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LOOKING FORWARD - Accenture · 2015-05-23 · LOOKING FORWARD IL SISTEMA ITALIA: LE ECCELLENZE DA...

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LOOKING FORWARD IL SISTEMA ITALIA: LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE Redatto in collaborazione con STRATEGY PRACTICE DI ACCENTURE Secondo volume Articoli di Marco Fortis, Andrea Poggi, Piercarlo Gera, Marco Salera Mauro Marchiaro, Luca Scanu, Andrea Bargioni, Alessandro Diana Luigi Onorato, Paolo Vendramin. Supplemento allegato al n. 3.2010 di ITALIA !"#$%&’ %$)*+!’"*,$ %!#$%-*&’ *! ,$&&’%! )! .*%-*%) /0#!"$## %$-!$1 !&*,!*
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LOOKING FORWARDIL SISTEMA ITALIA:

LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE

Redatto in collaborazione con STRATEGY PRACTICE DI ACCENTURE

Secondo volume

Articoli di Marco Fortis, Andrea Poggi, Piercarlo Gera, Marco Salera Mauro Marchiaro, Luca Scanu, Andrea Bargioni, Alessandro Diana Luigi Onorato, Paolo Vendramin.

Supplemento allegato al n. 3.2010 diITALIA

ITALIA

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LOOKING FORWARDIL SISTEMA ITALIA:

LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE

Redatto in collaborazione con STRATEGY PRACTICE DI ACCENTURE

Secondo volume

Articoli di Marco Fortis, Andrea Poggi, Piercarlo Gera, Marco Salera Mauro Marchiaro, Luca Scanu, Andrea Bargioni, Alessandro Diana Luigi Onorato, Paolo Vendramin.

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Enrico SassoonPREFAZIONE Strategie di crescita e di competitività

Marco FortisINTRODUZIONE Il forte dinamismo dell’Italia industriale

Andrea PoggiLOOKING FORWARD Sistema Italia: le eccellenze da cui ripartire

Luigi Onorato, Francesco Iervolino e Matteo VerganiHEALTH & PUBLIC SERVICE Lo Stato di cui non si parla mai

Piercarlo Gera, Andrea Bargioni, Giorgio Coppola e Pierpaolo Cazzola FINANCIAL SERVICES - BANKING Il sistema finanziario al servizio della ripresa: il ruolo delle banche

Paolo Vendramin, Antonio Orlando e Fabio Frisa FINANCIAL SERVICES - INSURANCE Il sistema finanziario e assicurativo a difesa di una crescita sostenibile del risparmio delle famiglie italiane

Alessandro Diana, Ra!aella Campagnoli e Mirko De Angelis PRODUCTS La nuova era dell’industria italiana: dai distretti al mondo

Marco Salera, Andrea Pagliai e Stefano PapiniCOMMUNICATIONS AND HIGH TECH"Innovazione, tecnologia e turismo: quali opportunità per sviluppare la destinazione Italia?

Mauro Marchiaro, Luca Scanu e Danilo Troncarelli RESOURCES La Green Energy & Clean Tech Revolution: l’Italian Way per cogliere l’opportunità alle porte

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Direttore responsabile Enrico Sassoon ([email protected])

Comitato editorialeRoger Abravanel, Umberto Bertelè, Armando Brandolese, Federico Butera, Roberto Casaleggio, Maurizio Decina, Alessandro Di Fiore, Vito Di Bari, Guido Di Stefano, Manuela Doglio, Franco Giacomazzi, Luca Pacces, Elserino Piol, Stefano Preda, Walter G. Scott

Collaborazione editoriale Brigida Forese

Collaborazione grafica Carlo Baiardi

Segreteria editoriale Eva Sportoletti Baduel ([email protected])

Pubblicità StrategiQs Edizioni srlVia Lanzone 2, 20123 MilanoTel. 02.3651.4980 – Fax 02.3651.4984Email: [email protected]

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Testata registrata presso il Tribunale di Milano n. 192 del 20/03/2006 Stampa Industria Grafica -Graphic Scalve, Loc. Ponte Formello Vilminore di Scalve (BG) Distributore per l’Italia: Arnoldo Mondadori Editore S.p.A. 20090 Segrate (Mi) Abbonamenti: Press-Di, Milano Oltre, via Cas-sanese 224, 20090 Segrate (MI). Per informa-zioni: tel. 199.111.999; per gli abbonati di Milano e provincia: 02.66.814.363; fax 030.3198.202; e-mail: [email protected]. Indirizzo postale: Servizio Abbonati – Casella Postale 97 – 25197 Brescia. Abbonamento annuale: Euro 99,90 (Euro 135,00, sconto 26%),oltre spese di spedizione secondo tari!e per l’estero. Garanzia di riservatezza per gli abbonati. L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la can-cellazione ai sensi dell’art. 7 del D. leg. 196/2003 scrivendo a Press Di srl – Distribuzione Stampa e Multimedia - U"cio Privacy – Milano Oltre - Via Cassanese, 224 - 20090 Segrate (MI)

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LOOKING FORWARDIL SISTEMA ITALIA:LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE

SOMMARIO

ITALIA

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4 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Strategie di crescita e di competitività

Il biennio orribile 2008-2009 è finito ed ora si guar-da con maggiore fiducia alla ripresa che verrà, si spera, nel biennio 2010-2011. Un moderato ottimi-smo sembra, infatti, più giustificato oggi rispetto a qualche mese fa, anche se la cautela è d’obbligo.

A guardare le più recenti indagini del Fondo Monetario Internazionale, si ricava che il 2010 segna un rimbalzo relativamente intenso rispetto al 2009, con una crescita globale del 3,9%, che si consoliderà al 4,3% nel 2011. Se confermato, questo andamento è piuttosto confortante, non solo perché ribalta il crollo dello 0,8% del Pil globale nel 2009, ma anche perché è decisamente superiore al 3% segnato nel 2008, anno in cui è esplosa la crisi finanziaria ma nel quale gli effetti sulla crescita economica erano stati ancora modesti.Naturalmente, la crescita nel biennio non sarà omogenea. Sarà blanda in Usa, Eurozona e Giappone; sarà intensa in Cina e India, buona in altri Paesi asiatici e in America Latina; problematica in una serie di altri Paesi come Gre-cia, Spagna ed Est Europa. Per descrivere la situazione un famoso commentatore britannico si è divertito a creare l’acronimo LUV, in cui la forma delle lettere richiama la forma delle curve di crescita delle varie aree. Lenta cresci-ta in Europa (curva a L), un po’ meglio negli Usa (curva a U), decisamente meglio in Asia (rimbalzo a V).Ci sono, però, alcune eredità della crisi che si trascinano tuttora e che, con ogni probabilità, resteranno a marcare il campo per un lungo periodo. Il vincolo più importante consiste nell’elevato debito pubblico che è esploso in se-guito agli interventi pubblici realizzati nei due anni scorsi

per sostenere l’economia. Il debito non preoccupa solo per il peso che rappresenta sui conti pubblici, ma perché rischia di provocare il crowding out del credito rispetto alle imprese private proprio nel momento in cui si dovrà esercitare la rinnovata spinta a investire e crescere. Inol-tre, si potrebbero comunque verificare episodi di insol-venza, come nel temuto caso della Grecia, o persino della Spagna. Non a caso, i credit default swaps segnalano, in queste settimane, le preoccupazioni degli investitori, as-segnando un costo maggiore alla copertura del rischio di default degli Stati rispetto a quello delle imprese.Un secondo problema concerne disponibilità e costo del denaro. Finora è stato tenuto fortemente compresso per favorire l’attività economica e d’impresa, ma nei prossimi mesi rialzi dei tassi d’interesse sono da assumere come più che probabili, non solo per la dinamica legata alle scel-te fiscali a livello Paese, ma anche per le indubbie diffi-coltà che il sistema bancario dovrà affrontare in seguito alle più stringenti regolamentazioni in via di introduzione ovunque. Il credito alle imprese sarà dunque più costoso e, probabilmente, anche più scarso, e questo indica come strada da percorrere quella di un maggiore ricorso al ca-pitale di rischio. La questione è se i mercati finanziari, a partire dalle borse, saranno disponibili ad andare incontro a queste esigenze, e in che misura.Un terzo problema concerne la domanda per consumi. La crisi legata alla recessione è stata forte e sono tuttora scarsi i segni di un ritorno di fiducia nei consumatori. Le componenti principali continuano a essere la riduzione del reddito spendibile e l’aumento della disoccupazione,

di Enrico Sassoon | Direttore responsabile, Harvard Business Review Italia.

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PREFAZIONE

SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 5

che nei prossimi mesi toccherà il picco in molti Paesi occi-dentali, in Europa come negli Stati Uniti. Particolarmente difficile una previsione per il grande tradizionale motore dell’economia mondiale, l’America, dove rimane acuta la contraddizione tra l’esigenza di un aumento del tasso di risparmio e l’auspicabilità di un ritorno a consumi soste-nuti che trascinino l’espansione attraverso produzione e investimenti delle imprese.Come si vede, anche trascurando altre aree problematiche del quadro economico e d’impresa, i punti interrogativi sono tuttora presenti e sono destinati a perpetuare per an-cora lungo tempo il clima di incertezza che condiziona uno scenario di pieno recupero. Questo rapporto speciale rea-lizzato tempestivamente dalla Strategy Practice di Accen-ture (il secondo, dopo quello dello scorso giugno) affronta in modo articolato le questioni più rilevanti ai fini di una ri-presa dell’attività d’impresa per i principali settori e con ri-ferimento specifico alla realtà italiana nel contesto globale.Il rapporto si apre opportunamente con un’introduzione di Marco Fortis, uno dei più esperti economisti industriali del nostro Paese, che propone una visione equilibratrice della realtà economica e industriale italiana, con l’obietti-vo primario di contrastare le tendenze al “declinismo” - o addirittura “catastrofismo” - sulla realtà imprenditoriale dell’Italia, per porne invece in evidenza i numerosi pun-ti di forza. I numerosi dati citati nell’introduzione danno una precisa dimensione non solo dell’attuale capacità competitiva delle imprese italiane, manifatturiere e dei servizi, ma anche del potenziale che può essere ulterior-mente messo in campo.Il saggio di Andrea Poggi si colloca sulla stessa linea di analisi e ragionamento di Fortis, poiché riflette in modo approfondito sul tema strategico delle condizioni per il ri-lancio del Sistema Italia dopo la crisi. Occorre, argomenta Poggi, fare leva sulle indubbie eccellenze ampiamente dif-fuse nel Paese per orientare lo sforzo comune nelle diret-trici d’intervento più efficaci. Le leve da attivare, o ri-atti-vare, sono definite dall’esigenza di dare un nuovo impulso ai percorsi di innovazione e di internazionalizzazione, prestare una rinnovata attenzione al capitale umano delle aziende e porre al centro del focus delle imprese l’obiet-tivo della soddisfazione del cliente/cittadino. Particolar-mente forte è il richiamo al top management d’impresa affinché colga l’importanza di attivare queste politiche nel delicato passaggio della ripresa che verrà.Di grande rilievo l’articolo di Onorato, Iervolino e Ver-gani, perché punta l’attenzione su un’area di cruciale importanza: quella dei vincoli allo sviluppo posti da una macchina burocratica e amministrativa pubblica di cui sono note, e sovente lamentate, le diffuse inefficienze. Gli autori affrontano, però, questa delicata connessione del

tessuto economico nazionale con l’intenzione di mettere in evidenza non tanto le inefficienze, ma i punti di forza, se non addirittura di eccellenza, della macchina pubblica, su cui fare leva per innalzare il livello generale della Pub-blica amministrazione a supporto dello sforzo costante di cittadini e imprese.L’esplorazione del Sistema Italia operata dalla Strategy Practice di Accenture affronta, quindi, i settori più rilevanti dell’economia. Gera, Bargioni, Coppola e Cazzola iden-tificano, nel contesto del dopo-crisi, le condizioni per un ruolo efficace e rinnovato del sistema bancario in Italia, in un rapporto costruttivo con il sistema delle imprese. Essere “banca per il Sistema Paese” richiede essere parte attiva di un “ecosistema” fortemente innovativo nell’interazione e nelle regole, ampliando il ruolo delle banche sia nei con-fronti dei consumatori/risparmiatori, sia dell’insieme del tessuto imprenditoriale. Cruciale anche – come emerge dal contributo di Vendramin, Orlando e Frisa – il ruolo del si-stema assicurativo che, in un Paese di forte propensione al risparmio come è l’Italia, richiede una visione a tutto cam-po che comporta una precisa ridefinizione dei compiti e delle competenze dell’industria finanziaria nel suo insieme.Nell’analisi delle caratteristiche forti dell’industria ita-liana non poteva mancare un esame della realtà attuale e prospettica dei distretti industriali. L’articolo di Diana, Campagnoli e De Angelis ne ricorda la storia di successo, ne esamina in modo puntale la presente situazione di crisi e ne identifica con lucidità e precisione le esigenze evolu-tive per vincere le sfide della competizione globale futura.Il contributo di Salera, Pagliai e Papini affronta, quindi, quello che è diventato il settore più rilevante dell’econo-mia italiana, quello turistico. Il business del turismo pre-senta buoni risultati a livello assoluto, ma anche un forte potenziale non sfruttato che, argomentano gli autori, è possibile attivare grazie al crescente contributo delle tec-nologie informatiche, telematiche e dei media. Occorre, però, agire in fretta perché la competizione globale in questo settore è forte e competente e l’offerta qualitativa di altri Paesi è in continua ascesa.Nell’articolo conclusivo, infine, Marchiaro, Scanu e Tron-carelli analizzano le prospettive del settore energetico-ambientale, nel quale si sta verificando una vera e propria rivoluzione che diventerà sempre più evidente nei prossi-mi anni. Quella delle tecnologie energetiche e ambientali “verdi” costituisce per l’Italia, nel settore pubblico come in quello privato, una grande opportunità di sviluppo e di creazione di occupazione su cui occorre attivarsi con convinzione perché, come in altri casi, la competizione internazionale appare già lanciata su grandi obiettivi e im-portanti realizzazioni.

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6 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Il forte dinamismo dell’Italia industriale

La crisi globale divampata dopo lo scoppio della “bolla” immobiliare e finanziaria ha riportato all’attenzione ge-nerale l’importanza fondamentale dell’«economia reale» nello sviluppo economico. E opportunamente questo Strategy Book di Accenture si concentra sui punti di forza del Sistema Italia per affrontare la ripresa e rilanciare la crescita, partendo proprio dall’industria e dal turismo. Di particolare rilevanza sono le analisi che riguardano le prospettive dei nostri distretti industriali e le opportunità di sviluppo delle tecnologie della “green economy”, cam-po in cui l’Italia ha grosse potenzialità nell’ambito della sua straordinaria industria meccanica. Ma non solo. Si in-quadrano anche i possibili ruoli a supporto dell’economia reale che possono essere svolti sia dal sistema finanzia-rio, fortunatamente poco colpito in Italia dalle sciagurate derive della tecno-finanza anglo-sassone, sia dal sistema assicurativo a difesa del risparmio delle famiglie, fortuna-tamente non contagiato nel nostro Paese dalla “febbre” immobiliare che ha letteralmente messo in ginocchio i bi-lanci di milioni di famiglie americane, inglesi, irlandesi, islandesi, spagnole e di altre nazioni. Il Rapporto non manca, inoltre, di sottolineare le eccellenze che pure esistono nell’area della Pubblica Amministrazione e dei servizi pubblici in Italia, settore che comunque necessi-ta nel suo complesso di interventi urgenti e radicali che elimi-nino gli sprechi di risorse e le sacche di improduttività.

L’approccio di questo Strategy Book è largamente condi-visibile nelle sue linee generali e in parte coincide con il perimetro di analisi di alcuni nostri recenti lavori sull’Italia e la sua competitività internazionale. Ci riferiamo in parti-colare a una ricerca della Fondazione Edison sui mille pri-mati del Made in Italy nel commercio internazionale (basa-ta sull’indice Fortis-Corradini) e a uno studio congiunto di Aspen Institute Italia e Fondazione Edison sul posiziona-mento dell’Italia nella nuova geo-economia del G-20.Il punto di partenza di entrambe queste ricerche è stato l’idea del “declino” che ha letteralmente dominato negli ultimi anni il dibattito economico nel nostro Paese. In tale dibattito, l’analisi dei punti di debolezza dell’Italia, di cui pure siamo assolutamente consapevoli, è largamente pre-valsa su quella dei punti di forza, al punto da impedire una corretta visione delle reali condizioni del sistema eco-nomico italiano e, in particolare, della sua competitività internazionale. Lo stereotipo di un’Italia stremata e senza significative prospettive di sviluppo è stato alimentato anche dalle ripetute prese di posizione di certa stampa straniera, so-prattutto anglosassone, le cui analisi sull’economia italia-na, per quanto spesso molto superficiali, hanno trovato quasi sempre una straordinaria eco sui media nazionali a causa del nostro tradizionale complesso di inferiorità ver-so tutto ciò che è straniero, comprese le opinioni altrui.

I dati di fatto smentiscono i profeti del declino economico italiano. Al contrario, la crisi economica sta evidenziando la capacità competitiva mondiale di molte aziende di numerosi settori nel campo manifatturiero e dei servizi. Una forza spesso sottovalutata dai “catastrofisti” e che é, invece, la base su cui poggia la ripresa economica che inizia a manifestarsi. di Marco Fortis*

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 7

INTRODUZIONE

In particolare, si è distinto per accanimento critico nei riguardi del nostro Paese l’ascoltato settimanale britanni-co The Economist, che è certamente autorevole, ma non per questo infallibile. Basti pensare alla sua ormai celebre copertina che nel 2005 ritrasse l’Italia (a quell’epoca defi-nita “la vera malata d’Europa”) sorretta da tante piccole stampelle: una copertina che però, per ironia della sorte, potrebbe essere riadattata molto più opportunamente alla Gran Bretagna, sprofondata oggi in una crisi economico-finanziaria senza precedenti. Resta il fatto, però, che l’idea di un profondo declino dell’Italia nello scenario globale è stata condivisa da am-pie élite di esperti e opinionisti, spesso in modo acritico. Essa si è poggiata sulla diffusa convinzione che il nostro Paese stesse mostrando una serie di sintomi inequivocabili di decadenza economica. In particolare, l’Italia, agli occhi dei “declinisti”, appariva afflitta soprattutto da tre proble-mi: un tasso di crescita del PIL cronicamente più basso rispetto a mol-ti altri Paesi avanzati; un crescente impoverimen-to delle famiglie; una vistosa perdita di quote di mercato nell’export mondiale.Da parte nostra, non abbiamo mai sottovalu-tato i fattori strutturali che frenano il poten-ziale di crescita dell’Ita-lia, in primis il debito pubblico, ma anche il divario Nord-Sud, la gi-gantesca evasione fiscale, l’eccessiva dipendenza energe-tica dall’estero e il limitato slancio delle liberalizzazioni. Ma abbiamo sempre tenuto ben distinti questi problemi dall’idea, a nostro avviso sbagliata, di un’Italia giudicata da molti fondamentalmente incapace di competere nel nuovo scenario globale. Analogamente siamo sempre stati dubbiosi nei riguardi dei modelli di sviluppo di quei Paesi, che fino allo scoppio dell’attuale drammatica crisi economica mondiale, sembravano degli autentici “feno-meni” per tassi di crescita del PIL, ma che poi sono franati sotto il peso di un insostenibile aumento dei debiti privati provocato dalla “bolla” immobiliare e finanziaria. Più che la ricerca e sviluppo, le liberalizzazioni e la “me-ritocrazia”, era stata la corsa a briglie sciolte del debito di famiglie e imprese a spingere i tassi di crescita di Stati Uniti, Gran Bretagna, Irlanda e Spagna più velocemente di quelli dell’Italia (ma anche di Germania e Francia). Al

punto che per soccorrere le loro banche sull’orlo del falli-mento e contenere gli effetti della crisi, i governi di alcuni Paesi come gli USA e la Gran Bretagna hanno poi dovuto mettere in campo risorse finanziarie imponenti e sono ora avviati a raggiungere livelli di debito pubblico in rapporto al PIL assai vicini, secondo le proiezioni del Fondo Mone-tario Internazionale, a quelli che aveva l’Italia alla vigilia della recessione mondiale.I fatti hanno altresì dimostrato che la ricchezza netta delle famiglie italiane resta tra le più elevate al mondo e si pre-senta, inoltre, più equamente distribuita tra la popolazio-ne rispetto agli altri Paesi avanzati. La Banca d’Italia sti-ma che nel 2008 la ricchezza netta delle famiglie italiane (che fa perno su attività investite per circa ! in beni reali e attività finanziarie sicure come depositi e titoli di Stato) sia ammontata a 8,3 trilioni di euro, pari al 7,6% del red-dito disponibile delle famiglie e a circa 138.000 euro pro

capite a prezzi correnti: un valore che ci pone ai vertici mondiali. A prez-zi costanti, la ricchezza netta delle famiglie ita-liane è aumentata tra il 1995 e il 2008 di ben 2.355 miliardi di euro (+39,7%): una perfor-mance di gran lunga superiore a quella del PIL (+18%). L’aspetto più interessante è che la crescita della ricchezza delle famiglie italiane è stata negli anni recenti molto più solida rispet-

to a quella di altri Paesi i cui valori sono stati particolar-mente sospinti, specie nel 2006-2007, dalla “bolla” immo-biliare e finanziaria, come è avvenuto ad esempio in Gran Bretagna, Paese che ci aveva temporaneamente sopravan-zato per ricchezza pro capite. Le famiglie italiane, inoltre, si sono tendenzialmente indebitate di meno. Sicché nel 2008, dopo lo scoppio della crisi mondiale e la caduta del prezzo delle case e dei titoli finanziari, la ric-chezza netta delle famiglie inglesi è crollata di ben 892 mi-liardi di sterline a valori correnti (-11,9% rispetto al 2007) e il rapporto tra ricchezza netta e reddito disponibile degli inglesi è precipitato, secondo la Banca d’Italia, di 1,5 punti scendendo da 9,12 a 7,60. In Italia nel 2008 la ricchezza netta è invece diminuita a valori correnti soltanto di 161 miliardi di euro (-1,9%) e il rapporto ricchezza netta/red-dito disponibile ha avuto una diminuzione più modesta di 0,4 punti, scendendo da 8,01 a 7,64: livello che ci ha

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8 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

permesso di superare nuovamente, sia pure “in discesa”, l’Inghilterra (senza contare l’effetto di svalutazione della sterlina che renderà le famiglie inglesi ancora più “pove-re” internazionalmente sul piano del potere d’acquisto).Un’altra clamorosa smen-tita delle tesi “decliniste” viene dai dati sul com-mercio internazionale. Nuovi indicatori, come le serie storiche di lungo pe-riodo dell’ONU, il Trade Performance Index (TPI) dell’UNCTAD/WTO e l’Indice Fortis-Corradini della Fondazione Edison, hanno messo in evidenza come la perdita di quote di mer-cato nel commercio internazionale durante gli ultimi anni non era un problema soltanto italiano bensì di tutti i mag-giori Paesi industrializzati, a causa della prepotente ascesa della Cina come potenza manifatturiera esportatrice. Nei manufatti, in particolare, la Cina, che era il settimo Paese esportatore nel 1999, in soli dieci anni è diventata il primo Paese esportatore superando nel 2008 la Germania.Considerati questi sconvolgimenti, l’Italia ha dimostrato di essere, assieme alla Germania, l’economia avanzata la cui quota nell’export mondiale ha “tenuto” di più. In par-ticolare, secondo il TPI UNCTAD/WTO e l’Indice Fortis-Corradini, Germania e Italia sono oggi i Paesi più compe-titivi in assoluto nel commercio internazionale.La realtà è che, sotto l’incalzare della concorrenza asim-metrica asiatica (che si è nutrita di molti dumping: va-lutario, sociale, ambientale, ecc.), molti avevano fretto-losamente dedotto che per l’industria italiana stessero suonando le campane a morto. E la riprova di ciò sarebbe stata la diminuzione della nostra quota di mercato nell’ex-port mondiale. Questo approccio ha però presentato molti limiti analitici, per varie ragioni che qui ricordiamo sinteticamente: 1) per l’uso da parte di molti analisti di serie storiche a valo-ri costanti, quindi di serie in volume, per calcolare la quota delle esportazioni italiane (ignorando il fatto che in questi ultimi anni l’Italia si è spostata verso produzioni a crescen-te valore aggiunto sacrificando volumi, ma accrescendo il valore dei suoi beni); 2) per l’uso di serie storiche relative alle esportazioni totali (che incorporando l’energia e le materie prime agricole, i cui prezzi sono molto cresciuti in questi ultimi anni, hanno alimentato una visione distorta delle reali dinamiche com-petitive, essendo aumentata contemporaneamente la quota nell’export mondiale dei Paesi petroliferi e di quelli espor-tatori di derrate alimentari);

3) per il fatto di ignorare, come abbiamo già sottolineato, che la crescita dei Paesi emergenti (Cina in testa) ha gene-ralmente fatto diminuire le quote nell’export mondiale non solo dell’Italia ma dell’intero insieme dei Paesi avanzati.

In realtà, se escludiamo l’energia e i prodotti ali-mentari e consideriamo le serie storiche di lun-go periodo dell’ONU a valori correnti, la quo-ta dell’Italia nell’export totale di manufatti non alimentari dei Paesi del G-6 non è mai stata tanto elevata quanto oggi negli

ultimi 110 anni, toccando un massimo storico dell’11,4% nel 2008, proprio all’inizio dell’attuale crisi economica mondiale. Tra i Paesi avanzati solo la Germania, assieme all’Italia, ha mostrato negli anni più recenti una vigorosa crescita della sua quota nell’export manifatturiero del G-6 (almeno fino al 2007) che ha portato i tedeschi di nuovo vicini alle quote storiche massime che avevano raggiunto negli anni ’30.I brillanti risultati dell’Italia, comparativamente agli altri Paesi del G-6, sono particolarmente significativi perché conseguiti in presenza di una consistente rivalutazione dell’euro nel corso degli ultimi anni. Infatti, se la forza dell’euro ha, da un lato, accresciuto il valore del nostro export espresso in dollari, dall’altro lato essa avrebbe do-vuto indebolire nel tempo la nostra competitività e la no-stra capacità di esportare. Se ciò non è avvenuto è perché i prodotti del sistema industriale italiano sono diventati sempre più competitivi e apprezzati dal mercato mondiale per la loro qualità e il loro contenuto innovativo di design, tecnologia e servizio. L’Italia ha inoltre delocalizzato atti-vità produttive all’estero in misura inferiore agli altri Pae-si, trattenendo così valore aggiunto sul proprio territorio.Anche l’Indice Fortis-Corradini elaborato dalla Fonda-zione Edison conferma la buona posizione competitiva dell’Italia, che nel 2007 ha presentato ben 1.022 primi, secondi e terzi posti nell’export mondiale su un totale di 5.517 prodotti, per un valore complessivo di 235 miliardi di dollari. In particolare, per numero di primi, secondi e terzi posti ogni 100.000 abitanti nell’export di tali 5.517 prodotti l’Italia è seconda assoluta tra i Paesi del G-20 dopo la Germania. La forza del Made in Italy si completa con altri 737 prodotti in cui il nostro Paese nel 2007 figu-rava quarto o quinto tra gli esportatori a livello mondiale, per altri 87 miliardi di dollari di export.Le conclusioni delle analisi della Fondazione Edison sono allineate con i riscontri forniti da un altro indice di

IL FORTE DINAMISMO DELL’ITALIA INDUSTRIALE

I brillanti risultati dell’Italia sono particolarmente significativi

perché conseguiti in presenza di una consistente rivalutazione

dell’euro nel corso degli ultimi anni.

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INTRODUZIONE

competitività nel commercio internazionale recentemen-te elaborato dall’International Trade Centre, un’agen-zia dell’UNCTAD, e dall’Organizzazione Mondiale del Commercio. Tale Trade Performance Index - che rispetto all’Indice Fortis-Corradini si riferisce ad un più limitato numero di macro-settori - posiziona l’Italia al secondo posto assoluto al mondo dopo la Germania per numero di migliori piazzamenti nelle diverse classifiche settoriali. Infatti, su 14 macrosettori analizzati sulla base dei dati del 2006, subito dopo la Germania, che ottiene 7 primi posti e 2 secondi posti per competitività, l’Italia conquista 3 primi e 4 secondi migliori piazzamenti. In particolare, secondo il TPI l’Italia risulta ai vertici del-la graduatoria della competitività in molte categorie di prodotti. E’ prima nei prodotti tessili, nell’abbigliamento e nei prodotti in cuoio e calzature. E’ seconda nella mec-canica non elettronica (dove compete ormai ad armi pari con la Germania stessa), nella meccanica elettrica (grazie agli elettrodomestici), nei prodotti miscellanei (grazie agli occhiali e all’oreficeria) e nei manufatti di base (che inclu-dono anche comparti come i prodotti in metallo, i marmi e le piastrelle ceramiche in cui l’Italia si colloca da sempre ai massimi livelli mondiali). Inoltre, il nostro Paese risulta an-che sesto negli alimenti trasformati (che includono i vini). Spesso in passato è stato altresì sostenuto che la nostra industria e il nostro export sarebbero troppo sbilanciati su specializzazioni a basso valore aggiunto. Si tratta di af-fermazioni senza fondamento se si considerano gli elevati livelli tecnologici della meccanica non elettronica italiana e i livelli qualitativi delle nostre produzioni di beni per la persona e la casa, che ci permettono di competere con i settori hi-tech delle grandi potenze industriali mondiali per ciò che riguarda i valori esportati. Basti pensare che, in base alle banche dati dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e dell’ONU, nel 2008 l’Italia ha esporta-to prodotti di meccanica non elettronica e mezzi di tra-sporto diversi dagli autoveicoli per ben 178 miliardi di dollari, una cifra che, per un confronto, è superiore di 16 miliardi di dollari all’export cinese di prodotti per le tele-comunicazioni (telefonia, tv, radio, suono, ecc. pari a 162 miliardi). Nello stesso anno, nonostante le crescenti sfide competitive che i Paesi emergenti ci hanno lanciato nei settori manifatturieri cosiddetti “tradizionali”, l’export italiano di tessile-abbigliamento è stato di 41 miliardi di dollari, cioè superiore di 7 miliardi all’export giapponese di prodotti per le telecomunicazioni (34 miliardi), mentre l’export italiano degli altri principali beni per la persona e la casa diversi da quelli del tessile-abbigliamento (cioè cuoio-pelletteria-calzature, gioielli, occhiali, mobili, pie-tre ornamentali e piastrelle ceramiche) è stato nel 2008 di 51 miliardi di dollari, cifra superiore di 11 miliardi all’ex-

port di prodotti per le telecomunicazioni degli Stati Uniti (pari a 40 miliardi). Sono dati assolutamente straordinari, che, comparativa-mente a un comparto dell’hi-tech in grande espansione come quello dei prodotti per le telecomunicazioni e ai suoi tre principali Paesi esportatori, dimostrano inequi-vocabilmente la grande competitività dei settori di spe-cializzazione del manifatturiero italiano (che, non va dimenticato, ha altri punti di forza nell’alimentare e nei vini). Si tratta di evidenze inoppugnabili che non sem-brano per nulla combaciare con il falso luogo comune di un Paese in declino, perché tale, in effetti, l’Italia non è nella competizione economica internazionale.Ma nel pieno della recessione globale in atto e dei grandi cambiamenti che stanno interessando la geo-economia, nuove varianti della “sindrome” del declino stanno emer-gendo nel dibattito italiano, talora rischiando di degene-rare addirittura nel “catastrofismo”. La crisi mondiale, sia chiaro, è gravissima e non risparmia nemmeno l’Italia, colpendo soprattutto le microimprese e il lavoro a tempo determinato. Ma sinora il nostro Paese, assieme a Francia e Germania, è tra quelli che hanno retto meglio il contrac-colpo dello shock globale.Eppure, secondo una certa linea di pensiero, l’Italia, pro-prio perché già precedentemente “in declino”, starebbe soffrendo più di altri Paesi l’attuale crisi. Lo dimostrereb-be la più forte caduta del nostro PIL nel 2009 rispetto ad altri Paesi avanzati quali gli stessi Stati Uniti (da cui pure la crisi è originata), la Spagna o la Gran Bretagna. Soltan-to il Giappone e la Germania nel 2009 hanno presentato, tra i Paesi più industrializzati, diminuzioni del PIL uguali o superiori a quelli dell’Italia. A noi però pare che la più forte caduta del PIL di Giap-pone, Germania e Italia nel 2009 sia stata principalmen-te il risultato della temporanea paralisi del commercio internazionale. In questi Paesi la crisi è stata importata dall’estero e ha colpito più le imprese esportatrici che le famiglie. Mentre in Gran Bretagna, Spagna e Stati Uniti è successo esattamente il contrario: la crisi è nata dall’in-terno e ha colpito più direttamente al cuore l’economia, con un forte aumento della disoccupazione e un brusco calo dei consumi delle famiglie. Questi ultimi, rispetto a quanto è avvenuto in Italia, sono diminuiti del doppio in Gran Bretagna e del triplo in Spagna.Indubbiamente la frenata delle esportazioni, dovuta alla crisi dei consumi e degli investimenti a livello mondiale, imporrà ai Paesi più manifatturieri come l’Italia, la Ger-mania e il Giappone degli aggiustamenti delle loro capa-cità produttive e dolorose ristrutturazioni. Ma, quando la ripresa si manifesterà, siamo convinti che Giappone e Germania ricominceranno a produrre grandi quantitativi

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IL FORTE DINAMISMO DELL’ITALIA INDUSTRIALE

di auto ed elettronica, come sanno fare meglio di chiun-que altro al mondo, e ad esportare i loro prodotti con suc-cesso. E lo stesso farà l’Italia con la sua meccanica e i suoi beni per la persona e la casa. E’ più difficile invece che il settore delle costruzioni possa ricominciare a trasci-nare il PIL della Spa-gna, come è avvenuto artificiosamente negli ultimi 10 anni, o che la finanza torni ad essere quel potente motore “truccato” delle eco-nomie americana e britannica che è stato dal 2002 in poi. Perché il tempo delle “bolle” immobiliari e finanziarie è finito. Così come quello dei consumi finanziati a debito.Altri indicatori diversi dal PIL, non alternativi ad esso ma complementari, dimostrano chiaramente che l’Italia sta sopportando la crisi meglio di altri Paesi avanzati. Il nostro Paese ha banche più sane, un debito “aggregato” (com-prendente non solo il debito pubblico, ma anche quello di famiglie e imprese) molto più basso dei Paesi anglosassoni e della Spagna, un sistema di “ammortizzatori” sociali ma-gari un po’ vecchio, ma che si sta dimostrando efficiente, e un solido impianto di economia “reale” che sta resistendo pur in presenza di forti cali temporanei dell’attività. Guardando oltre la crisi, in una prospettiva di medio-lungo termine, l’Italia si trova ad affrontare i grandi cam-biamenti portati dalla globalizzazione. Il PIL resta certa-mente l’indicatore di riferimento per qualunque di tipo di analisi comparata dei sistemi economici e della loro di-namica evolutiva, ma la crescente complessità degli stessi sta spingendo gli studiosi a svolgere riflessioni sempre più ampie sulla misurazione della performance economica e del progresso sociale, come dimostra anche il recente Rapporto Stiglitz-Sen-Fitoussi elaborato su incarico del Presidente francese Nicholas Sarkozy. Non solo il reddito, ma anche la ricchezza delle famiglie, nonché il dinamismo imprenditoriale, gli aspetti ambientali e di qualità della vita, entrano sempre più spesso nelle considerazioni rela-tive alla misurazione comparata del benessere.Se allarghiamo la nostra prospettiva di analisi e conside-riamo i risultati dello studio Aspen Institute/Fondazione Edison sul posizionamento dell’Italia nella nuova geo-economia del G20, emergono con chiarezza alcune evi-denze. Rispetto agli indicatori classici di riferimento (rap-presentati dal PIL e dal RNL pro capite) i maggiori punti di forza dell’Italia nel G20, in estrema sintesi, sono costi-tuiti da: un basso debito delle famiglie (il più basso tra i

grandi Paesi avanzati) e un buon livello assoluto, medio e mediano della ricchezza delle famiglie stesse; una qualità della vita tra le più alte (lo dice persino The Economist

con il suo Quality of Life Index); un siste-ma pensionistico e di welfare che assicura una buona sicurezza sociale; un posiziona-mento molto impor-tante nella manifat-tura, nell’agricoltura e nel turismo a livello mondiale; una com-petitività elevata nel

commercio internazionale; un buon livello di produttività aggregata (sfatando anche in questo caso uno dei caval-li di battaglia dei “declinisti”), dietro soltanto a USA e Francia tra i Paesi del G20.Per contro, l’Italia appare posizionata male quanto a peso della burocrazia sulle attività di business, lentezza e inefficienze nell’amministrazione della giustizia, livel-lo elevato del debito pubblico, situazione generale delle infrastrutture e dipendenza energetica dall’estero (la più alta tra i Paesi del G20).La nostra convinzione, che si è ulteriormente rafforzata dopo la lettura delle interessanti analisi che compongo-no questo Strategy Book Accenture, è che i punti di forza dell’Italia siano di gran lunga superiori a quelli di debo-lezza. Ma poiché la competizione è destinata ad accre-scersi drammaticamente nello scenario imperniato sulle nuove polarità della geo-economia che uscirà dall’at-tuale crisi, è essenziale che l’Italia avvii un importante programma di riforme che permetta di stabilizzare i suoi conti pubblici, migliorando al contempo i servizi che lo Stato offre ai cittadini portandoli a un livello adeguato all’eccellenza ricoperta a livello mondiale dai suoi settori dell’economia reale.

* Direttore dell’Ufficio Studi Economici di Edison e Vice Presidente della Fondazione Edison.

I punti di forza dell’Italia sono di gran lunga superiori

ai punti di debolezza. Ma è essenziale che venga avviato

un importante programma di riforme per migliorare i conti e i servizi pubblici.

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LOOKING FORWARD

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Sistema Italia: le eccellenze da cui ripartire

1. Il percorso economico e industriale del Sistema ItaliaL’arco temporale intercorrente tra la fine della seconda guerra mondiale e la metà degli anni Settanta è stato indi-cato in economia con diverse definizioni. Due fra tutte sono particolarmente efficaci nell’illustrare l’evoluzione straor-dinaria dell’epoca in questione: “golden age” e “trent’anni gloriosi”. Si tratta, in estrema sintesi, del periodo nella sto-ria economica (a partire dalla prima rivoluzione industriale) che ha in assoluto mostrato i più elevati livelli di crescita

economica e sviluppo sociale.In questa fase, il nostro Paese è stato il sistema che ha mag-giormente brillato: a fronte di un tasso medio di crescita del PIL pro-capite del 3,8% in Europa occidentale (es. Francia 4,0%, UK 2,5%) e del 2,4% negli Stati Uniti nel periodo 1950-1973, l’Italia ha manifestato una dinamica del 5%. In particolare, se osserviamo il periodo 1950-65, il tasso di cre-

scita medio annuo si è addirittura attestato intorno al 6%.Per sottolineare l’assoluta rilevanza di questo percorso, è innanzitutto necessario ricordare il ritardo col quale le no-stre Regioni hanno imboccato il sentiero dell’industrializ-zazione. Lo scenario della Penisola al termine del secondo conflitto mondiale era quello di un Paese povero, con un reddito nazionale precipitato ai livelli di alcuni decenni pre-cedenti. Tuttavia, se alla fine degli anni Quaranta gli occu-pati in agricoltura erano circa la metà della forza lavoro, se i livelli di scolarizzazione erano tra i più bassi in Europa, se l’apparato industriale usciva sostanzialmente distrutto dal-la guerra, dopo circa trent’anni l’Italia ha saputo colmare il gap e “agganciare” le nazioni maggiormente sviluppate, non solo per quanto concerne le metriche economiche e l’evoluzione della struttura produttiva (col sorpasso della produzione industriale-manifatturiera sull’agricoltura e con lo sviluppo del commercio estero), ma anche in termini di

Se sapremo far leva sulle nostre caratteristiche migliori, adottando chiare direttrici di intervento, e se il top management italiano accetterà la nuova ed entusiasmante sfida evolutiva che ne consegue, potremo avviare uno sviluppo virtuoso, equilibrato e “sostenibile”, perché fondato su un capitale umano unico e su punti di forza strutturali da valorizzare. di Andrea Poggi

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indicatori di sviluppo sociale e civile. Pur non essendo questa la sede per approfondire i driver che hanno consentito l’attivazione di questo paradigma vir-tuoso e senza pretesa di esaustività, ci limitiamo a richiama-re alcuni elementi che, sicuramente, hanno giocato un ruolo di primaria importanza per l’Italia:

la capacità di fare propri i modelli di organizzazione in-dustriale sviluppati nei Paesi all’avanguardia nei 50 anni precedenti (si pensi ai principi di organizzazione e divi-sione del lavoro, alla mass production, …), che hanno determinato una forte crescita della produttività basata sulla sfruttamento delle economie di scala;la presenza di un apparato pubblico operante a sup-porto dell’intero sistema economico: si pensi al ruolo dell’imprenditoria pubblica, agli interventi di stimolo alla domanda e allo sviluppo di servizi pubblici per la prima volta accessibili a tutti (scuola e università, sanità, …);la sensibilità nel valorizzare le specificità del tessuto so-cio-economico: capacità, conoscenze, relazioni peculiari spesso ricevute in eredità della nostra storia passata e trasformate in fattori distintivi e di sviluppo.

Tuttavia, dagli anni Settanta (con la prima crisi petrolifera, l’instabilità valutaria, la progressiva saturazione della do-manda di beni nelle principali economie, …) inizia la fine di questo paradigma di crescita. Si apre così un’epoca che vede le economie occidentali ridurre marcatamente i propri ritmi di crescita, Italia in testa. A seguito di questo contesto di rallentamento, tuttavia alcu-ne nazioni occidentali sono state in grado di:

preservare la propria competitività (a fronte dell’aggres-sività dei Paesi in via di sviluppo), muovendo il proprio focus produttivo verso il terziario avanzato;mantenere un forte presidio nella produzione manifattu-riera, facendo leva su qualità, innovazione tecnologica e flessibilità dei modelli organizzativi.

Questa “tenuta positiva” di alcune economie è risultata però difficile per l’Italia. Infatti, il nostro Paese ha gradualmente visto erose le proprie quote di mercato internazionali in set-tori tradizionalmente presidiati. essendo riuscito a orientar-si verso produzioni di qualità e ad elevato know-how solo in specifici segmenti, ha sofferto la competizione basata sulla qualità da parte di altre economie sviluppate. Inoltre, non avendo sfruttato pienamente il potenziale del paradigma delle nuove tecnologie a supporto della produttività, l’Italia

ha anche accusato la concorrenza di costo da parte dei Paesi meno sviluppati. Queste difficoltà sono testimoniate da livelli di crescita infe-riori, nel lungo periodo, rispetto alle principali economie in-ternazionali, difficoltà che hanno qualificato troppo spesso il Paese come “maglia nera” fra i big mondiali.Dunque, l’Italia, che si presenta ai giorni nostri e che si trova a gestire la recente crisi, appare come un Paese con “il mo-tore al minimo”, come dimostra ad esempio il 48° posto nel Growth Competitiveness Index 2009, elaborato dal World Economic Forum, alle spalle di realtà come Polonia, Slo-vacchia o Sud Africa. Il Paese mostra, infatti, una strutturale debolezza di partenza dovuta sostanzialmente a:

una finanza pubblica costantemente in difficoltà, che ri-duce gli spazi di manovra per il sostegno al tessuto socio-economico;un mercato del lavoro poco attrattivo;una bassa attenzione alla innovazione e alla ricerca, causata anche da una limitata partnership tra pubblico e privato.

2. Italia: eccellenze da difendere e potenzialità inespresse da sviluppare

Il quadro di riferimento così dipinto sembra non dare adi-to a possibilità di rilancio significativo del Paese nella au-spicata fase di ripresa post-crisi. Le storiche questioni che affliggono il Sistema Italia sembrano indurre a rivedere le prospettive future e il ruolo della nostra economia nel contesto continentale e mondiale. Tuttavia, se, come si è accennato in precedenza, le debo-lezze del sistema italiano sono riconosciute, troppo spesso sono invece sottovalutati i punti di forza e le inequivoca-bili eccellenze di cui il Paese dispone. Tali elementi distin-

La crescita economica italiana nel dopoguerra – Fattori abilitanti

Capacità di fare propri i modelli di organizzazio-ne industriale delle economie avanzate Apparato Pubblico a supporto dell’intero sistema economico Valorizzazione delle specificità del tessuto socio-economico

“Con queste limitazioni, quale ruolo e quale futuro l’Italia può

ritagliarsi nell’auspicata fase di ripresa? E’ dunque impossibile ipotizzare un’altra

“golden age” per il Sistema Italia?”

SISTEMA ITALIA: LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE

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LOOKING FORWARD

tivi, noti o ancora inespressi, sono i veri asset strategici del Sistema Italia e, a nostro avviso, se opportunamente svi-luppati sono ampiamente sufficienti per invertire la rotta e garantire un rilancio importante e, soprattutto, “sosteni-bile”. Siamo di fronte ad un Paese che ha sì dei vincoli evi-denti che ne frenano lo sviluppo e la crescita, ma che allo stesso tempo dispone di caratteristiche uniche, di primati peculiari su cui far leva e, altro elemento da sottolinea-re, di molteplici aree con potenzialità inespresse ulterior-mente sviluppabili. Infatti, innanzitutto, il Sistema Italia dispone di aree note di eccellenza che contraddistinguono il Paese, in diversi ambiti, facendone un punto di riferimento a livello in-ternazionale. Si pensi, ad esempio, al commercio estero, come confermato dagli indicatori relativi alla competiti-vità commerciale elaborati da ONU-WTO: nella classifica di competitività nel commercio mondiale, l’Italia si collo-ca al secondo posto a livello generale, dietro alla Germa-nia, proprio per la bontà delle sue produzioni e la forza del commercio con l’estero. Oppure, senza la pretesa di essere esaustivi, si pensi ad esempio ai prodotti ad elevata qualità (luxury, fashion, …) in cui il Made in Italy primeggia a livello mondiale, o alla capacità di coniugare design innovativo e sperimentale alla produzione industriale, capacità che ha contribuito a fare dell’Italia il punto di riferimento a livello mondiale in diversi settori di mercato (es. arredamento, …). Si pensi

ancora al settore agroalimentare, dove la capacità di di-fendere e valorizzare la “tradizione” consente di realizza-re prodotti di qualità unici al mondo.Ma non è tutto. Questi punti di forza, noti e valorizzati, di cui l’Italia dispone, si inseriscono in un contesto carat-terizzato da ulteriori peculiari eccellenze, non altrettanto valorizzate. Alcuni di queste sono riconosciute ma non pienamente sfruttate, altre sono sommerse, latenti o ine-spresse. A nostro avviso, su tutte queste ulteriori specifi-cità italiane si dovrebbe investire con convinzione per ac-crescerne il valore e il contributo ai fini di un significativo rilancio del sistema Paese stesso. Più concretamente, il Sistema Paese dovrebbe riconoscere e far leva sulle sue più distintive, ma non sempre piena-mente espresse e valorizzate, peculiarità quali:

un sistema sociale solido, poco indebitato, che guarda

al lungo periodo risparmiando e che si fonda sul ruolo della famiglia come struttura sociale portante;un sistema finanziario (banche ed assicurazioni) in gra-do di accrescere il proprio ruolo nel panorama europeo (conquistando quote rilevanti nei principali Paesi Eu-ropei, aprendosi ai mercati della New Europe, …) e di rispondere agli impatti della crisi economica.un tessuto produttivo, diffuso sul territorio, basato sulle piccole-medie imprese e incentrato sul ruolo chiave dei distretti che si configurano come centri di competenze, servizi e infrastrutture vitali allo sviluppo delle aziende;un patrimonio artistico/ storico/ naturale unico (pari a oltre il 50% del patrimonio mondiale), che è il pre-supposto fondante dello straordinario contributo che il turismo può apportare al sistema Paese;una posizione e conformazione geografica abilitanti un ricorso più deciso a fonti energetiche rinnovabili su cui fondare chiare azioni di rilancio economico-sociale so-stenibile;una Pubblica Amministrazione che, nonostante le inef-ficienze “tristemente” note, è anche ricca di casi di suc-cesso che dimostrano l’esistenza di un “terreno” più fertile e più ricettivo di quanto abitualmente si pensi, e su cui è possibile far leva per innestare il necessario processo di cambiamento del pubblico verso una logica di servizio e di partnership con il privato.

Sull’uso e lo sviluppo di queste peculiarità, anche del-le meno espresse, veri e propri asset del Sistema Italia, dovrebbe fondarsi la ripresa del nostro Paese. Solo la valorizzazione del nostro tessuto sociale-finanziario-pro-duttivo-naturale, unito a un ruolo centrale del pubblico, può garantire una prospettiva da protagonista all’Italia, magari replicando il percorso virtuoso che già in passato il Paese ha dimostrato di saper percorrere.

3. Ra!orzare e sviluppare gli asset noti e inespressi del sistema ItaliaIn questa logica e con tale finalità, abbiamo analizzato nel presente volume alcuni dei suddetti asset di cui il Pa-ese dispone, proponendo una serie di iniziative concrete e mirate che potrebbero, puntando alla valorizzazione di tali eccellenze, concorrere a sostenere il rilancio dei vari comparti industriali del Paese.

“Continuare a ra!orzare il primato nelle aree note e tradizionalmente di successo del Sistema Paese e attivare dei percorsi di crescita mirati

per far sì che le potenzialità inespresse si trasformino nelle eccellenze di domani”

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14 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Tali iniziative proposte, approfondite negli articoli che se-guono e lungi dal voler essere esaustive, fanno riferimento a specifici ambiti settoriali e industriali, ma lasciano intra-vedere, allo stesso tempo, a livello complessivo di Sistema Italia e indipendentemente dai singoli settori produttivi:

la necessità di alcune direttrici comuni di intervento;la sfida di una nuova prospettiva evolutiva per il top management (sia del settore privato che pubblico).

3.1 Le direttrici comuni di intervento

Per facilitare una piena valorizzazione dei suddetti asset italiani, indipendentemente dalle specifiche azioni da con-durre nelle singole industry, sembra necessario adottare, a livello complessivo del Sistema Paese, alcune direttrici infrastrutturali e principi guida comuni (vedi figura 1). Innanzitutto, riteniamo auspicabile che venga dato, a livello generale, nuovo impulso ai percorsi di innovazione di pro-dotto e processo, per difendere le aree di eccellenza e svi-luppare nuove aree di competitività del sistema industriale ed economico italiano. A tal proposito consideriamo utili e “abilitanti” politiche e azioni che incoraggino:

lo sviluppo di network collaborativi tra imprese, per condividere attività e risultati di ricerca e sviluppo in ottica di partnership;la continua ricerca di quegli elementi emergenti o in-novazioni sviluppate in contesti differenti, ma che, op-portunamente arricchiti con i fattori distintivi del Made in Italy, si trasformano in sviluppo di nuovi mercati o nuove soluzioni di offerta distintive;

l’introduzione di meccanismi aziendali interni premian-ti e incentivanti l’adozione di nuove idee e soluzioni;l’attivazione di una relazione sempre più stretta e orientata alla creazione di valore reciproco tra il mon-do delle imprese e la ricerca universitaria, incentivando lo sviluppo di nuove idee, fornendo un mercato di sboc-co per nuove proposte e talenti, etc….

Inoltre, un ulteriore elemento auspicabile a livello di siste-ma, anche a fronte di un contesto sempre più “multipolare”, è una forte attenzione e azione per l’internazionalizzazione della realtà economica del Paese, intesa non solo come atti-vazione di nuovi mercati di sbocco e targetizzazione di nuovi segmenti di clientela, ma anche come:

lo sviluppo di una logica di relazioni a livello extra-Paese, sia sui mercati di fornitura, sia attivando nuove partnership su differenti aree della catena del valore (distribuzione, product development ed estensione of-ferta, …) per capitalizzare competenze e fattori distin-tivi dei partner esteri selezionati;un continuo monitoraggio delle evoluzioni in atto a li-vello internazionale per individuare da un lato i fattori influenzanti i cambiamenti sociali/ culturali/ economici (nuove tecnologie, tendenze, nuovi consumatori, …), dall’altro l’emergere di nuovi potenziali competitor (di-retti/ sostitutivi).

In aggiunta, riteniamo strategico a livello complessivo adot-tare un più rilevante focus sulla gestione del capitale umano:

focalizzandosi sempre più su settori industriali ad alto contenuto professionale e valore aggiunto, in modo tale da preservare un vantaggio competitivo distintivo;valorizzando i talenti e le eccellenze presenti nel con-testo italiano, attraverso l’attivazione di piani di svilup-po, modelli meritocratici e percorsi formativi in linea con le best practice internazionali, in modo da attrarre, finalmente, e conservare le migliori competenze, favo-rendone al tempo stesso la crescita professionale.

Infine, ulteriore fattore sistemico da perseguire per la valo-rizzazione delle eccellenze e per il rilancio conseguente del sistema Italia è una convinta e diffusa attenzione al cliente/cittadino. Questa è necessaria per tutti i settori, dalla Pub-blica Amministrazione al mondo finanziario (sia banche che assicurazioni), dal turismo al mondo industriale, a quello energetico, etc., e su questa dovremmo fondare ogni azione concreta di rilancio e di innovazione del Sistema Italia.Infatti, a fronte dei cambiamenti radicali in atto nei compor-tamenti dei clienti/cittadini (selettività degli acquisti, ricerca

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SISTEMA ITALIA: LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE

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LOOKING FORWARD

del miglior prezzo possibile, crescente necessità di servizi, …), dello sviluppo di nuovi segmenti di clientela (anziani, immigrati, giovani, …), dell’emergere dei “nuovi consuma-tori”, sarebbe auspicabile che il Sistema Italia, in ogni setto-re produttivo, persegua:

il ridisegno delle logiche di offerta di prodotti e servi-zi in funzione dei nuovi “buying criteria”, per la piena soddisfazione dei bisogni consolidati, nuovi ed emer-genti dei clienti/cittadini;lo sviluppo di approcci commerciali e relazionali di tipo “consulenziale”, per valorizzare a pieno l’offerta e i servizi e per accompagnare efficacemente il cliente/cittadino durante il processo di acquisto e fruizione;la valorizzazione di nuove modalità di interazione con il cliente/cittadino, facendo leva su nuovi strumenti e modalità che la stessa innovazione tecnologica rende ora possibili.

3.2 La sfida di una nuova prospettiva evolutiva per il top management del Sistema ItaliaE’ indubbio che l’efficace gestione delle suddette direttri-ci di intervento implica lo sviluppo di nuove capacità e di diversi standard di imprenditorialità. È, infatti, auspicabile che la classe dirigente e il top management, siano essi alla guida di un’impresa o preposti alla gestione di un ente pub-blico, raccolgano la sfida del rilancio, basato sulla valorizza-zione delle eccellenze e degli asset italiani, ponendosi a loro volta in una logica di evoluzione. La loro missione deve essere sempre più quella di gestire la nuova complessità emergente a livello macro (accelerazio-ne della dinamica dei cambiamenti, multipolarità, …), com-prendendo e valorizzando, allo stesso tempo, le peculiarità del Sistema Italia. Far ciò, in un’arena competitiva come quella che si sta deli-neando all’uscita dalla crisi mondiale, è una prova estrema-mente complessa che impone alla classe dirigente del mon-do pubblico e privato la ricerca e lo sviluppo di attitudini nuove e di approcci innovativi. L’urgenza di incoraggiare la crescita e l’innovazione controllando contemporaneamente la struttura di costo, la difficoltà crescente nell’accesso ai ca-pitali, la necessità di difesa dai nuovi competitor emergenti sono sfide che richiedono una nuova prospettiva evolutiva dei profili manageriali, in Italia come in tutte le economie sviluppate. L’emergere, inoltre, di una base di cittadini e consumatori sempre più consapevole, informata e critica da un lato offre alle aziende una possibilità di attiva coopera-zione con i propri clienti (poiché spesso nuovi sentieri di in-novazione possono essere colti solo con uno stretto contatto con la customer base), dall’altro le mette sotto l’osservazione critica dell’opinione pubblica, creando un ulteriore elemen-to di complessità da presidiare “managerialmente”.

Se questa evoluzione dei profili manageriali è un requisito di carattere generale, valido per tutte le economie occiden-tali e, con alcune specificità, anche per i contesti in via di sviluppo, va tuttavia osservato come per il Sistema Italia ciò risulti ancora più impellente, proprio perché bisogna dotarsi di quelle tecniche e capacità ulteriori e specifiche che favori-scono l’identificazione, la focalizzazione e la valorizzazione delle eccellenze del nostro Paese (vedi figura 2). Quali sono, allora, le leve di sviluppo manageriale e le sfide professionali per il top management italiano?Innanzitutto, in un tessuto imprenditoriale come quello ita-liano, appare utile un ra!orzamento delle competenze “tec-nico-manageriali” delle aziende. In un contesto di piccole e medie realtà produttive, la cui prosperità (o, purtroppo, la cui sopravvivenza) è legata alla capacità di competere in un contesto globale, non è più sufficiente che il manager (spes-so coincidente con il proprietario) faccia soprattutto leva sull’intuito piuttosto che su profonde capabilities analitiche e competitive. Allo stesso tempo nelle realtà industriali più grandi e nella Pubblica Amministrazione è necessario che il management e l’azienda sappiano intercettare con la massi-ma proattività e sensibilità ogni possibile fattore competitivo distintivo, proprio perché fondato sulle eccellenze peculiari della propria organizzazione e del proprio Sistema. Conseguentemente, il management tutto dovrebbe dotare la propria azienda di una più ricca e completa “cassetta degli attrezzi”, affinando e potenziando:

le competenze di analisi competitiva e di mercato, ov-vero la capacità di guardare all’esterno del contesto italiano per individuare quegli elementi emergenti im-

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Figura 2Una nuova prospettiva evolutiva per il top management

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16 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

pattanti sul proprio modo di fare business;la capacità di pianificazione strategica, quale strumento chiave per la conduzione dell’impresa con una vision che vada oltre lo short-termism;efficaci e strutturate pratiche di controllo/ monitoraggio;semplici ma innovativi strumenti di business intelligence, ossia la disponibilità di “occhi e orecchie” continuamente puntati sul mercato.

In uno scenario ad elevata variabilità e complessità, gli strumenti tecnico-manageriali di analisi e pianificazione (la “cassetta degli attrezzi” di cui sopra) sono essenziali, tuttavia non bastano. Se, infatti, consideriamo il complesso stratifi-carsi di buone pratiche, competenze ed eccellenze distintive che, in Italia più che altrove, permeano il tessuto produttivo, ne consegue come sia fondamentale anche affinare e svilup-pare, da parte della struttura manageriale, una maggiore sensibilità e capacità di “guardare al proprio interno”, per individuare quelle capabilities distintive e prassi specifiche in grado di sostenere un solido vantaggio competitivo. In altre parole, dal momento che ogni impresa è depositaria di uno stock di conoscenze peculiari e pratiche “endemi-che” (frutto dello stratificarsi della storia passata sul quale si innestano processi di apprendimento evolutivi), e poiché questo è particolarmente vero nel tessuto socio-economico-produttivo tutto italiano, il top management dovrebbe sa-pere sempre più indagare criticamente le risorse e le prassi presenti nelle proprie aziende, per individuare e liberare quelle potenzialità e quelle soluzioni di innovazione latenti, cioè già presenti in azienda ma non pienamente lette e capi-talizzate in ottica competitiva. E’ necessario quindi, in Italia più che altrove, che il manage-ment sappia scoprire proattivamente le eccellenze inespres-se della propria azienda per definire strategie competitive, basate sugli elementi distintivi presenti nella complessità della propria organizzazione che, essendo “intimi” sono dif-ficilmente replicabili dalla concorrenza e quindi creano un più consistente vantaggio e più solide barriere.Conseguentemente, il top management italiano dovrebbe sempre più puntare allo sviluppo del valore delle risorse umane, mediante l’adozione di modelli direzionali impron-tati alla cooperazione e alla meritocrazia. Ciò risulta ancor più importante allorché si consideri:

l’esigenza per il Paese di orientare il proprio apparato industriale verso produzioni sempre più high-knowledge intensive, sia in relazione all’evoluzione dei propri setto-ri tradizionali (per difenderne il vantaggio competitivo), che per la necessità di sviluppare il settore dei servizi avanzati (produzione immateriale);la necessità di impostare un clima collaborativo nelle re-lazioni industriali fra gli attori in gioco (imprese e lavo-ratori in primis) per abilitare sinergie e possibili benefici.

In altri termini, in un sistema economico che deve moderniz-zarsi, orientandosi verso filiere ove il primo fattore produtti-vo diventano le risorse umane e gli intangibles (la cosiddetta knowledge economy), la rinnovata collaborazione e respon-sabilizzazione delle risorse umane risulta fattore essenziale per la modernizzazione del sistema. Questa dovrebbe essere una precisa responsabilità del top management.Infine, la classe manageriale italiana dovrebbe incoraggiare la trasformazione dei vincoli di carattere ambientale e in-frastrutturale, ancora purtroppo lungi dall’essere risolti, in vere opportunità, mediante un atteggiamento più proatti-vo e collaborativo. Si pensi, a titolo di esempio, alla storica carenza di infrastrutture, siano esse quelle necessarie allo scambio di merci (reti di trasporto), informazioni (reti digi-tali) o conoscenza (reti di trasferimento scientifico-tecnolo-gico). In merito a questo aspetto, capitalizzando inoltre le esperienze delle principali economie, si potrebbe rafforzare l’attitudine a “fare sistema” fra tutti gli stakeholder del Pa-ese (anche fra imprese concorrenti, come insegna la storia dei distretti), in modo da realizzare quelle infrastrutture che sono indispensabili allo sviluppo della competitività e che tardano ad essere fornite direttamente dal settore pubblico. In aggiunta, una più pervasiva diffusione di un approccio collaborativo potrebbe aiutare a indirizzare efficacemente anche ulteriori problemi che frenano lo sviluppo del tessuto produttivo italiano. Si pensi ad esempio al peso degli adem-pimenti burocratico-amministrativi e al contributo positivo che l’aggregazione fra imprese in consorzi o raggruppamen-ti produttivi potrebbe apportare, centralizzando su un’unica struttura “condivisa e compartecipata” i processi relativi agli adempimenti richiesti (si può far riferimento, a titolo pu-ramente esemplificativo, agli oneri per la commercializza-zione dei prodotti all’estero o per l’importazione di materie prime o semilavorati in Italia). In questo ambito un ruolo essenziale può essere svolto dal contributo rilevante offerto dalle associazioni di categoria, e dalle unioni imprenditoriali e industriali che possono favorire efficacemente questo pro-cesso proattivo di cooperazione finalizzata almeno al supe-ramento degli ostacoli infrastrutturali.Emerge, dunque, a sostegno di un effettivo percorso di ri-lancio basato proprio sulle peculiarità e sulle unicità del contesto-Paese, una nuova prospettiva di sviluppo del pro-filo manageriale italiano che per guidare con successo il processo di rilancio del Sistema Italia dovrebbe sempre più essere:

convinto della necessità di disporre di una “cassetta de-gli attrezzi” completa e moderna, per affrontare l’arena competitiva globale e leggere adeguatamente i cambia-menti emergenti.attento osservatore della specificità della propria orga-nizzazione, per cogliere le opportunità di innovazione

SISTEMA ITALIA: LE ECCELLENZE DA CUI RIPARTIRE

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 17

LOOKING FORWARD

derivanti da capabilities distintive e buone prassi ende-miche, capaci di restituire un vantaggio competitivo sostenibile;in grado di riconoscere e sviluppare il valore delle ri-sorse umane e di adottare modelli direzionali impron-tati a cooperazione e meritocrazia,collaborativo e proattivo nel trasformare i vincoli di carattere ambientale e infrastrutturale tipici del nostro Paese in opportunità, “facendo network” con i diversi attori del territorio.

In questo modo, la classe dirigente del Sistema Italia potrà giocare un ruolo nuovo e più ampio. Essa potrà essere non solo il punto di riferimento per il mondo produttivo, in grado di cogliere i trend emergenti a li-vello globale e di sfruttare le caratteristiche distintive del Paese per competere nel mondo, ma anche la con-dizione essenziale per attivare e gestire a pieno quelle linee di intervento, sia comuni che specifiche per set-tore/industry, necessarie al rilancio del sistema Italia.

4. In sintesiIn sintesi, se sapremo far leva sulle nostre eccellenze, adot-tando anche chiare direttrici comuni di intervento, e se il top management italiano accetterà la nuova ed entusiasmante sfida evolutiva che ne consegue, potremmo avviare uno svi-luppo virtuoso ed equilibrato. Ma, soprattutto, potremmo rilanciare il nostro Sistema Italia in maniera “sostenibile”, perché la crescita sarà fondata su un capitale umano unico e su strutturali e peculiari punti di forza, che dovranno es-sere “managerialmente” e coraggiosamente colti, ampliati e valorizzati.

L’ AUTORE

Andrea Poggi Executive Partner, Head of Strategy Practice in IGEM (Italia, Est Europa, Grecia, Turchia, Medio Oriente).

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18 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Lo Stato di cui non si parla mai

LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE rappresenta, di fatto, la prima “impresa” operante sul territorio italiano. In termini di numero di istituzioni, infatti, rappresenta una galassia di circa 10.000 Enti, diversi per status giuridico, fini e struttura. Fra questi, più del 90% dei soggetti opera a li-vello locale.Le Amministrazioni Statali impiegano più di 3,4 milioni di lavoratori a tempo indeterminato, dei quali il 55% presso Enti centrali, il 40% in Enti locali e la rimanente quota presso istituti di previdenza. Se a questi sommiamo i circa 500.000 collaboratori “atipici”, si sfiorano i 4 milioni di di-pendenti. Contabilizzando anche i dipendenti delle aziende

pubbliche e delle imprese operanti in regime di pubblica uti-lità, si supera quota 4,5 milioni.In termini economici, la spesa pubblica si attesta su un va-lore prossimo a 780 miliardi di euro pari quasi alla metà del PIL del Paese1.Tale enorme e articolata galassia si trova anch’essa, al pari degli altri operatori economici, ad affrontare elevati livelli di complessità, in virtù dell’attuale congiuntura economica. L’economia italiana, infatti, attraversa ancora una fase de-licata. Dopo circa un anno e mezzo di recessione, le stime indicano per il 2010 una ripresa debole (l’FMI ha da poco rivisto al rialzo le stime di crescita del PIL nel 2010 all’1%). Se, in aggiunta, si considera la profondità degli effetti pro-dotti dalla crisi sul tessuto economico-sociale (produzione industriale tornata sui livelli dei primi anni ’90, una doman-da che stenta a rafforzarsi e disoccupazione che continua a crescere) risulta evidente come l’azione dello Stato conti-nuerà ad essere centrale per l’effettivo rilancio del sistema.Questo si inserisce in un contesto caratterizzato da uno sta-to critico di salute delle finanze pubbliche. L’indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche (deficit) è, infatti, sostanzialmente raddoppiato dal 2008 al 2009 (da 43 a 81 miliardi di euro, arrivando a superare il tetto del 5% sul PIL). L’aumento dello stock di debito della macchina pubblica è previsto inoltre in crescita di circa 10 punti percentuali rispetto alla situazione pre-crisi (106% nel

Nella Pubblica Amministrazione italiana esistono eccellenze, di cui troppo raramente si parla, che rappresentano un’irrinunciabile opportunità per di!ondere un clima di rinnovata fiducia e rilanciare il Paese attraverso un processo di innovazione strutturale.di Luigi Onorato, Francesco Iervolino e Matteo Vergani

1. Elaborazioni su dati Ragioneria Generale dello Stato, ISTAT, Eurispes.

Identikit della Pubblica Amministrazione

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 19

HEALTH & PUBLIC SERVICES

2008 vs. 115% nel 2010.Vedi figura 1).A fronte degli effetti sul bilancio pubblico degli interven-ti tesi a ridurre gli effetti sociali della recessione, dunque, i livelli di crescita attesi non paiono in grado di dare respiro alle casse dello Stato.

Che ruolo, dunque, può concretamente giocare la Pubbli-ca Amministrazione nel percorso di ripresa e rilancio del Sistema Paese? (Vedi figura 2). La complessa macchina pubblica è purtroppo spesso associata a inefficienze, disser-vizi e marcate disuguaglianze territoriali. Tuttavia, il sistema pubblico italiano è caratterizzato da molteplici esperienze virtuose spesso poco conosciute. Infatti, se i casi di cattivo funzionamento dei servizi pubblici sono tristemente noti (ad esempio, i casi della cosiddetta “mala-sanità”, i tempi lunghi dell’amministrazione giudiziaria, le inefficienze delle impre-se pubbliche e il conseguente aggravio sul contribuente), solo di rado si sente parlare di ciò che funziona.

1. La Pubblica Amministrazione eccellenteIn questo contesto, sebbene sia importante capire cosa non funziona per muovere il sistema lungo percorsi di migliora-mento, riteniamo sia anche necessario puntare la lente di ingrandimento verso ciò che funziona, cioè verso quei punti di forza che contraddistinguono la nostra Pubblica Ammi-nistrazione. In altre parole, la conoscenza approfondita di ciò che non funziona e delle principali aree di criticità è un tassello fondamentale che, però, costituisce una condizione non sufficiente per avviare l’opportuno processo di cambia-mento e di innovazione. A tal proposito, infatti, riteniamo importante, in primo luogo, stimolare un rinnovato interes-se verso i “casi di successo” in quanto elementi:

concreti e fattibili che, se opportunamente valorizzati, possono essere efficacemente diffusi e replicati innescan-do un effetto volano verso altre aree della macchina am-ministrativa;in grado di guidare le decisioni del legislatore, indican-do quelle azioni che potrebbero costituire le fondamenta per necessarie iniziative di sviluppo e/o soluzioni quick-win per ottenere benefici già nel breve periodo (in logica mainstreaming2);capaci di sostenere attivamente, coinvolgere e motivare la prima risorsa di cui dispongono le Amministrazioni, ossia i dipendenti pubblici.

In secondo luogo, se ormai i punti di debolezza del sistema pubblico sono abbondantemente noti, pensiamo sia neces-sario passare all’azione per innescare un processo di cam-biamento e innovazione della Pubblica Amministrazione, facendo leva sull’esistenza di un “terreno fertile” e ricettivo, come appare evidente dai casi di seguito citati. Le esperienze virtuose, dunque, costituiscono le prime tes-sere di un mosaico che, seppur ancora frammentato e lungi dall’essere finito, possono (e devono) essere “messe a fattor comune” per definire un disegno organico di innovazione e sviluppo della Pubblica Amministrazione. Quindi, il Paese dei disservizi al cittadino, degli sprechi e delle inefficien-ze, in realtà, può diventare protagonista di un percorso di evoluzione concreto, che muova i primi passi a partire dalle buone prassi già esistenti. Buone prassi che risultano, di fat-to, orientate sia all’ottimizzazione della macchina pubblica che al miglioramento dei servizi o!erti ai cittadini. In merito all’ottimizzazione della macchina pubblica, si registra, a livello centrale, un forte focus verso interventi orientati alla de-burocratizzazione e al recupero di efficien-za. Si pensi in tal senso, e a titolo esemplificativo, al percorso in atto di digitalizzazione delle diverse aree della Pubblica

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Figura 2Crescita economica e Pubblica Amministrazione

2. Nel campo dell’economia e management dell’innovazione, il concetto di mainstreaming indica il processo attraverso il quale le innovazioni sperimentate in un ambito circoscritto vengono trasposte a livello di

sistema. E’ il percorso di acquisizione, da parte dei policy maker, delle buone prassi sperimentate a livello di singolo progetto, cioè delle inno-vazioni che hanno dimostrato la loro efficacia sul campo.

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20 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Amministrazione (in ambito sanitario, si pensi al Piano per la Sanità Elettronica attivato dal Ministero per la P.A. e l’Innovazione in collaborazione col dicastero della salute) o all’attivazione della “posta elettronica certificata” (PEC) che costituisce il primo pilastro per costruire servizi di quali-tà per il cittadino grazie a un canale di comunicazione rapi-do, diretto, efficace e sicuro.Accanto a questi programmi “centrali” si registrano, inoltre, iniziative di successo condotte a livello locale che, facendo leva sull’innovazione delle modalità operative, sono volte al recupero di efficienza su aree critiche di spesa. Solo a titolo di esempio, per la sanità citiamo un’Azienda Sanitaria Lo-cale (Azienda Sanitaria n.1 Imperiese), nella quale si è inter-venuti ridefinendo le modalità di acquisto/distribuzione dei farmaci (attraverso un modello di relazione/vendita diretta ASL – cittadino) al fine di ridurre la spesa legata al servizio, oltre che di migliorarne qualità e performance3. In altre pa-role, si è applicato un paradigma di “filiera corta”, ottenen-

do significativi tagli sui costi distributivi (l’ASL di Imperia vanta il costo farmaceutico medio pro-capite più basso della Regione Liguria e fra i migliori in Italia), mantenendo ele-vata la qualità di servizio.In un’ottica di miglioramento dei servizi offerti al cittadino, si osserva, a livello centrale, uno sforzo delle diverse aree della Pubblica Amministrazione teso a favorire la crescita del rapporto di collaborazione pubblico–privato. Si pensi ad esempio all’attivazione in corso delle Reti Amiche, iniziativa sviluppata per aumentare contestualmente qualità del servi-zio ai cittadini e incrementare i punti di contatto.In alcune realtà locali si è poi agito (attraverso una serie di iniziative di successo) per rafforzare la vicinanza al cittadi-no. In particolare, si è intervenuto sull’adozione di modelli operativi orientati al servizio in ottica di customer centricity, facendo leva su trasparenza e servizi innovativi, anche in contesti di servizio particolarmente critici (giustizia, sanità, ecc…). Per citare alcuni esempi, si pensi allo sviluppo della

LO STATO DI CUI NON SI PARLA MAI

3. Esperienza di successo segnalata su Forum PA. Ad ulteriore testimo-nianza del valore dell’esperienza citata, basti richiamare l’accordo-pilota stipulato fra la ASL in questione e la ASL 12 di Venezia, finalizzato

alla collaborazione e al trasferimento di know-how nella gestione della spesa farmaceutica da parte della struttura ligure.

Il caso Poste ItalianeIn Italia l’intervento diretto dello Stato nell’economia mediante la gestione d’impresa ha sicuramente rappresentato, soprattutto in passato, uno strumento di crescita e sostegno all’apparato industriale na-zionale. Tuttavia, col passare degli anni, l’imprenditoria pubblica è diventata sinonimo di sprechi e inef-ficienze. In questo contesto, come molte aziende pubbliche italiane, Poste Italiane, a metà anni ’90, ver-sava in condizioni critiche: so!riva di rilevanti problemi di indirizzo e governo aziendale, mostrava elevati livelli di ine"cienza e, di conseguenza, godeva di un’immagine non positiva presso l’opinione pubblica. Nel giro di un decennio, la stessa impresa è riuscita ad invertire questo ciclo. Dopo 50 anni di bilanci chiusi in perdita, gli ultimi 7 esercizi hanno rivelato utili in costante crescita ed una sostanziale tenuta alla recente crisi economica. Tale percorso virtuoso, che la vede nel 2008 quale impresa postale mag-giormente profittevole in Europa, trova conferma dalla presenza del gruppo fra le “World’s Most Admired Companies” riconosciute dalla rivista Fortune, nonché dai buoni livelli di rating delle agenzie.Questa inversione di tendenza è stata possibile in virtù di un radicale cambio di strategia e filosofia, teso in primo luogo ad evolvere e consolidare il modello di business sulle proprie attività core, abilitando poi una pluriennale strategia di di!erenziazione e crescita, fondata sull’ingresso in nuovi settori di mercato ritenuti attrattivi e servibili grazie alle risorse distintive dell’impresa (tradizionale radicamento territo-riale, vicinanza ai cittadini, immagine di solidità). Il business aziendale, così, si è esteso verso il settore del credito, quello assicurativo, quello della telefonia. Tale paradigma è ritenuto il caso più eclatante di evoluzione di un player del settore postale, costituendo, di fatto, un benchmark di riferimento per tutti i principali concorrenti europei.Il caso dimostra inequivocabilmente come la di!usione di una forte vision strategica ed di un orienta-mento ai risultati nell’intero top management pubblico, possa essere un elemento chiave tale da poter modificare l’immaginario collettivo circa l’imprenditoria pubblica e ra!orzare il contributo della stessa alla crescita del paese.

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 21

HEALTH & PUBLIC SERVICES

“Carta dei servizi” al cittadino da parte della Procura della Repubblica di Bolzano (capace di presentare chiaramente mission e doveri della procura, nonché servizi offerti e stan-dard qualitativi target), esperienza di valore oggetto di ap-profondimenti a livello universitario e richiamata dagli studi sulle eccellenze italiane di Eurispes; oppure all’attivazione di servizi di supporto/assistenza evoluti (tele-assistenza, prenotazioni via internet, ecc…) nell’ambito del progetto “Partout Sanità” della Valle d’Aosta per ovviare ai problemi di mobilità tipici dell’area, che ha avuto eco e rilevanza sui media specializzati nel campo dell’e-health.In aggiunta agli esempi citati, ci sembra importante sottoline-are alcuni casi di imprenditoria pubblica di successo che, pun-tando su una macchina operativa efficiente e servizi a valore, si sono dimostrati capaci di ribaltare il luogo comune dell’impre-sa pubblica quale sinonimo di sprechi ed inefficienze diventan-do best practice anche a livello internazionale.Caso emblematico, in tal senso, è rappresentato da Poste Italiane, capace di rinnovare profondamente nel giro di un decennio il proprio modello di business, anche attraverso lo sviluppo di vision strategiche distintive, incentrate su aree ad alto potenziale (ricordiamo che Poste Italiane è diventa-

ta nel corso del 2008 una delle imprese postali più profitte-voli d’Europa). In tale direzione, un ulteriore e interessante paradigma è quello di INPS che ha saputo muoversi verso modelli di servizio maggiormente orientati alla customer satisfaction, migliorando contemporaneamente le proprie performance economiche (si veda il focus a fine paragrafo).Anche a livello locale si osservano importanti iniziative vol-te a incentivare lo sviluppo di casi imprenditoriali di succes-so attraverso incubatori di impresa pubblici che fungono da volano per il recupero e il rilancio del territorio. In partico-lare, sono diversi i casi in cui sono stati attivati strumenti, strutture e meccanismi per favorire la crescita e lo sviluppo delle imprese sul territorio e che puntano su una crescen-te internazionalizzazione e una maggiore relazione con il mondo della cultura e della divulgazione scientifica. Tale approccio è stato adottato anche in aree caratterizzate da elevati livelli di degrado e abbandono territoriale, aree simbolo della de-industrializzazione. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla Città della Scienza di Ba-gnoli, iniziativa lungimirante e di successo (testimoniato inoltre dal riconoscimento a livello internazionale quale Best Science Incubator).

Il caso INPSINPS, nata nel 1933, raccogliendo l’eredita della Cassa Nazionale di Previdenza per l’Invalidità e la Vecchiaia degli Operai, rappresenta, ad oggi, il più grande Ente previdenziale italiano, nonché uno tra i primi in Europa. L’INPS, operante in regime di totale autonomia gestionale pur sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, lavora in un contesto caratterizzato da una complessità elevata, sia dal punto di vista della moltitudine di stakeholder con cui deve interagire, sia in virtù di un ruolo sociale che lo qualifica come il principale pilastro a sostegno del welfare previdenziale italiano. Per citare alcune grandezze distintive, l’Istituto lavora a servizio di circa 2 milioni di imprese e 40 milioni di cittadini attraverso una struttura di più di 30.000 dipendenti che opera su un network capillare di circa 340 agenzie e 1.000 punti cliente. L’INPS ha ampliato negli anni la gamma di servizi o!erti che ad oggi spazia dalla gestione delle pensioni di natura previdenziale (anzianità, invalidità) e assistenziale fino ai trasferimenti sociali di integrazione al reddito (es. malattia, disoccupazione, cassa integrazione, TFR) e alla gestione di importanti basi dati informative che, di fatto, costituiscono la più grande fonte di informazioni sui cittadini italiani.A fronte di una complessità crescente, trainata anche da una domanda di servizi sempre maggiore (a causa ad esempio del progressivo invecchiamento della popolazione e da un aumento della disoccupa-zione), l’Ente è riuscito ha migliorare nettamente le proprie performance di servizio e soprattutto eco-nomiche. Infatti, dal 2005, dopo ben 40 anni di bilanci in perdita, l’INPS ha invertito la rotta arrivando nel 2008 ad un avanzo di bilancio di circa 13 miliardi di euro.Sicuramente i risultati economici hanno giovato della riforma del sistema previdenziale che ha contri-buito in maniera importante ad aumentare le entrate contributive riducendo al contempo le uscite, ma non bisogna trascurare il percorso di profonda trasformazione verso l’“aziendalizzazione” dell’Ente e verso paradigmi di e"cienza e soprattutto di servizio al cittadino. L’INPS è stato, infatti, uno dei primi Enti pubblici a mettere in atto modelli di servizio orientati alla customer satisfaction.

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22 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

l’effettivo valore di un patrimonio di risorse, strumen-ti e meccanismi in grado di avviare (in certi casi anche autonomamente) un processo evolutivo e vincente del sistema pubblico. Proviamo, dunque, a indicare una possibile risposta con-creta all’interrogativo circa il possibile ruolo della Pubbli-ca Amministrazione a supporto del rilancio del sistema Paese. La sfida, in base a quanto fin qui argomentato, appare quella di innovare la Pubblica Amministrazione, capitalizzando le aree di eccellenza e rilanciando l’azione sui punti di debolezza facendo leva sulla presenza di un terreno aperto al cambiamento. In particolare, per avviare un processo di innovazione reale e sostenibile, riteniamo opportuno:

Valorizzare pienamente gli asset già disponibili at-tivando, a livello di singoli settori, un meccanismo strutturato di best practice sharing che consenta di in-dividuare, analizzare e abilitare la diffusione dei casi di eccellenza.Promuovere, a livello di sistema, iniziative strutturali di innovazione e trasformazione della Pubblica Ammi-nistrazione che sappiano trarre slancio direttamente e indirettamente dai casi di successo (vedi figura 3).

3 Valorizzare pienamente gli asset già disponibili Come detto, sono molti i settori in cui esiste un patrimonio di esperienze di successo che potrebbe essere ampiamen-te esteso a contesti analoghi. E’ opportuno, però, fugare il campo da possibili equivoci. Non si tratta semplicemente di “replicare” asetticamente le esperienze già esistenti. Per una piena valorizzazione in grado di apportare significativi livelli di innovazione, è necessario trasferire le buone prati-che in maniera critica, tenendo fermi ovviamente i principi ispiratori. Infatti, per liberare pienamente i benefici conse-guibili occorre dotarsi di un approccio strutturato, selettivo e al contempo orientato a un’estesa replicazione.

I principi ispiratori delle buone eccellenze nella PA

2. Come capitalizzare le aree di eccellenza della Pubblica AmministrazioneSe è certamente utile evidenziare i modelli e le soluzioni a valore attivate, è forse ancora più importante mettere a fuoco quegli insegnamenti di fondo, in termini di approccio e principi di carattere generale, che, come l’esperienza di-mostra, accomunano le buone prassi in atto. In particolare, elementi comuni e fattori critici di successo fanno principal-mente riferimento a:

!" Capacità manageriali e orientamento al mercato, ossia la capacità di individuare, in modo creativo e lungimirante, sentieri di innovazione anche attraverso servizi erogati in una logica di mercato, facendo leva su conoscenze, intui-to e business acumen.Capacità di condurre a buon fine il cambiamento (pro-gram management), attraverso un forte focus sulla piani-ficazione della trasformazione e sul raggiungimento degli obiettivi.Capacità di valorizzare l’apporto di tutti gli stakeholder, pun-tando sulla professionalità delle risorse umane e collaborando attivamente in partnership con altri Enti (pubblici o privati).

Le dimensioni sopra evidenziate richiamano inequivo-cabilmente caratteristiche proprie della gestione d’im-presa, storicamente ritenute “lontane” dal mondo della Pubblica Amministrazione, ma cui le soluzioni descritte risultano chiaramente ispirate. Quindi, anche in un set-tore come quello dei servizi pubblici nel quale l’obiettivo non è, e nemmeno può diventare, il conseguimento di un profitto economico, l’applicazione di principi manageria-li risulta comunque fondamentale per il conseguimento del principale obiettivo della Pubblica Amministrazione, ovvero la creazione di valore per l’intera socialità.Un ulteriore elemento che è opportuno sottolineare è, come anticipato, la presenza di un “terreno fertile”, ricettivo al cambiamento e all’innovazione. Le aree di eccellenza della Pubblica Amministrazione, di cui qui abbiamo citato solo alcuni casi emblematici, confermano

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LO STATO DI CUI NON SI PARLA MAI

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HEALTH & PUBLIC SERVICES

In questa direzione, crediamo possa essere utile attivare una struttura centrale per il monitoraggio delle eccellenze (a tutti i livelli e sui diversi ambiti) nella Pubblica Ammini-strazione, responsabilizzata su attività di scouting e soprat-tutto sulla definizione e gestione di programmi di diffusione e capitalizzazione. In particolare, questa struttura dovrebbe essere responsabilizzata sui seguenti ambiti:

Ricerca e catalogazione sistematica delle eccellenze in ogni settore della Pubblica Amministrazione.Analisi delle eccellenze, identificazione dei fattori critici di successo e promozione di un’adeguata strategia di co-municazione verso Enti pubblici e cittadini.Gestione diretta del piano di replicazione (mainstrea-ming), attraverso l’individuazione dei contesti di diffusio-ne più opportuni, la definizione delle attività necessarie e il monitoraggio dei risultati.Monitoraggio sui piani di replicazione e attuazione di op-portune logiche premianti e di incentivazione.

A tal fine (anche in linea con le indicazioni della Strategia di Lisbona dell’UE) potrebbero essere valorizzate ed evolute al-cune esperienze già lanciate sia dal Governo sia da altri Enti

(ad esempio, “Premiamo i risultati”, “Osservatorio PA”, “Ma-gellano”, “Catalogo Nazionale per le Buone Pratiche FSE”, ecc…). Si tratta di punti di partenza interessanti, cui necessa-rio tuttavia dare un forte impulso evolutivo facendo leva su:

Un approccio omnicomprensivo, in grado di integrare le singole aree/funzioni pubbliche, per favorire una pie-na “fertilizzazione” cross-settoriale.Una maggiore responsabilizzazione sulla fase esecutiva e di diffusione dei metodi e dei casi.Un potenziamento del modello premiante, per favorire la partecipazione e l’interesse degli attori coinvolti.Una rafforzata enfasi sulla fase di comunicazione, al fine di valorizzare pienamente le esperienze virtuose promuovendo fiducia e partecipazione di tutti gli stake-holder (in primis cittadini e dipendenti pubblici).

In altre parole, è giunto il momento di adottare un nuovo approc-cio execution oriented, il quale, a partire dalla scientifica rilevazio-ne delle buone prassi, garantisca parallelamente l’attivazione di un piano concreto di replicazione e diffusione delle eccellenze sul territorio e guidi quotidianamente il comportamento delle risorse operanti nella Pubblica Amministrazione (vedi figura 4).

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Figura 4Strumenti e approccio per il Best Practice Sharing

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24 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

nitario per contenere una delle voci di spesa pubblica più rilevante (paragrafo 4.2.).L’adozione di un approccio citizen-centric per incremen-tare la qualità dei servizi offerti al cittadino (paragrafo 4.3.).

4.1 Evoluzione dell’amministrazione fiscale Ai fini di un miglior funzionamento e di una maggior effica-cia della macchina pubblica, un ambito di primario interesse è il Fisco. Infatti, un’ottimale gestione della leva fiscale può consentire di allentare il vincolo di bilancio pubblico, assi-curando risorse indispensabili al rilancio del sistema Paese. In altre parole, in un contesto nel quale la spesa pubblica risulta elevata e soggetta a ulteriori spinte di crescita, l’otti-mizzazione della principale fonte di entrate per lo Stato non può non giocare un ruolo chiave. A testimonianza della rile-vanza del tema, basti pensare a un imponibile evaso stimato nell’ordine di circa 230 miliardi di euro annui. Alcuni studi, addirittura, indicano il nostro Paese come primo in Europa per questo fenomeno.In tale situazione, in aggiunta al percorso di lotta all’eva-sione intrapreso in tempi passati e recenti e tralasciando i temi di equità e pressione fiscale, che richiederebbero ampi approfondimenti specifici, riteniamo che sia possibile nel breve partire con un’azione strutturale di evoluzione della macchina fiscale ordinaria. In particolare, ci riferiamo a processi, procedure e strumenti che se opportunamente de-finiti e rivisti possono:

Rafforzare la prevenzione dei fenomeni di evasione, age-volando le modalità di adempimento del contribuente.Sviluppare la collaborazione proattiva fra amministrazio-ne fiscale e altri Enti Pubblici, al fine di garantire mecca-nismi di controllo più efficaci in chiave “anti-evasione”.

La prima direttrice di intervento è, quindi, orientata a raf-forzare i meccanismi di prevenzione, facilitando l’adempi-mento degli obblighi tributari. In questa direzione, si potrebbe sinergicamente agire tramite:

Semplificazione degli adempimenti e potenziamento dei servizi di customer care (si pensi alla limitata disponibilità di supporto e contatto, ancor più importante per quelle fasce sociali prive di una cultura finanziaria).Rafforzamento della multicanalità, valorizzando punti di contatto innovativi per facilitare il pagamento e la richie-sta di informazioni/supporto (web, call-center, ecc…).Evoluzione della comunicazione col contribuente, sia in termini di strumenti (es. sistemi di “reminder” basati su e-mail o SMS, invio di feedback automatizzati sui paga-menti e servizi di “history personale” che tengano traccia

4. Promuovere iniziative strutturali di innovazione e trasformazione della Pubblica AmministrazioneIl contesto in cui si trova ad operare la Pubblica Ammini-strazione italiana, come detto, è caratterizzato da elevati profili di complessità, principalmente a causa:

Della necessità di attivare delle politiche di sostegno al tessuto sociale e industriale (ulteriormente sostenuta da-gli effetti della crisi economica).Di un bilancio pubblico sotto pressione con evidenti vin-coli di spesa.Di una domanda crescente di servizi di qualità da parte dei cittadini.

Alla luce di questo contesto, si delinea dunque la necessità di disegnare e attivare un percorso di innovazione e trasfor-mazione della macchina pubblica, che da un lato faccia te-soro direttamente delle esperienze di eccellenza già in cor-so (mutuando le soluzioni virtuose identificate), dall’altro replichi e diffonda pervasivamente i principi e gli approcci emersi, in particolar modo in quegli ambiti della “cosa pub-blica” maggiormente critici e di rilievo. Appare opportuno, in sintesi, disegnare iniziative strutturali di innovazione e trasformazione della pubblica amministrazione, focalizzan-dosi in primis su quei settori che, oltre ad aver manifestato dei casi di successo (seppur limitati), hanno urgente necessi-tà di interventi riformatori. Ciò presuppone una trasforma-zione strutturale e culturale che, muovendo dai propri punti di forza e mutuando logiche di carattere manageriale, sia in grado di intervenire su:

L’ottimizzazione delle risorse economiche, per garantire l’adeguato finanziamento della macchina pubblica.Il contenimento della spesa pubblica, agendo dapprima sulle aree di spesa più rilevanti e critiche.La garanzia di servizi di qualità, “costruiti”sui bisogni del cittadino.

Senza la pretesa di essere esaustivi, e a puro titolo esem-plificativo per dare concretezza alle idee, proponiamo di seguito alcune iniziative che, secondo la nostra esperienza, rispondono almeno in parte alle tre aree di intervento sopra proposte. In particolare:

L’attivazione di una macchina fiscale ottimizzata, in gra-do di incrementare le risorse pubbliche mediante col-laborazione, semplificazione delle procedure e messa a fattor comune delle informazione sui contribuenti (pa-ragrafo 4.1.).

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LO STATO DI CUI NON SI PARLA MAI

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 25

HEALTH & PUBLIC SERVICES

plici modalità di finanziamento e ripartizione di spesa,…).Si pone, dunque, la necessità di definire un nuovo paradig-ma di efficienza, facendo leva su interventi di ingegneria organizzativa-istituzionale, parimenti in grado di restituire livelli di performance adeguati alla complessa galassia sa-nitaria. In tale direzione, riteniamo auspicabile agire siner-gicamente sul modello operativo della macchina sanitaria tramite:

!" Accentramento dei processi secondari/di supporto, in ottica di “servizio” alle imprese sanitarie.

!" Ottimizzazione dei processi primari, con focus sulla cen-tralità del cittadino.

Per quanto concerne la prima leva, si osserva come l’attuale assetto dei sistemi regionali risulti caratterizzato da dupli-cazioni e sovrapposizioni di processi e funzioni non core. L’obiettivo perseguibile potrebbe essere, quindi, quello di attivare un sistema evoluto di shared services in ambito sanitario, in grado di alleggerire l’operatività delle imprese sanitarie, garantendo così una rinnovata focalizzazione de-gli sforzi del personale sui processi core di cura al paziente.Si tratta, in altre parole, di sviluppare unità specializzate, operanti a servizio e supporto di una molteplicità di impre-se sanitarie (AO, IRCCS, Presidi Ospedalieri,…), capaci di gestire, secondo modalità standardizzate, tutti quei processi di supporto che non vedono un diretto e rilevante coinvolgi-mento dell’utente finale, ossia il paziente. Strutture opera-tive di questo tipo, come dimostrato dalle esperienze ormai consolidate fra le imprese private di diversi settori, sono dunque in grado di restituire benefici per tutti gli attori del sistema, in termini di:

Maggiore efficienza operativa, grazie allo sfruttamento dei potenziali derivanti dalle economie di scala e di ap-prendimento, nonché alla standardizzazione e ottimizza-zione di processi e flussi informativi.Incremento della qualità dei servizi erogati al cittadino, in virtù di un alleggerimento del peso di tutte quelle at-tività di supporto che gravano inevitabilmente su ogni impresa sanitaria, con effetti negativi sulle funzioni pri-marie di cura.

Una prima area in cui realizzare iniziative di centra-lizzazione è, tipicamente, quella del procurement e degli acquisti, ove si concentra circa il 12% della spe-sa sanitaria pubblica4. In tale direzione, l’esperienza in-segna come, per cogliere pienamente i benefici di ini-

della vita contributiva dell’utente, ecc…), che di contenu-ti per sviluppare una cultura contributiva (es. pubbliciz-zando scadenze e strumenti/ modalità di adempimento, collaborando con le scuole, ecc…).

In secondo luogo, il nuovo modello va esteso anche alle strutture pubbliche con le quali i contribuenti si interfac-ciano, attraverso l’integrazione e la collaborazione tra le diverse entità coinvolte, con finalità di rafforzamento ed estensione degli strumenti di controllo/ accertamento, sia in logica preventiva, sia per le verifiche ex-post. In particolare è possibile agire sviluppando:

Modelli e strumenti per la raccolta di dati e informazioni sul contribuente, per “seguirne da vicino” il mutare degli obblighi fiscali in funzione degli eventi del suo ciclo di vita (sia esso cittadino o impresa), superando il tradizio-nale approccio “ex-post”.Il rafforzamento dei meccanismi di controllo tramite la condivisione della base informativa fra le diverse ammi-nistrazioni e l’attivazione di meccanismi di profilazione dei contribuenti.Il potenziamento degli strumenti predittivi, quale utile leva per la programmazione delle politiche fiscali.

In sintesi, una macchina fiscale che, da un lato, potrebbe alimentare lo sviluppo di comportamenti virtuosi, dall’altro consentire di attivare meccanismi di gestione più efficienti ed efficaci, aumentando, in una logica di sistema tra i diversi attori in gioco, la qualità e le risorse disponibili per la Pub-blica Amministrazione.

4.2 Evoluzione delle modalità operative del sistema sanitarioIl sistema sanitario nazionale è chiamato a rispondere alla sfida di contenere una spesa “critica” già oggi (in virtù del vincolo di bilancio pubblico che caratterizza il nostro Pae-se) e prevista in marcato aumento (da circa il 7% attuale sul PIL, a un insostenibile 13% nel 2050) a causa dei trend demografici. Inoltre, anche in termini di qualità di servizio, l’SSN non gode di buona reputazione: difficile accessibilità unita a frammentazione e assenza di coordinamento fra re-altà territoriali ci collocano oltre la metà nelle classifiche di qualità ed efficacia dei sistemi europei.Anche in seguito ai processi di riforma intervenuti negli ul-timi 15-20 anni, si è venuto a configurare un “sistema di si-stemi regionali”, caratterizzato da elevata eterogeneità (es. differenti modelli di governance ed organizzazione, molte-

4. Per un valore superiore ai 12 miliardi di euro. In aggiunta, si consideri che questa area è quella che ha mostrato la più forte dinamica di cresci-

ta nel lungo periodo nel bilancio della sanità pubblica (con un tasso di crescita medio annuo 2004-07 superiore al 10%)

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26 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

problema di salute del paziente. Proprio in questa direzio-ne, riteniamo concretamente capaci di restituire efficienza ai processi di cura ed incrementare la customer experience interventi gestionali quali:

La formalizzazione di processi operativi di cura end-to-end, cross-funzionali e definiti secondo macro-categorie di patologia (percorsi assistenziali).La definizione di figure e ruoli organizzativi responsabi-lizzati su specifici percorsi assistenziali, ossia degli “in-tegratori orizzontali”, operanti a cavallo fra le diverse funzioni sanitarie, in grado di seguire il decorso clinico dei pazienti di una specifica categoria (es. case manager).

4.3 Sviluppo della relazione con il cittadino attraverso un approccio “citizen-centric”Come già anticipato, il tessuto sociale italiano mostra una domanda crescente di servizi pubblici. Ai già richiamati trend strutturali di carattere demografico (che sostengono la crescita della spesa attesa per sanità ed assistenza), si sommano gli effetti (destinati ad essere comunque dura-turi) della crisi, che hanno moltiplicato le esigenze di con-tatto con la Pubblica Amministrazione come ad esempio la richiesta di ammortizzatori sociali a supporto delle fasce più deboli (il ricorso alla Cassa Integrazione è cresciuto nel 2009 di più del 300%). In questo contesto la Pubblica Am-ministrazione, a causa di un’eccessiva burocratizzazione, pregiudica spesso il raggiungimento di risultati apprezzabili in termini di performance. Basti pensare, a titolo puramen-te esemplificativo, che il nostro Paese si colloca stabilmente lontano dai propri peer per quanto concerne le classifiche internazionali di efficienza delle Amministrazioni Pubbli-che nei servizi erogati alle imprese (ad esempio, in caso di

ziative di centralizzazione, sia necessario presidiare:

Il raggiungimento di volumi critici. L’estensione dei servizi anche alle funzioni logistico-distributive.L’adozione di infrastrutture tecnologiche efficaci.La flessibilità del sistema e la libertà di negoziazione pa-rallela imprese sanitarie – fornitori.

Esperienze di aggregazione della domanda in questa dire-zione stanno iniziando a diffondersi anche in Italia (gene-ralmente a livello regionale o di ASL), mostrando benefici in termini di riduzione costi, mediamente pari al 25%5. In questo contesto, tuttavia, appare auspicabile, anche in virtù delle indicazioni del legislatore, promuovere una maggiore armonizzazione e coordinamento fra le diverse iniziative territoriali, per arrivare alla definizione di un network na-zionale di sistemi di procurement, sicuramente capace di amplificare ulteriormente i benefici di sistema attraverso una maggiore scala (la legge Finanziaria 2007 e l’accordo Stato-Regioni del gennaio 2008, infatti, promuovono la co-operazione fra autonomie locali per il superamento della frammentazione nelle iniziative di centralizzazione degli acquisti in sanità).Ulteriori benefici, tuttavia, potrebbero essere perseguiti am-pliando il perimetro a processi non-core centralizzabili qua-li, ad esempio, la gestione dell’IT, la contabilità o le risorse umane. Non solo: un passo successivo potrebbe prevedere anche l’esternalizzazione di processi di supporto a contenu-to maggiormente sanitario/clinico, quali le analisi di labora-torio o la diagnostica per immagini. Un percorso evolutivo, dunque, volto al progressivo sviluppo di imprese sanitarie “leggere” , focalizzate sul proprio core business - e, di con-seguenza, sul bisogno di salute del cittadino (vedi figura 5). Su un modello operativo “leggero” e focalizzato, tuttavia, interventi di ottimizzazione e razionalizzazione potrebbero essere attivati anche in relazione ai processi primari dell’im-presa come la cura. In questa direzione, appare auspicabile muovere da una logica verticale e “compartimentata” del servizio al paziente, verso una reale gestione per processi, centrata sulla definizione di percorsi assistenziali. In estre-ma sintesi, a fronte di un’attuale situazione che troppo spes-so vede le differenti unità organizzative dell’impresa gestire la propria fase di servizio al cliente in modo atomistico e non coordinato con i successivi attori della filiera, vanno disegnati processi orizzontali e integrati secondo una visio-ne d’insieme del percorso di cura del paziente, che muove dall’accettazione (triage) e arriva, mediante le attività di diagnosi, terapia, assistenza e follow-up, alla soluzione del

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Figura 5Evoluzione del modello operativo sanitario

5. Ipotizzando la piena estensione di tali iniziative in tutti i SSR, sono stimabili risparmi superiori a 3 miliardi di euro.

LO STATO DI CUI NON SI PARLA MAI

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 27

HEALTH & PUBLIC SERVICES

do la complessità operativa all’interno della macchina pubblica, al fine di minimizzare duplicazioni e ineffi-cienze che impattano sia sull’utente finale, sia sul siste-ma pubblico.In altre parole, iniziative di questo tipo potrebbero tra-sformare la galassia di Enti pubblici da organizzazioni separate, operanti secondo una rigida logica di service boundaries (che rende oneroso il ricorso alla Pubblica Amministrazione da parte di cittadini e imprese), a una struttura organica focalizzata sui bisogni del cittadino, valorizzando a pieno il ruolo della macchina pubblica a supporto del tessuto sociale ed economico del Paese.L’adozione di un modello di servizio in ottica citizen-centric dovrebbe avvenire, secondo la nostra esperien-za, attraverso un percorso evolutivo orientato a:

Sviluppare dapprima un’integrazione focalizzata sulle funzioni distributive di front-o!ce (erogazione dei ser-vizi). Una soluzione di questo tipo è concretamente atti-vabile mediante:

L’integrazione del patrimonio informativo, abilitando cioè una “vista unica” su cittadini e imprese, condivisa fra i diversi Enti ed organizzazioni.L’attivazione di un’interfaccia integrata, ossia di strut-ture di front-office condivise da più enti che fungano da unico punto di contatto, di carattere tradizionale (sportelli) o “innovativo” (call-center, sito web).

Realizzare successivamente una piena integrazione ope-rativa dei back-o!ce dei diversi Enti/ Organizzazioni (ad esempio mediante loro “fusione”, oppure tramite la creazione di shared services che operino secondo para-metri di servizio condivisi nei confronti delle diverse isti-tuzioni), attivando logiche di erogazione focalizzate sul bisogno piuttosto che sul singolo servizio erogato.

Tale approccio è in grado di promuovere un migliora-mento concreto e percepibile della “qualità” della pub-blica amministrazione, abilitando in altre parole benefici sia per il cittadino, che per il sistema pubblico stesso. In particolare, è possibile ottenere:

Una riduzione del cost-to-be-served, ovvero un mi-glioramento della qualità e del livello di servizio per cittadini e imprese, in termini di facilità ed univocità nell’accesso ai servizi, nonché di riduzione del tempo per l’ottenimento delle prestazioni.Una riduzione del cost-to-serve per la Pubblica Amministra-zione, sviluppando quindi i profili di efficienza attraverso la riduzione delle duplicazioni di processo (in particolare per quanto riguarda la gestione delle informazioni ed il case ma-nagement) e lo sfruttamento di economie di scala/di scopo.

controversie di natura commerciale la Giustizia italiana si dimostra eccessivamente lenta, impiegando mediamente per azioni di tutela sui contratti circa 4 anni a fronte dei 300 giorni negli Stati Uniti, dei 331 in Francia, dei 394 in Germania e dei 404 in Gran Bretagna). In questo senso, particolare attenzione deve essere dedicata al ripensamento delle modalità di offerta dei servizi pubbli-ci, da ridisegnare in funzione delle esigenze degli utenti e mediante logiche tipiche del settore privato (es. customer satisfaction). Il raggiungimento di tali obiettivi, in un conte-sto caratterizzato dalle note difficoltà di spesa, è una delle principali sfide che la Pubblica Amministrazione si trova ad affrontare.In tale panorama, non si può ritenere sufficiente una otti-mizzazione “a silos” dei diversi servizi offerti e delle modali-tà operative dei singoli Enti pubblici. L’emergere di esigenze e bisogni complessi dei cittadini, difficilmente confinabili all’interno di un singolo Ente pubblico, e la necessità da parte dei vari Enti di attivare uno sforzo congiunto nell’ero-gazione dei servizi, indicano come sia essenziale guardare oltre i confini organizzativi e di servizio del singolo Ente/Organizzazione.Ridisegnare le strategie di servizio in ottica citizen-centric, al fine di sviluppare un modello di servizio al cittadino capace di integrare le diverse anime della Pubblica Amministrazio-ne, rappresenta un’efficace soluzione al trade-off esistente fra il potenziamento dei servizi in linea con i bisogni emer-genti della società ed il necessario contenimento dei costi (vedi figura 6).

L’obiettivo è quindi quello di mettere al centro il citta-dino, disegnando e sviluppando l’erogazione dei servizi in funzione dei suoi bisogni (e non in base alle compe-tenze funzionali dei singoli Enti), gestendo e risolven-

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Figura 6Il modello di servizio “citizen-centric”

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28 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

hanno guidato e che costituiscono una risposta concreta ai bisogni emergenti del tessuto sociale.Questo ultimo aspetto, ricorrente nelle iniziative di tra-sformazione indicate e che richiama a una rinnovata cen-tralità del cittadino in tutte le azioni e in tutti gli ambiti delle politiche pubbliche, riteniamo debba costituire una vision pervasiva, capace di guidare e ispirare l’evoluzio-ne della Pubblica Amministrazione.In conclusione, riteniamo che proprio quello “Stato di cui non si parla mai”, rappresenti l’asset da valorizzare e da cui partire per innovare strutturalmente la Pubbli-ca Amministrazione e aiutare il sistema Paese a uscire dalla crisi senza che questa non risulti, ancora una volta, un’occasione di cambiamento sprecata.

Nonostante al crescere dei profili di integrazione (dal-la condivisione delle sole basi informative e delle strut-ture di erogazione, fino alla piena integrazione anche dell’operations), aumenti il livello di benefici conseguibili per tutti gli attori coinvolti, va tuttavia osservato come le Istituzioni debbano attentamente calibrare il proprio modello target (ossia il proprio profilo di integrazione obiettivo) in funzione:

Della tipologia e della complessità di bisogni da sod-disfare (laddove i servizi facciano riferimento a uno spettro di bisogni del cittadino ampio e complesso da servire, allora risulteranno più efficaci percorsi diretta-mente tesi al raggiungimento di modelli di integrazione distributiva e di back-office).Della capacità di gestire il cambiamento (laddove sussi-stano elevate barriere al cambiamento e limitate leve di change management, allora risulteranno auspicabili pro-cessi di integrazione step-by-step).

Alcuni Paesi si sono già mossi verso modelli citizen-cen-tric. A titolo esemplificativo, richiamiamo alcune espe-rienze che si differenziano per livello di integrazione di front e back office. In Canada sono state create strutture di front-office condivise da più agenzie, mantenendo tut-tavia separate le strutture di back office dei diversi Enti. In altri contesti, come in Norvegia, ci si è spinti oltre nel processo di integrazione, avviando un percorso che, attraverso una vera e propria “fusione” di 3 differenti agenzie attive nell’ambito della protezione sociale e del lavoro, ha contribuito a definire un sistema di welfare maggiormente integrato e, soprattutto, costruito sui bi-sogni del cittadino.

5. In sintesiLa Pubblica Amministrazione, per ciò che rappresenta e per i valori che esprime, può e deve essere un soggetto attivo del sistema economico e produttivo italiano. Per quanto la macchina pubblica sia conosciuta soprattutto per ciò che non funziona, è possibile tuttavia individuare quelle buone pratiche che, in quanto concrete, replicabi-li a livello cross-settoriale e capaci di diffondere una per-cezione di maggiore fiducia nel settore, possono davvero rappresentare una chiave di volta per il rilancio.In altre parole, è possibile rilanciare il sistema pubblico, partendo da ciò che di positivo la Pubblica Amministra-zione ha fatto e possiede. Bisogna, quindi, diffondere le esperienze virtuose con un approccio di sistema, anche e soprattutto attraverso un’opportuna strategia di comuni-cazione e valorizzazione di quei principi e di quelle pras-si, tipiche della gestione aziendale, che tali esperienze

GLI AUTORI

Luigi Onorato Senior Manager Strategy Practice

Francesco Iervolino Manager Strategy Practice

Matteo Vergani Consultant Strategy Practice

LO STATO DI CUI NON SI PARLA MAI

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www.hbritalia.it

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30 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Il sistema finanziario al servizio della ripresa: il ruolo delle banche

1. Il contesto di riferimentoSono trascorsi oltre due anni dall’annuncio di Bear Stearns che due dei suoi hedge fund, specializzati in titoli legati ai mutui subprime, avevano letteralmente bruciato quasi tutto il capitale a disposizione e dato avvio alle pratiche fallimen-tari. Da quel martedì, il mondo dei servizi finanziari è stato investito da una violenta crisi che ne avrebbe radicalmente intaccato le fondamenta.

L’eccezionalità di questo tracollo, anche rispetto ad altre gravi crisi finanziarie susseguitesi negli ultimi trent’anni, è desumibile da pochi numeri: in soli 21 mesi, da giugno 2007 a febbraio 2009, la capitalizzazione del mercato bancario internazionale è diminuita di circa 5,5 trilioni di dollari (da 8,6 a 3,1 trilioni), perdendo oltre il 60% del proprio valore, con conseguente riduzione del numero di banche con capi-talizzazione superiore ai 100 miliardi, passate da 11 a 4. Le conseguenze non sono state meno critiche sulla redditività complessiva del settore: già tra il 2007 e il 2008 si registrava-no valori di ROE, per i primi dieci istituti a livello globale, in calo di circa 15 punti percentuali1.In tale contesto, l’aderenza a un modello di intermediazio-ne “tradizionale”, unita a un quadro regolamentare e a un sistema di vigilanza prudente, ha fatto sì che le banche ita-liane risultassero meno esposte a due degli effetti più deva-stanti delle turbolenze dei mercati: il contagio degli “asset tossici” e l’improvvisa evaporazione della liquidità. Alla fine

del 2008, gli strumenti di credito strutturati rappresenta-vano poco meno del 2% dell’attivo dei principali gruppi bancari italiani e l’incidenza dell’interbancario sulla rac-colta complessiva era del 29%, contro una media del 41% nell’area Euro. Nonostante il deterioramento della redditività, le banche italiane sono state in grado di mantenersi al di sopra degli standard minimi di solvibilità richiesti, con coefficienti di pa-trimonializzazione (Total Capital Ratio)2 che, per i maggiori gruppi bancari, si collocavano nel 2008 in media intorno al 10%. Si tratta di un risultato ancor più apprezzabile se si con-sidera che il mercato italiano non è stato caratterizzato da forti iniezioni di capitale pubblico a sostegno delle banche3.Qual è dunque la fotografia del sistema finanziario italia-no al termine dell’annus horribilis che ha visto Governi e banche centrali intervenire pesantemente per mantenere un equilibrio globale rilevatosi fin troppo fragile? Utili di-mezzati, patrimoni da rinvigorire e rischio di credito ancora lontano dall’essere sotto controllo. Da una lettura attenta dei dati emerge chiaramente che l’andamento sfavorevole dei tassi e la flessione dell’attivi-tà con la clientela, conseguenze dirette della propagazione della crisi finanziaria all’economia reale, non sono di per sé sufficienti a spiegare il calo degli utili delle banche italiane. La nota dolente dei bilanci, anche in prospettiva, resta la qualità del credito. Gli accantonamenti per perdite sui cre-diti, infatti, sono cresciuti da 6 a 12 miliardi negli ultimi 12

Il settore dei servizi finanziari ha rappresentato l’epicentro della crisi che si è abbattuta sul sistema economico a livello globale. Di fronte ai primi segnali della ripresa, e alle nuove “regole del gioco” che stanno emergendo, la sfida per il sistema bancario in Italia è quella di costituire uno dei motori del rilancio, interagendo con gli altri attori economici del Sistema Italia in una logica di “ecosistema” integrato.di Piercarlo Gera, Andrea Bargioni, Giorgio Coppola e Pierpaolo Cazzola

1. Fonte: elaborazioni Accenture su dati analisti finanziari.2. Calcolato come rapporto tra il patrimonio e le attività ponderate

per il rischio.3. Fonte: dati Banca d’Italia, maggio 2009.

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FINANCIAL SERVICES ! BANKING

mesi (vedi figura 1)4 e le previsioni per il 2010 non sono con-fortanti. Si stima che le prime dieci banche italiane portino in dote probabili posizioni a rischio per circa il 5% del totale portafoglio5. Facile valutare i potenziali impatti che ne po-trebbero derivare sulla redditività del sistema.In prospettiva futura, le banche centrali, pur invitando tutti alla massima cautela e a rifuggire da facili ottimismi, riten-gono che l’attuale debole ripresa non sarà il preludio del te-muto double-dip6 e che “il mondo si è risvegliato un po’ più equilibrato e decisamente più diversificato7”. Nello scenario di mercato post-crisi, la sfida per le banche sarà trarre insegnamenti dagli errori del recente passato e costruire un futuro di performance sane e sostenibili, facen-do leva sulle risorse messe a disposizione dal sistema Italia.

2. I trend emergentiSulla base dell’osservazione di alcuni fenomeni già in corso e delle discontinuità create dall’ultima crisi, esistono alcu-ni trend che, a nostro giudizio, rimodelleranno lo scenario competitivo del mercato bancario nei prossimi 5-10 anni.

2.1 Battaglia per la riconquista della fiduciaLa crisi che ha investito frontalmente il sistema finanziario ha posto le banche di fronte alla necessità di pensare a una strategia per rafforzare il ruolo di intermediari di “fiducia” nei confronti dei propri interlocutori chiave: risparmiatori, mercati finanziari, istituzioni. In particolare il cliente, centro della relazione, deve trovare nei servizi offerti una risposta alle proprie aspettative e per-

cepire l’impegno della banca a mantenere le promesse fatte. La customer trust diviene quindi un prerequisito per una collaborazione di lungo termine: comprendere le esigenze finanziarie del cliente e soddisfarle nel rispetto dei principi basilari dell’ascolto, della semplicità della soluzione e della “vicinanza” nei momenti di incertezza può avere un impat-to sulla crescita delle performance future della banca più di quanto possa fare la vendita di un ulteriore prodotto. In assenza di grandi spazi di differenziazione dell’offerta, la fiducia ha un’influenza determinante sui comportamenti decisionali dei clienti: il cliente fidelizzato non solo acquista di più (9 clienti su 10 si rivolgono all’“azienda di fiducia” per soddisfare nuovi bisogni) ma, attraverso il fenomeno del “passaparola”, facilita l’acquisizione di nuova clientela: 8 persone su 10 raccomandano positivamente il proprio “mar-chio” di fiducia e il 30% della clientela sceglie un’azienda come interlocutore principale se consigliato da parenti o amici8.Interessante osservare la correlazione tra il livello di fiducia dei consumatori e la crescita dei mercati azionari: nel perio-do tra il 2001 e il 2008, l’andamento dell’indice S&P 500 e dell’indice di fiducia dei consumatori americani hanno fatto registrare simultaneamente i medesimi punti di massimo (fine 2007) e minimo (dicembre 2008). Inoltre, le aziende che vantano una relazione più solida con la propria clientela sono state anche quelle che, durante la crisi, hanno fatto re-gistrare le migliori performance sul mercato azionario9.Ma com’è cambiata la fiducia del cliente bancario in questi mesi? A livello internazionale le banche hanno sofferto un calo dei livelli di fiducia maggiore che negli altri settori (-11% nel 2009 rispetto al 2008) con solo il 45% dei clienti che affer-ma di fidarsi della propria banca, valore tra i più bassi rilevati.In Italia poi, dove una persona su tre ritiene che gli aspetti reputazionali siano il fattore primario nella scelta della ban-ca, la situazione è addirittura peggiore. Il 62% del campione dichiara di provare “sentimenti negativi” sia nei confronti degli istituti di credito che non hanno saputo “spiegare” la crisi, sia verso il personale di filiale che non ha dimostrato capacità di comprendere le esigenze e fornire l’assistenza attesa10. Per far fronte a tale smarrimento, primari istituti internazionali hanno investito e attivato, nel pieno della cri-si, una serie di iniziative focalizzate a tutelare e rafforzare la relazione con i propri clienti (vedi figura 2). Tre le direttrici su cui si sono focalizzate maggiormente le iniziative intraprese:

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Figura 1 Andamento voci di conto economico (dati in Mld !, campione significativo di banche italiane)

4. Fonte: elaborazioni Accenture su dati analisti finanziari.5. Fonte: Associazione Bancaria Italiana, Intervento del Presidente al Senato.6. Il double-dip, ovvero doppia caduta, si realizza quando si ha una ripresa economica fragile che, dopo un primo debole periodo di ripresa, rientra di nuovo in territorio recessivo.

7. Dichiarazione Presidente BCE, Il Sole 24 Ore, 11 Gennaio 2010.8. Fonte: Edelman, Trust Barometer 2009.9. Fonte: Report “Recognition or rejection”, European Center for Reputation Studies, ottobre 2008.10. Fonte: Rapporto Demos & PI per Banca Etica, ottobre 2009.

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32 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

a nuovi canali di comunicazione. Una primaria banca europea, per esempio, ha attivato un blog sul web per raccogliere le opinioni dei clienti, ma anche per orien-tarli nella scelta dei prodotti e affiancarli nella gestione complessiva delle proprie esigenze di risparmio.

!" Trasparenza nel comunicare le informazioni su pro-dotti offerti e relative condizioni. Su questo fronte riscontriamo il caso di un importante istituto ameri-cano che ha adottato una scheda standard per i pro-dotti “sofisticati”, riassumendo con linguaggio chiaro e in una pagina tutte le informazioni importanti che il cliente deve focalizzare.

!" Semplificazione, in particolare dell’offerta, con il focus su “pochi” prodotti disegnati sulle esigenze dei clienti, anche attraverso l’educazione all’uso di canali comple-mentari alla filiale. A questo proposito significativa è l’esperienza di una banca nordamericana che ha sem-plificato radicalmente il catalogo e potenziato il proprio sito attraverso l’introduzione di meccanismi di guida del cliente, di scelta del prodotto “appropriato” e di conclu-sione dell’acquisto direttamente online.

2.2 Riscoperta di una vocazione “sistemica”Se continuare a lavorare sull’efficienza interna e sulla solidi-tà rappresenta una priorità per le banche nella loro veste di entità aziendali orientate alla creazione di valore, è impor-tante ricordare che alle istituzioni finanziarie viene richie-sto, in virtù della funzione che la collettività ha loro affidato, di svolgere un ruolo di più ampio respiro rispetto a un “nor-male” settore produttivo. Se nel momento più critico della crisi le circostanze e l’interesse collettivo hanno giustificato l’iniezione straordinaria di capitali pubblici e privati per il loro sostegno, ora, in vista di una ripresa debole e incerta, le istituzioni finanziarie sono chiamate a fornire un contributo

speciale allo sviluppo economico. Questa vocazione sistemica ha visto le banche al fianco delle imprese nei momenti chiave di passaggio e modernizzazio-ne dell’economia nazionale. Si pensi, ad esempio, al perio-do della ricostruzione post-bellica e alla fase espansiva dei decenni successivi. A differenza di quanto avvenuto in altri momenti storici, però, il sistema imprenditoriale italiano proviene da un decennio di rallentamento riconducibile a problematiche strutturali preesistenti alla crisi. Lo scarso impulso verso la ricerca e sviluppo, i vincoli del capitalismo familiare e un tessuto produttivo frammentato e prevalen-temente focalizzato su settori tradizionali, hanno generato una maggiore esposizione alla concorrenza dei Paesi emer-genti, nonché minor capacità di assorbire le variazioni del ciclo economico.In tale contesto, risulta dunque centrale il ruolo che le no-stre banche dovranno avere nell’interesse comune di rivita-lizzare la competitività del Paese. Nell’immediato, la sfida consiste nel trovare il giusto bilanciamento tra l’esigenza di evitare impatti “traumatici” sulla già depressa profittabilità delle banche, non esponendole a ulteriori deterioramenti della qualità dell’attivo, e l’urgenza di sostenere le aziende sane in temporanea difficoltà finanziaria evitando una re-strizione generalizzata del credito.In primo luogo, è richiesta alle banche una maggiore lungi-miranza nella capacità di valutare le aziende su cui puntare: occorre sapere distinguere ed essere selettivi, considerando le prospettive del mercato in cui opera l’imprenditore e rico-noscendo la sostenibilità strategica dei suoi piani di sviluppo.Una ricerca recentemente condotta da Accenture, dimostra come il rapporto banca-impresa in Italia sia ancora molto focalizzato sulla “concessione del credito” e sulla “valuta-zione delle garanzie” e, quindi, scarsamente capace di evol-vere verso una partnership “virtuosa” in grado di stimolare la crescita supportando la pianificazione industriale e l’otti-mizzazione delle forme di finanziamento.La banca dovrebbe dunque maturare una maggiore capaci-tà di “lettura” dell’azienda che consenta anche di guardare “al di là del rating” e dei numeri di bilancio, grazie alla pro-fessionalità di interlocutori specializzati in grado di affian-carsi all’imprenditore e di assisterlo durante il suo percorso di crescita.La banca dovrà quindi essere capace di porsi verso il tessuto imprenditoriale come un partner di elevata competenza, in grado di giocare prima il ruolo di consulente ed accelerato-re della crescita e, successivamente, quello di coordinatore del piano di finanziamento, occupando l’“area grigia” oggi non presidiata tra capitale di rischio e credito commerciale, anche attraverso l’utilizzo di strumenti ibridi ed emissioni ad hoc (per esempio, bond di distretto o di settore).I primi segnali in questa direzione sono già visibili: è sta-

Figura 2Esempi di iniziative di Customer Trust

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IL SISTEMA FINANZIARIO AL SERVIZIO DELLA RIPRESA: IL RUOLO DELLE BANCHE

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FINANCIAL SERVICES ! BANKING

to recentemente lanciato un fondo chiuso di private equity per le PMI11, costituito da una partnership pubblico-privato, per supportare imprese che aspirano a un salto di qualità nella propria quota di mercato o nella presenza sui mercati esteri. Sul fronte del credito, un’altra iniziativa collegata è il coinvol-gimento della Cassa Depositi e Prestiti per utilizzare il denaro raccolto tramite risparmio postale e trasformarlo, con l’inter-mediazione di banche commerciali, in sostegno alle PMI.

2.3 Superamento dei confini tradizionali di settoreLa ricerca di nuove fonti di ricavo e le relazioni continua-tive con milioni di clienti finali costituiscono uno stimolo per molte società di servizi (finanziari e non) a ipotizzare nuove forme per veicolare prodotti non tradizionali alla propria clientela. Un esempio tipico è il mondo dei pagamenti al dettaglio: è ormai da qualche anno che si prefigura un possibile ri-disegno delle regole del gioco nel mondo dei pagamenti “quotidiani”, con l’ipotesi sempre più concreta di utilizza-re strumenti automatici per acquisti di piccolo importo, ad esempio sfiorando con il proprio cellulare un apposito “let-tore” presso la cassa di un supermercato.La recente entrata in vigore delle nuove direttive sui paga-menti può dare un’accelerazione decisa a questa tendenza, stimolando le banche verso una maggiore spinta innovativa dell’offerta e dando il via libera all’ingresso di nuovi attori, anche non bancari, nell’arena dei pagamenti elettronici con strumenti più leggeri e flessibili, svincolati dalla necessità di ottenere una vera e propria licenza bancaria.Molti operatori del mondo della telefonia e della grande distribuzione stanno riflettendo sulle strategie d’ingresso, ma il riscontro del mercato in Italia è stato finora minima-le. Gli investimenti in gioco per affermare uno standard e convincere le parti (acquirenti e commercianti) ad aderire sono molto rilevanti: siamo in presenza di un tipico gioco dove a nessuno conviene fare la prima mossa. La presen-za di notevoli “esternalità di rete” per assicurare un’ade-guata copertura del servizio pone barriere all’ingresso che solo la creazione di un network dei mobile payment può mitigare, rendendo vantaggioso questo mercato a una molteplicità di interlocutori. Il regolatore potrebbe inol-tre stimolare questo processo come leva per muovere la cosiddetta “guerra al contante”.Finora sono stati mossi solo i primi passi: alcune banche han-no lanciato attività di operatore mobile virtuale (MVNO) come mossa di avvicinamento verso un’offerta integrata di mobile payment. L’idea di fondo è che solo controllando il canale di accesso (la SIM del cellulare) è possibile indirizza-re l’utente a utilizzare i propri servizi di micro-pagamento.

Contemporaneamente, sono state avviate anche in Italia le prime sperimentazioni di carte contactless per pagamenti di piccolo importo. Il salto di qualità è possibile solo attraverso un disegno d’insieme che unifichi i filoni di innovazione e porti sul mercato un’offerta realmente fruibile.L’aspettativa del mercato è che la posta in gioco sia enor-me, poiché enorme è il flusso di pagamenti potenzialmen-te convertibile al nuovo canale (in Italia i pagamenti in contanti hanno un’incidenza del 90%, equivalenti a circa 32 miliardi di transazioni per un valore di 360 miliardi di euro12). Il dubbio di fondo su quale sia l’opzione strategica più attrattiva permane: ai potenziali entranti (banche, so-cietà telefoniche, distributori) conviene allearsi o muover-si una guerra frontale? Una strategia stand-alone compor-ta per il nuovo entrante l’onere di sostenere la complessità e i possibili rischi di chi si cimenta in un nuovo business senza l’esperienza necessaria.Altre opportunità di convergenza inter-settoriale sono evi-denziabili tra attività finanziaria e grande distribuzione: in Italia la prassi delle grandi catene di offrire una gamma più o meno ampia di servizi finanziari è ormai consolida-ta, a partire dai finanziamenti a sostegno delle vendite per poi estendersi agli adiacenti prodotti di credito al consumo non finalizzati. L’integrazione totale dei modelli di business, ovvero l’offerta del conto corrente e dei prodotti bancari a 360°, ha finora evidenziato casi di successo solo nella realtà UK, con due importanti catene di vendita al dettaglio.

2.4 Nuova cultura di attenzione al rischioLa turbolenza che ha investito il sistema finanziario inter-nazionale ha messo in evidenza le carenze dei modelli di gestione dei rischi e delle regole di vigilanza prudenziale. Nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni da banche e regulator, le misure adottate per controllare l’esposizio-ne ai rischi e preservare la stabilità del sistema finanziario si sono rivelate insufficienti per mitigare gli effetti di una crisi sistemica. Si assiste quindi, da parte delle banche, a una maggiore attenzione all’assunzione dei rischi e, da parte delle auto-rità di vigilanza, a un ripensamento delle regole di super-visione. Osserviamo, in particolare, una tendenza verso più forti e stringenti policy interne di governo dei rischi. Tali considerazioni emergono anche da un’indagine con-dotta da Accenture nel 2009 in 21 Paesi con oltre 70 top executive e Chief Risk Officer (CRO) di primarie istituzioni finanziarie. In tal senso le principali banche hanno indivi-duato le seguenti priorità:

coinvolgimento degli organi di governance sulle tema-

11. Fonte: Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2010. 12. Fonte: Report Euromonitor International, marzo 2008.

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34 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

IL SISTEMA FINANZIARIO AL SERVIZIO DELLA RIPRESA: IL RUOLO DELLE BANCHE

tiche di rischio. In tale ambito alcune primarie ban-che rappresentano già una best practice. Tali istituti hanno costituito comitati di rischio, composti preva-lentemente da membri non esecutivi del Consiglio di Amministrazione, che si riuniscono per esaminare le nuove erogazioni e discutere i rischi complessivi a cui la banca risulta esposta. Nel caso di un primario gruppo internazionale, il comitato rischi si è riunito oltre 100 volte nel corso di un anno. Molti osservatori hanno accreditato tale processo come uno dei fattori principali che ha permesso a questa realtà di mitigare le ricadute della crisi;inclusione del risk management nei processi di piani-ficazione e di performance management. Le banche intervistate tenderanno a rivedere profondamente i rapporti e le modalità di collaborazione tra risk mana-gement e business unit, a partire dalla definizione del-le strategie aziendali e dalle modalità di valutazione ed incentivazione delle prestazioni;affinamento delle tecniche di misurazione e inte-grazione dei rischi. Particolare attenzione è rivolta all’evoluzione dei modelli di valutazione di specifiche tipologie di rischio (rischi di controparte, di mercato e di liquidità in primis), nonché alle tecniche di stress test e alle modalità di integrazione tra le varie tipologie di rischio, attraverso la stima della correlazione tra i diversi fenomeni.

In ambito regolamentare, il Comitato di Basilea ha indivi-duato le aree che occorre presidiare maggiormente al fine di evitare il ripetersi delle circostanze che hanno contribuito alla crisi: le regole sugli accantonamenti per le perdite previ-ste, i requisiti patrimoniali e di liquidità, i limiti di leva finan-ziaria e la vigilanza sui rischi delle “Banche Sistemicamente Importanti” (BSI). Questi nuovi standard saranno oggetto di definizione, calibrazione e approvazione entro il 2010, con la previsione di una loro entrata in vigore entro il 2012. Le tendenze in atto, sia sul fronte gestionale che regola-mentare, rendono evidente che una delle priorità del top management bancario, oggi più di prima, sarà la ricerca di un adeguato bilanciamento tra obiettivi di business e conte-nimento dei rischi. Tale equilibrio è cruciale per ottenere un sistema bancario più solido e in grado di sostenere una sana crescita economica nel lungo termine.

3. Gli asset da cui ripartireL’evoluzione del contesto di mercato e l’impatto dei trend descritti, insieme con i tratti caratteristici dell’economia in fase di uscita dalla crisi, impone alle banche scelte decise e coraggiose per eccellere nel mutato contesto competitivo. Naturalmente, le ricette vincenti non sono uguali per tutte le banche, ma devono tenere conto del posizionamento di

partenza, delle caratteristiche dei diversi modelli di business e dalle opportunità offerte dai segmenti/ nicchie di mercato di riferimento.Non c’è dubbio che le banche dovranno progressivamente tornare a un sano presidio delle attività “fondamentali” che, anche prima della crisi, erano considerate parte essenziale e integrante della catena del valore (es. focus commerciale, efficientamento dei modelli operativi, presidio dei processi del credito, ingegnerizzazione e sviluppo di nuovi prodotti).Il percorso di uscita dalla crisi non passa però solamente dal recupero dell’eccellenza nelle aree tradizionalmente presi-diate da una banca in buona salute economica. Riteniamo utile porre l’accento su alcuni aspetti che possono facilitare la creazione di nuovi vantaggi competitivi, facendo leva su alcuni asset delle nostre banche, ma anche del sistema Pa-ese in generale. Tra questi “asset da cui ripartire” vediamo senz’altro:

il “patrimonio” clienti;l’imprenditorialità “interna” alla banca e la capacità di innovare;la filiera produttiva in un’ottica di extended enterprise.

3.1 Il Patrimonio clientiL’effetto congiunto della recente crisi, dei cambiamenti strutturali negli atteggiamenti della clientela e del poten-ziale ingresso di nuovi entranti nell’arena competitiva deve spingere le banche a definire nuovi modelli per valorizzare la relazione con i propri clienti.In prospettiva vediamo un abbandono delle logiche di tipo product push che hanno finora caratterizzato i modelli di bu-siness prevalenti (es. segmentazione basata solamente sugli asset, spinta sui prodotti rigidamente pianificata dal centro in base alle esigenze del momento, livelli di servizio standardiz-zati, filiale come canale esclusivo di gestione del contatto).La clientela assume infatti una progressiva autonomia e ca-pacità di scegliere il contenuto e le modalità di interazione con la banca (customer pull); capire e interpretare i bisogni a 360° diviene progressivamente la leva fondamentale per definire correttamente le proposte commerciali e fornire il corretto supporto, anche consulenziale, ai clienti. Progressivamente le banche dovranno adattare il proprio “modo di lavorare” introducendo concetti quali:

la segmentazione in base ai bisogni e ai buyer value emergenti, semplificando l’o"erta prodotti, rivista sul-la base delle esigenze della clientela;la maggiore integrazione dei canali distributivi, pas-sando da un approccio su “molti canali” a uno “mul-ticanale”; il cliente è in grado di scegliere il punto di ingresso in banca a seconda della tipologia di intera-zione richiesta (right channeling);

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l’evoluzione della “macchina operativa” della banca, rimodellata per servire il cliente, intervenendo sulle strutture organizzative, sui processi commerciali e di assistenza, e potenziando i modelli di analisi e gli stru-menti di Customer Relationship Management.

Vitale, nel cambio di paradigma, è la capacità della banca di “infondere” internamente la nuova cultura, attraverso un elevato coinvolgimento delle strutture più a contatto con il mercato, facendo leva su modalità di change management che facilitino la condivisione ed il consenso.Un esempio concreto dell’introduzione di logiche customer pull proviene da un primario gruppo europeo che recente-mente ha attivato un servizio di gestione finanziaria pensato nell’ottica di offrire servizi specializzati al cliente. In questo modo si cerca di trasmettere l’immagine di una Banca al servizio del cliente. Il servizio, infatti, permette al cliente di:

creare un spazio web personale di interazione, attra-verso la scelta delle funzionalità realmente necessarie, la possibilità di disporle a proprio piacimento nonché di aggregare diverse posizioni personali anche se pre-senti su altri operatori;comprendere meglio la propria situazione, grazie alla

possibilità di raggruppare le operazioni bancarie per tipologia di spesa e confrontarle con benchmark di ri-ferimento selezionati in base a variabili demografiche, sociali e geografiche;gestire meglio le proprie finanze, fissando obiettivi di budget di spesa personali e attivando “segnali di allar-me” in caso di sconfinamento.

3.2 L’imprenditorialità interna alla banca e la capacità di innovareLa sfida del prossimo futuro, per i leader del nostro merca-to, sarà compiere un salto di qualità nel coinvolgimento dei propri migliori talenti in un’ottica di “imprenditorialità in-terna”, facilitando comportamenti di maggiore condivisione dei benefici e dei rischi. La leva tradizionalmente utilizzata per conseguire questo obiettivo è certamente l’evoluzione dei sistemi incentivanti, ai quali però riteniamo che vadano aggiunte nuove modalità di “ingaggio” dei dipendenti.Alcuni player internazionali stanno avviando un percorso di valorizzazione delle proprie persone sulla base del con-cetto di Employee Relationship Management. In breve, al governo del patrimonio delle risorse umane sono applicate logiche simili a quelle utilizzate alla gestione della clientela

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36 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

non solo alle risorse interne, ma anche in una logica di “rete aperta” che coinvolga altri interlocutori quali clienti, forni-tori, business partner e comunità di interesse (ricordiamo ad esempio i “circoli” virtuali per piccole e medie imprese creati da una primaria banca americana).

3.3 La filiera produttiva in un’ottica di extended enterpriseLa logica della filiera produttiva è diffusa in molti dei settori trainanti del nostro Paese e rappresenta uno degli asset più preziosi del sistema Italia. Questo modo di lavorare, basato su partnership con realtà terze ben integrate nella propria catena del valore, è tradizionalmente meno frequente nel mercato dei servizi finanziari. Peraltro, a seguito delle con-vergenze di settore e della globalizzazione di molte attività economiche, le banche si trovano ad essere sempre di più parte di un sistema esteso, che offre opportunità da sfrutta-re, ma anche rischi e minacce da tenere in considerazione.Anche le istituzioni finanziarie stanno quindi valutando cri-ticamente la propria catena del valore, delimitando i seg-menti di attività considerati patrimonio non rinunciabile del “modo di fare banca” (attività core) ed esaminando invece con attenzione:

i segmenti di attività che progressivamente, per volumi e/o ripetitività, non richiedono un presidio diretto da parte della banca, ma possono essere svolte con maggio-re qualità ed effetti di scala in partnership con fornitori specializzati (attività non core);i segmenti di attività tradizionalmente al di fuori della catena del valore bancaria, ma che rappresentano inte-ressanti opportunità di ingresso per la banca in nuovi spazi economici e fonti di ricavo (attività new core).

Nel primo dei due gruppi (non core) ricadono senz’altro molte attività infrastrutturali afferenti all’area della finanza/contabilità (es. ciclo attivo/passivo), delle risorse umane (es. payroll, learning), degli acquisti e dei sistemi informativi (es. application management). I modelli di riferimento più innovativi prevedono la creazio-ne, nell’ambito della banca, di unità interne che rappresen-tano veri e propri business partner e che presidiano l’indirizzo strategico e le attività a maggiore valore aggiunto. Le attività più ripetitive possono essere invece affidate ad altri operatori “di filiera” (il cui presidio è garantito da precisi Service Level Agreement) in una logica di extended enterprise.La transizione verso schemi di fornitura alternativi rappresen-ta spesso anche l’occasione per iniziative di trasformazione radicale delle funzioni operative della banca, dove entrano in gioco aspetti di ottimizzazione dei processi interni e consoli-damento dei poli produttivi. Anche in questo caso è essenziale un’accorta gestione progettuale del cambiamento introdotto

della banca (CRM). I dipendenti sono segmentati secondo seniority, aspettative e bisogni, orientando azioni precise e talvolta personalizzate di:

sviluppo professionale e della leadership;bilanciamento della vita professionale e personale;crescita e retention delle migliori professionalità;gestione e massimizzazione della produttività;attrazione di nuovi talenti.

Nelle esperienze delle banche leader, gli indicatori tipici di performance delle risorse umane (es. indice di qualità HR, attrition) hanno beneficiato in modo univoco e importante dall’introduzione dei nuovi approcci.

Al contempo, altre primarie istituzioni finanziarie si stanno dotando di modalità e strumenti per coinvolgere in maniera diretta le proprie risorse nei processi di sviluppo e innovazione della banca. Se è vero che la creatività e la nascita di “buone idee” non sono un processo totalmente controllabile, l’espe-rienza di molti settori insegna che gli operatori di successo sono quelli che hanno creato un ambiente ottimale che funga da acceleratore dello sviluppo di idee e tendenze.A tal proposito è fondamentale individuare meccanismi orga-nizzativi, quali l’introduzione di tempo dedicato all’innovazio-ne, budget traversali e sistemi incentivanti ad hoc, oltre alla costituzione di strutture dedicate (innovation center) per valo-rizzare il DNA innovativo delle persone e facilitare la conver-sione e la diffusione delle idee. Alcune grandi banche interna-zionali, hanno creato apposite innovation unit, guidate da una figura carismatica di innovation strategist e dotate di budget, che spesso, in collaborazione con centri di ricerca e soprattut-to con partner capaci di gestire il processo di trasformazione, hanno il compito di anticipare nuove tendenze di mercato e facilitare la commercializzazione delle idee.Inoltre, alcune istituzioni finanziarie hanno aperto “canali di ascolto” verso i dipendenti, attraverso la creazione di una rete interna di scambio ed arricchimento delle idee in una logica di innovation grapevine. I benefici derivanti dall’introduzione di questo approccio sono significativi almeno in due direzioni:

generazione di efficaci idee di miglioramento (realmen-te implementate dalle banche che hanno introdotto que-sti approcci), con impatti ad esempio sullo sviluppo di nuovi prodotti e sull’evoluzione delle modalità di intera-zione con la clientela in filiale o nei canali remoti;miglioramento dell’immagine della banca nei confronti dei dipendenti e aumento tangibile dei livelli di employee engagement, riduzione del turnover delle risorse migliori e crescenti livelli di soddisfazione.

Logiche e strumenti di questo genere possono essere estesi

IL SISTEMA FINANZIARIO AL SERVIZIO DELLA RIPRESA: IL RUOLO DELLE BANCHE

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 37

FINANCIAL SERVICES ! BANKING

rispetto al passato. Nel nuovo scenario, sarà vincente esse-re parte attiva di un “ecosistema” i cui tratti caratteristici cambiano rapidamente come conseguenza dell’innovazio-ne, dell’interazione con nuovi attori e delle diverse “regole del gioco” che si stanno configurando. Le banche dovranno dunque assumere un ruolo progressivamente più ampio nei confronti del Paese:

stringendo un rinnovato patto di fiducia con i consuma-tori e recuperando il ruolo di supporto alla crescita del tessuto imprenditoriale;identificando modalità innovative di ingaggio delle pro-prie risorse interne;cercando nuove modalità di interazione con gli altri set-tori produttivi del sistema Italia.

dal nuovo modello operativo (change management).Il confine del secondo gruppo di attività (new core) è invece molto più labile rispetto al primo, in quanto funzione della rapida evoluzione dei confini di business tra i diversi settori economici. Lo sviluppo di queste attività avviene, ad esempio, in quegli ambiti dove assume un valore distintivo la capillarità del-la rete distributiva e la relazione di fiducia con la propria clientela retail: come già detto, l’ingresso delle istituzioni finanziarie nel settore della telefonia mobile è ormai una re-altà. Convergenze sono anche possibili tra gli intermediari finanziari e settori quali l’immobiliare o la distribuzione di specifici beni e servizi non bancari.Alcune banche si stanno muovendo anche nella direzione di offrire nuovi servizi alla attuale clientela corporate. Indivi-duando sottosegmenti di clienti di dimensioni medio-piccole con forti prospettive di sviluppo, le banche possono andare oltre la propria offerta tradizionale, integrandola con nuovi servizi a valore aggiunto, quali:

la consulenza allo sviluppo industriale e all’internazio-nalizzazione;il supporto a determinate attività contabili;la gestione delle risorse umane.

In questo caso aumentare l’ampiezza del proprio portafo-glio di offerta verso determinati clienti è giustificato alla luce delle superiori potenzialità di sviluppo della relazione; inol-tre, si sposa con un ruolo sistemico del settore bancario al servizio del Paese.

4. In sintesiEssere “Banca per il Sistema Paese”, in un contesto come quello italiano, significa in primo luogo assicurare sostegno allo sviluppo del tessuto produttivo nazionale. Riteniamo che le banche abbiano tratto lezioni importanti dalla pas-sata crisi e abbiano gli elementi per fare un salto di qualità

Figura 4Evoluzione del portafoglio di competenze

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GLI AUTORI

Piercarlo Gera Global Managing Director Strategy PracticeFinancial Services

Andrea Bargioni Partner Strategy Practice

Giorgio Coppola Senior Manager Strategy Practice

Pierpaolo Cazzola Senior Manager Strategy Practice

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38 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review Marzo 2010

Il sistema finanziario e assicurativo a difesa di una crescita sostenibile del risparmio delle famiglie italiane

1. La stabilità economica delle famiglie: un valore per il Paese A oltre un anno e mezzo dall’inizio della fase acuta della cri-si economica (rappresentata dal fallimento di Lehman Bro-thers e dal crack del colosso assicurativo americano AIG) iniziano a vedersi i primi segnali di ripresa. In particolare in Italia, nonostante le debolezze sia del comparto pubblico che industriale, il sistema sociale è stato difeso dalla pron-ta reazione delle famiglie, che hanno ulteriormente accen-tuato i comportamenti difensivi e di protezione del reddito disponibile, elementi storicamente distintivi della gestione economica dei nuclei familiari italiani.Tra i principali fattori distintivi delle famiglie (vedi figura 1) che hanno garantito la tenuta dell’economia italiana e che rappresentano, di fatto, degli asset del sistema Paese, sono da ricordare:

!" Il basso ricorso all’indebitamento: nonostante la soste-nuta crescita del credito al consumo registrata nel corso degli ultimi anni (con consistenze pari a 109 miliardi di euro nel 2009, più che raddoppiate dal 2002), si registra un rapporto tra passività finanziarie e reddito disponibile pari al 57%, sensibilmente più basso di quanto rilevato nelle altre economie avanzate (il tasso medio della zona

Euro è, ad esempio, pari al 93%). Questo a testimonian-za della capacità delle famiglie di “dosare” le proprie possibilità di spesa in funzione della capacità di generare reddito.

!" La capacità di generare risparmio, modificando anche stili di vita e consumi: a fronte di un peggioramento delle condizioni economiche e del clima di fiducia è aumen-tato, nel corso del 2009, il numero di famiglie in grado di accantonare delle risorse (pari al 47% delle famiglie italiane secondo il rapporto BNL-Einaudi, in crescita ri-spetto al 31% dell’anno precedente). A tal fine oltre il 40% delle famiglie ha modificato le proprie abitudini di spesa (evitando gli sprechi, rivedendo le scelte di acqui-sto, …) a conferma della capacità di “leggere” il contesto e prepararsi a far fronte ad imprevisti legati al perdurare di condizioni non favorevoli.

!" La sicurezza del patrimonio: il patrimonio delle famiglie (somma delle attività reali e finanziarie) è in Italia pari a circa 7,6 volte il reddito disponibile, valore che, oltre ad essere tra i più alti a livello internazionale, è rappresen-tato per il 70% da attività reali e non volatili (abitazio-ni, terreni, …). La stabilità del patrimonio rappresenta quindi per le famiglie un riparo sicuro e capiente in cui rifugiarsi nei momenti di difficoltà.

La stabilità economica delle famiglie, basata principalmente sulla loro tradizionale capacità di risparmio, è uno dei punti di forza del tessuto sociale italiano. Per valorizzare quello che è tradizionalmente un elemento di stabilità del nostro Paese in motore di crescita sostenibile per il Sistema Italia, è necessario che l’industria assicurativa e il sistema finanziario complessivo facciano un passo in avanti in termini di logiche di o!erta e approccio commerciale.di Paolo Vendramin, Antonio Orlando e Fabio Frisa

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 39

FINANCIAL SERVICES ! INSURANCE

Tali caratteristiche di gestione del bilancio delle famiglie hanno radici lontane e sono frutto dell’evoluzione sociale e culturale dell’intero sistema Paese nel corso degli ultimi quarant’anni, evoluzione che si è evidenziata secondo quat-tro direttrici:

Moltiplicazione dei flussi di reddito all’interno del nucleo familiare: l’incidenza dei nuclei familiari con due percet-tori di reddito è passata dal 40% dell’epoca dell’avvento della “famiglia combinatoria” degli anni Settanta, a più del 50% nel corso degli anni Duemila.Sviluppo della propensione al risparmio: che si attesta oggi al 15% circa (era il 9% - quasi la metà - alla fine degli anni Settanta).Sviluppo della gestione attiva del risparmio con il pro-gressivo ricorso a strumenti più evoluti e personalizzati.Crescita e consolidamento costanti del patrimonio.

2. Il trend del risparmio delle famiglie italianeSe da un lato il sistema sociale ha, pur con qualche diffi-coltà, sostanzialmente retto, dall’altro il ciclo economico recessivo ha duramente colpito il reddito disponibile, e con-seguentemente il relativo potere di acquisto, delle famiglie italiane. Questo fenomeno si è innestato, inoltre, in un’eco-nomia nazionale caratterizzata già di per sé da fenomeni di limitata crescita, basti ricordare che dal 1980 a oggi il reddito disponibile è cresciuto in Italia del 59%, meno che in tutte le economie avanzate quali ad esempio la Francia (+76%), la Germania (+69%) e l’Inghilterra (+102%).Il reddito disponibile, già in contrazione di 0,5 punti per-centuali nel corso del 2008 in termini reali, ha subito anche nel corso del 2009 una battuta d’arresto. In particolare, dai dati ISTAT al terzo trimestre 2009 si osserva un’ulteriore ri-duzione di 0,4 punti percentuali a valori correnti rispetto al

trimestre precedente. La contrazione del potere di acquisto è stata tuttavia accompagnata da una reazione più marcata di riduzione della spesa per consumi finali (in riduzione di 0,6 punti percentuali nel corso del terzo trimestre 2009). Il risultato di questa contrazione congiunta è quindi rap-presentato da uno sviluppo della propensione al risparmio (pari al 15,4%, 0,2 punti percentuali in più rispetto al trime-stre precedente, come si vede nella figura 1), simbolo di una reazione conservativa e orientata alla gestione del medio-lungo periodo da parte delle famiglie, ma caratterizzata da una maggiore difficoltà realizzativa rispetto al passato.Come già precedentemente illustrato, la propensione al risparmio (figura 1) risulta essere uno degli elementi carat-teristici del tessuto sociale ed economico italiano, e risulta ancora più evidente nei momenti di difficoltà/incertezza dove la componente di risparmio cresce, soprattutto a fini precauzionali. L’aumento di tale fenomeno risulta essere inoltre legato a un crescente “senso di insufficienza” del reddito, sia nel breve sia nel medio lungo termine (anche per via di una presa di coscienza all’interno delle famiglie degli impatti futuri delle diverse riforme apportate al siste-ma pensionistico).Nonostante il recupero del tasso di risparmio nel corso de-gli ultimi due anni, la ricchezza netta delle famiglie italia-ne (mediamente pari a 350 mila euro), si è contratta di 3,5 punti percentuali nel 2008 (la prima nel corso degli ultimi quindici anni). La principale causa di questa riduzione è da ricercare nella perdita di valore della componente finanzia-ria (-8,2% rispetto ai valori 2007) legata principalmente alla contrazione dei corsi azionari. A fronte di ciò le famiglie ita-liane hanno conseguentemente modificato l’allocazione del-le risorse, ridisegnando il portafoglio finanziario verso forme di gestione caratterizzate da maggiore liquidità e minor livel-lo di rischio, come vedremo più in dettaglio in seguito.

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Figura 1 Evoluzione della propensione al risparmio in Italia

Elementi di stabilità delle famiglie italiane – Gli asset

Basso indebitamento privato (rapporto passività finanziarie/ reddito disponibile: 57%) e capacità di “dosare” la spesa Ricorso al risparmio (47% delle famiglie risparmia), anche attraverso una crescente flessibilità nella modifica di stili di vita/abitudini nei consumi Patrimonio familiare solido (pari a 7,6 volte il reddito) e di “rifugio” per temporanee di"coltà / imprevisti

Elaborazioni su dati CENSIS, BNL-Einaudi, Banca d’Italia

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40 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

3. Le modalità di gestione del risparmioIl risparmio delle famiglie è principalmente finalizzato alla protezione delle condizioni economiche attuali e alla salva-guardia del reddito futuro (come la previdenza), motivazioni che assumono un valore ancora più rilevante nelle fase di in-certezza in cui versa oggi il sistema economico. La gestione del risparmio, per quanto storicamente incentrata su soluzioni sicure e protette, viene modificata in funzione delle condizio-ni economiche con un approccio “ciclico”.Nel contesto attuale, il principale obiettivo alla base delle deci-sioni di allocazione dei flussi finanziari di risparmio risulta chiaramente essere la sicurezza del capitale investito. Anche a fronte delle vicende di cronaca che hanno scosso il mondo dei risparmiatori negli ultimi 10 anni (bond argentini, fallimento CIRIO e Parmalat in primis), la salva-guardia del capitale investito riveste un ruolo discriminante nelle decisioni di investimento. Accanto alla protezione del capitale, la liquidità dello stesso ha assunto altresì un’impor-tanza significativa. Il tutto a discapito della massimizzazione del rendimento finanziario, tanto ricercata nei momenti di

forte crescita del corso azionario, per via della crescente av-versione al rischio dimostrata dagli investitori. In particolare nel 2008, durante la fase iniziale della crisi

economica, anche se le attività finanziarie detenute dalle fa-miglie italiane (vedi figura 2) rimangono principalmente le-gate a strumenti del mondo del risparmio gestito, azionario e obbligazionario (con un quota detenuta di tali strumenti pari a più del 40% del valore totale delle attività finanzia-rie), si sono progressivamente trasferite verso soluzioni più “sicure e tranquille” (come ad esempio i depositi e gli al-tri strumenti di raccolta bancari, in crescita di circa il 7%

nel corso del 2008 in termini di consistenze), per via della modifica dei comportamenti di investimento dei rispar-miatori, meno propensi verso un’offerta ad alto contenuto finanziario.La figura di riferimento in termini di suppor-

to per le decisioni di investimento risulta essere, nella maggior parte dei casi, lo sportellista/gestore della filiale bancaria di riferimento. Accanto a questa figura “tradizio-nale” emerge con sempre maggior rilevanza il ruolo del promotore finanziario, capace di registrare il maggior li-vello di soddisfazione da parte dei risparmiatori sia per la capacità di proporre le più appropriate soluzioni finanzia-rie, informando e “parlando” con il risparmiatore, sia per la capacità di muoversi “proattivamente” verso i clienti.Il risultato di questa fase è, quindi, un risparmiatore orien-tato a soluzioni di gestione meno volatili, ma sempre più interessato a confrontarsi e relazionarsi con intermediari caratterizzate da elevati livelli di professionalità e valore. Per quanto concerne in particolare la componente di rispar-mio finalizzata alla previdenza integrativa, si osserva che, nonostante la presa di coscienza sulle necessità di intervento (testimoniata da una crescente percezione di insufficienza del reddito futuro a valle della riforma pensionistica), sola-mente cinque milioni di lavoratori abbiano attivato forme pensionistiche complementari. Nonostante la forte crescita in termini di adesioni (che dal dicembre 2006 è stata pari al 56,9%), più del 70% della forza lavoro del Paese risulta ancora oggi sprovvista di una forma di rendita integrativa (cosiddetto secondo/ terzo pilastro). Una forma di sensibi-lizzazione in questo senso è rappresentata dalla futura atti-vazione della “busta arancione” previdenziale, attraverso la quale ogni lavoratore disporrà della previsione del proprio assegno pensionistico.

4. La gestione del risparmio nel corso del 2009 e il ruolo del sistema assicurativoIl mondo del risparmio nel corso del 2009, caratterizzato – dal lato della domanda- dal crescente bisogno di sicurezza e

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IL SISTEMA FINANZIARIO E ASSICURATIVO A DIFESA DI UNA CRESCITA SOSTENIBILE DEL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE

“Le famiglie italiane sono orientate a una gestione del risparmio reattiva alle condizioni economiche, puntando su sicurezza e protezione del capitale investito”.

Figura 2Ripartizione attività finanziarie famiglie italiane

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 41

FINANCIAL SERVICES ! INSURANCE

protezione, ha visto il riaffermarsi di un attore duramente colpito, in termini di raccolta, nella fase iniziale della crisi economica: il settore assicurativo Vita.Il business assicurativo Vita, dopo il boom dei primi anni Duemila, caratterizzati dalla nascita della bancassurance e delle polizze linked (ossia “collegate” a un fondo di inve-stimento o a un indice mobiliare), ha attraversato un trien-nio di profonda difficoltà caratterizzato da una contrazione continua della raccolta (-11,2% nel 2008, -11,4% nel 2007 e -5,6% nel 2006). Le ragioni di tali difficoltà sono da ricercar-si sia nella crisi del mondo bancario (principale canale distri-butivo di questo tipo di prodotti), che ha portato gli istituti di credito a intercettare i flussi di risparmio indirizzandoli verso prodotti propri per salvaguardare la liquidità, sia nelle caratteristiche stesse dell’offerta assicurativa, “svuotata” nel corso degli anni di quegli elementi caratterizzanti del pro-prio modo di fare business: la protezione del capitale e la garanzia del rendimento. Nonostante questo scenario, nel corso del 2009 il settore assicurativo Vita, ridefinendo il modello di offerta e puntan-do su soluzioni “garantite”, ha supportato le famiglie nella difficile fase di ricostruzione della fiducia e delle certezze sul futuro, intercettandone il bisogno esplicito di sicurezza. Il risultato è stato una crescita di oltre il 45% in termini di raccolta nel corso del 2009 (figura 3). Ed è in particolare at-traverso i prodotti tradizionali (più che raddoppiati in termi-ni di raccolta nel 2009), caratterizzati da tutela del capitale (protetto dalla compagnia assicurativa stessa) e rendimento minimo garantito (legato alle modalità di investimento pru-denti delle riserve accumulate), che le compagnie assicurati-ve sono state in grado di costruire e rafforzare il rapporto di fiducia e sicurezza con i risparmiatori.

L’aumento della raccolta è stato inoltre accompagnato da un contenimento dei riscatti, in netta controtendenza rispetto agli esercizi precedenti. Il flusso netto Vita si è quindi atte-stato a +16,3 miliardi di euro nei primi nove mesi del 2009, risultato positivo dopo esercizi difficili caratterizzati da ele-vati tassi di riscatto.Se i prodotti tradizionali hanno manifestato una vivace ri-presa, la raccolta di prodotti Vita a contenuto finanziario ha invece continuato a contrarsi (-60% raccolta prodotti linked di Ramo III nel corso del 2009), segno inequivocabile dei mutati orientamenti da parte dei risparmiatori nelle decisio-ni di investimento.In termini distributivi, il collocamento di prodotti Vita è sta-to principalmente effettuato tramite sportelli bancari e Reti di promotori finanziari, evidenziando in particolare:

Ruolo di riferimento del canale bancario, con circa il 70% circa della nuova produzione intermediata (preva-lentemente relativa a prodotti tradizionali di Ramo I), in crescita di oltre il 65% nel corso del 2009, rispetto l’anno precedente.Forte crescita del ruolo dei promotori finanziari, evi-denziata dal raddoppio della quota di mercato gestita (17,3% nel 2009, vs. 8,2% del 2008), a testimonianza del crescente bisogno da parte dei risparmiatori di vicinanza e consulenza.Crescita marginale del canale agenziale tradiziona-le (+6,1%, 11,2% della nuova produzione Vita 2009), unico tra i canali relazionali a non aver beneficiato della ripresa in atto (addirittura superato in termini di quota sul totale premi Vita dal canale promotori) e caratterizzato dalla perdurante bassa focalizzazio-ne commerciale, tanto più evidente nel business Vita.

Secondo la practice Strategy di Accenture, se l’offerta assi-curativa ha dimostrato di essere in grado di difendere e sup-portare il risparmio delle famiglie italiane, intercettandone il bisogno di sicurezza emerso prepotentemente in questa fase critica, il suo ruolo tuttavia potrebbe essere più esteso rispetto all’attuale (prevalentemente focalizzato sulla fase di gestione dell’accumulo di risparmio), facendo leva su solu-zioni e strumenti già disponibili al mercato. In altre parole, la sfida è costruire un’offerta assicurativa in grado di fornire una risposta completa al ciclo di formazione, sviluppo ed erogazione del risparmio, superando il limite fino ad oggi proprio del settore legato ad una prevalente focalizzazione sulla fase di accumulo dei flussi di risparmio. Risulta chiave a tal proposito:

Garantire una gestione più pianificata dell’accumulo di capitale, “stabilizzando” i flussi da convogliare al rispar-

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42 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

IL SISTEMA FINANZIARIO E ASSICURATIVO A DIFESA DI UNA CRESCITA SOSTENIBILE DEL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE

mio attraverso, ad esempio, coperture in grado di attutire effetti di eventi imprevisti.Salvaguardare e tutelare il patrimonio (in particolare la rilevante quota “reale” – in particolare la casa - detenuta dalle famiglie, ad oggi scarsamente protetta).Assicurare la corretta gestione dei bisogni pensionistici, facendo leva sull’attivazione di forme integrative di se-condo e terzo pilastro.Gestire il decumulo del capitale attraverso coperture in grado di indirizzare il rischio di non-autosufficienza/ gra-vi patologie.

5. L’evoluzione del sistema finanziario e assicurativo a supporto della creazione e della gestione del risparmioPer far sì che il sistema finanziario e assicurativo concor-rano a un ruolo più ampio nella gestione del risparmio delle famiglie, è tuttavia necessario porre in essere due azioni chiave:

Ridisegnare le logiche di offerta per guidare e ottimiz-zare le decisioni di asset allocation del risparmio delle famiglie, azione prevalentemente in capo al settore as-sicurativo.Sviluppare nuove modalità commerciali basate su ca-nali distributivi specializzati e professionali, opportu-namente supportati, in grado di trasmettere il valore

dell’offerta ai risparmiatori, andando oltre i confini tradizionali dell’assicurazione e sviluppando un ruolo nuovo per l’intero sistema finanziario.

Il tutto ponendo sempre il cliente, e quindi il risparmiatore, al centro delle strategie di offerta e commerciali del mondo finanziario e assicurativo.

5.1 Evoluzione delle logiche di asset allocation per la gestione del risparmioIn termini di offerta, il sistema assicurativo può concorrere a una gestione organica e a 360 gradi del ciclo di accumulo e decumulo del risparmio, facendo leva:

Sul supporto alla stabilizzazione dei flussi e alla pro-grammazione del risparmio nella fase di accumulo, facendo leva su prodotti flessibili ed integrati con pro-tezioni tipicamente assicurative (Danni) a copertura di eventi imprevisti.Sulla gestione del decumulo garantendo la sostenibilità e la sicurezza nel lungo periodo degli stili di vita.

Il ciclo di accumulo di risparmioIl primo elemento su cui il mondo assicurativo può agire per supportare la continuità e sostenibilità del flusso di rispar-mio è la protezione dai fenomeni imprevisti, in particolare quei fenomeni tipici della vita domestica di tutti i giorni, che incidono in maniera significativa sul bilancio familiare. Spe-se sanitarie non pianificate, danni alle abitazioni a seguito di fenomeni elettrici/idrici accidentali risultano essere delle problematiche che ricadono direttamente sia sulla capacità di programmazione, sia sull’effettiva realizzabilità del ri-sparmio da parte delle famiglie, anche per via della storica sotto-assicurazione del sistema Italia:

94% delle famiglie sprovviste di una polizza salute e costrette a ricorrere direttamente a una spesa in prima persona in caso di necessità (l’82% della spesa sanitaria privata in Italia è out of pocket, ossia direttamente a ca-rico dei cittadini).80% delle famiglie senza una copertura assicurativa sulla casa (incendio, responsabilità civile, furto, …).

Particolarmente paradossale appare questo secondo dato, laddove si consideri che la casa rappresenta oggi quasi il 70% del patrimonio delle famiglie italiane.In questo contesto il sistema assicurativo può intervenire stabilizzando i flussi economici delle famiglie attraverso il suo ruolo attivo di dispensatore di sicurezza e protezione del futuro, sia attraverso un adeguato mix di prodotti ad hoc, sia attraverso delle soluzioni di offerta integrate, in gra-do cioè di combinare la creazione dello stock di risparmio

Il sistema assicurativo a supporto della creazione e gestione del risparmio

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 43

FINANCIAL SERVICES ! INSURANCE

e strumenti di protezione personale/familiare e tutela dei beni primari. I benefici di tale approccio sono evidenti, tra i principali: capacità di programmazione, maggiore sicurezza del futuro, protezione del patrimonio, possibilità di attivare delle soluzioni di gestione del risparmio orientate al lungo periodo.Il secondo elemento su cui è possibile agire è la salvaguar-dia del flusso stesso di reddito familiare. Eventi impattanti sulla principale fonte di reddito (quali ad esempio l’inabilità temporanea, la perdita del lavoro, la morte stessa del ca-pofamiglia, …) costringono nella maggior parte dei casi a “mettere mano” al patrimonio accumulato (azione adottata da oltre il 40% delle famiglie in difficoltà, prima modalità di risposta in caso di inadeguatezza del reddito mensile rispet-to alle spese) per far fronte alle necessità del momento. Se da un lato tale approccio consente di superare le difficoltà, dall’altro impatta direttamente sulla capacità di gestire il risparmio con ottica di lungo periodo. Le famiglie ricorro-no quindi a strumenti e forme più liquide, non in grado di massimizzare la pianificazione, la crescita del patrimonio e, più in generale, di indirizzare gli obiettivi futuri a cui il ri-sparmio è finalizzato (il progetto casa, l’educazione dei figli, la pensione, …). Il sistema assicurativo può quindi contribuire, ad esempio attraverso le coperture Credit Protection Insurance - CPI (basate su garanzie Danni come infortuni, malattia, perdite pecuniarie e Vita, come le coperture temporanee caso mor-te) associate a spese ricorrenti e pianificate (come mutui, prestiti, …), a supportare le famiglie nella fase di criticità, integrando il reddito e garantendo, per quanto possibile, l’allocazione del risparmio al progetto originario. Un esem-pio in tal senso è la gestione del rischio “mortalità del capo-famiglia” (fenomeno sottostimato dalle famiglie, con un gap di protezione valorizzato da ANIA pari a circa 65.000 euro), gap che sarebbe “ricucibile” a fronte di una copertura con un esborso di poche centinaia di euro l’anno.Il terzo elemento su cui è opportuno focalizzarsi per de-finire l’evoluzione della gestione del risparmio da parte dell’industria assicurativa riguarda le caratteristiche stesse dei prodotti di accumulo. In linea con l’apprezzamento da parte dei clienti dei prodotti Vita a contenuto assicurativo (e non esclusivamente finanziario), l’offerta assicurativa per la gestione del risparmio si deve distinguere per la capacità di coniugare sicurezza, tranquillità e innovazione, facendo leva su:

Protezione del capitale investito, ovvero continuare a proporre prodotti “sicuri”, in cui la Compagnia stessa “difende” il risparmio creato dalle famiglie, limitando/annullando il rischio di controparte.Appropriato mix tra rendimento garantito e ricerca del-le performance, anche in funzione del ciclo di vita (life-

cycle)/stile di vita (life-style) dei risparmiatori.Flessibilità nelle modalità di allocazione dei flussi di ri-sparmio, attivando in sinergia piani di accumulo con scadenze definite e pianificate, anche degli strumenti in grado di abilitare l’utilizzo (entro certe soglie di capitale e per finalità definite) del capitale accumulato.

Con particolare riferimento all’allocazione di risparmio a supporto della previdenza integrativa, è necessario agire su soluzioni commerciali in grado di sviluppare la domanda, attraverso:

Offerte modulari con allocazione del capitale secondo logi-che life-cycle/life-style.

Value proposition per i datori di lavoro per favorire ade-sioni di target ad oggi “fermi” (in particolare per i dipen-denti delle piccole e medie imprese).

La gestione del decumulo di risparmio.Un’opportunità di intervento nell’attuale offerta assicurati-va a supporto del risparmio è senza dubbio rappresentato dal ridisegno delle modalità di gestione del patrimonio ac-cumulato. A fronte dell’innalzamento delle aspettative me-die di vita (oltre il 30% della popolazione italiana nel 2050 sarà costituita da over-65) e del crescente ricorso durante la terza età a forme di assistenza medico-sanitaria, assumono sempre più rilevanza forme di copertura assicurativa (le così dette forme previdenziali di quarto pilastro per la terza età) in grado di salvaguardare il reddito e garantire protezione da eventi imprevisti (come gravi patologie, non autosuffi-cienza, …). In particolare, il verificarsi di tali eventi imprevi-sti insiste direttamente sulla qualità della vita (basti pensare che la diaria da ricovero in strutture di assistenza dedicate si aggira su oltre 3 mila euro al mese), mettendo inoltre a rischio la quota di reddito accumulato. A questo proposi-to l’industria assicurativa può intervenire integrando, nelle tradizionali soluzioni di gestione del risparmio, le coperture Long Term Care e Dread Disease, in grado di:

Garantire un contributo mensile integrante il reddito in caso di riduzione della capacità di compiere le attività della vita quotidiana (copertura dal rischio di non auto-sufficienza).Tutelare il nucleo familiare dal verificarsi di una grave patologia, garantendo un sostegno economico (copertu-ra da patologie gravi).

Un’ulteriore iniziativa riguarda l’attivazione di soluzioni che prevedano la copertura dal fenomeno dell’innalzamento della durata media della vita. Attraverso l’introduzione di garanzie in grado di convertire il capitale investito in ren-dita vitalizia si offre uno strumento efficace per gestire il

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44 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

bundle come le coperture CPI, le garanzie standard sulla casa, ...Un canale agenziale orientato sui bisogni di protezione familiare (salute, infortuni, protezione beni/immobili, …), facendo leva sulla base Clienti Auto e in grado di proporre offerte garantite e “protette” per la gestione del risparmio.Promotori finanziari focalizzati a soddisfare i bisogni più articolati e complessi di gestione del risparmio, facendo leva su un approccio consulenziale e proattivo verso il cliente, e orientati a proporre soluzioni sempre più in-tegrate (soluzioni di protezione, gestione evoluta del de-cumulo, …).

Con l’obiettivo di sviluppare le logiche di servizio, ritenia-mo inoltre opportuna l’attivazione di modalità di relazione diretta compagnia-cliente. Attraverso tali modalità (spazio web personale, call-center dedicato …) è possibile, infatti, ottimizzare sia i servizi di pre-vendita e vendita, fornendo servizi aggiuntivi integrati (fino a un ruolo più ampio per de-terminate categorie di prodotti, ad esempio l’offerta TCM), sia i servizi di assistenza post-vendita per quanto riguarda la gestione del prodotto (variazioni, swicth, ...) e il customer care continuo al cliente.Al di là dei trend relativi a ciascun singolo canale che si stan-

no via via delineando e consolidando, la vera sfi-da nelle modalità distri-butive riguarda l’oppor-tunità di integrare in una sola figura commerciale la gestione completa dei bisogni di accumulo e de-cumulo precedentemen-te descritti. In tal senso riteniamo opportuno far leva su reti distributive “consulenziali” dedicate, o a supporto dei canali tradizionali (in particolar

modo gli agenti) o “proprietarie”, ovvero direttamente sotto il controllo della compagnia, e con elevati livelli di professio-nalità, in grado di trasmettere il valore dell’offerta assicura-tiva ai risparmiatori. Fattore abilitante, e necessario inoltre per sviluppare tutti i canali distributivi, risulta l’adozione di strumenti di supporto commerciale e sistemi incentivanti per favorire la focalizzazione commerciale delle reti verso i risparmiatori, e in particolare:

Aiutare il “movimento” proattivo degli intermediari verso i clienti, facendo leva sull’erogazione di servizi commer-ciali dal centro (es. liste clienti, campaign management,

fenomeno della longevità, scongiurando quindi la possibile riduzione di reddito in età avanzata. L’attivazione di tali so-luzioni ha il ruolo primario di supportare i nuclei familiari durante tutta questa fase (la terza età), fornendo strumenti e soluzioni in grado di garantire il mantenimento degli stili di vita pregressi, ovvero uno degli obiettivi primari a cui il risparmio è stato finalizzato.Anche per quanto riguarda la gestione della fase di decumu-lo del risparmio l’offerta assicurativa può intercettare questo tipo di esigenze sia ricorrendo all’abbinamento di prodotti di risparmio e garanzie più propriamente di protezione Danni (infortuni, malattia, …), sia attivando offerte che preveda-no elevata integrazione/bundle di coperture Vita e Danni in grado di ottimizzare i bisogni delle famiglie nella gestione del risparmio, finanziando in maniera efficiente e sicura la protezione del benessere attuale e futuro della famiglia. Più in generale, con queste modalità è possibile massimizzare gli effetti positivi sul ciclo di risparmio precedentemente de-scritti (sia in fase di accumulo – stabilità dei flussi, salvaguar-dia del reddito, … –, che di decumulo – copertura da rischio di non autosufficienza, patologie gravi, …).

5.2 Sviluppo dell’approccio commercialeSviluppare l’attuale assetto distributivo per la collocazione dei prodotti di risparmio è un’ulteriore area di interven-to per gestire in modo sostenibile il risparmio delle famiglie. E’ neces-sario, infatti, attivare un approccio commerciale maggiormente orientato su consulenza e relazione con il cliente, per stimo-larne i bisogni e guidarne le opportune decisioni di asset allocation. Una possibile evoluzione del sistema distributivo attuale rispetto ad un’of-ferta assicurativa in gra-do di intercettare le necessità di protezione del risparmio delle famiglie riguarda una chiara focalizzazione dei canali in termini di offerta, che consenta di esaltarne le caratteri-stiche peculiari (opportunità di cross/ up-selling, prossimità di bisogni ad oggi soddisfatti, approccio di vendita, …). In particolare è possibile prevedere:

Un canale bancario e postale focalizzato su un’offerta di risparmio in grado di intercettare i bisogni di investi-mento (anche a fini previdenziali) della clientela Retail e orientato inoltre a far leva sui prodotti di debito (presti-ti, mutui, …) per offrire delle soluzioni di protezione in

IL SISTEMA FINANZIARIO E ASSICURATIVO A DIFESA DI UNA CRESCITA SOSTENIBILE DEL RISPARMIO DELLE FAMIGLIE ITALIANE

“O!erte modulari, coerenti con il ciclo di vita della famiglia

e integrate con coperture più tipicamente assicurative,

concorrono a una pianificazione e"ciente e completa dell’esigenza

di protezione del risparmio delle famiglie italiane”.

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 45

FINANCIAL SERVICES ! INSURANCE

fendere e proteggere il Sistema Paese. In questo contesto l’industria finanziaria - e in essa la componente assicurativa - può svolgere un ruolo di primo piano, sia continuando a supportare le famiglie nel delicato processo di creazione del risparmio, sia attivando dei meccanismi nuovi ed integrati in grado di contribuire alla programmazione del risparmio (stabilizzando i flussi, salvaguardando i redditi, …) e alla successiva gestione del decumulo, garantendo il manteni-mento della qualità della vita nel tempo anche a fronte di eventi imprevisti. Fattore abilitante è l’evoluzione dell’attua-le assetto distributivo del sistema finanziario e assicurativo che punti da un lato su una crescente specializzazione dei canali distributivi (sportelli bancari, agenti e promotori), sviluppando le attuali caratteristiche distintive, e dall’altro sull’attivazione di nuove figure distributive consulenziali e dedicate in grado di valorizzare in modo organico il rispar-mio delle famiglie, rendendolo funzionale ad una stabilizza-zione, e quindi ad una crescita sostenibile del Sistema Italia.

…) e strumenti dedicati alla mobilità del canale (es. siste-mi on-line, digitalizzazione delle informazioni, …).Snellire l’operatività a basso valore aggiunto svolta dai distributori sul territorio centralizzando in compagnia le attività amministrative di back office.Introdurre sistemi incentivanti orientati ad una creazione di valore sinergica tra compagnia e canale e ai livelli di soddisfazione del cliente.

Il nuovo approccio distributivo deve pertanto abilitare il passaggio da una logica distributiva “attendista” – tipica-mente seduta su portafogli esistenti – a una in “movimento” e integrata, capace di garantire, attraverso soluzioni operati-ve altamente industrializzate e flessibili, un servizio migliore al cliente e una piena copertura dei bisogni di gestione del risparmio.

6. Questa sfida è solo del settore assicurativo? Quale ruolo per il mondo del risparmio?Una sfida evolutiva di questo tipo richiede, di fatto, una ri-sposta d’insieme da parte del sistema finanziario italiano. Se da un lato lo sviluppo di tali soluzioni di offerta è preva-lentemente in capo alle “fabbriche” e ai tecnici assicurativi, dall’altro la piena diffusione e valorizzazione di tali stru-menti tra le famiglie italiane è ottenibile solo attraverso il ruolo attivo dell’intero sistema finanziario. In questo senso è opportuno che:

Gli operatori bancari e i promotori, proseguendo nel per-corso di sviluppo e innovazione, continuino a svolgere un ruolo centrale nella gestione del risparmio, capitalizzan-do le soluzioni di offerta messe a disposizione dal mondo assicurativo, integrandole in modo organico con gli stru-menti e i prodotti di cui già oggi dispongono.Gli intermediari assicurativi sviluppino la propria capaci-tà di proporre offerte di protezione e tutela per gestire a pieno il bisogno di risparmio delle famiglie.

Alla fine, quindi, solo una risposta unitaria del sistema fi-nanziario può essere efficace, dando al settore assicurativo la responsabilità di attivare e guidare questo processo di go-verno dei flussi di risparmio e al sistema bancario e finanzia-rio il compito di valorizzare ed integrare nelle loro efficaci strategie di relazione con il mercato/domanda l’expertise e le soluzioni di offerta tipicamente assicurative.

7. In sintesiLa capacità delle famiglie italiane di prepararsi per il futuro, generando flussi di risparmio e calibrando capacità di spesa e stili di vita, è rimasta intatta anche durante la dura fase di crisi e ha inoltre contribuito in modo significativo a di-

GLI AUTORI

Paolo Vendramin Senior Manager Strategy Practice

Antonio Orlando Manager Strategy Practice

Fabio Frisa Consultant Strategy Practice

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46 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

La nuova era dell’industria italiana: dai distretti al mondo

SONO TRASCORSI QUASI 20 ANNI da quando M. Porter, nel celebre libro Il vantaggio competitivo delle nazioni (1991), citò i distretti italiani come un caso di successo industriale. «Le Nazioni hanno successo non tanto grazie alla presen-za di settori industriali isolati, ma soprattutto in ragione di cluster (distretti) di industrie che presentano una spiccata concentrazione geografica e che sono fra loro connesse con relazioni orizzontali e verticali», argomentava Porter.Le prossimità geografica consente la creazione di un’are-na competitiva virtuosa, nella quale fornitori, autorità lo-cali, centri di ricerca, concorrenti e clienti si incontrano e danno vita a un ambiente unico e stimolante. I distretti industriali italiani hanno dimostrato negli ultimi decenni la validità di queste teorie: la specializzazione produttiva di specifiche aree territoriali ha generato la grande vitali-tà del nostro sistema economico. Nelle aree geografiche in cui i distretti sono presenti, qualità della vita, coesione sociale e ricchezza diffusa sono più elevate.Nati tra gli anni ’50 e ’60 come risposta italiana alle gran-di imprese internazionali, i distretti si caratterizzarono da subito quali agglomerazioni di piccole imprese di origine artigiana, concentrate in un’area geografica circoscritta. Evolutisi negli anni sulla base di dinamiche comuni, i di-stretti sono cresciuti progressivamente in termini di peso all’interno del sistema economico-produttivo nazionale, consolidando negli anni il loro ruolo di realtà più dina-miche e creative nel Paese. I 156 distretti manifatturieri considerati ufficialmente dall’ISTAT rappresentano circa un terzo delle aziende e dei lavoratori italiani impegnati nella manifattura.

Le imprese distrettuali hanno quindi assunto negli anni un ruolo primario nella nostra economia, compensando la mancata diffusione di grandi campioni nazionali. Nel 2008 le sole categorie dell’eccellenza del Made in Italy, le cosid-dette 4A (alimentare, abbigliamento-moda, arredo-casa, automazione-meccanica), hanno contribuito per un totale di 116 miliardi di euro al surplus commerciale con l’estero.Una delle ragioni principali di questo successo (prose-guendo nel solco ideale tracciato da Porter) è stata l’ap-plicazione di strategie orientate alla creazione di un van-taggio competitivo, che oggi, a nostro avviso, rappresenta il vero dilemma: le risorse interne sviluppate dai nostri distretti industriali saranno sufficienti a generare e a con-solidare un vantaggio competitivo sostenibile, in un conte-sto competitivo sempre più agguerrito e minato alle radici dalla recessione più profonda dopo quella degli anni ‘20?

Gli e!etti della crisi sui distrettiI dati relativi al 2009 (primi 9 mesi), sembrano confer-mare la capacità dei distretti italiani nel resistere meglio agli effetti negativi della crisi, con una riduzione dell’ex-port (-20,8%) inferiore rispetto alla media del Paese (-23,1%) e alla media nazionale di Germania (-21,9%), Spagna (-23,0%) e Regno Unito (-23,6%) - vedi figura 1.Gli effetti della contrazione economica sono però diso-mogenei: un distretto su tre cerca di presidiare nuove aree di mercato internazionale, ma uno su cinque subi-sce la riduzione delle quote di mercato all’estero. I di-stretti in crisi sono contraddistinti principalmente da:!" forte competizione interna tra le imprese, a discapito di

I distretti sono uno dei principali motori di sviluppo del Sistema Italia, ma per vincere le sfide del “Multipolar World” devono rifocalizzare i propri sforzi e valorizzare ulteriormente i vantaggi o!erti dalle reti d’impresa.di Alessandro Diana, Ra!aella Campagnoli e Mirko De Angelis

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 47

PRODUCTS

modelli collaborativi mutuamente vincenti;!" concorrenza sui mercati finali e intermedi fortemente

focalizzata sulla leva prezzo, provocata da Paesi che pos-sono contare su minori costi di manodopera (oltre alla già nota Cina, si pensi a Turchia o Vietnam, ad esempio, per la manifattura del tessile) o che si sono posiziona-ti all’apice della frontiera dell’innovazione tecnologica meno costosa a parità di prestazioni (si pensi al distretto delle televisioni con tubo catodico a seguito dell’intro-duzione delle tecnologie LCD, oppure al distretto delle ceramiche dopo l’avvento dei produttori cinesi);

!" downgrading funzionale, come nel caso del distretto tosca-no per la lavorazione della pelle o di quello del Brenta per le calzature da donna, in cui brand globali del lusso (sempre più focalizzati su eccellenza di marketing e distribuzione) tendono a usare il distretto solo come centro di produzione manifatturiero specializzato recidendone quindi, il legame diretto con i mercati finali e i consumatori.

I distretti che invece sembrano reagire meglio alla congiun-tura negativa sono caratterizzati da:

!" competizione basata su fattori intangibili, con una fo-calizzazione continua su altre leve di di!erenziazione (marchio, design, qualità) e sull’innovazione; si pensi al

vantaggio competitivo sostenibile che stanno acquisendo aziende come Luxottica (che ha saputo valorizzare l’oc-chialeria avvalendosi sinergicamente dei brand di moda più prestigiosi) e Brembo (che ha investito fortemente in ricerca e sviluppo raggiungendo l’avanguardia nello sviluppo di soluzioni tecnologiche), entrambe aziende leader nei rispettivi mercati di riferimento;

!" maggiore cooperazione, grazie ad un tessuto sociale co-eso, alla presenza di più aziende leader, a sinergie con il contesto politico-economico territoriale e soprattutto a una capacità di fare sistema che prescinde della sin-gola fase della catena del valore in cui la singola azienda è focalizzata. Nei distretti in cui i competitor riescono a superare gli interessi di parte con l’obiettivo condiviso di ottenere più vantaggi per il distretto nel suo complesso, il cosiddetto “capitale sociale” diventa l’insostituibile vola-no di una crescita sostenibile;

!" specializzazione delle competenze e continuous impro-vement, come nel caso del distretto di Montebelluna, che offre ad aziende multinazionali competenze specialisti-che nell’ambito del design, dell’engineering, dell’utilizzo di nuovi materiali e tecnologie per realizzare prototipi e produzioni di alta qualità nel settore dello sport.

Differenze analoghe si possono riscontrare anche all’inter-no dello stesso distretto, con aziende che reagiscono alla crisi (leader di nicchia, imprese di medie dimensioni) e altre che faticano (micro imprese, sub-fornitori operanti nell’in-dotto). Analizzando nel dettaglio le diverse tipologie di di-stretto osserviamo come la crisi abbia colpito in maniera dif-ferenziata, prevedibilmente in base al settore di riferimento.I distretti agroalimentari hanno subito una contrazione dell’export assai limitata (-1,4%), beneficiando sicuramente della minore ciclicità del settore, ma allo stesso tempo rap-presentando un indicatore di quanto i prodotti italiani siano apprezzati all’estero, in tempi di crisi e non. Casi di eccellen-za quali i distretti vitivinicoli piemontesi e trentini, o quelli dell’alimentare di Parma e di Salerno hanno fatto registrare nei primi nove mesi del 2009 un incremento dell’export ri-spetto all’anno precedente.Anche l’high tech sembra aver retto alla crisi meglio di altri distretti (-8,6%) e pure in questo settore non mancano casi di successo, come nel caso dell’aerospaziale varesino che nei

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Figura 1 E!etti della crisi sui distretti: riduzione export (primi 9 mesi 2009)

Caratteristiche Distretti maggiormente in crisi

Forte competizione interna Concorrenza sui mercati finali e intermedi fortemente focalizzata sulla leva prezzo Downgrading funzionale

Caratteristiche Distretti resistenti alla crisi

Competizione focalizzata su intangibles Maggiore cooperazione Specializzazione delle competenze e continuous improvement

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48 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

primi tre trimestri del 2009 ha incrementato la propria quo-ta di export e il numero di addetti; o quello di Mirandola, nel settore del biomedicale, che nel primo semestre del 2009 ha evidenziato ricavi ed esportazioni in crescita rispettiva-mente dell’8,8% e del 7,8%.L’arredo/casa (-23,0%) e l’abbigliamento/moda (-19,0%), con prodotti tipicamente ciclici, hanno sofferto in maniera più marcata. Si tratta di distretti fortemente imperniati sul manifatturiero, caratterizzati da un’ampia parcellizzazione della filiera produttiva e spesso da un basso contenuto di investimenti in R&S, contraddistinti da un legame con il territorio che non ha molto di più della mera localizzazione geografica. I distretti più in crisi, infine, sono quelli di automazione, meccanica, gomma e plastica (-29,5%), prevalentemente a causa del crollo mondiale degli investimenti in macchinari per l’industria, dovuto alla forte contrazione dei consumi (vedi figura 2).

Le imprese operanti nei settori più colpiti hanno subito non solo una guerra dei prezzi da parte di Paesi che hanno un vantaggio competitivo legato ai minori costi della manodo-pera, ma hanno anche dovuto subire le pressioni legate alle nuove forze che oggi guidano le dinamiche di mercato, tra le quali:

!" maggiore accessibilità e velocità di di!usione dell’infor-mazione, che minano gli elementi di differenziazione poco distintivi e non basati concretamente su un rappor-to efficiente di costi/benefici;sviluppo del “workflow management“, che consente la frammentazione della catena del valore su scala globale, ga-

rantendo livelli adeguati di standardizzazione ed uniformità;sviluppo dell’open source, che consente l’ottenimento di standard tecnologici all’avanguardia a costi significativa-mente inferiori rispetto al passato; profonda evoluzione negli stili di acquisto e di consumo (es. crescente attenzione alla sostenibilità) difficilmente interpretabile da tutte le piccole e medie imprese appar-tenenti ai distretti.

Queste ed altre leve concorrono alla necessità di pensare ad un radicale riposizionamento di tutta la filiera per molti operatori dei distretti industriali. Anche distretti con pro-dotti maggiormente differenziati, con un elevato contenuto di R&S ed un legame distintivo con il territorio (es. high-tech e agroalimentare), seppur impattati in maniera minore dalla crisi, dovranno prepararsi a raccogliere le nuove sfide per mantenere una posizione di forza sul mercato.La diffusa, seppur parziale, reazione alla crisi da parte dei distretti evidenzia una forza intrinseca che deve essere op-portunamente veicolata: in un mercato come quello attuale, in cui la tecnologia ha modificato profondamente le regole del gioco e ha reso necessario per le imprese di “essere gran-di”, i distretti devono logicamente evolvere per rispondere alle nuove sfide e mantenere un ruolo da protagonisti nello sviluppo economico nazionale.Nell’attuale contesto di continua trasformazione, in cui “nuovi” Paesi produttori diventano attori di primo piano nella competizione (non più soltanto attraverso aggressive politiche low cost) e nuove forze competitive ridefiniscono le regole del gioco, è necessario un cambiamento nella stra-tegia dei distretti italiani.

Le sfide strategiche per il futuroNei prossimi dieci anni i distretti italiani dovranno giocare una partita che, se vinta, potrà garantire la sopravvivenza di un modello di sviluppo economico finora di successo, ma che per alcuni osservatori è da rifondare o addirittura già superato. Possiamo sintetizzare quattro sfide strategiche principali che i distretti si trovano ad affrontare per conqui-stare una crescita sostenibile e continuare a contribuire al progresso economico del nostro Paese.

1. Rivedere il modello operativo complessivo, per con-quistare o consolidare un posizionamento competitivo vincente.

!" Promuovere modelli di cooperazione che vadano oltre il distretto (es. reti di imprese, consorzi, associazioni) favo-rendo la creazione di un’adeguata massa critica non altri-menti raggiungibile dalle singole imprese distrettuali, a causa delle dimensioni medio-piccole. La “comunione di

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LA NUOVA ERA DELL’INDUSTRIA ITALIANA: DAI DISTRETTI AL MONDO

Figura 2Riduzione export distretti Italiani (primi 9 mesi 2009)

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 49

PRODUCTS

risorse” consente di sfruttare le economie di scala e otte-nere quindi vantaggi condivisi su diversi servizi, quali ad esempio: il supporto all’internazionalizzazione ed espan-sione del portafoglio clienti, il marketing e la comunica-zione, la centralizzazione degli acquisti, la condivisione di investimenti (infrastrutture ed energie alternative), la formazione di stampo manageriale e specialistico. In quest’ambito, la vera sfida sarà impedire che la moltepli-cità degli attori generi entropia, cercando il più possibile di definire nel dettaglio gli ambiti di intervento dei diversi soggetti coinvolti. Un caso di successo è rappresentato dal consorzio Consobiomed che supporta sinergicamen-te i consorziati del distretto di Mirandola in attività di marketing all’estero, fornitura di servizi di certificazione e di ricerca e sviluppo.

!" Ricercare alleanze, sinergie e altre forme innovative di collaborazione più ampia tra distretti, travalicando l’at-tuale paradigma dell’appartenenza geografico/settoriale. Il distretto del tessile di Verona ha risposto alla diminu-zione di laboratori specializzati e professionalità nel pro-prio territorio alleandosi con il distretto tessile pugliese, ricco di forti competenze tecniche distintive. Un altro esempio significativo è rappresentato dalla collaborazio-ne veneta tra i produttori di biciclette e viticoltori che, per promuovere il proprio prodotto, hanno inserito come gadget promozionale una bottiglia di prosecco al posto delle borracce nelle biciclette destinate al mercato nord americano. Nella ricerca di una massa critica adeguata, attraverso modelli innovativi di cooperazione e nuove al-leanze, le aziende debbono cogliere l’occasione di ripen-sare il proprio perimetro aziendale focalizzandosi sulle reali competenze chiave. Molte attività di supporto o di staff possono essere esternalizzate ad aziende di servizi leader nel proprio settore, accedendo in questo modo a competenze ed expertise “best in class”. Un tale percorso virtuoso di focalizzazione su ciò che è in grado di genera-re il vero valore aggiunto, può consentire di raggiungere un modello complessivo di eccellenza. Un modello ope-rativo che quindi si sviluppa “a rete”, garantendo (e per molti aspetti incrementando) quella flessibilità che ha rappresentato uno degli elementi di forza nell’attutire gli impatti della recente crisi.

!" Gestire la delocalizzazione della produzione nei Paesi a maggiore specializzazione/minor costo di risorse. Mol-te imprese hanno finora definito le proprie politiche di delocalizzazione produttiva guidate esclusivamente dalla ricerca di una riduzione dei costi. Nell’industria tessile e dell’abbigliamento, ad esempio, le imprese si sono ri-volte all’Est Europa (soprattutto Romania) per la realiz-zazione di semi-lavorati e prodotti finiti, al Nord-Africa (prevalentemente Tunisia) per semilavorati e alla Cina

per prodotti finiti e semi-finiti. Vantaggi di costo spesso parziali, se si considerano anche i costi associati alla mag-giore complessità operativa e organizzativa e le ricadute negative per l’economia locale (il territorio di riferimento del distretto risulta spesso impoverito). Una delocalizza-zione efficace, come verrà approfondito successivamente, potrà avvenire in aree geografiche caratterizzate da con-dizioni socio-ambientali favorevoli (competenze, risorse, supporto delle istituzioni locali, vantaggi fiscali, …) in grado di arricchire il patrimonio stesso del distretto, oltre a rappresentare un nuovo potenziale mercato di sbocco.

2. Cogliere le opportunità della globalizzazione per raffor-zare l’espansione internazionale. In passato l’approccio all’internazionalizzazione da parte delle PMI italiane è stato guidato prevalentemente da una delocalizzazione produttiva volta alla ricerca di fonti di ap-provvigionamento a basso costo, in particolare nei Paesi dell’Est Europa. Le vendite nei mercati esteri, prevalente-mente Paesi geograficamente e culturalmente vicini, erano determinate da una forte componente di casualità e soste-nute prevalentemente tramite l’export, senza una reale pre-senza sul territorio.Nello scenario economico attuale sono cambiate le dinami-che che hanno permesso fino a pochi anni fa alle imprese dei distretti italiani di operare con questo approccio. In par-ticolare, i produttori asiatici riescono a produrre a costi mol-to più bassi rispetto ai produttori italiani, con due principali effetti: le aziende italiane che competono nei settori in cui sono entrati gli operatori dell’estremo Oriente non sono più competitive sui mercati internazionali e lo stesso mercato domestico è stato invaso da player stranieri. Molte imprese che avevano delocalizzato sono “rientrate” in patria e molte altre sono addirittura uscite dal mercato. In tale contesto risulta necessario cambiare l’approccio all’in-ternazionalizzazione, passando da uno “tattico”, volto alla ri-cerca di efficienze produttive, ad uno sviluppo consapevole e concepito in ottica strategica, facendo leva sulle risorse inter-ne ma anche sulle opportunità di ampliamento della Rete. Il successo della strategia di internazionalizzazione richiede un cambiamento culturale radicale su due aspetti principali: la valorizzazione dei Paesi esteri come mercati di sbocco e la necessità di ampliare le maglie della rete.

!" I mercati esteri, e in particolare le economie emergenti, rappresentano una grande opportunità per le imprese dei distretti italiani (il PIL dei Paesi BRIC incide per il 15% sul PIL dei Paesi del G20 nel 2009 e ha contribuito per il 32% alla crescita del PIL mondiale tra 2000 e 2009; tale dinamica strutturale è stata amplificata dalla attuale crisi che, pur essendo globale, ha avuto impatti maggior-

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50 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

LA NUOVA ERA DELL’INDUSTRIA ITALIANA: DAI DISTRETTI AL MONDO

mente negativi sulle economie avanzate). Un’opportu-nità simile può essere colta solo attraverso un percorso di reale avvicinamento ai mercati locali. Paradigmatico è l’esempio di Brovedani, produttore friulano di elementi meccanici. Fin dagli anni ’70 l’azienda è fornitrice delle maggiori imprese italiane di meccanica, come il gruppo Zanussi. Negli anni successivi il gruppo si diversifica e iniziano nuovi rapporti di collaborazione con produttori italiani e stranieri nei settori automotive, micromeccani-ca ed elettronica. Viene aperto anche uno stabilimento in Slovacchia, nei pressi di un importante cliente, Bosch. Brovedani nel 2008 ha raggiunto 80 milioni di euro di fat-turato, con sette stabilimenti in Italia e all’estero, grazie ad un percorso di sviluppo che l’ha portata prima a diver-sificare in settori adiacenti, poi a realizzare un decentra-mento produttivo finalizzato alla ricerca di una maggiore vicinanza al cliente e di un miglior presidio del mercato, elementi chiave della sua strategia vincente.Secondo aspetto critico per una strategia di internazio-nalizzazione vincente è la disponibilità ad allargare le maglie del distretto all’estero. Emblematico è il caso del distretto biomedicale di Mirandola, la cui esperienza in Egitto è allo stesso tempo ricerca di delocalizzazione e internazionalizzazione per entrare nei mercati medio-rientali. STF è un’impresa che ha scelto di internaziona-lizzarsi delocalizzando all’estero attività a valore aggiun-to, col duplice intento di allargare il proprio network e di avvicinarsi ai mercati di sbocco. Impresa di lattonieri nata nel 1937, oggi fattura circa 200 milioni di euro (quasi tutti all’estero) in caldaie, producendo negli stabilimenti in Italia e in Danimarca, dove nel 2002 ha anche acqui-sito BWE, leader tecnologico sulle caldaie ad alto rendi-mento. La strategia di internazionalizzazione può quindi portare, in un primo momento, a creare relazioni conso-lidate con produttori mondiali di grandi dimensioni e, in una seconda fase, a includere nella rete operatori esteri (sia clienti che fornitori) e parte del tessuto economico locale ad essi legato. L’acquisizione di un player estero è tanto più rilevante quanto più significative sono le nuove competenze acquisite.

3. Potenziare le caratteristiche distintive della propria o!erta per giustificare il premium price rispetto ai concor-renti leader di costo.

Consolidare e acquisire un vantaggio competitivo legato alla qualità del prodotto/servizio (più difendibile rispet-to a vantaggi di costo) in qualunque ambito può essere percepito come differenziante dal consumatore (materie prime, design, personalizzazione del prodotto finito, ori-gine territoriale, flessibilità nel delivery…). È importante rafforzare la sensazione di unicità e di qualità distintiva

dei prodotti offerti, puntando, se necessario, anche a un riposizionamento produttivo/commerciale su nicchie di mercato, fasce di clientela più sofisticate. Le imprese del distretto tessile di Carpi, ad esempio, hanno reagito alla crisi migliorando la qualità e la gamma dei prodotti, diversificando i clienti e i canali di vendita, cercando di aggredire nuovi mercati esteri.Difendere e incrementare gli attributi intangibili del prodotto, promuovendo la creazione di elementi di differenziazione difficilmente replicabili e valoriz-zando al meglio il concetto di Made in Italy (inteso in senso ampio come ideale di eleganza e lifestyle). I distretti dell’abbigliamento potrebbero, ad esempio, istituzionalizzare e mettere a fattor comune l’utilizzo di strumenti evoluti anti-contraffazione (già utilizzati da alcune aziende di fascia alta nel fashion) in grado di certificare l’autenticità del prodotto in tempo reale (ad esempio tramite SMS) a tutti gli attori della filiera: produttori, distributori e soprattutto clienti finali.Integrare il prodotto finale con servizi specifici che offrano al cliente un pacchetto con un valore unico e distintivo. In un contesto in cui il vantaggio competitivo legato al prodotto diviene sempre meno difendibile, la componente di servizio (dalla consegna al post vendita) diventa essenziale per differenziare la propria offerta in maniera duratura e sostenibile. Basti pensare a come i distretti focalizzati sulla produzione di macchine per l’industria abbiano costruito parte del proprio vantag-gio competitivo su una qualità molto elevata nella fase di installazione e manutenzione, evidenziando inven-tiva e capacità di problem solving superiori rispetto ai competitor internazionali (si pensi ad esempio alla ge-stione remota di macchinari).Promuovere l’innovazione sia all’interno del distretto che tra distretti diversi, sfruttando al meglio le oppor-tunità di cross-fertilization. La creazione di un conte-sto favorevole all’innovazione finalizzato a rafforzare l’unicità e la qualità dei prodotti e dei servizi offerti è un fattore critico di successo per i distretti. È auspica-bile stimolare e sostenere la ricerca continua dell’in-novazione sia a monte che a valle della filiera, sia tec-nologica che manageriale, sia nella fase di vendita (ad esempio puntando al presidio dei canali distributivi) che di post-vendita. I distretti dovrebbero incremen-tare le interrelazioni allo scopo di favorire il trasferi-mento di idee, competenze e stimolare la creatività.In quest’ottica un significativo esempio è rappre-sentato dalla Perini Navi che ha introdotto nella cantieristica navale tecnologie tipiche del distret-to della carta di Capannori (quali ad esempio gli av-volgitori) per creare velieri di grandi dimensioni go-vernabili da un equipaggio estremamente limitato.

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 51

PRODUCTS

4. Reintepretare il legame con il territorio e con le Istituzioni lo-cali per contribuire ad una crescita territoriale diffusa e sostenibile.

!" Condividere con gli Enti Locali strategie comuni di ri-lancio/potenziamento del territorio, generando inve-stimenti pubblici/privati che forniscano infrastrutture adeguate e servizi pubblici efficienti, sostegno all’occu-pazione e alla formazione, supporto all’internazionaliz-zazione, servizi di qualità (certificazioni, laboratori per test).

!" Ra!orzare i legami con i poli della conoscenza e della ricerca (università, istituti di ricerca, ...) per generare collaborazioni orientate all’innovazione, ma anche per sostenere la formazione di artigiani e operai specializ-zati le cui competenze hanno rappresentato e rappre-sentano un reale fattore distintivo dei distretti italiani.

!" Contribuire alla crescita del territorio sostenendo iniziati-ve orientate a consolidarne il tessuto sociale e produttivo (borse di studio, progettualità a sfondo sociale, …).

!" Creare nuove forme di aggregazione per facilitare l’acces-so al credito e migliorare la patrimonializzazione, soprat-tutto in tempi, come quelli attuali, in cui la contrazione del credito bancario alle PMI sottrae risorse vitali alla

crescita o alla sopravvivenza stessa di numerose aziende.!" Capitalizzare sul prodotto/servizio il valore ag-

giunto generato dall’appartenenza ad un territo-rio specifico (es. brand legato alla produzione lo-cale, campagne di promozione dell’immagine).

È quindi possibile, per i distretti industriali italiani, avva-lersi di precise leve specifiche per continuare a crescere in

modo sostenibile o recuperare il terreno perso durante la crisi. Il sistema industriale globale sta vivendo una stagione di imponenti e rapide trasformazioni, con esiti imprevedibili in grado di modificare gli equilibri tra Paesi e regioni del mondo. Non soltanto imprenditori e manager, ma anche le istituzioni finanziarie e le scelte di politica economica che saranno assunte, giocheranno un ruolo decisivo nel rilancio della nostra economia.La sfida per l’Italia ora, a fronte dei cambiamenti endogeni ed esogeni del mercato, sembra essere quella di identificare (o re-identificare) prima di tutto con chiarezza le proprie fonti di vantaggio competitivo e attuare i cambiamenti ne-cessari per rendere più concorrenziale il Sistema Paese, nel-la sua interezza.

Le sfide strategiche per il futuro dei Distretti

1. Rivedere il Modello Operativo per conquistare o consolidare un posiziona-mento competitivo vincente

2. Cogliere le opportunità della globalizzazione per ra!orzare l’espan-sione internazionale

3. Potenziare le caratteristiche distintive della propria o!erta per giustificare il premium price

#$" Reintepretare il legame con il territorio e con le Istituzioni locali promuovendo una crescita di!usa e sostenibile

GLI AUTORI

Alessandro DianaPartner Strategy Community Practice

Ra!aella Campagnoli Manager Strategy Practice

Mirko De Angelis Manager Strategy Practice

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52 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

Innovazione, tecnologia e turismo: quali opportunità per sviluppare la destinazione Italia?

L’evoluzione del turismo e il caso ItaliaIl business del turismo è cambiato ormai da tempo, le di-stanze si sono accorciate, le esigenze dei viaggiatori si sono modificate, segmenti diversi di mercato prima statici si sono “mossi” e hanno iniziato a viaggiare, forme di viaggio diver-se si sono affermate così da rendere sempre meno vincolan-te la disponibilità economica. Il turismo da ciclico è diventa-to continuo nel tempo, durante l’anno cambiano le persone che si muovono, cambiano ragioni ed esigenze, cambiano i volumi di traffico … ma il “turismo” è sempre in moto. Tutto questo cambiamento è stato facilitato, se non acce-lerato, dall’esplosione digitale avvenuta negli ultimi anni, dalla crescente influenza della rete Internet, dalla pervasivi-tà dei media digitali e delle tecnologie ICT, ma anche dalla convergenza di tutti questi fattori. Il mercato del Travel & Tourism è stato così trasformato profondamente nelle sue strategie commerciali e distri-butive dell’offerta per adeguarsi alle nuove abitudini dei

viaggiatori-consumatori. L’evoluzione tecnologica legata ai mezzi di comunicazione, ha facilitato e guidato straordinari cambiamenti all’interno di questo settore:

- Si pensi ad

esempio al settore on-line, dove il processo frenetico di consolidamento, mediante fusioni e acquisizioni, ha la-sciato sul campo del mercato globale pochissimi nomi: Expedia, Lastiminute.com, eDreams, Kelkoo.com, Opodo e pochi altri;

. Gli utenti sono sempre più in grado di costruirsi pacchetti di viaggio sulla base delle proprie esigenze. La personalizzazione dell’offerta è un fenomeno sempre più diffuso. Oggi attraverso Internet è possibile trovare viaggi a buon prezzo mediante offerte last-minute/last-second, scambiarsi case, affittare il diva-no di qualcuno dall’altra parte del mondo, accedere ed

Pur presentando buoni risultati a livello assoluto, il turismo in Italia rappresenta un patrimonio non sfruttato appieno e con ampi margini di miglioramento. L’evoluzione tecnologica e il processo di convergenza in atto nel mondo delle TLC e dei media stanno per travolgere anche questo settore industriale: abilitando “nuove esperienze” per il turista di domani, aprendo nuovi spazi a nuovi player, creando di fatto nuovi mercati. Sono opportunità da cogliere in fretta se si vuole rendere questo settore sempre più rilevante all’interno del Sistema Italia. di Marco Salera, Andrea Pagliai e Stefano Papini

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 53

COMMUNICATIONS AND HIGH TECH

informarsi su destinazioni anche esotiche o complicate da raggiungere, parlare con chi c’è già stato mediante i blog e/o le community online;

-. Negli anni ’90, la filiera turistica tradizionale

era costituita da tre principali componenti: fornitori di servizi, tour operator e agenzie di viaggi. A partire dal 2000, l’avvento di Internet e delle nuove tecnologie ha moltiplicato i livelli di intermediazione e mutato i rap-porti tra gli attori all’interno della filiera. Questo pro-cesso di cambiamento è in continua accelerazione verso la vendita diretta anziché intermediata. I clienti/turisti di domani non solo si creeranno offerte personalizzate ma sfrutteranno quasi esclusivamente i canali diretti, contatto telefonico o altri mezzi, messi a disposizione da Internet e dai nuovi , per disegnare l’esperienza del loro prossimo viaggio.

Siamo quindi nel pieno di un’onda innovativa tecnologica di proporzioni tali da determinare un vero e proprio mu-tamento per l’intero settore. Questo fenomeno ha delle ri-percussioni diverse in funzione della maturità del Paese sia da un punto di vista di offerta che di maturità della doman-da, ed è strettamente correlato al tasso di digitalizzazione del Paese e all’utilizzo di tecnologie avanzate da parte de-gli operatori turistici. E’ noto come Internet sia un potente mezzo in grado di influenzare scelte e decisioni di acquisto legate al turismo grazie alla facilità di reperibilità/confronto di informazioni, alla possibilità di prefigurare i luoghi da vi-sitare o in cui soggiornare. Negli Stati Uniti, ad esempio, il mercato delle prenotazioni on-line ha superato quello delle prenotazioni off-line già a partire dal primo trimestre 2008; nel corso del 2009 l’on-line ha ulteriormente guadagnato spazio in quanto più del 60% delle prenotazioni di viaggi e quasi il 40% di quelle alberghiere sono state effettuate tra-mite digitali, fissi o mobili, in grado di connettersi ad Internet. In Italia il turismo è da sempre parte integrante della nostra cultura. In qualsiasi Stato ci troviamo a viaggiare, appena qualcuno scopre che siamo italiani ci viene fatto un compli-mento per quanto bello e unico sia il nostro Paese. Italia e turismo dovrebbero essere sinonimi, specialmente conside-rando le risorse a disposizione:

Una cultura dell’arte che permea ogni piccolo borgo e grande città italiana: 3.000 musei, 2.000 siti archeologici e migliaia di chiese e altre bellezze artistiche. Nessun Paese al mondo può vantare i tesori di cultura e di arte dell’Ita-lia, un vero e proprio museo all’aria aperta.Il più grande numero (43) di luoghi dichiarati dall’UNE-SCO patrimonio mondiale dell’umanità. Vasti spazi aperti di natura ancora incontaminata, dalle Alpi alle isole del Mediterraneo: montagne, colline, pla-cidi laghi, idilliache isole, bel mare, splendide città e me-ravigliosi villaggi murati.

Uno stile di vita, quello italiano, e una cultura eno-ga-stronomica apprezzati e invidiati in tutto il mondo.

Il settore turistico italiano ha chiuso complessivamente nel 2009 con un fatturato di più di 150 miliardi di euro e 2 mi-lioni e mezzo di impiegati nel settore, posizionando il nostro Paese al 7° posto al mondo e al 4° posto in Europa in termini assoluti1. I dati assoluti appaiono buoni, ma se osserviamo il posi-zionamento dell’Italia in termini relativi la situazione non è così rosea: l’Italia si posiziona al 77° posto al mondo e al 13° posto in Europa in termini di contributo del turismo all’economia del Paese. Osservando le prime cinque poten-ze europee (figura 1), si rileva come il contributo del turi-smo all’economia del Paese in Italia (9,7%) è di poco supe-riore a Paesi che ci immagineremmo assai meno turistici del nostro come Regno Unito (9,2%) e Germania (8,6%), ed è dietro a Francia (10,9%) e Spagna (17,2%) nonostante non abbia nulla da invidiare a questi Paesi dal punto di vista delle attrazioni turistiche su cui far leva.

Anche osservando l’indice di competitività del turismo2, che misura per 133 Paesi i fattori e le che contribuiscono all’attrattività del settore, l’Italia si posiziona solo come il 28° Paese a livello mondiale dietro l’Estonia e subito prima di Malta (vedi figura 2). I principali fattori alla base di un così basso posizionamento sono da imputatare a:

storica insufficiente definizione delle priorità del settore nel quadro delle politiche di sviluppo elaborate dagli enti governativi preposti;limitazioni a proprietà straniere;problemi legati alla sicurezza;inadeguato sistema legislativo e di regolamentazione del settore.

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54 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

L’analisi del quadro complessivo mostra come esistano delle grosse opportunità per ridurre il gap verso altri Paesi e mi-gliorare il posizionamento dell’Italia. Dal punto di vista dell’utilizzo di nuove tecnologie, in Ita-lia il turismo è ormai ampiamente la prima voce economica del commercio elettronico con oltre il 50% di quota sul to-tale delle vendite on-line e un valore che si aggira attorno ai 3 miliardi di euro. Si rivela, tuttavia, una debole posizione nei confronti dell’estero. Gli operatori italiani evidenziano una certa arretratezza complessiva nell’utilizzo di tecnologia avanzata. L’indice ICT che misura l’uso di Internet per com-prare e vendere servizi e per interagire con i propri clienti e fornitori posiziona l’Italia all’83° posto sui 133 Paesi analiz-zati. Il fenomeno è anche confermato dal divario esistente tra Nord e Sud Italia, dove l’arretratezza dal punto di vista tecnologico è più marcata, considerando che il 66% dei viag-giatori stranieri (più di 40 milioni di viaggiatori nel 20083) preferiscono le mete del Nord e solo il 34% quelle del Cen-tro-Sud. Sembra paradossale ma a volte è più facile organiz-zare un viaggio sul mar Rosso che in certe aree del Sud Italia.I principali 10 “Paesi origine” dei turisti in Italia (Germania, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Austria, Spagna, Svizze-ra, Giappone, Paesi Bassi, Belgio), hanno una percentuale di utenti Internet molto elevata, in media del 70% nel 20084 (figura 3). Per chi è all’estero e non conosce il nostro Paese, la possibilità di reperire informazioni dalla rete diventa un

fattore molto rilevante di scelta. Se la quantità e la qualità delle informazioni in rete non è all’altezza, il rischio che i viaggiatori esteri si orientino verso altre mete è elevato.Tali Paesi inoltre (vedi figura 4) mostrano un’elevata pro-pensione all’utilizzo di strumenti di comunicazione innova-tivi e in particolare verso quelli in mobilità. La penetrazio-ne dei servizi di comunicazione è maggiore del 100% della popolazione (come in Italia) e il rapporto tra ARPS (ricavo medio per utente di telefonia mobile) e PIL pro capite è molto alto (in media pari a 1.4%). Questo lascia supporre l’esistenza di una forte affinità5 di comportamento tra la popolazione visitatrice e la popola-zione residente italiana anche in termini di spesa (ancora non espressa) di servizi turistici da utilizzare “anche” in mo-bilità attraverso i nuovi media. Inoltre, tale mercato si andrà ad ampliare ulteriormente nei

Figura 2Indice di attrattività di Paese Travel & Tourism Competitiveness Index

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INNOVAZIONE, TECNOLOGIA E TURISMO: QUALI OPPORTUNITÀ PER SVILUPPARE LA DESTINAZIONE ITALIA?

Figura 4Analisi a!nità all’Italia su base penetrazione mobile e ARPS/ GDP per Capita

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 55

COMMUNICATIONS AND HIGH TECH

prossimi anni quando una maggiore disponibilità economi-ca “mobiliterà” nel mondo la “media società” cinese e/o in-diana. Attualmente questi due Paesi, che con oltre 2 miliar-di di abitanti coprono un terzo della popolazione mondiale, generano insieme meno del 2% dei turisti stranieri in Italia6. Il tasso di aumento medio annuale della spesa turistica in India e Cina è maggiore del 10%7 e pertanto entro il 2020 si prevede che tali flussi siano quanto meno raddoppiati.

Turismo e tecnologia: un binomio sempre più strettoSul fronte della domanda si ha quindi una rapida evoluzione del profilo dei consumatori, sempre più esigenti, informati, capaci di sfruttare le tecnologie digitali e di consultare i so-

cial network per formarsi un’opinione e condividere le espe-rienze di viaggio. Grazie alla pervasività di Internet, alla fles-sibilità informativa e di utilizzo assicurata dai nuovi personal and home s, i viaggiatori di oggi s’informano e costru-iscono il proprio viaggio in completa autonomia. Hanno e avranno sempre più a disposizione una grande quantità di contenuti e offerte turistiche. I turisti disegnano il proprio viaggio prima ancora di viaggiare, si creano un’aspettativa importante, assaporano vedendo e vivendo virtualmente in anticipo quello che li aspetta. I turisti di domani avranno sempre più applicazioni e servizi innovativi (figura 5) da fruire comodamente a casa o in mobilità per potersi creare delle esperienze di viaggio in linea con le proprie esigenze e la propria disponibilità economica. Saranno supportati

LA SITUAZIONE DEL TURISMO IN ITALIA Intervista di Stefano Papini al Prof. Alessandro Zattoni, Direttore Area Strategia e Imprenditorialità della Scuola di Dire-zione Aziendale dell’Università Bocconi (SDA Bocconi)

Qual è la situazione del mercato del turismo in Italia? Il macro settore del turismo si caratterizza nel nostro Paese per essere costituito da una miriade di piccole e medie imprese. In par-ticolare, se si guarda al comparto della ricettività, tradizionalmente il più rappresentativo delle tendenze del settore, si nota che le oltre 34mila strutture alberghiere e le 96mila strutture extra-alberghiere rappresentano un’o!erta decisamente consistente. Tutta-via, tale imprese sono caratterizzate da piccole dimensioni e da una gestione prevalentemente familiare. Le grandi catene nazionali e internazionali hanno una presenza ancora marginale all’interno del nostro Paese. Caratteristiche simili si possono riscontrare nel settore dei tour operator e delle agenzie viaggi, in quello delle aziende di ristorazione, dai bar alle ca!etterie e agli stabilimenti balneari e per il benessere. Il settore del turismo gioca, però, un ruolo importante per l’economia italiana. Il peso del settore viaggi e turismo sul PIL nazionale varia tra il 4% e il 9,7% a seconda che si includano solo i beni o servizi direttamente prodotti da tale settore o anche quelli indirettamente legati ad esso. Inoltre, a detta dell’UNWTO, l’Italia nel 2008 continua ad occupare la quinta posizione al mondo in termini di arrivi internazionali con 42,7 milioni, preceduta dalla Francia (79,3), dagli USA (58,0), dalla Spa-gna (57,3) e dalla Cina (53,0). In questa stessa classifica, fino al 2003 l’Italia era prima in Europa (con 39,6 milioni) e seconda nel mondo solo agli USA (41,2 milioni). Occorre riflettere quindi sulle motivazioni legate a questa perdita di competitività e sulle azioni necessarie per riconquistare quote di mercato a livello globale.

Come questo settore può essere trascinato dall’evoluzione tecnologica e dalla convergenza in atto nel settore TLC/Media/ICT?Il ruolo sempre più debole della destinazione Italia sia nel contesto mediterraneo, a fronte della crescita di destinazioni quali la Francia e la Spagna, sia, più in generale, nel panorama del turismo internazionale, implica l’adozione di strumenti manageriali per la gestione del sistema d’o!erta. I punti di forza del nostro Paese (come ad esempio il patrimonio artistico, culturale, naturalisti-co, o il clima stesso) non sono più su"cienti a sostenere la concorrenza dei nuovi competitors, primi fra tutti proprio la Francia e la Spagna. In tal senso, le nuove tecnologie possono supportare il settore su due fronti. Da una parte, esse possono facilitare l’introduzione di processi gestionali avanzati che permettano alle imprese di migliorare il loro sistema di o!erta. Questo aspetto è particolarmente importante per le cosiddette imprese del macro-settore dei viaggi del turismo, che so!rono i limiti legati alle piccole e medie dimensioni e alla carenza di un’elevata cultura manageriale. Dall’altra, esse possono facilitare la costruzione di un rapporto più costruttivo con i clienti di riferimento, sempre più vicini alle nuove tecnologie e sempre più in grado di accedere a informazioni di ogni tipo e in brevissimo tempo. Le destinazioni turistiche possono fare largo uso dell’innovazione tecnologica per la messa a punto di nuovi e originali modelli di fruizione del territorio che, anche attraverso i recenti sistemi legati alla telefonia mobile, possano agire nell’ottica di accogliere il turista a 360°. Purtroppo, sul fronte dell’innovazione tecnologica, i confronti inter-nazionali indicano che siamo in ritardo rispetto ad altri Paesi comparabili. E’ quindi necessario intraprendere uno sforzo importante che incentivi un salto tecnologico da parte di tutti gli attori coinvolti nella progettazione, vendita e gestione del settore viaggi e turismo. La crescita del turismo in Italia attraverso l’utilizzo delle aziende CHT (Communication & High-Tech) potrebbe consentire, ad esempio, (i) lo sviluppo di sistemi atti a stimolare e facilitare le relazioni tra i diversi attori della filiera, portando alla creazione di un sistema destinazione Italia; (ii) la messa a punto di sistemi innovativi di fruizione delle risorse e del territorio; (iii) un miglio-ramento e l’ottimizzazione dei meccanismi di comunicazione della destinazione Italia all’estero.

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56 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

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INNOVAZIONE, TECNOLOGIA E TURISMO: QUALI OPPORTUNITÀ PER SVILUPPARE LA DESTINAZIONE ITALIA?

virtualmente durante il loro viaggio, avranno degli applica-tivi personalizzati che gli consentiranno di rimanere virtual-mente collegati “ a casa”, portare con se le proprie cose (se vogliono), i propri contatti/amici di tutti i giorni. Avranno la possibilità di “aumentare” il mondo reale che li circonda durante il viaggio, non si sentiranno persi perché avranno tutte le informazioni “locali” necessarie per vivere più in tranquillità e sicurezza il loro viaggio. In tal senso prevediamo un forte sviluppo delle applicazioni da utilizzare con device in mobilità on-line in modo agno-stico a una qualsiasi tipologia di rete broadband utilizzata, sia essa I utilizzati dal turista di domani dovranno assicurare una potente elaborazione di immagini, memorizzazione di dati, gestione concorrente di molteplici applicazioni, insieme natura multifunzionale e personale, rendendoli compagni di viaggio ideali. Si sta già da oggi sempre di più diffondendo una rete socia-le di applicazioni e servizi che possono essere utilizzati dai viaggiatori per massimizzare la propria esperienza di viaggio (es: TripAdvisor, Virtual Tourist, TripWolf, TripShake), dare consigli, creare amicizie e molti di questi consentono una fruizione anche in totale mobilità. Alcuni poi permettono

una sorta di virtuale dei posti che si vogliono visitare. Lo sviluppo di applicazioni cosiddette di “realtà aumentata” consentirà ai viaggiatori di stabilire tramite il proprio device mobile un rapporto di realtà virtuale con i posti che stanno visitando, permettendogli di navigare nell’ambiente circo-stante e poter approfondire la conoscenza di quello che gli sta intorno.E’ comunque la trasformazione dell’intero mondo delle tele-comunicazioni che indurrà i principali cambiamenti nel set-tore turistico di domani. Nel mondo delle telecomunicazioni

è oggi in atto un cambio di equilibri che si consoliderà solo nei prossimi anni: i produttori di device prima e i produttori di servizi cosiddetti “Over The Top” (OTT), perché agnostici rispetto alla rete e al device utilizzato, guadagneranno sem-pre maggiore potere nel controllo del consumatore finale. Si prefigurano diversi scenari in cui diversi stanno cercando di ritagliarsi un ruolo all’interno della catena del valore telecomunicazioni/media e questo fenomeno sta ini-ziando a interessare anche il turismo.La tradizionale catena del valore del turismo composta da agenzie, tour operator e fornitori di servizi turistici tradizio-nali è sempre di più affetta da fenomeni di concentrazione tra gli operatori esistenti da un lato e di allargamento a nuo-ve tipologie di legate alle nuove tecnologie dall’altro. In questo senso ci aspettiamo di assistere a due principali tipologie di fenomeni ( vedi figura 6).

Agenzie di viaggi e tour operator che si espandono verso vendita e intermediazione rendendo i confini tra queste due tipologie di player sempre più labili. La scala in questi casi di-venta un fattore determinante di successo, per cui assistiamo e assisteremo sempre più a fenomeni di concentrazione su questo versante. Allo stesso tempo i fornitori di servizi tra-dizionali (es. hotel, strutture di svago) by-passano le agenzie per accedere direttamente ai clienti utilizzando il web.

. Nascono nuovi attori legati alle nuove tecnologie specialmente nella parte finale della cate-na del valore del settore del turismo, in particolare:

- Lo sviluppo e l’af-

fermazione di piattaforme integrate always-on accessibili in maniera multi-device (vedi figura 7) è sicuramente un presupposto per l’integrazione tra la filiera tradizionale del turismo e la filiera TLC/media. La forza di queste piattaforme sarà la loro capacità di fornire servizi di qua-lità, in sicurezza e tali da massimizzare la user experien-ce dell’utente. In questo ambito operatori TLC e ICT

Figura 6 Cambiamenti in atto nella filiera del turismo

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 57

COMMUNICATIONS AND HIGH TECH

possono giocare un ruolo rilevante tramite lo sviluppo di sistemi per stimolare e facilitare le relazioni tra i diversi attori della filiera, e adoperandosi per la messa a punto di sistemi innovativi per la fruizione delle risorse e del territorio.

Queste applicazioni da un lato saranno for-temente localizzate in modo da valorizzare il territorio, dall’altro dovranno assicurare una operatività globale soddisfacendo i diversi bisogni delle molteplici tipologie di viaggiatori prima, durante e dopo il viaggio (

).

La chiave di successo per tutti sarà quella di riuscire a ga-rantire al cliente/viaggiatore un’esperienza di viaggio unica,

e a 360 gradi; accompagnandolo con un proprio agente virtuale, aiutandolo a disegnare il proprio viaggio, assistendolo in tutto e per tutto durante il soggiorno, ga-rantendogli tutta la sicurezza necessaria, memorizzando

emozioni ed esperienze e rendendo disponibili i ricordi in qualsiasi momento, anche dopo il viaggio, in modo che nulla vada perduto.

In sintesi: quali le opportunitàper L’Italia?Riteniamo che lo sviluppo delle nuove tecnologie e l’evo-luzione in atto nel settore dei media e delle telecomunica-zioni possa, se ben guidato nel prossimo futuro, aiutare lo sviluppo del turismo italiano. Questo a patto che l’Italia sia in grado di sollecitare la crescita di quei nuovi attori neces-sari a svolgere un ruolo importante nella nuova catena del valore del turismo sia per dimensioni sia, soprattutto, per capacità innovativa.L’Italia è costituita da una miriade di piccole e medie impre-se che operano nel turismo. Osservando i dati, le strutture alberghiere si caratterizzano per una dimensione media pari a 62 posti letto e le extra-alberghiere di soli 24 (questi stessi dati in Francia sono pari rispettivamente a 69 e 42 e in Spa-

LA SITUAZIONE DEL TURISMO IN ITALIA TURISMO E TECNOLOGIA: UN BINOMIO VINCENTE?Intervista di Andrea Pagliai al Prof. Massimo Rovelli , Università di Roma La Sapienza - Facoltà di Scienze della Comunicazione - Cattedra di Mobile Services e Multicanalità

Come la tecnologia può essere sfruttata per promuovere la “destinazione Italia”? Il mercato turistico italiano, a fronte di un’o!erta estremamente competitiva e appealing, si presenta come estremamente parcellizzato, caratterizzato da un gran numero di piccoli operatori. In presenza di un rapido processo di disintermediazione a livello globale e di un cambiamento sostanziale dei processi d’acquisto da parte dei consumatori-viaggiatori (fortemente influenzato dalla di!usione della rete globale), risulta prioritario innescare processi di aggregazione della filiera (‘fare sistema’, fra territori, player e istituzioni centrali) ed una pianificazione di medio termine nello sfruttamento dei mezzi di comunicazione digitale (web e mobile in particolare). I digital media rappresentano un canale privilegiato (in particolare nello sviluppo dell’ inbound), o!rono grande capacità di reach e a"nity con una clientela ormai esigente ed evoluta e o!rono un rapporto investimento/ritorno, decisamente favorevole rispetto ai canali di comunica-zione tradizionali. Sul piano strutturale, risulta quindi fondamentale dare impulso alle iniziative tese a fare sistema e all’aggregazione fra i diversi attori, sia a livello territoriale che fra centro e periferia. Un processo di consolidamento della filiera diventa determinante anche in termini di praticabilità degli investimenti. Piccole strutture locali faticano a sostenere da sole gli investimenti necessari in tecnologia e formazione. In altri Paesi dove, ad esempio, la presenza di grandi catene distributive e di ospitalità è più di!usa, questi vincoli sono meno rilevanti. Sul piano culturale, il comparto evidenzia ancora in Italia una certa di"denza e una limitata confidenza nei confronti delle tecnologie digitali e delle potenzialità o!erte dai new media e dalle nuove tecniche del marketing. L’avvio di iniziative articolate di formazione ed informazione incentrate su tali ambiti e di divulgazione di una proposta di servizi mirati, risulta urgente e sarà un’attività determinante da parte delle istituzioni e delle associazioni di settore. Il patrocinio di progetti pilota e l’incentivazione di iniziative tese a di!ondere le esperienze di successo possono costituire uno step importante per lo sviluppo del settore.

Quali saranno i fattori di successo di domani per tutti gli attori della catena e come sarà il turismo “italiano” di domani?Sul fronte dell’o!erta il turismo è un mercato, sempre più globale e globalizzato. Le dinamiche dei flussi e l’avvento prorompente di Paesi cosiddetti emergenti (Cina, Brasile, Russia, India, ecc.) stanno trasformando i profili della competizione (nuove destinazioni, viaggi di gruppo organizzati, pricing, sicurezza). L’Italia è in questo “contenitore” e non fa eccezione. Sotto il profilo della domanda, il cliente è sempre più informato, esigente, always-on e teso a soddisfare bisogni “esperienziali”. Possiamo di fatto parlare di un vero e proprio mer-cato esperienziale. In tale contesto il ruolo delle nuove tecnologie e dei mezzi di comunicazione digitale risulteranno determinanti, non soltanto come strumenti d’influenza della decisione d’acquisto ma anche nell’innalzamento del livello di servizio e nel soddisfacimento dei bisogni attesi e latenti. In particolare, il presidio dei contesti e l’erogazione di servizi in ottica “2.0” (social networks, user generated contents, augmented reality) diventerà un fattore critico dello scenario competitivo. Inoltre, proprio in ottica esperienziale, va emergen-do il nuovo ruolo dei servizi su cellulare (e su smartphone!) nell’indirizzare le esigenze del viaggiatore , sempre più in ottica “last-second” e con una capacità d’incidenza straordinaria nel potenziamento dell’esperienza di viaggio, specificatamente nel “qui ed ora” e in tempo reale.

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58 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

INNOVAZIONE, TECNOLOGIA E TURISMO: QUALI OPPORTUNITÀ PER SVILUPPARE LA DESTINAZIONE ITALIA?

grado di inserirsi nella competizione globale per l’erogazio-ne di servizi “Over the Top” legati al turismo.E infine, come ulteriore elemento critico di successo, deve assicurare il controllo della sia reale che virtuale erogata da tutti i soggetti coinvolti. E per fare questo è necessario facilitare la creazione di un’organiz-zazione indipendente che abbia le capacità e gli strumenti per agire come ente di controllo e di certificazione per tut-ta la catena turistica italiana. Sono tre sfide importanti che attendono il nostro Paese nel prossimo futuro. Sfide da indirizzare subito non solo per as-sicurare che il nostro Paese venga ammirato in tutto il mon-do dal maggior numero di viaggiatori di domani; ma per cre-are finalmente le condizioni perché il turismo si trasformi tangibilmente in una delle principali fonti di ricchezza del nostro Paese … da nord a sud … e in linea con le sue “non virtuali” potenzialità.

gna a 92 e 758), da una gestione prevalentemente familiare e da una presenza ancora marginale delle grandi catene na-zionali e internazionali. Solo 434 alberghi sugli oltre 34 mila esistenti in Italia risultano di catena9.Le capacità di investimento sono quindi oggi limitate e que-sto è uno dei primi elementi che dovrebbe essere indirizzato per poter cogliere le opportunità derivanti dell’evoluzione tecnologica e sfruttare le future economia di scala, sempre più fattore di successo nel settore turistico di domani. Per fare questo è necessario favorire gli investimenti, anche se dall’estero, e promuovere le aggregazioni tra gli operatori della catena in Italia. L’azienda “turismo Italia” deve poi nel contempo creare sempre di più una anche “virtuale” del prodotto turistico Italia, stimolando investimenti in innovazione da parte di tutte le aziende della catena del turismo e assicu-rando la creazione di un ecosistema di aziende che siano in

1. World Travel Tourism Council 2009.2. Travel & Tourism Competitiveness Index – TTCI

World Economic Forum Geneva, Switzerland, 2009.3. Fonte: Stime su base dati UNWTO, ISTAT, ENIT

Annual Report, 2007.4. Analisi Accenture su dati Pyramid Research, 2009.

5. Analisi su base dati Pyramid Research, 2008.6. Fonte Banca d’Italia. Dati 2008.7. Fonte: World Travel & Tourist Council, 2009.8. Fonte EuroStat, Istat.9. Fonte DataBank.

Figura 7Il concetto di “soft panel integration”: esempi di servizi e device abilitati

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GLI AUTORI

Marco Salera Executive Partner Strategy Practice

Andrea Pagliai Senior Manager Strategy Practice

Stefano Papini Manager Strategy Practice

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 59

RESOURCES

La Green Energy & Clean Tech Revolution: l’Italian Way per cogliere l’opportunità alle porte

1. Premessa e definizione di una rivoluzione alle porte Per parlare di rivoluzione verde, green deal o green energy revolution è necessario, prima di tutto, ricordare che le ener-gie verdi e in generale le clean technology sono temi che non si ricollegano solo alle sfide delle emissioni di carbon dioxi-de (CO2). Come più scienziati e trattati hanno ormai ben definito, il problema e le opportunità di business sono più ampie:

Le emissioni di CO2 nell’atmosfera sono ormai ben ol-tre la soglia critica delle 387 parti per milione, tanto da generare i cambiamenti e la “volatilità” climatica che sono noti a tutti (anche il freddo improvviso del 2010 è frutto della recessione e delle minori emissioni).

!" L’acidificazione degli oceani sta causando la progressi-va morte della fauna e flora marina.

!" Il tasso di perdita della biodiversità è 10 volte supe-riore al tasso ritenuto accettabile: il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) ha calcolato che la perdita in corso di ecosistemi e di bio-diversità equivale a perdere un valore economico tra i 2 e 4,5 trilioni di dollari americani.

!" Il deperimento del ciclo dell’azoto e del fosforo, fon-damentali per la vita sulla Terra, sta facendo aumenta-re la concentrazione dell’azoto nella stratosfera.

!" L’esaurimento delle riserve di acqua dolce sta dive-nendo una delle criticità maggiori e di più difficile soluzione.

Oggi siamo poco meno di 7 miliardi di individui ad abitare la Terra, entro il 2050 saremo circa 9 miliardi (nel 1960 era-vamo 3 miliardi). Secondo stime del WBCSD, nello studio Vision 2050, e del Global Footprint Network oggi stiamo utilizzando 1,3 volte la capacità ecologica del pianeta e in uno scenario in cui non dovessero essere prese decisioni per un ripristino/riequilibrio della situazione (invece che conti-nuare a gestire le cose in modalità business-as-usual), dati i trend demografici e di deperimento delle risorse naturali, raggiungeremo un tasso di utilizzo di 2,3 volte la capacità ecologica del pianeta, entrando nella “Very Danger Zone” entro il 2050. Essere consapevoli di questo, è già un elemen-to fondamentale, non per fare del terrorismo o del catastro-fismo, ma per avere una vision più chiara del fatto che la green energy revolution, che andremo di seguito a descrivere, non è tanto un trend, quanto un’evoluzione inarrestabile,

La Green Energy & Clean Tech Revolution è imminente, ma il tempo necessario perché si concretizzi e le tipologie che assumerà dipendono dalle condizioni e caratteristiche specifiche di ciascun Sistema Paese. Questo articolo ipotizza il possibile scenario attuativo in Italia e le sfide da raccogliere a livello di utility, Governo centrale e amministrazioni locali per cogliere le opportunità che stanno emergendo. di Mauro Marchiaro, Luca Scanu e Danilo Troncarelli

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60 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

una necessità imprescindibile di business, un obiettivo di convergenza del regolatore e un obbligo etico della collet-tività. Il Club di Roma e il MIT, con il famoso Rapporto sui limiti dello sviluppo del 1972, predissero tutto quello che oggi riscontriamo ogni giorno sia in termini d’impatti ambienta-li, che economico-finanziari. Previsioni, confermate in uno studio del 2008 di Graham Turner, che ha concluso che, se non interverranno dei cambiamenti “strutturali e/o tecnolo-gici”, non sarà possibile evitare un collasso economico nel XXI secolo. Non mancano tuttavia scuole di pensiero del tutto opposte. Da una parte i negazionisti, che sostengono che il riscalda-mento registrato fa parte del ciclo naturale del pianeta e non è influenzato dall’attività umana; dall’altra, diciamo per distinguerla, i catastrofisti, che sostengono che la pressione antropica è l’unica causa e che siamo a un passo dal punto di non ritorno. In questo modo, il passaggio o meno all’uso di fonti energetiche alternative e rinnovabili, le cosiddette green energy, e la necessità di diminuire le emissione in atmo-sfera di gas serra assumono un valore strumentale al preva-lere di una delle due tesi. E non si conclude nulla.A prescindere da ogni altra valutazione, l’adozione di nuove fonti e forme di energia, così come di clean technology, è or-mai indispensabile di per sé. Il problema agitato da negazio-nisti e catastrofisti non esiste, perché dobbiamo cambiare il sistema globale di produzione ed uso dell’energia, e questo semplicemente perché le fonti attuali non garantiscono più il sistema complessivo, anzi generano instabilità economica, politica e demografica. Con questa prospettiva si comincia a vedere un nuovo aspetto fondamentale: il sistema comincia a “cambiare spontaneamente”. Anche se il ruolo del regolatore, che impone dei comportamenti virtuosi, ad esempio con l’au-mento degli standard minimi di efficienza energetica e con un sistema d’incentivazione adeguato, non può e non deve venire a mancare proprio in un momento di indiriz-zo e ripresa economica come questo. Ugualmente, non si deve rinunciare all’opera di sensibilizzazione della “co-scienza ecologica” del sistema, in quanto la gestione degli sprechi e il miglioramento dei comportamenti dei singoli è ancora una leva troppo importante e rilevante su cui la-vorare. Proprio in quest’area si potrebbe fare molto di più, specialmente in Italia.Grazie alle prime fonti rinnovabili che cominciano ad avere dei business case positivi e altre ormai prossime a raggiungere la “grid parity”, la questione energetica ormai diventa e sarà sempre più bipartisan tra negazionisti e ca-tastrofisti. Tanto è vero che i primi ormai sono in via di estinzione e i secondi cominciano ad assumere una pro-spettiva più ottimista, convergendo nella nuova classe dei «convinti della green energy revolution». Oggi, le domande si concentrano non più sul chiedersi «se

si debba fare qualcosa o meno», ma su quali cambiamenti operare, in che direzione, con quali metodi e tecnologie; come garantire il miglioramento dell’efficienza energeti-ca, anche se non garantisce di per sé la riduzione dei con-sumi, dato che può anche farli aumentare. Dall’inizio del secolo scorso ad oggi l’efficienza dei sistemi è centupli-cata, così come il fabbisogno energetico. Un incremento dell’efficienza con cui una risorsa è usata, ne aumenta la disponibilità totale e ne determina una riduzione di prez-zo. Generalmente, alla riduzione del prezzo sarà associa-to un aumento della relativa domanda. Questo concetto ovviamente vale sia per le green energy che per le clean technology. La massimizzazione dell’efficienza e il ricorso alle fonti alternative e/o rinnovabili, come il ricorso alle clean technology, per abilitare il risparmio energetico, sono i principi portanti della Green Energy & Clean Tech Revolution ormai alle porte.Le energie rinnovabili come le clean technology sono già ben identificate. Tra le prime, possiamo far rientrare il solare fotovoltaico e termico, l’eolico, il mini-idro, le bio-masse, il biofuel, il geotermismo ad alta e quello a bassa entalpia, ecc. Mentre tra le seconde rientrano le cosìddet-te tecnologie smart (smart grid, smart building, smart city, smart logistic & manufacturing, ecc.). Gli stessi pacchetti di stimolo dell’Unione Europea in corso e allo studio parla-no chiaro: per la nuova rivoluzione serve un mix combina-to di tutti questi fattori abilitanti (vedi figura 1).

LA GREEN ENERGY & CLEAN TECH REVOLUTION: L’ITALIAN WAY PER COGLIERE L’OPPORTUNITÀ ALLE PORTE

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 61

RESOURCES

2. Quali azioni per la Green Energy & Clean Tech RevolutionQuali azioni possiamo mettere in atto per agevolare que-sta rivoluzione? Quali sono le azioni più convincenti che vediamo attuare? I fronti da tenere in considerazione sono sostanzialmente quattro: produzione, distribuzione e consu-mo di energia, e poi la cattura di CO2.Con riferimento alla produzione, ovviamente l’obiettivo stra-tegico è quello di rivedere il fuel mix verso energie a bassa emissione di CO2, come le rinnovabili. Dove un ruolo impor-tante sarà comunque giocato anche dal nucleare, che, anche se non ascrivibile tra le fonti green, ci consentirà di affrancar-ci dal petrolio e di accelerare la riduzione di emissioni in at-mosfera. Nella definizione del nuovo scenario di produzione e distribuzione dell’energia, ovviamente, giocherà un ruolo importante il disegno, o meglio la vision, dell’Unione Euro-pea di arrivare a un sistema di “decentralizzazione energeti-ca”, abilitata da tecnologie innovative (vedi figura 2).Tenuto conto dei consumi e delle emissioni odierne, nonché della possibilità di raggiungere risultati significativi nell’appli-cazione di un modello di produzione energetica decentrato, in

Italia potremmo salvare tra i 50 e i 70 milioni di tonnellate (Mt) di CO2 (si veda la figura 3 in merito alla situazione attuale).In termini di distribuzione di energia, ovviamente un ruo-lo fondamentale è giocate dalle così dette smart grid, per passare alle quali si richiederà un rinnovo epocale delle in-frastrutture e delle reti elettriche. In questa area ricadono il monitoraggio della rete, il più ampio mondo degli smart meter (micro-power generation e grid loading optimization) e il trasporto elettrico (per una chiara visione sinottica dei cam-biamenti richiesti alle infrastrutture per arrivare al concetto di smart grid si veda la figura 4).Le sole smart grid potrebbero consentire di raggiungere un ulteriore riduzione delle emissioni nella EU27 per circa 44 Mt, pari a 12 miliardi di euro l’anno di risparmi energetici. A patto ovviamente che queste siano ampiamente diffuse e applicate entro il 2020. Corrispondenti a circa a 1/1,5 Mt di CO2 per l’Italia.Mentre per quanto attiene ai consumi energetici, sia delle famiglie che delle aziende, sarà fondamentale la diffusione di varie tecnologie, come la digitalizzazione, la smart logistics (sistemi di tracking centralizzati/decentralizzati, loading opti-

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Figura 2Decentralizzazione energetica

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62 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

LA GREEN ENERGY & CLEAN TECH REVOLUTION: L’ITALIAN WAY PER COGLIERE L’OPPORTUNITÀ ALLE PORTE

mization, onboard telematics abilitate da sistemi di in-vehicle infotaiment, remote supply control, ecc.), smart manufacturing e le famose smart city. In quest’ultima categoria rientrano i sistemi di controllo del traffico, i sistemi di allerta e moni-toraggio della qualità dell’aria, la gestione dell’acqua, del riscaldamento e del condizionamento, gli smart building, la gestione integrata dei rifiuti con sistemi innovativi, ecc. Solo le tecnologie M2M, abilitate da sistemi come il Wi-Max e la banda larga, potrebbero consentire di ridurre altri 70 Mt di CO2 a livello europeo, comportanti un risparmio energetico pari a circa 31 miliardi di euro l’anno. Il che corrisponde ad altri 3 Mt di CO2 per l’Italia, in gran parte deriveanti dall’applicazione e dall’adeguamento dei sistemi di logistica nazionale e dall’ammodernamento delle nostre città.Un trattamento a parte meritano i sistemi di stoccaggio del-la CO2 , detti anche Carbon Capture & Storage System, si-stemi molto complessi e con molteplici applicazioni lungo la molto estesa catena del valore della CO2 che va dal capture vero e proprio, che può avvenire in vari momenti (prima e dopo la combustione), al trasporto e storage della CO2 fino al monitoraggio degli stoccaggi. Le tecnologie esistono già e sono in corso di veloce consolidamento.Quindi in Italia, aggiungendo anche queste tecnologie, po-tremmo arrivare ad una riduzione della CO2 per 55-75 Mt entro il 2020, se la Green Energy & Clean Tech Revolution partisse, consentendo di raggiungere dei risultati di rilievo già con le tecnologie odierne. Evidentemente, l’innovazione tecnologica in atto potrebbe portare benefici ben maggiori ma di difficile quantificazione.

3. L’Italian Way per cogliere l’opportunità alle porteMa come siamo messi oggi in Italia? Prima di immaginare lo scenario evolutivo e se e come la green revolution impat-terà sull’Italia è necessario partire da un breve esame del-

la situazione attuale e dal contesto di sistema e di mercato dell’energia in Italia. I consumatori di energia elettrica o termica che sia, privati o imprese, nel perdurare di questa crisi e con una ripresa che si fa attendere, sono sempre più sensibili al fattore prez-zo e quindi cercano/chiedono soluzioni e servizi per ridur-re la loro bolletta energetica. Notiamo anche una sempre più pronunciata competizione nei settori deregolamentati: newcomers, nuovi prodotti/servizi e sistemi tariffari innova-tivi sono esempi concreti di questa crescente competizione, nella quale difendere la propria base clienti e acquisirne di nuovi diventa un fattore fondamentale per garantire nel tempo la profittabilità del business, agevolando comunque la diffusione delle green energy; facilitate nella loro diffusio-ne anche dalla spinta regolamentare, in particolare a livello di Unione Europea, ma anche grazie alla sempre maggiore competitività economica delle stesse, sia con che senza in-centivi in taluni casi.Come tutto questo fenomeno, che si va diffondendo e re-plicando a livello europeo, troverà esplicitazione in Italia dipende dalle particolarità e specificità del nostro sistema nazionale. In tal senso, è necessario ricordare che per pro-blemi di atavica assenza di investimenti in R&S, una mai arrestata “fuga dei cervelli” e una non minore assenza di cultura e capacità di gestire il così detto technology transfer, ovvero il passaggio dei risultati da applicazioni in labora-torio ai brevetti prima e alla produzione industriale poi, il sistema Italia non è ovviamente il Paese dei grandi produt-tori di green technology. Spesso ci limitiamo a rivendere e commercializzare tecnologie di altri. Grandi società specia-lizzate di servizi per la gestione dell’energia (produzione, di-stribuzione e consumo) non si sono ancora diffuse in Italia. Contrariamente, invece, a quanto sta avvenendo negli Stati Uniti e nei maggiori Paesi Europei. A questo punto, l’unico player che potrebbe/dovrebbe raccogliere la sfida della Gre-

Figura 3Consumi energetici EU e Italia

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Figura 4Dalle reti tradizionali alle smart grid

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SPECIALE STRATEGY PRACTICE ACCENTURE | 3.2010 63

RESOURCES

en Energy Revolution sono le Utility.Considerato ciò, con buone probabilità, non saremo mai degli esportatori netti di tecnologie di green energy. Ov-viamente, esisteranno delle eccezioni, come le Utility che, avendo lavorato bene in alcune aree, come quella del-lo smart metering e delle smart grid, potranno addirittura esportare competenze e tecnologie. Ma questo, come si è soliti dire, sarà l’eccezione che confermerà la regola. Ma, altresì, non vi è dubbio che l’Italia è il Paese per eccellenza per l’applicazione delle nuove green energy and technolo-gy. Il solare, l’eolico e il geotermismo, solo per fare alcuni esempi, hanno un potenziale di applicazione in Italia molto più ampio e profittevole di molti altri Paesi. Poiché l’Italia è ancora indietro nell’adozione, non possiamo che prevedere un futuro e forte incremento delle green energy e technology in Italia. Tanto che molti operatori e Utility esteri pensano all’Italia come un mercato ad alto potenziale dove entrare o rafforzare la propria offerta.La diffusione delle green energy si accompagna anche a quel-lo che è il fenomeno noto come “decentralizzazione energe-tica”; lo scenario sponsorizzato e desiderato dalla stessa EU, per garantire la maggiore efficienza energetica. Gli standard di efficienza energetica fissati dalle nuove normative, come i nuovi obiettivi, ad esempio quello che prevede che entro il primo gennaio 2019 tutti i nuovi edifici in Europa dovranno essere autonomi in termini di produzione di energia, rendo-no chiaro il disegno ultimo verso il quale si va a convergere.Ovviamente questo scenario deve essere abilitato e un ruo-lo fondamentale in tal senso è giocato dalle tecnologie ICT, come ad esempio quelle di smart grid, smart meter e smart building di cui abbiamo già parlato. Quando sarà raggiunta la grid parity, tutte le Utility Italiane non potranno che adottare le green energy & clean techno-logy. Ma in realtà, le Utility, dotate di sufficiente vision, do-vrebbero muoversi ora e accelerare il “passo” nell’adozione delle stesse. Questo per diversi motivi:

Soddisfare le crescenti richieste della clientela di energia verde e pulita.Guadagnare l’immagine di “first mover”, guadagnando un vantaggio competitivo in termini di market share sui competitor che si muoveranno solo successivamente.Minimizzare la cannibalizzazione del business indotta dalla decentralizzazione energetica. Sfruttando il fat-to che le tante PMI aziende industriali e/o commer-ciali Italiane sono sempre più interessate a proposte di adozione delle green energy, le Utility dovranno pro-teggere la loro customer base da offerte green che si faranno sempre più interessanti in termini economici nei prossimi 2 o 3 anni.La diffusione della decentralizzazione energetica e delle relative smart e micro grid, dovrà nel contempo

favorire la di!usione del VAS (Value Added Service), consentendo alle stesse Utility di recuperare parte delle loro revenue attuali, generate sui business non regolamentati come la vendita di energia elettrica e gas attraverso servizi energetici, come il tele-monito-ring, la pronta assistenza 24/7 dei ricambi e riparazio-ne, l’energy audit e consulting, e la certificazione delle performance energetiche.

Anche la scelta dei servizi a valore aggiunto è dettata dalla normativa e se alcune Utility non vorranno cimentarsi nei VAS, nell’offrire servizi di smart logistic, come lo sviluppo di smart city ed eco-distretti, qualche altra Utility lo farà met-tendo comunque a rischio il valore della loro base clienti. Per questo, riteniamo che le Utility Italiane dovrebbero la-vorare nella direzione di rafforzare la gamma e l’estensione dei propri servizi, garantendo così la soddisfazione e reten-tion della propria base clienti e creando le competenze per acquisire nuovi clienti.In questo contesto, un ulteriore ruolo potrebbe essere gio-cato nell’innovazione tecnologica se l’attesa ristrutturazione dell’ENEA avesse l’ambizione di essere un’occasione, più unica che rara, per avviare in Italia una cultura rinnovata e moderna della ricerca e dell’Innovazione tecnologica.Ovviamente, non possiamo contare solo sull’ottima collo-cazione del nostro territorio, sulla reazione illuminata di qualche top manager di questa o quell’utility, o su una au-spicabile riforma del sistema di R&S del Paese. Per questo il ruolo d’indirizzo del governo e delle amministrazioni locali deve essere chiaro e fermo, capace di proseguire un’opera di promozione e sostegno, e al contempo di pretendere sem-pre maggiori standard di efficienza energetica affinché la ri-voluzione auspicata abbia inizio e abbia tempo di propagarsi con sufficiente forza. Il decreto Ronchi che “incentiva” le multiutilities a ridurre il loro azionariato pubblico, ci sembra un passo in tal senso, o vogliamo vederlo anche sotto questa luce. Ovviamente, una maggiore partecipazione del privato nelle Utility italiane, vi-sto il ruolo importante che devono giocare in questa rivolu-zione alle porte e gli importanti investimenti che dovrebbero mettere in campo, consentirebbe che un business case posi-tivo per decidere in merito agli investimenti infrastrutturali o all’introduzione di una nuova tecnologia, a prescindere se la convenienza economica derivi da incentivi governativi o da una vera e propria grid parity, potrebbe avere maggiori possibilità di essere trasformato in realtà. Inoltre, la riduzione delle “interferenze” pubbliche dovreb-be a sua volta accelerare il processo di consolidamento tra le uti-lity, e quindi renderle maggiormente pronte ad affrontare le im-portanti sfide d’investimento e cambiamento che le attendono.In quest’ottica giocano un ruolo fondamentale le città, che proprio ora hanno la grande possibilità di diventare il centro

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64 SUPPLEMENTO A Harvard Business Review

LA GREEN ENERGY & CLEAN TECH REVOLUTION: L’ITALIAN WAY PER COGLIERE L’OPPORTUNITÀ ALLE PORTE

dell’innovazione, dell’ammodernamento, della ripartenza e la prima vera risposta alla sfida della riduzione della CO2. E questo è vero per le città di molti Paesi Europei, e in molte, a livello EU, hanno capito e si stanno facendo carico di tale responsabilità, chiamando a raccolta e coordinando lo sfor-zo dell’attore pubblico, come dell’utility locale e dei privati, facendo del project financing e del ricorso ai fondi comunita-ri degli strumenti indispensabili per vincere la competizione del futuro. Oggi il 60% delle emissioni di gas serra è pro-dotto dalle città, dove si concentra il 50% della popolazio-ne globale, a fronte di un fenomeno di urbanizzazione che non si arresterà, tanto che nel 2030 le città ospiteranno il 60% della popolazione globale. Accenture, proprio secondo queste logiche, sta supportando il progetto di Amsterdam SmartCity (vedi figura 5) e i più grandi progetti di smart city in Europa e nel mondo.

4. In sintesiDall’analisi condotta si trae la conclusione che la Green Energy & Clean Tech Revolution ormai alle porte costituisce un’opportunità evidente che può essere colta anche dall’Ita-lia, nonostante le estremizzazioni dei catastrofisti e dei ne-gazionisti che si pronunciano su questi temi. Come abbiamo detto, realizzare la rivoluzione anche in Italia richiederà for-se un adeguamento al nostro sistema e alle nostre caratteri-stiche, ma tutto ciò è possibile. Occorre, però, che gli attori principali si attivino tempestivamente, e questo concerne in particolare le utility, il Governo e le amministrazioni locali.

GLI AUTORI

Mauro Marchiaro Managing Director - Management ConsultingResources

Luca Scanu Partner Strategy Practice

Danilo Troncarelli Senior Manager Strategy Practice

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Figura 5Amsterdam Smart City


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