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1,80 - :: Alpes · ada tansini DOPO PIÙ DI MEZZO MILLENNIO, ... Gianluca Lucci - Giovanni Lugaresi...

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1,80 n.2 FEBBRAIO 2006 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio n.2 FEBBRAIO 2006 MENSILE DI CULTURA, INFORMAZIONE, POLITICA DELL’ARCO ALPINO Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Sondrio 1,80 Tomaso Buzzi, architetto valtellinese, fra sogno e realtà un “polo tecnologico” nel futuro di Sondrio? Aria nuova alla Fondazione Fojanini Tomaso Buzzi, architetto valtellinese, fra sogno e realtà un “polo tecnologico” nel futuro di Sondrio? Aria nuova alla Fondazione Fojanini
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Tomaso Buzzi, architetto valtellinese,

fra sogno e realtà

un “polo tecnologico” nel futuro di Sondrio?

Aria nuova alla Fondazione Fojanini

Tomaso Buzzi, architetto valtellinese,

fra sogno e realtà

un “polo tecnologico” nel futuro di Sondrio?

Aria nuova alla Fondazione Fojanini

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SOMMARIOALPES N. 2 - FEBBRAIO 2006

LE LETTERE 6LA PAGINA DELLA SATIRA 7aldo bortolotti

TRENITALIA: UNO SFACELO ITALICOIN CONFEZIONE REGALO 8lorenzo croce

“LIBERTÀ VO’ CERCANDO,CH’È SI CARA...” 10alessandro canton

I POVERI? IL NUOVO BUSINESSDEL MICROCREDITO 11marzio paolo rotondò

ECONOMIA CALANTECON BORSA LEVANTE 12eugenio benetazzo

ENEL, TELECOM E FIAT...TRE CADAVERI CHE CAMMINANO 13eugenio benetazzo

CALCIO ITALIANO,CHE FINE HANNO FATTO I VIVAI? 15gianluca lucci

NEL FUTURO DI SONDRIOCI SARÀ SPAZIO PER UN “POLO TECNOLOGICO”? 16alfio sciaresa

DONNE IN PRIMA LINEA 18ada tansini

DOPO PIÙ DI MEZZO MILLENNIO,È TORNATA SUL MONTELLOLA COLTIVAZIONE DELL’ULIVO 36giovanni lugaresi

DISSOLUZIONE DEL “NUCLEO AFFETTIVO”:DISSOCIALITÀ E CRIMINE 38carmelo r. viola

LADRONAIA 42giancarlo ugatti

GLI SLAVI, VICINI SCONOSCIUTI 45nemo canetta

ASSOCIAZIONE IPPOFILAPROVINCIALE: BILANCIODI UN ANNO DI ATTIVITÀ 48carlo nobili e aldo genoni

LE ARTI VANE PER I GONZI, OVVERO:“DE VANITATE MAGIAE” 50raimondo polinelli

COLDA: LE NUOVE CAMPANEDELLA CHIESA DELLA“NOSTRA SIGNORA DI LOURDES” 52paolo pirruccio

IL PROGETTO “SENTINELLEDELLE ALPI” - INTERREG IIIA 54giuseppe brivio

NATUROPATIA:SÌ AD UNA INFORMAZIONERESPONSABILE E CORRETTA 56roberta piliego

RECENSIONI 58giuseppe brivio

IN AUMENTO IL TRAFFICODELLA FORZA LAVORO: EMIGRANTI, DONNE E BAMBINISONO I PIù VULNERABILI 19carmen del vecchio

DONNA = INDIVIDUO 20manuela del togno

ARCIPELAGO LAOGAI 22pierangela bianco

UN MONUMENTO E UN FRANCOBOLLO IN RICORDO DEI CADUTI ITALIANIDI NASSIRIYA 24

PLEIADI...E SFOGLI LA TUA BANCA! 26pier luigi tremonti

“L’INCANTO DELLE DONNE DEL MARE”NELLE FOTO DI FOSCO MARAINI 27donatella micault

TOMASO BUZZI, ARCHITETTO VALTELLINESE,TRA SOGNO E REALTÀ 29pier luigi tremonti

INTERVISTA AL NUOVO PRESIDENTEDELLA FONDAZIONI FOJANINI:CLAUDIO INTROINI 33angelo granati

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I frutti ammalorati delle privatizzazioni

L e Poste sono l’emblema dello schifo: non funziona più nulla o quasi.Corrispondenza e pacchi che, se non vanno persi, talvolta sono sac-cheggiati o finiscono in discarica. In compenso nell’ufficio postale puoi

fare acquisti di beni di consumo (pentole, PC, televisori ...), stipulare polizzeassicurative, pagare tasse, accedere a servizi bancari... Intanto se un son-driese imbuca una lettera indirizzata a se stesso sotto casa in città, la vede ar-rivare chissà quando, al proprio indirizzo dopo aver fatto una “trasferta” nelmilanese. Forse un congruo aumento delle tariffe servirà per farci digerire ildisservizio con la promessa che tutto andrà bene ... dopo le elezioni!Si suggerisce la istituzione di corsi regionali finanziati con fondi CEE per pic-cioni viaggiatori ... se non ci sono già!Le strade fanno schifo e le autostrade non riescono a dare assistenza agli au-tomobilisti durante le nevicate ... e nelle giornate di maggior traffico si bloc-cano alla faccia delle “grandi opere”.Dei treni ne parliamo in altre pagine: è come sparare sulla “Mezza LunaRossa”!Uno dei settori in deficit di qualità è l’assistenza tecnica di Telecom Italia, larete di call center e tecnici esterni, largamente integrata da imprese in out-sourging, dovrebbe provvedere alla riparazione dei guasti delle linee telefoni-che e dell’Adsl. Provare per credere: fai il numero e voci registrate ti guidanonel caos e nel vuoto pneumatico ... “digiti 1 se ... digiti 2 se” ... e così via.Subito dopo aver digitato il numero prescelto ecco che la tiritera si ripete comese tu fossi deficiente ... poi, dopo una buona dose di pubblicità, se tutto vabene, parli con qualcuno che non sa dove andare a parare e sei al punto diprima.Pochi anni fa più del 90% dei guasti era riparato entro 8 ore dalla segnala-zione del cliente! Nel 2005 solo il 60% dei guasti è stato riparato entro duegiorni dalla segnalazione da parte del cliente! Il rimanente 40% è riparato concalma. Capita che persone anziane in zone isolate possono rimanere senza te-lefono fisso (cioè senza telesoccorso e/o sistemi di antifurto) anche per parec-chi giorni. La stessa cosa vale per le utenze affari (negozi, alberghi, ristoranti)che rimangono per giorni con le linee fuori uso, Pos e Internet compresi. Dal1º aprile (!) se Telecom non interviene entro 96 ore (quattro giorni!) si dis-sangua con un ridicolo indennizzo che oscilla tra i 25 ed i 40 centesimi all’ora...La scure dei tagli, insomma, si è abbattuta sulle imprese per la manutenzioneordinaria e straordinaria delle reti.Recentemente il management sembra più interessato a utilizzare i tecnicidell’assistenza come “forza ausiliaria di vendita” per piazzare telefoni, video-telefoni e cordless, con pressioni ed incentivi ad hoc, piuttosto che alla ridu-zione dei tempi di riparazione dei guasti di linea.

Di questo passo ci ritroveremo con una miriade di uffici parassitaried inutili diffusi sul territorio, mentre quelli essenziali ed i servizi sa-ranno trasferiti altrove.Non è fantascienza ipotizzare che la corrispondenza possa essere smi-stata in India e che ai centralini della Prefettura, della Questura, deiCarabinieri, della Provincia e del Comune risponda un call centerubicato chissà dove ... ma non azzardiamo ipotesi per non innescarepolemiche ... perchè no a Gaza?

La gestione dei servizipubblici che tienetroppo conto delleesigenze di redditivitàdegli azionistidanneggia il servizioreso alla utenza e portaverso il disastro.Per anni si sonodecantate leprivatizzazioni come iltoccasana dell’economiae come l’unicapossibilità di“miglioramento dellaqualità dei servizipubblici”. Si tratta diuna tesi che stadimostrandosi, in moltisettori della vitaitaliana, una apoditticacavolata.

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Febbraio 2006 Alpes

AAllppeessRIVISTA MENSILE DELL’ARCO ALPINO

Anno XXVI - N. 2 - Febbraio 2006

Direttore responsabilePier Luigi Tremonti - cell. 3492190950

Redattore CapoGiuseppe Brivio - cell. 3492118486

Segretaria di redazioneManuela Del Togno

Direttore editorialeAldo Genoni

A questo numero hanno collaborato:Eugenio Benetazzo - Pierangela Bianco - Aldo Bortolotti -

Giuseppe Brivio - Nemo Canetta - Alessandro CantonLorenzo Croce - Antonio Del Felice - Manuela Del Togno -

Carmen Del Vecchio - Aldo Genoni - Angelo GranatiGianluca Lucci - Giovanni Lugaresi - Donatella Micault

Carlo Nobili - Roberta Piliego - Paolo Pirruccio - RaimondoPolinelli - Andrea Ricci - Marzio Paolo Rotondò - Alfio Sciaresa -

Ada Tansini - Pier Luigi Tremonti - Giancarlo Ugatti Carmelo R. Viola

In copertina: “La Scarzuola” (arch. Andrea Ricci)

Ed.ce l’Alpes Agia - S. Coop.23100 Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Direzione e amministrazione:Sondrio - Via Vanoni, 96/A

Tel. e Fax 0342.512.614E-mail: [email protected] - [email protected]

http://www.alpesagia.com

Autorizzazione del Tribunale di Sondrio n. 163 del 2.12.1983

Stampa Lito Polaris - Sondrio

ABBONAMENTO ANNUALE EURO 15,5Europa EE 33,57 - Altri EE 51,65

C/C postale n. 10242238 intestato:Alpesagia Soc. Coop.

BENEFICIARIO ALPESVia Vanoni, 96/A - Sondrio

CREDITO VALTELLINESE - Agenzia n. 1C/C 51909/14 - ABI 05216 - CAB 11020

BANCA POPOLARE DI SONDRIO*Agenzia di Albosaggia C/C 14300/96 - ABI 05696 - CAB 52390

CREDITO COOPERATIVO di SondrioC/C 220178/85 - ABI 08430 - CAB 11000

ORDINANTE

NOME ………………………….........…………………………………………………………

COGNOME …………………..………………………………………………………………

VIA ……………………………................………………………………………………………

LOCALITA’ …………………..………………………………………………………………

PROVINCIA ………...…………………………………………………………….……………

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PRESSO BANCA

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FIRMA ………………………………………………..........……..………………………………

Tutti i manoscritti pervenuti a questa rivista sono al vaglio deldirettore responsabile e della redazione.Gli articoli firmati rispecchiano solo il pensiero degli autori enon coinvolgono necessariamente la linea della rivista.Testi e foto, pubblicati o meno, non si restituiscono, salvo spe-cifici accordi, e la redazione non si assume la responsabilità perl’eventuale smarrimento.La riproduzione anche parziale, è subordinata alla autorizza-zione della direzione ed alla citazione dell’autore e della rivista.

Visitate il nostro sitowww.alpesagia.com

• Alpes in pdf • Chi siamo• I collaboratori• Link turistici• Gli inserzionisti

Sito ideato da Web Agency - nereal.com di Claudio Frizziero

*Alpesagia è il nome della nostra cooperativa ed è il nome con il quale tanti anni fa ènata la nostra rivista.

UFFICIO POSTALE

BONIFICO BANCARIO

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6 Alpes Febbraio 2006

L E L E T T E R E

Spett/le Alpes.sono da alcuni anni un fedele lettore delvostro mensile che trovo interessante esempre ricco di contenuti su molte tema-tiche, locali e non. Da qualche tempo misono chiesto come possa stare sul merca-to locale, di per sé estremamente limita-to, una rivista come la vostra che avrà co-sti editoriali e organizzativi non indiffe-renti, in un momento non brillantedell’economia nazionale ed anche locale.Vivete solo di abbonamenti, vendite edinserzioni pubblicitarie o avete contribu-zioni di altro tipo? Se sì, quali? Mi piace-rebbe avere lumi in merito. Grazie

(Seguono firma , data e luogo)

Gentile lettore, innanzitutto un grazieper la stima e la fiducia in Alpes dimo-strate da alcuni anni ed anche per l’oc-casione che ci offre per parlare un po’ dinoi ai lettori di questa rivista, in parti-colare della situazione finanziaria. Lanostra rivista non naviga certo nell’oro,ma tiene una linea di ‘galleggiamento’con orgoglio e dignità innanzitutto per-ché si basa completamente su collabo-razioni volontarie e fatte a titolo gra-tuito. La stampa sovvenzionata che ri-ceve contributi dallo Stato non è il no-stro modello: ci sarebbero oggettiva-mente condizionamenti e, come si usadire, “dovremmo appendere il cappel-lo…”! Non vogliamo far dipendere lanostra attività editoriale dalle tasse deicittadini! Alpes vive effettivamentegrazie agli abbonati e agli inserzionistiche dimostrano di credere che il nostromensile ha un suo ruolo da svolgere eduna sua fisionomia, acquisita nel tem-po, e merita pertanto fiducia e soste-gno.

La diffusione della rivista è in espansio-ne sia in campo provinciale che esterno;a riprova di ciò vi sono gli attestati digradimento e le collaborazioni da varieparti del territorio italiano.Da qualche tempo Alpes è visitabile an-che sul sito internet www.alpesagia.com;i riscontri sono positivi. Alpes crescedunque in diffusione, ma anche in qua-lità: mantiene il legame con Sondrio edil suo territorio, ma affronta anche te-matiche relative ai territori montani ingenerale ed è aperto sul mondo: vuolecioè essere “glocal”, per usare una feliceespressione sintetica proposta da socio-logi e politologi. La nostra avventura

editoriale è giunta ormai al suo venti-seiesimo anno: un fatto culturale digrande significato che ci riempie di or-goglio e che ci sprona a proseguire, cer-ti di trovare sempre nuovi consensi esempre nuove collaborazioni.Alpes è soprattutto una rivista libera,pluralista, aperta a 360 gradi; non hacollocazioni di parte né collateralismi,ma è soprattutto propositiva sia ‘lan-ciando’ idee e progetti maturati al pro-prio interno, sia facendo conoscere pro-poste che ci vengono segnalate.Cordialmente

Giuseppe Brivioredattore capo

Sciare nella Ski Area della Valmalenco a costi più contenuti

La Comunità Montana Valtellina di Sondrio si è fatta promotrice di due nuo-ve iniziative a favore di chi ama lo sport e il divertimento sulla neve: Ski &Chocolate e FamilySkiPass.Ski&Chocolate: tutti i giovedì, i nati dopo il 1° gennaio del 1992, accompa-gnati da un adulto, possono presentarsi alle biglietterie di Chiesa in Valmalencoe di Caspoggio pagando solo 2 euro per sciare e fare merenda. Ski&Chocolatedà infatti diritto ad uno skipass pomeridiano e a un buono per una cioccolatacalda. L’adulto accompagnatore può usufruire dello sconto del 50% sul bigliet-to pomeridiano o sul biglietto di andata e ritorno.FamilySkiPass: tutti i giorni della settimana, compreso il sabato e la domeni-ca, ogni famiglia in possesso della card rilasciata fino al 28 febbraio dalla Co-munità Montana Valtellina di Sondrio (nei giorni e negli orari di apertura alpubblico) ha diritto allo sconto sullo skipass giornaliero. Basta presentarsi conla card alla biglietteria degli impianti: per ogni genitore, che paga il bigliettointero, un figlio minorenne scia gratis e i fratelli/sorelle, se minorenni, paganola metà.La Comunità Montana Valtellina di Sondrio si augura ovviamente che le dueiniziative trovino riscontro e gradimento tra la cittadinanza ed in particolaretra i giovani.La Valmalenco offre moderni impianti di risalita che servono decine di chilo-metri di piste nelle due ski aree di Caspoggio e dell’Alpe Palù, sempre in per-fette condizioni.A Caspoggio le piste di sci sono 10, distribuite su 20 chilometri; a disposizio-

ne degli sciatori ci sono 19 maestri del-la Scuola Italiana Sci di Caspoggio.A Lanzada ci sono quattordici chilo-metri e mezzo di piste di fondo: un chi-lometro e mezzo a Pradasc, tre a girobacino, quattro a Vetto e sei a Torna-dri.A Chiesa in Valmalenco le piste di scisono 17 per 40 chilometri di tracciatida discesa. Per lo sci di fondo vi sonoa disposizione 37 chilometri di pista: 7al Lago Palù, quattro a Sabbionaccio,San Giuseppe, sei a Carotte, otto a Se-nevedo e dodici al Pian del Lupo,Chiareggio.Vi sono due Scuole di sci: la Scuola Ita-liana Sci Valmalenco, con 35 maestri,e la Scuola Sci di Fondo Valmalenco,con due maestri.

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Febbraio 2006 Alpes 7L A PA G I N A D E L L A S AT I R A

di Aldo Bortolotti

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8 Alpes Febbraio 2006

Nei giorni scor-si ho ripassatoi vecchi nu-

meri di Alpes per ve-rificare quello che ne-gli anni passati avevoscritto in sei o sette ar-ticoli dedicati alleFerrovie dello Statoed ai loro servizi, masoprattutto ai disser-vizi.Mi sono reso contoche avrei potuto fareun “copia - incolla” diuno degli articoli pub-blicati nel 2000 o nel2001 e ripubblicarlopari-pari oggi.Poi rileggendoli attentamente mi sonoaccorto che i disagi segnalati allora era-no situazioni tutto sommato ancora ac-cettabili se paragonate ai disagi che sivivono oggi quotidianamente sui tre-ni, e non solo su quelli dei pendolari.Vabbè, mi sono detto, forse è la situa-zione che mi induce ad essere pessimi-sta.Poi nemmeno a farlo apposta sono do-vuto andare in stazione a prendere iltreno, e con occhio ed orecchio criticoho cercato di capire in quei pochi mi-nuti di attesa (trasformatisi poi in unamezzora giusta per il ritardo accumula-to) perchè le cose andavano cosi male.Ci sarebbe da scrivere una lunga gere-miade a proposito delle stupidaggini, apartire dalla voce elettronica che constupida pedissequenza annuncia treniin viaggio sul quarto binario in una sta-zione che di binari ne ha solo tre. Il re-sto? Tutto come allora, treni lerci, in ri-tardo, treni che si “piantano” ad ognipiè sospinto perchè si guasta qualchecosa. Solo per effetto delle “dita incro-ciate” le ruote non se ne sono andateper i fatti loro e i binari hanno retto.Lo scenario è quello di un disastro an-nunciato, del quale sono stato, siamostati facili profeti.Insomma queste benedette ferrovie pro-prio non vanno. Viene quasi da sorri-dere, se non ci fosse da incavolarsiquando arrivi con mezz’ora di ritardo

in una qualun-que delle stazioniitaliane e ti ritro-vi la voce metal-lica di una “si-gnorina costrui-ta sul computer”che ti dice “Iltreno provenien-te da.. arriva contre ore di ritardo,ci scusiamo per ildisagio”.La prima reazio-ne senza troppopensarci sarebbequella di prende-re la signorinaper la gola e, ca-valleria a parte,dirle a muso duroche delle loroscuse non sappiamo che farcene. Chefacessero funzionare i treni, visto che ibiglietti li paghiamo e pure salati.Quando ti sei poi ripreso dallo sbigot-

timento ti ritrovi a ridereda solo di un sorriso chepiù amaro non si può inquanto ti rendi conto chela signorina non esiste, masoprattutto che tu hai per-so, se ti va bene, la coin-cidenza o un appunta-mento di lavoro o chissàcos’altro. Verrebbe da ri-dere a trentadue denti senon fosse tragico.Fa al tutto da angosciosocontraltare quella pubbli-cità ingannevole che at-

traverso spottelevisivi, pagi-ne istituzionalie ... cartolinepromuove imille serviziche Trenitaliaoffre, a partiredai fantomaticiviaggi a costobasso o le carteintercity per laraccolta deipunti. Belle lecartoline, ma ès c a n d a l o s oprendere in girocosì la gente.Povere ferrovie,poveri ferrovie-ri che rischianola pelle, se mes-si alle strettegiocano alloscarica barile e

si incazzano di brutto se un “innocen-te” non timbra, pardon non oblitera, ilbiglietto.Scusate che dovremmo dire noi che ilbiglietto lo obliteriamo diligentemen-te ma i treni non arrivano?Parole inutili, parole al vento ... il ter-zo mondo si avvicina, anzi il terzo mon-do è già qui con quel disastro di ferro-vie che ci ritroviamo.Poi gli impuniti strillano come aquile:la gente va in auto e provoca le polve-ri sottili?Ma per favore.

Trenitalia: uno sfacelo italico in confezione regalodi Lorenzo Croce

Alla stazione della Metropolitana di ElmPark, Londra, e’ stato installato un si-stema audio che trasmette musica classica(Vivaldi, Mozart, Verdi, Puccini). Lo scopodell’iniziativa e’ ridurre il livello di stressdei passeggeri e calmare i piu’ esagitati.Buoni i primi risultati: il numero degli in-cidenti legati a comportamenti violenti oaggressivi e’ drasticamente calato.

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Le televisioni ed i giornali, in cli-ma di libertà, fornendo informa-zioni veritiere, potranno sma-

scherare chi non permette una buonagestione della vita pubblica, ottenereun consenso diffuso sulla necessità diun cambiamento e contribuire a unfunzionamento accettabile dei merca-ti”.Più di quattrocento anni fa Francis Ba-con scriveva che il vero potere sta nel-la conoscenza.Ciò vale tanto nei paesi ricchi che neipaesi poveri, per la politica, per l’eco-nomia.Quando le notizie sono filtrate da fun-zionari corrotti, ein politica la cor-ruzione è sovrana,è facile per certuniarricchirsi.In molti Paesi siparla in questosenso di “traspa-renza” e di governiliberali che dannoa tutti i cittadinil’accesso alle informazioni e al dibatti-to pubblico.La “trasparenza” é anche un metodoper prevenire gli abusi del potere daparte dei governanti e per contribuirea soddisfare i bisogni fondamentali del-le persone, come l’indigenza e la fame.Se non vi convince questo modo dipensare, basta costatare quanti sono ifunzionari governativi adibiti alla rac-colta, alla valutazione ed alla diffusio-ne delle informazioni.Pensate alle informazioni sui bilanci,diffuse ad arte prima del crollo delleborsa, negli Stati Uniti, quante pub-blicazioni, risultate poi false, sono ri-sultate poi essere emanazioni di questao di quella compagnia di assicurazionio di quella finanziaria, che furono tra-volte nella voragine della recessione!Quanti fondi pensione in quel paesesono caduti nella rete di imbrogli a ca-scata.Studi effettuati dalla Banca Mondialee da altri istituti hanno dimostrato chele televisioni e la stampa possono essere

veramente importanti nel contribuirea diminuire l’ignoranza in argomentiche sono importanti e vitali.Ciò è vero per le questioni più evi-denti in rapporto al settore pubblico eprivato, ma anche in materie più spe-cifiche. Esigere, per esempio, che leimprese indichino quali sono i canaliche servono a loro per comunicare lenotizie, servirebbe per evidenziare qua-li sono le testate realmente indipen-denti.Eve Chiappello e Luc Boltanski, autoridi “Nouvel ésprit du Capitalisme” (edi-to da Gallimard nel 1999) offrono l’oc-casione per una considerazione più ge-

nerale sulla formadel capitalismo ela parità del valo-re aggiunto.“La contabilitàdà la possibilitàdi vedere l’eco-nomia in un cer-to modo. La con-tabilità è unalingua di norma-

lizzazione, chi ne costruisce la sin-tassi detta il suo potere agli altri sulmercato mondiale pubblico.Le norme contabili internazionali,come del resto quelle norme america-ne, offrono una visione nella quale ilettori privilegiati sono gli azionisti. Lesole risposte ai quesiti sono quelle deimercati finanziari.Lo scandalo ENRON sarà ricordatopositivamente per aver prodotto l’au-mento delle informazioni veritiere do-vute agli azionisti, senza dimenticarei dipendenti e gli enti pubblici perchénon è possibile che i dirigenti possa-no attuare scelte credibili senza ren-derle di pubblico dominio”.I cittadini hanno il diritto di sapere!Se un popolo aspira ad attuare una vi-ta democratica deve fare in modo diavere un’economia trasparente e devebattersi per difendere la libertà di co-loro che sono incaricati di diffondere leinformazioni.E’ sacrosanto il diritto di avere infor-mazioni veritiere.

“LIBERTÀ vo’ cercando, ch’è ‘sì cara …”

10 Alpes Febbraio 2006

“Se abbiamo veramente a cuoredi ridurre la povertà nel mondo,dobbiamo liberare l’accesso alleinformazioni e migliorarne laqualità!”

(Joseph Stiglitz, docente di Economia all’Università

di Columbia e Premio Nobel)

“LIBERTÀ vo’ cercando, ch’è ‘sì cara …”di Alessandro Canton

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La Microfinanza per gli Obiettivi delMillennio. È stato questo il fulcro deidue giorni di conferenza Euro-Medi-

terranea sul Microcredito che si è conclu-sa ieri a Roma. Nella cornice della splen-dida Villa Madama, in occasione dell’An-no Internazionale del Microcredito si èsvolto il congresso organizzato da Ipalmoa promozione del Comitato Nazionale Ita-liano sul Microcredito in cui si sono dateappuntamento autorità nazionali ed inter-nazionali coinvolte nel progetto. Fra le au-torità italiane presenti alla conferenza, ilministro della Funzione Pubblica e presi-dente del Comitato nazionale Mario Bac-cini, Gianni De Michelis, presidente diIpalmo, Roberto Formigoni, presidentedella Regione Lombardia, e Piero Marraz-zo, presidente della Regione Lazio, WalterVeltroni, sindaco di Roma e Adolfo Urso,vice ministro alle Attività Produttive.In sostanza, il microcredito è un nuovostrumento finanziario che ha il fine di of-frire ad un sempre maggior numero di per-sone la possibilità di accedere al credito edai servizi finanziari per permettere loro diesercitare un’attività indipendente e re-munerativa per lo sviluppo economico deipropri Paesi.Il messaggio che il progetto e la conferen-za si sono impegnati a diffondere ed attua-re è l’importanza del ruolo che il micro-credito ha nell’eliminazione della povertàe nell’incentivare lo sviluppo sociale. In-tenti che sono vicini agli “Obiettivi delMillennio”. Tutti buoni propositi che al-meno sulla carta paiono molto nobili.“Il Mediterraneo è strategico, è una viapolitica di grande interesse per l’Italia. Ilsostegno a tutti i Paesi che si affacciano sulMediterraneo, credo debba diventare unapriorità per la nostra politica”. Lo affermaMario Baccini, ministro della Funzionepubblica, a margine della conferenza. Ladichiarazione del ministro Baccini allon-tana già la visione idilliaca che si vuole co-struire su questo nuovo strumento econo-mico. Nella sua dichiarazione traspare in-fatti un evidente interesse nel far crescereeconomicamente i Paesi del Mediterraneoin quanto sono un grande potenziale per gliscambi economici del nostro Paese, oltreche per i guadagni degli istituti di credito.A farci crollare il mondo addosso ci pensa

invece Giuseppe Deodato, direttore gene-rale della cooperazione italiana interve-nuto a margine della conferenza Euro-Me-diterranea. “Acclarato che la microfinan-za non è una pratica caritatevole ma dimercato che si autosostiene con i mecca-nismi della finanza, bisogna chiarire qua-le può essere il ruolo della cooperazione peraiutare i Paesi più poveri ad ampliare imercati fino ad includere i soggetti nonbancabili”.Le dichiarazioni stesse dei presenti mo-strano già da sole che dietro tutto questoabito solidale ci sia un cospicuo interesseeconomico. A questo punto, i nostri so-spetti sul progetto si concretizzano e sirafforzano. Questa non è beneficenza oqualcosa che ci si avvicina, ma bensì unnuovo prestito bancario a tutti gli effetticon consistenti margini di guadagno per gliistituti di credito, che ovviamente non da-ranno in beneficenza. Un modo di fare bu-siness anche con i poveri, la fetta di popo-lazione mondiale più vasta, con il pretestoche questo possa far crescere le loro eco-nomie. Se fosse vero, con una sempliceequazione ci rendiamo conto che se il pre-stito bancario è sviluppo economico allo-ra la beneficenza è un vero boom econo-mico. Ma evidentemente i benefattori nonhanno più un senso nella nostra societàliberista. Da tempo si è ormai delucidato che il ma-le dei Paesi è proprio il meccanismo cini-co dell’economia di mercato. Oggi, quelloche si propone è l’apoteosi di questo tipodi sistema nel suo aspetto più brutto. Ilmale dei Paesi poveri è il secolare sfrutta-mento da parte delle potenze colonizzatri-ci che oggi si traduce in uno sfruttamentoeconomico globalizzato. Meccanismi chehanno provocato il più grande malesseresociale di tutti i tempi, creando guerre, ge-nocidi, malattie, ignoranza e tutti i maliche affliggono questi Paesi. Gli stessi mec-canismi di mercato hanno distrutto il mer-cato locale dei Paesi poveri, incapaci dipoter concorrere con le multinazionali esottomessi ad un prezzo di mercato cherende ogni profitto economico inutile ol-tre che preda di una moneta locale insi-gnificante rispetto alle valute guida. Inquesto contesto, a cosa serve l’utilizzo delmicrocredito?

Sono innumerevoli altre le iniziative chesono da intraprendere prima di poter pen-sare a questo tipo di strumento finanziario.Mancano infrastrutture, scuole, aziende,ed in generale un’economia che riesca asostenersi da sola e confrontarsi con il re-sto del mondo. Il ritardo è così grande chesenza una terapia d’urto non sarà mai pos-sibile creare uno sviluppo sostenibile. E fi-guriamoci se questo possa avvenire trami-te l’indebitamento.“Usando una metafora si può dire che dob-biamo favorire la nascita dell’imprendito-re di villaggio. Lo sviluppo, infatti, si fa conl’impresa e il villaggio è il primo passo im-portante per agevolare l’utilizzo del mi-crocredito”. Lo ha detto Antonio Marza-no, presidente del Cnel, durante la confe-renza. Ma come si può competere in uncontesto globalizzato con un’azienda divillaggio? Sono altri gli strumenti di svi-luppo e le condizioni in quali questo pos-sa avvenire.Il primo passo per creare qualche speranzaai Paesi in via di sviluppo è innanzituttochiudere le frontiere e creare un mercatolocale. Inoltre, bisogna dare un maggior ri-lievo alla presenza statale nella crescitaeconomica e sociale, onde estirpare il can-cro liberista. È forse l’unico modo di cre-scere economicamente senza essere an-nientati dalle multinazionali straniere edavere un contesto economico equo su cuiconfrontarsi. Perché la globalizzazionecommerciale e finanziaria è equa quandopartiamo tutti con le stesse armi. Altri-menti sarebbe meglio chiamarla coloniz-zazione e sfruttamento. Una volta rag-giunto un certo livello di sviluppo alloraforse ha un senso introdurre il microcredi-to. Di certo, nella situazione attuale, nonè questo uno strumento chiave per estirparela povertà e l’ignoranza.La via dell’usura è la strada sbagliata per rag-giungere gli Obiettivi del Millennio. Nonsi parla più di beneficenza ma di prestito.Uscire dalla povertà non è più un diritto daregalare, ma un sogno da ricattare.La maggior parte della popolazione del no-stro pianeta vive con meno di un dollaro algiorno: non riduciamoli a fargliene pagaremezzo per le rate di un mutuo inutile.

* da Rinascitamercoledì 7 Dicembre 2005

I poveri? Il nuovo business del Microcredito di Marzio Paolo Rotondò

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Devi avere coscienza e non paura:solo la perdita di tutto quel che ticirconda ti renderà veramente li-

bero. La proiezione su un futuro a rischiodepressione stile anni trenta (da me e mol-ti altri profetizzata) solleva non poche con-siderazioni anche sulle attuali giovani ge-nerazioni.Consideriamo, per esempio, il giovane ita-liano stereotipato di venticinque anni, ge-neralmente con una cultura medio bassa,che lavora come operaio o come dipen-dente in qualche azienda di manifattura odi servizi: la sua concezione della vita e dellavoro è particolarmente ristretta, lavoraper guadagnarsi (ma ancora per poco) lostipendio che gli servirà per comprarsi l’ul-timo modello di Golf o di Audi A3.Vive esclusivamente per comperare beni eservizi che non gli servono, accecato e dro-gato da una pubblicità ingannevole che loporta a circondarsi di beni materiali su-perflui per lui ed il suo stile di vita.La maggior parte di queste generazioni gio-vanili non risparmia, spende più di quan-to guadagna, convinta che la crisi in attosia solo passeggerà e prima o poi passerà.In pochi anni vi renderete conto che gliitaliani lentamente si stanno trasforman-do come i consumatori americani i cui sti-pendi sono già spesi ancora prima di esse-re accreditati. E proprio come loro anchele nuove generazioni italiane stanno fa-cendo di tutto per assomigliarvici: la mo-da del wrestling in tv è dilagante (solo unebete si metterebbe a guardare uno showpiù coreografato di un balletto di danzamoderna), il fast food e le merendine iper-caloriche hanno contagiato la nazione (eproprio come i fratelli americani anche igiovani italiani si stanno incamminandoverso la strada dell’obesità) e le carte di cre-dito con fido revolving sono un must so-ciale, più ne hai e più sei accreditato.Queste ultime in particolare stanno fa-cendo sparire una caratteristica che perdecenni ha reso famoso il popolo italianoin tutto il mondo: la vigorosa propensio-ne al risparmio. Prima si comperava tuttoper contanti accantonati tra sacrifici e ri-nunce nel tempo, adesso, complice questasocietà godereccia drogata inconsciamen-te dagli spot pubblicitari del consumismo

sfrenato o da qualche pupazzo mediatico,si deve possedere il meglio, tutto e subito.Costi quel che costi.Da qui la mia constatazione che la maggiorparte di voi è schiava di un sistema che gliimpone di lavorare per pagare le rate del-la sua auto-ultimo-modello-appena-usci-to e per acquistare frivolezze e porcherieche non gli servono né per il suo stile di vi-ta, né per la sua salute. Le cose che posse-dete alla fine vi posseggono.Pensate all’italiano medio che negli annisettanta e ottanta comprava l’automobileanticipando almeno il sessanta per centodel costo o addirittura pagandola intera-mente in contanti. Adesso assistiamo aqueste nuove forme di finanziamento cheservono solo a vendere le auto anche a chinon se le può permettere.Zero anticipo, una microrata di cento eu-ro o meno per ventiquattro mesi, ed alla fi-ne dei due anni o pagate il residuo (cioè ilvalore complessivo dell’auto perché perdue anni avete pagato solo gli interessi) op-pure andate a rifinanziare di nuovo l’im-porto iniziale: ecco come si acquistano leautomobili oggi.Chi è particolarmente portato per essereabbindolato con queste formule di vendi-ta alla fine del secondo anno acquista ilnuovo modello di auto dando in permutaquello vecchio di due anni e ricomincian-do nuovamente a pagare: alla fine lenta-mente diventate degli automi che lavora-no solo per consentire che la loro casa au-tomobilistica preferita possa costruire econtinuare a vendere auto, certa che qual-che babbeo sarà drogato da questo mecca-nismo e continuerà a cambiarla ogni dueo tre anni.Non lavorate per vivere, ma vivete per la-vorare e quei quattro soldi che pigliate seli prendono le banche e le multinazionalidell’auto o dei beni di consumo.Non avete speranza, voi giovani e anchevoi non tanto più giovani, una sola cosapotete fare: prendere le valigie ed espa-triare come hanno fatto secoli or sono cen-tinaia di generazioni di italiani.Il denaro ci ha reso succubi di lui stesso,non siamo più noi che lo facciamo girare,ma è lui che ci fa muovere: sarete voi neiprossimi anni che dovrete andarvene a la-

vorare con la valigia sotto il braccio dovei capitali hanno deciso di andare per ri-prodursi. Chi è causa del suo male piangase stesso: è il caso che iniziate a piangereallora.Sarà un’epoca senza precedenti per il vec-chio continente in quanto per la primavolta dopo secoli di progresso e prosperitàeconomica le nuove generazioni sarannopiù povere di quelle precedenti, vale a di-re che i vostri padri sono stati più ricchi deiloro e voi sarete più poveri dei vostri ge-nitori: per la prima volta questo processodi generazione di ricchezza si interrompe esi inverte con un trend che ha tutto l’op-posto di essere una correzione.La maggior parte di quelli che stanno leg-gendo questo saggio nei prossimi 15/20 an-ni vivrà in uno stato di precarietà econo-mica senza precedenti, con un lavoro asinghiozzo, e senza alcuna garanzia per ilprosieguo dei suoi giorni.Questa è la conseguenza non tanto lonta-na che già si percepisce in Italia: pensatea quante famiglie hanno dovuto modificareil proprio tenore alimentare per riuscirenon a vivere, ma a sopravvivere.La globalizzazione multinazionale, ormaivanto del capitalismo sfrenato ed allo sban-do senza più regole, comporta queste sfac-cettature: il denaro va dove è più conve-niente che sia investito.Tuttavia da speculatore professionista del-la borsa, mi sento di dirvi che la verità è an-che un’altra. La verità è che il capitalismoè imperfetto proprio come il suo invento-re, accecato dalla frenesia incessante di ac-cumulare denaro.Ed i mercati borsistici stanno premiando(irrazionalmente) questo scenario. L’abba-glio per il denaro facile ed il profitto indi-scriminato ci insegnano che il mercatoborsistico è un grande incubatore di sognie di ricchezza, ma questa indiscriminatarappresentazione ci ha fatto dimenticareche anche lui è soggetto come qualsiasi al-tro prodotto della natura umana alla suastessa fragilità e debolezza.Diffidate da chi vi propina teoremi sulla ef-ficienza e razionalità del mercato, perchéproprio questo è tutt’altro che efficiente erazionale. Specialmente nelle fasi in cuil’euforia e l’irrazionalità hanno preso il so-pravvento sul buon senso.

Economia calante con borsa levante

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Il disco (in vinile) più venduto ditutti i tempi è stato “Thriller” di Mi-chael Jackson, il cui video (sceno-

grafia e comparse) della canzone a queitempi costò uno sproposito: la ever-green annunciava il ritorno dei mortiviventi (gli zombies) con la cammina-ta insensata dei cadaveri. Beh, a mioavviso quel vecchio pezzo musicale sa-rebbe l’ideale come jingle d’attesa peril numero verde di tre aziende italianedi cui tutti sembrano essere usciti paz-zi per comprarne le obbligazioni!Enel, Telecom e Fiat, tre cadaveri checamminano, il loro outlook di merca-to a mio avviso non è molto confor-tante.Enel ha avuto il monopolio sulla di-stribuzione dell’energia elettrica per gliusi residenziali (da sottolineare come inItalia si paghino le tariffe più elevate ditutta Europa) fino a dicembre 2005:successivamente avverrà un processodi liberalizzazione che consentirà di al-lacciarsi virtualmente al fornitore conle tariffe più convenienti (lo stesso av-venne quando decadde il monopoliodi Telecom).Perciò l’azienda elettrica italiana si tro-va in una situazione di mercato da cuipuò solo perdere nei prossimi anni (tral’altro scordatevi i mega dividendi nonappena il Ministero del Tesoro avrà ce-duto interamente al mercato le sue quo-te residue): forse anche per questo mo-tivo gli analisti di Dresner Bank hannoabbassato il rating a “reduce” (ridurre)sul titolo con un target price a 6,0 eu-ro.Su Telecom invece non c’è molto da di-re: ha dovuto lanciare una offerta dipubblico acquisto su TIM per pagare idebiti consolidati del gruppo attraver-so i proventi d’oro del gestore di te-

lefonia mobile, ugualmente lo stessoche fece Vodafone United Kingdomnei confronti di Omnitel Pronto Italia.Il futuro è nella telefonia mobile e neiservizi a banda larga (leggasi ADSL): ilmercato del VOIP sarà la nuova tortada spartirsi nei prossimi cinque anni.Il VOIP (acronimo di Voice Over In-ternet Protocol) rappresenta la nuovafrontiera della telefonia fissa ovvero po-ter telefonare utilizzando una connes-sione a banda larga a costi pari a zero op-pure pari ad un ventesimo rispetto allevecchie tariffe telefoniche tradizionali.Se ci aggiungiamo il fatto che in alcu-ne aree urbane il servizio di unbund-ling (l’acquisto dell’ultimo miglio deldoppino telefonico da parte del nuovogestore telefonico da voi prescelto, li-berandovi definitivamente dal canoneTelecom) è già attivo, le valutazioni sul-le potenzialità di questo titolo e sui suoidebiti pregressi non sono molto inco-raggianti.Riguardo infine a Fiat, beh che dire: seParmalat aveva un debito pari al suofatturato, Fiat ha debiti pari a dieci vol-te il suo fatturato, come ricorda scher-zosamente Beppe Grillo. L’azienda hasempre potuto contare su interventi disostegno con capitale a fondo perduto,sempre e solo durante governi di cen-tro sinistra.Se General Motors in Marzo 2005 de-cise di pagare una super multa per scio-gliere gli accordi infragruppo ci sarà unmotivo: ha preferito spendere dieci esubito, piuttosto che rischiare di spen-dere cento tra qualche anno.Tra poco arriveranno le automobili ci-nesi e le conseguenze non tarderannoad arrivare: proprio come hanno fattole giapponesi in dieci anni acquistandoquote di mercato a scapito dei produt-

tori europei, così allo stesso modo fa-ranno le cinesi, ma con conseguenzeancora più pesanti.In quanto l’automobile cinese noncompete sulle prestazioni ma solo sulcosto, e con lo spettro della depressio-ne in tutta Europa, la sfida sembra giàvinta ancor prima che inizi.Ma se va avanti così prima o poi qual-cosa avverrà naturalmente a svegliare lagente normale, gli italiani che finora sisono sentiti presi per i fondelli da unavita, gli italiani stanchi ormai di tutto,quelli che non hanno più nulla da per-dere, se non la propria vita fisica.L’altra vita, quella della speranza di fa-re per i loro figli, alcuni l’hanno persada un pezzo e altri la perderanno, per-ché sanno che il futuro dei loro figli èormai tristemente compromesso.Mi dispiace tuttavia pensare come laTeoria Finanziaria del Titanic conside-rando la corsa alla sottoscrizione di cor-porate bond di Enel, Telecom, Fiat &Company dimostri ancora una voltacome il parco buoi risparmiatori nonabbia ancora imparato la lezione dopole mazzate ricevute in passato con i va-ri crack scandalo degli ultimi anni eperiodi recenti.Nessuno, infatti, tiene in considerazio-ne il rischio (quasi certo) che si assu-mono sottoscrivendo queste obbliga-zioni aziendali (corporate bond) inquanto l’aumento dei tassi di interesse,che in America ormai si è già manife-stato, presto arriverà anche in Europacon conseguenze negative sul valoredegli stessi investimenti obbligaziona-ri: per come la vedo io, l’influenza deipolli era già arrivata da un pezzo in Ita-lia, ma non sui banchi dei supermerca-ti, quanto piuttosto sugli sportelli e fi-liali di certi istituti di credito.

ENEL, TELECOM E FIAT ...tre cadaveri che camminano

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pagine a cura di Eugenio BenetazzoTrader Professionista e autore del libro “Duri ePuri: aspettando un nuovo 1929”tratto da: www.disinformazione.it

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Fino a qualche anno fa era frequen-te vedere all’interno delle squadredi calcio giocatori provenienti dal

settore giovanile. I vivai italiani eranoconsiderati tra i più attivi nel far cre-scere giovani talenti che sarebbero do-vuti diventare campioni.Oggi, invece, da questo punto di vista,il mondo del pallone nostrano è in for-te crisi. È sempre più raro, infatti, ve-dere, soprattutto nelle grandi squadre,calciatori italiani partiti dalle categorieinferiori della medesima società. Quasitutti i club hanno al loro interno gio-catori di diversa nazionalità, cultura erazza. Sotto questo aspetto, possiamo prende-re come riferimento, ad esempio, l’Inter,nella quale giocano calciatori di nume-rose nazionalità e talvolta è capitato divedere in campo soltanto undici gioca-tori stranieri con la casacca nerazzurra.Dal punto di vista dell’integrazione raz-ziale, questo è sicuramente un aspettopositivo, in una società sempre più mul-tietnica, ma sotto l’aspetto sportivo ilcalcio italiano rischia di perdere i pos-sibili futuri talenti, costretti a trovareuna squadra all’estero.Testimonianza di questa preoccupazio-ne diffusa è, ad esempio, il recente pas-

saggio al Real Madrid di Antonio Cas-sano, attaccante barese di ventitrè an-ni che giocava nella Roma e che orafarà parte del team dei cosiddetti “ga-lacticos”.Cassano, che in questi anni si è resoprotagonista di numerosi episodi con-dannabili dal punto di vista comporta-mentale, resta uno dei pochi campioniin erba che ci siano in circolazione e,per questo motivo, la sua partenza perMadrid viene considerata da molti co-me una grande perdita per il nostrocampionato. In realtà, lo stesso Cassa-no ha vissuto anche una lunga diatribacon il club giallorosso per il rinnovodel proprio contratto, che era in sca-denza nel giugno del 2006 e molto spes-so in questa prima parte di stagione hatrovato poco spazio.Ma il suo passaggio alla squadra spa-gnola più forte e famosa del Mondo èsolo un esempio di quello che rischia ilcalcio italiano e in particolare la nostraNazionale. Se nei prossimi anni le squa-dre italiane saranno ancora di più in-vase da giocatori stranieri, il rischio è diperdere il ruolo che finora ha avutol’Italia in campo internazionale dalpunto di vista calcistico.Ovviamente, questa è una visione fin

troppo pessimista della questione, ma ènecessario non abbassare la guardia, af-finché casi come quelli legati ad Anto-nio Cassano non si ripetano.Certamente, sarà difficile vedere in fu-turo dei nuovi Paolo Maldini o BeppeBergomi, nati e cresciuti in una squadrae protagonisti di una carriera ricca disoddisfazioni con la stessa maglia. Og-gi, infatti, anche da questo punto di vi-sta è sempre più raro vedere giocatoriche nella loro carriera abbiano giocatoin un unico club. Gli interessi econo-mici hanno preso il sopravvento suquelli di carattere sportivo e si è persoil senso di attaccamento alla città e altifo della squadra in cui si gioca. Bastivedere i continui passaggi di giocatorida una società all’altra nelle diverse ses-sioni di mercato che ci sono pratica-mente in tutta la stagione.In ogni caso, tornando al caso Cassano,di certo l’Italia ha perso un talento, mal’auspicio è che si tratti soltanto di uncaso isolato e che in futuro i giovani ta-lenti nostrani abbiano la possibilità diesprimere le proprie qualità nelle squa-dre italiane. E questo non solo a favo-re dei club in questione, ma soprattut-to dell’intero movimento calcistico dicasa nostra.

Calcio italiano, che fine hanno fatto i vivai?di Gianluca Lucci

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Alcuni mesi fa, in un colloquioorganizzato presso la sala consi-gliare della Provincia di Son-

drio, il Credito Valtellinese ha lancia-to la proposta di costituire un polo tec-nologico a Sondrio. Come giustamentediceva l’amministratore delegato diquesta società, l’attuale sviluppo eco-nomico è legato ad un rapido passag-gio da un’industria pesante ad un’in-dustria pensante. Solo la qualità puògarantire la competitività internazio-nale e questo è ancora più vero in unterritorio come il nostro, piccolo e po-co popolato, dove non sarà certo su del-le attività a larga scala che si potrà pun-tare per il futuro.In realtà di che cosa si tratta? Si po-trebbe definire il polo tecnologico co-me la combinazione, su uno stesso ter-ritorio, di imprese, di centri di forma-zione e di unità di ricerca, pubbliche eprivate, per dei progetti comuni di svi-luppo e di innovazione.Recentemente lo stato francese ha re-so pubblica la lista dei 67 “poli di com-petitività” che dovranno disegnare la“nuova Francia industriale”. Il siste-ma francese prevede che sia un orga-no dello stato, il Comitato intermini-steriale di pianificazione e di sviluppodel territorio, che decida, su propostadei prefetti, quali siano e dove siano si-tuati i progetti da sviluppare. Questocomitato giudicherà poi anche il “con-tratto-quadro”, che precisa le strate-gie e i limiti geografici dei poli, cheverrà elaborato da un organismo dicoordinamento composto dagli im-prenditori, da funzionari statali, daricercatori e da eletti locali. Per quan-to riguarda i finanziamenti questi nuo-vi insediamenti attingeranno a fondieuropei, a fondi di varie agenzie statalie al capitale privato. Lo stato ha an-che previsto dei contributi importantierogati sotto forma di sgravi fiscali edesenzioni da oneri sociali.I settori di attività sono svariati e van-no dall’agro-alimentare alle biotecno-

logie, dalla fotonica alla meccanicacomplessa, dall’energia all’aerospazia-le, ma tutti sono caratterizzati da un’ef-fervescenza di iniziative che coinvol-gono stato, università, piccole e medieindustrie, organizzazioni di categoria epoteri locali.Sebbene il silenzio fragoroso che ha ca-ratterizzato i mesi successivi all’annun-cio del progetto polo tecnologico val-tellinese non spinga ad attenderci lastessa vivacità d’iniziative presente ol-tralpe, l’esempio francese potrebbe es-serci utile per immaginare un futuro di-verso per la Valtellina. Credo infattiche solo una forte capacità innovativaed investimenti nella ricerca potrannofar uscire la valle da quella specie di le-targo socio-economico che l’affligge.Il progetto polo tecnologico rappresen-ta dunque un’occasione da non perde-re, ma la sua realizzazione dovrà coin-volgere tutte le forze vive della societàvaltellinese e non essere lasciato all’ini-ziativa, assolutamente lodevole, ma cer-tamente limitata, di un’impresa priva-ta. Bisogna quindi che le istituzioni lo-cali, regione, provincia, comuni, maanche le organizzazioni di categoria, leassociazioni e in generale tutti i valtel-linesi comincino a confrontarsi su que-sto progetto.Credo che a questo punto tutti gli abi-tanti della nostra valle debbano essereveramente ambiziosi e che il progettopolo tecnologico debba legarsi aquell’idea di università in Valtellina dicui si era parlato negli anni scorsi. In ef-fetti in quasi tutti i casi esistenti il po-lo tecnologico è legato ad importanticentri di ricerca.Si potrebbe dunque approfittaredell’iniziativa del Credito Valtellinese

per studiare la possibilità di organiz-zare in Valtellina delle scuole di altaspecializzazione (Master e Dottorati diricerca) che possano attirare nella no-stra provincia un numero consistentedi studenti. Si tratterebbe di scuole condelle formazioni di assoluto valore econ elementi di novità che, approfit-tando delle ricchezze naturali ed uma-ne delle nostre valli, sappiano propor-re e diffondere un nuovo modello dicentro di studi, centrato su alcune te-matiche nelle quali potremo avere unvantaggio comparato, rispetto ad altrearee geografiche. Possiamo azzardarci asegnalare alcune aree di studio nellequali si potrebbe realizzare un ottimoconnubio tra centri di ricerca e attivitàproduttive:Università del territorio. La natura e lastoria della “Rezia” ci mettono a dispo-sizione un patrimonio incommensura-bile per lo studio dell’ambiente e dellesue interrelazioni con l’uomo. Il con-gresso internazionale sul Nebbiolo, chesi è svolto un po’ di tempo fa a Sondrio,ne è stato un esempio illuminante.Queste risorse ci offrono la possibilità diun centro di studi interdisciplinari che,attraverso delle ricerche che potrannospaziare dalla botanica alla geologia,dalla silvicoltura alle glaciologia, dalturismo all’enologia, dall’urbanistica al-le scienze politiche, all’antropologia,potrà proporre una nuova visione deirapporti tra uomo e territorio e prepa-rare degli specialisti in questo settore.Scienze Bancarie. L’alto livello quali-tativo e professionale delle banche lo-cali e il fatto che esse dispongano già diun know-how di conoscenze, di rela-zioni e anche di strutture di insegna-mento, destinate all’aggiornamento in-terno, possono suggerire questo indiriz-zo. Esso potrà eventualmente ampliar-si con altre branche di studio relative alsettore economico-finanziario.Informatica. Si tratta di un settore dipunta per il futuro, nel quale la maggiorparte dei problemi legati alla colloca-

Nel futuro di Sondrioci sarà spazio per un “polo tecnologico”?

di Alfio Sciaresa*

16 Alpes Febbraio 2006

Il Credito Valtellinese ha lanciato la proposta

di costituirlo.

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zione geografica sembra essere stata su-perata grazie a Internet. Il completa-mento della rete in fibra ottica, porta-ta a Sondrio da AEM e Credito Valtel-linese, permetterebbe di lavorare in col-legamento costante con tutte le uni-versità e con tutti i centri di ricerca delmondo e diventerebbe un fattore trai-nante per lo sviluppo di tutta la nostraregione.Energia. Recentemente Jeremy Rifkin,uno dei più importanti esperti mondia-li di ricerche sullo sviluppo, ha tenutouna conferenza a Poschiavo e ha affer-mato che il territorio alpino potrebbediventare il centro nodale della produ-zione di energie alternative. La Valtel-lina è ancora ricchissima in acqua edunque in idrogeno che è consideratol’elemento chiave per il futuro energe-tico del mondo. Inoltre la nostra valleproduce circa il 50% dell’energia idroe-lettrica lombarda e circa il 12,5%dell’intera produzione nazionale. Si po-trebbe dunque chiedere alle grosseaziende di questo settore come ENEL,Edison ed AEM di finanziare ricerchesull’energia da svolgersi nella nostraprovincia.L’organizzazione di una tale attività distudio e di ricerca darebbe sicuramenteun impulso notevole a tutto il nostroterritorio e avrebbe delle ricadute sututti i settori di attività. Cultura e spet-tacolo, commercio, costruzioni, turismoavrebbero un beneficio immediato dal-la presenza in valle di numerosi stu-denti ed insegnanti. Ma l’università di-verrebbe anche luogo di elaborazione edi proposta di nuove attività e centro dianalisi e di critica su tutto quello che ca-ratterizzerà il nostro futuro.Grazie alle attività di questo centro distudi potrebbe nascere una nuova im-prenditorialità valtellinese capace dimeglio sfruttare le risorse della nostraterra in settori classici come l’agricol-tura, la silvicoltura, il turismo oppure dilanciarsi su nuove tecnologie, per lequali l’isolamento geografico non rap-presenta più un ostacolo significativo.Per il futuro dei nostri giovani è neces-sario guardare lontano e fare i conti conuna realtà europea e mondiale in rapi-da evoluzione. Solo una forte capacitàinnovativa potrà garantirci quelle con-quiste economiche e sociali che i nostriavi hanno, così faticosamente, realiz-zato.

*Institut Français de GéopolitiqueUniversità Parigi VIII

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Imprenditrici, sindaco, immigrate,sportive, tutte donne con i pantalo-ni, che fatica.

Loro guidano aziende, amministranocittà, vincono negli sport, si misuranoin ogni settore della vita sociale. A par-larne sono loro, le moderne protagoni-ste tutte impegnate a ricoprire ruolichiave, svelando dubbi, sacrifici, fatichee incapacità, pur essendo madri, moglie figlie, compiti da cui la natura non sol-leva di certo.Nonostante tutto guardano al futurocon speranza, con la certezza incrolla-bile che sapranno fare di più nel diffi-cile equilibrismo fuori e dentro casa.Operaie o manager non cambia nulla,alle spalle c’è sempre una casa e una fa-miglia da mandareavanti. Ad un certo li-vello professionale ledonne scarseggiano acausa dei periodi dimaternità e gli uominine risultano necessa-riamente favoriti. Lagrande maggioranzadelle donne è approda-ta al mondo del lavoroper necessità, per poterseguire in parte l’evo-luzione della società eper riuscire a mantene-re un tenore di vita di-gnitosa in compenso ilruolo maschile non èmai cambiato.A Sondrio e in alcunipaesi della Valtellina cisono donne sindaco e icittadini sono prontiad accettare un gover-no declinato al femmi-nile. Sono tante ledonne nelle liste elet-torali, ma poi gli sforziper promuoverne leelezioni non sono al-trettanto intensi cosìche il far politica ap-

partiene ancora agli uomini. C’è anco-ra tanto da fare, specie per le donne im-migrate e sono lontani i traguardi del-la integrazione.Anche lo sport decolla al femminile.Sappiamo che nel campo del lavoro lavita al femminile è faticosa: che pesoportare i pantaloni!Sul lavoro donne ancora discriminate.Il punto sulla condizione femminile.Esistono donne che nel 2006 devonoancora lottare per vedere riconosciuti ipropri diritti. Vivono accanto a noi,donne immigrate, che cercano l’inte-grazione e che si battono anche a livel-lo internazionale. Spesso si riunisconoin gruppi e rivelano il loro disagio ri-cordandoci quanto sia lunga la strada da

compiere per ottenere la parità. La don-na è da sempre uno dei soggetti più de-boli, che avverte su di sé un carico mag-giore di responsabilità come punto di ri-ferimento della famiglia accudendo ifigli e talora anche gli anziani genitori.E’ una condizione penalizzante in unsistema lavorativo in cui conta di più lapresenza che la qualità del lavoro. Inquesto modo è minata la possibilità perle donne di accedere ad incarichi di re-sponsabilità e più prestigiosi dove oc-corre una organizzazione del lavoro conaccordi stipulati su base locale. Non so-no scomparse le violenze e si ha notiziache l’80 per cento sono commesseall’interno delle mura domestiche. Sitratta per lo più di violenze psicologi-

che, anche se non sonoescluse quelle di naturasessuale, le più insidioseperché minano la sicu-rezza della donna e van-no a toccare i lati piùnascosti e intimi com-presi i guadagni delladonna lavoratrice, e intaluni casi escludendolaanche dal patrimonio fa-miliare. Le ritorsionipossono riguardare an-che la sfera culturale ereligiosa impedendo alladonna persino la propriaidentità. Questi episodi di cui og-gi si parla tanto sonosempre accaduti ma algiorno d’oggi affiorauna maggiore consape-volezza in quanto piùche di violenza privatasi parla di abuso univer-sale. Si tratta di un fe-nomeno che caratteriz-za la condizione femmi-nile in tutti i paesi delmondo con una unicacausa: il valore dell’uo-mo padrone.

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Donne in prima lineadi Ada Tansini

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L’ILO, Organizzazione Internazio-nale del Lavoro, lancia l’allarmerelativamente al problema del

“lavoro forzato e del traffico di esseriumani in tutto il mondo”.Un recente studio dell’ILO ha volutoapprofondire le molte sfaccettature del-la piaga del lavoro forzato e del trafficodi esseri umani analizzando i moltepli-ci aspetti con cui esso si manifesta intutti i paesi del mondo.Tale fenomeno può con piena ragionedefinirsi impressionante sia per la di-mensione numerica delle persone coin-volte sia per la complessità economicae sociale che esso pone in luce. Va sot-tolineato innanzitutto che la dimen-sione più preoccupante è quella relati-va allo sfruttamento di esseri umani chetalvolta, ma non sempre, si accompagnacon il traffico stesso delle persone.Purtroppo il XXI secolo eredita dal mil-lennio appena trascorso una serie dicomplicate situazioni economiche, so-ciali e politiche che in molti paesi delmondo favoriscono la piaga del traffico

di uomini.Una necessaria ma non sempre esausti-va suddivisione dei paesi mondiali de-finisce tre categorie: paesi di originedella manodopera “schiavile”, paesi ditransito e paesi di destinazione.Non è un mistero che se da un lato trai paesi di origine troviamo le nazioni piùpovere del mondo, le destinazioni sonole città dei paesi nel mondo sviluppato,cioè la parte più ricca del pianeta.L’invio di manodopera dai paesi più po-veri a quelli più ricchi non è la sola for-ma di lavoro forzato. In alcuni paesi visono forme di reclutamento forzato daparte di eserciti e guerriglia nell’ambi-to dei conflitti che lacerano alcuni diquesti paesi. In altre aree resistono ser-vitù di tipo feudale in cui il lavoro so-stituisce il pagamento di debiti che stra-ti più poveri della popolazione talvoltanel campo agricolo hanno contrattocon i proprietari terrieri.Negli ultimi anni le condizioni socialinei paesi dell’Est europeo hanno con-tribuito all’insorgere di situazioni che

hanno creato flussi di migrazioni clan-destini verso molti paesi europei. Unnumero crescente di donne e bambiniprovenienti dall’Est europeo si è ag-giunto a flussi provenienti dal Sud Estasiatico che hanno la loro ragione d’es-sere nello sfruttamento sessuale a cui ta-li persone sono soggette nei paesi di de-stinazione.Tuttavia, se da un lato c’è un consensouniversale relativamente alla definizio-ne di lavoro forzato, che è in sostanzalavoro effettuato sotto coercizione esoggetto a punizione, alcune forme cheesso assume sono fonte di pubblico di-battito.Ad esempio in alcuni paesi vi sono par-tecipazioni obbligatorie alla realizza-zione di pubbliche infrastrutture. In al-tri paesi l’uso del lavoro di prigionieri èparte di questa discussione in quantotalvolta la riabilitazione attraverso illavoro è incorporata nella pena oppu-re è permesso l’affitto del lavoro dei pri-gionieri a privati.L’incremento del lavoro forzato è mol-

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Nuovi dati in uno studio dell’ILO.

In aumento il traffico della forza lavoro: emigranti,

donne e bambinisono i più

vulnerabilidi Carmen Del Vecchio

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to difficile da contenere in quanto giraintorno a delle grosse bande di criminaliinternazionali che trovano il traffico diuomini molto meno pericoloso che iltraffico della droga. La maggior partedel lavoro forzato si svolge nascosta-mente in attività illegali che non sonomolto palesi.La crescita di molti lavori industrialinon regolati e di lavori nel settore ur-bano contribuiscono all’esplosione diuna sempre maggior richiesta di questotipo di clandestini.Dal rapporto ci si potrebbe chiederequanto le “cosiddette” organizzazioni dicontrasto o quanto addirittura di lottaallo sfruttamento del lavoro forzato, ab-biano veramente interesse a combatte-re il fenomeno. Dati glienormi interessi in giocola stessa relazione suggeri-sce un fermo interventoche, in nessun modo, diamargini di non ritorno.Pur sottolineando la com-plessità e la vastità del fe-nomeno, l’ILO sottolineauna serie di successi che sisono ottenuti in alcunipaesi intraprendendo unapproccio intraministeria-le che va dalla giustizia, al-la sicurezza sociale, ai co-stumi ed all’istruzione.L’Organizzazione stessasottolinea la necessitàdell’aiuto da fornire ai Go-verni nell’identificazionee nel contrasto del feno-meno, paesi che, se lascia-ti senza aiuto, avrebberodifficoltà a contrastare lasituazione.Tale aiuto si esprime nellanecessità di realizzare unconfronto tra le istituzionie le parti sociali in moltipaesi del Terzo Mondospingendo talvolta nelladirezione di radicali rifor-me economiche, soprat-tutto nei settori agricoli e,in modo particolare per iltraffico dei bambini con azioni checoinvolgono le donne, l’educazione edil micro credito.Il rapporto dell’Organizzazione si con-clude con un’esortazione rivolta a tutti iGoverni e le parti sociali per l’approfon-dimento della comprensione del feno-meno e ad un rinvigorito sforzo per scon-figgere definitivamente questa terribilepiaga che grava sul genere umano.

Una questione fondamentale,poco trattata, è la condizionefemminile.

Per quanto riguarda il lavoro femmi-nile la situazione attuale è molto di-versa rispetto alle epoche precedenti.In passato la donna era sottomessa alcapofamiglia e il lavoro non era con-siderato un elemento centrale dellapropria esistenza. Tra la fine dell’otto-cento e l’inizio del novecento la con-dizione della donna era di assoluta di-sparità. Il lavoro femminile non ve-niva riconosciuto come tale: il salariodelle lavoratrici era la metà di quello

dei colleghi di sesso maschile.Solo a partire dal novecento si iniziòad assistere ad una lenta e gradualepresa di coscienza della propria di-gnità ed individualità: nacquero leprime rivendicazioni per ottenere ildiritto di voto e per acquisire pari op-portunità in tutti i settori della vitaeconomica e civile.

Durante la prima guerra mondiale ladonna sostituì l’uomo, impegnato alfronte, sul lavoro, dimostrando di sa-per assolvere anche i compiti più durie impegnativi.Con l’avvento del fascismo purtropposi cominciò ad assistere ad un rallen-tamento dell’emancipazione femmi-nile. Il lavoro femminile era in tutti imodi boicottato e proibito addiritturaper legge.Il regime confinava la donna dentrole mura domestiche con lo slogan “lamaternità sta alla donna come laguerra sta all’uomo” relegandola alruolo di “procreatrice” per rinvigoriree accrescere la stirpe.Dopo la caduta del fascismo e l’av-vento della repubblica, finalmente,dopo secoli di prevaricazioni e sotto-missioni, la donna, nel 1945, ottenneil diritto di voto.Solo a partire dagli anni ’70/80, no-nostante questa importante conqui-sta, il ruolo femminile cambia radi-calmente: l’istruzione e la formazionediventano un valore, le donne co-minciano ad affermarsi come persone,ad attribuire al lavoro la giusta consi-derazione e il matrimonio cessa di es-sere l’unico traguardo.Dopo la riforma del diritto di famigliadel 1975 donna e uomo hanno paridiritti e doveri, non esiste più il capo-famiglia, ogni decisione deve esserepresa di comune accordo senza preva-ricazioni.Superato il modello tradizionale delladivisione dei ruoli, oggi, le donnesono cittadine alla pari degli uomini,godono degli stessi diritti, sono pa-drone di se stesse, hanno raggiuntouna certa emancipazione anche se ilrapporto con il lavoro è tuttora diffi-cile: permangono forme di discrimi-nazione sia rispetto alle qualità pro-fessionali sia in rapporto al reddito.

DONNA =di Manuela Del Togno

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In Italia c’è il tasso di occupazionefemminile più basso dell’Unione Eu-ropea, le posizioni di maggior rilievosono ancor oggi appannaggio degli uo-mini e alle donne spettano i lavorimeno retribuiti.Basti pensare che tra gli imprenditori ei grandi manager le donne si contanosulle dita di una mano, in politica oc-cupano meno dell’11% dei seggi,troppo poco per “essere considerate”nelle questioni importanti.Causa di questa disparità è la necessitàda parte della donna di conciliare ildoppio ruolo di “donna in carriera” incontrapposizione a quello di madre emoglie.La realtà è che neanche in un paese ci-vile come il nostro si considerano iveri problemi e bisogni delle donne. Ipartiti dovrebbero preoccuparsi di piùdell’elettorato femminile, maggiore ri-spetto a quello maschile, promuo-vendo una politica che consenta ugua-glianza di opportunità invece di riven-dicare il potere con scelte discutibili(fecondazione assistita, quote rosa, in-chiesta sulla legge 194 sull’aborto).La verità è che viviamo in una societàmisogina che teme il confronto suquesti temi, influenzata da forti tradi-zioni cattoliche basate sull’esaltazionedel lavoro domestico della donna.La chiesa cattolica, da sempre pocosensibile ai problemi delle donne, purriconoscendo loro, a parole, gli stessidiritti dell’uomo, nei fatti è la primache le discrimina escludendole da ognifunzione all’interno dell’ordinamentoecclesiale. La donna non può essere sa-cerdote, non può predicare, non puòintraprendere la carriera ecclesiasticae non diventerà mai papa.Siamo ancora molto lontani dallareale parità e purtroppo in molti paesidel mondo (stati asiatici, Cina, India,stati africani …) le donne sono ancora

maltrattate e considerate esseri infe-riori.Nei paesi fondamentalisti islamici ladonna è paragonata ad un oggetto diproprietà dell’uomo di “turno”, co-stretta ad obbedire al padre, al marito,al figlio, condannata al silenzio e a na-scondere la propria femminilità sottoil “burqua”, privata di tutti i diritti fon-damentali ed esclusa da ogni decisionepubblica e privata.Pochissimi, infatti, sono i paesi musul-mani che hanno concesso il voto alledonne: la Turchia nel 1934, il Pakistane la Siria nel 1954, l’Egitto nel 1956 el’Iran nel 1963.Secondo Amnesty International al-meno il 20% delle donne di tutto ilmondo ha subito maltrattamenti eviolenze sessuali. La violenza più dif-fusa è quella che avviene tra le muradomestiche. Donne di ogni età, classe,religione subiscono abusi fisici e psico-logici da parte dei propri “compagni”.In molti paesi sono costrette a matri-moni forzati, comprate e vendute peralimentare la prostituzione, uno deimercati più proficui insieme al trafficodi armi e droga.Una violenza molto diffusa nei paesiafricani, in alcune zone della penisolaarabica e in molte comunità immi-grate in Europa e in America, è la mu-tilazione dei genitali femminili.L’escissione è una barbara tradizioneche compromette la salute della donnaper tutta la vita. Secondo le NazioniUnite circa 120 milioni di ragazze nesono vittime.Un’altra pratica, diffusa nei paesi piùpopolosi come India e Cina, è l’elimi-nazione delle bambine con aborto se-lettivo o alla nascita perché conside-rate “inutili” e poco produttive per ilpaese.Non meno aberranti sono le violenzeche le donne sono costrette a subire

nelle zone di guerra, dove sono trat-tate come trofei, violentate, torturatee private della loro dignità fisica e psi-cologica.La discriminazione nei confronti delledonne esiste e non va sottovalutata.Le donne non devono essere svantag-giate dal loro sesso ma deve essere lororiconosciuta la possibilità di vivereuna vita scelta in modo libero e auto-nomo.Su questi temi uomini e donne si de-vono confrontare per costruire in-sieme un futuro migliore. Solo par-tendo da questi presupposti la nostrasocietà potrà evolversi superando pre-giudizi e credenze presenti ancora ogginell’immaginario collettivo.Vorrei concludere con una citazione diTommaso D’Aquino, uno dei maggiorifilosofi del 1200: “La donna è soggettaall’uomo a causa della debolezza dellasua natura che riguarda il suo corpocome pure la sua anima”. Purtroppooggi, nel 2006, questa frase riassumeun pensiero ancora vivo nella nostrasocietà.

In Tanzania si è insediato il nuo-vo governo. Cinque dicasteri(Esteri, Finanze, Giustizia, Edu-cazione, Sviluppo comunitarioquestioni femminili e infanzia)sono in mano a donne.(Fonte: misna.org)In Italia le donne ministro sonodue (Istruzione, Pari opportu-nità).Dal 1994 il numero delle donnenel parlamento italiano è calatodel 6%.In Austria, che ha un governo con-servatore, la presenza femminilein politica arriva al 34%. In Ita-lia siamo al 10%, l’ultimo gover-no è sceso al 7,6%.(Fonte: Internazionale)

A = INDIVIDUO“La donna è soggetta all’uomo

a causa della debolezza della sua natura che riguarda il suo corpo come pure la sua anima”

(Tommaso D’Aquino)

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Laogai, un universo per tanto tem-po nascosto, di cui si incominciaa parlare non senza imbarazzo e

con molte remore. In Occidente il fe-nomeno è stato, ed è anche oggi, igno-rato nonostante la vastità delle sue di-mensioni. Perché? Vi sono parziali giu-stificazioni quali lo scarso numero ditestimoni, la difficoltà di reperire unadocumentazione inconfutabile e le de-bolissime proteste degli intellettualiasiatici che, al contrario dei loro colle-ghi d’occidente, non ritengono oppor-tuno criticare e denunciare il potere.Credo però che le ragioni più vere sia-no due: la prima è da ricercarsi nellaabitudine della intellighentia nostranadi far finta di non vedere, di non sape-re e soprattutto di non denunciarequanto di vergognoso avviene in certipaesi la seconda dipende da fattori dicarattere economico.

Che cosa sono i Laogai? Sono campi diconcentramento, militarmente orga-nizzati, dove sono rinchiusi milioni diuomini e donne, sia dissidenti politiciche criminali comuni, che vivono incondizioni subumane e costretti ai la-vori forzati. Il numero dei Laogai e deiprigionieri è un segreto di stato, ma se-condo la Laogai Research Foundationve ne sono almeno 1.000 e il numerodei detenuti oscilla fra i 4 e i 6 milionidi persone. Si calcola che dalla lorocreazione, ideata e voluta dal presiden-te Mao, siano stati imprigionati circa 50milioni di persone.A far conoscere il problema è statoHarry Wu, un geologo di 68 anni, 19 deiquali, dal 1960 al 1979, internato in unlager cinese per essere “rieducato”, da-to che si era macchiato del grave reatodi aver criticato le politiche del Parti-to Comunista Cinese. Aveva commes-

so un reato gravissimo: si era permessodi criticare l’appoggio cinese all’inva-sione sovietica di Budapest. Liberatodopo la morte di Mao assieme a moltialtri prigionieri politici e inviato nell’85all’Università di Berkeley, non è piùtornato in patria, ed è diventato citta-dino americano. Dal 1992 attraverso laL.R.F. ha dedicato la sua vita a racco-gliere informazioni e a lottare contro leviolazioni dei diritti umani in Cina. In-fatti attraverso questa organizzazione,da lui fondata e presieduta, egli denun-cia non solo l’orrore dei Laogai, ma an-che le esecuzioni pubbliche, la raccol-ta di organi dei prigionieri giustiziati, lapersecuzione religiosa e l’applicazionecoatta della politica riproduttiva, me-glio nota come “legge sul figlio unico”

Arcipelago Laogaidi Pierangela Bianco

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che costa la vita ad almeno 550 milabambine l’anno secondo i dati dell’or-ganizzazione Human Rights Watch. Inquell’inferno Harry Wu avrebbe dovu-to rimanere 34 anni, perché, come eglistesso dice: “avevo delle opinioni ... per-chè ero cattolico ... perchè ero un uo-mo”.A lui è andata bene, è uscito salvo an-che se, giunto in America, non è riu-scito a parlarne per 5 anni. Poi si è re-so conto che occorreva fare forza a sestesso, occorreva far sapere anche diquegli orrori di cui nessuno parlava, per-ché nessuno ne era al corrente. Allorasi è fatto coraggio, ha assunto un impe-gno con se stesso, ha cominciato a la-vorare con un obiettivo: “continuerò alavorare perché la parola laogai entriin tutti i dizionari, in tutte le lingue”.Come cittadino americano Harry Wuha effettuato viaggi in Cina sotto co-pertura come diplomatico o come im-prenditore, raccogliendo documenti su-gli innumerevoli campi di concentra-mento e altri centri detentivi. Fra l’al-tro ha raccolto prove sull’origine dimerci esportate all’estero fabbricate neilaogai. Oggi questo uomo coraggiosodenuncia che tutti i prigionieri sonosottoposti ai lavori forzati e che moltisono costretti a lavorare fino a 16-18ore al giorno per mantenere i ritmi im-posti dalla struttura. Se non sono rag-giunte le quote programmate i prigio-nieri si vedono diminuire le già scarserazioni di cibo. Le condizioni di lavorosono sempre tremende, a volte però su-perano qualsiasi perversa fantasia e iprigionieri si trovano a lavorare in con-dizioni pericolose, comprese le miniereda cui si estraggono sostanze tossiche.Ovviamente senza nessuna protezione.I milioni di persone rinchiusi nei laogaicostituiscono il più grande numero diesseri umani sottoposti a lavoro forzatoal mondo. Come ammette nel 1990 undocumento ufficiale del governo cine-se, si tratta di “una branca dell’econo-mia”.Adesso conosciamo una nuova forma dieconomia: l’economia da lavoro forza-to. Inutile aggiungere che nessuna for-ma di compenso è data a queste perso-ne per il loro lavoro. Troppo tragica-mente interessante è quanto pubblica-to sul Manuale per la Riforma Crimi-nale, Partito Comunista, Ministero del-la Giustizia, Ufficio Laogai, Editore Po-polare dello Shaanxi, 1998, nel quale silegge: “Il compito fondamentale dei

Laogai è la punizione e la rieducazio-ne dei criminali. Per definire questefunzioni concretamente, essi adem-piono a questo compito nella seguentemaniera: punendo i criminali e te-nendoli sotto stretta sorveglianza; rie-ducando i criminali; organizzando icriminali nel lavoro e nella produzio-ne, così da migliorare il benessere del-la società. Le nostre unità Laogai so-no sia istituzioni della dittatura, siaaziende speciali”.I prodotti sono i più disparati, si produ-ce ogni tipo di merce: carbone, mercu-rio, pietre da costruzione, cemento, mo-tori, tè, impermeabili, tubi, cerniere,ma anche prodotti ad alta specializza-zione. Per non parlare poi di prodottivenduti a importanti multinazionali cheimmettono sul mercato occidentalemerci a costi bassissimi (dal punto di vi-sta monetario) e rivendute con utilimolto alti.Non è tutto, vi è anche un aspetto piùraccapricciante. Sappiamo anche daAmnesty International che la Cina è ilpaese con il più alto numero di con-dannati a morte e di giustiziati al mon-do visto che le loro leggi prevedono ol-tre 60 reati capitali. Ma dato che la Ci-na è diventata una enorme fabbrica diexport, anche i cadaveri possono forni-re un utile e allora, sempre in base ai da-ti forniti dalla L.R.F., sappiamo che findagli anni ’70 è in uso la pratica di rac-cogliere gli organi dei prigionieri giu-stiziati per usarli o per i cinesi più ric-chi o per esportarli all’estero. Recente-mente poi vi è un nuovo prodotto ma-

de in China, il collagene, quel materialebiologico che i chirurghi plastici usanoper spianare le rughe.Collagene umano venduto al 5% delprezzo a cui è venduto quello prodottoin Europa e negli USA. Un vero affare!Vi è solo un piccolo particolare: è rica-vato dai condannati a morte.All’inizio abbiamo parlato dei motividel silenzio su questa triste realtà delnostro tempo. Credo che la ragione fon-damentale sia da ricercarsi nell’econo-mia. Ma può l’economia essere una di-vinità alla quale tutto si sacrifica? I pae-si occidentali stanno pagando un prez-zo molto alto in termini di occupazionee di competitività. E’ una assurdità sulpiano economico perchè è ovvio chenon potremo mai, per nostra fortuna,competere con un paese dove il lavoroè a costo zero e dove si lavora anche 80ore settimanali con stipendi di pura sus-sistenza, senza alcuna tutela e garanzia.E’ quindi logico mettere in crisi alcunisettori della nostra economia per im-portare dalla Cina?E’ aberrante sul piano sociale: stiamocreando disoccupazione, con tutto quel-lo che comporta, nei nostri paesi e le-gittimiamo lo sfruttamento più bieco.E’ inaccettabile sul piano etico perchésignifica rendersi moralmente complicidi violazioni sistematiche e disumanedei più elementari diritti civili. Infine èvergognoso per la nostra cultura e lanostra civiltà.Inoltre, per chi è sordo a queste ragio-ni, nel lungo termine tutto ciò rischiadi trasformarsi in un boomerang.

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“Il sale di tutto credo che sia lasfrenata curiosità che mi assalealla vista del nuovo”.

Una matita e le lamette dei primi tem-perini, quelli che sostituivano l’opera del-la maestra con il suo coltellino tascabile(chiamato anche temperino), quando glichiedevamo di farci la punta; queste la-mette che svitava e avvi-tava rapidamente, glihanno permesso di inta-gliare i primi oggettinilontano dall’occhio vigiledella maestra, il più dellevolte erano le stesse ma-tite oramai corte e inuti-lizzabili e private dellagraffite. Poi, tante faccette e omini!!Poi ... a 10 anni, dopo la scuola e nellevacanze estive, il padre, visto il suo amo-re per il legno, gli trovò un impiego inuna falegnameria di Limonese: un para-diso di legni, trucioli e odori.Nell’immaginario collettivo si vede ilmilitare di professione come uno che,proprio per il suo impegno, difficilmen-te può avere sviluppato estro artistico ...Volare è un po’ come dare delle pennel-late, dei tocchi di colore in un bel qua-dro. L’artista è visto come un eccentrico,solitario ed un po’ folle: come definiamoun pilota che deve andare in volo con unmezzo in alluminio ferroso, appeso a del-le pale che girano velocemente, in mez-zo a qualche valle montana, nel mare inburrasca, tra i seracchi di un ghiacciaio,in mezzo a un deserto, sopra le fiamme diun incendio, in balia di venti, con pessi-me condizioni meteorologiche e tantis-sime situazioni di pericolo? Tutto ciò,non richiede spirito solitario, eccentricitàe un po’ di pazzia?Quando è all’estero, lontano dalla routi-ne, il tempo libero lo dedica a scolpire, acucinare e ad approfondire le sue cono-scenze.In lui è insita una certa ritrosia nel voler

condividere con altri le opere quasi in untentativo di estremo pudore nel mostrarlea terzi: crea sempre per se stesso e non perun giudizio del prossimo, se ciò fosse,smetterebbe immediatamente. “Cometutti creo un pezzo, lo regalo o lo ab-bandono nelle cantine o nelle soffitte,lontane dal mio occhio critico”.

Quella mattina del 12 no-vembre, si trovava a Sa-rajevo e: “Sentii mie lesensazioni del parenteche aspetta a casa ... co-me militare, come colle-ga, sapevo che sarei po-tuto essere al posto loro inqualsiasi momento”.

Ha fatto scalpore la sua opera dedicata aiCaduti italiani di Nassiriya non solo perla scultura in sè, che evoca il dolore del-la terribile strage, ma anche per la pro-posta circa la sua “istituzionalizzazione”come vero e proprio monumento nonchéper la proposta di ricordare con un fran-cobollo commemmorativo, con la im-magine stessa della scultura, dedicato aquegli sfortunati eroi.“La scultura è stata una risposta a tut-te queste sensazioni, un giusto tributo,a chi come me porta l’immaginedell’Italia che lavora all’estero e nonparlo di militari, ma di italiani, da quel-li con la valigia di cartone che hanno po-polato il mondo con le nostre tradizionie profumi a quelli che con la divisa sta-zionano in territori di crisi a salvaguar-dia della Pace”.Il 27 novembre 2004 a Novara si è inau-gurato alla presenza dei parenti delle vit-time, ai cittadini novaresi e alle auto-rità, un monumento con raffigurati i 19caduti. L’immagine di questa opera inbronzo o dell’originale in legno sarà ri-prodotta su un francobollo a ricordo deinostri 19 caduti a Nassiriya quale giustotributo a tutti i caduti civili e militari interra straniera.

Quando ha deciso di fare questa scultu-ra, ha voluto dare a questi famigliari unamano amica, un appoggio morale, inun’epoca nella quale la vita quotidianadi noi occidentali è poco approfondita.Difficilmente si sentono lamentele daparte di questi, non che non ne abbianoil bisogno, purtroppo queste persone, co-me anche io anni fa, stanno galleggian-do vorticosamente in un mulinello inmezzo all’oceano. Presi in questa morsa,non hanno il fiato per gridare aiuto. For-se è anche questo che mi ha spinto.“Come loro, sono partito per questa

missione, come loro ho salutato i mieicari e con loro abbiamo fatto un istan-taneo viaggio nel tempo a quel fatidicomomento dove ci si riabbraccia dopomesi di distacco e silente sofferenza,ma poi dei pazzi o un qualsiasi altroevento distruggono questa magica sen-sazione, questa fragile certezza e non sitorna o non si vede più il proprio caro”.L’aspetto migliore della sua sensibilità èsempre presente e lo segue come un’om-bra.“Alla vigilia di ogni partenza per unamissione all’estero ti senti folle, scattiper un nonnulla e per giunta chi ti cir-conda si comporta peggio di un pachi-derma ... ti compatisce, ma ti affossaancora di più. Come in un film rivivoquell’ultima telefonata che feci con miofratello il giorno prima che morisse inun incidente stradale, o la chiacchie-rata che feci qualche minuto prima difare il massaggio cardiaco a mio padreprima che spirasse, o quella sensazioneche provai quando risposi a una do-manda di mia sorella, oramai termina-le per un tumore: ‘Osvaldo che ne pen-si, secondo te morirò?’ .... Dopo l’irre-parabile, dopo l’incidente violento, ci sisente straziati, privati di parte di te, so-no momenti, ore, mesi, anni che tra-scorrono molto lentamente e in questieterni momenti uno si sente solo, ab-

Un monumento* e un francobollodi prossima emissione

in ricordo dei Caduti italiani di Nassiriya

24 Alpes Febbraio 2006Sono opera delMaresciallo Capo P.O.E.Osvaldo Moi, un nome ormainoto a livellonazionale come “Artista”militare e nonsolo.

Intervista a cura di Pier Luigi Tremonti

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bandonato, impaurito.........ti assale ilterrore, la folle invidia di non essere alposto del tuo caro”.Come pilota ha partecipato alla missio-ne in Libano nel 1988 come Casco Bludell’ONU (quattordici mesi), in Bosniadal 1997 ad oggi nelle forze della Nato(più di 2 anni in teatro bosniaco).Fu inviato quando nel 1988 la Fonda-zione Nobel premiò i Caschi Bludell’ONU con il Premio Nobel della Pa-ce e nel di-cembre del1988 a NewYork al Pa-lazzo di Ve-tro del-l’ONU perricevere ilPremio co-me rappre-sentante ita-liano.“Credo chein questomomento lanostra mis-sione sia impostata sul controllo e ilmantenimento della pace e dei diritti delpopolo bosniaco; già da anni è in corsouna intensa attività di aiuti umanitari,di aiuti alla ricostruzione e di reinseri-mento di queste comunità agli standardeuropei.Le missioni Nato, ONU e le varie altreorganizzazioni, cercano di aiutare conviveri, medicinali, beni di prima neces-sità e dando lavoro; il lavoro è il giustomezzo di reinserimento per un popoloche esce da una guerra. La nostra pre-senza militare in ogni scacchiere è al pa-ri delle altre nazioni, anzi devo dire checi distinguiamo per precisione, profes-sionalità, serietà e, non ultimo e menoimportante, la simpatia, l’intrapren-denza e l’ospitalità dell’italiano. Siamoben voluti e godiamo di grande consi-derazione”.Ricordi di drammi umani vissuti e vistidal vivo in diretta lo spingono verso unainimmaginabile catena di iniziative.“Un aiuto all’infanzia di tanti colori epensieri, infanti speranzosi, ma il piùdelle volte derubati dei sogni.Non sogni di ricchezza ma di sempliciesistenze vissute in famiglia con i pro-pri cari e le normali difficoltà del quo-tidiano. Una donna di Mostar mi rac-contava della sua incredulità nel vede-re un mondo distrutto da asti e odi se-dati e sopiti negli anni da un governo ti-tino, del rifiuto a fuggire dalla propriaterra e dai propri sogni; un sogno cheaveva nel grembo, che aveva coltivato

dall’infanzia con un compagno di giochi,poi uomo, medico e marito, ma che nelprestare aiuto era stato colpito da uncecchino alla gola. Un padre che aven-do incontrato la morte dopo tre giorni diagonia, non ha potuto vivere la nascitadel suo sogno, ‘quella figlia!’, un inno-cente essere, che con la nascita loavrebbe battezzato padre, invece un col-po di fucile lo ha fatto precipitare nellimbo, un po’ come quei bambini morti

senza esser stati bat-tezzati. A quellabambina ultima vit-tima del cecchino,

non potendole ridare il padre che non haavuto, vorrei dare tutto l’aiuto che chie-de e come a lei a tanti altri infanti coldiritto di poter realizzare i propri so-gni”.

http://www.osvaldomoi.it/sculture/nas-sy/nassy.htmhttp://www.osvaldomoi.it/Benedizione/be-nedizione.htmwww.osvaldomoi.itwww.tuttiartisti.org

*Il monumento sarà inaugurato il 6 febbraio alle ore10 a Torino (Piazza d’armi / corso IV novembre)

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Poco più di due anni fa, precisa-mente nell’ottobre del 2003, ilGruppo Credito Valtellinese in-

traprendeva una importante iniziativaeditoriale dando vita al periodico Pleia-di. Insieme a Roberto Grazioli, Diretto-re Marketing del Gruppo Creval, ab-biamo voluto fare il punto sulle finalitàe sulla natura della rivista.Dott. Grazioli, perché il Credito Val-tellinese ha deciso di pubblicare unapropria rivista?Perché la forte crescita dimensionaledel Gruppo Creval, pre-sente oggi in 5 importan-ti regioni italiane, ha sug-gerito la creazione dinuovi strumenti di co-municazione che consen-tissero di alimentare ilrapporto di fiducia e divicinanza con la cliente-la. Infatti, se neppure undecennio fa il CreditoValtellinese era una banca locale radi-cata in una provincia con poco più di170.000 abitanti e, dunque, il dialogocon la clientela risultava semplice pro-prio per la possibilità di un contatto di-retto, il progressivo ampliarsi del peri-metro del Gruppo ha reso necessariotrovare il modo di parlare a tante per-sone geograficamente distanti. Tra glistrumenti adottati per far fronte a que-sto problema di comunicazione, la Ban-ca ha pensato ad una rivista e ha decisodi realizzare il quadrimestrale Pleiadi.Com’ è stato possibile rendere una ri-

vista “bancaria”comprensibile atutti e non soloagli esperti delsettore?Con la semplicità:il nostro obiettivoprimario, infatti, è

stato quello di realizzare una rivista“snella”, di facile consultazione, in gra-do di essere compresa da chiunque. Gra-zie al linguaggio adottato e ad una ter-minologia non tecnica, ma chiara, pre-cisa e puntuale, vengono affrontati contrasparenza i temi delle rubriche più spe-cialistiche, anche attraverso l’uso diglossari a corredo degli articoli.Finalmente un ottimo modo per dareinformazioni alla clientela in una so-cietà che da tempo chiede al mondobancario e finanziario massima traspa-renza in fatto di regole e comporta-

menti.Sì, certo, è importante che la gente sap-pia come opera la propria Banca, checonosca in maniera chiara ed ap-profondita i prodotti e servizi che levengono proposti, così da essere facili-tata nelle scelte e nella comprensione divantaggi, finalità e soluzioni offerte.Non solo, è giusto che venga messa alcorrente di tutta l’attività svolta dallaBanca sul territorio: dalla sponsorizza-zione sportiva a quella culturale, daiconvegni alle mostre, dalla beneficenzaall’impegno umanitario.In quante copie è pubblicata Pleiadi? Ea chi viene destinata?“Pleiadi” è attualmente distribuita in170.000 copie, una cifra considerevoleper un magazine finanziario.E’ inviata a soci e clienti, autorità poli-tiche e religiose, centri culturali e spor-tivi sponsorizzati dal Gruppo. La sua dif-fusione è su tutto il territorio naziona-le, e un centinaio di copie sono spediteanche all’estero.Com’ è stata accolta la rivista?Direi bene, oltre le più rosee previsioni.Tra i dipendenti abbiamo realizzato unsondaggio che ha evidenziato risultatilusinghieri sull’utilità ed efficacia diPleiadi, sondaggio che riproporremo amaggio alla clientela che, in via infor-male, ci ha già segnalato il proprio ap-prezzamento per la rivista che permet-te di conoscere, in maniera articolata,l’attività svolta dal Gruppo bancario nelsuo insieme.

Pier Luigi Tremonti

Pleiadi… e sfogli la tua Banca!

26 Alpes Febbraio 2006

Intervista al Dott. Roberto Grazioli,Direttore Marketing del Gruppo Credito Valtellinese

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Il rinnovato Museo delleCulture Extraeuropee diLugano, situato in unasplendida villa fineOttocento, affacciatadirettamente sul lago, e che ospita la Donazione Serge e Graziella Brignoni,ricca collezione di oggetti etniciprovenienti da Oceania, Indonesia e Africa,riapre i battenti con una primaesposizione che farà parte di un ciclo di mostretemporanee dedicate al temadell’esotismo.

Si tratta qui di una serie ditrenta grandi foto inbianco e nero, scattate

nel 1954 da Fosco Maraininell’isola di Hèkura, in Giap-pone, foto in parte pubblicatenel 1962 in un volume intito-

lato “L’isola delle pesca-trici”.

Fosco Maraini(1912-2004),

padre fral’altro del-la celebrescrittriceD a c i aMaraini,nel corsodella sua lunga esi-

stenza, coltivò conrisultati più che sod-

disfacenti almeno cin-que attività diverse:

l’antropologia, gli studiorientali, l’alpinismo, la

letteratura e la foto-grafia.

Il tema di questarassegna, aper-

ta al pubblicotutto il me-

se di febbraio, sono gli “Ama”, un grup-po etnico di uomini e donne che vive-vano in piccoli villaggi sulle rive delmare, lungo tutta la costa centrale emeridionale del Giappone.Oggi assimilati dalla cultura giappone-se in generale, a quell’epoca conserva-vano alcuni tratti originali, che ne di-stinguevano la struttura sociale e le ma-nifestazioni della vita spirituale.La pesca di un mollusco chiamato“awabi” (in italiano orecchia di mare),costituiva la principale occupazione deimesi estivi e la fonte di reddito più im-portante della comunità. Questa pescaall’isola di Hèkura era un compitoesclusivamente femminile, praticato inapnea lungo i fondali prospicienti l’iso-la.Le bellissime foto di Maraini, grandeconoscitore e amatore del Giappone,che raggiunse con i suoi studi la catte-dra di Lingua e Letteratura giapponeseall’Università di Firenze, seguono le dif-ferenti fasi di questa attività, e ci dan-no anche l’occasione di ammirare i pae-saggi marini e la bellezza naturale deicorpi di queste giovani ragazze, sempresorridenti e pronte a lanciarsi nel ma-re in questa difficile impresa.Nel reportage fotografico, forse uno dei

“L’incanto delle Donne del Mare”nelle foto di Fosco Maraini

di Donatella Micault

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Al Museo delle Culture Extraeuropee di Lugano

“L’incanto delle Donne del Mare”nelle foto di Fosco Maraini

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28 Alpes Febbraio 2006

primi nell’ambito etnografico subac-queo, esse sono ritratte nel loro am-biente naturale, fra gli scogli, sott’acqua,coperte soltanto da un leggero perizo-ma. La visione solare del fascino, so-prattutto agli occhi occidentali, eroticodi queste donne, si coniuga con la nar-razione attraverso i fotogrammi di unaquotidianità dove un profondo rappor-to lega la cultura all’ambiente circo-stante. Un Giappone sconosciuto chel’obiettivo infallibile di Maraini riuscì aimmortalare nella sua piena vitalità,mentre già s’intravedeva il crepuscolodi un mondo che di lì a poco sarebbescomparso per sempre. La mostra è ac-compagnata da un catalogo bilingueitaliano e inglese, edito dal Museo, conla riproduzione di tutte le foto espostee quattro saggi critici.

“L’INCANTO DELLE DONNE DEL MARE.

LE AMA DI HEKURA” nell’opera di Fosco Maraini.

Museo delle Culture Extraeuropee,Via Cortivo 26,

Lugano - Castagnola.Fino a fine febbraio 2006.

Orari: 14-19, chiuso lunedì.Catalogo edizioni del Museo,

CHF 35.

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Nell’albero genealogico di TomasoBuzzi è evidente la sua originevaltellinese (Buzzi, Carini, Rota

sono cognomi delle nostre parti!).Nato a Sondrio, il padre Francesco eraun noto chirurgo, la madre Amelia Ca-rini era di una agiata famiglia valtelli-nese. Si laureò ingegnere-architetto nel’23 ed aprì una studio a Milano.Brillante intellettuale, visse tra Roma,Milano, Parigi e St. Moritz, fu corteg-giato dall’aristocrazia e dalla grande bor-ghesia nel periodo tra le due guerre.Al termine della seconda guerra mon-diale uscì dallo “stand by” volontarioche si era autoimposto per avversione alRegime, e mise in atto il suo ultimoprogetto, quello che lo avrebbe desi-gnato per l’immortalità.

Tomaso Buzzi fu con Gio Ponti il mag-gior esponente della scuola milanese.Insieme fondarono la storica rivista Do-mus, e insieme firmarono alcuni dei piùnoti progetti. Arrivarono persino a co-stituire una società per commercializ-zare le loro opere di design. A quel tem-po, l’architetto Buzzi raggiunse la famae fu riverito ovunque, Politecnico di

Milano incluso, dove fu in cattedra co-me ordinario di “Disegno dal Vero”.Nel dopoguerra fu Gio Ponti a cercareTomaso Buzzi, ma per “ragioni politi-che” la antica collaborazione non ri-prese.Nel frattempo Buzzi fu chiamato dallenobili famiglie romane, da intellettua-li di destra e di sinistra, dagli Agnelli edai Pirelli, da ecclesiastici e da politici.Interruppe polemicamente la collabo-razione con le riviste specializzate deicolleghi per il loro “accademismo”, col-laborò solo con Vogue e Harper’s Ba-zaar.Nel 1956 Tomaso Buzzi comprò un con-vento fondato da S. Francesco nel 1218e ridotto a rudere nei pressi di Orvieto:la Scarzuola.

TOMASO BUZZI,architetto valtellinese, tra sogno e realtà

Febbraio 2006 Alpes 29

di Pier Luigi Tremonti

L’ispirazione più alta di ogniarchitetto, taciuta o dichiara-ta che sia, è quella di poter co-struire una città: pochi vi riu-scirono in passato e pochissi-mi nella modernità.Ci riuscì Tomaso Buzzi(1900-1981), splendido ar-chitetto del ‘900 italiano, chenei primi anni ‘50 edificò inUmbria un capriccio che erastato il sogno della sua vita:una città ideale concepita co-me una fantastica macchinateatrale.

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30 Alpes Febbraio 2006

Il recupero del convento costituì il pri-mo atto del progetto di Buzzi, che subi-to dopo passò ai giardini, trasformandogli innocenti orti dei frati in un fanta-stico impianto verde ove, tra siepi dibosso, fiori rari, statue e pergolati, sirievoca il mito d’amore di Polifilo e del-la sua ninfa.Cominciò poi a lavorare freneticamen-te al progetto della sua città, la Buzzia-na, dando vita ad una delle più incre-dibili, inaspettate, straordinarie fantasiearchitettoniche.Passava in cantiere con gli artigiani delluogo gran parte del suo tempo, inter-pretando per loro i suoi schizzi realizza-ti a due mani (disegnava e correggevacon la destra e la sinistra contempora-neamente), dando vita a un percorsoin cui verde, acqua, fuoco, terra, vita emorte, divini e mortali si integrano.Una summa onirica e coinvolgente ditutto il suo sapere architettonico, maanche filosofico, storico e sapienziale.Ci lavorò fino al 1976. Nel frattempol’establishment culturale e accademicolo emarginò per le “sue stramberie”.A coloro che gli chiedevano ragione dicome un architetto e importante comelui potesse lasciarsi andare a certe cose,

Buzzi rispose: “Quando sono con voisono vestito, e in cravatta; quando so-no qui, alla Scarzuola, sono nudo, equesto non potete sopportarlo!”.Ultimato il recupero della “città sacra”,Buzzi passò ad edificare la sua “cittàprofana”, che chiamerà “Buzziana”.Questa sorge al termine del giardino, af-facciata su un vasto anfiteatro natura-le. Appare come una bizzarra cittadel-la in tufo che pare essere modellata conla sabbia, come i castelli che si fanno inriva al mare. Gli edifici sono collegatitra loro da zone teatrali vere e proprie.Concepita in base ad un personalissimoneo-Manierismo, la cittadella “Buzzia-na” presenta forme sconcertanti e com-plesse: vi abbondano scalinate e sca-lette, modi espressivi “alla rustica”, bas-sorilievi di mostri, statuine, figure fito-morfe senza alcun richiamo all’archi-tettura. Entrando nell’atrio porticato,difficilmente si prevede quello che sipresenterà ai nostri occhi. La dimora della Scarzuola, ricavata ne-gli spazi angusti del convento, con lesue stanze piccole e poco illuminate,per l’evidente contrasto tra l’architet-tura religiosa sobria e claustrale e quel-la propria della casa di un artista (con

La storia

Nelle vicinanze di Montegiove, inuna delle zone più intatte dell’Um-bria, esattamente a Montegabbione,in provincia di Terni, si trova l’an-tico convento della Scarzuola, fon-dato nel 1218 da San Francesco suuna collina. Il nome deriva dalla“scarza”, pianta palustre che Fran-cesco utilizzò per costruirsi una ca-panna. Si narra, infatti, che nel1218 vi dimorò San Francesco diAssisi costruendosi una capannafatta con la scarsa, (pianta palustre,da cui il nome Scarzuola). Il Santovi fondò un Convento piantando unalloro e una rosa creando una fon-te della quale la gente porta anco-ra molta devozione.Se in questo posto Francesco fecescaturire una fonte d’acqua da uncespuglio di lauro e rose, TomasoBuzzi ha fatto a suo modo un altromiracolo, ideando e realizzando,nell’arco di un ventennio, un mi-crocosmo a misura della sua imma-ginazione con l’intento vagamenteallucinatorio di dar vita a una cittàideale, la “Buzziana”, quasi unamacchina teatrale sempre aperta (cisono ben 7 teatri), ispirata all’idea-le umanistico della composizionearmonica di natura e cultura.Si intrecciano motivi naturali, con-cessi dalle meraviglie del giardinodel convento (che fa parte dei Gran-di Giardini Italiani), e creature ar-tificiali, quinte scenografiche, og-getti di scena, elementi alchemiciin successione coordinata, dove siperde il senso della realtà ma sol-tanto per ritrovarne uno maggiore,che è forse quello della vita intera.Nella piccola chiesa del convento ècustodito un affresco della primametà del XIII secolo, uno dei primiritratti del Santo in levitazione.

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i suoi oggetti preziosi, i quadri, i libri),rievoca oggi le atmosfere e le penombredella Prioria del Vittoriale di D’An-nunzio.La Scarzuola si configura come un as-semblaggio di forme e architetture svi-luppatesi per generazione spontanea,come una grande opera globale sempreaperta, mai finita, in cui elementi delpassato si sovrappongono a quelli delpresente e del futuro. Come stile domi-nante, il neomanierismo con il suo ti-pico abuso di scale e con le sue spro-porzioni volute che evocano percorsilabirintici, geometrici e persino fanta-siosamente astronomici. Nei giardinicircostanti si entra in una dimensionesurreale e fiabesca.Alla sua morte, avvenuta nell’81, To-maso Buzzi lasciò incompiuta la crea-tura ed espresse un desiderio: “Che lanatura ne prenda possesso, la divori ene faccia un insieme di belle rovine”.Fu sepolto nel cimitero di Sondrio nel-la tomba di famiglia da lui stesso crea-ta con lastre di marmo intarsiate a mo-tivi floreali, provenienti dalla ottocen-tesca pavimentazione del Duomo di Mi-lano

E’ inutile cercare informazioni suTo-maso Buzzi in rete: neanche una foto.Come mai?Cerchiamo di rispondere a questa do-manda ribaltandola all’architetto An-drea Ricci e sfogliando la sua tesi dilaurea: “Tomaso Buzzi 1900-1981”Il personaggio estremamente versatile siimpegnò in una immensità di opere chevanno dalle tovaglie, ai pizzi, ai mer-letti, fino ai pezzotti, e poi ancora cor-nici d’argento, orologi da tavolo, fino aigiardini, a ville di grande prestigio, adarredamenti di navi e allestimento ditriennali, che fanno da timido contor-no ad uno sbalorditivo elenco di com-mittenze.Fu sua e solo sua la scelta di una vo-lontaria estromissione dal mondo uffi-ciale della architettura; per sfuggiredall’ambiente della cultura della se-conda metà degli anni trenta si auto-confinò in un particolare mondo dora-to tutto suo.La scelta ha il senso di un vibrante at-to di accusa verso un asfissiante regimeculturale, di una opposizione morale al-

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Alpes Febbraio 2006

la angustia, all’affarismo, alla corruzio-ne e in definitiva alla mancanza di sti-le del fascismo.Con lucida esasperazione stabilì un di-stacco vietando ogni forma di cono-scenza del suo lavoro.Si autoattribuì un ruolo di “quasi clan-destino” nel mondo della architettura.Ovviamente, non visti e non divulga-ti, gli imponenti frutti della sua straor-dinaria capacità lavorativa sono rima-sti quasi interamente ignorati all’infuo-ri di una ristretta cerchia privata.

Valgono a comprendere il personaggioalcuni aspetti curiosi della sua vita.Nella sua casa romana, in LungotevereRipa 6, assoggettata a continue ed os-sessive modifiche, stupiva la assolutamancanza della cucina! In un turbine diviaggi ed inviti non ne sentiva la ne-cessità!Nei brevi periodi di quiete che si con-cedeva alla Scarzuola, era supportatoda venti servitori, ma non aveva maivoluto sentir parlare di impianto elet-trico, di riscaldamento e di telefono!

La Buzziana non scomparve e oggi,quasi interamente compiuta, si pre-senta all’uomo del Terzo Millennio co-me un labirinto dello spirito, unaconcezione che forza le regole dellanostra dimensione per imporne un’al-tra. Ma quale?A questa domanda non sa rispondereneppure Marco Solari, erede di To-maso, che da oltre vent’anni abita laScarzuola e ne segue i lavori di com-pletamento rifacendosi ai progettidello zio. “La ragione d’essere dellaBuzziana e della Scarzuola, che sonopoi due parti dello stesso organismo,si comprende soltanto compiendo in-tero il cammino che qui è tutto se-gnato. Io, da quando ci vivo, sonomolto cambiato, ma devo ancora pro-cedere e soltanto quando sarò arri-vato in fondo riuscirò, forse, a direqualcosa di più”.Info: La Scarzuola - 05010 Monte-gabbione (TR). tel. e fax.0763/837463Al “fenomeno Scarzuola” si stannodedicando da tempo studiosi e scrit-tori e giovani studenti con le loro te-si di laurea, ciascuno con una sua in-terpretazione possibile. Una chiavedi lettura è sicuramente quelladell’elevazione dell’Uomo, che ne fa-rebbe la continuazione e rivisitazio-ne in chiave moderna del tema fran-cescano per eccellenza. Un compro-messo, insomma, tra il sacro (la cittàsacra, il convento) e il profano so-vraccarico di riferimenti e citazioni.

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Claudio Introiniè un noto edapprezzato eno-

logo, anima della nobi-le azienda vitivinicolavaltellinese Conti Ser-toli Salis di Tirano.Sotto la sua abile edesperta regia sono pro-dotti alcuni tra i mi-gliori vini italiani cheinvecchiano poi nellebelle cantine di palazzoSalis, ricche di storiadove già nel 1600 lanobile famiglia Salisvon Zizers producevavini distribuiti al ve-scovato di Coira ed al-la corte dell’Imperato-re Leopoldo I°d’Asburgo. La ContiSertoli Salis, con le sue circa 300.000etichette annue rappresenta in Valtel-lina la quarta realtà produttiva del set-tore con circa il 12%. A livello quali-tativo, poi, si posiziona ai primi posticon più del 20% dei vini di fascia altaDOCG e DOC. Essa produce, infatti,alcuni fra i migliori vini di Valtellina:“Canua” Sforzato di Valtellina,D.O.C.G. - “Corte della Meridiana” e“Capo di Terra”, Valtellina SuperioreD.O.C.G. - “Il Saloncello” rosso e “Tor-re della Sirena” bianco I.G.T. Sonotutti vini di grande lignaggio e sono unriconosciuto riferimento qualitativo peril territorio.Claudio Introini, da alcuni mesi, è an-che il nuovo presidente della Fonda-zione Fojanini di Sondrio, unica e qua-lificata realtà scientifica del panora-ma agricolo della montagna lombarda.Il nuovo presidente ha le idee moltochiare su come affrontare e svolgerequesto delicato ed impegnativo compi-to a cui è stato chiamato. La Fondazio-

ne sotto la sua guidafocalizzerà la sua mis-sion in un’ottica dimaggior integrazionee valorizzazione so-cio-territoriale dellarealtà produttiva agri-cola montana. Pun-terà cioè a fornire l’assistenza e gli in-dirizzi per creare un sistema unico dipresentazione del prodotto tipico dellamontagna lombarda in cui le varie com-ponenti di qualità dell’enogastronomia,dell’offerta turistico-ricettiva, dellecomponenti ludiche e sportive si pos-sano integrare sapientemente e qualifi-chino al meglio l’offerta complessivadel territorio montano.“Il nostro territorio si deve venderecon l’immagine e dovremmo puntare arealizzare un sistema unico ed inte-grato di presentazione. La parte eno-gastronomica dovrebbe affiancare esupportare la parte turistico-ricettiva,la parte culturale dovrebbe qualifica-

re l’offerta del territo-rio, la termale-saluti-sta completare e quali-ficare quella ludica esportiva. Puntare conforte determinazionesull’utilizzo e la valo-rizzazione delle produ-zioni agricole di filierae dei suoi derivati.Tutto come un grandepuzzle da comporre sa-pientemente e con in-telligenza per crearesinergie ed un poten-ziale cross selling, fi-nalizzato non solo a fi-delizzare il cliente equindi a spalmare su

un arco temporalepiù ampio la pre-senza turistica nel-le nostre valli, maanche a qualificare,in generale, l’offer-ta. Ciò garantirà lacreazione di più so-lide premesse pergarantire il redditodi chi ha scelto di

operare sulle montagne lombarde pun-tando su un’economia agricola rispet-tosa dell’ambiente, tesa a privilegiarela salvaguardia, la valorizzazione delterritorio e la creazione di nuovo valoreaggiunto”.Parole forti ed impegnative, ma pro-nunciate da un serio professionista cheopera fattivamente e proficuamente damolti anni in Valtellina, animato dauna grande passione, in uno dei com-parti più delicati ed importanti, il set-tore vitivinicolo. Importante non soloperché economicamente significativo,ma perché è il più cruciale per l’equili-brata e delicata salvaguardia del terri-torio nel rispetto di una tradizione mil-

Intervista al nuovo presidentedella Fondazione Fojanini: Claudio Introini

Testi e foto di Angelo Granati

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“Lavoreremo per essere il volano

dello sviluppo agricolo di terza generazione

della montagna lombarda”.

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lenaria che è compito della nostra ge-nerazione mantenere, anzi valorizzare. Ilterritorio montano lombardo, in parti-colare quello della Valtellina e dellaValchiavenna, rischia oggi, nell’era del-la globalizzazione, l’abbandono di atti-vità tradizionali tra cui in primis quel-le legate all’agricoltura. I giovani, at-tratti dalle sirene di uno sviluppo trop-po sbilanciato sulle attività economichedel terziario, tipiche dell’era moderna,ormai, purtroppo, trascurano le attivitàagricole tradizionali considerate non re-munerative, faticose e poco qualifican-ti. La figura dell’imprenditore agricoloper i giovani non ha lo stesso appeal dialtre figure, magari socialmente menosignificative, ma più in sintonia con lemode e i trend dell’economia del terzomillennio che privilegia più la formadella sostanza, più le apparenze dell’es-senza, più gli aspetti individualistici especulativi piuttosto di quelli associati-vi e di salvaguardia e di rispetto dell’am-biente e del territorio in cui viviamo. Diqui la necessità vitale di fare un saltoqualitativo anche nel comparto agrico-lo, nel pieno rispetto dei valori e delletradizioni delle nostre valli. In regione,nelle aree montane, chi meglio dellaFondazione Fojanini può promuoverequesto delicato passaggio generaziona-le? Claudio Introini ha in mente nuo-ve e innovative realtà agricole di terzagenerazione che sposino ad una più so-lida base culturale la volontà di impa-

rare ad utilizzare tutte le nuove tecno-logie utili e scientificamente testate chela scienza moderna può mettere a di-sposizione. Una nuova imprenditoriaagricola che, facendo tesoro dell’inse-gnamento e dell’esperienza dei “veci”,vuole continuare sulla strada delle pro-duzioni tipiche di qualità ma con un’or-ganizzazione più scientifica e con unamaggiore attenzione agli aspettidell’economicità e sostenibilità dellagestione produttiva. Le attività agrico-le per contrastare più efficacementel’appiattimento e l’abbruttimento ter-ritoriale e culturale che l’abbandonodelle attività tradizionali ormai com-porta, devono puntare alla salvaguardiaed alla valorizzazione dell’ambiente na-turale attraverso un’attenzione costan-te e rispettosa alle caratteristiche origi-narie del territorio, non solo per finiproduttivi, ma anche per conservare etramandare intatte e vive la propria sto-ria, la cultura e le preziose tradizioni. Laterza generazione agricola a cui il pre-sidente della Fondazione Fojanini pen-sa è una generazione di imprenditoriagricoli appassionati, intelligenti e pre-parati, fieri della loro attività e pronti alserrato confronto, anche fuori dai pro-pri confini, con realtà produttive chenon possono vantare la cultura e la sto-ria delle nostre terre. Imprenditori par-ticolarmente attenti alla componentequalitativa della produzione, alla origi-nale tipicità dei prodotti ed alla loro

valorizzazione in un contesto di svilup-po a rete che si avvalga con intelligen-za delle più moderne tecnologie per latracciabilità e per comunicare efficace-mente l’unicità e la qualità della pro-duzione, con l’obiettivo di raggiungere,infine, una più efficace commercializ-zazione che consenta la necessaria, ade-guata, remunerazione. Un puzzle in cuiogni pezzo è indispensabile per realiz-zare un bel mosaico finale ed ogni sin-golo componente si incastra perfetta-mente agli altri fino a formare un’of-ferta territoriale strutturata estrema-mente accattivante e vincente dove,ad esempio, anche con soli due ettari divigneto, un bravo vigneron, assistitodalla Fondazione, può realizzare unaproduzione di nicchia e raggiungere inbreve tempo l’equilibrio economico.Nei piani della Fondazione le culturestoriche devono essere mantenute e va-lorizzate senza però disdegnare nuovequalificanti coltivazioni, ad esempioquella dei piccoli frutti, che possonogarantire all’agricoltore di montagnanuovi insperati e significativi redditi(cfr. articolo ALPES dell’ottobre 2005).L’obiettivo di Claudio Introini è mi-gliorare, avvalendosi delle migliori tec-niche disponibili, la redditività e l’eco-nomia delle produzioni agricole dellamontagna lombarda, nella salvaguar-dia della tipicità e nel pieno rispettodell’ambiente che deve essere sì pro-tetto, ma deve essere anche vissuto conpiù intensità, attraverso il potenzia-mento delle coltivazioni caratteristichee di quelle innovative che coniughinoal meglio la costante ricerca della qua-lità di filiera in un contesto di maggio-re economicità di gestione. In sintesiproduzioni tipiche tradizionali, ma an-che nuove, di qualità e di nicchia, tut-te sufficientemente remunerative. Vi ènella Fondazione la coscienza chel’anello debole della catena è tutt’oranella fase di commercializzazione da ra-zionalizzare finalmente attraverso or-ganizzazioni commerciali che consen-tano di superare pregiudizi e paure perarrivare ad una presentazione globaledel territorio che si integri nel contestoturistico-ricettivo che ormai è un pila-stro dell’economia montana lombarda.Bisogna puntare su una maggiore con-sapevolezza negli operatori turistici del-le potenzialità e della qualità del pro-dotto tipico locale come aspetto quali-

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ficante e caratteristico dell’offerta turi-stica. Troppo spesso l’operatore non of-fre ai suoi ospiti i prodotti della filierae ancor più spesso non considera suffi-cientemente l’intera gamma dei pro-dotti potenzialmente proponibili. E’ ne-cessario migliorare e sensibilizzare i nu-merosi ristoratori ed albergatori dellamontagna lombarda sulla necessità divendere il territorio comunicando nonsolo gli aspetti tradizionali come labontà, la genuinità ed il gusto, ma an-che altri aspetti qualificanti quali unprodotto naturale, sano, controllato,creato in ambienti igienicamente ap-propriati, nel rispetto delle severe nor-me igieniche italiane.E’ necessario che i ristoratori e gli al-bergatori diventino i promotori piùconvinti dei prodotti tipici del territo-rio in cui vivono ed operano. Il miglioresempio a cui ispirarsi è dato dall’Asso-ciazione “Slow Cooking”, di cui parle-remo in un prossimo articolo. Questomovimento di illuminati ristoratori val-tellinesi, Luca Grigis del Sale e Pepedi Sondrio, Maurizio Vaninettidell’Osteria del Crotto di Morbegno,Ezio Gilardi dell’Uomo Selvatico di

Chiavenna e Stefano Masanti del Can-tinone di Medesimo, saggi custodi del-le migliori tradizioni enogastronomichevaltellinesi e valchiavennasche, sonoil simbolo di una nuova filosofia dellatavola, più consapevole dei preziosi va-lori del proprio territorio e di chi vi la-vora con sacrificio e passione nel ri-spetto e nella salvaguardia dell’am-biente naturale. Per questo la Fonda-zione, guidata da Claudio Introini, ispi-randosi alla filosofia dell’accademia del-lo “Slow Cooking”, intende diffonderesu tutto il territorio una più intensa cul-tura dei prodotti tipici potenziando laformazione culturale istituzionale deiristoratori e degli albergatori per unamiglior conoscenza dei prodotti dellevalli e dei particolari che ne rendonounica, caratteristica e pregiata la pro-duzione. L’attenzione pragmatica delpresidente è anche in una comunica-zione più efficace che associ univoca-mente e seriamente tutti i prodotti agri-coli al territorio di origine e che con-senta di ottenere l’auspicata certifica-zione di filiera dove tutto il processo ri-sulti documentato attraverso le proce-dure scritte da ciascun operatore e

scientificamente avallate da scrupolosicontrolli di laboratorio eseguiti dallaFondazione.Perché tutto questo avvenga occorreperò che la Regione Lombardia consi-deri con più attenzione le istanze che ar-rivano numerose dalle valli alpine. Inparticolare la Regione deve finalmenteassegnare alla Fondazione Fojanini ilruolo di centro di ricerca istituzionaleper l’agricoltura di montagna. La Re-gione deve garantire un riferimento sta-bile e non estemporaneo e finanziare laFondazione non più su singoli progetti,magari slegati tra loro, ma in base aduna convenzione che preveda obiettivipiù specifici e più strutturati di salva-guardia dell’ambiente.Il nostro augurio è che con l’era In-troini la Fondazione Fojanini veda fi-nalmente riconosciuto il ruolo primarioche ha svolto in questi anni e che con-tinua a svolgere tra mille difficoltà nelcontesto alpino lombardo e che possatesaurizzare e sviluppare quello che inquesti anni ha sapientemente e corag-giosamente costruito, in virtù dell’im-pegno, dell’opera appassionata e spessomalconsiderata di chi vi ha lavorato evi lavora e si veda finalmente assegna-re dalla Regione quelle preziose risorseche le consentano di svolgere al me-glio e senza indecorosi affanni la suaimportante mission sul territorio.

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Dopo più di mezzo millennio è tor-nata sul Montello la coltivazionedell’ulivo: una pianta che ha bi-

sogno di sole, di luce e di un clima ab-bastanza mite. Quanto a sole e a luce, pe-raltro, ci sono spazi su questa antichissi-ma “gobba allungata”, alta 370 metri,

spazi nei quali questo tipo di alberi puòtrovare un terreno adatto.Le cronache, la storia, ci dicono che neiprimi anni del 1400 qui l’ulivo cresceva.Lo studioso Pietro Zanatta, che ha dedi-cato ampie ricerche alle vicende di que-sto “colle”, consultando la “Storia della

Certosa delMontello” delpriore AntonioDe Macis (1406-1419), si è im-battuto in unpasso nel quale èdato leggere (tra-dotto, natural-mente, dal lati-no): “In queltempo la signoraGiuliana, figlia

del fu ser Rico di Giavera già citato, fe-ce donazione al monastero di una rivaposta nel paese di Giavera coltivata apiante, viti e prati con alcuni clivi, trat-tenuto tuttavia per sé l’usufrutto pertutta la sua vita ….” (le realtà mona-stiche dell’epoca in zona parlano di Cer-tosini e di Benedettini).Nella medesima cronaca, si legge: “….infatti ho appreso da racconto veritie-ro (fattomi) a scopo di edificazione spi-rituale che, al tempo della carestia (icertosini) usavano pane di saggina e,mancando l’olio, e non avendo da com-prarne, contenti solevano condire il (lo-ro) pasto con uno spruzzo di aceto e sa-le …”.Recenti ricerche compiute a livello uni-versitario avrebbero appurato la presen-za di ulivi, anche per iniziativa di priva-

Dopo più di mezzo millennioè tornata sul Montello la coltivazione dell’ulivo

di Giovanni Lugaresi

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ti che ne avrebbero fatto commercio, nelmedesimo periodo citato dalla “Crona-ca”, con Venezia, al cui dominio il Mon-tello apparteneva. Ma nella storia di que-sto “colle” (vi appartengono territori deicomuni di Nervesa della Battaglia, Gia-vera, Volpago, Montebelluna, Crocetta)di ieri, di ieri l’altro, e che ancora conti-nua, le presenze tipiche, dal punto di vi-sta vegetale, per così dire, parlano so-prattutto di bosco, poi di coltura, dellavite, di prati, mais, ciliegi, patate, tabac-co, e quindi querce, roveri, carpini, fag-gi, pioppi, salici, castagni, betulle, quer-ce farnie, robinie (robinia pseudoacacia).L’occhiuto interesse della Serenissimaebbe una particolare attenzione per ilbosco Montello, tanto che attorno alquindicesimo secolo, constatandone lapotenzialità per quel che riguarda il le-gname, si decise di utilizzare i roveri perle chiglie delle navi, così come, per quelche riguarda i remi, ci si serviva del Bo-sco del Consiglio.Le vicissitudini del bosco, attraverso isecoli, furono tante e tormentate, so-prattutto in coincidenza di guerre e in-vasioni: si pensi a quella napoleonica.Se infatti il dominio della Serenissimaaveva provocato sfruttamento sì, ma conseri piani di forestazione, i francesi ta-gliarono gli alberi e non si preoccuparo-no d’altro. Un riordino fu tentatodall’Austria, e quindi nel 1848 un ten-tativo di riappropriazione fu messo in at-to dai “bisnenti” (cosiddetti: due volteniente), cioè le vecchie famiglie abitan-ti il Montello, espropriate di tutto e ri-dotte ad una condizione di miseria, alpunto che oltre alla denominazione di“bisnenti”, ce n’è un’altra: “pisnenti”(che non hanno più niente).Con l’avvento del Regno d’Italia si co-minciò a vendere parti del colle con astepubbliche, sempre mantenendosi mise-rabile la condizione dei “bisnenti”, aiquali non restava che il furto del legna-me, fenomeno diffusosi a macchia d’olio,per così dire, se nel 1873, una statistica,dava le denunce per furto avvenute sulMontello, di 54 volte superiori a quelleregistrate in tutto il restante territoriodel Regno! Finchè si arrivò al 1892,quando il governo divise il colle in dueparti: una data ai “bisnenti”, l’altra, sud-divisa in poderi, venduta a gente dei pae-si limitrofi e perfino dell’Altopiano diAsiago. Per cui un terreno a vocazioneforestale venne in parte trasformato aduso agricolo. E per tutto il novecento,questa “gobba” che si erge tra la pianuratrevigiana da una parte, e le Prealpidall’altra, ha visto fiorire diverse attività:

viticoltura (Prosecco, Merlot, Cabernet,Verduzzo) apicoltura, raccolta dei fun-ghi (i famosi Chiodini del Montello).Ed eccoci al ritorno dell’ulivo, data dapochi anni, nel 1996, Romeo Viezzer, diCusignana, ai piedi del Colle, si mise intesta di coltivare questa pianta: una pas-sione estetica e gastronomica insieme -vuoi mettere, farti l’olio e usarlo nellatua cucina? Così, quella che dapprimaera apparsa a tanti una “stravaganza”, èdiventata invece una realtà nella qualehanno creduto in tanti. E’ stata costitui-ta ed è più che mai attiva infatti la Coo-perativa Tapa Olearia, che annovera530 soci, non soltanto del Montello, madi una fascia di territorio compresa fraVittorio Veneto e Maser. Sono 285 gli et-tari di terreno coltivati a ulivo e sessan-tamila le piante coltivate. Le zone mon-tellane dove maggiore è la presenza diquesta pianta sono: Volpago, Santi An-geli, Giavera, Bavaria, Nervesa della Bat-taglia. I produttori costituitisi in coope-rativa aderiscono poi al Consorzio Aprol,del quale è presidente Franco Vettoret-ti, con sede a Maser.I coltivatori del Montello sono una ses-santina con circa seimila piante su oltredieci ettari di terreno. L’iniziativa è sta-ta appoggiata subito dalla Amministra-zione Provinciale trevigiana e quindi dal-la Regione, soprattutto in considerazio-ne della costruzione di due frantoi: unoa Cavaso del Tomba, l’altro a VittorioVeneto.L’olio prodotto e commercializzato nellastagione 2004 è stato di circa 200 quin-tali (bottiglie da mezzo e da litro, lattineda 5 litri) con il marchio DOP venetodel Grappa.Il prodotto, che fa mostra di sé in fiere emanifestazioni di settore, è descritto diun gusto fruttato straordinario, ideale percondire insalate per minestre.L’impegno attuale della Cooperativa equindi del Consorzio è quello di amplia-re la diffusione dell’olio ben oltre i con-

fini della Marca e del Veneto. Certo, i so-ci sono consapevoli che la produzionenon è quantitativamente elevata, ma sipunta sulla qualità, che, per un “prodot-to di nicchia” è fondamentale e impor-tantissima.Sul Montello esistono (va aggiunto) an-che produttori “privati” che non fannoparte della cooperativa né del Consorzio,ma anch’essi sono impegnati in un’azionetendente a conferire al colle trevignanoun ulteriore motivo di notorietà. Se gli uli-vi messi a dimora nel 1996 da RomeoViezzer nei suoi campi sono aumentati al-le attuali 220 piante, la tendenza è desti-nata ad allargarsi secondo previsionitutt’altro che infondate. Questo è l’impe-gno dei produttori per il primo decenniodi questo nuovo millennio.

Dal punto di vista storico, il Montelloappartiene a quella serie di “luoghidella Patria”, come sono stati defini-ti, per via delle memorie che lo lega-no alle vicende belliche della GrandeGuerra. Qui, infatti, cadde col suo ap-parecchio, l’eroe romagnolo FrancescoBaracca, evento ricordato da un mo-numento che sorge in mezzo al verdein quel di Nervesa della Battaglia, do-ve pure esiste un monumento ossarionel quale hanno trovato sepoltura cen-tinaia e centinaia caduti.Il Montello ha rappresentato, insie-me al Piave e al Montegrappa, uno deipunti cruciali che portarono al conte-nimento degli attacchi austriaci equindi alla premessa per la vittoria fi-nale.La battaglia del Solstizio (15-23 giu-gno 1918) ebbe come quadro, ap-punto questa “gobba allungata” com-presa fra la pianura veneta e le Preal-pi. I combattimenti aspri, e sangui-nosi, sono legati a nomi di localitàtuttora esistenti: Giavera, Santi An-geli, Bavaria, Nervesa, Santa Mama.

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‘‘Il potere è l’altra faccia della vi-ta”.Questa massima della biologia so-

ciale ha un duplice valore: attivo e passi-vo. Attivo è il potere di cui disponiamo(per rispondere alle nostre esigenze natu-rali), passivo è il potere cui sottostiamo, dacui dipendiamo e da cui, possibilmente, cisentiamo rassicurati. Il che significa cheanche il potere passivo ci serve per ri-spondere alle dette esigenze. Il neonatocresce acquistando potere (di compren-dere, di muoversi, di comunicare, di di-stinguere, valutare e scegliere e, alfine, difarsi delle idee” e di autoidentificarsi , in-

tanto, attraverso parti del proprio corpo).Egli dipende, nello stesso tempo, dalla nu-trice e da quanti si occupano di lui, quin-di anche da chi rappresenta la figura ma-schile-paterna, a cui via via si aggiungeràil potere degli insegnanti, dei catechisti,infine dei rappresentanti dell’ordine so-ciale.In qualsiasi organismo - biologico o tec-nologico - ogni parte ha ed “è” un pote-re che agisce e interagisce in quanto par-te di quell’organismo. C’è stretta analo-gia fra società ed organismo biologico.Altra massima biosociale è che “la so-cietà è un organismo vivente sui generis”.

La libertà è il potere e “il potere è un rap-porto organico fra due o più forze o sog-getti, sia pure inerti”.Il primo contesto bio-organico dell’infan-te è il “nucleo affettivo” che, nella nostraciviltà da secoli si chiama “famiglia”. L’eti-mo di questa parola ci suggerisce piutto-sto un “nucleo servile” - da famulus: ser-vo - ma, come sempre vale il valore ac-quisito. Noi vogliamo riferirci solo al rap-porto primordiale (sodalizio) che il neo-nato ha con la madre o nutrice e con ilcontesto immediato che tale rapportocomprende, possibilmente anche la figu-ra maschile rappresentata non sempre dal

Dissoluzione del “nucleo affettivo”: dissocialità e crimine

di Carmelo R. Viola*

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padre naturale. Il neonato chiede alla nu-trice latte e affetto, cioè cibo e rassicu-ranza affettiva. Quest’ultima la chiede an-che all’intero contesto vitale che lo con-tiene come una specie di nido. Il latte (ocibo) risponde al bisogno di nutrizione in-dispensabile all’esistenza del soggetto co-me organismo vivente. L’affetto rispondeal bisogno di sicurezza – del sentirsi pro-tetti contro l’ambiente, i cui confini sonosempre più lontani, e contro l’ignoto.L’affetto rassicurante è la percezione delpotere passivo nel rapporto minori-adulti,nutori e tutori, che non sono sempre e ne-cessariamente i genitori e i parenti. L’af-fettività non fa questione di sangue. Essi,in ogni caso, esercitano unpotere rassicurante. Nel rap-porto minori-adulti si confi-gura il modulo biologico deldominio-soggezione, ovverodi chi domina – senza neces-sariamente essere dispotico –e di chi soggiace, senza ne-cessariamente soffrirne. Chiricorda i primi anni della pro-pria vita sa quanto fosse “dol-ce e quindi rassicurante” ilsottostare al volere della ma-dre, di una figura maschile,che chiamava papà, e di figu-re complementari che gli vo-levano bene - se ha avuto lafortuna di non nascere in uncontesto violento.Tra società ed organismo bio-logico c’è stretta analogia (equindi tra medicina e biolo-gia sociale): la funzionalità èfisiologica quando nel rap-porto attivo-passivo del pote-re non c’è prevaricazione; èpatologica nel caso contrario. E’ la malat-tia interiore: la depressione, la disintegra-zione dell’io, la perdita dell’identità, tal-volta perfino la pazzia. Ovviamente altrecause, come le malattie organiche, posso-no portare alle stesse conseguenze cata-strofiche. Nell’evoluzione sociale (gesta-zione storica) della specie i soggetti uma-ni non ancora geneticamente adulti (gliantropozoi, insomma), per effetto del lo-ro stesso bisogno di rassicuranza affettiva,hanno prevaricato i limiti del loro potereattivo (voglio dire che ne hanno abusato):in altre parole, i genitori o nutori-tutori,hanno abusato dei figli, l’operatore eco-nomico dei suoi “dipendenti”. Il poterepolitico dei sudditi; i ricchi-potenti deiloro mezzi di pressione e di ricatto, realiz-zando una predonomia violenta, insomma,tipica di padroni-despoti, che danno ai la-voratori quel tanto per non morire, pre-

dandoli il più possibile comportandosi dapadroni del potere pubblico (politico) cheimpongono ai “sudditi” delle condizionischiavistiche e che ingabbiano la colletti-vità per meglio potersene servire. Donde,appunto la predo-nomia: artescienza del-la predazione di diretta origine animale.Lo stesso bisogno di rassicuranza diventacausa di male sociale dato che i soggettipiù forti cercano di rassicurarsi anche at-traverso il possesso di beni senza limite eun potere autocratico sui sottomessi, su-balterni, e sui deboli in genere. E’ così na-to il potere organizzato, inizialmente as-soluto ed arbitrario. Donde le guerre etutte quelle violenze di cui ci parla la

storia. Il sadismo (della tortura, peresempio) viene percepito come “voluttàdel potere” quasi “divino” perché eser-citato “dentro” lo stesso organismo dellavita altrui. Il vandalismo è l’odio di-struttivo di ciò che non ci rassicura (ov-vero che non ci ama) e che non si puòamare.Tutto questo spiega perché da sempre ilpotere è causa di scontento e oggetto dicontestazione fino al pensiero degli anar-chici “storici”, che in tutta sincerità han-no finito per credere di avere individuatonel potere stesso la causa massima dei ma-li sociali, eliminando la quale, a tutti i li-velli, si lascerebbe spazio ad una libertàpiena ovvero ad una società armonica efraterna. Ho sotto gli occhi l’articolo at-tuale di un giornalista-scrittore anarchicodi grande cultura, intitolato “Il potere faschifo” con riferimento ad un vero e pro-

prio dogma dell’ideologia anarchica tra-dizionale e alla penosa ignoranza che ilpotere è soltanto uno strumento vitale in-dispensabile e che lo schifo va riferito so-lo agli uomini che di quello strumento siservono in maniera criminosa in un con-testo para-animale che è il capitalismo.Per contro, la storia dell’anarchismo e lavita dei singoli anarchici sono ricche diesercizio di potere naturale (“negato” eper questo talora più insidioso), che negacategoricamente quel dogma. Senza pote-re, autorità, gerarchia militare e disci-plina gli anarchici non avrebbero potutofare la Rivoluzione spagnola del 1936.Dal concetto di potere a quello di autorità

il passo è brevissimo: l’auto-rità è l’abito del potere e de-riva dalla parola “autore”.L’autorità è la prerogativa na-turale di ogni “autore” inquanto tale. L’autore è coluiche può e autorità è il pote-re del soggetto. Ognuno dinoi ha la propria autorità: na-turale se si riferisce ai valoriintrinseci del soggetto; buro-cratica o giuridica se si riferi-sce al posto che occupanell’organizzazione del pote-re pubblico.La condanna del potere edell’autorità trova il suocomplemento nella condan-na dello Stato. Perciò, glianarchici politicamente-pro-priamente detti si battonoper una “società senza Sta-to”. Se questa locuzione si-gnifica - come certamente si-gnifica ( lo scrivente contauna militanza anarchica gio-

vanile di oltre venti anni, un’organizza-zione sociale senza potere e senza auto-rità, ci troviamo di fronte ad un’afferma-zione biologicamente assurda e quindi pri-va di senso realistico. Non vorrei che que-ste considerazioni venissero interpretatedagli anarchici come una condanna glo-bale della loro contestazione; al contrario,quasi tutte le critiche anarchiche sono ve-rità sacrosante che fanno parte del baga-glio della mia formazione mentale. E’ lapretesa soluzione paradossalmente sba-gliata che si nega da sé come incompati-bile con la logica della vita, se così si puòdire, che è organicità, complementarità einterattività organica, rapporti di potereattivo-passivo, rapporti di dominio-sog-gezione, rassicuranza reciproca e così via.Ho ripreso questo tema perché proprio og-gi si ha bisogno di credere in un possibilepotere costruttivo, mentre il predicare

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contro il potere come male per sé stesso dàman forte a coloro che stanno portando laspecie umana al marasma della pre-estin-zione.E’ vero che pochi sono coloro che si pro-fessano anarchici ma è altrettanto vero -e qui denuncio una verità, che sfugge aipiù - che la logica corrente dei politici eancor più degli industriali (ed è ben com-prensibile) è imbevuta del pregiudizio“meno Stato uguale a più libertà”. La mag-gior parte della gente, oggi, imbevuta diodio pregiudiziale e viscerale contro tuttele dittature e i governi forti senza distin-zione di contenuti, ragiona in termini diriduzione del potere e quindi dello stessoStato come condizione di maggiore giu-stiziaIl neoliberismo altro non è che la sud-detta predonomia (il capitalismo nella suametamorfosi storica) sempre più sottrattaalla disciplina del potere pubblico, ridot-to ad una specie di “agenzia di arbitrato”dell’universale agonismo per il pane quo-tidiano e per la ricchezza senza limite, det-to - molto ridicolmente - “società libera-le” (sic). Infatti, il risultato è un cre-scendo di ladrocinio, coperto dalla lega-lità, una crescente illegalità-paralegalità(detta, talvolta, impropriamente “mafia” eche sono modi diversi di fare capitalismo),una crescente divaricazione fra ricchi epoveri, una crescente precarietà, unacrescente insicurezza del domani, un cre-scente disagio sociale, una pensione sem-pre più ridotta in una vecchiaia semprepiù angusta, una crescente criminalità diautodifesa, di odio e di emulazione nei ri-guardi di chi sta bene – dell’altro in ge-nere - , un crescendo di “ottuntori so-ciali” per oppiare la gente, confondernele idee e distoglierla dai veri problemi perlasciare libero campo ai veri padroni delmondo. Sono questi che, sul piano inter-nazionale, conducono una lotta senzaquartiere per la conquista dei mercati edove “il più forte dei più forti” (la super-potenza Usa) si appropria direttamentedelle risorse senza fare complimenti con learmi ed ogni sorta di menzogna e di vio-lenza. L’Iraq resta l’esempio più emblema-tico di un imperialismo autocratico soste-nuto da un potere che fa capo a sé stesso,avulso dal contesto organico del consorziomondiale e che alcuni, offendendo glianarchici, definiscono appunto “anarchi-co” nel senso spregiativo del termine. Ioamo parlare di “fuori legge”.La domanda che ci insegue è sempre lastessa: perché l’uomo delinque? Si può ri-spondere solo se si sa che cos’è il crimine.La biologia sociale risponde che crimine èqualunque atto di violenza, diretta o indi-

retta, a danno dei diritti naturali (o esi-genze biologiche) di chicchessia”. La pri-ma esigenza è certamente quella di “esi-stere”, di essere al mondo, ovvero di sod-disfare la fame. La seconda è quella di“sentirsi sicuri”. Se il concetto di “man-giare come prima condizione per esserci”è di facile comprensione, il concetto delsentirsi sicuri è meno intuitivo: se l’uomoche ha fame è tentato di togliere il panedi bocca al suo vicino, l’uomo insicuro lopuò seviziare e uccidere senza una ragioneoggettiva. Il soggetto insicuro (timoroso)è quello che manca della “rassicuranza af-fettiva”. E’ pericoloso. L’uomo ha semprecommesso violenza per fame ma quantopuò fare per trovare una “compensazio-ne affettiva” è inimmaginabile. Infatti,se la fame la si può soddisfare ingerendodel cibo, la carenza di rassicuranza affetti-va è il sentirsi estraneo nel contesto orga-nico, che va dal “nucleo nativo” alla so-cietà. Si è sempre inseriti in contesto maoccorre sentirsene protetti e rassicurarti:solo allora si ha la sensazione di essere laparte di un tutto e di essere sé stesso.Quando le esigenze naturali sono repres-se l’inserimento sa di prigione e al senti-mento di appartenenza succede quello diostilità. Vedi il “sentirsi straniero in pa-tria!”. Quando ciò avviene il bruto ovve-ro l’animale, che c’è in noi, si ammalad’infelicità: può insorgere o identificarsi inuno che lo domina e che delinque “ancheper lui”. “L’uomo - dice ancora la biologiasociale - è quello che diventa (buono ocattivo, mansueto o ribelle e così via) manel senso che cambia le modalità di ri-sposta alle sue pulsioni naturali a secondadelle circostanze e del proprio potere”. Lepulsioni naturali (abbiamo accennato, percomodità, solo alle prime due) sono cate-goriche, costanti e universali. Un esempioper tutti: non avremmo mai certamenteun soggetto “che non ha fame” ma pos-siamo avere innumeri tipologie antropo-logiche di soggetti che rispondono a quelsintomo secondo modalità le più diverse.La storia della specie umana è un ininter-rotto scorrere di violenza e insieme di ri-cerca di pace. La violenza di oggi va ri-cercata anche nel tramonto della figurapaterna, dominante e rassicurante insie-me, ovvero nella dissoluzione del nucleoaffettivo, detto impropriamente famiglia.Da sempre dietro ogni atto di violenza c’èuna dissoluzione organica e psicodina-mica. Lo stesso animale (superiore), sa-zio e sicuro, non è aggressivo: lo diventaal momento della fame, della difesa delsuo habitat, del suo nucleo (partner e fi-gli non ancora autonomi) e del… potereall’interno del gruppo, e della paura.

Più sopra mi sono soffermato sul pregiu-dizio dell’anarchismo ideologico: potereuguale a violenza, proprio perché la gio-ventù di oggi, (spesso “orfana” - nel sen-so di priva di padre - e padre di sé stes-sa) fa dell’anarchismo nel senso detto,senza saperlo. Ascoltiamoli questi nostrifigli e nipoti quando dicono che fannociò che vogliono, quando disdegnano lacompagnia dei genitori e dei nonni perché“vecchi anche di mentalità”, quando siprendono gioco degli insegnanti e di qua-lunque “autorità”; quando sfidano il co-dice della strada, quando, nel corso di unamanifestazione di piazza, si abbandonanoad un vandalismo gratuito; quando nonvogliono sentire di regole e di limiti.La dissoluzione della famiglia (specie diquella patriarcale in cui i nonni svolge-vano un ruolo complementare e di soste-gno) è solo la causa oggettiva più evi-dente di una generazione affetta da “so-litudine affettiva” (e quindi esistenziale)- che talora viene risolta con il suicidio!Ma la causa generale è lo stesso Stato nonin quanto potere ma in quanto sempremeno-potere (sic!), che si desocializza afavore del privato quando, per l’effettocombinato di una maggiore coscienza delmondo e di una tecnologia galoppante, siha maggiore bisogno di un potere pubbli-co sociale capace di controllare la tecno-logia stessa (strumento dalla pericolositàcrescente) e di insegnare la socialità or-ganica sin dall’asilo-nido: la socialità dellavoro come creatività e servizio di unacollettività di uomini-fratelli, uguali (eco-nomicamente) e quindi liberi secondo lospirito del 1789. Lo Stato attuale è impe-gnato a far quadrare i parametri dell’im-pianto capitalista-predonomico (PIL -prodotto interno lordo - bilancio dei pa-gamenti con l’estero, legittimazone delparlamento e dei potenti) non quelli delbenessere della collettività come comu-nità di individui aventi pari diritti.I milioni di disoccupati, maloccupati,poveri e diseredati (barboni compresi)sono dettagli ininfluenti.Assieme al nucleo affettivo si sta dissol-vendo lo Stato: non credo che gli anar-chici intelligenti possano esserne conten-ti come se potessero affermare di essere vi-cini alla meta del grande ideale della “so-cietà senza Stato”.Penso che siamo sempre più vicini al ma-rasma sociale, dove l’arbitrio e la violen-za, giovanile e non, sono sentiti comel’unica via per riappropriarsi dei propri di-ritti naturali e quindi della propria iden-tità. Con quel che segue …

* Centro Studi Biologia Sociale

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Opera di fallocefalo ignoto nelle marmitte dei giganti sotto il ponte di Arquino

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Girovagando in questi giorni azonzo per la Romagna mi è ca-pitato sotto le mani un curio-

so ed istruttivo opuscoletto scritto nelmaggio 1850 da un Parroco di cam-pagna, intitolato guarda caso “Ladro-naia”.Lo scritto tratta lo stato in cui si trova-vano a quel tempo gli abitanti dellacittà e delle campagne nello Stato Pon-tificio. Per avere un’idea ne trascrivoalcuni eloquenti brani:“...da ogni punto della campagna bo-

lognese sbucano ladroni di ogni risma.Niuna, niuna cosa è salva, e persone,case averi dei poveri abitanti sono inpreda ai ladri e assassini. Non passagiorno senza che si odano furti, rapi-ne, spogliamenti, percosse, sevizie, fe-rimenti, torture col fuoco, con acquabollente, con ferro per indurre le vit-time ad indicare il danaro, lacci alcollo, conati di strozzamenti, omicidi,stupri addosso perfino a donne am-malate, aggressioni, invasioni ancorain seno alle terre più popolate, ai ca-

Ladronaiadi Giancarlo Ugatti

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Paese di nascita di Stefano Polloni al giorno d’oggi.

Torre ex carcere, nella quale fu rinchiuso per ben 3 volte Stefano Pelloni e dalla quale, ognivolta, riuscì a fuggire.

Il duemilasei ha iniziato a muovere iprimi passi dopo i festeggiamenti, leabbuffate, gli abbracci, gli sms, ibuoni propositi, le bombe Lecciso, ledimissioni di Fazio, le truffealimentari, le accuse e le protestedell’ex rais, dopo la scomparsa dellasuperiorità morale della sinistra, leacrobazie di Fiorani, Bpi,Antonveneta, Unipol, le protestedella Tav, l’aumento degli sbarchi deiclandestini sulle nostre coste, ilsalto di qualità della cocaina dadroga dei ricchi a droga dei poveri,lo spegnimento della fiaccolaolimpica, le rate dei mutui, i flopdegli italiani sotto le lenzuola, ilritorno al lavoro dopo le festenatalizie, lo scudo fiscale, il venerdìgiornata di libertà per le donne.Ho provato a trovare confermesull’eventuale cambiamento negli usie costumi degli italiani dopo GesùBambino, Babbo Natale e la Befana,paragonando le notizie dei giornaliprima e dopo l’inizio del 2006,riscontrando amaramente che nontrascorre giorno senza che i mass-media ci resocontino di: rapine invilla, bambini gettati nei cassonetti,omicidi, stupri di gruppo, piratidella strada, senatori che annullanole trattenute del 10% sulle loropensioni-liquidazioni ecc..,parlamentari che con ilmarchingegno di essere abbinati aimagistrati dal punto di vistaeconomico, in barba ai nuovi poveri,agli aumenti, rimpinguano le loroentrate del famoso 6% detrattotemporaneamente a favore ... delpopolo povero, scippi, incidentimortali sul lavoro, disoccupazione,treni in ritardo, pedofilia,prostituzione, traffico di organiumani ecc...e chi più ne ha più nemetta ...

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stelli e fin dentro le caserme dei cara-binieri. Le famiglie di campagna vivo-no in continua apprensione, nonchiudono occhio al sonno che fra te-menza di vedersi ad ogni istante ap-parire una lama alla gola, una boccada fuoco all’orecchio, la fiamma allacasa, di vedersi rapinate le sostanzepiù necessarie con stenti, sudori gua-dagnate; ogni lieve rumore le fa bal-zare costernate e sono a soffrire le an-gustie, i terrori di una guerra socia-le...omiss...repressione energica, im-mediata, istantanea, altrimenti sem-brerà che il governo sia indifferentealle lacrime, ai tormenti della taglieg-giata popolazione ...”.Corsi e ricorsi storici, li definiva Giam-battista Vico ... nulla di nuovo sotto ilsole ... lo definisco io che nel contem-po spero che qualche buon curato dicampagna o di città abbia l’avvedutez-za di tramandare ai posteri lo statod’animo dei cittadini di questo tempo,l’impotenza della società moderna,evoluta, con video telefonini, compu-ter, satelliti, amnistie, volontariato, ca-villi giuridici, tolleranza, di uscire daquesta palude infestata dai mali spar-si dal vaso di pandora...Uno degli artefici più famosi di quelclima di terrore fu un brigante, che si-curamente non temeva il confrontocon quelli che oggigiorno infestano ilnostro paese: Stefano Pelloni, chiama-to da Carducci ... il passator cortese.Nacque in quel di Boncellino, minu-scola frazione di Bagnacavallo (RA)nel lontano 4 agosto 1824 da GirolamoPelloni e Francesca Errani; viveva coni genitori in una squallida catapecchiacon altri sette fratelli, tre maschi equattro femmine. In quelle sperdutecampagne bagnate dal fiume Lamonetrascorse la suagiovinezza e i pri-mi anni della suaadolescenza.Il padre per man-tenere a stento lanumerosa fami-glia esercitava ilmestiere di “pas-satore”, novello Caronte, che traghet-tava a pagamento i rari viandanti con lasua barca da una sponda all’altra delfiume, che lambiva la sua casupola.Dalle innumerevoli notizie giunte sia-no a noi si fatica a discernere quale siala verità o la leggenda, sembra che fos-se un ragazzino vivacissimo, selvaticoma dotato di molta intelligenza, tantoda far pensare al padre di ricavarne un

prete, attività molto importante e lu-crosa per quei tempi. A prezzo di gros-si sacrifici lo mandò in seminario a Co-tignola, ma dovette presto accorgersi

che erano denaributtati al ventoe allora seppur amalincuore loavviò al suo stes-so mestiereavendo riscon-trato che il figlioera più incline a

menar le mani e al litigio con i coeta-nei.La popolazione di campagna, in queltempo, viveva attorno alla chiesa e al-la canonica considerate come centri dipace spirituale, di tranquillità e di be-nessere economico, sotto il potere e laguida del parroco, che riscuoteva an-nualmente da quella povera schiera digente analfabeta e malnutrita un bal-

zello di natura chiamato “Decima”, siache l’annata agricola fosse stata favore-vole o scarsa. In questo ambiente siformò il carattere di Stefano Pelloni.La causa che indusse alla macchia armiin pugno “malandri” si ammanta di leg-genda e diventano nobili i motivi sca-tenanti: prepotenza altrui, ingiustizie,persecuzione. Forse fu la promessad’amore non mantenuta nei confrontidi una giovane protetta da un prete,che lo denunciò e lo fece condannare atre anni di carcere da scontarsi nellatorre di Bagnacavallo, dalla quale riuscìa fuggire e a darsi alla macchia. Altri in-vece sostengono che la causa andrebbericercata in una rissa scoppiata in quel-le tradizionali feste di campagna dove igiovani si davano convegno sulle “aie”svoltasi a Pieve Cesato. Causa un ba-nale litigio culminato in una violentasassaiola, uno dei presenti rimase a ter-ra senza vita. Rinchiuso nuovamente

“Romagna solatia dolce paesecui regnaron Guidi e Malatestacui tenne pure il Passator cortesere della strada, re della foresta....”

(G. Carducci)

Vecchia stampa che raffigura il Passatore.

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nelle carceri della Torre di Bagnaca-vallo, fu quindi processato e condan-nato una seconda volta a tre anni diprigione. Anche questa volta riuscì afuggire, inseguito dai gendarmi, fu ri-conosciuto e fermato da un coraggiosomuratore, certo Baghen, e riconsegna-to alla Polizia e di nuovo incarcerato.Anche questa terza volta riuscì ad eva-dere dandosi alla macchia e vendican-dosi ben presto del suo catturatore uc-cidendolo. Poco più di due anni duròl’avventura brigantesca del Passatore,che terrorizzò l’intero territorio delleprovince di Ravenna e di Forlì e conqualche puntata anche in Toscana enella provincia di Ferrara. Ormai nonera più solo e passa dal delitto indivi-duale e dalla singola vendetta ad azio-ni preparate con strategia, servendosidi elementi unitisi intorno a lui, rico-nosciuto e temuto come Capo indi-scusso.La sua banda era composta da varie ca-tegorie di briganti: permanenti che for-mavano la banda vera ed erano circa25; avventizi detti grattoni, partecipa-vano parzialmente a certe imprese; ma-nutengoli, spie, informatori, che assi-curavano asilo, vettovagliamento,informazioni e copertura totale in casodi bisogno.Alla testa di questa masnada numerosa eferoce depredò paesi, canoniche, teatri,caserme dei Carabinieri, case private.Non sono mancati quelli che videronelle imprese del passatore un fine po-litico, forse inteso a dare agli avveni-menti politici di quel tempo una oscu-ra forma di brigantaggio, come potreb-be trasparire dalla notificazione diMonsignore Bedini, del 24/03/1851 ilgiorno dopo la morte del Pelloni in cuitra l’altro è detto ... “Veggano gli one-

sti cittadini come e quanto col validoconcorso delle invitte armi imperiali siveglia alla loro difesa, come nulla si la-sci intentato per distruggere questo in-felice retaggio delle passate vertigini”.Si confondono le bande briganteschecon le schiere dei patrioti che cercava-no con sommosse di scuotere il giogodel governo Pontificio di cui Don Be-dini era uno degli animatori. Ancheuna singolare lettera scritta il 10 di-cembre 1850 da Giuseppe Garibaldi,esiliato in America, al cantante Ello-doro Spec nella quale è ricordato il Pas-satore di cui aveva avuto notizie. Ecco-ne alcuni stralci: “Le notizie del Pas-satore sono stupende pare fa dei pro-digi...omissis..noi baceremo il piededi quel bravo italiano che non paven-ta ... omissis ... di sfidare i dominato-ri ed insegnar loro che la nostra terraè fatta solo per i loro cadaveri ... omis-sis ... noi ambiamo essere soldati delPassatore, non è vero? Ebbene venite... omissis ... noi guateremo il mo-mento propizio a poter giovare all’in-felice Patria Nostra ...”. La lettera,per il suo contenuto si presta alle più di-sparate interpretazioni: o il tono è sem-plicemente scherzoso e allora non sitrovano da fare obiezioni; oppure le no-tizie arrivate all’Eroe dei due mondi in-gigantite e falsate l’hanno tratto in in-ganno, infatti i gendarmi pontifici uc-cisi nel 1849 furono confusi con i ber-saglieri austriaci loro alleati. La sua av-ventura brigantesca si concluse in ma-niera drammatica e potrebbe parago-narsi a quella di un combattente checade contro nemici numerosi, ben ar-mati e disposti a tutto. La morte da luiaccettata all’aperto a faccia a faccia coni gendarmi avvenne la mattina del 23marzo 1851 alle ore 10 alla “spadina”

nel territorio del comune diRussi (Ra) in seguito allaspiata effettuata da un certoVincenzo Querzola dettoBrusone al governatore An-tonio Felici.Fu colpito alla schiena dalsussidiario Fantini Appolli-nare, e finito, mentre si di-batteva nell’agonia, da uncolpo alla nuca sparatoglidal caporale della linea pon-tificia Calandri Giacinto. Ilsuo corpo fu caricato su diun vecchio carro e mostratonelle piazze della Romagnaa monito ed esempio, sepol-to in un cimitero di Bolo-gna e dopo 73 anni riesu-

mato e i suo resti deposti nell’ossariocomune.Sicuramente aveva un carattere com-plesso, una natura ribelle, che non ri-conosceva l’ubbidienza, vinta com’eradall’esigenza di una libertà personale,che si rivoltava contro le diseguaglian-ze sociali, i privilegi dei potenti e ilmalgoverno imperante in quel tristeperiodo della nostra storia. I suoi li-neamenti erano fini, i suoi occhi nerivivacissimi, il suo colorito pallido mac-chiato da radi peli, da baffetti e moscascura e sotto l’occhio destro una mac-chia turchina come polvere. Graditoed amato dalle donne verso le quali sidimostrava galante, generoso e com-prensivo.Possedeva le qualità del capo, i suoigregari lo seguivano ciecamente, forselo amavano temendolo.La fama del Passarore detto Melandri èentrata nella leggenda e il suo cappel-laccio e il suo schioppo fanno bella mo-stra sulle insegne delle osterie, pizzerie,hotel, spettacoli folcloristici, cammi-nate e hanno contribuito alla fortunadel turismo. Alcuni giovani mi rac-contavano che nelle notti piovose,quando impera il buio e il vento sferzagli alberi e gli anfratti, fa cigolare leporte delle stalle e dei magazzini, quan-do transitano nelle zone dove avevascorazzato con la sua banda il Passato-re, sussultando alla luce dei lampi e alrombo dei tuoni, e ad ogni curva pa-ventano di vedere apparire all’improv-viso la nera figura di un uomo armatodi un trombone, avvolto in un neromantello che con occhi di fuoco li scru-ta e fa cenno di andare verso un avve-nire più consono, luminoso e felice do-ve i giovani possono trovare: amore,lavoro e felicità.

Vecchi portici, testimoni di tanti agguati banditeschi.

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Non amo il “politicamente cor-retto” ma questa affermazioneinutilmente razzista è quanto di

più errato si possa immaginare. Innan-zi tutto quegli “slavi”, spesso, Slavi nonsono ma Albanesi, Rumeni (in realtàRom) o di altre etnie poco chiare. Hoamici Slavi: Polacchi, Sloveni, Croati,Bosniaci, Ucraini. E, a parte che si trat-ta di persone lavoratrici e perfettamen-te europee, tra loro sono assai differen-ti. Dire di una persona che è “slavo”non significa nulla.Forse che un Portoghese è uguale a unRumeno? Eppure ambedue sono Latini.Tra un Polacco ed un Macedone non visono meno differenze. Per di più nel di-re “slavo” è insita spesso una connota-zione negativa.Gli Slavi scontano pregiudizi, di origi-ne politico-etnica, legati al nazionali-smo ottocentesco e ai conflitti del XXsecolo.Chi sono gli Slavi? Perché noi Italia-ni talora li guardiamo con malcelatasufficienza?Appaiono in Europa verso l’800 a.C. evanno ad occupare foreste e paludi, og-gi corrispondenti alla Bielorussia. Que-sta la situazione nel 200 a.C. secondo glistorici germanici e sovietici, i massimistudiosi del tema. Ma attenzione, ditracce scritte, in pratica, non ve sono;tutto è costruito su reperti archeologi-ci, sovente incerti. Attorno altre etnie:a N Finni, verso NW Baltici (oggi Li-tuani e Lettoni), ad W Germani, versoSE Celti ed Illiri (popolo che abitavadalle Alpi Retiche alla Grecia), a S Da-ci, Traci, Salmati e Sciti. Molti fini-ranno sotto l’Impero Romano ma gli

Slavi non entreranno mai in contattocon l’Urbe, che alla fine soccomberà,oltre che per ragioni interne, per laspinta delle “Invasioni barbariche”, chegli storici Germanici e Slavi chiamano“Migrazione dei popoli”. Anche gli Sla-vi si muovono e nell’8/900 d.C. la si-tuazione è del tutto cambiata: gli Slavisono arrivati all’Elba, hanno occupatola Boemia (prima abitata dai germano-celti Marcomanni), tendono a dilagarenelle Alpi e nel Friuli. In Pusteria (no-me slavo) vengono fermati dai Baiuva-ri, popolo civilizzato e cristiano. Vicinoa Cividale saranno i Longobardi ed iLatini a bloccare gli Sloveni. Mentre i

Croati puntano al mare, tanto che la lo-ro prima capitale sarà Nin/Nona, nonlungi da Zara in Dalmazia. Più all’in-terno i Bulgari saranno “slavizzati”. Laspinta è tale che gli Slavi giungononell’Ellade, ma sono respinti. Inizia ilreflusso, sotto la spinta dei popoli con-finanti. Ovviamente gli Slavi assorbo-no le popolazioni locali. Queste migra-zioni riguardano al massimo poche de-cine di migliaia di guerrieri, con fami-glie al seguito. Un maggior numero, seanche vi fosse stato, non avrebbe po-tuto migrare: non avrebbe trovato ciboa sufficienza! Ed ecco che i Cechi sifondono con i resti di popolazioni cel-to-germaniche, gli Sloveni includonogli Illiri romanizzati che si erano ritira-ti in luoghi sicuri e fortificati. Sono so-lo esempi che chiariscono come le in-fluenze di questi resti, sommate a quel-le dei popoli vicini ed agli altri fattori,abbiano dato origine ad etnie differen-ti per indole e cultura.Nell’attuale Germania orientale e nel-la Polonia troviamo i Polacchi (oltre adaltri in seguito germanizzati), mentrepiù a sud ecco i Cechi, i Moravi e gliSlovacchi; tutti appartengono agli Sla-vi occidentali. Gli Slavi orientali com-prendono i Bielorussi, gli Ucraini ed iRussi che giungevano non oltre Mosca;verso gli Urali e sulle coste del Mar Ne-ro erano popolazioni del tutto diverse.Del gruppo degli Slavi meridionali fan-no parte gli Sloveni, i Croati, i Serbi edi Bulgaro-Macedoni (gli studiosi non sisono ancora accordati se considerareBulgari e Macedoni due popoli oppureuno solo). L’invasione degli Unghere-si, che occuparono la pianura panno-

Gli Slavi, vicini sconosciutidi Nemo Canetta

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Se ascolto o leggo che degli “slavi”

hanno commesso reati, mi arrabbio.

Una delle infinite chiesette del “tipico” panorama sloveno. La religiosità (cattolica), impregna profondamente l’anima degli Sloveni e dei Croati. Più in genere possiamo affermare che il Cristianesimo, nei Paesi Slavi, abbia un’importanzaetnico-sociale maggiore, rispetto all’Europa occidentale, più agnostica e scettica.

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nica, mentre sui Carpa-zi vivevano i Valacchicioè i daco-romani,spiega come gli Slavimeridionali furono dal900/1000 d.C. separatidal resto dei popoli del-la stessa razza.In seguito questi tregruppi furono soggettiad influenze diverse.Gli Slavi occidentalisubirono la cultura e lapolitica germanica chegradatamente spostò ilconfine etnico versoest, con un’azione cheproseguì sino alla 2ªGuerra Mondiale. Ilprimo stato di Russi edUcraini fu quasi travol-to dalle invasioni mon-goliche. Gli Slavi me-ridionali soggiacqueroall’invasione ottomana che distrussestati fiorenti: bulgaro, serbo e bosniaco,imponendo un’amministrazione op-pressiva e sovente caotica le cui conse-guenze hanno lasciato tracce indelebi-li. Croati e Sloveni furono relativa-mente più fortunati entrando in con-tatto con influssi italiani (per megliodire veneziani), austriaci ed ungheresi:la Croazia fu sempre legata all’Unghe-ria, la Slovenia alle terre asburgiche,l’Istria e la Dalmazia a Venezia*.Nel XIX secolo le cose cambiano: na-scono gli stati nazione, che raggruppa-no tutti coloro che condividono unalingua. Sulla carta tutto è semplice, nel-la pratica per nulla: i confini etnico-linguistici sono assai più complessi edincerti di quanto si creda. E’ il caso delnostro confine orientale, ulteriormen-te complicato dal fatto che mentre lecittà erano sovente a predominanza ita-

liana (con popolazioni italianizzate) lecampagne erano quasi sempre a mag-gioranza slovena o croata. Questa la si-tuazione tra le Alpi e Fiume. In Dal-mazia, nonostante il lungo dominio ve-neto, solo il comune urbano di Zara eraa maggioranza italiana mentre nelle al-tre città, per non dire delle campagne,l’elemento croato era nettamente mag-gioritario.Molti studiosi italiani, anche di fama,

cercarono di superare l’empasse affer-mando la superiorità della cultura ita-liana sugli “slavi” rozzi ed incolti. Il dal-mata Niccolò Tommaseo giunse a direche se i croati fossero divenuti egemo-ni in Dalmazia, per amministrarlaavrebbero dovuto trasformarsi in ita-liani. Il grande patriota non potevaneppure concepire che un croato aves-se una sua propria cultura! Per corret-tezza storica dobbiamo ricordare che glistudiosi sloveni e croati non erano me-no nazionalisti dei nostri, minimizzan-do la presenza italiana (anche ove eramaggioritaria, come in molti centri ur-bani). Il tutto, a partire dalla GrandeGuerra, fu complicato dall’imperiali-smo serbo che sognava una “grande”Jugoslavia, ovviamente a guida belgra-dese, tanto estesa e potente da farne lapotenza egemone dei Balcani. E ciò halasciato tracce più profonde di quantosi creda. I massacri del II ° ConflittoMondiale, nonché la fuga di decine dimigliaia di nostri connazionalidall’Istria (ed in qualche misura anchedalla Dalmazia), non fecero che peg-giorare le cose. E’ la questione “foibe”che ancor oggi è maldigerita dai politi-ci in Italia e che divide i nostri storicida quelli sloveni e croati. E’ un argo-mento che meriterebbe da solo un ar-ticolo. E’ giusto però sottolineare che sevi fu “pulizia etnica” nei riguardi degliItaliani è altrettanto vero che vi fu (edin misura maggiore) una “pulizia poli-tica” nei riguardi degli Slavi avversaridel regime di Tito. Non sappiamo quan-ti furono eliminati tra il ’45 ed il ’47 mail numero di 2/300.000 non pare ec-cessivo! Questo dato chiarisce comenon si trattò tanto di eliminare gli Ita-liani quanto tutti coloro che potevanoavversare la nuova Jugoslavia di Tito. Ildecennale conflitto dell’ex Jugoslavia,al termine del sanguinoso XX secolo, ha

Volete meglio conoscere i nostri vicini?Ecco i recapiti per visitare i loro paesi:

Ufficio del Turismo SlovenoGalleria Buenos Aires 1 20124 MILANO0229511187 fax 0229514071e-mail: [email protected]:slovenia-tourism.si

Ente Nazionale Croato per il Turismo Piazzetta Pattari 1/320122 Milano0286454443 fax: 0286454574 e-mail: [email protected]

In alto: una delle porte cittadine diZara/Zadar, ove fa bella mostra di sé il Leonedi S. Marco. Zara fu l’unica città dellaDalmazia (limitatamente all’area urbana) adavere una maggioranza italiana sino al ’43.Presente pure una non trascurabileminoranza albanese. In basso: Scritta glagolitica, in vetero-slavo, nell’isola di Veglia/Krk. Questascrittura fu la prima ad essere utilizzatanell’area croata istriano-dalmata. È sicuratraccia d’antichissimi insediamenti slavinell’area circostante.

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Febbraio 2006 Alpes 47

riportato in luce molte vicende e strap-pato molti veli.Certo è che oggi la Slovenia, come l’Ita-lia, appartiene all’EU e tra breve (spe-riamo) nell’Unione entrerà pure laCroazia. Un ritorno ad antiche colle-ganze e ad antiche amicizie che fannoben sperare per il futuro dei nostri rap-porti con questi popoli!

Carta Etnica dell’Alto adriatico (inizio XIX secolo)Rosa (29): Italiani

(28): Friulan

Verde (19): Croati(24): Sloveni(23): Serbi(17): Bosniaci

Viola Tedeschi

Viola zigrinatoUngheresi

Da notare gli Italiani, con-centrati sulla costa istriana(ma non all’interno) ed a Za-ra (manca Fiume/Rijeka,50% di Italiani) e la grandecomplessità dei limiti traCroati, Serbi, Bosniaci.

Tratto da “Historical Atlasof Central Europe”, Univer-sity of Washington Press

* Oggi tutto ciò appare poco logico: siamo abituati,sin dalla Rivoluzione Francese, a stati nazionali.Ma allora tutto era diverso e nella Dalmazia vene-ta o nella Slovenia asburgica italiani, croati, slove-ni e tedeschi, oltre a combattere fianco a fianco l’in-vasore turco, sentivano di far parte di stati ove l’ap-partenenza etnica aveva poca o nulla importanza.Determinante era la fede professata: ancor oggi la de-marcazione tra croati e serbi è segnata, più che dafattori linguistico-culturali, dal fatto che i primi so-no cattolici e i secondi ortodossi. Così come i bosniacisono in realtà croati e serbi (già cristiani) che conl’invasione ottomana preferirono passare all’islami-smo. Venezia, lo abbiamo detto, non trattava inmodo differente i suoi cittadini sloveni, croati o mon-tenegrini rispetto a quelli d’origine italiana (o alba-nese o greca): anche Venezia era uno stato multiet-nico e multiculturale.

La torre civica di Fiume/Rijeka. La città,nel 1910, era abitata da un 48% di Italiani, gliSlavi (la più parte croati ma pure sloveni)erano il 31%. Vi erano poi un 13% diUngheresi e il 4,6% di Tedeschi. Ed altriancora. Insomma una vera città multietnica.

Una delleportecittadine diZara/Zadar,ove fa bellamostra di sé il Leone di S. Marco. Zara fu l’unicacittà dellaDalmazia(limitatamenteall’areaurbana) adavere unamaggioranzaitaliana sinoal ’43.Presente pureuna nontrascurabileminoranzaalbanese.

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48 Alpes Febbraio 2006Alpes Dicembre 2005

Associazione Ippofila P

Bilancio di un anno di attivitàdi Carlo Nobili

Nel corso del 2005 l’AssociazioneIppofila Provinciale è stata par-ticolarmente attiva su due fron-

ti: organizzazione di raduni e iniziativevolte a recupero e salvaguardia perl’equitazione di sentieri abbandonati.Per quanto riguarda il primo fronte ab-biamo organizzato raduni, come quelloal Dosso del Grillo, in Val d’Arigna ( 3°Raduno provinciale dell’AssociazioneIppofila e 1.a Mostra - Mercato delle at-trezzature ), con ben 58 cavalli presen-ti, con dimostrazione di dressage, saltoostacoli, monta americana sui barili epaletti; incontro coronato da un belsuccesso di pubblico e di appassionati.La nostra associazione ippofila è stata

presente a Sondrio in due occasioni conun calesse, con una carrozza e con ca-valli a sella con lo scopo di far cono-scere ancor di più il mondo del caval-lo; è stata inoltre presente in più Co-muni, in modo particolare durante le fe-ste natalizie, con calesse e cavalli sella-ti per la gioia di molti bambini chehanno così potuto salire per la primavolta su un cavallo.Il fronte del nostro maggiore impegnoè però stato indubbiamente quello del-la salvaguardia di passaggi e sentieri peruna fruizione a cavallo del territorio ilpiù possibile lontano dal traffico chesempre più ci attanaglia e dai pericoliche esso comporta.

Come ogni associazione, anche l’As-sociazione Ippofila Provinciale di Son-drio alla fine di un anno di attività ri-tiene opportuno fare un bilancio del-le iniziative e delle attività sviluppa-te nel corso dell’anno appena trascor-so; le brevi note che seguono voglio-no al contempo essere un invito ai so-ci e ai simpatizzanti ad attivarsi perelaborare proposte per l’anno socialeappena iniziato al fine di porre le pre-messe per una presenza più dinamicae propositiva della nostra associazio-ne in campo provinciale. Solo con l’im-pegno di tutti, solo con la collabora-zione di ogni socio sarà possibile co-struire un futuro per la nostra asso-ciazione ed assicurarle la necessariaautorevolezza per proseguire nella ri-cerca di tutti i contatti con le istitu-zioni locali che le potranno permette-re di portare a compimento i proget-ti ambiziosi elaborati negli anni dipresenza sul territorio provinciale edin particolare nella zona della comu-nità Montana Valtellina di Sondrio.

Aldo Genonisocio fondatore e componente del direttivo

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ri cavalieri nelle migliori condizioni co-me assetto e disciplina. Una buonascuola deve, ovviamente, insegnare lebasi tecniche dell’equitazione, ma deveanche e soprattutto insegnare un at-teggiamento corretto verso il cavallo ei cavalieri; cose che purtroppo vengonosempre meno nei cavalieriadulti.L’equitazione con il passaredegli anni si è indirizzataprevalentemente verso il la-voro nei maneggi.Per tale motivo moltissimidi questi cavalieri non co-noscono le meravigliose pas-seggiate che si possono fare,specialmente in montagna,per un rilassamento menta-le sia del cavallo che del ca-valiere, facendo conoscere egustare al cavallo la naturacon le sue bellezze e i suoi ru-mori.Il maneggio perfeziona l’as-setto, la campagna rende ilcavaliere più sicuro in pre-senza di eventi che si pre-sentino all’improvviso.

Solo una associazione ippofila più “sen-tita” può divenire più forte e autorevo-le, in grado di far valere i propri dirittiin una società che non vuol sentire névedere la pura realtà di questo sport,ma tende sempre più ad emarginarlo fi-no alla sua dolorosa scomparsa.

a Provinciale di Sondrio

La realizzazione del Sentiero Valtellinalungo il fiume Adda, che sta trovandogrande favore tra i nostri convalligiani,per noi cavalieri è stata, purtroppo, og-gettivamente penalizzante: i sentieri danoi usati da decenni e da noi tenuti pu-liti e resi agibili, ci sono venuti repen-tinamente a mancare, anche perché insede tecnica i progettisti del SentieroValtellina non hanno tenuto minima-mente conto della nostra realtà e dellenostre legittime esigenze. Ma non cisiamo arresi di fronte alle subentratedifficoltà; abbiamo elaborato proposte eci siamo dati da fare concretamente.Dopo aver creato con le nostre forze,con il permesso e l’appoggio della Co-munità Montana Valtellina di Sondrio,la bellissima pista che va dal ponte diFaedo al Ponte di Piateda, abbiamo re-cuperato alcuni sentieri abbandonati,rendendoli agibili. Ora ci attende l’im-pegno più complesso: il passaggio sultorrente Mallero, punto chiave per ave-re accesso ai bellissimi argini (che l’as-sociazione pulisce due volte all’anno)che da Caiolo portano a San Pietro Ber-benno per poi proseguire verso la bassavalle. A tale proposito abbiamo avutodiversi contatti con politici e ammini-stratori locali per trovare insieme la nonfacile soluzione dell’attraversamento deltorrente. Ci sono state fatte promesse eassicurato l’impegno per una giusta so-luzione del problema; non è la primavolta, speriamo che sia la volta buona.A questo punto vorrei fare alcune con-siderazioni sulla Associazione IppofilaProvinciale e sull’equitazione in Val-tellina.Occorre innanzitutto far notare che lanostra associazione ha conseguito unbuon numero di iscrizioni, ma che peri lavori di manutenzione della pista e dialtri passaggi possiamo contare su an-cora troppo pochi soci. Per quanto ri-guarda più in generale la situazione pro-vinciale dell’equitazione mi sembra dipoter dire che essa in Valtellina è en-trata in una fase di stasi, dopo il boomdi alcuni anni fa. Ci sono due o tre ma-neggi di buon livello, con istruttori ca-paci, che fanno da traino allo sviluppodi questo bellissimo sport, ponendo ipresupposti per fare dei bambini i futu-

A sinistra: Patrizia Caelli sulsentiero per Teglio.In alto: Carlo Nobili al PassoVerva, valle d’Eita (Val Grosina).A destra: Enrico Masotti al LagoColina sopra Triangia.

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Abbiamo tutti visto come la fi-ne del vecchio anno sia sem-pre accompagnata da una ri-

dicola invasione di oroscopi, profezie,e quant’altro, con la quale i quotidia-ni ed i rotocalchi più diffusi omaggia-no i lettori pensando di fornire chissàquale informazione aggiuntiva o stren-na natalizia.Che tutto ciò sia divenuto un costumediffuso è vero, ma quanto al fatto chetali oroscopi anche quotidiani, cheperfino la Telecom mette a disposizio-ne dei gonzi, siano veritieri, chi sia ar-mato di un po’ di buon senso lo com-menterà con una risata.Eppure esistono, e sono molti, troppi,i sedicenti “maghi”, “guaritori”, “pen-dolisti”, “astrologi ,“veggenti” ,”carto-manti”, “ispirati” e via discorrendo,sull’onda della più vieta “new age”.Questa continua a sopravvivere assie-me ad una sorta di “sciamanismo”d’importazione che fa la delizia dei fur-bi e di chi avendo abbandonato permotivi meramente emotivi la propriareligione, con altrettanta emotività sibutta in una forma spuria fai da te checomunque non è neanche lontana-mente ciò che fa credere di voler esse-re. Poi vi sono i frequentissimi casi dacodice penale ove la solita imbroglio-na, nascosta nel proprio “studio” in-gombro delle solite immagini di pseu-doguaritori e idoletti vari, cerca di in-gannare la cliente o il cliente al fine dirubar loro dei soldi. Aggiungiamo poile stupide rubriche “sulle stelle” cheappaiono nei giornaletti zeppi di pet-tegolezzi insipidi e rugiadosi. Non so-lo gente comune, ma anche politiciaffermati, nulla fanno senza consulta-re prima la “propria” cartomante o ma-ga o veggente o astrologa. Cosa spin-ge così tanta gente a buttar via i pro-

pri soldi rivolgendosi a degli imbro-glioni che tentano di risolvere i propriproblemi economici ingannando i fre-sconi? Purtroppo, e questo appare co-me un vero problema sociale, è propriola disperazione. Avendo il fenomenoraggiunto dimensioni troppo grandiper passare inosservato allo Stato diDiritto, prima o poi occorrerà vararedelle leggi speciali nei confronti diqueste truffe che sono patenti viola-zioni del codice penale. Fino a nonmolto tempo fa, anni sessanta com-presi, la cartomante o “maga” era re-golarmente schedata dalla polizia edovunque si fosse spostata per l’Italia,doveva sempre e comunque segnalar-lo alle questure delle province. Ciò as-sicurava il controllo su tale grossolanatipologia di reato e proteggeva da essogli ingenui.Non dobbiamo però credere che unfenomeno così vasto sia appannaggiosolo di quest’epoca melmosa e priva diideali autentici.Sempre, sin dai tempi più antichi, se-dicenti ispirati e sedicenti santi hannoscimmiottato il vero santo ed il veroispirato. Questo succedeva anche nel-la nostra Valtellina sin da epoche lon-tane. Narrava il Romegialli che in queldi Bormio v’era una tal donnetta, nelcinquecento, che faceva credere di vi-vere solo della comunione, poi si sco-prì che altre comari sue mentrici lepassavano di nascosto pillole e pol-pette sostanziose da sotto le copertedel letto. Anche in questo caso, svi-luppare una forma di carisma fasulloma capace di attirare il prossimo, ar-recava quei vantaggi sociali che per-mettevano di avere un potere cre-scente, il proprio piccolo ego comuni-tario.

“Mendicanti, sacerdoti, imbroglionied indovini vanno alle case dei ricchidando ad intendere che hanno otte-nuto dagli dèi il potere, mediante sa-crifizi ed incantazioni, di riparare,ingioie ed in fede, quei delitti che unodi loro o gli antenati hanno potutocommettere ...”Questo scriveva Platone nella sua ope-ra sulla Repubblica.In tutte le storie delle religioni ap-paiono tali fenomeni di scimmiotta-tura di qualcosa di nobile e sapienteutilizzando arti spurie o grossolane.Che dire degli asceti fasulli che esi-stono in grandissimo numero in Indiasin dall’epoca delle Upanishad? Fintiyogi o ridicoli tantrici, oppure santo-ni che promettono gnosi soteriologi-che: ve n’è sempre stato per tutti i gu-sti. Per “India” possiamo intendere an-che i falsi ispirati o santoni buddhistiche fanno emettere gridolini di stu-pore alle mature signore che vanno inbrodo di giuggiole a sentire le loro stor-ditaggini, fra le pareti di qualche cen-tro cosiddetto “spirituale”, dal nomestrampalato: una moda che brilla dadecenni in tutto l’occidente. V’è daridere nel paragone fra quei ricercato-ri ed esploratori che solo fino all’ulti-ma guerra si avventuravano sull’Hi-malaya con sforzo e fatica, per cerca-re, con studi antropologici, l’essenzadelle popolazioni tibetane, e quei sa-cerdoti europei come padre Nobili cheraggiungevano le zone difficili dell’In-dia e convertivano i nativi penetran-done il linguaggio e la religione ... ri-spetto ai salotti odierni raffazzonati,magari in qualche cascina in Toscanao in altra parte d’Italia, ove sedicentiguaritori, fra incensi e improbabiliformule strampalate, si dilungano in

Le arti vane per i gonzi ovvero:“de vanitate magiae”

di Raimondo Polinelli

50 Alpes Febbraio 2006

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incredibili sproloqui od “esercizi spiri-tuali” per raggiungere il “paradiso” o laguarigione da tutti i mali, nel corso di“stage” conditi con depliants a tot eu-ro e il tutto naturalmente esentasse.Poichè oggi neppure più si vuole stu-diare i significati delle varie “gnosi” ovie di sapienza, basta semplicementel’indicazione di un’amica che (magarisu compenso nascosto), in un rapidopassaparola, faccia confluire vari da-narosi amici e amiche che in brevetempo rimpinguano le tasche del “san-tone”, che magari in India è un fasul-lo fra i fasulli. Ma il brivido dell’arca-no a buon mercato dove lo mettiamo?Decenni fa e anche secoli fa, sino adoggi, si era poi diffuso l’inganno diquelle innumerevoli società segreteche scimmiottavano la massoneria e irosacroce. Venivano inventati riti emisteri di sana pianta e non si esitavaa raccontare le più grosse ed inverifi-

cabili fandonie circa le imprese di que-sto o quell’avventuriero o avventurie-ra aumentandone così il prestigio e an-che la ribalderia (Giuseppe Balsamoinsegni, in coppia con Saint Ger-main).E non dimentichiamo gli imbrogli del“cavalier Borri” che prometteva l’oroalchimico anche a Cristina di Svezia,o le panzane di tanti e tante sino ad og-gi che cercano di crearsi un potere per-sonale ingannando il prossimo.Chi non ricorda la seconda moglie diPeron e il suo “consigliere personale”che in realtà era un sedicente “astro-logo, veggente, indovino” .... e i disa-stri del suo governo?Estatici, indovini, taumaturghi, orfeo-telesti, asceti: quanto è grande la scel-ta quando la fantasia e la voglia di il-ludersi prendono il sopravventosull’intelligenza dei singoli!Emblematico è quel famoso Simon

mago che avvicinò Pietro e gli Apo-stoli con la pretesa di “comperare” illoro “segreto” di guarigione e ... fu cac-ciato a pedate.Le favole e le frottole delle trasmissio-ni televisive, come “Stargate” et simi-lia, sono un esempio della faciloneriae dell’ignoranza storica e culturale cheallegramente ci circondano.Adesso poi va di moda Leonardo, unLeonardo mai esistito!Fa ridere la “riscoperta” religiosa ditanti personaggi profanamente famosiche fino a ieri sia in televisione che al-trove proclamavano il proprio atei-smo, e che oggi si dichiarano devoti e(secondo loro) assistiti da Padre Pio.E’ proprio vero: “ci son tanti piccioniche cercano una nuova religione”.Chi vuol farsi uccellare va in cerca dichi lo possa servire a puntino.Anche ciò accade all’insegna della glo-balizzazione ... dei grulli!

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La costruzione, voluta dai resi-denti coldaschi, fu eretta nel1912, su progetto dell’ing. E. Vi-

tali di Sondrio ed ebbe l’approvazionedi mons. Trussoni, Vicario Generaledella Diocesi di Como.La Chiesa fu consacrata, il 15 settem-bre 1912, con solenne celebrazione li-turgica officiata dall’Arciprete di Son-drio, mons. Pietro Majolani. Successi-vamente la costruzione del campanilesi concluse nel 1932.Di particolare interesse artistico è l’ab-side nella quale, fu ricostruita, con

tufo locale, la grotta di Lourdes nellaquale fu collocata la statua della Ma-donna e della veggente S.BernadetteSoubiroux.La chiesa, in stile neoclassico e di sem-plice disegno architettonico, ha vistorealizzati, nel corso del tempo, diversirestauri conservativi: dal rifacimentodel tetto del campanile, alla pavimen-tazione, all’altare in granito rosa-sardoe, per ultimo, nell’anno 2005, la mes-sa a nuovo del castello campanario,nel quale domenica 6 novembre 2005sono state collocate cinque nuove

Colda: le nuove campane della chiesadella “Nostra Signora di Lourdes”

di Paolo Pirruccio

52 Alpes Febbraio 2006

Tra le antiche case della frazione di Colda, nel Comune di Sondrio, sorge la chiesadedicata a “Nostra Signora di Lourdes”.

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campane, realizzate dalla fonderia Ca-panni di Castelnovo Ne Monti (Reg-gio Emilia).E’ un’opera voluta dai coldaschi, frut-to della generosità di numerosi bene-fattori e del lavoro di diversi volonta-ri, tra i quali anche ditte, che hannomesso a disposizione mezzi e uomini.La realizzazione delle nuove campaneè il gesto encomiabile di tutti coloroche, nella fede, hanno voluto richia-mare l’attenzione della vicinanza edell’amore alla chiesa con l’invito, pertutti i credenti, ad elevare, dal suonoarmonioso delle campane, il pensiero aDio, cadenzando l’Ave Maria, (al mat-tino e alla sera), l’Angelus Domini (amezzogiorno), le funzioni liturgiche, ibattesimi, i matrimoni ed i funerali.Le nuove campane sono state bene-dette da mons. Valerio Modenesi, ar-ciprete della chiesa collegiata di Son-drio, con solenne celebrazione liturgi-ca e successivamente sono state mon-tate sul campanile, svettando in tuttala loro bellezza.

Sulle nuove campane sono state inci-se, in rilievo, dediche e nomi. Sulbronzo della prima campana è stataimpressa l’effigie della Madonna diLourdes e dei santi Gervasio e Prota-sio, patroni e protettori della città diSondrio, ed il nome del Vescovo del-la Diocesi di Como, mons. Alessan-dro Maggiolini. Sulla seconda campa-na l’effigie di Papa Giovanni Paolo Se-condo, lo stemma Papale di Benedet-to XVI ed il nome dell’arciprete diSondrio, mons. Valerio Modenesi.Nella terza campana sono state raffi-gurate le effigi degli evangelisti Gio-vanni e Marco. Nella quarta le effigidegli evangelisti Matteo e Luca. Nel-la quinta campana vediamo l’effige disan Francesco e di san Giovanni Bo-sco.Con il moderno impianto elettroau-tomatico le campane faranno sentire illoro armonioso suono in un richiamodi fede e di elevazione di pensiero alSignore.

* frazione di Sondrio

La campana*

Dal latino “campanus” - La voce defi-nisce uno strumento di bronzo a for-ma di tazza riversa, che suona quan-do le pareti ne sono percosse da unbattaglio all’interno o da un martelloall’esterno. Il suo uso rimonta alle piùremote antichità. Il vocabolo, secon-do Isidoro di Siviglia (Origines), deri-verebbe da Campania, dove col bron-zo locale detto campanum si sareb-bero fabbricate le prime campane; poi-ché una delle prime officine si trova-va a Nola, la leggenda attribuì l’in-venzione a san Paolino, vescovo diquella città (409-431). Simili stru-menti, sia pure in dimensioni minori,esistevano certo già precedentementee da questi derivò la campana nel cul-to cristiano. In Italia i primi docu-menti in tal senso risalgono al sec.VI. Infatti a quest’epoca troviamo levoci latine campanus e signum: il pri-mo per indicare l’origine (la Campa-nia), il secondo relativo all’uso cui lacampana era destinata. Scopo princi-pale delle campane fu il servizio delculto e servono a chiamare i fedeli al-le sacre funzioni, esortandoli alla pre-ghiera in determinate ore del giorno:al mattino e alla sera col suono dettodell’ Ave Maria, a mezzogiorno per larecita dell’Angelus Domini. Indi inaltre occasioni: per i battesimi, matri-moni, defunti o moribondi, nel tem-porale, in occasione di incendi, nei pe-ricoli delle alluvioni, nel passaggio ditruppe straniere ecc. Suonare le cam-pane per ragioni non cristiane e nonumane fu sempre proibito dagli Ordi-ni Diocesani. Pertanto sostenere che ilsuono delle campane avvenisse per al-lontanare le streghe fu sempre consi-derato un deprecabile abuso. Infatti lecampane sono considerate res sacraee per l’uso la Chiesa richiede la con-sacrazione. Tuttavia si ammetteval’uso del suono delle campane, secon-do consuetudini locali, per allontana-re la grandine. (cft. Enc. Catt. VolIII).Infine è da registrare che anche la le-gislazione italiana detta norme perl’uso del suono delle campane.

*dal dizionarietto dello storico Martino Fatterelli

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Le montagne, ed in particolare leAlpi, sono state per secoli il sim-bolo di emozioni antitetiche che

vanno dall’estasi alla paura. La barrie-ra naturale è anche servita a fornire unostrumento di difesa nelle epoche stori-che in cui i popoli si sono dotati di si-stemi territoriali stabili. La costruzionedi fortificazioni sempre più imponenti einaccessibili è stato uno degli strumen-ti che hanno permesso di controllaremilitarmente il territorio. Allorché que-sta funzione non ha più avuto ragionedi essere, le strutture utilizzate per ilcontrollo delle vallatesono state spesso ab-bandonate e hanno ri-schiato di divenire ilmito evanescente diun’epoca da dimentica-re.Il progetto Interreg IIIA “Sentinelle delle Al-pi” si è posto comeobiettivo di recuperarele funzioni di questo pa-trimonio storico-cultu-rale e di valorizzare queisistemi di fortificazioni.

La valorizzazione della rete dei forti

Il progetto è strutturatoin numerose attivitàvolte per la maggiorparte a creare una retedi itinerari turistici in-teressanti l’insieme delterritorio fatto oggettodel progetto, al fine dirivisitare e riscopriresotto l’aspetto turistico il patrimonio diarchitettura militare alpina, attraversola creazione di una rete di informazio-ni sulla distribuzione delle fortificazio-

ni alpinedel settoreoccidenta-le, che sisono rive-late esseredelle sor-genti digrande in-teresse e dipotenzia-lità atte acreare unt u r i s m o“eco-com-patibile” al-ternativo,con impat-to minimosul paesag-gio.

Il progetto si è sviluppato in un quadrotransfrontaliero che ha interessato i ver-santi della frontiera alpina tra l’Italia ela Francia, in particolare la Regione

Autonoma Valle d’Aosta, le provincedi Torino e Cuneo (Regione Piemon-te), i dipartimenti della Savoia (Ré-gion Rhône - Alpes), i dipartimentiHautes - Alpes, Alpes de Haute Pro-vence e Alpes Maritimes (Région Pro-vence - Alpes - Côte d’Azür).Le attività previste e realizzate hannoprodotto risultati differenziati secondole esigenze dei diversi partecipanti, main piena armonia, essendo stata data lapossibilità ai diversi esperti delle regio-ni partecipanti al progetto di avere mo-menti di contatto e possibilità di colla-borazione.I partecipanti francesi hanno redattouna carta della qualità concernente i re-stauri e i recuperi delle fortificazioni, uncensimento e schede informative sulleopere di fortificazione esistenti sul ter-ritorio, con la loro identificazione, de-scrizione e condizione strutturale. LaRegione Piemonte si è dedicata a in-terventi di recupero della conoscenza edella possibilità di uso delle strutture,

Il Progetto Interreg IIIA“SENTINELLE DELLE ALPI”

di Joseph - Gabriel Rivolin

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Alpes si èspessointeressata diMusei eFortidisseminatilungo l’arco alpino come occasionidi turismo culturale; sugli ultiminumeri ha in particolare ospitatoampi servizi di Nemo Canetta sutali tematiche. Appare dunquenaturale informare i nostri lettorisu quanto si va realizzando inquesti ultimi anni nell’area alpina.Iniziamo questo camminoinformativo guardando a cosaavviene nella zona delle AlpiOccidentali riferendo sul Progetto“Sentinelle delle Alpi” prendendospunto da quanto pubblicato daJoseph - Gabriel Rivolin su “LeFlambeau”, rivista del Comitatodelle tradizioni valdostane, con cuisiamo in collaborazione già daalcuni anni.

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come nel caso del Forte di Vinadio e delForte Bramafam di Bardonecchia, neiquali si sono ricavati spazi espositivi sutemi locali e tranfrontalieri, mentre ilForte di Fénestrelles è divenuto un pun-to di informazione su tutta la rete di pa-trimonio fortificato; nel forte di Exillessi è puntato sulla sistemazione di sale di-dattiche e di spazi per accogliere gli stu-denti delle scuole.I progetti di questo tipo favoriscono larealizzazione di una serie di prodotti de-stinati alla comunicazione e alla diffu-sione. “Sentinelle delle Alpi” ha anchepermesso la realizza-zione di prodotti di-dattici multimedialiche hanno trovatoposto in spazi dedica-ti all’insegnamentoall’interno dei forti.Vi si possono trovaresegnalazioni multi-mediali che condu-cono i visitatori delforte lungo percorsieducativi differenzia-ti, non relativi sol-tanto al forte, ma chepossono estendersidal tema centraledella formazione de-gli Stati europei al te-ma dell’arte contem-poranea. L’argomen-to storico è, inoltre,sviluppato in strettarelazione con il pro-getto Interreg IIIA“Memoria delle Al-pi”.Tra le attività inseri-te nel progetto, si se-gnala la pubblicazio-ne di un volume sull’architettura dellefortificazioni situate lungo la frontierafranco - italiana, arricchito da un im-portante inserto cartografico edito initaliano con una traduzione in france-se.Il progetto si è sviluppato in tre anni, apartire dal novembre 2002 ed ha com-portato una spesa totale di 7.184.000euro di cui 1.814.745 messi a disposi-

zione dalla Comunità Europea.La Regione Autonoma Valle d’Aostaha partecipato al progetto concentran-do la sua attenzione sul recupero delForte di Bard. Il 7 e l’8 ottobre scorsi ta-le forte ha ospitato il Seminario di chiu-sura del progetto “Sentinelle delle Al-pi”, al quale hanno partecipato espertidi musei, storici, scrittori, antropologied altri esperti di fama internazionale.Durante la manifestazione, che ha per-messo ai numerosi intervenuti di am-mirare i risultati dei restauri dell’im-portante fortezza valdostana, sono sta-ti presentati i diversi progetti di valo-rizzazione dei forti francesi e piemonte-si, oltre che, ovviamente, il progettomuseale che concerne il forte di Bardstesso.

pagine a cura di Giuseppe Brivio

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Intervista ad Elio Occhipinti e a Deborah PavanelloSempre più persone si rivolgono allecure naturali, ma sembra esserci unagrande confusione sulla validità deiloro effetti. Cosa propongono le scien-ze naturopatiche?

La domandaè posta intermini erra-ti, nel sensoche le scien-ze naturopa-tiche non sio c c u p a n otanto del far-maco natu-rale e deisuoi effettipiù o menoprovati dagliattuali stru-menti di va-lutazione, nési pone comeuna medici-na alternati-va a quellaal lopatica.La naturopa-tia proponeun percorsodi salutecomplemen-tare a quellodella medici-na ufficiale,un percorsoche in gene-

re inizia prima della manifestazionedel sintomo, e chiede alla persona dicambiare il suo punto di vista e il suoatteggiamento nei confronti di alcuneabitudini di vita acquisite negli anni e

Naturopatia: sì ad una informazioneresponsabile e corretta

di Roberta Piliego

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L’argomento “naturopatia” èall’ordine del giorno. Nascononuove scuole e la sempre piùricca e articolata offerta dicorsi e incontri a tema può pro-vocare, oltre a buoni propositicirca un nuovo stile di vita, unvero e proprio corto circuito. Te-rapie naturali, discipline psico-corporee, educazione alimen-tare: tutto giusto e tutto “na-turalmente corretto”, ma restaaperta una questione a mio av-viso essenziale e prioritaria ri-spetto a qualsiasi altra rifles-sione: cosa significa prendersicura di sé?Abbiamo incontrato Elio Occhi-pinti e Deborah Pavanello, ri-spettivamente presidente e di-rettrice dell’IFE, l’Istituto diFormazione Europeo che si oc-cupa dell’educazione in questosettore. Ecco cosa ci hanno ri-sposto.

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che hanno causato l’insorgere di uncerto malessere.

In quest’epoca dove è possibile acce-dere facilmente (libri, internet, tra-smissioni televisive) alle informazio-ni sui diversi interventi terapeuticidi tipo naturale, che bisogno c’è diuna formazione?La necessità di una formazione nasceproprio dalla grande diffusione chequesti argomenti stanno avendo. Inun certo senso potremmo dire che ilconsumismo si sta impossessando an-che del settore del benessere naturale.Troppo spesso, infatti, l’informazioneche ci giunge è superficiale, sbrigativae trattata da persone che non sono spe-cialisti del settore, e che quindi facil-mente fraintendono i concetti relati-vi alla filosofia e alla tipologia di in-terventi messi in atto dagli operatoridel settore.

È risaputo che questo campo è ormaisempre più oggetto di interesse ancheda parte della medicina ufficiale. Nonsi rischia di banalizzare le informa-zioni scientifiche?Intanto occorre dire che si deve di-stinguere bene quali sono gli ambiti diazione di queste due differenti disci-pline. Il medico ha una formazione chelo porta a fare una diagnosi e a inter-venire sulla patologia conclamata, sulsintomo, se vogliamo “sulla parte”,mentre al naturopata spetta piuttostoil compito di “educatore della salute”,ovvero di colui che lavora soprattuttoper migliorare lo stile di vita delle per-sone e in questo modo prevenire l’in-sorgenza delle disarmonie; la valuta-zione che viene fatta è pertanto di ti-po “olistico”. Il rischio di banalizzazio-ne in realtà non esiste poiché il natu-ropata, sebbene si formi in modo rigo-roso, non utilizza le informazioni “ac-cademiche” trasmesse invece al medi-co.

In ogni caso, non si corre il rischio diformare un “piccolo medico” che sisovrappone al laureato in medicina?No, come dicevamo, colui che crede didiventare naturopata per prendere unascorciatoia ed evitare lunghi anni distudio nelle facoltà di medicina, nonha capito il vero significato di questotipo di formazione. Intanto perché il

corso proposto dall’Istituto di Forma-zione Europeo dura quattro anni, edunque richiede un certo impegno, epoi perché il naturopata è un profes-sionista che deve collaborare col me-dico, ed essere in grado, qualora fossenecessario, di orientare il propriocliente verso lo specialista in medici-na più adeguato.Ribadiamo quanto già detto: mentre ilmedico fa diagnosi e interviene sul sin-tomo alleviandolo, il naturopata attuauna valutazione più generale del ter-reno e dello stile di vita, e consiglia co-me recuperare l’equilibrio perduto.

Veniamo alla vostra proposta forma-tiva. Non rischiate di creare ulterio-re confusione proponendo un’altrascuola?No, ogni scuola ha una propria spe-cialità che la definisce e differenziadalle altre del settore. L’Istituto di For-mazione Europeo, grazie all’esperienzamaturata dai suoi fondatori, ha sceltodi dare particolare risalto a materieche si occupano di sviluppare la sensi-bilità e l’attenzione nei confronti deldisagio della persona e dell’ambienteche la circonda; da qui l’indirizzo psi-cosomatico del corso di studi.

Cosa rispondereste a chi vi chiedesseperché iscriversi a una scuola di na-turopatia?Iscriversi ad una scuola di naturopatiasignifica scegliere di dare un nuovoorientamento non solo alla propria vi-

ta professionale, cometanti desiderano, maal modo in cui “siguarda” il mondo.L’apprendimento deiprocessi che regolanoil nostro organismo ela nostra mente cipermette di utilizzarein prima persona letecniche del benesse-re che vengono inse-gnate e in seguito diessere d’aiuto agli al-tri.E’ un modo per orien-tarsi nel settore delbenessere naturaleche, come dicevamo,a volte non riesce asottrarsi ad una certa

superficialità, ed offrire così un servi-zio di qualità alle persone che ci cir-condano a partire dai familiari ed ami-ci fino ai clienti veri e propri.

Perché affrontare quattro anni di for-mazione con tutto quello che questoimplica anche da un punto di vistaeconomico?Chiunque abbia già affrontato la for-mazione in naturopatia sa che quattroanni rappresentano il tempo necessa-rio ad acquisire un sapere solido ed ar-ticolato che permette di iniziare la pro-fessione. Ma allo stesso tempo sa ancheche il percorso è appena cominciato eche quei quattro anni rappresentano“lo zoccolo duro” su cui si fondano tut-ti gli approfondimenti e gli aggiorna-menti futuri. Inoltre la durata di quat-tro anni permette di dar spazio anchea seminari di pratica, molto utili aquanti intendono intraprendere questaprofessione.

Professione NaturopataUna nuova scuola quadriennale di natu-ropatia a indirizzo psicosomatico.Da novembre a Milano, organizzata daIFE - Istituto di Formazione Europeocon l’Université Européenne Jean Mon-net.per informazioni:IFE - Istituto di Formazione EuropeoVia Vallazze, 82 – Milanotel. 02 - [email protected]

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pagina a cura di Giuseppe Brivio

L’ALPE n. 13 - dicembre 2005 - semestraleSci per pochi, sci pertuttiPriuli & Verlucca,Editori

Questo numero deL’ALPE è in gran partededicato alla neve e allosci.Apre la tematica il di-rettore della rivista En-rico Camanni con unservizio intitolato “Lamontagna in discesa”nel quale egli presentalo sci come l’altra facciadell’alpinismo e ne fauna breve storia ricor-dando l’alpinista svizzero Adolfo Kindche in poche stagioni introduce il

nuovo mezzo tra gli alpinisti piemon-tesi negli anni a cavallo tra il 1800 e il1900.

Un secondo serviziotratta di “sci sulle Dolo-miti dalla nascita alVentennio”; è eviden-ziato l’allungamentodella stagione turisticaall’inverno, prima di al-lora avaro di turisti sulleAlpi, e viene ricordatala introduzione dello scicome uso militare in oc-casione della PrimaGuerra Mondiale.Con il fascismo lo sci di-venta poi metafora disana attività fisica.Merita di essere segna-lato l’articolo di Giorgio

Daidola, intitolato “Il corto circuitodello sci di massa”. L’autore ci offre il

quadro della situazione nelle righe diapertura del “pezzo”, che riporto: “Inpassato lo sci era piacere di scivolare elasciare una traccia, oggi è soprattuttoebbrezza della velocità su piste levigatecome biliardi, munite di steccati, reti,guard rail e ripari imbottiti. Le conse-guenze? Sciare costa sempre di più esoddisfa sempre meno”.Altri servizi parlano del Trofeo Mezza-lama, da Cervinia a Gressoney, unavera e propria maratona dei ghiacciai,della Marcialonga, da Moena alla Valdi Fassa a Predazzo e alla Val diFiemme, la più classica gara di fondoitaliana.Ci sono poi le utilissime Rubriche deL’Alpe, con le notizie di attualità, suiparchi e sui musei, sui Giochi OlimpiciInvernali, sulle iniziative a livello na-zionale, regionale e locale ed infine al-cune pagine dedicate alle Recensionidi libri e riviste di contenuto alpino.

Notiziario dellaBanca Popolare di SondrioN. 99 Dicembre 2005L’ultimo numero del Notiziario dellaBanca Popolare di Sondrio, che si pre-senta in una veste invernale con le ma-gnifiche fotografie di copertina di MauroLanfranchi riferite alla Val Lunga di Tar-tano e alla Valmalenco, ospita, al solito,contributi di molte personalità eminentinel campo della cultura e dell’economia.Impossibile citare tutti.Della prima parte del Notiziario ritengoopportuno segnalare innanzitutto unostudio di Sergio Romano su “I Trattati diLocarno ottant’anni dopo” che, sotto-scritti nella cittadina elvetica da GranBretagna, Francia, Germania e Italia,posero le basi per la riconciliazionefranco - tedesca dopo la prima guerramondiale, con il riconoscimento daparte tedesca della nuova frontiera conla Francia e il Belgio come tentativo, fal-lito, di riportare la pace in Europa; ten-tativo poi ripreso a Parigi nel 1951 conla firma del Trattato CECA, che è allabase delle attuali istituzioni europee.Di grande interesse è anche la pubblica-zione del recente intervento presso lasala “Besta” della BPS del noto scrittoretriestino Claudio Magris su “Alla cieca,delirio tra i gorghi della storia”, l’ultimosuo libro che, come dice il cavaliere del

lavoro Piero Melazzini, Presidente dellaBPS, “è un romanzo complesso, a piùvoci, in cui si intrecciano gli orrori delNovecento, dai lager nazisti ai gulag diTito”.Nella parte del Notiziario dedicata adeconomia e finanza tro-vano spazio due servizitra loro complementari:il primo, a firma LuigiSpaventa, tratta di“L’anomalia Italia - er-rori vicini e lontani” ecerca di dare una rispo-sta al perché l’Italia negliultimi dieci anni haperso un terzo delleesportazioni del com-mercio mondiale; il se-condo - “Contro il de-clino, possibili ricetteper le imprese italiane” -a firma Mario Deaglio,cerca di indicare solu-zioni al declino economico - politico delnostro Paese.Nel settore Provincia ieri e oggi FrancoMonteforte ci ricorda le vicende stori-che che portarono, nel 1797, con il de-creto napoleonico di Passariano (Udine)alla annessione della Valtellina alla Re-pubblica Cisalpina e al distacco dai Gri-gioni; ma c’è anche un racconto diMarco Foppoli che, come dice lo stesso

Monteforte, ci ripropone una rivisita-zione fantastica di tali vicende “immagi-nando una Valtellina cantone svizzero”.Tragicamente originale è la documenta-zione fotografica che Cesare Bedognè fadello sfacelo in cui si trova l’ex sanatorio

di Prasomaso nel servizio“Prasomaso fra luci e om-bre”. Un lavoro fotogra-fico che fa meditare eche induce a tristi consi-derazioni sulla inadegua-tezza di gran parte dellanostra classe dirigentedegli ultimi decenni …Luisa Bonesio ci guidaalla scoperta di Engadinae Bregaglia attraverso ilmondo artistico e intel-lettuale che ha “scoperto”tali vallate alpine.Alessandro Melazzini èl’autore di una interes-sante intervista al prof.

Joachim Fest, noto storico tedesco con-servatore dal cui libro “La disfatta” è statotratto il film “Der Untergang” (La ca-duta) sugli ultimi giorni di Hitler, uscitoin occasione dei sessant’anni dalla finedella seconda Guerra Mondiale. Dall’in-tervista emerge, tra l’altro, il pessimismodi Fest circa il futuro dell’Europa.Questo e molto altro si può trovare sulNotiziario.

R E C E N S I O N I

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LITOGRAFIA - TIPOGRAFIAVia Vanoni, 79 - 23100 SONDRIO - Tel. 0342.51.31.96 - Fax 0342.51.91.83

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23100 Sondrio, Via XXV Aprile - Tel. 0342 512303

dal 1925

da allora tante cosesono cambiate,ma non i valori:

competenza, serietà,riservatezza

ORO - ARGENTO

VERGOTTINI ORO "da allora" 27-04-2005 17:31 Pagina 1

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