Le reti di conoscenza e di innovazione e le politiche di sviluppo regionale

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Le reti di conoscenza e di innovazione

e le politiche di sviluppo regionale

Riccardo Cappellin

Ordinario di Economia Politica Dipartimento di Economia e Istituzioni

Università di Roma "Tor Vergata" Via di Tor Vergata, 00133 Roma cappellin@economia.uniroma2.it

ABSTRACT Questo contributo mira ad illustrare le differenze tra il modello dei network ed il modello walrasia-no del mercato tipico dell’economia neoclassica. Esso analizza le caratteristiche delle reti di inno-vazione e di conoscenza, che si formano all’interno dei sistemi produttivi locali di piccole e medie imprese, e il ruolo di tali reti nell’attivare processi di sviluppo cumulativo in queste regioni. Infine, sulla base di questo approccio metodologico vengono esaminate le indicazioni di politica industriale regionale implicite nel concetto di learning region ed i problemi della governance dei processi di apprendimento e di innovazione nei sistemi produttivi locali.

Pubblicato in: Mazzola, F. e F. M. Maggioni (a cura di), Crescita regionale e urbana nel mercato globale: modelli,

politiche e processi di valutazione. Milano: Franco Angeli, 2001, pp. 200-224

Introduzione Le trasformazioni, che caratterizzano il mondo dell’industria e l’organizzazione di imprese, sono collegate principalmente alle nuove dimensioni del processo di innovazione. In un’economia indu-striale moderna, il modello di organizzazione industriale basato sul concetto di economie di scala è stato sostituito da un nuovo modello organizzativo, basato su una crescente integrazione, coopera-zione e competizione tra le diverse imprese che appartengono allo stesso ampio settore di attività (Cooke 1998, Cappellin e Orsenigo 2000). Fattore cruciale della competitività delle imprese è sempre più la velocità di adozione delle innova-zioni di prodotto e la flessibilità di integrazione con altre imprese o organizzazioni, sia locali che e-stere, piuttosto che la continua espansione delle capacità produttive, tramite gli investimenti, o il contenimento dei costi di produzione, tramite l’imposizione di bassi livelli salariali. La creazione di alleanze strategiche, joint-ventures, consorzi e cordate tra le imprese sono diventati strumenti quasi abituali in tutti i settori, quali quelli della produzione, della distribuzione, della fi-nanza e della ricerca. Infatti, le prospettive di sviluppo della singola impresa dipendono dalle rela-zioni sempre più articolate e complesse di integrazione con altre imprese: non solo quelle apparte-nenti allo stesso gruppo finanziario, ma anche con molte imprese esterne. Questo contributo mira ad illustrare le differenze tra il modello dei network ed il modello walrasia-no del mercato tipico dell’economia neoclassica. Esso analizza le caratteristiche delle reti di inno-vazione e di conoscenza, che si formano all’interno dei sistemi produttivi locali di piccole e medie imprese, e il ruolo di tali reti nell’attivare processi di sviluppo cumulativo in queste regioni. Infine, sulla base di questo approccio metodologico vengono esaminate le indicazioni di politica industriale regionale implicite nel concetto di learning region ed i problemi della governance dei processi di apprendimento e di innovazione nei sistemi produttivi locali. 1. L’approccio dei network e il modello neoclassico La complessità del modello di organizzazione dell’industria moderna è alquanto diversa dalla sem-plicità del modello neoclassico di concorrenza perfetta, che sopravvive come base metodologica delle analisi macro-economiche o delle indicazioni di politica economica e monetaria di qualche banchiere centrale. D’altro lato, l’integrazione crescente delle imprese in “cluster” di tipo settoriale o geografico rende sempre meno adeguate metodologie di analisi, che mirino ad analizzare esclusi-vamente i meccanismi di tipo micro-economico o “aziendale”. Sono invece necessari metodi di ana-lisi capaci di considerare i meccanismi che operano a livello di sistema complessivo o che sono di tipo “meso-economico” o intersettoriale. In particolare, in una prospettiva macro-economica l’analisi si focalizza sull’individuazione delle forze che portano ad un equilibrio e sulla definizione delle caratteristiche di efficienza aggregata di quest’ultimo. Invece, in una prospettiva micro-economica sono fondamentali meccanismi di tipo sostanzialmente gerarchico che legano tra loro ideazione-decisione-attuazione all’interno della sin-gola impresa. In terzo luogo, in una prospettiva meso-economica sono fondamentali i meccanismi di interazione-consenso-cooperazione tra imprese che appartengono allo stesso cluster o network. In termini metodologici, un sistema produttivo può essere analizzato secondo diverse prospettive e non sorprende che chi adotta una prospettiva specifica non sia in grado di distinguere processi, che sono invece fondamentali, se si utilizza una prospettiva differente.

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In particolare, la prospettiva macro-economica si basa sul modello di concorrenza perfetta, che è quasi irrilevante per chi si interessa all’analisi dei cluster di imprese o del comportamento della sin-gola impresa. La prospettiva macro-economica è simile alla prospettiva di chi, guardando un bosco dal di fuori, lo considera fatto di alberi tutti uguali. Essa potrebbe ad esempio essere adeguata per chi fosse interessato ad assicurare un equilibrio tra gli obiettivi di tutela delle risorse naturali e di promozione dello sviluppo economico. Peraltro essa è chiaramente inadeguata per altri scopi. Invece, la prospettiva micro-economica o dell’economia aziendale porta allo studio di casi singoli ed è simile a quella di chi con gli strumenti della botanica fosse interessato alla cura di una singola pianta. Infine, la prospettiva meso-economica, che si basa sul paradigma dei network, è simile a quella di chi una volta entrato nel bosco osserva le diverse dimensioni degli alberi, le diverse specie vegetali, l’intreccio delle diverse piante e le loro diverse funzioni e relazioni, che determinano un rapporto di simbiosi. Le singole piante certamente competono tra loro per l’uso del suolo e l’accesso alla luce, ma ancor più importante è l’obiettivo della sopravvivenza sia individuale che della specie e questo richiede l’integrazione dell’intero sistema. Questa diversa prospettiva è certamente più adeguata per coloro che fossero interessati a promuovere e orientare lo sviluppo complessivo del singolo bosco. In un modello di tipo neoclassico la crescita della produzione nel sistema produttivo locale è deter-minata, utilizzando il concetto di funzione di produzione, come effetto dell’utilizzo di fattori pro-duttivi, quali il capitale (K) e il lavoro (L), date le caratteristiche della tecnologia (T), che si suppo-ne nota e omogenea tra tutte le imprese. I valori della produzione delle singole imprese sono quindi aggregati per ottenere la produzione complessiva, come indicato in modo schematico nella figura 1.

? i Yi = f (T, ? i Ki, ? i Li) Produzione aggregata

Figura 1: Il modello della funzione di produzione neoclassica

Y = f (T, K, L)

T K Y

Y

L Y

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T = Reti di relazioni tecnologiche 4 8 9 5 1 10 2 11 3 6 12 13 7 K = Reti dei flussi di capitali 4 8 9 5 1 10 2 11 3 6 12 13 7 L = Reti dei flussi di lavoratori 4 8 9 5 1 10 2 11 3 6 12 13 7 Y = Reti di flussi di subfornitura 4 8 9 5 1 10 2 11 3 6 12 13 7

Figura 2: L’interconnessione tra le reti dei fattori produttivi, della tecnologia e delle produzioni Il modello dei network territoriali adotta un approccio diverso ed esplicita i diversi tipi di relazioni di interdipendenza tra le diverse imprese (Cappellin 2000b). In termini schematici, tali relazioni possono riguardare le stesse variabili considerate dal modello neoclassico: la produzione (Y), il la-voro (L), il capitale (K) e la tecnologia (T), come indicato nella figura 2.

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Infatti, le imprese esistenti in un dato sistema territoriale sono legate tra loro, oltre che con le impre-se appartenenti al sistema economico nazionale ed internazionale, che qui per semplicità non ven-gono considerate, innanzitutto da relazioni di acquisto e vendita di prodotti e servizi, come indicato dal modello Input-Output, o da relazioni di subfornitura, come indicato nelle analisi di economia industriale. In secondo luogo sono legate dai flussi di lavoratori, caratterizzati da diversi profili pro-fessionali, tra le stesse imprese. In terzo luogo, sono legate da relazioni di controllo finanziario o da flussi di risorse finanziarie, che possono determinare la creazione di gruppi finanziari che controlla-no diverse imprese giuridicamente autonome. Infine, le imprese sono legate tra loro dalla circola-zione di informazioni di tipo tecnologico, come quelle che usualmente avvengono tra il cliente ed il fornitore o nel caso delle cooperazioni tecnologiche tra imprese complementari. In particolare, le relazioni esistenti tra le imprese di un sistema produttivo locale nel caso dei flussi di lavoro, rappresentate graficamente nella figura 2, possono essere rappresentate anche con la ma-trice della tabella 1. Tale matrice, inserisce il mercato del lavoro locale nel più ampio quadro dei flussi demografici. Essa infatti indica la popolazione residente al tempo iniziale (x89) e la popola-zione residente al tempo successivo (x98). Da essa si evince che i lavoratori occupati in una deter-minata impresa o nuova o già esistente potevano nel periodo precedente essere occupati nella stessa impresa o provenire da un altro impresa locale, o essere stati disoccupati, o esser immigrati da un’altra area. In questo modo, è possibile misurare la variazione dell’occupazione tra due periodi come somma algebrica dell’occupazione nelle imprese nate (x97), meno l’occupazione nelle imprese morte (x79) nel periodo considerato, più la variazione netta del livello di occupazione nelle imprese persistenti nei due periodi (x95 - x59 + x96 – x69), come indicato dalla seguente identità: x95 + x96 + x97 = (x59 + x69 + x79) - (x79) + (x97) + (x95 - x59) + (x96 – x69) Questa scomposizione della variazione dell’occupazione tra due periodi permette di evidenziare la relazione tra i flussi del mercato del lavoro (tra le situazioni di disoccupazione, occupazione e non forze di lavoro) e i flussi demografici (connessi con le nascite, morti e migrazioni) e, infine, i flussi relativi alla demografia delle imprese (connessi con la natalità e mortalità delle imprese). E’ infine possibile distinguere l’occupazione in diversi profili professionali o ad esempio tra lavora-tori indipendenti o autonomi e lavoratori dipendenti, in modo da evidenziare nella matrice i flussi da una posizione di lavoratore autonomo a quella di lavoratore indipendente e viceversa tra le diverse imprese. Si stabilisce pertanto un legame diretto tra il processo di natalità di imprese e la dinamica delle pro-fessioni della forza lavoro. In altri termini appare evidente che nel mercato del lavoro regionale e locale ai flussi di natalità e mortalità di imprese corrispondono flussi di lavoratori da un’impresa all’altra ed in particolare flussi di lavoratori che da lavoratori autonomi diventano lavoratori dipen-dente e viceversa. In modo del tutto analogo a come sono rappresentati i flussi tra n imprese nel mercato del lavoro nella tabella 1, le relazioni di acquisto e vendita di prodotti (Y), di mobilità dei lavoratori tra le im-prese (L), di controllo finanziario di un’impresa su altre imprese (K) e di interazione tecnologica tra le imprese (T), possono essere rappresentate anche in forma matriciale tramite le quattro matrici lungo la diagonale della tabella 2, che corrispondono alle diverse reti della figura 2 (Cappellin 2000b).

TEMPO SUCCESSIVO 1 2 3 4 5 6 7 8

Impresa 1 Impresa 2 Impresa nata

TEMPO INIZIALE Morti Emigrati Non for-ze di la-voro

Disoccu-pati

L. aut.

L. dip.

L. aut.

L. dip.

L. aut.

L. dip.

3+4+5+6+7

1+2+3+4+5+6+7

1 Nati 2 Immigrati 3 Non forze di lavoro 4 Disoccupati

L. aut. 5 Impresa 1 L. dip.

L. aut. 6 Impresa 2 L.dip.

L. aut. 7 Impresa morta L. dip.

8 Somma: 3+4+5+6+7

x89

9 Somma: 1+2+3+4+5+6+7

x98

x98 = popolazione residente al tempo successivo x89 = popolazione residente al tempo iniziale Occupati al tempo finale = x95 + x96 + x97 = occupati al tempo iniziale - occupati nelle imprese morte + occupati nelle imprese nate + variazione occupati nelle imprese compresenti = (x59 + x69 + x79) - (x79) + (x97) + (x95 - x59) + (x96 – x69)

Tabella 1: Flussi di persone e relazioni nel mercato del lavoro locale

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1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3 1 2 3

Tabella 2: L’interconnessione tra i flussi di beni, lavoro, capitale e tecnologia.

Invece, l’interconnessione tra ogni coppia di queste quattro matrici può essere indicata dalle matrici che si trovano fuori dalla diagonale, che permettono di dimostrare che i livelli di produzione in una particolare impresa, indicati nella matrice (Y), non sono collegati solo ai livelli di produzione delle imprese clienti o delle imprese fornitrici, ma anche alla dotazione e ai flussi di lavoratori tra le im-prese indicati nella matrice (N), o alla disponibilità di risorse finanziarie e alle relazioni finanziarie tra le imprese indicate nella matrice (K), o infine alla disponibilità e ai flussi di conoscenze tecnolo-giche indicati nella matrice (T). L’originalità del modello dei network territoriali è sottolineata dalla profonda differenza dei suoi ri-ferimenti concettuali, rispetto a quelli che caratterizzano la teoria neoclassica. Il modello dei network rappresenta uno schema analitico che permette di misurare diversi tipi di re-lazioni tra due o più soggetti in termini quantitativi. Tali relazioni possono svilupparsi all’interno della stesa rete, ma anche tramite reti diverse, dato che i flussi tra i soggetti considerati possono es-sere di tipo economico, finanziario, tecnologico, organizzativo, istituzionale e svilupparsi sia a scala locale che a scala internazionale. Pertanto, il modello dei network rappresenta di fatto la generalizzazione del modello di Leontief delle interdipendenze produttive tra diverse imprese. Infatti, mentre quest’ultimo prende in conside-razione solo le transazioni di beni intermedi tra le diverse imprese, il modello dei network considera il caso più generale di molteplici tipi di relazioni tra le imprese, come ad esempio le relazioni di tipo finanziario o quelle di tipo informativo o di altro tipo. Pertanto, il livello degli scambi tra due im-prese, non è solo funzione della produzione dell’impresa acquirente, ma anche di molti altri fattori come la distanza o l’intensità dei legami, sia di controllo finanziario, che di cooperazione tecnologi-ca, di scambi di personale, ecc., tra le due imprese considerate non solo in termini diretti ma anche indirettamente tramite altre imprese. Il modello neoclassico si basa essenzialmente sul concetto di mercato walrasiano, caratterizzato dal-la concorrenza tra molti diversi produttori tutti uguali tra loro e da un meccanismo anonimo di de-

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terminazione del prezzo (Latella 1999). Invece, il modello dei network si basa sul concetto di scam-bio e di integrazione produttiva, caratterizzato da una composizione di interessi diversi di imprese diverse tra loro. In questo modello, il prezzo è il risultato esplicito o intenzionale (non automatico) della negoziazione tra un numero limitato di imprese interessate e gioca un ruolo solo complemen-tare rispetto ad altri elementi della transazione, come quantità, qualità, frequenza, tempestività, di-stanza, affidabilità, ecc.. Mentre il modello neoclassico sottolinea il ruolo della concorrenza tra i diversi produttori, il model-lo dei network sottolinea che la scelta di due imprese di attuare o meno uno scambio è influenzata dalla valutazione delle opportunità alternative possibili per ciascuna impresa, in termini di altri pos-sibili clienti o reciprocamente di altri possibili fornitori oltre che dei costi di transazione con ciascu-no di essi e della conoscenza cumulata nel tempo. In generale, nel modello dei network il sistema economico non è tanto caratterizzato da relazioni di tipo orizzontale o da un processo di competizione nel mercato tra produttori tra loro uguali, ma da relazioni o da processi di scambio, negoziazione, conflitto, accordo ed integrazione tra attori diversi e tra loro potenzialmente complementari. Infatti, in un modello a rete assumono un’importanza cru-ciale le relazioni di integrazione verticale tra clienti e fornitori e le relazioni di integrazione orizzon-tale, che caratterizzano i contratti di investimento congiunto e di creazione di impresa da parte di soggetti diversi, che decidono di mettere assieme risorse monetarie o reali al fine del raggiungimen-to di un obiettivo comune. Mentre il modello neoclassico sottolinea il concetto di economie di scala, nel modello dei network ha un ruolo cruciale il concetto di costo di transazione nello scambio e quello di costo del cambia-mento nel processo innovativo. Un’ulteriore differenza sostanziale tra l’approccio tipico dell’economia neoclassica e il modello dei network è il fatto che quest’ultimo evidenzia sia la dimensione spaziale (Cappellin 1997a, 2000a e 2001), e quindi il concetto di distanza, che la dimensione temporale, e quindi il concetto di velocità. In particolare, le relazioni tra una coppia di attori in un dato momento sono correlate alle relazioni esistenti tra gli stessi nei periodi precedenti e con le relazioni precedenti con altri attori terzi, tramite i quali si possono stabilire relazioni di tipo indiretto tra i due attori considerati. Pertanto, la probabi-lità che due attori sviluppino un legame diretto, o che cambino quello precedentemente esistente, dipende da un processo di apprendimento cumulativo e dalla percezione che ognuno dei attori ha del ruolo che l’altro attore svolge nella rete complessiva o dalla sua distanza o accessibilità rispetto agli altri attori della rete considerata. Il modello neoclassico si basa come è noto sul concetto di equilibrio e di meccanismo di riequili-brio, invece il modello dei network si basa su un approccio di tipo evolutivo, secondo il quale la struttura di una rete in un dato periodo dipende dalla struttura della stessa rete e di reti connesse nei periodi precedenti. Infatti, il modello dei network territoriali sottolinea che la formalizzazione e la stabilità delle rela-zioni, che è tipica di un’organizzazione a rete, rende più veloci i processi decisionali, accelera i pro-cessi produttivi e riduce i tempi di sviluppo di nuovi prodotti e pertanto aumenta la capacità di pro-duzione nella unità di tempo o la produttività ed il suo tasso di crescita. Il modello neoclassico considera uno spazio di tipo puntiforme o omogeneo e sottolinea l’importanza dei processi d’agglomerazione, che aumentano le disparità territoriali. Invece, il mo-dello dei network territoriali è in grado di interpretare le relazioni d’interdipendenza tra le diverse attività economiche distribuite in uno spazio polarizzato o reticolare e si presta a spiegare il proces-

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so di diffusione spaziale dello sviluppo economico. Esso dimostra in particolare la complementarie-tà tra radicamento territoriale delle imprese, che è specifico di determinate reti produttive e cogniti-ve, e la loro crescente apertura internazionale (Cappellin e Cersosimo 1998), che caratterizza le reti di tipo commerciale, finanziario e tecnologico. Pertanto, il modello walrasiano del mercato, tipico della economia neoclassica, può essere anche es-so definito una rete, anche se è una rete molto semplice nella quale tutti gli attori sono uguali, non vi sono costi di transazione e non sono rilevanti processi dinamici di tipo evolutivo. Invece, un mo-derno sistema capitalistico si basa su reti nelle quali gli scambi avvengono tra operatori che hanno caratteristiche diverse e complementari, sono separati da distanze di tipo e livello diverso e sono le-gati tra loro da processi dinamici di tipo evolutivo. Mentre nel modello neoclassico le uniche varia-bili significative sono la quantità ed il prezzo di equilibrio, nel modello dei network è possibile e-stendere l’analisi ad altre variabili, che caratterizzano una rete, come il grado di concentrazione, di integrazione interna, la forma più o meno gerarchica, la velocità dei cambiamenti strutturali e non ultimo il tasso di crescita del prodotto e della occupazione. 2. Le reti di innovazione e di conoscenza nei sistemi produttivi locali Il modello dei network rappresenta uno schema metodologico utile nell’analisi della struttura e dell’evoluzione dei sistemi produttivi locali, che sono caratterizzati dallo sviluppo di reti di imprese piccole e medie, tra loro integrate in modo complesso da flussi di prodotti, di lavoratori, di informa-zioni e di conoscenze. Infatti, un sistema produttivo locale non è caratterizzato solo da una rete di scambi di prodotti in-termedi tra le imprese, per lo più di piccole e medie dimensioni, o di strette relazioni commerciali cliente-fornitore e quindi di forte integrazione produttiva tra le imprese (Brusco e Paba 1997, Cap-pellin 1998, Maillat e Kebir 1999). Invece, secondo l’approccio dei network un sistema produttivo locale competitivo deve essere caratterizzato da molteplici forme di relazioni di integrazione (Cap-pellin e Orsenigo 2000, Rallet e Torre 1998), come: - le relazioni di integrazione tecnologica, lo sviluppo del know-how produttivo locale, la condivi-

sione di saperi e valori, che vengono promossi dai processi di apprendimento sul lavoro, dalla formazione permanente dei lavoratori, dalla formazione professionale dei giovani, dagli investi-menti congiunti in R&S e dalla apertura a collaborazioni tecnologiche con imprese esterne all’area considerata,

- le relazioni di cooperazione tra lavoratori e imprese e le relazioni di integrazione sul mercato del lavoro, connesse con la mobilità del lavoro tra le imprese dello stesso settore ma anche con la ca-pacità di attrazione di lavoratori qualificati esterni a scala interregionale e tra i settori,

- le relazioni di integrazione tra servizi e industria, che stimolano lo sviluppo di servizi di distribu-zione commerciale, di trasporto e logistici moderni, come anche di servizi di assistenza alle impre-se industriali nella certificazione della qualità del prodotto/servizio e nello sviluppo tecnologico,

- le relazioni di integrazione finanziaria tra le imprese e i rapporti banca-imprese, che hanno grande importanza nella successione imprenditoriale, nella creazione di gruppi di imprese, nei fenomeni di spin-off, come anche sulla capacità di attrarre investimenti esterni o di fare investimenti all’estero da parte delle imprese locali,

- le relazioni di integrazione territoriale a scala locale che richiedono un miglioramento della dota-zione infrastrutturale ed uno sforzo volto a tutelare la qualità del territorio,

- le relazioni di integrazione socio-culturale, che determinano l’esistenza di una identità locale e la formazione di un consenso di ampi settori della comunità locale su una strategia di sviluppo eco-nomico condivisa,

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- le relazioni di integrazione istituzionale, lo sviluppo delle capacità amministrative locali e la capa-cità di queste ultime di interagire con le istituzioni regionali e nazionali nella realizzazione di pro-getti strategici di sviluppo,

- le relazioni di integrazione territoriale a scala interregionale e internazionale, che spingono ad una maggiore apertura a scala interregionale, allo sviluppo di una politica estera locale o del mar-keting territoriale, che sono fondamentali nel promuovere la capacità di attrarre investimenti ester-ni e l’internazionalizzazione delle imprese locali.

Inoltre, come suindicato, il modello dei network spinge ad esaminare le caratteristiche dinamiche dei processi di integrazione tra i diversi soggetti ed imprese. Infatti, mentre il modello neoclassico si basa sul concetto di squilibrio-equilibrio, nel modello dei network assumono un’importanza cruciale processi di tipo evolutivo, quale l’evoluzione delle capacità dei diversi attori locali. Il modello dei network spinge ad esaminare il ruolo cruciale della conoscenza sia tacita (know-how) che codificata (informazione), quale risorsa fondamentale dei processi di produzione moderni, e i processi di tipo interattivo che si sviluppano tra i diversi attori nel processo di innovazione (Kline e Rosenberg 1986, Mansell e Wehn 1998, Rubenson e Schuetze 2000). Lo sviluppo della conoscenza e l’adozione di innovazioni sono condizionati dall’accessibilità alle informazioni tipicamente di tipo asimmetrico, da processi di apprendimento di tipo interattivo tra i diversi attori, sui quali agiscono sia i costi di transazione nelle relazioni reciproche tra questi ultimi, che i costi di cambiamento, connessi con i processi di riallocazione delle risorse locali stesse verso tecnologie nuove. L’innovazione nelle imprese piccole e medie non consiste solo nell’adozione di processi produttivi più efficienti e nel taglio dei costi e dell’occupazione, ma è rappresentata soprattutto da: ? il radicale miglioramento della qualità dei prodotti e servizi attuali, ? l’individuazione di nuovi bisogni e di nuovi mercati, ? lo sviluppo di produzioni e servizi innovativi, ? lo sviluppo di nuove relazioni con i fornitori e con i clienti sia nazionali che esteri, ? lo sviluppo di forme di cooperazione con altre imprese specializzate in tecnologie diverse e

complementari. Nei sistemi di piccola e media impresa spesso ci troviamo di fronte a una situazione che rende diffi-cile distinguere il processo di gestione ordinaria del prodotto, volto a rispondere alle esigenze e-spresse dagli ordini della clientela, e il processo di sviluppo e dell'innovazione del prodotto. Le capacità di innovazione dipendono da un processo interattivo di apprendimento, basato sull’emulazione e sulla capacità combinatoria ed integrativa, che richiede necessariamente la conti-guità fisica o il radicamento nel territorio considerato. Il modello di organizzazione del cambiamento tecnologico nei sistemi produttivi locali è quindi ba-sato sull’esistenza di economie di rete attivabili tramite l’interazione e l’interconnessione di soggetti diversi, ciascuno dei quali è detentore di conoscenze forse in sé limitate, ma anche molto speciali-stiche e certamente tra loro complementari. Le singole parti sembrano cambiare in modo quasi coordinato. Il progresso delle tecnologie è di tipo implicito o non volontaristico, come accadrebbe nell’ambito di un progetto di R&D guidato da un centro decisionale esterno, e segue traiettorie tecnologiche e processi di evoluzione non ottimizzanti ma di tipo interattivo o basati su processi di aggiustamento recursivo tra i diversi attori interessati.

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In altri termini, l’evoluzione delle conoscenze nelle piccole e medie imprese non è tanto il risultato di uno sforzo autonomo in ricerca e sviluppo all’interno dell’impresa singola, ma della combinazio-ne di competenze complementari e di diffusi processi di apprendimento di tipo interattivo, nei quali sono coinvolte molte imprese industriali clienti e fornitrici, lungo una determinata filiera o catena di creazione del valore. Anche la mobilità dei lavoratori ed il susseguirsi delle loro esperienze lungo l’intero arco della loro vita lavorativa giocano un ruolo importante nello sviluppo delle conoscenze e delle capacità tecno-logiche e nella loro diffusione ampia nel sistema delle imprese. Il mercato del lavoro svolge un ruo-lo cruciale nella circolazione delle conoscenze e nell’assicurare alle imprese l’accesso a competenze rare e cruciali per il loro sviluppo. I sistemi produttivi locali sono luoghi di apprendimento collettivo. Essi sono caratterizzati da una rapida circolazione della conoscenza e delle innovazioni, che fa perno sulla contiguità, sulla cono-scenza e sulla fiducia reciproca, che riduce i comportamenti opportunisti e l'incertezza complessiva del sistema. Si formano quindi reti di innovazione e apprendimento (“innovation and knowledge ne-tworks”). L'interazione a sistema di tutti gli attori del sistema produttivo locale rappresenta una precondizione indispensabile per favorire la genesi di saperi originali derivanti dall'interazione dialogica di tutti i partecipanti. In particolare, i lavoratori specializzati, i quadri tecnici e gli imprenditori sono tra loro legati non solo dal vincolo con la impresa rispettiva ma anche dalla partecipazione e appartenenza ad una spe-cifica comunità professionale. Essi diventano soggetti attivi del proprio apprendimento e partecipa-no a quella che la letteratura definisce come “communities of practice”, che hanno la struttura tipica di una rete e che mirano ad una sistematica valorizzazione di una conoscenza generata in forma di-stribuita. Infatti, queste comunità rappresentano un nuovo luogo di informazione, formazione e inte-razione tra soggetti che sulla base di linguaggi e semantiche comunicative comuni partecipano a un processo di apprendimento il cui vero valore aggiunto è dato dalla condivisione delle conoscenze e di saperi generati in forma distribuita dai singoli partecipanti, dopo un processo di convalida da par-te della comunità stessa. La ricerca di una continua legittimazione all'interno della propria comunità di riferimento e la con-sapevolezza che le opportunità di lavoro e i percorsi di carriera sono determinati soprattutto dalla considerazione che l’individuo ha in tale comunità di riferimento rappresentano i fattori che spingo-no i partecipanti a condividere i saperi generati nel proprio vissuto quotidiano. Nell'assetto fordista la formazione ha luogo tipicamente prima del lavoro (tempo dell'istruzione sco-lastica e addestramento a una mansione) e ogni qualvolta la tecnostruttura ridefinisca o perfezioni il contenuto delle diverse attività che costituiscono una mansione (corsi di aggiornamento). La dico-tomia tra lavoro e formazione è netta ed ha origine nella possibilità per l'azienda fordista (e per tutto il sistema economico sociale) di predefinire con certezza il futuro e quindi i fabbisogni formativi in un ambiente caratterizzato da un basso livello di complessità (De Pietro 2000). Le nuove esigenze delle aziende di realizzare prodotti sempre più personalizzati e di ridurre il time to change ed il time to market e di investire in un processo di innovazione continua richiedono che la formazione sia distribuita capillarmente nel tempo di lavoro o immersa nel luogo di produzione. Infatti, il più delle volte i processi di apprendimento e formazione devono inserirsi senza soluzione di continuità nel flusso del lavoro, ovvero dal flusso dei problemi e della ricerca di soluzioni che propria del lavoro.

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Peraltro, le conoscenze le informazioni disponibili nei sistemi produttivi territoriali di piccola e me-dia impresa probabilmente non assicurano tuttora livelli significativi competitivi a scala internazio-nale. Il sistema di relazioni sociali all'interno del quale si muove l'imprenditore è un sistema costoso da alimentare e mantenere, malgrado le difficoltà a monetizzare questi oneri, e il processo di conti-nua ricostruzione e riqualificazione del territorio richiede un impegno di tempo e energie non irrile-vanti. L’utilizzo delle nuove tecnologie potrebbe permettere di sostenere le comunità e i gruppi informali che esistono e operano nei contesti locali al fine di avviare sistemi di knowledge management terri-toriale. Tuttavia, la transizione verso l’economia della conoscenza non è solo o tanto un problema di diffusione di competenze informatiche a livello individuale (processo peraltro già avviato e veloce), ma un problema più generale di innalzamento continuo e sistematico delle conoscenze e delle com-petenze professionali di ogni lavoratore. La vera sfida è infatti rappresentata dalla qualità della co-noscenza disponibile, dato che diventa sempre più problematico per un sistema locale avere accesso a conoscenze di natura diversa. In conclusione, nei sistemi produttivi locali si sviluppa un processo sistemico tra (Cappellin e Orse-nigo 2000): ? la fase della produzione, caratterizzata dal lavoro in comune tra diversi fornitori specializzati, ? la fase della ricerca e dell’innovazione, caratterizzata da un approccio di tipo “problem solving”

che utilizza in modo esperto una combinazione di conoscenze diverse e complementari, ? la fase della creazione delle conoscenze, caratterizzata da processi di apprendimento basati

sull’imitazione e sull’interazione stretta di soggetti caratterizzati da competenze diverse. Certamente, questo modello originale di produzione della conoscenza richiede strumenti di inter-vento o di politica dell’innovazione diversi da quelli tradizionalmente utilizzati, come quello dell’incentivazione fiscale o creditizia delle spese in R&S esplicite. Più importate che individuare e sostenere con strumenti finanziari espliciti progetti innovativi, pos-sono essere strumenti di intervento basati su un approccio “transattivo”, che stimolino le relazioni di cooperazione tra i diversi attori, facilitando le loro relazioni reciproche, o mirino ad aumentare il li-vello di istruzione di base, tramite interventi sulla formazione continua, o che stimolino l’apertura esterna, facilitando le relazioni tra il distretto locale e centri di ricerca ed imprese tecnologicamente avanzate esterne all’area, anche all’estero. Per accelerare i tempi dell’innovazione o aumentare la velocità di crescita della produttività e per migliorare la qualità o l’efficacia dei processi interattivi di apprendimento nelle reti di imprese, è necessario consolidare e rendere esplicita l’organizzazione delle interazioni cognitive, tramite le quali le imprese fanno oggi circolare tra loro in modo solo implicito e troppo complesso e lento le informazioni e le competenze complementari. Sembra indispensabile l’esistenza di un soggetto integratore nelle relazioni di tipo tecnologico tra le imprese dei diversi settori e costruire un governo unitario del processo interattivo di sviluppo tecno-logico. Emerge pertanto la necessità di creare specifiche istituzioni intermedie, che si facciano cari-co dell’integrazione del know-how dei singoli settori o di un governo (governance) unitario, anche se non gerarchico, ma di tipo reticolare del processo di circolazione delle informazioni e di adozioni di decisioni strategiche relative al miglioramento dei processi produttivi e dei prodotti tipici del si-stema produttivo locale considerato.

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3. Le reti locali e internazionali e il processo di sviluppo regionale Il modello di sviluppo dei network territoriali di piccole e medie imprese è caratterizzato dalla stret-ta interdipendenza tra sei diversi fenomeni: a) lo sviluppo di reti tra le imprese locali, b) i processi di apprendimento e di sviluppo del know-how produttivo, c) i processi di innovazione e di crescita della produttività e competitività delle produzioni, d) la dinamica demografica della popolazione delle imprese, fatta di flussi di nascita e chiusura di

imprese e di crescita o declino delle imprese già esistenti, e) i flussi commerciali, di capitali e conoscenze con imprese e economie esterne all’area nella pro-

spettiva dell’internazionalizzazione e globalizzazione delle economie locali, f) la dinamica dei livelli di occupazione. In particolare dall’analisi delle relazioni che collegano tra loro queste diverse variabili o processi emergono alcuni cicli cumulativi di tipo virtuoso, che spiegano il persistere del successo del model-lo di sviluppo dei network territoriali, nonostante le ricorrenti critiche e allarmi lanciati almeno ne-gli ultimi trenta anni.

Sviluppo economico e dell’occupazione

Apertura Produttivita’ e interregionale adozione di

innovazioni

Networking locale, Sviluppo del subfornitura e know-how gruppi di imprese locale

Nascita e morte

di imprese

Figura 3: Il processo di sviluppo nel modello dei network territoriali

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Infatti, la stretta integrazione tra le imprese locali nelle relazioni di subfornitura e la complementa-rietà tra le imprese locali favorisce la cooperazione produttiva e tecnologica locale e quindi lo svi-luppo del know-how produttivo locale, che a sua volta favorisce l’adozione di innovazioni impor-tanti. Inoltre, lo sviluppo delle reti di subfornitura e del networking tra le imprese locali facilita la nascita di nuove imprese. L’elevata numerosità delle imprese esistenti comporta quindi una maggiore com-petizione tra le stesse, una maggiore diversificazione del know-how tecnologico e produttivo e delle capacità imprenditoriali, che favoriscono la dinamica innovativa. D’altro lato l’accelerazione del processo di cambiamento tecnologico a sua volta stimola la coope-razione o il networking tra le imprese locali, tramite uno sviluppo ulteriore dei processi di esterna-lizzazione e delle relazioni di subfornitura. La dinamica innovativa e la qualificazione delle produzioni locali promuove la competitività delle imprese locali sui mercati esterni e quindi la crescita delle esportazioni, che rappresentano la com-ponente cruciale della domanda delle produzioni locali e dello sviluppo locale. Inoltre, la maggiore apertura verso l’economia internazionale stimola la cooperazione tra le imprese locali per fare fronte alle sfide della competizione internazionale. Infine, lo sviluppo dell’economia locale stimola la domanda a scala locale di servizi alla popolazio-ne e di subfornitura specialistica alle imprese esistenti e favorisce quindi la creazione di nuove im-prese. Questo modello di sviluppo differisce profondamente dal modello neoclassico di sviluppo “endoge-no”. Infatti, i modelli di crescita tradizionali si basano unicamente sulla considerazione delle rela-zioni tra le tre variabili superiori dell’esagono della figura 3. Pertanto, la crescita è collegata allo sfruttamento delle economie di scala e quindi alla competitività delle esportazioni locali. La dina-mica della produttività viene solo formalmente resa endogena, considerando il ruolo del capitale umano. Ma l’analisi di questo ultimo è profondamente inadeguata, dato che si basa su un approccio di tipo aggregato. Proprio per la loro natura aggregata, questi modelli non considerano le tre varia-bili inferiori dell’esagono della figura 3 e quindi non considerano il ruolo che nel processo di svi-luppo hanno l’esistenza di relazioni a rete tra le imprese, i processi di apprendimento, che sono es-senzialmente di tipo interattivo, e il fatto che la dinamica occupazionale è determinata essenzial-mente dal saldo tra nascite e morte di imprese. Il modello indicato nella figura 3 sottolinea la necessità che le politiche di sviluppo regionale pro-muovano lo sviluppo di relazioni di cooperazione e integrazione tecnologica tra le diverse imprese e gli attori locali. L’innovazione e la qualità delle produzioni dipende soprattutto dalla qualità delle competenze di-sponibili nelle funzioni di progettazione e di organizzazione della produzione, mentre meno impor-tanti sono la crescita delle capacità produttive degli impianti o il costo della forza lavoro. Infatti, il mantenimento dei vantaggi competitivi dipende dalla creazione di risorse immateriali co-struite grazie ad un processo di apprendimento, come il know-how, le competenze, le qualificazioni, i modi di agire. Questo implica che le politiche regionali devono promuovere i processi di appren-dimento sul lavoro, la formazione permanente dei lavoratori, la formazione professionale dei giova-ni, come anche gli investimenti congiunti di più imprese nella R&S e non ultimo l’apertura a colla-borazioni tecnologiche con imprese esterne all’area considerata.

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4. Le learning regions e il knowledge management territoriale Se è ben noto che il vantaggio competitivo delle imprese e delle regioni è basato sull’innovazione e sui processi di innovazione, meno diffusa è la consapevolezza che “la conoscenza rappresenta la ri-sorsa fondamentale nell’economia contemporanea e il processo di apprendimento rappresenta il processo più importante” (Lundvall e Johnson 1994). Infatti, il patrimonio di conoscenze e competenze delle persone o il “capitale intellettuale” gioca un ruolo cruciale di fronte ai rischi e le opportunità creati dalla competizione internazionale. I sistemi produttivi tradizionali possono essere considerati come un bacino (pool), a volte straordinario, di competenze tecniche e professionali, differenti e complementari, e di capacità imprenditoriali. I processi interattivi tra le imprese di “learning-by-producing” e di “learning-by-searching” rappre-sentano i meccanismi principali per ricombinare e introdurre nuova conoscenza nell’economia” (Lundvall e Johnson 1994). “Definire una regione come “learning region” consiste nel sostenere che gli attori del sistema sono impegnati in un processo di apprendimento interattivo che permetta lo sviluppo delle conoscenze, del know-how e altre competenze necessarie all’innovazione e al mantenimento della competitività” (Maillat e Kebir 1999). Lo scambio e la combinazione di conoscenza complesse e basate sull’esperienza e lo sviluppo di a-zioni comuni, per risolvere problemi spesso sconosciuti e non ben definiti, richiedono il dialogo, contatti faccia a faccia, una lingua comune e un’atmosfera aperta. In particolare, lo sviluppo di pro-cessi di tipo interattivo è facilitato dalla prossimità fisica e da quella sociale (Rallet e Torre 1998). La valorizzazione delle differenze e l’integrazione interdisciplinare si inserisce in un processo evo-lutivo, dato che le diverse competenze disciplinari non sono statiche, ma sono in continua evoluzio-ne. Tale evoluzione si alimenta di scambi esterni ove ogni ricercatore, non solo mantiene la propria individualità, ma contribuisce al progetto comune proprio perché padroneggia un know-how speci-fico e al contempo fa evolvere lo stesso incorporando contributi esterni, reagendo a stimoli esterni e affrontando problemi nuovi. L’obiettivo di una “learning region” è quello di integrare la conoscenza (tacita o implicita) tradizio-nale e legata al contesto locale con la conoscenza codificata disponibile a livello mondiale in modo da stimolare il potenziale endogeno regionale (Nonaka e Konno 1998). Una “learning economy” implica anche la necessità di sviluppare una politica di formazione a scala regionale. Si tratta di sviluppare nuove competenze gradualmente durante i processi produttivi e so-prattutto una cultura dell’apprendimento (“learning culture”). In particolare, l'apprendimento in un'organizzazione o in un territorio dipende in maniera critica dal-la condivisione di conoscenza (tacita, codificata o entrambe) e dalla fiducia tra i membri della co-munità. Infatti, nelle attuali “società della conoscenza” si assiste ad un rapido allargamento dei processi produttivi della conoscenza a scala sia spaziale che istituzionale. Il cambiamento fondamentale è che la produzione di conoscenza scientifica e tecnologica è sempre meno un’attività autocontenuta. Certamente, la produzione della conoscenza scientifica non è più l’esclusiva di istituzioni speciali come le università o le istituzioni di ricerca pubbliche, dalle quali la conoscenza dovrebbe diffon-

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dersi come uno spill-over o uno spin-off a beneficio degli altri settori. Il numero dei luoghi o degli attori che sono impegnati attivamente nella generazione della conoscenza si sta moltiplicando rapi-damente. Tra di essi vi sono anche gruppi informali, network e associazioni, società di consulenza, piccole imprese innovative sostenute dal venture capital. Il processo di adozione delle innovazioni è basato sulla combinazione originale di competenze di-verse e complementari e sull’interazione complessa tra molteplici attori, come imprese, grandi e piccole, istituti di ricerca e di formazione superiore, laboratori privati di R&S, agenzie di trasferi-mento tecnologico, camere di commercio, associazioni di imprese, organizzazioni di formazione professionale, specifiche agenzie governative e appropriati uffici di amministrazioni pubbliche. Si tratta di valorizzare le esternalità di network, che vengono espresse dalla legge di Metcalfe, se-condo la quale più sono gli individui, istituzioni ed organizzazioni che partecipano al network, maggiore è il suo valore e la sua capacità di produrre innovazione (Elia 2000). Utilizzando il concetto di knowledge management sviluppato recentemente nell’economia d’impresa, obiettivo esplicito della politica dell’innovazione a scala regionale deve essere quello di “creare valore” dalle risorse umane nel territorio o di promuovere il cambiamento e l’innovazione (De Pietro 2000, Lanza 2000, Sorge 2000). Il knowledge management territoriale deve mirare a convertire la conoscenza personale e delle sin-gole imprese in conoscenza organizzata e strutturata a livello dell’intero sistema produttivo regiona-le. Esso mira a fare emergere le conoscenze “locali” (di individui, gruppi, processi), facendole di-ventare conoscenza comune alla rete delle imprese e a facilitare l’acquisizione dall’esterno di cono-scenze che sono essenziali per la competitività del sistema produttivo regionale considerato. Obiettivo del knowledge management territoriale è quello di agevolare le singole imprese nella ri-cerca di informazioni di cui hanno bisogno, sviluppando la capacità di raccogliere, organizzare e rendere disponibili in tempo reale informazioni di cui le singole imprese abbiano bisogno nel pren-dere decisioni e nello svolgimento delle loro produzioni. Il knowledge management territoriale promuove la creazione di reti di attori e di gruppi di attori, che possono essere definite come “comunità professionali” (communities of practices), web of communities, gruppi virtuali di progettazione, forum di discussione, innovation or knowledge teams. Il sistema degli attori può essere organizzato tramite la creazione di “network di conoscenza” (kno-wledge networks) e di innovazione, che sono caratterizzati dal fatto che gli attori del network condi-vidono come obiettivo l'innovazione. In particolare, perché questo processo di networking possa svilupparsi in modo efficace è necessario che esso sia sostenuto da alcune “strutture abilitanti” (enabling structures) sia di tipo materiale (ICT) che di tipo immateriale (istituzioni intermedie, centri di servizio, agenzie, centri di trasferi-mento tecnologico) (Capitani e De Maria 2000). Sembra indispensabile l’esistenza di un soggetto integratore nelle relazioni di tipo tecnologico tra le imprese dei diversi settori e costruire un governo unitario del processo interattivo di sviluppo tecno-logico. In questa prospettiva le università, le diverse istituzione di formazione professionale e le comunità professionali, che raccolgono profili professionali simili operanti sul territorio, diventano i naturali candidati ad assumere ruolo di ponti o gateway tra l’insieme delle imprese operanti nel sistema pro-duttivo locale e la rete internazionale di produzione e diffusione della conoscenza.

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Infatti, secondo la Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento Europeo: “L’innovazione in un’economia fondata sulla conoscenza” (2000), “oltre al ruolo da loro svolto tra-dizionalmente nei campi dell’istruzione e della ricerca, le università dovrebbero assumere una terza missione: promuovere la diffusione della conoscenza e delle tecnologie, soprattutto nell’ambiente imprenditoriale locale”. Lo sviluppo delle tecnologie di punta e la loro diffusione nel sistema produttivo è facilitato se l’università e i centri di ricerca creano efficaci centri di trasferimento tecnologico. Questi centri possono mirare a tre missioni principali: a) coordinare reti/associazioni e progetti sulla diffusione delle migliori prassi nel trasferimento di

tecnologia, b) promuovere progetti di ricerca in collaborazione con il sistema delle imprese, c) promuovere la creazione di incubatori di imprese, che favoriscano la creazione e la crescita di

imprese innovative. Le università possono promuovere la creazione di “network di innovazione” tramite l’organizzazione di una serie di workshops o laboratori di progettazione finalizzati alla elaborazione di idee progettuali e al marketing dei risultati di ricerca. Esse possono organizzare concorsi per bu-siness plan e idee di progetto e, una volta selezionati i progetti migliori, possono promuovere la cre-azione di un “gruppi di innovazione” (innovation group), con la partecipazione di ricercatori e par-tner industriali, integrabili verticalmente o orizzontalmente con la nuova impresa innovativa. Altre iniziative possono riguardare la creazione di una piattaforma Web per le comunicazioni tra i partner del gruppo di innovazione e le loro relazioni con esperti di diverse istituzioni di ricerca ita-liane e estere e l’organizzazione di “forum finanziari” con potenziali investitori di seed finance e venture capital, grandi istituti bancari, business angels e gruppi finanziari industriali. 5. Il governo dei network di innovazione nei sistemi produttivi locali Una “learning region” rappresenta un sistema di produzione in evoluzione continua grazie al ruolo attivo dei processi di apprendimento, d’adattamento e di innovazione e può rappresentare il risultato finale dell’evoluzione di un “distretto industriale”. Infatti, la conoscenza nei sistemi produttivi regionali specializzati in produzioni tradizionali e caratterizzati da una forte presenza di piccole e medie imprese è spesso diffusa e solo di tipo tacito. Peraltro, è anche vero che non tutti i sistemi produttivi locali riescono a diventare una “learning re-gion”, e che a volte si trovano bloccati nel loro sviluppo per l’incapacità di svincolarsi dalla traietto-ria tecnologica che caratterizza la loro specifica specializzazione produttiva. Infatti, il capitale conoscitivo si sviluppa con il tempo e la nuova conoscenza si costruisce sulla co-noscenza preesistente secondo traiettorie ben definite (path dependence). Pertanto, un ambiente troppo chiuso all’interno di reti di tipo solo locale può portare a riciclare conoscenze già note e ad una situazione di blocco del processo di adozione di innovazioni. Invece, la diversità o l’eterogeneità nella base di risorse locali ed esterne influisce sul grado innovatività di un sistema produttivo locale. Spesso può verificarsi una trappola o un ciclo cumulativo negativo. Infatti, l’assenza di competenze professionali adeguate induce le imprese a specializzarsi in comparti produttivi a bassa tecnologia. D’altro lato, l’assenza di industrie innovative e il mantenimento di settori a bassa produttività spin-

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ge le imprese a non investire nella formazione e a domandare lavoratori con bassi livelli di qualifi-cazione e bassi salari. Manca spesso nei sistemi produttivi locali di piccole e medie imprese la capacità di sviluppare un progetto esplicito di sviluppo comune della tecnologia. Manca a volte persino la consapevolezza della necessità di investire in modo esplicito nella ricerca e nella formazione. Nell’era delle imprese a rete e delle reti di imprese, caratterizzata da una integrazione sempre più stretta, è necessaria una visione strategica e definire un quadro di riferimento a medio termine, che stimoli le capacità progettuali diffuse tra gli attori privati e le diverse organizzazioni e associazioni e favorisca la loro interazione e sinergia. I sistemi di innovazione nazionali e locali sono diversi non solo in termini di performance innovati-va ma anche in termini di connettività, cioè di efficacia nella creazione e trasmissione della cono-scenza e delle competenze tra le imprese e le diverse istituzioni e organizzazioni. Lo sviluppo di reti di conoscenza e di innovazione tra i diversi attori locali rende necessaria la defi-nizione degli ambiti istituzionali nei quali si possano sviluppare le relazioni tra tali attori. Infatti, un elemento chiave, che determina la dinamica e il comportamento evolutivo di un network di innova-zione, è la variazione o il design adeguato dei pattern di relazione esistenti tra i nodi del network. Come sopraindicato, per accelerare i tempi dell’innovazione e aumentare la velocità di crescita della produttività nei sistemi produttivi locali è necessario consolidare e rendere esplicita l’organizzazione delle interazioni cognitive, tramite le quali le imprese fanno oggi circolare tra loro in modo solo implicito e troppo complesso e lento le informazioni e le competenze complementari. La diffusione delle conoscenze permette di ridurre i tempi decisionali o i tempi di preparazione di progetti e permette di minimizzare la duplicazione degli sforzi e di prevenire la ripetizione di errori. E’ necessario quindi ridurre i tempi necessari per attingere al patrimonio di conoscenza del sistema produttivo locale. Quanto maggiore è la velocità del cambiamento e l’incertezza, tanto maggiore è l’importanza della stabilità delle relazioni, che permette lo sviluppo di linguaggi e codice di comunicazione comune e di relazioni personali e informali, permette risparmi in termini di costi di transazione e riduce i costi legati ad asimmetrie informative, quali i rischi di comportamenti opportunistici e fenomeni di sele-zione avversa. Pertanto, le istituzioni formali (organizzazioni governative, agenzie di sviluppo, associazioni, leggi, ecc.) e informali (valori, routines, codici di comportamento, usi, fiducia, ecc.) giocano un ruolo es-senziale nel funzionamento di una learning region. “Le istituzioni riducono le incertezze, coordina-no l’uso della conoscenza, mediano i conflitti e forniscono sistemi di incentivazione. Fornendo tali funzioni le istituzioni assicurano la stabilità necessaria per il cambiamento” (Lundvall e Johnson 1994). La “densità istituzionale” (institutional thickness) è un fattore di forza cruciale nel processo di com-petizione internazionale (Rullani 1998 e 2000). Tuttavia, essa è anche il risultato di un processo di lungo termine e di tipo graduale di creazione di istituzioni (institutional building), che implica sia riforme istituzionali (federalismo) (Cappellin 1997b) che la creazione di nuovi strumenti di politica economica (centri di servizio, agenzie, programmazione negoziata, ecc. ) e nuove procedure di go-verno (governance).

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Lo sviluppo di una moderna economia della conoscenza (learning economy) non può essere decisa dall’alto, ma si basa sullo crescita delle capacità dei singoli attori della comunità e richiede che ne vengano valorizzati l’autonomia e il senso di responsabilità. Tuttavia, il passaggio da una guida centrale ad una politica decentralizzata sul territorio non com-porta solo il cambiamento nelle norme che regolano i rapporti tra i diversi livelli istituzionali, ma anche la necessità che le istituzioni territoriali adottino approcci di intervento profondamente inno-vativi rispetto all’interventismo statale e al controllo gerarchico (top-down) tradizionalmente utiliz-zati a livello nazionale. Cambia il campo stesso delle politiche locali, dato che mentre l’intervento pubblico tradizionale a-dotta un approccio di tipo sostanzialmente “macro-economico” o di tipo finanziario e redistributivo, la guida consensuale degli attori locali porta a focalizzare gli interventi al livello “micro” o di si-stema intermedio (“meso-economico”) e a stimolare una corresponsabilità diretta anche di tipo fi-nanziario degli stessi attori. Si tratta di passare da un approccio basato su una autorità di governo chiaramente distinguibile (go-vernment) e che mira all’attuazione di determinate politiche (policies) decise autonomamente ad un approccio basato sulla “governabilità” (governance), che implica la definizione di regole e di istitu-zioni che guidino un sistema e i relativi processi decisionali (polity), al quale partecipa una pluralità di attori locali pubblici, privati e di rilevanza collettiva, come le molte istituzioni intermedie che or-ganizzano una società ed un’economia sempre più articolata. Il concetto di interdipendenza ed integrazione tra le diverse attività produttive non è sufficiente e i sistemi produttivi locali devono essere in grado di promuovere la creazione di forme esplicite di co-operazione (partnership) tra i diversi attori locali, che devono essere unite da una strategia comune e mirare esplicitamente a realizzare programmi d’azione (action programmes) comuni. L’intervento degli enti locali e regionali deve passare ad un approccio che miri all’orientamento (steering) delle reti politiche (policy network), composte da una pluralità di attori tra loro interagenti e che preveda anche l’evoluzione delle stesse politiche nell’ambito di processi di apprendimento, che si basino sulla valutazione dei risultati via via conseguiti e degli obiettivi da raggiungere. L’organizzazione del disegno delle politiche e lo sviluppo di processi di apprendimento nelle politi-che (policy learning) sono modelli distinti da quello tradizionale basato sulla mera definizione di strumenti di controllo e di monitoraggio. Infatti l’approccio della governance ha un carattere strettamente evolutivo, in quanto si basa sulla stretta relazione tra la fase della negoziazione delle politiche e la fase dell’implementazione e impli-ca processi dinamici di apprendimento e di sviluppo delle politiche, che permettano alla rete degli attori di correggere le politiche iniziali di tipo non ottimale. L’obiettivo della politica locale e regionale deve essere quello di estendere la prospettiva temporale e geografica dei progetti di intervento concordati nell’ambito delle reti degli attori locali. In partico-lare, si tratta di promuovere sia lo sviluppo di strategie di medio termine che una crescente apertura a scala intercomunale, interprovinciale e internazionale delle reti locali.

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