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CENTRO DI STUDI FILOLOGICI E LINGUISTICI SICILIANIPresidente del Consiglio Direttivo: GIOVANNI RUFFINO

B O L L E T T I N O

Rivista annuale

Iscrizione in data 9 marzo 1955 al n. 3 del Registro Periodici del Tribunale di Palermo

Direzione e redazione: Centro di studi filologici e linguistici siciliani, Dipartimento diScienze umanistiche dell’Università di Palermo, Viale delle Scienze, ed. 12, 90128 Palermo,Tel. +39 091 23899213 - Fax +39 091 23860661, e-mail: [email protected], sito web www.csfls.it;Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, Piazza Dante, 24, 95124 Catania,Tel. +39 095 7102705 - Fax +39 095 7102710

COMITATO SCIENTIFICO

Roberto Antonelli, Henri Bresc, Francesco Bruni, Rosario Coluccia, Mari D’Agostino,Mario Giacomarra, Adam Ledgeway, Franco Lo Piparo, Antonino Pennisi, MaxPfister, Natale Tedesco, Alberto Varvaro

COMITATO DI DIREZIONE

Margherita Spampinato, Gabriella Alfieri, Luisa Amenta, Marcello Barbato,Marina Castiglione, Costanzo Di Girolamo, Mario Pagano, Salvatore ClaudioSgroi, Salvatore C. Trovato

COMITATO REDAZIONALE

Salvatore Arcidiacono, Michele Burgio, Tiziana Emmi, Aldo Fichera, SalvatoreMenza, Daria Motta, Pasquale Musso, Iride Valenti

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PA L E R M O2 0 1 2

TUTTI I DIRITTI RISERVATI

© 2012 CENTRO DI STUDI FILOLOGICI E LINGUISTICI SICILIANI - PALERMO

I singoli contributi sono peer reviewed da un comitato di lettura costituito daalmeno due valutatori esterni

ISSN 0577-277X

Volume pubblicato con il contributo dell’Assessorato Regionale dei BeniCulturali e dell’Identità Siciliana

PERCORSI DEL SIGNIFICATO:CONSIDERAZIONI SUL SIC. SCIARA*

1. Nelle riflessioni di Saussure sul mutamento linguistico, l’oggettod’indagine prediletto è stato quello relativo allo «spostamento del rap-porto tra il significato e il significante»1, vale a dire al cambiamento dellegame che unisce le due facce del segno linguistico e che conduce, in-fine, a una nuova organizzazione del sistema. Le conseguenze di questopunto di vista, pur debitamente sottolineate nell’immensa bibliografia svi-luppatasi intorno al Cours, non cessano ancora oggi di essere motivo diripensamento sulla lezione del Maestro ginevrino. Mi riferisco in parti-colare al fatto che, in un’ottica di tal genere, è stata in parte trascuratala diversità tipologica che distingue il cambiamento del signifiant rispet-to a quello del signifié.

Nel mutamento del primo, difatti, data una forma A, questa generasempre e solo una singola forma B2. Eccezioni a questa tipologia del cam-biamento linguistico, ovvero la possibilità, data una forma A, di origina-re due diverse forme (B e C), sono sostanzialmente consegnate ai processidi allotropia, i quali ovviamente non incidono sulla validità di questo sche-

* Il presente lavoro si inquadra nell’àmbito del Progetto PRIN 2008 (Contatto tra varietàe mutamento nella diacronia linguistica del Mediterraneo nord-orientale). Ringrazio in primo luogoElvira Assenza; inoltre: Lucia Abbate, Joseph M. Brincat, Sandro Caruana, Annamaria Chilà,Franco Fanciullo, Valentina Gasbarra, Giuliano Mion, Laura Mori e Alessia Ruggeri per ipreziosi suggerimenti. Mie restano le responsabilità di quanto è qui scritto.

1 Cito, qui e altrove, dalla tredicesima edizione italiana del Cours curata da De Mauro(1997: 93 e relativo commento; 421, nota 154).

2 Cfr. Saussure (1967 = 1997: 189): «[…] uno stesso elemento non può essere sottomessosimultaneamente e in uno stesso luogo a due trasformazioni differenti; ciò sarebbe contrario allastessa definizione di cambiamento fonetico. Per se stessa l’evoluzione dei suoni non ha la virtùdi creare due forme invece d’una».

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3 Cfr. anche quanto affermato dal Saussure a proposito dell’alternanza di due formederivanti da una stessa base: «È un errore, condiviso da molti linguisti, credere che l’alternanzasia d’ordine fonetico, semplicemente perché i suoni ne formano la materia e le loro alterazioniintervengono nella sua genesi. In effetti, la si consideri nel punto di partenza o di arrivo,l’alternanza appartiene sempre alla grammatica e alla sincronia» (Saussure 1967 = 1997: 191).

4 Si veda in tale direzione la critica di Belardi (2002, II: 150-151) al principio dellaregolarità del mutamento semantico prospettato in Traugott-Dasher (2001).

ma, essendo solo una delle due forme di trafila diretta3. Il principio cheè dietro questo fenomeno è noto: l’evoluzione del significante è cambia-mento ininterrotto di una materia fonica che, pur nell’alterazione e nelprogressivo deperimento del materiale fonico-acustico lungo l’asse del tem-po, rimane sempre “la stessa”.

Al contrario, nell’evoluzione del significato, A può generare due (opiù) significati B e C, che non rappresentano necessariamente tappe dia-cronicamente distinte e succedanee di uno stesso mutamento, ma posso-no costituire i prodotti, compresenti in uno stesso stadio sincronico, didue percorsi evolutivi differenti. La ragione di questa possibilità di per-corso differenziato risiede nel maggior grado di astrattezza che caratteriz-za il signifié rispetto alla sua controparte fonico-acustica. Questa stessamotivazione, come ha chiarito Belardi (2002, I: 57), spiega perché i tem-pi del cambiamento del significante siano in genere più rallentati rispettoa quelli della nozione che a tale significante è associata:

i significati, sulle lunghe distanze temporali, tradiscono i frequenti e rapidimutamenti che avvengono nel campo nozionale culturale, mentre analoghise pur diversi mutamenti non si fanno sentire, di regola, con la medesimaintensità sui significanti, i quali di regola si evolvono più lentamente.

E, con lo stesso principio, si motiva la maggiore regolarità del mu-tamento del significante rispetto alla più evidente impredicibilità del si-gnificato, il quale, essendo guidato da un fattore noetico quale l’associa-zionismo di idee tramite processi metaforici e metonimici, prodotto dellalibera creatività del parlante, si sottrae a quella sistematicità che invece re-gola il mutamento della forma esterna e materiale del segno linguistico4.

Questa differenza nel cambiamento delle due parti del segno lingui-stico deve essere sempre considerata con estrema attenzione dagli studio-si di semantica diacronica. Così, avvicinandoci al caso qui in esame, se dauno stesso significato A si generano, per via dei rapporti associativi sopraricordati, due diversi significati B e C, questi non soltanto possono nonessere più riconducibili sincronicamente alla comune sorgente A, ma pos-sono anche non essere necessariamente ricollegabili tra loro per mezzo diun’unica filiera evolutiva. Pertanto, qualora si voglia rintracciare il muta-mento che ha condotto a tali esiti, lo studioso è costretto a recuperarepiù di una linea di sviluppo, al contrario di quanto invece è tenuto a fa-

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5 Raccolgo in tre diversi gruppi gli undici valori del termine sciara elencati dal VS, aiquali aggiungo il significato dei derivati presenti nel medesimo vocabolario, i dati dell’AIS,dell’ALI e del SVS (comunque presenti nel VS), oltre ad alcuni dati provenienti dalle mieinchieste sul campo (Valle dell’Alcantara, Val d’Agrò, Lipari e Vulcano, nel periodo settembre-novembre 2011) e da quelle di altri due raccoglitori: la dott.ssa Gaia Pellegrino per l’areatrapanese, e Salvatore Amedeo Ciminata per l’area dei Nebrodi. I significati desunti dai datiricavati da tali inchieste sono contrassegnati nel testo con un asterisco. Per una similelemmatizzazione, cfr. Assenza (2004: 28-30) e Lanaia (2010: 359-360).

re nel ricostruire le tappe, queste sì svoltesi lungo un’unica e sola diret-trice, del corrispettivo signifiant.

Credo che una difficoltà di questo genere abbia incontrato chi si èoccupato dell’etimologia e dell’iter semantico del sic. sciara.

2. La questione dell’origine di questo termine, oggetto di un consi-derevole numero di proposte etimologiche, è di recente tornata all’atten-zione degli studiosi grazie a un approfondito lavoro di Alfio Lanaia (2010).Il problema è soprattutto legato ai diversi valori che il termine presentain siciliano, e che alla maggior parte degli studiosi sono sembrati non fa-cilmente riconducibili a una base unica. Le molteplici accezioni di sciarae derivati in siciliano possono fondamentalmente ricondursi a tre diversinuclei semantici, che schematizzo nel modo che segue5:

(1) ‘lava, magma’; ‘terreno lavico di difficile coltura e modesto ren-dimento’ (area etnea); ‘zona di lava’ (Bronte [CT]); sciaredda ‘terreno la-vico di difficile coltura e modesto rendimento’ (Sant’Alfio, Fleri e Via-grande [CT]); sciaruni ‘id.’ (Sant’Alfio e Paternò [CT]); sciarusu agg. ‘diterreno lavico e part. tufaceo’ (area etnea e Mazzarino [CL]).

(2) ‘terreno pietroso non coltivabile’ (Ragusa; Catenanuova, EN[SVS]; Taormina [SVS] e Castroreale, ME [SVS]); ‘terreno arido e sasso-so su cui crescono principalmente palme nane e macchia mediterranea’(Trapani, Paceco [TP])*; ‘terreno improduttivo in quanto roccioso sul qua-le crescono spontaneamente capperi, piante grasse e macchia mediterra-nea’* (Marsala [TP]); ‘terreno ghiaioso’ (Francofonte [SR]); ‘terreno sab-bioso e pietroso, come il letto di un torrente, restituito di recente allacoltivazione’ (Giarratana [RG] e Ragusa); ‘pietraia, ammasso naturale dipietre’ (Motta Camastra e Alicudi [ME]; S. Maria di Licodia e Castel diJudica [CT], Catania); ‘rupe, grande roccia isolata’ (Mazzarino [CL]); ‘sco-scendimento di una parete rocciosa sulla costa’ (Malfa [ME]); ‘terreno inpendenza e franoso; canale su un pendìo montuoso dove si deposita ma-teriale detritico e franoso’* (Lipari e Vulcano [ME]); ‘spaccatura nel ter-reno’ (S. Marco d’Alunzio [ME])*; ‘terreno sassoso non coltivabile e didifficile accesso’ (Roccella Valdemone, ME)*; sciarata ‘pendio’ (Lipari[ME]); sciarella ‘terreno pietroso non coltivabile’ (Bronte [CT]).

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6 Per questa località, dai dati di Ciminata, segnalo il sintagma sciara di ruvetti. 7 Per le testimonianze lessicografiche del termine fino al Settecento, cfr. Jiménez-Ezquerra

(2007), s.v. jara. Per una descrizione esaustiva, cfr. Diccionario de autoritades, s.v. xara, con laspecificazione che si tratta di una pianta con foglie quasi rotonde e ruvide, con fiori bianchidisposti senza ordine e radici legnose e ramose, che cresce frequentemente «en las sierras, y enparticular en las tierras calientes» (p. 535). Nella lessicografia castigliana è spesso identificatacon una pianta del genere Cisto, dalla quale si ricava un tipo di gomma usata nelle pomate,spesso glossata con il lat. laudanum o myrica, o con lo sp. mata (conoçida).

8 Simile valore ha il cal. (San Roberto, RC) jara ‘specie di ginestra’ (NDC).9 Per altre proposte etimologiche sarà qui sufficiente rinviare ad Assenza (2004) e Lanaia

(2010). In questa sede mi limito a ricordare l’ipotesi, avanzata nel DEI, di un accostamentoall’ancon. sciara ‘lunga scia, fiumana’, da scia, scïare (XVI sec.) lett. ‘vogare a ritroso per fermareo per far voltare l’imbarcazione’ (DEI).

(3) ‘rovo, roveto, siepe viva; sterpaglia; terreno di macchia fitta’ (Fiu-medinisi [SVS], Mandanici [AIS III, 608 p. 819cp ‘rovo’; AIS VII, 1422, p.819 ‘siepe’], Nizza di Sicilia, Antillo, Sàvoca, Roccafiorita, Forza d’Agrò, S.Lucia del Mela [SVS], S. Piero Patti, Frazzanò6, Capri Leone*, S. Fratel-lo*, S. Teodoro, Capizzi, Mistretta, tutte in provincia di Messina; Gravina diCatania [CT]; Cerami, Troina, Sperlinga [AIS III, 608 p. 836 ‘rovo’], Vil-ladoro, Gagliano Castelferrato, Centuripe, Leonforte, Calascibetta [AIS III,608, p. 845 ‘rovo’], tutte in provincia di Enna, compreso il capoluogo; Pol-lina, Castelbuono [ALI, Genchi-Cannizzaro 2000], Bompietro [ALI] e Bau-cina [AIS VII, 1422, p. 824, SVS ‘siepe’], tutte in provincia di Palermo);‘capigliatura lanosa e ispida’ (Gratteri [PA]); sciarata ‘siepe fatta, siepaglia’.

Per i significati riportati ai punti (2) e (3) è generalmente accettatala derivazione, proposta tra gli altri da Vinci (1759), da Wagner (1932),da Amari (1933-39), e poi presentata in maniera più articolata da Pelle-grini (1965: 70-71; 1972: 275-276), dall’arabo šá‘ra (per šá‘ra) col valoredi ‘bois, lieu planté d’arbres’, ‘buisson, hallier’ (Dozy, 1877-1881, I: 763a).Tale valore si è conservato nel giudeo-spagnolo šara ‘Wald’ (Wagner 1932:659), mentre nelle restanti varietà ibero-romanze il campo semantico si èallargato a comprendere anche i valori di ‘specie di pianta mediterraneadel genere cisto’, cfr. cast. jara (1a doc.: xara, sec. XIII) ‘arbusto de la fa-milia de las cistíneas7; bosquecillo, matorral’ (DELCat); cat. xara ‘garriga,bosc d’arbusts o mates’ (1a doc.: a. 1313, DCEC), port. xara (1a doc.: XIIIsec., Machado, V: 411 ‘mata, brenha’; enxara nella toponomastica), tuttiriconducibili a una base arabo-andalusa iššáʕra (Corriente 1999: 306)8.

Per ciò che riguarda il significato di ‘lava’ e simili è stata invece pro-posta, tra le altre, la base latina FLAGRARE (Alessio 1962; Sinicropi 1983,indipendentemente l’uno dall’altro), che è all’origine, oltreché del rom. ant.fiarare, abr. flararse, di una serie di derivati a suffisso zero, quali, tra que-sti, il prov. flar (> tosc. fiara) ‘grossa luce, fiamma che divampa’ e il cal.cara ‘ardore del forno’ (REW 3348)9. Lanaia evidenzia tuttavia una diffi-

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10 Il significato di ‘corrente di lava’ è documentato a partire dal Canto sull’eruzione etneadel 1408 di Andria di Anfusu, nelle forme <xara> (vv. 28-30) e <li xari> (vv. 73-75).

coltà fonetica, dovuta alla presenza nella forma sciara di una fricativa pa-lato-alveolare intensa iniziale ([ʃʃaːra]), di contro all’esito siciliano del nes-so FL- iniziale, che produrrebbe normalmente una [ʃ] scempia: da qui laproposta di una base AFFLAGRARE — attestata in diverse varietà meridio-nali, ma non nel siciliano — rianalizzato come un parasintetico per ana-logia ad altre simili formazioni, quali ad esempio acciuncari ‘storpiare’ <ciùncu, asciurari ‘setacciare più volte la farina fino a separarne il fiore’ <çiùri (Lanaia 2010: 364 e nota 15).

Se la proposta di due diverse basi è stata in grossa parte causata dal-la distanza semantica tra i significati (1) e (3), che ai più è sembrata po-co giustificabile partendo da un unico etimo, minore approfondimento èstato invece rivolto alla variazione semantica tra i significati (2) e (3). Chiipotizza una trafila che giustifichi una comune origine per i valori di ‘ter-reno pietroso’ e ‘roveto’ si basa sostanzialmente su un lavoro di Wagner(1932: 657-660), in cui si evidenzia come in contesti geomorfologici me-diterranei un terreno incolto venga nel tempo occupato da una vegeta-zione spontanea, tipica della macchia mediterranea:

[…] wo der Boden nicht angebaut wird oder nicht anbaufähig ist, wo ervon Felesen und Steinen bedeckt ist, die Sträucher und Pflanzen der Bu-schwaldzone wuchern, Cistus- und Lentiskussträucher, Myrten, Ginsterarten,Erdbeerbäume, Thymian, Lavendel usw.

Ciò dunque chiarirebbe perché lo stesso significante sciara possa rin-viare a due referenti apparentemente così distanti sul piano semantico.

Tuttavia, seguendo tale ipotesi, dovremmo partire dal valore inizialedi ‘terreno incolto’ o simili, laddove, come si evince dal confronto conl’ibero-romanzo, il valore originario del termine arabo šá‘ra, almeno cosìcome si è diffuso nella Romània, parrebbe piuttosto quello di ‘bosco, luo-go piantato ad alberi’ etc.; semmai, è esattamente la trafila inversa a quel-la tracciata dal Wagner che andrebbe eventualmente ricostruita.

A rendere poi poco accettabile una tale filiera semantica sono i si-gnificati di sciara in sic. antico. Qui i valori elencati ai punti (2) e (3) sem-brerebbero molto più distanti l’uno dall’altro di quanto induca a ipotiz-zare la documentazione moderna10. Corrispondenze del tipo ar.ša‘ra’…farašah (Cusa 1868: 605, r. 9, a. 1242) = nemus quod dicitur far-rase (= ib. 603, r. 28); aš-ša‘ra’ (ib.: 216, r. 2; 217, r. 4, a. 1182) = lat. sil-va (ib. 188); ar. ša‘ra’ (ib.: 222, r. 17; 230, r. 18) = nemus (ib.: 181, 194);ar. ša‘ra’ nizar ‘la boscaglia di Nizar’, alla sorgente del fiume Salso (Edri-si 50, cfr. Pellegrini 1972, I: 327; AMS: 390; DOS, II: 1490) implicano il

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11 L’ipotesi è accolta anche in Cortelazzo - Marcato (1998: 390), con la specificazione che«non mancano proposte alternative».

rinvio a un referente che è in un rapporto di quasi antinomia rispetto aquello al quale rimanda il termine sciara negli atti notarili trapanesi tar-do-quattrocenteschi raccolti dal Caracausi (AMS: 391; per l’esattezza: a.1455, 1467, 1470 e 1476). In particolare, in uno di tali documenti è si-gnificativa la contrapposizione tra terre “sciare” e terre lavorate (cum ter-ris xaris et laboratis, not. Cirami, 15 dicembre 1470), e in un altro ap-pare evidente il valore di terreno incolto, dove crescono giummare e dise(«locavit et affidavit […] omnes terras xaras ipsius Santori existentes incontrata anfudice, inclusas de iummariis et disis», not. Cirami, 23 no-vembre 1470).

Alle testimonianze riportate dal Caracausi posso inoltre aggiungerel’attestazione toponomastica contenuta in una pergamena siciliana del 3aprile 1343, nella quale si documenta la donazione da parte di Nicolò diLauria, cittadino di Catania, a Filippo de Gregorio, suo familiare, delleterre nel territorio di Aci («in territorio Iacii in contrata de Petris vivisque dicitur Xara», cfr. Sciascia 1994: 296), dove la presenza di Xara as-sociata al sintagma locativale de Petris vivis sembrerebbe ricondurre il ter-mine al valore di ‘terreno pietroso’.

2. Le difficoltà insite nel ricondurre a un unico etimo i diversi valo-ri di sciara in sic. hanno indotto la maggior parte degli studiosi a proporrestrade alternative. In particolare, Pellegrini (1965 e 1972) ipotizza un in-crocio tra l’arabo šá‘ra e una seconda base, sempre araba, ovvero �harra(h)‘terra seu regio petrosa; locus lapidibus nigris, exesis et quasi igne adustisconstans’ (Freytag 1830-1834, I: 360); ‘pays rocailleux; terrain couvert depierres noires comme si elles étaient rongées et noircies par le feu’ (Ka-zimirsky, I: 401a); ‘steinige Gegend; vulcanisches Gebiet, Lavafeld’ (Wehr1961: 149). Semanticamente, la corrispondenza tra la voce araba e quellasiciliana calza perfettamente e consentirebbe di giustificare, partendo daun’unica base, tanto il valore di ‘terreno roccioso’, tanto quello di ‘lava’(e simili)11. Tuttavia, tale ipotesi presenta difficoltà fonetiche non facilmentesuperabili. L’esito [ʃ(ː)] della fricativa faringale sorda iniziale, consideratoda Caracausi «uno dei normali esiti siciliani dell’ar. h», è al contrario ri-tenuto anomalo da Lanaia (2010: 363), dato per «[…] assodato che tuttele fricative postvelari dell’arabo (/h§/, /h ≥/, /h/) vengono adattate nel sici-liano con /h/, /f/, /k/ […], mai con /š/», secondo quanto illustrato in unapprofondito lavoro di Trovato (1995). Questa difficoltà è però a mio av-viso non insormontabile: non tanto perché, come sostiene Pellegrini (1965:71), «un h arabo, fortemente articolato, poteva essere reso in alcuni dia-

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12 Cfr. in particolare Vàrvaro (1979).13 In maniera simile, Fanciullo (2004: 84), collegando il castelbuonese fàia ‘rovo, sterpi

con cui si cingono i muretti degli ovili al fine di impedire agli animali di uscirne’ (Genchi –Cannizzaro 2000, s.v.) al sic. gaia ‘siepe viva’, ricorda come tale termine appaia in sic. in unampio ventaglio di varianti (k-, γ-, [ʧ]-, s-, Ø iniziali), le quali rappresentano le rese perprossimità fonetica di un fono sostanzialmente estraneo al sistema del siciliano, ovvero la fricativasorda iniziale del fr. ant. haie ‘clôture faite d’arbres, d’arbustes ou d’épines qui s’entrelacent, debranches sèches’.

14 Elenco, senza alcuna pretesa di esaustività, qualche esempio a riguardo. Caracausi (AMS:168-169) menziona un feudo «Xangirotta sive Sangirotta vel Changirotta», presumibilmente dal-l’ar. hagīrah ‘lapidibus conferta (terra)’ (Freytag 1830-1834, I: 346b, cfr. l’odonimo Kaggèra aPalermo), o piuttosto dall’ar. hagrah ‘lapidibus abundans (terra)’ (ib.: 346a); ‘sol pierreux, abon-dant en pierres’ (Kazimirski 1860, I: 382a). Una torre tra Marsala e Trapani reca il nome Scia-diddi (DOS, II: 1488), attestata dalle fonti antiche in una molteplicità di varianti, tra le qualiricordo qui Xiadiddi (Amico 1886: 461) e Xadiddi (ib.: 669), dall’ar. hadīdī ‘ferruginoso’ (Dozy,I: 256a), riferito a un originario ‘ayn ‘fonte, sorgente’. Tra i continuatori dell’ar. habb ar-ra’s lett.‘grano della testa’, il sic. ha, da un lato, il tipo ˹cabbarasi˺ (e varianti) ‘erba che cresce in luo-ghi umidi e uccide i pidocchi (Delphinium staphisagria)’ (Pellegrini 1972: 186; VS; VES; Tro-vato 1995: 283); dall’altro, il cognome, di area agrigentina, Sciabbarasi (AMS: 167; DOS, II:1486 s.v. Sciabarrà; Caffarelli - Marcato 2008: 1546) il quale, assieme a numerose varianti (Sciab-barrasi, Scibbarrasi, Sciabarra, Sciabarrà, Sciabbarrà, Sceberras, cfr. anche l’oronimo maltese ScebErras) mostra un’evoluzione ar. h> sic. [ʃ].

15 Su questo tipo lessicale cfr. Lanaia (2003: 88-89).16 Non va esclusa la possibilità che in certi casi i raccoglitori dei dati per le carte

letti siciliani con š, se si tiene in considerazione tale oscillazione di χ: š,ad es., in alcuni nessi consonantici con l», dato che tale allofonia riguardasemmai gli esiti del lat. FL- e non certo quelli dell’ar. h. Piuttosto, sepensiamo al polimorfismo (lessicale, ma non solo) che deve aver carat-terizzato il sic. medievale rispetto a quello moderno – come magistral-mente illustrato da Alberto Vàrvaro12 – e se pensiamo al fatto cheun’eventuale resa con /ʃ/ rappresenta nient’altro che una delle possibilirisposte romanze alla fricativa araba, al fine di riprodurre il modo di ar-ticolazione del fonema in questione, così come avviene nell’adattamentodi voci da altre tradizioni linguistiche13; se pensiamo tutto questo, dice-vo, una corrispondenza ar. [h ≥] > sic. [ʃ(ː)] non mi pare, almeno per lafase antica, escludibile a priori sulla base anche di semplici considera-zioni di fonetica articolatoria14.

Il problema maggiore dell’ipotesi del Pellegrini riguarda piuttosto lapresenza di una -[r]- scempia, presente nel sic. sciara, a fronte della basearaba con -[rː]-. Tale differenza è giustificata ancora dallo studioso col ri-chiamo a una serie di varianti di sciara, che presenterebbero la geminatainvece della scempia (sciarra). Per ciò che riguarda il nome comune, sitratta di una serie di forme, quali perciasciarra, var. di perciasciara ‘galli-nella d’acqua’ (lett. ‘forasiepe’)15, sulla cui effettiva esistenza si può solle-vare, con Lanaia (2010: 361, nota 6), più di un dubbio.

Relitti di un tipo ˹sciarra˺ sarebbero documentati anche nella topo-nomastica, così come riportato dal Caracausi (DOS, II: 1491 s.v. Sciar-

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dell’Istituto Geografico Militare e del Touring Club Italiano, da cui sono tratti i toponimi raccoltidal Caracausi nel DOS, abbiano male interpretato la corretta pronuncia del termine, nonintendendone l’accezione originaria. Così deve verosimilmente essere avvenuto per il toponimoPunta della Sciarra del Monte, attestato nelle carte I.G.M. a Vulcano (ME). Da mie ricognizionipersonali (novembre 2011), gli abitanti di Vulcano designano tale località, in realtà pococonosciuta anche agli stessi isolani (è nota difatti più frequentemente col nome di Piscina diVenere, tra Punta del Monaco a Nord e Testa Grossa a Sud), come Sciara di Lentìa, conriferimento al versante del monte affacciato sul mare, situato sulla costa nord-orientale dell’isola.Ugualmente dicasi della località liparota che nelle carte I.G.M. è frequentemente riportata comeSciarra di Monte Rosa, non distante dal porticciolo di Pignataro, nella zona occidentale dell’isola.Anche in questo caso i miei informatori conoscono il microtoponimo esclusivamente come Sciaradu Monte Rosa, identificando senza alcuna esitazione tale denominazione localistica con il nomecomune sciara, col valore, tra gli altri, di ‘vallone della montagna nel quale si deposita franandociottolame e materiale detritico’ (cfr. di seguito nel testo). D’altra parte, tali designazionitoponomastiche, vulcanote e liparote, presentano maggiore congruità con altre attestazionitoponomastiche eoliane riconducibili a sciara, a cominciare da Sciara del Fuoco a Stromboli,Sciarato, Serro di Sciarato e Sciara Portella a Salina, Sciaratello ad Alicudi, Costa dello Sciarato eSciara a Filicudi. Ringrazio Lilly Bellino, Giuseppina Costa e Giuseppe Iacolino, di Lipari, peril supporto e le utili informazioni a riguardo.

17 Va invece esclusa, a mio avviso, una derivazione di tali forme toponomastiche dal lat.EXERRāRE ‘deviare, sbandare’ (DEI V: 3397 s.v. sciarare), ipotesi menzionata anche da Caracausi(AMS: 393, nota 312). La forma verbale latina, che è alla base del fr. ant. esserrer ‘sviare, indurrein errore’, prov. eiserrar, nelle varietà calabro-sicule deve essersi presumibilmente incrociata conil tipo ˹sciarra˺ < ar. šarra(h) (Pellegrini 1972: 226), come si evince dal significato del cal. scerrare‘questionare’, scerrá ‘rimproverare’, scirarri ‘litigare’ e dei derivati cal. scerra, variante di sciarra(NDC), che vale, oltreché ‘delirio, sproposito; rimprovero’, anche ‘zuffa, rissa, lite’, e sic. scerra‘bisticcio, lite, rissa, screzio’ (VS), tutte forme con /e/ tonica (a meno di ritenere tale /e/,relativamente alle forme calabresi, originatasi per incrocio con scerra ‘ferro vecchio da cavallo’,

ra)16 e, per la fase antica, in AMS: 1491 (Scharri presso Forza d’Agrò, a.1117; Xarra presso Trapani, not. Miciletto, 29 settembre 1439). A questidati posso aggiungere ancora, per l’area dei Peloritani, Sciarra, nome diuna contrada nei pressi di Mongiulfi (ME), e Sciarrone (dial. Sciarruni),contrada nei pressi di Malvagna (ME) (Abbate 2008: 39 e 41). Queste te-stimonianze vanno però utilizzate con estrema cautela, non tanto perché,come sostiene Lanaia (2010: 361, nota 6) sulla scorta di Caracausi (DOS,II: 1491), si tratta di località solo in parte collocate in zona vulcanica,obiezione facilmente superabile se si considera l’accezione originaria di‘terreno pietroso’ (e non soltanto di ‘lava’) del termine sciara, valore nonnecessariamente collegato ad aree vulcaniche. Il problema maggiore risie-de piuttosto nell’esistenza di possibilità alternative di derivazione. In par-ticolare, alcune di queste forme non andranno separate dall’arabismo sciar-ra ‘lite, contrasto’ < ar. šarra(h) ‘rissa, inimicizia, ostilità’ (Pellegrini 1972:226), ipotesi nient’affatto escludibile almeno per alcune di queste località:basterà ricordare la presenza, nello stesso territorio siciliano, di forme to-ponomastiche quali Colle del Contrasto, Portella del Contrasto, località po-ste allo spartiacque tra il versante tirrenico e quello ionico della Sicilia asud di Monte Castelli, giustificate da Pellegrini (DTop) con una possibileallusione a dissidi forse per questioni di proprietà17.

Percorsi del significato: considerazioni sul sic. sciara 193

scerarre ‘sferarre, scattare’, cfr. Alessio 1957-58: 136-37). Tuttavia, la totale assenza di forme con/e/ tonica tra quelle onomastiche sopra elencate, mi sembra rappresenti un indizio control’origine (o, eventualmente, l’incrocio) da EXERRāRE, autorizzando piuttosto a ritenere tutte questeforme continuatrici della sola base araba.

18 Di queste, la più antica sembra essere xahara, del 1518 (Wettinger 2000).

3. Se l’ipotesi di una seconda base araba appare dunque difficoltosaper le ragioni sopra illustrate, rimane aperta un’altra ipotesi, precedente-mente menzionata, che ha goduto di una certa fortuna, ovvero la deriva-zione da una base (AF)FLAGRARE, la quale comunque giustificherebbe il so-lo valore di ‘lava’. Poiché anche nella ricerca etimologica entia non suntmultiplicanda praeter necessitatem, vorrei prima esaminare la possibilità diun percorso semantico che giustifichi i tre principali valori del terminesciara a partire da una sola base, ovvero l’ar. šá‘ra.

Il primo problema da risolvere è se la polisemia che caratterizza illemma in questione sia originaria, cioè già presente nelle varietà arabe pre-cedentemente al loro innesto sul territorio siciliano, oppure, al contrario,rappresenti il frutto di uno sviluppo secondario isolano. Se infatti i tre si-gnificati di ‘lava’, ‘terreno pietroso’ e ‘roveto’ fossero già presenti in ara-bo classico, o almeno in una varietà differente da quella arabo-sicula, nonsi dovrebbe escludere la possibilità, a rigor di logica, che nell’ibero-ro-manzo si sia verificato un restringimento del campo semantico al solosignificato di ‘bosco; pianta’ e simili. Tuttavia, i dialetti arabi in cui iltermine šá‘ra, o una delle possibili varianti, è presente, attestano per ta-le lemma una serie di valori in parte riconducibili alla sfera botanica,senza alcun trapasso, per quanto io ne sappia, ai valori di ‘terreno pie-troso; sodaglia’ e simili. Nell’arabo classico e nelle varietà dialettali ša‘rè un collettivo col significato di ‘peli, capelli’ (dal quale, con l’aggiuntadi -a finale, si ottiene il singolativo ‘pelo, capello’). Per i dialetti orien-tali del Nord Africa, una forma ši‘ra è attestata nell’arabo siriano col si-gnificato di ‘pianta selvatica dal fogliame molto fitto simile ai capelli noncurati di un folle’ (Yāsīn 2003). Per i dialetti maghrebini, la voce šə‘riviene spiegata come ‘variété de figue de taille moyenne, allongé en poi-re, de couleur noire-violette’ (Colin 1994). Nulla dunque che riconducaai significati (1) e (2) sopra elencati.

Come spesso avviene nel caso degli arabismi, diventa fondamentaleper il siciliano il confronto con il maltese. Qui il termine xagħra è docu-mentato col valore di ‘large open plain’ (e cfr. anche il diminutivo xgħajra‘small open place’), mentre il derivato xagħri vale, tra le altre cose, ‘landon rocky flat tops of hill covered with terra rossa’ (Aquilina 1987-1990,s.v.). Nella documentazione maltese antica, il termine xaghra compare, conun elevato numero di varianti grafiche, in una settantina di forme topo-nomastiche (a fronte di 4 attestazioni di xaghri)18, secondo Wettinger

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19 Ringrazio per le informazioni relative al Val d’Agrò il dott. Antonino Ardizzone diLimina; per la Valle d’Alcantara l’assessore alla cultura Mario Olivera di Motta Camastra e l’avv.Nazareno Pergolizzi per Roccella Valdemone.

20 Ai dati rappresentati nella cartina si può aggiungere la documentazione onomastica, trala quale si possono menzionare i soprannomi Sciared≥d≥a a Leonforte (EN), secondo Rohlfs (1984)forse col valore di ‘piccolo rovo’, e Sciarotu a Sant’Alfio (CT) ‘della contrada Sciara’ (ib.), oltreai numerosi toponimi del tipo ˹Sciara˺ (DOS, II: 1490). Tra questi, va segnalata almeno la localitàposta a una cinquantina di km da Palermo, fondata a metà del XVIII sec. alle pendici delmonte Euraco, la cui descrizione da parte di Amico (1856: 470: «[…] è idoneo massimamentealla coltivazione delle biade; abbonda in selve ed in boschi, copioso perciò in cacciagione; èbagnato dal fiume Torto, e si ha delle altre fonti») induce a ritenere tale toponimo connessocon šá‘ra nel valore di ‘luogo boscoso’.

(2000) col valore di ‘terreno carsico’, quindi con un’accezione simile aquella del siciliano riportata sopra al punto (2).

Tale significato del termine in maltese, a fronte dell’accezione ‘ti-po di pianta’ e simili nelle varietà arabe, induce a ritenere il vocabo-lo attestato a Malta di filiera siciliana, ma con una precisazione: lapresenza della ayn (nella scripta maltese <għ>) deve portare a consi-derare xagħra come un termine introdotto a Malta non dal sicilianotout court, bensì proprio dall’arabo di Sicilia, come dimostra nel voca-bolo maltese la presenza di un fonema (assente nel maltese moderno),appartenente all’inventario fonologico dell’arabo, con un valore, quel-lo appunto di ‘terreno carsico’ e simili, che è invece assente nei dia-letti arabi fuori dalla Sicilia.

Ai dati fin qui riportati si accorda una considerazione di ordine geo-linguistico. I diversi significati del termine sciara sono documentati nel-l’isola con una distribuzione diatopica che non prevede quasi mai unasovrapposizione dei valori (2) e (3): difatti, là dove è attestato il signifi-cato di ‘terreno pietroso’ e simili non compare mai quello di ‘rovo, ro-veto etc.’, e viceversa. Dalle inchieste che ho effettuato in una parte del-l’angolo nord-orientale della Sicilia (settembre-novembre 2011), emergonodati corrispondenti a quanto si evince su più larga scala dal VS19: nel-l’area del Val d’Agrò (Antillo, Limina, Roccafiorita, Mongiulfi, Melìa) ilvalore di sciara è esclusivamente quello di ‘rovo, roveto, sterpaglia’, lad-dove nell’accezione di ‘terreno incolto, non coltivabile’ è impiegato il ti-po ˹gerbu˺ (VS); nell’anfizona etnea della Valle dell’Alcantara (Motta Ca-mastra, Castiglione di Sicilia, Roccella Valdemone), il valore invece èesclusivamente quello di ‘terreno pietroso, sassoso’, da cui anche, conuna connotazione spregiativa, quello di ‘terreno di poco valore perchépietroso, terreno non coltivabile’, mentre per ‘rovo, sterpaglia’ è impie-gato il tipo ˹rruvettu˺ (VS).

Nella carta che segue rappresento la diffusione del tipo ˹sciara˺, di-stinguendo i valori elencati ai punti (1), (2) e (3)20:

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21 Fondamentali a questo proposito i lavori di Vàrvaro (cfr. almeno 1979 e 1984).

La distribuzione apparentemente disordinata e “a macchia di leopar-do” di sciara nel suo triplice significato, che complessivamente abbraccial’area trapanese e parte della palermitana, il nisseno-ennese, il messinesee larga parte del catanese, scendendo in alcuni punti fino al ragusano, ri-flette un ben noto andamento di molte delle isoglosse isolane: si tratta diquelle che Ruffino (1984: 177) definisce «isoglosse fratte, spezzate, daltracciato apparentemente incoerente».

Tale distribuzione caotica sul territorio costituisce il parziale riflessodi quella eterogeneità e frammentazione etnica e linguistica che dovevacomporre il variegato mosaico della Sicilia medievale. Tale frammentazio-ne, che per il Medioevo – come ha ampiamente illustrato Vàrvaro (1979;1984) – va proiettata sia nella dimensione verticale della variazione diafa-sica e diastratica (compresenza di più varietà in regime di diglossia all’in-terno del repertorio di una singola comunità), sia nella dimensione oriz-zontale dello spazio (organizzazione per gruppi estremamente differenziatied esistenza di un habitat sparso), pur profondamente mutata nei secolisuccessivi, con l’abbandono dei villaggi e il prevalere della monoculturagranaria, non può non aver lasciato riflessi sulla moderna dispersione dia-topica che caratterizza molte delle isoglosse siciliane21.

Se queste poche considerazioni possono aiutare ad illuminare le ra-

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22 Sarà bene richiamare quanto scrive a tale proposito Assenza (2004: 29-30): «I valori di‘siepe’ (e sim.) e di ‘lava’ (e sim.) [all’interno dei quali ultimi ritengo debbano essere compresianche significati del tipo ‘terreno pietroso’ e simili, ndr.] coesistono dunque ma non convivonoe […] appaiono divisi da un’isoglossa che segna i confini tra l’area centrale e nord-orientale(province di EN e ME) dove è attestato il significato di ‘siepe’ e l’area orientale centro-meridionale (province di CT, SR e RG) �che ha come punto irradiante l’hinterland etneo �dove èpresente il significato di ‘lava’». La stessa studiosa (p. 33) evidenzia come nel catanese urbanosciara, nell’accezione spregiativa sopra richiamata, giunga a significare anche ‘periferia degradata’,‘discarica’, ‘deposito di rifiuti’.

gioni della dispersione diatopica dei tre significati di sciara sul territoriosiciliano, d’altra parte, in un’area più circoscritta, è individuabile una mag-giore coerenza, con una distribuzione che sembrerebbe riflettere la normabartoliana delle aree laterali: una zona, catanese ed etnea in particolare,dove sciàra possiede il duplice valore di ‘lava’ e ‘terreno pietroso’, sem-brerebbe configurarsi come tipica “area centrale”, dunque come epicen-tro dell’innovazione, laddove ad ovest l’area nisseno-ennese e a nord-estquella messinese, dove sciàra ha il significato di ‘rovo, roveto’, rappresen-tano le aree laterali di tale dominio22. Se il quadro qui delineato è cor-retto, la geolinguistica fornisce una prova a sostegno del fatto che:

(a) i significati (1) e (2) sono il frutto di un’evoluzione semantica (av-venuta nell’arabo di Sicilia o nelle varietà romanze dell’isola), che deve es-sere partita dal valore originario di ‘rovo, roveto’ e simili. Il dato geolin-guistico si accorda con quello etimologico: l’ibero-romanzo, per l’ar. šá‘ra,attesta un significato che rimanda a un tipo di pianta, e un simile signi-ficato è attestato in Sicilia – nelle zone di maggior diffusione del tipo –nelle aree laterali. Dunque, ciò che va giustificato è il percorso che con-duce dal valore di ‘luogo boscoso’ (e simili) a quello di ‘luogo pietroso’(e simili) e ‘lava’, e non il contrario, come aveva invece tentato di fare ilWagner.

(b) i significati di ‘terreno arido, pietroso; sodaglia etc.’ e ‘lava’, de-vono essere frutto di una stessa evoluzione semantica, dato che sono en-trambi presenti nella medesima area centrale, quella cioè dalla quale è par-tita l’innovazione, e non devono necessariamente essere spiegatiindipendentemente l’uno dall’altro.

4. In base alle osservazioni poste ad introduzione del presente lavo-ro, un percorso semantico non deve necessariamente svilupparsi attraver-so una filiera unica, ma anche lungo più direttrici. Credo che nel nostrocaso almeno tre siano le direzioni attraverso le quali si sono originati i si-gnificati di sciàra, a partire da quello che abbiamo individuato come il nu-cleo semantico originario, ovvero il valore di ‘rovo’ (e simili).

La prima: terreni occupati da rovi, sterpaglie etc. sono per lo più ter-

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23 Per tale accezione del termine nella Tabula alimentaria di Veleia, cfr. Petracco Sicardi (1982).24 Sulle attestazioni della voce in latino tardo, cfr. De Salvo (2010).

reni incolti, non coltivabili, lasciati al capriccioso dominio della naturapiuttosto che a un’opera di razionalizzazione e sistematizzazione antro-pica. Da qui i significati riconducibili a valori che definirei di tipo “fun-zionale”, quali ‘terreno arido, di scarso valore, improduttivo, non lavora-to’, documentati, lo ricordo, fin da epoca tardo-medievale, in cui ademergere è soprattutto l’opposizione alla terra coltivabile, resa tale dal la-voro dell’uomo.

Nella seconda direttrice emerge, invece, la componente che definirei“localistica”: spesso zone occupate da rovi sono anche zone impraticabili,impervie, di difficile accesso, da cui significati quali ‘terreno scosceso; bal-za, dirupo, precipizio etc.’.

A conferma di una simile possibilità di sviluppo semantico, si puòmenzionare un interessante caso di opposta ma comunque analoga evolu-zione, riguardante i continuatori romanzi del lat. SALTUS. Nell’italo-ro-manzo, la voce è ampiamente diffusa nei dialetti settentrionali coi signifi-cati, tra gli altri, di ‘caduta d’acqua, cascata; dislivello, dirupo, precipizio,strapiombo’. Nel Medioevo, invece, la voce si era specializzata nel sensodi ‘bosco’, probabilmente attraverso un’accezione intermedia di ‘balzo bo-scoso’ (cfr. REW 7553-4 ‘Wald, Waldschlucht’; ricca documentazione nelDELT), finendo poi per indicare ogni regione incolta, cfr. ad es. fr. ant.saut ‘passo stretto’, sardo sàltu, sàrtu ‘bosco esteso, pianura incolta’, port.souto ‘bosco’23 (e cfr. anche lat.mediev. SALTUARIUS, originariamente ‘guar-dia boschiva’, cfr. REW 7552)24. Sarà utile richiamare a tale propositoesempi rappresentati da forme quali gora, che in diverse lingue slave in-dica sia la ‘montagna’ che il ‘bosco’ (Buck 1949: 25, 48), o l’irl. ross, chevale ‘bosco’ e ‘promontorio’ (Buck 1949: 47).

Si noti, tra l’altro, che nel cinquecentesco lessico dello Scobar, s.v.xara (Leone 1990: 312), definizioni come quelle di ‘locu aspiru lustra -ecende! orum’, opposte ad altre accezioni, come quella di fruticetum -i, na-pe -es [‘xara oi bosche’], confermano pienamente questa trafila semanticaanche per la fase antica.

Può essere poi utile ricordare, per un’area dei Nebrodi, che alcunidegli informatori indicano con sciara un ‘terreno caratterizzato dalla pre-senza di pietre e rovi’ (Capri Leone, San Marco d’Alunzio) o semplice-mente un ‘terreno non coltivato, impraticabile’ (Capri Leone, Frazzanò,Longi). Che queste accezioni rappresentino una banalizzazione semanticaa partire dal significato originario di ‘terreno ricoperto da macchia; bo-scaglia’ sembrerebbe ricavabile dal fatto che i parlanti più anziani utiliz-

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25 A proposito di quest’ultimo significato cfr. la locuzione che ho registrato a Lipari: scinnùa sciàra ‘è franato un pezzo di montagna’.

zano il termine con un chiaro riferimento quasi toponomastico alla suva-rita, il ‘sughereto’ ancora oggi visibile sulla strada provinciale 157 Roccadi Capri Leone-Longi, che dalla svincolo autostradale della 113 Messina-Palermo conduce a Capri Leone. A conferma di tale valore originario, sipuò ricordare che nella stessa area, a Militello Rosmarino (ME), in occa-sione delle feste patronali di S. Biagio, i fedeli si recano in processionecon una sorta di fiaccole composte da canne fini (i cosiddetti cannizzoli),dette appunto i sciari, in quanto ottenute utilizzando sterpaglia e arbo-scelli. Da quest’area, dunque, compresa in una delle due aree laterali so-pra individuate, si ricava una sovrapposizione di significati in perfetta li-nea col percorso semantico che si sta qui cercando di delineare.

Una terza direttrice, infine, riguarda il collegamento tra il valore di‘terreno pietroso’ (e simili) e quello di ‘lava’. Folena (1983) spiegava laconfusione semantica tra ‘sodaglia’ e ‘lava’ attraverso «[…] il sèma co-mune di ‘sterilità’, con estensione metonimica da xara ‘lava incandescente’a ‘lava indurita’ e ‘terreno sterile coperto di lava’». Pur non escludendoaffatto la possibilità di tale sviluppo, a me pare che il sèma comune checonsenta di giustificare valori così apparentemente distanti sia piuttostoun altro.

In riferimento alla ‘lava’, sciàra indica, tra l’altro, la ‘corrente lavicadopo l’eruzione’. Ora, in una zona notoriamente caratterizzata da attivitàvulcanica, quella eoliana, sciàra (almeno a Lipari e Vulcano, come risultadalle mie inchieste), non è impiegato solo nell’accezione appena menzio-nata, ma ha una serie di significati – che i parlanti non individuano af-fatto come secondari, ma che anzi sembrerebbero costituire la “Grund-bedeutung” del termine – quali ‘zona di roccia franosa; terreno inpendenza franoso; canale, vallone della montagna nel quale si deposita fra-nando ciottolame e materiale detritico; sfasciume, frana’25. E poiché si-gnificati come questi appena menzionati possono essere ricostruiti attra-verso una trafila come la seguente: ‘zona occupata dalla macchia, rovetoetc.’ > ‘zona impervia etc.’ > ‘terreno franoso in pendenza etc.’, mi sem-bra più probabile ipotizzare un’evoluzione diacronica che abbia condot-to da tali valori a quelli di ‘lava’ (e simili), piuttosto che il percorso con-trario, da ‘lava’ a ‘terreno franoso’. Si noti, a sostegno di questa ipotesi,che significati analoghi a quello di ‘terreno roccioso e franoso in pen-denza’ sono attestati anche al di fuori di aree vulcaniche, come ad es. aMazzarino (CL), dove sciàra ha il significato di ‘rupe, grande roccia iso-lata’ (VS), il che esclude una derivazione di tale significato da quello di

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‘lava’. Attraverso un processo metonimico, il termine sciàra deve esseredunque passato a indicare, in luogo del contenente (il tipo di terreno sulquale la lava scorre), il contenuto (la lava che scorre sul pendìo vulcani-co), con un processo affatto simile a quello che ha condotto nelle Eolieal significato sopra menzionato, tra gli altri, di ‘frana’ tout court.

5. Belardi (2002, II: 456), in riferimento al fatto che l’etimologia mo-derna segua un criterio di verosimiglianza piuttosto che di coincidenza conil vero e effettivo “preistorico”, ha scritto:

[…] trattandosi sempre di ipotesi, può capitare — come di solito capita nelgiudicare di eventi storici, data la relatività del giudizio che gli esseri uma-ni possono emettere — che gli indizi a disposizione in un momento datodegli studi permettano di formulare sul medesimo tema più di una ipotesiesplicativa etimologica.

Questo in fondo è proprio il caso del quale ci stiamo occupando.Tuttavia, data l’esistenza di un parallelismo semantico (i continuatori ro-manzi di SALTUS), che può giustificare il passaggio da ‘luogo boscoso’ tan-to a ‘terreno incolto’ tanto a ‘luogo impervio, scosceso etc.’; e dato chedue percorsi semantici, uno riconducibile al sèma di sterilità, l’altro a quel-lo di franosità del terreno, possono ricollegare senza grandi forzature que-st’ultimo valore a quello di ‘lava’, a me pare si possa evitare di ricorrerea una base (AF)FLAGRARE per chiarire il significato di ‘lava’ e simili – laquale è sì foneticamente ineccepibile, ma altrimenti non documentata inSicilia – e ammettere piuttosto l’esistenza di una sola base, l’ar. šá‘ra, chepuò rendere conto delle tre diverse accezioni, secondo il percorso che quiho provato a illustrare.

Università di Messina ALESSANDRO DE ANGELIS

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La diffusione del Bollettinoè curata dal Centro di studi filologici e linguistici siciliani

Sito web: www.csfls.it

Finito di stampare nel dicembre 2012 nella Tipolitografia Luxograph s.r.l. di Palermo


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