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CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
TRADE MARKETING E STRATEGIE COMMERCIALI
OMNICHANNEL FASHION RETAIL
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa Francesca Negri
Laureanda:
Claudia Ronconi
Anno Accademico 2013 - 2014
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Indice
Introduzione
Capitolo 1
Scenari Fashion
1.1 Scenari ed evoluzioni nel fashion
1.2 La filiera della moda
1.3 La segmentazione della distribuzione analogica
1.3.1 Il mercato diretto analogico
1.3.2 Il mercato indiretto analogico
1.4 Il canale digitale, un format emergente
1.4.1 Segmentazione del mercato digitale
1.4.2 Mobile
1.5 Sinergie tra canali analogici e virtuali
1.6 La contraffazione virtuale
Capitolo 2
Il Consumatore Omnichannel
2.1 La segmentazione dei prodotti moda
2.2 Tendenze e acquisti online dei prodotti fashion
2.3 Il consumatore connesso
2.3.1 Nuove forme di socialità, le condivisioni e i legami
2.3.2 Il Prosumer e la personalizzazione
2.3.3 Il bisogno di esperienza del consumatore postmoderno
2.4 I comportamenti del consumatore europeo
2.5 Il consumatore Hyper Reloaded
Capitolo 3
Costruire un Approccio Omnichannel
3.1 Costruire un approccio omnichannel nel fashion
3.2 L’atmosfera nei fashion store
3.2.1 L’atmosfera ideale in un fashion store
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3.3 L’atmosfera negli E-commerce web-site
3.3.1 Il fashion web-site store ideale
3.4 L’atmosfera nelle fashion App per device mobili
3.5 Il ruolo dei Social Media
3.6. Ricerca sull'omni-canalità nel settore della moda
3.6.1 Analisi e Risultati della ricerca sull’omni-canalità nella moda
Conclusione
Bibliografia
Sitografia
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Introduzione
Recentemente abbiamo assistito a un'evoluzione del concetto di multicanalità nel
settore della moda. Con il progresso della tecnologia e la realizzazione di device
mobili sempre più prestanti e miniaturizzati, il consumatore è ora in possesso di
strumenti che gli consentono di soddisfare il suo fabbisogno d’informazioni in ogni
luogo e in ogni momento, rimanendo connesso ventiquattro ore su ventiquattro. Il
risultato di questo sviluppo lo troviamo nello showrooming, un’attività che consiste
nel recarsi in un punto vendita fisico per testare e provare il prodotto al fine diconcludere l'acquisto online. Inoltre, come afferma Valdani (2010): "I consumatori
rincorrono la moda, le sue seduzioni e le sue promesse. La moda e le aziende
rincorrono i consumatori seguendo strade e percorsi nuovi. In questo si creano
continuamente libertà possibili". Di conseguenza, è opportuno iniziare a parlare di
omnichannel fashion retail. Se da un lato la multicanalità riguarda le transazioni di
un individuo attraverso più di un canale, l'omnicanalità indica la possibilità di
controllare in modo istantaneo le infinite interazioni del consumatore attraverso più
piattaforme e strumenti. La scelta di studiare l'omnicanalità nel fashion viene da una
passione personale verso questo settore, sommata a un’effettiva rilevanza degli
acquisti online per quanto riguarda capi d'abbigliamento, scarpe, accessori e borse:
secondo "l’Osservatorio e-Commerce B2c in Italia: le prime evidenze per il 2014" di
Netcomm insieme al Politecnico di Milano, l'abbigliamento è il settore che registrerà
una crescita del 21% nel 2014 con un fatturato previsto di quasi 2 miliardi di euro.
Ancora, sempre secondo l'Osservatorio e-Commerce B2c, in base al rapporto:
"Mobile e Multicanalità: una svolta per l'e-Commerce in Italia?", considerando le
prime venti aziende più importanti in Italia (dal 2007 al 2013) vediamo che, tutti e
cinque gli operatori in ambito prodotti, trattano capi d'abbigliamento, scarpe,
accessori e borse. In più, mentre due operatori sono proprio specializzati in prodotti
moda: Privalia e Yoox, altri due (Amazon e Banzai), hanno sviluppato due siti di
flash sales molto rilevanti, sempre focalizzati nella vendita di prodotti fashion:
BuyVIP e Saldi Privati.
Il primo capitolo, "Scenari Fashion", ha come obiettivo quello di disegnare
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l'attuale contesto macro nel quale i fashion retailer operano. In particolare, grazie ai
contributi di Cardinali (2009), verranno definiti i fattori ambientali da domanda e da
offerta nel settore della moda. Successivamente, partendo dai fattori da offerta, si
proseguirà descrivendo l'evoluzione cronologica delle fasi distributive della moda e i
diversi modelli aziendali adottati, Lugli (2011) e Iacobelli (2010). In seguito,
utilizzando i contributi di Saviolo e Testa (2001), sarà illustrata la filiera della moda,
descrivendo il percorso seguito dal prodotto moda durante il processo di produzione,
trasformazione e distribuzione. A questo punto sarà rilevante la segmentazione della
distribuzione, concepita da una rielaborazione personale della classificazione di
Lugli (2011) e Cietta (2010). In particolare, sarà prima descritto il mercato analogico
(suddiviso in diretto e indiretto) poi, quello digitale, dove troviamo: i siti di e-
commerce monomarca ufficiali, Mosca (2010); i siti di social commerce, Iacobelli
(2010), Zhao e Morad (2012), Kang e Park-Poaps (2011) e Negri (2013); gli online
lifestyle store multibrand e i siti di flash sales, le cui informazioni sono state raccolte
partecipando al convegno " Digital Fahsion&Design - User Experience, Fulfillment e
Customer Care per le aziende della moda e del design" di Netcomm, tenutosi a
Milano il 17 aprile 2014. A riguardo è interessante anche il pensiero di Liscia,
presidente di Netcomm: "(...)lo smartphone e la casa sono il camerino degli
italiani". In dettaglio, per quanto riguarda il mobile - la cui audience da fine 2012 a
fine 2013 è aumentata del 17,2% - saranno utilizzati gli atti del convegno
dell'Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano del 26 febbraio 2014
"Osservatorio multicanalità: è il momento di osare" insieme ai corrispondenti dati
forniti dal Rapporto 2013 dell'Osservatorio. In seguito, dall'unione del mercato
digitale e mercato analogico, saranno determinate le possibili sinergie tra canali,
utilizzando nello specifico, i contributi di Kollmann, Kuckertz e Kayser (2012) e diZhang, Farris, Irvin, Kushwaha, Steenburgh e Weitz (2010); quest'ultimo apporto
fornisce cinque potenziali sinergie e opportunità che si possono sviluppare tra canali:
comunicazione e promozione tra canali, miglioramento delle decisioni, confronto di
prezzi, digitalizzazione e condivisione di operazioni. Infine, il primo capitolo
illustrerà le opportunità e le minacce della pervasività del web, in particolare si
parlerà del ruolo della contraffazione virtuale introducendo la ricerca sulla
contraffazione dei prodotti di lusso nel mercato italiano di Gistri, Romani, Pace,
Gabrielli e Grappi (2009).
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Nel secondo capitolo "Il Consumatore Omnichannel" saranno segmentati i
prodotti moda secondo la classificazione per "fascia prezzo" di Saviolo e Testa
(2001), la quale "(...) taglia trasversalmente sia i criteri merceologici sia quelli di
mercato nella segmentazione del settore" e riconosce cinque segmenti: i prodotti
haute couture, i prodotti prêt-à-porter, i prodotti diffusion, i prodotti bridge e i
prodotti mass. Seguirà l'analisi delle tendenze degli acquisti online dei prodotti moda
utilizzando l'"E-commerce index" dell'Human Higway per Netcomm. In seguito sarà
analizzato dettagliatamente il consumatore connesso attraverso i primi dati della
"Total Digital Audience" di Gennaio, Febbraio e Marzo 2014 di Audiweb.
Fondamentali saranno inoltre i contributi di Fabris (2008), che illustrano le nuove
forme di socialità, le condivisioni e i legami del consumatore postmoderno. Un
approfondimento sarà poi dedicato alla relazione esistente tra prosumer e
personalizzazione: partendo dalle strategie di personalizzazione di Lampel e
Minzberg (1996) è possibile determinare anche il livello di coinvolgimento del
cliente. Vedremo quindi che le aziende devono spostarsi da una logica di sell-in a
una logica di sell-out, nella quale le azioni di tipo pull vedono il cliente al centro
dell'attenzione: "le aziende moda, per rispondere alle continue sollecitazioni che
provengono dal mercato, devono essere sempre in ascolto per migliorare la loro
redditività e aumentare la flessibilità dell'offerta" Garzoni e Donà (2008). Sempre
analizzando il consumatore, sarà proposto il modello SOR (stimolo-organismo-
risposta) di Fiore e Kim (2007) e proposto da Sciuccati (2010), che descrive il
comportamento del consumatore in relazione alla shopping experience. Saranno
infine illustrati i comportamenti del consumatore europeo dell'"European Digital
Behaviour Study" di Contact Lab (2013) e i profili dei consumatori multicanale
descritti nel Rapporto 2013 dell'Osservatorio Multicanalità; ci si focalizzerà poi suiconsumatori Hyper Reloaded, i quali hanno registrato un incremento significativo,
crescendo del 28% in un anno.
Nel terzo ed ultimo capitolo: "Costruire un Approccio Omnichannel", verrà
analizzata la letteratura accademica riguardante:
! Negozi fisici: Berman e Evans (1998), Mower, Kim, Childs (2012) e Parsons
(2011);
!
E-commerce web-site: Trevinal e Stenger (2014), Martins, Pereira, Azevedo,Miguel e Lucas (2012) e Aren, Güzel, Kabadayi e Alpkan (2013);
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! Fashion App per device mobili: Bernasconi e Curiotto (2010) e Giordani (2010);
! Social Media: Negri (2013), Bigi e Codeluppi (2010) e Latorre (2013).
Sarà "#$ redatto un questionario quantitativo e qualitativo allo scopo di determinare
l'atteggiamento omni-canale del consumatore. In particolare saranno sottoposte a
verifica tre ipotesi che ci dimostreranno l'effettiva esistenza del fenomeno dello
shorooming e di come le aziende dovranno assumere un nuovo approccio omni-
canale per incontrare la nuova domanda. Sarà esaminato in dettaglio il ruolo del
click&collect, proposto come opportunità per i retailer in un contesto omni-channel.
Interessante è a questo punto inserire il significato della parola omnicanale. Essa è
composta da onni- (o omni-), che, secondo il dizionario Treccani, sta a significare
"primo elemento di parole composte derivante dal latino, che significa "tutto, ogni
cosa" (...) il "tutto", che la semantica del formante contiene ed esprime, caratterizza
il senso della totalità, interezza e compiutezza, escludendo che qualche attribuzione,
proprietà o qualità possa sfuggire dal cerchio che omni- disegna attorno al secondo
elemento compositivo". Nel nostro caso il secondo elemento compositivo è canale,
quindi quando parliamo di omnicanalità ci riferiamo all'assoluta totalità dei canali.
L'approccio omnicanale si concentra dunque sull'esperienza simultanea che ha il
consumatore di fronte tutti i canali possibili. E’ infine considerevole l'introduzione al
Rapporto 2013 dell'Osservatorio Multicanlità del Politecnico di Milano: "(...)
probabilmente oggi la multicanalità viene percepita come un dato di fatto, quasi
superata e legata all'ormai vetusto concetto di new media".
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Capitolo 1
Scenari Fashion
1.1 Scenari ed evoluzioni nel fashion
La moda italiana, rispetto a quella degli altri paesi Europei, ha da sempre rappre-
sentato una peculiarità distributiva. Questa specificità è riconducibile a tre macro-
fattori: fattori ambientali, da domanda e da offerta. Per spiegare quindi l'evoluzione
della distribuzione fashion è opportuno considerare queste determinanti, che, seppur
con diversa intensità, stanno alla base dell'innovazione distributiva del settore. Pare
inoltre che "la crescente complessità, turbolenza e velocità del cambiamento
dell'ambiente nel quale le imprese si trovano a operare, abbia influenzato il peso che
ciascuna variabile assume nel processo innovativo.”1 Il fattore che in questi anni è
divenuto via via più importante è quello da domanda, infatti, sono gli stili di acquisto
degli individui che oggi condizionano la natura dei prodotti. Diventa quindi opportu-
no porre l'accento sul concetto di cliente cercando di indagare gli stili di vita emer-
genti. Il cambiamento della domanda impone alle imprese un nuovo modo di ascolta-
re il mercato, anticipando i bisogni. Ciò che conta è l'originalità della proposta che
deve utilizzare parole, musiche, messaggi e atmosfere giuste per il proprio target.
Considerando i fattori ambientali, è interessante osservare come "le rigide divisio-
ni dei mercati si spiegano con le regole imposte dalla legislazione" Valdani (2000).2
Il nostro settore distributivo ha subito per oltre trent'anni gli effetti proibizionistici
della legge 426 del 1971, e delle sue successive modifiche, che ha ostacolato la "mo-
dernizzazione" della distribuzione italiana. In particolare, con il noto sistema di li-
cenze, la legge intendeva tutelare il piccolo dettaglio, penalizzando le forme com-
merciali più grandi. La riforma della legislazione commerciale, con la Legge Bersani
del 1998, "ha favorito la riduzione dei monopoli spaziali (...) ed eliminato le tabelle
merceologiche (...) che impedivano ai distributori di sviluppare servizi al di fuori del
" Cardinali M.G., (2009), Shopper Marketing, Egea, Milano, p. 32.2 Citato in Cardinali M.G., (2009), Shopper Marketing, Egea, Milano, p. 34.
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proprio core business".3 Dei fattori ambientali, non si può non parlare della tecnolo-
gia che diventa un fattore rilevante con lo sviluppo delle tecnologie informatiche e
telematiche (ICT) verso la fine degli anni Settanta. Nel fashion, la tecnologia, non
solo ha permesso lo sviluppo di veri e propri canali di vendita virtuali, ma ha anche
reso possibile un rapporto one-to-one con il consumatore finale. Oggi stiamo assi-
stendo a una rivoluzione delle informazioni, pervasiva ed universale che sta cam-
biando la struttura dei canali.
Per quanto riguarda i fattori da offerta, è utile descrivere l'evoluzione cronologica
delle fasi distributive della moda e i diversi modelli aziendali adottati.
Per tutta la durata degli anni Settanta, il dettaglio multimarca indipendente, ossia,
il piccolo negozio specializzato, ha rappresentato la forma distributiva prevalente.Stilisti e industria sono due mondi diversi e separati. Le industrie di abbigliamento
sono aziende di produzione industriale di massa che sviluppano la propria offerta per
un mercato molto ampio. La domanda di prodotti fashion da parte dei consumatori
può essere spiegata attraverso la trickle-down theory di T. Veblen (1899) e G. Sim-
mel (1976), il nuovo prodotto diventa moda nel momento in cui è indossato da una
nicchia che si trova ai livelli più alti della priamide sociale, successivamente si av-
viano i processi d’imitazione e di desiderio di conformità da parte dei livelli medio-bassi della piramide sociale che determinano la diffusione ed il successo della nuova
tendenza. " La trickle-down theory esprime una sorta di ciclo di vita della moda”.4 Le
classi sociali più elevate iniziano a respingere uno stile nel momento in cui questo si
propaga nelle classi sociali medio-basse, creando un vuoto d’offerta che sarà presto
colmato dagli stilisti con il lancio di nuove tendenze.
Negli anni Ottanta, si assiste a una prima integrazione tra stilisti e imprese indu-
striali. L'industria ha quindi la grande opportunità di trasformare un prodotto cheprima era solo di nicchia in un prodotto di consumo accessibile, mantenendo allo
stesso tempo un senso di esclusiva: nasce il prêt-à-porter. Tutto questo implica un
sistema distributivo indiretto sempre più polverizzato. Di fatto, per quanto riguarda i
beni problematici, all'aumentare della differenziazione dell'offerta si assiste a un au-
mento della necessità di differenziazione degli assortimenti commerciali, e quindi, a
una crescente frammentazione distributiva. A partire da questi anni, i capi d'abbi-
# Cardinali M.G., (2009), Shopper Marketing, Egea, Milano, p. 34. 4 Lugli G. (2011), Marketing Channel, la creazione di valore nella distribuzione specializzata, Utet, Milano, ed.2,p. 301.
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gliamento, saranno reinterpretati con sempre maggior autonomia dal consumatore
finale, determinando sempre più un processo di "democratizzazione" della moda che
funziona ancora oggi. Molti autori sostengono addirittura che: "Le nuove linee non
nascono negli uffici marketing delle aziende del fashion system, ma spontaneamente,
per strada".5 Tuttavia, è opportuno considerare che, a valle delle nuove proposte, c'è
sempre l'impresa, la quale "si sforza di capire i gusti dei consumatori finali prima
ancora che si sviluppi in questi ultimi una consapevolezza del cambiamento".6
Negli anni Novanta i nuovi marchi creati con la combinazione tra stilisti e indu-
stria entrano in crisi e si assiste a un miglioramento nell'integrazione tra sistema pro-
duttivo e sistema distributivo fino allora separati. Le catene di negozi monomarca
diventano la formula distributiva principale in Italia " La prima fase di modernizza- zione è passata attraverso la crescita di formule distributive totalmente alternative al
negozio indipendente".7 Inoltre, vediamo una quota di spesa di abbigliamento cre-
scente nel canale della Grande distribuzione e questo comporta una maggior focaliz-
zazione sul prezzo e una crescente banalizzazione del prodotto. Si tratta quindi di un
primo segnale di un nuovo modo di vendere prodotti di abbigliamento. In seguito,
con la legge Bersani del 1998, inizia un processo di liberalizzazione e di globalizza-
zione dei modelli di acquisto che vede come protagoniste le catene di negozi, le qualidispongono di strumenti più moderni e che meglio si adattano all'urbanistica delle
vie storiche delle nostre città. " Le catene di negozi monomarca diventano quindi il
fenomeno principale e la direttrice dello sviluppo commerciale della moda italiana
(...) e sfrutta una migliore integrazione tra il sistema produttivo e il sistema distribu-
tivo fino allora totalmente separati."8A seguito di questo processo possiamo osserva-
re come il mondo dell'industria e il mondo della distribuzione si sono progressiva-
mente integrati: da un lato, i produttori, sono scesi a valle, controllando direttamentepropri negozi monomarca, dall'altro, la distribuzione si è integrata a monte diventan-
do un vero e proprio produttore.
Oggi, ci troviamo davanti ad aziende molto evolute, integrate dal punto di vista
stilistico, produttivo, distributivo, di comunicazione e di marketing. Queste aziende
sono veri e propri mondi, che, oltre al prodotto moda, devono riuscire a vendere vere
5 Fioroni M. (2005), Lo shopping dell'esperienza, Morlacchi Editore, p. 47. 6 Lugli G. (2011), Marketing Channel, la creazione di valore nella distribuzione specializzata, Utet, Milano, ed.2,
p. 302.7 Iacobelli G. (2010), Fashion Branding 3.0, Franco Angeli, Milano, p. 36.8 Iacobelli G. (2010), Fashion Branding 3.0, Franco Angeli, Milano, p. 38.
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e proprie emozioni e stili di vita. Il contesto diventa ancora più complesso se si ag-
giunge il fatto che oggi, il consumatore, è sempre presente su più fronti. Esistono in-
numerevoli touch point attraverso i quali il consumatore entra a contatto con il mar-
chio, apprende informazioni, chiede consigli e prova emozioni. Dal Rapporto 2013
sulla Multicanalità dell'Osservatorio del Politecnico di Milano9, possiamo notare,
come, nel settore dell'abbigliamento, il punto di vendita sia ancora il touch point più
rilevante (Tabella 1.1), che domina in tutte le fasi di pre-acquisto restando il punto di
contatto più importante nella ricerca di promozioni e offerte. Allo stesso tempo, in-
ternet gioca un ruolo sempre più centrale nella fase di pre-acquisto del prodotto, il
consumatore sceglie sempre più on line cosa e dove acquistare il prodotto desiderato.
"Il contesto dove il consumatore ricerca le informazioni è la casa, solo dopo si trova
l'ufficio, la mobilità e il punto di vendita".10 L'acquisto di prodotti fashion è quindi
caratterizzato da numerosi touch point, non si parla più di multicanalità ma di omni-
canalità od omnichannel, poiché ogni strumento gioca il proprio ruolo ed è il consu-
matore che decide dove, come e quando acquistare il prodotto. E' il venditore che de-
ve muoversi per capire dov'è il cliente.
Tabella 1.1 - I touch point nel processo d'acquisto per i diversi settori merceologiciEsposizione
alla pubblicità
Aggiornamento
sull'offerta
Ricerca info
dettagliate su
prodotti/servizi
Confronto prezzi
prodotti
Confronto prezzi
punti vendita
Ricerca promo-
zioni e offerte
Ricerca in-
fo/consigli su
utilizzo del
prodotto
Largo Consu-
mo
TV
51%
VOLANTINO
63%
INTERNET
60%
VOLANTINO
66%
VOLANTINO
69%
VOLANTINO
77%
INTERNERT
66%
Elettronica di
Consumo
TV
41%
INTERNET
66%
INTERNET
73%
INTERNET
79%
INTERNET
74%
INTERNET
68%
INTERNET
73%
ServiziTV
24%
INTERNET
74%
INTERNET
70%
INTERNET
75%
INTERNET
77%
AbbigliamentoTV
35%
PUNTO
VENFDITA
47%
INTERNET
50%
PUNTO
VENDITA
53%
PUNTO
VENDITA
48%
PUNTO
VENDITA
50%
Fonte: Rapporto 2013, è il momento di osare, Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano,Nielsen, Connexia e MIP.
9 Rapporto 2013, è il momento di osare dell'Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, Nielsen, Con-nexia e MIP. "$ ibidem
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Anche in Italia, dunque, possiamo cominciare a osservare il fenomeno dello sho-
wrooming; la parola showrooming, appare per la prima volta nel Dicembre del 2011
in un articolo del New York Times dove la giornalista Julie Bosman osserva il com-
portamento dei clienti all'interno delle librerie; in particolare, questi, sfogliando i li-
bri tra gli scaffali in-store e, contemporaneamente, utilizzano siti come Amazon per
concretizzare l'acquisto online.11 Tuttavia, per quanto concerne la categoria merceo-
logica dell'abbigliamento, questo fenomeno sembra ancora timido poiché, come
emerge dal Rapporto 2013 dell'Osservatorio Multicanalità, i motivi che spingono
all'acquisto on line di prodotti di abbigliamento riguardano in gran parte la ricerca di
convenienza di prezzo. Il consumatore, infatti, sente ancora il bisogno di poter vede-
re, toccare e provare il prodotto di persona. Eppure, osservando i dati trimestrali diGennaio 2013 dell'Indice Human Highway12 del consorzio Neetcom, l'abbigliamento,
è il settore che registra la crescita più significativa, quasi del 14% (Figura 1.1).
Figura 1.1 - Tipologia di beni acquistati tra gli acquirenti da Ottobre 2012 a Dicembre 2012
Fonte: www.consorzionetcomm.it
11 L'intero articolo è reperibile sul seguente link: http://mediadecoder.blogs.nytimes.com/2011/12/04/book-shopping-in-stores-then-buying-online/?_php=true&_type=blogs&_r=0 12 L'indice Human Highway è un indice nato dalla collaborazione tra Netcomm e Human Highway che indagamensilmente sulla penetrazione del fenomeno degli acquisti online sull'utenza italiana, sulla frequenza d'acquisto,sulla soddisfazione degli acquirenti e sulla propensione al primo acquisto da parte dei non acquirenti.
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E' quindi molto probabile che nei prossimi anni si assisterà a un vero e proprio ri-
dimensionamento del mercato fashion. Inoltre, da una ricerca condotta sempre da
Neetcom, è risultato che, gli online retailer in Europa, sono in media il 15% circa
delle aziende di un paese, mentre in Italia sono meno del 5%. Gli italiani, di conse-
guenza, quando acquistano, si rivolgono spesso a imprese estere e il saldo import-
export nazionale sul canale digitale è in negativo nonostante la forte crescita dei con-
sumi digitali. Di fatto, le vendite cross border, ossia le vendite fatte da paese a paese,
crescono molto di più rispetto a quelle domestic border, fatte all'interno del paese.
Paradossalmente, quest'arretratezza può rappresentare un’interessante opportunità di
crescita dei retailer digitali italiani.
1.2 La filiera della moda
Un altro aspetto molto importante è il concetto di filiera nella moda. Il concetto di
filiera vuole spiegare "sia gli itinerari seguiti dal prodotto nel processo di produzio-
ne -trasformazione - distribuzione, sia il coordinamento e l’integrazione fra le fasi di
produzione delle materie prime (agricole o chimiche) alle fasi industriali e distribu-tive”.13 Occorre poi considerare che, del sistema moda, fanno parte numerosi settori
che svolgono funzioni di supporto, sempre più determinanti per il successo della fi-
liera stessa. Per esempio, i vari comparti del terziario avanzato come la pubblicità, la
comunicazione, le attività di social media marketing, il costumer care, la logistica, lo
studio di design ecc. All'interno della filiera moda esistono quindi vari livelli d'im-
prese:
• Aziende primarie: sono le aziende che si trovano a monte e producono fibre, filati
e materie prima che poi forniranno alle aziende di tessuti;
• Aziende secondarie: realizzano con la collaborazione di stilisti interni o esterni i
prodotti finiti; queste aziende comprano dalle aziende primarie, quindi producono
e vendono direttamente o attraverso le aziende distributive ai consumatori;
13 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano, p. 38.
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• Aziende distributive: comprendono grossisti, grande distribuzione, distribuzione
organizzata, dettaglianti, vendite per corrispondenza. Va evidenziato che le stesse
imprese produttrici (secondarie) hanno spesso punti di vendita di proprietà, per
cui, l'attività di vendita s'integra direttamente con quella di produzione;
• Aziende per servizi ausiliari: la filiera ai vari livelli riceve le attenzioni di consu-
lenti di produzione, marketing, vendita, finanza e fisco, di stilisti, di ricercatori, di
agenzie di P.R. e di ricerca del personale, di pubblicitari, ecc.
La struttura della filiera di seguito proposta utilizza lo schema di classificazione
esposto dagli autori Saviolo S. e Testa S. (2001),14 anche utilizzata dalle Associazioni
di categoria della federazione Federtessile (Figura 1.2):
• Settore delle fibre: le fibre costituiscono il primo anello della filiera, grazie a que-
ste si ottengono i filati da cui poi si hanno i tessuti. Le fibre possono essere natu-
rali, ossia ottenute da animali e piante (cotone, lana, lino, seta) o artificiali, ossia
ottenute chimicamente (acetato, acrilica, nylon, olefin, poliestere, rayon, spandex,
modacrilica).
• Settore tessile, che comprende:
- comparto laniero;
- comparto cotoniero e laniero;
- comparto serico;
- comparto nobilitazione;
- comparto tessili vari e prodotti tecnici.
• Settore abbigliamento, che comprende:
- comparto abbigliamento in tessuto;
- comparto abbigliamento in maglia e calzetteria.
"% Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano.
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• Settore distribuzione di abbigliamento: all'interno di questo settore troviamo le
aziende distributive le quali presentano il prodotto finito al consumatore finale per
concludere la vendita.
• Settore meccano-tessile: si tratta di un settore di supporto della filiera tessile al
quale appartengono i macchinari e gli impianti destinati alla trasformazione di
materie prime e semilavorati da parte delle imprese.
La distribuzione è, in ogni caso, l'anima della filiera del tessile-abbigliamento
"(...)teatro d’incontro tra il consumatore finale e un sistema di offerta che rappre-
senta la proposta della filiera stessa".15 Il punto di vendita, non è più solo canale di-
stributivo ma luogo in cui si concretizza la strategia commerciale dell’intera filiera
che sta a monte, fino alla fibra: si fa comunicazione, si offrono prodotti, si propone
un servizio e , soprattutto, si costruisce e si rafforza il rapporto di fidelizzazione con
la clientela. È il consumatore finale che, attraverso le proprie scelte nel punto vendi-
ta, determina il successo o l’insuccesso di un determinato prodotto e suggerisce mo-
dalità d’interazione innovative all’interno della filiera. Il canale distributivo e il pun-
to vendita costituiscono perciò elementi fondamentali nella costruzione di un’identitàdi marca, poiché il consumatore non percepisce il prodotto di per sé, ma, parte inte-
grante di un sistema di offerta nel quale rientra soprattutto la modalità in cui tale
prodotto è presentato sul mercato. "Uno dei cambiamenti più importanti che negli
ultimi anni ha interessato l'industria dell'abbigliamento consiste nella modificazione
delle relazioni industria-distribuzione, con uno spostamento di potere a favore della
distribuzione”.16 Se poi aggiungiamo al nostro quadro le tecnologie digitali, vediamo
che l'empowerment e la discrezionalità nuova del consumatore vengono esponen-zialmente potenziati, e occorre trovare un modo più proattivo e anche di partnership
per un nuovo consumATTORE17, protagonista nel Web 2.0, uno spazio virtuale dove
egli comunica e conversa costruendo relazioni. All'interno del sistema moda esistono
inoltre due macro-filiere: quella del tessile abbigliamento e quella della pelle - calza-
ture - accessori. Di fatto, è interessante osservare come, le vendite online si sono svi-
luppate dapprima nel comparto della pelle - calzature e accessori e successivamente
15 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano. 16 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano p. 54.17 Fabris definisce così il nuovo consumatore, più attento e selettivo, più competente ed esigente.
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si sono estese nel tessile abbigliamento, questo perché i primi, sono beni più standar-
dizzabili dove, soprattutto per quanto riguarda la pelle e gli accessori, la "taglia" non
rappresenta un ostacolo.
Inoltre, l'industria Tessile-Moda italiana si compone di una filiera particolarmente
diversificata e completa, che vede sul territorio la presenza d’imprese operanti sia
nelle fasi a monte che nelle fasi a valle della filiera. Occorre a questo punto segnalare
la presenza di piccoli distretti o concentrazioni industriali del settore, tra cui Biella,
Carpi, Castel Goffredo, Como, Prato, Vicenza, caratterizzate da economie esterne e
sinergie inter-aziendali. "C'è una moda italiana perché c'è un sistema, una filiera,
svariate professionalità a reggerla e alimentarla: produttori di fibre naturali e arti-
ficiali, tessuti, abbigliamento e accessori vari oltre che stilisti, merchandiser, marke-
tologi, venditori a vari livelli (produzione, ingrosso, dettaglio, esportazione)"18.
Figura 1.2 - Filiera della moda
Fonte: Foglio A. (2007), Il marketing della moda. Politiche e strategie di fashion marketing.
18 Foglio A. (2007), Il marketing della moda. Politiche e strategie di fashion marketing, Franco Angeli.
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1.3 La Segmentazione della distribuzione analogica
Nel paragrafo precedente abbiamo visto come la distribuzione di abbigliamento
sia un settore fondamentale all'interno della filiera della moda, è utile quindi costrui-
re un quadro di riferimento, in grado di concettualizzare e segmentare la distribuzio-
ne moderna attuale del sistema moda. Esistono numerosi criteri di segmentazione
della distribuzione, dal punto di vista dell'impresa industriale, di fatto, possiamo
segmentare la distribuzione per dimensioni dell'area di vendita, per il livello di spe-
cializzazione merceologia (troviamo qui punti vendita generalisti - più merceologie o
più target di consumatori finali - contro punti di vendita specialisti - una merceologia
o un target di consumatore finale), per fascia prezzo, per modello proprietario, ecc.In ogni caso, la prima scelta che l'impresa industriale deve compiere riguardo alla
politica distributiva fa riferimento al canale che può essere diretto o indiretto. La se-
guente segmentazione parte da una rielaborazione personale della classificazione di
Lugli (2011)19 e della classificazione dei format emergenti nella distribuzione moda
di Cietta (2010)20.
1.3.1 Il mercato diretto analogico
L'impresa gestisce direttamente il proprio sistema di offerta fisico. In questo mer-
cato troviamo il self standing store, il flagship store, lo shop in shop, il temporary
store ed il factory outlet store.
•
Self standing store (punto di vendita monomarca a gestione diretta): in questi pun-ti vendita viene trattato un unico brand con l'obiettivo di massimizzare le vendite.
Si tratta di negozi la cui superficie varia dai 50 fino ai 200 metri quadrati, su stra-
da (generalmente in location di prestigio ad alto traffico e pedonalità) o all'interno
di shopping mall, allineati alle politiche di marca e con arredi standard funzionali
alla vendita. Possono essere di proprietà della marca o in franchising. Sempre più
di frequente, questi format distributivi sono utilizzati in modo congiunto con i siti
19 Lugli G. (2011), Marketing Channel, la creazione di valore nella distribuzione specializzata , Utet, Milano,ed.2, pp. 313-324.20 Iacobelli G. (2010), Fashion Branding 3.0, Franco Angeli, Milano, p. 43.
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di e-commerce ufficiali dell'industria. In particolare, utilizzano il servizio click &
collect, con il quale è possibile acquistare online e ritirare in negozio. Come af-
ferma Cietta (2010) "(...) il format distributivo vincente di questi anni è senza al-
cun dubbio la catena di negozi monomarca." In particolar modo "(...) l'integra-
zione a valle delle industrie produttive ha messo in luce quali sono i vantaggi di
questo format. (...) Si concretizza un miglior flusso informativo sugli andamenti
delle vendite e sui dati riferiti alle scorte e alle rimanenze di fine stagione".21
Figura 1.3 - Esempio servizio Click&Collect di Oviesse
B;*3)C DDDE;92E(3
• Flagship store: si tratta della modalità d’integrazione tra industria e distribuzione
più intensa, l'industria scende a valle ed entra in contatto diretto con il consumato-
re trasmettendogli i valori della marca. Sono chiamati anche negozi "bandiera"
poiché sono ambasciatori dell'immagine aziendale. Sono situati in location presti-giose a livello internazionale, questa tipologia di negozi non ha vincoli di dimen-
sione e fatturato poiché l'obiettivo principale è quello di sostenere la "brand ima-
ge" e avere un’audience elevata. Il flagship store è diffuso prevalentemente nei
mercati a elevato valore simbolico e per questo sono spesso progettati da famosi
architetti che, attraverso l'eleganza dell'architettura e degli arredi, evocano il mar-
keting esperienziale. Il Flagship Store Epicenter di Prada a Soho, New York (Fi-
21 Iacobelli G. (2010), Fashion Branding 3.0, Franco Angeli, Milano, p.36.
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gura 1.4), inaugurato nel 2001, è un perfetto esempio di come l'esperienza dello
shopping è stata rivisitata stravolgendo le dinamiche di vendita; attraverso l'archi-
tettura, infatti, si sono portate all'interno dello spazio commerciale tutte le attività
proprie di una città contemporanea, come la seduta per i clienti e il palco per sfila-
te, manifestazioni, rassegne o spettacoli. Una caratteristica interessante di questo
flagship store è che i camerini di prova sono dotati di telecamere utilizzate per
consentire al cliente di rivedersi su appositi schermi da ogni punto di vista e con
vari tipi d’illuminazione.22
Figura 1.4 - Interno del Flagship Store Epicenter di Prada a Soho, New York
Fonte: www.oma.eu
• Shop in shop: o corner è un piccolo angolo dedicato alla marca in un contesto
multibrand con un’offerta abbastanza ampie e personale aziendale. L'obiettivo èsia di vendite che d’immagine mentre la gestione del punto vendita è interamente
nelle mani del distributore. L'industria deve quindi contribuire per avere spazio e
visibilità, lo shop in shop viene in genere utilizzato per presentare e contestualiz-
zare nuovi prodotti. Gli spazi dei corner devono essere originali e coerenti con il
brand.
22 Informazioni prese dal sito www.oma.eu
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• Temporary store: si tratta di punti di vendita temporanei che sfruttano l'effetto
dell'eccezionalità e della scarsità rinforzando il concetto di rarità. Questi format
distributivi hanno l'obiettivo di sostenere l'immagine di marca e generare traffico
attraverso vendite temporanee.
• Factory outlet store: è considerato un format emergente nella distribuzione della
moda "circa il 60% degli outlet in Italia tratta prodotti moda (abbigliamento, cal-
zature e pelletteria)".23 Si tratta di negozi/catene nei quali vengono smaltiti i pro-
dotti fuori stagione messi a commercio con sconti promozionali che generalmente
superano il 50%. I factory outlet center sono quindi grandi strutture di vendita ap-
partenenti a operatori immobiliari che si preoccupano di affittare i singoli negozi
direttamente ai produttori di marca. Nonostante la politica di prezzi molto aggres-
siva, il layout delle attrezzature e il merchandising dei factory outlet store sono
molto simili ai negozi monomarca che si trovano nelle vie del centro cittadino,
inoltre, all'intero nel factoy outlet è possibile trovare aree ricreative e di ristoro.
Sempre più aziende di produzione stanno investendo in questo canale in relazione
ai crescenti fatturati generati, di fatto, alcune industrie hanno iniziato a realizzare
esclusive produzioni per alimentare questi punti vendita. E' quindi possibile af-fermare, che, oltre a svolgere l'originale ruolo di smaltimento di prodotti invendu-
ti, l'outlet, viene sempre più utilizzato come punto di vendita ove è possibile trat-
tare prodotti su fasce di prezzo più basse senza danneggiare il brand "(...) l'aumen-
to dei volumi di vendita è in parte accompagnato dalla necessità di abbassare il
target di prezzo e gli outlet sono, da questo punto di vista, uno strumento perfetto
senza implicazioni negative sul marchio"24.
1.3.2 Il mercato indiretto analogico
L'impresa impiega diversi intermediari per gestire il proprio sistema di offerta.
Fanno parte di questo segmento i negozi specializzati tradizionali, i department store,
le grandi superfici specializzate ed i magazzini popolari.
23 Iacobelli G. (2010), Fashion Branding 3.0, Franco Angeli, Milano, p.43. 24 ibidem
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• Negozi specializzati tradizionali: hanno un assortimento multimarca ristretto ma
profondo con un’elevata assistenza al cliente. Applicano un premium price e spes-
so "sono specializzati per target (uomo, donna, bambino) e per merceologia (ab-
bigliamento formale, sportivo, accessori, calzature)".25
• Department store: si tratta di una tipologia di distribuzione generalista più svilup-
pata nei paesi anglosassoni e nel nord dell’Europa. La dimensione è medio-grande
con la presenza di aree a diversa destinazione merceologica. All'interno dei de-
partment store possiamo trovare anche corner di prodotti di marca.
•
Grandi superfici specializzate: sono concentrate su poche categorie merceologi-
che (intimo, sportivo, calzature) con un assortimento multimarca ampio e profon-
do.
• Magazzini popolari: hanno un assortimento ampio e poco profondo con private
label e prodotti unbranded.
1.4 Il canale digitale, un format emergente
La segmentazione della distribuzione in canale diretto e indiretto è ancora oggi
uno dei pilastri fondamentali del retail nella filiera del tessile-abbigliamento. L'e-
commerce, fino a pochi anni fa, era un fenomeno isolato nel sistema moda, di fatto,
numerosi sarebbero i fattori che ostacolerebbero la vendita online per i beni di abbi-
gliamento: la difficoltà di standardizzazione/descrizione del prodotto, il ruolo ancoracentrale del punto vendita nel processo di acquisto e creazione di valore per il clien-
te, le dimensioni estetiche, il design, l'atmosfera, la mancanza dell'aspetto ludico e
ricreativo dello shopping (...). Tuttavia, è ora necessario inserire internet nella seg-
mentazione vista in precedenza poiché, negli ultimi anni, si è verificato un cambia-
mento strutturale nei canali della distribuzione fashion. La nuova segmentazione
vuole quindi aggiungere alla politica distributiva diretta/indiretta dell'industria, la
25 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano, p. 229.
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tangibilità del canale. Consideriamo quindi un mercato digitale, nel quale viene a
mancare la fisicità del punto vendita.
1.4.1 Segmentazione del mercato digitale
Il mercato digitale, o virtuale, analizzerà i siti e-commerce monomarca ufficiali, i
siti di social commerce, gli online lifestyile store multibrand ed infine i siti di flash
sales. Alle fonti utilizzate in precedenza nella segmentazione del mercato analogico,
si aggiunge qui Mosca (2010).26
• Siti e-commerce monomarca ufficiali: si rivolgono in prevalenza ai brand addicted
e sono gestiti direttamente dall'industria che, nel sito web istituzionale, inserisce
una vetrina virtuale destinata all'e-commerce. Sono soprattutto i marchi dei beni
di abbigliamento e pelletteria a elevato valore simbolico che utilizzano questo tipo
di canale digitale, questo perché, è possibile tenere sotto controllo l'intera filiera e
garantire un centro standard di servizio, virtuale, durante tutta la fase di vendita.
Inoltre, per sviluppare un sito di e-commerce, le industrie hanno bisogno di im-plementare nuove competenze: nella logistica, per far arrivare il prodotto nei tem-
pi prestabiliti e nel costumer care ante e post vendita per non danneggiare l'imma-
gine del marchio. Il volto del sito di e-commerce dell'industria è a tutti gli effetti il
volto dell'azienda stessa. Infatti, vendere on-line, significa gestire una logistica
complessa e, come afferma Cietta (2010), "il servizio di chi vende online non è
vendere, ma consegnare". Alcuni brand di abbigliamento e pelletteria del gruppo
LVMH, leader nel mercato del lusso, sono presenti in rete con il loro sito di e-commerce. L'e-commerce di Louis Vuitton è senza dubbio il più sviluppato e ac-
curato; al suo interno, non solo sono fornite le informazioni base sul prodotto, sul-
la consegna, sul pagamento e sui cambi-resi, ma è anche presente un numero ver-
de o un link che porta ad un'assistenza via chat in modo da seguire il consumatore
durante tutto il processo d'acquisto in modo esaustivo (Figura 1.5). E' inoltre inte-
ressante osservare l'allocuzione rivolta al consumatore in modo formale. Infine,
26 Mosca F. (2010), Marketing dei beni di lusso, Pearson Italia, Milano-Torino, pp. 237-249E
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all'interno del sito, è possibile personalizzare il proprio prodotto (Figura 1.6). Di
fatto, come vedremo nel capitolo successivo, l'e-commerce si propone come otti-
mo strumento per integrare il bisogno di personalizzazione al bisogno di parteci-
pazione del consumatore. Scegliendo le bande ed il colore l'utente partecipa in
prima persona nella creazione del suo prodotto che può personalizzare anche con
le sue iniziali. Negli ultimi anni, tuttavia, alcuni marchi di abbigliamento di suc-
cesso a basso costo hanno implementato il proprio sito di e-commerce. Il caso più
importante è quello di Zara, che ha saputo gestire in modo intelligente le vendita
on-line, due sono i suoi punti di forza: il primo riguarda il ritiro della merce, il
consumatore, può ritirare gratuitamente il proprio carrello della spesa direttamente
nel punto vendita della sua città, il secondo riguarda la politica dei cambi e resi,Zara, infatti, si preoccupa di riaccreditare l'intero importo del prodotto che si vuo-
le rendere entro un mese dall'ordine. Questo minimizza la percezione di rischio di
perdita che spesso ostacola il consumatore nell'acquisto online. Inoltre, interessan-
te è stata anche la campagna di comunicazione dell'apertura del commercio elet-
tronico di Zara, informando direttamente il consumatore nel punto vendita, che
rimane un punto di riferimento centrale.
Figura 1.5 - E-commerce Louis Vuitton, assistenza via chat
Fonte: www.louisvuitton.com
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21
Figura 1.6 - Personalizzazione del prodotto sul sito E-commerce di Louis Vuitton
Fonte: www.louisvuitton.com
• Siti di Social commerce: alcuni studiosi parlano di "un'intelligenza collettiva"
Szuba, (2001)27 abbinata a una "saggezza delle folle", Surowiecki (2004).28 Con
l'affermarsi del Web 2.0 ogni individuo può esprimersi liberamente coinvolgendo
milioni di persone e sviluppando trend di bottom-up. Generalmente, social com-
merce si riferisce all'utilizzo del Web 2.0 nell'e-commerce. Con il Web 2.0 le pre-
ferenze, le decisioni e le percezioni dei consumatori non sono solo basate sulle in-
formazioni che si trovano sui siti web di e-commerce, ma sono anche influenzate
da contenuti generati da persone sui social network. Le differenze tra e-commerce
e social commerce possono essere sottolineate in termini di obiettivi di business,
connessione dei clienti e interazione del sistema. Per quanto riguarda gli obiettivi
di business, l'e-commerce è focalizzato nel massimizzare l'efficienza con sofisti-
cate strategie di ricerca, con cataloghi virtuali e recensioni basate sull'esperienza
passata di altri consumatori. Il social commerce, al contrario, è orientato nell'otte-
nimento di obiettivi social come il networking, la collaborazione e la condivisione
d’informazioni, l'acquisto è soltanto un obiettivo secondario. A riguardo della
connessione dei clienti, nell'e-commerce, solitamente, i consumatori interagiscono
con le piattaforme di e-commerce individualmente e indipendentemente con gli
altri consumatori, mentre il social commerce apre community online che sosten-
FG Citato in Iacobelli G. (2010), Fashion Branding 3.0, Franco Angeli, Milano, p. 97. FH ibidem
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gono la conversazione. Infine, per quanto riguarda l'interazione del sistema, nell'e-
commerce l'informazione del consumatore è raramente trasmessa ad altri consu-
matori, nel social commerce, invece, vengono sviluppati approcci sociali ed inte-
rattivi che permettono al consumatore di esprimere il proprio parere e condivider-
lo con gli altri utenti.29 In un recente studio condotto da Kang e Park-Poaps
(2012)30 riguardante la fonte delle motivazioni e le conseguenze del social shop-
ping nella moda, è emerso che il confronto sociale influenza positivamente molte
dimensioni del social shopping nel fashion. Queste dimensioni includono il social
browsing, i legami sociali, le opinioni manifestate e il potere della ricerca. Nel
settore della moda italiana ancora poche industrie hanno manifestato interesse
verso quest’ambito, anche se numerosi sono gli esperimenti che confermano latendenza ad allinearci rispetto alla massa, "L'affermazione della nostra identità at-
traverso le scelte di acquisto si muove dunque su due binari: un processo di di-
stinzione dagli altri per affermare la nostra unicità, e un processo di imitazione
dei modelli cui vorremmo somigliare".31 Tuttavia, non mancano casi di successo
di siti marketplace italiani, Depop, creato dal milanese Simon Beckerman è oggi
uno dei più importanti siti di compravendita europeo (Figura 1.7). L'applicazione,
scaricabile anche su device mobili, ha un’interfaccia semplice e intuitiva; moltosimile a Instagram, basta scattare una foto con il proprio device, inserire una breve
descrizione del prodotto e il prezzo. A questo punto, chiunque è iscritto a Depop
può acquistare il prodotto pagando su piattaforma PayPal con una commissione
del 4% sul prezzo finale. 32 L'applicazione fornisce anche una ricerca geo-
localizzata che permette agli utenti di cercare gli oggetti più vicini e concludere la
transazione direttamente di persona. Anche Instagram stesso, oltre ad essere una
piattaforma fotografica e social è anche una vetrina per lo shopping online, con gliashtag #vendita e #invendita o #onsales è possibile trovare migliaia di foto-
annunci.
29 Zhao H., Morad B. (2012), From e-commerce to social commerce: A close look at design features , ElectronicCommerce Research and Applications, n. 12, pp. 246-259.30 Kang. J., and Park-Poaps, H. (2011), Motivational antecedents of social shopping for fashion and its contribu-tion to shopping satisfaction, Clothing and Textiles Research Journal, n. 29, pp. 331-347.31 Negri F. (2013), NetworkCracy - Social Media Marketing per la Distribuzione, Giappichelli Editore, Tornio, p.33. 32 www.depop.com
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23
Figura 1.7 - Depop
Fonte: www.depop.com
• Online lifestyle store multibrand : sono siti di e-commerce multibrand che possono
proporre al cliente le ultime tendenze moda, prodotti outlet e prodotti di privatelabel allo stesso tempo. Questi siti creano un contesto nel quale l'utente viene in-
globato nel mondo del marchio del sito che spesso ha un portafoglio prodotti este-
so anche ad accessori per la casa di design e arte. Yoox è uno dei più importanti
siti e-tailer italiani che meglio rappresenta questa categoria "Grazie a consolidate
relazioni dirette con designer, produttori e dealer autorizzati, yoox.com offre una
selezione infinita di prodotti: un’ampia scelta di capi d’abbigliamento e accessori
difficili da trovare dei più importanti designer al mondo, capsule collection esclu-sive, proposte di moda eco-friendly, un assortimento unico di oggetti di design,
rari capi vintage e originali libri d’arte, una ricercata collezione di accattivanti
opere provenienti dai più importanti musei e gallerie a livello mondiale, selezio-
nate da curatori e critici internazionali".33 Yoox dà inoltre la possibilità di effet-
tuare ricerche in modo molto accurato e veloce, è possibile, infatti, creare un pro-
filo "my size" dove l'utente può inserire le sue taglie (Figura 1.8), e, in seguito, af-
finare la ricerca per prezzo, designer, categorie, colori, stampa e materiali. Sele- 33 www.yoox.com
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zione, prezzo, velocità d'acquisto, consegna in quarantotto ore e facilità di paga-
mento sono gli ingredienti principali del successo Yoox.
Figura 1.8 - Yoox, My Sizes
Fonte: www.yoox.com
•
Siti Flash Sales: nascono in Francia con il nome di "vente privee", in italiano,
vendite private. Di fatto, si tratta di vendite-evento virtuali di prodotti scontati. Sia
in Italia, che in Francia sono nati con l'obiettivo di sensibilizzare il consumatore
all'acquisto on-line proponendo prodotti a prezzi scontati mediamente del 50% ri-
spetto al retail price. In questi siti, inizialmente, la partecipazione era unicamente
a invito, in questo modo, si rendeva più esclusiva la vendita e s’innescava un
meccanismo selettivo creando una sorta di barriera con il mercato aperto. Oggi,
alcuni siti sfruttano l'effetto passaparola, dove l'utente che invita un amico è ri-
compensato in buoni sconto da utilizzare nelle vendite. Questi siti propongono ai
loro utenti registrati vendite esclusive di numerosi marchi che durano dai cinque
ai sei giorni. L'acquisto è di tipo emozionale, dove numerosi elementi del marke-
ting (presentazione, notorietà della marca, esclusività della vendita...) concorrono
a determinare il successo di ciascuna vendita. I siti di flash sales sono molto im-
portanti per i marchi italiani poiché sono considerati strumenti di supporto porta-
tori di cultura digitale all'interno delle aziende. Di fatto, numerose industrie ita-
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liane, se prima utilizzavano questi siti al solo scopo di smaltire le rimanenze di
magazzino, ora, hanno capito la loro potenza e utilizzano i siti di flash sales come
strumento di comunicazione. Dopo la vendita online, si è inoltre assistito a una
sorta di "risveglio del consumatore" che, spesso, torna nel punto vendita fisico ad
acquistare il prodotto non trovato o esaurito nella vendita flash.34
1.4.2 Mobile
Il 2013 è stato un anno molto significativo in termini di penetrazione di smartpho-
ne e tablet, comunemente chiamati "mobile". L'audience Internet da PC, in Italia, ècalata del 3,4%35 su base mensile, le regioni di questo calo sono dovute all'aumento
dell'audience Mobile, che, da fine 2012 a fine 2013 è aumentata del 17,2% 36. Tutta-
via, è più opportuno parlare di sinergia, tra mobile e PC, questo perché, i device mo-
bili sono utilizzati durante i momenti morti della giornata, come per esempio la du-
rante i trasferimenti. Con il mobile aumenta quindi l'opportunità di acquisto per i
consumatori e le audience diventano comunità delocalizzate, ma interconnesse. An-
che per quanto riguarda le vendite digitali dei prodotti di abbigliamento, il mobile hagiocato un ruolo fondamentale, come afferma Roberto Liscia, presidente di Neetcom:
"(...)lo smartphone e la casa sono il camerino degli italiani".37 Il mobile si traduce
quindi nella capacità di integrare le attività svolte nel mondo "analogico" con quelle
che si sviluppano nella sfera digitale, per quanto concerne la loro intensità di utilizzo,
infatti, è stato calcolato che circa l'80%38 del tempo trascorso su tablet e spmartphone
è legato alla fruizione di contenuti e servizi online che richiedono una connessine a
Internet. Interessante è l'approccio di Privalia, sito di flash-sales, il quale, per alcunevendite consente l'accesso esclusivamente da tablet o smartphone, in modo da sensi-
bilizzare il cliente verso questa nuova modalità di acquisto (Figura 1.9).
34 Informazioni raccolte partecipando al convegno Digital Fashion&Design - User Experience, Fulfillment e Cu-stomer Care per le aziende della moda e del design , Milano, 17 Aprile 2014. 35 Rapporto 2013, è il momento di osare, Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, Nielsen, Connexiae MIP.36 ibidem 37 Rapporto 2013, è il momento di osare, Osservatorio Multicanalità del Politecnico di Milano, Nielsen, Connexiae MIP.38 ibidem
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Figura 1.9 - Vendita esclusiva con device mobili su Privalia
Fonte: www.privalia.it
1.5 Sinergie tra canali analogici e virtuali
Per un retailer, il mercato è oggi un ecosistema di strumenti che bisogna saper uti-
lizzare sinergicamente in un gioco tra virtuale e fisico. Il cliente multicanale deve
quindi vivere un'esperienza fluida sia online che offline per interagire coerentemente
con il marchio. Secondo l'European Digital Behaviour Study 2013 condotto da Con-
tactlab,39 il 67% degli utenti internet italiani, ha affermato che utilizza il sito web uf-
ficiale del produttore del brand per l'informazione pre-acquisto e soltanto il 19% si
reca presso il punto vendita, di fatto, secondo Massimo Furbini, CEO di Contactlab:
"L'obiettivo dei merchant deve essere quello di consolidare la relazione che il con-
sumatore ha con il proprio marchio di fiducia usando il canale online per invitarlo
in negozio, ad esempio attraverso offerte e promozioni personalizzate, o vicerversa
attivare iniziative che dal punto vendita lo spingano a continuare online il suo shop-
ping. E' fondamentale quindi uscire da una logica, ancora comune a tante aziende,
per cui il punto vendita fisico ed e-commerce sono due canali distinti o addirittura
rivali"40. Ancora, Boehm (2008)41 afferma che di fronte a questo scenario di crescen-
te importanza del commercio elettronico, molti retailer hanno sinergicamente con-
39 Contactlab (2013), European digital behaviour study, reperibile sul sito www.contactlab.it.40 ibidem41 Citato in Kollmann T., Kuckertz A., Kayser I. (2012), Cannibalization or synergy? Consumer's channel selec-tion in online-offline multichannel systems, Journal of Retailing and Consumer Services, n.19, pp.186-194.
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giunto il canale analogico con quello digitale poiché la ricerca delle informazioni
pre-acquisto e la possibilità di acquistare online può aumentare la fedeltà del consu-
matore e quindi generare un forte vantaggio competitivo.
Sono quindi numerosi i casi d’integrazione tra canali analogici e digitali che le
aziende intraprendono per rispondere a una domanda sempre più multicanale del
consumatore, il quale dev'essere accompagnato dal brand sinergicamente, online e
offline, durante il suo processo di acquisto: dalla ricerca della informazioni all'atto di
acquisto finale. Molteplici sono gli esempi che negli ultimi anni hanno proposto al
mercato esperienze multicanale, interessante è il nuovo flagshipstore di New Look a
Marble Arch, Londra, inaugurato nel 2012 (Figura 1.10). Qui, il consumatore, può
acquistare prodotti online direttamente all'interno del punto vendita grazie a cornerdedicati, utilizzare codici QR per ottenere maggiori informazioni riguardo ai capi
esposti nello store ed effettuare un 3D body scanner per calcolare le proprie misure e
forme facilitando la ricerca dell'abito prima dell'acquisto e rivelando i capi d'abbi-
gliamento che meglio si adattano alla figura del cliente. E' inoltre possibile assistere
a casi dove l'integrazione avviene all'interno di un solo canale, nel canale digitale, di
fatto, è sempre più facile trovare sinergie tra i diversi format. Il caso proposto tratta
di una collaborazione tra il format del flash sales ed il format dell'online lifestyle sto-re multibrand, Vente-privee ha di recente lanciato una vendita flash dove era possibi-
le acquistare un buono sconto da utilizzare sul sito lifestyile store Asos (Figura 1.11).
Figura 1.10 - Corner per l'acquisto online nel flagshipstore di New Look a Marble Arch, Londra
Fonte: Google Immagini
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Figura 1.11 - Vendita flash su Vente-prvee per promozione coupon Asos
Fonte: www.venteprivee.com
Un altro esempio viene sempre dal sito lifestyle di Asos, dove, al suo interno, è
possibile trovare due aree dedicata al social commerce: Asos maketplace, dove gli
utenti (venditori e privati) possono vendere i loro articoli, usati e nuovi e Asos fa-
shion finder, dove si entra nel cuore social del sito britannico ed è possibile creare e
condividere i propri look.
Inoltre, da una ricerca condotta da Zhang, Farris, Irvin, Kushwaha, Steenburgh e
Weitz, relativa alle strategie multicanale dei retailer,42 sono emerse cinque potenziali
sinergie e opportunità che si possono sviluppare tra canali:
1. Comunicazione e promozione tra canali: si tratta della sinergia più rilevante, vale
a dire la possibilità di utilizzare un canale per promuoverne un altro. In questo
modo aumenta l'efficacia della comunicazione. Soprattutto nel settore moda, ab-
biamo visto che il consumatore ricerca informazioni su un canale per poi conti-
nuare l'acquisto in un altro, ciò accade generalmente quando c'è un vantaggio di
tipo economico;
42 Zhang J., Farris P. W., Irvin J. W., Kushwaha T., Steenburgh T. J. e Weitz B. A. (2010), Crafting Integrated Multichannel Retailing Strategies, Journal of Interactive Marketing, n. 24, pp. 168-180. La ricerca è stata condot-ta tramite interviste esplorative a 500 senior executives di retailer multichannel (general merchandise, arredamen-to e servizi finanziari).
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2. Ottenere informazioni ed eseguire ricerche di mercato per migliorare le decisio-
ni: i retailer mulicanale sono oggi in grado di ottenere informazioni sugli acquisti
in un canale per poi spingere le vendite su un altro. Per esempio, attraverso i siti
e-commerce, è possibile ottenere informazioni riguardo ai tassi di conversazione
e alla vendita di diversi prodotti, queste indicazioni possono essere poi utilizzare
per allestire le vetrine dei negozi fisici; a beneficio della produttività, l'intero ca-
nale dovrebbe quindi condividere tutte le informazioni di questa natura. Un
esempio interessante viene da Zara, dove, nella sua applicazione per device mo-
bili, è possibile verificare lo stock presso il punto vendita più vicino del capo
d'abbigliamento o accessorio ricercato (Figura 1.12). L'impresa spagnola ha dun-
que saputo coordinare sinergicamente il canale digitale al canale fisico grazie adun servizio di geolocalizzazione integrato;
3. Confronto di prezzi: in alcuni casi, certe aziende, hanno una presenza multicanale
per completare la strategia di prezzo degli altri canali. Per esempio, Nike, con i
negozi vetrina, ha fissato prezzi di riferimento per gli altri canali;
4.
Digitalizzazione: la digitalizzazione può ridurre i costi del personale in tutti i ca-nali. In più, la produzione e la distribuzione attraverso i canali online risulta più
conveniente anche per il consumatore stesso in quanto consente di destinare il
personale di servizio verso attività molto più rilevanti, per esempio, il servizio
clienti;
5. Condivisione di operazioni:43ogni azienda può prendere due strade, la prima pre-
vede il coordinamento attraverso il canale in una data fase del processo di acqui-sto del consumatore, la seconda riguarda il coordinamento attraverso i canali e at-
traverso le fasi del processo di acquisto del consumatore. Nel primo caso, il gra-
do di coordinamento è nullo, mentre nel secondo abbiamo un coordinamento
completo. Quando il grado di coordinamento è nullo viene meno la "channel pri-
ce integrity" e l'azienda può applicare delle discriminazioni di prezzo tra canali.
Tuttavia, quando il grado di coordinamento è completo, diventa più facile fide-
43 Per spiegare questo punto sarà utilizzato l'articolo di Neslin S. A., Grewal D., Leghorn R., Shankar V., TeerlingM. L., Thomas J. S. e Verhoef P. C. (2006), Challenges and opportunities in multichannel customer manage-ment , Journal of Service Research, n. 9, pp. 95-112.
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lizzare il consumatore-utente: una politica di reso cross-canale può infatti creare
opportunità cross-selling poichè il retailer può incoraggiare il consumatore ad ac-
quistare all'interno del punto vendita fisico quando questo viene a ritirare o a ren-
dere un prodotto acquistato online. In una report condotto sempre da Neslin e
Shankar (2009) è stato stimato un aumento delle vendite del 20%,44 all'interno di
quei punti vendita fisici che hanno accettato i resi delle vendite dei siti online.
Figura 1.12 - Applicazione per smartphone di Zara, servizio di geolocalizzazione (stock presso i punti vendita fisici)
Fonte: elaborazione personale dall'app per Smartphone di Zara
1.5 La contraffazione virtuale
La vendita online è regolata da una normativa europea e rientra nel capitolo delle
vendite a distanza, dove è al cliente finale che viene data la massima tutela per quan-
to riguarda la trasparenza, la completezza delle informazioni, la sicurezza di paga-
mento e le facoltà di recesso. La legge europea garantisce quindici giorni di calenda-
rio per effettuare la restituzione del prodotto al venditore, con il rimborso dell'impor-
to pagato. In Italia Neetcom è l'ente che assiste le imprese che vendono on-line, men-
tre in Europa questo ruolo è affidato all'Emota (European E-commerce and Mail Or-
der Trade Association). Sicurezza e trasparenza sono i pilastri fondamentali per la
44 Dato preso da Zhang J., Farris P. W., Irvin J. W., Kushwaha T., Steenburgh T. J. e Weitz B. A. (2010), Craft-ing Integrated Multichannel Retailing Strategies, Journal of Interactive Marketing, n. 24, p. 174.
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vendita online. Dall'European Digital Behabiour Study45 è emerso che le principali
barriere all'e-commerce per un utente italiano sono:
•
La ridotta confidenza con il prodotto "digitalizzato": il 40% degli utenti preferi-
sce accertarsi direttamente della qualità del prodotto e farsi consigliare dal suo
venditore di fiducia;
• Diffidenza nei pagamenti online: il 31% degli utenti preferisce effettuare il pa-
gamento in contanti mentre il 31% ha poca fiducia nei metodi di pagamento onli-
ne;
• Timori sull'effettiva recezione del prodotto/sensazione della perdita di controllo
sulla logistica, il 27% degli utenti ha infatti timore di non ricevere il prodotto, il
25% ritiene che le procedure per un eventuale recesso siano poco trasparenti il
18% considera i costi troppo elevati ed il 23% ritiene che la possibilità di restitui-
re la merce, se non soddisfatti, non sia chiaramente espressa.
Interessante è poi il confronto che la ricerca propone con le altre nazioni europee,
quali: Regno Unito, Francia, Germania e Spagna. Se si osservano le risposte degli
utenti in base alle loro nazionalità, emerge chiaramente che il consumatore-utente
italiano è il più diffidente. Parlando di contraffazione, è naturale associarla al primo
punto dei deterrenti all'e-commerce. Questo perché è più facile rimanere anonimi si-
mulando l'autenticità di un prodotto quando questo è digitalizzato.
Dal promemoria sui problemi della contraffazione in Italia di Indicam (Istituto di
Centromarca per la lotta alla contraffazione) emerge che la crescita dell'e-commerce,e quindi l'ampliamento della platea di consumatori-utenti, ha paradossalmente au-
mentato l'attività contraffattiva: "gli stessi tratti del web che favoriscono il commer-
cio legittimo, finiscono infatti per essere preziosi anche alla filiera della contraffa-
zione: dalla progettazione alla distribuzione fino al contatto con il consumatore fina-
le, sia quello “consapevole” che ne viene attratto sia quello inconsapevole che ne
diviene facile vittima".46
%I Contactlab (2013), European digital behaviour study , reperibile sul sito www.contactlab.it. 46 Indicam (2010), Promemoria sui problemi della contraffazione in Italia, reperibile sul sito www.indicam.it
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Inoltre, i beni che risentono maggiormente di questo fenomeno sono i prodotti
d'abbigliamento e accessori a elevato valore simbolico, poiché legati a dimensioni
sociali figuranti un preciso status symbol a cui un individuo vuole appartenere. A tale
riguardo è interessante inserire la ricerca effettuata da Gistri, Romani, Pace, Gabrielli
e Grappi (2005) riguardo alle pratiche di consumo dei prodotti a elevato valore sim-
bolico contraffatti.47 La ricerca è stata condotta partendo dalla matrice di Holt (1995)
(Figura 1.13), che ha sviluppato una matrice applicando due dimensioni: la struttura
dell'azione, ossia se il consumatore attua un’azione interpersonale o un’azione su un
oggetto, e lo scopo dell'azione, che può essere o strumentale o autoletico. Da qui, ot-
teniamo quattro profili di consumatori orientati all'acquisto di beni a elevato valore
simbolico contraffatti:
1. Consumo come esperienza: lo scopo dell'azione è autoletico e il consumatore at-
tua un'azione su un oggetto. Qui, entrano in gioco fenomeni psicologici facenti
parte delle dimensioni emotive dell'individuo. I consumatori di falsi come espe-
rienze si pongono l'obiettivo di raccogliere una "buona contraffazione", dunque,
l'acquisto del prodotto falso avviene dopo aver raggiunto una solida conoscenza
dell'originale, costruita nel tempo dopo aver ricercato informazioni, analizzato iprodotti stessi, guardato le vetrine e sfogliato riviste di settore.
2. Consumo come integrazione: lo scopo dell'azione è strumentale e il consumatore
attua un'azione su un oggetto. Gli oggetti di consumo costituiscono una parte
dell'identità del consumatore. Il consumo come integrazione può seguire due
strade diverse: la prima riguarda i consumatori che incorporano oggetti nella loro
identità personale per definire simbolicamente il loro modo di essere; la secondariguarda i consumatori che cercano di ridefinire il loro concetto di sé, allineando-
si ad un modello già esistente. In ogni caso, i consumatori utilizzano i marchi di
lusso per migliorare il loro concetto di sé e replicare gli stereotipi del benessere.
Tuttavia, alcuni intervistati, hanno manifestato un senso di disagio per quanto
47 Gistri G., Romani S., Pace S., Gabrielli V., Grappi S. (2009), Consumption practices of counterfeit luxurygoods in the italian contexts, Journal of Brand Management, n. 16, pp. 364-374. "The method that seems morefitting is qualita- tive. In-depth interviews were conducted. Fifteen respondents were interviewed individually.(...) Individuals came from six dif- ferent cities located in different regions of Italy. The respondents were differ-
ent in terms of age, level of education, job, income and involvement with fashion products. (...) Themes werethen classified according to the quadrants of Holt’s scheme".
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concerne il processo di formazione della loro identità basato su oggetti falsi.
3. Consumo come gioco: lo scopo dell'azione è autoletico e il consumatore intra-
prende azioni interpersonali. Il consumo di prodotti contraffatti è visto come una
risorsa per facilitare l'interazione sociale. In questo caso, i prodotti contraffatti
costituiscono l'oggetto di consumo fondamentale per la comunione e la socializ-
zazione.
4. Consumo come classificazione: lo scopo dell'azione è strumentale e il consuma-
tore attua un'azione su un oggetto. I consumatori che vedono il consumo di pro-
dotti contraffatti come classificazione, vogliono classificare se stessi in relazioneagli altri. In particolare, le ripartizioni servono al consumatore sia per conformar-
si sia per distinguersi dalla massa. Possesso e conoscenza del prodotto di lusso
spingono gli individui ad attraversare i confini culturali e, in particolare, le classi
sociali per conformarsi agli stili di vita delle classi più alte.
Figura 1.13 - La matrice di Holt (1995)
Fonte: Gistri G., Romani S., Pace S., Gabrielli V., Grappi S. (2009), Consumption practices ofcounterfeit luxury goods in the italian contexts, Journal of Brand Management, n.16, p. 366.
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Tuttavia, le caratteristiche di pervasività del web non rappresentano solo minacce
per i prodotti fashion. Infatti, esistono casi dove le peculiarità del web sono state uti-
lizzate finalizzate a implementare degli utili strumenti per aiutare il consumatore a
riconoscere i prodotti contraffatti. Interessante è il sito certilogo (www.certilogo.it),
in cui è possibile accertare l'originalità dei prodotti in due modi:48
• Digitando il codice alfanumerico di dodici cifre direttamente sul sito online
(www.certilogo.it) per i prodotti già in possesso (Figura 1.14);
• Utilizzando il "bottone certilogo", che distingue i rivenditori online che offrono
prodotti certificati con certilogo, il consumatore può controllare l'originalità del
prodotto prima online e, all'arrivo del prodotto acquistato, grazie a una doppia cer-
tificazione può verificare se il prodotto spedito è lo stesso che il rivenditore aveva
promesso (Figura 1.15).
Figura 1.14 - Verifica etichetta certilogo (codice CLG)
Fonte: www.certilogo.it
48 www.certilogo.it
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Figura 1.15 - Doppia verifica per gli acquisti online
Fonte: www.certilogo.it
Infine, credo sia giusto concludere questo paragrafo (e capitolo) affermando che,
quasi sempre, è il buonsenso delle persone che determina minacce o opportunità.
Non è il Web in sé ad essere minaccioso, ma lo diventa nel momento in cui le infinite
opportunità che offre vengono utilizzate nel modo sbagliato.
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Capitolo 2
Il Consumatore Omnichannel
2.1 La segmentazione dei prodotti moda
Come afferma Lugli (2011) "Il comportamento d'acquisto del consumatore varia
moltissimo in rapporto alla tipologia di beni".49 È dunque importante segmentare
l'offerta in base alle caratteristiche oggettive della merceologia poiché, in un secondo
momento, sarà più semplice e automatico comprendere i comportamenti e le attitudi-
ni manifestate del consumatore verso quel determinato prodotto. Tuttavia, soprattutto
nel settore della moda, è anche vero il contrario, ossia, analizzando le caratteristiche
soggettive del consumatore è possibile segmentare l'offerta in settori merceologici
rilevanti. A riguardo, prendendo la classificazione distributiva dei beni in base al
grado di coinvolgimento psicologico nell'acquisto, Busacca (1990),50 troviamo due
tipologie di prodotti: quelli con un alto coinvolgimento psicologico e quelli con un
basso coinvolgimento psicologico. I primi, sono quei beni per i quali il consumatore
raccoglie più informazioni, dedica più tempo, visita più punti vendita e valuta più
alternative, mentre i secondi sono quei beni per i quali il consumatore non è disposto
a spendere tempo scegliendo prima il punto vendita, poi il prodotto. Di fatto, sono
sempre più gli stili di acquisto degli individui che condizionano la natura dei prodot-
ti: "Le persone agiscono seguendo le logiche multistile, combinatorie, che le portano
ad acquistare una costosa giacca griffata o una prestigiosa marca di scarpe per ab-
binarle ad un paio di jeans o a una camicia presa al negozio dell'usato o al mercato"
Fabris (2006).51 Con un consumatore contraddittorio e sempre più polarizzato, è
quindi molto difficile partire da una segmentazione oggettiva che tiene conto pretta-
mente delle categorie merceologiche dei diversi prodotti, la soluzione è la segmenta-
zione per "fascia prezzo" riportata da Saviolo (2001),52 la quale"(...)taglia trasver-
49 Lugli G. (2011), Marketing Channel, UTET, Torino, ed.2.50 Ibidem 51 Fabris G.P. (2006), Nuove identità nuovi consumatori - intervista sull'Italia che cambia di Ivo Ferrario, Il Sole24 Ore, Milano, p. 46. 52 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano.
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salmente sia i criteri merceologici sia quelli di mercato nella segmentazione del set-
tore".53 Questa classificazione contiene cinque segmenti costruiti sulla base di un
prezzo multiplo rispetto al prezzo della fascia media di mercato (Tabella 2.1).
• Prodotti haute couture: (prezzo fino a dieci volte superiore rispetto al prezzo me-
dio di mercato) si tratta di prodotti molto prestigiosi, "la couture, o alta moda, ha
raccolto l'eredità dell'alta moda francese e italiana e, pur essendosi alquanto ri-
dimensionata rispetto al passato, offe tuttora a selezionatissimi clienti a livello in-
ternazionale (si parla di non più di duemila consumatori nel mondo) abiti da so-
gno confezionati su misura".54 Tuttavia, oggigiorno, l'alta moda è utilizzata pret-
tamente come elemento di comunicazione per supportare il mercato dei profumi e
degli accessori, molto più remunerativo.
• Prodotti prêt-à-porter: (prezzo da tre a cinque volte superiore rispetto al prezzo
medio di mercato) come abbiamo già visto, il prêt-à-porter è nato negli anni ottan-
ta come sintesi tra l'industria dell'abbigliamento programmato e l'alta moda, è
quindi un processo di democratizzazione dell’haute couture, relativo a prodotti per
la vita di tutti i giorni. Questi prodotti hanno un prezzo elevato con un alto conte-nuto di creatività trasmesso dallo stilista o designer che rappresenta il prodotto
stesso. Troviamo qui le case moda più prestigiose che producono ogni sei mesi
collezioni in funzione delle tendenze moda. I prodotti prêt-à-porter seguono quin-
di logiche stagionali "(...) con la presentazione di almeno due collezioni l'anno:
tra luglio e settembre si vede la primavera-estate e tra gennaio e febbraio l'au-
tunno-inverno della stagione successiva".55
• Prodotti diffusion: (prezzo da due a tre volte superiore al prezzo medio di merca-
to) sono qui posizionate le seconde e le terze linee degli stilisti e dei marchi indu-
striali più prestigiosi dirette ad un pubblico ampio, in genere di competenza delle
marche industriali.
53 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano. 54 ibidem 55 ibidem
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• Prodotti accessibili o bridge: (prezzo uno virgola cinque, due volte superiore al
prezzo medio di mercato) nascono sul mercato americano grazie ai department
store con lo scopo di offrire prodotti "ponte" (da qui il nome bridge) tra il mass
market e le prime seconde linee dei designer. I prodotti bridge comprendono mar-
chi industriali di fascia alta e le linee più basse degli stilisti. La variabile strategica
di questo segmento è il time to market, di fatto, i prodotti bridge hanno la caratte-
ristica "(...) di servire il mercato nei tempi giusti; più che lo stile del prodotto con-
ta l'immagine di e il servizio al punto vendita in termini di consegna e riassorti-
menti" ".56
•
Prodotti moda mass: (da uno virgola cinque il prezzo medio fino al primo prezzo
di mercato) sono prodotti basici e poco differenziati, hanno un valore economico
basso e soddisfano bisogni prettamente funzionali. Nei prodotti moda mass sono
quindi fondamentali i volumi, la capillarità della distribuzione e la notorietà
dell'insegna. Troviamo quindi le linee più economiche e di massa dei marchi in-
dustriali e commerciali e i prodotti unbranded che spesso seguono le logiche
competitive dei beni di largo consumo.
Tabella 2.1 - Principali caratteristiche dei segmenti secondo la fascia prezzo
MASS BRIDGE DIFFUSION/PAPFattori critici disuccesso
Prezzo/servizio Marca/stile Griffe/creatività
Clienti-tradeDistribuzione evolutaSpecialistiGrossisti
SpecialistiBoutique
BoutiqueConcept Store
Variabile strategi-ca del sistema di
offerta
Volumi e assortimenti Time to market Griffe
Stile del puntovendita
Grandi superfici Specializzazione Concetto della griffe
Fonte: Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano, pag. 123
Per quanto riguarda i prodotti mass, inoltre, i clienti-trade di questo segmento so-
no specialisti, grossisti e distribuzione evoluta (Tabella 2.1), infatti, questi prodotti
sono spesso distribuiti nelle grandi superfici despecializzate (per esempio all'interno
56 Saviolo F., Testa S. (2001), Le imprese del sistema moda, Etas, Milano.
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d’ipermercati). Non a caso, in Italia, è l'azienda distributiva Esselunga, che, nella
spesa online, ha inserito la categoria "calze & intimo" (Figura 2.1), questi beni, per i
distributori, sono considerati di servizio o completamento e svolgono un ruolo di
servizio al consumatore. Pertanto, a parere di chi scrive, i prodotti moda mass diffi-
cilmente troveranno sviluppo nell'e-commerce poiché il consumatore non è coinvolto
emotivamente nell'acquisto e non spende tempo né nell'attività di shopping né nella
ricerca di informazioni e confronti prezzo online. Tuttavia, nelle sezioni e-commerce
delle aziende distributive, i prodotti mass, possono rappresentare un importante
strumento di fidelizzazione in termini di completamento dell'offerta al consumatore.
Figura 2.1 - Prodotti mass market nella sezione "spesa online" di Esslunga, il consumatore può quiacquistare ciabatte, calze uomo, intimo uomo, claze donna e intimo donna.
Fonte: www.esselunga.it
Infine, interessante è anche la segmentazione proposta sempre da Saviolo (2001)
riguardante l'occasione di consumo, essa, definisce le occasioni di vita per le quali un
certo prodotto viene concepito e, tradizionalmente, sono tre: formali, informali e
sport. Tuttavia, data l'evoluzione della domanda, è diventato necessario ampliare ul-
teriormente le occasioni di consumo "(...) all'interno del formale esistono occasioni
legate al giorno-lavoro e alla sera-cerimonia; nell'informale si distinguono le occa-
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sioni metropolitane del tempo libero/leisure fuori città, nello sport si distingue il soft
sport dallo sport attivo".57
2.2 Tendenze e acquisti online dei prodotti fashion
Da una ricerca riguardante l'acquisto online di prodotti fashion condotta dall'Hu-
man Highway per Neetcom,58 sono emersi dati molto interessanti riguardanti le ten-
denze degli acquisti online dei consumatori suddivise per categorie di prodotto. In
particolare, sono state analizzate le categorie dei capi d'abbigliamento, delle calzatu-
re, degli accessori e delle borse. I prodotti moda più acquistati online sono i capid'abbigliamento (40,6%) e le scarpe (36%) (Figura 2.2), le quali hanno registrato un
importante aumento tra Ottobre 2012 e Aprile 2013 di circa 700 nuovi acquirenti,
mentre crescono in maniera minore gli acquirenti di accessori, borse da donna e capi
d'abbagliamento (Figura 2.3). Questo potrebbe significare un importante superamen-
to della barriera che riguarda le taglie, in quanto, il consumatore è sempre più prepa-
rato e informato per quanto concerne la misura della scarpa o del capo d'abbiglia-
mento desiderato. Certamente occorre considerare anche il fenomeno dello show-rooming, già esposto nel primo capitolo, il quale vede il consumatore recarsi nei pun-
ti di vendita per provare e misurare i prodotti che poi acquisterà online. Per quanto
riguarda invece lo scontrino medio di spesa online per tipo di prodotto, vediamo che
la categoria delle borse da donna è il segmento