UNIVERSITÁ DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA
Facoltà di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa”
Corso di laurea in Comunicazione Interculturale
La voce del leader: strategie comunicative per la creazione del
panico morale e del nemico nella pagina Facebook di Matteo
Salvini
Relatore: Prof. Pietro Meloni
Tesi di Laurea di:
Federica Freschi
Matr. N. 768418
Anno Accademico 2014/2015
Indice
Introduzione
1. Definizione dell’oggetto
1.1 Un politico su Facebook, un caso di studio
1.2 Gli utenti
1.3 Metodologia
Studio delle culture in rete; La pratica; Approcci all’analisi comunicativa
1.4 Comunicazione politica: uno sguardo alla storia
2. Analisi e interpretazione dei dati
2.1 Sul campo
RUSPA! Il linguaggio nella retorica leghista; Il discorso intorno alla costruzione del nemico: lo
Stato e i “presunti” profughi; Il discorso intorno alla costruzione del nemico: le zecche rosse
comuniste e l’esclusione dall’interazione online; Decodifica oppositiva: tecniche di sabotaggio
online
2.2 Tra populismo, ideologia e panico morale
La mitizzazione del leader; Il panico morale come costruzione del consenso
3. Nuova e vecchia Lega: somiglianze e differenze tra Umberto Bossi e Matteo Salvini
3.1 Temi
Dalla conquista della Padania a quella dell’Italia; Immigrazione
3.2 La leadership
L’immagine; La centralità del leader
4. Conclusione
Riferimenti bibliografici
Sitografia
Introduzione
La comunicazione è una delle attività fondanti dell'uomo, senza di questa probabilmente non
esisterebbe la società e tutto quello che si situa al suo interno. Negli ultimi quindici anni il web ha
profondamente modificato il mondo della comunicazione rendendola più immediata nello spazio e
nel tempo, le persone si sentono più vicine in un’aurea virtuale dove tutto sembra possibile. Il world
wibe web permea dentro le nostre vite facendo diventare il personal computer, smartphone o i tablet
delle vere e proprie estensioni della mente e del corpo umano.
Nell'affermazione del potere politico che si tratti di democrazie o della più terribile dittatura il
linguaggio, verbale e non, probabilmente è il mezzo più potente ed efficace per la mobilitazione
popolare e oggi sommando comunicazione, web e politica il successo o almeno la notorietà è
sicuramente assicurato. Per questo l’intensa attività di social networking da parte di Matteo Salvini,
europarlamentare italiano e nuovo leader del partito della Lega Nord, rappresenta un interessante
oggetto di analisi. Attraverso la nuova configurazione del partito Salvini veicola un nuovo senso di
appartenenza alla nazione italiana, delineandone i valori, il linguaggio e i nemici.
La tesi ha come scopo principale di dimostrare che il concetto di “comunità immaginata” di Benedict
Anderson possa essere applicato anche in una comunità digitale e attraverso l’appoggio teorico di
Stuart Hall, analizzerò la strategia comunicativa di Salvini e la natura dell’impatto che egli ha sui suoi
seguaci online. La metodologia utilizzata attinge esclusivamente dall’antropologia digitale e più
precisamente alla “netnografia”, ovvero lo studio delle culture online utilizzando gli strumenti che la
realtà digitale offre.
La scelta dell’oggetto di studio è stata dettata dalla mia curiosità e perplessità nei confronti di un
fenomeno che a mio avviso sta assumendo caratteri estremi, poiché ancora una volta la propaganda
politica sta creando un sistema di pensiero che si riscontra da sempre nella storia del genere umano:
creare un capro espiatorio, lo straniero, per raggiungere uno scopo politico. Oggi però con il web le
idee navigano con maggiore velocità e facilità, tutti possono accedervi, anche le menti più plasmabili
come quelle dei bambini e dicendo ciò non voglio essere catastrofista, ma semplicemente lucida e
critica.
1. Definizione dell'oggetto
1.1 Un politico su Facebook, un caso di studio
Matteo Salvini è l'attuale segretario ed europarlamentare italiano del partito della Lega Nord, ma prima
di tutto è un leader e come tale per arrivare ad ogni elettore ricorre funzionalmente ai mass e new
media. Infatti la sua attività è molto intensa sia sui mezzi tradizionali come televisione e radio, sia
online su piattaforme come Twitter e Facebook. Questa ricerca sarà un'etnografia digitale del profilo
Facebook “salviniano”, per due motivi principali: anzitutto per il carattere essenziale del social
network, ovvero il fatto che sia un mondo dove persone sconosciute si incontrano virtualmente creando
online community (Rheingold, 1993); secondo motivo è collegato alla pervasività che il web ha nelle
nostre vite e come esso, se usato per scopi politici o ideologici, possa influenzarci profondamente e
muovere masse di soggetti. A questo proposito infatti abbiamo già esempi noti come la cosiddetta
Primavera Araba o il movimento di Occupy Wall Street; le elezioni del Presidente Obama o l'attuale
campagna politica in Nigeria.
Salvini attraverso il social networking, cavalcando l'onda del “panico morale” 1 , sta costruendo
un'immagine di sé, del “nuovo” partito leghista e dei suoi possibili elettori. Infatti la costruzione
identitaria è uno dei tratti peculiari dei social network, attraverso la mediazione di immagini, parole e
discorsi ognuno può esistere in senso goffmaniano. Se si applica questa dinamica a livello ideologico-
politico non si costruirà un'unica identità, ma un'identità collettiva, in questo caso leghista, che nella
sua creazione il leader ne è solo una piccola parte. I post di Salvini infatti possono essere paragonati
ad una bomba atomica: dopo essere sganciata, le onde radioattive si diramano per chilometri e
chilometri devastando qualsiasi cosa. Per questo si può parlare di comunicazione centrifuga, i
messaggi partono da un centro per arrivare fino alla periferia grazie alla viralità, carattere base e
distintivo della comunicazione internet. Altro concetto fondamentale collegato alla costruzione delle
identità è quello di “comunità immaginata” (Anderson, 1983), si può affermare che questa nuova
identità collettiva, ipotizzata sopra, faccia parte di una molto più ampia concezione dell'essere italiano.
Secondo Benedict Anderson le nazioni non esistono di per sé, ma sono costruite attraverso
l'evocazione di simboli, immagini, parole e tradizioni che apparterrebbero a una e una sola nazione, e
i media hanno e hanno avuto un ruolo fondamentale in questo gioco. La radio per prima, poi la
televisione e ora i social network, questi gli strumenti utili per creare collettività, ricorrono a immagini
e parole nei quali i soggetti possono riconoscersi e muoversi nel mondo. Ciò che Andreson sostiene è
che le comunità immaginate siano l'entrata principale nelle case dei nazionalismi. Nel caso specifico
1 Stanley Cohen Una condizione, un episodio, una persona o un gruppo di persone viene a essere definito come una
minaccia per i valori e gli interessi della società […], alcune volte il panico passa ed è dimenticato […] altre volte
ha ripercussioni più serie e durature e può condurre a cambiamenti nelle politiche legali e sociali o anche nel modo
in cui la società concepisce se stessa” (Cohen, 1972)
della ricerca sulla pagina salviniana, si potrebbe ipotizzare che la costruzione di questa particolare
collettività, tiene in vita due ''miti'': da una parte quello dell'essere italiani, attraverso la costruzione
dell'Altro straniero, dall'altra di essere leghisti, perché si può partecipare attivamente nel partito anche
solo virtualmente. Naturalmente è un'identità leghista molto diversa da quella che era con Umberto
Bossi, infatti la ricerca cercherà di aiutare a conoscere e capire questi nuovi caratteri, attraverso
un'analisi comparativa.
Altro punto fondamentale che rientra nei caratteri generali dei new media, è l'apparente trasparenza
della comunicazione. Facebook ci illude dolcemente sulla veridicità di ciò che viene scritto o circola
online, soprattutto se chi divulga un pensiero, un fatto, una notizia ha quel “capitale simbolico” che lo
legittima (Bourdieu, 1980). Nella televisione il sistema è leggermente diverso, vengono selezionate
alcune notizie e scartate molte altre, abbiamo un/a giornalista che le spiega in modo più o meno
imparziale, anche se non sempre è vero, ma non ci consente mai quella reale immersione come nei dei
social network. Quindi dal momento in cui è Salvini a scriverci, e non qualcuno d'altro per lui,
tendiamo a credergli, soprattutto se a testarlo ci sono video o foto. Ma a maggior ragione dovremmo
essere critici e capire che su internet si ha ancora più libertà, perciò più legittimati a selezionare,
manipolare e interpretare l'informazione per perseguire certi scopi. Per questo motivo un altro
problema da affrontare dovrebbe essere quello delle fonti: Salvini, spesso, per arricchire la sua politica
dell'odio, riporta notizie di cronaca i cui protagonisti sono stranieri, e sarebbe bene andare alla ricerca
della veridicità di tali notizie e, se esistono, da quali fonti sono state prese.
Concludendo, parte della tesi sarà improntata sull'analisi dei post di Matteo Salvini, descrivendone i
tipi di “codificazione” (Hall, 1980) e gli effetti su gli utenti. Per codificazione si intende il processo di
standardizzazione del testo, o meglio le regole strutturali con le quali i messaggi vengono assemblati.
Inoltre Hall ci insegna che queste regole sono dettate dall'egemonia, e in particolare egli studiò i testi
televisivi, ma questa impostazione potrebbe essere applicata anche ai messaggi nel web.
1.2 Gli utenti
L'altra faccia della ricerca, e forse la principale, riguarda l'osservazione e l'analisi delle pratiche di
social networking dei frequentatori della pagina di Salvini. Chiunque ha accesso a Facebook, primo
social utilizzato nel mondo e, al contrario della televisione, l'individuo è parte integrante e partecipante
nella costruzione dei discorsi e nella loro circolazione, filosofia di base del www. Le pagine Facebook
sono delle online community, ovvero reti sociali virtuali composte da persone con idee, interessi o
scopi comuni. La provenienza geografica non è importante dal momento in cui basta avere una
connessione internet, ma ben più rilevante è l'utilizzo di uno stesso linguaggio, pena l'emarginazione.
La tesi analizzerà proprio una comunità virtuale, capitanata da un leader politico, ma paragonabile ad
un comizio in pubblico: l'attore politico parla e la folla inveisce. La folla virtuale è ben più numerosa
di quella che potrebbe contenere una piazza, e si sente molto più libera di esprimere un'opinione. Infatti
l'impressione è che Facebook sia uno spazio sospeso, una sorta di non-esistenza in cui gli individui si
sentono in dovere e legittimati a scrivere qualsiasi pensiero, anche quello più profondamente rabbioso.
E sembra proprio il linguaggio rabbioso, oltre alle idee, ad accomunare gli utenti della pagina
salviniano. Questo aspetto si collega al termine di creatività culturale, ovvero tattiche e azioni create
dal basso, in questo caso il modo di porre frasi o postare immagini a tema, fa parte del gioco della
comunicazione tra gli spettatori.
Come già spiegato, la mediazione di immagini e parole concorre alla costruzione dell'identità di una
comunità immaginata, andare a scoprire su quali valori, tradizioni e nemici si fonda la comunità
leghista è uno degli obiettivi della ricerca. Si parla di nemici perché l'identità leghista, specialmente
oggi, si fonda sull'opposizione italiano/straniero, attraverso la costruzione dell'Altro come un portatore
sano di criminalità, terrorismo, instabilità sociale ma soprattutto colui che infetta la cultura ospitante.
Infatti altro punto cruciale è il tema del razzismo che in questo caso possiamo definirlo “cyberazzismo”,
ed è pratica largamente accettata e naturale tra i membri della comunità virtuale leghista. In generale
oggi possiamo parlare di un “razzismo differenzialista”, a riguardo scrive Annamaria Rivera:
“La mitologia della razza, di conio ottocentesco aveva preteso di descrivere e classificare ciò che è
squisitamente storico e sociale a partire da un fondamento biologico [...]. Il discorso neorazzista ricorre a
sostituti funzionali cui conferisce il medesimo significato naturalistico e/o che inscrive ugualmente entro una
scala di tipo gerarchico […]. La categoria del razzismo differenzalista è utile per cogliere quale sia la retorica
dietro cui si maschera il razzismo dei nostri giorni: per giustificare l'ostilità e il rifiuto degli altri, l'accento viene
posto sulle differenze culturali o ''etniche'' e sulla necessità di preservarle e difenderle.” (Rivera, 2003)
Questa visione rispecchia perfettamente la società attuale, una società dell'incertezza (Bauman, 1999),
in cui l'umanità, occidentale soprattutto, crede di aver perso qualsiasi appiglio stabile. Così
l'immaginazione diventa una via di fuga dall'instabilità: immaginarsi uniti nella Nazione, immaginarsi
appartenenti ad una cultura che va difesa escludendo il diverso cioè chi incarna le paure più grandi
dell'uomo postmoderno, come il malato, il tossicodipendente, la donna troppo emancipata e in primis
lo straniero migrante. Anche l'evocazione del passato è un altro punto d'appoggio, ovvero la nostalgia
di un tempo perso migliore di quello che stiamo vivendo. I mass media hanno sempre contribuito nel
riaffermare un modello culturale collegato direttamente con il passato che ci aiuta a ricollocarci nel
presente e a pensare il nostro futuro.
È anche in queste condizioni che i nazionalismi nascono, e ritornando all'oggetto della ricerca bisogna
capire come gli utenti concepiscono il mondo in cui vivono, leggendoli durante il loro momento più
sfrenata libertà di espressione.
Concludendo, questa parte della ricerca cercherà di “decodificare” gli utenti (Hall, 1980). Secondo
Hall è nel momento della decodificazione che il messaggio assume il significato vero e proprio, a
seconda della tipologia2 si presenterà un effetto diverso entrando inoltre nei meandri dell'“intimità
culturale” degli italiani (Herzfeld, 1997). Con questo binomio Herzfeld intende “il riconoscimento di
quegli aspetti dell'identità culturale che garantiscono ai membri la certezza di una socialità condivisa”
che rappresentano i punti di forza nelle pratiche intimidatorie nei confronti degli estranei e talvolta
rafforza il potere quando “la sua manifestazione (dell'intimità culturale) diviene segno di fiducia
collettiva”.
1.3 Metodologia
Lo studio delle culture in rete
Il mio studio può essere incluso nell'ambito dell'antropologia digitale, branca dell'antropologia che
trova il suo campo di ricerca su internet. Essa indaga comportamenti, linguaggi, relazioni sociali e in
generale fenomeni culturali che nascono online. Durante la ricerca mi sono chiesta se uno studio
condotto esclusivamente su internet non possa risultare parziale o insufficiente dal momento in cui
non si cerchi un riscontro nella vita reale o offline, e a tal proposito mi è stata utile una differenza tra
due termini messi a punto da R. V. Kozinets: Online Communities e Communities Online (Kozinets,
2012: 63).
La ricerca basata sulle online communities studia fenomeni legati direttamente all'esistenza virtuale
della comunità stessa e della sua cultura, prendendone in esame tutti i suoi aspetti o una sola parte,
descrivendo il “come” e il “cosa” le persone fanno con Internet. Un esempio di ricerca di questo tipo è
quella condotta da Tom Bellstorff nel 2004 su Second Life, cioè “un luogo di interazione umana
realizzata per il computer attraverso Internet” (Bellstorff, 2008).
Invece la ricerca delle communities online studia un fenomeno socio- culturale più ampio di cui la
componente digitale non è che una piccola parte, un arricchimento di informazioni che tutte le
etnografie ormai devono prendere in considerazione, o più nello specifico è lo studio del rapporto
soggetto- tecnologia- società, come l’etnografia di Daniel Miller sui significati delle rubriche
telefoniche di giovani giamaicani/e.
Negare la solidità delle ricerche sulle online communities, sarebbe negare l'importanza della vita
tecnologica di ognuno di noi, in quanto da almeno un ventennio la socialità online è entrata a far parte
delle dinamiche base del nostro vissuto. Da quando questo fenomeno è in atto molti antropologi e
sociologi hanno cercato di spiegarlo ricorrendo al binomio reale/ virtuale, come Daniel Miller che in
Digital anthropology (2012) è un sostenitore del concetto che online e offline debbano essere studiati
in relazione tra di loro, e solo l’aspetto digitale non può essere separato dal tutto il resto. Ma un post o
2I tipi di decodifica sono tre: egemonica-dominante, negoziata e oppositiva. La prima vuol dire che lo spettatore
decodifica in linea con i codici egemonici con il quale è stato concepito; il secondo tipo implica che da una parte di
condivide il messaggio, ma guardando anche l'aspetto contrario e opposto; il terzo tipo invece denigra la codifica
dando al messaggio un'interpretazione militante. (Procter J., Stuart Hall e gli studi culturali, 2007: 76)
un commento su Facebook è un'azione reale che un individuo mette in atto dalla quale può derivare
qualsiasi conseguenza, è reale quanto parlare faccia a faccia con un'altra persona, appunto per questo
io credo che il virtuale possa essere studiato singolarmente, e non lo considero un finto riflesso della
vita offline, e a tal proposito Goffman ci insegna bene la nostra capacità di adattamento alla
comunicazione, anche se esso non studiò direttamente il comportamento digitale, ci dà delle buone
basi per affermare che nulla è veramente genuino, ed è per questo che il binomio esclusivo
reale/digitale non può reggere.
Tornando alla mia tesi, l'oggetto di studio non è il fenomeno Salvini e Lega Nord, ma la descrizione
dei comportamenti di social networking da parte del leader politico e degli utenti, indipendentemente
da quello che le persone nella vita reale pensano o dicono, per questo la sufficienza o insufficienza
della ricerca dipende interamente dagli obiettivi e dalle domande che lo studioso si pone prima di
indagare, ed è proprio da queste riflessioni che quest'ultimo decide quali strumenti metodologici
utilizzare e quali ignorare e come intrecciarli tra loro.
La Pratica
Il mio lavoro sul campo è stato “tracciare” i percorsi e le pratiche digitali degli utenti, e ciò ha implicato
“un riposizionamento dello sguardo e del punto di osservazione verso il basso” (Vittadini, 2015), per
questo ho deciso di rifarmi ad alcuni dei metodi della Netnography, una disciplina abbastanza recente
la cui fondazione è attribuita a Robert V. Kozinets. Nonostante in origine trovi il suo terreno fertile
nella ricerca sulla cultura del consumo online, campo d'interesse del marketing, essa è stata utile per
raffinare studi della già affermata antropologia digitale. Una definizione di Netnografia semplice e
accurata la troviamo in Kozinets:
“La netnografia è una ricerca di osservazione partecipante basata sul fieldwork di rete. Usa le comunicazioni
mediate dal computer come fonte di dati per arrivare alla comprensione etnografica e la rappresentazione di un
fenomeno culturale.” (Kozinets, 2012: 60)
La netnografia è un modello di ricerca qualitativa che, come è ovvio da questa citazione, prende molti
spunti dal lavoro sul campo dell'antropologia classica. Dal momento in cui essa nella ricerca sulle
online communities essa gioca un ruolo primario, nella la mia indagine è stata utile per analizzare una
specifica cultura di rete intesa come insieme di valori, pratiche, relazioni e scambi comunicativi,
considerando varie forme di comunicazione presenti: testuali, visive, audiovisive, ipertestuali,
fotografiche. Nonostante il lavoro netnografico prediliga metodi, oltre all'osservazione, come
interviste o questionari tutto rigorosamente online, io ho preferito pormi come lurker. Fabio Mugnaini
nel saggio “L'ombra del desiderio” definisce questa categoria come “quella di un frequentatore di fiere”
e una “modalità di affacciarsi ad un luogo di interazione senza essere invitato e senza qualificarsi”
(Mugnaini, 2013). I motivi per i quali nel corso della ricerca ho deciso di rendermi invisibile sono due:
la naturalezza della ricerca e la difficoltà di ricevere feedback. Vorrei chiarire meglio questi due punti.
Vestendomi da osservatrice anonima non mi sono discostata di molto dal mio modo di utilizzare i
social network, e penso mi abbia facilitata nell'elaborazione di uno stile critico e personale di
osservazione e interpretazione, per questo uso l'aggettivo naturale, ma pur sempre ponendomi con uno
sguardo il più oggettivo possibile. Questa prima motivazione posso dire che è stata in parte la
conseguenza del fatto che la mia partecipazione attiva attraverso commenti riceveva pochissimi
feedback o addirittura nessuno, questo accade perché il numero dei commenti pubblicati è altissimo e
ad velocità inverosimile, e ciò non vuol dire che non abbia assistito a dibattiti tra gli utenti o tra Salvini
e qualche commentatore dissidente. Nei casi in cui sono stata io a partecipare attivamente ho
riscontrato dei problemi ad interagire in modo costruttivo, i miei commenti sono stati freddati con
provocazioni o insulti, e due sono i casi specifici che esemplificano questo problema. Il primo riguarda
la mia “espulsione” dalla pagina in seguito a un commento che ho pubblicato “taggando” Salvini stesso.
Il tag si può paragonare a un link che permette di collegare due o più soggetti in uno stesso contenuto,
quindi in un commento, foto, post, video, ed è una specie di citazione più diretta e palese. Taggando
mi sono rivolta direttamente all’interessato rendendomi ovviamente più visibile e dal momento in cui
ho espresso una critica nei confronti del leader il giorno dopo mi sono ritrovata impossibilitata a
commentare di nuovo sulla sua pagina. Si potrebbe chiamare una violazione del diritto di parola o
censura, e purtroppo sui social network è molto più facile da attuare che nella vita offline, ma questo
fa parte del gioco comunicativo di questa pagina Facebook, su cui tornerò più avanti.
L’altro esempio del problema feedback proviene dal giorno dell’attacco terroristico a Parigi il 13
Novembre 2015, dopo l’espulsione dalla pagina ho deciso di crearmi un profilo facebook fittizio per
poter interagire ancora, ma non è servito a molto. Nei giorni successivi la pagina ha avuto un “successo”
incredibile, i likes e i commenti si sono decuplicati e qualsiasi tipo di conversazione era praticamente
impossibile ed è per questo che il 14 Novembre ho ufficialmente concluso il mio lavoro di ricerca
online.
Nonostante tutto un'etnografia digitale del genere facilita abbastanza il lavoro di raccolta dei dati,
perché i social rendono totalmente accessibili una vasta gamma di materiale su cui soffermarsi, un po’
come essere davanti a uno scaffale del supermercato e scegliere quale prodotto tra i tanti comprare.
Per questo motivo io ho dovuto selezionare il tutto in base agli obiettivi prefissati. Dato che il nucleo
principale della tesi è il rapporto tra gli attori sociali online e la rappresentazione della nazione italiana
attraverso il social netowrking, ho deciso di prendere in considerazione post di Salvini che richiamano
vivamente la sua politica populista, e quindi i commenti che riceve a questi.
Per aiutarmi nel ruolo di osservatrice anonima ho creato un file txt che funge da diario di bordo per
appuntare le mie impressioni e le prime interpretazioni in contemporanea alla raccolta dei dati. In più
questo documento mi è utile anche come una sorta di diario personale in cui ho descritto qualche
sentimento particolarmente forte provato durante la ricerca. Durante la raccolta dati questo taccuino
digitale non è stato aggiornato di volta in volta, ma verrà arricchito al momento di una prima revisione
del materiale raccolto. Credo che un diario di appunti sia importante quando lo si scrive, ma altrettanto
fondamentale è la sua rilettura, poiché ci si rende conto dei propri sviluppi sia in positivo e sia in
negativo. Nel mio caso, essendo una studentessa praticamente inesperta, rivedere ciò che ho scritto
quasi d'impulso mi ha fatto capire che pur quanto ci si sforzi ad essere oggettivi e scientifici, la propria
sfera personale non può essere del tutto eclissata. Dicendo ciò non affermo che il grado di oggettività
non ci sia, ma dico che la scelta della tematica da approfondire parte sempre da una visione soggettiva
del problema; ma nello stesso modo un diario di bordo riguardato successivamente aiuta anche a
correggere qualche interpretazione forse meno scientificamente rilevante. A questo proposito citerei
di nuovo una riflessione da Netnography. Doing ethnography research online (Kozinets, 2012) su cosa
comporti scrivere le proprie osservazioni sull'esperienza culturale da neo-membro di una comunità
online:
“Nelle note riflessive, i netnografi appuntano le loro osservazioni che riguardano contingenze, condizioni e
emozioni personali che si verificano durante il tempo online e relative alle loro esperienze. Attraverso questi
scritti il netnografo registra il suo viaggio da outsider a insider, la conoscenza dei linguaggi, rituali e pratiche.”
(Kozinets, 2012: 114)
Per quanto riguarda la raccolta del materiale il mio lavoro è stato spalmato nel tempo. I primi post
salvati risalgono a Maggio e gli ultimi il 14 Novembre 2015, con un ammontare di circa tre ore alla
settimana per evitare di avere troppa documentazione su cui lavorare. La dilatazione nel tempo è
semplicemente data dalla natura del fieldwork che mi ha permesso di accedervi in qualsiasi momento
anche se navigavo su Facebook com'è mia abitudine fare e il target del materiale è risultato del tutto
omogeneo e conforme ai fini della mia tesi. Circa il metodo di archiviazione dei post ho preferito
lavorare attraverso lo “strumento di cattura” dello schermo salvandoli in formato JPG sul mio
computer e sistemandoli per data o argomento.
Siccome gli iscritti a Facebook utilizzano nomi propri, o almeno verosimili, per mantenere la privacy
ho voluto oscurare nome, cognome e foto lasciando le iniziali e inoltre trattandosi di commenti scritti
pubblicamente e resi leggibili a chiunque, nel mio caso non ho dovuto tenere conto di particolari norme
di altro tipo.
Una ricerca netnografica di questo genere agevola molto uno studioso nella raccolta dei dati, i tempi
di archiviazione sono più immediati, la comunicazione digitale ti permette di accedere a un corpus di
materiale già pronto per essere salvato e analizzato e consente di avere più spazio per la revisione e la
concentrazione sul lavoro teorico e riflessivo utile per non cadere in analisi affrettate o troppo banali.
In un'etnografia classica in cui si ha a che fare con più individui spesso le interferenze durante la ricerca
possono essere molteplici e il lavoro sul campo è relativamente più faticoso; un'etnografia digitale
come la mia invece l'ho trovata poco laboriosa sul fronte della pratica, perché eseguita interamente in
solitudine, e ciò mi ha permesso di essere più riflessiva e intrecciare frequentemente la pratica alla
teoria. Come già ho anticipato ciò che ho trovato disturbante durante la raccolta è l'ammontare
innumerabile dei commenti ai post di Salvini, che rende la selezione dei dati più difficoltosa, cosa
veramente ha importanza e cosa invece può essere ignorato? Ma questo fa parte della comunicazione
sui social, soprattutto per quanto riguarda le pagine di personaggi di rilievo come appunto politici,
attori, modelle, cantanti etc. Si verifica un eccesso di informazioni, spesso visto come un problema per
chi vuole recepire notizie sul web, ma in questo caso può essere visto anche un disorientamento per
chi fa ricerca online. Di fronte a questo naturale problema il mio occhio osservatore si è abituato a
cadere su parole o frasi ben precise, rendendo più scorrevole e automatica la scrematura del materiale da
prendere in considerazione.
Concluderei dicendo che la netnography, pur rimanendo fedele alle forme più tradizionali della ricerca
etnografica, rappresenta una forte dimensione innovativa di analisi qualitativa delle culture di rete. Ciò
che la rende originale è il fatto che lavora su un campo creato da ognuno di noi senza che ce ne
rendiamo conto, un campo pieno di nuovi significati dell'essere umano che ha stravolto gli assetti
socio- antropologici dell'era novecentesca. Internet ha cambiato radicalmente la nostra visione del
mondo, le nostre relazioni, il nostro modo di socializzare, creare e divulgare idee di fare politica, e
l'antropologia digitale e i suoi metodi di ricerca possono essere la risposta per la comprensione di una
miriade di problematiche e punti di domanda ancora lasciati in sospeso.
Approcci all’analisi comunicativa
Il metodo adottato per analizzare la comunicazione digitale dei vari attori è stato quello di
“codificazione/decodificazione” di Hall (1980). Questo tipo di approccio agli studi sulla
comunicazione di massa è considerato uno dei punti di svolta fondamentali dei Cultural Studies, in
quanto Hall sradica l’idea del destinatario come fruitore passivo da una parte e dell’unicità del
significato dei messaggi prodotti dall’altra. Infatti i tre punti di critica che egli prende in esame dalle
precedenti teorie riguardano la trasparenza dei messaggi prodotti, la passività dei riceventi e la
fissazione dei significati, rivendicando l’agency di tutti gli attori in gioco nell’interazione individuo-
media. Sostanzialmente Hall afferma che fatti di qualsiasi natura prima di diventare “notizie” sono
soggette al sistema formale del linguaggio governante, cioè la realtà come ci viene raccontata dai media
non è pura, ma discorsivamente codificata. Ma cosa c’è dietro a questo “linguaggio governante”?
Il concetto gramsciano di egemonia, ovvero “quel processo con cui è stabilita la dominazione,
all’interno di una data cultura, non con la forza ma attraverso il consenso volontario: attraverso la
leadership piuttosto che il comando” (Procter, 2007: 30). E credo che non ci sia un contesto più
appropriato della pagina Facebook di Matteo Salvini in cui questa lettura possa funzionare. Ciò che il
capogruppo della Lega ci scrive è fortemente “codificato” nei termini egemonici del suo partito
politico, ma possiamo dire di più: la leadership deve essere costantemente impegnata nel
mantenimento dell’egemonia non attraverso la rottura ma tramite la mediazione, assimilazione e
concessione, ed è in questo modo che si può spiegare l’enorme differenza tra nuova e vecchia Lega.
Nonostante ciò Hall pone invece un’enfasi maggiore sul momento della decodificazione, perché è il
luogo in cui i messaggi vengono a significare una volta per tutte, ed è l’aspetto più significativo del
processo comunicativo. Dal momento in cui il messaggio è “polisemico”, secondo Hall, la sua
interpretazione può prendere traiettorie diverse, ma non infinite ed è per questo che egli parla di
“significati privilegiati”. Essi si basano sul “senso comune, o sulla scontatezza e riflettono l’ordine
sociale dominante che impone e dà validità alle classificazioni del mondo sociale, culturale e politico”
(Procter, 2007: 73), per questo i tipi ipotetici di decodifica indicati da Hall si limitano a tre: posizione
dominante-egemonica, posizione negoziata, posizione oppositiva.
Nell’ottica di questo approccio verranno quindi esposti il “come” e il “cosa” fanno gli attori della mia
ricerca, individuandone le caratteristiche salienti: oltre alla codifica dei messaggi che è quasi sempre
omogenea, si possono rilevare due principali forme di decodifica, quella dominante e quella oppositiva.
In generale ho osservato cinque comportamenti principali ossia la ridondanza e l’uso di frasi
performative, l’esclusione forzata e non dalla comunicazione, l’uso di motti e parole in maiuscolo, il
ricorso a immagini e il sabotaggio.
Un altro approccio per approfondire la comunicazione è stato quello di vedere questa pagina come una
“comunità immaginata” (Anderson, 1983), Anderson attraverso un escursus storico sul concetto di
nazione e nazionalismo arrivò alla conclusione che “la nazione si tratta di una comunità politica
immaginata” (Anderson, 1983: 24) e che, in breve, questo modo di pensare alla nazione sia
sostanzialmente iniziato con la nascita del “capitalismo-a-stampa”. Con la nascita dei quotidiani e lo
sviluppo dell’editoria all’interno di un luogo limitato che può essere la città, la regione o lo stato, i
cittadini hanno iniziato a pensarsi come parte di una comunità, ma a pensare anche gli altri come parte
integrante della stessa comunità. Ma qual era la novità che portò la rivoluzione editoriale? Un nuovo
concetto di tempo basato sulla “simultaneità” ben descritto in questo passo:
“Ogni partecipante al rito [di lettura di un quotidiano] è comunque ben conscio che la cerimonia che
sta praticando viene replicata da migliaia (o milioni) di altri, della cui esistenza è certo, ma della cui
identità non ha la minima idea […]. Allo stesso tempo il lettore di giornale, che vede consumarsi dai
suoi vicini di metropolitana, di casa o di barbiere, esatte repliche del proprio quotidiano, viene
costantemente rassicurato che il mondo immaginato è visibilmente radicato nella vita di tutti i giorni”
(Anderson, 1982: 48)
Dunque questa nuova forma culturale di conoscenza si trasformò nel tempo come principale veicolo
di rappresentazione culturale di uno specifico luogo e i suoi eredi sono stati poi la radio, la televisione
e oggi i new media. Il concetto di simultaneità credo sia il filo conduttore per poter analizzare la pagina
Facebook di Matteo Salvini come una comunità immaginata perché l’era dei social network è l’era
della connessione istantanea, dell’essere ovunque in qualsiasi momento, e quindi dell’esperienza
simultanea. Potrei parlare di Facebook-capitalismo, emulando Anderson, e paragonare la pagina
Facebook ad un quotidiano, in cui tutti, dal giovane veneziano alla casalinga di Palermo vedono gli
stessi contenuti che veicolano un pensiero “codificato” della specifica e attuale cultura leghista. In più
la sensazione di simultaneità e appartenenza non è il fatto di vedere il nostro vicino di metropolitana
leggere lo stesso giornale, come Anderson ci descrive, ma leggere centinaia di altri commenti di
persone appartenenti alla stessa comunità, immaginando di non essere soli. A questo proposito vorrei
accennare a Arjun Appadurai (1996) e alla sua osservazione sul ruolo dell’immaginazione, egli
ipotizza che i cambiamenti tecnologici la abbiano convertita da fatto individuale a collettivo e sociale,
e che “a sua volta, questo sviluppo è alla base della pluralità dei mondi immaginati” (Appadurai, 1996:
18), poiché i mass media veicolando certi scenari e discorsi che alimentano i pensieri degli individui,
e questa è una regola applicabile in generale a tutte le società come le conosciamo da quasi trent’anni,
e la ritroviamo anche nella comunità immaginata di Lega Nord su internet.
1.4 Comunicazione politica: uno sguardo alla storia
Questa ricerca in parte rientra nel tema della comunicazione politica, quindi sarebbe bene accennarne
brevemente le caratteriste storiche presentatesi prima d'oggi. Si possono definire tre macro-periodi che
partono dal secondo dopo guerra per arrivare agli anni '90-'00. Negli anni '50 la comunicazione politica
era subordinata a un sistema di istituzioni e di fedi politiche molto salde. Il linguaggio politico era
robusto e non era plasmato da nessun tipo di marketing della comunicazione. Tratto distintivo di questa
fase era l'appartenenza ideologica a un partito che muoveva la maggioranza dei cittadini, dal momento
in cui essi non erano in grado di comprendere i temi dell'agenda politica, quindi la risposta ai messaggi
era di tipo selettivo e di rafforzamento di idee precedentemente esistenti. Invece chi non era raggiunto
dalla comunicazione politica erano gli elettori disinteressati e per questo non avevano praticamente
modo di essere sfiorati dai temi e le idee dei partiti. Il secondo periodo va dagli anni '60 agli '80,
momento della diffusione del nuovo mezzo televisivo. Il pubblico è soggetto alle apparizioni di tutti i
politici, così ampliando le opzioni di scelta e attenuando il meccanismo della selettività data
dall'appartenenza ideologica. Chi prima non era un gran fruitore dei vecchi media ora è facilmente
raggiungibile per il fatto che la televisione è molto più pervasiva rispetto la radio o la stampa. Nascono
le prime tecniche del comunicare al pubblico, rendendo più esteticamente appetibile il messaggio, e
prestando particolare attenzione al clima di opinione a scapito delle prospettive ideologiche. Si può
sostenere che la comunicazione politica inizia e preferire l'aspetto esteriore anziché il contenuto. La
terza fase inizia negli anni '90, in cui i mezzi di comunicazione iniziano ad abbondare e l'audience si
frammenta. Inizia un aumento di possibilità di “luoghi” in cui comunicare: con l'aumento dei canali
televisivi, la nascita del web 2.0 e aggiungendo anche i vecchi media, diventa sempre più difficoltoso
per i politici la gestione della comunicazione. Infatti nascono le prime figure professionali della
comunicazione in grado di addestrare candidati e leader o di manipolare l'informazione pubblica
collaborando spesso con i media, il cosiddetto news management. È anche il periodo in cui
intrattenimento e politica iniziano a fondersi, al fine di affascinare e rendere più leggeri i temi politici
al pubblico. Infatti è ancora molto attuale vedere politici su riviste scandalistiche, nei talk show
pomeridiani o programmi rosa.
E ancora, questo è il periodo del consumo occasionale di comunicazione politica, la sua fruizione è
paragonabile alle modalità di acquisto da supermercato. È una delle conseguenze dell'estrema presenza
della politica nei mezzi di comunicazione dai programmi televisivi ai film. Conseguenza di ciò è la
mercificazione del voto che dall'essere indotto da una spinta ideologica è diventato un atto di
disinteresse e comodità.
Nell'Italia d'oggi stiamo affrontando una grave crisi di posizione politica iniziata con la fine del
Governo Berlusconi, e per quanto riguarda la fazione di sinistra credo sia da tempi immemori che non
esista un'opposizione forte e decisa.
Forse l'unico vero partito in grado di creare una vera egemonia è proprio la Lega Nord, nonostante le
enormi differenze tra il periodo di “Er Canotta” e oggi, i suoi elettori sono sempre stati
ideologicamente schierati in quanto i discorsi leghisti entrano nelle paure più profonde dei cittadini
postmoderni.
2. Analisi e interpretazione dei dati
2.1. Sul campo
Come già ho specificato più volte l’approccio alla lettura comunicativa utilizzata in questa
etnografia, si basa sul saggio di Hall Encoding-Decoding (1980), e punta a decostruire le strategie
di comunicazione politica messe in atto da Salvini, e seguendo questo percorso mi sono resa conto
che nonostante i post proposti dal abbiano una forte impronta di codifica egemonica, si può anche
affermare che assumono parallelamente una forma di decodifica di tipo egemonico-dominante, e lo
spiego partendo da questa citazione di Hall:
“Questo è il posizionamento [quello egemonico-dominante] che assumono i professionisti dei media quando
codificano un messaggio che è già stato dotato di senso in modo egemonico […]. Basti qui dire che i
professionisti dei media sono legati alle élite decisionali non solo attraverso la posizione istituzionale della
televisione stessa, in quanto apparato ideologico, ma anche dalla struttura dell’accesso. Si potrebbe anche
dire che i codici professionali servono a riprodurre le definizioni egemoniche in modo specifico velando
sistematicamente le loro distorsioni in favore dell’interpretazione dominante.” (Hall, 1980: 47- 48)
Salvini, essendo un politico, ha accesso ad un ampio raggio di notizie o informazione in modo più
facilitato rispetto a noi che non siamo del mestiere, e quando ci posta la descrizione di un qualsiasi
evento lo fa a sua volta decodificando quella notizia, e nell’atto di scriverla su Facebook la codifica
secondo il suo pensiero. Quella che ci arriva è una codifica di una decodifica, seguendo la citazione
appena proposta credo si possa paragonare Salvini ad un “professionista dei media”, il cui codice
serve a riprodurre una definizione egemonica (data dalla Lega Nord) e ne nasconde le distorsioni in
favore dell’interpretazione che esso dà e il post (Figura 1) è un esempio di quello che ho appena
affermato.
Figura 1
La notizia specifica a cui fa riferimento non ebbe affatto risonanza a livello mediatico, tanto che ho
fatto fatica a trovare articoli abbastanza approfonditi sul web nelle stesse ore in cui è stato
pubblicato il post, ma dal momento in cui la sua politica comunicativa rispetto all’argomento
immigrazione punta principalmente sul tema della sicurezza il fatto gli è stato ovviamente utile. Si
può dedurre che secondo la sua decodifica la contestazione di questi rifugiati sulla concessione delle
proprie impronte significa che essi non vogliano in alcun modo essere identificati e che risulta a
tutti gli effetti una minaccia alla sicurezza, dato che tra di loro si nascondo criminali e possibili
terroristi. Nella realtà dei fatti se queste persone lasciassero le impronte digitali, secondo la legge
europea sui richiedenti asilo, sarebbero obbligati a rimanere in Italia e non potrebbero richiedere
asilo negli altri paesi in cui effettivamente sognerebbero stare, e dubito che Matteo Salvini non sia a
conoscenza di tale normativa dal momento in cui è anche europarlmentare.
Per spiegare meglio perché un’azione del genere può essere accettata seguirei la scia di Hall
prendendo in considerazione un criterio analitico da lui utilizzato ossia il binomio
“denotazione/connotazione” (Hall,1980), per denotazione intende il significato “letterale” degli
aspetti di un segno, mentre per connotazione i vari significati che si possono associare ad esso. Hall
sostiene che “la maggior parte dei segni mescolano gli aspetti denotativi a quelli connotativi” e “ci
saranno pochissime istanze in cui i segni organizzati in un discorso esprimono solo il significato
letterale (denotativo)” (ivi: 41), questa distinzione serve in sostanza a svelare a quale livello i segni
acquistano valore ideologico. Quindi se nel livello connotativo del segno troviamo l’insieme delle
sue varie possibilità di significazione è qui che esso può assumere un valore ideologico in una data
cultura e specifica situazione, poiché la sua fluidità associativa può essere maggiormente
manipolata, ma non possiamo escludere il livello denotativo da questo ragionamento: esso ha il
compito di fissare la significazione di un segno fino a renderla “naturale”, cosicché la sua origine
ideologica possa essere nascosta, senza dimenticare che infatti nessun segno ha rappresentazioni
“puramente denotative”.
La notizia dei rifugiati che non vogliono dare le proprio impronte digitali indica banalmente l’ampia
questione dell’immigrazione (denotazione) a livello connotativo può assumere significati diversi a
seconda della situazione, cioè a seconda di chi ci informa su tale notizia: può assumere il significato
della lotta per i diritti dell’individuo se chi scrive è qualche associazione di accoglienza ai rifugiati,
può essere un comunicato stampa datoci dalla questura, oppure può assumere la connotazione
allarmante di sicurezza nazionale quando a è Matteo Salvini che ci informa. In poche parole si tratta
di una manipolazione di informazioni, vero, ma com’è possibile che un politico possa fare una cosa
come questa? Dal momento in cui i segni a livello connotativo sono polisemici, “i codici
connotativi non sono uguali fra loro” e “ogni società/cultura tende a imporre le sue classificazioni”
(ivi: 43) che costruiscono ordine culturale, la conseguenza è lo sviluppo di “significati dominanti”
in grado di incorniciare eventi “fuori dal comune” entro le varie mappe culturali già note, ed è per
questo che ovviamente una distorsione informativa è accettabile. Uno dei principali problemi del
flusso di rifugiati e migranti nel nostro paese è quello della sicurezza, apparente o reale non ci
interessa, ma sicuramente è di forte senso comune, e la connotazione in questi termini di un fatto
reale è accettabile, perché all’oggi l’equazione rifugiato-criminalità-terrorismo fa parte delle
mappature di significazione culturale dell’occidente; tale processo è utile per imporre o rendere
legittima una decodificazione entro i limiti dei significati dominanti in cui è stato connotato
l’evento, ed parte del processo di codificazione. Quindi da un lato Salvini ha decodificato una
notizia secondo le sue mappe culturali e politiche, ma allo stesso tempo è il connotante, produttore e
consumatore del processo comunicativo.
Questo post è un primo esempio della strategia comunicativa di Salvini: a livello contenutistico è
molto scarno, diretto, privo di fonti a cui attingere, occulta le reali motivazioni della protesta dei
profughi di Lampedusa, è un ragionamento semplicistico e riduttivo rispetto all’enorme problema
dell’immigrazione. Dall’altro lato il fatto che questa frase sia povera di contenuti è un bene per la
sua strategia, perché il non detto agevola ancora di più il lavoro di decodifica egemonico-dominante
degli utenti. Inoltre l’abbondanza di punti interrogativi e l’uso del maiuscolo per il motto “TUTTI A
CASA”, fanno intuire il tono in cui bisogna leggere questa frase, un tono rabbioso ed estremamente
costernato che emula il tradizionale comizio da piazza che, come si vedrà, è una costante della
comunicazione leghista.
RUSPA! Il linguaggio nella retorica leghista
Dal momento in cui ho paragonato lo spazio virtuale di Facebook a una comunità immaginata
affermerei che uno dei primi strumenti utilizzati per riconoscersi e farsi riconoscere appartenenti ad
una cultura specifica è il linguaggio, e l’identità leghista si rispecchia abbondantemente nella sua
lingua, diventando così un vero e proprio simbolo che veicola un significato di appartenenza.
Quello leghista è un linguaggio popolare nel quale prevalgono la schiettezza, la semplicità, ma
soprattutto la brutalità, in quanto “la Lega ha costruito il proprio successo facendo leva
sull’avversione dell’uomo di strada nei confronti delle alte sfere della politica e della cultura”
basandosi su “un atteggiamento dovuto a una propaganda che cerca di sostituire ai contrasti di
natura economica conflitti giocati in una sfera di natura più culturale” (Dematteo, 2011: 121). A
mio avviso il suo stile comunicativo riproduce perfettamente sul digitale la comunicazione politica
di un tradizionale comizio davanti la folla, così come ad ogni minima dichiarazione del leader
quest’ultima esulta e inveisce, ad ogni semplice post i sostenitori si scatenano nei commenti in
sincronia creando una fitta rete di singole voci con il proprio spazio “sbraitando” e sostenendo il
loro portavoce, e ancora, i suoi post potrebbero essere paragonati a dei manifesti digitali o a scritte
murali che definirei molto efficaci perché semplici e diretti.
Figura 2 Figura 3 (a)
Figura 3 (b)
Figura 4
Dalle immagini dei post di Salvini balza subito all’occhio una delle peculiarità del messaggio
leghista, ovvero l’abolizione del politichese, considerato da sempre troppo colto, snob e impopolare.
Fin dalla nascita del partito si è verificata questa rottura con i codici nazionali in due modi: l’uso del
dialetto e la rottura con il linguaggio con cui politici e giornalisti descrivevano il mondo e gli eventi
sociali e politici. Dal momento in cui nel nord dell’Italia era difficile rivendicare un unico dialetto,
data la numerosità delle parlate regionali, si è mantenuto questa retorica del semplice e rozzo,
poiché l’uso di tecnicismi e del linguaggio aulico sono sempre stati percepiti come segni di
appartenenza a un’èlite distante dalla gente comune, quindi dalle persone a cui il partito si è sempre
rivolto. Quindi questa rottura con il linguaggio politico tradizionale rimanda a uno dei pilastri della
politica d’opposizione della Lega ovvero la lotta contro la classe dirigente del Paese, così Salvini
parlando come “uno di noi” si distacca da “loro” che stanno ai vertici della politica italiana
incarnando così nel linguaggio lo scontento degli italiani che lo sostengono. Se leggiamo nelle
figure qui sopra si può rivelare una retorica esclusiva senza possibilità di mediazione, i suoi
messaggi sono sentenze che non permettono altra soluzione se non quella proposta da lui, fatti di
cronaca quotidiana vengono generalizzati fino a renderli crimini del Governo contro i cittadini
italiani. Il fatto che a Torino siano stati ospitati 750 profughi attraverso, deduttivamente,
finanziamenti statali significa che il governo sia contro gli “ITALIANI IN DIFFICOLTÀ”, ed è
ovviamente una logica causa- effetto del tutto opinabile. Stesso funzionamento in Figura 3 per
quanto riguarda il benzinaio gambizzato, il post non va assolutamente nei dettagli dell’evento, viene
codificato secondo la stessa logica della legge (che rappresenta lo Stato) che non tutela il povero
cittadino e che bisogna liberarsi da questa persecuzione dalla quale siamo oppressi. La sua retorica
esclusiva è insita nel messaggio che codifica, per quanto le sue affermazioni siano del tutto errate
Salvini ci dice implicitamente che ciò che ci scrive è impossibile da obiettare deducibile dalle
domande del tutto retoriche poste alla fine della maggioranza dei post, retoriche perché sa già che
chi legge è pienamente d’accordo con lui, ma anche minacciose in quanto l’abbondanza dei punti
interrogativi usati mi fa sentire un coltello puntato alla gola.
Ricapitolando questa prima caratteristica del linguaggio leghista identificabile con l’abolizione del
codice linguistico politico che tradizionalmente è associato alla retorica di sinistra e democristiana è
l’incarnazione della missione salviniana del leader contro il governo traditore perché “l’essere
leghista vuol dire essere dalla parte del popolo, della gente comune, significa essere contro lo
strapotere della politica, contro i privilegi di casta e la deferenza dovuta alla carica” (Biorcio, 1997:
241), ma non bisogna dimenticare che Salvini così contro questo strapotere non lo può essere a tutti
gli effetti dato che è anche un europarlamentare, carica sicuramente poco comune tra i cittadini a
cui si rivolge.
La seconda peculiarità, conseguenza della prima, è l’identificazione della voce del leader con quella
del popolo, Salvini articola il suo pensiero come se fosse lo specchio dei pensieri dei suoi seguaci,
si pone come un semplice portavoce dello scontento italiano, ed è questo che probabilmente
legittima il suo messaggio perché rispecchierebbe il “senso comune”, ma sappiamo benissimo
questo non è che una naturalizzazione di un’ideologia culturalmente e socialmente costruita e
rafforzata da discorsi demagogici e populisti come quelli di Salvini.
Figura 5
Terza caratteristica del linguaggio leghista on line è invece la controparte della seconda, i
sostenitori su Facebook attraverso la decodifica egemonica- dominante scrivono nello stesso modo
del leader, si rivela così la comune base culturale tra quest’ultimo e i suoi sostenitori. Una delle
caratteristiche lampanti è la replicazione di parole che in poco tempo hanno avuto la funzione di
motto racchiudendo in poche lettere l’identità leghista, ad esempio “RUSPA” utilizzato per la prima
volta da Salvini stesso per quanto riguarda la sua idea di sgombero dei campi nomadi, questa parola
è diventata una vera e propria parola chiave di tutto il discorso leghista: ruspa sui campi rom, ruspa
sul governo, ruspa sui profughi, ruspa sui centri “a-sociali”.
Nel saggio “Pop – politica. Le basi culturali del berlusconismo” Fabio Dei descrive molto bene
questo stile comunicativo che penso possa essere applicato anche in questo contesto:
“Ha usato [Berlusconi] un linguaggio semplice fatto di slogan riconoscibili. Naturalmente il problema della
comunicazione linguistica e simbolica non era ignorato dalle forze politiche tradizionali: i partiti di massa
della sinistra, ad esempio, venivano da una ricca tradizione di uso di simboli, slogan, performance ed
esperienze di effervescenza collettiva volte a radicare emozionalmente, oltre che intellettualmente, la
passione politica. Ma qui l’idea è che simboli e slogan traducessero in forme di immediato impatto
comunicativo un “discorso” molto più complesso di analisi politica […]. Nel berlusconismo gli slogan e i
simboli non “traducono” nulla: sono essi stessi l’analisi politica.” (Dei, 2011: 474-475)
Ciò vale anche per Salvini poiché grazie a internet e ai media i suoi slogan sono diventati dei segni
di riconoscimento della politica leghista e dei veri e propri jingle difficili da dimenticare, e credo
che questa strategia accomuni i partiti di massa che attualmente esistono in Italia, come il
Movimento 5 Stelle che ha fatto propri dei motti come “VERGOGNA” e “ONESTÁ” che
identificano la loro politica antigovernativa. Tale comunicazione diventa virale grazie proprio alla
sua semplicità, ed è questo che l’uomo comune chiede, la semplicità del messaggio e del concetto,
infatti l’atto del “ruspare” evita qualsiasi tipo di dialogo e rimanda alla totale eliminazione dei
problemi senza essere affrontati, un’azione che ben racchiude in sé tutta l’ideologia salviniana. In
più ho notato che il martellante uso di slogan non solo cristallizza un’intera cultura politica in una
parola o frase, ma rende anche estremamente ridondante la comunicazione creando un codice
standard di espressione, cosicché ad un post l’utente risponderà in un modo ben preciso, ricorrendo
spesso anche a frasi preconfezionate usate sempre nello stesso contesto.
Detto questo ciò che differenzia ancora di più il linguaggio leghista rispetto a quello di tutti gli altri
partiti politici è la volgarità in quanto “i leghisti cercano di fare della volgarità – per essenza un
antivalore – un valore vero e proprio” (Dematteo, 2011: 143), e questo vale per Salvini ma è ancora
più evidente leggendo i suoi sostenitori rendendosi conto che la pagina Facebook è un luogo dove la
libertà di espressione è presa alla lettera in cui troviamo insulti, minacce, commenti razzisti, piani
diabolici, si sfiora la soglia dell’illegalità dato che è un comportamento che nella vita offline
avrebbe delle conseguenze, ma purtroppo ciò non sempre accade su internet. Secondo me volgarità
e insulto, in questo caso, veicolano un duplice significato: il sentimento di superiorità
dell’aggressore rispetto alla vittima e la gratuita fomentazione d’odio. Nel primo caso gli insulti
rivolti a Rom, immigrati, comunisti etc. ampliano quell’idea che queste categorie umane siano
percepite come di “serie b” e quindi immeritevoli di rispetto, ma razionalmente non sono insulti
contro una persona fisicamente presente nel luogo in cui avviene l’azione, e infatti questa pratica
dell’insulto si rivela nient’altro che una gratuita fomentazione d’odio tra i vari utenti che fanno a
gara per chi scrivere la brutalità peggiore. Ovviamente questo input viene dato tutto da Salvini,
specialmente quando rivolge domande dirette al popolo, facendo così scatenare le fantasie più
sfrenate di ogni individuo e rendendo Facebook un luogo in cui la realtà viene sospesa.
Insomma il linguaggio politico della Lega è “basato su una lettura orientata della realtà, privo di
reali argomentazioni e finalizzato essenzialmente a coinvolgere i destinatari del messaggio
attraverso soluzioni pragma- linguistiche rozze, semplificate” (Banfi, 2012: 56).
Il discorso intorno alla costruzione del nemico: lo Stato e i “presunti” profughi
Figura 6 (a): Salvini posta una foto di una folla di “presunti profughi” durante una protesta a Vicenza
Figura 6 (b)
L’analisi del post di Salvini in figura 5(a), riporta alla visione di forte senso comune dell’immagine
di immigrato o profugo come colui che scappa da una situazione di disagio e di conseguenza
nullatenente e malnutrito, ma che viene smentita spesso dalla realtà. Nella logica leghista chi non
rientra in questa descrizione diventa automaticamente un “presunto profugo”, che non meriterebbe
di essere accolto nel nostro Paese, di avere normali condizioni di vita e di poter permettersi di
protestare per conquistare un diritto in più. Questa visione dello straniero è la conseguenza della
costruzione della categoria “immigrato” messa in atto anni addietro dalla demagogia politica,
italiana e non, da destra a sinistra, per riuscire a semplificare un fenomeno tanto vasto e grave e
conforme alla percezione dello straniero come colui che “sconvolge i modelli di comportamento
stabiliti, che compromette la serenità, diffondendo l’ansia, che oscura e confonde linee di
demarcazione che devono invece rimanere ben visibili” (Aime, 2004: 74). Secondo me fino a
qualche anno fa il fenomeno principale era l’immigrazione per necessità, ovvero quella del flusso di
persone che si muove principalmente per lavoro, oggi invece si sta trasformando sempre di più in
immigrazione coatta, di individui che sono costretti a scappare dalle guerre e nazioni dittatoriali per
riuscire a riscattarsi altrove, ma spesso ci si dimentica di questo, si fa confusione, non si va a fondo
della questione e comunque si tende a categorizzare a fare del qualunquismo su questo tipo di
fenomeni. Sappiamo benissimo che i primi ad emigrare dai paesi del Nord Africa e Medio Oriente
sono i giovani uomini che hanno il compito di riuscire a trovare un minimo stabilità affinché
successivamente ci sia un ricongiungimento famigliare, lo sappiamo tutti, tranne i leghisti e per
dirla con Marco Aime:
“Per sfuggire a una guerra, a una carestia, a una dittatura, per cercare un futuro diverso, per migliorare la
propria condizione, per cercare fortuna, per spirito di avventura: si emigra per questi e per molti altri motivi.
Ma quando media e politici parlano di immigrati, tutto questo scompare dietro una facciata anonima,
facilmente gravabile di stereotipi negativi. Lo straniero è uno che non appartiene alla nostra nazione, ma ciò
non significa che tutti gli stranieri siano tutti uguali.” (Aime, 2004: 77)
Ecco, non tutti gli stranieri sono uguali, ma finché la questione “immigrazione” viene
strumentalizzata dalla politica attraverso l’uso dei media, si arriva a un immaginario che tende a
collettivizzare e semplificare un problema sociale che al suo interno ha una quantità inimmaginabile
di storie diverse, perché si tratta di singole vite umane.
Ciò che è ancora più impressionante è la percezione che le persone hanno di questo fenomeno, se
andiamo a leggere i commenti degli utenti A.D., G.V. e D.B. in figura 5(a), ne abbiamo un esempio:
i discorsi ruotano tutti attorno a un’idea di complotto messo in atto dallo Stato e stranieri, e
descrivono il fenomeno nei minimi dettagli con molta lucidità. A.D. è convinta che gli stranieri
siano qui per contaminare la nostra identità e unica soluzione possibile è la sterilizzazione di donne
e uomini, piano degno del miglior campo di concentramento nazista; G.V. spiega come solitamente
gli stranieri si guadagnano da vivere; D.B. attraverso a una congettura di tipo fisionomico (“questi
sono centroafricani, e non fuggono da nessuna guerra”, li definisce così dal colore della pelle) nega
il fatto che queste persone siano povere e in difficoltà quindi sarebbero dei “CLANDESTINI”. Sono
idee che fanno parte della tendenza a “etnicizzare” i problemi sociali, ovvero che questi siano
causati della presenza o azione di una determinata categoria umana, in questo caso dai
clandestini/profughi, e che certi comportamenti siano associati in modo preciso a una di queste
categorie “etniche” o in questo caso razziali. Le differenze culturali non vengono trattate in quanto
tali, ma lette in chiave di conflitto che crea una netta distinzione tra “noi” e “loro”, il fatto che molte
famiglie straniere facciano molti figli (stereotipo non troppo falso) è dato da un’idea di famiglia
diversa dalla nostra, un’idea culturalmente codificata, ma dai leghisti è letta come un modo per
guadagnarsi da vivere, personalmente non so quanto lo Stato aiuti economicamente le famiglie
straniere numerose, ma credo siano in netta minoranza rispetto a quelle italiane. Questo è un tipo di
razzismo “culturale” che divide gli umani non in base i tratti somatici, come succede nel razzismo
biologico, ma in base alle differenze culturali creando però la medesima divisione in classi e
xenofobia di quello biologico.
Inoltre nella retorica leghista viene fatta una strana contrapposizione tra due figure, quello del
profugo e quello del clandestino, confondendo i motivi per cui una persona emigra e i modi in cui
questi lo fanno, questo è il ragionamento: il profugo è colui che scappa da una guerra e arriva nel
nostro Paese in modo legale, il clandestino è un individuo che arriva in modo illegale e quindi non
ha motivi validi per emigrare. Adesso, non capisco perché viene fatta questa bizzarra associazione,
ma è frequente in tutti i discorsi sull’immigrazione, e credo che per abitudine (senso comune) siano
arrivati a concepire l’equazione clandestino – cattivo, profugo – accettabile. Posso solo ipotizzare
che questa idea derivi dagli anni in cui l’Italia iniziò ad essere il centro della questione
immigrazione, quindi dagli ‘80/’90 del secolo scorso, durante il quale media e politici fecero molto
leva sul fatto che chi sbarcava nel nostro Paese lo faceva in modo illegale, quindi l’immagine di
straniero era associata negativamente a quella di clandestino che avrebbe minacciato la nostra
sicurezza. Quindi clandestino, profugo, immigrato, extracomunitario, in questa logica non sono
altro che dei sinonimi per indicare semplicemente il nemico che invade il nostro territorio.
Figura 7 (a)
Figura 7 (b)
Figura 7 (c)
In linea con la sua politica di costruzione del nemico Salvini basa tutto il suo discorso sull’idea di
una prevaricazione dello straniero sui diritti degli italiani, non è contemplabile accogliere dei
profughi (sempre “presunti”) in un Hotel di lusso, perché questi non se lo meriterebbero, perché
considerati degli umani di serie B e perché devono venire prima gli italiani, ma in realtà in Italia ci
sono diverse strutture che si occupano di aiutare cittadini con gli stessi bisogni, e sono separate da
quelle dell’accoglienza ai profughi, data la grande portata dei flussi migratori avvenuti in questi
ultimi anni si è trovata una soluzione diversa dai soli centri di accoglienza temporanea, ovvero di
aprire gli alberghi anche per questo scopo se e solo se i proprietari danno la disponibilità. Questa
prevaricazione nei fatti non esiste, ma nell’immaginario collettivo è proprio così che stanno le cose,
e Salvini, grazie al supporto dei media, strumentalizza fatti di questo tipo creando una guerra tra
poveri. Infatti ciò che si avverte in queste ultime figure, ma che si può ricondurre a tutto il pensiero
del leghismo contemporaneo è la nascita di un “razzismo concorrenziale” (Aime, 2004), che più che
con l’odio razziale ha a che fare con una celata concorrenza tra gruppi, è un conflitto che nasce
quando quest’ultimi si competono l’accesso alle stesse risorse in un determinato periodo sociale e
storico. Così si parla dei “nostri” anziani che si riducono a rovistare nell’immondizia, dei “nostri”
che vivono in auto e sotto i ponti, di noi poveri italiani soffocati dalle tasse, mentre gli immigrati
vengono comodamente alloggiati in questi fantomatici alberghi lussuosi a nostre spese, portando
solo degrado.
Figura 8 (a)
Figura 8 (b)
Come vediamo nelle figure sopra ciò che avviene nel discorso leghista è la ri-codificazione, seppur
errata, del concetto di razzismo qui utilizzato come sinonimo di discriminazione sempre associato
all’operato del governo nei confronti del cittadino italiano, ma già il fatto che queste persone
mettano al primo posto i bisogni dell’italiano soppiantando i diritti degli stranieri appunto perché
non appartenenti alla nostra nazione e cultura, fa di loro delle persone razziste. Questa palese
contraddizione secondo il mio parere deriva da due fattori: la paura di essere etichettati come
razzisti e il radicamento di questo atteggiamento nelle pratiche discorsive. La prima è quella che sta
alla base della classica frase “non sono razzista, ma…”, la quale rivela il difficile rapporto che
l’uomo contemporaneo ha con questa parola perché probabilmente fa ritornare alla memoria tutte le
brutalità conseguenti alle politiche basate sull’odio razziale che nel corso degli anni abbiamo visto
succedersi. Questo in parte si collega al secondo fattore ovvero che questo modo di pensare sia
radicato nelle coscienze dell’italiano d’oggi, egli non si considera razzista perché pensa di
esprimere un punto di vista che online viene percepito come comune a tutti gli italiani, in questo
modo attraverso Facebook viene legittimata e standardizzata la pratica del pensiero razzista, che
porta a far vivere questa comunità virtuale come una comunità immaginata nel senso di Anderson,
in cui nessuno si conosce fisicamente ma si condivide una comune idea, creando virtualmente un
senso di appartenenza a una nazione fondata su valori, seppur confusi, che loro stessi creano
attraverso la pratica online e l’adesione a un’ideologia di partito. Questa simultaneità di voci virtuali
mi porta a paragonare la partecipazione virtuale alla pagina Facebook con un ritrovo al bar per la
partita della nazionale di calcio, o l’intonazione dell’inno di Mameli a qualche festa, allo stesso
modo persone sconosciute si riuniscono durante questi eventi per sbandierare il loro sentimento di
appartenenza ad un Paese identificandosi tutti con un colore, una bandiera, una canzone o un
avversario. La pagina Facebook di Salvini è il posto dove gli italiani esprimono il loro malcontento
sotto forma di sfogo, pendendo dalle labbra di un leader che sentono come loro pari, lui stesso e i
sostenitori credono di parlare a nome dell’intera popolazione quando cercano, seppur in modo
sbilenco, di esprimere le loro idee, ne abbiamo la prova in Figura 8(a)(b) e nella quasi totalità dei
commenti e dei post, nei quali si fa riferimento al “noi”, “siamo stanchi”, “dobbiamo incazzarci e
mandare via i clandestini”, “l’italiani si sono rotti i coglioni”, ovviamente il tutto sempre espresso
con brutalità e arroganza.
Figura 9
Si arriva addirittura ad una sorta di negazionismo, affermando che chi emigra in Italia lo fa per farsi
mantenere e non di certo per scappare da qualche guerra, e parola chiave di questo pensiero è
“invasione”, che ci fa capire quanto il fenomeno sia percepito in termini di massimo allarmismo,
vorrei citare Lynda Dematteo che già nel 2011 dà un’immagine precisa di quello che ancora oggi
succede:
“Alimentando l’allarmismo, la classe politica si dimostra incapace di gestire un cambiamento epocale. Non
si attrezza per pensarlo e adottare misure razionali e rispettose di tutti. Potrebbe avvalersi dell’esperienza di
altri paesi con una lunga tradizione di immigrazione, potrebbe evitare alcuni errori, potrebbe costruire un
proprio modello di integrazione, ma non lo fa e preferisce dare spazio alle spaventose ossessioni della Lega
Nord […].” (Dematteo, 2011: 166)
Ormai per l’Italia il fenomeno migratorio non è nuovo, ma la sua mal gestione ha dato la possibilità
a leader come Salvini di costruirci sopra una politica dell’odio che rifiuta una società pluralista e
multiculturale, preferendo alimentare un delirio collettivo in cui si perde il contatto con la realtà
sociale creando un sistema di credenze di tipo ossessivo e persecutorio. Tale delirio si potrebbe
definirlo “sindrome da assedio” (Scardurelli, 2011) a causa della quale il cittadino si sente
abbandonato dallo Stato perché anziché proteggerlo dallo straniero dà a quest’ultimo più assistenza
di quello che dovrebbe fare, e in effetti da Facebook si capisce molto bene quanto sia estesa questa
psicosi.
Discorso intorno alla costruzione del nemico: le zecche rosse comuniste e l’esclusione
dall’interazione online
Altro nemico da affrontare che spesso assume connotati peggiori dello straniero poiché si trova fin
dalla nascita entro i confini nazionali e considerato un traditore del nostro popolo, è il “comunista”.
Questa mostruosa figura è già stata largamente utilizzata nella politica di Silvio Berlusconi come
capro espiatorio dei suoi problemi politici e soprattutto giudiziari, in questo caso il termine indica in
modo dispregiativo una qualsiasi persona contesti il pensiero della Lega, e che insieme
all’immigrato concorre al degrado italiano.
Figura 10 (a): Salvini commenta un video del concerto dei 99 Posse, gruppo militante napoletano, in cui esprimono
la loro opinione in merito alla politica leghista
Figura 10 (b)
Figura 11 (a): commento all’incontro con la popolazione di Genova
Figura 11 (b)
Figura 12 (a)
Figura 12 (b)
Anche qui ritorna una sorta di razzismo culturale per cui il comunista è identificabile attraverso
presunti stili di vita devianti e comportamenti collocabili in un luogo ben preciso, ovvero il centro
sociale. Tale stereotipizzazione deriva dal fatto che in varie occasioni Salvini viene contestato da
gruppi organizzati di persone che spesso, ma non sempre, sono collegate a qualche centro sociale,
ma credo ci sia un allarmante uso strumentale e screditante di questa parola: prima di questi
avvenimenti i centri sociali non hanno mai avuto parte nei discorsi mediatici e della quotidianità,
credo che con Salvini si sia arrivati ad un’idea distorta di cosa rappresenti realmente questo luogo.
Questa dinamica mi fa venire in mente il caso dei cosiddetti “black bloc”, da anni i media abusano
di questo nome per indicare tutti quei gruppi isolati che durante le manifestazioni sono artefici di
atti vandalici, nel nostro caso il centro sociale va a indentificare il gruppo di persone che protesta
contro il leader leghista creando la stessa sindrome persecutoria che i salviniani sentono nei
confronti degli immigrati, e ancora in questo contesto Salvini segue la scia di Berlusconi il quale
faceva ricadere la colpa dei suoi guai giudiziari e di insuccessi politici sui “comunisti”.
Ma nella realtà il centro sociale è un luogo dalle mille sfaccettature può essere deputato alla
circolazione della cultura e dell’arte, all’accoglienza alla ristorazione, ed è collegato con realtà
geografiche abbastanza ridotte sul suolo nazionale poiché sono presenti principalmente nelle grandi
città che godono di una tradizionale cultura di associazionismo giovanile come Milano, Bologna,
Torino, Roma e Palermo, non metto in dubbio che in molte altre città non esistano, ma metto in
dubbio il fatto che molte persone adulte sappiano cosa sia veramente questo luogo, ma questa è una
mera idea personale. Però è da notare come l’accoppiata “zecca – centro a-sociale” venga codificata
secondo il tradizionale stereotipo del giovane nullafacente incline all’uso di droghe di cui le culture
e subculture giovanili spesso sono macchiate e ciò lo si intuisce molto bene nelle figure sopra dal
momento in cui questa categorie di persone vengono considerate come dei folli che non sanno
quello che dicono perché il loro presunto stile di vita deviante li porta a contestare la politica
leghista, insomma il comunista è un “tossico” per questo non potrà mai dire nulla di vero, ed è una
generalizzazione abbastanza comica e soprattutto grottesca.
Figura 13 (a)
Figura 13 (b)
L’accanimento però è più evidente dal momento in cui viene espressa nei commenti una decodifica
di tipo oppositiva scatenando una serie di discussioni basate principalmente sull’offesa e l’insulto,
sia da una parte sia dall’altra, e un’esclusione dall’interazione comunicativa, queste due
caratteristiche si possono associare alla sensazione di sospensione della realtà nella pratica
comunicativa online. L’insulto, tratto tipico del comportamento leghista, ha come l’obiettivo di
opacizzare l’interazione, quasi sempre l’avversario non riesce a rispondere in modo costruttivo ad
un’offesa perché tocca il piano emotivo – personale, in questo modo non si dà la possibilità di dare
vita ad un dialogo che metta in chiaro le capacità espressive delle persone, sfido qualunque persona
a trattenersi dall’insulto su questa pagina Facebook e personalmente mi permetto di dire che mi è
stato molto difficile non abbassarmi a questa modalità perché si entra in un circolo di odio che
genera l’odio. Per quanto riguarda l’esclusione ci sono due modalità per attuarla: l’esclusione
implicita e l’esclusione diretta. La prima è insita nel messaggio leghista stesso, la pagina Facebook
crea un confine immaginario tracciato attraverso i contenuti dei discorsi con i quali sappiamo già
che oltrepassandolo entriamo in una comunità immaginata che si identifica secondo codici condivisi
palesati dagli utenti e da Salvini che se non vengono accettati come pena riceviamo l’insulto, e
come detto in precedenza è già il linguaggio leghista che ci fa capire l’impossibilità di mediazione
che esclude in partenza gli altri. L’esclusione diretta è il banning ovvero il blocco dalla pagina
Facebook che è a piena gestione degli amministratori ogni qualvolta sia necessario.
Figura 14
Nelle figure è evidente che gli utenti Javier e Luca non risultano più nella conversazione e ciò
significa che in seguito a loro commenti sono stati “bannati” dalla pagina, credo sia un pericoloso
metodo di censura, non tolgo il fatto che queste due persone magari abbiano avuto un
comportamento poco decoroso, ma rispetto a tutto ciò che si legge all’interno della pagina credo che
forse i parametri di censura siano abbastanza discriminanti.
Decodifica oppositiva: tecniche di sabotaggio online
Vorrei brevemente mettere in luce due eventi nei quali mi sono imbattuta durante mia la ricerca e
che ho trovato particolarmente significativi per quanto riguarda la decodifica oppositiva. Entrambi
possono essere considerati una tecnica di sabotaggio online, e consiste nell’intasare di immagini i
post di Salvini, tecnica che nella cybercultura fa parte del trolling, per creare fastidio e diminuire la
possibilità di spazio al messaggio leghista.
Il primo è un evento nato in seguito alla nascita di una pagina Facebook denominata “Gattini su
Salvini”, che si occupa di ridicolizzare il pensiero salviniano, ed è stata attuato un bombardamento
di immagini di gatti nei commenti ai post.
Figura 15
Il secondo caso invece era in previsione della manifestazione di Lega Nord, Forza Italia e Fratelli
d’Italia a Bologna l’8 Novembre 2015, qui invece si sono scatenati dei tortellini emiliani.
Figura 16
2.2 Tra populismo, ideologia e panico morale
La mitizzazione del leader
Entro i confini deliranti della sindrome leghista ho notato che la sua identità si forma in seguito
all’esclusione totale dell’Altro, del leghista sappiamo sicuramente “chi non è” e veramente poco sul
“chi è”, soprattutto a causa dei discorsi confusi e contradditori che si leggono online. Quello che si
coglie invece è il modo in cui si forma questa identità confusa, cioè attraverso il forte richiamo al
sentimento e al riconoscimento di una leadership forte e carismatica, Salvini non è un semplice
portavoce, ma la luce che illumina le strade dell’Italia verso un futuro migliore, sarebbe l’unico in
grado di “ribaltare” questo Paese e farlo andare per il giusto verso, toccando tematiche che fanno
parte della vita quotidiana di tutti noi, come la casa, i soldi, la sicurezza, la cultura italiana. Il
processo di riconoscimento della leadership assume qui un carattere di mitizzazione grazie
soprattutto all’autorappresentazione di sé che Salvini propone sotto forma di uomo – messia in
grado di risolvere i problemi delle persone. Questa è una delle caratteristiche principali del modello
populista “l’idea cioè di avere al proprio interno tutti gli elementi per rispondere ai bisogni dei
propri adepti” così “il populista promette di garantire i ristabilimento dell’ordine dopo la crisi,
permette di far ritornare la sicurezza degli individui come delle masse popolari e, complessivamente
la salvezza di una vecchia identità messa in pericolo dai nuovi avvenimenti” (Tranfaglia, 2014: 20).
In questo modo l’operato del leader assume le caratteristiche dell’eroe favolistico che mosso da una
forza vitale lotta contro ogni tipo di avversità incarnando il volere del popolo, e come attua Salvini
questa strategia? Con il coinvolgimento del popolo attraverso la partecipazione online. In questo
modo l’uomo comune ha l’illusione di poter contare veramente qualcosa nella vita politica, infatti il
successo dei partiti populisti deriva spesso dal sentimento di vicinanza con il leader che incarna il
“noi” idealizzato e questa caratteristica in un social network viene amplificata perché “ai populisti
interessa, più di ogni altra cosa, poter pensare di comunicare in maniera diretta con gli uomini
comuni, che sono ritenuti uguali tra loro […]” (Tranfaglia, 2014: 20).
In questa realtà non esiste una divisione tra la classe politica e la classe degli elettori o
simpatizzanti, ma entriamo nel vivo della vita del politico infatti sono numerosi i post in cui ci parla
di sé, ci pubblica le foto della figlia, della sua cena, si rivolge a noi come se fosse un nostro amico,
tale posizione deriva in parte dall’eredità di Silvio Berlusconi uno dei primi politici italiani che è
riuscito a far coincidere le diverse sfere della vita sociale un tempo divise ma che nella post –
modernità tendono a confondersi tra loro:
“In ognuna di queste sfere valgono regole, linguaggi, tipi di relazioni umane, criteri di validità diversi e
peculiari, che sarebbe inappropriato e persino ridicolo confondere. Di più, in ogni sfera si differenziano
livelli verticali: alta – bassa cultura, registri istituzionali e informali, elitario e popolari, scientifico e
divulgativo etc. Ora, la post – modernità è stata descritta come la de – differenziazione orizzontale e verticale
delle sfere. […] così il colto è invaso dal pop (o a sua volta lo invade), i saperi esperti sfumano nel discorso
comune o divulgativo, la comunicazione artistica in quella pubblicitaria […]” (Dei, 2011: 474)
Credo che la centralità della leadership di Salvini sia arrivata a livelli impressionanti prendendo
tutta la scena all’interno del suo partito e dell’opposizione al governo, lo ritroviamo ovunque nelle
piazze, in televisione, sui social network presentandosi come un outsider rispetto al mondo politico
considerato un mondo corrotto lontano dagli interessi delle persone ormai troppo disorientate e
senza fiducia. Questo credo sia la più grande contraddizione della Lega Nord: si presenta come un
partito antipolitico, ma è all’interno di questo sistema e punta comunque all’acquisizione di voti e
ad un possibile posto al governo, e se consideriamo anche che Salvini è un europarlamentare quanto
veramente può essere contro il sistema?
Altra caratteristica che calza molto bene all’ideologia populista di Salvini è la concezione del
mondo come la netta divisione tra Bene e Male escludendo qualsiasi tipo di compromesso, questo
come già detto lo si percepisce già dal linguaggio adottato che allude al rifiuto di qualsiasi
mediazione con chi è al di là del muro costruito. La tendenza, ad esempio, di voler a tutti i costi
incasellare gli individui in categorie ben definite come quella degli immigrati, serve a rendere
questa visione del mondo più facile da concepire, ma palesemente utopistica dal momento in cui la
realtà offre ben più altre prospettive.
Così viene a crearsi un senso comunitario grazie al quale i seguaci sono considerai uguali tra loro,
hanno la stessa visione della vita sociale in cui la voce del leader coincide con quella del popolo,
immaginando un futuro che tra le righe si basa su una concezione del proprio passato considerato
migliore del presente.
Concludere riportando qui la nozione di “populismo autoritario” di Hall come lo riporta James
Procter in “Stuart Hall e gli studi culturali” concetto che secondo me ben descrivere la realtà
leghista attuale:
“L’aspetto distintivo della descrizione di Hall dell’autoritarismo consiste nel riconoscere come esso sia
“legato a” e “legittimato da” un richiamo allo scontento populista, come nel caso del panico morale sorto
attorno alle questioni dell’immigrazione, delle culture giovanili. Il populismo autoritario non mobilita il
popolo solo attraverso la popolarità, ma anche attraverso il suo richiamo ideologico alle paure, le ansie, le
identità perse di un popolo” (Procter, 2007: 112)
Il panico morale come costruzione del consenso
In un periodo di forte crisi socio-economica e identitaria la sfiducia nello Stato e nella politica
diventa il sentimento principale di un’intera popolazione ed è all’interno di questa cornice che
movimenti e partiti come quello della Lega Nord arrivano a creare un grande consenso popolare. In
questo panorama di disorientamento poter dare un senso a eventi sicuramente troppo grandi e
complicati rispetto all’infinita piccolezza di ogni individuo diventa una priorità e questo è
sicuramente la conseguenza principale della globalizzazione e a tal proposito il pensiero di
Appadurai può essere un’utile chiave di lettura per l’interpretazione del fenomeno di Salvini online.
Secondo lo studioso sono due i fenomeni che caratterizzano il mondo contemporaneo: la
mediazione elettronica e le migrazioni di massa non perché sono forze tecnicamente nuove ma
perché spingono l’opera dell’immaginazione. L’immaginazione, a causa della rapidità e
onnipresenza dei media, è diventato un fatto collettivo provocando una frammentazione degli
universi culturali in cui i panorami sociali, etnici e culturali si fanno sempre più confusi e
spezzettati ed è per questo che Appadurai non sostiene che la globalizzazione porta a
un’omogeneità ma piuttosto alla differenziazione. In questa realtà frammentaria in cui il flussi
migratori diventano sempre più frequenti, soprattutto nel caso italiano, Salvini con il grande
supporto di Facebook ha dato spazio alla creazione di un’ideologia nel senso di una costruzione di
un sistema di idee e interpretazioni che “funziona facendoci sentire liberi di scegliere, mentre in
realtà è essa che sceglie al posto nostro” (Procter, 2007: 19), però allo stesso tempo non è imposta
bensì vive grazie ad un consenso indiscusso. Ma come fa l’ideologia leghista a creare consenso?
Attraverso la costruzione del “panico morale” ovvero un clima di ansia sociale che porta a
identificare persone, episodi, condizioni come una minaccia per gli interessi e la sicurezza della
società e quindi una conseguente creazione di capri espiatori su cui spostare queste ansie generali e
Salvini ha creato due principali nemici: gli stranieri e il governo. Il primo viene percepito come un
invasore che minaccia la nostra identità, considerato come un individuo troppo diverso e
impossibile da integrare, lo straniero è sentito lontano perché lo è geograficamente ma dal momento
in cui si avvicina, anche solo attraverso l’immaginazione, fa paura poiché lontananza è anche
sinonimo di paura, sconosciuto. Il governo Renzi invece sembra essere la causa ufficiale di tutte le
problematiche italiane e va di pari passo con il disprezzo per immigrati e “comunisti”. Il successo di
Lega Nord si situa proprio dentro a questa crisi identitaria generale, data appunto dalla
frammentazione del mondo contemporaneo infatti:
“Un elemento significativo del ritorno dei populismi di fronte alle crisi determinate dai problemi economici e
alle difficoltà complessive dei regimi democratici è costituito dalla frammentazione della società,
dall’influenza forte dei mezzi di comunicazione […], dalle visioni etniche o religiose che caratterizzano
molte zone del mondo contemporaneo in questo periodo e in diversi continenti” (Tranfaglia, 2014: 14)
In questo modo l’ideologia leghista ha creato un senso comune cioè una modalità di pensiero
conformista che segnala consenso nei confronti dell’ordine dominante, e viene rafforzato ogni
qualvolta Salvini scrive dei post su Facebook poiché assumono tutti una forma standardizzata
ripetuta nel tempo proponendo sempre la stessa logica di pensiero, in questo modo gli utenti si
abituano a queste concezioni prese come sempre vere e quasi mai contestate dagli stessi sostenitori.
Potrebbe sembrare che in questo modo io neghi l’agency degli individui, riproponendo una
concezione del pubblico passivo, in verità ponendomi entro il paradigma teorico di
codificazione/decodificazione dimostro che chi assume un posizionamento egemonico – dominante
lo fa perché veramente crede in quello che dice poiché il codice di Salvini e dell’utente è lo stesso,
attenzione però: il codice è comunque costruito dal contesto in cui si trova, in base all’ideologia
dominante che la produce. Inoltre per un altro motivo non nego l’agentività degli utenti, attraverso
l’attività di social networking mettono in atto una pratica riproducendo i “significati privilegiati”
(Hall, 1980) basati sul senso comune che conferma le classificazioni del mondo culturale, politico e
sociale.
3. Nuova e vecchia Lega: somiglianze e differenze tra Umberto Bossi e Matteo Salvini
3.1 Temi
Dalla conquista della Padania a quella dell’Italia
Il concetto di Padania deriva dalla costruzione di un sentimento di identità regionale frutto della
mediazione simbolica operata dalle diverse leghe autonomiste prima della nascita del partito della
Lega Nord. Questi mediatori hanno tracciato un percorso volto alla scoperta della storia, dei miti,
della lingua e della cultura comuni alle popolazioni residenti nelle regioni dell’Italia settentrionale
attraverso tre principali vie cioè il recupero e la valorizzazione di tutti gli elementi utili per
rafforzare le identità etnoculturali delle singole regioni, sottolineando il carattere nazionale dei
“popoli” dell’Italia settentrionale evidenziandone caratteri distintivi rispetto al resto del Paese e
denunciando una condizione economica subordinata sfavorevole rispetto alle imposizioni del
governo nazionale. Così le leghe autonomiste hanno cercato di “valorizzare gli elementi storici e
culturali utili a conferire alle popolazioni delle regioni del Nord il carattere di comunità etniche e a
costruire e fare conoscere simboli per identificare le nazioni” (Biorcio, 1997: 114).
Dal 1989 con la costituzione della Lega Nord, Bossi ha prodotto uno spostamento dall’idea di
regioni-nazioni a quella della Padania, una comunità immaginata multiregionale che condivide una
stessa cultura risiedente nel nord Italia, così nasce la fase dell’indipendenza padana nella proposta
politica leghista. La Padania è riuscita ad esistere nella mente della popolazione grazie soprattutto
alla creazione di simboli e rituali di un vero e proprio Stato come la dichiarazione di indipendenza
nel settembre del 1996, un Parlamento e un Governo provvisorio e tale invenzione nonostante sia
stata ritenuta da molti priva di fondamento ha invece trovato una forte radicazione nell’elettorato
leghista. Ciò che ha aiutato a dare popolarità al concetto di Padania è stata l’ostilità nei confronti del
governo centrale incolpato di essere inefficiente e di aver colonizzato il nord sfruttandolo
economicamente a favore delle regioni meridionali, considerate la zavorra dell’Italia in questo
modo la frattura Nord-Sud e la conseguente ideologia antimeridionalista diventano il primo punto di
distacco tra la politica di Bossi e quella di Salvini.
Non esiste più in Salvini l’idea della Padania, è stata completamente abbandonata dato il suo
carattere troppo fantasioso e le ovvie differenze che esistono tra le varie regioni del nord Italia, ora
l’unico riferimento geografico per la Lega Nord è l’Italia intera appellandosi non al popolo padano
ma agli “italiani in difficoltà” senza distinzioni di provenienza regionali. Questo è possibile anche
grazie alla comunicazione digitale che non conosce confini e può arrivare a qualunque utente
cosicché possa avere consenso anche in quelle zone in cui la Lega non è mai riuscita ad arrivare,
infatti se prima l’elettorato leghista era rilegato esclusivamente al nord oggi invece è arrivato anche
a conquistare le zone del centro e penso sia una delle più grandi novità della nuova configurazione
del partito.
La propaganda politica di Bossi si nella seconda metà degli anni ‘80, periodo in cui “la pressione
fiscale e gli altri costi del debito pubblico hanno creato problemi crescenti per il benessere e le
possibilità di sviluppo delle popolazioni dell’Italia settentrionale” (Biorcio, 1997: 133) causata da
una crisi nel Mezzogiorno e la conseguente ridistribuzione di risorse sul territorio italiano che a sua
volta ha dato inizio ad un nuovo inizio migrazione interna. Questo nuovo assetto sociale venne
interpretato come una minaccia per l’etnia settentrionale vedendoci in esso una sorta di complotto
del “governo romano” per la creazione di un’egemonia meridionale in tutto il suolo nazionale
creando uno stereotipo dell’immigrato meridionale da una parte legato alla figura del mafioso e
dall’altra a quella del dipendente pubblico assenteista e inefficiente. Inizialmente le campagne
leghiste sui meridionali non hanno avuto delle conseguenze concrete e sono servite per cercare un
contatto con la gente, ma dopo il primo successo elettorale del partito negli anni novanta il
meridionalismo diventò un tratto distintivo del nuovo soggetto politico. L’ideologia
antimeridionalista in più ha dato la possibilità di far emergere l’ideologia antistatalista contro
“Roma ladrona” e la questione dell’indipendenza della Padania.
Figura 1: manifesti Lega Nord
Questa politica contro il governo è tuttora un cardine della cultura leghista, ma non è più concepita
come uno smacco nei confronti delle sole regioni settentrionali, ma come una condizione che
accomuna tutta la popolazione italiana poiché la crisi è da anni una questione sentita dall’intera
nazione ed è per questo che l’antimeridionalismo non ha più ragione di esistere, senza mettere in
dubbio che ancora resistono gran parte degli stereotipi sugli abitanti del sud Italia. Ormai la
migrazione interna non più sembra risultare una realtà attuale nonostante il sud si stia spopolando
sempre di più, e credo che l’abbandono di questa retorica anti-Sud sia stata una strategia politica
dettata da due eventi principali: la crisi elettorale del partito Forza Italia e il crescente flusso
migratorio verso il nostro Paese. A mio parere la chiusura del sipario sul palcoscenico di Berlusconi
ha lasciato un gruppo consistente di elettori senza guida politica creando un vuoto bisognoso di
essere colmato con un nuovo leader in grado di unificare le masse, così tra la nascita del Movimento
5 Stelle e il nuovo volto della Lega Nord l’elettore medio sia del nord sia del sud ha trovato una
nuova sistemazione nel salotto politico.
Immigrazione
L’ostilità verso gli immigrati è senza dubbio un punto di continuità tra la Lega di Bossi e quella
attuale di Salvini. La polemica contro “l’invasione degli extracomunitari” poggia su tre principali
argomentazioni: la denuncia dell’aggravamento di molti problemi sociali ed economici provocata
dagli immigrati, la necessità di difendere l’identità e la denuncia dei poteri politici che favoriscono
l’immigrazione. Si evidenziano così nella propaganda leghista le conseguenze pratiche della
presenza degli immigrati come il degrado di alcune aree, la minaccia per la sicurezza come
conseguenza di un presunto aumento della criminalità, la diffusione di malattie e la paura del
fondamentalismo islamico. In entrambe le configurazioni leghiste sottende un’idea di impossibilità
di integrazione degli stranieri poiché è diffusa l’idea che “la società multirazziale produce la rottura
degli equilibri necessari all’essere umano, compromette il suo naturale bisogno di identità collettiva
provocando disgregazione sociale” (Biorcio, 1997: 151).
Figura 2: manifesti Lega Nord
Tra l’attenzione dei media nei confronti del fenomeno migratorio e l’aumento delle ansie sociali che
caratterizzano i periodi di crisi il partito leghista è da sempre riuscito a far coincidere questi due
elementi per la creazione della mobilitazione popolare, interpretando la questione immigrazione
come un’invasione organizzata dai poteri politici per l’arricchimento dello stato centrale. Salvini
oggi ha senza dubbio un raggio di azione ben più ampio rispetto a Bossi, appunto per il carattere
pan-nazionale della sua proposta e ha uno spazio mediatico che il partito leghista non ha mai
conosciuto, probabilmente la paura dello straniero già diffusa e radicata ormai da anni rappresenta
una strada molto facile da percorrere, e il nuovo leader della Lega è un buon pedagogista delle
masse popolari. Salvini è riuscito a riportare la politica leghista al passo con i tempi cambiando
soprattutto la sua strategia comunicativa rendendo la sua ideologia un po’ meno pericolosa di
quanto in realtà essa sia in quanto si pone come promotore di uno scontento dell’intera popolazione
italiana, stando a contatto con le persone comuni e comunicando sempre più in modo diretto grazie
all’uso dei social media.
3.2 La leadership
L’immagine
Per immagine intendo qui l’interpretazione del culto del corpo dei due leader a confronto, pensando
ai tratti stilistici come a uno specchio dell’ideologia politica che portano avanti. Vorrei utilizzare la
descrizione di Dematteo per l’immagine del Senatur:
“Il leader della Lega un aspetto irrimediabilmente kitsch: ha deciso di spingere agli estremi il suo look di
persona qualsiasi imitando gli atteggiamenti volgari del gruppo che pretende incarnare […]. Il leader
riproduce l’immagine dei piccoli self made delle Prealpi. Come molti di loro non ha assunto abitudini
borghesi: non ama la buona tavola, trangugia panini, beve bibite, porta un orologio di quelli giapponesi con
la calcolatrice incorporata e sembra sempre aver bisogno di una spazzola ai capelli. Quando è a Roma il
Senatùr fa generalmente lo sforzo di mettersi un completo elegante, ma continua ad avere l’aria di un
contadino con il vestito della festa.” (Dematteo, 2011: 51-52)
Bossi riproduceva la sua ostilità nei confronti della classe politica dirigente rivoluzionando anche i
canoni stilistici della bella presenza, rappresentava l’immagine del lavoratore che non si ferma mai,
dell’uomo del popolo umile ma al tempo stesso cafone, che comunica in modo grezzo e rozzo
facendo arrivare prima il gesto e poi il messaggio. Di Bossi si può ricordare la sua canottiera bianca,
anche qui come simbolo di vicinanza al popolo che veicola però anche una forte idea di mascolinità,
infatti “è presente nell’iconografia popolare italiana, mille volte presente negli scatti dei fotografi:
canotta da muratore, prima di tutto, e poi da operaio” ed è “ritratta in tanti film e fotografie a partire
dagli anni Venti e Trenta” (Belpoliti, 2012: 47) veicolando anche l’immagine di un eroe
ambivalente, insieme positivo e negativo, e di amante focoso. Invece oggi questa presentazione non
evocherebbe più un senso di sicurezza e positività, ma piuttosto potrebbe ricordarci un anti-eroe
fantozziano.
Per quanto riguarda Salvini il tratto più caratterizzante del suo stile sono le felpe. La felpa con
cucite sopra i nomi delle città e i suoi slogan, la felpa è un evergreen è un indumento sportivo di
tutti, dell’uomo che non si ferma mai e che preferisce la comodità. Quindi anche la sua estetica ci
dice che è parte del popolo e si pone al pari di tutti noi, come una persona “normale” che si batte
solo per il bene delle persone.
Rispetto a Bossi, secondo me, disturba meno la vista, è più giovane e meno goffo e nonostante il
suo linguaggio sia rimasto volgare risulta più rasserenante agli occhi delle persone comuni, e grazie
alla sua attività online è diventato un personaggio noto sempre presente nel nostro quotidiano.
Centralità del leader
Umberto Bossi si è imposto come una figura senza dubbio centrale nella produzione dell’ideologia
leghista, è lui che è riuscito a portare il partito alla notorietà, attraverso i suoi richiami simbolici
della tradizione popolare e i suoi valori, ha dettato le regole della Lega Nord e ha dimostrato quanto
la politica possa essere per tutti e che il popolo non ha bisogno di una élite culturale per la
mediazione dei problemi e la loro risoluzione. Bossi si può considerare come un padre fondatore per
il quale si nutre un senso di rispetto e sottomissione, ma nonostante la figura del leader era
fortemente centrale ha lasciato comunque spazio a figure che a livello mediatico hanno avuto molto
eco. Si ricordi ad esempio Mario Borghezio e Roberto Calderoli perfetti cloni di Bossi, con le loro
numerose dichiarazioni razziste, omofobiche, offensive e i gestacci in pubblico durante i comizi.
Oggi invece il partito sembra essere centrato tutto nell’unica figura di Matteo Salvini, non abbiamo
altri personaggi leghisti noti a livello nazionale, paradossalmente l’idea che la politica è di tutti gli
altri personaggi della Lega sono diventati gli elettori e simpatizzanti stessi. Attraverso l’interazione
tramite Facebook ormai chi fa politica è il popolo, si è visto come attraverso i commenti ai post di
Salvini si riproducano gli stessi comizi che potrebbero essere paragonati a quelli di un Borghezio
qualunque, con la stessa retorica della volgarità, il linguaggio urlato rispecchiando ad hoc
l’immagine del leader. Credo che Salvini rispecchi molto l’immagine di Berlusconi considerato un
vero e proprio Dio del partito che invase tutto il palcoscenico di Forza Italia, monopolizzando la
comunicazione nazionale e come lui, Salvini su Facebook mette in atto la pratica della censura
bannando gli utenti che lo contestano creando una sorta di dittatura comunicativa, riattualizzando
anche il disprezzo per i “comunisti”, che in Bossi era del tutto assente.
4. Conclusione
La pagina Facebook di Matteo Salvini è diventata uno degli strumenti più importanti della
propaganda politica dell’ideologia leghista, il leader attraverso i suoi post rivolti a tutta la
popolazione senza distinzioni geografiche ha dato senso di esistere ad una comunità immaginata
che va oltre la tradizionale appartenenza ad un partito. Il leader attraverso il social networking
costruisce un pensiero basato sul modello populista con il quale si autoproclama portavoce dell’itera
popolazione nazionale presentandosi come una persona comune sia per i temi che affronta sia per il
linguaggio usato. L’appartenenza a questa nuova comunità, in questo caso virtuale, si basa su una
codifica ideologica del messaggio digitale che innalza la bandiera della xenofobia e tolleranza zero.
Prima caratteristica che identifica l’appartenenza a tale ideologia è l’uso comune di un linguaggio
rozzo e popolare che evoca un pensiero che non ammette mediazioni. L’uso esagerato e ridondante
di frasi e parole in maiuscolo infatti sono la trasposizione sullo schermo di quello che potrebbero
essere dei cori da stadio o dei comini in piazza, sono degli sfoghi liberatori privi di qualsiasi
inibizione, infatti su questa pagina Facebook si entra in una realtà letteralmente parallela a quella
della vita reale in cui tutti, Salvini compreso, si sentono liberi di poter dichiarare qualsiasi rivelando
così quanto le persone credono che la vita online sia più accessibile di quella offline.
È allarmane quanto il discorso razzista sia così naturalizzato e si basi su una concezione di
categorizzazione netta dei generi umani per cui gli stranieri sono tutti clandestini e criminali e chi
arriva qui non è per scappare dalle guerre ma per farsi mantenere, i “comunisti” e i centri “a-sociali”
sono la trasposizione all’italiana degli stranieri e anch’essi vivono sulle spalle della popolazione ed
è impressionante come ogni evento possa diventare oggetto di commenti razzisti, ma di più lo è il
fatto che queste persone non si considerano razziste ma dei semplici difensori dei propri interessi.
Ho riportato alla luce a convinzione leghista del complotto del governo nei confronti degli italiani
agevolando l’immigrazione a scapito dell’economia e del benessere nazionale, un governo che
Salvini promette di ribaltare per farlo andare per il verso giusto.
In questo modo con la sua attività social a dir poco invasiva il leader leghista sta incarnando sempre
di più le vesti di un eroe mitico, che con il coltello fra i denti lotta contro tutti i mali, attraverso
principalmente la creazione di panico morale. In questo periodo di crisi l’individuazione dei nemici
è alla base della corrente politica della Lega Nord, per poter semplificare una realtà destabilizzante
e liquida come quella attuale un buon leader populista deve costruire un immaginario collettivo che
permetta di dare ordine e senso a degli avvenimenti di portata globale che però non per forza
toccano da vicino le realtà delle persone.
Come già detto più volte questa tesi si basa su una ricerca netnografica, ovvero svolta
esclusivamente dentro e attraverso il mondo digitale, poiché uno degli scopi principali era
dimostrare come le persone anche solo attraverso la pratica online producano un’esperienza piena di
significato, senza dover indagare la vita fuori dal web, anzi proprio per la sensazione di realtà
sospesa e di libertà d’azione che Facebook e i social media offrono viene a creare una realtà del
tutto diversa degna di uno sguardo etnografico che usi dei paradigmi teorici e metodologici ad hoc.
Per quanto mi riguarda credo sia stata un’esperienza appassionante e al tempo stesso faticosa, da
una parte la confidenza con le piattaforme social mi ha agevolata durante il periodo di raccolta dati,
dall’altra sottopormi ad una realtà così diversa dal mio modo di pensare ha messo in gioco la mia
sensibilità. Generalmente gli antropologi affermano che instaurare un rapporto empatico con
l’oggetto di studio sia la chiave per riuscire a comprendere al meglio le problematiche studiate, ma
nel mio caso è stato impossibile immedesimarmi nell’oggetto perché non condivido lo stesso codice
culturale di lettura della realtà, se fossi stata io stessa l’oggetto dello studio potrei dire che ho
mettevo in atto un tipo di decodifica oppositiva, e per poter esporre un’analisi e un’interpretazione il
più oggettive possibili ho dovuto ricorrere a meccanismi di difesa che creassero una distanza di
sicurezza dall’oggetto studiato.
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Sitografia
Pagina Facebook di Matteo Salvini (https://www.facebook.com/salviniofficial/?fref=ts)
Lega Nord (http://www.leganord.org/)