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R A S S E G N AR A S S E G N A D ID I B L O G L O B A LB L O G L O B A L
O S S E R V A T O R I OO S S E R V A T O R I O D ID I P O L I T I C AP O L I T I C A I N T E R N A Z I O N A L EI N T E R N A Z I O N A L E
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B l o G l o b a l W e e k l yB l o G l o b a l W e e k l y
W W W . B L O G L O B A L . N E T
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CINA/STATI UNITI - Il Presidente cinese XiJinping, dopo aver visitato Trinidad e Tobago ed aver qui
siglato accordi che hanno rafforzato economicamente il rapporto bilaterale, il 2 giugno è arrivato in
Costa Rica. A San José ha firmato diversi patti bilaterali, che riguardano in particolare il finanziamento
delle infrastrutture locali e l’incremento degli scambi commerciali. Due giorni dopo, Xi, giunto in Messi-
co, ha annunciato, al fianco del suo omologo Enrique Pena Nieto, l’upgrading delle relazioni tra i due Paesi, descrivendole pronte
per essere portate ad un nuovo livello, quello del partenariato strategico. Il Presidente messicano, da parte sua, ha concordato
sulla necessità di un rafforzamento dei legami bilaterali, affermando che la cooperazione sino-messicana è ora entrata in una
nuova fase. I due leader hanno firmato una decina di protocolli di intesa e accordi di cooperazione economico-finanziaria in setto-
ri quali quello minerario, dell'energia, dell’istruzione e delle infrastrutture. La tappa successiva di Xi, la più importante, è stata la
M O N D O - F o c u s
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dove, in vesti informali, è stato accolto dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama. La due giorni di colloqui “sinceri ed one-
sti” si è incentrata su temi di alto profilo, tra cui la sicurezza informatica ha giocato un ruolo di assoluto primo piano. Di fronte al
disagio nuovamente espresso da Xi a proposito del “perno” strategico di Washington verso l'Asia e il complessivo riequilibrio mili-
tare delle forze statunitensi verso il Pacifico, Obama avrebbe infatti risposto spostando il focus del dibattito, invitando Pechino ad
agire con solerzia contro i responsabili degli attacchi informatici provenienti dal territorio cinese e diretti verso gli Stati Uniti.
Nella conferenza stampa a margine del summit, Xi e Obama hanno riconosciuto la necessità di migliorare le relazioni bilaterali e,
a proposito della cybersecurity, Xi ha respinto le accuse, sottolineando che è invece la stessa Cina ad essere vittima di attacchi.
Nel corso della settimana, infatti, un alto funzionario cinese aveva accusato gli Stati Uniti di aver sottratto “montagne di dati” dai
computer cinesi. Obama ha sostenuto comunque l’idea di Xi di avviare una “cooperazione pragmatica” su tale importante proble-
matica. A Washington, tuttavia, i toni erano rimasti alti nel corso di tutta la settimana, soprattutto dopo che il Congresso america-
no era stato informato che alcuni hacker cinesi avrebbero ottenuto l’accesso ai piani di progettazione per sistemi d’arma
statunitensi, come l'F-35 Joint Strike Fighter; il fatto è stato prontamente negato da Pechino. Inoltre, sempre a margine del
meeting bilaterale, Obama e Xi hanno annunciato di voler rafforzare non solo i legami economici, ma anche gli aspetti culturali
della relazione sino-americana, intensificando in particolare gli scambi di persone a livello locale. Intanto, mentre Washington e
Pechino si scambiavano accuse sulla cybersecurity, un Obama “assolutamente entusiasta” ha ufficializzato la nomina a Consi-
gliere per la Sicurezza Nazionale della sua “consulente di fiducia” di lunga data, l’ormai ex Ambasciatrice alle Nazioni Unite Su-
san Rice. La Rice, che negli ultimi mesi era stata spesso presa a bersaglio dalle critiche dei repubblicani in relazione all’attacco
terroristico dello scorso anno a Bengasi (che le è costato il posto come Segretario di Stato nel secondo mandato di Obama), suc-
cederà a Tom Donilon. Alle Nazioni Unite andrà, invece, un’altra donna: Samantha Power, fino ad oggi Consigliere di politica
estera del Presidente.
SIRIA - Mentre la diplomazia internazionale si muove lentamente verso la preparazione della Confe-
renza di pace a Ginevra (anche se l’inviato ONU in Siria, Lakhdar Brahimi, ha dichiarato che sicura-
mente si terrà nel mese di luglio) anche a causa dell’incertezza delle reali forze in campo e, in parti-
colare, dell’utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad (cosa confermata da Francia e Gran
Bretagna che stanno spingendo per un coinvolgimento diretto nel conflitto), non si arresta la battaglia sul territorio: lo scorso 5
giugno, anche grazie al sostegno delle milizie di Hezbollah, le forze lealiste hanno annunciato di aver riconquistato la città e
l’intera regione di Qusayr, punto di congiuntura strategico tra Siria e Libano e che mette in collegamento il nord e il sud del Pae-
se, aprendo così la strada ad Homs dove i ribelli mantengono il controllo di diversi quartieri. La disfatta di Qusayr, che evidenzia
quanto il regime di Assad sia ben lontano dal cadere, ha immediatamente prodotto i primi effetti: le forze di opposizione hanno
immediatamente attaccato Baalbek, città del Libano nella Valle di Beqaa, una delle roccaforti del “Partito di Dio”: Ma lo scenario
bellico non sembra essersi esteso al solo Libano, ma rischia ora di contagiare anche le alture del Golan, territorio israelia-
no che, dopo la recente fortificazione voluta da Netanyahu, è tornato ad essere teatro di rappresaglie che negli ultimi giorni sono
cresciute di intensità: il 6 giugno i ribelli siriani hanno lanciato un attacco contro il valico di Quneitra (l’unico lungo la linea di
confine tra Siria e Israele), prendendone il controllo per alcune ore, prima che l'esercito di Damasco lo riconquistasse. L’instabilità
dell’area - che ha portato Tel Aviv a dichiarare il lato israeliano del valico “zona militare chiusa” - e il ferimento negli scontri di un
peacekeeper filippino appartenente alla missione UNDOF dell'ONU, hanno indotto il governo austriaco a ritirare i propri 377
caschi blu dal Golan: in una nota congiunta del cancelliere Werner Fayman e del Ministro degli Esteri Michael Spindelegger,
Vienna ha spiegato che "lo sviluppo della situazione mostra che non può essere più giustificata un'ulteriore attesa". Alla proposta
russa di rimpiazzare il contingente danubiano, il Palazzo di Vetro ha risposto negativamente, spiegando che "l'accordo conclu-
so tra la Siria e Israele non permette più ai membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di partecipare alle Forze di os-
servazione". Ma la sempre maggiore preminenza russa nel conflitto siriano non è visibile solo da questa richiesta e dalla discussa
fornitura al regime di Assad di batterie anti-missili S-300 (o ancora di sofisticati missili da crociera Yakhont), ma anche dalla
recente decisione di Vladimir Putin di tornare a posizionare per la prima volta dopo decenni la flotta Russian Pacific nel Medi-
terraneo in corrispondenza del porto siriano di Tartus. La task force - che al momento include la grande nave antisottomarino
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Severomorsk, la fregata Yaroslav Mudry, i rimorchiatori Altai e SB-921 e il tanker Lena delle Flotte Northern e Baltic, cosi come la
nave per il trasporto delle truppe, la Azov dalla flotta del Mar Nero, e che potrebbe essere incrementata con sottomarini atomici
come dichiarato dall'Ammiraglio Navale Viktor Chirkov - risponde evidentemente non solo alla necessità di fronteggiare il radicali-
smo islamico proveniente dal Caucaso settentrionale che secondo l’FSB russa agirebbe di fianco ai ribelli siriani, ma anche il
possibile intervento occidentale dopo che gli Stati europei hanno deciso di sollevare l’embargo alle armi per l’opposizione
siriana. Secondo il Washington Post, Russia e Iran fornirebbero al regime di Assad anche droni, sistemi di tracciamento anti-
artiglieria - che consentono di localizzare da dove parte il fuoco nemico - e sistemi per il disturbo delle comunicazioni, fattori che
spiegherebbero la rapida riconquista di varie parti del territorio. Nonostante la cautela sia sul piano diplomatico sia su quello ope-
rativo, è sulla base di ciò che gli Stati Uniti starebbero pianificando di dispiegare batterie di missili Patriot lungo il confine
giordano e di rifornire Amman di F16 che potrebbero essere utilizzati per far rispettare una no fly zone sulla Siria stessa.
TURCHIA - Da due settimane Istanbul, Ankara, Smirne, Adana, Gaziantep e altre 47 città del Paese
sono state invase da accese manifestazioni contro le politiche conservatrici del Primo Ministro
Recep Tayyip Erdoğan. Le proteste – costate finora la vita a quattro persone, provocato circa 5.000
feriti e oltre 1.700 arresti da parte della polizia turca – hanno unito manifestanti di varia estrazione
politica ed età – dai nazionalisti agli ambientalisti, dagli islamisti moderati agli ultras delle squadre di calcio cittadine, fino addirit-
tura agli attivisti curdi – che contestano al Premier un esercizio autoritario del potere e una tendenza a voler islamizzare i
costumi tradizionalmente laici della Turchia. “Questo risveglio di coscienze” – così sono state definite dal quotidiano turco in
lingua inglese Hürriyet le manifestazioni in corso – è iniziato il 27 maggio scorso a Istanbul tra Beşiktaş, Piazza Taksim e Gezi
Park e ha visto protagonista proprio questa piccola area verde nel centro della città che nelle intenzioni del governo e delle autori-
tà locali dovrebbe essere abbattuta per fare spazio ad un centro commerciale e ad una moschea. Così da una manifestazione
pacifica a difesa del parco cittadino si è passati rapidamente ad una vera e propria contestazione politica nei confronti del gover-
no di Erdoğan. A nulla sono valse le scuse del Vice Premier Bulent Arinç per l’atteggiamento violento delle forze dell’ordine, né le
parole di distensione del Presidente della Repubblica Abdullah Gül. Non sono valsi a nulla neanche gli appelli alla calma e alla
moderazione lanciati dallo stesso Premier prima e dopo il suo viaggio di 4 giorni nel Maghreb. Intanto il partito AKP, di cui Erdo-
ğan è il principale esponente, sta provando ad organizzare ad Ankara un contro–raduno a favore dell’esecutivo. Se gli avveni-
menti di Gezi Park sono stati la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso, le proteste di questi giorni sono figlie degli
avvenimenti accaduti nel Paese negli ultimi due anni. Infatti il divieto di vendere alcolici in pubblico dopo dalle 22 fino alle 6
del giorno seguente, la proposta di legge sull’aborto illegale, gli arresti arbitrari di giornalisti, artisti, intellettuali e militari rei di ordi-
re un presunto golpe per sovvertire lo Stato – queste sono le accuse nei confronti degli indagati nei processi Ergenekon e Balyoz
–, nonché tutta una serie di leggi – ritenute liberticide dalle opposizioni – stanno favorendo un approccio alla protesta di tipo politi-
co e anti-governativo.
UNIONE EUROPEA/CINA - Tra Bruxelles e Pechino è iniziata una guerra doganale dagli esiti davvero
imprevedibili. Lo scorso 5 giugno la Cina ha lanciato un'indagine anti-dumping e anti-sussidi con-
tro il vino europeo. La decisione, annunciata dal Ministero del Commercio cinese, arriva in risposta
all'imposizione da parte della Commissione europea di dazi provvisori anti-dumping nei con-
fronti degli esportatori cinesi di pannelli solari (dell'11,8% per i primi due mesi e del 47,6% a parti-
re dal 6 agosto prossimo). Contro la decisione europea è insorta l'associazione dei produttori di vino e alcolici di Pechino che ha
richiesto di incrementare le imposizioni fiscali sulle importazioni di vino dall'Europa, in quanto da tempo l’UE sussidierebbe
l’import di alcolici in Cina tenendo così un prezzo sul mercato orientale molto basso. Accuse tuttavia respinte con forza da Bruxel-
les ritenendo invece le azioni promosse dall’UE come dei “regolari cofinanziamenti previsti dalle regole internazionali del WTO”.
L’iniziativa di Pechino sembrerebbe essere una ripicca nei confronti della recente misura intrapresa dall’Unione sul fotovol-
taico cinese e difesa dal Commissario al Commercio, l’olandese Karel De Gucht, come un’azione non protezionistica e definita
invece “una soluzione utile a far rispettare le regole perché secondo l’UE i produttori cinesi vendono in Europa sottocosto – (circa
l’88% rispetto al prezzo reale) – mettendo a rischio 25mila posti di lavoro”. Nonostante la visita nei giorni scorsi del Premier cine-
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Li Keqiang a Berlino con la Cancelliere Angela Merkel e le rassicurazioni di quest’ultima per evitare tensioni con l’importante par-
tner commerciale, l’esecutivo europeo non ha fatto retromarcia e ha deciso di portare avanti questa procedura definita però
dall'Organizzazione mondiale del Commercio come “discriminatoria” e “contraria alle normative del WTO”. Come hanno
fatto notare alcuni analisti la scelta di Pechino di imporre dazi sul settore enoico, e non ad esempio su quello automobilistico, sa-
rebbe un modo per non colpire direttamente la Germania che più di tutti i Paesi membri dell’UE si sta battendo per ricucire lo
strappo con la Cina e che verrebbe colpita solo marginalmente dalle misure anti-dumping non essendo la viticultura una delle
principali attività produttive tedesche. Le prime controversie tra Cina e UE in materia commerciale risalgono al 9 febbraio
2008 quando Bruxelles introdusse dazi doganali su viti e bulloni provenienti dal Paese asiatico accusato di inondare i mercati
europei con prodotti meccanici inferiori per prezzo a quelli della materia prima. Tecnicamente i dazi possono restare in vigore per
un massimo di sei mesi e possono anche essere interpretati come mezzo di pressione per arrivare a un compromesso negoziale.
Tuttavia, in caso di mancato accordo nelle trattative, entro dicembre le parti dovranno decidere se prolungare le sanzioni fino a un
massimo di cinque anni.
UNIONE EUROPEA/RUSSIA - Il 3 e 4 giugno si è svolto a Ekaterinburg, negli Urali, il 31esimo summit
bilaterale UE-Russia. Agli incontri hanno preso parte il Presidente russo Vladimir Putin, il Ministro
degli Esteri Sergey Lavrov, il Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, il Presidente
della Commissione europea Josè Manuel Barroso e l'Alto rappresentante per la Politica Estera e la
Sicurezza UE Catherine Ashton. Hanno partecipato inoltre il Commissario europeo per l'Energia Gun-
ther Oettinger e i Ministri russi di Giustizia Alexander Konovalov, dell’Energia Alexander Novak e dell’Economia Andrei Belousov.
Al centro dell’atteso vertice - definito dal quotidiano Kommersant come “uno dei più difficili degli ultimi anni” - vi sono stati i temi
energetici, la crisi siriana, lo stato dell’economia globale e le relative attività da assumere in sede di G-20. Nonostante la mole dei
dossier trattati, il summit ha difatti partorito solo la firma di un accordo di cooperazione contro il traffico di sostanze chi-
miche, che se non tracciate adeguatamente, possono essere utilizzate per la produzione di droga; al contrario non si è voluto
affrontare nel concreto i temi di più stretta attualità internazionale come la crisi siriana per evitare di incrinare ulteriormente
sia il fronte europeo - diviso in merito alla fornitura di armi da parte dei singoli Stati membri dell’UE ai ribelli - sia quello internazio-
nale che vede la Russia sempre più schierata a favore dell’alleato damasceno e tra i promotori con gli Stati Uniti della Conferenza
internazionale di pace che dovrebbe svolgersi in luglio a Ginevra. Da diversi mesi i rapporti politici tra Mosca e Bruxelles stanno
vivendo una dura fase di crisi, evidenziati anche dall'ultimo summit di dicembre a Bruxelles nel corso del quale le due diplomazie
si sono reciprocamente accusate di scorrettezze nei confronti del supporto ai ribelli e alle forze lealiste siriane. Tuttavia il deterio-
rarsi delle relazioni russo-europee hanno un’origine ben precisa: il ritorno al Cremlino di Putin (marzo 2012). Infatti Bruxelles ha
denunciato variamente sia le numerose violazioni dei diritti umani avvenute durante la scorsa campagna elettorale russa nei
confronti di minoranze e comunità omosessuali nel Paese, sia la repressione politica di ogni forma di dissenso da parte
dell’establishment moscovita. Oltre al dossier siriano e ai diritti umani, i temi di maggiore attrito tra Russia e UE sono l’energia
e l’abolizione dei visti. Per quanto riguarda il primo aspetto permangono le maggiori divergenze in quanto la Russia critica la
legislazione comunitaria e, in particolare, il cosiddetto terzo pacchetto energetico, misura, questa, che prevede la separazione
della produzione energetica dalla distribuzione e che sarebbe una mossa UE in funzione anti-Gazprom, il monopolista del gas in
Russia e in molti Paesi dell’Europa Orientale. Passi in avanti, invece, pare siano stati compiuti sulla questione riguardante la libe-
ralizzazione dei visti, che dovrebbe avvenire entro il 2014 e che permetterà a circa 2,5 milioni di lavoratori e cittadini russi di acce-
dere con più facilità all'area Schengen, creando un impatto più che positivo sull’economia di entrambi. Sebbene dunque i rapporti
politici siano diventati difficili, le relazioni economico-commerciali invece sono più che ottime. Secondo i dati diffusi recente-
mente da Eurostat, dopo la flessione del 2009, l’interscambio commerciale UE-Russia è tornato a crescere nel 2012: l’export ha
toccato i 123 miliardi di euro, mentre l’import è salito a quota 213 miliardi. Ad incidere negativamente sul deficit della bilancia com-
merciale sono le importazioni energetiche che da sole valgono 163 miliardi, circa tre quarti del totale. Tra i ventisette la Germania
resta al primo posto sia nel settore export che in quello import, rispettivamente con 38 e 40 miliardi. L’Italia, dal canto suo, esporta
per 10 miliardi e ne importa più di 18.
AFRICA, 27 maggio – In occasione del 50esimo anniversario dell’Unione Africana e del relativo Vertice tenutosi ad Addis Abeba, il
Primo Ministro etiope e Presidente dell’Organizzazione, Hailemariam Desalegn, ha annunciato la creazione di una nuova forza di
pace continentale africana: l’African Capacity for Immediate Response to Crises (ACIRC), la quale, come recita il testo finale,
avrà l’obiettivo di “rispondere ai problemi africani con soluzioni africane”, soprattutto se si considera che ad un aumento di scenari
di instabilità è anche corrisposto un graduale ridimensionamento della presenza delle Nazioni Unite sul territorio. Proposto già da
tempo dal Presidente sudafricano Jacob Zuma con l’appoggio soprattutto da parte della stessa Etiopia e dell’Uganda, il nuovo
contingente sarà basato sulla “contribuzione volontaria” di truppe, equipaggiamenti e fondi e dovrebbe costituire una misura tem-
poranea in attesa della realizzazione della vera e propria African Standby Force (ASF) in ambito UA, la cui operatività, dopo i rin-
vii del 2010 e dell’anno in corso, dovrebbe attuarsi nel 2015.
CAMBOGIA, 30 maggio – A trent’anni di distanza dal regime dei Khmer Rossi - sotto la cui dittatura, secondo le stime ufficiali, sa-
rebbero state uccise circa 2 milioni di persone (il vicino vietnamita parla anche di 3 milioni) - il numero due di Pol Pot e ideologo
del potere, Nuon Chea, ha per la prima volta ammesso le proprie responsabilità nelle deportazioni e massacri avvenuti tra il 1975
e il 1979. Agli arresti dal 2007 e di fronte ai giudici speciali delle Camere straordinarie del Tribunale della Cambogia (ECCC) dal
2011, “Fratello numero due” ha rivolto le sue “sincere scuse” alle vittime, ribadendo tuttavia di non essere stato al corrente, all'e-
poca, della “grande sofferenza” della popolazione e di non aver avuto, “almeno dal punto di vista esecutivo”, alcun potere decisio-
nale. Come Chea, anche Khieu Samphan - Presidente della “Kampuchea democratica” (il nome che i Khmer Rossi avevano dato
al loro regime politico) - ha espresso “sincere scuse per l'accaduto”. Dal 2004, anno dell’istituzione dell’ECCC, l’unica sentenza
emessa è quella dell’agosto 2012 nei confronti di Kaing Guek Eav, meglio conosciuto come "Duch", ex direttore del centro di Tuol
Sleng - il liceo trasformato in prigione e luogo per torture e interrogatori dove venivano rinchiusi gli oppositori e i nemici del regime
-, condannato all’ergastolo in quanto autore di crimini “tra i più efferati contro l’umanità”. Veti incrociati ed ingerenze politiche in un
organismo per larga parte formato da giudici cambogiani, rende infatti difficile la prosecuzione dei lavori del Tribunale.
ETIOPIA/EGITTO, 29 maggio – Il governo di Addis Abeba ha dato ufficialmente avvio alla costruzione di una diga, la Millenium Dam,
che devierà il corso del Nilo Azzurro. L’opera, in parte avviata da alcuni anni, sarà finanziata da capitali cinesi ed europei e coste-
rà quasi 5 miliardi di dollari; altri 12, invece, verranno impiegati per la costruzione della più grande centrale idroelettrica del conti-
nente, la quale avrà una capacità da 6 mila megawatt e sarà in grado di coprire gran parte del fabbisogno energetico etiope.
L’opera permetterà al Paese (da cui provengono l’85% delle acque del Nilo) di rilanciare la propria economia nel settore agricolo
e industriale e di farlo divenire un strategico hub energetico per la regione dell’Africa orientale. Il progetto desta grandi preoccupa-
zioni al Cairo e a Khartoum, attori particolarmente interessati dalla costruzione della diga perché una deviazione del corso del
fiume potrebbe creare una crisi idrica e agricola nei due Paesi. Se il Presidente Morsi ha cercato di calmare i toni già aspri tra i
due Paesi, il suo consigliere Ayman Alì ha affermato che qualora il progetto dell'Etiopia dovesse nuocere “gli interessi egiziani
saranno aperte sul tavolo tutte le opzioni possibili per risolvere la questione del Nilo”. Pronta la risposta del governo di Addis Abe-
ba che per voce del Ministro delle Miniere e dell’Energia, Alemayehu Tegenu, ha affermato che “la costruzione della diga darà
benefici a tutti i Paesi rivieraschi, mostrando come si fa a sfruttare in modo giusto ed equo il flusso del fiume senza danneggiare
nessuno”. La gestione delle acque del Nilo, da sempre motivo di tensione tra Egitto, Sudan e gli altri Stati del bacino (Burundi,
Uganda, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Kenya, Etiopia, Eritrea) viene regolato da un accordo del 1929,
firmato da Regno Unito ed Egitto che lasciava a quest’ultimo e Sudan la gestione quasi esclusiva delle acque del fiume (circa il
75%) mentre permetteva ai Paesi dell’Africa orientale di prelevare solo il 3% delle stesse.
ITALIA/EUROZONA, 29 maggio – La Commissione europea ha dato il via libera alla chiusura della procedura per deficit eccessivo
(EDP) contro l'Italia avviata nell’ottobre del 2009 quando il rapporto disavanzo/PIL aveva raggiunto il 5,3% rispetto al limite del 3%
fissato da Maastricht. Per il 2012 Bruxelles stima infatti un nuovo rapporto del 3%, mentre per il 2013 del 2,9%, cosa che aprireb-
be dunque a nuovi investimenti pubblici produttivi cofinanziati dalla stessa UE, che potrebbero essere scomputati dal calcolo del
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disavanzo. Roma resta ad ogni modo una “sorvegliata speciale” che, come da Raccomandazioni dell’esecutivo europeo, deve
proseguire sulla strada delle riforme strutturali rendendo soprattutto più flessibile il mercato del lavoro, spingendo sulle liberalizza-
zioni, snellendo la burocrazia e riformando la giustizia civile per dare più certezza agli investitori. Lo stato di salute della nostra
economia non conosce tuttavia un effettivo miglioramento: l’OCSE ha nuovamente rivisto al ribasso le prospettive di crescita per
l’Italia individuando nella stretta creditizia e nel rigore di bilancio le principali cause della prolungata recessione. L'organizzazione
attende una contrazione del PIL dell'1,8%, in peggioramento rispetto alla contrazione dell'1,5% attesa solo all’inizio di maggio;
solo tre Paesi - Grecia (-4,8%), Portogallo (-2,7%) e Slovenia (-2,3%) - faranno peggio dell'Italia. Meglio di noi anche la Spagna (-
1,7%). E anche la ripresa del 2014 sarà più timida di quanto previsto finora: +0,4% rispetto allo 0,6% di novembre e allo 0,5%
d'inizio maggio. E mentre l’OCSE rivede al ribasso anche la crescita della complessiva Eurozona (dallo 0,1% al -0,6%) insieme
con quella degli USA e della Cina, il Fondo Monetario Internazionale ha ammesso di aver sottovalutato i danni delle misure di
austerità prescritte nel piano di salvataggio concesso alla Grecia: in un documento confidenziale pubblicato dal Wall Street
Journal si evince che il FMI è stato troppo ottimista sulle prospettive non solo economiche di Atene ma anche sulla capacità del
governo locale di tornare ad accedere al mercato dei capitali.
GIAPPONE/INDIA, 29 maggio – Il Premier nipponico Shinzo Abe ha ricevuto l’omologo indiano Manmohan Singh, quest’ultimo già
reduce da una visita in Thailandia durante la quale ha firmato diversi accordi riguardanti l’estradizione, la cooperazione in ambito
di riciclaggio del denaro sporco e di finanziamenti al terrorismo e, infine, le relazioni bilaterali commerciali con l'invito al settore
privato thailandese di partecipare al progetto di modernizzazione delle infrastrutture indiane soprattutto nei corridoi industriali di
Delhi-Mumbai e Chennai-Bangalore. L’incontro di tre giorni a Tokyo è stata altresì l’occasione per firmare una dichiarazione con-
giunta sul rafforzamento della partnership strategica globale con particolare riferimento, naturalmente, alla sicurezza nell’Asia-
Pacifico in vista di un progressivo contenimento dell’influenza - soprattutto marittima - della Cina. È sulla base di ciò che le contro-
parti hanno stabilito di intensificare la cooperazione in materia di Difesa, comprese dunque le esercitazioni tra le due Marine,
quelle tra le guardie costiere e, più in generale, la cooperazione bilaterale sui problemi marittimi. I due Premier hanno inoltre mo-
strato l’intenzione di accelerare le trattative per il raggiungimento di un accordo in materia di cooperazione civile nucleare ribaden-
do, peraltro, il reciproco impegno nella progressiva eliminazione delle armi nucleari. Un successo diplomatico, dunque, che po-
trebbe condurre Abe - come egli stesso ha detto - a rifornire New Delhi di aerei U-2, anfibi e tecnologie avanzate, nonché a contri-
buire con adeguati supporti finanziari alla realizzazione del corridoio Chennai-Bangalore. Tokyo dovrebbe infine aprire una linea
di credito di 101,7 miliardi di yen per altri progetti infrastrutturali, quali la costruzione della metropolitana e la ristrutturazione delle
università di ingegneria. Il Paese del Sol Levante il 7 giugno ha ospitato anche il Presidente francese Hollande, il quale ha espres-
so il proprio apprezzamento per il nuovo programma economico giapponese, il cosiddetto “Abenomics”, aggiungendo che “la poli-
tica monetaria dev’essere al servizio dell’economia reale”. L’inquilino dell’Eliseo ha affermato che Francia e Giappone "hanno un
ruolo importante da giocare per la pace", proponendo quindi che Tokyo diventi membro permanente del Consiglio di Sicurezza.
NATO/AFGHANISTAN, 31 maggio – A margine del summit alla Casa Bianca, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, e il Se-
gretario Generale della NATO, Anders F. Rasmussen, hanno annunciato che il prossimo anno si terrà un vertice speciale
sull’Afghanistan con lo scopo di chiudere definitivamente la missione combat delle truppe ISAF a guida NATO. Entrambi hanno
poi concordato sul fatto che tutti i membri dell’Alleanza Atlantica devono oggi continuare a lavorare a stretto contatto con le istitu-
zioni afghane per far sì che le Forze Armate locali siano davvero pronte ad assumersi pienamente la responsabilità del manteni-
mento della sicurezza del Paese dal 2014. Tuttavia, ciò non significherà un ritiro completo della NATO dall’Afghanistan. Rasmus-
sen ha infatti dichiarato che gli Alleati “saranno ancora lì per addestrare, consigliare e assistere. A tal fine, stiamo preparando una
missione di addestramento che partirà dal 2015. Sarà una missione molto diversa, una missione non-combat con un numero si-
gnificativamente inferiore di truppe rispetto ad ISAF”. Alcuni giorni dopo, il 5 giugno, i Ministri della Difesa dei Paesi membri della
NATO, affiancati dai loro omologhi dei 22 Paesi non-NATO che contribuiscono ad ISAF, hanno quindi approvato il “concetto” det-
tagliato per questa nuova missione. Il Segretario Generale ha ribadito che “la nuova missione, pur avendo un altro nome, non
sarà un’altra ISAF”. Ha inoltre annunciato che la missione avrà un approccio regionale ed utilizzerà cinque basi; oltre a quella di
Kabul, ve ne sarà una per ciascuna area: a nord, a ovest, a sud e ad est.
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DA PECHINO A MOSCA FINO AD ANKARA: IL GRUPPO DI SHANGHAI ARRIVA ALLE PORTE D’EUROPA
di Federica Castellana – 30 maggio 2013
Lo scorso aprile la Turchia è entrata a far parte come “partner di dialogo” della Shanghai Coope-
ration Organization (SCO), nota anche come Gruppo di Shanghai, che riunisce diversi Paesi dell’Asia
Centrale. Membri ufficiali sono Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan e in qua-
lità di osservatori vi partecipano Afghanistan, India, Iran, Mongolia e Pakistan. Oltre alla new
entry turca, sono titolari dello status particolare di dialogue partner la Bielorussia e lo Sri Lanka. Con
la firma del Memorandum di Cooperazione (avvenuta il 26 aprile ad Almaty, Kazakistan, dopo circa due anni di trattative) Ankara
compie il primo passo verso l’ingresso vero e proprio nel Gruppo aprendosi ad una realtà nuova e importante sebbene ancora
in definizione. La SCO è un’organizzazione intergovernativa relativamente giovane. Fondata nel 1996 a Shanghai in un’ottica
principale di sostegno militare, nel 2001 è stata modificata e potenziata a livello sia di struttura sia di campo d’azione: alla coope-
razione regionale in materia di sicurezza – che resta prioritaria – sono stati affiancati lo sviluppo economico e la collaborazione
culturale, scientifica e tecnologica. [continua a leggere sul sito]
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LIBERTÀ DI STAMPA IN AFRICA: CHI SALE E CHI SCENDE
di Andrea Marras – 28 maggio 2013
Il 3 maggio si è festeggiato la giornata della libertà di stampa. All’interno dei quotidiani e dei telegiornali
si è parlato della situazione italiana – sempre ben al di sotto degli standard europei – e, sebbene in
misura minore, anche di ciò che avviene all’estero: soprattutto per quanto riguarda il Vicino Oriente vi
sono stati importanti riferimenti alla situazione in Siria, dove dall’inizio della guerra molti reporter e cro-
nisti sono stati imprigionati, torturati e uccisi dalle forze governative (secondo ilDoha Centre for Media Freedom sarebbero morti in
due anni circa 110 giornalisti siriani e stranieri, l’ultima un’inviata della tv di Stato Al-Ikhbariya proprio il 27 di maggio); mentre, per
quanto riguarda il Medio Oriente, si è parlato di Iran – ormai in prossimità delle elezioni – dove decine di giornalisti si trovano agli
arresti, colpevoli di aver violato la censura e di aver collaborato con testate estere. Come in altre occasioni, invece, non è stato
dato il giusto spazio al continente africano nonostante ci siano stati importanti cambiamenti. I dati che presentiamo e sui
quali si è discusso sono quelli divulgati lo scorso gennaio da Reporters Sans Frontiers, una ONG che si occupa di tutelare la liber-
tà di stampa nel mondo. [continua a leggere sul sito]
ARABIA SAUDITA “WESTERN-STYLE”: SE “IN UN WEEK END” PUÒ CAMBIARE (QUASI) TUTTO
di Giuseppe Dentice – 4 giugno 2013
Lo scorso 22 aprile il Consiglio Consultivo della Shura, la Camera bassa del Parlamento saudita, avreb-
be raccomandato al Governo la decisione di spostare le date corrispondenti al fine settimana, fa-
cendole passare dal giovedì e venerdì al venerdì e sabato, con l’intento di “guadagnare” un giorno
lavorativo. Secondo le prime ricostruzioni della stampa araba, la proposta sarebbe nata su iniziativa di
alcuni imprenditori ed economisti locali i quali, sulla base di alcune statistiche di rendimento nazionale,
hanno notato come l’attuale struttura della settimana, e dunque il fatto di condividere con i Paesi occidentali solo tre giorni lavora-
tivi, provocherebbe ricadute negative sull’economia per oltre un miliardo di dollari l’anno. La proposta di operare questa
sorta di nuova calendarizzazione riguarda ad ogni modo solo il settore pubblico, visto che la quasi totalità delle grandi aziende
private saudite hanno adeguato i propri standard al “modello occidentale”. Tra tutti i Paesi islamici solo Yemen e Afghanistan,
oltre all’Arabia Saudita, hanno il giovedì e il venerdì come giorni conclusivi della settimana. [continua a leggere sul sito]
di Luigi Porceddu
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LUCI ED OMBRE DI UN BRASILE ECO-SOSTENIBILE
di Martina Vacca – 6 giugno 2013
La stabilità politica, la diversificazione economica e delle esportazioni, un parco industriale vario e ca-
ratterizzato da piccole e medie imprese predisposte ad interagire con gli operatori esteri, fanno del Bra-
sile un mercato fortemente attrattivo per l’Europa, nonostante le attuali politiche protezionistiche del
Governo che scoraggiano le importazioni, incentivando invece la produzione in loco. E’ un panorama
imprenditoriale multiculturale quello che caratterizza il Brasile, dove la missione delle aziende estere si
è concentrata sui maggiori settori trainanti, nelle varie aree del Paese: a San Paolo hanno conosciuto gran successo i progetti su
energia, edilizia e legno; a San Jose Dos Campos i maggiori affari hanno coinvolto l’aeronautica; a Santos il settore oil & gas e
quello della logistica cercano di dare luogo a nuove sfide; a Belo Horizonte la meccanica sta mostrando notevoli passi avanti in
quanto ad attrezzature, prodotti, servizi e tecnologie; a Curitiba l’agroindustria e le biotecnologie stanno prendendo piede e in
particolar modo il fenomeno dell’Italian Souding. Sono innumerevoli infatti, i prodotti alimentari con brand di origine italiana.
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L E V I G N E T T E D I B L O G L O B A L
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BloGlobal Weekly N° 19/2013 è a cura di Maria Serra,Giuseppe Dentice e Davide Borsani.