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Laboratorio Design dei Tipi

Date post: 23-Feb-2016
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laboratori di design dei tipi. Docente: Leonardo Sonnoli
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Laboratorio di Design dei tipi a.a. 2008/2009 Docente Leonardo Sonnoli Assistenti Thomas Bisiani Gabriele Toneguzzi Studente De Angelis Claudia
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Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella pro-pria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tutti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio

compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche avessi seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho defi nito «un giovane al quale per più di un motivo attribuiamo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di medita-zione del fenomeno architettonico non attraverso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a propo-sito di questi capolavori. E poco tempo dopo, nella prima pub-blicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza

Vieira era senza dubbio una delle fi gure più signifi cative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo,

a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Ma-drid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito architet-tonico più infl uenti di allora- fu favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condividevano la preoccupazione per le deri-ve postmoderne o marcatamente esibizioniste del movimento

moderno. Il riconoscimento del giovane portoghese era tanto più signifi cativo in quanto le opere che si sussegui-

vano non creavano uno “stile Siza”, bensì dimostravano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre

legata alle circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità

di cambiamento del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiun-que altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto successivo molto probabilmente modifi cherà quello che prima sem-brava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i

primi) o persino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facil-

mente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piace-

rebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una fi gura di crea-tore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente

mercato globale, non esiste quasi più.

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Fin dall’inizio della nostra conoscenza, ciascuno nella propria città, all’epoca dei primi progetti, ho capito che di tut-ti noi lui era, come si suol dire, il più grande, e che il mio compito critico era quello di spiegarlo. Quand’anche aves-si seguito altre strade più prevedibili. Dico questo perché nel primo scritto sull’opera di Álvaro Siza pubblicato nel 1960, l’ho defi nito «un giovane al quale per più di un motivo attribuia-mo un’importanza molto particolare […] per la sua capacità di meditazione del fenomeno architettonico non attra-verso la trasposizione di soluzioni già pronte, bensì con l’applicazione di idee proprie capaci di rinnovarsi ad ogni nuova opera». E ancora non era pronta la Casa del Tè di Boa Nova e nemmeno le Piscine di Leça, opere che non fecero che confermare il mio convincimento: il contributo più importante di Siza è «aver innovato più di ogni altro nel campo dello spazio interno», come ho scritto nel 1965 a proposito di questi ca-polavori. E poco tempo dopo, nella pri-ma pubblicazione all’estero (Madrid), ho aggiunto che Álvaro Siza Vieira era senza dubbio una delle fi gure più si-gnifi cative, uno dei pochi da collocare, senza peccare di sciovinismo, a livello europeo e che bisognava rispondere ai problemi di linguaggio architettonico che egli poneva. Il passaggio da Madrid a Barcellona e a Milano -i due circoli di dibattito ar-chitettonico più infl uenti di allora- fu

favorito anche dall’appoggio di amici indefettibili come Bohigas, Gregotti, Huet, Burkhart, Frampton, che condi-videvano la preoccupazione per le de-rive postmoderne o marcatamente esi-bizioniste del movimento moderno. Il riconoscimento del giovane portoghe-se era tanto più signifi cativo in quanto le opere che si susseguivano non crea-vano uno “stile Siza”, bensì dimostra-vano una ricerca inquieta, cangiante o addirittura zigzagante, sempre legata alle circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamento del registro estetico e me-todologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiunque altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - con-tenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il progetto succes-sivo molto probabilmente modifi cherà quello che prima sembrava un cammi-no sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio grazie a questa liber-tà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, no-nostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se confrontati con i primi) o per-

sino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In que-sto senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia facilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmetti-bili, libero ogni volta di inventare e sor-prendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testar-damente periferico: una fi gura di cre-atore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.

Nuno Portas

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circostanze, ai siti, ai programmi, ai costruttori, ai destinatari di ciascuna opera. «La sua incredibile capacità di cambiamen-to del registro estetico e metodologico ha oltrepassato quella del critico che credeva di averlo compreso meglio di chiun-que altro», ho scritto su una rivista madrilena nel 1986, dopo la pubblicazione a Barcellona del libro Siza Vieira - Profesión Poética - contenente testi di vari architetti e critici, gli amici che ho menzionato poc’anzi; «Quelli che a modo loro tentano di seguirlo sono chiamati a uno sforzo continuo, visto che il pro-getto successivo molto probabilmente modifi cherà quello che prima sembrava un cammino sicuro». I premi internazionali, più ancora delle richieste dall’estero, sono arrivati proprio gra-zie a questa libertà di innovare, di sorprendere senza smettere di sedurre o commuovere, nonostante l’atteggiamento crudo spesso poco amabile (soprattutto negli ultimi tempi, se con-frontati con i primi) o persino aggressivo, quasi sempre tipico di chi si conforma malvolentieri. In questo senso Álvaro Siza, entrato –malgré lui– nel novero delle “archistar”, non si lascia fa-cilmente coinvolgere nella competizione globale, rimanendo uno degli autori più personali e intrasmettibili, libero ogni volta di inventare e sorprendere. Malgrado ciò, mi piacerebbe che fosse meno richiesto di quanto sia ultimamente, e che potesse scegliere solo quei progetti a cui dedicare tutto il tempo che riservava alle prime opere, visto che continua a mantenersi testardamente periferico: una fi gura di creatore solitario che, nella sua categoria e in questo deludente mercato globale, non esiste quasi più.

Nuno Portas«Ípsilon» [supplemento del quotidiano portoghese «Público»]

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2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementiessenziali della nostra poesia.

4. Noi affermiamo che la magni� cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità

7. Non vi è più la bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavore.

8. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

11. Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto,

10. Noi vogliamo distruggere i musei,

e combattere contro il moralismo,

le accademie di ogni specie

le biblioteche,

il femminismo

e contro ogni viltà opportunistica

o utilitaria.

il volo scivolante degli areoplani.

È dall’ Italia che lanciamo questo manfesto

di violenza travolgente e incendiaria col quale

fondiamo oggi il Futurismo.

9. Noi vogliamo glori� care la guerra, sola igene del mondo, il militarismo,il patriottismo,il gesto distruttore.

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6.

2.

4.

7.

8.

11.

10. 9.

5.

3. Filippo Tommaso Marinetti fonda il 20 febbraio 1909 a Parigi il manifesto futurista

Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

La letteratura esaltò fi no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Noi affermiamo che la magnifi cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità

Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnifi cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.

Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

Noi vogliamo glorifi care la guerra-sola igene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore

Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria

Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.

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MANIFESTO

8.

11.4. 1.6. 7.

2.5.

9.

10.3.

Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

La letteratura esaltò fi no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Noi affermiamo che la magnifi cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità

Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magnifi cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.

Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

Noi vogliamo glorifi care la guerra-sola igene del mondo-il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore

Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria

Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo

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MANIFESTONoi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

La letteratura esaltò � no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Noi affermiamo che la magni� cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.

Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.

Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

Noi vogliamo glori� care la guerra- sola igene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore.

Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.

Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. È dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.

«Il Manifesto del Futurismo» di F. T. Marinetti

«Le Figarò»20 Febbraio 1909

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FUTURISMO

Per parlare di futurismo dobbiamo iniziare con-siderando la teoria delle «parole in libertà» de� nita e perfezionata da Marinetti, in tre successivi mani-festi «tecnici»: il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, con l’annesso Ri-sposte alle obiezioni dell’11 agosto 1912, Distru-zione della sintassi – Immaginazione senza � li – Pa-role in libertà dell’11 maggio 1913 e lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica del 18 marzo 1914. L’urgenza di un nuovo linguaggio nasce in Marinetti dall’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mon-do. Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scienti� che. Il telegrafo, il telefo-no, il grammofono, il treno, la bicicletta, la moto-cicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo, il grande quotidiano: tutte queste diverse forme di comunicazione, di tra-sporto e d’informazione, afferma Marinetti, eserci-tano sulla psiche una decisiva in� uenza in quanto producono fenomeni signi� cativi come l’accelera-mento della vita, l’amore del nuovo, dell’imprevi-sto, del pericolo, la moltiplicazione e lo scon� na-mento delle ambizioni e dei desideri umani. Tutto ciò sta alla base della nuova sensibilità futurista. Le «parole in libertà» sono lo strumento linguistico per tradurre in modo ef� cace questa nuova sensibi-lità. Del resto, qui si constata un’evidenza banale: il linguaggio (anche quello poetico) è un sistema di segni regolato da un codice non � sso, ma aperto, che varia sulla base dei bisogni da soddisfare. Se i bisogni cambiano, il codice deve adeguarsi alle nuove necessità.

Le indicazioni di Marinetti sono chiare e peren-torie: 1. distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono;2. usare il verbo all’in� nito perché si adatti elasti-camente al sostantivo e non lo sottoponga all’«io» dello scrittore che osserva o immagina; al contra-rio, l’«io» dev’essere distrutto in letteratura;3. abolire l’avverbio, la punteggiatura, l’aggettivo quali� cativo che presuppone un arresto nella intui-zione (nel 1913 Marinetti parla di aggettivo sema-forico, aggettivo–faro o aggettivo–atmosfera, cioè di un aggettivo separato dal sostantivo, isolato in una parentesi, capace di lanciare lontano «la sua luce girante»); 4. ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiun-zione, dal sostantivo a cui è legato per analogia (esempi: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-ri-sacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto);5. trovare gradazioni di analogie sempre più vaste (a questo riguardo Marinetti usa una terminologia molto attuale, se pensiamo alle «autostrade tele-matiche»: parla infatti di «reti d’immagini» che ver-ranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni);6. realizzare un maximun di disordine nel disporre le immagini;7. sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esauri-ta, con l’ossessione lirica della materia;8. introdurre in letteratura il rumore (manifestazio-

ne del dinamismo degli oggetti), il peso (facoltà di volo degli oggetti), l’odore (facoltà di sparpaglia-mento degli oggetti);9. fare coraggiosamente il «brutto» in letteratura ed uccidere dovunque la solennità.Per imprimere alle parole tutte le velocità – «quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiu-ma marina, delle molecole, e degli atomi» – e rad-doppiarne la forza espressiva Marinetti introduce anche una «rivoluzione tipogra� ca» diretta «contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana»: «Noi useremo perciò» - scrive Marinetti nel Manifesto del 1913 - «in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’in-chiostro, e anche venti caratteri tipogra� ci diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc.».C’è in� ne l’ideazione del «lirismo multilineo» con il quale ottenere la «simultaneità (concetto mutua-to dai pittori futuristi) lirica», ossia la possibilità di percorrere contemporaneamente «catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie». Na-scono così le tavole parolibere, chiamate da Mari-netti «tavole sinottiche di poesia o passaggi di pa-role suggestive», veri e propri «collages tipogra� ci», anticipatori di quella che verrà chiamata poesia concreta e visiva.

Onomatopee

Cosideriamo «l’uso audace e continuo dell’ono-matopea» che scaturisce dall’amore dei futuristi per la materia, dalla volontà di penetrarla e di co-noscerne le vibrazioni, dalla simpatia che li lega ai motori. L’onomatopea che riproduce il rumore è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia, la sua brevità permette «di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi».

Nel Manifesto del 1914 Marinetti distingue di-versi tipi di onomatopee: a) l’onomatopea diretta imitativa elementare reali-stica (esempio: «pic pac pum, fucileria»); b) l’onomatopea indiretta complessa e analogica (Marinetti cita l’esempio dell’onomatopea «stri-dionla stridionla stridionlaire» che si ripete nel pri-mo canto del suo poema epico «La conquista delle stelle», volta a «formare un’analogia fra lo stridore di grandi spade e l’agitarsi rabbioso delle onde, pri-ma di una grande battaglia di acque in tempesta»; c) l’onomatopea astratta, «espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità»; d) l’accordo onomatopeico psichico, ovvero la fu-sione di due o tre onomatopee astratte.

L’importanza e la dominanza dell’onomatopea nel linguaggio dei futuristi sono suffragate dalla creazione nel 1916 dell’«onomalingua» da parte di Fortunato Depero. Linguaggio delle forze naturali (vento, pioggia, mare, ecc.) e degli «esseri arti� ciali rumoreggianti creati dagli uomini» (biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine), l’«onomalin-gua» è lo strumento più rudimentale e più ef� cace

per esprimere le emozioni e le sensazioni. Nei mo-nologhi dei clowns e dei comici di varietà, scrive Depero, vi sono tipici accenni all’onomalingua che costituisce la lingua più indovinata per la scena e specialmente per le esagerazioni esilaranti. Con l’«onomalingua», aggiunge Depero, si può parlare ef� cacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine, dato che è un lin-guaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori. L’onomatopea in quanto specchio sonoro, armo-nia imitativa di una realtà naturale è stata spesso interpretata come l’espressione di un linguaggio primitivo, originario, parlato prima della confusio-ne delle lingue e quindi universale. Lo stesso Ma-rinetti, nel primo Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909, inneggia al bisogno che «il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo e muni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi pri-mordiali». Fra questi elementi primordiali c’è il lin-guaggio come materia, oggetto puramente sonoro.

Rumore nel testo

Un altro aspetto importante della poesia futuri-sta, legato strettamente all’uso delle onomatopee, è l’irruzione travolgente del rumore nel testo, che si accompagna alla scoperta futurista del «suono–ru-more», del «rumore musicale» prodotto dal fragore delle saracinesche dei negozi, dalle porte sbatac-chianti, dal brusìo e dallo scalpiccìo delle folle, dai diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle � lande, delle tipogra� e, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee. Questa nuova «sensibili-tà sonora» è il sintomo dell’evoluzione della musica in parallelo con il moltiplicarsi delle macchine che ha creato «tanta varietà e concorrenza di rumori». Il «suono–rumore», al pari dell’onomatopea, pre� -gura la struttura di un nuovo linguaggio musicale che «ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio» come scrive Luigi Russolo nel manifesto «L’arte dei rumori» del 1913. Per regolare la velocità dello stile, Marinet-ti propone di servirsi dei «brevissimi od anonimi segni [...] musicali», ponendo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi), che possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico. Sull’universalità del linguaggio musicale scrive Fran-cesco Cangiullo nel testo Poesia pentagrammata del 1922: «La Musica è linguaggio universale, e gli uomini che sanno leggere uno spartito sono in� ni-tamente più di quelli che sanno leggere un libro nel testo originale. Perciò una poesia scritta su carta da musica avrà, oltre il suo numero di lettori, nel testo originale, un in� nito numero internazionale di persone (con appena una qualche cognizione mu-sicale) che se non la leggono nella lingua in cui è scritta, la intendono benissimo dal lato musicale; cioè afferrano i passaggi melodici e allegri del suo ritmo, il chiaroscuro delle parole-note, acute e bas-se, in� ne il lirico disegno pentagrammato».

centenario 1909-2009

tra tipogra� a e uso delle onomatopeeCaratteri generali del futurismo

F. T. Marinetti, da « 8 anime in una bomba », Milano, 1919

F. T. Marinetti, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front (1918), da « Les mots en liberté futuristes », Milano, 1919

Giacomo Balla, Onomatopea rumorista Macchina tipografica, 1914

Fortunato Depero, da « Depero futurista », Milano, 1913-27

F. Cangiullo, da « Piedigrotta », Milano, 1916

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MANIFESTONoi vogliamo cantare

l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.

Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.

La letteratura esaltò � no ad oggi l’immobilità penosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

Noi affermiamo che la magni� cenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità.

Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita.

Bisogna che il poeta si prodichi con ardore, sfarzo e magni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali.

Non vi è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro.

Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! poichè abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.

Noi vogliamo glori� care la guerra- sola igene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore.

Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.

Noi canteremo le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli areoplani. È dall’Italia che lanciamo questo manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il Futurismo.

«Il Manifesto del Futurismo» di F. T. Marinetti

«Le Figarò»20 Febbraio 1909

8.11.

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FUTURISMO

Per parlare di futurismo dobbiamo iniziare considerando la teoria delle «parole in libertà» de� nita e perfezionata da Marinetti, in tre successivi manifesti «tecnici»: il Manifesto tecnico della letteratura futurista dell’11 maggio 1912, con l’annesso Risposte alle obiezioni dell’11 agosto 1912, Distruzione della sintassi – Immaginazione senza fi li – Parole in libertà dell’11 maggio 1913 e Lo splendore geometrico e meccanico e la sensibilità numerica del 18 marzo 1914. L’urgenza di un nuovo linguaggio nasce in Marinetti dall’affermarsi di un modo nuovo di sentire il mondo. Il Futurismo si fonda sul completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scienti� che. Il telegrafo, il telefono, il grammofono, il treno, la bicicletta, la motocicletta, l’automobile, il transatlantico, il dirigibile, l’aeroplano, il cinematografo, il grande quotidiano: tutte queste diverse forme di comunicazione, di trasporto e d’informazione, afferma Marinetti, esercitano sulla psiche una decisiva in� uenza in quanto producono fenomeni signi� cativi come l’acceleramento della vita, l’amore del nuovo, dell’imprevisto, del pericolo, la moltiplicazione e lo scon� namento delle ambizioni e dei desideri umani. Tutto ciò sta alla base della nuova sensibilità futurista.

Le «parole in libertà» sono lo strumento linguistico per tradurre in modo ef� cace questa nuova sensibilità. Del resto, qui si constata un’evidenza banale: il linguaggio (anche quello poetico) è un sistema di segni regolato da un codice non � sso, ma aperto, che varia sulla base dei bisogni da soddisfare. Se i bisogni cambiano, il codice deve adeguarsi alle nuove necessità.

Le indicazioni di Marinetti sono chiaree perentorie: 1. distruggere la sintassi disponendo i sostantivi a caso, come nascono;2. usare il verbo all’in� nito perché si adatti elasticamente al sostantivo e non lo sottoponga all’«io» dello scrittore che osserva o immagina; al contrario, l’«io» dev’essere distrutto in letteratura;3. abolire l’avverbio, la punteggiatura, l’aggettivo quali� cativo che presuppone un arresto nella intuizione (nel 1913 Marinetti parla di aggettivo semaforico, aggettivo-faro o aggettivo-atmosfera, cioè di un aggettivo separato dal sostantivo, isolato in una parentesi, capace di lanciare lontano

«la sua luce girante»); 4. ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguito, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia (esempi: uomo-torpediniera, donna-golfo, folla-risacca, piazza-imbuto, porta-rubinetto);5. trovare gradazioni di analogie sempre più vaste (a questo riguardo Marinetti usa una terminologia molto attuale, se pensiamo alle «autostrade telematiche»: parla infatti di «reti d’immagini» che verranno lanciate nel mare misterioso dei fenomeni);6. realizzare un maximun di disordine nel disporre le immagini;7. sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia;8. introdurre in letteratura il rumore (manifestazione del dinamismo degli oggetti), il peso (facoltà di volo degli oggetti), l’odore (facoltà di sparpagliamento degli oggetti);9. fare coraggiosamente il «brutto» in letteratura ed uccidere dovunque la solennità.

Per imprimere alle parole tutte le velocità – «quelle degli astri, delle nuvole, degli aeroplani, dei treni, delle onde, degli esplosivi, dei globuli della schiuma marina, delle molecole, e degli atomi» – e raddoppiarne la forza espressiva Marinetti introduce anche una «rivoluzione tipogra� ca» diretta «contro la bestiale e nauseante concezione del libro di versi passatista e dannunziana»: «Noi useremo perciò» - scrive Marinetti nel Manifesto del 1913 - «in una medesima pagina, tre o quattro colori diversi d’inchiostro, e anche venti caratteri tipografi ci diversi, se occorra. Per esempio: corsivo per una serie di sensazioni simili o veloci, grassetto tondo per le onomatopee violente, ecc.».

C’è in� ne l’ideazione del «lirismo multilineo» con il quale ottenere la «simultaneità (concetto mutuato dai pittori futuristi) lirica», ossia la possibilità di percorrere contemporaneamente «catene di colori, suoni, odori, rumori, pesi, spessori, analogie». Nascono così le tavole parolibere, chiamate da Marinetti «tavole sinottiche di poesia o passaggi di parole suggestive», veri e propri «collages tipogra� ci», anticipatori di quella che verrà chiamata poesia concreta e visiva.

Onomatopee

Cosideriamo «l’uso audace e continuo dell’onomatopea» che scaturisce dall’amore

dei futuristi per la materia, dalla volontà di penetrarla e di conoscerne le vibrazioni, dalla simpatia che li lega ai motori. L’onomatopea che riproduce il rumore è necessariamente uno degli elementi più dinamici della poesia, la sua brevità permette «di dare degli agilissimi intrecci di ritmi diversi».

Nel Manifesto del 1914 Marinetti distingue diversi tipi di onomatopee: a) l’onomatopea diretta imitativa elementare realistica (esempio: «pic pac pum, fucileria»); b) l’onomatopea indiretta complessa e analogica (Marinetti cita l’esempio dell’onomatopea «stridionla stridionla stridionlaire» che si ripete nel primo canto del suo poema epico «La conquista delle stelle», volta a «formare un’analogia fra lo stridore di grandi spadee l’agitarsi rabbioso delle onde, prima di una grande battaglia di acque in tempesta»; c) l’onomatopea astratta, «espressione rumorosa e incosciente dei moti più complessi e misteriosi della nostra sensibilità»; d) l’accordo onomatopeico psichico, ovverola fusione di due o tre onomatopee astratte.

L’importanza e la dominanza dell’onomatopea nel linguaggio dei futuristi sono suffragate dalla creazione nel 1916 dell’«onomalingua» da parte di Fortunato Depero. Linguaggio delle forze naturali (vento, pioggia, mare, ecc.) e degli «esseri arti� ciali rumoreggianti creati dagli uomini» (biciclette, tram, treni, automobili e tutte le macchine), l’«onomalingua» è lo strumento più rudimentale e più ef� cace per esprimere le emozioni e le sensazioni. Nei monologhi dei clowns e dei comici di varietà, scrive Depero, vi sono tipici accenni all’onomalingua che costituisce la lingua più indovinata per la scena e specialmente per le esagerazioni esilaranti. Con l’«onomalingua», aggiunge Depero, si può parlare ef� cacemente con gli elementi dell’universo, con gli animali e con le macchine, dato che è un linguaggio poetico di comprensione universale per il quale non sono necessari traduttori. L’onomatopea in quanto specchio sonoro, armonia imitativa di una realtà naturale è stata spesso interpretata come l’espressione di un linguaggio primitivo, originario, parlato prima della confusione delle lingue e quindi universale. Lo stesso Marinetti, nel primo Manifesto del Futurismo del 20 febbraio 1909, inneggia al bisogno che «il poeta si prodighi, con ardore, sfarzo

e muni� cenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali».Fra questi elementi primordiali c’è il linguaggio come materia, oggetto puramente sonoro.

Rumore nel testo

Un altro aspetto importante della poesia futurista, legato strettamente all’uso delle onomatopee, è l’irruzione travolgente del rumore nel testo, che si accompagna alla scoperta futurista del «suono–rumore», del «rumore musicale» prodotto dal fragore delle saracinesche dei negozi, dalle porte sbatacchianti, dal brusìo e dallo scalpiccìo delle folle, dai diversi frastuoni delle stazioni, delle ferriere, delle � lande, delle tipogra� e, delle centrali elettriche e delle ferrovie sotterranee. Questa nuova «sensibilità sonora» è il sintomo dell’evoluzione della musica in parallelo con il moltiplicarsi delle macchine che ha creato «tanta varietà e concorrenza di rumori». Il «suono-rumore», al pari dell’onomatopea, pre� gura la struttura di un nuovo linguaggio musicale che «ricerca gli amalgami di suoni più dissonanti, più strani e più aspri per l’orecchio» come scrive Luigi Russolonel manifesto «L’arte dei rumori» del 1913.

Per regolare la velocità dello stile, Marinetti propone di servirsi dei «brevissimi od anonimi segni [...] musicali», ponendo tra parentesi delle indicazioni come: (presto) (più presto) (rallentando) (due tempi), che possono anche tagliare una parola o un accordo onomatopeico. Sull’universalità del linguaggio musicale scrive Francesco Cangiullo nel testo Poesia pentagrammata del 1922: «La Musica è linguaggio universale, e gli uomini che sanno leggere uno spartito sono in� nitamente più di quelli che sanno leggere un libro nel testo originale. Perciò una poesia scritta su carta da musica avrà, oltre il suo numero di lettori, nel testo originale, un in� nito numero internazionale di persone (con appena una qualche cognizione musicale) che se non la leggono nella lingua in cui è scritta, la intendono benissimo dal lato musicale; cioè afferrano i passaggi melodici e allegridel suo ritmo, il chiaroscuro delle parole-note, acute e basse, in� ne il lirico disegno pentagrammato».

1909-2009. Tra tipogra� a e uso delle onomatopee.

Caratteri generali del futurismo

F. Cangiullo, da « Piedigrotta », Milano, 1916

F. T. Marinetti, da « 8 anime in una bomba », Milano, 1919

F. T. Marinetti, Le soir, couchée dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front (1918), da « Les mots en liberté futuristes », Milano, 1919

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“[La Peste] È malattia furiosa, tempestosa, mostruosa, spaventosa, orrenda, terribile, feroce, traditrice... [Quando le si sfugge, È cosa più divina che umana.]”

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Page 47: Laboratorio Design dei Tipi

47Test

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Page 48: Laboratorio Design dei Tipi

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49

Page 50: Laboratorio Design dei Tipi

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51

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Page 52: Laboratorio Design dei Tipi

52

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Page 53: Laboratorio Design dei Tipi

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Page 54: Laboratorio Design dei Tipi

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