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Master “Hospital Risk Management” a.a. 2017 · caratteristiche più ricercate nei...

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Master Hospital risk management Pag. 1 Master “Hospital Risk Management” a.a. 2017 Rischio clinic e p 1. Decision Making 2. Psicologia cognitiva e Rischio Clinico A cura di Donata Brivio
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Master

“Hospital Risk Management”

a.a. 2017

Rischio clinic e p

Psicologia cognitiva

1. Decision Making

2. Psicologia cognitiva

e Rischio Clinico

A cura di Donata Brivio

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Sommario 1. DECISION MAKING .................................................................................................................................... 4

1.1 Approcci teorici al decision making ....................................................................................................... 5

1.2 Naturalistic Decision –Making ................................................................................................................ 6

1.3 Decision Making di Gruppo .................................................................................................................... 8

1.4 Decidere efficacemente: uno strumento ............................................................................................. 10

2. PSICOLOGIA COGNITIVA E RISCHIO CLINICO ................................................................................ 13

2.1 Processo decisionale individuale e distorsioni cognitive ................................................................. 14

2.2 Le patologie della decisione di gruppo ............................................................................................... 18

CONCLUSIONI .................................................................................................................................................. 19

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................................................................. 20

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INTRODUZIONE:.

Ogni giorno e per molte volte, siamo chiamati a compiere delle scelte, a prendere decisioni,

a risolvere problemi, dai più semplici o automatici, ai più complessi e rischiosi. All’interno di

ogni organizzazione e quindi anche di quella sanitaria, viene presa quotidianamente una

varietà di decisioni, in relazione ai problemi di diversa natura e importanza. Alcune decisioni

sono dette strategiche in quanto rivestono un carattere di particolare rilevanza per il

funzionamento organizzativo e riguardano la pianificazione a lungo termine; altre decisioni

rivestono carattere manageriale e hanno una funzione di coordinamento e di integrazione

fra i diversi settori dell’organizzazione rispetto all’ambiente esterno; infine decisioni tecniche,

strettamente operative, assumono un’importanza vitale per il funzionamento organizzativo.

La qualità dell’assistenza sanitaria non può prescindere da “buone decisioni”. Una delle

caratteristiche più ricercate nei manager/leader è una buona capacità di decision making.

Ogni decisione comporta la capacità di scegliere tra due o più opzioni e ogni scelta ha come

conseguenza un’azione, che va ad incidere sulla realtà, modificandola. Il processo

decisionale rappresenta un fattore fondamentale nonché di criticità per poter condurre ogni

tipo di attività in sicurezza evitando incidenti. Un processo decisionale ottimale infatti,

diminuisce i rischi e le probabilità di danni, aumentando il livello di sicurezza in ogni ambito

organizzativo.

Ma decidere non è facile: in ambito ospedaliero le decisioni sono spesso prese in condizioni

di incertezza. In tali condizioni, nell’affrontare problemi decisionali vengono adottate strategie

che consentono di prendere decisioni rapide ed efficaci; ci si affida a scorciatoie mentali : le

euristiche, che talvolta, producono errori sistematici con conseguenze rilevanti nella realtà.

La conoscenza dei processi decisionali e la consapevolezza delle trappole in cui si incorre

quando si decide, offre indicazioni e strumenti per aiutare a decidere al meglio prevenendo i

rischi e i danni conseguenti.

“Niente e’ più difficile ,

e quindi più prezioso

dell’essere in grado di decidere”

Napoleone - 1804

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1. DECISION MAKING

Per “Decision Making” si intende un processo mentale, volto alla formulazione di giudizi, atti

a selezionare fra più opzioni, per il raggiungimento di determinati obiettivi.

Decidere deriva da “de-cadere”, tagliare via e comporta una selezione di una via di azione

escludendone altre. Accolta questa definizione di decisione, ne deriva la sua struttura

basata sulla formulazione di giudizi, allo scopo di affrontare un dubbio o un’incertezza da

superare. Decidere e risolvere un problema, sono processi ritenuti assimilabili in quanto

fanno ricorso agli stessi processi cognitivi (memoria, attenzione e ragionamento), tuttavia

sono diversi (Rumiati 1990). Il problem-solving è una attività della mente che richiede

l’utilizzo di strategie solutorie; il decision making, invece, utilizza strategie di valutazione per

una scelta tra le tante opzioni possibili, per risolvere un problema. Il processo decisionale si

poggia sul sistema informativo, in quanto l’elemento base ed il materiale costitutivo di tutte le

componenti decisionali sono le informazioni. Queste, a loro volta, derivano dai dati, che

devono essere percepiti, selezionati, interpretati e immagazzinati in relazione ad altri per

diventare tali. Il termine processo sottolinea il carattere non istantaneo della decisione, ma

piuttosto la concatenazione di un insieme di fasi nelle quali la decisione può essere

scomposta. Quindi, un’analisi del processo decisionale non può prescindere da una visione

delle fasi che lo compongono, senza soluzione di continuità. Nel dettaglio le fasi sono le

seguenti

1. Riconoscimento di una situazione ambientale problematica;

2. Raccolta di informazioni per la valutazione della situazione e classificazione del problema;

3. Elaborazione delle possibili alternative per la soluzione del problema;

4. Valutazione delle diverse alternative e scelta di un’alternativa;

5. implementazione dell’alternativa prescelta;

6. valutazione degli esiti della decisione.

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1.1 Approcci teorici al decision making

Il processo decisionale è oggetto di studio di varie discipline: logica, statistica, psicologia,

sociologia, economia, politologia, ecc.

L'approccio allo studio delle decisioni si può distinguere in normativo e descrittivo. L’

approccio normativo cerca di spiegare il modo con cui le decisioni dovrebbero essere prese,

e fa riferimento ad un comportamento decisionale di ideali decisori razionali; invece, un

approccio descrittivo parte da comportamenti decisionali reali e da questi costruisce in

modo induttivo le sue teorie. Esso spiega come effettivamente le persone si comportano in

situazioni reali anziché come dovrebbero comportarsi.

Lo studio della presa di decisione si può far risalire agli inizi degli anni ’50: lo scopo

principale delle ricerche era quello di descrivere come una persona dovrebbe prendere le

decisioni se si comportasse in maniera unicamente “razionale”.

Le teorie normative infatti, partono dal presupposto che qualsiasi individuo posto di fronte ad

un dilemma decisionale, abbia tutte le informazioni che servono, conosca tutte le opzioni e le

possibili conseguenze in maniera certa e sia in grado di effettuare la scelta dell’opzione

ottimale che può assicurare la maggiore utilità attesa.

La teoria dell’utilità attesa, elaborata da von Neumann e Morgenstern nel 1944, si basa su

una serie di assiomi che delineano la condotta razionale nel processo decisionale degli

individui.

Partendo dalla violazione di questi assiomi è nato un nuovo approccio al processo

decisionale chiamato “ descrittivo o cognitivo” che risale agli inizi degli anni ’70 (Tversky,

1969; Tversky, Slovic, Lichtenstein e Kahneman 1982; Kahneman & Tversky, 1979;

Lichtenstein & Slovic, 1971;). Partendo dal presupposto che il decisore non si comporta in

conformità alla teoria standard, gli autori mettono in luce l’esistenza di vincoli ambientali,

organizzativi e soprattutto individuali che influenzano la possibilità di decidere secondo un

modello puramente razionale.

Secondo Herbert Simon (1956), gli individui sono caratterizzati da una “razionalità limitata” e

quindi da una limitata capacità di raccogliere, selezionare ed elaborare le informazioni che

provengono dall’esterno a causa di limiti strutturali dei processi cognitivi quali processi

percettivi, attentivi e mnestici; la percezione è selettiva ed è condizionata da caratteristiche

soggettive e fisiologiche, l’attenzione è una risorsa limitata e la memoria presenta limiti

relativi alla capacità di recupero delle informazioni immagazzinate. Di conseguenza, l’esito

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del processo decisionale non corrisponde alla scelta dell’alternativa che garantisce l’esito

ottimale ma, alla scelta di un corso di azione soddisfacente.

1.2 Naturalistic Decision –Making

L’approccio descrittivo ai processi decisionali, con una serie di osservazioni empiriche

condotte sul campo, ha focalizzato l’attenzione su decisioni assunte in tempo reale,

nell’operatività, dagli operatori di front- line, piuttosto che a livello tattico o strategico. Le

prestazioni umane in ambienti di lavoro dinamici, rischiosi e soggetti a pressioni temporali e

stress hanno dimostrato che l’approccio teorico classico sulla decisione era di limitata

applicazione .

Dalle ricerche sul campo è scaturito, tra gli altri, un modello di analisi della decisione

denominato “teoria naturalistica”. Tale modello, attraverso l’osservazione di decisori esperti,

nel loro contesto lavorativo quotidiano (aviazione, posti di comando militare, servizi di

emergenza,ospedali, centrali nucleari), descrive le modalità di presa di decisione in

condizioni di alto rischio, di elevata incertezza, di informazione inadeguata, di obiettivi

instabili e di tempi stringenti (Hoffman,2006; Lipshitzet al.2001, Salas e klein 2001). Tale

modello sottolinea l’importanza di una serie di fattori ambientali legati all’organizzazione, ai

processi di lavoro, allo stress emotivo prodotto dall’ambiente, alla mancanza di tempo e ai

modelli comunicativi all’interno del team. La decisione in questi ambiti è spesso

caratterizzata dalla valutazione di una singola opzione.

Questo approccio qualitativo individua e mette in risalto soprattutto costrutti come

l’esperienza e l’intuizione. Nell’ambito del più complesso quadro che costituisce la teoria

naturalistica delle decisioni, il “Naturalistic Decision-Making”, (NDM), si applica

particolarmente bene alle situazioni decisionali in cui il professionista esperto deve essere in

grado di interagire con i livelli di incertezza che caratterizzano un contesto dinamico. In

condizioni critiche di emergenza, le decisioni sono prese attraverso processi intuitivi ed

automatici. Nel valutare le situazioni contingenti, i professionisti esperti beneficiano

dell’enorme vantaggio derivante dall’esperienza. I decisori esperti infatti, dispongono di una

notevole esperienza oltre a un patrimonio di conoscenze che permettono loro di riconoscere

in breve tempo la situazione nella quale si trovano e di attivarsi con una risposta rapida.

L’accuratezza decisionale è inversamente proporzionale alla situazione di emergenza

situazionale. Le decisioni prese in emergenza sono caratterizzate da una negoziazione tra i

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componenti dell’equipé aventi diverse esperienze e sono influenzate dalla comunicazione e

dalla tecnologia. Il DMN evidenzia che oltre agli aspetti cognitivi della decisione occorre

considerare anche quelli situazionali e relazionali.

Il modello DMN prevede due fasi principali: la valutazione della situazione e la presa di

decisione. Durante la prima fase viene diagnosticata la situazione problematica (qual è il

problema, Il tempo a disposizione, l’esperienza, il carico di lavoro e le aspettative

rappresentano fattori in grado di incidere sulla diagnosi della situazione problematica e

quindi sulla decisione da prendere. La seconda fase del modello prevede la decisione vera e

propria (cosa fare), in risposta alla situazione problematica evidenziata. La scelta può

seguire un diverso percorso di azione:

- Intuitivo, innescato dal riconoscimento. Segnali relativi alla situazione possono

essere individuati attraverso il ricordo di eventi precedentemente immagazzinati, come

alcuni schemi e prototipi. Il rapido recupero dalla memoria di un corso di azione

associato a una situazione riconosciuta, avviene quasi automaticamente, con una

bassa valutazione cosciente.

- Rule-based, basato sulle regole. La situazione problematica deve essere identificata

e associata alla ricerca di una regola o procedura da applicare. Questo processo

richiede uno sforzo cognitivo cosciente, in quanto il decisore deve recuperare

attivamente i dati dalla propria memoria, oppure consultare un manuale per trovare la

procedura e/o la regola adeguata a risolvere la situazione.

- Analitico, prevede la comparazione di opzioni. Il decisore genera diversi percorsi

d’azione possibili, sulla base dei propri ricordi, della letteratura e delle informazioni

provenienti dagli altri membri dell’equipè e li compara attentamente per determinare il

più appropriato a risolvere la situazione problematica. Questo percorso d’azione, oltre

a richiedere uno sforzo cognitivo maggiore, rispetto a quello rule.based, è sensibile

allo stress e richiede molto tempo.

- Creativo, innovativo. Costituisce il percorso meno utilizzato poiché richiede la

creazione di strategie nuove per le situazioni poco familiari. Richiede molto tempo, è

influenzato da stress e da distorsioni cognitive e il percorso di azione identificato

risulta difficile da giustificare a terzi.

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1.3 Decision Making di Gruppo

Una delle domande più frequenti cui gli studiosi cercano di trovare una risposta è se affidare

una decisione ad un solo individuo o ad un gruppo. Una convinzione, espressa da studiosi

nel corso della storia è rappresentata dall’idea che un gruppo possa prendere una decisione

più ragionevole e più razionale rispetto a quella di un singolo. La maggior efficienza dei

gruppi rispetto agli individui è dimostrata dal fatto che, in media, il risultato di un gruppo

supera quello del singolo individuo più dotato che fa parte dello stesso gruppo. Da Hamilton

a Rawls questa convinzione è stata suffragata dal fatto che il confronto fra individui possa

portare risultati migliori rispetto a quelli che può sviluppare un singolo.

Ma dagli anni Sessanta del secolo scorso questa convinzione è stata sottoposta ad

esperimenti da parte di psicologi cognitivi e sociali e alcuni risultati hanno portato a

dichiarare che non sempre gli individui in gruppo producono decisioni più equilibrate e

razionali degli individui singoli. Spesso si assiste a decisioni di gruppo con conseguenze

disastrose nonostante la preparazione e la competenza dei singoli membri.

Secondo Cortese e Quaglino (2007) il processo decisionale di gruppo comporta dei vantaggi

in quanto:

i gruppi di solito producono molte più alternative e molti più approcci ad un problema o

ad una decisione, rispetto ai singoli membri;

il gruppo dedica molto più tempo alla ricerca di quanto non facciano i singoli membri

separatamente, quindi ha un afflusso maggiore di conoscenze.

il gruppo offre appoggio psicologico, utile a fronteggiare eventuali pressioni

dell’ambiente esterno; inoltre, quando ogni membro contribuisce alla decisione, si

generano ownership, entusiasmo ed impegno;

i gruppi riducono le resistenze alle nuove idee, determinando una maggiore

comprensione delle scelte che vengono prese.

I gruppi riescono a dare alla propria attività decisionale una migliore organizzazione,

dividendo un compito complesso in parti più semplici da assegnare ai singoli membri.

Gli autori inoltre riportano alcuni effetti caratteristici della decisione di gruppo:

- l’effetto filtro: il gruppo concentra l’attenzione sugli aspetti più importanti della

decisione, favorendo la scelta migliore ed evitando di trascurare aspetti meritevoli

d’attenzione;

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- la compensazione: le stime di molte persone, piuttosto che di una singola, sono

più affidabili e permettono di mitigare gli estremi e attestarsi su un valor medio più

verosimile;

- l’adesione: i membri del gruppo, si conoscono e condividono le idee. E’ un fattore

positivo solo se non impedisce la ricerca di alternative e la libera discussione per la

ricerca ossessiva dell’unanimità e del consenso.

Fra gli svantaggi della decisione di gruppo si segnala:

- il costo per una dispersione delle risorse e la lentezza del processo decisionale

- la probabilità di inefficacia della decisione quale risultato di un compromesso tra

le opinioni di tutti i membri

- l’impossibilità di rendere responsabili i membri del gruppo delle decisioni prese

dal gruppo

- difficoltà di comunicazione e condivisione con gruppi particolarmente ampi

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1.4 Decidere efficacemente: uno strumento

L'analisi SWOT (conosciuta anche come matrice SWOT) è uno strumento strategico, di

supporto alle scelte, in risposta ad un’esigenza di razionalizzazione dei processi decisionali.

SWOT è l’acronimo di Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats. Tale strumento è

utilizzato per capire i punti di forza, risolvere le carenze, sfruttare le opportunità e ridurre al

minimo le minacce dell’azienda o di un progetto. Inoltre valutare capacità e risorse è utile per

supportare con dei dati le informazioni, le tendenze e gli approfondimenti aumentando la

probabilità di raggiungere obiettivi, definire strategie e tattiche

L'analisi riguarda l'ambiente interno (punti di forza e debolezza) e l’ambiente esterno di

un'organizzazione (minacce ed opportunità). La Matrice TOWS poi, permette di coniugare i

fattori interni ai fattori esterni e di definire le opportunità di sviluppo di una situazione, che

derivano da una valorizzazione dei punti di forza e da un contenimento dei punti di

debolezza interni alla luce del quadro di opportunità e minacce che dipendono dall’esterno

In tal senso è utile considerare che:

– I punti forti e i punti deboli sono facilmente modificabili

– Per le opportunità e i pericoli bisogna agire all’esterno, sul contesto, con i gruppi di interesse e sono meno facilmente modificabili

Tale tecnica sviluppata fra gli anni '60 e '70 è attribuita a Albert Humphrey.

Le principali fasi di attuazione della S.W.O.T. analysis sono:

1. IDENTIFICARE IL PROBLEMA E VALUTARE LA SITUAZIONE

1.1 RACCOLTA MINUZIOSA DELLE INFORMAZIONI

1.1.1 individuazione dei fattori interni

Definizione dei punti di forza e di debolezza. In questa fase la raccolta

di informazioni verte sulle abilità, risorse e vantaggi dei fattori interni o sulla loro assenza. I

punti di I punti di forza possono essere riferiti all’organizzazione nel suo complesso o

alle persone (servizi nuovi, abilità e conoscenze).

Fra i punti di debolezza possiamo segnalare ad esempio l’inconsapevolezza di una

legislazione appropriata, l’assenteismo, una leadership non adeguata, una scarsa

comunicazione, la mancanza di motivazione. Si tratta comunque di una fase

molto delicata che necessita di una attenta definizione di tutti i punti critici di successo e di

quelli eventuali d’insuccesso.

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1.1.2 Individuazione dei fattori esterni

Definizione di opportunità e minacce esterne. Per quel che concerne le opportunità,

si valutano le richieste sociali/sanitarie e le situazioni ambientali e demografiche (ad es.:

opportunità di finanziamenti, disponibilità di nuove tecnologie….)Le minacce

rappresentano l’opposto delle opportunità e sono da considerare alla stregua di potenziali

pericoli in modo da circoscriverli e, se possibile, da eliminarli (problemi di

badget, concorrenti ecc..).

1.2. PRENDERE UNA DECISIONE

1.2.1. Classificazione/Selezione delle possibili strategie.

In tale fase, si fa leva sui punti di forza, si cerca di ridurre i punti di debolezza, si

massimizzano le opportunità e si minimizzano le minacce, dando così vita agli

obiettivi.

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1.2.2. Realizzazione delle strategie e controllo.

In quest’ultima fase, che può essere considerata una fase di mero controllo, si valuta la

rilevanza di una strategia pianificata o già attuata ossia la rilevanza degli interventi rispetto

agli obiettivi stabiliti e raggiunti..

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2. PSICOLOGIA COGNITIVA E RISCHIO CLINICO

Con rischio clinico si definisce la possibilità che un paziente subisca un “danno o disagio

involontario, imputabile alle cure sanitarie, che causa un prolungamento del periodo di

degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte”.

“Dopo una giornata di grande carico di lavoro, gli operai entrarono nella cabina elettrica in

cerca dell'ennesimo guasto. Gli utenti della zona protestavano per il disservizio. Il

caposquadra cercò di individuare il guasto il più velocemente possibile e, non attendendo il

via libera dai colleghi, innescò un arco elettrico che lo uccise sul colpo.

L'anestesista era immerso nei suoi pensieri durante l'operazione, tutto era nella norma

mentre il chirurgo procedeva con l'intervento. Poi qualcosa di inatteso accadde, il cuore del

paziente andò in bradicardia, l'anestesista abbandonò i suoi pensieri e somministrò per

errore una fiala di intrastigmina anziché atropina. Il paziente morì per arresto cardiaco.

Il controllore di volo era in turno di notte, tutto andava bene. Il collega si allontanò per

riposare e il controllore si trovò a dover lavorare su due schermi, come spesso era capitato di

dover fare. Quella sera però erano in corso i lavori di manutenzione dei radar e i sistemi di

allarme rispondevano con ritardo. Il traffico aereo aumentò, il controllore perse il contatto con

due aerei che erano in rotta di collisione e diede loro indicazioni sbagliate che li portarono a

scontrarsi in volo, provocando la morte di centinaia di persone.

Come hanno potuto?

Com'è possibile che un operaio esperto intervenga su linee ancora in tensione? Com'è

possibile che un anestesista confonda due farmaci? Com'è possibile che un controllore di

volo non si accorga di aver messo due aerei in rotta di collisione?

Queste tre storie sono purtroppo reali.

Sono solo tre di migliaia di situazioni che ogni giorno si verificano sui luoghi di lavoro.

Spesso, quando nei giornali leggiamo di queste tragedie, ricorre sistematicamente un

commento: “Si è trattato di errore umano!”. Dietro questa etichetta si nasconde però un

mondo, che la psicologia cognitiva permette di indagare nel dettaglio. La maggior parte degli

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incidenti nei sistemi sociotecnici complessi dipende da errori involontari, spesso riconducibili

a distrazione, carenza nella comunicazione e coordinamento fra colleghi, difficoltà nel capire

e gestire la situazione. Molto raramente gli incidenti sono dovuti a palese negligenza, scelte

spericolate, incompetenza professionale. Ciò significa che un approccio corretto e preventivo

non dovrebbe mirare alla semplice identificazione e punizione del “colpevole”, ma

all'interpretazione dell'errore visto come un sintomo di limitate risorse cognitive. L'errore deve

essere l'inizio dell'indagine sull'incidente, non il termine. Allora si capirà che l'operaio ha agito

credendo di lavorare in sicurezza, come spesso aveva fatto in passato; che il medico ha

confuso tra loro due fiale aventi una confezione identica; che il controllore di volo era

sovraccarico di lavoro e confidava nel normale funzionamento dei radar. In questa

prospettiva l'errore viene analizzato e valorizzato, considerato fonte d'informazione da cui

apprendere. L'obiettivo diviene quindi quello di migliorare il rapporto fra l'uomo e il suo

ambiente professionale attraverso gli strumenti, le procedure che supportano le prestazioni

dell’operatore e garantendo sicurezza, benessere ed efficienza operativa.

2.1 Processo decisionale individuale e distorsioni cognitive

Quando le persone devono compiere delle scelte, spesso adottano delle strategie che

consentono di prendere decisioni rapide, veloci ed efficaci. Queste procedure rappresentano

scorciatoie mentali, che consentono di prendere una decisione, compatibilmente con la

complessità della situazione e la limitatezza del sistema cognitivo, risparmiando tempo e

risorse. L’euristica o eurisma definisce qualsiasi accorgimento che permette di ridurre la

normale ricerca della soluzione. Attraverso l’uso di tali sistemi cognitivi, la mente umana

cerca di adattarsi alla complessità decisionale sviluppando una forma di adattamento alla

razionalità limitata. Significativi sono stati i contributi teorici di Kahneman e Tversky (1973)

che dimostrarono come le persone impegnante a prendere decisioni si avvalgano di processi

euristici. I processi euristici possono verificarsi in modo consapevole o inconsapevole.

L’applicazione delle scorciatoie mentali può produrre il risultato sperato, ma in alcune

situazioni può portare a risultati fuorvianti. Nel caso in cui una persona, nella decisione, fa

ricorso ad una euristica automatica e inconsapevole si espone più facilmente al rischio di

errori (mistakes). Le ricerche sociologiche dimostrano che eurismi, non occasionali ma

sistematici, possono portare a decisioni sbagliate definibili come distorsioni cognitive. In

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ambito clinico, infatti, le distorsioni cognitive rappresentano l’origine di errori commessi da

operatori sanitari con livelli di esperienza e conoscenze diverse. Il decisore esperto è colui

che è consapevole delle distorsioni euristiche, le conosce e le sa controllare.

Le diverse tipologie di euristiche possono interessare le diverse fasi del processo

decisionale.

Nella prima fase del processo decisionale (definizione del problema) possono presentarsi

distorsioni dovute al:

1. framing effect . I frames sono particolari strutture mentali che permettono ad ogni

individuo di definire in modo diverso dagli altri le modalità di approccio al problema.

Inoltre questa distorsione cognitiva porta a valutare le informazioni relative ad un

problema in relazione a come vengono presentati e al contesto in cui vengono inseriti

(incorniciamento). Nell’approccio ad un problema, ci si può focalizzare su un aspetto

particolare, escludendo la ricerca e l’analisi di informazioni utili per una scelta corretta.

L’adozione di un particolare “Frame” o punto di vista può essere derivare dalla

soggettiva opinione del decisore e anche dal linguaggio e dai punti di riferimento

adottati inconsapevolmente( Grandori 1999).

Nelle fasi successive del processo decisionale, che riguardano la raccolta e la valutazione

delle informazioni e le alternative possibili per la soluzione del problema, gli individui

possono subire distorsioni inconsapevoli e sistematiche. Tversky e Kahneman (1974) ne

hanno individuate tre principali:

1. Disponibilità: durante la raccolta delle informazioni l’individuo ricerca solo quelle con

caratteristiche di maggior frequenza e vicinanza con risparmio di tempo e sforzo

cognitivo. Il risultato di questa distorsione è che le persone tendono a valutare la

situazione problematica in base alla frequenza o probabilità con cui si verifica: il

giudizio è basato sulla facilità e rapidità con cui vengono in mente esempi associati

alla categoria del giudizio in questione . Nella maggior parte delle situazioni questa

euristica genera decisioni corrette ma purtroppo non sempre la frequenza associata

agli eventi disponibili alla mente corrisponde a quello dell’evento che si sta

considerando: il ricordo delle informazioni è influenzato dall’impatto emotivo e

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dall’importanza dell’informazione e vengono così tralasciate tutte le altre soluzioni

possibili.

Esperimenti

- Nisbett e Ross (1998) chiedendo a un gruppo di disoccupati di stimare il livello di

disoccupazione nella loro città, questi tendevano sovrastimare il dato, mentre lo

stesso quesito posto a un gruppo di occupati otteneva una sottostima del livello di

disoccupazione. La differente disponibilità in memoria di esempi di persone

disoccupate spiega la diversa stima da parte dei due gruppi.

2. Rappresentatività: è la distorsione legata alla percezione secondo stereotipi.

L’opinione del decisore è legata alla valutazione del problema precostituita ed è frutto

di un pregresso processo d’iper- generalizzazione e iper-semplificazione e prescinde

dalla valutazione del singolo caso.

Esperimenti:

- kahneman e Tversky (1973) hanno proposto ad un gruppo di persone descrizioni

di personalità, estratte a caso da 100 descrizioni di alcuni professionisti, dei quali

30 erano ingegneri e 70 avvocati. I soggetti valutarono la probabilità che una

descrizione corrispondesse a un ingegnere piuttosto che ad un avvocato, in base

al grado di rappresentatività degli stereotipi associate alle due categorie

professionali. Diversamente quando non fu fornita alcuna descrizione di

personalità, i soggetti tennero conto delle probabilità e diedero la risposta corretta

basata sul calcolo di probabilità

3. Ancoraggio: si verifica quando gli individui formulano deduzioni ancorando le proprie

valutazioni a informazioni o avvenimenti passati che diventano un riferimento

assoluto. Questo tipo di euristica si verifica in condizioni di scarsità di tempo o di

informazioni incerte o ambigue e determina la presa di decisione per aggiustamento

rispetto a esperienze antecedenti. E’ espressione di inerzia mentale per mancata

revisione corretta delle probabilità posteriori di un evento.

Esperimenti

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- Kanhneman e Tversky (1974) chiesero a un gruppo di soggetti di apportare una

correzione ad una stima arbitraria che era loro proposta a proposito della

percentuale dei paesi africani presenti all’ONU. Ad alcuni soggetti era stato dato

un ancoraggio del 10% ad altri del 65%. Gli aggiustamenti operati dai soggetti li

portavano ad una stima rispettivamente del 25% e del 45%. Non si sono dimostrati

in grado di svincolarsi dal punto di ancoraggio anche se sapevano che si trattava

di un dato di partenza errato.

Nelle ultime fasi del processo decisionale (scelta dell’alternativa, implementazione e

valutazione dei risultati) si potrebbero verificare distorsioni cognitive, che consistono in:

1. Attribuzione erronea: è la tendenza sistematica ad attribuire i propri successi a fattori

interni (le nostre capacità) e gli insuccessi a fattori esterni (la sfortuna, l’ambiente o gli altri).

Nel caso di successi e insuccessi altrui, invece, si attuano processi opposti. L’errore consiste

nel fatto che non riconducendo i risultati delle nostre scelte alle reali cause, intensifichiamo

l’impegno perdendo l’opportunità di rivedere il processo decisionale e migliorare i risultati

ottenuti.

2. Auto-conferma: rappresenta la tendenza a cercare e raccogliere solo le informazioni che

vanno a confermare le scelte effettuate piuttosto che le falsificazioni. Si cade in questa

distorsione per scarsità di risorse e parzialità dei feed-back. Per verificare la correttezza della

scelta è necessario valutarne sia i pro che i contro. Questa distorsione cognitiva è spesso

legata all’overconfidence.

In conclusione si può affermare che gli individui sebbene eseguano sforzi per tenere sotto

controllo gli eventi e prevedere l’esito delle scelte, possono commettere errori tesi a

semplificare la complessità delle situazioni.

Inoltre nel processo decisionale, un ruolo fondamentale è rivestito dalle emozioni. Le

decisioni umane non sono guidate solamente da meccanismi razionali ma sono condizionate

dalle emozioni che determinano lo stato interiore dell’individuo. I soggetti decidono anche

perché motivati da determinati stati emotivi. L’effetto emotivo sulle decisioni può essere

categorizzato in due grandi classi. Una classe si riferisce al modo in cui le emozioni

influiscono direttamente sulle scelte dei soggetti, mentre la seconda è riferita alle emozioni

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implicite nelle conseguenze delle scelte. Ricerche hanno dimostrato l’esistenza di una

relazione tra stress e performance. In condizione d’elevato stress le performance cognitive

dei soggetti diminuiscono con distorsioni nella formulazione delle decisioni.

2.2 Le patologie della decisione di gruppo

Il gruppo può produrre risposte decisionali scorrette o inadeguate perché frutto di

comportamenti di presa di decisioni che hanno alla base processi di semplificazione o

distorsioni indotti da dinamiche interattive. Così come per i singoli individui, anche nel

decision making collettivo, si evidenziano distorsioni decisionali. Tali strategie di

semplificazione che possono essere funzionali ed adattivi in alcune situazioni, possono

condurre ad errori decisionali in altre situazioni:

pensiero di gruppo (groupthink). Questo fenomeno si riferisce a situazioni in cui,

un gruppo di individui apparentemente ragionevoli e intelligenti prende decisioni che

sono l’esito della pressione, esercitata sui singoli dal gruppo, a conformarsi e a

garantire una lealtà nei confronti di valutazioni e scelte collettive. Ogni individuo,

condivide ciò che egli ritiene essere il punto di vista del gruppo del quale fa parte, e

contribuisce in tal modo al realizzarsi di una situazione in cui il gruppo prende delle

decisioni che ogni singolo membro isolato non assumerebbe. Tra le cause principali di

questo fenomeno vi sono una forte coesione del gruppo e una sua chiusura nei

confronti dell’esterno, nonché situazioni di forte stress o di pericolo, assenza di norme

per valutare le alternative disponibili e presenza di un leader direttivo. Irvin Janis,

dallo studio delle decisioni prese in politica estera negli USA durante la guerra in

Vietnam, definisce il groupthink (letteralmente “pensiero di gruppo”) come ”un modo

di pensare adottato dalle persone profondamente coinvolte in un gruppo coeso

quando lo sforzo dei membri per raggiungere l’unanimità supera la loro motivazione a

valutare realisticamente azioni alternative”. Aggiunge inoltre che “il groupthink fa

riferimento a un deterioramento dell’efficienza mentale, della valutazione della realtà,

e del giudizio morale risultante dalle pressioni esercitate dal gruppo”.

Social loafing e diffusione della responsabilità si manifesta quando un gruppo di

persone che lavora insieme e decide collettivamente, raggiunge un risultato inferiore

rispetto al caso in cui i membri del gruppo lavorano e decidono separatamente.

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Questa distorsione aumenta con l’aumentare del numero dei membri nel gruppo. I

fattori che provocano questo effetto sono l’equità dello sforzo e la perdita di

responsabilità individuale così come la perdita di motivazione dovuta alla condivisione

dei premi.

Polarizzazione: ciò che avviene tipicamente in una decisione di gruppo è che alcuni

membri modificano la loro posizione iniziale individuale, altri la confermano per

arrivare a una decisione consensuale. Stoner nel 1961 osservò che gli individui riuniti

in gruppo manifestavano una più accentuata propensione ad assumere decisioni

rischiose quale fenomeno conseguente a processi di influenza sociale. La

polarizzazione si verifica quando l’iniziale posizione media del gruppo diventa più

estrema in seguito all’interazione dei suoi componenti (Moscovici, Zavalloni 1969)

Tenuto conto delle patologie a cui il gruppo può andare incontro, rischiando di assumere

decisioni che portano ad errori è necessario sviluppare una politica organizzativa per

migliorare i processi decisionali adottando e promuovendo strategie atte a

Promuovere una mentalità contro fattuale

Potenziare la capacità riflessiva del gruppo

Stimolare il dialogo e favorire il conflitto sui fatti e non sulle persone

Potenziare la comprensione intersoggettiva

CONCLUSIONI

Rafforzare le competenze dei professionisti rappresenta una strategia fondamentale per

l’erogazione di cure efficaci e sicure. Il processo di cambiamento, che già si è avviato in

questo senso, comprende anche lo sviluppo di non- Technical skill come il Decision Making.

Il punto critico però risiede nella comprensione delle dinamiche profonde dei processi di

scelta e nella realizzazione di interventi atti a migliorarne l’efficacia. Per garantire scelte

efficaci non è sufficiente fornire spiegazioni o illustrare ai decisori il processo di decision

making; la chiave di volta per migliorare la capacità di scelta degli operatori, in ambito

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sanitario, implica azioni che considerino l’aspetto cognitivo ed emotivo, individuale e di

gruppo all’interno del contesto organizzativo e operativo. Le diverse dimensioni, implicate

nella scelta, devono considerare gli operatori e loro professionalità all’interno di un contesto

organizzativo che può creare vincoli o influenze sulla scelta stessa.

D’altra parte una corretta gestione delle risorse ed un corretto processo decisionale possono

risolvere situazioni difficili e complicate di presa in carico, di diagnosi, di trattamento per le

persone che richiedono prestazioni al sistema sanitario.

Aumentare il livello di sicurezza in ambito sanitario presuppone quindi, il perfezionamento del

processo decisionale così da poter prendere la decisione migliore anche in circostanze

difficili e incerte con il vincolo dello stress e del tempo limitato.

“Lasciate perdere gli organigrammi: il segreto per una riorganizzazione efficace è

concentrarsi sulle decisioni, non sulle strutture”.

(Marcia W. Blenko, Michael C. Mankins e Paul Rogers, 2008)

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