Muovendo il testo da un luogo all'altro

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Paolo Costa

Docente a contratto di Comunicazione Digitale e Multimediale, Università di Pavia

Muovendo il testo da un luogo all’altro1

[Moving texts from one place to another / Przełożenie tekstu z jednego

miejsca do drugiego]

Se qualcuno ripete le nostre parole, la loro eco

suona come una nostra confutazione.

HANS GADAMER, Scrivere e parlare, 1983

0. Introduzione

La semiotica e la tradizione ermeneutica ci hanno insegnato a includere il lettore tra le fonti di

senso di un testo, in ispecie di un testo letterario. Il lettore entra in relazione dialettica con

l’autore: prende in carico il testo che gli viene affidato e lo attualizza, manovrando fra le

molteplici possibilità di senso verso cui tale testo si apre. Possiamo affermare che l’esperienza

di lettura completa il testo, inteso quest’ultimo come processo iniziato – ma non esaurito –

dall’autore.

Di seguito si presenta una riflessione sul lavoro sperimentale svolto, a partire dal 2012,

utilizzando la piattaforma di microblogging Twitter come strumento di lettura e di analisi

critica dei testi letterari. La metodologia adottata – che chiamiamo twitteratura – si basa su tre

fondamenti: 1) la relazione del lettore con il testo che è oggetto di analisi si sviluppa

attraverso l’esercizio della riscrittura del testo medesimo; 2) questo esercizio è svolto a partire

da un vincolo molto forte, ovvero il limite di lunghezza di 140 caratteri (spazi inclusi) che

ciascuna riscrittura deve rispettare; 3) lo sforzo è di tipo collaborativo, nel senso che i

1 Testo di prossima pubblicazione su “ReVue. Périodique Multidisciplinaire des Étudiants des langues

Romanes”, volume post-conferenza del I Congresso Internazionale degli Studenti delle Lingue Romanze,

Katowice, 25-26 maggio 2013.

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partecipanti condividono le proprie riscritture con gli altri utenti e quindi si influenzano

vicendevolmente, sfruttando le funzionalità messe a disposizione a tale scopo da Twitter.

Il presente articolo persegue tre obiettivi. In primo luogo vuole fornire una descrizione degli

esercizi di riscrittura su Twitter che sono stati fin qui condotti dalla comunità di lettori di

lingua italiana denominata Twitteratura.it. Secondariamente – ed è questo l’obiettivo più

ambizioso – intende formulare una prima ipotesi sulla funzione della twitteratura (come la

definiremo da qui in avanti) in relazione allo statuto dei testi letterari. Da ultimo si propone di

indicare alcuni possibili sviluppi di questo percorso sperimentale.

1. Riscrittura come lettura

Si considerino i seguenti due frammenti:

… la verdad, cuya madre es la historia, émula del tiempo, depósito de las acciones,

testigo de lo pasado, ejemplo y aviso de lo presente, advertencia de lo porvenir.

e

… la verdad, cuya madre es la historia, émula del tiempo, depósito de las acciones,

testigo de lo pasado, ejemplo y aviso de lo presente, advertencia de lo porvenir.

In apparenza si tratta di porzioni testuali identiche. Tuttavia, se stiamo al gioco cui ci chiama

Jorge Luis Borges nel suo Pierre Menard, autor del Quijote, il primo frammento è da

attribuire a Miguel de Cervantes, mentre il secondo è opera – appunto – di Pierre Menard,

autore fittizio e ricreatore del Quijote (Borges, 1939). Borges ci invita a considerare le

ragguardevoli differenze fra i due testi. Differenze relative allo stile – poiché la lingua di

Menard appare più arcaicizzante rispetto a quella di Cervantes – ma anche al contenuto:

banale e retorico quello dello spagnolo, sfacciato e innovativo quello del suo emulo francese.

Con tutta evidenza lo scrittore argentino ha voluto intrappolarci in una galleria degli specchi.

Il narratore del racconto di Borges ci parla di un autore, che è al tempo stesso lettore e critico,

il quale persegue l’irrealistico e allucinatorio obiettivo di riscrivere – senza copiarlo – il

Quijote di Cervantes: un’opera, cioè, che si dà a propria volta come trascrizione parodica di

tutta la tradizione letteraria preesistente (Juan-Navarro, 1989). Chi riscrive e chi è copiato?

Chi è il lettore e chi l’autore?

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Questa rete autoreferenziale, in cui oggetto e soggetto si confondono ambiguamente,

suggerisce l’idea del testo come processo: un processo iniziato dall’autore, ma in qualche

modo affidato al lettore. D’altra parte l’autore medesimo è lettore e critico, dal momento che

il suo testo è generato dall’interpretazione di altri testi, all’interno di un ciclo ermeneutico

virtualmente infinito. Il testo come dialogo fra chi scrive e chi legge, insomma. O addirittura

come esito dell’esperienza di lettura, anziché suo presupposto.

Ci troviamo qui all’incrocio fra chiave di lettura ermeneutica e approccio semiotico. Il lavoro

ermeneutico è inteso come cammino mentale che il lettore intraprende per avvicinarsi alla

sorgente del testo, alla sua origine e radice. In questo mettersi in marcia verso l’oriente del

testo (Ricoeur, 1989) si manifesta la nostra compassione per esso. L’interpretazione,

potremmo dire, è un gesto d’amore nei confronti del testo. Ma Ricoeur ci suggerisce anche

l’idea che l’atto di lettura sia un processo di déplacement, ossia di spostamento del testo da un

luogo all’altro, di decontestualizzazione e ricontestualizzazione. Ora, l’operazione del Menard

di Borges non è forse lo spostamento del Quijote da un contesto a un altro? E Menard, nel

momento in cui riscrive l’opera di Cervantes, non si pone forse come suo lettore e interprete?

Il racconto di Borges denuncia l’impossibilità della ripetizione. Per quanto esatta, la riscrittura

differisce dall’originale: essa è una nuova enunciazione. In questo senso, l’originale perde

qualsiasi prerogativa di esclusività e cessa pertanto di essere tale. Ogni copia è, a propria

volta, un originale.

Apparentemente folle, l’impresa di Menard riassume forse un modo specifico di intendere la

letteratura e il rapporto fra scrittore, testo, lettore e critico letterario. E il racconto di Borges ha

dunque una sua lucida dimensione teoretica, ancorché nascosta nelle pieghe della finzione

narrativa. Da un lato la lettura si dà sotto forma di scrittura, dall’altro la scrittura è in effetti

una riscrittura di cose già scritte. Non ci sono testi da inventare. Semmai ci sono testi che

devono essere spostati da un contesto a un altro.

Tuttavia occorre distinguere fra uso libero del testo e sua interpretazione. Certo, anche la

semiotica e la pragmatica ci hanno insegnato che il processo cooperativo fra autore e lettore

(emittente e destinatario) è essenziale per colmare le reticenze del testo, per connetterlo con

l’intertestualità da cui proviene, per fargli dire di più di quello che esso esibisce. Ma questo

non implica che ogni uso del testo sia autorizzato. Il meccanismo delle interpretazioni è

semmai ordinato dalla struttura del testo. Che l’apertura dell’opera fosse regolata appariva già

chiaro a Umberto Eco, nella sua prima edizione di Opera aperta (Eco, 1962), la quale ebbe il

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merito di anticipare di diversi anni la scena strutturalista e semiotica dei vari Jakobson e

Barthes. Tutto ciò fu ulteriormente messo a fuoco in epoca successiva dallo stesso Eco, che

non a caso definisce «maliziosa» l’operazione condotta da Borges con il Menard: «la catena

delle interpretazioni può essere infinita», ma «l’universo di discorso interviene a limitare il

formato dell’enciclopedia. E un testo altro non è che la strategia che costituisce l’universo

delle sue interpretazioni – se non “legittime” – legittimabili» (Eco, 1979, pp. 59-60). In

sostanza, se da un lato il lettore collabora con l’autore alla definizione del senso del testo, allo

stesso tempo è vero che l’autore «costruisce il proprio lettore attraverso una strategia testuale»

(Ibidem, p. 59).

Riscrittura come lettura, dunque. La dimensione dialogica è decisiva: il testo è un processo

dialettico che si sviluppa attraverso innumerevoli percorsi di rilettura e riscrittura (Valdés,

1982). All’interno di una simile cornice concettuale, ci domandiamo: è possibile annoverare

la riscrittura – intesa non solo come parafrasi, commento e interpretazione, ma anche in

quanto esercizio creativo, basato sulle figure della associazione, della variazione, della

parodia ecc. – tra le forme di analisi critica di un testo?

A partire dal 2012 una comunità di dimensioni crescenti, attiva in Italia e composta da

individui con un profilo socio-anagrafico assai differenziato, ha condotto un lavoro

sperimentale di lettura e analisi critica di testi letterari, basato sull’utilizzo della piattaforma di

microblogging Twitter. Esiste un sito web (www.twitteratura.it) a cui rimandiamo per tutte le

informazioni relative alla storia di questa comunità. Basti qui ricordare che i testi sui quali

essa si è applicata sono vari: Esercizi di stile di Raymond Queneau (letto nella traduzione

italiana di Umberto Eco del 1983), Paesi tuoi, Dialoghi con Leucò e La luna e i falò di Cesare

Pavese (rispettivamente del 1941, 1947 e 1950), Scritti corsari di Pier Paolo Pasolini (1975,

unico testo argomentativo e non di finzione fin qui analizzato) e Le città invisibili di Italo

Calvino (1972).

Occorre sottolineare che la comunità si è aggregata intorno al progetto in modo spontaneo. Le

motivazioni che hanno spinto i singoli a partecipare a questa esperienza – che di seguito

descriveremo più in dettaglio – sono eterogenee e comunque quasi sempre tacite.

Probabilmente l’amore per la letteratura rappresenta un tratto distintivo che accomuna la

maggior parte degli attori coinvolti, al quale si aggiungono in molti casi il ricorso alla scrittura

come forma di affermazione del sé, in chiave prevalentemente espressiva e autobiografica, la

ricerca di occasioni ludiche, la voglia di entrare in contatto con altri utenti, il mero impulso

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esibizionistico. Sospettiamo che siamo rari i casi di soggetti avvicinatisi a Twitter, o

addirittura al mondo delle reti sociali online, con l’obiettivo precipuo di partecipare

all’esperienza della twitteratura. Il più delle volte si tratta di utenti già attivi da tempo su

Twitter, e in alcuni casi protagonisti di un’intensa attività sociale in Rete. D’altronde sulle

motivazioni dei partecipanti al progetto possiamo solo formulare congetture, dal momento che

l’universo sociale di riferimento non è ancora stato indagato in modo esaustivo. In generale

sul tema dell’esperienza sociale online, sulle sue motivazioni e sui suoi effetti, esiste una

letteratura sempre più ampia (e tutt’altro che univoca quanto alle conclusioni). Il modello al

quale ci rifacciamo è quello elaborato da Lee Rainie e Barry Wellman. Le loro ricerche,

condotte sulla popolazione nordamericana, portano a concludere che l’accesso alle reti sociali

online non produce isolamento dei soggetti, ma abilita forme di socialità diverse da quelle

tradizionali. In particolare il focus della relazione su Internet sembra spostarsi dai gruppi agli

individui, nel senso che i singoli interagiscono in quanto individui, più che come appartenenti

a gruppi od organizzazioni sociali. I due autori parlano a tale proposito di networked

individualism (Rainie & Wellman, 2012).

Questo può essere assunto come paradigma descrittivo anche nel caso della comunità dei

partecipanti ai progetti di twitteratura, in attesa che di tale comunità si comprendano in modo

più puntale istanze e motivazioni. Stiamo comunque parlando di un circuito nel quale si entra

liberamente e dal quale, altrettanto liberamente, si esce. Attualmente (novembre 2013)

possiamo stimare intorno ai 250-300 individui il numero di coloro che partecipano alle

riscritture in modo assiduo e regolare, mentre la comunità allargata – composta da coloro che

hanno comunque contribuito al progetto in modo attivo, almeno una volta – conta oltre 3.000

individui2. Quanto all’insieme degli utenti di Twitter che sono stati esposti ai contenuti del

progetto, ossia quella che definiremmo la sua audience, essa risulta molto più difficile da

stimare. Rinunciamo in ogni caso a occuparcene in questa sede.

2. Il gioco della twitteratura

L’esercizio condotto dalla comunità si articola in due momenti concettualmente distinti: un

primo momento prevede lo smontaggio del testo originale, svolto attraverso il lavoro di

riscrittura dei singoli partecipanti; il secondo momento, invece, è di ricombinazione del

2 Per l’elaborazione di questi dati abbiamo un debito di riconoscenza nei confronti della società Blogmeter, che

ha messo a disposizione di Twitteratura.it la sua piattaforma di social listening.

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materiale prodotto nella prima fase e quindi di composizione di un apparato testuale inedito.

Di seguito forniamo una descrizione di queste due fasi, le quali si sviluppano sulla base di un

calendario preliminarmente condiviso da tutti.

a. Prima fase: decostruzione e disintermediazione

Nella prima fase i partecipanti leggono il testo prescelto e lo ‘riscrivono’ su Twitter. Ciò

avviene seguendo un programma che prevede la scansione del testo in porzioni più piccole.

Queste porzioni vengono lette una alla volta. Nel caso dei ventisette Dialoghi con Leucò di

Pavese, per esempio, la comunità ha affrontato la lettura di un dialogo ogni tre giorni, per cui

l’esercizio è durato complessivamente ottantuno giorni. A ciascuna delle cinquantacinque

città invisibili di Calvino, invece, è stata dedicata una sola giornata, in ragione della loro

brevità. Nel rispetto del calendario condiviso, dunque, i partecipanti leggono l’opera oggetto

dell’esercizio. La comunità non si riunisce fisicamente: ognuno procede alla lettura ovunque

si trovi e nei momenti che gli sono più congeniali. La lettura si accompagna alla produzione

di tweet (‘cinguettii’), ovvero alla pubblicazione di brevi messaggi – la loro lunghezza non

può superare i 140 caratteri, spazi inclusi – mediante la piattaforma di microblogging Twitter.

I messaggi entrano così nel flusso della rete sociale online, in quanto ciascun utente li

condivide con il proprio circuito di seguaci (follower3). La singola riscrittura può essere

parafrasi, variazione, commento, libera interpretazione, purché contenuta nel limite dei 140

caratteri già menzionato. E l’utente è libero di proporne anche più di una per ciascuna

porzione testuale di volta in volta oggetto di analisi.

Il vincolo relativo alla lunghezza dei tweet, in apparenza penalizzante fino all’intollerabile,

stimola in realtà l’acume critico del riscrittore, la sua lucidità interpretativa, la capacità di

cogliere il punto. Una volta che si comprendono le sue regole, insomma, la brevità diventa un

vantaggio. Dal lavoro di tutti i partecipanti scaturisce un sistema vastissimo di micro-tesi

prodotti dalla comunità, in relazione con l’opera di partenza e fra di loro (perché ogni tweet si

presta a sua volta a repliche, commenti, aggiunte). Riscrivendo Le città invisibili di Calvino,

per esempio, la comunità ha generato circa mille tweet per ogni città, con punte massime di

oltre 2.500 tweet e minime di 600: ciascun utente ha contribuito secondo la propria

disponibilità e la propria ispirazione. C’è chi si è limitato a pochi tweet per ogni città, chi è

arrivato a trenta e più tweet giornalieri.

3 Nel gergo di Twitter il follower è l’utente che segue un altro utente e che quindi ha visibilità dei suoi tweet

all’interno della propria timelime. Quest’ultima è l’interfaccia in cui sono pubblicati, in ordine cronologico inverso, tutti i tweet degli utenti di cui siamo follower. Pertanto ciascun utente ha una timeline differente.

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All’interno di questo sistema ricco e composito notiamo che si manifestano modalità fra loro

molto diverse di declinare la riscrittura. E non si tratta tanto di differenze di stile fra un utente

e l’altro. È il medesimo utente che, producendo più tweet intorno alla stessa unità testuale,

cerca di volta in volta forme alternative per entrare in relazione con essa. Ma, avendo a

disposizione solo 140 caratteri, ogni volta quell’utente è indotto a compiere scelte precise:

quasi sempre il singolo tweet persegue una sola strategia, non molte.

Intanto, per quanto breve, l’unità testuale su cui lavorare (capitolo, dialogo, articolo) può

risultare ancora troppo complessa. Per questo molti riscrittori tendono a smontare

ulteriormente tale porzione testuale, specie laddove sono riconoscibili più blocchi compositivi

o tematici, concentrando lo sforzo su uno solo di essi. Nel caso degli Scritti corsari di

Pasolini, che procedono per sviluppi argomentativi complessi e articolati, ciò è capitato con

una certa frequenza. Analizzando il corpus di tweet costituenti la riscrittura dell’articolo forse

più celebre, Il romanzo delle stragi (Pasolini, 1975) ci si accorge che la maggior parte di essi

lavora solo su uno dei tre blocchi compositivi e tematici: la rassegna quasi cronologica degli

attentati che hanno insanguinato l’Italia dal 1969 al 1974 (primo blocco, quello

contraddistinto dal potentissimo espediente anaforico dell’«io so»), la riflessione sul ruolo

dell’intellettuale di fronte alla politica e sul rapporto fra individuo e potere (secondo blocco),

oppure l’analisi della situazione politica italiana nel 1974 (terzo blocco).

In generale i materiali prodotti dai riscrittori sotto forma di tweet si possono dividere in due

grandi categorie: parafrasi e commenti. Le une si distinguono dagli altri in quanto

tendenzialmente prive di giudizi critici. Tuttavia anche la parafrasi – e, in senso lato,

qualunque intervento di transcodificazione, compresa la traduzione da una lingua a un’altra –

rappresenta in una certa misura un’operazione critica, poiché presuppone un lavoro di

selezione dei materiali originali: riassumere è scegliere, discriminare e perciò formulare

valutazioni. Sulla distinzione fra commento e riassunto si soffermò Italo Calvino in un

intervento sul quotidiano «la Repubblica» del 22 ottobre 1982, pubblicato in seguito in un

numero monografico della rivista «Riga» dedicato allo scrittore (Calvino, 1996). Per Calvino

un buon riassunto «deve essere costituito da enunciazioni, pensieri e possibilmente parole

contenute nell’opera da riassumere, cioè deve tendere a renderne anche l’aspetto formale,

stilistico, mettendo in evidenza lo spirito che quella determinata forma esprime» (Ibidem, p.

116). Il che non esclude la possibilità che il riassunto sia un «atto creativo», ma a patto di

esorcizzare lo spettro dell’oggettività (Ibidem, p. 117).

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Se guardiamo in quest’ottica ai tweet prodotti dalla nostra comunità, ci rendiamo conto che

non tutte le parafrasi sono riassunti, o almeno non lo sono nel senso inteso da Calvino nel suo

articolo del 1982. Abbondano infatti le parafrasi con connotazioni autoriali, in cui lo stile del

testo di partenza viene in un modo o nell’altro tradito. Chi riscrive, lo fa sacrificando lo spirito

dell’originale. Ciò può avvenire per inconsapevolezza o per incapacità, oppure a causa del

vincolo ferreo dei 140 caratteri imposto da Twitter, il quale costringe a riassumere usando

sinonimi brevi. Se ne è reso conto lo stesso Marco Belpoliti, che di recente si è cimentato

nella riscrittura su Twitter delle Fiabe italiane di Calvino (Belpoliti, 2012). Ma questo

comportamento può anche essere il frutto di una strategia deliberata, testa a sovrapporre il sé

del lettore/riscrittore a quello dell’autore.

Ecco un certo numero di esempi4, riconducibili alle diverse tendenze riscontrate nel lavoro

della twitteratura e poc’anzi descritte: sintesi contenutistica, parafrasi o riassunto

(eventualmente con connotazioni autoriali), sovrapposizione del sé commentante. Il

riferimento è sempre al celebre «io so» pasoliniano. Nel primo caso l’utente, che si identifica

su Twitter con il nome di @ronpaola, scrive:

Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in

Italia5.

Come si vede, un centinaio di caratteri sono sufficienti per sintetizzare in modo piuttosto

fedele il contenuto di tutta la seconda parte dell’articolo di Pasolini. Si dice l’indispensabile,

tralasciando molti particolari che qui risulterebbero superflui e che rendono anche l’originale

sovraccarico e ripetitivo: se il tweet non dice più del necessario, il merito è del vincolo dei

140 caratteri di lunghezza. D’altra parte, se la sostanza del discorso dell’autore viene qui

rispettata, il tweet rinuncia a inseguirne la cifra stilistica. È come se la dimensione connotativa

fosse sacrificata sull’altare della brevità.

4 In tutti i tweet riportati nel presente articolo lo hashtag è stato omesso. Gli hashtag sono etichette formate

da parole (o combinazioni di parole concatenate) precedute dal simbolo #. Inseriti nel corpo di un tweet, tali marcatori hanno lo scopo di renderlo classificabile e ricercabile. Così, tutte le riscritture dei progetti di twitteratura sono associate a specifici hashtag, che richiamano i titoli delle opere di volta in volta oggetto della lettura collettiva: #tweetqueneau, #lunafalò, #leucò, #paesituoi, #corsari e #invisibili. Gli utenti li hanno inseriti nel loro tweet per renderli riconoscibili. È bene ricordare che lo hashtag consuma, all’interno del tweet, un numero di caratteri pari alla sua lunghezza. Per questo si adottano in genere hashtag brevi, in modo da non sacrificare troppo del già esiguo patrimonio di 140 caratteri. 5 Questo e gli altri tweet citati nel presente articolo sono stati pubblicati su Twitter fra il 12 e il 13 luglio 2013. È

bene ricordare che oggi Twitter non offre agli utenti un archivio completo di tutto il materiale pubblicato. Dopo pochi giorni dalla sua pubblicazione, un tweet non è più ricercabile. Ciascun utente ha tuttavia la possibilità di recuperare i propri tweet, scaricandoli dalla piattaforma. Esistono poi diversi servizi online che permettono di scaricare i contenuti da Twitter tramite interfacce ad hoc e di aggregarli in vario modo.

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In alcuni tweet la parafrasi risulta così fedele da coincidere con una trascrizione letterale del

testo originale. È il caso di questo contributo dell’utente @erykaluna:

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire ciò che succede.

Contributo da porre a confronto con il testo di Pasolini del 1974:

Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire ciò che succede6.

Come si vede non siamo così distanti dalla situazione in apparenza paradossale descritta da

Borges e ricordata all’inizio di questo articolo. Nel momento in cui – a quasi quarant’anni

dalla sua prima pubblicazione – viene riscritto, lo stesso testo si trova collocato in un nuovo

contenitore. Il testo è stato cioè spostato da un luogo all’altro. E, grazie a questo processo di

ricollocazione, ha forse acquistato un senso nuovo pur in assenza della minima variazione.

Altrove i tweet non sono così fedeli alla lettera di Pasolini. Essi appaiono semmai come

interpretazioni del discorso dell’autore, se non addirittura come sue ideali prosecuzioni. Ecco

che cosa scrive ancora @erykaluna:

Io so che gli alfabeti di quelle stragi li ritrovo negli occhi impauriti di chi c’era e in

quelli di chi vuol sapere perché.

Nel tweet c’è un riferimento ai cittadini e all’opinione pubblica – da un lato testimoni,

dall’altro titolari del diritto alla verità – che non si ritrova nell’originale. Eppure possiamo

immaginare tale riferimento come un logico corollario alla tesi di Pasolini. Certo, la potenza

dell’«io so» è tale che @erykaluna non rinuncia a servirsene. Ma chi pronuncia quell’io so?

L’autore o la sua riscrittrice? Il dubbio, forse voluto, resta.

Nel caso di un altro tweet di @erykaluna, invece, non v’è dubbio alcuno: la voce dell’utente si

sovrappone a quella di Pasolini per formulare un proprio discorso:

Io so che quelle stragi sono segni sulle ns anime e fardello insuperato di cui paghiamo

il debito.

La sovrapposizione del sé può consistere in una libera interpretazione, come nell’esempio

appena citato, o in un dialogo del tweet con l’autore.

6 Pasolini, op. cit., p. 112.

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Fin qui abbiamo citato casi di riscritture più o meno fedeli, eppure tutte fondate su una

strategia di tipo mimetico. Forme e tempi verbali imitano quelli originali. Per cui, se l’autore

si esprime in prima persona e al presente, altrettanto fanno i tweet. E anche la funzione

deittica contribuisce a consolidare l’effetto mimetico. In altri casi, invece, la strategia è di tipo

diegetico. Si consideri, per esempio, la riscrittura di @ale_pig:

Scritto fondamentale di autodeterminazione e accusa: l’intellettuale afferma se stesso

attraverso la conoscenza.

Accanto alle parafrasi, come dicevamo, ci sono i commenti. E non è sempre agevole

distinguere le une dagli altri. Il tweet appena citato di @ale_pig, per dire, è riassuntivo e

valutativo al tempo stesso. I commenti, poi, si possono a propria volta dividere in varie forme:

l’analisi può riguardare l’ideologia, la lingua e la struttura del testo. A proposito de Il

romanzo delle stragi abbondano i casi di tutti i tipi.

Ecco alcuni tweet contenenti considerazioni di ordine stilistico:

Incipit folgorante: affermazione di sé. Poi allarga lo sguardo a piramide. Salendo fino

alla base, ai mandanti. Schema quasi poetico (@ale_pig)

“Io so.” 12 occorrenze. Incalzante. (@comemusica)

La cadenza implacabile di “Io so” come una verità nascosta che prepotentemente batte

per emergere. (@pzoppoli)

Ritmo veloce e martellante. “Io so”. Emerge il poeta Pasolini. (@gandinirozzi)

“#Ioso ma non ho le prove”. La chiave è in quel “ma”, impotente e solitario.

(@paolocosta)

Più semplice: anche a #PPP capitava d’incartarsi. Quel “Io so” reiterato è da

avvocaticchio di provincia. (@marcostancati)

Come appare chiaro in particolare da questo ultimo commento di @marcostancati, capita che

la valutazione sul portato stilistico si mescoli al giudizio sulla sostanza del ragionamento di

Pasolini. D’altronde, alla potenza espressiva degli Scritti corsari fa da contraltare in molti casi

una certa debolezza della struttura argomentativa. Debolezza che molti riscrittori hanno buon

gioco a segnalare con i loro tweet. A ciò si aggiungono le peculiarità dell’ideologia

pasoliniana, i giudizi eretici e controcorrente, le prese di posizione eterodosse intorno a fatti

11

storici che il lettore di oggi ha modo di valutare forse con maggiore distacco. Per dirla in

breve, la comunità di twitteratura si spacca: alcuni riscrittori si ribellano al pensiero

dell’autore, altri lo difendono. Il risultato è una catena di tweet che si richiamano l’uno con

l’altro e che si configurano in forma di dialogo. La cosa è abilitata dalla funzione ‘Reply’ di

Twitter, che permette di marcare un tweet come risposta a un altro tweet. È il caso della

sequenza di messaggi iniziata dall’utente @gilbertotcc:

Ma la sua accusa IMHO è molto sterile, fine a se stessa, (oppure) capace solo di

affermare bravura di PPP scrittore. (@gilbertotcc)

È l’accusa di chi si sente solo e isolato, diviso da un mondo (politico) che non avrà

mai il coraggio né le parole. (@ale_pig)

D’altronde era prima di tutto #poeta. Con un mondo ben preciso in testa. (@julie_cci)

Problema: può fare di più? Che valore ha l’accusa di un poeta? Torniamo al ruolo

dell’intellettuale e della cultura. (@ale_pig)

Sì, può fare di più se è convinto delle sue idee. Molto più comodo limitarsi a inventare

una storia. Non lo condanno. (@gilbertotcc)

“Sta in poltrona” aspettando che altri facciano qualcosa [estremizzo]. Un po’ come

tutti siamo allenatori in Italia. (@gilbertotcc)

Proprio in poltrona non mi sembra, si è sempre esposto fino alle estreme conseguenze.

(@rosa_vint)

Un regista e uno scrittore cosa devono fare se non fare bene il loro mestiere svegliando

coscienze? (@erykaluna)

Una ulteriore gamma di riscritture è quella costruita su varie forme di associazioni o rimandi.

Ve ne sono di due tipi: da un lato i richiami ad altri autori, testi, film, composizioni musicali

ecc. (siano essi fondati su una relazione effettiva, dimostrabile sul piano filologico, o si tratti

piuttosto della segnalazione di analogie, similitudini, vicinanze di ispirazione), dall’altro i

riferimenti al contesto dell’autore o – per analogia o contrasto – a quello di chi riscrive.

Appartengono al primo tipo i rimandi all’opera teatrale di Dario Fo Morte accidentale di un

anarchico e al quadro di Enrico Baj I funerali dell’anarchico Pinelli. Sono invece del

secondo tipo tweet come quelli riportati di seguito, scelti fra un campionario molto vasto in

12

cui l’ispirazione autobiografica è nettamente prevalente. Qui le stragi descritte da Pasolini si

confondono volutamente con altre stragi, in particolare con quella della stazione di Bologna

del 2 agosto 1980 e quella di Ustica del 27 giugno dello stesso anno:

1980: ricordo nettamente lo choc di Bologna, 2 agosto. Ustica fu il 27 giugno dello

stesso anno (!) #ricordi&storia (@paolalivorsi)

Mentre leggo, il mio treno corre da Milano (1969) a Brescia (1974): ma quando

abbiamo smesso di chiederci perché sono morti? (@torinoanni10)

Di quei giorni ricordo l’atmosfera, a scuola, per strada. Eravamo sbigottiti e impotenti

a chiederci perché, e avevamo paura. (@sedcetta)

Se cerco di risalire alle origini del mio antifascismo credo di poterle individuare

nell’orrore di #PiazzaFontana (@fannystravato)

Merita segnalare l’uso dei tweet in chiave fàtica, conativa o metalinguistica. È il caso dei

messaggi che hanno lo scopo di confermare la propria partecipazione di fronte al resto della

comunità o di incoraggiare quella altrui, come i seguenti:

Capitano @ale_pig, presente. Vàmonos. (@fannystravato)

Salute a voi, #corsari, il capitano vi offre il suo benvenuto a bordo! Pronti a salpare?

(@ale_pig)

Capitan @ale_pig lia il comando… avanti tuttaaa! (@ladyrediviva)

Si noti il ricorso, in questi tweet, a metafore di tenore marinaresco. Esso dipende dal fatto che

i partecipanti alla riscrittura degli articoli pasoliniani si sono definiti «corsari» e hanno

adottato tale appellativo per identificarsi nel corso del progetto. L’espressione ha poi

trascinato con sé un intero campo semantico, riconducibile alla navigazione e all’avventura in

mare («capitano», «benvenuto a bordo», «pronti a salpare», «avanti tutta»). Dal punto di vista

sociolinguistico abbiamo dunque a che fare con un fenomeno noto: l’uso di forme gergali con

funzione di riconoscimento e di rafforzamento dell’identità comunitaria.

Vi sono infine gli interventi in chiave parodica e le trasposizioni. In quest’ultimo caso la

riscrittura si dà come deformazione del testo originale, che viene utilizzato per alludere a fatti

diversi da quelli considerati da Pasolini, con intento dissacratorio o sarcastico. In una parola,

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si compie un’operazione satirica. I due esempi selezionati, in particolare, alludono alle note

vicende di due uomini politici contemporanei, Silvio Berlusconi e Claudio Scajola:

Io so che sei corrotto, disonesto, indegno. È mio dovere civile saperlo e capirlo. E la

Cassazione non c’entra niente. (@asinomorto)

Anche Scajola sa. A sua insaputa, però. (@paolocosta)

Va precisato che le operazioni di questo tipo risultano frequenti non solo nel caso degli Scritti

corsari di Pasolini, ma anche delle altre opere oggetto di riscrittura, a prescindere dal tipo di

ispirazione e dal genere.

b. Seconda fase: ricostruzione e rimediazione

Come detto, all’esercizio di riscrittura svolto dai singoli partecipanti attraverso Twitter segue

un lavoro di ricombinazione del materiale prodotto. Il sistema di micro-testi generato nella

prima fase è vastissimo: si tratta di decine di migliaia di tweet, ciascuno riferito a una

porzione dell’opera (un capitolo o parte di esso, un passaggio saliente, un semplice periodo).

In più i tweet sono in relazione l’uno con l’altro, nel senso che si richiamano in vario modo.

Come abbiamo visto, un tweet può costituire la risposta a un messaggio precedente, o

addirittura l’anello di una lunga catena di contributi in forma dialogica. Un simile corpus

rischierebbe di non essere fruibile, se un successivo lavoro di selezione e rimediazione non

intervenisse a fornire specifiche chiavi di lettura.

È per questo che i progetti di twitteratura fin qui realizzati prevedono, a conclusione di ogni

riscrittura, la produzione di un certo numero di tweetbook. Il tweetbook è un esercizio di cura

editoriale, di cui si fa carico l’utente della comunità. La cosa può avvenire o per libera

iniziativa dell’utente stesso, o perché la comunità lo identifica e gli assegna la responsabilità

di svolgere tale lavoro. Un tweetbook si presenta come una selezione ragionata e commentata

del materiale prodotto nella fase di riscrittura. Al tempo stesso è un contributo autoriale,

poiché il suo curatore da un lato si assume l’onere di valutare i tweet disponibili, scegliendone

alcuni (pochi) e scartandone altri (tanti), dall’altro integra i testi prescelti con una sorta di

apparato paratestuale, costituito da titoli, sommari e commenti.

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Il risultato di questo lavoro è un libro – la definizione di tweetbook non è casuale – o più

precisamente una serie di libri, che possono essere stampati o fruiti in formato elettronico7.

Ecco quindi che il percorso progettuale della twitteratura, cominciato smontando un testo

canonico della letteratura italiana, si compie con la pubblicazione di un nuovo testo, sintesi

ragionata del lavoro di lettura, decodifica e interpretazione della comunità. Questo nuovo

testo entra in relazione dialettica con il testo di partenza non certo con l’obiettivo di sostituirsi

a esso, ma piuttosto di accompagnarlo.

Il modello dialettico testo-commenti non è nuovo. Basti pensare alla struttura articolata del

Talmud: una struttura per così dire ‘a cipolla’, che vede il testo scritto della Torah al centro, i

commenti più antichi a tale testo nel primo strato (Mishnah), i commenti alla Mishnah nel

secondo (Ghemarà) e le addizioni o supplementi nel terzo (Tosafot). Ma anche la forma

archetipica della tragedia greca è esemplificativa di un modello testuale dialettico, entro il

quale si sviluppano due piani discorsivi distinti: quello dell’azione scenica da un lato, e quello

del coro – a propria volta articolato in parodo, stasimi ed esodo – dall’altro.

Il sistema testo-commenti sperimentato con gli esercizi di twitteratura vuole definirsi anche

come esperienza critica nei confronti di quella che Geert Lovink chiama la nuova cultura dei

commenti: «nella nostra era dell’autorappresentazione, spesso i commenti non hanno un

legame diretto con il testo e l’opera d’arte in questione. L’atto di rispondere non cerca il

dialogo con l’autore […] Con un misto di espressioni gergali, slogan tipo inserzioni

pubblicitarie e giudizi incompiuti, gli utenti mettono insieme frasi e battute ascoltate o lette in

giro. Chiacchiericcio non è il termine giusto. Quel che prende forma è il disperato tentativo di

essere ascoltati, di avere un impatto e di lasciare un segno» (Lovink, 2012).

Viceversa la tradizione ermeneutica e filologica affida al commento una missione ancillare

rispetto al testo. Annotazioni, apparati critici, chiose: tutto ciò ha la funzione di accompagnare

il testo nel passaggio da una generazione all’altra. Parliamo in questo senso di uno strumento

a supporto dell’insegnamento e della lettura, ossia funzionale a un’esperienza didattica. Un

punto, questo, importante. Ci domandiamo infatti in che misura l’esperienza fin qui

accumulata da Twitteratura.it possa servire da apripista per la messa a fuoco di una nuova

metodologia scolastica, finalizzata allo studio dei testi. Ci sono le condizioni perché le

7 Per produrre i tweetbook delle diverse riscritture la comunità di Twitteratura.it si serve di una piattaforma

software sviluppata dalla società italiana U10. Essa consente di recuperare i contenuti presenti su Twitter, di impaginarli all’interno di una gabbia grafica, aggiungendo titoli e sommari, di pubblicarli in diversi formati (PDF, ePub e Mobi) e infine di condividerli sulle reti sociali online.

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riscritture su Twitter offrano un contributo all’esegesi testuale? Possiamo ipotizzare – per

usare ancora le parole di Lovink – una nuova e più consapevole «ermeneutica di massa»

(ibidem)?

Per rispondere a questo obiettivo la twitteratura deve soddisfare due requisiti: da un lato

mantenere salda la connessione fra testo di partenza e commenti (i tweet prodotti dalla

comunità), dall’altro fornire strumenti per la ricontestualizzazione dei commenti stessi. I

tweetbook costituiscono appunto un tentativo di ricontestualizzare il materiale prodotto,

aggregando i tweet intorno a chiavi di lettura, filoni critici, percorsi esegetici. Quanto

all’aggancio del tweet con il testo, esso potrebbe essere favorito da interfacce grafiche e

modelli di presentazione visuale del contenuto alternativi rispetto alla timeline di Twitter.

Pensiamo a qualcosa di simile a ciò che il plugin CommentPress Core offre agli utenti della

piattaforma software WordPress. Con CommentPress Core è possibile pubblicare sul Web di

Internet testi annotabili ai margini. In questo modo i commenti, anziché accumularsi in fondo

al testo in ordine cronologico inverso, come capita nei blog ‘tradizionali’ e negli

aggiornamenti di stato di Facebook, vengono collocati dai loro autori accanto alle porzioni

testuali cui sono riferiti. Resta il fatto che la twitteratura dovrebbe fondarsi sul riconoscimento

di uno statuto nuovo del sistema testo-commenti. Nuovo, quantomeno, rispetto a quello

promosso all’interno delle reti sociali centralizzate e a invariabilità di scala quali Facebook e

Twitter. Ma forse antico, in quanto erede di una tradizione consolidata, che – come dicevamo

poc’anzi – possiamo fare risalire alla pratica dei commenti talmudici.

3. L’etica della riscrittura

È necessario insistere sulla valenza etica dell’esercizio. Il corpo a corpo che il lettore ingaggia

con il testo non è manipolatorio. O, quanto meno, non dovrebbe esserlo. In una prospettiva

decostruzionista la riscrittura del testo è il tentativo di smascherarlo, di liberare il suo spettro,

senza tuttavia cancellarne la lettera. Non si può far dire al testo ciò che si vuole; si deve fargli

dire ciò che esso nasconde. Lo si ‘deve’ fare, nel senso che è nostro dovere farlo.

In chiave ermeneutica, poi, dialogare con il testo significa intraprendere un percorso di

avvicinamento. L’interpretazione è un mettersi in cammino verso il testo, esporsi ad esso:

«Non imporre al testo la propria limitata capacità di comprendere, ma esporsi al testo e

ricevere dal testo un io più vasto. […] Allora la comprensione è esattamente il contrario di

una costituzione nella quale il soggetto funga da chiave di volta. A tale riguardo sarebbe più

corretto parlare di un io costituito dalla “cosa” del testo» (Ricoeur, 1989, p. 112). Un

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approccio realista, come si vede, lontano da quello che Maurizio Ferraris ha definito

«populismo postmoderno» (Ferraris, 2010).

È vero che il testo è aperto alle prospettive di senso, molteplici e spesso imprevedibili, che

derivano dal suo incontro con il lettore. Ma è anche vero che il testo, in ispecie il testo scritto,

si dà nella sua indiscutibile unicità. Compito della filologia è, non a caso, restituirlo integro al

lettore, al di là di ogni ragionevole dubbio ecdotico e interpretativo. Le varianti d’autore non

contraddicono questo principio, ma determinano le condizioni entro cui il lavoro filologico e

critico si realizza. In questo senso il testo è un fatto compiuto, cui si contrappone la natura

incompiuta degli apparati critici e dei commenti.

Dopo l’orgia ermeneutica e semiotica a cavallo fra anni Settanta e Ottanta, in particolare di

matrice francese, lo statuto dei testi letterari è stata strattonato in varie direzioni. In anni più

recenti, tuttavia, si è tornati a ragionare intorno al rapporto di interdipendenza fra scrittore e

lettore e al modo in cui i testi creativi sono prodotti, a partire da quella grande discontinuità

rappresentata dall’avvento dei cosiddetti nuovi media. La cultura del software ci ha insegnato

a considerare la creatività un’esperienza di manipolazione di materiali preesistenti – intesa

come ricombinazione e ricontestualizzazione – anziché generazione di contenuti

necessariamente originali (Manovic, 2010). Al punto che in questi anni si sono posti problemi

inediti sia di natura concettuale (che cosa si intende per originalità?), sia sul piano giuridico

(si pensi alla gestione dei diritti d’autore nell’ecosistema dei contenuti digitali). Di fatto, ogni

volta che utilizziamo un oggetto creativo in un contesto digitale, stiamo lavorando su una

copia (Lessig, 2008, p. 98).

Ma il paradigma digitale ha segnato anche l’affermazione di concezioni autoriali fondate sul

principio e la logica della collaborazione, anziché sull’idea del genio individuale. L’artista

britannico Roy Ascott è stato fra i primi a parlare, in questo senso, di distributed authorship,

concetto che ha poi avuto grande fortuna sulla scena della net art (Biggs & Travlou, 2012).

Risale al 1983 il progetto di Ascott La Plissure du Texte: a planetary fairytale, realizzato per

il Museo d’arte Moderna di Parigi. L’esperienza, portata a termine fra l’11 e il 23 dicembre,

consisteva nella narrazione distribuita di un racconto, affidata a gruppi di artisti dislocati in

undici città diverse e connessi per via telematica. Ne risultò una storia frammentata, fatta di

elementi sovrapposti e contradditori: una nuvola di micro-testi non troppo dissimile da quelle

prodotte con le riscritture di Twitteratura.it. L’esperimento fu poi riprodotto nel 2010 nel

mondo virtuale 3D e immersivo di Second Life.

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I lavori di artisti come Ascott tendono a incorporare una serie di caratteristiche della sfera

biofisica, che si diffondono però attraverso il lavoro metaforico della Rete. Anche l’arte, come

i sistemi reticolari complessi, procede in modo non lineare ed emergente: più che il prodotto

dell’atto intenzionale del singolo, il fatto artistico deriva dai processi di auto-organizzazione e

autoregolazione di una struttura di nodi connessi, ancorché privi di regia (Ascott, 2007). Si è

tentati, anche qui, di trovare delle analogie con i meccanismi che caratterizzano il

funzionamento della twitteratura.

Non deve stupire che la pratica del remix – basata sull’idea che la creatività si fondi sulla

ricombinazione permanente di materiali preesistenti – si sia sviluppata in campo musicale e

figurativo, prima che in quello letterario. Tuttavia la cultura digitale costringe oggi a mettere

in discussione i concetti tradizionali di autorialità e originalità anche nell’ambito delle opere

di letteratura. Al punto da indurre alcune autori a riconsiderare la categoria del plagio

(Lethem, 2007). Viviamo nell’epoca della sovrabbondanza testuale. Un’epoca in cui, con

buona pace degli editori, qualsiasi testo è già stato scritto ed è continuamente immesso nei

circuiti telematici. Il focus creativo si sposta pertanto dal contenuto all’operazione. Non è

creativo un contenuto originale, se non altro perché essere originali sembra diventato

impossibile; è creativo, semmai, il lavoro di manipolazione, ricontestualizzazione e

concettualizzazione svolto dall’autore su un contenuto preesistente: «the act of writing is

literally moving language from one place to another, boldly proclaiming that context is the

new content.» (Goldsmith, 2011, p. 3). Sono debitore di questo passaggio per il titolo del

presente articolo: il quale, se carente sul piano della originalità, vuole essere un buon esempio

di riuso di un testo altrui.

Oggi i testi intraprendono lunghi viaggi. Immessi nelle ecologie rizomatiche della Rete, sono

soggetti a trasformazioni non previste, producono nuovi testi all’interno di un gioco senza

fine. E in questo gioco senza fine, combinatorio e additivo, che è forse la letteratura, copiare

non è reato. Lo sapeva bene Calvino, che nel 1980 così diceva in un suo dialogo con Tullio

Pericoli, poi trascritto per le Edizioni della Galleria Il Milione (Calvino, 1995, pp. 1803-

1808):

L’idea che l’artista sia proprietario di qualche cosa è un’idea abbastanza tarda. […]

Credo che un giovane, per cominciare una qualsiasi attività creativa, non deve farsi

scrupolo di imitare, di rubare. […] Mi pare che il momento della lettura sia

fondamentale in questo discorso che facciamo. Forse la lettura è già questo furto. C’è

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questa cosa lì, chiusa, questo oggetto da cui si carpisce qualcosa che c’è chiuso dentro.

C’è uno scassinamento, c’è un furto con scasso in ogni vera lettura. Naturalmente i

quadri e le opere letterarie sono costruite apposta per essere derubate, in questo senso.

Così come il labirinto è costruito apposta perché ci si perda, ma anche perché ci si

ritrovi.

Abstract

Il presente contributo si propone di descrivere il progetto sperimentale che è stato condotto, a

partire dal 2012, utilizzando la piattaforma di microblogging Twitter come strumento di

lettura e di analisi critica dei testi letterari. La metodologia adottata – che chiamiamo

twitteratura – si basa su tre fondamenti: 1) la relazione del lettore con il testo che è oggetto di

analisi si sviluppa attraverso l’esercizio della riscrittura del testo medesimo; 2) questo

esercizio è svolto a partire da un vincolo molto forte, ovvero il limite di lunghezza di 140

caratteri (spazi inclusi) che ciascuna riscrittura deve rispettare; 3) lo sforzo è di tipo

collaborativo, nel senso che i partecipanti condividono le proprie riscritture con gli altri utenti

e quindi si influenzano vicendevolmente, sfruttando le funzionalità messe a disposizione a

tale scopo da Twitter.

L’esercizio della twitteratura si articola in due momenti: un primo momento prevede lo

smontaggio del testo originale, svolto attraverso il lavoro di riscrittura dei singoli partecipanti;

il secondo momento, invece, è di ricombinazione del materiale prodotto nella prima fase e

quindi di composizione di un apparato testuale inedito. Il percorso progettuale, cominciato

smontando un testo letterario canonico, si compie pertanto con la pubblicazione di un nuovo

testo, sintesi ragionata del lavoro di lettura, decodifica e interpretazione della comunità.

Questo nuovo testo entra in relazione dialettica con il testo di partenza con l’obiettivo di

accompagnarlo. Il sistema testo-commenti in tal modo generato vuole definirsi come

esperienza critica nei confronti della nuova cultura dei commenti di Internet.

In definitiva gli esperimenti di twitteratura si propongono anche come abbozzo di una nuova

metodologia scolastica, finalizzata allo studio dei testi. A determinate condizioni, le riscritture

su Twitter potrebbero offrire un contributo importante all’esegesi testuale e a quella che è

stata definita una consapevole «ermeneutica di massa».

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Cultural History (Theory/Culture). Toronto: University of Toronto Press.

English abstract

This paper aims to describe the experimental project that was conducted, since 2012, using

the microblogging platform Twitter as a tool for reading literary texts and as a practice for

critical analysis. The methodology, called twitterature, is based on three pillars: 1) the

relationship between the reader and the text, that is the object of analysis, is carried out

through the exercise of rewriting the text itself; 2) this is performed under a very strong

constraint, which is the limit of 140 characters in length (including spaces) that each rewrite

must comply; 3) the effort is collaborative, because participants are sharing their rewrites with

other users and therefore they influence each other thanks to the features provided by Twitter.

The exercise includes two major steps: first, the text is dissected through the work of

rewriting that is carried out by each member of the community; second, this material is

recombined into a new meaningful textual apparatus. Therefore, after dismantling a canonical

literary text, a new text is published, which synthetizes the work of reading, decoding and

interpretation of the community. This new text comes in a dialectical relationship with the

source and it accompanies it. This experience aims to develop a criticism of the current

culture of the comments of the Internet, and eventually is proposed as a new teaching

methodology for the study of the texts. Under certain conditions, the rewrites on Twitter could

make an important contribution to the cause of the textual exegesis and the «mass

hermeneutics».

English keywords

Literature, Twitter, twitterature, textual analysis, reading, writing, authorship, interpretation,

hermeneutics, semiotics, exegesis, commentaries, comments, Pasolini, Calvino, Pavese