. L’EFA (in “Sic-cità: monitoraggio, mitigazione, effetti Cagliari-Villasimius 21-23 Settembre 2000” - APAT) pre-vede l’uso di tali acque a scopo prevalentemente irriguo, a copertura dell’80% della domanda dicirca 8000 ettari di terreno. Il progetto mette in evidenza i principali nodi critici per il riuso irri-gue delle acque reflue:

– adeguamento dell’impianto di depurazione con uno stadio terziario al fine di rispettare iparametri di qualità richiesti per il riuso (in particolare il P tot. da circa 2.5 a 0.2 mg/l eE.coli);

– collettamento delle acque trattate nel “serbatoio” Simbirizzi e loro miscelazione conacque del sistema Flumendosa Campidano;

– sistema di distribuzione delle acque in funzione della destinazione d’uso (diretto o iindiretto);

270

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 270

– monitoraggio delle acque prodotte, delle acque miscelate nel Simbirizzi e degli effettisul suolo.

È interessante notare come la qualità delle acque per il riuso irriguo condizioni anche lemodalità d’uso in relazione ai rischi potenziali (tabella 13).

Un progetto rispondente ad un’esigenza diversa ma molto rappresentativa nell’area Medi-terranea è sviluppato a Villasimius per fronteggiare la domanda stagionale turistica determinatadall’incremento dei residenti da 3000 a 40-50.000 persone. L’uso previsto riguarda aree verdi aduso ricreativo e sportivo.

In entrambi i casi non si prefigura un puro e semplice riuso irriguo di acque reflue trattatema lo sviluppo di un “sistema di riuso delle acque reflue”.

Nota: Con riferimento a quanto previsto dal decreto in merito ai PTA, sarebbe interessan-te verificare, attraverso un’indagine a campione, se e in che modo le Regioni hanno recepito lepresenti norme nell’ambito dei piani stessi. Ad esempio, la Regione Emilia Romagna prevede nelPTA il riciclo delle acque di un certo numero di grandi impianti di depurazione per i quali si pre-vedono interventi di adeguamento finalizzati allo scopo.

Anche in questo caso le esperienze dovrebbero essere molto limitate; si potrebbe focalizza-re l’attenzione su alcuni casi studio:

– depuratore di Ferrara,

– Cagliari depuratore di Is Arenas,

– depuratore di Villasimius.

Tabella 14 - Qualità delle acque e riuso

Parametri di qualità Classi di qualità Condizioni di usoper uso irriguo

271

Parametri chimici di base:pH, conducibilità, SAR, Cl,Solfato, B, elementi intraccia (Cd, Pb, Cu, Zn,tensioattivi, …) Rischi: fitotossicità,accumulo e/o rilascioambientale

Parametri microbiologici:Coli totali, Coliformi fecali,streptococchi, uova elmintiRischi: salute

Parametri addizionali:Solidi sospesi, BOD, COD,N, P, carbonati, Temperatura

I

II

III

IV

A

B

C

a

b

Quantità di acqua utilizzataMetodo irriguoColtureQuantità di acqua utilizzataMetodo irriguoColtureQuantità di acqua utilizzataMetodo irriguoColtureQuantità di acqua utilizzataMetodo irriguoColture

Metodo irriguoColtureMetodo irriguoColtureMetodo irriguoColture

Metodo irriguoColtureMetodo irriguoColture

Illimitata e continuaNessun limiteNessun limiteUso continuo limitatoAlcune restrizioniAlcune restrizioniUso irregolareAlta efficienzaColture tollerantiNon utilizzabile

Nessun limite e uso continuoCriteri di irrigazionespecificaNon utilizzabile

Nessun limite e uso continuoCriteri di irrigazionespecifici

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 271

Conclusioni

L’Italia si è dotata di un significativo insieme di norme e regolamenti per la tutela e l’usosostenibile delle risorse idriche. Sono previste numerose norme tecniche di qualità delle acqueper i vari usi che se applicate garantiscono un uso intelligente e sicure delle risorse.

Tuttavia la complessità del sistema autorizzativi e dei controlli che mette in campo unamiriade di soggetti con competenza in materia, ed in particolare il ritardo con cui si è consolidatoil sistema dei gestori del ciclo idrico integrale negli ATO come previsto dalla legge Galli – cheavrebbe dovuto portare ad un livello di razionalità e gestibilità l’intero sistema della gestione, nonconsente ad oggi di avere un quadro adeguato dello stato della qualità, degli usi differenziati edell’attuazione del principio del recupero dei costi.

Per quanto riguarda l’uso dell’acqua in agricoltura non vi sono specifici programmi regio-nali di monitoraggio e controllo della qualità se non in situazioni locali segnate da una qualchecriticità che li renda necessari. Il sistema nazionale degli acquedotti non riscuote che l’1,5% delfatturato complessivo dalle risorse erogate per scopi agricoli o zootecnici e quindi non rappre-senta il principale fornitore per questo settore. Se tale dato fosse confermato si deve concludereche l’acqua usata in agricoltura deriva da concessioni specifiche di prelievo da corpi idricisuperficiali e sotterranei e quindi ha la qualità di queste fonti cioè quella evidenziata dai monito-raggi nazionali previsti ai sensi del d. lgs 152/99 sulla tutela delle risorse. I criteri di qualità pre-visti da questa norma quadro sono comunque molto dissimili sia nella tipologia di parametri sianei limiti ammessi da quelli previsti dai regolamenti e dalle normative finalizzate agli usi agrico-li dell’acqua.

Inoltre le informazioni sugli usi delle acque prelevate dai corpi idrici naturali o artificialinon sono aggiornate, sono molto dissimili da fonte a fonte e in genere sono molto carenti, poichésono di fatto assenti i previsti controlli di conformità ai termini delle concessioni. Analogamentenon esiste un sistema nazionale che aggiorni periodicamente le stime sulla disponibilità in funzio-ne dello stato degli apporti meteorici e che consenta quindi di valutare le disponibilità effettive, ilimiti dei prelievi da consentire per garantire lo stato qualitativo e quantitativo dei corpi idricisuperficiali e l’equilibrio di ricarica di quelli sotterranei.

Scarso è il ricorso al riuso agronomico delle acque reflue trattate e nullo è il ricorso a siste-mi tecnologici di trattamento di acque marine e salmastre (dissalazione) per usi civili e agricoli.

Il tema trattato richiede quindi un approccio più organico e mirato per la raccolta e la valuta-zione delle informazioni necessarie in gran parte mancanti, vale a dire un vero progetto dedicato.

272

•Capitolo07 13-06-2007 10:18 Pagina 272

CAPITOLO 8

IL FUNZIONAMENTO E LA GESTIONE DEGLI ENTI GESTORIDELLA RISORSA IRRIGUA*

Abstract

L’analisi svolta ha avuto l’obiettivo di ricostruire un quadro, seppur sommario, del funzio-namento degli enti gestori della risorsa idrica ad uso irriguo.

Particolare attenzione è stata data alla capacità di copertura dei costi di gestione delle atti-vità istituzionali dei Consorzi. I regimi di pagamento dell’acqua usata in agricoltura, infatti, han-no subito nel tempo cambiamenti rilevanti. Negli ultimi anni, i pagamenti irrigui di molte areeagricole hanno subito un incremento notevole, soprattutto perché, in diversi casi, si è ridotta lapartecipazione delle Regioni al finanziamento delle spese sostenute dai Consorzi di Bonifica. Inparticolare, si sono azzerati i contributi alla spesa per l’acquisto di energia elettrica e per la remu-nerazione del personale della maggior parte degli enti. Questo ha contribuito ad accrescere, a vol-te in misura consistente, le contribuzioni richieste agli utenti serviti dai Consorzi di Bonifica.

L’analisi comparativa dei dati di bilancio dei Consorzi esaminati, ha permesso di indivi-duare il grado di copertura, attraverso la contribuzione privata, dei costi sostenuti dagli enti perle attività istituzionali. Il risultato è poco incoraggiante. L’insieme dei contributi privati, infatti,sembra insufficiente a coprire tali spese. Risulta, invece, evidente il ruolo dei contributi pubbli-ci, che continuano ad assumere un’importanza cruciale nel sostenere il complesso delle attivitàconsortili. In alcuni casi il contributo pubblico arriva a costituire quasi il 90% delle entrate tota-li dell’ente.

Infine, dall’analisi dei bilanci è stato possibile ricostruire alcuni indicatori che possonoessere d’aiuto per un’eventuale valutazione dell’efficienza gestionale degli enti: indicatori di inci-denza percentuali dei costi e ricavi sui metri cubi di acqua servita; indicatori percentuali dell’inci-denza dei costi sui ricavi da contribuzione privata; determinazione dei ricavi medi per ettaro eper volume di acqua erogata distinti, dove possibile, per superficie amministrata, attrezzata edirrigata.

This analysis focuses on performance of water resources management Consortiums.

In particular, the attention focuses on overhead recovering of the Consortiums’ institution-al activities. Payments of agricultural water use are considerably increased in the last years. Inmany cases public funding let up, in particular for energy costs and job costing. This trend con-tributed to enhance users’ payments.

Comparison of final balances data of Consortiums checked has monitored costs coveragerate trough private payments. Results are not encouraging. Private payments are insufficient tocover these costs. While public funding is very important for revenue Consortium. In several cas-es, these are equal to 90% of total incomes.

Finally, it was possible to build up some qualitative indicators to use in future perform-ance analysis.

273

* Domenico Barreca, consulente.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 273

8.1 Cenni sul quadro normativo di riferimento

I Consorzi di Bonifica, ai sensi dell’art. 59 del R.D. 13.2.1933 n. 215 e dell’art. 862 delCodice Civile, sono Enti di Diritto Pubblico e svolgono la propria attività entro i limiti consentitidalla legge e dagli statuti.

I compiti e le funzioni del Consorzio di Bonifica trovano oggi la loro fonte in leggi statali eregionali, anche se, per una sintesi autorevole di tali compiti, giova ricorrere alla sentenza dellaCorte Costituzionale n. 66 del 1992, la quale recita testualmente: “La bonifica è un’attività pub-blica che ha per fine la conservazione e la difesa del suolo, l’utilizzazione e la tutela delle risorseidriche e ambientali. I Consorzi di Bonifica sono una delle istituzioni principali per la realizzazio-ne degli scopi di difesa del suolo, di risanamento delle acque, di fruizione e di gestione del patri-monio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale e di tutela degli assetti ambien-tali ad essi connessi”.

Le competenze in tema di bonifica, dall’originaria competenza statale, sono diventate diattribuzione regionale con un primo parziale decentramento attuato nel 1972 ad opera del D.P.R.15 gennaio n. 11, concernente la materia dell’agricoltura e foreste, della caccia e della pesca nelleacque interne, che trasferì alle regioni a statuto ordinario le funzioni riguardanti la bonifica integra-le e montana, comprese quelle già esercitate dallo Stato nei confronti dei Consorzi; la classificazio-ne e declassificazione dei comprensori di seconda categoria, l’approvazione e l’attuazione dei pia-ni generali di bonifica, le opere di bonifica, con esclusivo riferimento all’ambito del territorioregionale. Lo Stato si riservò, oltre la classificazione e declassificazione dei comprensori di primacategoria, tutte le funzioni di rilievo ultraregionali – riguardanti cioè opere, classificazione, com-prensori, piani, consorzi a dimensione interregionale – che furono ritenute d’interesse nazionale. Inseguito il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 attuò un consistente trasferimento di competenze dallo Sta-to e dai molteplici enti pubblici operanti nei vari settori e a vario livello, alle Regioni e agli entilocali, stabilendo una ricomposizione-trasformazione decentrata di funzioni pubbliche. L’articolo90 del predetto decreto, delega alle Regioni tutte le funzioni di vigilanza e tutela, disciplina ed uti-lizzazione delle risorse idriche, nonché delle altre funzioni amministrative, tra cui l’imposizione ela determinazione delle tariffe di vendita delle acque. I Consorzi sono stati concepiti come Ente diautogoverno degli agricoltori interessati alla bonifica, non solo integrale, ma come attività pubbli-ca alla quale partecipano tutti i soggetti che ne hanno veramente interesse.

In seguito, attraverso il Decreto legislativo n. 112 del 31 marzo 1998 “Conferimento difunzioni e compiti amministrativi dello stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capoI della Legge 15 marzo 1997 n. 59”, il legislatore statale ridistribuisce le funzioni amministrativetra lo Stato, le Regioni e gli enti locali attuando il più ampio decentramento amministrativo acostituzione invariata.

Tale provvedimento interessa anche le competenze in materia di risorse idriche: all’art. 86è affidata la gestione del demanio idrico alle Regioni ed agli enti locali competenti, i proventiricavati dall’utilizzazione del demanio idrico sono introitati dalla Regione e destinati – sentiti glienti locali interessati – al finanziamento degli interventi di tutela delle risorse idriche e dell’asset-to idraulico e idrogeologico sulla base delle linee programmatiche di bacino. All’art. 88 sono trac-ciati i compiti di rilievo nazionale relativi, tra l’altro, alla definizione del metodo normalizzato perdefinire le componenti di costo e determinare la tariffa di riferimento del servizio idrico.

A tale disciplina nazionale si è andata ad affiancare un’altrettanta cospicua legislazioneregionale di riforme in materia di bonifica. L’attività amministrativa dei Consorzi relativa all’ese-cuzione di opere e d’interventi ha, inoltre, dovuto confrontarsi con la legislazione generale diriforma in tema di procedimento amministrativo, di accesso agli atti, di appalti. I Consorzi assu-

274

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 274

mono così la veste di soggetti attuatori di opere pubbliche e come tali risultano essere vincolatialla normativa sui pubblici appalti.

I Consorzi di Bonifica sono dotati di un proprio Statuto che viene approvato dalla Regionedi appartenenza e detta la disciplina delle funzioni e delle competenze, proprie e delegate, indivi-duate sia dalla normativa nazionale che da quella regionale. Lo strumento statutario disciplinal’organizzazione del Consorzio, quella degli uffici e l’esercizio del potere regolamentare. LaRegione fissa il regime dei contributi consortili che costituiscono la principale fonte di entratacui si affiancano contributi comunitari, statali e regionali. Sono poi i Consorzi stessi a provvede-re alla riscossione dei contributi consortili irrogando anche le sanzioni per eventuali inadempi-menti. Per il resto, i Consorzi di Bonifica sono destinatari di finanziamenti comunitari, nazionalie regionali, essendo enti autonomi dotati di autonomia finanziaria prevalentemente indiretta.

I Consorzi di Bonifica, per l’adempimento dei loro fini istituzionali, hanno il potere diimporre contributi ai proprietari consorziati (R.D. 13.12.1933 n. 215 e Codice Civile art. 860).L’attribuzione ai Consorzi di tale potere impositivo costituisce un principio fondamentale dettatodalla legislazione statale, ed è confermata dalla leggi regionali in materia. La portata ed i limiti ditale potere sono anch’essi disciplinati da disposizioni generali costituenti principi fondamentaliper la specifica materia, e anch’essi recepiti dalle leggi regionali.

Ciò posto, va ricordato, in via generale, che ai contributi imposti dai Consorzi è stata rico-nosciuta, dalla dottrina e dalla costante giurisprudenza, natura tributaria.

Inoltre, occorre sottolineare che il potere impositivo di cui sono titolari i Consorzi ha peroggetto tutti quegli immobili che traggono beneficio dalla bonifica, qualunque sia la destinazionedegli immobili stessi, agricola od extragricola.

Il Consorzio è costituito dai seguenti organi:

– il Consiglio;

– la Giunta;

– il Presidente;

– il Collegio dei revisori dei conti.

In particolare, spetta al Consiglio:

– deliberare sui criteri di classifica del comprensorio per il riparto degli oneri a carico del-la proprietà consorziata e approvare il piano di classifica;

– fissare gli indirizzi generali per la formazione del bilancio preventivo,

– approvare il bilancio preventivo e la relativa relazione, nonché le relative variazioni chesi rendessero necessarie in corso di esercizio;

– approvare il rendiconto consuntivo e la relativa relazione.

8.2 Composizione dei Bilanci, lettura e descrizione delle singole voci

I bilanci dei Consorzi di Bonifica sono suddivisi in “Titoli”, “Categorie” e “Capitoli”. Que-sti descrivono in maniera piuttosto dettagliata sia le voci relative alle spese sostenute sia le entra-te che derivano dallo svolgimento delle attività del consortili. In alcuni casi i titoli sono ulterior-mente suddivisi in “Sezioni” di bilancio.

La struttura dei bilanci presi in visione permette di desumere i risultati complessivi dellediverse attività degli enti. Essi, infatti, non forniscono informazioni dettagliate tali da consentirela ricostruzione dei risultati economici di ogni singola attività svolta dai Consorzi. La registrazio-

275

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 275

ne della contribuzione privata, ad esempio, avviene in un’unica voce, rendendone così complica-ta la disaggregazione nelle differenti categorie di contributo che la compongono (contributo per labonifica e contributo per l’irrigazione). Ricostruire quindi il bilancio di una singola attività èimpossibile, se non con l’ausilio di testimoni privilegiati o di relazioni tecniche accompagnatorieal bilancio generale dell’ente.

Nello svolgimento di questa analisi, quindi, non è stata fatta una distinzione tra riscossioniper l’esercizio irriguo e riscossioni per l’attività di bonifica. Bisogna però considerare che l’irriga-zione è l’attività prevalente svolta dai tre Consorzi presi in esame. Inoltre, non è stato possibile nem-meno distinguere le diverse componenti (quota fissa e quota variabile) dei canoni irrigui applicati.

Di seguito sono illustrati sinteticamente gli schemi dei bilanci consuntivi dei tre Consorziconsiderati in questa analisi, di cui sono riportate separatamente le voci relative alle spese ed alleentrate dei diversi enti.

Il Consorzio 1 adotta una suddivisione del “Titolo I” relativo alle spese in “Sezioni”; percomodità nell’esposizione le sezioni sono trattate come titoli.

I titoli I “Spese correnti” e II “ Spese in conto capitale”, si ritrovano in tutti i bilanci e fan-no riferimento alle spese sostenute per il raggiungimento dei fini istituzionali dell’ente.

Nel titolo I sono riportate tutte le spese relative alla manutenzione ed all’esercizio delleopere, nonché il costo per gli organi di amministrazione e gli oneri di finanziamento.

Nella categoria “Manutenzione ed esercizio delle opere” sono comprese tutte le spese rela-tive alla gestione degli impianti irrigui.

CONSORZIO 1 - SPESE

TITOLO I - Spese per il raggiungimento dei fini istituzionali

SEZIONE I - Spese correnti SEZIONE II - Spese in conto capitale

Categoria 1 Oneri afferenti ai beni strumentali Categoria 8 Esecuzione di opere pubbliche in concessione dallo Stato e dalla Regione

Categoria 2 Oneri per i finanziamenti provvisori Categoria 9 Esecuzione di opere private

Categoria 3 Spese per i sevizi generali Categoria 10 Spese straordinarie

Categoria 4 Assistenza ai consorziati Categoria 11 Acquisti di beni strumentali, titoli, partecipazioni e costituzione di cauzioniattive

Categoria 5 Manutenzione ordinaria delle opere SEZIONE III - Gestione oneri dilazionati dei consorziatidi bonifica su concessioni statali e regionali

Categoria 6 Manutenzione ed esercizio delle opere Categoria 12 Oneri per i finanziamenti definitiviconsortili a totale cura e spese del Consorzio

Categoria 7 Gestioni speciali

TITOLO II - Operazioni di finanziamento TITOLO III - Partite di giro

Categoria 13 Estinzione di debiti di finanziamento, Categoria 14 Partite di giro diverseprovvisori e definitivi e concessione di prestiti provvisori

Queste sono rappresentate dalle spese di energia elettrica per il sollevamento dell’acqua,dalle spese per materiali di ricambio, noleggi, carburanti e lubrificanti e attrezzatura varia (pro-grammi informatici per la gestione consortile, attrezzature per il funzionamento degli uffici, etc.).Laddove non è prevista una voce specifica, sono contemplate anche le spese per il personale tec-

276

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 276

nico, fisso e avventizio, addetto alla sorveglianza, alla manutenzione ed all’esercizio delle opere,e per il personale dirigenziale amministrativo. Anche le spese per gli organi amministrativi e peri revisori dei conti e le spese per il funzionamento degli uffici (affitto, illuminazione, acqua,riscaldamento, arredamento, etc.) possono essere comprese in questa stessa voce, sempre che nonsiano previste delle specifiche categorie di costi.

CONSORZIO 2 - SPESE

TITOLO I - Spese correnti TITOLO II - Spese in conto capitale

Categoria 1 Spese di amministrazione Categoria 1 Spese per l’esecuzione di opere pubbliche in concessione

Categoria 2 Oneri afferenti alla conservazione Categoria 2 Spese per l’esecuzione di opere private dei beni di proprietà o in consegna e studi progettuali

Categoria 3 Oneri di finanziamento Categoria 3 Spese manutenzione ed esercizio opere comuni

Categoria 4 Spese per manutenzione ed esercizio Categoria 4 Acquisto di benidelle opere

Categoria 5 Uscite per restituzione finanziamenti

Categoria 6 Uscite per estinzione di prestiti e costituzione di depositi

TITOLO III - Spese che si compensano con le entrate TITOLO IV - Accantonamento somme per futuri esercizi

Categoria 1 Gestioni speciali Categoria 1 Accantonamento sommeCategoria 2 Partite di giro per imposte erariali

CONSORZIO 3 - SPESE

TITOLO I - Spese correnti TITOLO II - Spese in conto capitale

Categoria 1 Personale Categoria 1 Beni ed opere immobili

Categoria 2 Acquisto di beni e servizi Categoria 2 Beni mobili

Categoria 3 Trasferimenti correnti Categoria 3 Trasferimenti in conto capitale dallo Stato e dalla Regione

Categoria 4 Interessi passivi

Categoria 5 Poste correttive e competenze entrate

Categoria 6 Spese per gli organi di amministrazione

Categoria 7 Somme non attribuibili

TITOLO III - Spese per rimborso prestiti TITOLO IV - Partite di giro

Categoria 1 Rimborso anticipazione di cassa

Categoria 2 Altri rimborsi di prestiti - Mutui

Completano il Titolo I le spese per la conservazione dei beni di proprietà (canoni di vigi-lanza delle infrastrutture consortili, premi assicurativi, oneri relativi alla gestione di aziende agri-cole di proprietà, spese per la conservazione e la gestione di beni mobili e strumentali), gli oneridi finanziamento (interessi passivi e spese per finanziamenti diversi) e le spese relative all’assi-stenza tecnica fornita alle imprese agricole. Nel Consorzio 1 i costi per le gestioni speciali (acque-dotti rurali) sono anch’essi imputati in questo titolo.

Nel Titolo II “Spese in conto capitale” sono annoverate tutte le spese relative alla realizzazio-ne delle opere pubbliche in concessione dallo Stato e dalle Regioni e delle opere private. Sono com-prese le spese sostenute per studi, rilievi, progettazione e collaudi, nonché il pagamento delle inden-nità da esproprio. Il titolo comprende anche le spese per l’acquisto di beni mobili ed immobili.

277

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 277

Gli altri titoli di bilancio possono essere in numero diverso e possono assumere denomina-zioni differenti da Consorzio a Consorzio, ma comprendono comunque le stesse voci di costo.

Tra queste si rilevano le partite di giro, che usualmente prevedono solo movimenti com-pensativi che non influenzano l’equilibrio economico del bilancio. Queste riguardano essenzial-mente le ritenute e i conseguenti pagamenti delle trattenute fiscali, dei contributi assicurativi eprevidenziali, di trattamenti di quiescenza, nonché delle partite imputate provvisoriamente a que-sta categoria in attesa della loro definitiva imputazione. Possono, inoltre, riguardare depositi cau-zionali, oppure rimborsi di anticipazioni di cassa.

Troviamo, poi, le spese sostenute per le gestioni speciali (attività dimostrative, gestione esorveglianza dighe, etc.), per l’estinzione di debiti di finanziamento e di prestiti e gli accantona-menti di somme per gli esercizi futuri.

Come già accennato, anche le entrate consortili, allo stesso modo delle spese, sono suddivi-se in Titoli e Categorie. Anche in questo caso il numero e la denominazione dei Titoli e delleCategorie possono essere diverse, come è possibile vedere dalle tabelle seguenti, dove sono sche-matizzate le sezioni dei bilanci relative alle voci di entrata dei tre Consorzi.

CONSORZIO 1 - ENTRATE

TITOLO I - Contributi alle spese per i fini istituzionali TITOLO II - Operazioni di finanziamento

Categoria 1 Entrate da beni strumentali e valori Categoria 10 Assunzione di debiti di finanziamento provvisori e definitivi

Categoria 2 Entrate diverse TITOLO III - Partite di giro

Categoria 3 Contributi ordinari dei consorziati Categoria 11 Partite di giro

Categoria 4 Contributi dello Stato e della Regione all’attività corrente

Categoria 5 Entrate delle gestioni speciali

Categoria 6 Contributi dello Stato e della Regione per esecuzione di opere pubbliche

Categoria 7 Entrate straordinarie

Categoria 8 Alienazione e ammortamento di beni strumentali, titoli e partecipazioni poliennali e svincolo di cauzione attive

Categoria 9 Contributi straordinari dei consorziati

CONSORZIO 2 - ENTRATE

TITOLO I - Entrate correnti TITOLO II - Entrate in conto capitale

Categoria 1 Entrate patrimoniali Categoria 1 Contributi per l’esecuzione delle opere ed altre attività

Categoria 2 Contributi ordinari e straordinari Categoria 2 Contributi e sussidi per esecuzione di opere pubbliche

Categoria 3 Entrate extrapatrimoniali Categoria 3 Vendita di beni

Categoria 4 Contributi statali per spese generali Categoria 4 Assunzione di finanziamentiesecuzione opere pubbliche

Categoria 5 Entrate commerciali

TITOLO III - Entrate che si compensano con le spese

Categoria 1 Gestioni speciali

Categoria 2 Partite di giro

278

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 278

CONSORZIO 3 - ENTRATE

TITOLO I - Entrate contributive TITOLO II - Entrate derivanti da trasferimenti correnti della Regione e di altri Enti pubblici

Categoria 1 Ruolo ordinario Categoria 1 Dallo Stato

Categoria 2 Tasse Categoria 2 Dalle Regioni

Categoria 3 Tributi speciali ed altre entrate tributarie Categoria 3 Da altri Enti Pubblici

TITOLO III - Entrate derivanti dalla gestione del patrimonio TITOLO IV - Entrate diverse

Categoria 1 Proventi Patrimoniali Categoria 1 Entrate diverse

Categoria 2 Proventi beni comunali

Categoria 3 Interessi su anticipazioni e crediti

Categoria 4 Utili netti dei servizi municipalizzati

Categoria 5 Concorsi, rimborsi e recuperi

Categoria 6 Poste correttive e compensazioni delle spese

TITOLO V - Riscossioni crediti-ammortamenti TITOLO VI - Entrate in conto capitale

Categoria 1 Entrate derivanti da alienazioni Categoria 1 Contributi per l’esecuzione di opere e ammortamento beni patrimoniali pubbliche

TITOLO VII - Entrate da prestiti TITOLO VIII - Partite di giro

Categoria 1 Anticipazioni di cassa

Categoria 2 Altre accensioni di prestiti

Appare evidente la diversa natura delle entrate consortili. Queste sono costituite, in pri-mo luogo, dai pagamenti effettuati dagli utenti consorziati per il servizio ricevuto dallo svolgi-mento delle attività istituzionali dell’ente (bonifica e irrigazione). I canoni incassati costituisco-no solitamente una specifica categoria di entrate, “ruoli/contributi ordinari”, nella quale posso-no essere compresi anche i contributi straordinari versati dalla Regione per la copertura dellespese di funzionamento degli impianti di bonifica e di irrigazione, o per il risanamento di pas-sività pregresse.

Altri canoni possono derivare da attività collaterali a quelle principali degli enti, come adesempio la gestione di acquedotti per la distribuzione dell’acqua potabile alle aziende agricole,entrate commerciali derivanti dalla cessione di acqua a poli industriali, l’esercizio e la custodia didighe e traverse, etc.

Ci sono poi le entrate di natura patrimoniale, che possono essere costituite da interessi atti-vi su depositi e titoli, oppure da canoni di affitto di beni di proprietà, come aziende agricole obeni immobili in genere, nonché da recuperi di partite arretrate della gestione patrimoniale.

Le entrate extrapatrimoniali possono essere invece rappresentate da contravvenzioni, dirit-ti catastali e di voltura, rimborsi IVA, rimborsi vari (contributi, indennità malattia, etc.).

Altre entrate ancora possono derivare dalla vendita di beni mobili ed immobili di proprietàdel Consorzio, nonché dall’assunzione di finanziamenti e mutui e da anticipazioni di cassa.

Una grossa fetta delle entrate consortili è costituita dai contributi e dai sussidi regionali estatali per l’esecuzione delle opere pubbliche e per la manutenzione straordinaria degli impianti diirrigazione e bonifica.

Infine, le partite di giro, costituite per lo più da ritenute assicurative e previdenziali, da rite-nute di legge sulle retribuzioni del personale, dalla restituzione di anticipazioni di cassa e dalrecupero di somme anticipate e di depositi cauzionali.

279

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 279

8.3 Attività dei Consorzi di Bonifica, Classi di Costo e di Ricavo, AnalisiComparativa dei dati di Bilancio di Tre Consorzi di Bonifica, IndicatoriGestionali

I Consorzi di Bonifica, storicamente costituiti per il miglioramento e per la salvaguardiadell’ambiente del territorio, sono oggi strutture funzionali, in grado di assicurare servizi di fonda-mentale importanza.

I principali servizi gestiti sono:

1. servizio di difesa idraulica/idrogeologica (attività di bonifica)

2. servizio irriguo (attività irrigua).

Oltre a queste, che costituiscono le funzioni essenziali dei Consorzi, ulteriori possibilicampi d’azione sono connessi alle attività di tutela delle acque (censimento degli scarichi nel-la rete consortile, accettabilità della qualità delle acque a scopi irrigui), di tutela dell’ambien-te e del territorio rurale (mantenimento di ecosistemi, salvaguardia delle aziende di pregio)ed agli usi produttivi delle acque (riutilizzo a fini irrigui delle acque reflue, usi turistici ericreativi delle acque, piscicoltura, produzione di energia, approvvigionamento di impreseproduttive).

In linea di principio, l’ottica del “servizio” richiede innanzi tutto che ogni spesa sia identi-ficata ed attribuita a chi, o cosa, la genera.

Il Piano di Classifica è lo strumento che contiene criteri, parametri e riscontri oggettivi perla copertura delle spese. Sono soggetti alla contribuzione i proprietari di immobili, sia agricoliche extra-agricoli, che traggono beneficio dall’attività consortile.

La ripartizione delle quote di spesa è fatta, in via definitiva, in ragione dei benefici conse-guiti per effetto dell’attività consortile e, in via provvisoria, sulla base di indici approssimativi epresuntivi del beneficio conseguibile (art. 11 R.D. n. 215/33). Le spese di esercizio e di manuten-zione di opere irrigue ricadono solo sui comprensori irrigui.

Il criterio di riparto delle spese sostenute dal Consorzio, sia che si tratti di spese per il ser-vizio irriguo che di spese legate all’attività di bonifica, si riferisce sempre al beneficio diretto.

Per quanto riguarda l’attività di bonifica, la funzione che svolge il Consorzio e che com-porta oneri a carico dei consorziati, è di contribuire in modo determinante alla sicurezza idraulicadel territorio, assicurando condizioni idonee allo sviluppo della vita civile e delle attività econo-miche. Il beneficio conseguito dai proprietari per effetto del realizzarsi delle opere pubbliche dibonifica è di carattere economico.

Visto che le spese per l’esecuzione delle opere è a totale carico pubblico, il beneficio nonpuò essere commisurato all’incremento di valore fondiario o di reddito dovuto alle opere stesse(ripartire, cioè, la quota di spesa a carico della proprietà in rapporto alla differenza tra i valori o iredditi ante bonifica e quelli post bonifica).

Il beneficio economico che la proprietà consorziata ritrae da tale spesa non si concreta,quindi, in incrementi di reddito o di valore fondiario, ma nella tutela dei valori o dei redditi chevengono raggiunti attraverso l’attività di bonifica.

Ne consegue che il beneficio da considerare corrisponde da un lato alla diversa misura deldanno che viene evitato con l’attività di bonifica, o meglio, del diverso “rischio idraulico” cuisono soggetti gli immobili, e dall’altro ai valori fondiari o redditi che vengono preservati.

Per determinare i rapporti di beneficio tra i vari immobili si opera utilizzando opportuni

280

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 280

parametri tecnici ed economici, espressi attraverso appositi indici: indice idraulico e indice eco-nomico1.

Per ciò che riguarda invece il servizio irriguo, tra le finalità dell’attività consortile, comefunzione essenzialmente pubblica, rientra la tutela e la valorizzazione della produzione agricolaconservando e incrementando le risorse idriche. Oltre alla elaborazione di proposte e di program-mi di interventi ed alla esecuzione in concessione delle opere, compete ai Consorzi l’esercizio e lamanutenzione degli impianti di cui sono consegnatari. Con la consegna dell’acqua all’utente siesaurisce la funzione del Consorzio e sono lasciate all’imprenditore le scelte degli ordinamentiproduttivi.

Il beneficio, che è conseguente al mantenimento in efficienza e all’esercizio di un com-plesso di opere che assicurano la consegna di una data quantità di acqua, è di carattere economicoin quanto correlato al maggior valore fondiario dei terreni, ovvero alla loro maggiore produttività.Tale beneficio, pertanto, scaturisce dalla differenza di valore fondiario, ovvero di reddito tra unterreno servito dall’irrigazione e un analogo terreno a coltura asciutta.

Per il servizio irriguo il beneficio non è rapportabile al valore economico del suolo comeper le opere idrauliche, il cui onere di manutenzione si identifica con la tutela del territorio, maalle diverse modalità di consegna dell’acqua ed alla suscettività produttiva dei terreni.

In prima istanza, il beneficio può essere rapportato alla quantità di acqua posta a disposi-zione di ciascun terreno che consente il raggiungimento di determinati risultati produttivi e, quin-di, economici.

Nella grande varietà di situazione che gli impianti di irrigazione possono presentare, il bene-ficio identificato può subire variazioni per effetto di fattori di tipo agronomico e di tipo tecnico.

Sotto il profilo agronomico, a parte la diversità degli indirizzi produttivi e delle praticheagronomiche di competenza degli imprenditori, è da considerare la varietà di situazioni pedologi-che che possono presentare le varie zone servite e che rappresentano l’attitudine dei singoli terre-ni a trarre vantaggio dall’irrigazione.

Sotto il profilo tecnico sono invece da considerare quegli elementi che possono influiresulla misura del beneficio per effetto dei maggiori o minori costi a carico dell’imprenditore perutilizzare l’acqua: consegna dell’acqua a pelo libero o in pressione; con sistemi turnati e a doman-da; in quota dominante o soggiacente; con pressioni diverse; con densità diverse degli idranti odelle bocchette; vetustà, etc.

281

1 L’indice idraulico è dato dalla composizione di due parametri elementari: il rischio idraulico ed il diverso comportamento dei ter-reni.

a1) Indice di rischio idraulicoIl rischio idraulico cui sono soggetti gli immobili viene determinato in base a due parametri:– il primo deriva dalla suddivisione del comprensorio in zone idraulicamente omogenee per quanto attiene la diversa entità del-

le opere necessarie a garantire la sicurezza idraulica del territorio, e viene espresso attraverso un indice di “intensità delleopere”;

– il secondo dalla posizione e quindi dalla soggiacenza idraulica dei suoli nei confronti del punto di recapito o della idrovora diciascuna zona omogenea come sopra delimitata, espresso attraverso un indice di “soggiacenza”.

La composizione degli indici di “intensità” delle opere con gli indici di soggiacenza fornirà l’indice di “rischio idraulico”.a2) Indice di comportamento idraulico

Considera il diverso comportamento dei suoli sotto il profilo idraulico (ad esempio le differenze che presentano terreni sciolti agrossa tessitura con alta percentuale di filtrazione d’acqua e terreni argillosi con lenta filtrazione ed alto potenziale di deflusso).

b) Indice economicoQuesto deve fornire la diversa entità del valore fondiario o del reddito di ciascun immobile tutelato dall’attività di bonifica.L’alto numero di immobili e l’estrema varietà di caratteristiche, rendono impensabile determinare un indice economico per cia-scuno di essi. Vi è quindi la necessità di individuare un indice economico che abbia i requisiti dell’oggettività e della semplicità diapplicazione e che, pur mediando tra questi, garantisca il rispetto dei rapporti economici esistenti tra i diversi immobili soggettialla contribuenza di bonifica.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 281

A parità di dotazioni e di risultato produttivo, i diversi costi a carico del consorziato perl’utilizzazione dell’acqua producono un diverso risultato economico e quindi una diversa misuradi beneficio.

In sintesi il beneficio irriguo può essere distinto in due parti: il beneficio potenziale ed ilbeneficio effettivo. Il beneficio potenziale è commisurato all’aumento del valore del fondo in vir-tù della capacità produttiva potenziale imputabile alla reale possibilità di adacquamento. Il bene-ficio effettivo dipende, invece, dall’incremento di reddito derivante dall’utilizzo della risorsa idri-ca, e quindi è commisurabile al consumo effettivo oltre che alla dotazione di acqua a disposizio-ne. Per determinare la misura del beneficio effettivo bisogna tener conto di quei fattori tecnici,quali ad esempio la modalità di consegna dell’acqua (a pelo libero o in pressione, in quota domi-nante o soggiacente, con pressioni diverse, etc.) che, rappresentando per l’utente costi maggiori ominori, hanno un’incidenza sul risultato economico.

Per rapportare le spese ai relativi benefici, per ogni impianto attivo, vanno computate:

– spese di manutenzione;

– spese di esercizio;

– eventuali spese di esercizio straordinario (surplus irrigui extra dotazione, possibili solofinché la risorsa non è limitata);

– quota di spese generali ed accessorie, ripartite proquota.

I Consorzi di Bonifica adottano criteri diversi per ripartire i costi sostenuti nella distribu-zione dell’acqua per l’irrigazione tra le aziende agricole associate.

Sulla base delle caratteristiche e del tipo di distribuzione attiva è possibile articolare unatariffa a più voci: con una prima voce coprire i costi di manutenzione (beneficio potenziale) sullabase della superficie irrigabile; con una seconda voce coprire i costi di esercizio (beneficio effet-tivo) sulla base del consumo effettivo o, in alternativa, sulla base della superficie irrigata.

In funzione dei tipi di distribuzione e dei dati a disposizione di ciascun Ente è quindi possi-bile adottare due metodologie:

– la metodologia semplificata, che utilizza una tariffa monomia in cui confluiscono i costidi manutenzione e quelli di esercizio irriguo;

– la metodologia standard, che utilizza una tariffa binomia: la prima voce per ripartire lespese di manutenzione (beneficio potenziale) e la seconda quelle di esercizio.

Nel primo caso il contributo può essere riferito all’ettaro irrigabile o irrigato, eventualmentedifferenziato per qualità di coltura in funzione delle differenti esigenze idriche (o di altri parametri,quali il sistema di distribuzione al campo). Questo metodo, di più semplice attuazione, è applicato dinorma nelle aree dove ci sono difficoltà di vario ordine per accertare l’effettivo consumo di acqua.

Il contributo binomio è costituito da una quota fissa, riferita alla superficie irrigabile o irri-gata e una quota variabile, definita da due parametri, uno riferito alla superficie e l’altro solita-mente al tipo di coltura o al volume di acqua prelevato. Questa formula ha implicazioni più one-rose sotto il profilo organizzativo, ma ha il merito di governare più efficacemente i consumi e difrenare gli sprechi di acqua. Per inquadrare meglio questo tipo di contribuzione può essere utilefare l’esempio di un sistema di pagamento che incoraggi gli agricoltori ad un uso efficiente dellarisorsa. In questo caso i pagamenti aziendali sono ripartiti in due parti. La prima è costituita da uncanone fisso, la cui funzione è di ripagare l’investimento negli impianti che erogano il servizioalle aziende2. I Consorzi, nei loro Piani di Riparto, possono decidere di distribuire in maniera

282

2 In questo modo si potrebbero sostenere sia i costi di manutenzione sia quelli di ammortamento degli impianti. Le amministrazionipubbliche potrebbero poi decidere di partecipare al loro finanziamento, sollevando le aziende agricole di parte di questi oneri.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 282

diversa questi oneri tra le aziende in base alle caratteristiche tecniche della rete irrigua e degliimpianti che forniscono l’acqua ai diversi distretti. Gli Enti possono modulare la componente fis-sa dei pagamenti in modo da riflettere queste differenze, oppure possono conservare una certauniformità di trattamento, rifacendosi alla natura solidale dell’istituzione. L’altra parte del paga-mento irriguo dovrebbe invece variare con la quantità d’acqua ricevuta, proprio per indicare agliagricoltori come cambiano i costi al variare dell’uso dell’acqua e, dunque, per favorire gli utiliz-zi che impiegano la risorsa in maniera più efficiente.

Relativamente all’attività irrigua il Consorzio esegue una serie di interventi sul territoriocui possono riferirsi le principali voci di costo:

1. manutenzione delle opere di derivazione;

2. manutenzione degli invasi;

3. manutenzione delle opere di adduzione;

4. manutenzione della rete di distribuzione;

5. esercizio irriguo: sollevamento (consumi energetici);

6. esercizio irriguo: manovre;

7. esercizio irriguo: sorveglianza;

8. monitoraggio qualitativo della risorsa distribuita3.

Le voci sopra citate sono in parte riferite al singolo impianto, in parte riferite all’intera atti-vità irrigua. Si prevede che le singole spese siano ripartite per singolo impianto, per poter dar luo-go ad un sistema tariffario adattato alle singole caratteristiche e modalità di servizio; in modo par-ticolare distinguendo i costi per l’attività irrigua a gravità da quella in pressione e quelli relativialla distribuzione ad espansione superficiale da quelli di distribuzione ad aspersione.

In generale, le spese sostenute dai Consorzi di Bonifica riguardano:

a) le quote relative alla esecuzione delle opere di competenza statale e regionale, quando nonsiano poste a totale carico dello Stato e della Regione;

b) le spese annualmente sostenute per l’esercizio e la manutenzione delle opere pubbliche dibonifica;

c) le spese necessarie per il funzionamento del Consorzio e, in generale, per il raggiungi-mento di tutti i suoi fini istituzionali, a norma di quanto contenuto all’art. 59 del R.D. n.215/33.

Nell’ambito dell’attività consortile, le spese sostenute dall’Ente sono distinguibili in duecategorie:

a) spese specifiche, direttamente imputabili al singolo servizio consortile, quali, ad esempio:

– personale dedicato (dipendente e/o convenzionato, per compiti di sorveglianza, eserci-zio e/o manutenzione);

– consumi (energia, mezzi, materiali, combustibili e lubrificanti);

– servizi (di officina, terzisti, etc.);

– noli;

– ammortamenti;

– di progettazione e direzione lavori per la parte non rientrante nel finanziamento pubblico;

283

3 Questa attività è particolarmente rilevante in considerazione della fruibilità della risorsa, che in caso di inadeguatezza pregiudi-cherebbe l’intero servizio, vanificando tutti gli investimenti sostenuti.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 283

b) spese generali4, non imputabili direttamente al singolo servizio consortile;

– funzionamento organi di amministrazione e direzione;

– servizi amministrativi:

– segreteria;

– contabilità;

– gestione del personale;

– oneri di riparto;

– servizi tecnici generali: pianificazione e gestione delle risorse consortili.

Un ulteriore suddivisione può essere fatta considerando le spese a carico degli utenti del-l’irrigazione:

a) spese fisse.

– Spese di manutenzione ordinaria e straordinaria degli invasi, dei canali adduttori, dellecondotte principali e degli impianti di sollevamento, delle reti di distribuzione e appa-recchiature;

– quota parte delle spese relative al personale fisso addetto all’irrigazione;

– ammortamento dei mezzi tecnici;

b) spese variabili.

– Rimanente quota parte delle spese relative al personale fisso addetto all’irrigazione;

– spese relative ai mezzi di trasporto, funzionali e varie inerenti alla sorveglianza e all’or-ganizzazione della distribuzione;

– spese relative al personale stagionale e personale d’ufficio distaccato temporaneamenteall’esercizio;

– spese di consumo d’esercizio elettrico per gli impianti di sollevamento.

Con il primo gruppo si attribuiscono e si ripartiscono i costi fissi che trovano il presuppostonella comune utilità delle opere irrigue e nel mantenimento delle loro efficienza. Essi pertantovengono ripartiti tra tutti i consorziati i cui terreni ricadono nei comprensori irrigui in ragione diettaro servibile e di beneficio, indipendentemente dall’utilizzazione dell’impianto.

Per contro, con la quota variabile si attribuisce e si ripartisce l’onere che varia in funzionedell’effettivo esercizio irriguo.

La suddivisione primaria della spesa comporta l’individuazione dei costi diretti imputabiliai singoli servizi (bonifica, irrigazione, di manutenzione dei corsi d’acqua, di piena, etc.). In talsenso, quindi, il servizio di bonifica e quello irriguo costituiscono centri di costo di primo livello.

Centri di costo primari

Servizio di difesa idraulica ed idrogeologica Attività di bonificaServizio irriguo Attività irrigua

L’attività consortile relativa ad ogni singolo servizio (centro di costo di primo livello) puòessere organizzata per ambiti ottimali di comprensorio (zone omogenee), che costituiscono centri

284

4 Le spese generali dovranno essere decurtate degli eventuali attivi di gestione, che possono derivare dalla differenza fra quota rico-nosciuta a finanziamento pubblico e spese effettive sostenute dall’Ente per progettazione e/o per direzione lavori di opere straordi-narie, da utili da investimenti, etc. Inoltre, l’insieme delle spese generali deve essere contenuto entro limiti congrui (da un’indagi-ne a effettuata a livello nazionale emerge che le spese generali restano di norma contenute tra il 20% e il 40% del totale delle spe-se consortili).

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 284

di costo di secondo livello. A ciascuna di tali zone omogenee saranno attribuiti i relativi costidiretti (spese direttamente imputabili).

La ripartizione dei costi delle opere a carattere misto, ovvero quelle capaci di apportare piùtipi di beneficio è da considerarsi caso per caso. Possono, infatti, esservi opere, come le dighe,che per tipologia e funzionalità hanno valenza multipla: da una parte svolgono importante attivi-tà nella difesa del suolo e quindi producono beneficio legato alla bonifica (sicurezza idraulica eidrogeologica), dall’altra sono essenziali per l’attività irrigua.

La ripartizione dei costi di gestione di tali opere dovrà indicativamente essere proporziona-ta ai benefici prodotti, desunti dall’esame delle voci di costo legate al funzionamento e dai perio-di in cui le relative attività sono esplicate.

A titolo esemplificativo, nelle tabelle 1 e 2 sono riportate sinteticamente le voci di spesa edi entrata dei tre Consorzi oggetto di analisi.

Tabella 8.3.1 - Descrizione delle spese consortili (in Euro)

Voci di spesaConsorzi di Bonifica

1 2 3

Personale 16.830.000,00 7.398.978,79 2.119.225,67tecnico 15.300.000,00 6.399.539,47 1.444.855,28amministrativo 1.530.000,00 999.439,32 548.648,44altro personale – – 125.721,95

Manutenzione e esercizio opere 15.717.201,59 3.998.816,18 936.314,68Esecuzione opere pubbliche 23.870.581,13 20.829.730,41 41.403.465,03Altre attività – – 1.040.781,82Oneri di finanziamento 33.632.737,34 439.218,65 92.175,78Partite di giro 9.222.155,00 4.184.199,61 718.885,46Altre spese 1.452.896,74 2.278.900,53 366.846,02Totale 100.725.571,80 39.129.844,17 46.677.694,46

Superfici (in ettari)

Territoriale 441.579 85.165 181.540Attrezzata 142.052 31.519 9.012Irrigata 127.298 16.141 2.862

Tabella 8.3.2 - Descrizione delle entrate consortili (in Euro)

Voci di entrataConsorzi di Bonifica

1 2 3

Contributi consorziati 27.594.608,73 10.249.644,36 1.462.694,99Contributi regionali/statali 27.216.108,07 27.641.092,63 42.559.316,84

per attività istituzionale 4.370.526,94 5.985.491,28 1.155.851,81per opere pubbliche 22.845.581,13 21.465.466,79 41.403.465,03altro – 190.134,56 –

Altre attività – – 1.885.326,93Entrate patrimoniali – 35.177,03 11.374,84Operazioni di finanziamento 30.500.000,00 – –Altre entrate 6.192.700,00 504.741,17 179.806,95Partite di giro 9.222.155,00 4.184.199,61 579.173,90Totale 100.725.571,80 42.614.854,80 46.677.694,45

Superfici (in ettari)

Territoriale 441.579 85.165 181.540Attrezzata 142.052 31.519 9.012Irrigata 127.298 16.141 2.862

285

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 285

Al fine di fornire un quadro omogeneo dei dati disponibili, le voci di bilancio sono stateraggruppate in alcune “macrovoci”, utili ad una lettura semplice e diretta delle diverse voci dispesa e di entrata.

Il personale è stato opportunamente suddiviso in tecnico e amministrativo, e comprendesia il personale dipendente a tempo indeterminato (dirigenti, quadri, impiegati ed operai) sia ilpersonale avventizio. Il dato riportato è comprensivo delle spese relative agli oneri previdenzialied assistenziali, nonché agli accantonamenti previdenziali e di quiescenza. La voce “altro perso-nale” riguarda invece il personale impiegato per lo svolgimento di attività diverse da quelle dibonifica e irrigazione, le cui spese di gestione sono contemplate nella voce “altre attività”. È que-sto il caso di uno dei tre consorzi, al quale è affidata la gestione di un chiarificatore per la fornitu-ra di acqua ad uso industriale e la gestione di un acquedotto rurale per la fornitura di acqua pota-bile alle aziende agricole5.

È interessante soffermare l’attenzione sul peso che le entrate di diversa natura hanno sultotale dei ricavi consortili. La tabella 3 illustra proprio il peso percentuale delle singole entrate sultotale.

Tabella 8.3.3 - Peso % delle voci di entrata rispetto al totale

Voci di entrataConsorzi di Bonifica

1 2 3

Contributi consorziati 27,4 24,05 3,13

Contributi regionali/statali 27,02 64,86 91,18

per attività istituzionale 4,34 14,49 2,48

per opere pubbliche 22,68 50,37 88,7

Altre attività – – 4,04

Entrate patrimoniali – 0,08 0,02

Operazioni di finanziamento 30,28 – –

Altre entrate 6,15 1,18 0,39

Partite di giro 9,16 9,82 1,24

Totale 100 100 100

Superfici (in ettari)

Territoriale 441.579 85.165 181.540

Attrezzata 142.052 31.519 9.012

Irrigata 127.298 16.141 2.862

Appare evidente la rilevanza per le casse dei Consorzi del peso assunto dai finanziamentipubblici, in particolare per la realizzazione e la manutenzione ordinaria e straordinaria delle ope-re pubbliche che, nel caso del Consorzio 3, arrivano addirittura a costituire quasi il 90% del tota-le delle entrate6. I contributi pubblici per le attività istituzionali sono finalizzati, invece, allacopertura di alcuni costi di funzionamento degli impianti, come ad esempio le spese di solleva-mento, oppure al risanamento di passività maturate nei precedenti esercizi (contributo straordi-nario).

Le contribuzioni private, così come rilevate dai bilanci, si riferiscono all’insieme delle atti-vità istituzionali dei Consorzi ed ammontano rispettivamente al 27% ed al 24% circa delle entra-

286

5 Anche il Consorzio 1 gestisce un acquedotto rurale. Il ricavo da questa attività è però economicamente poco rilevante, per cui inbilancio la spesa per il personale non è distinta nelle differenti utilizzazioni.

6 È bene ricordare che buona parte di questi finanziamenti sono utilizzati per la copertura delle spese generali di gestione.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 286

te per i Consorzi 1 e 2, mentre costituiscono una quota decisamente bassa del totale delle entrateper il Consorzio 3 (3,13%)7.

I flussi finanziari che scaturiscono da queste contribuzioni dovrebbero coprire i costi soste-nuti dal Consorzio per il regolare svolgimento delle attività istituzionali, oltre ad alimentare unarisorsa propria per eventuali investimenti.

Un cenno a parte meritano le entrate per “altre attività” del Consorzio 3. Queste derivanoessenzialmente dalla fornitura di acqua al vicino polo industriale e costituiscono la seconda voceper importanza dopo le contribuzioni pubbliche (4,04%). Le spese sostenute per tale attività,comprensive anche dei costi per il personale specifico dedicato, ammontano al 62% circa del tota-le dei ricavi realizzati.

Considerazioni simili possono essere fatte analizzando il peso che hanno le singole spesesul totale delle entrate consortili (tabella 4). A testimonianza di quanto detto in precedenza, infat-ti, è proprio la voce che gode in maggior misura del finanziamento pubblico ad assumere i valoripiù alti.

Tabella 8.3.4 - Peso % delle voci di spesa sulle entrate totali dei Consorzi

Voci di spesaConsorzi di Bonifica

1 2 3

Personale 16,71 17,36 4,54

tecnico 15,19 15,02 3,1

amministrativo 1,52 2,35 1,18

altro personale – – 0,27

Manutenzione e esercizio opere 15,6 9,38 2,01

Esecuzione opere pubbliche 23,7 48,88 88,7

Altre attività – – 2,23

Oneri di finanziamento 33,39 1,03 0,2

Partite di giro 9,16 9,82 1,54

Altre spese 1,44 5,35 0,79

Totale 100 91,82 100

Superfici (in ettari)

Territoriale 441.579 85.165 181.540

Attrezzata 142.052 31.519 9.012

Irrigata 127.298 16.141 2.862

Dalla tabella 5 emerge invece che l’insieme dei contributi privati sembra essere insuffi-ciente a coprire le spese sostenute dagli enti per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. Ilgrado di copertura calcolato è, infatti, diverso nei tre Consorzi. Spicca, in particolare, il dato rica-vato per il Consorzio 3, dove il contributo privato incassato è poco più che sufficiente a coprire icosti del solo personale tecnico8.

Appare ancora più evidente, quindi, il ruolo dei contributi pubblici, che assumono un’im-portanza cruciale nel sostenere le attività consortili9.

287

7 I bilanci non restituiscono informazioni così dettagliate da consentire di scorporare il contributo di bonifica da quello di irrigazio-ne. Va considerato comunque che l’attività prevalente dei tre Consorzi è quella irrigua.

8 Questo risultato emerge dal confronto delle tabelle 1 e 2. Infatti, a fronte di una spesa per il personale tecnico di 1,44 milioni diEuro, si riscontra una riscossione di contributi privati di appena 1,46 milioni di Euro.

9 “Studio sull’uso irriguo della risorsa idrica, sulle produzioni agricole irrigate e sulla loro redditività”, INEA 2001.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 287

Tabella 8.3.5 - Copertura % delle spese sostenute per l’attività istituzionale attraverso icontributi10

Tipo di contributoConsorzi di Bonifica

1 2 3

Contributo utenti 85,59 91,53 51,87

Contributo pubblico 13,56 55,15 40,99

Totale 99,14 146,68 92,85

Superfici (in ettari)

Territoriale 441.579 85.165 181.540

Attrezzata 142.052 31.519 9.012

Irrigata 127.298 16.141 2.862

Questo risultato dipende strettamente dalla struttura dei ruoli, in particolare dai ruoli irri-gui, essendo l’irrigazione l’attività prevalente dei tre Consorzi. Un Altro fattore importante è lavetustà delle infrastrutture in dotazione ai Consorzi, che può avere un ruolo decisivo nella deter-minazione dei costi di gestione degli enti.

Come noto, i Consorzi di Bonifica adottano criteri diversi per ripartire i costi sostenuti nel-la distribuzione dell’acqua per l’irrigazione tra le aziende agricole associate. La ripartizione èdefinita nella struttura dei ruoli irrigui, che permette di calcolare la contribuzione di ogni singolaazienda per l’uso della risorsa irrigua.

I Consorzi di Bonifica analizzati utilizzano un sistema di calcolo dei pagamenti irriguibasato su una struttura binomia della tariffa, costituita da due componenti. La prima è un canonefisso, il cui pagamento non dipende dalla pratica effettiva dell’irrigazione e dal consumo di risor-sa idrica. La seconda parte è costituita invece da un contributo variabile, legato in maniera diver-sa all’utilizzo dell’acqua. Nei tre Consorzi si rilevano differenze di rilievo nel criterio adottatoper calcolare la porzione variabile del contributo.

Il Consorzio 1 adotta, per il calcolo delle tariffe irrigue, la modalità cosiddetta “a volume”.Questa si basa su un canone fisso ad ettaro attrezzato e servito dagli impianti irrigui consortili e suuna quota variabile, che varia in funzione dei volumi di acqua consumati per ettaro, rilevati conl’ausilio di contatori. Il sistema di tariffe è organizzato per scaglioni: ad una dotazione di base ini-ziale per ettaro servito, uguale per tutti gli utenti, è associato un parametro di costo a metro cubo diacqua effettivamente consumata. Per consumi che eccedono la dotazione di base, il sistema preve-de livelli superiori ai quali sono associate tariffe più alte per metro cubo di acqua utilizzata.

Il Consorzio 2 prevede anch’esso due elementi nella struttura dei contributi irrigui. Il primoè costituito da una quota fissa ad ettaro e serve a coprire i costi di manutenzione degli impianti. Ilsecondo elemento è suppletivo e serve a finanziare invece i costi di esercizio. Questa quota varia-bile del contributo si basa sul criterio dell’ettaro/coltura, che distingue i pagamenti in base al tipodi coltura praticata, ossia sulla previsione di consumi medi delle diverse produzioni, specificatiper tutto il territorio servito.

Il Consorzio 3 prevede anch’esso un canone fisso per ogni ettaro attrezzato e adotta varicriteri per stabilire il pagamento associato all’utilizzo irriguo dell’acqua (quota variabile). In alcu-ni distretti il pagamento è calcolato in base al consumo idrico effettivo, rilevato attraverso conta-tori e moltiplicato per una tariffa al metro cubo di acqua consumata. In altri distretti è invece

288

10 Le spese delle attività istituzionali sono state ottenute sommando i costi di manutenzione ed esercizio delle opere, la spesa per ilpersonale tecnico e la quota parte dei costi per il personale amministrativo.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 288

applicato il criterio dell’ettaro coltura. In questo caso il metodo tiene conto di vari aspetti: il siste-ma di distribuzione consortile, applicando tariffe più basse in quelle aree in cui l’acqua è servitaper gravità e più alte nelle zone dove è invece necessario il sollevamento; la tipologia colturale,con l’adozione di tariffe più alte per quelle colture che richiedono un impiego maggiore di acqua;la modalità di distribuzione al campo, che consente di stabilire pagamenti crescenti man manoche si passa dai metodi di irrigazione localizzata a quelli a maggior impiego di risorsa (aspersio-ne, infiltrazione, scorrimento).

Nella maggior parte dei casi, quindi, la parte variabile dei pagamenti è destinata a finanzia-re esclusivamente la gestione della distribuzione idrica, lasciando ai contributi fissi ad ettaro ilcompito di ripagare le altre spese. In alcuni casi però la quota variabile è predisposta per finanzia-re anche una parte rilevante dei costi fissi (manutenzione e amministrazione) associati alla distri-buzione dell’acqua; in annate particolari questo sistema potrebbe avere ripercussioni negative sul-l’entità dei pagamenti riscossi dagli enti. È questo il caso del Consorzio 3 che, attraversando unasituazione di crisi del settore, è obbligato a ripartire su un numero limitato di attività irrigue icosti sostenuti per la distribuzione della risorsa, con il conseguente risultato di una mancatacopertura di buona parte dei costi fissi legati all’attività consortile.

L’analisi dei bilanci, associata alla conoscenza delle caratteristiche strutturali dei Consorzi,consente la costruzione di alcuni indicatori in grado di fornire informazioni quantitative di sintesisulle attività economiche consortili (tabelle n. 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13). Gli indicatori così costrui-ti possono costituire la base per un’analisi di valutazione dell’efficienza gestionale degli enti.

Tabella 8.3.6 - Ricavi medi totali per ettaro e per volume di acqua distribuito (in Euro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Ricavi ricavo superficie ricavo superficie ricavo superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 228,1 441.579 709,08 142.052 791,26 127.298 1,03

2 500,38 85.165 1.352,04 31.519 2.640,16 16.141 0,31

3 257,12 181.540 5.179,62 9.012 16.308,90 2.862 3,84

Tabella 8.3.7 - Spese medie totali per ettaro e per volume di acqua distribuito (in Euro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Spese spese superficie spese superficie spese superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 228,1 441.579 709,08 142.052 791,26 127.298 1,03

2 459,46 85.165 1.241,47 31.519 2.424,25 16.141 0,28

3 257,12 181.540 5.179,62 9.012 16.308,90 2.862 3,84

Volendo soffermare l’attenzione alla sola attività istituzionale di bonifica e di distribuzionedell’acqua irrigua, è interessante vedere la capacità di copertura dei costi del personale da partedei ruoli applicati all’utente (fig. 8, 9, 10, 11).

Il confronto dei dati mostra come il sistema di ruoli adottato dai Consorzi 1 e 2 sia in gradodi ripagare i costi del personale, sia tecnico sia amministrativo, mentre il Consorzio 3 riesce appe-na a coprire le spese sostenute per il personale tecnico addetto al servizio. Come già detto, essen-do l’irrigazione l’attività prevalente dei tre Consorzi, questo risultato può dipendere specifica-mente dalla struttura dei ruoli irrigui.

289

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 289

Tabella 8.3.8 - Ricavi medi da ruoli per ettaro e per volume di acqua distribuito (in Euro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Ricavi ricavo superficie ricavo superficie ricavo superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 62,49 441.579 194,26 142.052 216,77 127.298 0,282 120,35 85.165 325,19 31.519 635,01 16.141 0,073 8,06 181.540 162,31 9.012 511,06 2.862 0,12

Tabella 8.3.9 - Spese medie del personale tecnico per ettaro e volume di acqua (in Euro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Spese spese superficie spese superficie spese superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 34,65 441.579 107,71 142.052 120,19 127.298 0,162 75,14 85.165 203,04 31.519 396,48 16.141 0,053 7,96 181.540 160,33 9.012 504,82 2.862 0,12

Tabella 8.3.10 - Spese medie del personale amministrativo per ettaro e per volume diacqua distribuito (in Euro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Spese spese superficie spese superficie spese superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 3,46 441.579 10,77 142.052 12,02 127.298 0,022 11,74 85.165 31,71 31.519 61,92 16.141 0,013 3,02 181.540 60,88 9.012 191,69 2.862 0,05

Tabella 8.3.11 - Spese medie del personale per ettaro e per volume di acqua distribuito (inEuro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Spese ricavo superficie ricavo superficie ricavo superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 38,11 441.579 118,48 142.052 132,21 127.298 0,172 86,88 85.165 234,75 31.519 458,4 16.141 0,053 10,98 181.540 221,21 9.012 696,52 2.862 0,16

Il confronto tra i ricavi medi da ruoli (tabella 8) e le spese medie per lo svolgimento delleattività istituzionali (tabella 12) amplifica il problema della copertura dei costi di gestione deiConsorzi11 ed evidenzia ancor di più l’incidenza dei contributi pubblici nel sostenere le attivitàconsortili (tabella 13).

290

11 La tabella 5 mostra le percentuali di copertura dei costi di gestione consortili attraverso l’applicazione dei ruoli.

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 290

Tabella 8.3.12 - Spese medie attività istituzionali per ettaro e per volume di acqua distribuito(in Euro)

ConsorzioSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Spese spese superficie spese superficie spese superficie per mc

per ettaro (ha) per ettaro (ha) per ettaro (ha)

1 73,01 441.579 226,97 142.052 253,27 127.298 0,332 131,48 85.165 355,27 31.519 693,76 16.141 0,083 15,53 181.540 312,93 9.012 985,32 2.862 0,23

Tabella 8.3.13 - Contributi pubblici per ettaro e per volume di acqua distribuito (in Euro)

Consorzio Tipo diSuperficie territoriale Superficie attrezzata Superficie irrigata

Contributo attività contributo superficie contributo superficie contributo superficie per mc

(ha) (ha) (ha)

1 istituzionale 9,9441.579

30,77142.052

34,33127.298

0,04esecuzione opere 51,74 160,83 179,47 0,23

2 istituzionale 72,5185.165

195,9331.519

382,616.141

0,03esecuzione opere 252,05 681,03 1.329,87 0,16

3 istituzionale 6,37181.540

128,269.012

403,852.862

0,36esecuzione opere 228,07 4.594,36 14.466,11 1,88

8.4 Conclusioni

L’indagine è stata svolta analizzando i bilanci consuntivi di tre Consorzi di Bonifica rap-presentativi di tre differenti realtà meridionali.

I tre Consorzi esaminati si differenziano notevolmente sia per quanto riguarda la superficiegestita (attrezzata e servita), sia sotto l’aspetto infrastrutturale (quantità d’acqua disponibile, fon-ti di approvvigionamento e reti di distribuzione), sia per le caratteristiche agricole delle diversearee servite. Differenti sono anche le attività svolte dagli enti, che non sempre si limitano sola-mente a quelle istituzionali di bonifica e di distribuzione dell’acqua irrigua. Sono state rilevate,infatti, attività che si accompagnano a quelle principali degli enti, quali la gestione di acquedottirurali, per la distribuzione dell’acqua potabile alle aziende agricole consorziate, il trattamento diacqua da destinare all’uso industriale, o ancora l’esercizio e la custodia di dighe e traverse, oppu-re la gestione diretta di aziende agricole. Ovviamente, sono differenze queste che incidono inmaniera determinante sugli aspetti organizzativi dei Consorzi (ad esempio sul personale impiega-to) e, di conseguenza, sulla consistenza delle loro transazioni economiche.

In questo lavoro si è cercato di ricostruire un quadro, seppur sommario, del funzionamentodegli enti gestori della risorsa idrica, con particolare riferimento alla copertura dei costi di gestio-ne delle attività istituzionali dei Consorzi.

Innanzi tutto, è stato fatto un richiamo alla normativa di riferimento che regolamenta lagestione amministrativa dei Consorzi e ne disciplina la rendicontazione in materia di bilancio.

È stato poi fatto un cenno sulla composizione e sugli schemi di bilancio dei Consorzi diBonifica, con una lettura guidata attraverso una descrizione delle singole voci di bilancio edun’analisi del contenuto e della funzione informativa delle stesse.

Si è passati quindi alla distinzione delle classi di costo e di ricavo, individuando i costi

291

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 291

diretti ed indiretti ed i relativi ricavi degli enti, distinguendo la contribuzione pubblica da quellaprivata e, per quanto possibile, i risultati economici delle differenti attività degli enti. Purtroppo lastruttura dei bilanci presi in visione ha permesso di desumere solamente i risultati complessividelle attività consortili. Essi, infatti, non forniscono informazioni dettagliate tali da consentire laricostruzione dei risultati economici di ogni singola attività svolta dai Consorzi. Non è stato pos-sibile, ad esempio, disaggregare la contribuzione privata nelle categorie di contributo che la com-pongono, quella per la bonifica e quella per l’irrigazione. Nello svolgimento dell’analisi, quindi,non è stata fatta una distinzione tra riscossioni per l’esercizio irriguo e riscossioni per l’attività dibonifica, anche se è risultato evidente che l’irrigazione è l’attività prevalente svolta dai tre Con-sorzi.

Si è cercato poi, attraverso l’analisi comparativa dei dati di bilancio dei tre Consorzi, diindividuare il grado di copertura dei costi sostenuti per le attività istituzionali degli enti attraver-so la contribuzione privata. Il risultato sembra non essere molto incoraggiante, visto che l’insiemedei contributi privati sembra essere insufficiente a coprire tali spese, mentre risulta evidente ilruolo dei contributi pubblici, che assumono un’importanza cruciale nel sostenere il complessodelle attività consortili arrivando anche, in alcuni casi, a costituire quasi il 90% delle entrate tota-li dell’ente.

Infine, è stato fatto un breve riferimento ad alcuni indicatori (ratios) gestionali ottenibilidall’analisi dei bilanci: indicatori di incidenza percentuali dei costi e ricavi sui metri cubi di acquaservita; indicatori percentuali dell’incidenza dei costi sui ricavi da contribuzione privata; determi-nazione dei ricavi medi per ettaro e per volume di acqua erogata distinti, dove possibile, persuperficie amministrata, attrezzata ed irrigata. Gli indicatori così costruiti possono essere d’aiutoper un’eventuale analisi di valutazione dell’efficienza gestionale degli enti.

Bibliografia

– Consorzio di Bonifica della Capitanata, 2004. L’organizzazione della manutenzione egestione dei comprensori irrigui - I costi di riferimento dell’attività di irrigazione.

– Consorzio di Bonifica della Capitanata, 2005. Piano di Classifica.

– Consorzio di Bonifica della Capitanata, 2003. Bilancio consuntivo - Sintesi.

– Consorzio di Bonifica Campidano di Oristano, 2003. Piano di Classifica per il riparto del-le spese consortili.

– Consorzio di Bonifica Campidano di Oristano, 2003. Bilancio consuntivo.

– Consorzio di Bonifica Vulture Alto Bradano, 2003. Bilancio consuntivo.

– Direttiva per la revisione dei Piani di Classifica dei Consorzi di Bonifica nella RegioneLazio - Relazione esplicativa - Legge regionale 11 dicembre 1998 n. 53 - articolo 36.

– Direttive per la revisione dei Piani di Classifica dei Consorzi di Bonifica nella Regione Lazio- Disciplinare di Applicazione - Legge regionale 11 dicembre 1998 n. 53 - articolo 36.

– Dono G., Liberati C., Severini S., 2001, La distribuzione dell’acqua d’irrigazione nell’Ita-lia meridionale: un’analisi con modelli di programmazione matematica nei Consorzi diBonifica del Bradano-Metaponto, del Vulture e Alto Bradano, del Campidano d’Oristano edel Destra Sele, INEA, Roma.

– Dono G., 1998, Un’analisi dei costi d’esercizio della distribuzione irrigua nel Consorzio diBonifica del Campidano di Oristano, INEA, Roma.

292

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 292

– Dono G., 1999, Un’analisi dei costi d’esercizio della distribuzione irrigua nel Consorzio diBonifica del Vulture e Alto Bradano, INEA, Roma.

– Dono G., 2000, Un’analisi dei costi d’esercizio della distribuzione irrigua nel Consorzio diBonifica del Bradano e Metaponto, INEA, Roma.

– Dono G., 2001, Un’analisi dei costi d’esercizio della distribuzione irrigua nel Consorzio diBonifica del Destra Sele, INEA, Roma.

– Dono G., 2003. Costi della distribuzione idrica per l’irrigazione nell’Italia meridionale eproblemi della formazione dei prezzi dell’acqua per l’agricoltura, Rivista di EconomiaAgraria, n. 1 - 2003.

– INEA, 1999, Studio sull’uso irriguo della risorsa idrica, sulle produzioni agricole irrigate esulla loro redditività. Monografia Consorzio di Bonifica Campidano di Oristano.

– INEA, 1999, Studio sull’uso irriguo della risorsa idrica, sulle produzioni agricole irrigate esulla loro redditività. Monografia Consorzio di Bonifica Terralba e Arborea.

– INEA, 1999, Studio sull’uso irriguo della risorsa idrica, sulle produzioni agricole irrigate esulla loro redditività. Monografia Consorzio di Bonifica della Capitanata.

– INEA, 1999, Studio sull’uso irriguo della risorsa idrica, sulle produzioni agricole irrigate esulla loro redditività. Monografia Consorzio di Bonifica Vulture Alto Bradano.

293

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 293

•Capitolo08 13-06-2007 10:19 Pagina 294

CAPITOLO 9

SCENARI FUTURI DELL’IRRIGAZIONE*

Abstract

La carenza idrica sta diventando una questione di grande importanza in molti Paesi del-l’Unione Europea e specialmente nell’area del Mediterraneo. Sul piano sociale, la scarsità dirisorsa idrica costituisce una situazione unica ed anomala che si verifica quando una comunità sitrova a dover affrontare condizioni di ridotta disponibilità di acqua e non ha risorse economiche efinanziarie adeguate a risolvere il problema; molto spesso rappresenta una situazione debilitanteche conduce anche ad effetti negativi in termini di impatto ambientale e stagnazione economica.È pertanto probabile che in queste condizioni si possa avere instabilità politica e sociale.

Alla luce della considerazione che il settore agricolo è di gran lunga il più importante uti-lizzatore di acqua e che l’uso della risorsa è destinato prioritariamente al soddisfacimento delladomanda civile ed industriale, occorre attendersi che in futuro ci sarà sempre meno acqua dispo-nibile per l’agricoltura. A questa considerazione va poi aggiunta la constatazione che gli eventisiccitosi stanno diventando molto più frequenti di quanto ci si potesse aspettare solo alcuni annifa. È pertanto importante che l’efficienza d’uso dell’acqua a livello aziendale aumenti ulterior-mente, mentre deve essere chiaro che il conseguimento di obiettivi quali l’incremento dellepotenzialità di risparmio e di resa attraverso l’utilizzazione di reti di distribuzione sempre più effi-cienti e di tecnologie per l’irrigazione appropriate debba essere considerato come una condizionestrutturale piuttosto che occasionale.

Le sfide che attendono i gestori delle risorse idriche appartenenti ai Paesi dell’U.E. sonodunque considerevoli, specie nel Mediterraneo, dove l’agricoltura irrigua costituisce la più impor-tante fonte di utilizzazione dell’acqua a livello Europeo, costituendo comunque un’attività econo-mica importante anche nel resto del territorio Europeo.

Sotto questo profilo la Direttiva Quadro 2000/60 CE è probabilmente il più importantesforzo per una gestione integrata e comune delle risorse ambientali nell’ambito dell’U.E. LaDirettiva Quadro afferma che l’acqua non è un prodotto commerciale come gli altri, quanto piut-tosto un bene da ereditare e che come tale deve essere salvaguardato. Sull’altro versante, occorreconsiderare che la Riforma della Politica Agricola Comune, può influenzare in maniera significa-tiva l’uso dell’acqua nei sistemi irrigui, specialmente in condizioni agronomiche e climatichediverse, sebbene le assunzioni da tenere in considerazione in termini di politiche per l’uso dell’ac-qua e di scenari di politica agricola siano gli stessi.

Questo rapporto vuole costituire, in definitiva, il risultato fornito alla richiesta di analisicirca l’integrazione ottimale di ambedue questi strumenti di politica e costituisce il tentativo divalutare l’impatto combinato che la Direttiva Quadro 2000/60 CE e la Politica Agricola Comunepossono avere sulla domanda di acqua per l’uso irriguo, che costituisce come già detto la piùgrande fonte di impiego della risorsa in Europa.

I dati preliminari ottenuti dalle principali fonti statistiche evidenziano che le risposte otte-nute all’applicazione di queste due politiche non sono sempre univoche e che, ciò che è piùimportante, non vanno necessariamente in direzione del conseguimento di obiettivi di salvaguar-dia ambientale.

295

* Marco Arcieri, INEA.

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 295

Emerging water shortages are of great concern in many U.E. Countries and especially inthe Mediterranean area. Debating the problem on a social basis, water scarcity is a unique con-dition that occurs when a community is facing limited water availability and has few socialresources to face the problem; very often it is a debilitating condition that results also in environ-mental failure and economic stagnation. Social and political instability is therefore likely underthese conditions.

As the agricultural sector is generally by far the most important water consumer andhigher priority is given to meeting domestic and industrial water demands, it is to be expectedthat gradually, in the future, less water will be available for agriculture. This consideration addsto the evidence that drought events are becoming more often than what could be expected just afew years ago. It is thus very important that on-farm water use efficiencies increase, whilst thepotential for water savings and yield increases through the use of improved distribution net-works and more appropriate irrigation technologies for smallholders be have to be achieved asordinary goals.

The challenges confronting water resource managers in U.E. are then considerable, partic-ularly in the Mediterranean, where irrigated agriculture is the largest consumer of water in Euro-pean areas, and an important economic activity in the rest of the European landscape.

The Water Framework Directive (WFD, 2000/60 CE) is probably the most ambitious Euro-pean effort for a common integrated management of environmental resources in the EuropeanUnion. The WFD states that water is not a commercial product like any other, rather it is an her-itage which must be protected. On the other hand, the Common Agricultural Policy (CAP) canaffect in a significant manner the use of water in irrigated systems, especially under differentagronomic and climatic conditions, even though the same assumptions in terms of water policyand agricultural policy scenarios can be considered.

This report is thus the result of the need for research on the optimal integration of bothpolicies and is the result of the attempt to analyze the combined impact that the new EuropeanWater Framework Directive and the Reform of Common Agricultural Policies can have on irriga-tion water demand, namely the largest source of water use in Europe.

The preliminary data gained from the main statistical sources show that the effects subse-quent to the application of these two policies are not really straightforward and, what is mostimportant, are not necessarily consistent with environmental policy objectives.

Premessa

La gestione oculata delle risorse idriche è una questione la cui importanza ha assunto ormaiun rilievo determinante. Infatti, la sempre maggiore competizione esistente tra il settore agricolo,quello civile e l’industriale per l’uso dell’acqua, non ha fatto altro che aumentare la consapevo-lezza dell’estrema limitatezza della sua disponibilità.

Appare logico attendersi, dunque, che in futuro sarà sempre più difficile che il compartoagricolo goda della stessa considerazione di cui ha sinora beneficiato in termini di utilizzazionedell’acqua, con sempre più pressanti limitazioni all’uso irriguo, logica conseguenza della diminu-zione che il relativo valore aggiunto sta subendo a favore di altre utilizzazioni quali il potabile o,addirittura, l’industriale.

Occorre a tal fine ricordare che l’irrigazione rappresenta uno dei maggiori settori di impie-go di acqua in Italia, variando tra la metà ed i due terzi dell’uso totale, così come per i maggiori

296

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 296

Paesi mediterranei. In molte zone del nostro paese l’irrigazione costituisce l’unica possibilità disviluppo per un’agricoltura moderna, flessibile e dunque competitiva; di conseguenza, essa rap-presenta la chiave strategica per la promozione del settore primario.

A tale constatazione fa però purtroppo da tragico contraltare la consapevolezza delladimensione finita della disponibilità della risorsa, specie nel Mezzogiorno d’Italia, dove il proble-ma della siccità e della susseguente carenza idrica sembrano aver assunto caratteri strutturali,piuttosto che congiunturali.

Nonostante tale condizione, appare opportuno sottolineare come svariati documenti e rap-porti scientifici prodotti da più istituti di ricerca indichino che nei prossimi anni, a fronte di unasuperficie agricola nazionale attualmente irrigata pari a circa il 25% di quella totale, la domandadi acqua per l’ottenimento di produzioni irrigue potrebbe crescere in maniera consistente, a segui-to dell’entrata in vigore di tutta quella serie di modifiche apportate dall’UE alla struttura dellaPAC, che è stata inizialmente indicata come Mid Term Review.

Occorre poi tener conto anche degli effetti determinati dalla Direttiva 2000/60 CE del Par-lamento Europeo e del Consiglio che, per la prima volta in Europa, definisce un quadro normati-vo di riferimento per l’azione comunitaria in materia di risorsa idrica, individua regole ben preci-se volte ad un impiego più razionale anche per l’uso dell’acqua in agricoltura.

Parallelamente, la lenta ma progressiva discesa dei prezzi delle principali produzioni orto-frutticole cui è stato possibile assistere negli ultimi anni, non lascia certo presagire scenari rassi-curanti per le regioni meridionali. Il quadro è peraltro reso ancor più complesso e problematicodal complicarsi dei rapporti commerciali esistenti non solo tra nord e sud e del mondo, come ilfallimento del vertice del WTO tenutosi recentemente ha dimostrato.

Il settore agricolo europeo sta affrontando, in vero, una fase di grande incertezza, dovutaprincipalmente al nuovo e mutato contesto internazionale di riferimento, con la già ricordata cre-scente aspirazione dei paesi in via di sviluppo (PVS) ad esercitare un ruolo sempre più importan-te; sul fronte interno, poi, la Commissione Europea è alle prese con l’allargamento dell’U.E. aiPaesi dell’Est e dunque deve far fronte al conseguente, possibile aumento della pressione eserci-tata sulle risorse idriche, oltre che ai ormai acclarati cambiamenti climatici.

Il contesto agricolo europeo si trova pertanto di fronte a cambiamenti che potremmo defi-nire epocali, caratterizzati da un lato dall’introduzione della Water Framework Directive (WFD)e, dall’altro, dalla riforma della Politica Agricola Comune. La WFD e la nuova PAC presentanoperaltro forti interazioni, tali per cui appare operazione ardita tentare di raffigurare nuovi scena-ri in termini di futura irrigazione senza tenere in debito conto dell’effetto combinato che la nuo-va Direttiva Quadro e la Riforma della PAC potrebbero avere sulla domanda di acqua per l’usoirriguo.

Da una parte, infatti, i pagamenti definiti dalla Mid Term Review influenzeranno grande-mente gli usi irrigui, in maniera differenziata a seconda delle aree di riferimento; dall’altra, lepolitiche di uso dell’acqua incideranno non poco sulla redditività e sulla competitività del setto-re agricolo. L’introduzione della Direttiva quadro potrà, infatti, determinare rilevanti cambia-menti nell’agricoltura irrigua, in particolare a seguito dell’introduzione dei principi del costopieno e del concetto secondo cui “chi inquina paga”, nonché della tariffazione su base volume-trica come strumento prioritario per la tesaurizzazione della risorsa idrica e la riduzione dell’im-patto ambientale.

Appare pertanto lecito domandarsi quali potranno essere le conseguenze che tutto questoinsieme di variabili potrà determinare nei prossimi anni, in termini di modifica delle caratteristi-che ambientali delle aree irrigue nell’ambito delle regioni meridionali.

297

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 297

9.1 L’impatto ambientale della PAC

La Politica Agricola Comune (PAC) è il più ampio e dibattuto strumento di politica del-l’Unione Europea, costituendo peraltro una delle voci finanziarie più importanti del bilanciocomunitario. Essa incide direttamente sulle scelte di produzione degli agricoltori in Europa edinfluenza l’agricoltura a livello globale tramite un’ampia gamma di contributi, di diversa natura edalle svariate modalità di applicazione. In questo periodo, l’Unione Europea sta discutendo il suobudget per il periodo 2007-2013; non v’è dubbio che le decisioni prese delineeranno sia le sommecomplessive disponibili per ogni politica comunitaria, sia il modo in cui esse saranno spese.

Negli anni passati, la disposizione di notevoli quantità di sussidi da parte dell’U.E. e lacostante ricerca della PAC dell’incremento di produzione hanno avuto un effetto notevole sul-l’agricoltura. L’intensivizzazione dei sistemi agricoli ne è stata il risultato, con un’incidenza com-plessivamente negativa sull’ambiente in Europa, per vari motivi.

Il diffuso inquinamento delle falde acquifere derivante dall’eccessivo ed improprio uso deifertilizzanti, l’incontrollata estrazione di acqua con conseguente aggravio delle condizioni qualiquantitative della risorsa, la perdita di biodiversità, l’innesco di pericolosi fenomeni di degradodel suolo conseguenti all’abbandono cui spesso si è assistito negli anni passati, specie nelle areeinterne, sono solo alcune delle conseguenze di una PAC che nella sua vecchia concezione si èfocalizzata esclusivamente sulla produzione, legando appunto il sussidio alla coltivazione, a detri-mento della tutela dell’ambiente.

La PAC è stata riformata più volte nel corso dell’ultimo decennio, ed ultimamente nel2003, grazie al lavoro coordinato dal Commissario UE all’agricoltura Franz Fischler, il cui risul-tato va sotto il nome di Mid Term Review.

La sua entrata in funzione in Italia è recentissima, per cui è ancora molto presto per stilarebilanci consuntivi circa l’effettiva portata di una tale Riforma, ma i dati statistici disponibili per-mettono comunque di effettuare una prima valutazione circa gli effetti sugli ordinamenti produtti-vi. Non v’è dubbio che la Riforma abbia influito in tal senso anche se, forse, non tutte le variazio-ni che si sono registrate possono essere ascritte alla nuova politica di sostegno ed alla triade com-posta dal disaccoppiamento, dalla condizionalità e dalla modulazione, risultando comunque ope-razione ardita poter determinare quanta parte sia attribuibile all’una piuttosto che all’altra deter-minante.

Per molti analisti, specie quelli più improntati ad una visione di tipo liberistico e maggior-mente orientata al mercato, l’applicazione della Mid Term Review potrebbe avere effetti positiviin termini di impatto ambientale, di fatto svincolando il sussidio percepito dal produttore dallacoltura specifica e ponendo l’agricoltore nelle condizioni di poter effettuare le sue scelte impren-ditoriali, in termini di orientamento colturale, seguendo solo le logiche e le dinamiche del merca-to. In realtà sono proprio le dinamiche e le logiche del mercato che attualmente caratterizzanol’attività agricola a destare le maggiori preoccupazioni per gli operatori del settore.

Anche a seguito del calo dei prezzi di mercato dei prodotti e dell’aumento dei costi di col-tivazione (soprattutto per via dei costi energetici sempre più elevati), l’agricoltore dovrà quindiadottare una nuova strategia, che non consisterà solo nel coltivare per percepire il premio più alto,bensì nell’indirizzarsi alla vocazione territoriale e soprattutto nell’abbandonare la coltivazionedei prodotti indifferenziati a favore di quelli derivanti da sementi certificate e con specifichecaratteristiche qualitative, al fine di ottenere buone rese riducendo i costi di produzione. Ulterio-re indicazione è quella di incentivare e promuovere la realizzazione di specifici contratti di filiera,tesi ad assicurare all’industria una fornitura costante nel tempo con qualità predefinita ed a forni-re all’agricoltore la certezza di collocamento del prodotto.

298

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 298

Sull’altro versante molte organizzazioni ambientaliste, nonché autorevoli esponenti diassociazioni di agricoltori, di consumatori o di Paesi in Via di Sviluppo, non credono che questeriforme potranno ottenere i risultati sperati. Per molti osservatori le modifiche addotte non sonoabbastanza incisive, specie in termini di impatto ambientale, poiché i nuovi pagamenti, seppureseparati (decoupling), rimangono comunque collegati all’attribuzione di sussidi precedenti, con-tribuendo così all’irrigidimento del modello di assistenza.

I primi parziali dati emersi a seguito della sua applicazione evidenziano che, molto proba-bilmente, sarà difficile impedire il ripetersi di significativi fenomeni di degrado dell’ambiente,sebbene in maniera diversa rispetto a quanto verificatosi con l’applicazione delle misure contenu-te nella vecchia PAC. L’eventuale impatto negativo che l’applicazione delle misure contenute nel-la nuova PAC potrebbe determinare è dato principalmente dai fenomeni di abbandono e di esododall’agricoltura che si potrebbero verificare nelle aree a maggiore vocazione estensiva del nostroPaese, e specie in quelle più marginali.

Ma il paradosso maggiore consiste nel fatto che le misure che l’Unione Europea ha messoin campo in tema di nuova PAC rischiano di aggiungere al danno la beffa. Se si guarda all’impat-to che alcune misure contemplate nella PAC di vecchia concezione hanno determinato sui territo-ri italiani, soprattutto del Mezzogiorno, in termini di innesco di processi di degrado del suolo,non si può fare a meno di sorridere (amaramente, beninteso), perché è facile rendersi conto chel’Unione Europea sta di fatto disincentivando la coltivazione di alcune aree per la cui messa acoltura si sono perpetrati dei veri e propri scempi, sotto il profilo ambientale. Il caso del frumen-to duro è esemplare, in tal senso.

Grande parte dei fenomeni di dissesto e di degrado del suolo (leggi oggi desertificazione)cui è stato possibile assistere negli anni passati può essere essenzialmente ricondotta, sul pianodelle attività antropiche, all’applicazione dei Regolamenti di sostegno alla coltivazione del fru-mento duro (Reg. 1765/92, 1253/99), che hanno di fatto determinato un aumento delle superficidestinate a tale coltura in maniera indiscriminata, senza alcuna programmazione e/o salvaguardiaper gli ecosistemi preesistenti.

L’esistenza di contributi comunitari consistenti a sostegno della coltivazione cerealicola haprodotto danni irreparabili a molti territori del Mezzogiorno, in virtù del fatto che la coltura è stataestesa anche a quelle aree marginali interessate da pregevoli estensioni di macchia mediterranea edal notevole valore ecologico, la cui integrità è stata e risulta tuttora gravemente compromessa.

Per la verità, già dagli inizi del novecento e fino alla seconda guerra mondiale si è assistitiinermi o quasi al taglio di grandi boschi ed al dissodamento ed alla successiva messa a colturacerealicola di moltissimi ettari di terreno; ma è soprattutto negli anni più recenti che si è lasciatoche molti terreni caratterizzati dalla presenza di macchie, boschetti, cespugli di macchia mediterra-nea, fossero lavorati e seminati con frumento duro, in virtù della presenza del premio comunitario.

Altra aggravante, le domande di contributo venivano presentate tramite le organizzazioniprofessionali, che avevano tutti gli interessi ad esperirle, in quanto su ognuna venivano ricono-sciute loro delle spese; inoltre, le stesse venivano presentate all’AIMA, quindi le amministrazio-ni regionali venivano del tutto aggirate, con tutto ciò che questo implica in termini di programma-zione degli interventi e salvaguardia del territorio.

A fronte di questi fenomeni lo Stato ha cercato di tutelare il territorio istituendo una serie divincoli forestali ed idraulici, ma non sempre questi vincoli hanno funzionato, per cui si è assistitoalla costruzione di case lungo i corsi fluviali, al taglio indiscriminato del patrimonio boschivo esoprattutto al cambiamento d’uso del suolo di numerosi boschi e grandi estensioni di macchiamediterranea.

299

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 299

Da un lato, quindi, si sono create vaste aree disboscate, essendo stati destinati al grano durocomprensori che per acclività, altimetria, caratteristiche granulometriche e presenza di essenzenaturali non avrebbero dovute esserlo; dall’altro, proprio perché si trattava di comprensori conno-tati da ridotta attitudine alla coltivazione, o perlomeno poco idonei ad un’attività agricola da con-durre in maniera economicamente vantaggiosa, sono state necessarie operazioni e lavorazioni diintensità ben superiori alla norma, eseguendo livellamenti, scassi, arature profonde che non han-no fatto altro che accrescere i fenomeni erosivi già di per sé esistenti, con conseguente grave per-dita dello strato del suolo superiore, ovvero quei primi 10-20 centimetri di terreno caratterizzatidalla presenza di sostanza organica e dunque da buona fertilità.

In definitiva, le politiche attuate in campo agricolo e forestale negli ultimi decenni dallaComunità Europea non sempre sono risultate valide per contrastare il degrado del suolo, anzi inalcuni casi si sono ottenuti risultati contrari, soprattutto se facciamo riferimento ai regolamentiche hanno incentivato la messa a coltura di grano duro. Come già detto, gli agricoltori, viste levantaggiose offerte economiche, hanno recepito al massimo questi regolamenti ed hanno coltiva-to tutto quello che era coltivabile, ma anche e soprattutto quello che non era coltivabile, operandoil dissodamento ed il disboscamento indiscriminato di interi comprensori.

Proprio nell’ultima fase di applicazione della PAC sono stati distrutti tantissimi ettari dimacchia mediterranea bassa, costituita da lentisco, fillirea, ginepro, cisto ed arbusti di leccio, cherappresentava l’unica associazione vegetale in grado di vegetare e di mantenere un certo equili-brio ecologico nelle aree meridionali più aride ed a bassa piovosità annuale (500 millimetri dipioggia all’anno).

Successivamente la UE ha cercato di rimediare a tutto questo mediante alcune misure qua-li quelle contemplate nei regolamenti 1094/88 e 2078/92, che prevedevano la messa a riposo deiterreni marginali, nel primo caso per un periodo di 5 anni e di 20 anni nel secondo. In realtà, ciòche si è verificato a seguito di una non corretta applicazione di queste misure è che il territorio èstato sottoposto ad un minor grado di manutenzione, intesa in senso di regimazione delle acque,presidio del territorio, dando così il via a tutta una serie di fenomeni erosivi e di degrado, chehanno costituito il preludio a problemi molto seri quali l’abbandono delle aree rurali. Il regola-mento 2078 dava agli agricoltori la possibilità di ritirare, mediante cospicui incentivi, i terrenidestinati a grano destinandoli a un riposo ventennale. In realtà con questo regolamento numerosiettari di terreno sono stati abbandonati a se stessi, aggravando così ancora di più il problema deldissesto idrogeologico, per la mancata manutenzione che era invece pratica abituale laddove eraesercitata la pratica agricola.

Uno dei principali errori connessi all’applicazione di questa misura è consistito nel fattoche il set aside è stato applicato in maniera indiscriminata su interi territori regionali, mentreinvece sarebbe stato molto più opportuno ed utile applicarlo in quei comprensori dove vigeva lamonocoltura cerealicola esasperata. Tale misura in definitiva non doveva essere applicata nellearee interne, in quanto l’abbandono dei terreni significava scoraggiare l’attività agricola, perché ilset aside era ventennale.

Applicando indiscriminatamente il set aside, soprattutto nelle aree interne, si è avuto unabbandono delle aziende, anche di quelle di grandi dimensioni, che non avevano più la necessitàdi coltivare i terreni ricevendo oltre un milione delle vecchie Lire per ettaro, che era molto di piùdi quanto i proprietari delle stesse potessero guadagnare coltivandolo. E, quindi, un imprenditoreagricolo di 40-45 anni, con una azienda di 30-40 ettari, senza alcune spese, senza costi, problemidi lavoro, problemi di tempo, si ritrovava ad avere un reddito esentasse. Le conseguenze nefasteerano che le aziende venivano abbandonate, quindi il territorio non era più governato e, di conse-guenza, si potevano anche innescare situazioni di dissesto idrogeologico e/o di degrado. La pre-

300

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 300

senza del contadino, che garantiva i solchi nel terreno realizzati in una certa maniera per tesauriz-zare o regimare l’acqua, la presenza dei muretti a secco, delle siepi, non era più assicurata e nien-te o quasi veniva più curato, perché non era economicamente conveniente. Quindi questo proble-ma si è verificato soprattutto nelle aree interne e nelle aree montane.

Alcuni regolamenti riguardante la forestazione (2080) hanno poi regolato il rimboschimentodi diverse centinaia di migliaia di ettari nel Mezzogiorno, ma le specie utilizzate e l’ubicazione del-l’impianto non sempre hanno dato risultati soddisfacenti; infatti, mentre negli anni ’50 gran partedei rimboschimenti sono stati realizzati con conifere, negli anni ’80 in nome della forestazione pro-duttiva si sono utilizzate specie come il ciliegio, il noce, il castagno (perché garantivano costi d’im-pianto più alti) e solo in pochissimi casi sono state messe a dimora le specie autoctone del posto.

Ora, appare evidente che le latifoglie pregiate utilizzate sarebbero potute andare bene inalcune aree, ovvero laddove le precipitazioni annuali sono superiori ai 700-800 millimetri dipioggia all’anno, ma non in quei comprensori dove piovono non più di 400-500 millimetri annuial massimo. In queste zone vegetava soprattutto il lentisco, per cui in queste aree, dove in prece-denza era presente la macchia mediterranea, forse sarebbe stato il caso di ripristinare in formagraduale quest’ultima, oppure intromettere specie pioniere quali i pini e le robinie in grado diricolonizzare il suolo, specie in suoli fortemente degradati.

In definitiva, ciò che emerge chiaramente oggi, è che la vecchia PAC ha probabilmente fal-lito parte dei suoi obiettivi, in quanto non si è saputo tener in debito conto delle diverse peculiari-tà che caratterizzano le varie aree della Comunità Europea. Ovvero è molto probabile che misurenate e concepite per avere un determinato effetto benefico in alcuni comprensori dell’Europa,soprattutto di quella continentale, possano aver invece determinato effetti negativi in altri territo-ri, dove la distorta applicazione delle stesse ha di fatto accelerato numerosi e svariati processi didegrado del suolo.

Oggi, sembra che chi ha concepito la nuova struttura della PAC voglia cercare di rimedia-re ad una parte dei guasti arrecati all’ambiente e susseguenti all’applicazione di tali misure, ma lasensazione che si ha è che probabilmente le misure che si sono messe in campo potrebbero arre-care ulteriori danni.

Basti pensare a quanto sta accadendo al comparto del frumento duro, caratterizzato dadecrementi significativi delle superfici interessate a seguito della riforma del sistema degli aiuticomunitari per il settore dei seminativi che, secondo alcuni operatori del comparto, potrebbe por-tare ad ulteriori riduzioni delle superfici investite a grano duro nei prossimi anni.

Mentre nel quindicennio 1990-2004 il comparto in Italia è stato caratterizzato da un trendcrescente delle superfici investite e da un andamento sostanzialmente stazionario dell’offerta, purin presenza di notevoli variazioni annuali delle produzioni, nel 2005, anno di prima applicazionedell’ultima riforma della PAC, secondo quanto già ampiamente previsto, la coltura ha pagato loscotto del disaccoppiamento totale; di contro si è registrato un incremento significativo degliinvestimenti ad altri cereali (grano tenero, orzo, avena) e a talune colture oleaginose che però,specie negli ambienti pedo climatici del Mezzogiorno, necessitano d’irrigazione.

In base alle stime ottenibili dall’analisi dei dati Istat, nel 2005 si è avuto, rispetto all’annoprecedente, un decremento del 14,5% delle superfici investite a grano duro. Confrontando il datodel 2005 con quello medio del quinquennio precedente la riduzione degli investimenti si aggiraintorno all’11,1%. Sempre per il 2005, l’Ismea ha invece stimato una riduzione del 28% dellesuperfici investite a grano duro rispetto al 2004 e dell’8% di quelle a mais; contemporaneamentesono stati registrati maggiori investimenti relativi alle coltivazioni di frumento tenero (+8%), orzo(+10%), avena (+16%) e di alcune colture oleaginose.

301

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 301

Sulla consistenza dei decrementi delle superfici a grano duro che hanno interessato leregioni del Centro Sud, ad oggi si rilevano dunque notevoli discrepanze tra le varie fonti statisti-che, con valori che variano da un minimo di circa 250.000 ha a un massimo di circa 700.000 ha.

Si tratta comunque di un colpo gravissimo assestato alla più diffusa coltura cerealicola nelpanorama agricolo italiano, con riflessi sull’intera filiera che, tuttavia, dovrebbero essere attenua-ti dal fatto che la rinuncia alla coltivazione si è concentrata tendenzialmente nelle zone marginalie con la più bassa produttività.

È plausibile, tuttavia, che tali dinamiche siano dovute anche ad altri fattori come, ad esem-pio, la situazione dei mercati europei e internazionali. In generale, le quotazioni sono flettenti,ma non nella stessa misura e, a parità di riduzione dei prezzi, l’effetto sulle scelte colturali varia aseconda dei prodotti e delle condizioni geografiche. Ad esempio, nelle zone dove non ci sonoalternative colturali, una data produzione mostra una certa inerzia a ridimensionarsi, anche in pre-senza di un calo del prezzo di mercato piuttosto sensibile.

Le più importanti dismissioni in termini di superfici investite a grano duro si sono registra-ti soprattutto nelle aree del Centro, dove esistono alternative colturali che hanno indotto gli agri-coltori a spostare l’interesse verso colture più remunerative, pur percependo un aiuto consistentelegato alle passate coltivazioni a grano duro, nonché nelle aree interne dell’Italia meridionaledove, non esistendo valide alternative colturali, si è fatto ricorso ai pascoli ed ai prati, oppure alriposo dei terreni.

Per quanto concerne l’esito della prima esperienza applicativa dell’articolo 69 del regola-mento 1782/2003, i risultati recentemente diffusi dall’Agea indicano che le nuove modalità dicalcolo dei contributi comunitari per la coltivazione del grano duro hanno comportato nelle regio-ni del Sud un mancato reddito che, congiuntamente ai modesti prezzi di mercato, scoraggerà leprossime semine.

Sarebbe auspicabile, in tal senso, che si possa modificare il decreto di attuazione in Italiadel regime di aiuti previsti dall’articolo 69 del regolamento (Ce) n. 1782/2003, garantendo unapiù attenta selezione delle misure da finalizzare all’obiettivo qualità, rendendo più selettive lecondizioni di accesso ai premi supplementari e contemporaneamente fornendo un aiuto più consi-stente alla produzione di grano duro, vera e propria coltura strategica per le aree agricole delMezzogiorno.

L’obiettivo finale dovrebbe consistere nell’evitare l’ulteriore riduzione dei livelli diapprovvigionamento nazionali dell’industria agro alimentare legata al frumento, ed evitare dun-que di dover dipendere sempre più dalle importazioni di grano duro, soprattutto canadese e statu-nitense, favorendo contestualmente l’agricoltura delle aree meridionali, mantenendo competitivala produzione di grano duro ed evitando significativi fenomeni di abbandono dei terreni.

Sul piano più strettamente ambientale va comunque evidenziato che la riduzione dellesuperfici investite a grano duro comporterà un maggiore ricorso alla rotazione e una forte riduzio-ne della monosuccessione, con indubbi effetti positivi sulle caratteristiche fisico chimiche delsistema suolo, oltre che sulla qualità delle produzioni realizzate nei prossimi anni. Tale fenomenoconsentirà di migliorare l’offerta nazionale di grano duro e di collegarla alle aspettative delleimprese di prima e seconda trasformazione con auspicabili effetti positivi sulle quotazioni delgrano e sui redditi dei cerealicoltori.

Il comparto, infatti, continua a presentare un deficit commerciale con l’estero significativoper il prodotto non trasformato (con notevoli importazioni di granella di medio alto livello qua1ita-tivo), tenuto conto che il fabbisogno di macinazione nazionale si aggira intorno a 5 milioni di ton-nellate, che viene tuttavia più che compensato dal saldo positivo dei derivati del grano duro.

302

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 302

Segnali interessanti derivano invece dalla coltura dell’orzo. Come già detto prima, il 2005rappresenta il primo anno di applicazione della riforma Fischler e del principio del disaccoppia-mento del premio dalla produzione. Molti degli agricoltori che negli anni passati hanno scelto ilgrano duro per il premio elevato, da quest’anno si sono trovati a fare una scelta diversa e, in alcu-ni casi, a sostituire il grano duro con l’orzo. Causa la costante riduzione dei prezzi del grano duro,il disaccoppiamento e le difficoltà di collocazione del prodotto sul mercato, ma soprattutto i van-taggi legati alla coltivazione dell’orzo, nell’ultimo anno si è verificato un trend positivo della col-tura per l’aumento sia delle superfici investite sia delle produzioni.

Le motivazioni che hanno mosso a tale scelta sono la maggiore adattabilità dell’orzo allecondizioni pedoclimatiche locali, la resistenza della coltura, essendo meno soggetta ad attacchi dimalattie, la riduzione dei costi del 30-35% in termini di concimazioni, trattamenti e lavorazionirispetto al grano duro; inoltre la coltura può essere mantenuta sullo stesso appezzamento perdiversi anni consecutivi, senza che si verifichino significativi fenomeni di stanchezza del terreno.

Molti produttori hanno poi effettuato dei contratti di forni tura con ditte produttrici di birrale quali, dopo aver fornito al produttore la semente certificata, hanno provveduto ad acquistare ilprodotto, evitando in questo modo di incorrere nelle eventuali difficoltà di collocazione del pro-dotto sul mercato. Questo è uno degli esempi di come sia possibile indirizzare la produzione afronte delle richieste dettate dal mercato e dai consumatori, rivolte alla qualità di prodotto e diprocesso. Tali scelte risultano sempre più necessarie da parte dell’agricoltore allo scopo di spun-tare prezzi più alti che, a seguito del disaccoppiamento, rappresentano l’elemento più importanteal fine della formazione del ricavo.

Venendo alle colture più propriamente irrigue del comparto, va detto che per la prima vol-ta dopo numerosi anni, il mais subisce un sensibile ridimensionamento. Si contano circa 100.000ha in meno, soprattutto al Centro Nord, corrispondenti al 7,8% della superficie seminata nel cor-so dell’anno precedente. Il probabile futuro calo dell’offerta potrebbe favorire un maggior equili-brio di mercato e far risalire le quotazioni a livelli più consoni con le esigenze di redditività delleaziende.

Discorso a parte deve essere fatto per i semi oleosi, che hanno ripreso quota in manieramolto evidente. Per queste coltivazioni, infatti, si è registrato un incremento in alcuni casi signifi-cativo, come per la soia, cresciuta del 13%; talora eclatante, come per il girasole, cresciuto addi-rittura del 45%, segno questo che si sta assistendo ad una tendenza verso la diversificazione pro-duttiva e verso produzioni meno intensive. Non appaia superfluo però sottolineare che negliambienti meridionali la buona riuscita economica di queste colture è legata soprattutto alla pre-senza dell’irrigazione.

I dati finora diffusi non comprendono l’evoluzione delle superfici a foraggere e dei terrenidisattivati dalla produzione. Le stime indicano però una crescita di entrambe queste utilizzazionidel terreno. Per quanto riguarda le produzioni di foraggio, si conferma la tendenza ad andare ver-so ordinamenti produttivi meno intensivi, mentre per i terreni incolti, è valso il regime del paga-mento unico aziendale che per sua natura prevede l’erogazione dei pagamenti diretti della PAC,anche in mancanza di una effettiva coltivazione delle superfici agricole a fini economici e com-merciali.

Tale fenomeno era stato ampiamente previsto all’indomani dell’approvazione del pacchet-to di riforma. Il dubbio riguardava l’entità, le caratteristiche e l’evoluzione dello stesso. Quanto èesteso il fenomeno della disattivazione produttiva? Dove è localizzato? Qual è il profilo degliagricoltori che ricorrono a questo tipo di scelta? Come evolverà nel tempo la tendenza a mantene-re incolti i terreni e incassare comunque i pagamenti disaccoppiati? Manterrà un livello per cosìdire fisiologico, oppure assumerà una dimensione patologica?

303

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 303

In realtà per rispondere a tali interrogativi è necessario attendere, lasciare che i dati statisti-ci si stabilizzino e che il regime del pagamento unico aziendale dispieghi totalmente i suoi effettidi lungo periodo. Ad esempio, ci si è poco soffermati sul fatto che, con il disaccoppiamento, ilmercato riacquisterà il suo tradizionale ruolo di orientare le scelte imprenditoriali e si potrà assi-stere a una migliore ripartizione del potere negoziale all’interno delle filiere produttive, con qual-che teorico vantaggio per la fase agricola.

Tutto ciò potrebbe, nel medio periodo, tradursi in un miglioramento del livello medio del-le quotazioni agricole e rendere più conveniente lo svolgimento normale dell’attività a fini pro-duttivi, attenuando così la potenziale, negativa tendenza all’abbandono. In definitiva, i dati sullesemine del 2005 sono sufficientemente indicativi degli effetti della riforma del 2003, ma sonoancora poco significativi e parziali. Le stime sul grano duro sono oggettivamente eclatanti, perchétestimoniano una disaffezione di grandi proporzioni nei confronti della tradizionale coltura. Mapotrebbe essere frettoloso e fuorviante trarre conclusioni e considerazioni di valenza generale.

Di sicuro, la prima impressione è quella di essere di fronte a uno scenario del tutto nuovo,la cui evoluzione andrebbe monitorata in modo costante. È iniziata una nuova stagione per l’agri-coltura italiana ed europea che richiede approcci strategici e operativi diversi rispetto alle soluzio-ni fornite nel passato e risposte originali per governare e indirizzare in modo razionale il cambia-mento, piuttosto che subirlo.

Sul versante più propriamente inerente il comparto delle produzioni irrigue, va detto che ilrecente, progressivo evolversi della Politica Agricola Comune (PAC) da strumento di sostegnodelle produzioni agricole a contenitore normativo sempre più in grado di integrarsi con le Politi-che per l’ambiente, lo sviluppo rurale e la multifunzionalità, ha spostato in maniera significativala valenza del fattore “irrigazione” e delle produzioni irrigue nei confronti delle altre funzionidell’attività agricola.

La trasformazione cui è andata incontro l’architettura della PAC, originariamente denomi-nata “Agenda 2000” e successivamente individuata come “Mid Term Review”, a partire dal2003, tende come già detto ad orientare tutti gli interventi verso forme di agricoltura eco compa-tibili e quindi verso un uso ragionevole dei fattori della produzione, acqua compresa, evitandogli sprechi, la presenza di elementi inquinanti nei corpi idrici, nel terreno e nei prodotti, condi-zionando infine l’accesso al premio unico aziendale al rispetto delle principali norme di buonapratica agricola.

Sul piano del mero utilizzo della risorsa, non v’è dubbio che i pagamenti definiti dalla MidTerm Review influenzeranno in maniera determinante gli usi irrigui, con effetti di analoga intensi-tà ma in verso contrario, in funzione dell’areale in cui essi verranno applicati.

Nell’Europa Meridionale, infatti, connotata dalla presenza diffusa di colture ortofrutticolenelle aree ad agricoltura intensiva e di sistemi agro pastorali in quelle più marginali, a prevalentedestinazione cerealicola e dove si verificano oltre i tre quarti del consumo d’acqua per l’agricoltu-ra, è presumibile attendersi che la domanda di acqua per produzioni irrigue crescerà in manierasignificativa a seguito dell’entrata in vigore dei regolamenti contenuti nella nuova PAC, e che lastessa sarà connotata da una sempre minore elasticità.

Il meccanismo del disaccoppiamento introdotto dalla riforma per l’erogazione dei contribu-ti, associato alla progressiva riduzione dei finanziamenti destinati alle colture da realizzare inasciutto (vedi la situazione del frumento duro), potrebbe determinare lo spostamento degli ordina-menti colturali di molta parte degli agricoltori verso colture erbacee industriali ed ortofrutticolepiù esigenti in termini di fabbisogni idrici. Sul versante delle produzioni più propriamente conti-nentali quali quelle tipiche del Nord, invece, appare più ragionevole attendersi una progressiva

304

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 304

riduzione della domanda di acqua per l’irrigazione, anche a seguito dei probabili fenomeni diabbandono che si potrebbero verificare nelle aree interessate da tali tipologie colturali.

Occorre però sgomberare subito il campo da un equivoco, ovvero che non è affatto sconta-to che a fronte dell’introduzione di tali nuovi principi corrisponderà effettivamente un migliora-mento delle condizioni ambientali ed una parallela diminuzione della pressione esercitata sullarisorsa idrica.

Non v’è dubbio, infatti, che negli stati dell’Europa meridionale l’irrigazione rappresentaun fattore produttivo essenziale per mantenere rendimenti agricoli economicamente validi, mal’estrazione eccessiva di acqua susseguente all’applicazione della nuova PAC, specie nelle zonelitoranee ed intensive, potrebbe mettere sotto pressione il già precario equilibrio delle risorse idri-che rinvenibili nell’area mediterranea. Sotto questo profilo, l’eccessiva estrazione di acqua perl’irrigazione delle coltivazioni nell’Europa meridionale è uno degli abusi maggiori che si potreb-be registrare a carico delle risorse idriche sul piano ambientale.

Non va dimenticato poi che il settore agricolo italiano ed in particolare quello meridionale,per larga parte imperniato sulle produzioni irrigue, sta affrontando ormai già da diverso tempouna fase di grande incertezza, dovuta principalmente alla lenta ma progressiva discesa dei prezzicui è stato possibile assistere negli ultimi anni e che non lascia certo presagire scenari rassicuran-ti per le regioni del Mezzogiorno. Il caso ultimo del pomodoro è esemplare, in questo senso.

Dopo un’annata record come quella del 2004, la riduzione del 18% degli ettari investiti apomodoro da industria non è stata sufficiente a equilibrare il mercato dei derivati del pomodoro inItalia. I produttori meridionali hanno ceduto alle lusinghe degli industriali e hanno investito trop-pi ettari a pomodoro da industria, senza tener conto della situazione mercantile e senza program-mare adeguatamente gli investimenti in campo.

Non è stata così una sorpresa, tra gli addetti ai lavori, lo scoppio improvviso della crisi dimercato, già dai primi giorni di agosto 2005, quando nei campi pugliesi il pomodoro, grazie alletemperature delle ultime due settimane di luglio, è maturato contemporaneamente e velocemente.Alcune industrie campane, invece di aprire i battenti e cominciare la lavorazione, hanno tempo-reggiato qualche giorno prima di iniziare le operazioni di trasformazione industriale.

I produttori giustamente allarmati per l’andamento delle consegne hanno iniziato a denun-ciare con preoccupazione che in tutto il bacino produttivo del Sud Italia (che va dalla bassaToscana alla Puglia) non si riesce a collocare e a far ritirare il prodotto a un prezzo remunerativo.Infatti le aziende conserviere rifiuterebbero il prodotto perché non qualitativamente accettabile olo ritirerebbero con tagli anche del 50% sul prezzo, senza che lo stesso presenti effettivamenteproblemi. La vera motivazione del comportamento delle aziende dovrebbe essere ricercata,secondo i produttori, nelle giacenze, presenti in tutte le industrie, di prodotto trasformato non ven-duto e nel timore di appesantire i magazzini con le nuove lavorazioni. I produttori e le unioninazionali delle organizzazioni di produttori hanno giustamente richiamato la controparte indu-striale al rispetto puntuale degli impegni sottoscritti con i contratti di coltivazione stipulati in regi-me di sostegno Comunitario, ma il ritmo di lavorazione delle centinaia di aziende conserviere delsalernitano è continuato a ritmi lenti, nonostante la pressione di migliaia di agricoltori che vede-vano marcire in campo il pomodoro. A fine agosto scorso le temperature sono risultate in calo e lepiogge hanno diminuito lo stress idrico, ma il problema di tanto prodotto invenduto e in molticasi marcito sul campo è rimasto. Centinaia di agricoltori speravano di recuperare almeno in par-te le coltivazioni, che con il caldo rischiavano di andare perdute. Ma il danno procurato resta alto,si è stimata una perdita di prodotto, a fine campagna, aggiratesi intorno al 40%.

La crisi di mercato ha preoccupato tutti i produttori italiani, in particolare quelli del Sud

305

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 305

d’Italia, e l’intera filiera. Sullo sfondo ci sono le incognite per la prossima campagna di com-mercializzazione e per il futuro del settore, che presto dovrà fare i conti anche con la riformadell’OCM.

Proprio l’incognita dell’esito della riforma dell’OCM ortofrutta trasformata è quello chepreoccupa di più tutti gli attori della filiera pomodoro. Già da quest’anno, per effetto dello splafo-namento per il terzo anno consecutivo della soglia assegnata all’Italia, pari a 43,5 milioni di quin-tali, il premio che viene erogato ai produttori tramite le OP verrà decurtato del 10-15%. Questofatto da solo determinerà già dal prossimo anno la perdita di convenienza economica alla coltiva-zione di pomodoro in molti distretti produttivi in Italia, che poi sono per la stragrande maggioran-za localizzati al Sud. Poi sarà necessario attendere le proposte del Commissario Europeo Marian-na Fischer Boel per valutare compiutamente quale potrà essere il futuro del comparto del pomo-doro da industria in Italia, che per decenni è stato uno dei fiori all’occhiello della nostra industriaagroalimentare e uno dei migliori ambasciatori del Made in Italy nel mondo.

Alla scarsa remunerazione dei prezzi va poi aggiunta la crescente penetrazione commercia-le dei cosiddetti Paesi Terzi del Mediterraneo (PTM), che sul versante delle produzioni irriguehanno ormai raggiunto livelli di competitività tali da rischiare di compromettere seriamente e,forse, in maniera definitiva, le economie di larga parte delle nostre aree irrigue. Alla luce di que-ste considerazioni, probabilmente l’unica soluzione per scongiurare tale pericolo è la seria e fatti-va implementazione del sistema di partenariato Euro-Mediterraneo, che dovrebbe sfociare, nel2010, nella creazione di una zona di libero scambio in tutto il bacino del Mediterraneo, ovvero diun nuovo mercato che potrebbe contare su di una potenziale utenza pari a 600-700 milioni di con-sumatori.

Il quadro è peraltro reso ancor più complesso e problematico dal complicarsi dei rapporticommerciali esistenti tra Nord e Sud e del Mondo, come il fallimento degli ultimi vertici tenutisiin ambito WTO hanno dimostrato, ma anche all’interno stesso dei Paesi più ricchi, come eviden-zia l’escalation che ha riguardato le misure di protezionismo e di sussidio alle esportazioni vara-te negli ultimi anni dagli Stati Uniti.

Sul fronte interno, poi, la Commissione Europea è alle prese con l’allargamento dell’U.E.ai Paesi dell’Est e, dunque, deve far fronte al conseguente, possibile aumento della pressioneesercitata sulle risorse idriche.

Ulteriore elemento di incertezza è costituito dai cambiamenti climatici, che negli ultimianni si sono resi più percepibili anche nel medio periodo, non tanto in termini quantitativi quanto,soprattutto, in termini di diversa distribuzione delle precipitazioni durante l’anno. I periodi sicci-tosi sembrano aver assunto i connotati di una condizione strutturale, piuttosto che congiunturale,al punto che i danni che sono stati registrati in seguito alla prolungata siccità riscontrata neglianni 2000-2003 non hanno ancora lasciato comprendere tutti i loro messaggi, in quanto variazio-ni da leggersi su scala territoriale, a causa del loro modo distinto e diverso di manifestarsi a livel-lo locale. Secondo le previsioni fornite da alcuni modelli meteorologici, la siccità nell’area medi-terranea potrebbe accentuarsi, soprattutto a causa dell’aumento delle temperature, che da un latodeterminerà un conseguente incremento dei consumi idrici e dall’altro potrebbe condurre in variearee del nostro paese all’innesco nel breve periodo di pericolosi processi di desertificazione.

Alla luce di questa situazione, praticamente riguardante tutti i territori del Mezzogiorno,prima di richiedere nuove ed ulteriori opere per l’accumulo di risorsa idrica sarebbe necessario eopportuno organizzare una gestione ragionata dell’emergenza, introducendo ad esempio tecnichedi gestione dell’acqua basate sull’uso dello stress idrico controllato, per il quale ogni coltura èirrigata durante le fasi vegetative che più si avvantaggiano dell’irrigazione, oppure sceglieremetodi irrigui ad elevata efficienza distributiva e così via. Gli stessi metodi irrigui andrebbero

306

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 306

diversificati zona per zona in base alle colture, alle loro fasi vegetative, alle capacità idriche echimico fisiche del terreno. Ad esempio, vi sono metodi irrigui ad impianto fisso in cui la facilitàdi distribuzione dell’acqua determina maggiori consumi rispetto ad altri metodi più economiz-zanti, seppure più onerosi per l’agricoltore.

Riguardo al verificarsi di una tale emergenza, ricorrente con diversa gravità ormai da qual-che anno, ogni comprensorio irriguo dovrebbe poi approntare un proprio piano di gestione peraffrontare la siccità, minimizzando i danni (sospensione del prelievo o del rilascio dell’acqua perun giorno alla settimana, riduzione delle portate per ogni azienda, scelta dei tempi di fornitura,turnazione per settori del comprensorio, etc.).

Di questo gli agricoltori stanno già tenendo conto in verità, poiché è facile osservare comein questi ultimi anni si sia verificato un significativo spostamento verso il sud di molti ortaggi efruttiferi, cui fa da contraltare l’estensione della vite e dell’olivo verso il nord oppure ad altitudi-ni più elevate per le zone del centro-sud. Si stima che l’aumento della richiesta di acqua per l’irri-gazione potrebbe aumentare del 20% rispetto alla situazione attuale, con un drammatico aumentodella competizione nell’uso della risorsa tra utenze civili, industriali e agricole; le scelte degliordinamenti colturali, pertanto, dovrebbero tener conto di questa situazione.

Quindi, i presumibili scenari sottesi al fabbisogno di acqua nell’agricoltura vanno si stima-ti con riferimento agli impulsi della PAC ed all’applicazione della nuova Direttiva Quadro, maanche con riferimento alla prevedibile evoluzione del clima, i cui prodromi sono stati già avverti-ti negli ultimi anni, peraltro in maniera diffusa sul territorio nazionale.

Appare evidente, però, che tali scenari non potranno mai essere generalizzati. Infatti, allastima di un determinato fabbisogno di acqua, potranno contribuire tutti fattori locali, quali l’ade-guatezza delle attuali disponibilità idriche, la ricerca di altre fonti di approvvigionamento (adesempio, riutilizzo di acque reflue), gli orientamenti agronomici e gli incentivi al risparmio, lemodalità per affrontare le emergenze, specialmente la siccità.

Oggi, per la maggior parte delle colture (ad eccezione delle orticole) già si registra un affie-volimento della spinta a massimizzare le produzioni unitarie e per diverse ragioni; inoltre, con larecente riforma della PAC attualmente in vigore, viene imposto di andare verso forme di agricol-tura eco compatibili che determineranno modificazioni negli ordinamenti colturali, non ancoradel tutto prevedibili.

L’ingresso dei nuovi Paesi nell’Unione modificherà il bilancio complessivo dell’approvvi-gionamento alimentare della popolazione europea, con ripercussioni sulle agricolture dei singolipaesi già appartenenti all’Unione. Gli attuali obiettivi produttivi, quindi, saranno da riconsiderare.Conseguentemente, dov’è già presente l’irrigazione, si renderà necessario rapportare il consumodi acqua alle esigenze delle coltivazioni in atto; dove, invece, l’irrigazione non è ancora stataintrodotta, sarà necessario valutarne l’opportunità in base alle nuove colture.

In definitiva, le condizioni in cui versa l’ambiente nelle aree rurali dipende ampiamentedall’agricoltura praticata e dall’utilizzazione del suolo che si attua. La PAC attuata negli anni pas-sati ha largamente influito sulle pratiche agricole in Italia ed ha incoraggiato l’intensificazionedelle colture, con risultati a volte letteralmente disastrosi per l’ambiente. A ciò va aggiunta la con-siderazione che fattori sociali di varia natura ed una condizione oramai da troppo tempo congiun-turale di debole competitività economica stanno causando il declino dell’agricoltura di alto profi-lo naturalistico nelle aree rurali.

Una nuova riforma della PAC deve allora porre al centro della propria concezione lagestione sostenibile dell’ambiente, al fine di prevenire ulteriori degradi dello stesso; ci si attendedunque che gli eventuali futuri interventi sulle sovvenzioni contenute nella PAC accelerino questo

307

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 307

processo di rinnovamento, salvaguardando molte delle zone naturalistiche più ampie e preziosedel Paese.

Pertanto, anche se la PAC ha già subito molte riforme, non sarebbe azzardato darle un nuo-vo indirizzo a sostegno dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile: una PAC rifondata che dovreb-be migliorare l’ambiente, assicurare la sopravvivenza economica a lungo termine delle comunitàrurali e bilanciare di nuovo l’attuale sistema di scambio, anche incoraggiando pratiche di com-mercio sostenibili con il mondo in via di sviluppo.

L’applicazione della PAC negli ultimi anni ha infatti determinato anche un ristretto accessoal mercato per molti dei PVS, ancora fortemente dipendenti dal commercio dei prodotti agricoli.I suoi effetti a livello internazionale hanno influenzato sia i modelli di scambio che la direzioneglobale degli stessi, producendo effetti disastrosi sull’economia di questi Paesi. L’esistenza disussidi in favore dell’esportazione implica, infatti, che molti Paesi in Via di Sviluppo non possa-no competere sui mercati globali e dunque, come risultato, gli agricoltori in questi paesi devonospesso barcamenarsi tra la sopravvivenza e le attività che danneggiano l’ambiente locale.

In quest’ottica, lo sviluppo rurale rimane un obiettivo chiave per l’integrazione ambientale:i sussidi di produzione potrebbero essere riconvertiti in fondi di sviluppo rurale versati a favore dibeni ambientali, sociali e di servizi che il mercato non provvede a fornire. I programmi di svilup-po rurale possono dunque essere usati a sostegno di modelli di utilizzazione della terra e di prati-che che consentono di preservare la biodiversità, i paesaggi e le risorse idriche come, ad esempio,il pascolo estensivo del bestiame o la coltivazione di colture proteaginose. La spesa per lo svilup-po rurale richiederebbe allora ulteriori incrementi, particolarmente nei nuovi stati membri.

Migliori politiche di integrazione ambientale nella PAC sono dunque essenziali affinché siabbia un’attività agricola sostenibile e vantaggiosa per l’ambiente. Una maggiore integrazionedovrebbe garantire il rispetto degli standard minimi ambientali da parte di tutti gli agricoltori e ladefinitiva eliminazione delle pratiche dannose. Integrazione significa anche usare gli strumenti ei fondi della PAC per rispettare gli obiettivi delle direttive ambientali, quali la Direttiva Quadroper le acque, la gestione dei siti ecologici di natura 2000, o la produzione di energia da biomassaper ciò che concerne l’energia rinnovabile.

Gli agricoltori europei coinvolti nella riforma della PAC, i cittadini europei, i consumatori,tutti hanno risentito degli effetti delle decisioni di politica agricola, così come l’ambiente e i Pae-si in Via di Sviluppo. È essenziale che le future riforme della PAC tengano in considerazione que-sti aspetti e determinino una effettiva riduzione degli impatti negativi della Politica AgricolaComune.

9.2 La Direttiva Quadro 2000/60/CE

Una delle principali sfide emerse dal contesto normativo delineatosi negli ultimi anni, con-siste nel trasformare l’uso dell’acqua in agricoltura da mero fattore della produzione ad elementochiave per la conservazione ed il recupero dell’ambiente, ovvero fare in modo che l’irrigazioneentri a far parte del sistema idrogeologico ed ecologico di un territorio. L’agricoltura in genere,infatti, in quanto coinvolgente la parte prevalente della superficie del territorio, determina unimpatto tutt’altro che trascurabile sull’evoluzione del clima e sulle sue modificazioni.

Il progressivo evolversi della Politica Agraria Comune verso l’integrazione delle politicheper l’ambiente, lo sviluppo rurale e la multifunzionalità dell’agricoltura, hanno ridotto l’importan-za del fattore “prodotto materia prima a finalità alimentare” a favore di altre funzioni connesse

308

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 308

all’attività agricola. La recente svolta (Riforma di Medio Termine) della PAC orienta tendenzial-mente tutti gli interventi verso un progetto di agricoltura europea eco compatibile e quindi versoun uso ragionevole dei fattori della produzione (mezzi tecnici, acqua compresa), senza sprechi,senza rilasci inquinanti nelle acque, nel terreno e nei prodotti, e infine condiziona l’accesso alpremio unico aziendale al rispetto di norme di buona pratica agricola.

La Direttiva 2000/60 CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, che istituisce un quadroper l’azione comunitaria in materia di acque, stabilisce alcune regole che rafforzano nel tempo l’in-dirizzo all’impiego ragionevole anche per l’uso dell’acqua in agricoltura. Votata a maggioranzaschiacciante dal Parlamento Europeo nel giugno 2000 ed adottata congiuntamente da quest’ultimoe dal Consiglio alcuni mesi più tardi, la Direttiva quadro sull’acqua riorganizza in un unico insiemegiuridico una trentina di regolamenti ed altri dispositivi legislativi precedenti relativi all’acqua epone le basi di una vera e propria politica comunitaria della risorsa. La nuova legislazione rappre-senta una grande sfida, poiché riguarda un uso sostenibile delle risorse idriche in Europa e concer-ne ogni persona implicata direttamente o indirettamente nell’uso e nella gestione delle risorse idri-che, sia negli Stati membri che nei paesi candidati all’adesione all’Unione europea.

Essa riguarda tutte le acque tranne quelle marine, ovvero le acque di superficie (corsi d’ac-qua, laghi etc.), le acque sotterranee e le acque costiere e di transizione (acque semisaline degliestuari, ad esempio).

Essa fissa quattro grandi obiettivi:

– la tutela dell’ambiente;

– l’approvvigionamento di acqua potabile dei cittadini;

– l’approvvigionamento di acqua per altri usi economici;

– la riduzione delle conseguenze delle inondazioni e della siccità.

Si tratta dunque di fare convergere questi obiettivi nello spazio e nel tempo per:

– prevenire ogni deterioramento e migliorare globalmente la qualità degli ecosistemi;

– promuovere un uso sostenibile dell’acqua dolce organizzando la sua protezione;

– vigilare sulla coerenza con gli accordi Internazionali sulla protezione delle acque conti-nentali e marine.

La Direttiva concerne anche le relazioni tra i bacini idrografici, naturali o artificiali. Unodei pilastri su cui è imperniata la DQ è, infatti, lo sviluppo di piani di gestione integrata a partireda bacini idrografici, in modo da intervenire sulla qualità dell’acqua lungo tutto il suo ciclo, nel-l’ambito di una data superficie. Si tratta di raggiungere gli obiettivi ambientali di “buono statodelle acque” per tutte le acque dell’Unione Europea entro il 2015. Gli Stati membri hanno alriguardo un ruolo fondamentale da svolgere: dovranno identificare e definire opportune “zoneidrografiche” ed applicare un piano di gestione e un programma di misure. Conformemente alprincipio che “chi inquina paga”, questi dovranno integrare i costi ambientali nel prezzo dell’ac-qua per utilizzarla al meglio e per ridurne l’inquinamento. La Direttiva impone un sistema ditariffe diversificate in funzione dei vari usi (domestici, industriali, agricoli) ed ogni categoria diutilizzatori dovrà apportare un contributo adeguato.

Finora le questioni relative all’acqua erano soprattutto gestite dalle amministrazioni e daorganismi tecnici; d’ora in poi, invece, nel pieno rispetto dei principi di trasparenza e apertura del-le Istituzioni verso i cittadini, si imporrà sempre più un approccio partecipe basato, come riportatoall’articolo 14, sulla necessaria informazione e consultazione del pubblico. Questo approccio è tan-to più strategico in un settore in cui i conflitti di impiego sono e saranno sempre più importanti. Icalendari ed i programmi di lavoro saranno pubblicati e presentati alle osservazioni del pubblico, ed

309

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 309

in particolare degli utilizzatori. La Direttiva Quadro sull’acqua avrà conseguenze rilevanti sullagestione futura delle risorse idriche e degli ecosistemi acquatici in Europa, poiché comporteràimportanti lavori di disinquinamento industriali ed agricoli, a cominciare dalla soppressione disostanze pericolose come l’atrazina, il piombo, il cadmio, il nickel e il mercurio.

Un primo contributo della Direttiva è dunque quello di stabilire tempi, scadenze, modalitàper una ricognizione delle quantità e delle qualità delle acque e degli usi che devono essere eco-nomicamente e socialmente giustificati. Occorrerebbe, quindi, mettere in mora il ricorso alla legi-slazione emergenziale, come il filone certo e durevole di finanziamenti per nuove opere o permanutenzioni senza fine; le nuove opere e gli interventi di manutenzione devono invece esserecompresi in un disegno organico poliennale a scala territoriale, ovvero il piano di gestione distin-to per bacino idrografico.

La Direttiva prevede poi l’individuazione dei distretti idrici, come già detto, i quali posso-no comprendere più bacini. A tali distretti dovrebbero corrispondere i relativi piani di gestione, lacui realizzazione richiede una ricognizione dello stato dell’arte di ogni uso dell’acqua e la segna-lazione delle interrelazioni con l’ambiente da migliorare. Per ogni distretto, bacino, territorio, cor-rispondente ad un determinato sistema di acque territoriali pertanto, bisogna conoscere la tipolo-gia di agricoltura dominante, con i suoi fabbisogni e la tipologia di agricoltura che si potrebbedelineare nel prossimo futuro.

Occorre che il mondo agricolo prenda piena consapevolezza di questa mutata situazione, laqual cosa richiede un cambio di mentalità rispetto all’uso dell’acqua per l’irrigazione. In effettidall’analisi dei dati più recenti è possibile osservare significativi segni di cambiamento in merito(irrigazione localizzata a bassa pressione, terreni irrigati con volumi inferiori e così via). Questonuovo modo di porsi nei confronti dell’acqua destinata all’irrigazione, che porta a definire edattuare modi di gestione adeguati anche per una sua funzionalità di tipo ambientale, di ricarica delciclo della circolazione delle acque negli strati non ancora profondi, di ossigenazione dei materia-li organici in sospensione e loro conseguente degradazione, dovrebbe determinare effetti indubi-tabili sotto il profilo della salvaguardia della risorsa. La serietà nel modo di affrontare il consumodi acqua nell’agricoltura è determinante nel Mezzogiorno, ma anche nel resto dell’Italia, dove lerisorse idriche sono il principale fattore limitante della produzione.

Rispetto all’assunto che comunque l’acqua fa bene all’agricoltura (nell’Europa meridiona-le le superfici irrigate rispetto al 1985 sono aumentate del 20%) perché aumenta le produzioniagricole sia in quantità che in qualità, in questi ultimi tempi si è fatta strada una coscienza criticatra gli operatori del mondo agricolo (agricoltori, tecnici, ricercatori, istituzioni) che riflette unatteggiamento più prudente verso l’irrigazione.

I consumi di acqua per l’irrigazione sono, senza dubbio, ancora troppo elevati, sebbene glieffettivi consumi non si conoscano ancora appieno, nonostante gli approfondimenti e la raccoltadati effettuata da parte di vari Istituti di ricerca; di fatto vi è un largo utilizzo di acqua fuori dallanorma e non solo nel Mezzogiorno (in certe aree vi possono essere scarti fino al 30% fra i consu-mi dichiarati dai Consorzi di Bonifica ed i consumi effettivi). Inoltre, non si è mai pensato allamisurazione dell’acqua, salvo che in pochi isolati casi; soltanto una più recente sensibilità al pro-blema ha portato ad installare apposite apparecchiature ed a progettare sistemi di monitoraggiopermanenti. Invece, una piccola riduzione dei consumi di acqua per l’irrigazione, territorio perterritorio, potrebbe rendere meno stridente la competizione con gli altri consumi (civili, industria-li, ambientali).

L’introduzione di contatori (anche senza pagare il prezzo del servizio idrico) potrebbe com-portare una riduzione del consumo dell’acqua stimabile fra il 10 e 25% (stima dell’Agenzia Euro-pea per l’Ambiente), ma prima di pensare al risparmio occorrerebbe porre rimedio alle perdite,

310

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 310

eseguire i necessari lavori di manutenzione delle opere, recuperare i volumi d’acqua che vengonoindirizzati verso zone dove le coltivazioni irrigue non esistono più oppure hanno bisogno di menoacqua. In realtà le perdite non si hanno soltanto negli impianti per il trasporto dell’acqua o perl’irrigazione, ma esse possono verificarsi anche e soprattutto durante l’esercizio stesso dell’irriga-zione, perché è sempre difficoltoso definirne senza errori i vari parametri (turno, volume di adac-quamento adeguato alle esigenze delle colture ed alle caratteristiche dei terreni, compatibilità congli apporti idrici naturali, e così via.).

Le perdite per l’irrigazione, però, secondo alcune scuole di pensiero, non sarebbero cosìdannose sotto il profilo ambientale in quanto andrebbero ad alimentare il circuito delle acque sot-terranee, determinando in particolare il ravvenamento delle falde. L’orientamento al risparmiodell’acqua nella pratica irrigua, perciò, deve convincere ed interessare estesamente tutti gli opera-tori del settore agricolo, fino a divenire di esempio per promuovere analoghi risparmi nel settoreurbano ed industriale.

Nell’ottica di una radicale riforma dell’impianto legislativo attuato in questi anni recentidall’U.E., il risparmio di acqua non può più essere mosso solo da una questione morale e nonpuò essere affidato solo alla buona volontà degli operatori, oppure rimanere circoscritto nell’am-bito della sperimentazione e della ricerca scientifica. Il risparmio di acqua deve essere obbligato-rio per tutti, così come nella recente riforma della PAC il premio unico aziendale potrà esserepagato solo a chi avrà dimostra l’applicazione delle norme relative all’agricoltura eco compatibi-le (la cosiddetta “condizionalità”). Ovviamente saranno necessarie misurazioni, controlli, monito-raggi permanenti volti a punire gli sprechi e gli abusi (sottrazioni clandestine dalle reti irrigue,etc.); inoltre, non sono da escludere tariffe premianti per chi fa vero risparmio, documentato, con-seguendo risultati produttivi accettabili senza produrre eccedenze.

Anche l’erogazione dell’acqua irrigua, condizionata a regole e impianti di risparmio pre-cedentemente definite e realizzati, potrebbe costituire una via percorribile insieme alla ricercadi nuove fonti, compreso il riutilizzo delle acque reflue. L’utilizzo di quest’ultime, anche secomporta un indubbio vantaggio ambientale in quanto riscoprono la funzione del terreno agra-rio come bio degradatore naturale, allo stato attuale per motivi diversi (costo della depurazione,costo del trasporto, del pompaggio), ancora non è economicamente e tecnicamente praticabilesu larga scala, anche perché mancano soluzioni rassicuranti per la salute umana, per cui occor-rerà attendere che siano messi a punto tutti i parametri utilizzabili con i diversi ambienti, terre-ni e colture.

Si può ritenere che le preoccupazioni maggiori siano connesse alla necessità di fornire iquantitativi d’acqua richiesti dall’agricoltura, sebbene non manchi già adesso l’impegno per pre-servare o migliorare anche la qualità delle acque irrigue, in vista della salvaguardia delle acquesotterranee. La DQ stabilisce di adottare misure di base (art. 11, comma 2), che nel settore agrico-lo corrispondono principalmente alle norme applicative della Direttiva Nitrati 91/676 e dellaDirettiva Fitofarmaci 91/414, nonché eventuali misure supplementari (art. 2, comma 4) come laBuona Pratica Agricola ed il rispetto degli standard delle qualità delle acque. Queste e altre normenazionali, regionali e locali, a tutela della qualità delle acque in ogni corpo idrico superficialedovrebbero essere comprese (ma in parte già lo sono) fra quelle da rispettare per soddisfare la“condizionalità” necessaria, cioè i criteri di gestione obbligatori per meritare il premio unicoaziendale relativo alla recente riforma della PAC.

In relazione alle decisioni circa la gestione dei vari usi dell’acqua (tariffazione, misurazio-ni, stato dei rilasci), la Direttiva stabilisce che si debba tener conto delle ripercussioni sociali. Èevidente, pertanto, che i provvedimenti proposti si possono valutare e giudicare più puntualmen-te se concepiti in ambito locale. Del resto quasi tutti gli strumenti della programmazione fanno

311

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 311

riferimento a dimensioni territoriali limitate su scala regionale o sub regionale, sia per la progetta-zione che per la gestione e la valutazione.

Le considerazioni sin qui svolte portano a focalizzare l’attenzione sulla specificità del terri-torio e correlare ad esso sia l’organizzazione per l’uso produttivo dell’acqua in agricoltura, siaanche la difesa dai danni che l’acqua può causare. Le riflessioni sui cambiamenti climatici che sisono determinati e cui si è accennato precedentemente, inducono due principali considerazioni: laprima è che spesso i fenomeni di siccità e di alluvione convivono, frequentemente ed a volteanche nei medesimi anni, sugli stessi territori; la seconda, invece, è che il territorio interessato dafenomeni di scarsezza e/o sovrabbondanza d’acqua si fa sempre più delimitato e non è più classi-ficabile soltanto con riferimenti ad aree geografiche estese e caratterizzate da specifici fattorimorfologici, geologici o idrografici.

È in questa ottica, dunque, che bisogna affrontare il problema, adattando le strategie e lescelte ai territori che concretamente abbiamo di fronte. L’agricoltura, in questo quadro, può forni-re servizi e contemporaneamente migliorare la propria capacità produttiva. Infatti, un’agricolturache si applica alla manutenzione del territorio compie azioni concrete per la mitigazione delrischio geologico, del dissesto della rete idrografica superficiale e del rischio alluvionale, dell’in-quinamento della risorsa idrica superficiale e di falda. Queste sono funzioni al servizio dell’inte-ra collettività ed in linea con le direttive e gli orientamenti dell’Unione Europea. Sono funzioni,però, che occorre organizzare per inglobare nel sistema sia l’azione di fondo che svolge il singo-lo agricoltore, sia quella più ampia che attiene maggiormente agli enti di bonifica.

I Consorzi di Bonifica, dopo la loro necessaria riorganizzazione, potrebbero dare un grandecontributo per la manutenzione del territorio. Ma i Consorzi di Bonifica sono anche gli Enti chegestiscono la gran parte della rete irrigua extra aziendale e sono quindi i soggetti più interessati aduna razionalizzazione della irrigazione. Uno dei problemi che la Direttiva 2000/60 pone all’atten-zione è la questione dei costi dell’acqua utilizzata, anche in agricoltura.

Appare evidente come i costi complessivi per l’irrigazione non siano completamentecoperti dai proventi del servizio e che il pareggio tra i costi, investimenti inclusi, ed i ricavi nonsarebbe assolutamente sopportabile dal solo settore agricolo, anche supponendo ogni possibileriorganizzazione e razionalizzazione. Considerato, però, il ruolo complessivo svolto dall’agricol-tura nei riguardi della gestione dell’acqua, sia verso quella in eccesso che provoca danni, sia ver-so quella utilizzata a scopi produttivi per la valorizzazione delle produzioni, in un contesto ragio-nevole e sostenibile si può convenire che un intervento pubblico, centrato sull’assunzione o su diuna adeguata compartecipazione ai costi d’investimento, possa essere giustificato come corrispet-tivo al servizio di manutenzione del territorio che l’agricoltura svolge con schemi organizzati,efficaci ed efficienti. Un tale ragionamento trova riscontro negli orientamenti dell’Unione Euro-pea sulla politica di sviluppo rurale e sulla multifunzionalità dell’attività agricola.

Più volte è stato detto che la pratica irrigua si è estesa alla luce della fondatezza della affer-mazione “l’irrigazione è un mezzo essenziale per la valorizzazione delle produzioni agricole”, laquale affermazione andrebbe però verificata, di volta in volta, tenendo conto delle risorse idrichee dei costi finanziari ed ambientali connessi all’utilizzo della risorsa. Basti pensare ai notevolirischi ambientali che sono connessi al perpetuato utilizzo di acque salmastre che si verifica nellaPiana di Sibari, od all’ormai allarmante fenomeno di intrusione del cuneo salino nelle falde acqui-fere che caratterizza la Piana del Metapontino, susseguente all’uso sempre più frequente di acquesotterranee, prelevate in maniera indiscriminata ed incontrollata.

Molto spesso, rendere irriguo un territorio è solo un investimento, di fronte al quale spessovengono trascurati l’oculato governo della risorsa idrica e le relative implicazioni ambientali,finanziarie e produttive. Comunque esso sovente non tiene conto delle principali implicazioni cui

312

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 312

rapportarsi ovvero, in particolare, la preservazione delle attività agricole ed il sostegno della red-ditività aziendale.

Prova ne sia il fatto che le produzioni agricole irrigue, ottenute grazie ad opere realizzate atitolo gratuito, raggiungono un valore di mercato tale che la produzione non sarebbe ammissibilese il costo dell’acqua impiegata fosse stato calcolato in modo corretto. Queste situazioni sonospesso la causa dei trasferimenti di acqua tra bacini idrografici diversi, spesso assai distanti traloro. Casi concreti si stanno ponendo in Europa (Francia - Spagna) e si pongono in Italia quali, adesempio, gli scambi Albania - Puglia e Abruzzo - Puglia.

Alla luce della Direttiva Quadro acque, dunque, il problema della sufficienza o dell’ecces-so di acqua disponibile per l’irrigazione dovrebbe essere reimpostato. Dopo la riforma della PAC,per un’agricoltura europea eco compatibile, per l’agricoltura italiana, per il Mezzogiorno d’Italiae infine per le conseguenze dei cambiamenti climatici valutate per territorio, in primo luogooccorre prevedere una più stringente pianificazione delle colture e degli allevamenti. Inoltre, ènecessario un piano di gestione delle acque, oggi richiesto anche da quanti sono stati contrari aipiani precedenti (purtroppo, poco o per nulla attuati). Le previsioni del fabbisogno d’acqua, quin-di, dovrebbero essere conseguenti anche a questo nuovo scenario.

Le colture idro esigenti andrebbero confermate soltanto nei territori vocati e con risorseidriche adeguate e comunque, per quanto riguarda l’uso dell’acqua per l’irrigazione, si dovrebbeiniziare a considerare in che modo l’irrigazione possa essere più funzionale non solo all’incre-mento e alla qualità delle produzioni, ma anche alla conservazione e al recupero dell’ambiente,cominciando dalla salvaguardia delle terre fertili e attrezzate per l’irrigazione, e proseguendo conla conservazione della materia organica nel terreno, con la riduzione degli apporti di sali e dunquecon l’isterilimento dei suoli, con l’incremento delle funzioni ambientali e così via.

Soltanto con un sistematico impegno del settore agricolo per raggiungere, entro il 2015,“il buon stato” ovvero la buona qualità ecologica delle acque (ad esempio rifiutare acque persi-stentemente inquinate, ridurre la quantità dei nitrati dispersi nelle falde acquifere, rilasciare acquedepurate biologicamente dagli inquinanti organici), è allora auspicabile che l’opinione pubblica egli altri utilizzatori dell’acqua diversi dagli agricoltori, possano accettare i contenuti della PAC(con particolare riferimento alle sue elevate sovvenzioni agli agricoltori) e delle politiche agrico-le nazionali e regionali. Inoltre, è imperativo il dovere del risparmio da calibrare territorio perterritorio, da corpo idrico a corpo idrico, attraverso la messa a punto di modalità irrigue più raffi-nate e agronomicamente più efficaci.

Il riconoscimento della funzione produttiva dell’agricoltura, che in certi territori è ancoramotore di sviluppo, insieme alla funzione ambientale, dovrebbe in parte attenuare il costo di uti-lizzo ambientale dell’acqua irrigua. Le grandi opere irrigue, e con esse i grandi trasferimenti del-la risorsa, dovrebbero essere eventi eccezionali e decisi dopo avere esaudito procedure partecipa-te di pianificazione, progettazione, valutazione economica ed ambientale.

9.3 Gli scenari alternativi

Gli scenari descritti e le considerazioni sin qui svolte aprono il campo a considerazioni divaria natura circa il ruolo cui potrebbero assurgere colture alternative alle tradizionali colture cheper tanto tempo hanno caratterizzato il paesaggio agricolo italiano.

La destinazione energetica di cereali, semi oleosi e altre materie prime agricole presentainfatti, secondo le analisi svolte da più osservatori, spazi di mercato considerevoli e non più incer-

313

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 313

ti, tali da suscitare un vivace interesse da parte degli agricoltori e non solo loro, nei confronti del-la produzione di carburanti da materie prime vegetali, essenzialmente il bioetanolo e il biodiesel.

Più in generale, ad attrarre l’attenzione è il variegato mercato delle materie prime rinnova-bili per l’energia e per l’industria che comprende una vasta gamma di applicazioni, tra cui spicca-no, oltre ai biocarburanti, l’energia elettrica e il calore ottenuti a partire da biomassa di diversaorigine (residui di potatura, colture forestali a breve ciclo vegetativo, scarti di lavorazione, liqua-mi zootecnici). Il campo d’azione è davvero vasto, sebbene l’Italia sia uno dei Paesi europei piùindietro nella produzione di biomasse legnose e di biogas per energia.

In questa sede però ci si vuole riferire in maniera precipua ai carburanti ottenuti da materieprime agricole di origine vegetale, quali i cereali, la barbabietola da zucchero ed i semi oleosi. Lospunto è fornito dalla recente decisione della Commissione Europea di riservare una sezione deldocumento sulle prospettive di mercato in agricoltura per il periodo 2005-2012, allo sviluppo del-l’utilizzo dei carburanti di origine biologica nell’Unione Europea e al relativo impatto sul merca-to dei cereali e dei semi oleosi. Al centro dell’attenzione è il ruolo che il nuovo e promettentesbocco di mercato potrà giocare nel futuro a medio termine nel condizionare l’andamento deimercati agricoli e nell’assicurare vantaggi per gli agricoltori.

Non v’è dubbio che le produzioni potenzialmente più interessanti sono quelle rappresen-tate dal bioetanolo e dal biodiesel, anche perché in esse si riconoscono facilmente i tratti dellafiliera.

Ma di cosa si tratta? Il Biodiesel è un prodotto naturale utilizzabile come carburante in autotrazione e come combustibile nel riscaldamento, con le caratteristiche indicate rispettivamentenelle norme UNI 10946 ed UNI 10947. Esso è rinnovabile, in quanto ottenuto dalla coltivazionedi piante oleaginose di ampia diffusione ed è biodegradabile, cioè se disperso si dissolve nell’ar-co di pochi giorni, mentre gli scarti dei consueti carburanti permangono molto a lungo; garantisceinoltre un rendimento energetico, pari a quello dei carburanti e dei combustibili minerali ed un’ot-tima affidabilità nelle prestazioni dei veicoli e degli impianti di riscaldamento. Come si produce?Si ottiene dalla spremitura di semi oleoginosi di colza, soia, girasole e da una reazione detta ditransesterificazione che determina la sostituzione dei componenti alcolici d’origine (glicerolo)con alcool metilico (metanolo). Il Biodiesel rappresenta una fonte energetica rinnovabile e cometale comporta un ciclo produttivo che interessa settori come l’agricoltura. Parte dell’olio da tra-sformare può essere fornito da Paesi del Centro Est Europa (Paesi UE) che dispongono di immen-se superfici scarsamente utilizzate che, se destinate a queste produzioni, non genererebbero ulte-riori eccedenze in ambito Comunitario. Per le zone povere del nostro territorio (terreni marginali),in passato adibite a coltivazione ed attualmente abbandonate, si aprirebbero nuove prospettive,poiché queste potrebbero fin da subito specializzarsi nella produzione di semi di colza, soia egirasole, dando così nuove opportunità al mercato del lavoro locale.

Il Biodiesel può essere anche ottenuto da olii vegetali usati, il cui recupero è stato discipli-nato dal D.Lgs 5 febbraio 1997, n° 22. Questo consente di sottrarre definitivamente gli olii vege-tali usati dal circuito dell’alimentazione zootecnica o da utilizzi ancora più pericolosi per la salu-te umana. La sua produzione è del tutto ecologica, poiché non presuppone la generazione di resi-dui, o scarti di lavorazione. La reazione di transesterificazione prevede la generazione di gliceri-na quale “sottoprodotto” nobile dall’elevato valore aggiunto, della quale sono noti oltre 800diversi utilizzi. Esso è utilizzabile direttamente poiché non richiede alcun tipo d’intervento sullaproduzione dei sistemi che lo utilizzano (motori e bruciatori). Nell’auto trazione (motori diesel)può essere utilizzato sia allo stato puro che miscelato con il normale gasolio, mentre nel riscalda-mento può essere utilizzato direttamente sugli impianti esistenti, al 100% od in miscela con gaso-lio in qualsiasi proporzione.

314

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 314

In confronto con il gasolio, il Biodiesel determina numerosi effetti positivi per l’ambiente:non contribuisce all’effetto serra poiché restituisce all’aria solo la quantità di anidride carbonicautilizzata da colza, soia e girasole durante la loro crescita; riduce le emissioni di monossido dicarbonio (-35%) e di idrocarburi incombusti (-20%) emessi nell’atmosfera; inoltre, non conte-nendo zolfo, il Biodiesel non produce una sostanza altamente inquinante come il biossido di zol-fo e consente maggiore efficienza alle marmitte catalitiche; diminuisce, rispetto al gasolio, lafumosità dei gas di scarico emessi dai motori diesel e dagli impianti di riscaldamento (-70%);non contiene sostanze pericolosissime per la salute quali gli idrocarburi aromatici (benzene,toluene ed omologhi) o policiclici aromatici; giova al motore grazie ad un superiore potere deter-gente che previene le incrostazioni; non presenta pericoli, come l’autocombustione, durante lafase di trasporto e di stoccaggio; la sua diffusione determina l’attivazione di un circuito virtuosoche promuove lo sviluppo di produzioni agricole non destinate alla alimentazione (non food),quindi non generatrici di eccedenze.

Il bioetanolo è invece un alcool (etanolo o alcool etilico) ottenuto mediante un processo difermentazione di diversi prodotti agricoli ricchi di carboidrati e zuccheri quali i cereali (mais, sor-go, frumento, orzo), le colture zuccherine (bietola e canna da zucchero), frutta, patata e vinacce.In campo energetico, il bioetanolo può essere utilizzato direttamente come componente per benzi-ne o per la preparazione dell’ETBE (EtilTerButilEtere), un derivato alto-ottanico alternativoall’MTBE (MetilTerButilEtere). Nonostante l’elevato costo di produzione, pari a circa due voltequello della benzina, il bioetanolo può risultare fonte di profitto quando si considerino le dovuteagevolazioni fiscali e finanziamenti di origine governativa legate alla caratteristica rinnovabile diquesta fonte energetica.

Il Bioetanolo può essere aggiunto nelle benzine in una percentuale che può arrivare fino al30%, senza dover modificare in nessun modo il motore o, adottando alcuni accorgimenti tecnici,anche al 100% come avviene in Brasile dove, per ragioni di politica energetica locale, l’etanolo èstato utilizzato per diversi anni anche come carburante unico in sostituzione della benzina. Oggiviene molto utilizzato anche in Svezia, la nazione europea dove più si sta sviluppando il mercatodel bioetanolo. Quando si fermentano cereali per ottenere il bioetanolo, i sottoprodotti della lavo-razione possono essere utilizzati nella mangimistica. Nella produzione da canna da zucchero siottiene un sottoprodotto, denominato bagassa, che può essere destinato alla coproduzione di ener-gia elettrica e calore (cogenerazione). Orientativamente, si può stimare che il rendimento di bioe-tanolo, a partire da cereali, si aggiri intorno al 30% (30 kg di etanolo da 100 kg di cereali fermen-tati). Per i mangimi ottenuti come sottoprodotto si può stimare una resa più o meno analoga. Inalternativa, il bioetanolo può essere prodotto a partire da biomasse di tipo cellulosico, ovvero dal-la gran parte dei prodotti o sottoprodotti delle coltivazioni. In questo caso, la biomassa viene idro-lizzata per trattamento con acido solforico per produrre zuccheri che, successivamente, vengonoinviati alla fermentazione utilizzando flore batteriche modificate geneticamente. Anche se impie-ga materie prime meno pregiate, questa seconda via è ancora molto costosa (30-40% in più rispet-to alla fermentazione classica). Nella realtà corrente le materie prime sono costituite soprattuttoda cereali, canna da zucchero e barbabietole. Poiché la sicurezza della disponibilità di energia èfondamentale per un Paese, la produzione agricola ad essa destinata deve poter essere garantitacon continuità.

Questi due bio combustibili sono dotati di facile penetrazione nel mercato dell’energiaattraverso reti di trasporto e distribuzione già esistenti e diffusi in maniera capillare. Spesso da piùparti si sono levate voci che indicavano questi prodotti agro energetici come una panacea in gra-do di guarire tutti i mali di cui è afflitta l’agricoltura italiana. In realtà occorre guardare al feno-meno con attenzione, con occhio critico e costruttivo. Dando per scontate la facilità di diffusione

315

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 315

sul territorio e i notevoli benefici ambientali che derivano dal loro utilizzo alternativo ai combu-stibili di origine fossile, resta da sciogliere il nodo principale e imprescindibile che attualmente nelimita la produzione nazionale, e cioè il prezzo. Attualmente il costo di produzione dei bio com-bustibili a livello nazionale è sensibilmente più alto di quello dei combustibili di origine fossilema, anche se il differenziale di prezzo tende verso la contrazione, il solo incremento del prezzodel petrolio greggio, se pur costante, non basta di certo a colmare questo divario. Inoltre produrrebioetanolo e biodiesel in Italia costa ancora di più che Oltreoceano. Il confronto sulla convenien-za economica resta quindi una questione aperta e di non facile soluzione, ricordando soprattuttoche il piano di indagine non è locale bensì nazionale e internazionale.

Ciò nonostante, il risultato cui giunge la Direzione Generale della Commissione Europea èpiù che incoraggiante: il mercato dei biocarburanti è previsto in netta crescita. Ciò si tradurrà inuna crescente domanda di materie prime, quali i cereali (mais e frumento tenero) e i semi oleosi,per alimentare l’industria di produzione di bioetanolo e biodiesel. I prezzi corrisposti agli agricol-tori cresceranno, sia sul mercato interno europeo che su quello internazionale. L’aumento riguar-derà non solo le materie prime per produzioni energetiche, ma tutte le destinazioni e ci sarannonuovi equilibri sul mercato con la produzione non alimentare che occuperà un ruolo importante ascapito dell’utilizzo delle materie prime agricole per l’alimentazione umana e animale.

Particolare non trascurabile, lo studio della Commissione non si azzarda a indicare alcunordine di grandezza per il plausibile incremento dei prezzi agricoli. Si limita a precisare, anchecon ragionamenti circostanziati, che il settore dei biocarburanti è destinato a incidere profonda-mente e con risvolti positivi sui mercati agricoli, pur con qualche residuo elemento di dubbio econ alcune incognite che al momento non sono state risolte.

Oggi, il 40% del colza prodotto nell’Unione Europea a 25 Paesi membri è destinato all’ot-tenimento di biodiesel. La capacità produttiva dell’industria di trasformazione, dopo gli investi-menti in impianti effettuati soprattutto in Germania, Francia e Italia e grazie al rilevante sviluppodei procedimenti tecnologici, ammonta a 5,2 milioni di tonnellate di materia prima, contro i 2,7registrati nel 2002. Il colza proveniente dalle superfici a set aside contribuisce solamente per 2milioni di tonnellate. Il resto è prodotto a partire da materia prima coltivata sui terreni in condi-zioni agronomiche ordinarie. Per effetto di ciò, riferisce lo studio della Commissione, le quotazio-ni di mercato del colza destinato al canale food e quello per biocarburanti praticamente coincido-no. Per il bioetanolo il trend di crescita è ancora più sorprendente e rapido. Nel 2004, in Europasono stati utilizzati poco meno di 1 milione di tonnellate di cereali, ma già nel 2005 si prevedeuna crescita a 3 milioni di tonnellate. Per il futuro a medio termine, il trend di sviluppo potrebbeproseguire a ritmi esponenziali, almeno fino al 2010, data entro la quale i vari Paesi membridovrebbero raggiungere la soglia raccomandata di utilizzo dei biocarburanti per il trasporto. LaDirettiva 2003/30 ha fissato per quell’epoca una quota di mercato obiettivo del 5,7%. Secondo lestime della Commissione, nel 2010 il consumo complessivo di carburante nell’UE a 25 si dovreb-be attestare attorno a 330 milioni di tonnellate, il che farebbe salire la domanda di biocarburanti a25 milioni di tonnellate di bioetanolo equivalente. Con l’attuale produzione europea di biodiesel ebioetanolo si raggiunge appena lo 0,6% e non il 5,7% che è l’obiettivo auspicato.

I pochi dati forniti testimoniano in modo semplice e diretto che la destinazione energeticadi cereali, semi oleosi e altre materie prime agricole rappresenta ormai un business non più resi-duale e incerto. Gli spazi di mercato sono considerevoli. C’è da occuparli in modo più ampio pos-sibile, con una produzione europea di materia prima e di prodotti finiti, organizzando una filieramoderna ed efficiente e creando condizioni di politica commerciale tali da assicurare la preferen-za alla produzione interna piuttosto che a quella importata. Non va ignorato, infatti, che a livellomondiale ci sono Paesi che riescono a produrre etanolo da fonti rinnovabili agricole a costi assai

316

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 316

competitivi (Brasile e Usa). L’accordo di Blair House, che limita la coltivazione di semi oleosieffettuata su set aside fissando un massimale pari a 1 milione di tonnellate di farina di soia equi-valente, è un elemento che ormai pone seri vincoli. Un ulteriore punto debole è la competitivitàdella produzione europea di biocarburanti, derivati da cereali e barbabietola da zucchero, rispettoal petrolio. Oggi i conti tornano grazie alle agevolazioni fiscali riconosciute a favore delle fonti dienergia rinnovabili e per effetto dei record storici del prezzo del greggio. Ma non è detto che talefenomeno possa proseguire e confermarsi in futuro. In conclusione, il settore dei biocarburantirappresenta ormai una realtà concreta nell’ambito del settore agro industriale europeo. I mercatiagricoli ne saranno fortemente condizionati. Resta da vedere chi riuscirà a trarre i più visibilibenefici.

La defiscalizzazione, vista dai più come obiettivo prioritario, è senza dubbio uno strumen-to necessario ma non sufficiente se non supportato da misure di carattere politico-economico cherendano la filiera dei bio combustibili in grado di sostenersi da sola sul libero mercato. Il rischioche si corre è infatti quello di drogare il mercato nazionale in maniera tale che, se per motivi dibilancio o di tagli alla Finanziaria la defiscalizzazione dovesse in qualche maniera venire meno,la filiera bioenergetica non potrebbe più autosostenersi; l’esperienza degli incentivi e dei relativirisultati ottenuti con l’agricoltura biologica dovrebbe servire in tal senso da monito. La manovradi defiscalizzazione dei biocombustibli dovrebbe tenere conto, pertanto, anche del gettito fiscaleaggiuntivo che la filiera bioenergetica può generare sull’economia nazionale; l’effetto attivazione,vale a dire di PIL prodotto direttamente e indirettamente da queste filiere, è infatti di circa il 40%in più rispetto a quello legato all’utilizzo dei combustibili di origine fossile. Si tratta di circa 8miliardi di euro in più nel solo 2004, nell’ipotesi teorica di completa sostituzione dei combustibi-li tradizionali. La defiscalizzazione non può però prescindere dalla messa a punto di un piano difiliera sostenibile nel lungo periodo. La costruzione di una filiera deve innanzitutto cominciarecon l’identificazione dei segmenti a maggiore potenziale competitivo, sia tecnologico-industrialeche organizzativo, e la sua sostenibilità economica necessita di interventi mirati sia in campoindustriale sia agronomico. Non può infatti venire meno un innalzamento della competitività agri-cola in termini di miglioramento genetico e tecnica agronomica, per non ripetere l’esperienza delsettore bieticolo-saccarifero nazionale. A questo proposito, la tanto invocata riconversione deglizuccherifici in distillerie da bioetanolo, possibile e auspicabile per rivitalizzare un settore strategi-co come quello bieticolo-saccarifero, non può non tenere conto di queste difficoltà. Soprattutto ènecessario considerare che il bioetanolo ottenuto da barbabietola prodotta nel Centro-Nord Euro-pa costa circa 790 euro/t mentre in Brasile il costo è di circa 300 euro/t. Senza un piano naziona-le coerente e adeguato, nulla ci impedisce di pensare che gli stessi problemi che hanno provocatola crisi del settore bieticolo possano ripercuotersi anche su questa nuova frontiera agro energetica.Stesso ragionamento può essere fatto anche per il settore del biodiesel, dove la defiscalizzazionedi 200.000 t non basta per far partire una filiera competitiva e dove circa il 66% della materiaprima lavorata negli stabilimenti italiani è di provenienza estera; creare impianti di trasformazio-ne non basta a far si che gli agricoltori investano in colture energetiche se non trovano in esse unadeguato ritorno economico. Le prospettive di sviluppo potrebbero essere buone, anche alla lucedei nuovi equilibri che si verranno a creare con la visione della Politica Agricola Comune e con inuovi obiettivi prefissati dalla Comunità Europea in termini di produzioni energie rinnovabili.Per rendere l’idea delle potenzialità attualmente inespresse del territorio italiano, se tutta la SAUattualmente investita a seminativi fosse convertita a colture energetiche, i risultati in termini dicopertura del fabbisogno petrolifero nazionale sarebbero più che interessanti. In particolare la col-tivazione della barbabietola, da sola, potrebbe sostituire oltre il 28% del petrolio consumato inItalia.

317

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 317

Una soluzione del genere è nella realtà inapplicabile, poiché sconvolgerebbe tutti gli equi-libri dell’agricoltura italiana, ma il dirottamento del 20-30% dei seminativi con una coperturapetrolifera di circa il 5-6% sul fabbisogno nazionale è un obiettivo raggiungibile anche nel breveperiodo. Le agro energie sono già oggi una buona fonte di integrazione al reddito per gli agricol-tori e nel lungo periodo potrebbero diventare anche una fonte prima di reddito attraverso la costi-tuzione di filiere ad hoc.

318

•Capitolo09 13-06-2007 10:20 Pagina 318

CAPITOLO 10

POLITICHE AGRICOLE E AMBIENTALI INERENTI LE RISORSE IDRICHE*

Abstract

Il documento focalizza l’attenzione sull’importanza della risorsa idrica per il settore pri-mario, precisando che dal comparto irriguo deriva circa il 40% della produzione agricola naziona-le. Al fine di descrivere nel dettaglio tale comparto, lo studio individua le principali caratteristicheagricole e gestionali, derivati dallo specifico assetto idrogeologico e morfologico del territorio edescrive, a livello generale, i principali elementi di criticità del settore irriguo inerenti il rapportotra risorse idriche ed attività agricola, che caratterizzano l’Italia e sono comuni a molti Paesi del-l’Unione Europea, quali:

– usi produttivi dell’acqua;

– inquinamento puntuale e diffuso generato dai prodotti chimici;

– fenomeni di degrado del suolo (quali erosione, desertificazione, subsidenza, salinizza-zione, etc.);

– riduzione delle aree umide.

Parallelamente alle esternalità negative che l’attività agricola e le pratiche ad essa connes-se operano, il documento evidenzia una serie di esternalità con effetti positivi sull’ambiente pro-dotte dall’’uso dell’acqua in agricoltura.

Basandosi sulle analisi descritte, infine, il documento individua e descrive nel dettaglio iprincipali strumenti per la programmazione fisica e finanziaria operata a livello nazionale e regio-nale per il settore irriguo.

The document focuses on the importance of water resource for agriculture, in fact irriga-tion produces approximately 40% of national agricultural production. The study identifies themost important agricultural and managerial characteristics that depend on the specific hydro-geologic and morphologic features of the territory ; moreover it describes, at general level, themain critic elements related to the relationship between water resources and agricultural activity,that characterize Italy and are common to many Countries of the European Union:

– productive uses of the water;

– punctual and diffused pollution generated by chemical products;

– degradation phenomena of the soil (erosion, desertification, subsidence, salinization,etc.);

– reduction of humid areas.

Beyond the negative externalities connected to agricultural activity, the document eviden-ces a series of externalities generating positive effects on environment and connected to wateruse of agriculture.

Starting from these analyses, the document identifies the main instruments used at nationaland regional level for infrastructures programming in agriculture.

319

* Raffaella Zucaro, INEA.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 319

10.1 Principali problematiche relative ad irrigazione e ambiente

10.1.1 Il settore irriguo nazionale

L’acqua rappresenta un fattore irrinunciabile per il settore primario; circa il 40% della pro-duzione agricola nazionale deriva, infatti, dal comparto irriguo, mentre il rapporto tra superficieirrigata e SAU a livello nazionale è pari al 20%. Ciò deriva dal fatto che l’acqua, offrendo mag-giore flessibilità e, quindi, maggior controllo sia qualitativo che quantitativo dell’offerta agricola,rappresenta uno dei più importanti fattori di competitività. Pertanto, la presenza/assenza dell’irri-gazione e la qualità del servizio irriguo costituiscono fattori di sviluppo fondamentali.

L’uso irriguo dell’acqua a livello nazionale presenta specifiche caratteristiche agricole egestionali, derivate dallo specifico assetto idrogeologico e morfologico del territorio.

In particolare, le aree del Nord presentano grandi bacini idrografici, mentre nel Sud preval-gono corsi d’acqua irregolari e di tipo torrentizio. Da tale assetto ne deriva che, storicamente, leregioni settentrionali sono state principalmente caratterizzate da problematiche incentrate sulla“difesa dalle acque”, mentre le regioni meridionali hanno dovuto affrontare ricorrenti periodi sic-citosi e cronici problemi di disponibilità di risorsa idrica. Negli ultimi anni, i recenti mutamentidel clima che hanno generato periodi siccitosi anche nelle regioni centro-settentrionali, hannoreso tale distinzione meno netta.

Una sostanziale e storica differenza del fenomeno irriguo caratterizza, a livello territoriale,le regioni centro-settentrionali e quelle meridionali. Al Centro-Nord1, unitamente ai grandi siste-mi irrigui a scorrimento costituiti da importanti canali di irrigazione, vi è anche una estesa rete dicanali aventi come principali fonti di approvvigionamento ad uso irriguo corsi d’acqua o sorgen-ti che, in alcuni casi, sono canali di scolo utilizzati, nel corso della stagione irrigua, per l’irriga-zione. Nelle regioni meridionali, invece, le aree soggette alla bonifica sono limitate alle pianurealluvionali coltivate e la rete, quasi esclusivamente irrigua, è caratterizzata da grandi schemi diadduzione e distribuzione, anche interregionali, gestiti dai Consorzi di Bonifica e Irrigazione; inquesti territori le principali fonti di approvvigionamento sono rappresentate dai numerosi invasirealizzati a partire dagli anni ’50.

Con specifico riferimento alla superfici gestite dai Consorzi di Bonifica, da un’indaginedell’ANBI2 risulta che oltre il 60% di tale superficie irrigata ricade nelle regioni del nord, in gran-de prevalenza in sinistra del Po. Modesta è ancora la superficie irrigata dell’Italia centrale nellaquale, tuttavia, è prevalente, rispetto agli ettari governati dai Consorzi, quella esercitata autono-mamente da canali consortili sia pure con le regole dettate dai Consorzi e ancor più quella, inva-lutabile, esercitata con risorse aziendali, normalmente con acque sotterranee. Nell’Italia meridio-nale e nelle Isole la superficie irrigabile, quasi tutta di recente costituzione nell’ultimo cinquan-tennio, è inclusa in comprensori gestiti da Consorzi di Bonifica, ma anche in questo compartogeografico devono essere considerati gli attingimenti autonomi aziendali.

Oltre metà delle acque usate a fini irrigui provengono da corsi d’acqua naturali che domi-nano nettamente nel Nord, ma presentano percentuali sensibili anche nel Centro (Toscana eLazio) e nel Sud (Calabria). Poco più del 38% di tale risorsa proviene dai grandi serbatoi artificia-li, sbarranti corsi per lo più torrentizi con dighe in materiali sciolti e talora in calcestruzzo armato.Una bassa percentuale (3,6%) proviene da pozzi consortili, frequenti soprattutto nelle regioni

320

1 Zucaro R. (a cura di) (2004): Rapporto di analisi degli investimenti irrigui nelle regioni centro settentrionali, Istituto Nazionale diEconomia Agraria.

2 Associazione Nazionale Bonifiche, Irrigazioni e Miglioramenti fondiari (2002): L’azione della bonifica e dell’irrigazione in Italia- Monografie per ambiti territoriali.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 320

meridionali in comprensori, o in parte di essi, che non hanno altre risorse: notevole è l’incidenzain Sicilia (17%), dove tali pozzi alimentano comprensori del ragusano ad alta intensità orticola(Scicli, Ispica).

Con riferimento specifico alla gestione della risorsa irrigua, la distribuzione in turni è piùfrequente nei comprensori di vecchia irrigazione (Piemonte, Lombardia, Veneto), mentre quella adomanda e con prenotazione prevale nei comprensori di più recente irrigazione, maggiormentediffusi nell’Italia Meridionale e nelle Isole. Si registra, tuttavia, una forte tendenza a lasciarelibertà di acquisizione delle acque irrigue agli utenti attraverso forme di domanda o di attingi-mento diretto, entrambe regolate dai Consorzi e attraverso norme che tengano conto delle fluenzedei canali di distribuzione. Questa tendenza si manifesta anche in Veneto, in Emilia Romagna e inmolti comprensori dell’Italia centrale e meridionale.

Con riferimento alla risalita della falda, a parte le risalienze (fontanili) presenti in Lombar-dia, Piemonte e Veneto, dovute proprio alla estensione della irrigazione ed ai volumi impiegatiper le risaie, si evidenzia una consistente diffusione in Calabria, in Campania, in Toscana e nelleMarche.

10.1.2 Agricoltura e ambiente

A livello generale, i principali fenomeni, individuati a livello comunitario e che riguardanoanche il nostro Paese, inerenti il rapporto tra risorse idriche ed attività agricola sono:

– usi produttivi dell’acqua;

– inquinamento puntuale e diffuso generato dai prodotti chimici;

– fenomeni di degrado del suolo (quali erosione, desertificazione, subsidenza, salinizza-zione, etc.);

– riduzione delle aree umide.

In riferimento al primo punto (gestione quantitativa dell’acqua) l’uso di acqua per fini pro-duttivi può generare effetti negativi sull’ambiente che si risolvono nel depauperamento dello stra-to acquifero, l’aumento dell’erosione dei terreni, la salinizzazione dei suoli, la contaminazionedella falda freatica da minerali e la riduzione delle aree umide che porta, come conseguenza, ladistruzione degli habitat naturali.

L’agricoltura viene spesso accusata di essere tra i settori eccessivamente consumatori diacqua. A tal proposito va ricordato che la quantità di acqua usata per l’irrigazione dipende da varifattori quali: clima, tipologia di coltivazione, caratteristiche del suolo, qualità dell’acqua, opera-zioni colturali, stato delle infrastrutture e metodi irrigui. Tuttavia non va dimenticato che granparte dell’acqua utilizzata per la pratica irrigua ritorna nelle falde o nei corsi d’acqua attraverso loscolo o l’infiltrazione. Rispetto al rapporto tra disponibilità effettiva e fabbisogni irrigui, negliultimi venti anni e, in particolare, nel triennio 2000-2002, si è assistito ad una generale e progres-siva riduzione delle risorse accumulate negli invasi (in Sardegna, Sicilia, Calabria e Basilicata siconcentra più del 40% della capacità di invaso artificiale italiana) e delle portate dei corsi d’ac-qua3 cui si è accompagnato, contestualmente, un aumento dei fabbisogni civili e industriali.

La contaminazione da nitrati è uno dei problemi principali connessi con i vari usi dell’ac-qua (compreso quello agricolo) ed è dovuta soprattutto alle caratteristiche specifiche dei nitrati,sostanze altamente solubili capaci di migrare facilmente nell’acqua sotterranea attraverso il terre-

321

3 Lamoglie C. (a cura di) (2002): Monitoraggio della stagione irrigua nelle regioni Obiettivo 1 - Relazioni 2000-2002, IstitutoNazionale di Economia Agraria.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 321

no. Nonostante ciò risulta difficile stabilire una relazione tra apporto di azoto e inquinamento del-l’acqua. La lisciviazione dei nitrati dipende, inoltre, da fattori di natura geologica, climatica ebiologica; tale fenomeno è particolarmente diffuso negli strati acquiferi costituiti da rocce porosee caratterizzati da climi umidi e temperati. È noto che i nitrati possono essere denitrificati daimicrorganismi; malgrado ciò, in conseguenza dell’uso eccessivo di fertilizzanti il livello di nitra-ti nell’acqua continua ad aumentare. Secondo la Commissione Europea4, una delle principali fon-ti di azoto nelle aree rurali è rappresentata, infatti, proprio dai fertilizzanti minerali e dallo spandi-mento di effluenti zootecnici.

L’uso di fosforo in agricoltura, connesso con l’impiego dei fertilizzanti, contribuisce all’in-quinamento delle acque di superficie, provocando fenomeni di eutrofizzazione. L’agricolturaintroduce il fosforo nell’ambiente principalmente sotto forma di effluenti zootecnici e attraversol’apporto di fertilizzanti minerali. A tal proposito, non va sottovalutato che il fosforo utilizzatocome fertilizzante è frequentemente legato a metalli pesanti come il cadmio. Tuttavia, secondo laCommissione, la fonte principale di fosforo in Europa non è rappresentata dal settore agricoloma dalle acque reflue prodotte dai settori civili ed industriali.

In relazione all’inquinamento da azoto e fosforo di origine agricola, i maggiori e più estesiproblemi si riscontrano nel Nord del Paese, mentre al Sud si evidenziano specifiche problemati-che solo in alcuni bacini. In particolare, la presenza di tali inquinanti deriva essenzialmente dallaconcimazione mediante fertilizzanti di sintesi e dallo spandimento di liquami zootecnici. Le zonevulnerabili da nitrati di origine agricola la cui situazione preoccupa maggiormente, si concentra-no5 in Piemonte (falde del Torinese, Alessandrino, Vercellese e Cuneese), Emilia Romagna (tuttala zona delle conoidi delle province di Modena, Reggio Emilia e Parma, il bacino Burana Po diVolano e l’intera provincia di Ferrara), Lombardia (bacini dell’Oglio, dell’Adda, del Mella e delLambro) e Veneto (bacini dell’Adige, del Fissero-Tartaro-Canal Bianco, del Brenta e tutto il baci-no scolante della Laguna di Venezia ). Per quanto riguarda le regioni centrali, problemi sonosegnalati nelle falde del Savonese in Liguria (concentrazione di colture floricole ed orticole inten-sive); nel Lazio, per i corsi d’acqua della pianura Pontina, della Maremma laziale e del bacino delLiri; in Toscana, nelle falde lungo la costa tirrenica livornese e nel bacino del lago di Massaciuc-coli; in Umbria, le falde della zona di Assisi e il lago Trasimeno. Nelle regioni meridionali il pro-blema è meno sentito, in relazione alle caratteristiche produttive di tali aree, ma si segnalanoesempi di criticità ambientali in alcune zone ad agricoltura intensiva e specializzata, come il baci-no del Liri-Garigliano-Volturno e del Sarno in Campania, l’area del metapontino in Basilicata(foci dei 5 fiumi principali della regione), le falde della zona di Arborea in Sardegna, il bacino delSimeto nel Catanese e le falde del Ragusano.

Per quanto riguarda l’inquinamento da fitofarmaci6, le maggiori criticità sono segnalate inLombardia (Pavese e Mantovano), in Piemonte (Alessandrino, Astigiano, Cuneese e bacino delSesia), in Veneto (bacino scolante della Laguna di Venezia) e in Friuli (parte delle provincia diPordenone).

L’utilizzo di fitofarmaci e fertilizzanti porta alla contaminazione locale e diffusa anche deisuoli. Va ricordato che il ruolo del suolo è assai rilevante per la protezione delle acque, dell’atmo-

322

4 Mathieu Carole: Keynote on the interaction of Common Agricultural Policy and the implementation of the Water FrameworkDirective, 2nd Policy-Workshop: Interaction of CAP and the implementation of the WFD, 4/5th April 2005, Brussels, Belgium.

5 Zaccarini C. e Zucaro R. (a cura di) (2005): Risorse idriche e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strate-gico Nazionale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

6 Zaccarini C. e Zucaro R. (a cura di) (2005): Risorse idriche e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strate-gico Nazionale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 322

sfera e della biodiversità (è infatti un’importante habitat), per la conservazione del paesaggio edel patrimonio culturale e per lo svolgimento di varie attività economiche.

L’inquinamento da fonti diffuse è imputato principalmente alle attività agricole, allo smal-timento dei fanghi di depurazione e delle loro acque reflue.

Un’altra forma di contaminazione diffusa è quella causata dalle sostanze tossiche di origi-ne industriale (in particolare bifenili policlorurati - PCB e diossine). Casi di contaminazione disuoli agricoli con tali sostanze, da attribuire al costante avanzamento delle fasce urbane e indu-striali, vengono segnalati con sempre maggiore frequenza, destando allarme per i possibili rifles-si ambientali e sanitari.

Per quello che riguarda la contaminazione da fonti puntiformi, occorre specificare che essaè localizzata prevalentemente nelle zone soggette ad una pressione industriale elevata ed è quasisempre connessa alla presenza di discariche e di siti industriali dismessi.

Con riferimento ai fenomeni di degradamento del suolo va ricordato che, a livello euro-peo, circa 115 milioni di ettari7 soffrono a causa dell’erosione del suolo dovuta al ruscellamentodell’acqua. La perdita di suolo per fenomeni di erosione è un rischio presente in tutte le aree dicollina e di montagna, in particolare nelle zone prive di vegetazione, dove il suolo è particolar-mente sensibile all’azione erosiva delle piogge.

Tra le cause principali di erosione del suolo la Commissione Europea8 annovera le praticheagricole inadeguate, il disboscamento e le attività di costruzione. A seguito di pratiche agricoleinadeguate il carbonio disponibile nel suolo sta diminuendo. Il problema è maggiormente sentitonell’area del Mediterraneo anche a causa delle particolari condizioni ambientali; tuttavia tali tipidi problemi si riscontrano nella maggior parte dei Paesi europei. L’abbandono della terra e gliincendi delle foreste, specialmente nelle aree agricole marginali, rappresentano ulteriori fattoriche favoriscono l’erosione del terreno.

Il fenomeno della subsidenza si riferisce al lento abbassamento della superficie del suolo,che assume particolare gravità nelle aree di pianura a bassa giacitura. Le aree vicino alla costapossono subire le più gravi ripercussioni per la vicinanza del mare che provoca una progressivasommersione e fenomeni di inondazione in caso di mareggiate particolarmente violente. La sub-sidenza è da attribuire a cause naturali ed a cause indotte dall’uomo. Tra le cause indotte dall’uo-mo va incluso l’utilizzo delle acque di falda che ne provoca l’abbassamento, e la depressurizza-zione degli acquiferi in pressione, per l’estrazione di acque artesiane. La relazione tra subsidenzaed estrazione d’acqua è confermata dal fatto che ai massimi abbassamenti, corrisponde sempre lamaggior presenza di pozzi per l’estrazione d’acqua; tale situazione porta al fenomeno dell’intru-sione salina nelle falde dolci, con impossibilità di utilizzarle per i fini potabili ed irrigui.

Il degrado dei suoli per incremento della salinità interessa, oltre alle zone di costa, anchealcune aree collinari. In queste aree, il drenaggio lento dei suoli limita la lisciviazione dei salipresenti nel substrato pedogenetico. Il fenomeno appare diffuso lungo tutte le coste del Paese,con situazioni conclamate in Toscana, Liguria e Puglia9, dovuto principalmente all’eccessivo pre-lievo attraverso pozzi, ma anche all’apporto di fertilizzanti minerali.

Lungo la nostra linea di costa il fenomeno comporta effetti molto negativi per il territorio ela sua economia; basti pensare ai danni al turismo dovuti alla progressiva erosione delle spiagge

323

7 Zaccarini C. e Lepri S. (a cura di) (2005): Suolo e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strategico Naziona-le, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

8 Mathieu Carole: Keynote on the interaction of Common Agricultural Policy and the implementation of the Water FrameworkDirective, 2nd Policy-Workshop: Interaction of CAP and the implementation of the WFD, 4/5th April 2005, Brussels, Belgium.

9 Prelievi d’acqua e subsidenza del territorio in “risparmio idrico/scenario nazionale e regionale”, 2005.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 323

ed al patrimonio artistico e monumentale, ma anche a quelli dovuti all’aumento degli allagamen-ti dei territori costieri ed interni, oltre che alla perdita di efficienza delle infrastrutture idrauliche.

Con riferimento alla desertificazione, definita dalla Convenzione come “degrado delle ter-re nelle aree aride, semi aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le varia-zioni climatiche e le attività umane”, va precisato che questa interessa, con intensità ed estensio-ne diverse, tutti i Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. In Italia10, le regioni meri-dionali ed insulari, esposte a stress di natura ambientale (condizioni di aridità stagionale, ripetutiepisodi di siccità, precipitazioni brevi ed intense, erodibilità dei suoli, pressione, spesso nonsostenibile, delle attività umane sull’ambiente) sono minacciate dal rischio di desertificazione egià si sono evidenziati squilibri in conseguenza della scarsa disponibilità dell’acqua. La desertifi-cazione minaccia già oggi la sicurezza alimentare e la sopravvivenza di oltre un miliardo di per-sone nelle aree più povere dei cinque continenti.

Infine, il drenaggio aumenta il deterioramento delle aree umide ma non ci sono informazio-ni a livello europeo relativamente alla riduzione delle aree umide in Europa. Queste zone sonosemi-naturali, generate ed effettuate da attività umana. In molti casi, le loro caratteristiche natura-li sparirebbero se il lavoro agricolo dovesse cessare o gli animali dovessero estinguersi.

Le zone umide rappresentano ambienti ricchissimi di biodiversità e nel caso dell’Italia rap-presentano delle zone chiave per la sosta delle specie migratrici lungo la rotta migratoria del MarMediterraneo centrale che collega i continenti europeo ed africano. Le zone umide svolgonoanche un ruolo importante come ecosistemi filtro mitigando l’impatto del dilavamento degliinquinanti di origine agricola (principalmente i fertilizzanti) sugli ambienti lacustri e costieri non-ché sui sistemi lagunari, alcuni dei quali minacciati dal fenomeno dell’eutrofizzazione. Svolgono,inoltre, importanti ruoli nella regolazione del ciclo delle acque e nella mitigazione degli eventiestremi (alluvioni e magre eccezionali).

10.1.3 Esternalità positive prodotte dall’attività agricola sull’ambiente

Oltre alle esternalità negative descritte è importante ricordare che l’attività agricola e lepratiche ad essa connesse operano una serie di esternalità positive sul territorio con effetti positi-vi sull’ambiente.

L’agricoltura opera da sempre una profonda attenzione alla politica del territorio contri-buendo ad evitare il degrado territoriale che riguarda estese zone del territorio del nostro Paese ea ridurre, nel contempo, il grado di rischio idrogeologico.

Gli enti che operano sul territorio e partecipano alla pianificazione e alla gestione dellerisorse idriche costituiscono un fondamentale patrimonio di presidio e di tutela della sicurezzadel territorio grazie alla costante azione di manutenzione delle opere, degli impianti, delle reti edei corsi d’acqua naturali e assicurano lo scolo delle acque attraverso un’idonea regolazioneidraulica svolta sul territorio.

La cura e la manutenzione del reticolo idrografico minore appare fondamentale in quantoad essa è fortemente subordinato l’equilibrio idraulico territoriale. In particolare, i Consorzi diBonifica contribuiscono alla gestione del reticolo idrografico grazie alla loro presenza diffusa sulterritorio, ed in quanto sono già titolari di specifiche funzioni gestorie per i corsi d’acqua irrigui eper i canali di scolo, nonché per le vie d’acqua a queste interconnesse.

324

10 Comitato Nazionale di Lotta alla Siccità e alla Desertificazione (2000): Piano Nazionale per la Lotta alla Siccità e alla Desertifi-cazione, Ministero dell’Ambiente.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 324

Allo stesso tempo, gli operatori del settore agricolo offrono un forte contributo alla lottaverso i fenomeni di degrado ambientale grazie alle specifiche conoscenze e competenze con spe-cifico riguardo alle azioni di conservazione del suolo e di azioni di sistemazione idraulico-foresta-le e, in generale, alle attività di manutenzione del territorio.

Più che in ogni altro Paese europeo (ad eccezione dell’Olanda), infatti, il territorio naziona-le è frutto del lavoro secolare dell’uomo: gran parte delle pianure sono state “conquistate” graziealla bonifica idraulica, il territorio collinare e montano è spesso il risultato di sistemazioni opera-te per le coltivazioni agricole. Tale infrastrutturazione garantisce la sicurezza idraulica di vastiterritori agricoli, ma anche di centri urbani, aree produttive e vie di comunicazione; il suo costan-te adeguamento ed ammodernamento è importante per garantire, accanto alla salvaguardiaambientale, lo sviluppo di un territorio, che, come quello nazionale, negli ultimi tempi ha vistouna riduzione della Superficie Agricola Utilizzata (S.A.U.) a causa dell’urbanizzazione e dell’ab-bandono, fenomeni che comportano problemi di assetto idrogeologico.

Va ricordato che l’irrigazione per l’Italia è spesso imposta dalle caratteristiche specifichedel territorio, in prevalenza collinare e montuoso, e dalla variabilità del clima per cui, senza l’irri-gazione, l’Italia andrebbe incontro a gravi problemi di concorrenza nei confronti dei Paesi delCentro-Nord europeo, pianeggianti, piuttosto omogenei e dal clima umido. Inoltre, a livellonazionale il settore primario si è orientato verso un tipo di agricoltura intensiva e specializzatacon prodotti di qualità per i quali l’irrigazione appare indispensabile a superare gli ostacoli delclima e per far fronte alla siccità, oltre che per garantire l’elasticità nelle produzioni e risponderealle mutevoli esigenze del mercato.

Allo stesso tempo, gli operatori del settore agricolo offrono un forte contributo alla lottaverso i fenomeni di degrado ambientale grazie alle specifiche conoscenze e competenze con spe-cifico riguardo alle azioni di conservazione del suolo e di azioni di sistemazione idraulico-foresta-le e, in generale, alle attività di manutenzione del territorio.

10.2 Principale normativa e strumenti di programmazione per il settore irriguo erelativi risvolti sull’ambiente

In base a quanto descritto, i principali elementi di criticità del settore irriguo possono esse-re sintetizzati in:

a) rapporto tra disponibilità idrica e fabbisogni irrigui, problema che ha storicamenteriguardato le Regioni meridionali comprese le isole e che sta diventando sempre più unfattore limitante per tutto il Paese (dato il verificarsi, nel corso degli ultimi anni, delfenomeno della siccità anche al Centro-Nord);

b) basso livello qualitativo della risorsa: deve rilevarsi che gran parte dei corsi d’acquarisultano inquinati sia dal punto di vista chimico che microbiologico.

Il raggiungimento di un adeguato equilibrio fra disponibilità e fabbisogni irrigui, ottenutoattraverso l’azzeramento degli sprechi e, parallelamente, la riduzione delle pressioni che il setto-re primario esercita sui corpi idrici, in termini di rilascio di nutrienti (spandimento di effluentizootecnici) e di sostanze pericolose (utilizzo di fertilizzanti e prodotti fitosanitari) che affluiscononei copri idrici, rappresentano i principali obiettivi che le amministrazioni competenti per il com-parto si sono dati e in relazione ai quali sono stati ideati e realizzati i principali strumenti per laprogrammazione delle risorse finanziarie destinate al comparto.

Le acque, infatti, sono risorse scarse d’importanza vitale per l’ambiente in generale e, in

325

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 325

particolare, per l’uomo e, in quanto tali, vanno salvaguardate con scelte volte a ridurre e, ove pos-sibile azzerare, gli sprechi ed i processi di degrado. Appare, infatti, importante garantire una for-nitura globalmente sufficiente di acque di buona qualità per un utilizzo durevole, equilibrato edequo, in conformità con la scala di priorità definita dalla legge Galli in merito agli usi dell’acqua.

Queste stesse priorità emergono anche a livello dell’UE che, con la direttiva 2000/60/CEha enfatizzato l’importanza del raggiungimento di obiettivi ambientali sui corpi idrici, in terminisia di tutela della qualità sia di tutela della quantità, da raggiungere attraverso un approccio inte-grato su scala di bacino idrografico. In questa ottica anche la riforma della Politica AgricolaComunitaria presenta delle opportunità in quanto prevede la possibilità di supportare l’implemen-tazione della direttiva quadro per le acque (attraverso il disaccoppiamento, la cross-compliance,la modulazione ed il rafforzamento della politica di sviluppo rurale).

Va ricordato che, ad oggi, in attesa del recepimento della direttiva 2000/60/CE, a livellonazionale, la norma quadro di riferimento per la tutela delle acque è rappresentata dal decretolegislativo 11 maggio 1999, n. 152 , che ne anticipa comunque, in gran parte, i contenuti.

Inoltre, la recente evoluzione normativa a livello comunitario, che si è concretizzata anchenella nuova programmazione per lo sviluppo rurale, ha lanciato una sfida importante proponendola realizzazione di una gestione sostenibile e più razionale delle risorse naturali, attraverso lo svi-luppo di interventi innovativi che possano coniugare, al contempo, la prevenzione dell’inquina-mento, lo sviluppo rurale, quello industriale e la valorizzazione degli ecosistemi naturali. Tuttoquesto senza dimenticare l’aumento della concorrenzialità del sistema agricolo italiano, necessa-ria per la sopravvivenza in questo mutato quadro comunitario e mondiale.

Per rispondere alle moderne richieste del settore, la programmazione degli interventi per ilsettore irriguo, negli ultimi anni, ha dovuto abbandonare le logiche settoriali e si è orientata versoun più moderno approccio di programmazione “integrata”, finalizzato a valutare gli investimentiin un’ottica territoriale e intersettoriale e ad allocare in modo più efficace le risorse finanziariedisponibili, assecondando la vocazione e le problematiche ambientali del territorio. Si è, quindi,assistito al verificarsi di una sempre più marcata tendenza alla concertazione e al coordinamentotra i vari settori del Ciclo Integrato dell’Acqua e le rispettive Amministrazioni competenti.

Con specifico riferimento ad un più razionale ed efficiente uso della risorsa idrica, persuperare gli aspetti limitanti per l’ottimale utilizzo delle infrastrutture esistenti, ai fini di una cor-retta pratica irrigua coerentemente con gli indirizzi espressi dalla Commissione Europea, il Mini-stero per le Politiche Agricole e Forestali (di seguito MiPAF), nel 2002, ha finanziato il Program-ma nazionale per l’approvvigionamento idrico in agricoltura e per lo sviluppo dell’irrigazione,individuando 5 misure a fronte delle criticità che emergono dagli studi di settore:

1. il ripristino ed efficienza degli accumuli;

2. il completamento degli schemi irrigui per conseguirne la funzionalità;

3. il miglioramento dei sistemi di adduzione;

4. gli interventi sulle reti di distribuzione per ridurre le perdite;

5. l’installazione di sistemi di monitoraggio e misurazione delle portate.

Con la Legge Finanziaria 2004 (Legge n. 350/03), inoltre è stato individuato il “Piano Idri-co Nazionale” quale strumento programmatico attraverso il quale fissare le priorità infrastruttura-li cui indirizzare i finanziamenti previsti e garantire il necessario coordinamento nella realizzazio-ne di tutte le opere per il settore idrico, in coerenza con i programmi già esistenti e quelli in fasedi attuazione. Il piano è stato coordinato dal Ministero per l’Ambiente e la Tutela del Territorio(MATT) e ha previsto quattro categorie di interventi:

326

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 326

a) le opere relative al settore idrico già inserite nel «programma delle infrastrutture strate-giche» previsto dalla Legge n. 443/01;

b) gli interventi previsti dal MATT;

c) gli interventi previsti dal Piano Irriguo Nazionale, individuato dall’art. 4 comma 31 del-la Legge Finanziaria 2004;

d) gli interventi inseriti negli Accordi di Programma Quadro sulle risorse idriche siglati traStato e Regioni.

Con specifico riferimento agli investimenti inseriti nel Piano Irriguo Nazionale (lettera c),sono compresi gli interventi infrastrutturali relativi al patrimonio idrico nazionale finanziato dal-la Legge n. 388/00 che non hanno trovato copertura finanziaria. Si tratta, nel complesso, di uningente finanziamento per il settore; infatti da i due limiti di impegni previsti si stima che potreb-bero derivare, agli attuali tassi d’interesse, investimenti per circa 1.100 milioni di euro11, il 30%dei quali è stato riservato alle regioni del Sud.

L’Amministrazione centrale ha individuato, di concerto con le Regioni, gli interventi infra-strutturali ritenuti prioritari ai fini di rendere maggiormente efficiente il sistema irriguo nazionale.Nell’individuazione di tali interventi, l’Amministrazione ha ricordato l’adesione alle linee guidaapprovate dal CIPE nel dicembre 2002 ed ha richiesto di indicare il livello progettuale degli inter-venti al fine di classificare gli stessi come realizzabili nel breve, medio e lungo termine. Coeren-temente con gli indirizzi espressi dalla Commissione Europea le linee guida citate si riferiscono a:

a) il recupero dell’efficienza degli accumuli per l’approvvigionamento idrico;

b) il completamento degli schemi irrigui per conseguirne la funzionalità;

c) il miglioramento dei sistemi di adduzione;

d) l’adeguamento delle reti di distribuzione;

e) i sistemi di controllo e di misura;

f) il riutilizzo di acque depurate.

Gli interventi inseriti nel Piano Irriguo Nazionale riguardano per il 70% le Regioni delCentro-Nord e per il 30% quelle meridionali. Nell’ambito delle diverse realtà centro settentriona-li12 (tabella 1), gli interventi si concentrano nelle grandi realtà del Nord Italia (73%), mentre, nel-l’Italia centrale, solo l’Umbria incide sul totale del Centro Nord con una percentuale significativapari all’11%. Il maggior impegno finanziario, come comprensibile rispetto alla tradizione irriguadi tali aree, risulta concentrato in Emilia Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte. Vanno inoltreevidenziati gli interventi previsti per la Valle d’Aosta e le Province di Trento e Bolzano che rap-presentano i primi esempi di investimenti finanziati con la programmazione nazionale. Al Sud gliinterventi si concentrano nelle regioni con maggiori problemi di disponibilità e, in particolare, inPuglia, Campania e Sicilia (rispettivamente 10, 7 e 6%).

In relazione alle tipologie di intervento presenti nel Piano Irriguo, in linea con gli indirizzidella politica nazionale di settore, queste sono rappresentate in grandissima maggioranza da ade-guamenti strutturali e tecnologici delle reti irrigue. Seguono i completamenti degli schemi, con-centrati in Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna e ben rappresentati anche in Umbria e nelLazio. Vi sono, poi, alcuni nuovi interventi, la gran parte in Veneto, finalizzati al miglioramentodella gestione della risorsa attraverso interconnessioni, ma anche potenziamenti e nuove opere.

327

11 11 Zucaro R. (a cura di) (2004): Rapporto di analisi degli investimenti irrigui nelle regioni centro settentrionali, Istituto Naziona-le di Economia Agraria.

12 Zucaro R. (a cura di) (2004): Rapporto di analisi degli investimenti irrigui nelle regioni centro settentrionali, Istituto Nazionale diEconomia Agraria.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 327

Anche per le regioni meridionali, ad eccezione di una nuova opera rappresentata dalla diga diPiano dei Limiti in Puglia, gli interventi previsti sono, prevalentemente, di ristrutturazione,ammodernamento ed adeguamento strutturale delle reti.

La netta prevalenza di interventi di adeguamento strutturale e funzionale evidenzia la ten-denza verso una più corretta utilizzazione della risorsa idrica, in particolare nelle aree in cui l’ir-rigazione è caratterizzata da imponenti e, talvolta, obsolete reti di canali a cielo aperto (alcunesecolari). Le scelte programmatorie effettuate privilegiano, inoltre, i completamenti degli schemidi adduzione e distribuzione che dovrebbero portare ad una stabilizzazione e strutturazione delservizio irriguo in aree in cui l’irrigazione non è ancora completamente strutturata, pur essendouna pratica ormai consolidata. Generalmente si tratta di aree in cui, per decenni, la principale pre-occupazione era rappresentata dall’allontanamento delle acque. Questi dati confermano, altresì, ilrispetto delle priorità individuate dalla politica comunitaria ambientale ed indicate dalle LineeGuida del CIPE nella programmazione svolta.

Tabella 10.1 - Investimenti irrigui del Piano Irriguo Nazionale (PIN) (importi in milioni dieuro)

RegioneInterventi inseriti nel PIN

N° Importo

Piemonte 18 124,547

Valle d’Aosta 1 3,500

Lombardia 15 92,166

P.A. Trento 1 6,687

P.A. Bolzano 1 10,952

Veneto 26 124,547

Friuli Venezia Giulia 11 76,325

Liguria 1 11,440

Emilia-Romagna 18 124,547

Totale Nord 92 574,711

Toscana 2 27,457

Umbria 3 89,448

Umbria-Toscana (Ente Irriguo Umbro-Toscano 0 0,000

Marche 2 41,312

Lazio 10 37,074

Totale Centro 17 195,292

Totale Centro Nord 109 770,003Totale Sud e Isole 27 352,399Totale Italia 136 1122,402

Fonte: elaborazioni INEA su dati MiPAF, 2004

Appare, inoltre, importante evidenziare l’entità dei fondi previsti dagli Accordi di Pro-gramma Quadro Risorse Idriche, strumenti che si inquadrano tra le Intese istituzionali di pro-gramma tra il Governo e le Regioni. L’obiettivo degli Accordi è programmare gli investimentidell’intero Ciclo Integrato dell’Acqua, coinvolgendo le varie Amministrazioni competenti neidiversi settori. Queste individuano gli interventi strutturali da attivare e partecipano all’Accordocon le proprie risorse finanziarie. Così come concepito, questo strumento di programmazioneconsente di dare immediato avvio agli investimenti previsti e in molte regioni è stato definitocome piano generale di investimenti con cui finalizzare anche i fondi comunitari. Pur essendo, inteoria, un’importante esempio di programmazione integrata, gli APQ hanno mostrato dei limiti, di

328

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 328

cui il più rilevante, che rischia di ridurre fortemente l’efficacia stessa dello strumento, è la margi-nalità del settore irriguo negli Accordi.

Infine, la Legge Finanziaria 2006 (L. 23 dicembre 2005 n. 266) ha previsto la prosecuzionedegli interventi nel settore irriguo previsti dalla citata Legge 388 del 2000, recando ulterioridisponibilità pari a 50 milioni di euro per 15 anni, utilizzabili a decorrere dall’esercizio 2007,finalizzate alla realizzazione di investimenti per un importo complessivo di 500 milioni di euro, alfine di dare completa attuazione al suddetto Piano Irriguo Nazionale.

Un’analisi a parte va dedicata alla legge 845/80 ed alle risorse finanziare stanziate dalMiPAF per fronteggiare il fenomeno della subsidenza in specifiche aree del Paese.

La norma si pone come obiettivo la tutela del territorio del Comune di Ravenna dal feno-meno della subsidenza, intendendo con tale termine il progressivo abbassamento del terrenodovuto agli eccessivi emungimenti di risorsa idrica dal sottosuolo. Innanzitutto, la legge ricono-sce la protezione della suddetta area geografica da tale fenomeno e stabilisce che tale protezionevenga realizzata grazie al contributo congiunto dello Stato, della Regione Emilia Romagna e delComune di Ravenna che interverranno ciascuno nell’ambito delle proprie competenze.

Il piano degli interventi e delle opere da realizzare nel comprensorio agricolo del Ravenna-te per contrastare il fenomeno della subsidenza e il ripristino delle ufficiosità delle chiuse dema-niali di S.Bartolo, di Rasponi e di S. Marco è stato predisposto dalla Regione Emilia Romagna diintesa con il MiPAF.

La norma ha previsto, negli scorsi anni, notevoli finanziamenti, da iscriversi sia nello statodi previsione del Ministero dei lavori pubblici che di quello del MiPAF. Ai fini del finanziamentodi questa legge, annualmente, in sede di legge Finanziaria sono individuate le risorse destinate afinanziare gli interventi necessari a combattere il fenomeno della subsidenza.

In seguito, con l’introduzione del federalismo amministrativo nell’ordinamento giuridicoitaliano vi è stato il trasferimento delle suddette risorse finanziarie alle Regioni e agli enti locali e,di conseguenza, la trasmissione dei progetti esecutivi la cui attuazione risultava di competenzadelle Regioni.

Con specifico riferimento alla questione della tutela qualitativa della risorsa idrica si regi-strano ritardi nell’attuazione della normativa comunitaria. La direttiva 91/676/CEE, relativa allaprotezione della acque dall’inquinamento provocato dai nitrati provenienti da fonte agricola, pun-tualmente richiamata dalla direttiva quadro, è stata recepita con il decreto legislativo n. 152/99,ma, a livello nazionale, risulta ancora parzialmente inattuata13.

Per quanto riguarda l’inquinamento da sostanze pericolose provocato da fonti diffuse, ledirettive 76/464/CEE e 80/68/CEE, concernenti la protezione dall’inquinamento provocato dacerte sostanze pericolose rispettivamente delle acque superficiali e sotterranee, saranno abrogateentro il 2013. Con riferimento a queste direttive, non è stato completato il censimento dellesostanze pericolose utilizzate sul territorio nazionale ai fini della predisposizione di un unico regi-stro cui le varie Amministrazioni centrali, ciascuna per la propria competenza, possano fare rife-rimento; inoltre, non è stato ancora avviato un puntuale monitoraggio delle sostanze pericolosenei corpi idrici ai fini della verifica dello stato di qualità degli stessi.

329

13 Zaccarini C. e Zucaro R. (a cura di) (2005): Risorse idriche e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strate-gico Nazionale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 329

Con riferimento agli effluenti di allevamento e alle acque di vegetazione dei frantoi oleari,il decreto legislativo n. 152/99 stabilisce che spetta alle Regioni disciplinarne le attività di utiliz-zazione agronomica, sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con successivodecreto del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali, di concerto con i Ministri dell’Ambien-te, dell’Industria, della Sanità e dei Lavori Pubblici, di intesa con la Conferenza permanente per irapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome. Il decreto sugli effluenti di allevamento,recentemente approvato, in applicazione dell’articolo 38 del decreto legislativo n. 152/99, oltre adettare i criteri e le norme tecniche generali per la disciplina, da parte delle regioni, delle attivitàdi utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento e delle acque reflue provenienti dalleaziende e dalle piccole aziende agroalimentari, detta le linee guida per la stesura dei Programmid’Azione da realizzare nelle aree vulnerabili da nitrati.

Ai fini della tutela quali-quantitativa, riveste una particolare importanza il DM 12 giugno2003 n. 185, concernente norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue urbane. A questo pro-posito si precisa che a livello nazionale, l’impiego di acque reflue depurate è appena iniziale ed informa sperimentale. Alcuni esempi si trovano in Emilia-Romagna nel comprensorio Parmense edin quello del Reno Palata, nonchè in Lombardia nella Media Pianura Bergamasca. Risulta, tutta-via, che è in corso la firma di molti accordi per l’utilizzazione di tali acque; in alcune aree è stataavviata la realizzazione di opere di sollevamento e di adduzione sia nel Nord, sia nel Mezzogior-no e nelle Isole ai fini della risoluzione dei problemi dei punti e delle quote di consegna e quellidella variabilità delle fluenze giornaliere. Nel comprensorio del Consorzio di bonifica della Capi-tanata, a Foggia, ha di recente avuto avvio la distribuzione sperimentale di acque reflue depurate,immesse nella rete irrigua tramite un impianto di sollevamento realizzato dal Consorzio.

10.3 Gli strumenti di programmazione regionale per il settore irriguo e i relativirisvolti sull’ambiente

Uno dei principali strumenti di programmazione previsti a livello regionale per le risorseidriche è rappresentato dal Piano di Tutela, che costituisce un piano stralcio di settore del Piano diBacino. Nel Piano di Tutela sono comprese le strategie per la mitigazione degli impatti derivantidalle attività antropiche e, tra queste, anche quella agricola. Per quanto riguarda la tutela quantita-tiva, nel Piano devono trovare collocazione le misure volte al miglior utilizzo delle acque in agri-coltura attraverso la regolamentazione delle concessioni di derivazione dalle acque superficiali edi emungimento dalle falde in funzione del rispetto del bilancio idrico di bacino e del minimodeflusso vitale, del risparmio idrico e del riutilizzo. Per quanto riguarda la tutela qualitativa, nelPiano devono essere comprese le misure per il contenimento degli impatti generati dall’agricoltu-ra sui corpi idrici superficiali e sotterranei attraverso la designazione delle zone vulnerabili danitrati di origine agricola e la definizione dei relativi programmi d’azione, il contrasto dell’inqui-namento diffuso, con particolare riferimento alle sostanze pericolose, e la regolamentazione del-l’utilizzazione agronomica dei residui organici di altri processi. Il Piano di Tutela, che deve con-tenere le indicazioni degli specifici piani di settore (ambiente, agricoltura, industria), deve rappre-sentare un documento di comunicazione ed informazione sociale.

Il citato decreto sugli effluenti di allevamento detta le linee guida per la stesura dei Pro-grammi d’Azione da realizzare nelle aree vulnerabili da nitrati. Nelle aree designate come vulne-rabili dalle Regioni, infatti, devono essere attuati i citati Programmi di Azione, che fornisconoagli agricoltori indicazioni tecniche da seguire per un maggiore controllo dell’inquinamento danitrati nelle falde, attraverso il contenimento sia della lisciviazione dei nitrati al di sotto delle radi-

330

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 330

ci che dei rischi di ruscellamento superficiale, per garantire una maggiore tutela delle risorse idri-che. Tale decreto risulta, quindi, essenziale per la redazione dei Programmi di Azione e, conse-guentemente, per l’applicazione della direttiva nitrati, obbligatoria ai fini della ecocondizionalità.A tal fine, le Regioni che non hanno ancora designato le zone vulnerabili dovranno seguire alme-no le prescrizioni indicate nel codice di buona pratica agricola (CBPA).

Ulteriori strumenti sono rappresentati dai Piani territoriali regionali di coordinamento(PTRC) che, a livello regionale, hanno svolto la funzione di individuazione, rilevamento e tuteladi un’ampia gamma di categorie di elementi e caratteristiche peculiari del territorio e del paesag-gio agrario. Tali piani hanno, tra l’altro, delimitato e protetto ambiti per l’istituzione di parchi eriserve naturali e aree di tutela paesaggistica di rilevanza nazionale e regionale. La successivaindividuazione dei siti di importanza comunitaria (SIC) e delle zone di protezione speciale (ZPS),nell’ambito della Rete Natura 2000, si configura come una integrazione necessaria e coerente conle scelte operate in ambito regionale con i succitati PTRC.

Infine, uno dei principali strumenti di programmazione di risorse finanziarie, con impor-tanti risvolti sul settore irriguo è rappresentato dai Programmi Operativi Regionali 2000-2006 edai Piani di Sviluppo Rurale 2000-2006.

Nell’ambito della programmazione in corso (2000-2006), sono state previste diverse misu-re connesse alla tematica della tutela della risorsa idrica. In particolare, si individuano due finali-tà specifiche, che derivano dagli indirizzi secondo cui si è sviluppata la normativa comunitaria enazionale in materia:

– la tutela qualitativa;

– la tutela quantitativa.

La tutela qualitativa delle acque è l’obiettivo che si pongono diverse misure agroambienta-li, attraverso la riduzione delle pressioni che l’agricoltura e la zootecnia esercitano sui corpi idri-ci, sostanzialmente in termini di rilascio di nutrienti (spandimento di effluenti zootecnici) e disostanze pericolose (utilizzo di fertilizzanti e prodotti fitosanitari) che affluiscono nei copri idrici.Dall’analisi delle misure agroambientali attivate con effetti sulla qualità delle acque14, emergeuna oggettiva difficoltà nell’estrapolare il contributo effettivo e specifico di ogni misura, in quan-to non esplicitamente finalizzate alla tutela qualitativa (ad esempio, molti effetti derivano da azio-ni finalizzate alla difesa del suolo).

Nel complesso delle misure agroambientali, oltre alle misure di agricoltura biologica e diagricoltura integrata, che sono “trasversali” per i benefici ambientali prodotti, si possono rintrac-ciare un insieme di azioni di:

– estensivizzazione delle produzioni, con il fine prioritario di conservare o migliorare ilsuolo e ridurre l’apporto di inquinanti nei corpi idrici;

– impiego di ammendanti organici;

– rotazione delle colture;

– minima lavorazione del terreno;

– colture intercalari di copertura;

– creazione di fasce tampone;

– inerbimento di frutteti e vigneti;

– costituzione di bacini per la fitodepurazione naturale delle acque.

331

14 Zaccarini C. e Zucaro R. (a cura di) (2005): Risorse idriche e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strate-gico Nazionale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 331

L’azione “estensivizzazione delle produzioni” presenta impegni significativi solo inUmbria, Puglia e Marche, mentre in diverse regioni non è stata attivata (per scarsa informazioneo premi troppo bassi). La foraggicoltura estensiva, in particolare, presenta una maggiore ampiez-za di obiettivi ambientali raggiungibili e una maggiore rilevanza in termini di diffusione (dopoquella per l’agricoltura integrata, è la misura più applicata a livello nazionale), soprattutto nelleregioni del Nord lungo l’arco alpino (con lo scopo di garantire la manutenzione dei territori dimontagna e gli effetti positivi ad essa connessi), mentre nelle regioni del Centro-Sud non sonostate programmate azioni significative. La misura sulla foraggicoltura ha raggiunto livelli applica-tivi interessanti anche in Piemonte, Lombardia e Veneto, dove interessa anche ampie aree di pia-nura a prati permanenti.

La riduzione del carico di bestiame (quindi della produzione e degli apporti di effluentizootecnici), essendo stata valutata azione poco efficace nella precedente programmazione, non èstata più riproposta, ad eccezione di alcune regioni. Nella programmazione in corso, la riduzionedell’inquinamento da attività zootecnica intensiva è affidata all’aumento di superficie foraggieratramite la conversione in prati pascoli e al vincolo di riduzione del carico zootecnico per chi sot-toscrive gli impegni relativi alla foraggicoltura, all’alpicoltura, all’estensivizzazione delle produ-zioni e all’allevamento di razze in via di estinzione.

La scarsa applicazione di alcune misure agroambientali, inoltre, già rilevata nella program-mazione in corso, in molte regioni sembrerebbe derivare da un’insufficiente informazione e dallapresenza, in molti casi, di premi troppo bassi rispetto agli impegni richiesti.

Per quanto attiene la tutela quantitativa, si evidenzia una specifica misura, la misura q,“Gestione delle risorse idriche in agricoltura”, nell’ambito dei POR delle regioni Obiettivo 1 e deiPSR delle regioni centro-settentrionali, che prevede investimenti esplicitamente finalizzati all’usodell’acqua per il settore agricolo, con obiettivi di miglioramento della gestione, razionalizzazionedell’uso e, quindi, di risparmio idrico. Si tratta, in questo caso, di interventi essenzialmente infra-strutturali.

Da un punto di vista tecnico, l’analisi effettuata15 delle tipologie di intervento ammessemostra una variazione sensibile tra il Centro-Nord e il Sud. In effetti, mentre nelle regioni meri-dionali i fondi sono finalizzati prevalentemente alla riconversione dei sistemi irrigui aziendali einteraziendali ai fini del risparmio idrico (sulla captazione e la grande distribuzione intervengonoprevalentemente gli investimenti nazionali), nelle regioni centro settentrionali sono ammessil’adeguamento e la razionalizzazione di reti obsolete, il completamento di impianti esistenti, maanche nuove opere di approvvigionamento e di potenziamento degli impianti irrigui, quali vaschedi accumulo e nuove piccole opere di captazione.

Un dato importante da registrare è la quasi totale copertura sul territorio nazionale dellamisura q, che risulta attuata in tutte le regioni, ad eccezione dell’Abruzzo e del Friuli-Venezia-Giulia. Permane, tuttavia, uno squilibrio nell’attenzione posta alla problematica tra il Centro-Nord e il Sud Italia: il 63,3% degli investimenti complessivi finalizzati all’irrigazione sulla misu-ra q si concentrano nelle 7 regioni dell’Ob. 1.

Analizzando più nel dettaglio le scelte programmatiche rispetto alla problematica di tutelaquantitativa della risorsa idrica16, l’attivazione della misura q e le tipologie di intervento suggeri-scono una accresciuta sensibilità nelle aree settentrionali sui temi della sostenibilità dell’uso del-

332

15 Zucaro R. e Pontrandolfi A. (2005): Le Risorse Idriche - in “Le Politiche Comunitarie per lo Sviluppo Rurale - Un bilancio di metàpercorso. Rapporto 2003-2004”, Istituto Nazionale di Economia Agraria.

16 Zucaro R. e Pontrandolfi A. (2005): Le Risorse Idriche - in “Le Politiche Comunitarie per lo Sviluppo Rurale - Un bilancio di metàpercorso. Rapporto 2003-2004”, Istituto Nazionale di Economia Agraria.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 332

le risorse idriche. Probabilmente, ciò va associato alle nuove problematiche di approvvigiona-mento e gestione che cominciano a interessare anche queste aree del Paese. Al Nord, un altro datointeressante da evidenziare è che le piccole regioni dell’arco alpino hanno investito sulla misura qcomplessivamente più delle regioni della pianura padana. Tale dato è da mettere, però, in relazio-ne anche al fatto che queste aree non hanno beneficiato di altre fonti di finanziamento dalla pro-grammazione dei fondi statali.

La tematica sembrerebbe meno sentita nelle regioni centrali, ad eccezione dell’area umbro-toscana, nonostante i problemi di approvvigionamento e distribuzione che il settore irriguo pre-senta, il che pone una riflessione sul diverso grado di sensibilità del settore irriguo e delle Ammini-strazioni. Nelle regioni meridionali, gli investimenti irrigui previsti nei POR mirano, sostanzial-mente, all’ammodernamento dei sistemi, soprattutto a livello interaziendale e aziendale, anche senon mancano nuove opere finalizzate al potenziamento e alla razionalizzazione dei sistemi stessi.

Infine è bene citare il nuovo regolamento sul sostegno allo sviluppo rurale, (CE) n.1698/05, dal quale emerge chiaramente che la componente territoriale di tale politica ha lo scopodi accompagnare l’agricoltura nella realizzazione della sua multifunzionalità ed in particolare nelsuo importante ruolo di gestione del territorio, integrandolo in una economia rurale diversificata,in modo da contribuire allo sviluppo socioeconomico delle zone rurali.

Infatti, sulla scia delle conclusioni della conferenza di Salisburgo (novembre 2003) e degliorientamenti strategici dei Consigli Europei di Lisbona e di Göteborg, che hanno evidenziato glielementi economici, ambientali e sociali dello sviluppo sostenibile, la comunicazione sulle pro-spettive finanziarie per il periodo 2007-2013 ha assegnato alla politica di sviluppo rurale dell’UEi seguenti tre obiettivi principali:

– accrescere la competitività del settore agricolo promuovendone la ristrutturazione;

– valorizzare l’ambiente e lo spazio naturale sostenendo la gestione del territorio;

– migliorare la qualità della vita nelle zone rurali e promuovere la diversificazione delleattività economiche attraverso misure mirate al settore agricolo e ad altri componentidel mondo rurale.

La programmazione 2007/2013 dovrà, quindi, prevedere la realizzazione di una gestionesostenibile e più razionale delle risorse naturali. In accordo con quanto stabilito nel corso dellaDichiarazione di Dublino relativa ad acqua e ambiente (1992) sarà importante riuscire a contem-plare la dimensione ecologica (l’acqua è una risorsa vulnerabile e scarsa), quella sociale (esigen-za di un approccio partecipatorio e democratico nelle decisioni di politica dell’acqua) ed econo-mica (acqua come bene economico da allocare in maniera efficiente). Sarà, pertanto, opportunosviluppare interventi innovativi che possano coniugare, al contempo, la prevenzione dall’inquina-mento, lo sviluppo rurale, lo sviluppo industriale e la valorizzazione degli ecosistemi naturali17.Per dare attuazione a tale Regolamento le amministrazioni competenti stanno elaborando il PianoStrategico Nazionale che deve dare indicazioni sulle strategie di sviluppo individuate a livellonazionale nell’ambito del quale viene considerata anche la risorsa idrica.

Sulla base di tali considerazioni, nella bozza di Piano Strategico Nazionale, relativamentealla gestione delle risorse idriche, gli obiettivi generali individuati18 sono rappresentati da:

333

17 Zaccarini C. e Zucaro R. (a cura di) (2005): Risorse idriche e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strate-gico Nazionale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

18 Zaccarini C. e Zucaro R. (a cura di) (2005): Risorse idriche e sviluppo rurale - Contributo tematico alla stesura del Piano Strate-gico Nazionale, Ministero delle Politiche Agricole e Forestali.

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 333

– il miglioramento dell’efficienza della gestione della risorsa idrica in agricoltura, inmodo da assicurare il risparmio idrico, energetico e la tutela idrogeologica del territorio,in un’ottica di minor impatto ambientale possibile, anche attraverso l’adeguamento el’ammodernamento delle opere;

– la riduzione di rilascio di inquinanti (nutrienti e fitofarmaci) nei corpi idrici, con obiet-tivi di tutela qualitativa.

Partendo da questi obiettivi sono stati, inoltre, individuati quattro possibili categorie diobiettivi specifici, da verificare, ovviamente, a livello territoriale in virtù delle esigenze specificheche dovranno emergere a livello regionale anche in base alla localizzazione degli interventi defi-nita a livello regionale:

1. tutela e miglioramento quantitativo della risorsa idrica;

2. tutela e miglioramento qualitativo della risorsa idrica;

3. aumento dell’efficienza gestionale degli schemi idrici;

4. tutela idrogeologica del territorio.

È bene ricordare che tutti e quattro gli assi previsti dal PSR possono contribuire a realizza-re gli obiettivi individuati ai fini della tutela delle risorse idriche. Le misure previste dall’asse 2,inoltre, possono contribuire direttamente all’implementazione degli obiettivi previsti dalla diretti-va 2000/60/CE.

334

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 334

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 335

Finito di stampare nel mese di giugno 2007dalla STILGRAFICA s.r.l.

00159 Roma - Via I. Pettinengo, 31/33

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 336

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 337

•Capitolo10 13-06-2007 10:26 Pagina 338

•Capitolo10 13-06-2007 15:46 Pagina 339

•Capitolo10 13-06-2007 15:46 Pagina 340

•Capitolo10 13-06-2007 15:46 Pagina 341

•Capitolo10 13-06-2007 15:46 Pagina 342

Volume non in venditaISBN 978-88-8145-084-4


Recommended