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P corso ecm a distanza: modulo didattico 4 - diagnosi e trattamento delle malattie parodontali
Chirurgia mucogengivale parodontale
z KEY WORDS: gingival recession, mucogingival surgery, periodontal plastic surgery, connective tissue graft, bilaminar flap
z PAROLE CHIAVE: recessione gengivale, chirurgia mucogengivale, chirurgia plastica parodontale, innesto connettivale, lembo bilaminare
SummaryPeriodontal mucogingival surgery: rationale and techniquesGingival tissue recession could cause an esthetic damage and the occurrence of dentin hypersensitivity, also increasing the risk of radicular caries. The etiopathogenesis of gingival recessions is extremely variable, and implies a correlation to patient’s lifestyle. A number of surgical techniques were proposed in order
to obtain a full coverage of gingival recessions. These techniques could imply the coronal repositioning of an appropriately designed flap, with or without the positioning of a free connective tissue graft from the palate. Long-term stability of the clinical results obtained depends on the used technique and on the adherence of the patient to the maintainence plan.
RiassuntoLa recessione del tessuto gengivale può causare una compromissione a livello estetico e un incremento dell’ipersensibilità dentinale, ponendo inoltre le basi per un incremento del rischio di carie radicolare. L’eziologia delle recessioni è estremamente varia e comprende fattori correlati alle abitudini del soggetto. Diverse tecniche sono state proposte nel tempo al fine di condurre a una completa e stabile ricopertura delle recessioni gengivali.
Queste tecniche possono comportare l’avanzamento coronale di un lembo appositamente allestito con il posizionamento o meno di un innesto di tessuto connettivo autologo prelevato dal palato. La stabilità a lungo termine dei risultati di questo tipo di intervento dipende, oltre che dalla tecnica utilizzata, anche dalle abitudini e dal grado di adesione del paziente al piano di mantenimento.
Le recessioni, ovvero la migrazione apicale alla giunzione ame-
locementizia del margine gengivale (AAP 1996), sono comu-
ni nella popolazione1-4. Si definisce recessione gengivale uno
spostamento apicale del margine gengivale rispetto alla sua
posizione fisiologica, ossia 1-2 mm coronale alla giunzione ameloce-
mentizia (Cemento Enamel Junction, CEJ), con esposizione patologica
della superficie radicolare (Figure 1 e 2).
Le recessioni sono spesso localizzate nella superficie buccale di pazienti
con alto standard igienico3,4, possono essere associate ad aumento del-
la sensibilità5, lesioni cervicali non cariose6, carie radicolari e tendono a
peggiorare nel tempo7.
L’identificazione della giunzione smalto-cemento risulta di fonda-
mentale importanza per la diagnosi e il trattamento delle recessioni.
La sua precisa identificazione consente di stabilire diagnosi differen-
ziale con l’eruzione passiva ritardata o alterata, condizioni che rap-
presentano il mancato accorciamento in senso apicale del tessuto
gengivale marginale al momento del raggiungimento del contatto
del dente antagonista. Questo processo può richiedere diversi anni
per il suo completamento; nella fase di crescita dentale prende il
nome di eruzione passiva ritardata. Nel caso in cui qualche elemen-
to dentario non termini questa fase, l’eruzione passiva diventa al-
terata8. La determinazione della giunzione amelocementizia è di
fondamentale importanza nella fase di trattamento chirurgico, con-
sentendo di predeterminare la ricopertura radicolare9,10.
Il recente Consensus report del decimo Workshop Europeo di Pa-
• Massimo Di Stefano• Andrea Rodolfi
Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche, IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi, Servizio di Odontostomatologia, Milano
rodontologia ha sottolineato come le indicazioni all’incremento
di tessuto marginale dentale e/o implantare siano mutate signifi-
cativamente11. Il passato ha visto i clinici impegnarsi nell’aumen-
to in altezza e spessore di gengiva cheratinizzata con l’intento di
stabilizzare il livello del margine gengivale12-14. Con il passare del
tempo, l’attenzione si è via via focalizzata al raggiungimento della
ricopertura radicolare e sull’estetica. Una superficie radicolare non
adeguatamente coperta può essere associata a sensibilità e a lesioni
cervicali non cariose che, a loro volta, possono dare adito a lesioni
1. La figura mostra una recessione gengivale di un elemento dell’arcata mascellare. Si noti la migrazione apicale del tessuto gengivale e la presen-za di un’iniziale perdita di sostanza dentale dovuta a fenomeni abrasivi.
2. Rappresentazione schematica delle recessioni gengivali. Si noti come la perdita di attacco complessiva sia data dalla somma dell’entità della reces-sione gengivale (se presente) e della profondità di sondaggio.
1. 2.
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cariose anche secondarie alle ricostruzioni in composito di quinta
classe. Ottenere la ricopertura radicolare rappresenta oggi la via più
vicina all’agognata restitutio ad integrum.
I soggetti colpiti da recessione possono avere una coscienza del loro
problema che varia dalla paura infondata di perdere i denti a una
mancata accettazione del proprio sorriso menomato dall’allunga-
mento degli stessi. Il clinico dovrà essere innanzitutto in grado di
comprendere le aspettative del paziente, integrarle con la valuta-
zione professionale della prognosi e intervenire sui fattori predispo-
nenti. L’intervento del clinico dovrà comprendere la rassicurazione,
la correzione di errate manovre igieniche traumatiche, la modifica
dei fattori di rischio, il controllo della sensibilità radicolare e il trat-
tamento chirurgico della recessione. Nel workshop è stato eviden-
ziato come la gestione ottimale debba comprendere cambiamenti
nelle manovre di igiene orale in modo da assicurare un’ottimale
rimozione del biofilm senza abbinare a esso inopportune erosioni
chimiche e abrasioni meccaniche nei confronti della superficie ra-
dicolare e dello smalto cervicale. È stato inoltre sottolineato come
la decisione di estendere i margini cervicali di una otturazione sia
da mettere in discussione, alla luce della possibilità di ricoprire la
recessione predicibilmente.
Tra i diversi fattori di rischio allo sviluppo di recessioni radicolari è
stato commentato anche il trattamento ortodontico. L’associazione
Americana di Ortodonzia nel 2006 ha riconosciuto la malocclusione
come un fattore predisponente alle “malattie parodontali”; è stata
infatti dimostrata una maggior frequenza di recessioni nei pazienti
trattati con ortodonzia (OR = 4,48)15.
Anche i tessuti molli attorno agli impianti godono di attenzione cre-
scente. È dato di fatto di come il successo a lungo termine passi
dalla salute del sigillo mucoso perimplantare. A esso vengono ri-
chieste doti di stabilità nei settori posteriori (e anteriori in caso di
edentulismi totali avanzati) e di estetica nei settori anteriori dove
fattori come la presenza di papille di adeguata grandezza e forma,
la festonatura dei profili gengivali, la mimesi della protuberanze
radicolari, l’assenza di disaccoppiamenti cromatici cicatriziali sono
sempre più raggiungibili dal clinico attento alla gestione dei tes-
suti molli.
1. Eziologia e patogenesi delle recessioniLa causa principale delle recessioni (Tabella 1) consiste nell’errata tec-
nica di spazzolamento o nell’utilizzo di uno spazzolino troppo duro16.
Altra causa è l’applicazione di forze ortodontiche non controllate17.
Non disponiamo tuttavia di un’evidenza scientifica definitiva18.
Fattori anatomici quali il biotipo tissutale sottile, la fenestrazione, la dei-
scenza ossea, la forma o la posizione aberrante dell’elemento dentario
in arcata rappresentano fattori favorenti l’insorgenza (Tabella 2).
Nella dentizione in via di sviluppo è altresì possibile il reperimento
di recessioni nel quinto sestante. Esse non vanno trattate immediata-
mente: sono infatti frequenti le remissioni spontanee, senza necessità di
alcun intervento nel tempo19.
L’applicazione di forze non controllate attraverso il filo interdentale può
essere altresì una causa di lesioni traumatiche dette “cleft”, che Stillmann
attribuì erroneamente al trauma occlusale (Figura 3).
Le cleft si dividono in rosse, quando conservano tessuto connettivo al
fondo della lesione, e bianche,
quando sono composte da una
lesione a tutto spessore, lasciando
intravedere la superficie dentale.
Le cleft sono altresì suddivise in
complete, quando la loro estensio-
ne raggiunge la linea mucogengi-
vale, e incomplete quando sono
da essa confinate. Comunemente
le cleft sono considerate lesioni
precoci che, se non adeguatamen-
te diagnosticate e trattate, vanno
incontro invariabilmente all’am-
pliamento della lesione portando
alla formazione di una recessione
gengivale. Nel caso di cleft rosse,
il ripristino di adeguate abitudi-
ni di igiene orale domiciliare è
TABELLA 1 - EZIOLOGIA DELLE RECESSIONI (ZUCCHELLI, 2012)
Traumatiche Batteriche Virali Miste
Trauma da spazzolamento Marginali Herpes simplex virus
Trauma da filo interdentale Apicali
Trauma da piercing
Trauma ortodontico
Trauma da occlusione
Trauma da preparazione protesica
TABELLA 2 - FATTORI PREDISPONENTI ALLE RECESSIONI GENGIVALI (ZUCCHELLI, 2012)
Biotipo sottile
Prominenze radicolari
Malposizioni dentarie
Frenulo che si inserisce sul margine gengivale
Fattori iatrogeni: manufatti protesici debordanti, bande e fili ortodontici, ottura-zioni di 5ª classe in composito, perforazioni endodontiche
3. Esempio di lesione “cleft” rossa causata da manovre di igiene ora-le inadeguate.
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sufficiente per condurre a una guarigione completa nel giro di pochi
giorni. Nel caso di cleft bianche, la lesione risulta molto più complessa
da trattare con successo.
Il trauma da piercing (labiale o linguale) assume una morfologia simile
a quella delle cleft, posizionato in corrispondenza del punto di contatto
traumatico del piercing con la gengiva marginale. Tali lesioni possono
assumere dimensioni significativamente importanti, conducendo a
recessioni tessutali di elevata entità, spesso complesse da trattare. La
rimozione del piercing conduce certamente ad arrestare la progressio-
ne della lesione stessa, ma talvolta non è sufficiente a portare a una
guarigione spontanea.
La terapia ortodontica e specialmente lo spostamento ortodontico
dei denti in posizione vestibolare possono provocare la fuoriuscita
dell’elemento dentale dall’alveolo, creando così un locus minoris re-
sistentiae per la formazione di recessioni gengivali8.
Va considerato che il trauma occlusale, inteso come alterazione del
normale carico occlusale da precontatti o parafunzioni, non è un fat-
tore causale di recessioni gengivali. Si può parlare invece di “reces-
sione gengivale da occlusione traumatica” nel caso di un morso pro-
fondo in cui il margine incisale traumatizzi direttamente la gengiva
marginale degli elementi incisivi inferiori. Anche in questa situazio-
ne, la rimozione del fattore traumatico non è in grado di condurre
a una restitutio ad integrum dei tessuti traumatizzati, ma può essere
sufficiente ad arrestare la progressione della recessione.
Un altro importante fattore che può influire nello sviluppo di recessioni
gengivali è quello iatrogeno. Una preparazione protesica che non rispet-
ti l’andamento festonato della linea amelocementizia, andando a mina-
re le fibre connettivali interprossimali, può provocare una recessione ve-
stibolare per rimodellamento compensatorio nel caso di biotipi sottili.
Nel caso di biotipi spessi, si potrà generare una tasca.
Anche il posizionamento di manufatti protesici incongrui agisce
da fattore predisponente alla comparsa di recessioni gengivali, per
l’impossibilità di mantenere un’igiene adeguata a causa della pre-
senza di margini debordanti, che contribuiscono anche direttamen-
te inducendo una irritazione nei confronti dei tessuti gengivali. La
presenza di margini debordanti comporta l’accumulo di placca e
tartaro con le conseguenze note sia a livello dei tessuti gengivali
che dentali.
Le recessioni a eziologia batterica sono provocate da un accumulo
di placca e tartaro. Sono caratterizzate da presenza di sanguinamen-
to al sondaggio (Bleeding on Probing, BOP+), sono spesso accompa-
gnate dalla presenza di perdita di attacco circumferenziale e posso-
no essere associate a malattia parodontale.
In questi casi è necessario eseguire una adeguata terapia causale
volta ad eliminare la malattia parodontale prima di procedere alla
eventuale terapia chirurgica di ricopertura radicolare. Nei casi in cui
risulti necessario, si procede alla rimozione di tutti i fattori irritativi
locali e alla rimozione dei restauri debordanti attraverso il rifacimen-
to dei dispositivi protesici coinvolti o dei restauri conservativi.
Nella patogenesi delle recessioni va ricordato anche il virus her-
pes simplex, causa di lesioni bollose del tessuto cheratinizzato che
evolvono in ulcere. Queste ultime vanno poste in diagnosi diffe-
renziale con le lesioni traumatiche. Le lesioni ascrivibili a infezioni
di natura virale, a differenza delle lesioni traumatiche, non sono
dolenti alla palpazione. Fondamentale in questo caso è sospen-
dere qualsiasi manovra di spazzolamento, che porterebbe in caso
di vicinanza del margine gengivale, alla formazione di una reces-
sione. Il trattamento in questo caso richiede l’eliminazione del fat-
tore causale scatenante (il virus) attraverso adeguati trattamenti
farmacologici, che possono essere scelti anche di concerto con lo
specialista in patologia orale; solo successivamente è possibile va-
lutare la possibilità di procedere con il trattamento chirurgico per
il ripristino delle condizioni iniziali.
La patogenesi delle recessioni è definita centripeta in quelle trau-
matiche e centrifuga in quelle batteriche. Il trauma, infatti, provo-
ca la recessione quando l’ulcera erosiva formatasi arriva alla superfi-
cie radicolare, quindi proviene dalla superficie gengivale “esterna” e
si dirige in direzione della radice. Al contrario, le recessioni di origine
batterica prevedono la formazione di una tasca che, sottendendo
una perdita di attacco, può provocare il collasso dei tessuti buccali e
la conseguente formazione di una recessione del tessuto gengivale
esterno, a livello di tutti i versanti che circondano l’elemento dentale.
2. Classificazione e prognosi delle recessioni L’obiettivo del chirurgo parodontale nel trattamento di una reces-
sione gengivale, così come suggerito dalla letteratura internaziona-
le, è la ricopertura radicolare. Essa può essere completa o parzia-
le20. Il fattore prognostico più importante per l’ottenimento della
ricopertura radicolare completa (CRC) è l’altezza (intesa un senso
corono-apicale) dei tessuti parodontali di supporto (attacco con-
nettivale e osso alveolare proprio)8.
Un articolo “classico” focalizzato sui difetti dei tessuti molli localizzati
nel quinto sestante divideva i difetti in quattro classi, ancora oggi
utilizzate come riferimento in chirurgia plastica parodontale21 (Ta-
bella 3).
Similmente Miller ha classificato le recessioni a seconda della pro-
gnosi di copertura radicolare:
} I classe: recessione confinata alla gengiva cheratinizzata senza per-
dita di supporto interprossimale. Attraverso le manovre chirurgiche
che saranno descritte, in questi casi è possibile ottenere una ricoper-
tura radicolare completa;
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} II classe: recessione che si estende oltre la linea mucogengivale, sen-
za perdita di supporto interprossimale; in questi casi è possibile ot-
tenere una ricopertura radicolare completa;
- IIa: conservazione di un margine di tessuto cheratinizzato apicale
all’esposizione radicolare, evidenziabile clinicamente (secondo alcu-
ni autori questa porzione di tessuto è rappresentata in tutti i casi);
- IIb: mancanza di un margine di tessuto cheratinizzato apicale all’e-
sposizione radicolare;
} III classe: recessione che si estende apicalmente rispetto alla giun-
zione mucogengivale; la perdita di supporto interprossimale risulta
essere di entità comunque inferiore alla perdita di attacco vestibo-
lare; il dente può essere moderatamente ruotato, malposizionato o
estruso e le papille non riempiono completamente gli spazi inter-
dentali fino al punto di contatto; in questi casi non è generalmen-
te possibile ottenere una ricopertura radicolare completa, ma solo
parziale a causa principalmente della perdita di dimensione delle
papille interprossimali;
} IV classe: perdita di osso interprossimale apicalmente all’estremità
apicale della recessione; la perdita di attacco interprossimale è di
entità uguale o maggiore della perdita di attacco vestibolare; la re-
cessione raggiunge o supera la giunzione mucogengivale; il dente
può essere severamente ruotato/malposizionato o estruso; le papille
non riempiono gli spazi interprossimali fino al punto di contatto; in
questa situazione clinica, indipendentemente dalla tecnica utilizzata
(con o senza apposizione di un innesto connettivale o epitelio-con-
nettivale), non è possibile ottenere una ricopertura della superficie
radicolare esposta.
Altri fattori sono stati riconosciuti importanti nella prognosi della
ricopertura radicolare, come ad esempio la differenza tra la situa-
zione pre- e post-chirurgica22, la dimensione della papilla interden-
tale23 e la presenza di alcune abitudini viziate, come, ad esempio, il
fumo di sigaretta24,25.
La presenza o meno della giunzione amelocementizia e/o di un
gradino erosivo ha inoltre ispirato la classificazione di Pini Prato del
2010, che ha introdotto, quindi, un importante parametro per la va-
lutazione delle lesioni parodontali26 (Tabella 4).
Secondo la classificazione di Pini-Prato e collaboratori, le reces-
sioni possono essere classificate in base alla possibilità o meno di
riscontrare la presenza della giunzione amelocementizia e in base
alla presenza o meno di un gradino o di un’abrasione a livello della
superficie radicolare.
Una diversa classificazione basata sulla perdita di attacco interpros-
simale e sulla predicibilità di ricopertura completa della recessione
è stata proposta ancora più recentemente da Cairo e collaboratori27.
} Tipo 1 (RT1): nessuna recessione interprossimale;
} Tipo 2 (RT2): recessione con perdita di attacco interprossimale mi-
nore o uguale a quella presente buccalmente;
} Tipo 3 (RT3): recessione con perdita di attacco interprossimale mag-
giore di quella presente buccalmente.
Lo stesso autore ha dimostrato una maggiore frequenza di copertu-
re radicolari complete negli RT2 trattati con lembo a posizionamen-
to coronale associato a innesto di tessuto connettivo, specialmente
nei casi con discrepanze di perdita di attacco interdentale ≤3 mm28.
Sussistono delle condizioni locali che possono limitare la copertura
radicolare completa.
} Perdita di altezza (in senso apico-coronale) della papilla interdenta-
le: le tecniche di ricopertura radicolare di posizionamento corona-
le prevedono l’ancoraggio del lembo a una papilla chirurgica la cui
altezza deve essere preservata, rappresentando il letto vascolare di
ancoraggio dei tessuti molli destinati alla copertura radicolare.
} Rotazioni dentarie: la rotazione di un elemento dentario porta alla
variazione del rapporto tra papilla e CEJ. Ne scaturisce la riduzione
in altezza di una papilla senza perdita di attacco e di osso interpros-
simale. Questo porta a una diminuzione del potenziale di ricoper-
tura radicolare, sempre considerando che il tessuto delle papille in-
terdentali rappresenta il tessuto di ancoraggio del lembo una volta
riposizionato coronalmente.
} Estrusione dentaria: assenza o malposizioni dell’elemento antago-
nista che portano alla estrusione di un elemento dentario portano
alla riduzione dello spazio presente tra CEJ e vertice della papilla.
} Abrasione occlusale: anche l’abrasione occlusale, con conseguente
estrusione dentaria, porta alla riduzione dello spazio presente tra
CEJ e vertice della papilla.
3. Predeterminazione del livello di ricopertura radicolareIl massimo livello di ricopertura radicolare ottenibile in assenza di
CEJ anatomica evidenziabile e con presenza di fattori locali limitanti
la ricopertura radicolare può essere valutato prima della chirurgia. Il
clinico ha così la possibilità di comunicare al paziente una corretta
prognosi oltre ad avere indicazioni precise riguardo alla ricostruzio-
TABELLA 3 - CLASSIFICAZIONE DI SULLIVAN E ATKINS (1968)
Narrow Wide Shallow Deep
TABELLA 4 - CLASSIFICAZIONE DI PINI-PRATO (2010)
Classe A Presenza di LAC (linea amelocementizia)
Classe B Assenza di LAC (linea amelocementizia)
+ Presenza di gradino
– Assenza di gradino
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ne conservativa della giunzione amelocementizia nel caso non sia
determinabile nemmeno nell’elemento controlaterale.
In letteratura esistono diversi metodi per rilevare il massimo livel-
lo di ricopertura radicolare ottenibile. Di seguito viene presentato
quello proposto da Zucchelli9.
Il protocollo prevede la misurazione di una papilla ideale capace di
determinare la massima ricopertura radicolare. Ovviamente vi sono
alcune situazioni nelle quali la papilla ideale non corrisponde alla
papilla anatomica, come invece succede nelle classi I-II di Miller.
Per misurare la papilla ideale bisogna rilevare in primo luogo il pun-
to angolare della CEJ: lo si può ottenere come intersezione della CEJ,
solitamente rintracciabile a livello interprossimale anche in casi di
abrasione, e la linea angolare buccale del dente (passaggio tra su-
perficie vestibolare e superficie interprossimale).
La retta congiungente il punto di contatto interprossimale con la
tangente proiettata del punto angolare permette di ottenere la mi-
sura della papilla ideale.
Riportando il valore sulla papilla anatomica e proiettando il punto
più apicale verso la radice, si ottiene un punto che, unito al controla-
terale da una linea convessa, rileva la linea di ricopertura radicolare.
Solo nelle classi di Miller I-II la papilla ideale coincide con quella ana-
tomica, mentre invece nelle classi di Miller III e IV la papilla anatomi-
ca è sempre di dimensioni ridotte rispetto all’ideale.
Questa osservazione consente di capire come solo nelle classi Miller
I-II si possa ottenere completa ricopertura radicolare.
La valutazione della linea di ricopertura radicolare deve tener conto
anche dell’eventuale rotazione del dente che modifica la posizione
del punto angolare della CEJ, e dell’eventuale estrusione del dente
affetto da recessione; in questi casi l’indicazione per valutare l’al-
tezza della papilla ideale è quella di osservare il dente contiguo o il
dente omologo non ruotato e non estruso.
4. Guarigione delle feriteI processi di guarigione delle ferite, siano esse di origine sia trauma-
tica che iatrogena, avvengono seguendo iter predefiniti e diffusa-
mente descritti.
Benché siano più numerosi i lavori riguardanti la guarigione delle
ferite cutanee, tali processi avvengono in modo similare nel cavo
orale. La cute presenta uno strato cheratinizzato notevolmente più
spesso e rappresentato, rispetto al cavo orale dove la cheratinizza-
zione si presenta di molto ridotta se non del tutto assente. Inoltre,
nel cavo orale sono assenti gli annessi cutanei e il livello di contami-
nazione non risulta comparabile con quello della cute.
Sono pochi gli articoli in letteratura che evidenziano le differenze
tra la guarigione delle ferite parodontali e quelle cutanee e per lo
più riguardano modelli animali. In termini speculativi, si può de-
durre che il processo di guarigione che interessa il cavo orale è più
rapido e dà luogo a una minore incidenza di tessuto cicatriziale29,30.
Assume importanza il ruolo dell’interleuchina 1, che gioca un ruolo
importante nella guarigione delle ferite a livello orale, mentre non
ne ha nessuno nella guarigione delle ferite cutanee31.
Sempre nell’ambito della speculazione, l’unicità del cavo orale si
lega alla saliva e alle sue note attività biologiche che possono gioca-
re un ruolo di rilievo nel processo di guarigione32.
Secondo gli studi condotti da Bodner e collaboratori, la guarigione
delle ferite cutanee e ossee in topi sottoposti a scialoadenectomia
sottolinguale risultava più lenta e difficoltosa rispetto al gruppo
controllo. Osservazioni successive dello stesso gruppo hanno valu-
tato una rallentata guarigione delle ferite palatali che risultava in
generale tanto più lenta quanto maggiore era l’estensione della fe-
rita33-35.
L’azione delle differenti cellule immunitarie prese e studiate singo-
larmente in assenza di patogeni non sembra essere fondamentale
nei processi di guarigione nel topo36-38. Il modello studiato dagli au-
tori non è tuttavia completamente sovrapponibile alla guarigione
di una ferita parodontale: in questo caso esistono problematiche
legate alla flora microbica e soprattutto a possibili ridondanze tra
i vari tipi di cellule immunitarie. Sicuramente l’infiammazione, so-
prattutto se protratta nel tempo, porta all’ottenimento di una quota
maggiore di tessuto cicatriziale: ecco perché il suo controllo può
avere come risultato una migliore guarigione36.
Riguardo all’eterogenea popolazione di linfociti T, si possono osser-
vare azioni differenti: la riduzione di linfociti T helper e di linfociti
citotossici porta a un incremento della velocità di guarigione della
ferita39. La riduzione di cellule dendritiche T provoca un ritardo nella
chiusura della ferita40.
La genetica è un aspetto da tenere in considerazione nella guarigio-
ne delle ferite. Esistono diversi geni capaci di codificare molecole
con attività regolatrice su tali processi: il TGF-b ne è un esempio.
Conoscere le basi molecolari della guarigione può tradursi nel piani-
ficare razionalmente l’intervento in modo da controllare ritardi nella
guarigione o esuberi riparativi.
} Il TGF-b risulta avere funzioni pleiotropiche, influenza la sintesi col-
lagenica dei fibroblasti e la loro trasformazione in miofibroblasti41.
} In topi con assenza di Smad3, che trasduce i segnali dal TGF-b, si os-
serva un’accelerazione dei processi riparativi se rapportati al con-
trollo di topi selvatici42. Antagonizzando Smad3, risulta inoltre in
un’accelerazione dei processi riparativi43.
} Topi knockout per il gene codificante il TFN-g, che sembra avere stret-
ti rapporti con il TGF-b, mostrano una più veloce tendenza alla gua-
rigione.
Dalla recente revisione condotta da Sculean44 si possono così rias-
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sumere le fasi e i processi che portano alla guarigione delle ferite, a
livello dei tessuti orali e parodontali nello specifico.
} Fase dell’emostasi. Nel sito lesionato l’attivazione delle vie della co-
agulazione e l’aggregazione piastrinica portano alla formazione di
un coagulo. La matrice esterna è essenzialmente formata da fibrina
e proteine promuoventi l’adesione, come la fibronectina e la vitro-
nectina. In questa struttura vengono inglobate piastrine, emazie e
polimorfonucleati. La formazione di una struttura così organizzata
getta le basi per una corretta diapedesi della componente infiam-
matoria che migra nella trama di fibrina che viene a formarsi al ter-
mine della cascata della coagulazione che, come noto, termina con
la trasformazione del fibrinogeno in fibrina.
} Fase infiammatoria. I neutrofili vengono richiamati nel sito dal rila-
scio di chemochine e dal sistema del complemento. Tale fase prende
inizio da un’ora dopo la comparsa della ferita fino alle 24 ore. I ma-
crofagi e i neutrofili hanno il compito di ripulire la ferita dalle cellule
necrotiche, dai batteri penetrati attraverso la soluzione di continuo
nel tessuto e di modulare la risposta infiammatoria nei confronti
dell’insulto che si è creato.
} Fase di nuova formazione tessutale. Si caratterizza per la presenza
di un tessuto riccamente colonizzato da cellule epiteliali, endo-
teliali, fibroblasti e matrice extracellulare. Le cellule endoteliali
derivano da precursori circolanti o da cellule endoteliali già pre-
senti. I fibroblasti possono derivare dal connettivo dei margini
della lesione, oppure differenziarsi a partire da monociti. Alcuni
fibroblasti mutano il loro fenotipo in forme capaci di attività con-
trattile simile a quella propria della muscolatura liscia e vengono
per questo definiti miofibroblasti; queste cellule sono importan-
ti nel determinare la contrazione della ferita e devono essere te-
nute in considerazione come criticità nell’affrontare il problema
legato alle recidive.
} Fase di rimodellamento a lungo termine. Sotto impulsi veicolati dal
tessuto in maturazione, si assiste a una consistente riduzione del nu-
mero di cellule presenti nella matrice extracellulare collagenica. In
questa fase, il possibile esito fibrotico della guarigione può ridurre
la funzionalità e l’estetica tessutale; per questo motivo si spendono
molte risorse in approcci clinici capaci di ridurre al minimo questo
problema.
La sequenzialità degli eventi sopra citati è fondamentale per il com-
pimento del processo di guarigione sia dei tessuti molli sia dei tes-
suti duri e rappresenta il presupposto biologico fondamentale alla
guarigione sotto il profilo clinico.
5. Il tessuto gengivale cheratinizzatoL’importanza della presenza di tessuto cheratinizzato attorno ai
denti e agli impianti è stata ampiamente documentata11.
Come osservato da Karring nel 197145, la specificità dell’epitelio ri-
sulta determinata a livello sia genetico-ereditario che funzionale.
Lo studio descritto in questo articolo caposaldo è stato condotto
su primati. Sono state effettuate su 8 scimmie delle chirurgie volte
a trasporre lembi di tessuto gengivale a lembi di tessuto mucoso
in area premolare. Oltre a questi interventi, sono stati prelevati dal
palato degli innesti liberi epitelio-connettivali poi innestati nelle re-
gioni anteriori di maxilla e mandibola.
Il sacrificio degli animali ha permesso di ottenere delle sezioni isto-
logiche a 5 giorni - 14 giorni - 1 - 8 - 10 - 12 mesi. Dopo 2 mesi i tes-
suti innestati mostravano caratteristiche cliniche proprie dei tessuti
donatori e in tutto il periodo sperimentale tali tessuti hanno man-
tenuto le suddette caratteristiche. Nei siti trattati con trasposizioni a
lembo, i tessuti hanno mantenuto la loro specificità.
Innesti liberi di connettivo prelevati dal palato e posizionati in regio-
ni con insufficienti ampiezze e spessori di tessuto cheratinizzato ne
determinano un incremento46.
Lo stesso gruppo di autori evidenzia come risulti possedere un dif-
ferente potenziale di cheratinizzazione il connettivo prelevato dagli
strati profondi del palato rispetto a quello subepiteliale: inoltre, il
connettivo prelevato subito sotto lo strato epiteliale risulta dotato
di una migliore capacità di indurre cheratinizzazione47.
Ulteriore osservazione di rilievo è la capacita del solco gengivale di
controllare il potenziale di cheratinizzazione dell’epitelio; infatti, a
prescindere dalla capacità del connettivo di indurre cheratinizzazio-
ne, l’epitelio sulculare non è cheratinizzato. Se tramite allestimento di
lembi lo si espone all’ambiente orale, quest’ultimo va incontro a che-
ratinizzazione e, viceversa, la parte cheratinizzata posta a contatto con
la superficie del dente assume aspetti tipici dell’epitelio sulculare48.
Da queste osservazioni nasce la possibilità di trasporre il tessuto
connettivo in zone carenti di tessuto cheratinizzato mediante lembi
liberi o tecniche bilaminari.
6. Prelievo connettivale autologoIl prelievo connettivale viene di norma effettuato a livello palatino in
corrispondenza della cresta alveolare compresa tra la superficie di-
stale del secondo premolare e i molari; a questo livello il connettivo
risulta di qualità migliore (cioè si presenta più adatto per l’innesto a
livello gengivale), la componente adiposo-ghiandolare è meno rap-
presentata e le criticità anatomiche sono ridotte, dal momento che
si interviene a distanza di sicurezza da strutture anatomiche nobili
vascolari, come l’arteria palatina maggiore.
Prima di effettuare il prelievo, è utile riuscire a localizzare il forame
palatino maggiore, dal quale fuoriesce l’omonimo fascio vascolo-
nervoso che poi procede nella volta palatina da posteriore ad ante-
riore sfioccandosi e anastomizzandosi in regione premaxillare con il
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controlaterale e con il fascio vascolo-nervoso interincisivo di Scarpa.
L’emergenza dell’arteria si localizza di norma a circa 1 cm di distanza
dalla parete distale del settimo molare sulla linea di transizione tra
palato duro e molle: tenendo conto di queste coordinate anatomi-
che l’emergenza arteriosa può essere apprezzata con digitopressio-
ne avvertendone il polso.
Le tecniche di prelievo connettivale si possono distinguere in due
gruppi principali:
} prelievo del solo connettivo attraverso incisioni a busta con o senza
rilascio (“trap-door”, tecnica a “L” e tecniche “a busta”); si tratta quindi
di incisioni orizzontali o triangolari;
} prelievo epitelio-connettivale da disepitelizzare al di fuori del cavo
orale.
Tramite degli stop in gomma posizionati sull’ago per l’anestesia,
può essere rilevato lo spessore della fibromucosa definendo meglio
il tipo di approccio chirurgico e la qualità dei tessuti dove si vuole ef-
fettuare il prelievo: connettivo ed epitelio ben rappresentati offrono
più resistenza alla penetrazione dell’ago rispetto a tessuto adiposo-
ghiandolare.
La tecnica viene scelta in base alla necessità operativa: per tecniche
bilaminari, lo spessore di connettivo necessario si aggira tra gli 0,8
mm e 1 mm, mentre per ricoprire bordi metallici, ad esempio in
chirurgia dei tessuti molli perimplantari o in presenza di particolari
condizioni protesiche, lo spessore aumenta.
La tecnica di prelievo connettivale è indicata laddove gli spesso-
ri della fibromucosa siano sufficientemente rappresentati (cioè
maggiori di 2,5 mm), poiché lo spessore connettivale a protezione
del lembo primario deve essere di almeno 0,5-0,7 mm e almeno
0,5 mm devono rimanere a protezione del periostio per evitarne
la necrosi e non compromettere il decorso postoperatorio.
In queste situazioni è stato osservato un decorso favorevole, anche
considerando la qualità della vita postoperatoria del paziente. Inol-
tre la tecnica è consigliata per innesti che non superino i 6 mm di
dimensione apico-coronale per evitare danni vascolari (Figura 3).
Le tecniche di prelievo del connettivo prevedono lo scollamento
di un lembo primario d’accesso al tessuto molle sottostante (la
prima incisione deve essere condotta orizzontale paramarginale a
circa 2 mm dal margine gengivale e correlata poi a incisioni di rila-
scio in base al tipo di approccio), il prelievo di un innesto di tessuto
connettivo e l’eventuale chiusura per prima intenzione del lembo
d’accesso. Lo scopo è quello di ridurre la morbilità del paziente,
alleviandogli il decorso postoperatorio.
Zucchelli conclude affermando che meno del 50% dei pazienti pre-
senta una fibromucosa palatale che soddisfi tutti questi parametri
necessari per ottenere un prelievo connettivale adeguato; nei casi
dove questo approccio non possa essere eseguito correttamente,
si deve ricorrere al prelievo epitelio-connettivale che deve essere
successivamente disepitelizzato.
La tecnica di prelievo epitelio-connettivale in presenza di spessori
della fibromucosa ridotti (cioè inferiori ai 2,5 mm) consente di ot-
tenere uno spessore di connettivo adeguato; in questo caso dopo
aver tracciato con la lama 15c il disegno del prelievo, utilizzando
delle pinzette chirurgiche e lama si procede al prelievo, incidendo
a mezzo spessore a una profondità di circa 1,5 mm. Il prelievo ha
inizio dall’angolo mesio-coronale, procede prima lungo l’incisione
orizzontale coronale, viene poi liberato l’angolo mesio-apicale, si
esegue l’incisione orizzontale apicale e da ultimo viene completato
il prelievo con l’incisione distale (Figura 4).
La disepitelizzazione verrà eseguita su piastra di vetro sterile con
lama nuova sotto ingrandimento e adeguata illuminazione: in tal
modo la differente diffrazione della luce tra connettivo ed epitelio
guiderà il clinico nella manovra.
Mettendo a confronto le due tecniche, appare chiaro che il prelievo
epitelio-connettivale, da utilizzare obbligatoriamente in presenza
di ridotto spessore della fibromucosa, risulta di più facile gestione,
migliore nel trattare difetti multipli e dotato di un potenziale ripara-
tivo migliore poiché migliore è la qualità del connettivo prelevato
(appena sotto l’epitelio).
Il punto di forza del prelievo connettivale è la possibilità di far guari-
re l’area del prelievo per prima intenzione, a condizione di gestire la
tecnica correttamente: se il lembo primario dovesse andare incon-
tro a necrosi, la guarigione per seconda intenzione sarebbe peggio-
re rispetto a quella derivante da un prelievo epitelio-connettivale.
Da notare, inoltre, che un prelievo epitelio-connettivale che non
superi 1,5 mm di profondità mostra un postoperatorio confortevole.
7. Procedure di ricopertura radicolare chirurgicaL’obiettivo da raggiungere nelle procedure di ricopertura radicolare
è la completa risoluzione del difetto, accompagnata da un sondag-
gio minimo e da un aspetto estetico totalmente affine ai tessuti cir-
4. Prelievo connettivale.
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costanti nel colore e nella tessitura (Tabella 5)49.
Inoltre, è necessario ridurre al minimo l’impatto sulla qualità della
vita del paziente e tentare di ridurre l’entità di fenomeni di ipersen-
sibilità dentinale (Tabella 6).
Differenti sono le tecniche proposte dalla letteratura internazionale
al fine di ottenere una copertura radicolare completa. La selezione
della tecnica dipende da vari fattori, quali la natura, l’entità del difet-
to, la presenza o l’assenza di tessuto cheratinizzato, l’ampiezza e l’al-
tezza delle papille, la presenza di frenuli e, non da ultimo, la richiesta
estetica del paziente.
In generale si raccomandano tecniche di mobilitazione coronale
e/o apicale se si vogliono ottenere i migliori risultati estetici e mi-
nimizzare la morbilità postoperatoria di un secondo sito di prelievo.
Tuttavia, l’irrobustimento ottenuto mediante l’esecuzione di un in-
nesto di tessuto connettivale va tenuto in considerazione nei casi
più complessi (tecnica bilaminare).
7a. Recessioni singole senza perdita di attacco interprossimale7aa. Lembo a posizionamento coronale Inizialmente descritta da
Norberg50 (1926), poi perfezionata prima da Allen e Miller51 (1989) e poi
da De Sanctis e Zucchelli (2007)49, è la tecnica principe nei casi in cui
si dispone di tessuto cheratinizzato (KT) apicale al difetto sufficiente,
ovvero 1 mm per le recessioni <5 mm e 2 mm per quelle di maggiore
estensione.
Particolari situazioni, come la presenza di trazioni marginali muscolari
da parte di un frenulo, perdita massiva di struttura dentale, disloca-
zione radicolare buccale e limitata profondità vestibolare, sono invece
controindicazioni alla esecuzione della tecnica (Figure 5-8)(vedi video).
Nei casi in cui non è presente un sufficiente quantitativo di KT, si
procederà con un innesto connettivale contestuale.
L’efficacia della tecnica di ricopertura radicolare di lembo a posizio-
namento coronale (Coronally Advanced Flap, CAF) con o senza posi-
zionamento contestuale di innesto di connettivo (Connective Tissue
Graft, CTG) è stata discussa e validata.
Sulla base dell’evidenza scientifica disponibile si può affermare che:
} CAF associato a un innesto connettivale è più efficace rispetto al
CAF semplice nell’ottenimento della copertura radicolare, special-
mente sul medio periodo, dove l’irrobustimento del margine può
proteggere da recrudescenze della recessione26 (Figura 9); l’appli-
cazione dell’innesto connettivale non è comunque ritenuta sempre
necessaria, specialmente nelle prime classi di Miller, dove il sem-
plice posizionamento coronale del lembo, associato a una educa-
zione del paziente allo spazzolamento corretto, consente di avere
risultati estetici migliori;
} il CAF associato a un innesto connettivale è più efficace rispetto al
CAF associato a procedure di rigenerazione tessutale guidata con
l’utilizzo di membrane;
} l’aggiunta di derivati della matrice dello smalto (EMD) migliora i
risultati in termini di copertura radicolare completa.
Nella prognosi a lungo termine delle recessioni gengivali va consi-
derato il fatto che la posizione delle giunzione mucogengivale sia
probabilmente geneticamente determinata52. Questo ci consente
di osservare aumenti di ampiezza di tessuto cheratinizzato nei mesi
post-chirurgia di posizionamento coronale. Questo diventa signifi-
cativo dopo almeno 1 anno dalla chirurgia.
7ab. Lembo a scorrimento laterale Si tratta di una tecnica mo-
dificata da vari autori. Inizialmente proposta da Grupe e Warren
(1956)53, poi modificata da Staffileno (1964)54, vede la sua ultima
modifica nella proposta di Zucchelli e collaboratori (2004)55 che
prevede uno spostamento laterale e coronale del lembo.
Questa tecnica richiede importanti quantità di KT lateralmente
alla recessione e trova indicazione nelle recessioni profonde degli
incisivi inferiori e nelle recessioni che interessano la radice mesiale
dei molari superiori.
Pur essendo una tecnica che riporta copertura radicolare com-
pleta e percentuali di ricopertura radicolare (PRC) molto variabili,
Zucchelli e De Sanctis nel 200455 riportano risultati eccellenti che
si attestano nell’80% di CRC e nel 96% di PRC.
TABELLA 5 - PROCEDURE CHIRURGICHE PER LA RICOPERTURA RADICOLARE
Lembi peduncolati Lembi liberi
Lembi ruotati Scorrimento laterale Innesti epitelio-connettivali
Doppia papilla Innesti di tessuto connettivale subepiteliale
Rotazione obliqua
Lembi con avanzamento Posizionamento coronale
Semilunare
Procedure rigenerative GBR
Proteine dello smalto (EMD)
TABELLA 6 - INDICAZIONI AL TRATTAMENTO CHIRURGICO DELLE RECESSIONI
Ragioni estetiche
Ipersensibilità (se non recede con trattamenti desensibilizzanti)
Necessità di aumento di gengiva cheratinizzata in situazioni localmente difficoltose al mantenimento igienico
Abrasioni/carie radicolari
Inconsistenza/disarmonia del margine gengivale (cleft)/recessioni che si estendono al di là della linea mucogengivale
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7b. Recessioni multiple senza perdita di attacco interprossimaleLe recessioni multiple rappresentano dei difetti ancor più impe-
gnativi nella gestione: il campo chirurgico è più grande e possono
essere comprese variazioni anatomiche come radici prominenti
o vestiboli non adeguati. Differenti tecniche sono state proposte
(Tabella 7).
Graziani e collaboratori (2014)56 hanno attestato che le modifiche
del lembo a posizionamento coronale apportate De Sanctis e Zuc-
chelli, eventualmente abbinate a innesti connettivali, rappresenta-
no il trattamento di plastica parodontale maggiormente predicibile.
Nella revisione sono stati estrapolati dati che, nelle recessioni di prima
e seconda classe di Miller, per questa tecnica attestano la completa co-
pertura radicolare dal 61% all’89,93%, con riduzione della recessione
di 2,89 mm e guadagno di tessuto connettivo di 0,37 mm (Tabella 8).
Il biotipo è un fattore significativo nel raggiungimento dell’este-
tica nelle procedure di ricopertura radicolare (Paolantonio et al.
2002). Esiste, infatti, una correlazione positiva tra lo spessore gen-
givale (Gingival Thickness, GT) e il raggiungimento della copertura
radicolare completa, infatti 1,3-1,2 mm di spessore sono stati asso-
ciati alla CRC57,58.
5. Rappresentazione schematica di recessione gengivale singola.
7. La recessione viene misurata dal margine gengivale alla linea ameloce-mentizia; tale misura viene riportata a livello mediale e distale sulle papil-le anatomiche incrementata di 1 mm al fine di contrastare la contrazione post-chirurgica.
6. Le porzioni laterali del lembo vengono allestite a spessore parziale, men-tre la regione al di sotto della recessione viene scollata a spessore totale mediante un microscollatore.
8. Il lembo rilasciato mediante incisioni muscolari superficiali e profonde viene posizionato coronalmente in eccesso di circa 1 mm con un punto incrociato at-torno al dente che oppone la papilla chirurgica a quella anatomica sottostante.
TABELLA 7 - TECNICHE PER IL TRATTAMENTO DI RECESSIONI MULTIPLE
Autori Anno Tecnica
Hattler 1967 Scorrimento papillare
Langer e Calagna 1980 Tecnica bilaminare
Allen 1994 Tecnica bilaminare
Zabalegui et al. 1999 Tunnel
Zucchelli e De Sanctis 2000 CAF modificato
Aroca et al. 2010 MCAT
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Similmente in un altro studio si riporta che la Copertura Radicolare
Completa (CRC) è correlata a uno spessore di almeno 0,8 mm, misu-
rato a livello della mucosa alveolare (Baldi et al. 1999).
Nelle recessioni multiple, fattore dirimente per la scelta della tecnica
è la presenza o meno di tessuto cheratinizzato apicale alla recessione.
Se il quantitativo è adeguato, la tecnica di prima scelta è rappresen-
tata dal lembo coronale multiplo.
Nel caso in cui sia presente una minima quantità di KT, al lembo co-
ronale multiplo si può aggiungere un innesto di spessore adeguato
apicale al KT residuo. È necessario, inoltre, valutare la presenza di
frenuli marginali o la scarsa profondità del vestibolo; questo porta
alla scelta di tecniche combinate o all’esecuzione della copertura ra-
dicolare in due tempi, ovvero all’esecuzione di un innesto epitelio-
connettivale prima e di un lembo a posizionamento coronale multi-
plo dopo 2-3 mesi8 (Figure 10-12).
7c. Recessioni con perdita di attacco interprossimaleDifferentemente da quanto descritto da Miller nel 1985, studi recen-
ti che coinvolgono recessioni con moderate perdite di attacco inter-
prossimale confermano la possibilità di ottenere la copertura radi-
colare completa sia in recessioni singole28 che in quelle multiple59.
7d. Innesti epitelio-connettivaliNei casi in cui l’inserzione di frenuli o la presenza di un vestibolo
troppo stretto, controindichino l’esecuzione di un posizionamento
coronale del lembo, si possono eseguire degli innesti epitelio-con-
nettivali, con il fine di aumentare l’ampiezza e lo spessore dei tessuti
cheratinizzati apicali alla recessione.
L’utilizzo di questa tecnica non consente di avere la massima pre-
9. Percentuale di ricopertura radicolare nel tempo (5 aa) CAF: Lembo a po-sizionamento coronale CAF + CTG: Lembo a posizionamento coronale + innesto di connettivo (tecnica bilaminare).
TABELLA 8 - EFFICACIA DELLE DIVERSE TECNICHE (GRAZIANI ET AL., 2014)
CRC WMD PRC Rec Red Kt gain
CAF 23,8-77,7% 82,65% 2,17 mm 0,39 mm
MCAF 61-89,93% 93,01 2,89 mm 0,37 mm
MCAT+CTG 85-40% 94,30 2,04 mm 0,48 mm
CRC: copertura radicolare completa; WMD: differenza media ponderata; PRC: Copertura radicolare parziale; Rec Red: riduzione recessione; Kt gain: guadagno tessuto cheratinizzato; CAF: lembo a posizionamento coronale; MCAF: lembo a posizionamento coronale multiplo; MCAT: tunnel modificato; CTG: innesto connettivale
10. Lembo CAF multiplo. Situazione iniziale.
11. Lembo CAF multiplo. Dopo scollamento del lembo.
12. Lembo CAF multiplo. Risultati a 4 anni.
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dicibilità nei termini di copertura radicolare completa e di omo-
geneità di colore, considerato che il tessuto innestato tenderà
nel tempo ad assumere il colore della fibromucosa palatina di
prelievo. La tecnica prevede il prelievo di fibromucosa palatina
di dimensioni tali che prevedano una fisiologica diminuzione di
circa il 30%.
L’ innesto dovrà essere suturato su un letto connettivale riceven-
te opportunamente disepitelizzato e sulla radice perfettamente
pulita mediante una curette. La sutura dovrà prevedere la ferma
stabilizzazione dell’innesto, per permettere il ristabilimento del mi-
crocircolo vasale (Figure 13, 14, 15 e 16).
7e. Applicazione di tecniche microchirurgicheL’utilizzo di ingrandimenti, lame e strumenti micro è diventata pra-
tica comune nella chirurgia parodontale. L’ottenimento dei risultati
più conformi alle aspettative del paziente esigente passa attraverso
l’applicazione di tecniche microchirurgiche60.
Punti focali nel raggiungimento dei migliori risultati sono la sta-
bilità del coagulo e la velocità di rivascolarizzazione. Burkhardt ha
dimostrato che l’approccio microchirugico, in recessioni di prima e
seconda classe di Miller, trattate mediante lembo bipapillare, con-
sente di migliorare i risultati (98% CRC vs 89,9% CRC approccio ma-
crochirurgico) (2005)61.
Nella figura 17 vengono presentate le diverse percentuali di coper-
tura radicolare con l’approccio microchirurgico e con l’approccio
macrochirurgico.
8. Protocollo postchirurgicoLe norme postoperatorie non differiscono grandemen-
te da quelle delle chirurgia orale. Abitualmente non è
indicata profilassi antibiotica in chirurgia mucogengi-
vale. Qualora, a giudizio del clinico, fosse indicata una
profilassi, l’indicazione è quella di somministrare 2 g di
Amoxicillina 1 h prima dell’intervento in modo che, nel
momento in cui si induce una batteriemia transitoria
con l’incisione, questo abbia già raggiunto un livello di
concentrazione ematica adeguato.
L’eventuale dolore postoperatorio verrà gestito me-
diante Fans (es: Ibuprofene 600 mg) opportunamente
accompagnati da gastroprotettore. Nel caso di prelievi
connettivali palatini è molto importante avvertire il pa-
ziente che un sanguinamento anche copioso può pre-
sentarsi alcune ore dopo a causa della fine dell’effetto
vasocostrittore dell’adrenalina presente nell’anesteti-
co. Un tamponamento deciso e prolungato (almeno 20
minuti) riesce in genere a porre fine alla complicanza.
Il paziente va altresì avvertito che non potrà spazzolare
sulla zona operata non prima dei 15 giorni ed esclusivamente con spaz-
zolini postchirurgici. Nel frattempo l’igiene della zona verrà assicurata
dall’azione chimica della clorexidina, in spray, o sciaqui.
Deve essere rimarcato che il paziente deve aver dimostrato la capacità
di adeguate manovre di igiene orale prima del giorno della chirurgia,
a cui seguiranno comunque mesi di spazzolini a setole prima postchi-
rurgiche e poi morbide.
17. Percentuali di ricopertura radicolare (Burkhardt e Lang, 2005).
14. Preparazione del sito ricevente mediante di-sepiteliazzazione.
13. Elementi 31 e 41 senza adeguata banda di gen-giva cheratinizzata.
16. Guarigione con contrazione tissutale.15. Sutura ai fini di stabilizzare l’innesto.
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9. ConclusioniLe tecniche di chirurgia mucogengivale o di chirurgia plastica paro-
dontale in presenza di recessioni gengivali hanno lo scopo principa-
le di condurre a una ricopertura radicolare completa in assenza di
disagio da parte del paziente.
La valutazione dell’eziologia delle recessioni risulta fondamentale
nella valutazione prechirurgica e nel controllo dei fattori di rischio
e, unitamente a un’adeguata valutazione clinica, permette la scel-
ta del piano terapeutico corretto che può comprendere anche una
componente restaurativa.
Oggi la letteratura scientifica ha validato le diverse tecniche uti-
lizzate per la ricopertura radicolare. La conoscenza adeguata di
questi protocolli può condurre a un significativo e soddisfacente
risultato clinico.
}
Ringraziamenti
Un ringraziamento particolare va alla dottoressa Francesca Rodolfi.
CorrispondenzaDr. Massimo Di [email protected]
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ildentistamodernoottobre 2015
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Questionario di valutazione dell’apprendimento ECMScegliere una sola risposta esatta per ogni domanda. Per il superamento del test di valutazione dell’apprendimento è
necessario rispondere correttamente al 75% delle domande proposte
1 Le recessioni gengivali: ■ sono causate da una tecnica di spazzolamento errata o dall’utilizzo
di uno spazzolino troppo duro ■ sono presenti solo in pazienti con parodontite cronica
■ si formano sempre a seguito di trattamenti ortodontici ■ sono presenti solo in soggetti giovani
2 La tecnica principe nei casi in cui si dispone di sufficiente tessuto cheratinizzato apicale al difetto è:
■ il lembo bipapillare ■ il lembo ruotato avanzato palatalmente ■ il lembo a posizionamento apicale ■ il lembo a posizionamento coronale
3 L’innesto epitelio connettivale: ■ è la tecnica di elezione nei casi estetici
■ è limitata al secondo sestante ■ è limitata al sesto sestante ■ tende ad assumere nel tempo le caratteristiche del tessuto innestato
4 Le recessioni di origine batterica ■ Sono provocate da un accumulo di placca e tartaro
■ Hanno una patogenesi definita centripeta ■ La terapia causale è differente da quella della parodontite ■ Implicano una sospensione di qualsiasi manovra di
spazzolamento
5 La terza classe di Miller può prevedere: ■ denti moderatamente ruotati
■ perdita di attacco nulla ■ recessione confinata nella gengiva cheratinizzata ■ l’esecuzione di un lembo a posizionamento apicale
6 Nelle recessioni multiple il trattamento di plastica parodontale maggiormente predicibile è
■ Lembo a posizionamento coronale modificato eventualmente abbinato a innesti connettivali
■ Lembo a scorrimento laterale ■ Tecnica a tunnel ■ Tecnica bilaminare
7 La classificazione di Cairo (2011) prevede: ■ 4 tipi
■ 5 tipi ■ 3 tipi
■ 8 tipi
8 La classificazione di Pini Prato si basa: ■ Sulla possibilità o meno di riscontrare sotto il profilo anatomico la
presenza della giunzione amelocementizia ben rappresentata e/o un gradino a livello della superficie radicolare
■ Sulla perdita di attacco interprossimale
■ Sulla predicibilità di ricopertura completa della recessione ■ Sulla prognosi di copertura radicolare
9 Il lembo a scorrimento laterale ■ Richiede scarse quantità di tessuto cheratinizzato lateralmente alle
recessioni ■ Trova indicazione nelle recessioni profonde degli incisivi superiori
e i premolari inferiori ■ Trova indicazione nelle recessioni profonde degli incisivi inferiori e
nelle recessioni che interessano la radice mesiale dei molari superiori
■ Trova indicazione nelle recessioni poco profonde degli incisivi inferiori e nelle recessioni che interessano la radice distale dei molari superiori
10 Lo spessore connettivale a protezione del lembo primario deve essere di ■ 0,2 mm ■ almeno 0,5-0,7 mm
■ 1,6 mm ■ 2 mm
11 Una cleft:
■ è sempre associata a un trauma occlusale ■ può essere completa o incompleta ■ non dipende dalle abitudini di igiene orale ■ si riscontra sempre negli elementi dell’arcata superiore
12 Gli innesti epitelio-connettivali ■ Hanno il fine di diminuire l’ampiezza e lo spessore dei tessuti
cheratinizzati apicali alla recessione ■ Hanno la massima predicibilità nei termini di copertura radicolare completa
■ Non si utilizzano in presenza di un vestibolo troppo stretto o inserzioni di frenuli
■ Non consentono di avere la massima predicibilità nei termini di copertura radicolare completa e di omogeneità di colore
13 Le prime classi di Miller per avere risultati estetici migliori necessitano di:
■ innesto connettivale ■ innesto epitelio-connettivale ■ posizionamento coronale del lembo associato a una educazione del paziente allo spazzolamento corretto
■ la tecnica bi papillare
14 La tecnica del lembo a scorrimento laterale è stata proposta da:
■ Zucchelli e collaboratori ■ Mc Guire ■ Zabalegui ■ Sanz