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Dall'intersoggettività infantile alla comunicazione c

Date post: 20-Jul-2015
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1 Dall’intersoggettività infantile alla comunicazione Stein Bråten e Colwyn Trevarthen Da: Bråten, S. (ed.), On Being Moved. From Mirror Neurons to Empathy, Amsterdam/Philedelphia, John Benjamins Publishing Company, 2007 Negli ultimi decenni la storia dell’infanzia umana che era stata raccontata dai filosofi e dalle scienze mediche ha dovuto essere riscritta. Al posto dell’idea che il bambino sia a-sociale ed ego-centrico, c’è una nuova comprensione del fatto che ogni essere umano viene al mondo dotato di un vivace talento per la comunione interpersonale. L’opinione positiva di molti genitori ha ricevuto numerose conferme da attente ricerche e osservazioni. Così, micro-analisi di proto-conversazioni con neonati di due mesi hanno rivelato che essi sono dotati di un sistema cerebrale che permette la percezione diretta di interesse e sentimento in un’altra persona, e una sintonizzazione dialogica che permette un coinvolgimento delicato, regolato emozionalmente. Come i processi di partecipazione alterocentrica che Bråten (1998a, 2002) trova nelle situazioni di apprendimento culturale precoce, che molto probabilmente sono sostenute dal sistema dei neuroni-specchio scoperti da Rizzolatti e la sua equipe (Rizzolatti & Arbib, 1998), queste caratteristiche rompono radicalmente con gli assunti delle tradizioni freudiana e piagetiana, che implicano un lungo periodo evolutivo di decentramento prima che la socialità e l’intersoggettività possano emergere. Modi dell’intersoggettività Oggi, sulla base delle scoperte empiriche degli ultimi tre decenni, siamo in grado di distinguere diversi livelli di sintonizzazione intersoggettiva nello sviluppo umano prima della comparsa del linguaggio. L’intersoggettività innata, definita negli anni 70 (Trevarthen, 1974, 1979; Bateson, 1975, 1979; Stern, 1977; Bullowa, 1979) aiuta a comprendere l’emergere nel neonato del desiderio di parlare il linguaggio materno e della partecipazione intenzionale nell’apprendimento di abitudini e modi culturali per tutto il periodo infantile. Seguire lo sviluppo della comunicazione di scopi e interessi nei primi due anni di vita ha condotto ad un resoconto ricco di sfumature di come il bambino usa la negoziazione con la consapevolezza e l’intenzionalità dell’altro allo scopo di comprenderne i significati. Lo schema seguente sintetizza le
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Dall’intersoggettività infantile alla comunicazione

Stein Bråten e Colwyn Trevarthen

Da: Bråten, S. (ed.), On Being Moved. From Mirror Neurons to Empathy,

Amsterdam/Philedelphia, John Benjamins Publishing Company, 2007

Negli ultimi decenni la storia dell’infanzia umana che era stata raccontata dai filosofi

e dalle scienze mediche ha dovuto essere riscritta. Al posto dell’idea che il bambino

sia a-sociale ed ego-centrico, c’è una nuova comprensione del fatto che ogni essere

umano viene al mondo dotato di un vivace talento per la comunione interpersonale.

L’opinione positiva di molti genitori ha ricevuto numerose conferme da attente

ricerche e osservazioni. Così, micro-analisi di proto-conversazioni con neonati di due

mesi hanno rivelato che essi sono dotati di un sistema cerebrale che permette la

percezione diretta di interesse e sentimento in un’altra persona, e una

sintonizzazione dialogica che permette un coinvolgimento delicato, regolato

emozionalmente. Come i processi di partecipazione alterocentrica che Bråten

(1998a, 2002) trova nelle situazioni di apprendimento culturale precoce, che molto

probabilmente sono sostenute dal sistema dei neuroni-specchio scoperti da

Rizzolatti e la sua equipe (Rizzolatti & Arbib, 1998), queste caratteristiche rompono

radicalmente con gli assunti delle tradizioni freudiana e piagetiana, che implicano un

lungo periodo evolutivo di decentramento prima che la socialità e l’intersoggettività

possano emergere.

Modi dell’intersoggettività

Oggi, sulla base delle scoperte empiriche degli ultimi tre decenni, siamo in grado di

distinguere diversi livelli di sintonizzazione intersoggettiva nello sviluppo umano

prima della comparsa del linguaggio. L’intersoggettività innata, definita negli anni 70

(Trevarthen, 1974, 1979; Bateson, 1975, 1979; Stern, 1977; Bullowa, 1979) aiuta a

comprendere l’emergere nel neonato del desiderio di parlare il linguaggio materno e

della partecipazione intenzionale nell’apprendimento di abitudini e modi culturali

per tutto il periodo infantile. Seguire lo sviluppo della comunicazione di scopi e

interessi nei primi due anni di vita ha condotto ad un resoconto ricco di sfumature di

come il bambino usa la negoziazione con la consapevolezza e l’intenzionalità

dell’altro allo scopo di comprenderne i significati. Lo schema seguente sintetizza le

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tappe principali che preparano la strada e sostengono l’elaborazione di competenze

di livello superiore nella comunicazione e nel pensiero, inclusi il linguaggio

conversazionale, la creazione di spiegazioni narrative e la condivisione di miti,

credenze e idee scientifiche presenti nell’ambiente familiare.

I. Dialogo intersoggettivo primario, fatto di proto-conversazione e reciproca

imitazione simpatetica, visibile nelle prime settimane di vita. Esso conduce

a vivaci giochi, ricchi dell’emozione della “consapevolezza dell’altro”. Gli

attaccamenti affettivi sono rinforzati in questi giochi, e creano relazioni

intorno ad abituali “strutture” e “riti” di canzoncine e giochi attivi, nei quali

il bambino impara a prendere parte attiva, come ad esempio l’interazione

simile a una danza di un lattante di 11 mesi con la madre sul fasciatoio,

registrata da Bråten nel 1990. Uno scambio di imitazioni ed espressioni

emozionali può essere sollecitato nelle prime ore dopo la nascita (es.

registrato nel 1983 da Kugiumutzakis, che fa vedere come il bambino

mostra iniziativa, allo stesso modo in cui copia i movimenti). Ciò rivela che

l’imitazione di movimenti eseguiti da altri non è che un elemento della

capacità innata di reciproco coinvolgimento, espressione di interesse

empatico. Il reciproco rispecchiarsi e fare a turno che ritroviamo nella

matura conversazione verbale, è chiaramente prefigurato in questi primi

incontri di gioco mimetico-empatico, e la “musicalità comunicativa”

implicita nella proto-conversazione diadica, si presta ad essere descritta in

termini di parametri musicali, come “ritmo” e “qualità”. Dopo pochi mesi,

il bambino può mostrare una socialità più ampia, essendo capace di

impegnarsi contemporaneamente con più di un’altra persona.

II. Sintonizzazione intersoggettiva secondaria, visibile in una trangolazione

soggetto-soggetto-oggetto (Trevarthen & Hubley, 1978), nella quale

oggetti di attenzione congiunta e di riferimento emozionale sono messi in

gioco come eventi di attenzione reciproca all’interno di relazioni di fiducia.

Il mostrare conoscenze e abilità imparate attraverso la condivisione di

intenzioni e interessi è animato da emozioni di “orgoglio” e “vergogna”. Le

azioni dell’altro orientate sull’oggetto sollecitano una percezione

partecipante o una azione simile, come ad esempio il bambino che impara

a riprodurre l’azione di porgere il cibo col cucchiaio prima del compimento

di un anno di età (registrato da Bråten nel 1996), e talvolta co-movimenti

di aiuto, che intuiscono l’intenzione (mancata) dell’altro, come

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nell’esempio registrato da Trevarthen e Hubley di Tracy (11 mesi) che

“aiuta” la mamma a spostare un oggetto. Nei mesi finali del primo anno, le

parole che gli altri usano per indicare persone, azioni od oggetti attraggono

l’attenzione e invitano all’imitazione. In seguito, dopo il 14° mese circa, i

gesti e le vocalizzazioni del “protolinguaggio” lasciano il posto alla

chiarezza linguistica, dando voce a contenuti e significati condivisi, che

mostrano una consapevolezza reciproca.

III. Comprensione intersoggettiva terziaria (Bråten & Trevarthen, 1994/2000),

nel linguaggio conversazionale e narrativo, che implica asserzioni e un

senso di sé e dell’altro verbale e narrativo, in modalità di comunicazione

simbolica di primo livello, e, (dai 3 ai 6 anni) apre alla capacità di articolare

i punti di vista e all’assorbimento emozionale, nel dialogo sé-altro nel gioco

o nella narrazione immaginativa, nella simulazione della mente del

compagno di conversazione, e nella capacità dell’ascoltatore di completare

le frasi incompiute in virtù della partecipazione alterocentrica (Bråten,

2002).

Vogliamo sottolineare l’importanza delle radici e del nutrimento socio-

emozionale nello sviluppo delle competenze dialogiche. Le emozioni sostenute

nei coinvolgimenti affettivi tra adulti e bambini, e in seguito con i pari e altri

soggetti di varie età, sono essenziali per la regolazione di un normale sviluppo del

cervello, che porta alla crescita della coscienza dialogica e creativa, quindi al

senso della comune consapevolezza culturale. Le emozioni non sono

semplicemente responsabili del naturale controllo delle spinte istintive e delle

avversioni, che serve all’immediata sopravvivenza del corpo e fornisce regolarità

ai cicli dell’alimentazione e del sonno-veglia del bambino. Le emozioni che

generano espressione nei cervelli separati della madre e del bambino possono

essere unite in una confluenza affettiva che sviluppa una propria organizzazione,

un’organizzazione che si riflette nella più generale relazione sé-altro della mente

in evoluzione. Il passaggio tra la competenza dialogica e la coscienza si manifesta

nella sintonizzazione intersoggettiva a vari livelli – dalla confluenza degli affetti al

livello primario all’avanzata simulazione sé-altro, fino ad un livello più avanzato

che implica circuiti interni dialogici e auto-poietici di prospettive complementari

sé-altro.

Di conseguenza, un punto importante è che queste acquisizioni di livello

superiore continuano ad essere sostenute da capacità e competenze che si

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dispiegano nei livelli primario e secondario, che continuano ad essere operative e

supportive per tutto l’arco della vita, come i diversi sensi del sé individuati nel

modello di Stern (1985/2000). Questo tipo di processi di appagamento reciproco

che abbiamo visto nelle proto-conversazioni precoci e nelle situazioni di

apprendimento culturale prima del compimento del primo anno di vita, possono

essere visti come simili alle caratteristiche della conversazione verbale di ordine

superiore. Per esempio, gli adolescenti nella conversazione faccia a faccia spesso

rispecchiano i gesti reciproci in modo molto simile a quello che osserviamo nelle

interazioni precoci adulto-bambino, e molte volte assistiamo al completamento

delle asserzioni dell’altro, allo stesso modo delle sequenze che si manifestano nel

gioco manuale preverbale orientato sull’oggetto. Ad esempio, nel dialogo tra

partecipanti con pari competenze linguistiche, la “sintonizzazione sulla

sintonizzazione dell’altro” (Rommetveit, 1998: 360) sembra predisposta per

l’interazione reciproca, simile a una danza, che possiamo osservare nelle prime

settimane dopo la nascita. Il fatto che i neonati, 45 minuti dopo la nascita, sono

capaci di imitare le espressioni facciali degli adulti con i quali entrano in contatto,

è l’evidenza di questa predisposizione innata.

Naturalmente, altre forme di comunicazione umana adulta condividono gli stessi

principi vitali e le stesse fondazioni ritmiche, e questo è specialmente chiaro nelle

performance rituali, nel dramma, nella musica e nella danza.

Qui di seguito, presentiamo una succinta caratterizzazione di alcune delle

operazioni caratteristiche dei vari livelli.

I. Imitazione e protoconversazione nei primi mesi di vita. Molti genitori

hanno fatto l’esperienza di come i loro bambini nei primi mesi di vita

rispondono in modo complementare in un gioco finemente sintonizzato di

soddisfazione reciproca e di rispecchiamento di gesti ed espressioni.

Perfino durante le prime settimane di vita, madre e bambino possono

raggiungere tale coordinazione di espressioni e movimenti, in una specie di

danza circolare di movimenti corporei che si intrecciano e si completano

reciprocamente. C’è una sintonizzazione intersoggettiva primaria nel modo

della reciproca protoconversazione soggetto-soggetto e nella comunione

interpersonale, in cui ognuno partecipa e si accorda all’espressione e al

gesto emotivo dell’altro, e ai movimenti che producono suoni, che invita al

rispecchiamento e alla sintonizzazione affettiva, che inizia subito dopo la

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nascita e prepara e sostiene competenze di ordine superiore più avanti

nella vita. Per esempio, per quanto concerne l’imitazione vocale e lo

sviluppo del linguaggio, si è visto come un neonato di 45 minuti tenta di

imitare il suono /a/, e uno di 20 settimane /a/, /u/, e /i/. A 6 settimane, e

volte anche prima, il neonato si impegna in una protoconversazione

reciproca con l’adulto. Nella sua percezione precoce del linguaggio, il

bambino inizia a “sfrondare” i suoni, separandoli dall’ambiente percettivo

(Kuhl, 1998).

È stato documentato con studi sperimentali che nelle prime settimane di

vita il bambino inizia ad imitare vari tipi di gesti, come la protrusione della

lingua, movimento delle sopracciglia, rotazione della testa, movimenti

delle dita, e gesti e movimenti che esprimono sorpresa, piacere e noia,

nonché produzioni vocali. Un esempio evidente è la documentazione video

di Kugiumutzakis (1983; 1998: 74), che mostra come i neonati già nella

prima ora dopo la nascita tentano di imitare l’adulto, in risposta a

movimenti della bocca e delle sopracciglia. Invitati anche all’imitazione

vocale, rispettivamente, dei suoni /a/, /m/ e /ang/, i neonati (da 14 a 42

minuti dalla nascita) riescono a riprodurre il suono /a/, mentre non

riescono con gli altri suoni. Cercando di emettere il suono, accompagnato

con movimenti di tensione nelle mani e occhi chiusi, il risultato era di solito

un’intensa esplosione di un /a/ prolungato e non strutturato.

Abbiamo un’evidenza delle capacità di ascolto musicale dei neonati, e della

loro preferenza naturale per gli aspetti musicali della voce. Perfino un

neonato prematuro può attivamente contribuire ad un preciso scambio

ritmico-canoro, con una regolazione di altezza e di timbro (Trevarthen,

1993; Malloch, 1999). Il modo con cui si parla ai neonati, anche in lingue

diverse, ha aspetti ritmici e prosodici universali, e i suoni ascendenti

suscitano e mantengono l’attenzione dei bambini, più di quelli discendenti.

A differenza dell’acuto ascendente delle vocalizzazioni materne che

stimolano il bambino, il suono è più basso e continuo nel confortare

(Fernald, 1992; Papousek, 1994). C’è una regolazione precisa della voce

materna, e i neonati hanno un’innata preferenza per l’estensione vocale di

una madre felice, quale che sia la lingua in cui parla.

II. Apprendimento orientato all’oggetto attraverso l’azione partecipante.

Quando entrano in gioco oggetti di attenzione congiunta e di rilevanza

emozionale, intorno ai nove mesi, una finestra si apre per l’apprendimento

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imitativo della manipolazione di oggetti. Bråten (1996) ha documentato

che i bambini sono capace di porgere il cibo col cucchiaio, imitando la

persona che li nutre, prima del compimento di un anno di vita – ad

esempio, un bambino di 11 mesi, quando gli è dato il cucchiaio in mano, lo

porge alla sorella maggiore come per nutrirla, e apre persino la bocca

nell’operazione. (Fig. 1, 2).

Fig 1. Immagine tratta dal videotape di Bråten

Fig. 2 Vari esempi dei neonati che nutrono i loro caregiver.

Quando i bambini rispondono in questo modo, dimostrano che mentre

venivano nutriti non partecipavano solo passivamente, ricevendo e

mangiando il cibo, ma anche prendendo parte virtualmente al processo di

nutrizione, mettendosi dal punto di vista dell’adulto. Questo implica la

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simulazione attraverso una partecipazione alterocentrica all’azione

dell’altro, simile a quanto accade all’adulto quando involontariamente

apre la bocca mentre porge il cibo al bambino. La loro riproposizione di ciò

che hanno esperito ricevendo il cibo dimostra che essi devono essere stati

in grado di partecipare ai movimenti della persona che li nutre dal punto di

vista di questa – l’opposto di quanto si pensa se si prende come

riferimento la posizione egocentrica. Per essere in grado di restituire l’atto

del nutrire, devono essere stati in grado di partecipare virtualmente

all’attività di nutrimento, come se fossero co-autori dell’azione (anche se i

reali autori sono gli adulti). Questo è il criterio che definisce

l’apprendimento attraverso la partecipazione alterocentrica (Bråten,

1998).

Più o meno allo stesso modo possiamo considerare il modo di agire del

bambino di 18 mesi nel modello del recupero del comportamento di

Meltzoff. Guardando lo sperimentatore che non riesce a mettere da parte

un manubrio, il bambino, quando afferra il manubrio, lo mette da parte,

solitamente con un sorriso trionfante. Qui si dimostra la capacità del

bambino di “leggere l’intenzione del modello” (Meltzoff & Moore, 1998:

50-52), ma c’è molto di più, che può essere specificato nei termini della

partecipazione alterocentrica. Dall’aver partecipato virtualmente allo

sforzo del modello, evocando il completamento simulato dell’azione

tentata, si produce una riproposizione circolare da parte del bambino, che

realizza con successo l’intenzione dell’azione. Semplicemente guardando

qualcuno che cerca di arrivare a uno scopo, il bambino mostra di saper

realizzare quello scopo che non è stato raggiunto dall’altro, attraverso la

memoria emozionale dei circuiti di simulazione mentale evocati dalla

percezione partecipante allo sforzo del modello. Di nuovo, questi sono

processi operativi caratteristici della conversazione verbale.

III. Comprensione intersoggettiva e contesti conversazionali. In ambedue i casi

esposti sopra (il nutrimento reciproco e il compimento di un’azione

tentata), vediamo in atto processi operativi che somigliano ai processi della

conversazione verbale, e probabilmente li sostengono. Qui vi sono precisi

paralleli con l’efficienza comunicazionale dimostrata nei dialoghi verbali

più avanti nell’ontogenesi. Per esempio, quando ascoltiamo il nostro

partner di conversazione che è sul punto di dire qualcosa, ed esita prima di

completare l’affermazione, o sembra che non trovi la parola giusta, è

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normale che senza esitazione forniamo la parola, completando

l’enunciazione del parlante, che silenziosamente fa un cenno di assenso,o

lo conferma con un semplice “si”. Analoga è la situazione della “pappa”:

quando i movimenti della bocca della persona che nutre – bambino o

adulto – rispecchiano il movimento corrispondente di chi viene nutrito,

possiamo vedere un parallelo con la partecipazione esibita dai partecipanti

ad una conversazione verbale, che ricostruiscono reciprocamente gli atti

verbali dell’altro, e talvolta nel completano gli enunciati.

Dai 3 ai 6 anni circa, si manifesta la meta-comprensione della

comprensione dell’altro, che implica una comprensione di secondo ordine

di pensieri ed emozioni in sé stesso e nell’altro, in virtù di una simulazione

ricorsiva dei processi mentali dell’altro – che inizia con il riconoscimento

della bugia, e l’attribuzione di false credenze e con le costruzioni

immaginative co-narrative con i pari, e permettendo al bambino che

ascolta una storia di assumere il punto di vista del personaggio principale,

come dimostrato da Harris (1998) e da Rall & Harris (2000).

Questo riguarda il salto qualitativo verso la simulazione infantile o la teoria

della mente, correlata con le loro abilità verbali e conversazionali, che

implica la comprensione di secondo ordine dei pensieri e delle emozioni

dell’altro. Sembra ragionevole assumere che un sistema speculare per

accordarsi agli atti degli altri può costituire una strada verso la simulazione

delle altre menti (Bråten, 1998; Gallese & Goldman, 1998; Bråten &

Gallese, 2004), e che questa capacità preverbale di partecipare

virtualmente a quello che fanno gli altri può sostenere quella modalità

ricorsiva di feedback che Bråten (1974) definisce simulazione

conversazionale del modello della mente, che illustra come i partecipanti

ad un dialogo simulano la produzione verbale e la comprensione dell’altro.

La musicalità nella comunicazione prelinguistica. La musicalità manifesta i propri aspetti fondamentali nei modi espressivi in cui il

corpo umano addestrato si muove, e anche nei modi in cui i bambini agiscono in

relazione alle espressioni ritmiche nelle vocalizzazioni nei gesti di altri esseri

umani. Un neonato riconosce la madre dal tono e dalle inflessioni della sua voce.

Quando un bambino di sei mesi sorride riconoscendo la sua canzoncina favorita, e

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si muove al ritmo, è come conoscere il proprio nome, mostrando un “me” sociale

all’interno della condivisione affettiva familiare (Trevarthen, 2002: 21).

È stato notato che una madre felice vocalizza intorno all’ottava sopra il Do

intermedio, e che l’eloquio di una madre depressa,che non riesce a catturare

l’interesse del bambino, scende sotto tale estensione. L’estensione musicale e la

sua modulazione espressiva nel canto sembrano essere attributi innati della

comunicazione vocale umana. La musica cerca ed invita all’esperienza del

movimento, e il suo suono cantato, simile a quello della voce, richiama anche

sentimenti morali e affettivi che ci portano verso il sentire empatico (Panksepp &

Bernatsky 2002).

Per molti anni i coniugi Papousek e Daniel Stern e i suoi colleghi hanno, pur se in

modi diversi, rivolto la loro attenzione alla “musicalità” dell’espressione nella

comunicazione con i bambini nella prima infanzia. I Papousek (1981) hanno

identificato forme musicali di espressione intuitivamente prodotte da genitori e

bambini, in una prospettiva di apprendimento culturale. Stern (1985) ha

identificato la “sintonizzazione affettiva” della voce materna, con l’essenziale

supporto affettivo da cui dipende lo sviluppo di una personalità sicura ed

espressiva nel bambino. Un senso interiore del tempo (kairos, e non chronos) è

visibile nell’attività spontanea di un neonato in tranquillo controllo dell’energia

del movimento “nel momento presente” (Stern, 2004). Il corpo del bambino si

muove ritmicamente, in cicli scorrevoli di sforzo. Ciò mostra la misurata gerarchia

ritmica del controllo motorio centrale, che è stata chiamata IMP, Intrinsic Motive

Pulse (Pulsazione Motoria Intrinseca). Quelli che tra i muscoli e le giunture degli

arti del bambino, come pure all’interno del corpo, in quegli organi eterocettivi

speciali che rispondono ai pattern energetici riflessi dall’ambiente – cavalcano il

movimento, assorbendo efficientemente gli effetti di pressione, tocco, vista e

suono. Riflessi di sorpresa disturbano il flusso solo occasionalmente, quando c’è

l’intrusione di qualche stimolo inaspettato e non assimilato.

L’osservazione della partecipazione attiva dei bambini alle canzoncine e ai giochi

corporei della madre mostra quanto essi sono interessati, e quanto siano disposti

a muoversi con la musica. Mazokopaki and Trevarthen (2007) riportano che un

bambino di 6 mesi si calma ascoltando la musica, si orienta e sorride, e in seguito

si accorda con movimenti ritmici, quando “afferra” la musica. Bambini di 3 o 4

mesi imparano velocemente le canzoni, si muovono in accordo con esse, e

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mostrano ai familiari la loro contentezza di essere capaci di muoversi con il ritmo

e la melodia.

Malloch (1999) ha dimostrato che il suono di una protoconversazione registrata

tra una bambina scozzese di 6 settimane, Laura, e la madre poteva essere

analizzata in termini rigorosamente acustico-musicali, secondo la base ritmica, il

controllo qualitativo dell’espressione melodica in altezza e timbro, fraseggio, con

divisione, e progressione in cicli di decine di secondi in cicli narrativi di energia ed

eccitazione.

La sintonizzazione reciproca e i modi musicali in cui il bambino e l’adulto, in una

protoconversazione, risuonano reciprocamente, e reciprocamente completano

suoni e movimenti dell’altro, attestano “la musa interiore” (Bjorkvold 1992), e e

possono essere paragonati ad alcune caratteristiche della conversazione verbale

intima, in cui ogni partecipante completa gli enunciati dell’altro.

Supporto neurofisiologico e questioni sulla filogenesi

Quando l’ascoltatore completa l’enunciato dell’altro e quando la bocca della

persona che nutre si apre riproducendo il movimento di chi è nutrito, la loro

partecipazione virtuale è piuttosto evidente. Un sostegno parziale dal punto di

vista neurofisiologico a queste cose è stato recentemente scoperto.

La scoperta dei neuroni specchio, e l’evidenza elettrofisiologica di un sistema di

rispecchiamento nel cervello umano, ci informano sul tipo di sistema

neurofisiologico che sostiene i processi di percezione partecipante di cui abbiamo

parlato. I neuroni specchio, trovati per la prima volta nel cervello dei macachi, che

“scaricavano” allo stesso modo quando la scimmia si prepara ad afferrare un

pezzo di cibo e quando osserva un altro afferrarlo, appartengono ad un sistema

che appare in grado di accordarsi all’atto percepito, attraverso una simile

attivazione interna del percettore. (Di Pellegrino et al. 1992; Fadiga et al. 1995;

Stamenov & Gallese (Eds.) 2002). Ulteriori evidenze sperimentali suggeriscono

che tale sistema esiste anche negli esseri umani, nella regione cerebrale che

contiene l’area di Broca (che non è solo funzionale al linguaggio, ma appare attiva

sia durante l’esecuzione di movimenti manuali, sia durante l’immaginazione di

essi). Identificando questo sistema che permette che all’azione osservata

corrisponda un’azione simile, generata interiormente, dell’osservatore, Rizzolatti

e Arbib (1998) fanno riferimento alla teoria motoria della percezione del

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linguaggio di Liberman (1993), che implica uno stretto legame tra la produzione e

la percezione del linguaggio. Questo è parzialmente coincidente con il modello

della simulazione mentale conversazionale di Bråten (1974) in cui l’ascoltatore

prende parte al processo di produzione verbale del parlante, e presuppone il

substrato operazionale di un tale sistema di rispecchiamento.

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