Date post: | 23-Feb-2016 |
Category: |
Documents |
Upload: | claudia-de-angelis |
View: | 251 times |
Download: | 1 times |
Labo
rato
rio
di D
esig
n de
i tip
ia.
a. 2
008/
2009
Doc
ente
Leon
ardo
Son
noli
Ass
iste
nti
Thom
as B
isia
niG
abri
ele
Tone
guzz
i
Stud
ente
D
e A
ngel
is C
laud
ia
5Indi
ceC
apito
lo 1
Cap
itolo
2
Cap
itolo
3
Cap
itolo
4
6 10 26 38
6Cap
itolo
1Im
pagi
nazi
one
La p
rim
a es
erci
tazi
one
rigu
arda
una
pro
va d
i im
pagi
nazi
one
di u
n te
sto
dell’
arch
itett
o N
uno
Port
as,
Pers
onal
e e
intr
asm
ettib
ile,
trat
to d
a «
Ípsi
lon»
, su
pple
men
to d
el q
uotid
iano
po
rtog
hese
«Pú
blic
o».
7Prim
a pr
ova
di
impa
gina
zion
e de
l tes
to
Nuno Portas«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]
Personale e intra
smettib
ile
Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella pro-pria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tutti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio
compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche avessi seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho defi nito «un giovane al quale per più di un motivo attribuiamo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di medita-zione del fenomeno architettonico non attraverso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a propo-sito di questi capolavori. E poco tempo dopo, nella prima pub-blicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza
Vieira era senza dubbio una delle fi gure più signifi cative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo,
a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Ma-drid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito architet-tonico più infl uenti di allora- fu favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condividevano la preoccupazione per le deri-ve postmoderne o marcatamente esibizioniste del movimento
moderno. Il riconoscimento del giovane portoghese era tanto più signifi cativo in quanto le opere che si sussegui-
vano non creavano uno “stile Siza”, bensì dimostravano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre
legata alle circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità
di cambiamento del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiun-que altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto successivo molto probabilmente modifi cherà quello che prima sem-brava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i
primi) o persino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facil-
mente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piace-
rebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una fi gura di crea-tore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente
mercato globale, non esiste quasi più.
8Seco
nda
prov
a di
im
pagi
nazi
one.
Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella propria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tut-ti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche aves-si seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho defi nito «un giovane al quale per più di un motivo attribuia-mo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di meditazione del fenomeno architettonico non attra-verso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a proposito di questi ca-polavori. E poco tempo dopo, nella pri-ma pubblicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza Vieira era senza dubbio una delle fi gure più si-gnifi cative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo, a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Madrid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito ar-chitettonico più infl uenti di allora- fu
favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condi-videvano la preoccupazione per le de-rive postmoderne o marcatamente esi-bizioniste del movimento moderno. Il riconoscimento del giovane portoghe-se era tanto più signifi cativo in quanto le opere che si susseguivano non crea-vano uno “stile Siza”, bensì dimostra-vano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre legata alle circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamento del registro estetico e me-todologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiunque altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - con-tenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto succes-sivo molto probabilmente modifi cherà quello che prima sembrava un cammi-no sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa liber-tà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, no-nostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i primi) o per-
sino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In que-sto senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmetti-bili, libero ogni volta di inventare e sor-prendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testar-damente periferico: una fi gura di cre-atore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.
Nuno Portas
Personale e intrasmettibile
«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]
9Terz
a pr
ova
di
impa
gina
zion
e.
Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella propria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tutti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche avessi seguito altre stra-de più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’ope-ra di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho defi nito «un giovane al quale per più di un motivo attribuiamo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di meditazione del feno-meno architettonico non attraverso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il con-tributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a proposito di questi capolavori. E poco tempo dopo, nella pri-ma pubblicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza Vieira era senza dubbio una delle fi gure più signifi cative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo, a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Madrid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito archi-tettonico più infl uenti di allora- fu favorito anche dall’appog-gio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condividevano la preoccupazione per le deri-ve postmoderne o marcatamente esibizioniste del movimento moderno. Il riconoscimento del giovane portoghese era tanto più signifi cativo in quanto le opere che si susseguivano non creavano uno “stile Siza”, bensì dimostravano una ricerca in-quieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre legata alle
circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamen-to del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiun-que altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il pro-getto successivo molto probabilmente modifi cherà quello che prima sembrava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio gra-zie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se con-frontati con i primi) o persino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia fa-cilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una fi gura di creatore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.
Nuno Portas«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]
Personale e intrasmettibile
10Cap
itolo
2Le
tter
a tr
idim
ensi
onal
eLa
sec
onda
ese
rcita
zion
e ri
guar
dava
la r
ealiz
zazi
one
di u
na le
tter
a tr
idim
ensi
onal
e,
senz
a de
riva
re
da u
na e
stru
sion
e.È
poss
ibile
cre
are
una
lett
era
trid
imen
sion
ale
in c
ui, i
n ba
se
al p
unto
d’o
sser
vazi
one,
si
può
legg
ere
una
o pi
ù le
tter
e di
ffer
enti
oppu
re
part
endo
dal
la c
ostr
uzio
ne
di u
na le
tter
a m
odul
are
si c
rea
una
stru
ttur
a co
n cu
i po
ter
gioc
are,
cre
ando
var
ie
form
e.
11Rea
lizza
zion
e di
un
punt
o in
terr
ogat
ivo.
Vist
o da
ll’al
to
si v
isua
lizza
un
punt
o es
clam
ativ
o. A
ttra
vers
o l’u
tiliz
zo d
i una
luce
si
ha
la p
roie
zion
e de
l pun
to in
terr
ogat
ivo.
12
13
14Cos
trui
re d
elle
lett
ere
trid
imen
sion
ali
con
dei c
ubet
ti in
legn
o di
20
x 20
mm
. Pr
ima
prov
a: c
ubet
ti at
tacc
ati l
’uno
con
l’al
tro
in m
odo
da r
iusc
ire
ad a
vere
div
erse
lett
ere
su d
iver
si la
ti.
15
16
17
18Prov
e su
cces
sive
:na
sce
l’ide
a di
agg
iung
ere
ai c
ubet
ti de
lle c
alam
ite
inse
rend
ole
in in
cavi
ap
posi
tam
ente
re
aliz
zati.
Ogn
i cub
etto
avr
à co
sì,
su le
qua
ttro
facc
e,
quat
tro
cala
mite
in
mod
o da
riu
scir
e ad
ave
re
una
visu
aliz
zazi
one
più
rapi
da d
elle
pos
sibi
lità
di c
ompo
sizi
one.
19
20
21
22
23
24
25
26Cap
itolo
3R
icer
ca e
man
ifest
oil
tem
a sv
ilupp
ato
nella
tesi
na
e si
ntet
izza
to p
oi
nel m
anife
sto
è il
Futu
rism
o.Il
2009
è il
cen
tena
rio
sul f
utur
ism
o, r
icor
diam
o in
fatt
i il 2
0 fe
bbra
io 19
09
com
e da
ta d
ella
pri
ma
pubb
licaz
ione
su
«Le
Fig
arò»
de
l Man
ifest
o de
l Fut
uris
mo
ad o
pera
di T
omm
aso
Mar
inet
ti.La
ric
erca
è s
tata
svi
lupp
ata
anal
izza
ndo
i car
atte
ri
gene
rali
del f
utur
ism
o e
in p
artic
olar
e “l
’uso
aud
ace
e co
ntin
uo d
ell’o
nom
atop
e”.
In u
n fo
glio
100x
70, s
tam
pato
fr
onte
e r
etro
son
o im
pagi
nati
da
un
lato
il m
anife
sto
e da
ll’al
tro
la r
icer
ca.
27Prov
a di
man
ifest
o:m
anfe
sto
foto
grafi
co.
Util
izzo
di a
lcun
e co
mpo
nent
i m
ecca
nich
e pe
r ri
crea
re
l’esa
ltazi
one
della
mac
chin
a e
rend
ere
il ru
mor
e.
Centenario della fondazione del movimento futurista 1909-2009
28
centenario della fondazione del futurismo 1909-2009.
Prov
a di
man
ifest
o:m
anife
sto
foto
grafi
co.
La s
critt
a vi
ene
“rot
ta”
e po
i, su
cces
siva
men
teri
cost
ruita
e r
icom
post
aat
tacc
ando
la
con
viti
e bu
llonc
ini.
29Prov
a di
man
ifest
o.Im
pagi
nazi
one
com
post
a da
ll’ut
ilizz
ode
lle o
nom
atop
ee ta
nto
amat
e da
i fut
uris
ti.
Il ca
ratt
ere
vari
a ne
l pes
o e
nelle
dim
ensi
oni.
BANG! BASH! BOOM ZZZZ bash
dash bip boom chirp tweet clangclap craaack crash creak driiin
crunch gnam growl grrr knock
plick purr ring rumble sigh skid
slurp sob sock spalsh szock
squeak thump thud
tingle wooosh yawnwrooomCentenario del Futurismo 1909-2009
30Man
ifest
o re
aliz
zato
con
l’u
tiliz
zo d
el fi
lett
o ne
ro,
mol
to u
sato
nel
le o
pere
fu
turi
ste
e co
n la
scr
itta
man
ifest
o pr
opri
o co
me
a de
scri
vere
l’op
era.
MANIFESTO
centenario del futurismomanifesto futurista di tommaso marinetti 1909
31Man
ifest
o ch
e ut
ilizz
a il
«M
anife
sto
del F
utur
ism
o»
pubb
licat
o su
«Le
Fi
garò
» il
20
febb
raio
19
09.
MANIFESTOFILIPPO TOMMASO MARINETTI FONDA IL 20 FEBBRAIO 1909 A PARIGI IL MANIFESTO FUTURISTA
1. N
oi vo
gliam
o ca
ntar
e l’a
mor
e de
l per
icolo
, l’ab
itudi
ne a
ll’ene
rgia
e a
lla te
mer
ità.
6. Bi
sogn
a ch
e il p
oeta
pro
dich
i con
ardo
re, s
farzo
e m
agn
i� cen
za,
pe
r aum
enta
re l’
entu
siasti
co fe
rvore
deg
li elem
enti
p
rimor
diali
.
2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementiessenziali della nostra poesia.
4. Noi affermiamo che la magni� cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità
7. Non vi è più la bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavore.
8. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
11. Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto,
10. Noi vogliamo distruggere i musei,
e combattere contro il moralismo,
le accademie di ogni specie
le biblioteche,
il femminismo
e contro ogni viltà opportunistica
o utilitaria.
il volo scivolante degli areoplani.
È dall’ Italia che lanciamo questo manfesto
di violenza travolgente e incendiaria col quale
fondiamo oggi il Futurismo.
9. Noi vogliamo glori� care la guerra, sola igene del mondo, il militarismo,il patriottismo,il gesto distruttore.
5. N
oi vo
gliam
o in
negg
iare
all’u
omo
che
tiene
il vo
lant
e, la
cui
asta
attr
aver
sa la
Ter
ra, la
ncia
ta a
cor
sa, e
ssa
pure
, sul
circ
uito
dell
a pr
opria
orb
ita.
3. La
lette
ratu
ra es
altò
� no
ad o
ggi l’
imm
obilit
à pe
nosa
, l’es
tasi
ed il
sonn
o.
N
oi vo
gliam
o es
altar
e il m
ovim
ento
agg
ress
ivo, l’
inson
nia fe
bbril
e, il p
asso
di c
orsa
,
32Nel
pas
so s
ucce
ssiv
o,
il te
sto
vien
e sc
ardi
nato
.R
iman
gono
i nu
mer
i sp
arsi
nel
man
ifest
o co
n di
men
sion
i ed
ori
enta
men
ti di
vers
ie
il te
sto
vien
e m
esso
a
band
iera
, tut
to
con
lo s
tess
o co
rpo.
MANIFESTO1.
6.
2.
4.
7.
8.
11.
10. 9.
5.
3. Filippo Tommaso Marinetti fonda il 20 febbraio 1909 a Parigi il manifesto futurista
Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
La letteratura esaltò fi no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Noi affermiamo che la magnifi cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità
Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnifi cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.
Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
Noi vogliamo glorifi care la guerra-sola igene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria
Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.
33I num
eri s
ono
riun
iti
in u
n pu
nto
bene
defi
nito
e co
n un
cor
po
esag
erat
o,
in c
ontr
appo
sizi
one
al te
sto.
MANIFESTO
8.
11.4. 1.6. 7.
2.5.
9.
10.3.
Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
La letteratura esaltò fi no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Noi affermiamo che la magnifi cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità
Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnifi cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.
Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
Noi vogliamo glorifi care la guerra-sola igene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria
Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo
34Man
ifest
o se
mid
efini
tivo:
il te
sto,
a b
andi
era,
co
rre
lung
o un
a st
rett
a co
lonn
a in
con
trap
posi
zion
e ai
num
eri,
dive
rsifi
cand
osi p
er
peso
e d
imen
sion
e de
l ca
ratt
ere.
La fo
nt u
tiliz
zata
è
il Fr
ankl
in G
othi
c, D
emi
Extr
a C
ompr
esse
d pe
r i n
umer
i e B
ook
per
il te
sto.
MANIFESTONoi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
La letteratura esaltò � no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Noi affermiamo che la magni� cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.
Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.
Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
Noi vogliamo glori� care la guerra- sola igene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore.
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. È dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.
«Il Manifesto del Futurismo» di F. T. Marinetti
«Le Figarò»20 Febbraio 1909
8.11.
4. 1.6. 7.
2.5.9.
10.3.
35Prov
a di
impa
gina
zion
e de
lla r
icer
ca
sul F
utur
ism
o im
pagi
nata
sul
ret
ro d
el
man
ifest
o.
Sono
man
tenu
te
delle
ana
logi
a tr
a fr
onte
e
retr
o.La
ric
erca
è im
pagi
nata
co
me
se fo
sse
una
pa
gina
di u
n gi
orna
le.
FUTURISMO
Per parlare di futurismo dobbiamo iniziare con-siderando la teoria delle «parole in libertà» de� nita e perfezionata da Marinetti, in tre successivi mani-festi «tecnici»: il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, con l’annesso Ri-sposte alle obiezioni dell’11 agosto 1912, Distru-zione della sintassi – Immaginazione senza � li – Pa-role in libertà dell’11 maggio 1913 e lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica del 18 marzo 1914. L’urgenza di un nuovo linguaggio nasce in Marinetti dall’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mon-do. Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scienti� che. Il telegrafo, il telefo-no, il grammofono, il treno, la bicicletta, la moto-cicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo, il grande quotidiano: tutte queste diverse forme di comunicazione, di tra-sporto e d’informazione, afferma Marinetti, eserci-tano sulla psiche una decisiva in� uenza in quanto producono fenomeni signi� cativi come l’accelera-mento della vita, l’amore del nuovo, dell’imprevi-sto, del pericolo, la moltiplicazione e lo scon� na-mento delle ambizioni e dei desideri umani. Tutto ciò sta alla base della nuova sensibilità futurista. Le «parole in libertà» sono lo strumento linguistico per tradurre in modo ef� cace questa nuova sensibi-lità. Del resto, qui si constata un’evidenza banale: il linguaggio (anche quello poetico) è un sistema di segni regolato da un codice non � sso, ma aperto, che varia sulla base dei bisogni da soddisfare. Se i bisogni cambiano, il codice deve adeguarsi alle nuove necessità.
Le indicazioni di Marinetti sono chiare e peren-torie: 1. distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono;2. usare il verbo all’in� nito perché si adatti elasti-camente al sostantivo e non lo sottoponga all’«io» dello scrittore che osserva o immagina; al contra-rio, l’«io» dev’essere distrutto in letteratura;3. abolire l’avverbio, la punteggiatura, l’aggettivo quali� cativo che presuppone un arresto nella intui-zione (nel 1913 Marinetti parla di aggettivo sema-forico, aggettivo–faro o aggettivo–atmosfera, cioè di un aggettivo separato dal sostantivo, isolato in una parentesi, capace di lanciare lontano «la sua luce girante»); 4. ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiun-zione, dal sostantivo a cui è legato per analogia (esempi: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-ri-sacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto);5. trovare gradazioni di analogie sempre più vaste (a questo riguardo Marinetti usa una terminologia molto attuale, se pensiamo alle «autostrade tele-matiche»: parla infatti di «reti d’immagini» che ver-ranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni);6. realizzare un maximun di disordine nel disporre le immagini;7. sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esauri-ta, con l’ossessione lirica della materia;8. introdurre in letteratura il rumore (manifestazio-
ne del dinamismo degli oggetti), il peso (facoltà di volo degli oggetti), l’odore (facoltà di sparpaglia-mento degli oggetti);9. fare coraggiosamente il «brutto» in letteratura ed uccidere dovunque la solennità.Per imprimere alle parole tutte le velocità – «quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiu-ma marina, delle molecole, e degli atomi» – e rad-doppiarne la forza espressiva Marinetti introduce anche una «rivoluzione tipogra� ca» diretta «contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana»: «Noi useremo perciò» - scrive Marinetti nel Manifesto del 1913 - «in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’in-chiostro, e anche venti caratteri tipogra� ci diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc.».C’è in� ne l’ideazione del «lirismo multilineo» con il quale ottenere la «simultaneità (concetto mutua-to dai pittori futuristi) lirica», ossia la possibilità di percorrere contemporaneamente «catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie». Na-scono così le tavole parolibere, chiamate da Mari-netti «tavole sinottiche di poesia o passaggi di pa-role suggestive», veri e propri «collages tipogra� ci», anticipatori di quella che verrà chiamata poesia concreta e visiva.
Onomatopee
Cosideriamo «l’uso audace e continuo dell’ono-matopea» che scaturisce dall’amore dei futuristi per la materia, dalla volontà di penetrarla e di co-noscerne le vibrazioni, dalla simpatia che li lega ai motori. L’onomatopea che riproduce il rumore è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia, la sua brevità permette «di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi».
Nel Manifesto del 1914 Marinetti distingue di-versi tipi di onomatopee: a) l’onomatopea diretta imitativa elementare reali-stica (esempio: «pic pac pum, fucileria»); b) l’onomatopea indiretta complessa e analogica (Marinetti cita l’esempio dell’onomatopea «stri-dionla stridionla stridionlaire» che si ripete nel pri-mo canto del suo poema epico «La conquista delle stelle», volta a «formare un’analogia fra lo stridore di grandi spade e l’agitarsi rabbioso delle onde, pri-ma di una grande battaglia di acque in tempesta»; c) l’onomatopea astratta, «espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità»; d) l’accordo onomatopeico psichico, ovvero la fu-sione di due o tre onomatopee astratte.
L’importanza e la dominanza dell’onomatopea nel linguaggio dei futuristi sono suffragate dalla creazione nel 1916 dell’«onomalingua» da parte di Fortunato Depero. Linguaggio delle forze naturali (vento, pioggia, mare, ecc.) e degli «esseri arti� ciali rumoreggianti creati dagli uomini» (biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine), l’«onomalin-gua» è lo strumento più rudimentale e più ef� cace
per esprimere le emozioni e le sensazioni. Nei mo-nologhi dei clowns e dei comici di varietà, scrive Depero, vi sono tipici accenni all’onomalingua che costituisce la lingua più indovinata per la scena e specialmente per le esagerazioni esilaranti. Con l’«onomalingua», aggiunge Depero, si può parlare ef� cacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine, dato che è un lin-guaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori. L’onomatopea in quanto specchio sonoro, armo-nia imitativa di una realtà naturale è stata spesso interpretata come l’espressione di un linguaggio primitivo, originario, parlato prima della confusio-ne delle lingue e quindi universale. Lo stesso Ma-rinetti, nel primo Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909, inneggia al bisogno che «il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e muni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi pri-mordiali». Fra questi elementi primordiali c’è il lin-guaggio come materia, oggetto puramente sonoro.
Rumore nel testo
Un altro aspetto importante della poesia futuri-sta, legato strettamente all’uso delle onomatopee, è l’irruzione travolgente del rumore nel testo, che si accompagna alla scoperta futurista del «suono–ru-more», del «rumore musicale» prodotto dal fragore delle saracinesche dei negozi, dalle porte sbatac-chianti, dal brusìo e dallo scalpiccìo delle folle, dai diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle � lande, delle tipogra� e, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee. Questa nuova «sensibili-tà sonora» è il sintomo dell’evoluzione della musica in parallelo con il moltiplicarsi delle macchine che ha creato «tanta varietà e concorrenza di rumori». Il «suono–rumore», al pari dell’onomatopea, pre� -gura la struttura di un nuovo linguaggio musicale che «ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio» come scrive Luigi Russolo nel manifesto «L’arte dei rumori» del 1913. Per regolare la velocità dello stile, Marinet-ti propone di servirsi dei «brevissimi od anonimi segni [...] musicali», ponendo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi), che possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico. Sull’universalità del linguaggio musicale scrive Fran-cesco Cangiullo nel testo Poesia pentagrammata del 1922: «La Musica è linguaggio universale, e gli uomini che sanno leggere uno spartito sono in� ni-tamente più di quelli che sanno leggere un libro nel testo originale. Perciò una poesia scritta su carta da musica avrà, oltre il suo numero di lettori, nel testo originale, un in� nito numero internazionale di persone (con appena una qualche cognizione mu-sicale) che se non la leggono nella lingua in cui è scritta, la intendono benissimo dal lato musicale; cioè afferrano i passaggi melodici e allegri del suo ritmo, il chiaroscuro delle parole-note, acute e bas-se, in� ne il lirico disegno pentagrammato».
centenario 1909-2009
tra tipogra� a e uso delle onomatopeeCaratteri generali del futurismo
F. T. Marinetti, da « 8 anime in una bomba », Milano, 1919
F. T. Marinetti, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front (1918), da « Les mots en liberté futuristes », Milano, 1919
Giacomo Balla, Onomatopea rumorista Macchina tipografica, 1914
Fortunato Depero, da « Depero futurista », Milano, 1913-27
F. Cangiullo, da « Piedigrotta », Milano, 1916
MANIFESTONoi vogliamo cantare
l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
La letteratura esaltò � no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.
Noi affermiamo che la magni� cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.
Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.
Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.
Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.
Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.
Noi vogliamo glori� care la guerra- sola igene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore.
Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.
Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. È dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.
«Il Manifesto del Futurismo» di F. T. Marinetti
«Le Figarò»20 Febbraio 1909
8.11.
4. 1.6. 7.
2.5.9.
10.3.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
FUTURISMO
Per parlare di futurismo dobbiamo iniziare considerando la teoria delle «parole in libertà» de� nita e perfezionata da Marinetti, in tre successivi manifesti «tecnici»: il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, con l’annesso Risposte alle obiezioni dell’11 agosto 1912, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fi li – Parole in libertà dell’11 maggio 1913 e Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica del 18 marzo 1914. L’urgenza di un nuovo linguaggio nasce in Marinetti dall’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mondo. Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scienti� che. Il telegrafo, il telefono, il grammofono, il treno, la bicicletta, la motocicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo, il grande quotidiano: tutte queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d’informazione, afferma Marinetti, esercitano sulla psiche una decisiva in� uenza in quanto producono fenomeni signi� cativi come l’acceleramento della vita, l’amore del nuovo, dell’imprevisto, del pericolo, la moltiplicazione e lo scon� namento delle ambizioni e dei desideri umani. Tutto ciò sta alla base della nuova sensibilità futurista.
Le «parole in libertà» sono lo strumento linguistico per tradurre in modo ef� cace questa nuova sensibilità. Del resto, qui si constata un’evidenza banale: il linguaggio (anche quello poetico) è un sistema di segni regolato da un codice non � sso, ma aperto, che varia sulla base dei bisogni da soddisfare. Se i bisogni cambiano, il codice deve adeguarsi alle nuove necessità.
Le indicazioni di Marinetti sono chiaree perentorie: 1. distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono;2. usare il verbo all’in� nito perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’«io» dello scrittore che osserva o immagina; al contrario, l’«io» dev’essere distrutto in letteratura;3. abolire l’avverbio, la punteggiatura, l’aggettivo quali� cativo che presuppone un arresto nella intuizione (nel 1913 Marinetti parla di aggettivo semaforico, aggettivo-faro o aggettivo-atmosfera, cioè di un aggettivo separato dal sostantivo, isolato in una parentesi, capace di lanciare lontano
«la sua luce girante»); 4. ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia (esempi: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto);5. trovare gradazioni di analogie sempre più vaste (a questo riguardo Marinetti usa una terminologia molto attuale, se pensiamo alle «autostrade telematiche»: parla infatti di «reti d’immagini» che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni);6. realizzare un maximun di disordine nel disporre le immagini;7. sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia;8. introdurre in letteratura il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti), il peso (facoltà di volo degli oggetti), l’odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti);9. fare coraggiosamente il «brutto» in letteratura ed uccidere dovunque la solennità.
Per imprimere alle parole tutte le velocità – «quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole, e degli atomi» – e raddoppiarne la forza espressiva Marinetti introduce anche una «rivoluzione tipogra� ca» diretta «contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana»: «Noi useremo perciò» - scrive Marinetti nel Manifesto del 1913 - «in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche venti caratteri tipografi ci diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc.».
C’è in� ne l’ideazione del «lirismo multilineo» con il quale ottenere la «simultaneità (concetto mutuato dai pittori futuristi) lirica», ossia la possibilità di percorrere contemporaneamente «catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie». Nascono così le tavole parolibere, chiamate da Marinetti «tavole sinottiche di poesia o passaggi di parole suggestive», veri e propri «collages tipogra� ci», anticipatori di quella che verrà chiamata poesia concreta e visiva.
Onomatopee
Cosideriamo «l’uso audace e continuo dell’onomatopea» che scaturisce dall’amore
dei futuristi per la materia, dalla volontà di penetrarla e di conoscerne le vibrazioni, dalla simpatia che li lega ai motori. L’onomatopea che riproduce il rumore è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia, la sua brevità permette «di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi».
Nel Manifesto del 1914 Marinetti distingue diversi tipi di onomatopee: a) l’onomatopea diretta imitativa elementare realistica (esempio: «pic pac pum, fucileria»); b) l’onomatopea indiretta complessa e analogica (Marinetti cita l’esempio dell’onomatopea «stridionla stridionla stridionlaire» che si ripete nel primo canto del suo poema epico «La conquista delle stelle», volta a «formare un’analogia fra lo stridore di grandi spadee l’agitarsi rabbioso delle onde, prima di una grande battaglia di acque in tempesta»; c) l’onomatopea astratta, «espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità»; d) l’accordo onomatopeico psichico, ovverola fusione di due o tre onomatopee astratte.
L’importanza e la dominanza dell’onomatopea nel linguaggio dei futuristi sono suffragate dalla creazione nel 1916 dell’«onomalingua» da parte di Fortunato Depero. Linguaggio delle forze naturali (vento, pioggia, mare, ecc.) e degli «esseri arti� ciali rumoreggianti creati dagli uomini» (biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine), l’«onomalingua» è lo strumento più rudimentale e più ef� cace per esprimere le emozioni e le sensazioni. Nei monologhi dei clowns e dei comici di varietà, scrive Depero, vi sono tipici accenni all’onomalingua che costituisce la lingua più indovinata per la scena e specialmente per le esagerazioni esilaranti. Con l’«onomalingua», aggiunge Depero, si può parlare ef� cacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine, dato che è un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori. L’onomatopea in quanto specchio sonoro, armonia imitativa di una realtà naturale è stata spesso interpretata come l’espressione di un linguaggio primitivo, originario, parlato prima della confusione delle lingue e quindi universale. Lo stesso Marinetti, nel primo Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909, inneggia al bisogno che «il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo
e muni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali».Fra questi elementi primordiali c’è il linguaggio come materia, oggetto puramente sonoro.
Rumore nel testo
Un altro aspetto importante della poesia futurista, legato strettamente all’uso delle onomatopee, è l’irruzione travolgente del rumore nel testo, che si accompagna alla scoperta futurista del «suono–rumore», del «rumore musicale» prodotto dal fragore delle saracinesche dei negozi, dalle porte sbatacchianti, dal brusìo e dallo scalpiccìo delle folle, dai diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle � lande, delle tipogra� e, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee. Questa nuova «sensibilità sonora» è il sintomo dell’evoluzione della musica in parallelo con il moltiplicarsi delle macchine che ha creato «tanta varietà e concorrenza di rumori». Il «suono-rumore», al pari dell’onomatopea, pre� gura la struttura di un nuovo linguaggio musicale che «ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio» come scrive Luigi Russolonel manifesto «L’arte dei rumori» del 1913.
Per regolare la velocità dello stile, Marinetti propone di servirsi dei «brevissimi od anonimi segni [...] musicali», ponendo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi), che possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico. Sull’universalità del linguaggio musicale scrive Francesco Cangiullo nel testo Poesia pentagrammata del 1922: «La Musica è linguaggio universale, e gli uomini che sanno leggere uno spartito sono in� nitamente più di quelli che sanno leggere un libro nel testo originale. Perciò una poesia scritta su carta da musica avrà, oltre il suo numero di lettori, nel testo originale, un in� nito numero internazionale di persone (con appena una qualche cognizione musicale) che se non la leggono nella lingua in cui è scritta, la intendono benissimo dal lato musicale; cioè afferrano i passaggi melodici e allegridel suo ritmo, il chiaroscuro delle parole-note, acute e basse, in� ne il lirico disegno pentagrammato».
1909-2009. Tra tipogra� a e uso delle onomatopee.
Caratteri generali del futurismo
F. Cangiullo, da « Piedigrotta », Milano, 1916
F. T. Marinetti, da « 8 anime in una bomba », Milano, 1919
F. T. Marinetti, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front (1918), da « Les mots en liberté futuristes », Milano, 1919
labo
rato
rio d
i des
ign
dei t
ipi
a.a
. 2008/2
009 c
laud
ia d
e an
gelis
38Cap
itolo
4In
stal
lazi
one
tipog
rafic
a
in c
olla
bora
zion
e co
n
Cer
celle
tta
Lore
nzo
Piet
ro P
aciu
llo
Il lu
ogo
scel
to
per
l’ins
talla
zion
e tip
ogra
fica
è il
colo
nnat
o a
San
Fran
cesc
o de
lla
Vign
a, tr
a la
zon
a di
San
Fr
ance
sco
Paol
o e
l’Ars
enal
e.
Le c
olon
ne, r
addo
ppia
te,
sono
sta
te p
ensa
te c
ome
una
proi
ezio
ne d
elle
gig
anti
sem
icol
onne
del
la fa
ccia
ta
palla
dian
a de
lla c
hies
a di
Sa
n Fr
ance
sco
della
Vig
na.
A p
ochi
met
ri d
al c
olon
nato
, vi
cino
gli
scal
ini c
he d
anno
su
l can
ale,
si p
uò n
otar
elo
ste
mm
a de
lla C
onfr
ater
nita
. È
prop
rio
qui c
he le
bar
che
dest
inat
e al
rec
uper
o de
i cor
pi d
efun
ti co
lpiti
dal
la
pest
e ap
prod
avan
o,
per
cond
urli
poi a
sep
oltu
ra.
Il ri
sulta
to c
he s
i vol
eva
otte
nere
era
pro
prio
que
llo
di r
ipor
tare
in v
ita d
elle
no
tizie
sto
rich
e sc
onos
ciut
e al
la m
aggi
or p
arte
del
le
pers
one
che
abitu
alm
ente
at
trav
ersa
il c
olon
nato
. A
bbia
mo
scel
to, q
uind
i, un
test
o di
Am
broi
se P
oiré
, ch
e at
trav
erso
l’us
o au
dace
di
ott
o ag
gett
ivi d
escr
ive
cos’
è la
pes
te.
39
40
41Test
o co
mpl
eto
di A
mbr
oise
Poi
ré.
Nel
l’ins
talla
zion
e so
no
stat
i util
izza
ti so
ltant
o gl
i ott
o ag
gett
ivi.
Vist
a da
ll’al
to d
ella
di
spos
izio
ne in
izia
le
dei t
eli.
La d
ispo
sizi
one
è re
lativ
a po
ichè
es
send
o i t
eli m
obili
, po
sson
o as
sum
ere
ogni
vo
lta u
na c
ompo
sizi
one
diff
eren
te.
“[La Peste] È malattia furiosa, tempestosa, mostruosa, spaventosa, orrenda, terribile, feroce, traditrice... [Quando le si sfugge, È cosa più divina che umana.]”
Ambroise Poirétu
sei
qu
i
42Attr
aver
so l’
utili
zzo
del p
rogr
amm
a M
axon
C
inem
a 4D
abb
iam
o ri
crea
to
il co
lonn
ato
in 3
d pe
r po
ter
visu
aliz
zare
pi
ù fa
cilm
ente
alc
une
prov
e di
impa
gina
zion
e de
gli a
gget
tivi.
In q
uest
o ca
so s
peci
fico
i tel
i son
o te
si
a di
vers
e al
tezz
e co
me
se le
col
onne
foss
ero
“im
pacc
hett
ate”
da
un
telo
uni
co.
I tel
i son
o a
dive
rse
alte
zze.
43
44
45In q
uest
’altr
a so
luzi
one,
ch
e ri
sulte
rà e
sser
e po
i la
defi
nitiv
a, c
i son
o ot
to g
rand
i tel
i, 20
0x70
cm
, bia
nchi
su
cui s
ono
impa
gina
ti gl
i agg
ettiv
i.
46
fee
ro cPr
ove
di im
pagi
nazi
one
dei t
eli.
Nel
pri
mo
caso
le le
tter
e so
no
impa
gina
te s
u di
vers
e lin
ee, l
e le
tter
e ch
e so
no
più
gran
di o
ccup
ano
lo s
pazi
o di
più
line
e pr
opri
o pe
rchè
son
o pr
esen
ti pi
ù di
una
vol
ta
nella
par
ola.
Nel
sec
ondo
cas
o tu
tte
le le
tter
e pa
rton
o da
lla
stes
sa li
nea
di b
ase
e cr
esco
no
di d
imen
sion
e.Le
lett
ere
più
gran
di s
ono
quel
le
num
eric
amen
te
più
pres
enti
in tu
tti
gli a
gget
tivi,
decr
esce
ndo
fino
alla
lett
era
men
o us
ata
tra
gli o
tto
agge
ttiv
i.
47Test
o im
pagi
nato
in
mod
o ill
ustr
ativ
o.N
on fu
nzio
na p
erò
per
tutt
i gli
agge
ttiv
i.
48Prov
e di
impa
gina
zion
e ut
ilizz
ando
le le
gatu
re.
fe roc
efe r
oce
49
50Prov
e di
impa
gina
zion
e de
i tel
i.Te
sto
in B
auer
Bod
oni
nero
con
una
sol
a le
tter
a in
ogn
i tel
o co
lora
ta d
i ros
so.
La s
ingo
la le
tter
a ne
l tes
to c
ompo
ne
com
ples
siva
men
tela
scr
itta:
la p
este
.
terr
ibile
trad
itri
ce
51
tem
pest
osa
orre
nda
52
spav
ento
sa
mos
truo
sa
53
fero
ce
furi
osa
.
54Impa
gina
zion
e de
finiti
va.
Le p
arol
e, s
empr
e in
Bau
er B
odon
i, so
no
stat
e tr
atta
te
con
la te
cnic
a de
l ret
ino
mez
zetin
te
e al
l’allo
ntan
arsi
de
i tel
i cor
risp
onde
un
mag
gior
e co
mpl
etam
ento
de
lle p
arol
e da
par
te
dell’
occh
io n
onos
tant
e la
loro
defi
nizi
one
sia
via
via
più
bass
a.
55
56
57
58Inst
alla
zion
e tip
ogra
fica
59Det
tagl
io d
el p
anne
llo
espl
icat
ivo
appl
icat
o vi
cino
al p
unto
d’
osse
rvaz
ione
pr
ivile
giat
o.
60
61
62
63
64
65
66
67