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Raymond Klibansky, Erwin Panofsky - Da Saturno e La Melanconia

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da Saturno e la melanconia di Raymond Klibansky, Erwin Panofsky e Fritz Saxl Storia dell’arte Einaudi 1
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da Saturno e la melanconia

di Raymond Klibansky, Erwin Panofsky eFritz Saxl

Storia dell’arte Einaudi 1

Edizione di riferimento:Raymond Klibansky, Erwin Panofsky e Fritz Saxl,Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofianaturale, religione e arte, trad. it. di Renzo Federici,Einaudi, Torino 1983Titolo originale:Saturn and Melancholy. Studies in the History of Natu-ral Philosophy Religion and ArtThomas Nelson & Sons Ltd, London© Raymond Klibansky, Erwin Panofsky, Fritz Saxl

Storia dell’arte Einaudi 2

Indice

Storia dell’arte Einaudi 3

parte secondaSaturno, astro della melanconia

II. Saturno nella tradizione figurativa

1. saturno nell’arte antica e la sopravviven-za della rappresentazione tradizionale nel-l’arte del medioevo

2. illustrazione del testo e influenza orien-tale

3. l’immagine di saturno e dei suoi figli

4. saturno nelle illustrazioni mitografichedel tardo medioevo

5. saturno nell’umanesimo

parte quartaDürer

i. La melanconia in Conrad CeltisLa xilografia di Dürer sul frontespizio dei «Quat-tuor libri amorum» di Celtis.La dottrina dei temperamenti negli scritti di Dürer

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ii. L’incisione Melencolia I1 . gli antefatti storici della «melencolia i»

a) Motivi tradizionalii) La borsa e le chiaviii) Il motivo della testa reclinaiii)Il pugno chiuso e la faccia nera

b) Immagini tradizionali nella composizionedell’incisione

i) Illustrazioni della malattia ii) Cicli figurativi dei quattro temperamen-

ti. I: figure singole a carattere descritti-vo (i quattro temperamenti e le quattroetà dell’uomo). II: gruppi drammatici:temperamenti e vizi

iii)Rappresentazioni delle arti liberali

2. il nuovo significato della «melencolia i» a) La nuova forma d’espressione

b) Il nuovo contenuto concettuale i) Simboli di Saturno e della Melanconia ii) Simboli geometrici iii)Simboli di Saturno o della Melanconia

combinati con simboli geometrici: in rap-porto alla mitologia e all’astrologia, in rap-porto all’epistemologia e alla psicologia

iv) Arte e pratica

c) Il significato della Melencolia I d) I Quattro apostoli

Indice

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Indice

iii. Il retaggio artistico della Melencolia I

1. rappresentazioni della melanconia in formadi figura femminile sola al modo di dürer

2. rappresentazioni tipiche della melanconianegli almanacchi tardo medievali

3. la melanconia nelle rappresentazioni disaturno o dei suoi figli

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parte seconda Saturno, astro della melanconia

Capitolo secondoSaturno nella tradizione figurativa

L’evolversi della concezione di Saturno, come l’ab-biamo ripercorso sopra, si riflette non solo nella lette-ratura, ma anche nelle arti figurative. La tradizione pit-torica, per altro, come avviene in tutti i casi del genere,segue sue proprie regole.

1. saturno nell’arte antica e la sopravvivenzadella rappresentazione tradizionale nell’ar-te del medioevo.

Il tipo tardo dell’Aion-Crono mitraico, sviluppatosiper influenza orientale, che con le ali e altri attributirispondeva a una generica significazione cosmica, inparticolare come dio del Tempo, fu conosciuto dai seco-li anteriori al Rinascimento solo attraverso la letteratu-ra, non attraverso l’arte1. Il «Crono fenicio», dall’a-spetto di un cherubino con due ali sulla testa e quattrosulle spalle, e due occhi aperti e due chiusi, sopravvissesu monete e in una descrizione di Eusebio2. A parte que-sto, le raffigurazioni antiche di Saturno, almeno quelleche ci riguardano, si dividono in due classi, che mostra-no entrambe il dio con l’aspetto di un vecchio e gli asse-gnano come attributi una falce3 e un mantello sulla testa:elemento questo che Saturno ha in comune solo conAsclepio e che gli dà fin dall’inizio un aspetto strano eun po’ sinistro. Il primo tipo mostra il dio in un aspet-

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to in genere ieratico, sia che si tratti di un busto, di soli-to sovrastante i suoi simboli zodiacali (come si vedenelle monete antonine)4, sia che si tratti di immagini afigura intera, in piedi; però in entrambi i casi la conce-zione è molto simile. Il secondo tipo mostra il dio nel-l’atteggiamento di un pensatore, seduto, con la testaappoggiata alla mano.

Il primo tipo si trova esemplificato in un suggesti-vo dipinto murale nella Casa dei Dioscuri a Pompei5.Gli occhi del dio sono minacciosi. La toga nascondetutto tranne il viso, i piedi e una mano che tienealquanto goffamente una falce ritta al fianco. Questagoffaggine è certamente voluta, dato che l’affresco èopera di un grande artista. L’arnese che egli tiene nonè un arnese comune, è il simbolo della potenza di que-sto dio severo e sembra minacciare il fedele. L’insoli-ta rigidità e il carattere un po’ spiritato della raffigu-razione possono quindi considerarsi espressione dellapersonale concezione di un pittore dell’epoca d’orodella pittura pompeiana. Per lui Saturno era il temibi-le dio della terra.

Il secondo tipo, come si è detto, è caratterizzato dalfatto che il dio appare seduto, col braccio appoggiato aqualche oggetto, una caratteristica che è sembrata cosítipica del dio che echi ne sopravvivono anche in figura-zioni in cui è quasi del tutto fuori luogo. Ad esempio,la mano sinistra di Saturno è sollevata al capo in una rap-presentazione della scena in cui gli viene data la pietrada divorare in luogo del bambino6. La tomba di Cornu-to in Vaticano è l’esempio piú importante di questotipo, insieme a un piccolo bronzo del Museo Gregoria-no7 e a qualche frammento di statuaria monumentale.Saturno vi appare in atto di riflettere tristemente, comeAttis su altre tombe. La mano destra non tiene ritta lafalce, come nell’affresco di Pompei, ma è posata stan-camente sul ginocchio. La testa è china e poggia sul

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braccio. Per Cornuto, che dispose che questa immaginefosse collocata sulla tomba sua e dei suoi figli, Saturnoera simbolo della triste quiete della morte. L’arte anti-ca quindi ha dato espressione ai due aspetti della natu-ra di Saturno, da un lato sotto la forma dell’imponentee benefico dio della terra, dall’altro sotto quella deldistruttivo, ma insieme pacificatore, sovrano degli infe-ri. Nell’arte del primo Medioevo, in Occidente, ilsecondo tipo scomparve; il tipo del pensatore fu in unprimo tempo riservato, nell’arte cristiana, agli evange-listi, agli apostoli e ai profeti. Insieme ai busti tipici dellaserie consueta dei cinque pianeti, Saturno, Giove,Marte, Mercurio e Venere8, nei manoscritti degli Ara-tea sopravvisse lo schema solenne ma non specifico cheabbiamo visto a Pompei. In una raffigurazione carolin-gia dei pianeti9 troviamo una riproduzione esatta diSaturno a figura intera, con la falce e la toga tirata sullatesta. Siamo in grado di dimostrare come questo tipo siastato trasmesso, dato che manoscritti antichi avevanogià adattato la forma monumentale all’illustrazione dilibri. L’immagine di Saturno nel Calendario dell’anno354 d. C. mostra il dio in atto di camminare, come aPompei10; la toga lascia scoperta la parte superiore delcorpo, la mano destra tiene l’arma. L’illustratore delmanoscritto carolingio deve avere avuto sott’occhio unesempio della tarda antichità che per certi versi era piúsomigliante all’affresco classico di quanto non lo sial’immagine del Calendario. Il braccio allungato di Satur-no con l’arma è una variante che l’immagine carolingiaha in comune con il Calendario, però, come nell’affre-sco antico, la figura volge la testa di lato come se guar-dasse l’avversario che minaccia con la sua arma11.

Le illustrazioni dell’enciclopedia di Rabano Mauro sibasano anch’esse, largamente, sulla tradizione pittoricaantica12. In esse Saturno appare in una forma per nullamedievale, seminudo e in abito antico, e anche il suo

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atteggiamento in atto di incedere risale a un modelloantico. Ciò che però è nuovo e sorprendente è il fattoche il dio tenga non una comune falce ma la piú moder-na falce fienaia: fatto che si spiega solo con una parti-colare interpretazione del copista dell’xi secolo13.

Se si escludono le immagini di pianeti del genere diquelle che abbiamo ricordato sopra14, immagini di Satur-no nell’arte bizantina si hanno solo in illustrazioni delleOmelie di san Gregorio di Nazianzo.

La piú antica raffigurazione di Saturno si trova in unmanoscritto del ix secolo conservato a Milano15. Essaillustra la prima omelia Contra Julianum ed è concepitain cosí stretta aderenza al testo, il quale è un’accesainvettiva contro gli dèi pagani, che l’artista è caduto inun comico equivoco. San Gregorio dice ironicamenteche certo è un modo ammirevole di indurre i figli adamare i loro genitori il raccontare loro come Cronoabbia castrato Urano e come poi suo figlio Zeus gliabbia teso un agguato rendendogli pan per focaccia16. Mal’illustratore che ha creduto che la parola O‹ran’j indi-chi non il dio Urano ma il cielo stesso, e che ha inter-pretato il verbo tûmnein non come «castrare» ma come«tagliare» o «spaccare», ci mostra Saturno che castraUrano (” Kr’noj tÿn O‹(ra)nÿn tûmno(n)) con unapoderosa ascia che spacca le volte del cielo, mentreZeus, che si ribella contro Crono (” Dàaj kat™ to„Kr’n(ou) ùpanistßmenoj) lo minaccia alle spalle conun’ascia analoga.

Però un gruppo posteriore di manoscritti di san Gre-gorio, che risalgono all’xi e xii secolo (cioè al momentopiú alto del movimento umanistico che inizia nel x seco-lo), ci mostra un’immagine sostanzialmente diversa. Inquesti manoscritti17 le illustrazioni degli dèi pagani sonostate tolte dall’omelia Contra Julianum e aggiunte a quel-le dell’omelia In sancta lumina. Però il ciclo è ora moltopiú ricco e, cosa piú importante, le rappresentazioni

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fondate sulla tradizione letteraria (ad esempio, la«Nascita di Venere» dai genitali di Saturno gettati nelmare, che solo piú tardi si ritrova nell’arte occidentale)sono ora rafforzate da altre che invece erano estraneeall’arte occidentale e presuppongono una tradizione pit-torica derivata dall’antichità classica. Di questo genereè «L’astuzia di Rea» che ha dato da divorare al maritouna pietra avvolta in fasce, e la scena dei cureti e deicoribanti che suonano intorno alla culla di Zeus infan-te, coprendone gli strilli e salvandolo cosí dall’essere sco-perto. Nell’illustrazione in cui si vede Rea che mette inopera lo stratagemma per ingannare Saturno incontria-mo ancora un tipo di Saturno seduto, simile al rilievocapitolino di cui si è parlato18. Si può quindi affermareche le illustrazioni di questi piú tardi manoscritti gre-goriani solo in parte sono nate come traduzioni del testoin immagini, e che in altri casi hanno seguito una tradi-zione puramente pittorica, derivata da testi illustrati dicarattere secolare che non hanno esercitato una loroinfluenza sul ciclo teologico fino alla rinascita del x seco-lo. Questo vale non solo per la scena di Saturno e Reae per quella dei Coribanti, ma anche per quelle che illu-strano la nascita di Atena, di Cibele e di Orfeo. Questosospetto diviene quasi certezza quando si osserva che leminiature dei Coribanti, nei manoscritti tardogregoria-ni, chiaramente derivano dallo stesso modello che èstato trasmesso, per le rappresentazioni di questa scena,nei manoscritti oppiani19.

2. illustrazione del testo e influenza orientale.

Le illustrazioni dell’opera di Rabano Mauro hannocostituito uno spartiacque tra le raffigurazioni basatesulla tradizione puramente pittorica, ad esempio quelledel manoscritto Vossiano, e un nuovo gruppo di opere

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medievali occidentali destinate ad avere un’importanzamolto maggiore per l’evoluzione generale, in quanto nonfondate su una tradizione maturata nell’arte classica. Inqueste opere compaiono nuovi tipi, in parte perché gliartisti partono da testi contenenti descrizioni degli dèiantichi, che gli illustratori medievali potevano arricchi-re seguendo la propria fantasia, in parte perché si atte-nevano a modelli provenienti da una cultura diversa,cioè da quella dell’Oriente. Per l’una ragione e per l’al-tra la fantasia dell’artista medievale era libera di crearetipi realmente nuovi, piú vicini allo spirito del tempo.Il migliore esempio di un Saturno altomedievale delgenere si trova in un manoscritto miniato a Ratisbona20.La figura non ha nulla in comune coi modelli classici; èinvece una di quelle illustrazioni autonome che si tro-vano nei testi dotti di cui abbiamo parlato nel capitoloprecedente (testi che il Medioevo derivò dalla tardaantichità), nei quali le descrizioni degli dèi antichi eranointerpretate allegoricamente a scopi filosofici e morali-stici. In questa illustrazione a Saturno viene assegnatoun gran numero di attributi. Ha il capo coperto; nellamano sinistra tiene il falcetto e, come già abbiamo vistonell’enciclopedia di Rabano, la falce fienaia; nella destratiene il «Drago del Tempo», che si morde la coda e indi-ca che Kr’noj deve essere interpretato anche comeCr’noj. L’immaginazione dell’artista ha impresso allavecchia descrizione una nuova, e tipicamente medieva-le, vitalità21.

Una raffigurazione come quella del manoscritto diRatisbona è però rimasta a lungo un unicum, in quan-to il Saturno qui effigiato è anzitutto solo un inventa-rio grafico delle caratteristiche attribuite nel testo, alquale viene assicurata una generica somiglianza con tipicontemporanei. Ancora non presenta alcun rapporto opossibilità di rapporto né con una persona reale né conciò che realmente circondava l’uomo medievale, in

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quanto una tale immagine, fondata sulla pura «traslit-terazione», manca sia del vigore figurativo di una tra-dizione pittorica, sia della vitalità di una rappresenta-zione realistica. Si comprende quindi come una verarinascita pittorica degli dèi antichi potesse avveniresolo quando la tradizione obsoleta dell’antichità fossestata sostituita da una tradizione viva, che permettes-se di procedere a una interpretazione nuova, realistica,degli dèi, che qui erano ancora rappresentati in unaforma puramente «letteraria». Questo si verificò quan-do l’Occidente venne in contatto con modelli orienta-li, che raffiguravano gli dei pagani certo in un costumealquanto esotico, però in una forma piú contemporanea,o almeno in una forma che meglio si prestava ad esse-re assimilata. In Oriente, forse grazie a una certasopravvivenza latente della vecchia concezione orien-tale dei pianeti, si era sviluppata una serie di tipi pit-torici le cui caratteristiche specifiche erano state fino-ra estranee all’Occidente, ma che potevano facilmenteessere tradotte in termini dell’epoca. Giove e Mercu-rio vi erano rappresentati con un libro, Venere con unliuto, Marte con una spada e una testa senza il corpo einfine Saturno con una vanga e una gravina. A partirealmeno dal xiii secolo questi tipi22 cominciarono ainfluenzare le rappresentazioni occidentali, e in certicasi possiamo addirittura seguire il processo passopasso. Per questa ricerca i manoscritti piú importantisono quelli con le illustrazioni a un testo di Abû Ma‘∫ar,che ci sono pervenuti in numero relativamente grande23.Il manoscritto piú antico di questo gruppo24 contienerappresentazioni dei pianeti chiaramente derivate dafonti orientali. Come in Oriente, Mercurio è raffigura-to con un libro, Venere con uno strumento musicale eMarte con un uomo decapitato, mentre i Gemelli sonouniti l’uno all’altro, come li troviamo anche in copieorientali. Anche qui troviamo le curiose raffigurazioni

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dei pianeti che cadono a capo in giú25; però è una carat-teristica occidentale mostrare i pianeti come sovrani introno (questo avviene in manoscritti derivati da quelloparigino Ms lat. 7330) e integrare le due immaginidell’«esaltazione» e della «caduta», come ricorrono inOriente, con una terza rappresentante il «declino».Questo significativo arricchimento mediante l’aggiun-ta di un momento intermedio tra i due estremi fa sup-porre che l’idea dell’ascesa e della «depressione» fossecollegata con l’idea occidentale della «ruota della For-tuna», un legame attestato in modo indubbio dal moti-vo, sicuramente derivato dalla ruota della Fortuna, dellecorone che cadono. Non sorprende scoprire effettiva-mente, alla fine del codice parigino26 una rappresenta-zione della ruota della Fortuna che occupa quattro fogli,cioè divide la consueta sequenza Regnabo, Regno,Regnavi, Sum sine regno in rappresentazioni separateche corrispondono alle diverse fasi dei pianeti. In que-sti manoscritti troviamo una curiosa mescolanza di ele-menti orientali ed elementi occidentali che basta dasola a dimostrare che essi sono stati illustrati inizial-mente nell’Italia meridionale; e questa indicazione èrafforzata, come dimostreremo altrove attraverso un’a-nalisi piú particolareggiata, da considerazioni di stile27.

Nel codice parigino 7330 Saturno appare in unaforma del tutto occidentale, come un sovrano con unoscettro e senza altri attributi. Anche i suoi segni zodia-cali, l’Acquario sotto forma di Ganimede e il Capri-corno, sono concepiti in modo schiettamente occiden-tale. Se però osserviamo manoscritti piú tardi di que-sto gruppo28, scopriamo con sorpresa che l’influenzaorientale è aumentata in misura tale che ora a Saturnoè attribuita una vanga, come nei manoscritti orientali,e che il dio è raffigurato in una posa particolare, cioèritto con un piede sul suo seggio29. Non conserva nulladell’aspetto calmo, regale, dell’immagine precedente; la

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figura sembra piuttosto avvicinarsi a quelle di mano-scritti occidentali in cui si trova un’analoga posa agita-ta. Dopo le loro peregrinazioni in Oriente, gli dèi anti-chi potevano ora diventare figure molto piú realistiche,somiglianti nell’aspetto esterno a dotti, contadini onobili tardomedievali, in diretto rapporto visivo con imortali nati sotto di loro, ritrovando cosí per la primavolta una intensa vitalità. Saturno, in particolare,divenne sempre piú nell’arte tardomedievale la guida eil campione dei poveri e degli oppressi, il che non solocorrispondeva in generale alle tendenze realistiche del-l’arte tardomedievale, ma anche, piú specificamente,alla turbolenza sociale dell’epoca. Già negli affreschiattribuiti a Guariento nella chiesa degli Eremitani aPadova30, egli appare quale sarebbe poi rimasto finoall’epoca moderna, nonostante tutti gli affinamentiumanistici: un contadino cencioso, piegato sull’arnesedel suo lavoro. Anche in un manoscritto dell’Italia set-tentrionale egli figura come un contadino con una falcefienaia e una borraccia alla cintura, mentre va neicampi31. Per influenza orientale il dio greco delle messie il dio italico dell’agricoltura è divenuto lui stesso uncontadino. E tale rimase anche in una scena mitologi-ca dove compare in coppia con Filira, trasformata ingiumenta, come si vede nei manoscritti di Andalò delNegro. Egli è l’esponente dello strato piú basso dellasocietà medievale, per il quale tutta l’attività intellet-tuale è un libro chiuso, e che passa la vita a trarre gramimezzi di sussistenza dalla terra. Gli ultimi giorni dellavita, quando l’uomo diviene sterile e il suo calore vita-le si riduce al punto che egli cerca solo di accoccolarsiaccanto al fuoco, sono i giorni propri di Saturno.

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3. l’immagine di saturno e dei suoi figli.

L’Oriente ha fornito all’Occidente concezioni deltutto nuove delle divinità planetarie, concezioni chenon avevano piú nulla in comune con i tipi sviluppatidall’arte classica. Piú ancora, ha introdotto in Occiden-te un sistema, fino ad allora sconosciuto, di disegni com-plicati che rappresentano visivamente i rapporti dei pia-neti con gli uomini che cadono sotto la loro influenza.

Scrittori orientali ci dicono che nei templi paganiSaturno era raffigurato come un vecchio indiano, oppu-re come un uomo che cavalcava un elefante, o che medi-tava sull’antica sapienza, o che attingeva una broccad’acqua da un pozzo, e cosí via. Con poche eccezioni32,queste immagini sono rappresentazioni delle occupazio-ni attribuite a Saturno nei testi astrologici di cui abbia-mo parlato nel capitolo precedente, e ci sono quinditutte le ragioni per supporre che i dipinti murali descrit-ti da questi autori siano i precedenti dei disegni defini-ti da storici dell’arte posteriori come immagini dei «figlidei pianeti». Questa convinzione è rafforzata dal fattoche simili immagini dei «figli dei pianeti» si possonorealmente trovare in manoscritti orientali piú tardi. Inun manoscritto arabo33 e nei suoi derivati34 troviamo le«attività dei pianeti» rappresentate in sette serie di ottoimmagini ognuna. La prima immagine di ogni seriemostra il pianeta stesso, mentre le sette contigue mostra-no ognuna uno dei suoi figli. Saturno figura come unuomo con una gravina, e accanto sono raffigurate atti-vità come la lavorazione del cuoio, la coltura dei campi,e così via; Mercurio è un dotto con un libro, associatoa occupazioni piú raffinate. L’Occidente deve avereconosciuto schemi di questo tipo nel Trecento, perchésolo cosí si può spiegare come nel Salone di Padova35 sitrovi, disposta in una forma tabulare molto simile, unaserie di immagini dei «figli dei pianeti» che possiamo

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definire una versione occidentale, in scala monumenta-le, di queste «tavole» quali ricorrono, ad esempio, nelmanoscritto Bodleiano orientale 133. Lo stesso Saturnovi appare in una forma molto lontana da quella classica,cioè come un uomo che si porta la mano alla bocca asignificare o il silenzio o la sua natura sinistra e afflitta.Anche i «figli dei pianeti» subirono in Occidente unprocesso sempre piú deciso di «modernizzazione» reali-stica. Epoche successive trovarono le serie delle occu-pazioni disposte in forma tabulare (come quelle delSalone di Padova, riprese da manoscritti orientali, nellostile del manoscritto Bodleiano orientale 133) troppomonotone come forma e troppo eterogenee come con-tenuto. Cosí cercarono una soluzione che raggruppassegli uomini governati dai pianeti in una sorta di vivacerappresentazione «di genere», tale da apparire social-mente e psicologicamente piú coerente. Questo implicòin primo luogo la riduzione della caotica varietà che siaveva nelle «tavole» originarie a un numero limitato ditipi intimamente connessi tra di loro; in secondo luogo,implicò la riunione di questi tipi in ambienti coerenti ein una stessa prospettiva. Cosí la raffigurazione di Giovedeve illustrare la natura e il modo di vivere degli uomi-ni che hanno la fortuna di essere colti e abbienti, quel-la di Mercurio la vita dei dotti e degli artisti, quella diMarte la vita dei guerrieri, e quella di Saturno la vita deicontadini poveri e oppressi, dei mendicanti, degli scian-cati, dei prigionieri e dei criminali. Contemporanea-mente si sentí il desiderio di rendere immediatamentevisibile l’«influenza» fatale di ciascun pianeta sugliuomini ad esso soggetti, per cui è comprensibile chedopo molti incerti tentativi di modernizzare lo schemache abbiamo visto nel Salone di Padova, una soluzionesia stata alla fine trovata in uno schema iconografico cheera stato usato in tutt’altro ambito e in tutt’altro sensoper mostrare l’«influenza» di una forza celeste sull’esi-

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stenza terrena: lo schema dell’Ascensione di Cristo alcielo (o, piú esattamente, Cristo che, salito in cielo, sirivolge a coloro che sono rimasti sulla terra), del Giudi-zio finale e, soprattutto, della Pentecoste e di misterianaloghi36.

Questo nuovo schema ebbe origine nell’arte nordicadel xv secolo, come Kautzsch e Warburg hanno dimo-strato37, e piú tardi raggiunse l’arte italiana; ad onta delmutamento di singoli elementi e di spostamenti d’ac-cento, la sua composizione rimase immutata fino al xviie al xviii secolo. Lo incontriamo per la prima volta,come serie completa, nelle illustrazioni dell’Epîtred’Othéa di Christine de Pisan. Il dio planetario siede suuna nuvola, con un’aureola di stelle intorno, come unvero sovrano celeste, e sotto di lui, sulla terra, vivono isuoi «figli»: nel caso di Venere amanti che innalzano iloro cuori come un sacrificio, nel caso di Saturno, uomi-ni saggi riuniti a consesso. Il fenomeno di questo adat-tamento della scena della Pentecoste a fini secolari nonè unico a quest’epoca. In una miniatura, della fine delxiv secolo, del Losbuch di Vienna troviamo un gruppodi saggi e patriarchi raccolti sotto una semisfera checontiene i sette pianeti38; e le illustrazioni realizzateintorno al 1400 per il De claris mulieribus del Boccacciomostrano Giunone come un’apparizione celeste che silibra al di sopra dei suoi devoti, mentre Minerva forma,con gli artigiani suoi protetti, qualcosa come una mito-logia delle «Arti liberali»39. Una fusione dello schemadella Pentecoste secolarizzato con questa versione dellarappresentazione delle «Arti liberali» conoscerà ulte-riori sviluppi come è facilmente comprensibile.

L’uso di uno schema religioso nelle illustrazioni del-l’opera di Christine de Pisan fu reso piú facile dal fattoche i pianeti in questo caso hanno un significato esclu-sivamente positivo. Ognuno di essi rappresenta una par-ticolare virtú, per cui l’assimilazione di queste immagi-

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ni a rappresentazioni come quella della Pentecoste appa-re abbastanza naturale. Inoltre, una volta che questoadattamento fu portato a compimento mediante la fusio-ne col motivo delle «Arti liberali», lo schema poté acco-gliere il contenuto, assai diverso, dei soliti testi astrolo-gici e dare cosí vita alla rappresentazione dei «figli deipianeti» che è rimasta in uso per diversi secoli. Entro lalinea generale di questa evoluzione ci sono state nume-rose rielaborazioni e modifiche. Cosí Saturno è statorappresentato come un contabile e un aritmetico; comeil dio degli scrigni, con in mano una chiave oltre che unafalce; come un contadino che vanga; e anche come uncavaliere che reca nella sua insegna non solo la grandestella ma anche l’umile falce. La falce fienaia che impu-gna insieme alla falce comune, o al suo posto, può diven-tare una vanga o un piccone, e questi a loro volta pos-sono diventare una stampella; e infine questo dio degliumili e degli oppressi viene ad avere una gamba di legno.Forse la curiosa posizione della gamba, che in qualchecaso è stata copiata da certe fonti orientali, e perfino unricordo inconscio del mito della castrazione di Crono,hanno avuto una loro parte in quest’ultima deformità.D’altra parte però gli artisti del xv secolo avevano giàcominciato a dipingere Saturno a colori un po’ piú eroi-ci, soprattutto in Italia, come era da aspettarsi. La seriefiorentina delle raffigurazioni dei «figli dei pianeti» è,per certi aspetti, analoga alle raffigurazioni dei «trion-fi», cosí diffuse dopo Petrarca: Saturno appare come ilre Tempo, con una falce fienaia, su un carro tirato dai«draghi del Tempo» che si mordono la coda. Nel Nordappare come un cavaliere, sul tipo di quelli che si vedo-no nelle scene di torneo. Infine nella Cronica figurata fio-rentina appare in una forma umanistica vera e propriacome il re latino che ha insegnato ai Romani l’agricol-tura e ha fondato Sutri40.

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4. saturno nelle illustrazioni mitografiche deltardo medioevo.

Nel frattempo però le illustrazioni mitografiche, dicui abbiamo visto un precoce ma isolato esempio nelmanoscritto di Monaco41, tornarono in vita. Per quan-to riguarda il contenuto, i testi mitografici di quest’e-poca, cioè del xiv e xv secolo, sembra siano stati com-pletamente «moralizzati»: le loro figurazioni allegorichefurono interpretate in senso cristiano. Invece le lorofigurazioni pittoriche subirono l’influsso della nuovatendenza «realistica» che incoraggiava un’ambienta-zione contemporanea (le illustrazioni astrologiche, comesi è visto, erano già state influenzate in questo sensorispetto ai loro modelli orientali). Cosí l’autore del Ful-gentius metaforalis42 fa di Saturno il simbolo della sapien-za. Però nelle illustrazioni di questo testo Saturno appa-re come un sovrano in trono, con la regina a fianco, incostume quattrocentesco, mentre intorno sono rappre-sentate le varie scene della sua vita (che uno spirito deli-cato in genere trova incresciose). L’autore medievalepoteva prendere anche scene disgustose come argo-mento di esortazione morale, perché per lui il verosignificato non stava nell’immagine in sé, ma nel suosenso allegorico43.

La serie piú importante di illustrazioni di questo tipoè il ciclo di immagini trecentesche che ornano la tradu-zione francese del De civitate Dei di sant’Agostino, cuipossiamo aggiungere le illustrazioni dell’Ovide moralisé,che risultano anche piú significative. In entrambe leserie Saturno è fornito di attributi e inserito in conte-sti che non avevano avuto, e non potevano avere, alcu-na rilevanza astrologica. Nelle illustrazioni della Cité deDieu Saturno, in ricordo del suo lungo e difficile viag-gio verso il Lazio, appare come un solenne vecchio chetiene in mano una nave o un albero di nave44. Invece,

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nella prima versione dell’Ovide moralisé francese, nellaquale le immagini dei grandi dèi pagani figurano comeillustrazioni di contro al frontespizio di ogni libro, egliviene ancora una volta messo in relazione coi «draghi delTempo»45; soprattutto la scena di Saturno che divora isuoi figli, mai rappresentata prima, nemmeno nell’anti-chità, è resa qui in tutta la sua crudezza, allo stessomodo che la nascita di Venere dal membro castrato com-pare nelle illustrazioni già ricordate del Fulgentiusmetaforalis. Vediamo il dio mentre porta alle labbra ilbimbo, mentre affonda i denti nel suo braccio, o dopoche ne ha già divorato la testa. Si osserva qui l’impla-cabile malvagità del dio, Moloch che divora i suoi figli;e l’insostenibile crudezza della scena è mitigata solo daltesto che accompagna l’immagine, nel quale si cerca diinterpretarla allegoricamente.

Questi motivi sono elaborati nelle illustrazioni del-l’introduzione di Bersuire all’Ovide moralisé latino, eanche in quelle del Libellus de imaginibus deorum46, chefu tratto dalla stessa introduzione. Le descrizioni chericorrono in quest’opera piú tardi trovarono posto ininnumerevoli raffigurazioni sia nel Nord che nel Sud47.Il tema del vecchio che divora il bambino passò dall’ar-te mitografica nelle raffigurazioni dei pianeti e dei loro«figli» (nella tav. 48 addirittura combinato col temadella castrazione!) e piú tardi divenne un elemento tipi-co di tali raffigurazioni48.

5. saturno nell’umanesimo.

La grande varietà di tipi che si sviluppò dal xiv seco-lo in poi dimostra che, dopo la stasi quasi completa del-l’epoca precedente, era iniziata ora una vera rinascitadegli dèi antichi, e che una ri-creazione schiettamenteumanistica (cioè una considerazione consapevolmente

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«classica» di essi) era non solo possibile ma in certamisura necessaria. Questo è stato particolarmente veroper Saturno. Vedremo piú avanti il significato che assun-se questi, che certo era il piú sinistro degli dèi, nell’u-manesimo italiano; ma fin da ora possiamo osservarecome le precedenti raffigurazioni del povero contadino,del malvagio divoratore di bambini, dell’abile aritmeti-co, o perfino del trionfale dio del Tempo o del nobilefondatore di città, non potessero soddisfare le esigenzedi una cultura in cui gli dèi antichi erano tornati ad esse-re vere e proprie divinità. Il Rinascimento italiano vole-va un’immagine di Saturno che compendiasse in se nonsolo i due aspetti della natura saturnina, quello malva-gio e cupo e quello sublime e profondamente contem-plativo, ma anche rivelasse quella forma «ideale» chesembrava raggiungibile solo tornando ad esempi auten-ticamente classici. Questa riabilitazione umanistica diSaturno avvenne, intorno al 1500, in uno dei centri piúimportanti della cultura italiana, la città che è stata lapatria del vecchio Bellini, del giovane Giorgione e diTiziano.

L’umanesimo arrivò tardi all’arte veneziana, ma dopogli ultimi anni di Jacopo Bellini si può parlare di una ten-denza nettamente umanistica. Nei libri di schizzi cheJacopo lasciò alle generazioni successive troviamo unasingolare raccolta di disegni archeologici. Egli non solofece schizzi di opere dell’antichità, che potessero servi-re all’uno o all’altro artista come modelli o come ispira-zione per il loro lavoro, ma ci ha anche conservato iscri-zioni di nessun valore artistico e nemmeno storico, comequelle sulla tomba di una cucitrice49. C’era quindi un dif-fuso interesse archeologico e umanistico per l’antichità,che permise al genero di Jacopo, Mantegna, agli inizidella sua carriera, di servirsi di uno dei disegni di que-sto taccuino quando dipinse gli affreschi della Cappelladegli Eremitani50; e che toccò il suo apice nel Trionfo di

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Cesare dello stesso Mantegna. D’altra parte lo stessoJacopo, contemporaneo di Donatello, sembra che siastato ben poco toccato dal classicismo nei suoi disegni edipinti che non sono di soggetto classico. Egli resta unvero pittore tardo-gotico, con un interesse spiccato eniente affatto umanistico per i paesaggi, gli alberi, ifiumi, i ponti, gli uccelli e le montagne della sua terra.Cosí l’opera del piú anziano dei Bellini contiene in sé ledue distinte tendenze che, combinandosi, assicurerannoalle opere del Rinascimento veneziano il loro particola-re carattere: opere come le ricostruzioni dei quadridescritti da Filostrato del giovane Tiziano, nelle quali sivedono figure bacchiche e figli di Venere composti in unritmo antico ambientato nel paesaggio nativo e raffigu-rante statue di Venere in parchi patrizi, combinano l’u-manesimo archeologico con i modi veneziani contem-poranei. I quadri di Tiziano per Alfonso I d’Este rap-presentano appunto il culmine di questo stile.

L’incisione di Giulio Campagnola raffigurante Satur-no e un’altra testimonianza, ancorché modesta, di que-sto movimento51. Si tratta di un’opera giovanile dell’ar-tista, che firma col nome dotto di «Antenoreus», cioècome fosse discendente di quell’Antenore che era venu-to da Troia nella provincia veneta e si diceva avesse fon-dato Padova. Forse perché opera di una personalitàmeno forte, le tendenze dell’epoca vi si vedono, permolti rispetti, in modo particolarmente chiaro.

In primo piano, Saturno è sdraiato a terra, e accan-to alla figura si vedono delle strane rocce e un troncod’albero. In secondo piano, sulla destra, c’è un boschet-to dalla fronda alta e cespugli al suolo. Lo sfondo èoccupato da una città fortificata in riva al mare, sulquale veleggia una nave. È sorprendente quanto sianotenui i legami intrinseci tra la figura del dio in primopiano, la parte intermedia, «moderna», e lo sfondo. Nélo sfondo né il tronco d’albero sulla sinistra sono inven-

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zioni originali del Campagnola; sono infatti ripresi dadue diverse incisioni di Dürer. Probabilmente l’artistasarebbe stato capace di trarre questi particolari da Dürercollegandoli però alla figura principale in modo da nonlasciare scorgere alcuna disorganicità nell’immagine.Invece qui si ha l’impressione che si sia proposto pro-prio una sorta di dualismo. Era infatti corrente nella tra-dizione storica dell’arte veneziana dopo Jacopo Belliniconsiderare i monumenti antichi con distacco archeolo-gico, collocandoli nel contempo in un ambiente «moder-no» che ne accentuasse la lontananza. La figura del dioè strana, come lo è il suo nome e tutto quanto il con-torno convenzionale; tuttavia essa compare nel presen-te, tra oggetti della vita di ogni giorno. Il corpo sullanuda terra ha l’aspetto di una statua, però la mano sini-stra si protende gentilmente verso la canna come lamano di una persona viva, lo sguardo è rivolto penso-samente di lato, le sopracciglia sono corrugate. Certa-mente non c’è nulla di statuario nel piede o nella canna,però come appaiono lontane dalla vita le pieghe a tuttotondo del panneggio rispetto alle pietre del suolo! Forsel’impressione che provoca questa figura si può definirenel modo migliore dicendo che sembra l’apparizione diun dio dell’antichità nella vita moderna. Sotto questoaspetto il Campagnola è un tipico veneziano del Quat-trocento, che ha studiato l’antichità dal punto di vistaarcheologico e l’ha collegata al presente senza tuttaviamai riportarla veramente in vita, come invece farà Tizia-no solo qualche anno dopo. Sembra che si possa perfi-no individuare il preciso modello del Campagnola, datoche la sua incisione chiaramente deriva dalla figura deldio fluviale o marino (l’interpretazione non è ancorasicura) dell’arco di trionfo di Benevento52. Il Saturno delCampagnola ha in comune con questa divinità lo sguar-do di lato e la testa piegata, elementi che entrambi sipossono veramente spiegare solo entro la composizione

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complessiva dell’arco. Anche il ceppo d’albero è unricordo visivo dell’urna, che però è alquanto indistinta;l’attributo della canna si può probabilmente spiegarecol fatto che, nel rilievo, le canne che crescono dietro lafigura si confondono col simbolo, ora irriconoscibile, cheil dio tiene nella mano destra e, cosa ancora piú impor-tante, il panneggio fluente del dio di Benevento, insie-me al singolare copricapo, da tuttora l’impressione chela sua toga fosse tirata sulla testa nel modo classico delcaput velatum. Questa strana combinazione di caratteri-stiche apparenti e caratteristiche reali della naturamelanconica e saturnina (mano che sorregge la testa,testa apparentemente coperta dalla toga) potrebbe benis-simo aver fornito al Campagnola, che, come sappiamo,era animato da un vivo gusto archeologico, una ragioneper interpretare la figura dell’arco di Benevento comeSaturno, o almeno di utilizzare la figura come Saturno.Certamente egli riteneva Saturno una divinità che, aparte gli altri attributi, aveva un qualche particolarerapporto con l’acqua: lo dimostra il simbolo della cannae il paesaggio marino sullo sfondo. Questa concezione,inoltre, può basarsi su quei testi che definiscono Satur-no accidentaliter humidus e dicono che ha viaggiato permolti mari, attribuendogli la protezione di coloro chevivono vicino al mare: per questi testi la maggiore auto-rità è il famoso astrologo dell’Italia settentrionale GuidoBonatti53. C’era anche il fatto che, dal Medioevo in poi,la gente si era abituata a immaginare Saturno così: neiMirabilia romani una delle due antiche divinità fluvialiche stavano davanti alla sede del Senato era scambiataper una statua di Saturno54. Il particolare significatodell’incisione, il cui paesaggio, come abbiamo visto, uti-lizza largamente motivi delle incisioni giovanili di Dürer,non sta tanto nella sua possibile influenza sulla düreria-na Melencolia I55 (il cui paesaggio di fondo può benissi-mo essere stato ispirato dal Campagnola) quanto nel

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fatto che qui per la prima volta è stato creato un nuovoSaturno, umanistico e idealizzato. A tal punto che, ineffetti, artisti immediatamente successivi al Campagno-la sono tornati alla concezione piú usuale, o, come Giro-lamo da Santacroce, tralasciando i motivi antichi, maconservando la concezione d’insieme e vestendo Satur-no come un vecchio contadino56; o ancora, come Loren-zo Costa, trasformando il Saturno antico, raffiguratonell’atteggiamento mesto di un dio fluviale, in un sanGirolamo cristiano immerso nella meditazione57.

La forma del Crono classicamente idealizzato delCampagnola poteva essere trasportata in mondi anchepiú lontani dalla realtà, nei quali il dio rivestito di pan-neggi classici era munito di ali; e cosí, come già sulle pie-tre tombali orfiche e mitraiche della fine dell’epoca clas-sica, venne ad acquistare il particolare carattere di diodel tempo. Da Crono, che solo incidentalmente aveva ilcarattere di dio del tempo, rinacque Cr’noj, il cui com-pito essenziale era la fatale distruzione di tutte le coseterrene, insieme al ristabilimento della verità e alla con-servazione della fama. In quest’ultima trasformazionedivenne un elemento quasi essenziale per le allegoriemarmoree nelle tombe e per i frontespizi didattici dimolti libri che trattavano del passato caduto in rovinaeppure ricordato58. Anche nell’aspetto esterno le imma-gini di questo risorto Saturno-Cr’noj spesso somiglia-no al Cr’noj, AáÎn o Kair’j della tarda antichità59;però non si sa con sicurezza se effettivamente derivi daessi. Sembra piuttosto che l’immagine di Saturno alatosi sia formata là dove si poteva stabilire un rapportospontaneo tra la divinità contadina e l’allegoria delTempo: cioè nelle illustrazioni del Trionfo del Tempo diPetrarca60. Petrarca fa apparire il Tempo in congiunzio-ne col sole, però non fornisce agli illustratori altre indi-cazioni. Questi ultimi quindi, nelle rappresentazioni deltrionfo, sono ricorsi a Saturno (che non è menzionato

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nel testo) come personificazione del Tempo e hannocercato di rendere esplicito questo significato assegnan-dogli l’attributo di una clessidra61, o, in certi casi, di unozodiaco. Soprattutto, però, hanno idealizzato la formatradizionale, prerinascimentale, del dio campestreaggiungendogli le ali. In questo modo lo hanno accon-ciato come una vera personificazione del tempo, com-pletandone l’immagine con un elemento nuovo e, secon-do la concezione medievale, assolutamente non saturni-no, che appare derivato da una tradizione artistica pura-mente allegorica: lo si vede, ad esempio, in un’allegoriadel Tempo del 1400 circa62. Questo processo trova con-ferma in alcune illustrazioni italiane a Petrarca del xvsecolo, nelle quali Saturno, che personifica il Tempo, stain piedi, come la figura della miniatura francese, con lebraccia che pendono simmetricamente ed è dotato diquattro ali che rappresentano le quattro stagioni63. Que-sta combinazione umanistica di Saturno e Cr’noj, unavolta giunta a compimento, diede l’avvio a un’evolu-zione inversa, cioè a un ritorno alle antiche figure diCr’noj, Kair’j e AáÎn. Ne venne la figura familiaredel dio del Tempo nudo: una figura idealizzata di vec-chio con le ali, che, per quanto sia abbastanza comunein epoche successive, di fatto deve la sua esistenza a unaserie assai complicata e varia di avvenimenti64.

1 f. cumont, Textes et monuments figurés relatifs aux mistères de Mith-ra, Bruxelles 1896-99, vol. I, pp. 74 sgg.; vol. II, p. 53. Il MythographusIII (I, 6-8), cosa significativa, non parla di ali nella sua descrizione del-l’Aion mitraico.

2 eusebio, Praeparatio Evangelica, I, 10, 39; cfr. p. 201. Per lemonete fenicie da Biblo, cfr. f. imhoof-blumer, Monnaies grecques, in«Verhandelingen d. k. Akademie van Wetenschapen Amsterdam Afd.Letterkunde», xiv, 1883, p. 442.

3 Cfr. la voce «Kronos» in roscher, Ausführliches Lexicon der grie-chischen und römischen Mythologie cit., vol. II, coll. 1549 sgg., di Maxi-

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milian Mayer; e la voce di M. Pohlenz, in paulywissowa, vol. XI,1922, coll. 2014 sgg. La falce era interpretata variamente anche dagliantichi; secondo alcuni simboleggiava la funzione di Saturno come diodella Terra, secondo altri il mito della mutilazione di Urano da partedi Crono.

4 Per questo tipo e i suoi derivati orientali, cfr. f. saxl, in «DerIslam», in, 1912, p. 163. Esiste un’analoga raffigurazione di Veneresopra il suo segno zodiacale dell’Ariete su una tessera proveniente daPalmira, pubblicata da m. i. rostovtzeff, in «Journal of Roman Stu-dies», vol. XXII, p. 113, tav. xxvi, 3 (senza spiegazione dell’imma-gine).

5 Ora a Napoli, Museo Nazionale. p. herrmann, Denkmäler derMalerei des Altertums, München 1904-31, tav. 122, testo p. 168.

6 Rilievo dell’Ara Capitolina. g. w. helbig, Führer, I. 3a ed., p. 485.Riprodotto in s. reinach, Répertoire des reliefs grecs et romains, vol. III,Paris 1912, 201.

7 Riprodotto in roscher, Ausführliches Lexicon der griechischen undrömischen Mythologie cit., vol. II, col. 1562.

8 Il prototipo greco sopravvive in copie piú tarde nel Vat. graec.1087, fol. 301v; per questa immagine in manoscritti latini, cfr. g.thiele, Antike Himmelsbilder, Berlin 1898, pp. 130 sgg.

9 Leida, Bibliotheek der Rijksuniversiteit, Cod. Voss. lat. q. 79.10 j. strzygowski, Die Calenderbilder des Chronographen vom Jahre

354, in «Jahrbuch des kaiserlich deutschen archäologischen Instituts»,supplemento I, Berlin 1888, tav. x. In epoca piú recente (benché nonin modo convincente per quanto riguarda l’esclusione di una fase inter-media carolingia tra l’originale postclassico e le copie rinascimentali per-venuteci), cfr. c. nordenfalk, Der Kalender vom Jahre 354 und die latei-nische Buchmalerei des 4. Jahrbunderts («Göteborgs kungl. Vetenskaps-och Vitterhets-Samhälles Handlingar, 5. Földjen», ser. A., vol. V, 2,1936, p. 25).

11 Per il codice di Germanico, Leiden, Voss. lat. q. 79, e la copiadi Boulogne, Bibl. Municip., Ms 188, cfr. thiele, Antike Himmelsbil-der cit., pp. 138 sgg. Un modello simile fu utilizzato dal miniaturistadel Vat. Reg. lat. 123, riprodotto in saxl, Verzeichnis, vol. I, tav. 5,fig. 11. La figura nel Reg. lat. 123 che mostra Saturno in abiti medie-vali, con il capo coperto e una lunga falce, probabilmente si fondaessenzialmente su descrizioni, non sulla tradizione pittorica. Però que-sto non sembra escludere la possibilità che vaghe reminiscenze dimodelli antichi siano presenti anche in questa raffigurazione.

12 Miniature sacre e profane dell’anno 1023.... ed. A. M. Amelli,Montecassino 1896, tav. cviii; cfr. rabano mauro, De universo, libroXV: «Falcem tenet (inquiunt), propter agriculturam significandam»(migne, PL, CXI, 428).

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13 Cfr. e. panofsky e f. saxl, in «Metropolitan Museum Studies»,vol. IV, 2, 1933, p. 250, nota 3.

14 Cod. Vat. graec. 1087.15 Milano, Biblioteca Ambrosiana, Cod. E. 49/50 inf., in a. mar-

tini e d. bassi, Cat. Cod. Gr. Bibl. Ambr., Milano 1906, vol. II, pp.1084 sgg. Dobbiamo la conoscenza di questo manoscritto come puredel manoscritto di Gerusalemme citato sotto, al professor A. M.Friend. Le fotografie qui riprodotte ci sono state messe cortesementea disposizione da Kurt Weitzmann. Cfr. a. grabar, Les miniatures duGrégoire de Nazianze de l’Ambrosienne, Paris 1943, tav. 71; k. weitz-mann, Greek Mythology in Byzantine Art, Princeton 1951, p. 38.

16 migne, PG, XXW, 660.17 Parigi, Bibl. Nat., Ms Coislin 239 (cfr. h. omont, Les miniatures

des plus anciens manuscrits grecs de la Bibliothèque Nationale, Paris 19292,tav. cxviii, nn. 14 sgg.); Gerusalemme, Bibl. Patr. Grec., Cod. Taphou14, Athos Panteleimon, Cod. 6. Di questi il manoscritto dei MonteAthos è il piú antico e il migliore, senza che per questo sia necessaria-mente il piú vicino al tipo originario.

18 Per la scena della pietra che viene offerta a Saturno, cfr. p. 185.Per la scena con i coribanti, cfr. reinach, Répertoire des reliefs cit., vol.II, p. 280; e vol. III, p. 201. Anche la miniatura riprodotta in omont,Les miniatures des plus anciens manuscrits grecs de la Bibliothèque Natio-nale cit., fig. 14, raffigura l’episodio della pietra data a Saturno, nonquello di Giove affidato a un’ancella; la figura interpretata da Omontcome una ragazza, in origine era barbuta.

19 Questi sono: Venezia, Biblioteca Marciana, Cod. gr. 479; Pari-gi, Bibl. Nat., Mss gr. 2736 e 2737 (cfr. a. w. byvanck, in «Mede-deelingen van het Nederlandsche Histor. Instituut te Rome», v, 1925,pp. 34 sgg.). È interessante notare come il Ms gr. 2737, fol. 35, scrit-to da Ange Vergèce nel 1554, riempia il posto del Saturno che mancanella miniatura dei coribanti (Parigi, Bibl. Nat., Ms 2736, fol. 24) conuna raffigurazione presa da un modello, occidentale.

20 Monaco, Staatsbibliothek Ms lat. 14 271.21 Cfr. e. panofsky e f. saxl, in «Metropolitan Museum Studies»,

iv, 2, 1933, pp. 253 sgg. e fig. 39.22 Cfr. f. saxl, in «Der Islam», iii, 1912, pp. 151 sgg.23 Questo esempio dei manoscritti di Abû Ma‘∫ar non è un caso iso-

lato. In una geomanzia scritta per il re Riccardo II, Oxford, Ms Bod-ley 581, troviamo anche il Saturno orientale con un piccone.

24 Parigi, Bibl. Nat., Ms lat. 7330 (metà del xiii secolo, però pre-suppone un precedente modello del xii secolo).

25 Cfr. bbg, Sternglaube, p. 148. La Pierpont Morgan Library pos-siede un manoscritto turco dello stesso gruppo, Ms 788.

26 Foll . 74v sgg .

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27 In f. saxl, h. meier e h. bober, Catalogue of Astrological andMythological Illuminated Manuscripts of the Latin Middle Ages, vol. III:Manuscripts in English Libraries, London 1953, pp. lxiii sgg.

28 Londra, Brit. Mus., Ms Sloane 3983 e New York, Pierpont Mor-gan Library, Ms 785 (miniato a Bruges poco prima del 1400).

29 Nelle raffigurazioni della Luna l’influenza orientale divenne tal-mente forte che mentre è ancora rappresentata come Diana nel mano-scritto di Parigi, Bibl. Nat., Ms lat. 7330 (foll. 58v sgg.), figura comeun uomo, come il Sin antico orientale, nel Brit. Mus., Ms Sloane 3983,e in quelli che ne derivano.

30 Per l’attribuzione dell’opera a un aiuto di Guariento, cfr. l.coletti, Studi sulla pittura del Trecento a Padova, in «Rivista d’Arte»,xii, 1930, pp. 376 sgg.

31 l. dorez, La canzone delle virtú e delle scienze di Bartolomeo di Bar-toli da Bologna, Bergamo 1904, p. 84.

32 La figura maschile col secchio d’acqua è evidentemente l’Acqua-rio, una delle «case» di Saturno. Che fosse raffigurato cosí in Orientesi può vedere sullo strumento astronomico islamico di proprietà delprincipe Öttingen-Wallerstein riprodotto in «Der Islam», iii, 1912,tav. 7, fig. 13; ivi, pp. 156 sgg., i testi.

33 Oxford, Ms Bodl. or. 133.34 Ad esempio, Parigi, Bibl. Nat., suppl. turc. 242, e New York,

Pierpont Morgan Library, Ms 788.35 a. barzon, I cieli e la loro influenza negli affreschi del Salone in

Padova, Padova 1924.36 e. panofsky e f. saxl, in «Metropolitan Muscum Studies», iv,

2, 1933, p. 245.37 warburg, Gesammelte Schriften cit., vol. I, pp. 86 e 331.38 Cfr. a. stange, Deutsche Malerei der Gotik, vol. II, Berlin 1936,

fig. 33. La data supposta dallo Stange sembra un po’ troppo precoce.39 Cfr. le raffigurazioni di Giunone nel manoscritto di Parigi, Bibl.

Nat., Ms fr. 598, fol. 12; Ms fr. 12 420, fol. 11; Bruxelles, Bibl. Roya-le, Ms 9509, fol. 12v; di Minerva, Parigi, Bibl. Nat., Ms fr. 598, fol.13; Ms fr. 12 420, fol. 13v; Bruxelles, Bibl. Royale, Ms. 9509, fol. 13.Per le raffigurazioni delle arti, cfr. pp. 287 sgg.

40 s. colvin, A Florentine Picture-Chronicle, London 1898, tav. 30.41 Monaco, Staatsbibliothek, Ms lat. 14 271.42 liebeschütz, Fulgentius metaforalis cit., pp. 71 sgg.43 Cfr. warburg, Gesammelte Schriften cit., vol., II; pp. 627 sgg.44 Cfr. a. de laborde, Les manuscrits à peintures de la Cité de Dieu,

Paris 1909, vol. I, pp. 198-199; vol. II, pp. 322, 367, 385, e tav. xxivb.45 Come nel codice di Monaco, Staatsbibliothek Ms lat. 14 271.46 warburg, Gesammelte Schriften cit., vol. II, pp. 453 sgg., 462,

471, 485 sgg.

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47 Le raffigurazioni fantastiche dei pianeti nei manoscritti di Scotosono una sintesi di tradizione pittorica astrologica e mitologica (l’ori-gine di questo tipo di Saturno, con scudo ed elmo, è trattata in e.panofsky e f. saxl, in «Metropolitan Museum Studies», iv, 2, 1933,pp. 242 sgg.). Il tipo di raffigurazione planetaria che si trova in Scotodiviene la forma d’illustrazione prevalente nei manoscritti astrologicidal xiv secolo in poi, salvo che nel xv secolo queste raffigurazionidivengono «umanistiche» in una forma curiosa mediante la reintrodu-zione dello stile del Calendario del 354, trasmesso da modelli carolin-gi (cfr. Darmstadt, Cod. 266, riprodotto in panofsky e saxl [loc. cit.],p. 266; Salisburgo, Cod. V 2 G 81/83; e Cod. Vat. Pal. lat. 1370). Ana-logamente, abbiamo le copie dei manoscritti carolingi di Rabano Mauroeseguite nel xv secolo, la ripresa di interesse per le illustrazioni caro-lingie di Terenzio (anch’essa descritta da panofsky e saxl, loc. cit.),le copie della Notitia dignitatum, ecc. Un parallelo in certo senso a que-sto proto-Rinascimento si può scorgere nel Nord nel fatto che le divi-nità planetarie nell’arte nordica del xv secolo sono raffigurate di rego-la come figure in piedi nude, memori in qualche modo del tipo classi-co dei rilievi romani rappresentanti le divinità della settimana, benchénon si possa dimostrare alcuna influenza diretta. Nel Medioevo avan-zato le divinità planetarie nude compaiono, per particolari ragioni, nelcaso eccezionale delle illustrazioni provenzali ai Breviari d’Amor diMatfre Ermengaud (cfr., ad esempio, le immagini di Saturno a Parigi,Bibl. Nat., Ms fr. 9219, fol. 33, o a Londra, Brit. Mus., Ms Harley4940, fol. 33).

48 Nel rilievo del campanile di Firenze Saturno, esattamente comenel manoscritto dell’Ovide moralisé (Parigi, Bibl. Nat., Ms fr. 19 121),tiene diritto il bambino che sta divorando, però invece del drago delTempo tiene una ruota del Tempo, che è evidentemente un’innova-zione umanistica.

49 c. ricci, Jacopo Bellini e i suoi disegni, vol. I, Firenze 1908, tav.51; Corpus inscriptionum latinarum, vol. V, 2542.

50 Cfr. ricci, Jacopo Bellini cit., p. 70.51 g. f. hartlaub, Giorgione und der Mythos der Akademien, in

«Repertorium für Kunstwissenschaft», xlviii, 1927, pp. 253 sgg.52 L’arco può averlo conosciuto attraverso una stampa (o un dise-

gno) sul tipo di quello pubblicato da s. reinach, La plus ancienneimage gravée de l’arc de Bénévent (Mélanges Bertaux, Paris 1924, pp.232-35, tav. xiv); a. m. hind, Early Italian Engraving, vol. I, London1938, p. 285.

53 Cfr. p. 177.54 Mirabilia Romae, ed. G. Parthey, Berlin 1869, p. 24.55 Cfr. pp. 271 sg., e p. 304, nota 10.56 g. fiocco, I pittori da Santacroce, ne «L’Arte», xix, 1916, p. 190.

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57 Già a Berlino, Collezione Kaufmann; riprodotto in a. venturi,Storia dell’arte italiana, vol. VII, 3, Milano 1914, p. 812, fig. 600.

58 Come si vede nella ristampa fatta ad Amsterdam, col titolo Eigen-tlyke Afbeeldinge van Hondert der Aldervermaerdste Statuen, of Anti-que-Beelden, Staande binnen Romen, di un’opera di François Perrier cheera apparsa a Roma nel 1638 col titolo notevole di Segmenta nobiliumsignorum et statuarum quae temporis dentem inuidium [sic] euasere.

59 Per questo, cfr. a. greifenhagen, Die Antike, vol. XI, Berlin1935, pp. 67 sgg.

60 Da f.-v. massena d’essling e e. müntz, Pétrarque..., Paris 1902,tav. di contro a p. 148.

61 Questo motivo si affermò piú tardi nelle raffigurazioni rinasci-mentali e barocche della Morte, e divenne un simbolo dell’instabilitàe in genere del memento mori.

62 Cfr. panofsky, Hercules am Scheidewege cit., p. 4, tav 5.63 Riprodotte in massena d’essling e müntz, Pétrarque cit., p.

167. Piú tardi il motivo del figlio divorato o minacciato penetrò nelleillustrazioni a Petrarca (cfr., ad esempio, un arazzo proveniente daMadrid, descritto ibid., p. 218, e una stampa di Jörg Pencz, riprodot-ta ibid., p. 262, nonché in una xilografia che figura ne Il Petrarca conl’Espositione d’Alessandro Vellutello, Venezia 1560, fol. 263v). Solo dirado, però, è stata utilizzata l’idea, suggerita dal testo, di identificareil Tempo col sole; cfr. massena d’essling e müntz, Pétrarque cit., p.219, o la xilografia de Il Petrarcha con l’Espositione di M. G. Gesvaldo,Venezia 1581, fol. 407, nella quale però il dio alato del tempo seguedietro il carro del sole.

64 Talvolta anche riprendendo i piedi alati tipici del Kair’j classi-co (cfr., ad esempio, f. saxl, «Veritas filia Temporis», in Philosophy andHistory. Essays presented to E. Cassirer, ed. R. Klibansky e H. J. Paton,Oxford 1936, p. 197, fig. 4). greifenhagen, Die Antike cit., vol. XI,pp. 67 sgg., studia altre imitazioni rinascimentali degli antichi tipi diKair’j e Cr’noj, in certi casi addirittura sviluppatisi dal tipo diCupido legato e condannato a lavorare con una gravina, come nelle figg.13 e 14, che, per inciso, sono derivate dal Cartari. Come era da aspet-tarsi questa raffigurazione medio- e tardo-rinascimentale si fonda inte-ramente sul tipo a due ali. L’unica eccezione è la figura illustrata in v.cartari, Le Imagini de i dei degli antichi, Padova 1603, p. 32, e Vene-zia 1674, p. 19, che ha quattro ali sulle spalle e due sulla testa, e che,come il Cartari afferma esplicitamente, si è sviluppata da una descri-zione del Saturno fenicio che si ha in Eusebio (cfr. p. 184).

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parte quarta Dürer

Capitolo primo

La melanconia in Conrad Celtis

La xilografia di Dürer sul frontespizio dei Quattuor libri

amorum di Celtis.La dottrina dei temperamenti negli scritti di Dürer

Le lettere del Ficino, da cui sono stati desunti i fattiesposti sopra, furono pubblicate in Germania nel 1497dal padrino di Dürer, Koberger, solo tre anni dopo lapubblicazione, a Firenze, della loro prima edizione;anche il De vita triplici fu conosciuto in Germania sulfinire del xv secolo1. Sarebbe però erroneo supporre chela nuova concezione della melanconia si sia impostaimmediatamente. È ovvio che fino ad epoca modernainoltrata, la concezione popolare dei temperamenti rima-se condizionata molto piú dalla tradizione medica chedalle nuove, rivoluzionarie teorie metafisiche, che sologradualmente influenzarono le idee popolari, quandoormai le concezioni dei neoplatonici fiorentini eranodivenute parte integrante della cultura generale. Ma glistessi umanisti erano troppo legati all’umoralismo e all’a-strologia tradizionali perché la nuova dottrina potesseimporsi senza incontrare opposizione. Perfino in Italia,dove pure la riabilitazione di Saturno e della melanco-nia aveva avuto origine, e dove uomini come GiovianoPontano, Celio Rodigino e Francesco Giorgio (usandoper lo piú le parole del Ficino stesso) abbracciaronosenza riserve il nuovo vangelo2, resistette ancora l’ideache Saturno fosse un pianeta esclusivamente infausto3 eche potesse generare grandi talenti solo se, come unveleno, temperato in giusta misura con altri pianeti. Nel

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Nord in particolare, dove il libro III del De vita tripliciparve dapprima «incomprensibile»4, solo Agrippa diNettesheim adottò integralmente le idee del Ficino. Glialtri umanisti tedeschi della prima generazione in qual-che caso citavano il Problema XXX, i di «Aristotele»5,benché senza particolare rilievo, o anche facevano lasolita concessione che Saturno, in combinazione conGiove, «accresce in sommo grado l’ingegno e fa diven-tare inventori di certe arti»6; ma perfino Conrad Celtis,che in genere mostra una mentalità cosí umanistica,sembra non essere stato affatto influenzato dalle con-cezioni fiorentine. Per quanto riguarda la melanconia,egli aderiva completamente alle idee consuete dellamedicina delle scuole7, e Saturno per lui non era che unafonte di sciagure, che produceva uomini tristi, sofferentie «monacali», e che bisognava implorare perché lascias-se inoperose le sue «morbosas sagittas» nella faretra8.

Se nel Nord perfino gli umanisti non riuscivano affat-to a rompere con la tradizione medievale, oppure riu-scivano a farlo solo gradualmente e a metà riluttanti, apriori dobbiamo aspettarci altrettanto da un artista te-desco come Dürer, tanto più che egli si trovò per laprima volta di fronte al problema delle quattro com-plessioni in una xilografia che serviva allo stesso Celtiscome frontespizio dei suoi Libri amorum, pubblicati nel1502; e in effetti il contenuto di questa xilografia nonrivela alcuna influenza della nuova dottrina. Egli adot-ta uno schema compositivo che si può far risalire alleimmagini classiche dei quattro venti, come si vedono adesempio nella Tabula Bianchini, tramite le raffigurazio-ni medievali di Cristo circondato dai simboli dei quat-tro Evangelisti9, giú giú fino alle immagini didattiche deitardi scolastici, uno schema che altri prima di lui ave-vano utilizzato per i quattro temperamenti10. Seduta introno al centro, egli raffigura la Filosofia, col capo inco-ronato e (seguendo Boezio) munita di una scala artium11.

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La Filosofia è circondata di una ghirlanda composta diramoscelli di quattro diversi tipi di piante, che sonolegati da medaglioni contenenti busti di filosofi; gliangoli della pagina sono occupati dalle teste dei quattroventi. Ognuno di questi e attentamente differenziato siacome età che come carattere; e (come si può vedere dafonti piú antiche e dal testo di Celtis) ognuno simbo-leggia uno dei quattro elementi e uno dei quattro tem-peramenti, nonché una delle quattro stagioni. Zefiro, ilvento dell’Ovest, la cui testa giovanile, idealizzata,emerge dalle nubi e dalla cui bocca spuntano fiori, signi-fica l’aria, la primavera e l’uomo «sanguigno». Euro, ilvento dell’Est, una testa virile circondata dalle fiamme,significa il fuoco, l’estate e l’uomo «collerico». Austro,il vento del Sud, rappresentato da un uomo in età piúavanzata e gonfio, che fluttua tra onde e scrosci di piog-gia, significa l’acqua, l’autunno e l’uomo «flemmatico».Infine Borea, il vento del Nord, un vecchio magro ecalvo, significa la terra, l’inverno (di qui i ghiaccioli) el’uomo «melanconico».

Lo schema cosmologico che sta alla base di questaxilografia è vecchio quanto lo schema della sua compo-sizione, e un confronto con l’ordine adottato, per esem-pio, da Antioco di Atene12, rivela che è stato semplice-mente adattato in modo da rispondere all’epoca e alluogo: cioè c’è stata un’inversione delle parti tra Boreae Austro. L’autunno, freddo e asciutto nel Sud è quindiassegnato, nelle fonti classiche, a Borea, alla terra e allabile nera, sembrava nel Nord rispondere molto meglioalla natura fredda e umida di Austro, dell’acqua e delflegma; mentre l’inverno, nei paesi nordici caratterizza-to molto piú dal gelo che dalla pioggia, come invece nelSud (l’«hiems aquosa», cfr. Egloga X, i, 66), sembravacorrispondere a Borea, alla terra e al melanconico13. CosíBorea, nella sua nuova posizione, è divenuto l’elementosenile del ciclo e per noi costituisce la prima prova della

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nozione che Dürer aveva dello stato melanconico. Que-sta nozione non è in nulla diversa da quella della tradi-zione medievale; negli occhi infossati e nei tratti grinzo-si di questo vecchio calvo, dal naso affilato, magro, c’èpiú stizza di misantropo e meschina astuzia che sublimetristezza e meditata riflessione. Caratteristiche che con-trastano con il florido buon umore del flemmatico, ilvigore ardente del collerico e la giovanile freschezza delsanguigno, in una forma che ci è familiare da centinaiadi testi popolari sulle complessioni.

Il melanconico ha viso triste, è avido e pieno di avarizia, non gli si deve chiedere grazia, non è incline mai a far bene, astuzia lo diede a balia a imbroglio e inganno; di parlar bene non è mai capace, ma cercate altrove qualcuno che lo faccia14.

Non sorprende che una dottrina dei quattro tempe-ramenti divulgata in tanti testi, immagini e versi, debbaessere sembrata altrettanto ovvia e vincolante a un uomodel xvi secolo che, per esempio, la nozione preeistei-niana dell’universo agli uomini di epoche piú recenti; einfatti Dürer non l’ha mai esplicitamente rinnegata.Anche nei Vier Bücher menschlicher Proportion (Quattrolibri della proporzione umana), quando ormai da tempoaveva familiare la nozione della melanconia propostadal neoplatonismo fiorentino, egli ha caratterizzato l’im-magine di un saturnino come «infedele» (mentre il figliodi Venere «dovrebbe apparire dolce e grazioso»)15; e lesue successive osservazioni sulle complessioni si disco-stano di poco da ciò che si poteva dedurre da una qua-lunque concezione popolare dei temperamenti, in parti-colare l’idea che le differenze individuali tra gli uomini

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dipendessero, se non del tutto almeno per la maggiorparte, dal fatto di appartenere a una delle quattro com-plessioni16, e che queste per parte loro erano equivalen-ti a una natura «infuocata, o aerea, o acquatica o terre-stre», ed erano condizionate dall’influenza dei pianeti.Le annotazioni di Dürer superano il contenuto dei testitradizionali solo in questo, che, pur non omettendo lecaratteristiche descrittive ed espressive, tuttavia, in que-sta teoria della proporzione, egli le subordina alle ca-ratteristiche della proporzione, e addirittura arriva adaffermare che tutto l’insieme delle differenze provoca-te dagli «elementi» e dai pianeti si può distinguere visi-vamente con le semplici misure:

Cosí se uno viene da te e desidera una infida immaginesaturnina o una marziale o una che indichi il figlio di Vene-re che deve essere dolce e grazioso, facilmente dovrestisapere, dagli insegnamenti sopra citati, se naturalmente lihai messi in pratica, quale misura e modo devi usare peressa. Infatti attraverso le proporzioni esterne si possonodefinire tutte le condizioni degli uomini, se di natura infuo-cata, aerea, acquatica o terrestre. Infatti la potenza del-l’arte, come abbiamo detto, padroneggia tutte le cose17.

Dopo il suo secondo viaggio in Italia, Dürer stese ilpiano del suo ampio libro sulla pittura, che avrebbe dovu-to comprendere ben piú che la prospettiva e la propor-zione; ma anche qui non c’è bisogno di supporre unafamiliarità con il De vita triplici del Ficino, o col nuovoconcetto di melanconia. In passato questa influenza èstata sospettata18, perché Dürer aveva affermato che nellascelta e nell’educazione degli apprendisti pittori si dove-va prestare attenzione alla loro complessione19, e perchéaveva specificato i requisiti necessari in questi termini:

Anzitutto, si deve prestare attenzione alla nascita delgiovane, scoprendo sotto qual segno è nato, con qualche

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spiegazione. Pregate Dio che si tratti di un’ora fortunata.Successivamente si devono osservare la sua figura e le suemembra... Quinto, nel giovane si deve mantenere vivo ildesiderio di imparare e non si deve fare in modo che se nestanchi. Sesto, si badi che il giovane non si applichi trop-po, perché la melanconia potrebbe prendere il sopravven-to in lui; si badi che egli impari a distrarsi con piacevoli ariedi liuto, per deliziare il suo sangue20.

Ma ora sappiamo che la convinzione che l’eserciziomentale provocasse un eccesso di bile nera21, e quindiuna riluttanza depressiva morbosa a ogni attività, erastata, da Rufo di Efeso in poi, un principio nella medi-cina medievale delle scuole, altrettanto universale dellacredenza nel potere salutifero delle «piacevoli arie diliuto», il cui effetto antimelanconico troviamo illustra-to per la prima volta non nelle xilografie della traduzionedel Ficino del Muelich, ma in certe miniature che risal-gono almeno al xiii secolo22. Anche l’esigenza che l’e-ducazione del giovane discepolo fosse regolata in baseal suo oroscopo e al suo temperamento (condizionato,questo, dal suo oroscopo) non è moderna come sembra.Il De disciplina scholarium, attribuito a Boezio, in realtàscritto da un certo «Conradus», di cui oltre al nome nonsi sa altro, fu conosciuto dovunque dopo la prima metàdel xiii secolo e fu tradotto in francese e tedesco. L’o-pera spiega lungamente come l’alloggio del giovanediscepolo, il suo cibo e il suo modo di vivere in genera-le dovessero essere regolati sulla sua costituzione (san-guigna, flemmatica, collerica o melanconica) e la suacostituzione dovesse, se necessario, essere definita daesperti23. E Dürer non aveva che da trasferire questiprincipî dalla sfera della scuola e dell’università alla bot-tega del pittore (cosa che, è vero, non avrebbe mai fattoil suo maestro Wolgemut), e combinare le nozioni delladottrina delle complessioni con quelle dell’astrologia in

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una forma ben familiare al Quattro Cinquecento, peravere già pronto il suo programma «iatromatematico» dieducazione.

1 Cfr. w. kahl, in «Neue Jahrbücher für das klassische Altertum,Geschichte und deutsche Literatur und für Pädagogie», vol. IX, 1906,p. 490; e giehlow 1903, p. 54 (che contiene la notizia secondo cui ilgiovane Willibald Pirckheimer dovette procurare a Padova una copiadel De vita triplici per suo padre), e, piú di recente, h. rupprich, Wil-libald Pirckheimer und die erste Reise Dürers nach Italien, Wien 1930,pp. 15 sgg. La prima traduzione, molto scorretta (di Adelphus Muc-lich) apparve nell’opera di hieronymus braunschweig, Liber de artedistillandi simplicia et composita, Das Nüw Buch der rechten Kunst zudistillieren, foll. cxxxxi sgg., Strassburg 1505, e comprende solo i dueprimi libri, come avviene anche nelle ristampe successive. Quanto alterzo (fol. clxxivv): «Vnd das dritte buch sagt von dem leben vonhimel herab als von hymelischen Dingen zu vberkommen. Das gar hochzu verston, ist hie vss gelon».

2 gioviano pontano, De rebus coelestibus, IV, 6, pp. 1261 sgg., inOpera, Basel 1556, vol. III; celio rodigino, in Sicuti antiquarum lec-tionum commentarios concinnarat olim vindex Ceselius, ita nunc eosdem...reparavit.... IX, 29, Venezia 1516, p. 455; francesco giorgio, Har-monia mundi totius, Venezia 1525, foll. xlviiv, xlixv e cxviv.

3 Anche nell’oroscopo di Dürer, redatto dal canonico di BambergaLorenz Beheim nel 1507, Saturno non era ricordato che brevemente,come un elemento che disturbava l’influenza di Venere (e . reicke, in Fest-schrift des Vereins für Geschichte der Stadt Nürnberg zur 400 jährigenGedächtnisfeier Albrecht Dürers 1528-1928, Nürnberg 1928, p. 367). Lostesso Gioviano Pontano fornisce altrove una descrizione di Saturno(Urania, libro I, p. 2907 nel vol. IV dell’edizione di Basilea cit. sopra) chedifferisce appena da quella, per esempio, di Chaucer (cfr. pp. 181 sgg.).

4 Cfr. nota 1.5 Ad esempio, Konrad Peutinger, nel suo giudizio, scoperto dal

giehlow 1903, pp. 29 sgg., su una moneta di Taso recante la figura diErcole. Tuttavia Peutinger aveva familiare il testo originale dei De vitatriplici del Ficino, come si può dimostrare, e ne fece perfino un uso pra-tico quando una caduta gli provocò un mal di capo. Cfr. Monaco, Staat-sbibliothek, Ms lat. 4011, foll. 8r, 27v, 36r, 37v, 38r-v, 39v, 40r, 41r.

6 «Excellenter ingenium auget et quarundam artium inventoremfacit»: cosí johannes ab indagine, Introd. apotelesmat. in Chyromant.,VI, cit. in giehlow 1904, p. 10. Inoltre egli è convinto che Saturno è

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il «pessimus planeta» e che la melanconia è la «pessima complexio», eche quando il melanconico, già dotato di tutte le cattive qualità, è perdi piú soggetto a un’influenza particolarmente forte da parte di Satur-no, questi «omnia hacc mala conduplicat»! Similmente si esprimejohann taisnier, Opus mathematicum, Köln 1562, p. 532. Per la teo-ria delle congiunzioni di Melantone, cfr. p. 310, nota 10.

7 Cfr. i versi del suo discepolo Longino all’inizio dei Libri amorum(riprodotto in giehlow 1904, p. 7).

8 Passi in giehlow 1904, pp. 9 sgg. Il piú amaro è nei Libri amo-rum, I, 1: «Satumus, totiens qui mihi damna tulit». Il Giehlow ha cer-cato di interpretare il fatto che il Celtis collegasse la vecchiaia con ilsapere, la saggezza e la filosofia come la prova di un atteggiamentoabbastanza favorevole alla melanconia e a Saturno, in quanto Satumoera un senex e la melanconia era il temperamento appropriato alla vec-chiaia. Però non ci sono molte giustificazioni per dedurre un fatto delgenere dal naturale rispetto per la saggezza della vecchiaia, meno chemai qui, dove ciò contrasta con affermazioni cosí esplicite.

9 Cfr., da un lato, allegorie filosofiche come quella riprodotta indorez, La canzone delle virtú e delle scienze... cit., fol. 6v (cfr. anchesaxl, Verzeichnis, vol. II, p. 34); e, d’altro canto, rappresentazionicosmologiche in cui le teste dei quattro venti (talvolta già fatte coinci-dere con le stagioni, gli elementi ecc.) occupano gli angoli della raffi-gurazione. Cfr. le numerose tavole in e. wickersheimer, in «Janus»,vol. XIX, 1914, pp. 157 sgg.; e inoltre l’immagine dell’annus prove-niente da Zwiefalten (k. löffler, Schwäbische Buchmalerei, Augsburg1928, tav. 22), o Vienna, Nationalbibliothek, Cod. lat. 364, fol. 4v;cfr. anche c. singer, From Magic to Science, London 1928, pp. 141 sgg.

10 Per un ulteriore approfondimento, cfr. pp. 346 sgg.11 Secondo buzio, De consolatione Philosophiae, I, 1, la scala dovreb-

be ascendere da pi a theta (dalla pratica alla teoria); in Dürer si ha un phiinvece del pi. Forse pensava a un’ascesa dalla filosofia alla teologia?

12 Cfr. p. 14 di questo libro, Einaudi, Torino 1983.13 L’identificazione portata a termine nell’ultimo novenarium for-

nisce la spiegazione testuale di questa variante: melancholicus = terra= notte = tramontana = freddo = bianco azzurrino = Capricorno =inverno = vecchiaia (cfr. giehlow 1904, pp. 6 sgg.). Se si toglie que-st’unica variante lo schema che si vede nella xilografia di Dürer èancora identico al sistema antico, come è mantenuto, per esempio, nelmanoscritto di Monaco, Ms graec. 287 (Cat. astr. Gr., VII, p. 104).

14 «Milencolique a triste face, | conuoiteux et plain d’avarice, | l’onne luy doit demander grace, | a nul bien faire n’est propice, | barat lebailla a nourrisse | a tricherie et a fallace | de bien dire nul temps n’estchiche | mais querez ailleurs qui le face». Parigi, Bibl. Nat., Ms fr. 19994, fol. 13r. Cfr. anche gli estratti riportati sopra, pp. 106 sgg.).

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15 lf, Nachlass, p. 228, 28.16 Gli appunti del 1512-13 dicono effettivamente: «Wir haben

mäncherlei Gestalt der Menschen, Ursach der vier Complexen» (ibid.,pp. 299, 23; 303, 9; 306, 12).

17 Cosí la versione a stampa del 1528; ibid., pp. 228, 25 sgg. Perquesto, cfr. gli appunti preliminari, che sicuramente datano anch’essidegli anni venti, ibid., p. 247, 7: «Item, se tu diligentemente usi ciòdi cui ho scritto sopra, puoi molto facilmente ritrarre ogni tipo di uomo,qualunque sia la loro complessione, siano cioè melanconici o flemma-tici, o collerici o sanguigni. Infatti si può benissimo realizzare una figu-ra che sia la vera immagine di Saturno o di Venere, e soprattutto inpittura mediante i colori, ma anche con altre cose»; e ibid., p. 364, 21(quasi identico al passo dell’edizione a stampa).

18 giehlow 1904, pp. 63 sgg.19 lf, Nachlass, p. 282, 9-12: «Item, la prima parte sarà di come si

debba scegliere il ragazzo e come si debba prestare attenzione alla suacomplessione, se cioè sia idonea. Questo si può fare in sei modi».

20 Ibid., pp. 283, 14-284, 2. Questi sei punti non sono che un’ela-borazione piú particolareggiata di ciò che era definito come il conte-nuto della «prima parte» dell’introduzione nella frase riportata nellanota precedente. La frase che compare ibid., p. 284, 3-19 sta nello stes-so rapporto con p. 282, 13-17, e cosí si dica delle pp. 284, 20-285, 6con p. 282, 18-20.

21 L’espressione überhandnehmen è una traduzione letterale del greco¤perbßllein o del latino superexcedere; cosí come urdrützig corrispon-de al latino taedium o pertaesus.

22 Norimberga, Stadtbibliothek, Cod. Cent. V. 59, fol. 231r; Lon-dra, Brit. Mus., Ms Sloane 2435, fol. 10v; Parigi, Bibl. Nat., Ms lat.11 226, fol. 107r.

23 migne, PL, LXIV, 1230: «Omnia siquidem superius expedita descholarium informatione sunt infixa. Nunc de eorum sagaci provisio-ne breviter est tractandum. Cumergo humani corporis complexio phleg-mate, sanguine, cholera et melancholia consistat suffulta, ab aliquopraedictorum necesse est quemlibet elicere praceminentiam.

«Melancholico vero pigritici timorique subiecto, locis secretis et angu-losis strepituque carentibus, lucisque parum recipientibus, studere estopportunum saturitateraque declivem serasque coenas praecavere, poti-busque mediocribus gaudere ad naturae studium, prout studii desiccatioexegerit; plenaria potus receptione ad mensuram confoveri, ne nimii stu-dii protervitas phtisim generet, anhelam thoracisque strictitudinem.

«Phlegmaticus vero licet strepitu vigentibus aedibus, lucisque capa-cissimis praeceptis studiis potest informari; poculis plenioribus potestsustentari, cibariis omnigenisque confoveri, venereoque accessu, si fasest dicere, mensurnus permolliri deberet.

«Sanguineus autem, cuius complexionis favorabilior est compago,omnibus aedibus vel locis potest adaptari, quem ludendo saepius novi-mus confoveri gravissima quaestione, quam si obliquantibus hirquisparietes solus occillaret. Tamen in hoc semper non est confidendum,hunc cibariis levioribus potibusque gratissimis decet hilarari.

«Cholericus vero pallidac effigiei plerumque subiectus solitudinisupponatur, ne nimii strepitus auditu bilem infundat in totam cohor-tem, sicque magistratus venerabilem laedat maiestatem. O quam magi-stratus laesio vitanda est! Hunc coena grandiori novimus sustentari,potuque fortiori deliniri. Cavendum est autem, ne litis horror potusadministratione istius radibis mentibus extrahatur.

«Si autem qualitates assignare ignorans sit societas, theoricos con-sulat seque sic cognoscat ...» Per quest’opera, che si trova menziona-ta già nel 1247, cfr. paul lehmam (al quale si deve la scoperta del nomedell’autore, Corrado), Pseudoantike Literatur des Mittelalters, Leipzig1927, pp. 27 sgg. e 101.

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Capitolo secondo

L’incisione Melencolia I

Se, nonostante queste conclusioni negative, possiamocontinuare ad affermare che l’incisione di Dürer, pre-parata con tanta cura1 è debitrice verso la concezionedella melanconia diffusa dal Ficino e di fatto sarebbestata impossibile senza questa influenza, la prova diquesta affermazione può fondarsi solo su prove interneall’incisione stessa.

i . gli antefatti storici della «melencolia i».

a) Motivi tradizionali.

i) La borsa e le chiavi.

Tutto ciò che Dürer ci dice della sua incisione è unascritta su uno schizzo per il putto che fornisce il signi-ficato della borsa e del mazzo di chiavi appese alla cin-tura della Melanconia: «La chiave significa potere, laborsa ricchezza»2. Questa frase, per quanto breve, hauna certa importanza in quanto rende sicuro un puntodi ciò che in ogni caso sarebbe stato un sospetto plausi-bile: cioè che l’incisione di Dürer era in qualche modolegata alla tradizione astrologica e umorale del Medioe-vo. Essa rivela immediatamente due tratti del caratteretradizionale che per Dürer, come per tutti i suoi con-

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temporanei, era tipico sia del melanconico che del satur-nino3.

Tra le descrizioni medievali del melanconico non cen’era una in cui egli non apparisse avaro e sordido, equindi, implicitamente, ricco. Secondo Niccolò da Cusa,l’abilità del melanconico nel conseguire «grandi ric-chezze» anche con mezzi disonesti era effettivamente unsintomo di avaritiosa melancholia4. Se in queste descri-zioni del melanconico il «potere» (naturalmente asso-ciato al possesso, e qui simboleggiato dalle chiavi chepossiamo interpretare come quelle che aprono la cassadel tesoro) era una semplice appendice delle «ricchez-ze», entrambe le caratteristiche andavano esplicitamen-te unite nelle descrizioni tradizionali di Saturno e deisuoi figli. Infatti, come il mitologico Crono-Saturno,che insieme a tutte le altre caratteristiche aveva anchegli attributi di distributore e custode della ricchezza, eranell’antichità non solo il guardiano del tesoro e colui cheper primo aveva coniato la moneta, ma anche il sovra-no dell’età dell’oro, parimenti Saturno era veneratocome governante e re; e di conseguenza non solo aveva,nella gerarchia planetaria, il ruolo di tesoriere e artefi-ce della prosperità, ma anche, come a Babilonia, eratemuto e onorato come il «piú potente»; e successiva-mente, come sempre avviene nell’astrologia, tutte que-ste proprietà furono trasmesse a coloro che cadevanosotto il suo dominio. Con un’antitesi degna dello stessoSaturno, le fonti astrologiche ci informano che, insiemeal povero e all’umile, agli schiavi, ai saccheggiatori ditombe, Saturno governa non solo i ricchi e gli avari(«Saturnus est significator divitum», afferma AbûMa‘∫ar nei suoi Flores astrologiae) ma anche «coloro chegovernano e sottomettono gli altri al loro potere»; e leg-giamo nel manoscritto di Cassel che il figlio di Saturnoè un «proscritto e traditore», ma è anche «predilettodalla gente nobile e conta piú di tutti fra i suoi amici»5.

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Non sorprende quindi che, passando dai testi alleimmagini, la combinazione dei due simboli che Dürerinterpreta come segni del «potere» e della «ricchezza»ricorra meno frequentemente in raffigurazioni di me-lanconici che in raffigurazioni di Saturno. In un mano-scritto degli inizi del xv secolo Saturno non solo ha unaborsa alla cintura, ma tiene in mano due enormi chia-vi, che ovviamente sono quelle dei forzieri, alcuni aper-ti, altri ancora chiusi, che si vedono a terra accanto aisuoi piedi6. Però la borsa di Dürer appare di frequentein immagini di melanconici, perché, in quanto anticosimbolo della ricchezza e dell’avarizia, era divenuta untratto costante di queste figurazioni nel xv secolo. Unadelle due figure d’angolo nell’immagine di Saturno chesi vede nel manoscritto di Erfurt ricorda il Saturno deimanoscritti di Tubinga e del Vaticano, essendo collo-cata di fronte a un forziere pieno di grosse monete; enel manoscritto di Tubinga la somiglianza del melan-conico col suo protettore planetario arriva al punto chela figura è piegata sulla vanga, nella posizione tipica deldio dell’agricoltura, intenta a sotterrare il suo cofanodel tesoro7. Nel secondo melanconico del manoscrittodi Erfurt, però, ricchezza e avarizia non sono piú sim-boleggiate da un forziere, ma da una borsa, e d’ora inpoi questo attributo diviene cosí tipico che se ne hannoinnumerevoli esempi quattrocenteschi8, mentre l’Ico-nologia di Cesare Ripa, che ancora veniva utilizzata inepoca barocca, non avrebbe mai raffigurato il melan-conico senza la sua borsa9. È questo il motivo che haindotto l’illustre Appelius a ritenere l’apostolo Giudaun melanconico: «I melanconici, il cui tratto piú note-vole è l’avarizia, sono assai portati all’amministrazionefamiliare e a maneggiare il denaro. Giuda teneva laborsa»10.

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ii) Il motivo della testa reclina.

Una parte considerevole delle immagini di melanco-nici sopra ricordate11 hanno un altro motivo in comunecon la Melencolia di Dürer, motivo che a un osservato-re moderno sembra troppo ovvio per richiedere un par-ticolare studio della sua derivazione storica. In realtà ildisegno preliminare di Dürer per l’incisione, che si dif-ferenzia proprio in questo particolare12, mostra che talemotivo non trae origine semplicemente dall’osservazionedell’atteggiamento del melanconico, ma viene da unacerta tradizione pittorica, che in questo caso risale indie-tro di millenni. Si tratta del motivo della guancia appog-giata a una mano. Il significato primario di questo anti-chissimo gesto, che si vede anche nei ploranti di certi ri-lievi su sarcofagi egizi, è il dolore, ma può anche signi-ficare la fatica o il pensiero creativo. Per limitarci a tipimedievali, esso rappresenta non solo il dolore di sanGiovanni sotto la croce, e la sofferenza dell’anima tristisdel salmista13, ma anche il pesante sonno degli apostolisul Monte degli Olivi, o il monaco che sogna nelle illu-strazioni al Pélerinage de la vie humaine; il pensiero con-centrato di un uomo di Stato14, la contemplazione pro-fetica di poeti, filosofi, evangelisti e padri della Chiesa15;o anche il meditabondo riposo di Dio Padre il settimogiorno16. Non sorprende quindi che un gesto del generedovesse affacciarsi alla mente dell’artista quando si trat-tava di realizzare una configurazione che combinasse inun nesso quasi unico la triade dolore, fatica e medita-zione; cioè quando doveva rappresentare Saturno e ilmelanconico soggetto al suo potere. In effetti la testavelata del Crono classico17 poggia sulla mano in atteggia-mento altrettanto triste e pensoso che la testa del melan-conico Ercole in qualche raffigurazione antica18. Nelleimmagini medievali di Saturno e della melanconia, cheavevano perduto quasi ogni legame diretto con la tradi-

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zione pittorica antica19, questo motivo spesso arretravanel fondo, ma anche allora non fu mai completamentedimenticato20; si veda, ad esempio, la descrizione diSaturno nel Libro del Acedrex (Libro degli scacchi) di reAlfonso, dove il dio viene visto come un vecchio triste,«la mano ala mexiella como omne cuyerdadoso»21. Fuperciò tanto piú facile che questo motivo riprendesse ilsuo significato tipico nel Quattro e Cinquecento e cono-scesse una rinascita22, che però trasse origine da moven-ti assai diversi nel Nord e nel Sud. Nel Nord un inte-resse sempre crescente per la rappresentazione verosi-mile di certi tipi umani psicologicamente rilevanti fecerivivere questo gesto della testa reclina in immagini dimelanconici, anche se fu tralasciato per il momento nelleimmagini di Saturno. Nell’Italia del Quattrocento, dovele rappresentazioni dei quattro temperamenti furonopraticamente sconosciute (l’unico esempio che ci sianoto è una copia di un ciclo nordico, del tipo riprodot-to alle tavv. 78 e 79, però leggermente modificato inbase alla tradizione classica)23, fu il desiderio di caratte-rizzare certi individui rilevanti, anziché dei tipi, e, inparticolare, il desiderio di far rivivere il mondo idealedella mitologia classica, che portò al ripristino di questoclassico gesto di Saturno. Il melanconico che poggia latesta sulla mano, come si vede in manoscritti e stampetedeschi, ha un parallelo in Italia da un lato nella figu-ra di Eraclito nella Scuola d’Atene di Raffaello, e dal-l’altro nel Saturno che compare nell’incisione B4 delCampagnola: la maestosa incarnazione della contempla-zione di un dio, che solo piú tardi influenzerà immagi-ni della contemplazione umana in genere24.

Sia egli stato influenzato dalle rappresentazioni nor-diche della Melanconia oppure da modelli italiani comel’incisione del Campagnola25, in ogni caso Dürer ubbidíalla tradizione pittorica quando sostituí le mani torpi-damente abbandonate che caratterizzano la donna sedu-

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ta dello studio preparatorio (un tipico sintomo di melan-conia patologica, secondo le fonti mediche26) col gestomeditabondo della mano che regge la guancia nell’inci-sione finale.

iii) Il pugno chiuso e la faccia nera.

In un tratto la figura di Dürer si differenzia decisa-mente da quelle ricordate in precedenza. La mano, chein genere è appoggiata delicatamente e mollemente con-tro la guancia, qui è invece un pugno chiuso. Però an-che questo motivo, che sembrerebbe del tutto origina-le, non tanto è stato inventato da Dürer, quanto ha tro-vato in lui un’espressione artistica: infatti il pugno stret-to era sempre stato considerato un segno dell’avariziatipica del temperamento melanconico27, come pure unospecifico sintomo medico di certe allucinazioni melan-coniche28. In questo senso, in effetti, non era mai statodel tutto estraneo alle raffigurazioni medievali delmelanconico29. Però il confronto con questo tipo di illu-strazione medica non fa che sottolineare il fatto cheanalogia di motivo e analogia di significato sono duecose molto diverse; quel che Dürer voleva esprimere (eha espresso) con questo pugno chiuso aveva ben poco incomune con ciò che esso significava negli schemi di cau-terizzazione se non l’indicazione, alquanto elusiva, diuna tensione spasmodica. Non è tuttavia questo il luogoper descrivere ciò che Dürer ha fatto della tradizione,ma semplicemente per elencare gli elementi che egli hatrovato in essa e che ha ritenuto adatti a essere incor-porati nella sua opera30.

Si deve ricordare un ultimo motivo, forse di impor-tanza anche maggiore per il contenuto emozionale del-l’incisione, non in considerazione del suo significato chesupera del tutto la tradizione, ma della sua origine dallatradizione. È il motivo del viso in ombra della Melenco-

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lia, il cui sguardo è fisso davanti a sé e quasi spettrale.Possiamo ricordare che questo «viso nero» era un trattocitato molto piú spesso nella tradizione che non il pugnochiuso. Sia il figlio di Saturno che il melanconico (sitrattasse di melanconia patologica o di melanconia tem-peramentale) erano ritenuti dagli antichi scuri e neri d’a-spetto31; e quest’idea era comune nella letteratura medi-ca medievale, come pure negli scritti astrologici sui pia-neti e nei trattati popolari sulle quattro complessioni.«Facies nigra propter melancholiam»32, «nigri»33, «colorfango»34, «corpus niger sicut lutum»35, «luteique colo-ris»36, sono tutte espressioni che Dürer può aver letto neitesti tradizionali, come molti prima di lui potevano averfatto; ma, come è avvenuto anche nel caso del pugnochiuso, egli è stato il primo a rendersi conto che quellache ivi era descritta come una caratteristica tempera-mentale, o addirittura come un sintomo patologico, pote-va essere utilizzata da un artista per esprimere un’emo-zione o comunicare uno stato d’animo.

b) Immagini tradizionali nella composizione dell’in-cisione.

Scritta di pugno dell’artista, la spiegazione che Dürerdà del significato simbolico della borsa e delle chiavi harichiamato la nostra attenzione sui vari motivi singoli.Dovremmo ora chiederci se l’immagine nel suo insiemeha le sue radici nella tradizione dei tipi pittorici.

i) Illustrazioni della malattia.

Le illustrazioni propriamente mediche, cioè le rap-presentazioni del melanconico come di un pazzo, nonavevano, per quanto ne sappiamo, né sviluppato, nétentato di sviluppare un tipo melanconico caratteristico.

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Quando si era tentata in qualche modo una rappresen-tazione, si era trattato piú di illustrare certe misure tera-peutiche, o addirittura chirurgiche, che di elaborare unaconcezione generale dello stato psicofisico.

Le illustrazioni piú comuni di questo tipo erano icosiddetti schemi di cauterizzazione, uno dei quali giàsi è menzionato. Loro scopo era di mostrare come e dovei diversi tipi di pazzi dovevano essere cauterizzati o tra-panati. Nel caso del melanconico, l’orribile operazionedoveva essere compiuta «in media vertice». Lo si vedequindi con un foro tondo in cima alla testa, spesso inpiedi, solo, in qualche caso seduto su una sedia opera-toria, talvolta addirittura steso su una sorta di tavolo ditortura37; ma solo assai di rado si incontra qualche illu-stratore superiore alla media abbastanza ambizioso dacaratterizzare psicologicamente il paziente, cioè distin-guerlo dagli altri con gesti specificamente melanconici.

Oltre a questi schemi di cauterizzazione, ci sonoanche raffigurazioni di cure mediante la fustigazione ola musica38: ma nemmeno queste (benché alcune di essesiano delle miniature assai belle) avrebbero potuto essereil punto di partenza per uno sviluppo piú generale, datoche non creavano nuovi tipi, ma cercavano di trattare illoro tema adottando forme compositive già pienamentesviluppate (Saul e David, la flagellazione di Cristo, lafustigazione dei martiri, e cosí via).

ii) Cicli figurativi dei quattro temperamenti. I: figu-re singole a carattere descrittivo (i quattro tem-peramenti e le quattro età dell’uomo). II: gruppidrammatici: temperamenti e vizi.

Per contro, sembra che un tentativo di esatta carat-terizzazione sia stato compiuto, per quanto riguarda lerappresentazioni del melanconico, nell’ambito dei quat-tro temperamenti. È vero che nemmeno qui furono ela-

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borati tipi interamente nuovi; né del resto c’era daattenderselo, dato che il problema di illustrare le com-plessioni sorse relativamente tardi. Ma, attraverso l’usodeliberato di analogie in punti decisivi, queste immaginidiedero luogo alla fine a raffigurazioni concrete e sug-gestive dei vari tipi di caratteri.

Certe rappresentazioni tarde dei temperamenti silimitano ad adottare le caratteristiche del pianeta corri-spondente o dei figli di un pianeta: un esempio signifi-cativo è, nel manoscritto di Tubinga, la figura di unavaro che sotterra il suo tesoro39. In certi casi isolati, almelanconico viene attribuito l’atteggiamento (abba-stanza familiare in un contesto diverso) di un evangeli-sta o di un dotto che sta scrivendo, con la semplice ag-giunta di un forziere40. Caso tipico ne è una serie diminiature del 1480 circa. Tralasciando queste due ecce-zioni, le figurazioni che rappresentano i quattro tempe-ramenti in un gruppo o sequenza si possono suddivide-re in due categorie principali: quelle che presentanoogni temperamento come una figura isolata, piú o menostatica, caratterizzata essenzialmente dall’età, il fisico,l’espressione, il costume e gli attributi; e quelle in cuidiverse figure, di preferenza un uomo e una donna,sono poste a fronte a impersonare una scena tipica delloro particolare temperamento. Gruppi del primo tiposono assai numerosi; quelli del secondo sono inferiori dinumero, però sono piú rilevanti per l’evoluzione suc-cessiva.

Il primo esempio di una serie di figure isolate (lega-te, per cosí dire, al vecchio schema dei quattro ventinella xilografia düreriana che illustra l’opera di Celtis)si ha in un rozzo disegno a semplice contorno inseritoin un testo dell’xi o xii secolo, il Tractatus de quaterna-rio, conservato a Cambridge41. I quadranti di un cerchiocontengono quattro figure sedute che, come dice la scrit-ta, rappresentano le «quattro età della vita umana»42, e

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sono quindi femminili. Oltre alla didascalia, però, cisono note marginali che ci informano che queste figurerappresentano anche le quattro complessioni, o piú pre-cisamente che personificano gli umori che prevalgono inesse. L’Infanzia rappresenta anche il flegma, che parte-cipa delle caratteristiche elementari del freddo e dell’u-mido; la calda e umida Gioventù rappresenta il sangue;la calda e asciutta Virilità rappresenta la bile gialla; infi-ne la fredda e secca Decadenza rappresenta la bile nera43.Nei secoli successivi si avranno serie di immagini rap-presentanti anzitutto i quattro temperamenti, e solo insecondo luogo le quattro stagioni, le quattro età del-l’uomo e i quattro punti cardinali; però queste figure del-la miniatura di Cambridge vogliono essere in primoluogo raffigurazioni delle quattro età dell’uomo e la rap-presentazione dei quattro umori e in esse solo di inte-resse secondario44.

La cosa non sorprende in un’epoca in cui i termini«flemmatico», ecc. non erano ancora stati coniati perindicare l’idea di persone governate dal flegma e daglialtri vari umori45. Nondimeno, fatta questa riserva, ilciclo delle quattro figure di Cambridge si può conside-rare la rappresentazione piú antica che si conosca deitemperamenti. Sorge cosí l’interrogativo da quale fontel’autore abbia tratto i tipi che raffigura nel suo disegno.La risposta è che queste immagini dei quattro tempera-menti, caratterizzate dal riferimento agli umori, si sonosviluppate dalle rappresentazioni classiche delle stagio-ni e delle occupazioni46. Ma se fu adottata una con-nessione che era stata stabilita nell’antichità, nello stes-so tempo essa fu rivista nel senso della sua forma origi-naria, cioè in questo caso astratta. Infatti dapprima lestagioni, nelle raffigurazioni classiche, erano distintesolo da attributi; nei mosaici di Lambesi e Chebba47

erano diventate delle fanciulle e delle donne differen-ziate in base all’età e quindi individualizzate. L’artista

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di Cambridge ritorna di nuovo, dalla differenziazionemediante i segni naturali, biologici, dell’età, a quellamediante attributi convenzionali. La Giovinezza (il san-gue), che coerentemente con la sua età giovanile, è l’u-nica figura in piedi, e esattamente come la ben nota figu-ra della Primavera inghirlandata; la quale a sua volta èidentica alla figura di Maggio nei cicli dei mesi48. A dif-ferenza della spensierata Giovinezza, la Decadenza (labile nera) deve lavorare, e (coerentemente con la sua etàavanzata e la stagione fredda) tiene in mano una conoc-chia49; mentre la Vecchiaia (bile rossa) sta avvolgendo lalana filata. Solo la Fanciullezza (il flegma) deve fare ameno di attributi: è caratterizzata semplicemente dallegambe incrociate in un tipico atteggiamento di riposo,che probabilmente vuole indicare l’indifferenza fisica ementale sia del temperamento flemmatico che dell’in-fanzia: inservibile per la pittura del carattere (eÄj æqo-poiàan ©crhstoj).

Questo tentativo di illustrare la nozione delle com-plessioni, finora trasmessa solo dalla letteratura, inter-pretando certe forme delle rappresentazioni delle sta-gioni e dei lavori come rappresentazioni invece dellequattro età dell’uomo, e successivamente incorporandoin queste l’idea dei quattro umori, venne a porre un pre-cedente per il futuro. Intorno al xv secolo (purtropponon abbiamo esempi del periodo intermedio), quandoquelle che possiamo chiamare le raffigurazioni ortodos-se delle complessioni già si erano sviluppate, la combi-nazione delle età dell’uomo con le sue varie occupazio-ni (combinazione goffamente abbozzata nella miniatu-ra di Cambridge) doveva solo essere modernizzata per-ché ne sortisse, per cosí dire automaticamente, una seriedi quelle rappresentazioni dei temperamenti «a figuresingole» che costituiscono, come si è detto, il primo emaggior gruppo.

Poiché questa ulteriore evoluzione tendeva a tra-

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sformare lo schema scientifico astratto nell’immagine diun personaggio concreto, le caratteristiche sia dellediverse età che dei temperamenti corrispondenti venne-ro ora rese con realismo moderno. Il fisico, l’abito e illavoro furono raffigurati a colori piú vivaci, talvoltaquasi nello stile della scena di genere. Il sanguigno disolito appare come un giovane elegantemente vestitoche va a caccia col falcone; il collerico come un guerrie-ro armato; il melanconico come un tranquillo signore dimezz’età; il flemmatico come un vecchio dalla lungabarba, talvolta curvo su una stampella. L’atteggiamen-to psicologico è indicato in parte con l’aggiunta di attri-buti caratterizzanti, ma per lo piú con mezzi mimici, adesempio l’espressione cupa e la testa appoggiata allamano del melanconico, o la smorfia di rabbia sul voltodel collerico, che sguaina la spada o addirittura fa vola-re le sedie intorno50. Se il disegno di Cambridge giàaveva rappresentato i quattro umori sotto forma dellequattro età dell’uomo, più facile ancora deve esserestato nel xv secolo associare in modo piú stretto le dueserie di illustrazioni. Infatti a quell’epoca le rappresen-tazioni delle quattro età avevano preceduto quelle deitemperamenti nell’elaborazione realistica dei singoli tipi.Un ciclo francese del 1300 circa51 si limita a distingue-re le varie età valendosi delle caratteristiche fisiologichepiú che psicologiche o di lavoro, però nella miniaturafrancese della Ruota della vita, un secolo dopo, la gioven-tú è raffigurata come un giovane falconiere, e la penul-tima età dell’uomo come una figura che riflette con latesta appoggiata alla mano52; e in due disegni tedeschi,assai vicini, dei quali il più antico è datato 1461, i rap-presentanti delle quattro età intermedie fra le sette asse-gnate all’uomo sono uguali ai tipi correnti dei quattrotemperamenti: un falconiere, un cavaliere in armi, unanziano che conta il denaro o tiene una borsa, e undebole vecchio. Gli unici punti nei quali le immagini

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quattrocentesche delle quattro complessioni (in quantoappartengono al tipo descrittivo, a figure singole) sidiscostano dalle serie coeve di immagini raffiguranti lequattro età, sono l’inclusione dei quattro elementi (ilsanguigno sta sulle nubi, il collerico tra le fiamme, ilmelanconico sulla terra); e, in certe rappresentazioni,l’aggiunta di un animale simbolico: una scimmia per ilsanguigno, un leone per il collerico, un verro per ilmelanconico e una pecora per il flemmatico53.

Inoltre l’aspetto di queste immagini muta assai pocoper tutto il Quattrocento; i diversi tipi avevano assun-to una fisionomia cosí stabile che, una volta definiti, siimposero alle rappresentazioni dei «figli» dei pianetinei manoscritti astrologici54; e arrivarono a essere inclu-si nelle illustrazioni ai Problemi di Aristotele, il cui capi-tolo xiv non aveva nulla a che vedere con la dottrina tar-domedievale dei temperamenti, ma è intitolato ‘/Osaperã krßseij, o, nella traduzione francese, Qui ontregart a la complexion55. Anche quando le personifica-zioni dei quattro temperamenti appaiono a cavallo, peranalogia con un certo tipo planetario che si riscontra perla prima volta nei famosi manoscritti Kyeser, essicontinuano a essere falconieri, uomini in armi e cosívia56; e perfino la serie delle figure isolate che rappre-sentano le complessioni nel medio e tardo Rinascimento,di cui ci occuperemo piú avanti, conserva sotto moltiaspetti un ricordo dei tipi quattrocenteschi.

Il secondo gruppo (quello in cui i diversi tempera-menti sono raffigurati mediante una scena alla qualeprendono parte diverse figure) ha un carattere assaidiverso. Le serie di cui ci siamo occupati finora si svilup-parono da, e in combinazione con illustrazioni dellequattro età dell’uomo, che a loro volta si potevano farrisalire alle rappresentazioni classiche delle stagioni e deilavori. È quindi comprensibile che esse dovessero insi-stere sulle differenze d’età e di lavoro, mentre i tratti

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psicologici, come l’avarizia e la depressione del melan-conico, o la rabbia del collerico, emergono solo a pocoa poco, e allora sembrano basarsi tanto sulle rispettiveetà cui sono attribuiti quanto sui rispettivi tipi ditemperamento.

Nelle rappresentazioni drammatiche dei tempera-menti, invece, le differenze d’età passano in secondopiano, come le diversità di lavoro o di situazione. Quifin dall’inizio l’interesse si accentra sugli aspetti del ca-rattere determinati dagli umori in modo cosí esclusivoche la scena si limita ad azioni e situazioni che rivelanoquesti aspetti: tutto il resto è trascurato; e solo la pre-senza dei quattro elementi (che in certi casi possonopure mancare) distingue opere di questo tipo da figura-zioni moralizzanti o da illustrazioni di romanzi.

Questa differenza di intenti artistici corrisponde alladifferenza di origini storiche. Lo studio storico dei tipipittorici (che è necessario e possibile per le composizio-ni drammatiche non meno che per le figure singole acarattere statico e descrittivo) ci porta non nel mondodello speculum naturale, ma in quello dello speculum mora-le, non nel campo delle figurazioni delle quattro età, main quello delle rappresentazioni delle virtú: o meglio deivizi, dato che questo campo era quasi l’unico in cui (siapure sotto l’aspetto minaccioso della teologia moraleecclesiastica) le caratteristiche indesiderabili, e perciòpsicologicamente rilevanti, degli uomini venivanomostrate in scene rapide, acutamente definite.

Un esempio assai precoce del tipo drammatico (cheperò sembra sia rimasto senza seguito) si può vedere inun famoso Codice Hamilton di Berlino, compilato primadel 1300 nell’Italia settentrionale, che include anche iDetti di Dionisio Catone, gli sfoghi misogini dei Pro-verbia quae dicuntur super naturam feminarum, un bestia-rio moralizzato, e altri scritti di orientamento simile, ecerca di ravvivare il tutto con innumerevoli piccole

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miniature ai margini, in parte di carattere morale, inparte di carattere didascalico. I versi salernitani sullecomplessioni (con molti errori nel testo) sono illustratinello stesso stile e con gli stessi intenti57. Il miniaturistaintroduce figure sussidiarie allo scopo di abbinarle allepersonificazioni di ognuno dei temperamenti in un’a-zione combinata che mira a mostrare le caratteristicheessenziali elencate in ogni distico, e in genere assomigliaassai alle altre illustrazioni del manoscritto. Il sanguignoè, soprattutto, l’uomo generoso («largus»), e la sua gene-rosità si vede dal fatto che consegna una borsa a unafigura minore che sta in ginocchio davanti a lui58. Il col-lerico («irascens») sta dando con un bastone un colpo intesta al suo compagno, ed è esattamente ciò che l’uomosposato sta facendo, in un’altra pagina, a sua moglie, esa-sperato dal suo continuo contraddirlo59. L’uomo asson-nato («somnolentus») dei versi dedicati al flemmatico èillustrato da una figura addormentata svegliatabruscamente da un’altra. Infine il melanconico («invi-dus et tristis») con un gesto di disprezzo si volta dal-l’altra parte alla vista di una coppia di amanti; e anchequesta figura ha il suo modello (e la sua spiegazione) inun’illustrazione che si vede proprio all’inizio del codicee che si intitola: Iste fugit meretricem60.

Queste piccole miniature sono di un carattere trop-po particolare e le circostanze da cui hanno avuto ori-gine sono troppo eccezionali perché potessero avere unaqualsiasi influenza. In Italia, come già si è accennato,non c’era nessun particolare interesse per le rappresen-tazioni dei temperamenti e, per quanto ne sappiamo,questa situazione mutò solo sotto l’influenza del manie-rismo, con le sue componenti settentrionali. A norddelle Alpi (a prescindere dal fatto che difficilmente ilCodice Hamilton poté esservi conosciuto), le condizio-ni perché si sviluppassero e diffondessero immagini informa di scena e a contenuto drammatico delle quattro

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complessioni non si verificarono fino a quando non nac-que uno stile artistico che sarebbe stato realistico nel-l’espressione e psicologico nelle intenzioni. Quindi leminiature del manoscritto Hamilton restarono un’inte-ressante eccezione. Il tipo usuale non si ebbe fino allametà del xv secolo e, sembra, in Germania.

La sequenza originaria che sarebbe divenuta quasicanonica si costituí in manoscritti illustrati61, si imposenella maggioranza delle illustrazioni degli almanacchi62

e conobbe la sua prima superficiale modernizzazionesolo intorno al 150063. Essa si componeva delle seguen-ti. scene: sanguineus, una coppia di innamorati che siabbracciano; colericus, un uomo che picchia la moglie;melencolicus, una donna che si addormenta sulla suaconocchia64, e un uomo (nel fondo) anch’egli addor-mentato, in genere a un tavolo, ma talvolta a letto; ephlegmaticus, una coppia che sta facendo musica. Laproverbiale indifferenza del flemmatico risultava piúdifficile da rappresentare perché il motivo del soporestanco doveva essere riservato ai melanconici, per cui gliillustratori erano obbligati ad accontentarsi di un inno-cuo gruppo di musicanti65. Cosí non appena nel xvi seco-lo il melanconico addormentato fu sostituito da un altromelanconico intento al lavoro intellettuale, il motivodel sonno, resosi in questo modo libero, tornò natural-mente al flemmatico66. Prescindendo dal flemmatico,però, si può dire che queste scene non sono cheraffigurazioni di vizi le quali, strappate al loro contestoteologico, sono state utilizzate per l’illustrazione profa-na dei temperamenti; e alcune di queste immagini di vizisono direttamente legate alla nobile tradizione delladecorazione tipica della cattedrale gotica. Per scorgerequesto rapporto, basta confrontare la scena degli inna-morati sanguigni col rilievo della Luxuria sul portaleoccidentale della cattedrale di Amiens, o il litigio coniu-gale del collerico col rilievo della Discordia della stessa

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serie, o anche, per la posizione in ginocchio, col rilievodella Dureté sulla facciata occidentale di Nôtre-Dame67.

Ma dove si trova il prototipo del melanconico, chepiú di ogni altro ci interessa? Abbiamo piú volte osser-vato che il Medioevo faceva coincidere la melanconia colpeccato dell’acedia68; però questo particolare peccatonon era raffigurato nelle grandi cattedrali. Questo ciporta a un esame piú attento degli opuscoli illustrati chetrattavano il tema delle virtú e dei vizi, dei quali l’e-sempio più conosciuto era la Somme le Roi del 1279, chefu tradotto in quasi tutte le lingue e raggiunse una dif-fusione straordinariamente vasta69. E infatti scopriamol’«Accidia, cioè la pigrizia e la noia di ben fare» («Acci-de, cest a dire peresce et anui de bien faire») illustratain una forma che attesta, quasi al di là di ogni dubbio,la derivazione della nostra immagine del melanconico daquesta serie. Fra i molti peccati compresi nella nozionedi «accidia» si trattava di scegliere il più adatto a esse-re illustrato, e questo fu l’inosservanza del dovere dilavorare e pregare. Le illustrazioni della Somme le Roimostrano quindi un aratore addormentato con la testasulla mano, che ha lasciato l’aratro in mezzo al campo,oppure lascia i buoi pascolare incustoditi nel campo; e,contrapposto a lui, c’è un solerte seminatore, cioè l’im-magine del «lavoro»70.

Questa figura umana, «che dorme il sonno dell’in-giusto» (modificata in molti modi a seconda della con-dizione e del lavoro che fa, o meglio, che non fa) diven-ne la tipica incarnazione della pigrizia peccaminosa. Unaserie dipinta di virtú e vizi del museo di Anversa, del1480 o 1490, erroneamente attribuita a Bosch, rappre-senta la pigrizia mediante un cittadino addormentatoche, anziché pregare davanti al suo crocifisso, si è ad-dormentato sul suo morbido guanciale («Ledicheyt isdes duivels oorkussen», cioè: «La pigrizia è il guancia-le del diavolo» dice un proverbio olandese), e quindi

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finisce in balia del diavolo, molto simile come tipo a unarazzo che rappresenta l’acedia in persona71. La xilogra-fia che illustra il capitolo sulla Pigrizia e indolenza nel-l’edizione del 1494 del Narrenschiff (Il vascello dei pazzi)di Brant mantiene il diligente seminatore della Sommele Roi come contraltare virtuoso, però sostituisce all’a-ratore addormentato la consueta filatrice72, una figuragià usata in un foglio volante probabilmente provenienteda Norimberga, che grazie al suo testo completo si pre-senta, per cosí dire, come una Somme le Roi per l’uomosemplice73. La figura qui è indicata esplicitamente comeAcedia e si può spiegare anzitutto col desiderio di unapersonificazione femminile. Nell’edizione latina del Nar-renschiff del 1572 troviamo perfino la filatrice, ormai tra-dizionale, associata, in una illustrazione, all’aratoreaddormentato della Somme le Roi, come un doppioesempio del peccato della pigrizia, differendo dallenostre rappresentazioni di melanconici semplicementeperché l’accento è posto sul significato morale piú chesulla caratterizzazione74. Si è detto altrove che l’incisio-ne di Dürer B76, il cosiddetto Sogno del dottore, non èaltro che un’allegoria della pigrizia, che, se è originalecome concezione, come tipo deriva chiaramente da illu-strazioni del genere della serie delle virtú e dei vizi diAnversa e della xilografia del Narrenschiff del 1494; edè da interpretare, se si vuole, come un precedente mora-lizzante e satirico della Melencolia I75.

Quindi se la coppia sanguigna nella serie drammati-ca delle complessioni appariva modellata sul typus Luxu-riae e la coppia collerica sul typus Discordiae o Duritiae,i melanconici altro non erano che gli Acediosi, il cuiaspetto esteriore, come era naturale, somigliava stretta-mente a quello di certi figli di Saturno. Può non essereuna semplice coincidenza se le strofette aggiunte allerappresentazioni dei melanconici negli almanacchi, neiquali il tipo in questione era per lo piú raffigurato, si

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richiamavano anche agli opuscoli morali e, soprattutto,alla versione basso-tedesca della Somme le Roi.

La nostra complessione è ricca di terra,Perciò siamo d’animo pesante,

oppure:

La quarta cosa [cioè il peccato della pigrizia] è pesan-tezza, che un uomo è d’animo cosí pesante che non havoglia di niente, tranne che di sdraiarsi riposarsi o dormi-re... 76.

In questo modo quindi sono nati i due principali tipidi illustrazione dei quattro temperamenti. Sono statecreate delle rappresentazioni di personaggi in cui allepersonificazioni di certe età dell’uomo o di certi pecca-ti condannati dalla Chiesa veniva data forma concretae fisionomia individuale, in tal misura che hanno finitocon il rappresentare la «vita reale» e, benché ancorainquadrate in uno schema speculativo, tendevano adiventare autonome. Nel caso delle illustrazioni delle etàdell’uomo, questo processo significò semplicemente unpassaggio da un tipo d’immagine schematico a uno natu-ralistico, e un’accentuazione dell’aspetto umorale a sca-pito di quello puramente biologico. Nel caso delle illu-strazioni dei vizi tuttavia (ed erano naturalmente quel-le che davano vita ai tipi infinitamente piú interessan-ti) esso significò anche il passaggio da una sfera moralee teologica a una profana. Il sermone scolpito o dipintocontro il peccato divenne la descrizione di un caratterein cui non solo veniva cancellata la precedente valuta-zione morale, ma questa era in parte sostituita da un’al-tra valutazione, quasi amorale. Infatti la lussuria è alme-no altrettanto immorale della pigrizia, però la figura«sanguigna» che rappresenta il tipo lussurioso ha «la piú

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nobile complessione». Dalla quantità di peccati umanidescritti cosí particolareggiatamente solo come monitocontro di essi, uscí una quantità di caratteristiche umanedegne d’interesse semplicemente come tali. In questosenso l’evolversi della serie drammatica acquista unsignificato quasi sintomatico; molti altri esempi sipotrebbero citare da cui risulterebbe chiaro come moltieccezionali risultati del realismo moderno si possonoattribuire proprio al fatto che il moralismo medievale sisecolarizzò. È stato suggerito, ad esempio, che la pene-trante e sottile caratterizzazione di Chaucer, al paridelle modeste illustrazioncine delle complessioni, si siasviluppata essenzialmente dalle descrizioni delle virtú edei vizi contenute in sermoni del xii e xiii secolo77.

Se da tutte queste immagini raffiguranti i tempera-menti passiamo alla Melencolia I abbiamo vivissima l’im-pressione (un’impressione che è anche giustificata daldiverso modo di formulare le didascalie) che l’incisionedi Dürer rappresenti un livello fondamentalmente diver-so di allegoria, e per di piú un livello sostanzialmentenuovo per il Nord. La figura della Decadenza nellaminiatura di Cambridge, caratterizzata essenzialmenteda una conocchia, è una personificazione della «bilenera»; le figure del Tedio e della Pigrizia nelle immagi-ni quattrocentesche sono esempi del «melanconico»; ladonna di Dürer invece, che solo per le ali si distingueda tutte le altre rappresentazioni, è una realizzazionesimbolica della Melancholia.

Per essere piú precisi: la miniatura di Cambridgeincarna una nozione astratta e impersonale in una figu-ra umana78; le immagini delle serie delle complessioniesemplificano una nozione astratta e impersonalemediante figure umane; l’incisione di Dürer invece èl’immagine di una nozione astratta e impersonale sim-boleggiata in una figura umana. Nel primo caso la nozio-ne di base conserva pienamente la sua validità univer-

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sale; non può però essere identificata con l’immagineeffettiva, può solo esserle equiparata mediante un pro-cesso intellettuale, per cui solo la scritta o la nostrafamiliarità con la convenzione iconografica, ci informache la figura in questione vuole rappresentare la «bilenera». Nel secondo caso, la rappresentazione è diretta-mente e visibilmente legata alla nozione di base (chiun-que infatti può vedere che il collerico è arrabbiato, o ilmelanconico è pigro o triste), però con questo la nozio-ne perde la sua universalità, in quanto è presentata inun esempio particolare che è solo uno tra molti, e puòquindi essere riconosciuta immediatamente come l’im-magine di un uomo arrabbiato o triste, ma non come larappresentazione del temperamento collerico o melan-conico. Anche in questo caso è necessaria una didasca-lia, però questa non ci dice piú: «Immagina che questafigura neutra sia la bile nera»; dice invece: «In questacoppia indolente hai un tipico esempio del temperamen-to melanconico». Nel terzo caso, invece, l’idea di baseè trasferita nella sua interezza in termini pittorici, senzaper questo perdere la sua universalità e senza lasciarealcun dubbio quanto al significato allegorico della figu-ra, che nondimeno è del tutto concreta. Qui, e solo qui,la rappresentazione visibile può rispondere pienamentealla nozione invisibile; qui, e solo qui, la legenda (che aquesto stadio dell’evoluzione comincia ad essere super-flua) non ci dice né: «Questo vuol rappresentare la bilenera», né: «Questo è un tipico esempio del tempera-mento melanconico», ma: «La melanconia è cosí»79.

Si sa che è stata l’arte francese del Quattrocento acreare le illustrazioni di libri nelle quali, anziché ilmelanconico puramente paradigmatico delle serie deitemperamenti, o la figura puramente personificata della«bile nera» del manoscritto di Cambridge, appare per laprima volta la figura di «Dame Mérencolye» in perso-na80. Queste illustrazioni francesi sembrano quindi aver

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anticipato la rappresentazione simbolica della Melanco-nia dell’incisione di Dürer. Esse certamente superanotutti i disegni anteriori a Dürer in quanto combinano,in certa misura, la personificazione con l’esemplifica-zione: infatti hanno in comune col manoscritto di Cam-bridge il desiderio di rappresentare la nozione di melan-conia in tutta la sua universalità, ma nello stesso tempohanno anche in comune con le serie dei temperamentila capacità di rendere visibile una nozione invisibile. Ladifferenza maggiore che corre tra esse e l’opera di Dürersta nel fatto che questa combinazione non rappresentaancora una sintesi, ma semplicemente un contatto dellealtre due possibilità: in altre parole, il significato effet-tivamente visibile in queste figure francesi non coinci-de ancora con la nozione generale della melanconia. Ciòche qui vediamo, e che ci viene effettivamente mostra-to con realismo piú o meno progredito, sono delle vec-chie magre e mal vestite nel contesto di una scena piú omeno drammatica, da cui, nel migliore dei casi, possia-mo ricevere l’impressione di una certa atmosfera triste;ma che queste figure vogliano rappresentare la melan-conia, anzi qualsiasi cosa che non sia delle vecchie dolen-ti, è espresso tanto poco visibilmente, e tanto poco,quindi, si può sospettare senza la conoscenza dei testiletterari, quanto, per esempio, ci si può aspettare diriconoscere in un cavaliere il «Desiderio ardente» e nelpaggio che cavalca verso di lui un messaggero del-l’«Amore».

Quindi le figure in tali illustrazioni di romanzi nonsono affatto «rappresentazioni simboliche», ma piutto-sto sono ancora, per usare il termine di cui già ci siamoserviti, semplici «personificazioni». Secondo lo stilequattrocentesco, queste personificazioni sono rappre-sentate con un cosí forte senso della realtà che valgonoanche come paradigmata; ma finora la contraddizionetra paradigma e personificazione non è risolta in una

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qualche superiore forma di allegoria. Ciò che è real-mente visibile è ancora un singolo evento: tutto ciò cheè al di là rimane «nel testo». E, di fatto, sta nel testo,in senso assolutamente letterale, come risulta dal carat-tere assai indeterminato di queste illustrazioni. Ciò sideve, in realtà, al fatto che i testi illustrati avevano giàanticipato l’arte pittorica nella sua funzione di tradu-zione allegorica. In questi romanzi, nozioni psicologichegenerali come «sfiducia», «comprensione», «onore»,«dolce ricompensa», «lunga speranza» e perfino «melan-conia», erano divenute, nello spirito del poeta, cosí indi-vidualizzate e cosí concrete (tanto era stato il progressocompiuto sulla strada dall’astratto al visivo) che l’illu-stratore doveva solo tradurre la figura o il fatto parti-colare concreto, descritto nel testo, in termini pittorici;non solo, ma in questo modo non c’era, nelle sue imma-gini, la minima ragione perché l’osservatore a sua voltaritornasse dal particolare al concetto generale che stavaal di sotto di esso. Situazioni che già nella forma lette-raria sono delle allegorie ben congegnate, cioè fornisco-no relazioni drammatiche tra le personificazioni, sonodestinate a divenire delle figurazioni di genere o di sto-ria, se si tenta di illustrarle letteralmente in tutti i loroparticolari.

iii) Rappresentazioni delle arti liberali.

È quindi un fatto che Dürer è stato il primo artistaa nord delle Alpi a sollevare la rappresentazione dellamelanconia alla dignità di un simbolo, in cui si riscon-tra una concordanza vigorosa e stringente tra la nozio-ne astratta e l’immagine concreta. Come si può facil-mente comprendere da ciò che precede, forme realmentesimboliche di rappresentazione furono sviluppate dagliartisti del Rinascimento italiano. È stata infatti la lorogrande conquista aver saputo esprimere l’ideale in ter-

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mini di arte naturalistica e il trascendentale nei terminidi un ordine razionale dell’universo; e (come ad esem-pio nelle allegorie di Giovanni Bellini) scoprire (o piut-tosto riscoprire nell’arte dell’antichità classica) i mezziper giungere alla sublimazione che anche Dürer impiegò:le ali per la figura principale, i «putti» e cosí via81. Secercassimo un’opera d’arte anteriore in cui il principiodella rappresentazione simbolica sia applicato al temadella melanconia, un’analogia si troverebbe non nelleillustrazioni dei romanzi francesi, ma in un dipinto per-duto del Mantegna, che Dürer può avere conosciuto.Purtroppo non ne sappiamo praticamente nulla; sappia-mo però che portava il titolo di Malancolia e che conte-neva sedici putti che danzavano e facevano musica82.

Tutto questo naturalmente non esclude la possibilitàche la concezione d’insieme della Melencolia I (non appe-na la guardiamo alla luce della storia dei tipi pittorici,piuttosto che alla luce di una teoria delle forme allego-riche) possa anche essere collegata alla tradizione nor-dica dell’allegoria pittorica; anzi, possiamo perfino arri-vare a pensare che un rapporto tra le due sia assoluta-mente essenziale per l’incisione di Dürer. Ma le primefasi non si troveranno nelle immagini di «Dame Meren-colye». Nonostante i loro legami con le nozioni scienti-fiche e mediche di melanconia, per quanto riguarda laforma artistica queste hanno avuto, come si è visto, unavita propria e si sono sviluppate secondo le loro proprieleggi. A parte questo, difficilmente Dürer può averleconosciute83. Le prime fasi sono piuttosto da cercare inun gruppo di figurazioni allegoriche rappresentanti le«Arti liberali». Queste immagini non hanno nulla incomune, per quanto riguarda il contenuto, con le figu-razioni che rappresentano le malattie e i temperamenti;tuttavia come concezione si adattano agevolmente aiparticolari intenti artistici di Dürer, di cui in effettimettono in evidenza la novità. Di esse ci interessano

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particolarmente quelle che illustrano la quinta delle Artiliberali, cioè la Geometria.

L’arte nella Grecia classica aveva quasi interamenteignorato il mondo del lavoro manuale; e l’arte ellenisti-ca se ne era occupata solo in forma di sentimentale pit-tura di genere, in cui erano raffigurati il povero chedesta compassione o i contadini intenti al duro lavoro,non per dare un quadro oggettivo e naturale dellarealtà84. Tuttavia l’antichità romana ne trasse una varietàquasi inesauribile di tipi figurativi85. Accanto alle figu-razioni puramente descrittive dei mestieri, che riman-gono solidamente ancorate alla realtà in un modo tipi-camente romano e ci mostrano contadini e artigianiintenti al loro lavoro quotidiano, ci sono le rappresen-tazioni ellenistiche che mitologizzano giocosamente que-sta concreta realtà, facendo lavorare putti; e ci sono,infine, innumerevoli pietre tombali, sulle quali l’occu-pazione del defunto è indicata raffigurando non i gesti,ma, emblematicamente, gli arnesi del suo lavoro86. Tal-volta questi emblemi del lavoro possono trasformarsinelle operazioni del lavoro stesso, come si vede in unvetro dorato su cui la figura di un armatore navale è cir-condata da piccole scene della vita di cantiere87. Talvol-ta anche, se pure non di frequente, incontriamo rap-presentazioni che realmente «personificano» un mestie-re, come lo specchio etrusco (strettamente legato allelastre tombali emblematiche) che presenta un Eros alatocircondato dagli arnesi del falegname: per cosí dire, «lospirito della falegnameria»88.

Solo il primo di questi tipi, le immagini descrittive discene reali quotidiane, fu trasmesso al Medioevo dalladiretta tradizione figurativa. Negli almanacchi e nelleenciclopedie possiamo vedere scene tratte da monu-menti romani riprese quasi senza mutamenti89; solo infasi successive dell’evoluzione furono modificate eaggiornate. La personificazione delle sette Arti liberali

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era però ancora da creare (o meglio da tradurre dallavivace e animata descrizione di Marziano Capella intermini pittoricamente efficaci)90 prima che potesse assu-mere le forme in cui cosí spesso la vediamo nelle gran-di cattedrali e in manoscritti illustrati. Qui le Arti sonospesso accompagnate da una figura storica particolareche le rappresenta: esattamente come, nei mosaici pavi-mentali della tarda antichità, le nove Muse sono talvol-ta accompagnate da esponenti significativi delle novearti: Calliope da Omero, Urania da Arato91, e cosí via.Anche le raffigurazioni delle sette Arti meccaniche, rap-presentate per lo piú con una figura paradigmatica anzi-ché con una personificazione, ancora dovevano essereelaborate92. E senza attingere all’antichità, per un pro-cesso di ri-creazione spontanea, ecco sorgere un tipo diimmagine in cui l’abilità di un uomo o di un essere alle-gorico era indicata semplicemente mediante l’inclusionedi uno strumento tipico della sua attività.

Secoli prima che si verificasse il consapevole ritornoal tipo romano di monumento per gli artigiani o gli archi-tetti, il che avvenne nel corso del Rinascimento93, nelfondo dei rilievi degli archivolti in cui erano raffiguratigli esponenti storici delle sette Arti si vedevano un rego-lo appeso a un chiodo e una tavoletta con penna, spugna,ecc.; e nei monumenti tombali agli architetti la profes-sione del maestro defunto è indicata mediante compassoe squadra94. Un tipico esempio ne è il monumento algrande Hugues de Libergier, che, tra l’altro, è una mira-bile testimonianza della venerazione che in epocatardo-gotica (per certi aspetti, almeno emotivamente,molto simile al Rinascimento) si poteva accordare a unbrillante architetto. Però non c’e dubbio che gli arnesi perscrivere, sugli archivolti di Chartres, vogliono essere rea-listici, mentre gli arnesi sulla lastra tombale del Maestrodi Saint-Nicaise hanno lo stesso valore, puramente emble-matico, che avevano nei monumenti romani.

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Queste furono le due radici della nuova iconografia.Essa sorse quando l’arte del Trecento (come sempre,piena di contraddizioni) sviluppò un simbolismo profon-damente astratto, che era ideografico piú che rappre-sentativo, mentre nello stesso tempo poneva le basi dellaprospettiva naturalistica. Si poterono cosí sviluppare daun lato quegli interni di bottega che si vedono nei rilie-vi del Campanile di Firenze, che sembrano quasi scenedi vita quotidiana; dall’altro, rappresentazioni astrattecome la miniatura del 1376 nella quale la tûcnh aristo-telica appare circondata dagli strumenti delle varie artimeccaniche, con le piccole figure di un contadino e unpastore ai suoi piedi95, o le strane immagini dell’Osser-vanza del Sabato, nelle quali le arma Christi delle rap-presentazioni contemporanee di Gesú Cristo sono sosti-tuite dagli arnesi dei vari mestieri96.

Grazie al progresso della prospettiva naturalisticache si ha nel corso del xv secolo le distinzioni osserva-te nelle rappresentazioni delle arti tra «personificazio-ne», «paradigma» ed «emblema» si fanno sempre menonette. Da un lato c’erano certe figure storiche, comeCicerone, Euclide o Pitagora, che in origine erano stateaggiunte alle personificazioni delle varie arti come espo-nenti «paradigmatici» di esse. Queste figurazioni diven-nero ora cosí autonome, e nello stesso tempo vennerosviluppate in rappresentazioni delle attività professionalicosí pienamente realistiche all’apparenza che la figurapersonificata dell’arte poteva essere eliminata e il ritrat-to di un Pitagora, di un Euclide o di un Cicerone pote-va illustrare contemporaneamente sia una effettiva atti-vità che l’idea generale dell’arte in questione. D’altraparte, le personificazioni astratte (del tipo, ad esempio,della miniatura dell’Aia) potevano farsi ora cosí reali-stiche da sembrare anch’esse rappresentazioni di gene-re di una certa attività concreta. In entrambi i casi lefigure secondarie e gli arnesi, che nelle raffigurazioni

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precedenti avevano avuto un valore puramente emble-matico, poterono trasformarsi in elementi illustrativi eintegrarsi nello spazio tridimensionale della figurazione:sia con Pitagora o Cicerone (ora innalzati al livello disignificazione generale), sia con la Retorica o la Musica(ora arricchite di tanti particolari da somigliare a unaconcreta scena di genere).

Cosí, per un esempio della prima possibilità, unmanoscritto tedesco del terzo quarto del xv secolo97 illu-stra la nozione di «geometria» mediante una figura diEuclide seduto, in compagnia di un assistente, a untavolo ingombro di strumenti di misurazione e con inmano un compasso e una squadra, mentre in una fasciaapposita che corre alla base un altro assistente sta facen-do scandagli nell’acqua. In questa scena accessoriaabbiamo una sorta di stadio intermedio tra l’uso pura-mente emblematico delle figure secondarie, come nellaminiatura dell’Aia, e la loro inclusione in uno spaziocomune con la figura principale.

D’altra parte in un gruppo di manoscritti francesi, unpo’ piú tardi, appaiono personificazioni reali, che rap-presentano nozioni come la Déduccion loable98. Questepersonificazioni, per inciso, sono metaforiche non menoche allegoriche, dato che i reali strumenti di lavoroPotevano essere assegnati solo a questa sottoclasse dellaretorica poiché nel testo le si attribuiva la capacità dirafforzare l’edificio logico del pensiero in modo «chenon vi resti buco ne fessura»99. Armata di una squadra,la Déduccion loable siede in una stanza, dalla quale sivedono due case non finite e che è piena di travicelli,travi e arnesi da carpentiere che sono del tutto realisti-ci. In questo caso possiamo o interpretare i vari stru-menti come emblemi intorno ai quali è stata costruitauna stanza, oppure considerare l’insieme come una bot-tega e stanza d’abitazione in cui gli emblemi sono dis-seminati.

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In base a questi esempi siamo in grado di compren-dere una certa figurazione della Geometria che è dellamassima importanza per il nostro argomento, cioè unaxilografia della Margarita philosophica di Gregor Reisch,pubblicata a Strasburgo nel 1504100. Anche qui la Geo-metria è una personificazione reale, siede a un tavolopieno di figure geometriche piane e solide; le sue manisono occupate con un compasso e una sfera101. La figu-ra è circondata da scene di lavoro, la cui scala minorecontrasta vivacemente con la prospettiva generale del-l’immagine e con le dimensioni della figura principale.Le scene sono subordinate ad essa come nozioni subal-terne, anziché coordinate come oggetti in uno spaziocoerente; cioè il rapporto degli arnesi con la figura prin-cipale è in qualche modo simile a quello delle piccolescene di lavoro della miniatura dell’Aia con la figura del-l’Arte, o a quelle sul vetro dorato già ricordato con lafigura dell’armatore defunto. Al pari di queste, si pos-sono considerare emblemi di mestieri drammatizzati.Come organizzazione, il lavoro dei carpentieri che sega-no e piallano è «governato» dall’armatore; in terminiintellettuali, le attività che si vedono qui sono «subor-dinate» alla Geometria. Infatti tutto il lavoro che si stafacendo e una semplice applicazione pratica delle suescoperte teoriche. Al pianterreno della casa in costru-zione (un grosso blocco di pietra è ancora sospeso a unagru) si stanno costruendo le volte del soffitto; martello,regolo e sagoma per le modanature sono posati per terra;un uomo in ginocchio sta disegnando una pianta conl’aiuto di una squadra; un altro sta dividendo una mappamolto naturalistica in iugera; e con l’aiuto di un sestan-te e un astrolabio due giovani astronomi stanno stu-diando il cielo notturno, nel quale, nonostante la pesan-te nube, la luna e le stelle brillano vivacemente102.

Nessuno, il cui senso storico sia capace di superarel’abisso che corre tra un’immagine didattica e una gran-

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de opera d’arte, può negare che questo typus Geome-triae103 è straordinariamente simile alla Melencolia I. Nondobbiamo dimenticare che, come spesso si è rilevato,arnesi e scene di lavoro sono di continuo scambiati e, incerti casi, addirittura combinati. È quindi lecito imma-ginare che l’illustratore del libro di Gregor Reisch possaavere rappresentato gli arnesi come emblemi anzichémostrarne l’applicazione in scene secondarie104, bastaquindi che ad essi aggiungiamo gli utensili che si vedo-no in effetti disseminati sul tavolo e per terra nella xilo-grafia per renderci conto di una sorprendente concor-danza nel repertorio di entrambe le immagini. AncheDürer, sempre seguendo Marziano Capella, ci mostrauna figura con una sfera e un compasso intenta a costrui-re; come nella xilografia, anche qui abbiamo per terramartello, sagoma per le modanature e regolo. Nella xilo-grafia la Geometria ha gli arnesi per scrivere accanto asé sul tavolo; anche nell’incisione di Dürer ci sono gliarnesi per scrivere a terra accanto alla sfera105; mentre isolidi, relativamente semplici, con cui armeggia la Geo-metria trovano il loro corrispettivo, piú complicato, neltanto discusso romboide di Dürer106. Se si aggiunge chele nuvole, la luna e le stelle che si vedono nella xilogra-fia hanno il loro corrispettivo nell’incisione di Dürer, eche il putto che scribacchia sulla sua lavagnetta dovevaoriginariamente, nel disegno preparatorio, maneggiareun sestante come il giovane alla sinistra della Geometria,si deve concludere che il rapporto tra le due opere è piúche probabile. Si può perfino considerare possibile chela scala fosse da interpretare come un arnese annesso auna casa in costruzione. La Margarita philosophica erauna delle piú conosciute enciclopedie dell’epoca; ne fupubblicata una traduzione italiana ancora nel 1600: e ilrapporto con l’incisione di Dürer non è invalidato dalfatto che questa abbia ripreso anche tratti da rappre-sentazioni non allegoriche delle occupazioni: lo è tanto

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meno in quanto queste rientrano nell’iconografia di rap-presentazioni di dotti, che erano nello stesso tempodelle personificazioni delle arti liberali. Cosí, se lo si con-sidera storicamente, il cane addormentato è semplice-mente un discendente del barboncino o del cane diPomerania che si vede cosí spesso negli studi dei dotti107;la ghirlanda è un attributo costante dell’homo literatus,e lo stesso Dürer (dato che secondo noi proprio di lui sitratta) aveva incoronato di una ghirlanda il giovaneTerenzio108, mentre essa contraddistingue sia JacobLocher, il poeta109, che Marsilio Ficino, il filosofo110.

Per quanto riguarda la composizione, un’immagineastronomica come la xilografia sul frontespizio dell’A-strolabium planum di Giovanni Angelo può aver avutoanch’essa una certa influenza. Essa fu pubblicata pro-prio all’epoca del primo soggiorno di Dürer a Venezia ein piú di una direzione sembra in generale preparare labase per la struttura spaziale dell’incisione111. Comunquestiano le cose, non può essere pura coincidenza che tantidei simboli düreriani delle occupazioni corrispondano aquelli che si riscontrano nel typus Geometriae, e che,come brevemente dimostreremo, anche quei particolariche mancano nella xilografia, che è piú semplice, si pos-sano far rientrare quasi del tutto nella nozione di geo-metria.

Ma allora la Melanconia di Dürer è davvero una Geo-metria? Sí e no. Infatti se essa condivide i tratti tipicidella sua occupazione con la figura femminile dallapenna di pavone nella xilografia, il modo in cui esplicala sua occupazione, o meglio la sua mancanza di occu-pazione, l’accomuna alle raffigurazioni dei melanconicidei calendari tedeschi. Mentre nell’illustrazione di Stra-sburgo tutto è energica e festosa attività (le figure pic-cole che disegnano e misurano, osservano e sperimenta-no, e la loro patrona che misura con grande attenzionela sua sfera) la caratteristica saliente della Melencolia di

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Dürer è che non sta facendo nulla con tutti questi stru-menti intellettuali o manuali, e che le cose su cui il suoocchio potrebbe posarsi semplicemente non esistono perlei. La sega posa inutilizzata ai suoi piedi; la mola colbordo scheggiato112 sta appoggiata inutile al muro; illibro le sta in grembo con i fermagli chiusi; il romboidee i fenomeni astrali sono ignorati; la sfera è rotolata aterra e il compasso sta «rovinandosi perché inutilizza-to»113. Non c’è dubbio che, nonostante tutto, questamancata utilizzazione delle cose che sono lí per essereusate, questo non vedere ciò che è lí per essere vedutolega la Melencolia I alla indolente melanconia rappre-sentata dalla filatrice addormentata o perduta in unapigra depressione. L’Acedia nel foglio volante con latesta appoggiata alla mano sinistra e il fuso inoperoso ingrembo è l’ottusa sorella della Melencolia di Dürer; equanto Dürer avesse familiare questo tipo inferiore dimelanconia ce lo dice il fatto che le abbia accordato unposto nel libro di preghiere di Massimiliano114.

Dal punto di vista della sola storia dei tipi, l’incisio-ne di Dürer è quindi costituita, nei suoi particolari, dicerti motivi tradizionali della Melanconia o di Saturno(chiavi e borsa, testa appoggiata alla mano, viso scuropugno chiuso): però, considerata nel suo insieme, si puòcomprendere solo se la si considera una sintesi simboli-ca del typus Acediae (l’esempio popolare dell’inattivitàmelanconica) con il typus Geometriae (la personificazio-ne scolastica di una delle «arti liberali»).

2. il nuovo significato della «melencolia i».

a) La nuova forma d’espressione.

L’idea che sta dietro l’incisione di Dürer, volendoladefinire in termini di storia dei tipi, potrebbe essere

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quella della Geometria che si abbandona alla melanco-nia, o quella della Melanconia con la passione della geo-metria. Però questa unione pittorica di due figure, l’unache incarna l’ideale allegorizzato di una facoltà menta-le creativa, l’altra che è l’immagine terrificante di unacondizione di spirito distruttiva, ha un significato cheva ben oltre la semplice fusione di due tipi. In realtà sta-bilisce un significato del tutto nuovo, tale da costituire,per quanto riguarda i due punti di partenza, quasi unaduplice inversione di significato. Quando Dürer ha com-binato la raffigurazione di una ars geometrica con quel-la di un homo melancholicus, un atto che equivale allafusione di due diversi modi di pensare e di sentire, haattribuito all’una un’anima, all’altro una mente. Egli haavuto l’audacia di calare il sapere e il metodo atempo-rale di un’arte liberale nella sfera delle aspirazioni edelle sconfitte umane, e l’audacia anche di sollevare lapesantezza animale di un temperamento «triste, terre-stre» all’altezza di una lotta con problemi intellettuali.L’officina della Geometria si è trasformata da un cosmodi utensili chiaramente ordinati e utilizzati in vista diuno scopo in un caos di cose inutilizzate; la loro dispo-sizione casuale riflette un’indifferenza psicologica115.Però l’inattività della Melanconia, da letargo dell’indo-lente e stato d’incoscienza di chi dorme, si è trasforma-ta nell’assillo cogente dell’uomo ipersensibile. Entram-be sono indolenti, sia l’inghirlandata e nobilitata Melen-colia di Dürer, col suo compasso impugnato meccanica-mente, che la sciatta Melancholica delle illustrazioni deicalendari col suo inutile fuso; però quest’ultima non stafacendo nulla perché dall’indolenza è scivolata nelsonno, l’altra perché il suo spirito è preso da visioni inte-riori, per cui l’affaccendarsi con arnesi pratici le sembrasenza senso. L’«indolenza» in un caso è al di sotto del-l’attività esteriore; nell’altro al di sopra. Se Dürer èstato il primo a sollevare la figura allegorica della Melan-

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conia al livello di un simbolo116, questa trasformazioneappare ora come il mezzo (o forse il risultato) per unmutamento nel significato: la nozione di una Melenco-lia nella cui natura l’eccellenza intellettuale di un’arteliberale si combinava con la capacità di sofferenza diun’anima umana, poteva prendere solo la forma di ungenio alato.

La forza creativa che ha generato questa nuova con-cezione permea di sé naturalmente anche i particolaritradizionali. Oggetti di repertorio che sembrano del tuttoconvenzionali hanno una notevole parte nel determina-re quell’impressione di casualità che è cosí tipica del-l’incisione; ad esempio, la borsa, anziché essere appesaalla cintura con nastri, è scivolata negligentemente alsuolo, le chiavi pendono disordinatamente dal loro anel-lo contorto, molto diverso dalla catenella tipica dellapadrona di casa della Madonna del muro. E quando anchequesti particolari inanimati si fanno eloquenti, quando ilcane addormentato (che nelle consuete immagini deidotti si gode la quiete dello studio e il caldo della stufa)diventa una povera bestia mezzo morta di fame, arruf-fata, spossata, che trema sulla fredda terra, allora comeappaiono intense e nuove quelle cose che hanno avutosempre un significato specificamente umano. Ora sap-piamo che il motivo del pugno chiuso era tradizionale,ed era già stato usato qua e là prima di Dürer. Per un illu-stratore medievale il pugno chiuso era il segno di certeossessioni ed era da lui concepito come un tratto inevi-tabile della figura in questione, altrettanto inevitabile delcoltello che san Bartolomeo porta sempre. Ma nellaMelencolia I di Dürer la mano chiusa regge anche la testa,per cui visibilmente si avvicina alla sede del pensiero e,cessando di essere un attributo isolato, si unisce al voltomeditabondo a formare una zona di energia compressanella quale non solo si trovano i contrasti piú forti di lucee d’ombra, ma si concentra quanto c’è nella figura, per

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il resto immota, di vita fisica e mentale. Inoltre la manosinistra chiusa è in stridente contrasto con la destra indo-lentemente abbandonata; è la mano non piú di uno sven-turato pazzo che «pensa», come è detto in un testo, «ditenere un grande tesoro, o tutto il mondo, in mano»; maquella di un essere del tutto ragionevole, intento al lavo-ro creativo, e che nondimeno condivide col povero pazzolo stesso destino di non riuscire ad afferrare o ad abban-donare un qualcosa che è puramente immaginario. Ilgesto del pugno chiuso, che finora era stato un semplicesegno di malattia, ora simboleggia la concentrazionefanatica di una mente che ha realmente colto un proble-ma, ma nello stesso momento si sente incapace sia di scio-glierlo che di lasciarlo cadere.

Una evoluzione analoga a quella del pugno chiuso hasubito anche lo sguardo rivolto verso uno spazio vuoto.Quanto è diverso dall’occhio abbassato che precedente-mente era attribuito al melanconico o al figlio di Satur-no117! Gli occhi della Melencolia sono fissi nel regno del-l’invisibile con la stessa vana intensità con cui la suamano stringe l’impalpabile. Il suo sguardo deve la suamisteriosa espressività non solo al fatto che è rivolto inalto e che gli occhi non fissano nulla di preciso com’ètipico di chi sta pensando intensamente, ma anche, esoprattutto, al fatto che il bianco degli occhi della figu-ra, che in uno sguardo del genere è particolarmente spic-cato, risalta vivamente su un viso scuro, quel «visoscuro» che, come sappiamo, era anch’esso un trattocostante dell’immagine tradizionale della Melanconia,ma che nella raffigurazione düreriana indica qualcosa ditotalmente nuovo. Anche in questo caso, rappresentan-do la «faccia scura» non tanto come scura di pelle, quan-to come oscurata dall’ombra118, egli ha trasformato ilfatto fisiognomico o patologico in un’espressione, quasiun’atmosfera. Al pari del motivo del pugno chiuso, quel-lo del viso scuro è stato ripreso dall’ambito della semeio-

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tica medica; ma l’alterazione del colorito diviene lo sten-dersi di una fitta ombra, che noi intendiamo non comeil risultato di una condizione fisica, ma come l’espres-sione di uno stato dello spirito. In questa raffigurazio-ne il crepuscolo (indicato da un pipistrello)119 è magica-mente illuminato dal chiarore di fenomeni celesti, chefanno sí che il mare nel fondo brilli di una sua fosfore-scenza, mentre il primo piano sembra illuminato da unaluna alta nel cielo che proietta ombre profonde120. Que-sta «doppia luce» (è il significato letterale di twilight,crepuscolo) altamente fantastica, che domina tuttal’immagine, non si basa tanto sulle condizioni naturalidi una certa ora del giorno: indica invece il misteriosocrepuscolo di uno spirito, che non riesce a cacciare i suoipensieri nella tenebra, né a «portarli alla luce». Cosí laMelencolia di Dürer (non è necessario aggiungere che lafigura eretta dello studio preliminare è stata di proposi-to cambiata in una china) siede di fronte al suo edificionon compiuto, circondata dagli strumenti del lavorocreativo, ma meditando tristemente con il senso di nonstare realizzando nulla121. Con i capelli che le scendonospettinati e lo sguardo, pensieroso e triste, fisso in unpunto lontano, essa veglia, isolata dal mondo, sotto uncielo che sta oscurandosi, mentre il pipistrello inizia ilsuo volo in cerchio. «Un genio con ali che non dispie-gherà, con una chiave che non userà per aprire, con fron-de d’alloro sulla fronte, ma senza sorriso di vittoria»122.

Dürer ha precisato e accentuato questa impressionedi una tragedia tipicamente umana in due modi, attra-verso l’aggiunta di figure sussidiarie. Il sonnecchiare delcane stanco e affamato (il precedente possessore deldisegno preliminare lo chiamava giustamente «canis dor-mitans», usando la forma intensiva, in luogo di «canisdormiens») significa la cupa tristezza di una creaturainteramente abbandonata al suo inconsapevole agio odisagio123; mentre l’operosità del putto che scrive signi-

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fica la tranquilla serenità di un essere che solo ora haappreso l’appagamento che dà l’attività, anche quandoè improduttiva, e non conosce ancora il tormento che dàil pensiero anche quando è produttivo; non è ancoracapace di tristezza, perché ancora non ha raggiunto lastatura umana. Il dolore consapevole di un essere umanoche lotta con problemi è accentuato dalla sofferenzainconsapevole del cane che dorme e dalla felice inco-scienza del bambino affaccendato.

b) Il nuovo contenuto concettuale.

Il nuovo significato espresso nell’incisione dürerianasi comunica all’occhio e allo spirito in modo altrettantodiretto che l’aspetto esteriore di un uomo che si avvici-na rivela il suo carattere e il suo stato d’animo; e inrealtà la caratteristica di una grande opera d’arte, sia cherappresenti un mazzo d’asparagi o una sottile allegoria,è l’essere compresa, a un particolare livello, tanto dal-l’osservatore ingenuo che dall’analista scientifico. Ineffetti l’impressione che prima abbiamo cercato didescrivere probabilmente sarà condivisa, in certa misu-ra, da quasi chiunque osservi l’incisione, anche se aparole i vari sentimenti potranno essere espressi in mododiverso.

Ma come ci sono opere d’arte la cui interpretazionesi esaurisce nel comunicare impressioni direttamenteprovate, poiché la loro intenzione è assolta con la sem-plice rappresentazione di un mondo di oggetti di «primogrado» (in questo caso puramente visuale)124, cosí ce nesono altre la cui composizione comprende un comples-so di elementi di «secondo grado», fondato su un’ere-dità culturale che pertanto esprime anche un contenutoconcettuale. Che la Melencolia I rientri in questo secon-do gruppo è dimostrato non solo dalla nota di Dürer, che

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attribuisce un preciso significato allegorico anche agliinnocenti accessori dell’abbigliamento di una donna dicasa125, ma, soprattutto, dal fatto, illustrato sopra, chel’incisione düreriana è il risultato di una sintesi di certerappresentazioni allegoriche della melanconia e dellearti, il cui contenuto concettuale, non meno del lorosignificato espressivo, è certamente cambiato, però nonè andato perduto del tutto. È quindi assai probabile chei motivi caratteristici dell’incisione si debbano spiegareo come simboli di Saturno (o della Melanconia), o comesimboli della Geometria.

i) Simboli di Saturno e della Melanconia.

Abbiamo trattato per prima cosa dei motivi connes-si con Saturno (o la Melanconia): la testa sostenuta dallamano, la borsa e le chiavi, il pugno chiuso, il voltoscuro126, poiché rientravano tra le caratteristiche perso-nali del melanconico, e perché erano stati tutti elabora-ti, in modo piú o meno completo, nella tradizione predü-reriana. Accanto a questi motivi ce ne sono altri che nonsono tanto proprietà essenziali, quanto accessori estra-nei delle figure rappresentate, e alcuni di essi non com-paiono nella tradizione figurativa precedente.

Il primo di questi motivi sussidiari è il cane, che diper sé era un tema proprio delle rappresentazioni tipi-che dei dotti. La sua inclusione qui e il rovesciamentodel suo significato, per cui diviene un compagno di sof-ferenza della Melencolia, può tuttavia giustificarsi condiverse considerazioni. Non solo è ricordato in parecchiefonti astrologiche come un tipico animale di Saturno127,ma in Orapollo (l’introduzione ai Misteri dell’alfabeto egi-zio per la quale gli umanisti avevano un culto quasi ido-latrico) esso è associato alla disposizione dei melanconi-ci in genere e dei dotti e dei profeti in particolare. Nel1512 Pirckheimer aveva finito una traduzione di Ora-

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pollo dal greco e Dürer stesso aveva fornito illustrazio-ni per l’opera; e, cosa curiosa, di questo codice realiz-zato insieme dai due sopravvive proprio la pagina (dise-gno di Dürer L83) in cui è scritto che il geroglifico diun cane significa, tra l’altro, la milza, i profeti e le«sacras literas» (tutte nozioni che dal tempo di Aristo-tele in poi, erano state strettamente connesse col melan-conico), e che il cane, piú dotato e sensibile di altri ani-mali, ha una natura molto seria e può cadere vittimadella pazzia, e, come i profondi pensatori, è portato adessere sempre in caccia, fiutando le cose e inseguendo-le senza lasciarle128. «Il miglior cane», afferma un cultoredi geroglifici contemporaneo, è quindi quello «che hal’aspetto, come si dice dal volgo, piú melanconico»129:cosa che si potrebbe dire, con tutte le ragioni, del caneche si vede nell’incisione di Dürer.

Il motivo del pipistrello è del tutto indipendentedalla tradizione figurativa. In effetti la sua invenzionesi deve esclusivamente a una tradizione di testi; e per-fino nella Kurzgefasste Mythologie del Ramler è ancoracitato come l’animale simbolico dei melanconici130. Èmenzionato anche in Orapollo come segno dell’«homoaegrotans et incontinens»131. Inoltre è servito agli uma-nisti del Rinascimento come esempio (in senso positivoo negativo) di veglia notturna o di lavoro notturno.Secondo Agrippa di Nettesheim la sua caratteristicaessenziale è la vigilantia132; secondo il Ficino è un esem-pio su cui riflettere degli effetti rovinosi e distruttividello studio notturno133; e (cosa forse piú notevole ditutte) in epoche antiche le sue membrane erano usaterealmente per scrivere, in particolare per stendere esor-cismi contro l’insonnia134.

Infine la veduta marina con le piccole navi si può farrientrare anch’essa nel contesto di Saturno e dellaMelanconia. Da astrologi classici e arabi il dio che fuggíper mare nel Lazio fu considerato «signore del mare e

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dei naviganti», per cui i suoi figli amavano vivere accan-to all’acqua e guadagnarsi da vivere con le attività mari-nare135. E non è tutto. Saturno, e piú particolarmenteogni cometa a lui legata, era considerato responsabiledelle inondazioni e delle alte maree; e si può affermarecon sicurezza che ogni cometa che figura in una rap-presentazione della Melanconia deve essere una di que-ste «comete saturnine», di cui è detto espressamente cheminacciano il mondo con il «dominium melancholiae»136.È quindi difficile che per pura coincidenza un arcoba-leno brilli sul mare di Dürer e che l’acqua abbia talmenteallagato la piatta riva da lambire gli alberi tra le dueluminose penisole. Infatti perfino in testi cuneiformibabilonesi era stato considerato un fatto certo che unacometa con la testa rivolta verso la terra preannunzias-se alta marea, ed era il melanconico in particolare chesapeva prevedere simili catastrofi137.

Tuttavia questi fenomeni, in parte tristi, in parteminacciosi, sono bilanciati da due altri motivi138 chestanno a rappresentare dei palliativi contro Saturno econtro la Melanconia. Una è la ghirlanda di cui la donnaha cinta la fronte. Benché, nella storia dei tipi, questaghirlanda si possa far derivare da quella di cui si orna-va l’homo literatus e quindi affermi capacità intellettua-li della Melencolia139, tuttavia si deve anche considerarecome un antidoto alla melanconia, poiché è compostacon le foglie di due piante che sono entrambe di naturaacquatica e quindi si contrappongono alla natura asciut-ta e terrestre del temperamento melanconico. Questepiante sono il ranuncolo acquatico (Ranunculus aquati-cus), che Dürer già aveva associato alla combinazione diAuster, Phlegma e Aqua nella xilografia140 che aveva fattoper illustrare l’opera di Conrad Celtis, e il comune cre-scione (Nasturtium officinale)141. L’altro antidoto è il qua-drato del numero quattro, a quanto sembra inciso sumetallo: grazie alle ricerche da pioniere del Giehlow

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non ci può piú essere dubbio che questo è inteso nonsolo come un segno della disposizione alla matematicadel genio melanconico ma, soprattutto, come un «qua-drato magico» nel senso originario dell’espressione142. Sitratta di un talismano per attirare l’influenza salutiferadi Giove; è il sostituto non pittorico, ma matematico diquelle immagini di divinità astrali che erano raccoman-date dal Ficino, da Agrippa e da tutti gli altri maestridella magia bianca. Di questa mensula Jovis, che conte-neva in sé tutte le forze benefiche del temperator Satur-ni, un autore trecentesco scriveva: «E se qualcuno laporterà, se sarà sfortunato diventerà fortunato, se giàsarà fortunato lo diventerà ancora di piú»143; e in Para-celso leggiamo: «Questo simbolo se verrà portato... ren-derà chi lo porta fortunato in tutte le sue faccende, eallontanerà tutte le preoccupazioni e la paura»144. Dürernon era un aritmetico, però aveva pienamente familia-re il significato del quadrato magico nella iatromatema-tica, e forse questo è l’unico aspetto di questa curiosacombinazione di numeri che può avere attirato la suaattenzione e fissato il suo interesse.

Questo infatti è chiaro, non solo perché i quadratierano stati riconosciuti come simboli dei vari pianeti inun’epoca in cui i problemi aritmetici in essi impliciti nonerano ancora stati affatto investigati145, ma anche perché,come si è scoperto di recente, una persona con cui pro-babilmente Dürer venne personalmente in contattoaveva familiarità con i quadrati planetari: Luca Pacioli,che Dürer può facilmente aver incontrato a Bologna,anche se non si recò in questa città espressamente perconoscerlo. Nel 1500 il Pacioli aveva in effetti scritto untrattatello sui simboli dei pianeti. In esso egli cita fontiarabe; ed è fornita una versione del quadrato di Gioveche presenta la stessa disposizione dei numeri (disposi-zione che non è affatto l’unica possibile146) che si vedenella Metencolia I di Dürer147.

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Ma tutti questi antidoti sono solo un debole espe-diente di fronte al vero destino del melanconico. Comeil Ficino aveva già compreso che la resa totale e senzacondizioni alla volontà di Saturno era dopo tutto nonsolo l’ultima ma anche l’optima ratio per l’intellettuale,cosí anche Dürer (come si può vedere dal volto scuro edal pugno chiuso) crea una Melencolia il cui destino tri-ste ma sublime non può, e forse non deve, essere allon-tanato da palliativi, sia naturali che magici. Se il con-flitto cosmico tra Saturno e Giove148 fosse mai giunto auna soluzione finale, avrebbe potuto, per Dürer, nonconcludersi con una vittoria di Giove.

ii) Simboli geometrici.

I motivi che non abbiamo finora spiegato sono, comesi è accennato, i simboli geometrici.

Questo vale senza riserve per gli arnesi e gli oggettiche compaiono nella raffigurazione della Geometrianella Margarita philosophica: cioè, le stelle in cielo, l’e-dificio in costruzione, il blocco di pietra, la sfera, ilcompasso, la sagoma per le modanature e la squadra, ilmartello, gli arnesi per scrivere. Infatti la storia figura-tiva di tutte queste cose dimostra che esse sono simbo-li di un’occupazione che pratica «l’arte del misurare»,sia come fine a se stessa che come mezzo per altri fini,tutti piú o meno pratici. Il compasso in mano alla Melen-colia simboleggia, per cosí dire, il fine intellettuale uni-ficante che sta alla base della grande varietà di arnesi eoggetti da cui è circondata; e se vogliamo fare delle sud-divisioni, possiamo dire che, insieme alla sfera e agliarnesi per scrivere, il compasso significa la pura geome-tria; che l’edificio in costruzione, la sagoma per le moda-nature, la squadra e il martello significano la geometriaapplicata al lavoro manuale e all’attività costruttiva; chei fenomeni astrali alludono alla geometria utilizzata a

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scopi astronomici o meteorologici149; e infine che il polie-dro rappresenta la geometria descrittiva: poiché qui,come in molte altre rappresentazioni contemporanee,esso è sia un problema che un simbolo di ottica defini-ta geometricamente, più in particolare, di prospettiva150.

Ma anche tutti gli altri oggetti si possono facilmentecollegare col typus Geometriae, quale lo si vede nellaxilografia di Strasburgo. La pialla e la sega, i chiodi e letenaglie, e forse l’oggetto quasi nascosto, che gene-ralmente è detto un clistere151, ma che è piú probabilesia un soffietto: tutti questi oggetti servono semplice-mente ad ingrossare l’inventario di costruttori, falegna-mi e carpentieri, che usano anche la mola per affilare,arrotondata e levigata dallo scalpellino152. Alcuni hannovoluto perfino aggiungere ad essi il crogiolo con le pic-cole molle153, ma noi preferiamo attribuire questi ogget-ti all’arte piú delicata dell’oreficeria154, o all’alchimia, lanera arte legata non alla geometria, ma alla melanconiasaturnina155. Il libro amplia il simbolismo del compasso,della sfera e degli arnesi per scrivere, nel senso che sot-tolinea la teoria, anziché l’applicazione della geometria;ed è ovvio che, come strumenti per misurare il tempo eil peso, le bilance e la clessidra (con il relativo campa-nello)156 rientrano anch’esse nell’immagine complessivadella Geometria. Macrobio aveva già definito il tempo«una certa dimensione che si coglie dal ruotare del cielo»(mostrando cosí il suo rapporto con l’astronomia)157; equanto al pesare, in un periodo che non aveva ancoraelaborato la nozione di fisica sperimentale, esso era cosípacificamente ritenuto una delle funzioni della geome-tria che un famoso distico da mandare a memoria nellescuole, dedicato alle sette arti liberali, citava il pondera-re come il compito essenziale della Geometria:

La Grammatica parla, la Dialettica insegna le cose vere,la Retorica colora le parole, | la Musica canta, l’Aritmetica

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conta, la Geometria pesa, l’Astronomia si occupa degliastri158.

Sappiamo anche, per sua stessa ammissione, cheDürer stesso riteneva che l’attività puramente manualedelle arti minori fosse geometria applicata, esattamentecome faceva la tradizione rappresentata nelle xilografieora studiate159. Nella premessa alle sue Unterweisung derMessung (Istruzioni sul misurare), a cui lavorava in quel-l’epoca160, egli scriveva:

Di conseguenza spero che nessuna persona ragionevolevorrà biasimarmi per la mia impresa poiché è condotta conun’intenzione buona e per l’utile di tutti gli amanti del-l’arte; ed essa può risultare utile non solo per i pittori maanche per gli orafi, gli scultori, gli scalpellini e i falegnamie tutti coloro che hanno bisogno di misure161.

Inoltre non è forse per puro caso che in un abbozzodi questa stessa introduzione Dürer abbia abbinato «ilpiallare e il tornire» allo stesso modo che la pialla e lasfera tornita stanno insieme nell’incisione162.

iii) Simboli di Saturno o della Melanconia combina-ti con simboli geometrici: in rapporto alla mitolo-gia e all’astrologia, in rapporto all’epistemologia ealla psicologia.

Finora, in accordo con il corrispondente dualismonell’evoluzione dei tipi, abbiamo cercato il contenutoconcettuale della Melencolia I in due direzioni del tuttoseparate. Però sarebbe sorprendente, e l’operazione diDürer si dimostrerebbe casuale, o almeno arbitraria, seun dualismo che sembra sia stato risolto in modo cosícompleto sul piano della forma non risultasse possedere

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una sua unità anche sul piano del significato; o se l’ar-dita idea di caratterizzare la Melanconia come Geome-tria, o la Geometria come Melanconia, non avesse inultima analisi rivelato un’intima affinità tra i due temi.E questa affinità sembra in realtà esistere.

L’esempio occidentale piú antico (e, nello stessotempo, piú completo) delle serie di immagini, già men-zionate, raffiguranti i «figli dei pianeti»163 è, come siricorderà, il ciclo di figurazioni del Salone di Padova.Ancora impostato secondo la forma tabulare di caratte-re scientifico dei manoscritti islamici, ma sostanzial-mente occidentale come stile, esso illustra le occupazio-ni e le caratteristiche di tutti coloro la cui nascita e il cuidestino sono governati da un dato pianeta. Tra coloroche sono sotto il dominio di Saturno (raffigurato lui stes-so come un re «silenzioso»)164 vediamo un uomo amma-lato e melanconico, zoppo da una gamba, con la testaappoggiata alla mano; poi un dotto, seduto, ma col brac-cio nella stessa tipica posizione, il cui doppio significa-to (dolore e riflessione) viene ad essere diviso tra le duefigure; e poi un conciatore, un falegname, un avaro cheseppellisce un tesoro, uno scalpellino, un contadino, unarrotino, un giardiniere e numerosi eremiti.

È possibile cosí constatare che la maggior parte diquei simboli dei mestieri, la cui presenza nell’incisionedella Melencolia di Dürer era apparsa spiegabile sono intermini di «arte della misurazione», trovano posto anchenel mondo di Saturno. Infatti, in quanto pratiche emanuali, le attività rappresentate nell’incisione di Dürerrientrano non solo nel gruppo che abbiamo visto illu-strato nella xilografia della Geometria della Margaritaphilosophica, ma anche in quelli che gli scritti sui pianetidefiniscono gli artificia Saturni: cioè i mestieri del car-pentarius, del lapicida, del cementarius, dell’edificator edi-ficiorum, tutti mestieri che sono citati da Abû Ma‘∫ar,Alcabizio, Ibn Esra e gli altri come tipicamente saturni-

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ni165, perché piú degli altri hanno a che vedere col legnoe la pietra. Poiché è nella serie del Salone che si vedo-no non solo arnesi degli scalpellini e dei falegnami inazione, ma anche la mola dell’arrotino (altrove molto ra-ra), si può supporre che questi affreschi abbiano eserci-tato un’influenza diretta sul programma dell’incisione,soprattutto sapendo che Willibald Pirckheimer studiòper piú di tre anni a Padova e che lo stesso Dürer sem-bra abbia visitato la città166.

Tuttavia non è solo un rapporto concreto di mate-riali, fondato su un preminente impiego della pietra e dellegno, a collegare le attività saturnine che figurano nelSalone con le corrispondenti attività che compaiononelle raffigurazioni non astrologiche dei diversi tipi dilavoro. Lo stesso principio intellettuale, cioè il fonda-mento teorico che sottostà a questa attività pratica, inaltre parole la stessa geometria, è stato riconosciutocome parte del protettorato di Saturno; e gli strumentie gli oggetti di natura piú scientifica, non meno degliarnesi piú comuni nell’incisione di Dürer, assumono perquesta via la strana ambivalenza che, per cosí dire, san-ziona il legame tra la geometria e la melanconia.

Quando le sette arti liberali, che Marziano Capellaancora aveva considerato ministrae di Mercurio, comin-ciarono ad essere distribuite tra i sette pianeti, a Satur-no fu dapprima assegnata l’astronomia perché, comeebbe ad affermare Dante, questa era la «piú elevata» ela «piú sicura» delle arti liberali167. Questo sistema, quasiuniversalmente accettato nel Medioevo, piú tardi fumodificato, per cui a Saturno, invece dell’astronomia,toccò la geometria, che prima aveva avuto come suoipatroni altri pianeti: Marte, Giove e soprattutto Mer-curio. Quando e dove questo sia avvenuto, e se certespeculazioni della psicologia scolastica168 vi abbianoavuto o meno una qualche influenza, sono interrogativicui non si può dare una risposta definitiva; ma anche

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senza questa influenza il mutamento sarebbe compren-sibile, poiché il vecchio dio della terra, a cui era stataoriginariamente associata la misurazione dei campi, ildio nel cui tempio a Roma erano appese le bilance169, ildio che, come auctor temporum, governava la misura-zione del tempo170 nonché dello spazio: questo vecchiodio della terra poteva tanto piú facilmente essere rico-nosciuto come patrono della geometria nel suo senso piúlargo, in quanto le traduzioni di Abû Ma‘∫ar accessibi-li in Occidente avevano attribuito all’affermazione abba-stanza vaga dell’autore arabo, «egli significa la valuta-zione (o determinazione) delle cose», un significatomolto piú preciso, traducendolo in un caso: «Significat...quantitates sive mensuras rerum», e un’altra volta addi-rittura: «Eius est... rerum dimensio et pondus».

Per giungere al punto di far coincidere Saturno conla Geometria occorreva solo applicare consapevolmentetali attributi al sistema delle sette arti liberali; ed ècurioso che non molto tempo prima di Dürer questaidentificazione si era diffusa generalmente sia nei testiscritti che nelle immagini, soprattutto in Germania. Percui la raffigurazione di Saturno nel manoscritto diTubinga (un’immagine assolutamente normale dei «figlidi Saturno», in cui i nati sotto Saturno sono raffigura-ti, come al solito, come poveri contadini, fornai, zoppie criminali) attribuisce di fatto al dio, oltre e al di là dellasua pala e del suo piccone, un compasso, sia pure maldisegnato171. Lo stesso manoscritto nelle figure che illu-strano il rapporto delle sette arti liberali con i pianeti,attribuisce a Saturno il patrocinio della geometria172; uncodice, alquanto piú tardo, di Wolfenbüttel, include difatto fra i suoi seguaci un frate mendicante cheinequivocabilmente è dotato di un gigantesco compas-so173. Una spiegazione di questa figura è fornita nel tito-lo. Questo dice: Il pianeta Saturno ci invia lo spirito checi insegna la geometria, l’umiltà e la costanza (il frate

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mendicante rappresenta queste tre qualità); e un calen-dario stampato a Norimberga esattamente un anno dopol’incisione di Dürer dice di Saturno: «Delle arti eglisignifica la geometria»174.

Cosí, anche da un punto di vista astrologico, Dürer(o il suo consulente) era giustificato nel considerare tuttociò che era incluso nella nozione di geometria come dicompetenza di Saturno; e quando fuse il tradizionaletypus Acediae con l’altrettanto tradizionale typus Geo-metriae in una nuova unità, tutti questi simboli del lavo-ro poterono, entro questa unità, essere considerati comesimboli sia della geometria che della melanconia, datoche era Saturno che governava l’una e l’altra nella lorototalità.

Naturalmente c’è una profonda differenza tra l’oc-casionale presenza di un melanconico o di un geometratra contadini, zoppi e criminali in una delle rappresen-tazioni dei figli di Saturno, e la fusione compiuta daDürer della triade Saturno, Melanconia e Geometria inun’immagine simbolica unificata. Ma, una volta realiz-zata, questa sintesi influenzò gli sviluppi successivi inmisura eccezionalmente vasta, e mantenne la sua forzaanche quando, in termini formali, si scisse di nuovo. Aprescindere dalle imitazioni ed elaborazioni dirette, dicui parleremo piú avanti175, e a prescindere anche dal-l’azione che un’incisione, nata da una fusione tra rap-presentazioni delle arti liberali e rappresentazioni deiquattro temperamenti, avrebbe a sua volta esercitatosulle personificazioni delle arti176, rimane il fatto cheanche dove non possiamo dimostrare la diretta influenzadi Dürer, possiamo però avvertire lo sviluppo del suopensiero: ad esempio, nelle povere xilografie che illu-strano un compendio delle regole igieniche salernitane(del tutto privo di originalità sia nella stesura che nelleillustrazioni), che mostrano il melanconico a un tavoloda disegno da geometra177. Però la fusione Düreriana

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delle nozioni di Melanconia, Saturno e Artes Geometri-cae178 si trova adottata e illustrata in modo notevole inuna grande xilografia disegnata da un pittore dell’Assia,Hans Döring, e pubblicata nel 1535179. Questa xilogra-fia costituiva il frontespizio di un libro sulle opere di for-tificazione e mirava quindi a glorificare l’arte di castramoliri e loca tuta circumfodere. Per assolvere al suo com-pito, però, l’artista non ha saputo escogitare di meglioche ridurre il contenuto della Metencolia I di Dürer a unaformula universalmente comprensibile, il che ha signi-ficato ridurre e nello stesso tempo ampliare. La suaimmagine, che è esplicitamente definita comeMelankolya a pagina 4 del testo, riunisce gli arnesi del-l’incisione Düreriana (tralasciando la mola da arrotino,il blocco, la scala, il quadrato magico, la bilancia e la cles-sidra, ma aggiungendo un mazzuolo e una lampada persaldare)180 sopra un plinto sagomato, che probabilmenterappresenta i loca tuta; e su una sfera posta al centrosiede una piccola figura alata che, osservata meglio,risulta una sintesi della Melencolia e del suo putto (laposizione e l’aria infantile vengono da quest’ultimo,l’atteggiamento pensoso, il libro e il compasso dalla figu-ra femminile). La sfera però reca il segno di Saturno, esopra tutto questo, copiato esattamente dalla serie diimmagini planetarie di Jörg Pencz del 1531 (preceden-temente attribuito a Hans Sebald Beham), il vecchiodivoratore di bambini in persona trascorre di gran car-riera per il cielo sul suo carro tirato da draghi. Sotto c’èuna tabella con un’iscrizione che vuole ulteriormenteaccentuare il rapporto della raffigurazione con Saturno:

Vecchissimo, sono lento siccome il piú alto dell’universo,tutto ciò che i fati già mi diedero abbatto con la mia falce; ora sí che il guerriero marziale a me fa guerra: questi luoghi, resi sicuri dalle mie arti, si stendono circondati da fossati; tu invece che mediti di costruire

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fortezze sotto una stretta valle, rifletti, ti prego, come ciò possa farsi. Quel fanciullo te lo insegnerà: a coloro che ho generato, faccio dono di questo talento,spiccheranno in questa capacità181.

Martin Lutero ebbe a dire una volta: «La medicinafa ammalare gli uomini, la matematica li rende tristi, lateologia cattivi»182. Almeno per quanto riguarda la mate-matica, quest’epigramma contiene un embrione di seriae provata psicologia, in quanto, mentre la battuta con-tro le altre due scienze si limita ad affermare che otten-gono l’opposto di ciò che si propongono, della matema-tica non dice, come ci si potrebbe aspettare dallo sche-ma del discorso, che rende gli uomini stupidi o li confon-de, ma che li rende tristi. Questa sorprendente dichia-razione si può spiegare con l’esistenza di una teoria checollega la matematica alla melanconia: non un mitoammantato di astrologia, ma una teoria psicologica fon-data sull’epistemologia. I maggiori sostenitori di questatesi sono stati i due grandi scolastici Raimondo Lullo edEnrico di Gand.

Raimondo Lullo nel suo Tractatus novus de astronomia(1297)183, trasse le sue informazioni dai compendi arabi,per cui Saturno, sia terrestre che acquatico come natu-ra, è essenzialmente malevolo e inculca nei suoi figli lamelanconia attraverso le loro pesanti inclinazioni. D’al-tra parte li fornisce di una buona memoria, di solidoattaccamento ai loro principî, profonda dottrina e dispo-sizione a intraprendere grandi lavori di costruzione:insomma, tutto ciò che Abû Ma‘∫ar e gli altri astrologia lui affini avevano attribuito a Saturno. Raimondoperò conosceva molto bene Aristotele e non si accon-tentò di riportare queste caratteristiche astrologiche(della cui verità egli non dubitò nemmeno per un istan-te), ma si accinse a dimostrarle scientificamente finoall’ultimo particolare. Cosí egli attribuí l’inclinazione del

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saturnino alle «species fantasticas et matematicas», non-ché la sua buona memoria, in parte al fatto che l’acquaera una sostanza impressionabile e la terra una sostan-za solida che conservava a lungo tutte le impronte rice-vute; e in parte alla particolarissima corrispondenza(«concordia») che intercorreva tra la melanconia e l’im-maginazione.

Essi [i figli di Saturno] ricevono forti impressioni dallaloro immaginazione, che è legata alla complessione melan-conica piú strettamente che a ogni altra. E la ragione percui la melanconia ha, con l’immaginazione, una corrispon-denza e un rapporto piú stretti che ogni altra complessio-ne, è che l’immaginazione si fonda sulla misura, la linea, laforma e il colore184, che si conservano meglio nell’acqua enella terra, poiché tali elementi hanno una sostanza piúdensa del fuoco e dell’aria185.

Uno dei maggiori pensatori del xiii secolo, Enrico diGand, è mosso da riflessioni assai diverse e molto piúprofonde. Anch’egli parte dall’assunto (che risale origi-nariamente all’Etica Nicomachea) che esiste un rapportosostanziale tra melanconia ed immaginazione186. Mamentre Lullo, pensando in termini astrologici e inter-pretando la melanconia secondo la dottrina delle com-plessioni, indaga intorno all’influenza di una certa di-sposizione umorale su una facoltà intellettuale, Enricodi Gand, argomentando in base a premesse puramentefilosofiche e intendendo la melanconia come un oscura-mento dell’intelletto, indaga intorno all’influenza di uncerto stato delle facoltà intellettuali sulla vita emotiva.Il primo si chiede perché i melanconici (in senso umo-rale) sono particolarmente fantasiosi e quindi partico-larmente portati alla matematica. Il secondo si chiedeperché le persone particolarmente fantasiose, e quindidotate per la matematica, sono melanconiche; e trova la

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risposta all’interrogativo nel fatto che una disposizioneprevalentemente immaginativa porta a una spiccatacapacità per la matematica, ma nello stesso tempo rendelo spirito incapace di speculazione metafisica. Questolimite intellettuale, e il sentimento che ne risulta diessere prigionieri entro muri che li chiudono, rendemelanconici coloro che sono cosí impediti. SecondoEnrico di Gand ci sono due tipi di persone, diversenella natura e nei limiti delle loro facoltà intellettuali.Ci sono quelle dotate di attitudini al ragionamento meta-fisico; i loro pensieri non sono dominati dall’immagina-zione. E ci sono quelle che sono in grado di concepireuna nozione solo quando questa è tale che l’immagina-zione può convivere con essa, sicché può essere visua-lizzata in termini spaziali. Costoro sono incapaci diintendere che non c’è spazio né tempo al di la delmondo, né possono credere che ci siano esseri incorpo-rei nel mondo, esseri che non sono né nello spazio né neltempo:

Il loro intelletto non riesce a liberarsi dalle imposizionidella loro immaginazione... tutto ciò che pensano deveavere estensione o, come il punto geometrico, occupareuna posizione nello spazio. Per questa ragione queste per-sone sono melanconiche, e sono i migliori matematici, peròi peggiori metafisici; infatti non riescono a sollevare il lorospirito al di sopra delle nozioni spaziali su cui si basa lamatematica187.

iv) Arte e pratica.

La geometria era la scienza per eccellenza per Dürer,come per la sua epoca188. Come uno dei suoi amici, pro-babilmente Pirckheimer, aveva affermato che Dio stes-so aveva una cosí alta considerazione della misura cheaveva creato tutte le cose secondo il numero, il peso e

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la misura189, cosí Dürer, riecheggiando consapevolmen-te le stesse parole (platonizzanti) della Scrittura (Sapien-za, XI, 21)190 ebbe ad affermare orgogliosamente di sé:«E prenderò come mio fine la misura, il numero e ilpeso»191.

Il «fine» cui si accenna qui era il libro di Dürer sullapittura, e la somma di ciò che doveva basarsi sulla misu-ra, il numero e il peso era ciò che Dürer chiamava«arte» nel suo senso piú pieno, la recta ratio faciendo-rum operum, come Filippo Melantone, parafrasando sanTommaso d’Aquino, aveva definito il concetto diarte192. Rientrato dal suo secondo viaggio in Italia,Dürer si dedicò ad insegnare agli artisti tedeschi que-sta ratio, cioè l’arte della misurazione, della prospetti-va, e cosí via. Infatti egli la considerava ciò che finoraagli artisti tedeschi era mancato193, e la sola cosa chepoteva riuscire ad escludere la «falsità» da un’operad’arte. Essa sola poteva assicurare agli artisti il domi-nio sulla natura e sulla loro stessa opera. Essa sola lipoteva salvare dall’«approssimativo»; essa sola, accan-to alla grazia divina, assicurava quel carattere intransi-gente alla facoltà artistica che Dürer chiamava «poten-za». «Parimenti, l’altra parte mostra come il giovanedebba essere educato nel timore di Dio e con cura, percui conquistando grazia egli possa crescere forte e vigo-roso nell’arte razionale»194. Cosí afferma Dürer nelprimo progetto generale del suo libro sulla pittura, scrit-to in un momento in cui non poteva ancora avere alcu-na idea di come nel corso degli anni questo libro sisarebbe ridotto a due trattati matematici nel senso piústretto. Egli non si stancò mai di predicare che questa«potenza» creativa, da lui considerata l’essenza delgenio artistico, era strettamente legata al possessodell’«arte»: cioè a un insieme di conoscenze fondate inultima analisi sulla matematica.

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Quando hai imparato a misurare correttamente... non ènecessario misurare sempre ogni cosa, poiché l’arte da teacquisita avrà esercitato il tuo occhio a misurare accurata-mente e la tua mano ormai impratichita ti ubbidirà. Cosíla potenza dell’arte eviterà l’errore nella tua opera e ti evi-terà di fare sbagli... e quindi la tua opera apparirà artisticae gradevole, intensa, libera e buona, e sarà lodata da moltiperché la correttezza è divenuta parte di essa195.

La «potenza», quindi, era ciò che Dürer considera-va il fine e l’essenza della rapacità artistica; e quindi lafrase apparentemente casuale «le chiavi significanopotenza» acquista un nuovo e piú profondo significato.Se, come si è visto, la Melanconia della Melencolia I nonè una comune Melanconia ma una Melanconia «geome-trica», una Melancholia artificialis, può essere che la«potenza» ad essa attribuita non sia la comune facoltàdel saturnino, ma la speciale capacità dell’artista fonda-ta sulla recta ratio faciendorum operum? Non è la Melen-colia stessa il genio che presiede all’arte? Ci piacerebbepensarlo, dato che è sostanzialmente inverosimile cheDürer abbia voluto attribuire a un essere, chiaramentericonoscibile come una personificazione della geome-tria, una potenza nel senso di potere politico o diinfluenza personale. E nel pensare cosí siamo tanto piúgiustificati in quanto Dürer era solito anche associare laricchezza (simboleggiata dalla borsa, cioè l’attributoapparentemente ancor più «accidentale» del melanco-nico saturnino) alla nozione di risultato artistico. Comedisporre della «potenza» è la meta ideale dell’artistaeminente, cosí la «ricchezza» è la sua ricompensa legit-tima, accordata da Dio: una ricompensa prontamenteconcessa molti secoli fa ai grandi maestri del passato, eche gli artisti del suo tempo dovrebbero attendersi, e,in caso di necessità, richiedere:

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Poiché essi [i re potenti] fecero ricchi gli artisti miglio-ri e li onorarono. Poiché essi pensavano che quelli moltosapienti somigliavano a Dio196... Parimenti, un tale eccel-lente artista dovrà essere pagato lautamente per la sua arte,e mai somma sarà troppo grande, ed è cosa santa e giusta197.

Dürer quindi intendeva sia la potenza che la ric-chezza in un senso specificamente professionale, e in unsenso che era legato inseparabilmente con la nozione diarte, e quindi con l’educazione matematica: per il veroartista (quello la cui opera si fonda sulla conoscenzaconsapevole dei principî teorici della produzione) lapotenza è un fine e la ricchezza una legittima pretesa.

Ma l’arte fondata sulla misura, il peso e il numero,come è incarnata nella figura della Melencolia düreria-na, per Dürer era ancora solo un elemento necessario delrisultato artistico, ancora solo una condizione dellapotenza artistica. Per quanto alto fosse il suo concettodella ratio, in modo veramente rinascimentale, egli eraaltrettanto un uomo del Rinascimento quando afferma-va che nessuna conoscenza teorica era utile senza lapadronanza della tecnica, nessuna bona ratio senza «lalibertà della mano», nessuna «arte razionale» senza la«pratica quotidiana». «Queste due devono andare insie-me»198, afferma Dürer in un abbozzo preparatorio dellasua dottrina delle proporzioni. Infatti, sebbene, cometutti i pensatori del Rinascimento (basti ricordare lafrase di Leonardo da Vinci: «La scientia è il capitano ela pratica sono i soldati»)199, Dürer riconoscesse l’Artecome il piú alto e determinante principio della ricercacreativa (per cui la pratica senza l’arte gli appariva comecorruzione e prigionia), tuttavia doveva ammettere che«senza la pratica»200 l’arte, come egli l’intendeva, «rima-ne nascosta», e che teoria e pratica devono procedereinsieme, «per cui la mano possa fare ciò che vuole lavolontà»201. Ora se la figura della Melencolia significa

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l’Arte che genera la potenza, si pone il problema se la suacontroparte non intellettuale, cioè la Pratica che rivelala potenza, non abbia forse avuto ciò che le spettava nel-l’incisione di Dürer.

E cosí infatti sembra, perché se, in base alla nostraimpressione puramente visiva, abbiamo dovuto inter-pretare il putto che scrive come una figura contrappo-sta alla Melencolia, ora possiamo, per cosí dire, dare unnome preciso a questa contrapposizione e suggerire cheil putto significa la «pratica». Questo bambino siedequasi nella stessa posizione della donna, eppure (quasial limite della parodia) ne rovescia l’aspetto in ogni par-ticolare: gli occhi non sono piú rivolti in alto, persi nelvuoto, ma fissi intensamente sulla lavagna, le mani nonin ozio o serrate, ma attivamente affaccendate. Il putto(anch’egli alato, ma, nonostante questo, un sempliceassistente, che offre un’attività puramente manuale incambio della potenza dell’ingegno) può benissimo esse-re un esempio di attività senza pensiero, esattamentecome la Melencolia stessa è un esempio di pensiero senzaattività. Egli non prende parte alla creazione intellettua-le, però non partecipa nemmeno dell’angoscia connessaa questa creazione. Se l’Arte sente di essere di fronte alimiti insormontabili, la cieca Pratica non avverte alcu-na limitazione. Anche quando, nell’ora meno propizia diSaturno, l’Ars e l’Usus si sono separati (questa è l’ora chevediamo nell’incisione, dato che la figura principale ètroppo presa dai suoi pensieri per badare all’attività delbambino)202 e anche quando la stessa Arte è sopraffattadallo sconforto, la Pratica può ancora abbandonarsi aduna ottusa attività senza pensiero203.

Quel mirabile acquafortista e incisore che è Alexan-der Friedrich ci ha dimostrato che non si tratta di un’in-terpretazione meramente arbitraria204; infatti egli faosservare che lo strumento per scrivere che il putto diDürer sta usando cosí vivacemente e spensieratamente

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è in realtà lo strumento specifico dell’artista, cioè unbulino, col suo tipico manico e la scanalatura per l’inse-rimento della sottile punta quadrata per incidere: quiusato nel modo meno adatto. Inoltre c’è il fatto che ilrapporto che cogliamo nell’incisione di Dürer fra teoriae pratica da un lato e successo ideale e materiale dal-l’altro, si può ritrovare in altre rappresentazioni simbo-liche ideografiche del fare artistico, ad esempio nel fron-tespizio inciso di Hendrick Hondius premesso alla suanota raccolta di ritratti di artisti olandesi, che quasi sipotrebbe considerare una versione piú positiva del pro-gramma di Dürer205. Vi si vedono due figure allegorichenude, una con la tavolozza, i pennelli e il caduceo diMercurio, che rappresenta la Pictura, l’altra, con stru-menti matematici, che rappresenta l’Optica; per quantonon sprofondate nella depressione come la Melencolia diDürer, le due donne sembrano paghe di contemplare laloro eccellenza, mentre sopra di esse vediamo due puttiattivamente impegnati nel lavoro pratico che rappre-sentano l’assiduus labor206. I due fattori del processo crea-tivo che Dürer ha concepito in tutta la complicata ten-sione del loro rapporto appaiono qui in amichevoleaccordo; però sono ancora gli stessi due fattori, e anco-ra stanno nello stesso rapporto di superiore e inferiore:Arte teorica (qui divisa in due forme), e attiva, operosaPratica. L’analogia va anche oltre. Infatti come Dürerci ha raffigurato il fine e la ricompensa della ricerca arti-stica nelle chiavi e nella borsa (un’interpretazione chequi risulta rafforzata), Hondius ci mostra alla base dellasua immagine il fructus laborum. Certamente ci sonodue differenze significative. Quello che gli uomini aitempi del primo barocco consideravano il piú alto scopodell’artista, oltre alla ricchezza indicata dalle moneted’oro, non era piú la potenza elargita da Dio, ma la famaraggiunta nel mondo, cosí come è indicata dalla palmae dalle fronde d’alloro, ed esaltata dalla Fama con la sua

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tromba207. E mentre, nel suo ottimismo, Hondius ritene-va che il fine fosse indiscutibilmente raggiungibile,Dürer, rappresentando l’infelice momento in cui la Pra-tica e l’Arte si sono separate, mette in dubbio (e momen-taneamente addirittura nega) il valore che può avere ilsuccesso e l’essere ricompensati per esso. Questo è ilvero significato di un tratto che a prima vista sembraintrodotto semplicemente per comunicare un certo statod’animo: cioè, il fatto che alla borsa e al mazzo di chia-vi (la «ricchezza» e la «potenza», come Dürer stessoebbe a dire) sia assegnato un aspetto di confusione e ditrascuratezza, in altre parole come fossero inutilizzate oirraggiungibili.

c) Il significato della Melencolia I.

È indubbio che l’idea espressa da Enrico di Gand ciporta molto vicino al nocciolo di quello che è il verosignificato della Melencolia. Essa è soprattutto unaMelanconia immaginativa, i cui pensieri e le cui azionisi collocano tutti nel regno dello spazio e del visibile,dalla pura riflessione sulla geometria all’attività nelle artiminori; e da questo, se mai, ci viene l’impressione di unessere a cui il campo assegnato sembra insopportabil-mente ristretto, di un essere i cui pensieri «hanno rag-giunto il limite».

E arriviamo cosí a un’ultima questione essenziale, cioèl’atteggiamento verso la vita che è al fondo dell’incisionedi Dürer, con le sue ascendenze infinitamente complica-te, la sua fusione di tipi più antichi, la sua modificazio-ne, anzi inversione, di piú antiche forme d’espressione, eil suo sviluppare uno schema allegorico: cioè la questionedel significato fondamentale208 della Melencolia I.

Le basi da cui si è sviluppata l’idea di Dürer sononaturalmente state poste dalla dottrina del Ficino. La

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rivoluzione che aveva riaffermato la pessima complexioe la corruptio animi come origine di ogni successo crea-tivo, e trasformato il «pianeta piú funesto» nel iuvanspater degli intellettuali, era avvenuta, come abbiamovisto, nella Firenze dei Medici. Senza di essa, un arti-sta del Nord, anche ammettendo tutta la somiglianzaastrologica tra Saturno e la Geometria, non avrebbetuttavia avuto la spinta necessaria a demolire le barrie-re di rifiuto e paura che per secoli avevano celato allavista la Melancholia generosa, per sostituire all’immaginedell’indolente filatrice quella della saturnina arte dellamisurazione, e trasformare in espressioni di sentimentoe in simboli di idee astratte tutti i segni tradizionali dellamelanconia patologica e gli attributi del temperamentomelanconico. Ma oltre a questo rapporto generico (si po-trebbe quasi dire un rapporto «di clima») il De vita tri-plici difficilmente può aver avuto una qualsiasi influen-za sulla composizione dell’incisione, perché proprio l’i-dea che piú d’ogni altra è essenziale alla composizionedi Dürer, cioè il totale compenetrarsi delle nozioni dimelanconia e di geometria (nel senso piú vasto), non soloera estranea al sistema del Ficino, ma addirittura lo con-traddice.

Il Ficino aveva avuto un interesse entusiasta permolti aspetti sia del mondo umano che dell’universo eli aveva incorporati nell’edificio della sua dottrina; c’eraperò un campo in cui non si avventurò, anzi di fattoignorò: il campo della «visibilità nello spazio», che erala base sia delle scoperte teoriche della matematica chedei risultati pratici delle arti manuali. Questo fiorenti-no vissuto a cosí stretto contatto con l’arte del Rinasci-mento e con la sua teoria dell’arte fondata sulla mate-matica, sembra non abbia partecipato né emotivamen-te né intellettualmente alla ricostruzione di questa sferadella cultura. La sua dottrina platonica della bellezzaignorava completamente le opere della mano dell’uo-

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mo, e solo dopo un secolo buono la dottrina si tra-sformò, da una filosofia della bellezza della natura, inuna filosofia dell’arte209. La sua teoria della conoscenzasfiora appena il sapere matematico, e la dietetica e lamorfologia che sono esposte nel suo De vita triplici sonola dietetica e la morfologia di un genio letterario. Perquanto riguarda il Ficino, gli intelletti creativi (coloro ilcui lavoro all’inizio è protetto da Mercurio, poi, svilup-pandosi, è guidato da Saturno) sono i literarum studiosi,cioè gli umanisti, i veggenti e i poeti, e, soprattutto,naturalmente, «coloro che sono dediti incessantementeallo studio della filosofia, allontanando la loro mente dalcorpo e dalle cose corporee e legandola a quelle incor-poree»210: in altre parole, non certo i matematici e menoancora gli artisti praticanti211. Di conseguenza, nella suagerarchia delle facoltà intellettuali egli non pone la visimaginativa (la piú bassa delle facoltà, direttamente lega-ta al corpo mediante lo spiritus)212 sotto Saturno. Comesi legge nel libro III del De vita triplici, l’imaginatiotende verso Marte o il Sole, la ratio verso Giove, e solola mens contemplatrix, che conosce per via intuitiva etrascende il ragionamento discorsivo, tende verso Satur-no213. Il nimbo sublime e sinistro che il Ficino intrecciaintorno alla testa del melanconico saturnino non haquindi nulla a che vedere con gli uomini «immaginati-vi»; quest’ultimi, la cui facoltà predominante è sempli-cemente un vaso per accogliere influenze solari o mar-ziali, non rientrano, a suo avviso, tra gli spiriti «melan-conici», tra quelli capaci di ispirazione; nell’illustre com-pagnia dei saturnini egli non ammette un essere i cuipensieri si muovono semplicemente nella sfera delleforme visibili, misurabili e ponderabili; e avrebbe messoin dubbio il diritto di un tale essere a venire indicato colnome di Melencolia.

Il contrario avviene in Enrico di Gand. Egli annoverafra i melanconici solo le nature immaginative, in parti-

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colare quelle dotate per la matematica: e in questo la suaconcezione sostanzialmente viene ad essere piú vicina aquella di Dürer. Inoltre non è affatto impossibile cheDürer risentisse delle idee di Enrico in quanto niente-meno che Pico della Mirandola aveva ripreso questeopinioni nella sua Apologia214, e in questo modo le avevarichiamate a molti altri umanisti, tedeschi compresi215.Ma se la teoria del Ficino non si accorda con l’orienta-mento dell’incisione di Dürer perché la sua idea dellamelanconia non ha rapporto con la nozione di matema-tica, quella di Enrico di Gand non vi si accorda perchéla sua idea della melanconia è troppo intimamente con-nessa con la nozione di matematica. Dal punto di vistadel Ficino, la definizione di Melencolia non sarebbe giu-stificata perché egli riteneva che in linea di principionessun matematico avesse accesso alla sfera della melan-conia (ispirata). Dal punto di vista di Enrico, il nume-rale «I» risulterebbe senza senso perché egli riteneva chein linea di principio nessuno che non fosse matematicopotesse discendere nella sfera della melanconia (nonispirata). Il Ficino, che vedeva nella melanconia il gradopiú alto della vita intellettuale, pensava che essa comin-ciasse là dove la facoltà immaginativa cessava, per cuisolo la contemplazione, non piú impedita dall’immagi-nazione, meritasse il titolo di melanconia. Enrico diGand, che ancora concepiva la melanconia come unmodus deficiens, riteneva che, non appena lo spirito sisolleva sopra il livello dell’immaginazione, la melanco-nia cessa di agire su di esso, per cui la contemplazionenon piú impedita dalla facoltà immaginativa può pre-tendere al titolo di philosophia o theologia. Se un artistarealmente voleva dare espressione al senso di «aver rag-giunto un limite», cosa che costituisce la base dellostretto rapporto tra la nozione di melanconia di Enricodi Gand e quella di Dürer, certamente avrebbe intito-lato la sua figura Melencolia, ma non Melencolia I.

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Implicitamente si suppone che ciò che manca logica-mente per completare la sequenza iniziata con Melenco-lia I216 non sia né una rappresentazione degli altri tretemperamenti, in modo da comporre una serie delle«quattro complessioni», né una rappresentazione dellaforma patologica della melanconia, per cui la melancho-lia adusta verrebbe a contrapporsi alla melancholia natu-ralis. Ciò che manca è piuttosto la rappresentazione diuna condizione intellettuale che costituisca il successi-vo e piú alto grado di conoscenza nella scala della melan-conia: una Melencolia II di contro a Melencolia I, cherivelerebbe non uno stato di completo disordine, ma, alcontrario, uno stato di relativa liberazione. In questo stala grandezza del risultato di Dürer: egli ha superato ledistinzioni mediche mediante un’immagine che unisce inun tutto unico, pieno di vita emozionale, i fenomeni cuile nozioni tradizionali di temperamento e malattia ave-vano sottratto vitalità; ha inteso la melanconia degliintellettuali come un destino indivisibile in cui le diffe-renze tra temperamento melanconico, malattia e statod’animo svaniscono nel nulla, e il dolore chiuso comel’entusiasmo creativo non sono che gli estremi di un’u-nica e medesima disposizione. La depressione dellaMelencolia I, che rivela sia l’oscuro destino che l’oscurasorgente del genio creativo, sta al di là di ogni con-trapposizione tra salute e malattia; e se volessimo sco-prire il suo contrario, dovremmo cercarlo in una sfera incui tale contrapposizione manca ugualmente: in unasfera quindi che ammette diverse forme e diversi gradiall’interno della melancholia generosa.

Come immagineremo allora questa successione digradi217? Il neoplatonico Ficino, come sappiamo, tenevala melanconia ispirata in tanto onore che nella gerarchiaascendente delle facoltà dell’anima, imaginatio, ratio emens contemplatrix, egli l’associava solo con la piú ele-vata, la mente contemplativa. Invece Enrico di Gand

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considerava la melanconia non ispirata talmente infe-riore da poter essere associata solo al grado piú basso,l’immaginazione. Il Ficino riteneva impossibile che lamente immaginativa si sollevasse alla melanconia, Enri-co riteneva impossibile che lo spirito melanconico si sol-levasse al di sopra dell’immaginazione. Ma che sarebbeaccaduto se qualcuno fosse stato tanto audace da dila-tare la nozione di melanconia ispirata fino a includerviuna forma razionale e una immaginativa accanto a unacontemplativa? Si sarebbe allora delineata una conce-zione che riconosceva uno stadio immaginativo, uno ra-zionale e uno contemplativo all’interno della stessamelanconia, in tal modo interpretando, per cosí dire, lagerarchia delle tre facoltà dell’anima come tre forme,tutte e tre ispirate, di melanconia. Quindi la MelencoliaI, raffigurando la melancholia imaginativa, rappresente-rebbe in realtà il primo grado di un’ascesi che, passan-do per una Melencolia II (melancholia rationalis) arrive-rebbe a una Melencolia III (melancholia mentalis).

Sappiamo che esisteva una simile teoria dei gradi218,e che l’inventore di essa altri non è stato che Agrippa diNettesheim, il primo pensatore tedesco che abbia adot-tato integralmente gli insegnamenti dell’Accademia fio-rentina e che li abbia resi familiari ai suoi amici umani-sti. Egli fu, per cosí dire, il mediatore predestinato trail Ficino e Dürer219.

Karl Giehlow, benché conoscesse benissimo tutte leparti significative dell’Occulta philosophia pubblicata astampa220, chissà come non riuscí a cogliere ciò che eraessenzialmente nuovo nella teoria di Agrippa, o a inten-dere pienamente il suo particolare significato per chia-rire il numerale del titolo Melencolia I; anche interpre-tazioni successive sono risultate altrettanto inadeguateper avere tralasciato di seguire la linea di ricerca sugge-rita dal Giehlow. Certamente, ed è lo stesso Agrippa adichiararlo, l’edizione a stampa dell’Occulta philosophia,

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apparsa nel 1531, era sensibilmente piú vasta della ver-sione originaria portata a termine nel 1510221, per cuisorse il dubbio che le parti importanti fossero delle ag-giunte successive: nel qual caso sarebbe stato impossi-bile prenderle in considerazione come fonti per l’inci-sione di Dürer. Però la versione originaria dell’Occultaphilosophia, ritenuta persa, è sopravvissuta, come HansMeier ha dimostrato, proprio nel manoscritto che Agrip-pa aveva inviato all’amico Tritemio a Würzburg nellaprimavera del 1510222. Ci muoviamo cosí su un terrenosolido; e in questa versione originaria i due capitoli dedi-cati al furor melancholicus sono vicini alla concezionedella vita implicita nell’incisione di Dürer piú di ognialtro scritto a noi noto. L’opera aveva circolato piú omeno segretamente in molte copie manoscritte223; e cer-tamente era accessibile alla cerchia di Pirckheimer attra-verso Tritemio224, e può ora rivendicare il merito di esse-re stata la fonte principale della Melencolia I.

L’Occulta philosophia di Agrippa è, nell’edizione astampa, un’opera molto ricca, ma farraginosa, sovrac-carica di innumerevoli formule, figure e tavole astrolo-giche, geomantiche e cabalistiche, un vero libro dinegromanzia nello stile dello stregone medievale. Perònella sua forma originaria era molto diversa, presentan-dosi piuttosto come un preciso, omogeneo trattato, dacui erano completamente assenti gli elementi cabalisti-ci, e nel quale le prescrizioni di magia pratica non eranotante da confondere il nitido sviluppo di un sistemalogico, scientifico e filosofico225. Questo sistema eraesposto secondo uno schema ternario226, si fondavaapertamente sul misticismo neoplatonico, neopitagoricoe orientale, e presupponeva una piena familiarità con gliscritti del Ficino, sia nel loro complesso che nei parti-colari227. Dalle cose terrene portava all’universo stellare,e dall’universo stellare alla sfera della verità religiosa edella contemplazione mistica. Ovunque esso mette in

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luce la «colligantia et continuitas naturae», secondo laquale ogni «potenza superiore, trasmettendo i suoi raggialle cose minori in una lunga e ininterrotta catena, scen-de fino a quella piú bassa, mentre, viceversa, quella piúbassa sale, attraverso le cose via via superiori, fino allapotenza più alta»228; e fa sí che anche le piú barbare ope-razioni (con occhi di serpente, pozioni magiche e invo-cazioni alle stelle) appaiano, piú che incantesimi, la con-sapevole applicazione di forze naturali.

Dopo due capitoli introduttivi in cui si cerca, allamaniera di Ficino, di distinguere questa magia biancadalla negromanzia e dall’esorcismo229, e si avverte checome legame tra la fisica, la matematica e la teologia, c’èla «totius nobilissimae philosophiae absoluta consum-matio», il primo libro enumera le forze occulte e mani-feste delle cose terrene, e successivamente, mediante ladottrina «platonica» della preformazione degli oggettisingoli nel mondo delle idee230, le interpreta come ema-nazioni dell’unità divina trasmesse dalle stelle. Poiché glieffetti della «catena» qui rappresentata si esercitanoverso l’alto come verso il basso, una giustificazionemetafisica si può trovare non solo per tutta quanta lapratica della magia con le sue pozioni, le offerte bruciatein sacrificio231, gli amuleti simpatetici, gli unguenti salu-tari e i veleni, ma anche per tutto il complesso delle vec-chie associazioni astrologiche232; e perfino gli enigmi psi-cologici dell’ipnotismo (fascinatio), della suggestione(ligatio) e autosuggestione si possono spiegare col fattoche la parte che esercita l’influenza può saturarsi delleforze di un certo pianeta e metterle in atto contro altriindividui, o addirittura contro di sé233.

Il secondo libro tratta dei coelestia, i principî generalidell’astrologia234, e della preparazione di particolari tali-smani astrologici235, nonché del significato occulto deinumeri (i quali però, e la cosa è significativa, sono con-siderati piú dal punto di vista della corrispondenza misti-

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ca che da quello della magia pratica, un po’ allo stessomodo dei noti trattati sul numero sette o sul numeroquattro)236. Il libro tratta anche del carattere astrologi-co e magico delle stelle237, e dell’effetto della musica238.Successivamente passa a trattare con grande ricchezzadi particolari degli incantesimi e delle invocazioni, trale quali quelle che invocano l’aiuto di Saturno sonoancora una volta contraddistinte da serie di antitesi piúnumerose che in tutti gli altri casi239; e infine passa alladefinizione degli incantesimi mediante la luce e l’om-bra240, e delle diverse forme di divinatio: dal volo degliuccelli, dai fenomeni astrali, o dai prodigi, oppuremediante sortilegio, geomanzia, idromanzia, piroman-zia, aeromanzia, negromanzia (molto disprezzata) e l’in-terpretazione dei sogni241.

L’opera tocca il suo apice nel terzo libro, il quale,come è detto nell’introduzione, ci porta «alle cose piúelevate», e ci insegna «come accuratamente conoscere leleggi della religione; come, grazie alla divina religione,dobbiamo partecipare alla verità; e come dobbiamo pro-priamente sviluppare la nostra mente e il nostro spirito,grazie a cui solamente possiamo cogliere la verità»242.Con questo terzo libro usciamo dal campo inferiore dellamagia pratica e della divinazione ottenuta medianteaiuti dall’esterno, e passiamo al campo del vaticinium,rivelazione diretta in cui l’anima, ispirata da potenzesuperiori, «riconosce gli ultimi fondamenti delle cose inquesto mondo e nel successivo» e miracolosamente vede«tutto ciò che è, è stato, o sarà nel futuro piú remoto243».Dopo qualche osservazione introduttiva sulle virtú intel-lettuali e spirituali richieste per ottenere tale grazia, euna dimostrazione particolareggiata intesa a provare chequesta forma di misticismo è compatibile col dogmacristiano, in particolare con la dottrina della Trinità244,questo libro indaga quali siano i tramiti dell’ispirazionesuperiore, e sono i «demoni», intelligenze incorporee,

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che «traggono la loro luce da Dio» e la trasmettono agliuomini a fini di rivelazione o seduzione. Essi sono divi-si in tre ordini: quello superiore o «sovracelestiale», cheruota intorno alla divina unità al di sopra del cosmo;quello intermedio o «mondano», che risiede nelle sferecelesti; e gli spiriti inferiori o elementari, tra cui si anno-verano anche gli dèi silvestri e domestici, i «demoni»delle quattro direzioni del mondo, gli spiriti custodi ecosí via245. Poiché questi «demoni» adempiono nell’ani-ma universale alla stessa funzione cui adempiono lediverse facoltà dell’anima nell’individuo, è comprensi-bile che l’anima umana, «ardente d’amore divino, innal-zata dalla speranza e guidata in alto dalla fede», sia ingrado di unirsi direttamente ad essi e, come in uno spec-chio dell’eternità, sia capace di sperimentare e raggiun-gere tutto ciò che da sola non avrebbe mai sperimenta-to e raggiunto246. Questo rende possibile il vaticinium, lafacoltà di «percepire i principî (causae) delle cose e diprevedere il futuro, in quanto l’ispirazione superiorediscende su di noi dai demoni, e le influenze spiritualici sono trasmesse»; questo però può avvenire solo quan-do l’anima non è presa da altre cose, ma è libera (va-cat)247. Una tale vacatio animae può prendere tre forme,cioè i sogni veritieri (somnia)248, l’elevazione dell’animamediante la contemplazione (raptus)249 e l’illuminazionedell’anima (furor) a opera dei demoni (che in questocaso agiscono senza intermediari)250; e ci viene detto, intermini che ricordano inequivocabilmente il Fedro diPlatone, che questo furor può venire dalle Muse, o daDioniso, o da Apollo, o da Venere251, o anche dallamelanconia252.

Come causa fisica di questo furore [scrive in effettiAgrippa] i filosofi indicano l’humor melancholicus, non peròquello che è chiamato bile nera, che è cosa cosí funesta eterribile che il suo scatenarsi, secondo gli scienziati e i

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medici, provoca non solo la pazzia, ma anche l’invasamen-to da parte di spiriti cattivi. Con humor melancholicus inten-do piuttosto quello che è chiamato candida bilis et natura-

lis. Ora questo, quando prende fuoco e arde, genera il furo-re che ci porta alla sapienza e al vaticinio, soprattutto quan-do si combina con qualche influsso celeste, principalmentequello di Saturno. Infatti, poiché, al pari dell’humor me-lancholicus, anche Saturno è freddo e secco, lo influenzacostantemente, lo accresce e lo conserva. E inoltre, come èil signore della contemplazione segreta, estraneo a tutti gliaffari pubblici e il piú alto di tutti i pianeti, cosí di conti-nuo richiama l’anima dalle cose esterne a quelle interiori,la rende capace di innalzarsi dalle cose inferiori alle piú ele-vate, e le concede sapere e previsione del futuro. Per cuidice Aristotele nei Problemata che certi attraverso la melan-conia sono divenuti esseri divini, che predicevano il futu-ro come le Sibille e i profeti ispirati dell’antica Grecia,mentre altri sono divenuti poeti come Maraco di Siracusa;e dice inoltre che tutti gli uomini che si sono distinti in qual-che branca dello scibile sono stati in genere dei melanconi-ci: cosa testimoniata da Democrito e Platone, nonché Ari-stotele, poiché, stando a quello che essi dicono, certi melan-conici furono tanto eccellenti per il loro genio da appariredèi anziché uomini. Spesso vediamo melanconici incolti,sciocchi, irresponsabili (come leggiamo essere stati Esiodo,Ione, Timnico Calcidiense, Omero e Lucrezio) presiimprovvisamente da questo furore, e divenire grandi poetie trovare meravigliosi e divini carmi che essi stessi a sten-to comprendono... 253.

Inoltre, questo humor melancholicus ha tale forza cheaffermano attragga certi demoni nei nostri corpi, per la cuipresenza e attività gli uomini cadono in estasi e proferi-scono molte cose mirabili. L’intera antichità testimonia checiò avviene in tre forme diverse, corrispondenti alle trefacoltà della nostra anima, cioè l’immaginativa, la raziona-le e la mentale. Infatti quando è liberata dall’humor melan-

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cholicus, l’anima si concentra interamente nell’immagina-zione e immediatamente diviene l’abitacolo degli spiritiinferiori, da cui riceve spesso mirabili istruzioni nelle artimanuali; cosí vediamo qualcuno del tutto sprovvedutodiventare improvvisamente un pittore o un architetto o unmaestro eccellentissimo in una qualche altra arte del gene-re; però se gli spiriti di questa specie ci rivelano il futuro,ci rivelano cose attinenti a catastrofi e disastri naturali, adesempio, l’avvicinarsi di tempeste, terremoti, nubifragi, ola minaccia di epidemie, carestie, devastazioni, e cosí via...Ma quando l’anima è interamente concentrata nella ragio-ne, essa diviene la residenza degli spiriti intermedi, per cuiattinge la conoscenza e la cognizione delle cose naturali eumane; cosí vediamo un uomo diventare improvvisamenteun eccellente filosofo [naturale], un medico o un oratore[politico]; e degli eventi futuri ci mostrano ciò che riguar-da le cadute dei regni e il ritorno delle ere, profetizzandonello stesso modo in cui la Sibilla profetizzava ai Romani.Ma quando l’anima assurge intera alla mente (mens), essadiviene la sede degli spiriti piú elevati, dai quali apprendei segreti delle cose divine, come, ad esempio, la legge diDio, la gerarchia angelica, e ciò che attiene alla conoscen-za delle cose eterne e alla salvezza dell’anima; degli eventifuturi ci mostrano, ad esempio, i prodigi imminenti, i mira-coli, il profeta che verrà, o l’avvento di una nuova religio-ne, come le Sibille profetarono Gesú Cristo molto primadella sua venuta...254.

Questa teoria del furore melanconico occupava unaposizione centrale nella versione originaria dell’Occultaphilosophia, in quanto il furor melancholicus era la primae piú importante forma della vacatio animae, e quindiuna specifica fonte di risultati creativi ispirati. Perciòcostituiva il punto esatto in cui il processo che aveva perfine il vaticinium toccava il suo apice255; e questa teoriadell’entusiasmo melanconico scopre tutta quanta la

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varietà delle fonti che si combinano nel sistema magicodi Agrippa. La teoria «aristotelica» della melanconia, cuiera già stato impresso un orientamento astrologico dalFicino, venne ora associata anche a una teoria dei«demoni» che un mistico della tarda antichità comeGiamblico aveva giudicato incompatibile con l’astrolo-gia256; e quando Agrippa trasformò la gerarchia delle trefacoltà, imaginatio, ratio e mens, in una gerarchia del-l’illuminazione melanconica e dei risultati che si otten-gono grazie ad essa, anche in questo egli risaliva in parteal Ficino257, in parte a un’antichissima graduatoria dellecarriere umane distinte in meccaniche, politiche e filo-sofiche258. E ancora, egli era in parte debitore ancheverso quella teoria, largamente diffusa dopo Averroè,secondo la quale i diversi effetti dell’humor melancholi-cus erano distinti non solo per essere di tipo diverso maanche in quanto interessavano caratteristiche diversedell’anima. È vero, peraltro, che questa teoria pura-mente psichiatrica si era occupata solo dell’effettodistruttivo della melanconia e che, anziché adottare lascala ascendente imaginatio-ratio-mens, aveva posto ima-ginatio, ratio e memoria tutte su un piede di parità259. Finqui la dottrina di Agrippa rappresenta una fusione delladottrina del Ficino con altri elementi. Però è stata pro-prio questa fusione l’aspetto piú fruttuoso e suggestivodell’impresa di Agrippa; la nozione di melanconia e digenio saturnino non fu piú limitata agli homines literati,ma si ampliò fino a includere, in tre gradi ascendenti, igeni dell’azione e delle arti figurative, per cui, insiemeal grande politico o al genio religioso, anche l’architet-to «sottile» o il pittore furono accolti tra i «vati» e i«saturnini». Agrippa dilatò cosí l’autoglorificazionedella cerchia esclusiva degli umanisti in una dottrina uni-versale del genio molto prima che lo facessero i teoricidell’arte italiani; e modificò il motivo dei doni dellamelanconia distinguendo gli aspetti soggettivi dagli

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effetti oggettivi, cioè mettendo fianco a fianco il donodella profezia e la capacità creativa, la visione e il risul-tato artistico.

I tre gradi e i due modi in cui, secondo Agrippa, l’i-spirazione saturnina e melanconica si esplica sono com-pendiati nella tabella 3.

Cerchiamo di immaginare quel che debba fare un arti-sta che voglia intraprendere una raffigurazione dellaprima forma, o forma immaginativa, del talento o «furo-re» melanconico seguendo questa teoria di Agrippa diNettesheim. Che cosa dovrebbe raffigurare? Un esseresotto una nube perché la sua mente è melanconica; unessere creativo e insieme profetico, perché la sua mentepossiede una parte di furor ispirato; un essere le cuifacoltà di invenzione sono limitate ai campi del visibilenello spazio, cioè al campo delle arti meccaniche, e il cuisguardo profetico riesce a scorgere solo catastrofi natura-li incombenti, perché la sua mente è interamente condi-zionata dalla facoltà della imaginatio; un essere infine cheè oscuramente consapevole dell’inadeguatezza delle suecapacità di conoscenza, poiché la sua mente non riesce aconsentire alle facoltà superiori di esercitare il loro effet-to o a ricevere altro che gli spiriti inferiori. In altre paro-le, ciò che l’artista dovrebbe rappresentare sarebbe ciòche Albrecht Dürer ha rappresentato nella Melencolia I.

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Non esiste opera d’arte che corrisponda alla nozionedi melanconia di Agrippa piú dell’incisione di Dürer, néc’è testo con cui l’incisione di Dürer concordi piú stret-tamente dei capitoli di Agrippa sulla melanconia.

Se ora supponiamo che l’Occulta philosophia sia lafonte essenziale dell’ispirazione di Dürer, e nulla sioppone a tale supposizione, possiamo comprendere per-ché l’immagine düreriana della Melanconia (la melan-conia di un essere immaginativo, distinta da quella delrazionale o da quella dello speculativo, la melanconiadell’artista o di chi mediti sull’arte, in quanto distintoda ciò che è politico e scientifico, o metafisico e reli-gioso) si intitoli Melencolia I260; possiamo anche com-prendere perché nel fondo non compaiano né il sole, néla luna, né le stelle, e invece il mare che allaga la spiag-gia, una cometa e un arcobaleno (che cosa infatti potreb-be meglio indicare le «pluviae, fames et strages» che lamelanconia immaginativa predice?); e perché la melan-conia sia creativa e, nello stesso tempo, immersa nelladepressione, sia profetica e, nello stesso tempo, confi-nata nei suoi propri limiti.

Dürer, piú di ogni altro, poteva identificarsi con laconcezione di Agrippa. Suo contemporaneo come pen-siero, e agli antipodi dei teorici dell’arte italiani dellegenerazioni precedenti, come l’Alberti e Leonardo, piúdi ogni altro era convinto che le realizzazioni immagi-native dei pittori e degli architetti provenivano da unasuperiore ispirazione, in ultima analisi divina. Mentre gliItaliani del Quattrocento e del primo Cinquecento sierano battuti perché l’arte pittorica fosse riconosciutacome arte liberale solo in nome della ratio, la qualeavrebbe consentito all’artista di dominare la realtàmediante la sua penetrazione razionale nelle leggi natu-rali, e quindi innalzare la sua attività al rango di unascienza esatta261, Dürer, nonostante la sua appassionatabattaglia in favore proprio di questa ratio262, era consa-

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pevole del fatto che la sorgente piú profonda della forzacreativa era da cercare altrove, in quel dono puramenteirrazionale e individuale, o ispirazione263, che per gli Ita-liani spettava solo, se mai, ai literarum studiosi e ai Musa-rum sacerdotes. Le speculazioni sulla teoria dell’arte del-l’Alberti e di Leonardo non presentavano traccia alcu-na di influenza da parte dei neoplatonici fiorentini264 evennero a porre le fondamenta di una scienza esatta,quale fu definita da Galileo. Essi assegnavano all’artepittorica quel posto, nella cultura intesa in senso globa-le, che oggi siamo soliti assegnare alla «scienza positiva»,e nessuno dei teorici dell’arte classici avrebbe mai pen-sato di considerare l’architetto, il pittore o lo scultorecome ispirato divinamente. Ciò non accadde fino allanascita di quella scuola manieristica che in tutto eraportata verso concezioni nordiche; che saturò la teoriadell’arte (fino allora totalmente oggettiva e razionale)dello spirito dell’individualismo mistico265; che attribuíall’artista l’aggettivo «divino»; e ancora, cercò, cosasignificativa, di imitare la Melencolia I, che fino alloraera stata quasi ignorata in Italia266. Ma Dürer avevaconosciuto per istinto quello che gli Italiani appreserosolo piú tardi, e anche allora come cosa di importanzasecondaria: la tensione fra ratio e non ratio, tra regolegenerali e doni individuali. Già nel 1512 o 1513 avevascritto le famose parole in cui innalzava la species fanta-stica dell’immaginazione al rango di quelle «immaginiinteriori» che sono connesse con le idee platoniche, eattribuiva le facoltà di immaginazione dell’artista a quel-le «influenze dall’alto» che rendono un buon pittorecapace di «sempre produrre qualcosa di nuovo nella suaopera»267 e «ogni giorno hanno nuove figure di uominie altre creature da fare e da mostrare che nessuno primaha mai visto o immaginato»268.

Qui, in termini di misticismo tedesco, e con frasi chetalvolta sono eco diretta del Ficino e di Seneca269, è

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espressa una concezione che rivendica per l’artista crea-tivo ciò che i mistici tedeschi avevano rivendicato perl’uomo religiosamente illuminato, il Ficino per i filoso-fi, e Seneca per Dio. Per questa ragione questa conce-zione concorda con la nuova dottrina di Agrippa. Nonè affatto impossibile che sia stata l’Occulta philosophiastessa a trasmettere la dottrina neoplatonica fiorentinadel genio, in una versione tipicamente tedesca, a Dürer,il quale non 6 stato solo il creatore della Melencolia I, maanche l’autore dei Vier Bücher menschlicher Proportion270,e con ciò si è assicurata la possibilità di formulare, inconcetti e parole, gli elementi irrazionali e individuali-stici delle sue idee sull’arte.

Sia nel suo spirito che nelle sue affermazioni (non c’èinfatti alcun dubbio che le parole di Dürer ora citate rap-presentino l’esperienza personale dell’artista creativo)Dürer stesso appare come un melanconico271. Non èmera coincidenza se, conoscendo chiaramente la suanatura (e anticipando una consuetudine settecentescanel ritratto)272, nel suo autoritratto si è rappresentato,anche da giovane, nell’atteggiamento del pensatore evisionario melanconico273. Come aveva la sua parte deidoni ispirati della melanconia immaginativa, cosí avevaanche consuetudine coi terrori dei sogni che essa pote-va portare; fu infatti la visione di un’inondazione che losconvolse talmente con la sua «velocità, il vento e ilrombo» che, come egli disse, «tutto il mio corpo tre-mava e non tornai in me per lungo tempo»274. Poi, anco-ra, «troppo severo giudice di se stesso»275, riconoscevagli insuperabili limiti posti dal destino a chi soffrivadella melanconia rappresentata nella Melencolia I, lamelanconia di uno spirito condizionato esclusivamentedall’immaginazione.

Dallo studio della matematica, soprattutto, al qualededicò metà dei suoi anni di lavoro, Dürer dovette impa-rare che essa non avrebbe mai dato agli uomini la soddi-

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sfazione che potevano trovare nella rivelazione metafisi-ca e religiosa276, e che nemmeno la matematica (o meglio,la matematica meno di tutto) poteva portare gli uominialla scoperta dell’assoluto, con il che, naturalmente, egliintendeva in primo luogo la bellezza assoluta. A trent’an-ni, inebriato dalla visione del «nuovo regno» della teoriadell’arte rivelatogli da Jacopo de’ Barbari, egli pensava dipoter definire l’unica bellezza universale col compasso ela squadra; a quaranta dovette ammettere che questa spe-ranza l’aveva deluso277; e fu negli anni immediatamenteprecedenti l’incisione della Melencolia I che divenne pie-namente consapevole di questa nuova posizione, perchéintorno al 1512 scriveva: «Ma che cosa sia la bellezza,non lo so»278, e nello stesso appunto diceva: «Non c’èuomo vivente sulla terra capace di affermare o dimo-strare quale possa essere la piú bella figura di uomo. Nes-suno tranne Dio può giudicare della bellezza»279. Di fron-te a una tale ammissione, perfino la fiducia nel poteredella matematica era destinata a vacillare. «Per quantoriguarda la geometria, – scrisse Dürer una decina d’annidopo, – si può dimostrare che certe cose sono vere. Macerte cose si devono lasciare all’opinione e al giudiziodegli uomini»280; e il suo scetticismo era arrivato a talpunto che nemmeno il semplice approssimarsi alla supre-ma bellezza gli sembrava piú possibile.

Poiché io credo che non c’è uomo vivo che possa con-templare fino in fondo ciò che c’è di piú bello anche in unapiccola creatura, meno che mai in un uomo... Ciò non entranell’anima dell’uomo. Ma Dio conosce queste cose, e sevuole rivelarlo a qualcuno, anche questa persona viene aconoscerlo... Ma io non so come mostrare una qualsiasimisura singola che si avvicini alla massima bellezza281.

E cosí infine quando la sua venerazione piena d’a-more per la matematica trova ancora una volta espres-

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sione intensa e toccante, egli rende omaggio alla mate-matica come chiusa entro i suoi limiti e rassegnata adessi; e la frase: «Chiunque dimostra il suo caso e rivelala sottostante verità di esso mediante la geometria, que-gli sarà creduto da tutto il mondo; qui infatti uno va sulsicuro», è preceduta da una frase che potrebbe quasi ser-vire da didascalia per la Melencolia I «Poiché c’è falsitànel nostro sapere, e l’oscurità è cosí saldamente radica-ta in noi che perfino il nostro cercare a tentoni falli-sce»282.

Cosí, pur dopo avere stabilito i suoi rapporti con l’a-strologia e la medicina, con le rappresentazioni pittori-che dei vizi o delle arti, nonché con Enrico di Gand eAgrippa di Nettesheim, continuiamo nondimeno a rite-nere che siano giustificati nella loro opinione anche colo-ro che vogliono considerare la Melencolia I come qual-cosa di diverso dalla raffigurazione di un temperamen-to o di una malattia, sia pure molto nobilitata. È unaconfessione e un’espressione dell’«insuperabile igno-ranza» di Faust283. È il volto di Saturno che ci guarda;però in esso possiamo riconoscere anche i tratti diDürer.

d) I Quattro apostoli284.

«Inoltre, – dice Joachim Sandrart dei cosiddetti Quat-tro apostoli di Dürer, che aveva ammirato nella Galleriadell’Elettore a Monaco, – ci sono i quattro evangelistisotto forma delle quattro complessioni, dipinti a olio nelmigliore dei modi da vero maestro»285. Questa informa-zione, che precedenti studiosi di Dürer avevano consi-derato pienamente attendibile286, cadde in discredito, peraltro senza troppe ragioni, presso storici successivi. Conl’unica eccezione di Karl Neumann (che però non ne tras-se alcuna conclusione287), fu considerata semplicemente

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come una «vecchia tradizione», che in qualche caso funegata del tutto, in quanto Dürer «prendeva troppo sulserio gli apostoli per servirsene semplicemente come diun’occasione per rappresentare i temperamenti»288. Inqualche altro caso fu modificata in modo cosí arbitrarioche andò perduto il concetto essenziale della teoria dellequattro complessioni289, e in qualche altro ancora fuammessa solo in quanto Dürer «nel corso del lavoro siserví della sua concezione dei quattro temperamenticome anche di altre sue speciali esperienze artistiche,come di un aiuto nella rappresentazione»290. Questa«antica tradizione», però, risale di fatto a un testimonecosí attendibile che, se si fosse trattato della paternitàdell’opera, anziché di un problema iconografico, maisarebbe stata considerata con tanto disdegno. Questotestimone è Johann Neudörffer, che realizzò le letteredelle scritte alla base del quadro degli apostoli nello stu-dio stesso di Dürer, e dichiarò, non senza orgoglio, chespesso ebbe l’onore di conversare confidenzialmente colmaestro291. Ora Neudörffer afferma in modo inequivo-cabile che Dürer fece dono ai consiglieri di Norimbergadi quattro «immagini» (cioè figure) in grandezza natu-rale, «a olio... nelle quali si può riconoscere un sangui-gno, un collerico, un flemmatico, e un melanconico»292 enon si può ignorare una prova del genere.

Naturalmente non si tratta del fatto che Dürer abbiausato «gli apostoli semplicemente come un’occasioneper rappresentare i temperamenti»; ma questo nonesclude la possibilità che egli abbia considerato i tem-peramenti come base per la caratterizzazione degli apo-stoli. Certo egli non ha ritenuto la natura degli aposto-li esaurientemente espressa dal fatto che ognuno di essirientrasse in uno dei quattro tipi umorali, ma eglipotrebbe, per usare la mirabile espressione di Sandrart,averli rappresentati «sotto forma dei quattro tempera-menti». Essi sono sanguigni o collerici esattamente nello

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stesso senso ed esattamente nella stessa misura in cuisono giovani o vecchi, gentili o violenti: in breve, inquanto sono delle personalità individue.

Dürer ha differenziato le varianti piú significativedel comportamento religioso sulla base delle varianti piúsignificative del carattere umano (o, per lui, tempera-mentale); e lungi dall’abbassare gli apostoli a sempliciesempi di tipi costituzionali, ha attribuito alle comples-sioni un significato piú alto, che esse erano adattissimead acquisire. Da sempre si era abituati ad abbinare iquattro temperamenti alle stagioni, i fiumi del Paradiso,i quattro venti, le quattro età dell’uomo, i punti cardi-nali, gli elementi e, in breve, a tutto ciò che fosse deter-minato dalla «tetrade sacra». Nel Quattrocento alcuniartisti si azzardarono a collocare il volto divino al cen-tro tra le figure dei quattro temperamenti, per cui iquattro umori venivano ad apparire come il quadrupli-ce riflesso di un unico raggio divino293. Fu il passaggio daquesto modo schematico di rappresentare alla tendenzaparticolarizzante dell’epoca di Dürer che permise di fon-dere i vari caratteri religiosi con i quattro temperamen-ti nelle persone degli apostoli, combinando cosí la vene-razione per i portatori della «parola divina»294 con lavenerazione per la varietà delle creature di Dio295.

Come distribuire allora i quattro temperamenti tra iquattro apostoli? L’ordine suggerito da autori prece-denti (Giovanni melanconico, Pietro flemmatico, Marcosanguigno e Paolo collerico)296, deriva da una psicologiatipicamente moderna, non fondata su fonti storiche, euna copia cinquecentesca che assegna a ogni figura la suacomplessione non ha alcun valore perché segue mecca-nicamente l’ordine dato nel racconto di Neudörffer297.Fortunatamente, però, abbiamo numerosi testi chedescrivono le quattro complessioni in base alle lorocaratteristiche fisiche e mentali, e che mettono positi-vamente in rapporto ognuna di esse con una delle quat-

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tro età dell’uomo; e questi testi ci consentono di impo-stare l’ordine su basi storiche.

Chiunque osservi le figure di Monaco resterà colpi-to dal fatto che i quattro apostoli sono raffigurati comei tipi piú eterogenei possibili, se confrontati, ad esem-pio, coi quattro apostoli di Giovanni Bellini (della cuidisposizione forse Dürer si è ricordato)298, o con la seriedi incisioni degli apostoli dello stesso Dürer299. Ognifigura è quanto piú possibile diversa dalle altre, non solocome età e disposizione fisica e mentale300, ma piú par-ticolarmente nel colorito, che aveva una parte talmenteimportante nella dottrina dei temperamenti che il ter-mine «complessione» è preso solo in questo senso. Ilriservato Giovanni, un bell’esempio di giovanile misu-ra, è un giovane nobilmente costruito, sui venticinqueanni, nella cui florida complessione il rosso e il biancosi mescolano. Marco, che mostra i denti e rotea gli occhi,è un uomo sulla quarantina, il cui colorito esangue pre-senta sfumature quasi verdastre. Paolo, col suo sguardoserio e minaccioso, eppure calmo, mostra cinquanta osessant’anni, e il colorito dei suoi tratti nettamente deli-neati (è il piú magro dei quattro) nonostante qualchetocco rossiccio, si può definire solo come bruno scuro.Infine l’alquanto apatico Pietro è un vecchio di almenosettant’anni, il cui viso stanco e relativamente grasso ègiallastro, e nell’insieme decisamente pallido301.

Sia che si ricorra a testi postclassici o protoscolasti-ci, o a trattati popolari sulle complessioni, o, soprattut-to, ai versi salernitani302, sempre troviamo un sistemasostanzialmente uniforme di distribuzione delle variecaratteristiche e dei vari attributi, che si può compen-diare nello schema seguente:

1) gioventú = Primavera; corpo ben proporzionato, natu-ra armoniosamente equilibrata, carnagione rosata (rubei-

que coloris); sanguigno.

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2) maturità = Estate; corpo aggraziato, natura irascibile,carnagione gialla (croceique coloris, citrinitas coloris)303;collerico.

3) mezz’età = Autunno; corpo magro, natura triste; car-nagione scura (luteique coloris, facies nigra); melanconi-co.

4) vecchiaia = Inverno; corpo grasso e flaccido, naturaletargica, carnagione pallida (pinguis facies, color albus);flemmatico.

Da questo schema risulta chiaro che le complessionisi possono distribuire solo come segue: Giovanni è il san-guigno, Marco (il cui simbolo inoltre è il leone, l’animaleche simboleggia la cholera rubra) è il collerico, Paolo ilmelanconico e Pietro il flemmatico304.

Se si vuole un’altra prova basta ricordare la xilogra-fia che illustra il libro di Conrad Celtis. Qui, è vero,dato che Celtis aveva invertito le caratteristiche di duestagioni305, il flemmatico, eccezionalmente, e diventatoil simbolo dell’autunno, e quindi è piú giovane delmelanconico; ma, a parte questa modifica, che è richie-sta dal testo, la divisione delle disposizioni e delle etàcorrisponde appieno a quella del quadro di Dürer, salvoche in quest’ultimo le caratteristiche biologiche hannoassunto un significato umano o sovrumano. Anche nellaxilografia il «sanguigno» è il bel giovane, il «collerico»è l’uomo irascibile nel fiore della vita; il «flemmatico»è l’uomo pasciuto con la pinguis facies; e il «melanconi-co» è l’uomo magro, calvo, con lunga barba. In realtà il«melanconico» del 1502 è certamente una caricatura cheanticipa il san Paolo del 1526; o, viceversa, il san Paolodel 1526 è la nobilitazione successiva del «melanconico»del 1502306. E se analizziamo i mezzi artistici usati daDürer per trasformare l’esponente della «meno nobiledelle complessioni» (tale, infatti, era ancora il melanco-nico nella xilografia di Celtis) in una delle piú nobili

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figure dell’arte europea, scopriamo che sono i mezziusati nella Melencolia I. Non solo le pure proporzioni deitratti (che in un artista come Dürer sono anche espres-sione di intima grandezza) accomunano la testa di sanPaolo e quella della Melencolia; ma i due elementi piúessenziali dell’espressione facciale sono gli stessi: la faciesnigra e, in forte contrasto con essa, l’accesa brillantezzadegli occhi. Si può dire che san Paolo in quanto tipo èil melanconico della xilografia di Celtis, però reso colcolorito della Melencolia I. 1502, 1514 e 1526: sono tretappe nello sviluppo della nozione di melanconia, tretappe nello sviluppo di Dürer stesso.

Un tentativo è stato fatto altrove di dimostrare chele sue figure dei quattro apostoli, di cui a lungo si èsospettato che fossero i laterali di una pala d’altareincompiuta307, sono state in realtà iniziate nel 1523 comelaterali di un trittico; che ognuna di queste tavole ori-ginariamente doveva includere solo una figura; e che lacoppia prevista in origine non era costituita da Paolo eGiovanni, ma Filippo e (probabilmente) Giacomo. Solonel 1525, l’anno del suo disegno di Giovanni308, Dürerdecise di rendere indipendenti i pannelli laterali ed ela-borò il nuovo schema, che è poi quello finale, nel corsodella cui esecuzione Filippo, già completo, dovette esse-re trasformato in Paolo. Il laterale sinistro sembra nonfosse in uno stadio abbastanza avanzato perché ci rima-nesse qualche traccia dell’idea originaria309.

È stato quindi un unico e medesimo atto di trasfor-mazione creativa che ha fatto nascere l’idea di questiquattro santi particolari e delle quattro complessioninello spirito di Dürer. Le idee «Giovanni, Pietro, Marcoe Paolo», e «sanguigno, flemmatico, collerico e melan-conico» devono aver formato un tutto inseparabile nelsuo spirito, che trovò espressione nel momento in cuisorse il proposito di cambiare le due figure originarienelle quattro attuali; in particolare, nel momento in cui

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Filippo divenne Paolo, divenne anche un melanconico.In altre parole, solo quando quello che in un primotempo era stato Filippo diventò un melanconico potécorrispondere a ciò che Dürer intendeva con Paolo. Eda questo momento abbiamo una risposta al problemadel successivo atteggiamento di Dürer verso il problemadella melanconia.

I quattro apostoli, come li vediamo ora, esprimono uncredo e, come hanno accertato al di là di ogni dubbio lericerche di Heidrich, il lato polemico di questo credo(che è pur sempre un credo anche se ispirato da una sem-plice coincidenza storica) è rivolto contro i fanatici e glianabattisti, nel cui animo la «libertà cristiana» sembra-va avere degenerato in sconfinato settarismo. Questorifiuto del fanatismo, come Heidrich ha chiaramentedimostrato, si fonda però, come è naturale, su un’ac-cettazione della Riforma. Dürer spiega che egli è controHans Denck e i «tre pittori senza Dio»; e proprio perquesto non ha bisogno di spiegare che è per Lutero. Perquesto era stato certo fin dal 1525 che dei quattro uomi-ni che testimoniano in suo favore, due devono occupa-re una posizione dominante: Paolo, sulla cui dottrinadella giustificazione attraverso la fede si fondava tuttaquanta la struttura della dottrina protestante, e Gio-vanni, il discepolo prediletto di Cristo, che era anchel’«evangelista prediletto» di Lutero310. E come questedue figure, sviluppate a misura monumentale, occupa-no le posizioni dominanti nella composizione del dipin-to (e che Pietro sia relegato nel fondo ha un po’ il signi-ficato di una protesta figurativa contro il primatus Petridifeso con tanto accanimento dai cattolici)311, cosí sonoanche esponenti sia della piú profonda esperienza reli-giosa che dei temperamenti piú alti. Rispetto alla tran-quilla ma incrollabile devozione di Giovanni, la stancarassegnazione di Pietro rappresenta un «troppo poco»,per usare un termine aristotelico; mentre, rispetto all’in-

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flessibile calma di Paolo, il fanatismo di Marco rappre-senta un «troppo»; e parimenti, paragonate alle duealtre complessioni, la flemmatica è inferiore nella forza,quella collerica nella nobiltà. Il temperamento sangui-gno, che tutto il Medioevo aveva considerato come il piúnobile, anzi l’unico apprezzabile, e che naturalmenteanche all’epoca di Dürer era ritenuto una disposizioneinvidiabilmente sana e armoniosa, era stato affiancato,dai tempi del Ficino e di Agrippa di Nettesheim, da unadisposizione sicuramente meno felice, ma spiritualmen-te piú eletta, la complexio melancholica, la cui riabilita-zione fu opera del nuovo umanesimo, cosí come la risco-perta del cristianesimo paolino fu opera della Riforma.

È quindi comprensibile, da diversi punti di vista,che Dürer pensasse che il modo migliore di caratteriz-zare il genio tutelare del protestantesimo fosse rappre-sentarlo come un melanconico. Facendo dell’apostolodella nuova fede un esponente del nuovo ideale espres-so dalla nozione di melancholia generosa, egli non soloaccentuò l’ascetismo cosí tipico del Paolo storico, ma gliattribuí una nobile sublimità, negata agli altri tempera-menti. Cosí facendo però Dürer affermò anche che, perparte sua, la melanconia restava ancora quella che gli siera rivelata attraverso i contatti con la dottrina neopla-tonica del genio, il segno del vero eletto, il segno di colo-ro che sono illuminati dalle «influenze superiori». Mail Dürer del 1526 non illustrò piú questa ispirazione conuna figura allegorica dello Spirito dell’Arte, la cui forzaviene dall’immaginazione, ma con la santa persona di un«uomo spirituale»; egli ora dipinse il furor non dell’ar-tista e del pensatore, ma di un eroe della fede, e cosídimostrò che la sua concezione della melanconia avevasubito, a quest’epoca, un profondo mutamento. Questomutamento poteva definirsi, usando la classificazione diAgrippa di Nettesheim, come un progresso dall’imma-gine della Melencolia I a quella di una Melencolia III, e

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si trattava in ultima analisi di un mutamento nello stes-so Dürer. Nella sua gioventú aveva aspirato all’entusia-smo eroico ed erotico dell’arte italiana classicistica; nelsecondo decennio del Cinquecento aveva trovato la viaper giungere alle grandi forme simboliche della Melen-colia I e del Cavaliere, la morte e il diavolo; negli ultimie piú grandi anni della sua vita dedicò le sue capacitàquasi interamente a soggetti religiosi. Negli anni in cuiCranach, Altdorfer, Aldegrever, Vischer e Beham veni-vano traendo forza dal classicismo che Dürer aveva arre-cato all’arte tedesca, e non si stancavano di dipingere«Giudizi di Paride», «Fatiche di Ercole» e scene dicentauri e satiri, in questi stessi anni il vecchio Dürerdedicava tutte le forze che gli lasciavano il suo lavoroteorico e i suoi ritratti su commissione, a soggetti sacri,e prima di ogni altro, alla Passione. E possiamo com-prendere come per il Dürer degli ultimi anni, che erastato profondamente scosso dalla missione di Lutero eche, sentendosi mortalmente malato, si era visto comeil Cristo sofferente ed aveva perfino osato dipingersicosí312, possiamo comprendere come per lui perfino laMelencolia I non sembrasse piú un’espressione adegua-ta della grandezza umana.

1 I disegni preparatori sono stati analizzati da tietze, vol. II, 1, nn.582-87; cfr. anche panofsky, Albrecht Dürer cit., vol. II, p. 26.

2 lf, Nachlass, p. 394, 5; cfr. anche giehlow 190 4, p. 76.3 Questo è ovvio anche senza le osservazioni citate a p. 264 (con le

quali cfr. giehlow 1904, p. 67).4 Cfr. p. 113 di questo libro, Einaudi, Torino 1983.5 Cfr. p. 180, nota 48 di questo libro, Einaudi, Torino 1983.6 Roma, Bibl. Vat., Cod. Urb. lat. 1398, fol. 11r. Il Saturno che

valuta e conta il suo oro che si vede nel Cod. Pat. lat. 1369, fol. 144vrientra in questo ambito di idee (benché questa volta senza la chiave),come è il caso anche della notevole figura nell’angolo sinistro in altodella raffigurazione di Saturno che si vede nel manoscritto di Tubin-

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ga Ms Md. 2, un re seduto che con la destra conta pezzi d’oro sopraun grande scrigno, mentre con la sinistra solleva una coppa (derivatoda una combinazione del re Giano che fa baldoria col Saturno che contale sue ricchezze: quest’ultimo regna su gennaio ma anche su dicembre).

7 La scritta spiega il senso di questa analogia: «Non mi fido di nes-suno». Nel volume di k. w. ramler, Kurzgelasste Mythologie (p. 456nell’ed. Berlin 19204) il melanconico presenta ancora un cofano deltesoro nonché un pugnale, una fune e un cappello (cfr. p. 303).

8 In un caso il motivo della borsa si combina perfino col motivo delcofano del tesoro.

9 cesare ripa, Iconologia, Roma 1593, s. v. «Complessioni». Laxilografia è apparsa per la prima volta nell’edizione del 1603.

10 Cfr. pp. 113 sgg. di questo libro, Einaudi, Torino 1983.11 L’Allegoria dell’Avarizia di J. Ligozzi (h. vos, Die Malerei der Spä-

trenaissance in Rom und Florenz, Berlin 1920, vol. II, tav. 165) con lasua borsa, il cofano del tesoro e la mano sul mento potrebbe valerealtrettanto bene come Melanconia se non fosse per gli altri motivi.

12 f. haack (in «Zeitschrift für bildende Kunst», vol. LX, 1926-27,supplemento, p. 121) ha nuovamente dimostrato che si tratta realmentedi uno studio preliminare.

13 Secondo e. t. de wald, The Stuttgart Psalter, Princeton 1930, fol.55 (per il Salmo 42, 7: «Quare tristis es, anima mea»). Tipi simili siritrovano nella stessa opera, fol. 58v (per il Salmo 45) e fol. 141 (peril Salmo 118).

14 Cfr. gli esempi ricordati p. 211, nota 8 di questo libro, Einaudi,Torino 1983.

15 Il prototipo di questo diffusissimo tipo del «contemplativo» ènaturalmente la raffigurazione antica del filosofo o poeta, di cui l’a-dozione per le raffigurazioni medievali degli evangelisti è stata studia-ta dettagliatamente da a. m. friend, in «Art Studies», v, 1927, pp. 115sgg.; la tav. xvi è particolarmente istruttiva.

16 Parigi, Bibl. Mazarine Ms 19, fol. 3r.17 Cfr. pp. 185 sgg. di questo libro, Einaudi, Torino 1983.18 Riprodotte in roscher, Ausführliches Lexicon der griechischen

und römischen Mythologie cit., vol. I, col. 2160.19 Per immagini di Saturno, cfr. pp. 188 sgg.; per immagini di

melanconici, cfr. pp. 273 sgg. sempre di questo libro, Einaudi, Torino1983.

20 Cfr., ad esempio, Modena, Biblioteca Estense Cod. 697; per que-sto manoscritto e gli affreschi del Guariento nella cappella degli Ere-mitani a Padova, cfr. a. venturi, in «Arte», xvii, 1914, pp. 49 sgg.,benché il legame tra di essi non sia posto in modo del tutto corretto.

21 f. saxl, in «Repertorium für Kunstwissenschaft», vol. XLIII,1922, p. 233.

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22 In qual misura la testa appoggiata alla mano sia stata considera-ta piú tardi come un atteggiamento tipico del melanconico lo si puòvedere, ad esempio, dal fatto che il disegno di Dürer L144 (in sé uninnocuo studio per un ritratto) figurava in un antico inventario comeil Prustpild di una vecchia melanconica (cfr. g. glück, in «Jahrbuch derkunsthistorischen Sammlungen der allerhöchsten Kaiserhauses»,xxviii, 1909-10, p. 4). Lo scritto di Ursula Hoff citato oltre (p. 366,nota 47 di questo libro, Einaudi, Torino 1983) contiene un’interessanteraccolta di raffigurazioni di «melanconici» con questo atteggiamentodella testa appoggiata alla mano.

23 Le miniature sono illustrazioni dei versi già citati (p. 109, nota10 di questo libro, Einaudi, Torino 1983) di Leonardo Dati nel ma-noscritto di Roma, Bibl. Vat., Cod. Chig. M. VII, 148, foll. iiv sgg.(circa 1460-70). Solo il collerico appare molto mutato; è stato trasfor-mato da guerriero medievale in guerriero romano. Il sanguigno portauna corona d’alloro anziché un cappuccio da falco.

24 Per l’incisione di Saturno del Campagnola, cfr. hartlaub,Geheimnis, soprattutto p. 53 e tav. 23; e id., in «Repertorium für Kun-stwissenschaft», xlviii, 1927, pp. 233 sgg. Per il legame di questa conun dio fluviale sull’arco di trionfo di Benevento, nonché per le sue inte-ressanti trasformazioni in 1) un Saturno contadino in un quadro diGirolamo da Santacroce, e 2) un san Girolamo in un ritratto di Loren-zo Costa (pubblicato in «Arte», vol. V, 1902, p. 296) cfr. pp. 199-200.Lo stesso Campagnola qualche anno dopo trasformò il tipo filosoficodi Saturno in un tipo puramente umano e, per cosí dire, anonimo(incisione P12, riprodotta in hartlaub, Geheimnis, p. 24). Nel Nord,il tipo di Satumo risuscitato dal Campagnola non fu generalmenteadottato se non nel tardo Cinquecento, e anche allora, cosa significa-tiva, non sotto il suo nome mitologico ma come un melanconico (cfr.p. 355 di questo libro, Einaudi, Torino 1983).

25 Hartlaub può avere ragione nell’affermare che immagini comel’incisione B4 possono essere state direttamente familiari a Dürer (perun possibile rapporto tra Dürer e Campagnola, cfr. anche p. 304, nota10 di questo libro, Einaudi, Torino 1983), però l’ipotizzata derivazio-ne dell’incisione P12 del Campagnola da Giorgione ci sembra altret-tanto poco dimostrabile dell’affermazione che l’incisione B19 del «mae-stro del 1515» rappresenti una figura della Melanconia. La figura cheispira l’astrologo è piú credibile che rappresenti la Musa Urania o, anco-ra piú probabilmente, una personificazione dell’Astrologia: della quale,ad esempio, il Ripa afferma esplicitamente che ha ali «per dimostrarche ella sta sempre con il pensiero levata in alto per sapere et inten-dere le cose celesti».

26 È difficile dimostrare che il disegno L79 sia uno studio della

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moglie di Dürer; ma anche se cosí fosse, l’artista avrebbe potuto ritrar-la in un vero e proprio stato di depressione.

27 Nell’Inferno dantesco, ad esempio (VII, vv. 56-57), si legge del-l’avaro: «Questi resurgeranno del sepulcro | col pugno chiuso, e que-sti coi crin mozzi»; secondo Celio Calcagnini («Jahrbuch der kunsthi-storischen Sammlungen der allerhöchsten Kaiserhauses», xxxii, 1915,p. 169), «manus dextra expansa [indica] liberalitatem, manus sinistracompressa tenacitatem». Chi ha dato origine a questo concetto, cheancora si ritrovava nell’Iconologia del Sandrart, sembra sia stato Dio-doro Siculo: «‘H d’e‹Înumoj sunegmûnh tørhsin kaã fulak¬ncrhmßtwn» (III, 4, 3, ed. F. Vogel, Leipzig 1888, p. 272).

28 Per citazioni, cfr. p. 51 di questo libro, Einaudi, Torino 1983.29 Erfurt, Wissenschaftliche Bibliothek, Cod. Amplon. Q. 185,

fol. 247r (cfr. k. sudhoff, in «Beiträge zur Geschichte der Chirurgieim. Mittelalter», vol. I, Leipzig 1914, tav. xxx).

30 Per le trasformazioni operate da Dürer nel valore espressivo diquesti motivi tradizionali, cfr. pp. 297 sgg. di questo libro, Einaudi,Torino 1983.

31 Per citazioni, cfr. pp. 55 sgg. di questo libro, Einaudi, Tori-no 1983.

32 Cosí Ibn Esra.33 Cosí Alberto Magno, cit. p. 68 e nota 12 di questo libro, Einau-

di, Torino 1983.34 Così, ad esempio, la traduzione dei versi salernitani nell’opera De

conservanda bona valetudine, ed. Johannes Curio, Frankfurt 1559, fol.237v: «Ir farb fast schwartz vnd erdfarb ist» («Il loro colore è quasinero e terreo»). Dato il carattere contraddittorio di questo genere diletteratura, e dei contrasti interni alla nozione stessa di melanconia, nonsorprende trovare in certi casi il melanconico descritto come «pallido»in altri scritti sulle complessioni.

35 Cosí Johann von Neuhaus, cit. pp. 108 sg.36 Cosí i versi salernitani, cit. p. 108.37 Cfr. k. sudhoff, in «Beiträge zur Geschichte der Chirurgie im

Mittelalter», i, tav. xxxvi; in qualche caso è raffigurato anche il medi-co che sta operando; cfr. ad esempio, Roma, Cod. Casanat. 1382 (ibid.,tav. xxv) e sopra pp. 51, 88-89.

38 Si confrontino le tavv. 67, 71, ad esempio, con le immagini diSaul e David; si confronti la tav. 72 con una miniatura come quella diBerlino, Staatsbibliothek, Cod. Hamilton 390, fol. 19r: «Iste verbe-rat uxorem suam».

39 Anche i due uomini con gambe di legno, in una serie di xilogra-fie raffiguranti i vizi dall’edizione del Curio, fol. 239v, e la tav. 75.Per il disegno svizzero alla tav. 144 e l’incisione De Gheyn alla tav.148, nella quale l’assimilazione del tipo melanconico con quello satur-

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nino avviene su una nuova base unianistica, cfr. pp. 368, 372-73.40 Berlino, Cod. germ. fol. 1191, fol. 63v, ora a Marburgo; cfr.

Beschreibendes Verzeichnis der Miniatur-Handschriften der PreussischenStaatsbibliothek, vol. V, ed. H. Wegener, Berlin 1928, pp. 72 sgg. Quii sanguigni stanno suonando il liuto, i collerici stanno lottando tra diloro e il flemmatico è seduto in un atteggiamento depresso in generetipico del melanconico; su questo, cfr. p. 299, nota 3.

41 Cambridge, Caius College, Ms 428, fol. 27v; cfr. m. r. james,Descriptive Catalogue of the Manuscripts in the Library of Gonville andCaius College, Cambridge 1908, p. 500.

42 Immagini come queste di cui stiamo trattando si possono con-siderare come una sintesi degli astratti sistemi tetradici che ricorro-no dal ix secolo in poi, prima nei manoscritti di Isidoro e poi in illu-strazioni di trattati cosmologici (cfr. e. wickersheimer, in «Janus»,vol. XIX, 1914, pp. 157 sgg.; e singer, From Magic to Science cit.,pp. 211 sgg. e tav. xiv) con rappresentazioni connesse di figure deitempi greco-romani, come i mosaici di Chebba, ecc. «Quatuor aeta-tes velut hic patet atque videtur | Humanae vitae spatium conplereiubentur».

43 La serie che abbiamo in questo elenco si fonda a) sulla regola chesi applica quasi integralmente a tutti i sistemi, sia che inizino con san-guis, o, come qui, con phlegma, cioè che la cholera rubra preceda la cho-lera nigra; e b) sull’uso verbale per cui decrepitas indica un’età piú avan-zata che senectus. Questo è però contraddetto dalla sequenza pittorica(mentre, ad esempio, il ciclo dei punti cardinali che si vede a fol. 21rdello stesso manoscritto si dovrebbe leggere in senso orario partendodall’alto, la sequenza qui è irregolare), e dal fatto che la Decrepitas staancora filando mentre la Senectus sta già avvolgendo la lana in ungomitolo. La tradizione antica che seguiva il sistema meno corrente cheiniziava col phlegma (cfr. p. 14) ovviamente era in gran parte scomparsa;il fol. 22v mostra uno schema circolare analogo ai due ora ricordati, neiquali la sequenza, benché normale, comincia dal fondo e procede insenso antiorario (in alto, cholera rubra = caldo e secco; a destra, sanguis= caldo e umido; sotto, aqua = freddo e umido; a sinistra, terra = fred-do e secco). È anche molto inconsueto indicare l’età «collerica» caldae secca come senectus, e definire l’occidente «freddo e secco» rispettoal «caldo e umido» oriente. Negli esempi raccolti dal Wickersheirneril ciclo si sviluppa sempre secondo la sequenza consueta: sanguis, cho-lera rubra, cholera nigra, phlegma.

44 Soprattutto in questi cicli tetradici non è inconsueto trovare undoppio o anche un triplo significato per ciascuna figura. Cfr. gli esem-pi citati a p. 275, nota 4, e i Fiumi del Paradiso nel fonte battesimaledi Rostock del 1291 (che, stando all’iscrizione, rappresentano anche iquattro elementi).

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45 Cfr. pp. 97 sg. di questo libro, Einaudi, Torino 1983.46 Le rappresentazioni medievali delle quattro età dell’uomo sem-

brano di fatto essersi sviluppate indirettamente da raffigurazioni dellequattro stagioni, le quali erano legate all’antichità da una tradizione pit-torica ininterrotta.

47 boll, Die Lebensalter cit., p. 103, tav. I, 2.48 Per questo tipo di rappresentazione della Primavera basta rife-

rirci al mosaico di Chebba ricordato sopra o al Chronicon di Zwiefal-ten, già ricordato (cfr. p. 263, nota 9). Le rappresentazioni corrispon-denti di Maggio sono innumerevoli; l’esempio piú antico è il notoCalendario di Salisburgo dell’818. Che Maggio e Primavera poteneroessere usati come sinonimi anche nella letteratura lo si può vedere dalladidascalia alla raffigurazione del sanguigno nella tav. 79: «Das wirketmey und Jupiter».

49 Nell’allegoria completa delle età dell’uomo la conocchia indica ilquinto stadio nel ciclo di sette figurazioni, e il settimo decennio nelciclo di cento anni (w. molsdorf, Christliche Symbolik der mittelalter-lichen Kunst, Leipzig 1926, nn. 1142 e 1143). A prescindere da que-sto, il filare è la tipica forma dell’attività femminile, e la miniatura diCambridge rappresenti solo occupazioni femminili.

50 Foglio volante, Zurigo, Zentralbibliothek (Schreiber 1922 m.);p. heitz, Einblattdrucke des 15. Jahrhunderts, vol. IV, n. 4.

51 Londra, Brit. Mus., Ms Sloane 2435, fol. 31r.52 boll, Die Lebensalter cit., tav. 11, 3 e 4. Si tratta ovviamente di

un errore quando, a p. 129, il Boll afferma che il falconiere tiene «unacolomba, la creatura sacra a Venere».

53 Per il simbolismo degli animali in quanto applicato ai quattro tem-peramenti, cfr. pp. 97 sg. Le opere di cui si parla qui (The Shepherds’Calendar in francese e inglese, quest’ultimo edito da O. H. Sommer,1892, e i Libri d’Ore a stampa di Simon Vostre e Thomas Kberver)costituiscono uno speciale gruppo regionale derivato da un unico pro-totipo, e distinto dal fatto che il flemmatico, che occupa il terzo posto,è caratterizzato da una borsa, mentre il melanconico, relegato al quar-to posto, tiene una stampella, forse per un errore che, una volta com-piuto, è diventato tradizionale. Al melanconico è assegnato il quartoposto anche in qualche altro ciclo, benché i testi relativi colleghinoesplicitamente l’autunno a lui (cfr. anche p. 263).

54 Cfr. le figure d’angolo nella raffigurazione di Saturno del mano-scritto di Erfurt; nella rappresentazione del Sole nello stesso mano-scritto (hauber, Planetenkinderbilder und Sternbilder cit., tav. xxiv) ilfalconiere «sanguigno» occupa la posizione corrispondente.

55 Parigi, Bibl. Nat., Ms nouv. acq. fr. 3371. Un esempio eccezio-nale, senza analogie, però di qualche interesse per la sua data precoce,compare in un manoscritto datato 1408 di Johannes de Foxton, Liber

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cosmographiae (Cambridge, Trinity College, Ms 943, foll. 12v sgg.).Qui i quattro temperamenti sono raffigurati come uomini nudi, defi-niti «prima ymago», ecc., con i distici salernitani come scritte e si sus-seguono nella strana sequenza sanguigno, flemmatico, melanconico,collerico, benché il flemmatico sia chiaramente il piú vecchio. Anchela scelta degli attributi è alquanto singolare. Il collerico è, come al soli-to, cinto di spada, però questa spicca in curioso contrasto con la suanudità; anche il sanguigno sta brandendo una spada con la destra men-tre tiene una coppa nella sinistra. Il melanconico tiene un corvo con ladestra (questo, secondo il Fiore di virtú, è compagno della «tristizia»)mentre con la sinistra (come nelle raffigurazioni dell’Ira o della Despe-ratio) si configge un pugnale nel petto (probabilmente un riferimentoalle sue inclinazioni suicide); e il flemmatico, raffigurato alquanto dra-sticamente come «sputamine plenus», sta in piedi con un libro, con latesta sulla mano. Inoltre il sanguigno è contraddistinto anche da unapianta sul petto e da una colomba che gli sta appollaiata sul bracciodestro, mentre il collerico è contraddistinto anche da un fiore che gliesce di bocca. Non si è ancora arrivati a un’interpretazione esatta diquesti particolari: alcuni di essi senza dubbio sono stati ripresi dai tipipittorici dei peccati mortali; e d’altronde le descrizioni fisiognomiche,che compaiono in ciascun caso sul margine di sinistra, non sonocomprensibili cosí come sono.

56 Monaco, Staatsbibliothek, Ms lat. 4394. Tav. 82, da un fogliovolante del museo di Gotha (Schreiber 1922 o; heitz, Einblattdruckedes 15. Jahrhunderts cit., vol. LXIV, n. 8). Per rappresentazioni di pia-neti a cavallo (probabilmente basate su una consuetudine nelle giostree nei tornei), Cfr. saxl, Verzeichnis, vol. I, p. 114. Un curioso rapportotra questi cavalieri e i Calendari dei Pastori e i Libri d’Ore si può vede-re nelle Horae B. V. Mariae stampate da Marcus Reinhart a Kirchheimintorno al 1490 (Schreiber 4573, Proctor 3209), fol. iv. Qui il colleri-co figura come il «cacciatore feroce», i sanguigni come una coppia diamanti, anche a cavallo; il flemmatico invece come una figura singolain piedi con una pecora, e il melanconico (al quarto posto) come unafigura in piedi con un porco.

57 Berlino, Staatsbibliothek, Cod. Hamilton 390, fol. 83v.58 Per questo gruppo, cfr., ad esempio, l’illustrazione al fol. 20r che

illustra l’epigramma di Catone «Dilige denarium sed parce».59 Fol. 148v: «Hisque, repugnando maior et ira furit».60 Fol. 4r. La composizione della coppia di amanti riappare in forma

simile ai foll. 104v e 139v. L’oggetto rotondo che la coppia in amoresostiene è difficile da interpretare. Per analogia col fol. 113r, si potreb-be pensare a un qualche tipo di ornamento.

61 Zurigo, Zentralbibliothek, Cod. C 54/719, foll. 34v-36r.62 Il primo Calendario tedesco, Augsburg, circa 1480. Le stesse xilo-

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grafie ricompaiono nei calendari successivi, ad esempio Augsburg,Schönsperger 1490 (pubblicato in facsimile da K. Pfister, München1922), 1495, ecc.

63 Calendario di Strasburgo del 1500 circa; Calendario di Rostockper il 1523. Come si può vedere, gli amanti «sanguigni» sono in gene-re a cavallo e vanno a caccia col falcone; la rappresentazione deriva daun modello come il disegno pseudo-düreriano dei Kupferstichkabinettdi Berlino (Inv. 2595, riprodotto in h. tieze e e. tietze-conrat, Derjunge Dürer, Augsburg 1928, p. 229, e altrove), mentre la raffigurazionedei flemmatici sembra basati su un’incisione di E. S. (Lehrs 203; que-sta osservazione si deve a M. I. Friedländer). La scena della bastona-tura del collerico è ora arricchita da una figura femminile che osservainorridita; e un monaco dalla lunga barba, una figura che secondo lamentalità corrente sarebbe probabilmente ancora associata alla vita con-templativa, entra nella stanza dei due melanconici.

64 Cosí il manoscritto di Zurigo, fol. 35r. Qui, come in qualche altrocaso, un affievolirsi dell’idea originale ha portato alla filatrice che, lungidal dormire, è effettivamente intenta al lavoro.

65 La scelta di questo motivo, che in sé sembrerebbe molto piú adat-to al temperamento sanguigno (cfr. tavv. 124 e 129, come pure le carat-teristiche consuete della Voluptas nelle raffigurazioni di Ercole al bivio),può darsi si fondino sull’opinione che l’atonia flemmatica potrebbeessere un po’ sollevata dal citharae sono (cfr. il passo di Melantone cita-to alle pp. 84-85).

66 Cioè nell’opera De conservanda bona valetudine disseminata inmolte edizioni di Francoforte, a cura prima di Eobanus Hesse e poi diCurio e Crellius. la sequenza delle complessioni (1551: foll. 118 sgg.;1553: foll. 116 sgg.; 1554: foll. 152 sgg.) è raffazzonata. Le raffigura-zioni del sanguigno e del collerico sono riprese da cicli anteriori; ilmelanconico e il flemmatico, invece, sono nuovi e molto rozzi, il primoun geometra a uno scrittoio (cfr. fig. 2), il secondo un uomo panciutoaddormentato in una poltrona. Un esempio simile si trova nel codicedi Berlino, Cod. germ. fol. 1191, ora a Marburgo, dove il melanconi-co è raffigurato come un uomo di studio che legge (benché, anche, comeun avaro) mentre il flemmatico figura come homo acediosus. Si puònotare come l’immagine della pigrizia o dell’ottusità non siano maiusate per il melanconico; essa spetta al flemmatico, come nel CodiceHamilton, tav. 84, e, mutatis mutandis, nel manoscritto di Foxton aCambridge.

67 Il ciclo delle virtú e dei vizi di Amiens e quelli analoghi di Char-tres (transetto sud) e di Parigi (base della facciata occidentale e roso-ne) formano, naturalmente, un gruppo a sé. Inoltre le sequenze dellecomplessioni non sono affatto gli unici cicli profani derivati dai tipidei vizi; il gruppo della Luxuria, ad esempio, divenne elemento costan-

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te della rappresentazione astrologica di Venere, come, viceversa, la raf-figurazione, in origine cortese-cavalleresca, della coppia che va a cac-cia a cavallo, che in certi casi sostituisce la coppia che si abbraccia,può trovarsi in un contesto moralizzante (ad esempio, in una rappre-sentazione dei devoti della Voluptas nella raffigurazione su un cassonedi Berlino di Ercole al bivio, riprodotta in panofsky, Hercules amScheidewege cit.).

68 Cfr. p. 74 e p. 211, nota 7.69 Cfr. d. c. tinbergen, Des Coninx Summe, in Bibliotheek van Mid-

delnederlandsche Litterkunde, Groningen 1900-903, con bibliografia;cfr. anche h. martin, in Les trésors des bibliothèques de France, vol. I,Paris 1926, pp. 43 sgg.

70 Cfr. martin, Les trésors des bibliothèques de France cit. p. 54 e tav.xi; manoscritti piú tardi, ad esempio, Bruxelles, Bibl. Royale, Ms 2291(Van den Gheyn), fol. 88v (datato 1415), ripetono fedelmente questotipo. La nostra riproduzione è tratta da Bruxelles, Bibl. Royale, Ms9550 (Van den Gheyn), fol. 51r.

71 Cfr. p. 211, nota 7 di questo libro, Einaudi, Torino 1983.72 Cap. 97, fol. T. 111. Il fuoco di legna, alquanto fuori posto nel

paesaggio naturale, è giustificato dal testo: «Vnd ist so träg, das jm ver-brennt | Syn schyenbeyn, ee er sich verwennt».

73 heitz, Einblattdrucke des 15. Jahrhunderts cit., vol. XI, tav. 17(circa 1490).

74 Stultifera navis, Henricpetri, Basel 1572, p. 194.75 Cfr. e. panofsky, in «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst»,

nuova serie, vol. VIII, 1931, pp. i sgg. Cfr. anche a. chastel, La Ten-tation de St-Antoine, ou le songe du mélancholique, in «Gazette desBeaux-Arts», vol. LXXVII, 1936, pp. 218 sgg. Possiamo ricordare chenel frontespizio inciso del Bericht von der Melancholia Hypochondria diJobannes Freytag (Frankfurt 1644), la «melanconia ipocondriaca» feli-cemente vinta dal medico valente è ancora rappresentata come unadonna addormentata con la testa appoggiata alla mano, nel cui cervel-lo un demonio con le ali di pipistrello sta insufflando allucinazionimediante un mantice, e le allucinazioni sono simboleggiate da insettibrulicanti.

76 «Vnser complexion ist von erden reych, | Darumb seyn wirschwaermuetigkeyt gleich». «Dat vierde is swaerheit, dat een menscealso swaermoedich is, dat hem. gheens dinghes en lust, dan te legghenrusten of slapen ...» (tinbergen, Des Coninx Summe cit., p. 253). Que-sto passo conferma, se ce ne fosse bisogno, il fatto che nei versi deicalendari l’espressionoe Schwermütigkeit (che significa «pesantezza d’a-nimo») non indica lo stato depressivo puramente mentale, come avvie-ne nell’uso moderno, ma una pesantezza molto materiale della mentee del corpo che veramente si potrebbe meglio definire indolenza. La

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scelta della parola conferma anch’essa, a livello linguistico, il rapportoprofondo tra le rappresentazioni sceniche dei temperamenti e le raffi-gurazioni dei vizi (come avviene per il termine high-stomached riferitoal sanguigno).

77 h. r. patch, in «Modern Language Notes», vol. XL, 1925, pp.1 sgg. Le rappresentazioni medievali delle virtú e dei vizi servironocome base per rappresentazioni dei «cinque sensi», cosí diffuse neltardo Cinquecento e, soprattutto, nel Seicento, come sottolinea HansKauffmann nella sua recensione informativa al libro di W. R. Valen-tiner su Pieter de Hoock («Deutsche Literaturzeitung», 1930, pp. 801sgg.). La nascita di questo tipo dei «cinque sensi» indica, per cosí dire,una seconda fase nel processo di secolarizzazione: le rappresentazionioriginariamente moralistiche, trasformate dapprima in rappresentazio-ni oggettive e cosmologiche dei temperamenti, sono ora trasferite nellasfera della percezione soggettiva, dei sensi.

78 La funzione di queste figure umane che «stanno per» una nozio-ne può naturalmente essere assunta da animali, piante od oggetti ina-nimati senza che le condizioni che regolano il metodo di personifica-zione debbano essere mutate. In certe circostanze la melagrana che rap-presenta la nozione di «concordia» adempie. alla stessa funzione di unaConcordia umana, mentre in altre circostanze può figurare semplice-mente come uno dei suoi attributi.

79 La classificazione delle forme allegoriche di rappresentazione cheabbiamo tentato qui, e dalla quale rimangono fuori naturalmente molticasi misti o al limite, assume il termine «allegoria» nel suo senso let-terale di ©lla ¶gore›ein come una nozione generica che include tantola forma di rappresentazione «simbolica» che quella «sostitutiva»(soprattutto quella «personificante») e quella «paradigmatica». Quel-la che comunemente è chiamata allegoria (in senso stretto) è solo unaforma piú complicata di sostituzione: piú complicata in quanto diver-se personificazioni (cioè esseri viventi od oggetti che denotano idee) siincontrano in una scena o in un rapporto spaziale che illustra la con-nessione tra varie nozioni astratte. Un tipico esempio ne è il Trionfo diMassimiliano, di Dürer, o l’allegoria di Goltzius (cit. p. 321, nota 15)del rapporto fra Ars e Usus.

80 Per i particolari problemi connessi alla personificazione poeticadella melanconia (e l’illustrazione pittorica di essa) cfr. pp. 209 sgg.

81 In una placchetta di Bertoldo, che finora non è stata decifrataintegralmente, troviamo addirittura un putto che con infantile serietàpartecipa all’occupazione degli adulti (w. bode, Bertoldo und Lorenzodei Medici, Freiburg im Breisgau 1925, p. 82). Il putto sembra inten-to a modellare qualcosa, mentre il vecchio sulla sinistra non sta armeg-giando, come afferma il Bode, con strumenti di misurazione, ma staintagliando un mobile complicato; Mercurio sta lavorando con il filo a

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piombo e il compasso, la figura femminile con un triangolo. Se le let-tere parzialmente illeggibili si debbano realmente interpretare comeabbreviazioni di Mathematica = Ars, Ludus e Usus è un problema tut-tora aperto; un’interpretazione del genere sarebbe in accordo con leidee del tempo (cfr. anche pp. 318 sgg.).

82 «Un quadro su l’ascia di mano del Mantegna con 16 fanciulli, chesuonano e ballano, sopra scrittovi Malancolia, con cornice dorata, altaon. 14, larga on. 20 1/2» (g. campori, Raccolta di Cataloghi ed Inven-tarii inediti, Modena 1870, p. 328; cfr. giehlow 1903, p. 40). Il Gieh-low è indubbiamente nel giusto quando afferma che questi putti chesuonano e danzano sono da interpretare come simboli umanistici deglisvaghi musicali e teatrali raccomandati come antidoti alla melanconia.Ma naturalmente non è necessario che sia stato il Ficino a trasmette-re al Mantegna la conoscenza di questi rimedi a quel tempo ovvi. Inol-tre si può dire anche meno dei quadro del Mantegna, dato che dalladescrizione del Campori non è nemmeno sicuro che la Melanconia vifigurasse di persona. Per tutti gli elementi essenziali dobbiamo rifarcial quadro di Cranach, che sembra riflettere la composizione del Man-tegna (cfr. p. 359); di recente è venuto alla luce il disegno di DürerL623, che potrebbe confermare la conoscenza da parte di Dürer delquadro perduto (cfr. tietze, vol. I, p. 21).

83 L’unico elemento iconografico in cui la Melanconia della Melen-colia I concorda con «Dame Mérencolye» (e del resto solo nel roman-zo di re Renato) è la sua capigliatura scarmigliata (eschevelé), e anchequesto segno di uno stato d’animo desolato è un motivo troppocomune perché si possa affermare l’esistenza di un rapporto tra ledue figure.

84 Le rappresentazioni ellenistiche della vita delle plebi cittadine,dei contadini e anche degli animali sono diverse da quelle tipicamen-te romane per calore emotivo che nasce da un’acuta sensibilità versociò che non è familiare. Può riflettere l’orrore della degradazione,come nel caso della Vecchia ubriaca; o un interesse sentimentale per inostri simili o la natura, come nel caso del Bambino negro che suona odella Madre che allatta il suo piccolo; o infine un’espirazione all’idilli-co, come nel caso del «tipo del contadino» vero e proprio. Esattamenteallo stesso modo la ritrattistica ellenistica si contrappone a quellaromana per la sua concitazione e il senso di trionfo o di sofferenza.La «veneranda sobrietà» dello spirito artistico latino, che, negliambienti colti, era spesso nascosta sotto una maschera di ellenismo masi rivelava tanto piú chiaramente nelle opere popolari, o in quella chechiamiamo «arte provinciale», risaliva, nonostante il classicismo el’ellenismo, all’assoluta oggettività degli antichi ritratti di esponentidei vari mestieri degli Egizi.

85 o. jahn, Darstellungen des Handwerks und Handeisverkehrs aul

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Vasenbildern, in «Bericht über die Verhandlungen der sächsischenGesellschaft der Wissenschaften» phil.-hist. Klasse, xix, 1867, pp.75-113. Cfr. h. guammerus, Darstellungen aus dem Handwerk auf röm.Grab- und Votivsteinen in Italien, in «Jahrbuch des kaiserlich deut-schen archäologischen Instituts», xxviii, 1913, pp. 63-126. Piú direcente p. brandt, Schafende Arbeit und Bildende Kunst, Leipzig1927-28 (due volumi con numerose tavole).

86 Gli emblemi del mestiere potevano o essere aggiunti alla figuradell’estinto (era il costume pagano, come si vede nella tav. 51), oppu-re addirittura sostituirla (questa era naturalmente la forma particolar-mente diffusa nelle catacombe cristiane).

87 r. garucci, Storia dell’arte cristiana, vol. III, 202, 3 =cabrol-leclercq, Dictionnaire d’archéologie chrétienne et liturgie, I, 2,col. 2918 (con maggiori particolari).

88 e. gerhard, Etruskische Spiegel, Berlin 1843-67, tav. 330, 1.89 Per illustrare la continuità di questa tradizione mettiamo a fron-

te delle tavv. 102-4: a) tre immagini dei mesi tratte dal Calendario diSalishurgo dell’818 (g. swarzenski, Die Salzburger Malerei, Leipzig1913, pp. 13 sgg. e tav. vii; h. j. hermann, Die illuminierten Hand-schriften der Nationalbibliothek in Wien, vol. I, Leipzig 1923, p. 148),in particolare Maggio che reca fiori, Giugno che ara e Agosto che miete;b) le tre immagini corrispondenti del codice di Rabano di Montecassi-no, copiato nel 1023 da un originale carolingio (a. m. amelli, Minia-ture... illustranti l’Enciclopedia medioevale di Rabano Mauro, Monte-cassino 1896, tav. liii); c) Una figura romana in rilievo del tipo su cuiera poggiato Augusto (sarcofago del Laterano). Le immagini del codi-ce di Rabano ancora conservano le indicazioni della formazione difondo che sono già dileguate nei calendari carolingi, benché la dispo-sizione delle figure le richiederebbe anche qui. Ne consegue che leimmagini del codice di Rabano (per le quali cfr. a. goldschmidt, in«Vorträge der Bibliothek Warburg», vol. III, 1923-24, pp. 215 sgg.)sono indipendenti dal Calendario di Salisburgo e si basano direttamentesu fonti pittoriche anteriori al ix secolo.

90 Nuptiae Philologiae et Mercurii, libri II sgg.; e. mâle, Les arts libé-raux, in «Revue archéologique», 1891, pp. 343 sgg .

91 In questi esempi, quindi, le personificazioni e le figure esempla-ri concorrono in una duplice scena che qualche secolo dopo poteva per-fino essere unificata in una scena unitaria (cfr., ad esempio, il typusArithmeticae in gregor reisch, Margarita philosophica, Strassburg 1504,ben riprodotto in e. reicke, Der Gelebrte in der deutschen Vergan-genheit, Leipzig 1900, tav. 45.

92 Cfr. mâle, Les arts libéraux cit., pp. 343 sgg.; e j. von schlos-ser, in «Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchstenKaiserhauses», xvii, 1896. pp. 13 sgg.

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93 Cfr., ad esempio, l’epitaffio di Andrea Bregno in Santa Mariasopra Minerva (h. egger, in Festschrift für Julius von Schlosser, Zürich1927, tav. 57) e i corrispondenti esempi tedeschi, ovviamente di dataposteriore, studiati in brandt, Schaffende Arbeit und Bildende Kunst cit.,vol. II, pp. 137 sgg. Anche il tipo dell’«Eros carpentiere» conobbe unarinascita nell’epoca umanistica, sia pure con un significato piú raffinatoin senso intellettuale e satirico; cfr. il putto circondato da simboli deimestieri che si sforza di volare verso il cielo, impedito però da neces-sità terrestri, che spesso compare in edizioni del Rivius, ma è già sottol’influenza della Melencolia I di Dürer. Che questa influenza ci sia statalo mostra un confronto col suo modello negli Emblemata di Alciato, cheancora non presenta simboli dei mestieri (cfr. l. volkmann, Bildersch-riften der Renaissance, Leipzig 1923, p. 44). Dell’uso di utensili per indi-care un’occupazione si hanno, naturalmente, esempi innumerevoli neilibri degli emblemi; essi possono tenere luogo di lunghe narrazioni obiografie. Un buon esempio ne è il retro del medaglione per Tomma-so Ruggieri, riprodotto in g. habich, Die Medallien der italienischenRenaissance, Stuttgart 1922, tav. lxx, 4.

94 Cfr. e. moreau-nélaton La Cathédrale de Reims, Paris s. d., p. 33.95 L’Aia, Mus. Meermanno-Westreenianum, Ms 10 D 1 (il «picco-

lo» manoscritto di Aristotele-Oresme di Carlo V), fol. 110r (cfr. a.byvanck, Les principaux manuscrits à peintures de la Bibliothèque Roya-le et du Musée Meermanno-Westreenianum à La Haye, Paris 1924, p.114; repliche in j. meurgey, Les principaux manuscrits à peintures duMusée Condé à Chantilly, Paris 1930, tav. lii e pp. 46 sgg., con biblio-grafia). A sinistra, accanto all’Arte, c’è la Scienza in atto di leggere; adestra c’è la Prudenza con tre teste (per il motivo delle tre teste, Cfr.panofsky, Hercules am Scheidewege cit., pp. 1 sgg.; è notevole tutta-via il fatto che qui le tre teste sono sostituite da teschi); sotto stannol’Intelletto in un atteggiamento pensoso, e la Sapienza illuminata dalladiretta visione di Dio Padre e dei suoi angeli. Dobbiamo alla cortesiadi B. Martens la conoscenza di questa miniatura. L’Arte in aspetto difabbro compare nel manoscritto di Aristotele-Oresme di Bruxelles,9505, fol. 115v, che è legato a questo sia per il tempo che per lo stile.

96 Cfr. e. breitenbach e t. hillmann, Anzeiger für schweizerischeAltertumskunde, vol. XXXIX, 1937, pp. 23 sgg.

97 Londra, Brit. Mus., Ms Add. 15 692 (De septem artibus liberali-bus), fol. 29V.

98 Monaco, Staatsbibliothek Cod. gall. 15. Su questo argomento cfr.comte de rosanbo, Notice sur Les Douze Dames de Rhétorique (dal Msfr. 1174 della Bibliothèque Nationale), in «Bulletin de la Sociétéfrançaise de reproductions de manuscrits à peintures», vol. XIII, 1929.Nella storia dei tipi queste dame (e anche, ad esempio, «Dame Elo-quence») si avvicinano molto alla Melencolia di Dürer.

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99 «Que rient n’y reste trou ne fente». Un’allegoria «metaforica» o«doppia» simile si ritrova anche nelle serie delle Artes e probabilmen-te proviene dall’Alsazia (Schreiber, n. 1874, riprodotto in heitz, Ein-blattdrucke des 15. Jahrhunderts cit., vol. LXIV, n. 6, e in reicke, DerGelehrte in der deutschen Vergangenheit cit., figg. 27-29). Queste raffi-gurazioni, nonostante i loro titoli astratti, come Arismetica, ecc., sono,se si considerano come tipi, rappresentazioni pienamente realistiche dimestieri: a tal punto, infatti, che, ad eccezione di una, esse ci mostra-no non gli esponenti paradigmatici delle varie scienze, ma dei sempli-ci contadini e artigiani, la cui attività si riferisce alle arti liberali o pervia di metafora (come nel caso della Déduccion loable), o anche allu-dendo alla loro applicazione pratica. La sola Aritmetica è rappresenta-ta da un uomo che effettivamente fa di conto; la Grammatica, la Reto-rica e la Logica, per contro, sono rappresentate da un seminatore, unmugnaio e un fornaio (in quanto Aristotele fece il pane dal seme chePrisciano aveva seminato e Cicerone macinato) e l’Astronomia da unpittore, una figura nota dalle immagini dei figli di Mercurio o dellaMadonna di Luca, solo che qui egli sta dipingendo stelle nel cielo. LaGeometria invece non è rappresentata da un geometra, ma da un appa-reilleur che sta misurando una pietra in un posto e il distico che l’ac-compagna suona: «Ich kan pawen vnd wol messen, | Darumb wili ichEclides [sic] nit vergessen». La differenza, rispetto alla Déduccion loa-ble, è, come in altri casi, che là una dama facilmente riconoscibile comepersonificazione siede in una bottega di carpentiere, mentre qui comu-ni contadini e lavoratori stanno realmente seminando, macinando ecuocendo il pane.

100 Riprodotto in o. lauffer, Deutsche Altertümer im Rahmen deut-scher Sitte, Leipzig 1918, tav. 5.

101 Cfr. marziano capella, Nuptiae Philologiae et Mercurii, libro VI,575 sgg., in particolare 580-81 (pp. 286 sgg. nell’ed. a cura di A. Dick,Leipzig 1925). Le ancelle della Geometria qui recano una «mensula»coperta di una polvere verdastra, «depingendis designandisque oppor-tuna formis»; l’autore descrive la stessa signora come una «feminamluculentam, radium dextera, altera sphaeram solidam gestitantem».

102 Le premesse di tutto questo erano già state poste dalla descri-zione di Marziano Capella. La Geometria indossa un «peplum», «inquo siderum magnitudines et meatus, circulorum mensurae conexio-nesque vel formae, umbra etiam telluris in caelum quoque perveniensvel lunae orbes ac solis auratos caliganti murice decolorans inter side-ra videbatur»; e «in usum germanae ipsius Astronomiae crebrius com-modatum, reliqua vero versis illitum diversitatibus numerorum, gno-monum stilis, interstitiorum, ponderum mensurarumque formis diver-sitate coloruni variegata renidebat» (ed. Dick, p. 289). Un tale indu-mento poteva naturalmente esserle evitato dal nostro artista, in quan-

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to i fenomeni astrali potevano essere rappresentati direttamente, ben-ché la penna di pavone sul copricapo della Geometria non manchi diun significato allegorico; il pavone secondo il Ripa, sotto il titolo Notteseconda parte (citazione da Pierio Valeriano), significa «la notte chia-ra, e stellata, vedendosi nella sua coda tanti occhi, come tante stelle nelCielo».

103 Già nell’edizione del 1512 della Margarita philosophica di Gre-gor Reisch (fol. o 1r) la figura è semplificata in questo senso; la Geo-metria tiene essa stessa il sestante, e sta misurando una botte con uncompasso (una notevole anticipazione della Stereometria doliorum diKeplero), mentre una riga sta a terra e una nave passa in lontananza.

104 Cosí nella miniatura della Déduccion loable.105 Non c’è ragione di dubitare che questo oggetto sia in realtà

nient’altro che un completo per scrivere portatile, composto di uncalamaio con coperchio e con un astuccio per le penne attaccato ad essomediante una striscia di cuoio, ma purtroppo tagliato dal margine sini-stro della figura. Tuttavia dopo che i. a. endres («Die christlicheKunst», vol. IX, 1913, diverse puntate) l’aveva interpretato come unatrottola e f. a. nagel, Der Kristall auf Dürer’s Melancholie, Nürnberg1922, come un filo a piombo, w. bühler («Mitteilungen der Gesell-schaft für vervielfältigende Kunst», 1925, pp. 44 sgg.) ha detto trat-tarsi di un barattolo di colore con una bacchetta e con un filo avvoltointorno a spirale, per rendere piú facile tracciare una linea retta (inrealtà questi effetti di spirale altro non sono che cuoio intrecciato, comesi vede non solo in altri astucci per penne ma anche in foderi di col-telli, si veda, ad esempio, il disegno di Bruegel, Tolnai n. 77); mentresecondo p. brandt (in «Die Umschau in Wissenschaft und Technik»,vol. XXXII, 1928, pp. 276 sgg.) fu perfino supposto che si trattassedi un filo a piombo di forma conica, con un astuccio per il filo appog-giato a un piattino! Per porre fine a ogni dubbio possiamo ricordare icasi analoghi in opere dello stesso Dürer già indicati dal Giehlow eanche da f. honecker (in «Zeitschrift für christliche Kunst», vol.XXVI, 1913, col. 323) – la xilografia B60 e il libro di preghiere di Mas-similiano I, tav. 14, entrambi raffiguranti san Giovanni a Patmos, e laxilografia B113 di san Girolamo – e aggiungere qualche altro esempio,che facilmente potrebbe moltiplicarsi: 1) la visione di san Giovanni deifratelli Limbourg a Chantilly (Les très riches heures de Jean de France,ed. P. Durrieu, Paris 1904, fol. 17r, tav. 14); 2) la visione di san Gio-vanni nella Bibbia di Coburgo; 3) la xilografia B70 di Dürer; 4) lamedaglia di Ruggieri già ricordata (cfr. p. 291, nota 13), una raffigu-razione di sant’Agostino, del 1450 circa, in un manoscritto delle sueConfessioni conservato a Utrecht (riprodotta da a. w. byvanck e g. j.hoogewerff, La miniature hollandaise et les manuscrits illustrés du 14e,au 16e siècles aux PaysBas septentrionaux, vol. II, La Haye 1923, tav.

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187); 6) una xilografia satirica in geiler von keisersperg, Sünden desMunds, Strassburg 1518 (riprodotto in reicke, Der Gelehrte cit., fig.99); 7) il san Girolamo del Ghirlandaio in Ognissanti; 8) la xilografiadi Hans Döring (cfr. pp. 314 sg. e tav. 112) che è tanto piú importan-te in quanto riprende tutto l’insieme degli utensili direttamente dal-l’incisione di Dürer. L’interpretazione del giehlow 1904, p. 76 delcalamaio come un geroglifico simboleggiante le sacre scritture degliEgizi non ci sembra sostenibile perché il geroglifico che indica le«sacrae litterae Aegyptiorum» (cfr. «Jahrbuch der kunsthistorischenSammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses», vol. XXXII, 1915, p.195) non si compone della sola penna o del solo calamaio, ma di cala-maio, stilo e crivello, e il testo che l’accompagna attribuisce altrettan-ta importanza a quest’ultimo elemento che agli altri due: «Aegypcia-cas ostendentes litteras sacrasve aut finem, atramentum et cribrum cala-mum quoque effigiant. Litteras equidem, quoniam apud Aegypciosomnia scripta cum his perficiantur. Calamo etenim ac nulla alia re scri-bunt. Cribrum vero, quoniam cribrum principale vas conficiendi panisex calamis fieri soleat. Ostendunt itaque, quemadmodum omnis, cuivictus suppeditat, litteras discere potest, qui vero illo caret, alia arteutatur necesse est. Quam ob rem apud ipsos disciplina «sbo» vocatur,quod interpretari potest victus abundancia. Sacras vero litteras, quo-niam cribrum vitam ac mortem discernit». È quanto mai improbabileche se avesse voluto fare una traduzione in geroglifici di certi concet-ti avrebbe modificato in modo cosí arbitrario i simboli tramandati daOrapollo. (Da Vienna, Nationalbibl., Ms 3255, fol. 47r).

106 Cfr. Appendice I, pp. 375 sgg.107 Cfr. la miniatura di san Girolamo dello stesso Dürer, la minia-

tura di Darmstadt del Petrarca (riprodotta in j. schlosser, Oberitalie-nische Trecentisten, Leipzig 1921, tav. 11), la xilografia nella Chronicadi Milano di B. Corio del 1503 (riprodotta in reicke, Der Gelehrte cit.,fig. 55) o l’illustrazione di uno studio medico nel Liber de arte distillandidi H. Braunschweig, Strassburg 1512 (riprodotta ibid., fig. 46).

108 Cfr. e. römer, in «Jahrbuch der preussischen Kunstsammlun-gen», vol. xlvii, 1926, tav. 1, p. 136.

109 Xilografia in jacob locher, Panegyrici ad regem..., Strassburg1497 (ripubblicata nel Medicinarius di h. braunschweig, 1505, fol.cxxxiv), riprodotta in reicke, Der Gelehrte cit., tav. 66.

110 braunschweig, Medicinarius cit., fol. cxxxiiv.111 giovanni angelo, Astrolabium planum, Venezia 1494 (manca

nella prima edizione del 1488). Cfr., in senso opposto, il rapporto dellafigura col piano dell’immagine e la composizione diagonale dell’insie-me in quanto condizionata da questo; anche la posizione della testa conun occhio tagliato dalla linea di contorno del profilo sembra familiare.Lo stesso schema, sia pure con la figura dotata di attività intensa e di

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espressione passionale, al modo tipico del Rinascimento, compare nellaxilografia che illustra L’Acerba di Cecco d’Ascoli, Venezia 1524 (ripro-dotta in hartlaub, Geheimnis, p. 38).

112 Per il significato di questo particolare, cfr. p. 309.113 h. wölfflin, Die Kunst Alhrecht Dürers, München 19265, p. 253.114 Libro di preghiere, fol. 48v. Per la presenza della figura nel Nar-

renschiff tedesco alle cui illustrazioni Dürer ha probabilmente contri-buito, cfr. p. 283.

115 wölfflin, Die Kunst Albrecht Dürers cit., p. 255.116 Circa queste fasi dell’evoluzione, di cui si è trattato sopra da un

punto di vista sistematico, si può dimostrare sull’esempio della Melen-colia I che sono state fasi di un effettivo processo storico; infatti laforma «simbolica» dell’incisione non si è in effetti sviluppata dalla com-binazione di una raffigurazione puramente «personificante» (cioè iltypus Geometriae) con una puramente «paradigmatica» (cioè la raffi-gurazione di un melanconico come nei calendari).

117 Cfr. il kathfeéj di Rufo (cfr. p. 47 di questo libro, Einaudi,Torino 1983), probabilmente da intendersi come un termine psicolo-gico, e numerosi testi posteriori nei quali certamente la posa vuole esse-re un mezzo espressivo: ad esempio, Raimondo Lullo: «Et naturalitererga terram respiciunt»; Berlino, Cod. germ. fol. 1191, ora a Marbur-go: «Sin Antlitz [ad esempio, del melanconico] czu der Erden gekart»;anche il testo su Saturno riprodotto in hauber, Planetenkinderbilder undSternbilder cit., p. 23: «Sin [ad esempio, del figlio di Saturno] angesi-cht alles geneiget zu der erden». Può esame significativo della forza disuggestione di questa tradizione il fatto che in una descrizione dell’in-cisione Düreriana (Pictura Melancholiae) a opera di Melantone, sia purenota solo di seconda mano, si affermi, in evidente contraddizione conciò che si vede: «Vultu severo, qui in magna consideratione nusquamaspicit, sed palpebris deiectis humum intumur». Cosí il manoscritto diBerlino, theol. lat. qu. 97, ora a Tubinga, un manoscritto miscellaneoche un certo Sebastian Redlich ha copiato da note di Corirad Corda-tus, fol. 290r (edito abbastanza modestamente da h. wrampelmeyer,Ungedruckte Schriften Philipp Melanchthons, in Beilage zum Jahresberichtdes Kgl. Gymnasiums zu Clausthal, Pasqua 1911, p: 8, n. 62). Questadescrizione, illuminante per molti aspetti («Albertus Durerus, artifi-ciosissimus pictor, melancholici picturam ita expressit...») è una mesco-lanza di osservazioni minute e di sottile interpretazione psicologica,nonché di pura fantasia. Alla fine, ad esempio, l’autore afferma «Cer-nere etiam est... ad fenestram arancarum tela», benché non ci sia néuna ragnatela né una finestra. Qui probabilmente Melantone pensavaa un’altra raffigurazione della melanconia (cfr. tav. 144 e pp. 368 sg.di questo libro, Einaudi, Torino 1983) o a un’incisione come il Tactusdi J. Pencz: (B109).

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118 Questo fatto è stato messo in dubbio da w. bühler, in «Mit-teilungen der Gesellschaft für vervielfältigende Kunst», 1925, pp. 44sgg., in quanto il globo, il pugno e la faccia del putto appaiono piú chia-ri, benché siano nella stessa luce, Ma questi termini di confronto sem-brano piú chiari solo perché sono in ombra solo in parte, mentre il visodella Melanconia, girato molto piú verso sinistra di quello del putto, èinteramente in ombra, e quindi dovrebbe essere confrontato solo conla parte in ombra degli oggetti indicati dal Bühler (o forse con la metàdestra del collare che corre intorno alla spalla della figura).

119 Il Ripa lo definisce esplicitamente come un attributo del «Cre-pusculo della Sera». Inoltre sappiamo (cfr. p. 14, nota 21 e passim inquesto libro, Einaudi, Torino 1983) che il terzo quarto del giorno,cioè le ore fra le tre e le nove del pomeriggio, è appropriato alla melan-conia.

120 Sembra che finora si sia ignorato che forse il sole non potevaessere cosí alto nell’ora dei giorno indicata dal cielo e dal pipistrel-lo, tanto da proiettare, ad esempio, l’ombra della clessidra. Quindila scena, se è opportuna un’interpretazione realistica di questo gene-re, è stata immaginata alla luce della luna, ancora una volta in con-trasto significativo con l’interno pieno di sole dell’incisione di sanGirolamo.

121 Nell’analisi di Melantone ricordata sopra, il motivo della scala èinterpretato in questo senso, cioè come simbolo di una ricerca menta-le universale che però è spesso inefficace, se non assurda: «Ut autemindicaret nihil non talibus ab ingeniis comprebendi solere et quameadem saepe in absurda deferrentur, ante illam scalas in nubes eduxit,per quarum gradus quadratum saxum veluti ascensionem moliri fecit».

122 l. bartning, Worte der Erinnerung an Adoll Bartning, edito pri-vatamente, Hamburg 1929.

123 Cosí anche nella descrizione di Melantone: «Jacet autem propehanc ad pedes ipsius, contracta corporis parte, parte etiam porrecta,canis, euiusmodi solet illa bestia in fastidio esse, languida et somini-culosa et perturbari in quiete».

124 Cfr. e. panofsky, in «Logos», xxi, 1932, pp. 103 sgg.125 Cfr. pp. 267 sgg. Tra le opere non allegoriche di Dürer in cui

compaiono figure con una borsa e delle chiavi, possiamo ricordare leincisioni B40, 84 e 90; le xilografle B3, 80, 84, 88, 92; e soprattuttola figura in costume con la didascalia «also gett man in Hewsern Nör-merck». Una borsa e delle chiavi caratterizzano anche la vecchia nutri-ce nelle rappresentazioni di Danae di Tiziano (Prado) e di Rembrandt(Hermitage).

126 Cfr. più avanti.127 Ad esempio in Ibn Esra i canes nigri, e, in un manoscritto greco,

i cani in genere (Cat. astr. Gr., V, 1, p. 182, 10; cit. da w. gundel, in

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«Gnomon», ii, 1926, p. 299; e bbg, Sternglaube, p. 114 sempre in que-sto libro, Einaudi, Torino 1983.).

128 Per questo cfr. Giehlow, alle cui opere abbiamo spesso rinviato,e al quale spetta il merito di aver scoperto tutto quanto il sistema deigeroglifici rinascimentali e di aver raccolto tutto il materiale piú impor-tante; cfr. anche volkmann, Bilderschriften der Renaissance cit., passim.g. leidinger (in «Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wis-senschaften», Philol.-hist. Klasse, 1929), ha dimostrato che Dürerconosceva, e addirittura possedeva, la Hypnerotomachia Poliphili.

129 «Qui faciem magis, ut vulgo aiunt, melancholicam prae se ferat»:cosí Pierio Valeriano, cit. in giehlow 1904, p. 72.

130 ramler, Kurzgefasste Mythologie cit., p. 456: «Alcuni sostengo-no che i pipistrelli gli svolazzano intorno».

131 k. giehlow, in «Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen desallerhöchsten Kaiserhauses», vol. XXXII, 1915, p. 167.

132 agrippa di nettesheim, De occulta philosophia, nell’autografo del1510 scoperto da Hans Meier, Würzburg, Bibl. Univ., Cod. Q 50 (perquesto, cfr. pp. 329 sgg.), fol. 9r. Di qui la credenza che un cuore dipipistrello fosse un talismano contro la sonnolenza.

133 ficino, De v. tripl., I, 7 (Opera, vol. I, p. 500): «Spiritus fatiga-tione diurna, praesertim subtilissimi quique denique resolvuntur. Nocteigitur pauci crassique supersunt…, ut non aliter mancis horum fretumalis ingenium volare possit, quam vespertiliones atque bubones». Inol-tre Agrippa di Nettesheim ricorda il pipistrello come uno degli anima-li di Saturno: «Saturnalia sunt... animalia reptilia segregata, solitaria,nocturna, tristia, contemplativa vel penitus lenta, avara, timida, melan-colica, multi laboris et tardi motus, ut bubo, talpa, basiliscus, vesper-tilio» (Ms di Würzburg, fol. 17v; dall’edizione a stampa cit. anche daw. gundel, in «Gnomon», ii, 1926, p. 290; e bbg, Sternglaube, p. 115).Secondo Agrippa, ogni incenso offerto a Saturno dovrebbe conteneresangue di pipistrello (Ms di Würzburg, fol. 25v; dall’edizione a stam-pa cit. da gundel, loc. cit.). Oltre a queste citazioni dirette ce ne sonodi indirette, in cui si attribuiscono a Saturno gli uccelli notturni in gene-re («t™ t≈j nuktÿj peteinß», «omnia, quae noctu vagantur»): Cat. astr.Gr., IV, 122 (cit. da gundel loc. cit.) e ranzovius, Tractatus astrologi-cus, Frankfurt 1609, p. 47. Il sessantaduesimo emblema nella famosacollezione di emblemi dell’Alciato è di particolare interesse: «Vesper-tilio. | Vespere quae tantum volitat, quae lumine lusca est, | Quae cumalas gestet, caetera muris habet; | Ad res diversas trahitur: mala nomi-na primum | Signat, quae latitant, iudiciumque timent. | Inde et Phi-losophos, qui dum caelestia quacrunt, | Caligant oculis, falsaque solavident...» Questi versi suonano come un elenco delle caratteristichedello spirito saturnino e melanconico. Il riferimento a un certo tipo difilosofo è significativo.

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134 t. birt, Die Buchrolle in der Kunst, Leipzig 1907, pp. 286 sgg.(con rimandi).

135 Cfr. pp. 122, 129, 133 sgg. Anche il Nativitet-Kalender del 1515di Leonhard Reynmann afferma che i figli di Saturno «hanno a che farecon le cose acquatiche» (fol. D 11v). L’incisione del Campagnola raf-figurante Saturno, già ricordata sopra (pp. 198 sgg.) può aver fornitoa Dürer lo stimolo effettivo per adottare il motivo marino. Questa inci-sione, a sua volta ispirata da precedenti incisioni di Dürer, è ben dif-ficile fosse sconosciuta all’artista maturo.

136 Cfr. bartolomeo da parma, ed. E. Narducci, in «Bulletino dibibliografia e di storia delle scienze matematiche e fisiche», xvii, 1884,p. 156. L’uso di mettere in rapporto singole comete con singoli piane-ti risale a Nechepso-Petosiride; cfr. bbg, Sternglaube, pp. 51 e 129, eW. Gundel, in pauly-wissowa, s. v. «Kometen», e in «HessischeBlätter für Volkskunde», vii, 1908, pp. 109 sgg. (Il pianeta trasmettele sue proprietà alla cometa, «tamquam filio»; cfr. a. mizaldus, Come-tographia, Paris 1549, p. 91, lo stesso autore afferma (pp. 177 e 180)che la cometa di Saturno provoca «melancholicos morbos» e alluvio-ni, ecc., ed è particolarmente pericolosa per i figli di Saturno).

137 Cfr. bbg, Sternglaube, p. 114; cfr. anche pp. 334 sgg. Cfr. bbg,Sternglaube, p. 114; cfr. anche pp. 334 sgg.

138 Per l’oggetto che precedentemente è stato interpretato come unclistere, cfr. p. 308, nota 3.

139 Cfr. p. 296.140 B130.141 Stando agli appunti inediti del Giehlow, nel xvi secolo al melan-

conico si consigliava esplicitamente di mettersi delle erbe umide (s’in-tende, naturalmente umide) sulla fronte, «come un empiastro». L’i-dentificazione del vegetale che si vede nella ghirlanda della Melencoliae nella xilografia B130 col ranuncolo acquatico, spetta a w. bühler, in«Mitteilungen der Gesellschaft für vervielfältigende Kunst», 1925, pp.44 sgg.; e a e. büch, in «Die medizinische Welt» vii, 1933, n. 2, p. 69.La signora Eleanor Marquand di Princeton, cui siamo grati della corte-se collaborazione, ci fa tuttavia notare che la ghirlanda della Melenco-lia è composta non di un solo vegetale, ma di due, e il secondo è il cre-scione (cfr., ad esempio, g. bentham, Handbook of the British Flora,London 1865). A parte che viene cosí definito correttamente un parti-colare importante, la scoperta ha un suo significato metodologico: seDürer ha composto la ghirlanda di due vegetali che non hanno nulla incomune tranne il fatto di essere entrambi «acquatici», non si è tratta-to di semplice coincidenza o di preferenza puramente estetica: la scel-ta di questi due vegetali deve essersi fondata su una consapevole inten-zione simbolica, che giustifica il nostro proposito di interpretare ogniparticolare dell’incisione nell’ottica di questa intenzione simbolica.

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142 giehlow 1904, pp. 16 sgg. Gli argomenti contrari di w. ahrens,in «Zeitschrift für bildende Kunst», nuova serie, vol. XXVI, 1915, pp.291 sgg., si basavano sull’assunto, che è stato poi definitivamente con-futato, che il significato astro-magico dei quadrati planetari non si puòtrovare in fonti occidentali prima del 1531 (cfr. pp. 306 sg.).

143 Vienna, Nationalbibliothek, Cod. 5239, fol. 147v: «Et si quisportauerit eam, qui sit infortunatus fortunabitur, de bono in meliusefficiet [sic]»: cit. in a. warburg, Heidnisck-antike Weissagung in Wortund Bild zu Luthers Zeiten, in Gesammelte Schriften cit., vol. II, p. 328[trad. it. in La rinascita del paganesimo antico cit., pp. 309 sgg.].

144 Aureoli Philippi Theophrasti Paracelsi Opera omnia, Genève 1658,vol. II, p. 716. «Sigillum hoc si gestetur, gratiam, amorem et favoremapud universos conciliat... gestoremque suum in omnibus negotiis feli-cem facit, et abigit curas omnes, metumque». Era questa costantedepressione dovuta a inquietudine e a irrefrenabile ansietà (cfr. Costan-tino Africano: «Timor de re non timenda» e Ficino: «Quod circa malanimis formidolosus sum») che costituiva uno dei sintomi peggiori e piútipici della melanconia.

145 I quadrati planetari, come ha dimostrato warburg, Heidni-sch-antike Weissagung cit., pp. 516 sgg., figurano esplicitamente già nelCod. Reg. lat. 1283 (1300 circa; ne abbiamo tratto la fig. 1), e anchenel manoscritto di Vienna, Nationalbibliothek, Cod. 5239 (xiv seco-lo) e in quello di Wolfenbüttel, Cod. 17,8. Aug. 4°. In Oriente senzadubbio si potrebbero trovare in date sensibilmente anteriori.

146 Il quadrato con 16 caselle e il totale 34 può comparire in 1232diverse varianti, cfr. k. h. de haas, Frénicle’s 880 basic Magic Squaresof 4 x 4 cells..., Rotterdam 1935.

147 Le osservazioni di Luca Pacioli sui sette quadrati planetari, scrit-te intorno al 1500 (Bologna, Bibl. Univ. Cod. 250, foll. 118-22) furo-no scoperte da Amadeo Agostini («Bollettino dell’Unione matematicaitaliana», ii, 2, 1923, p. 2) che sottolinea il possibile rapporto con Dürer(cfr. w. wieleitner, in «Mitteilungen zur Geschichte der Medizin undder Naturwissenschaften», vol. XXII, 1923, p. 125, e vol. XXV,1926, p. 8). È significativo che il Pacioli si occupi dei quadrati sem-plicemente come un jeu d’esprit matematico, e si limiti ad accennare alloro significato astrologico e magico senza addentrarvisi; ignora quin-di completamente le virtú magiche dei vari quadrati: «Le quali figurecosí numerose non senza misteri gli l’ano acomodata... Le quali figurein questo nostro compendio ho uoluto inserere acio con epse ale uoltepossi formar qualche ligiadro solazo...» Nelle opere di Agrippa di Net-tesheim i quadrati planetari compaiono solo nell’edizione a stampa (II,22); mancavano nella versione originaria.

148 Cfr. warburg, Heidnisch-antike Weissagung cit., p. 529. Tutta-via possiamo associarci alla sua descrizione solo con molte riserve,

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dato che non possiamo immaginare che il «conflitto demoniaco» traSaturno e Giove si concluda con la vittoria di quest’ultimo; né possia-mo riconoscere ad esso quel significato primario per l’interpretazionedell’incisione di Dürer che il Warburg gli attribuisce. La mensula Jovisè dopo tutto solo uno dei molti motivi, e certamente non il piú impor-tante. Nonostante le acute argomentazioni del Giehlow e del Warburg,non si può dimostrare che l’incisione fosse destinata a Massimiliano I;e anche se lo si potesse dimostrare, la Melencholia I sarebbe stata unmonito piú che una consolazione per lui.

149 La ragione per cui Dürer ha dato una versione, per cosí dire,meteorologica della nozione di astrologia è spiegata piú avanti, pp. 330sgg. (Per la combinazione dell’arcobaleno e delle stelle, cfr., ad esem-pio, Denkmäler mittelalterlicher Meteorologie, Berlin 1904, p. 267). Puòessere in conseguenza di questa correlazione che il sestante originaria-mente assegnato al putto non sia stato mantenuto nella versione fina-le, in quanto si trattava di un simbolo specifico dell’astronomia: cfr. letavv. 100 e 110, nonché la raffigurazione di Tolomeo nella Margaritaphilosophica, riprodotta in reicke, Der Gelehrte cit., tav. 44.

150 Cfr. anche la xilografia sul frontespizio dello Instrumentbuch diPietro Apiano, Ingolstadt 1533, e le sue Inscriptiones sacrosanctae Vetu-statis, Ingolstadt 1534, fol. iniziale A.1r. Alla tav. 99 è riprodotta laxilografia del frontespizio, intagliata dal Flötner, del Perã ”ptik≈j diVitellione, Nürnberg 1535 (riutilizzata in rivius, Vitruvius Teutsch,Nürnberg 1548, fol. cxcviiiv). È risaputo che la costruzione di polie-dri assolutamente regolari o semiregolari ha costituito quasi il proble-ma essenziale della geometria pratica nel corso del Rinascimento. Il piúbell’esempio vicino alla Unterweisung der Messung dello stesso Dürer èprobabilmente la Perspectiva corporum regularium di Wenzel Jamnitzer,Nürnberg 1548 e 1568, in cui i cinque corpi platonici sono messi inprospettiva in tutte le loro possibili mutazioni. Anche la Geometria diJan Boeckhorst siede su un poliedro come quello di Dürer, e la cosa ètanto piú significativa in quanto per il resto la figura è ricalcata piut-tosto sulla xilografia dei Marmi del Doni, Venezia 1552 o sulla repli-ca incisa di essa (cfr. oltre); il quadro si trova nel Landesmuseum diBonn, n. 14.

La forma stereometrica del poliedro, che Niemann definí un rom-boide tronco (cfr. Appendice I, p. 375), e che certamente non è un cubotronco (cosí invece nagel, Der Kristall auf Dürers Melancholie cit.) hasuscitato, qualche tempo fa, un’aspra polemica tra studiosi olandesi (h.a. nabar e k. h. de haas, in «Nieuwe Rotterdamsche Courant»,Avondblad, 26 aprile, 29 aprile e 5 luglio 1932). Mentre il Nabar con-ferma la ricostruzione del Niemann e si limita ad aggiungere che i rom-boidi si distinguono per una notevole regolarità (angoli di 60° e 120°),il De Haas giudica le superfici dei poliedri leggermente irregolari. Que-

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sto non lo crediamo, in quanto i fenomeni prospettici su cui il De Haasfonda le sue osservazioni si contraddicono a vicenda; però possiamolasciare questo problema, che per noi è di secondaria importanza, aimatematici. Il tentativo di K. H. De Haas (Albrecht Dürer’s meetkun-dige bouw van Reuter en Melencolia I, Rotterdam 1932) di far risalirela composizione di entrambe queste incisioni a un sistema particola-reggiato di divisione planimetrica delle superfici è completamente al difuori della sfera dei nostri interessi. Tuttavia è in ogni caso erroneoaffermare che il romboide è un «blocco che ancora dev’essere portatoalla regolarità», e quindi, come il «blocco grezzo» dei frammassoni, rap-presenta didatticamente «l’umano compito di migliorarsi moralmente»(cosí hartlaub, Geheimnis, p. 78). Il poliedro di Dürer, qualunque siala sua natura stereometrica, è cesellato con la massima cura, e le suesuperfici sono quanto mai esatte, mentre il «blocco grezzo», come la«pietra alpestra e viva» di Michelangelo, deve essere immaginato comeuna massa ancora amorfa che attende di essere conformata (cfr. anchepanofsky, Idea cit., pp. 64 e 119).

151 Questa interpretazione, secondo la quale lo strumento in que-stione deve essere annoverato tra gli antidoti alla melanconia (la pur-gatio alvi era in certo senso l’alfa e l’omega della dieta antimelanconica)è stata di recente messa in dubbio dal Bühler, benché senza ragioni dav-vero solide, dato che la terminazione a disco o a bulbo si ritrova anchenella nota xilografia di H. S. Beham, la Fontana della Giovinezza (Pauli1120; m. geisberg, Der deutsche Einblatt-Holzschnitt, vol. XXII, 14)dove è certamente raffigurato un clistere. Inoltre, benché tutti i ten-tativi di interpretazione finora compiuti debbano essere respinti, inquanto lo spruzzatore per colori che il nagel, Der Kristall auf DürersMelancholie cit. vi vede non compare da nessuna altra parte e un cava-chiodi come suggerisce il bühler, op. cit. non si trova che nell’Otto-cento, anche noi riteniamo ora che l’oggetto misterioso è piú probabi-le che rientri tra gli arnesi propri dei mestieri che non tra gli antidotialla melanconia. Può trattarsi del tubo di un soffiatore di vetro (comeè illustrato nella famosa opera di g. agricola, De re metallica, Basel1556, nuova ed. tedesca 1928, p. 507; è un suggerimento che ci vieneda Schimangk di Amburgo), o, piú probabilmente, di un soffietto: que-st’ultima interpretazione, infatti, potrebbe trovare una conferma inun’espressione figurativa coeva, cioè nella xilografia di Hans Döring:(di cui parleremo più diffusamente in seguito), che deriva tutto il suoinstrumentarium dalla Melencolia I e mostra in effetti un soffietto (cfr.pp. 314 sgg.).

152 In precedenti occasioni abbiamo lasciata aperta la questione sesi trattasse di una macina da mulino o di una mola da arrotino, pur pro-pendendo, in considerazione degli affreschi del Salone (cfr. p. 192) perquest’ultima interpretazione. Siamo lieti di constatare che p. brandt,

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in «Die Umschau in Wissenschaft und Technik», vol. XXXII, 1928,pp. 276 sgg., e, per vie proprie, indipendentemente dalla bibliografiatecnica, w. blumenfeld, in «Idealistische Philologie», vol. III, 1927-1928, pp. 154 sgg., ora l’accettano.

153 Secondo il Bühler serviva a fondere il piombo con cui si salda-vano le giunture.

154 Cfr. l’incisione di Schongauer B91, oppure l’opera di jostamman, Eygentliche Besckreibung aller Stände auff Erden, Frankfurt1568 (nuova ed. München 1896), fol. H2.

155 L’argomento principale (addotto per primo da Giehlow) permetterlo in rapporto con operazioni d’alchimia si basa ancora sul fattoche maestri successivi, ad esempio Beham, il Maestro F. B. e Martende Vos hanno assegnato alla Melanconia attributi inconfondibilmentealchimistici, e che piú tardi ancora la personificazione dell’Alcymia incerti casi impugnava un paio di molle da camino (ad esempio la xilo-grafia del frontespizio dell’opera di g. gesner, Newe Jewell ol Health,London 1576). Il fatto che Ermete Trismegisto nella serie degli alchi-misti del De Vries (riprodotto in hartlaub, Geheimnis, p. 46) tengaun compasso non costituisce una prova né pro né contro, perché il com-passo lo tiene non in quanto specificamente alchimista, ma in generein quanto Ermete Trismegisto, che è anche cosmologo e astrologo, percui il suo secondo attributo è un astrolabio.

156 Cosí il giehlow 1904, p. 65. Inoltre il campanello, consideratonel senso del campanello degli eremiti che sempre era attribuito asant’Antonio, potrebbe alludere alla propensione del saturnino melan-conico alla solitudine; nel Mundus symbolicus di f. picinelli, Köln1687, XIV, 4, 23, un campanello ancora indica la solitudine, e quin-di, in significativa concordanza con le caratteristiche usuali del melan-conico, «anima a rebus materialibus, terrenis et diabolicis remota».D’altra parte la credenza che il suono delle campane possa allontanarele catastrofi naturali (cfr. w. gundel, in «Gnomon», ii, 1926, p. 292)presuppone le grandi campane delle chiese.

157 «Certa dimensio, quae ex caeli conversione colligitur» (macro-bio, Saturnalia, I, 8, 7; per questo cfr. il passo di Marziano Capella cit.p. 294, nota 22). Anche in un disegno di Luca di Leida (Lilla, MuséeWicar) la geometria è caratterizzata da una clessidra.

158 «Gram loquitur, Dia vera docet, Rhe verba colorat, | Mus canit,Ar numerat, Geo ponderat, As colit astra», pubblicato, ad esempio, inf. overbeck, Vorgeschichte und Jugend der mittel alterlichen Scholastik,ed. C. A. Bernoulli, Basel 1917, p. 29. Di fronte a questa prova e alfatto che le bilance non sono in alcun modo differenziate pittorica-mente dagli altri strumenti (dopo tutto, infatti, Dürer non era piú nellafase del manoscritto di Tubinga richiamato per confronto da sigridstrauss-kloebe, in «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst», nuova

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serie, ii, 1925, p. 58, in cui cose celesti e cose terrene erano mescola-te con intenzione deliberatamente umoristica), è difficile interpretarele bilance in senso astronomico, cioè come il segno zodiacale dell’esal-tazione di Saturno (cosí anche w. gundel, in «Gnomon», ii, 1925, p.293). Se tuttavia si vuole insistere nell’interpretazione astrologica, sipuò citare non solo il passo del Semifora ricordato dal Gundel, ma anchela tesi di Melantone, illustrata da warburg, Heidnisch-antike Weissa-gung cit., p. 529, secondo la quale «multo generosior est inelancholia,si coniunetione Saturni et Iovis in libra temperetur» (cosí ancheStrauss-Kloebe).

159 Dobbiamo anche ricordare una pagina quanto mai interessantedi una «Danza della Morte» del 1430 circa, in cui i soliti gruppi sonodisposti secondo le sette arti liberali (Monaco, Staatsbibliothek, Ms lat.3941, fol. 17V). Il giudice è anche subordinato alla geometria, ed èaccompagnato da figure con compasso, martello, cesoie, ecc. I testi chele accompagnano recitano: «Gewicht vn inass ler ich dich | des tzyrkelskunst die kenn ich», e «Rerum mensuras et earum signo figuras», e«Evclides der meyster an geometrey lert | Der handwerck kunst, zal,wag, hoh, tyeff, leng vn preyt».

160 Cfr. lo schizzo, datato 1514, per uno degli strumenti per dise-gnare in prospettiva nel libro IV, nel Libro di schizzi di Dresda, ed. R.Bruck, Strassburg 1905, tav. 135.

161 lf, Nachlass, pp. 181, 30 sgg.162 Ibid., p. 268, 12: «Will dorneben anzeigen, waraus die Zierd des

Hobels oder Drehwerks, das ist durch die gereden oder runden gema-cht werd». All’opinione del Bühler che nega che si intenda una sfera dilegno fatta al tornio, possiamo contrapporre la constatazione che Cra-nach, che guardava l’incisione con l’occhio di un contemporaneo, hadipinto le sfere in modo che risultino chiaramente di legno scuro. Nonvogliamo insistere su questo punto, però l’affermazione del Bühler chela sfera di Dürer, che in certo modo era stata il simbolo della geometriadai tempi di Marziano Capella, rappresenti la palla di un campanile oanche l’apice del Tempio del Santo Graal, la cui base sarebbe il rom-boide, è pura fantasia. Se si vuole insistere su questa interpretazione,si dovrebbe dimostrare come potesse reggersi un oggetto del genere.

163 Cfr. pp. 192 sgg.164 Egli appare per la seconda volta in aspetto di vecchio con una

gravina e uno specchio, però questa figura è opera di un restauratore.L’originale probabilmente occupava il riquadro che ora è occupato daun enorme angelo.

165 Riferimenti citati alle pp. 121 sgg., 177 sgg. e note relative.166 Cfr. g. fiocco, in «L’Arte», xviii, 1915, pp. 147 sgg. (anche g.

gronau, in «Pantheon», ii, 1928, p. 533), che individua un ritratto diDürer negli affreschi del Campagnola dipinti fra il 1505 e il 1510 nella

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Scuola del Carmine a Padova. Di recente, però, gli affreschi sono statiassegnati a una data posteriore, cfr. h. tietze, Tizian, Wien 1936, pp.68 sgg. Naturalmente il Campagnola può anche avere disegnato Dürera Venezia. Cfr. inoltre rupprich, Willibald Pirckheimer cit., passim, lecui conclusioni però sono troppo sbrigative in certi casi (cfr. la nota dia. wolf, in «Die graphischen Künste», nuova serie, I, 1936, p. 138).

167 dante, Convivio, II, 14, 230. Cfr. anche j. von schlosser, in«Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen der allerhöchsten Kai-serhauses», xvii, 1896, in particolare pp. 45 sgg.

168 Cfr. pp. 325 sgg.169 varrone, De lingua latina, V, 183.170 macrobio, Saturnalia, I, 22, 8.171 hauber, Planetenkinderbilder und Sternbilder cit, tav. xiii. Il ten-

tativo dello Hauber (p. 93) di interpretare il compasso come un ser-pente mal disegnato non ha bisogno di confutazione, in quanto lepunte color azzurro acciaio sono in chiaro contrasto con il legno scuro.

172 Ibid, tav. vii.173 Ibid., tav. xvi.174 l. reynmann, Natiuitet-Kalender, Nürnberg 1515, fol. D 11v.

«Saturnus der hüchst oberst planet ist mannisch, büs, kalt vnd trucken,ain veind des lebens vrind der natur. Ain bedeuter der münich, ain-siedel, claussner, der ser alten leut. Melancolici, hafner, ziegler, leder-gerber, Schwartzferber, permenter, der ackerleut, blayber, badreyber,Schlot-vnd winckelfeger, vnd alles schnüden volcks, die mit stinncken-den wasserigen vnsaubern dingen vmbgeen. Er bezaichet aus den kün-sten die Geometrei; die alten köstlichen vesten ding vnd werck derState vesst vnd hewser...» Anche qui è da rilevare la sopravvivenza dinozioni postelassiche, che vanno dall’assegnargli i monaci – sc≈mamonacik’n – e dalla caratteristica dell’ostilità alla vita – Saturno, diodella Morte! – alla contraddizione per cui egli è asciutto per naturaeppure simboleggia persone che hanno a che fare con cose acquatiche.Questo passo è segnato anche nelle note lasciate da Giehlow.

175 Cfr. anche pp. 350 sgg.176 Cfr. le Sette Arti Liberali di Virgil Solis, B123-29, o quelle di H.

S. Bebam, B121-27. Un’incisione di Christoff Murer (Cfr. panofsky,Hercules am Scheidewege cit., tav. 46, p. 101) dimostra come perfinola virtus di un Ercole al bivio potesse essere influenzata dalla Melan-conia di Dürer.

177 De conservanda bona valetudine (cit. p. 281, nota 28), fol. 120v,nell’edizione del 1551; fol. 121r nell’edizione del 1553; fol. 137r nel-l’edizione del 1554.

178 Per le sequenze dei temperamenti di Jacob I de Gheyn e Mar-ten van Heemskerck, nelle quali questa fusione è altrettanto evidente,cfr. pp. 371 su. e tavv. 147-48 e 53.

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179 Cfr. e. ehlers, Hans Döring, ein hessischer Maler des 16. Jahrhun-derts, Darmstadt 1919, pp. 14 sgg., con tavv. e un accenno al rappor-to con la Melencolia I, nonché alla xilografia di Beham; per l’attribu-zione di quest’opera (Pauli 904) a J. Pencz, cfr. h. röttinger, Die Holz-schnitte des Georg Pencz, Leipzig 1914, pp. 14 sgg.

180 Non siamo riusciti a scoprire né l’ampolla di borace di cui parlalo Ehlers, né il simbolo del piombo nel fumo che esce dal crogiolo.

181 «Grandaeuus ego sum tardus ceu primus in Orbe | omnia con-stemens quae jam mihi fata dedere | falce mea, ne nunc in me Mavor-tius heros | bella ciet: loca tuta meis haec artibus usus | circumfossaiacent, sed tu qui castra moliris | valle sub angusta circundare. Respi-ce, quaeso, | ordine quo posset fieri; puer ille docebit: | hoc beo quosgenui ingenio, hac uirtute ualebunt».

182 Cit. in w. ahrens, Das magische Quadrat, in «Zeitschrift für bil-dende Kunst», nuova serie, xxvi, 1915, p. 301. Anche il Vasari (cfr.p. 361) afferma che gli strumenti che si vedono nell’incisione düreria-na della Melanconia «riducono l’uomo e chiunque gli adopera, a esse-re malinconico».

183 Monaco, Staatsbibliothek, Ms lat. 10 544; il capitolo su Satur-no, fOll. 2.9IV S99. Con questo cfr. Histoire littéraire de la France, vol.XXIX, Paris 1885, p. 309; thorndike, A History of Magic and Expe-rimental Science cit., vol. II, p. 868; e Dictionnaire de théologie catholi-que, vol. IX, 1926-1927, col. 1107. Del passo di Lullo esiste una tra-duzione catalana in un frammento del British Museum Ms Add. 16434,foll. 8v sgg.

184 Cfr. le affermazioni di Abû Ma‘∫ar e Alcabizio, cit. pp. 122 sg.185 «Et a longo accipiunt per ymaginacionem, que cum melancolia

maiorem habet concordiam quam cum alia compleccione. Et ratioquare melancolia maiorem habet proporcionern et concordiam cumymaginacione quam alia compleccio, est quia ymaginacio consideratmensuras, lineps et figuras et colores, que melius cum aqua et terraimprimi possunt, quoniam. habent materiam magis spissam quam igniset aer».

186 Etica Nicomachea, 1150 b25; e soprattutto Problemi, XI, 38;entrambi cit. sopra, p. 32.

187 enrico di gand, Quodlibeta, Parigi 1518, fol. xxxivr (quodl. II,quaest. 9): «Qui ergo non possunt angelum intelligere secundum ratio-nem substantiae suae,... sunt illi, de quibus dicit Conimentator supersecundum Metaphysicae: in quibus virtus imaginativa dominatur supervirtutem cognitivam. Et ideo, ut dicit, videmus istos non crederedemonstrationibus, nisi imaginatio concomitet eas. Non enim possuntcredere plenum non esse aut vacuum aut tempus extra mundum. Nequepossunt credere hic esse entia non corporea, neque in loco neque intempore. Primum non possunt credere, quod imaginatio eorum non stat

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in quantitate finita; et ideo mathematicae imaginationes et quod estextra coelum videntur eis infinita. Secundum non possunt credere, quiaintellectus eorum non potest transcendere imaginationem... et nonstat nisi super magnitudinem aut habens situm et positionem in magni-tudine. Propter quod, sicut non possunt credere nec concipere extranaturam universi, hoc est extra mundum, nihil esse (neque locunineque tempus, neque plenum neque vacum)... sic non possunt credereneque concipere hic (hoc: est inter res et de numero rerum universi,quae sunt in universo) esse aliqua incorporea, quae in sua natura etessentia carerent onini ratione magnitudinis et situs sive positionis inmagnitudine. Sed quicquid cogitant, quantum est aut situm habens inquanto (ut punctus). Unde tales melancholici sunt, et optimi fiuntmathematici, sed pessimi metaphysici, quia non possunt intelligentiamsuam extendere ultra situm et magnitudinem, in quibus fundanturmathematicalia». Il «Commentator super secundum Metaphysicae»(vol. II, A ùlßttwn , cap. iii) è, naturalmente, Averroè, che in effettiparla letteralmente di coloro «in quibus virtus imaginativa dominatursuper virtutem cogitativam, et ideo videmus istos non credere demon-strationibus, nisi imaginatio concomitet eas, non enim possunt crede-re», ecc., fino a «incorporea» (vol. VIII, fol. 17r dell’edizione com-mentata di Aristotele, Venezia 1552). Però in Averroé questa defini-zione non si riferisce ai matematici, ma alla variante piú poetica del tipoimmaginativo, cioè coloro che «quaerunt testimonium Versificatoris»prima di credere a una qualsiasi cosa; e non vi si fa cenno della melan-conia (tranne che nell’affermazione che alcuni diventano tristi di fron-te a un «sermo prescrutatus» perché non riescono a ritenerlo e ad assi-milarlo). Il concetto essenziale in questo passo deve quindi ritenersiproprio di Enrico di Gand.

188 È significativo che ora anche l’artista ami rappresentare se stes-so col compasso in mano; cfr. a. altdorfer, in «Gazette desBeaux-Arts», liii, I, 1911, p. 113.

189 lf, Nachlass, p. 285, 9.190 «Omnia in mensura, et numero, et pondere disposuisti». Paral-

leli platonici si ritrovano nella Repubblica, 602e, e soprattutto nel File-bo, 55e: «Oèon pasÒn pou tecnÒn ©n tij ¶riqmhtik¬n cwràzh kaã-metrik¬n kaã statik¬n, Èj †poj eápeén fa„lon t’ kataleip’menonúkßsthj ¨n gàgnoito». Nell’illustrazione del famoso passo della Bib-bia, Dio Padre è spesso raffigurato nel Medioevo come l’architetto delmondo, che impugna un compasso. Questo tipo è prefigurato in formasimbolica e abbreviata nei Vangeli Eadwi (Hannover, Kestner-Museum, inizi dell’xi secolo; Cfr. h. gilaeven, in «Zeitschrift deshistorischen Vereins für Niedersachsen», 1901, p. 294, dove però ilcompasso non è identificato come tale); l’immagine ritorna un po’ piútardi, ed in forma molto simile, nello stesso ambiente artistico, come

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una figura cosmologica a piena altezza (Londra, Brit. Mus., Ms Cot-ton Tiberius C VI, fol. 7. Altre raffigurazioni di Dio Padre con com-passo e bilance sono: 1) un salterio inglese del 1200 circa, Parigi, Bibl.Nat., Ms lat. 8846 (riprodotto come italiano da a.-n. didron, Icono-graphie chrétienne: histoire de Dieu, Paris 1843, p. 600); 2) Montpellier,Bibliothèque de l’Université, Ms 298, fol. 300 (inedita; Hanns Swar-zenski mi ha cortesemente segnalato questa miniatura); 3) l’affresco diPiero di Puccio nel Camposanto di Pisa (riprodotto da l. baillet, in«Fondation Eugène Piot, Monuments et Mémoires», vol. XIX, 1911,p. 147, con un sonetto che cita parola per parola la Sapienza, XI, 21);4) (qui Dio Padre è sostituito da una personificazione del cosmo!) laxilografia del frontespizio della Philosophia naturalis di Alberto Magnonelle edizioni di Brescia e Venezia rispettivamente del 1493 e 1496(f.-v. massena d’essling, Les livres à figures vénitiens, vol. II, t. I, Firen-ze 1908, p. 291). Molto piú spesso incontriamo Dio Padre che disegnail mondo col compasso, però senza le bilance, e questo è tipico dellaBible moralisée, e forse ha avuto origine nel suo ambito: a. de labor-de, Etude sur la Bible moralisée illustrée, Paris 1911-27, tav. i (cfr. lanostra tav. 115); cfr. anche id., Les manuscrits à peintures de la Cité deDieu cit., tav. vi; martin, La miniature française du 13e au 15e siècle cit.,tavv. 34 e 74; g. richert, Mittelalterliche Malerei in Spanien, Berlin1925, tav. 40; Londra, Ms Royal 19. D. III, fol. 3 (del 1411-12), ripro-dotto in e. g. millar, Souvenir de l’exposition de manuscrits français àpeintures.... Paris 1933, tav. 43; l’Aia, Kgl. Bibl., Ms 78D. 43, fol. 3;Parigi, Bibl. Sainte-Geneviève, Ms 1028, fol. 14, riprodotto in «Bul-letin de la Société française de reproductions de manuscrits à peintu-res», v, 1921, tav. xxxvii; Bruxelles, Ms 9004, fol. i; Parigi, Arsenal647, fol. 77; Parigi, Bibl. Nat., Ms fr. 247, fol. i (p. durrieu, Les anti-quités judaïques.... Paris 1907, tav. i); e anche in xilografie singole co-me quella in heitz, Einblattdrucke des 15. Jahrhunderts cit., vol. XL, n.24. Dio o la Mano di Dio, con le bilance ma senza compasso, sempli-cemente come simbolo della giustizia, compare ad esempio nel Salteriodi Stoccarda, ed. E. De Wald, Princeton 1930, foll. 9v, 17v, 166v,anche, con un significato cosmologico, su un fonte battesimale, chesembra inedito, del Musée Lapidaire di Bordeaux.

191 lf, Nachlass, p. 316, 24.192 Per questa nozione di arte, Cfr. e. panofsky, Dürers Kunsttheo-

rie, Berlin 1915, pp. 166 sgg.; e id., in «Jahrbuch für Kunstwissen-schaft», 1926, pp. 190 sgg.

193 lf, Nachlass, p. 181, 1 e soprattutto pp. 207,35 sgg .194 Ibid., p. 282,13.195 Ibid., p. 230,17 (cfr. anche la frase, citata sopra, da p. 228, 25,

e i disegni preliminari come quelli alle pp. 218, 22 e 356, 20). Da que-sti e altri passi risulta chiaro che le espressioni Gewalt, gewaltig e

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gewaltsam (in genere tradotte con ingenium, potentia e peritus nella tra-duzione latina di J. Camerarius) non sono in opposizione alle nozionidi Verstand, rechter Grund, Kunst, ecc., che sottolineano gli aspettirazionali del risultato artistico, ma li includono. Nella traduzione ibid.,p. 221, 8 l’espressione gewaltsame Künstler è resa con potentes intellec-tu et manu. Però la forma derivata gewaltiglich (ibid., p. 180, 16), pro-prio perché è una forma derivata, porta in sé qualcosa di seconda manoe viene a essere opposta alle nozioni di Besonnenheit e rechte Kunst:«Gewaltiglich aber unbedächtlich» è reso in latino con «prompte [nonperite], sed inconsiderate».

196 Ibid., pp. 295, 9, e 297, 19.197 Ibid., p. 283, 4; cfr. anche p. 285, 5.198 Ibid., p. 230, 5; cfr. anche p. 231, 3.199 c. ravaisson-mollien, Les manuscrits de Léonard de Vinci, Paris

1881, Ms J. fol. 130r. Cfr. anche j. p. richter, The Literary Works ofLeonardo da Vinci, London 1883, § 19.

200 lf, Nachlass, p. 230, 33.201 Ibid., i.202 Per contra Hendrik Goltzius mostra una felice e attiva associa-

zione di Ars e Usus nella sua incisione Biii riprodotta in e. panofsky(in «Jahrbuch für Kunstwissenschaft», 1926, tav. ii), in cui l’Ars figu-ra come maestra e guida dell’Usus.

203 Ci siamo ora convertiti, sia pure per ragioni differenti, all’opi-nione di H. Wölfflin, secondo cui il putto non è «un pensatore inminiatura» ma «un bambino che scarabocchia» (Die Kunst AlbrechtDürers cit., p. 256). Per questo rispetto è anche importante che Dürerabbia dato un colorito piú specificamente infantile all’attività del puttosostituendo gli strumenti matematici con la lavagna. Il motivo, com’e-ra inteso in origine, come lo si vede nell’incisione del Maestro A. C.,avrebbe costituito un parallelo anziché un contrasto. In effetti ci sonoesempi in cui si vede che un putto intento ad armeggiare con strumentimatematici può significare proprio l’opposto del semplice Usus; cfr. adesempio la xilografia di Hans Döring (cfr. p. 314), nonché un’incisio-ne nella Teutsche Akademie di Joachim Sandrart (nuova ed. a cura diA. R. Peltzer, München 1925, p. 307), in cui si vede un putto con rigae compasso, circondato da altri strumenti matematici, con la scritta«Ars», «Numerus», «Pondus», «Mensura». Il «puer docens» di HansDöring costituisce una sorta di Gegenprobe in favore della nostra inter-pretazione del putto di Dürer, in quanto, benché derivato da quello diDürer, non tiene una lavagna, ma il libro e il compasso della figura prin-cipale, e anziché essere tutto intento a scribacchiare, ha assunto la posapensosa della figura adulta. Il putto di Dürer poteva trasformarsi dapersonificazione della mera Pratica in un essere che impersonava l’Ar-te solo assumendo gli attributi e gli atteggiamenti della Melanconia.

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D’altra parte le interessanti variazioni sul numero quattro di PaulFlindt (Quatuor monarchiae, Partes mundi, ecc., ed. Paul Flindt, Niirn-berg 1611, n. 12) mostrano il contrasto tra «Arte» e «Pratica» median-te due putti, uno dei quali, tutto intento ad armeggiare con un cesel-lo, è definito come «phlegmaticus», l’altro, ancora memore di Dürer,come «melancholicus» (cfr. anche p. 10 e p. 355, nota 9).

204 Un’altra interpretazione del putto, cortesemente sottopostaci daG. F. Hartlaub, però a nostro avviso non del tutto convincente, verràdiscussa piú avanti a proposito della raffigurazione della melanconia diLucas Cranach (cfr. pp. 357 sgg.).

205 Pictorum aliquot celebrium... effigies, pubblicato per la primavolta all’Aia intorno al 1610.

206 La gru assegnata al putto di destra era simbolo della vigilanza giànella tarda antichità; il gallo sulla sinistra (vicino al putto) simboleggiala sollecitudine o l’assiduità strettamente connesse con la vigilanza(cfr. ad esempio cesare ripa, Iconologia cit., s. v. «Vigilanza» e «Sol-lecitudine»).

207 Un’allegoria di contenuto analogo si trova nel frontespizio inci-so di Varie Figure Academiche... messe in luce da Pietro de Jode, Antwer-pen 1639. A sinistra c’è il Disegno, un bel giovane con uno specchio eil compasso, a destra il Labore, un contadino che vanga; in alto, Hono-re cinto, della corona d’alloro della Fama e con la cornucopia dell’A-bondança. La scritta dice: «Door den arbeyt en door de Teeken-const| Comt menich aen cer en S’princen ionst». Un altro esempio, altret-tanto vivace, delle allegorie della Teoria e della Pratica è il frontespi-zio inciso dell’Universa astrosophia naturalis di A. F. de Bonnattis,Padova 1687: in alto regna la vittoriosa Maiestas Reipublicae Venetae,a sinistra c’è un’incamazione di Contemplatione et Iudicio costituita dauna figura giovanile idealizzata con astrolabio e compasso, a destra unapersonificazione di Ratione et Experimento, rappresentata sotto formadi Mercurio.

208 Per questa nozione cfr. k. mannheim, Beiträge zur Theorie derWeltanschauungsinterpretation, in «Jahrbuch für Kunstgeschichte» (già«Jahrbuch der k. k. Zentralkommission»), i, 1921-1922, pp. 236 sgg.;ai nostri fini ci è sembrato necessario sostituire il termine «significatorappresentativo» che il Mannheim inseriva tra «significato espressivo»e «significato documentario» col termine «significato concettuale».

209 Cfr. pp. 337 sgg.210 ficino, De v. tripl., I, 4 (Opera, p. 497): «Maxime vero literato-

rum omnium hi atra bile premuntur, qui sedulo philosophiae studiodediti, mentem a corpore rebusque corporeis sevocant, incorporeisqueconiungunt».

211 Nel libro I, cap. 2, il Ficino insiste esplicitamente e con note-vole orgoglio sul contrasto fondamentale tra quelli che egli chiama

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«Musarum sacerdotes» e tutte le altre professioni, anche artistiche: «...sollers quilibet artifex instrumenta sua diligentissime curat, penicillospictor, malleos incudesque faber aerarius, miles equos et arma, vena-tor canes et aves, citharam citharoedus, et sua quisque similiter. Solivero Musarum sacerdotes, soli summi boni veritatisque venatores, tamnegligentes (proh nefas) tamque infortunati sunt, ut instrumentumillud, quo mundum universum metiri quodammodo et capere possunt,negligere penitus videantur. Instrumentum eiusmodi spiritus ipse est,qui apud medicos vapor quidam sanguinis purus, subtilis et lucidus defi-nitur».

212 Cfr. pp. 249 sgg.213 Per le citazioni cfr. pp. 255-56.214 pico della mirandola, Apologia (Opera, Basel 1572, vol. I, p.

133): «Qui ergo non possunt angelum intelligere secundum rationemsubstantiae suae, ut unitatem absque ratione puncti, sunt illi de qui-bus dicit Commentator super secundo Metaphysicae, in quibus virtusimaginativa dominatur super virtutem cogitativam, et ideo, ut dicit,videmus istos non credere demonstrationibus, nisi imaginatio eos comi-tetur; et quicquid cogitant, quantum est aut situm habens, in quantout punctus; unde tales melancholici sunt, et optimi fiunt mathematici,sed sunt naturales inepti. Haec Henricus ad verbum; ex quibus sequi-tur, quod secundum Henricurn iste magister sit male dispositus ad stu-dium philosophiae naturalis, peius ad studium Metaphysicae, pessimead studium. Theologiae, quae etiam est de abstractioribus: relinquiturergo ei solum. aptitudo ad Mathematica...» Cfr. anche m. palmieri,Città di vita, I, 12, 48 (ed. M. Rooke, Northampton [Mass.] 1926-27,p. 59), dove gli edifici che figurano nel mondo di Saturno e i loro archi-tetti sono descritti come segue: «Tutto quello è nel mondo ymaginato| per numeri o linee o lor facture | convien che sia da questa impres-sion dato. || Fanno architetti queste creature, | mathematici sono &fanno in terra | & altri in ciel lor forme & lor figure». Per inciso, l’e-quazione Saturnus = Imaginatio si trova anche in uno degli schemi delbovillus, Liber de sapiente, cap. ix (ed. R. Klibansky, in cassirer, Indi-viduum und Kosmos cit., pp. 326 sgg.) però si tratta di una costruzio-ne troppo particolare perché se ne discuta qui: consiste in una analo-gia tra i sette pianeti e le facoltà mentali per cui il Sole equivale allaRatio mentre gli altri sei pianeti corrispondono ognuno a uno strumentodella materialis cognitio.

215 Sappiamo, ad esempio, che sia Contad Peutinger di Augusta siaHartmann Schedel di Norimberga avevano una copia dell’Apologia diPico nella loro biblioteca (e. könig, Peutingerstudien, Freiburg im Brei-sgau 1914, p. 65).

216 Interpretazioni come Melencholia, i («Vattene, Melanconia») oMelancolia iacet («La Melanconia giace a terra», cosí in «Mitteilungen

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des Reichsbundes deutscher Technik», 1919, n. 47, 6 dicembre) nonmeritano una confutazione. Piú recente ma altrettanto insostenibile èl’opinione di e. büch, in «Die medizinische Welt», vol. VII, 1933, n.2, secondo cui l’incisione di Dürer sarebbe stata ispirata da una visio-ne profetica di un’epidemia di peste (benché non si abbia notizia diun’epidernia nel 1514, o perlomeno non a Norimberga), e il numero Istarebbe a indicare il primo stadio della malattia.

217 Al pari di Allihn, Thausing e Giehlow, anche noi in un primotempo pensavamo che l’incisione di Dürer volesse essere la prima tavo-la di una serie dei temperamenti. Le difficoltà che tale ipotesi com-portava non ci erano sconosciute, poiché ci rendevamo conto che sareb-be stato quanto mai insolito cominciare la serie con la Melanconia; eche non sarebbe stato possibile trovare nomi perfettamente corrispon-denti per gli altri temperamenti (cfr. Dürer’s «Melencolia I», pp. 68 e142; cfr. anche wölfflin, Die Kunst Albrecht Dürers cit., p. 253): nota-vamo inoltre che gli artisti sotto l’influenza di Dürer, che hanno rea-lizzato una serie completa dei temperamenti, sono tornati, per essereprecisi, alla descrizione del melancolicus e hanno assegnato a questomelancolicus la terza o quarta posizione nella serie. Gerard de Jode nellasua serie dei temperamenti derivata da Marten de Vos, che è indipen-dente da Dürer, opera in un altro modo per allineare il termine melan-cholia con quelli che indicano gli altri temperamenti, cioè lo tratta, peranalogia con l’uso greco, come la descrizione di un vero e proprioumore, un equivalente di cholera nigra o atra bilis, e in questo modo lomette insieme a sanguis, cholera, e phlegma; però anche in questo casola melanconia occupa il terzo posto, non il primo. Stando cosí le cose,però, l’altra opinione, che postula il progetto di una Melencolia II comeraffigurazione della malattia, o meglio della pazzia (wölfflin, DieKunst Albrecht Dürers cit., p. 253; e in «Jahrbuch für Kunstwissen-schaft», 1923, p. 175; cfr. anche borinski, Die Antike in Poetik undKunsttheorie cit., vol. I, pp. 165 e 296 sgg.), ci sembra ancor menoaccettabile e non riusciamo a immaginare una raffigurazione dellamelancholia adusta tale da costituire un pendant dell’incisione düreria-na cosí come si vede. Per una simile rappresentazione, data la dottri-na universalmente nota delle «quattro forme», resterebbero apertedue possibilità. O tutte e quattro le sottospecie della pazzia melanco-nica, cioè la melanconia ex sanguine, ex cholera, ex phlegmate ed exmelancholia naturali, avrebbero potuto essere combinate in un’unicaimmagine generale – che avrebbe finito con l’essere un’orribile raccol-ta di scene di manicomio senza alcun punto di contatto, né come con-tenuto né come forma, con la Melencolia I (dimostreremo nell’Appendi-ce II, p. 378, che la tanto discussa incisione B70 può fornirci un’ideadi come sarebbe riuscita una raccolta delle quattuor species melancho-liae adustae) – oppure l’unica analogia reale, cioè la melancholia ex

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melancholia naturali, avrebbe dovuto essere scelta tra le quattro formepatologiche, e in questo caso difficilmente si sarebbe potuto metterein evidenza il contrasto psicologico voluto. Chiunque è d’accordo chela donna alata dell’incisione, benché esprima la melancholia naturalisdell’uomo mentalmente creativo, è in quel momento sopraffatta da unaccesso di depressione in cui la bile nera ha preso talmente il soprav-vento che, per usare le parole del Ficino, l’anima «troppo pro-fondamente presa nella depressione saturnina e oppressa da cure» (fici-no, De v. tripl., II, 16; Opera, p. 523), «evadit tristis, omnium, per-taesa» (A. P. T. Paracelsi Opera omnia, Genève 1658, vol. II, p. 173);la depressione differisce dallo stato patologico della melancholia exmelancolia naturali adusta solo per la sua natura passeggera (cosí anchewölfflin, Die Kunst Albrecht Dürers cit., pp. 252 sgg.).

218 Questa possibilità fu considerata dallo hartlaub, Geheimnis, pp.79 sgg. Egli giustamente critica l’interpretazione secondo cui il nume-ro I indicherebbe l’inizio di una serie dei temperamenti, però sfuggeper la tangente introducendo l’idea massonica dei gradi di apprendi-sta, operaio, maestro (i due ultimi espressi forse nelle incisioni düre-riane del Cavaliere, la Morte e il Diavolo e del San Girolamo). Ma ciòche secondo Hartlaub (ibid., p. 42) manca, cioè «la prova letteraria diuna corrente divisione tripartita dello sviluppo satumino», si ha abbon-dantemente nell’Occulta Philosophia, una fonte tedesca, va notato,mentre non c’è prova alcuna di rapporti con idee massoniche.

219 Su di lui, cfr. p. zambelli, A proposito del «De vanitate scientia-rum et artium» di Cornelio Agrippa, in «Rivista critica di storia della filo-sofia», 1960, pp. 167-81.

220 giehlow 1904, pp. 12 sgg.221 «Addidimus autem nonnulla capitula, inseruimus etiam pleraque,

quae praetermittere incuriosum videbatur».222 La dedica, in una forma leggermente diversa, fu utilizzata nel-

l’introduzione all’edizione a stampa, come lo fu anche la risposta di Tri-temio dell’8 aprile 1510. Il manoscritto dell’edizione originale (cit., p.303, nota 7) presenta una scritta secentesca: «Mon. S. Jacobi» allaprima pagina (Tritemio, è noto, era l’abate di questo monastero), e Tri-temio stesso scrisse sul margine di destra della copertina anteriore:«Heinricus Cornelius Coloniensis de magia». Cfr. j. bielmann, Zu einerHds. der «Occulta philosophia» des Agrippa von Nettesheim, in «Archivf. Kulturgesch.», vol. XXVII, 1937, pp. 318-24.

223 «Contigit autum postea, ut interceptum opus, priusquam illi sum-mam manum imposuissem, corruptis exemplaribus truncum et impoli-tum circumferretur atque in Italia, in Gallia, in Germania per multo-rum manus volitaret». Il ritardo nel farne uscire un’edizione a stampaprobabilmente fu dovuto soprattutto alla paura di persecuzioni cleri-cali; lo stesso Tritemio in forma cortese ma ferma lo sconsigliò di pub-

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blicarlo: «Unum hoc: tamen te monemus custodire praeceptum, utvulgaria vulgaribus, altiora vero et arcana altioribus atque secretis tan-tum communices amicis».

224 Che fra Tritemio e Pirckheimer esistessero rapporti negli anniin questione (1510-15), rapporti nei quali anche le cose occulte aveva-no una loro parte, si può vedere da alcune lettere, la cui conoscenzadobbiamo all’archivista E. Reicke: P. a T., i luglio 1507, e T. a P.,18 luglio 1507 (giovanni tritemio, Epistolarum familiarum libri duo,probabilmente Hagenau 1536, pp. 279-81 e Monaco, Staatsbibliothek,Ms lat. 4008, fol. ii). P. a T., 13 giugno 1515 (relativa a un’opera diTritemio contro la magia), segnalata da o. clemen, in «Zeitschrift fürBibliothekswesen», vol. XXXVIII, 1921, pp. 101 sgg.

225 Questa differenza tra le due edizioni dell’Occulta philosophia èovviamente un sintomo vitale dello sviluppo che aveva conosciuto l’u-manesimo nordico tra il 1510 e il 1530. H. Meier si proponeva di dareun’edizione del manoscritto di Würzburg, il che avrebbe facilitato unapprezzamento storico della sua scoperta.

226 L’edizione a stampa occupa uno spazio che è quasi tre volte quel-lo della versione originale, anche tralasciando il libro IV che è apocrifo.

227 Cfr. p. 333, nota 46 e pp. 335 sgg.228 I, 29, fol. 22V.229 Cfr. p. 252.230 I, 5. Una deliziosa illustrazione di questa dottrina della prefor-

mazione si ha in una miniatura a Vienna, Nationalbibliothek, Cod.Phil. gracc. 4 (h. j. hermann, in «Jahrbuch der kunsthistorischenSammlungen des allerhöchsten Kaiserhauses», vol. XIX, 1898, tav. vi,p. 166), in cui le «idee» di persone e animali sono vivacemente raffi-gurate come legate con raggi alle loro parti corrispondenti terrene.

231 Cosí il già ricordato sacrificio a Saturno (cfr. p. 303, nota 8).232 Le correlazioni coi pianeti (per quanto riguarda quelle che si rife-

riscono a Saturno, cfr. lo stesso rimando) sono fornite ai capp. 16-23(nel cap. A si aggiunga questa frase tratta dal Ms fol. 15v: «ConferuntSaturnalia ad tristitiam et melancoliam, jovialia ad leticiam et dignita-tem»). Le zone governate dai diversi pianeti sono elencate al cap. 46,fol. 36v, in termini astrologici, però con un nuovo, ficiniano, signifi-catò, mentre il cap. 45, fol. 35v, contiene le caratteristiche mimiche efacciali dei figli dei pianeti, il cui comportamento trae origine e nellostesso tempo ricorda l’influenza della stella di cui si tratta: «Sunt proe-terca gestus Saturnum referentes, qui sunt tristes ac moesti, planctus,capitis ictus, item religiosi, ut genuflexio aspectu deorsum fixo, pec-toris ictus vultusque consimiles et austeri, et ut scribit satyricus:«Obstipo capite et figentes lumina terra, | Murmura cum secum etrabiosa silentia rodunt | Atque exporrecto trutinantur verba palato»».

233 Così, ad esempio, una persona può calmare o rattristare altri per

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suggestione, in quanto è piú forte «in ordine Saturnali» (I, 43, fol.33v), o per autosuggestione evocare l’aiuto di Saturno contro l’amore,o quello di Giove contro la paura della morte (I, 43, fol. 44r).

234 II, 1-3.235 II, 4-16.236 II, 17-19. Il cap. 30 ricorda brevemente figure geometriche, attri-

buendo la loro efficacia a rapporti numerici; abbiamo già detto (p. 307,nota 22) che i quadrati planetari ancora mancano.

237 II, 31.238 II, 32-33.239 II, 34-38. La preghiera a Saturno (cap. 37, foll. 70V-71r) suona

così: «Dominus altus magnus sapiens intelligens ingeniosus revolutorlongi spatii, senex magne profunditatis, arcane contemplationis auctor,in cordibus hominum cogitationes magnas deprimens et vel imprimens,vim et potestatem subuertens, omnia destruens et conseruans, secre-torum et absconditorum ostensor et inuentor, faciens arnittere et inue-nire, auctor vite et mortis». Nell’edizione a stampa (11, 59, p. 205)questa polarità che abbiamo visto presente perfino in Alano di Lilla(cfr. pp. 173-74), si nota altrettanto chiaramente («Vim et potestatemsubvertentem et constituentem, absconditorum custodem et ostenso-rem»).

240 II, 49.241 II, 50-58.242 III, i, fol. 84r.243 III, 29, fol. 103r-v.244 III, 1-6.245 III, 7-10. I daemones medii che abitano nelle sfere corrispondo-

no da un lato alle nove Muse (cfr. marziano capella, Nuptiae Philo-giae et Mercurii, I, 27-28, ed. A. Dick, p. 19); dall’altro, a certi angeli;è tipico della sopravvivenza della mitologia antica che lo spirito di Mer-curio venisse identificato con Michele, che aveva assunto tante dellefunzioni di Ermete Psicopompo, mentre lo spirito della virginale deadella nascita, Luna-Artemide, fu identificato con Gabriele, l’angelo del-l’Annunciazione. Non possiamo addentrarci qui nella dernonologia diAgrippa o analizzarne la cosmologia e l’interessantissima psicologiacontenute nei capitoli III, 16-29.

246 III, 29, fol. 103r-v.247 III, 30, fol. 104r. «Illapsiones vero eiusmodi... non transeunt in

animam nostram, quando illa in aliud quiddam attentius inhians estoccupata, sed transeunt, quando vacat».

248 III, 38.249 III, 37.250 III, 31-36.251 III, 33-36.

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252 Per la dottrina della vacatio animae e la possibilità che questa siaprovocata dalla melanconia, cfr. ad esempio, ficino, Theologia Plato-nica de immortalitate animorum, libro XIII, 2 (Opera, vol. I, p. 292).

253 III, 31, foll. 104r sgg. (i nomi propri sono corretti nella tradu-zione): «Furor est illustratio anime a diis vel a demonibus proveniens.Unde Nasonis hoc carmen: «Est deus in nobis, sunt et commercia celi;| Sedibus ethereis spiritus ille venit». Huius itaque furoris causam, queintra humanum corpus est, dicunt philosophi esse humorem melanco-licum, non quidem illum, qui atra bilis vocatur, qui adeo prava horri-bilisque res est, ut impetus eius a phisicis ac medicis ultra maniam quaminducit eciam malorum demonum obsessiones afferre confirmatur.Humorem igitur dico melancolicum, qui candida bilis vocatur et natu-ralis. Hic enim quando accenditur atque ardet, furorem. concitat adsapientiam nobis vaticiniumque conducentem, maxime quatenus con-sentit cum influxu aliquo celesti, precipue Saturni. Hic enim cum ipsesit frigidus atque siccus, qualis est humor melancolicus, ipsum quoti-die influit, auget et conservat; preterea cum sit arcane contemplatio-nis auctor ab omni publico negocio alienus ac planetarum altissimus,animam ipsam tum ab externis officiis ad intima semper revocat, tumab inferioribus ascendere facit, trahendo ad altissima scientiasque acfuturorum presagia largitur. Unde inquit Aristoteles in libro proble-matum ex melancolia quidam facti sunt sicut diuini predicentes futu-ra ut Sibille et Bachides, quidam facti sunt poete ut Malanchius Sira-cusanus; ait preterea omnes viros in quauis scientia prestantes ut plu-rimurn extitisse melancolicos, quod etiam Democritus et Plato cum Ari-stotele testantur confirmantes nonnullos melancolicos in tantum pre-stare ingenio, ut diuini potius quam humani videantur. Plerunqueetiam videmus homines melancolicos rudes, ineptos, insanos, qualeslegimus extitisse Hesiodum, Jonem, Tymnicum Calcidensem, Home-rum et Lucretium, sepe furore subito corripi ac in poetas bonos eua-dere et miranda quedam diuinaque canere etiam que ipsimet vix intel-ligant. Unde diuus Plato in Jone, ubi de furore poetico tractat: «Ple-rique, inquit, vates, postquam furoris remissus est impetus, que scri-pserunt non satis intelligunt, cum tamen recte de singulis artibus infurore tractauerunt, quod singuli harum artifices legendo diiudicant»».È quanto mai evidente che Agrippa segue il Ficino.

254 III, 32, fol. 105r: «Tantum preterea est huius humoris imperiumut ferant suo impetu eciam demones quosdam in nostra corpora rapiquorum presentia et instinctu homines debachari et mirabilia multaeffari. Omnis testatur antiquitas et hoc sub triplici differentia iuxta tri-plicem anime apprehensionem, scilicet imagiatiuam, rationalem et men-talem; quando enim anima melanconico humore vacans tota in imagi-nationem transfertur, subito efficitur inferiorum demonum habitacu-lum, a quibus manualium artium sepe miras accipit rationes; sic vide-

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mus rudissimuni aliquem hominem sepe in pictorem vel architectoremvel alterius cuiusque artificii subtilissimum subito cuadere magistrum;quando vero eiusmodi demones futura nobis portendunt, ostenduntque ad elementorum turbationes temporumque vicissitudines attinent,ut videlicet futuram tempestatem, terremotum vel pluuiam, item futu-ram mortalitatem, famem, vel stragem et ciusmodi. Sic legimus apudAulum Gellium Cornelium sacerdotem. castissimum eo tempore quoCesar et Pompeius in Thessalia confligebant, Pataui furore correptumfuisse, ita quod et tempus et ordinem et exitum pugne viderat. Quan-do vero anima tota in rationem conuertitur, mediorum demonum effi-citur domicilium. Hinc naturalium rerum humanarumque nancisciturscientiam atque prudentiam. Sic videmus aliquando hominem aliquemsubito in philosophum vel medicum vel oratorem egregium evadere; exfuturis autem ostendunt nobis que ad regnorum mutationes et seculo-rum restitutiones pertinent, quemadmodum Sibilla Romanis vaticina-ta fuit. Cum vero anima tota assurgit in mentem, sublimium demonumefficitur domicilium, a quibus arcana ediscit divinorum, ut videlicet Deilegem, ordines angelorum et ea que ad eternarum rerum cognitionernanimarumque salutem pertinent; ex futuris vero ostendunt nobis, utfutura prodigia, miracula, futurum prophetam vel legis mutationem,quemadmodum Sibille de Jesu Christo longo tempore ante aduentumeius vaticinate sunt, quem quidem Vergilius spiritu consimili iam pro-pinquum intelligendo Sibille Cumane reminiscens cecinit: «UltimaCumei venit iam carminis etas; | Magnus ab integro seculorum nasci-tur ordo, | Iam redit et virgo, redeunt Saturnia regna; | Iam noua pro-genies celo dimittitur alto»».

255 I capitolo III, 39-56, che seguono la parte del somnium, espon-gono e spiegano ciò che si richiede dal mago quanto a purezza, opera-zioni rituali, nomina sacra, ecc., mentre l’ultimo capitolo (III, 57) tentadi definire la distinzione fra religio e illecita superstitio, quest’ultimalimitandosi, logicamente, all’applicazione dei sacramenti a oggettiimpropri, ad esempio, la scomunica di vermi dannosi o il battesimo distatue. I capitoli III, 30-38 costituiscono quindi veramente il cuore ditutto. Fino a che punto questa struttura complessiva sia stata smem-brata nell’edizione a stampa lo si può vedere dal fatto che i due capi-toli sulla melanconia sono stati contratti, con mutamenti di poco conto,in un’unica parte e collocati nel libro I (60), dopo il cap. 59, sul som-nium, che a sua volta è preceduto da un capitolo sui casi di presuntaresurrezione dalla morte e fenomeni di stimmate come pure da un capi-tolo sulla geomanzia che prima si trovava nel libro II.

256 Cfr. p. 142.257 Cfr. il passo parallelo cit. pp. 255 sg.258 Forse l’esempio piú interessante si ha nella Disciplina scholarium

(cfr. p. 266), cap. v (migne, PL, LXIV, 1233): «Cum ad magistratus

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excellentiam bonae indolis adolescens velit ascendere, necessarium estut tria genera statuum, quae in assignatione probabilitatis innuit Ari-stoteles, diligenter intelligat. Sunt autem quidam vehementer obtusi,alii mediocres, tertii excellenter acuti. Nullum vero vehementer obtu-sorum vidimus unquam philosophico nectare veliementer inebriari.Istis autem mechanica gaudet maritari, mediocribus politica».

259 Cfr. pp. 86 sgg. di questo libro, Einaudi, Torino 1983.260 In sé il numero I non significa necessariamente che Dürer si pro-

ponesse davvero di rappresentare le altre due forme della melanconia;è possibile che, incidendo questa, semplicemente immaginasse le altredue, e si attendesse che anche lo spettatore colto se le immaginasse.

261 Cfr. panofsky, Idea cit., pp. 25 sgg.262 Cfr. più avanti.263 Per l’individualismo di Dürer, cfr. panofsky, Hercules am Schei-

dewege cit., pp. 167 sgg.264 Cfr. id., Idea cit., pp. 25 sgg.265 Per il trasformarsi della dottrina ficiniana della bellezza in una

metafisica dell’arte manieristica, cfr. ibid., pp. 52 sgg. Per le protestecontro le regole matematiche che erano state il vanto della teoria clas-sica, cfr. ibid., pp. 42 sgg.

266 Cfr. pp. 361 sgg. Da questo punto di vista è comprensibile che,nonostante le osservazioni su Raffaello ricordate a p. 220, nota 13, unaconnessione di fondo tra melanconia e arte figurativa, quale Agrippaaveva affermato agli inizi del Cinquecento, non faccia la sua compar-sa in Italia fino all’epoca manieristica, benché allora sia stata imme-diatamente usata come un argomento in favore della nobiltà dell’atti-vità artistica. Il Trattato della nobiltà della pittura di Romano Alberti,Roma 1585, p. 17, afferma: «Et a confirmazione di ciò [cioè l’affer-mazione che la pittura meritava di essere inclusa tra le arti liberali]vediamo che li Pittori divengono malencolici, perché volendo loro imi-tare bisogna, che ritenghino li fantasmati fissi nell’Intelletto: a ciò dipoili esprimeno in quel modo, che prima li havean visti in presentia; Etquesto non solo una volta, ma continuamente, essendo questo il loroessercitio: per il che talmente tengono la mente astratta et separata dallamateria, che conseguentemente ne vien la Malencolia; la quale però diceAristotile, che significa ingegno et prudentia, perché, come l’istessodice, quasi tutti gl’ingegnosi et prudenti son stati malencolici».

267 lf, Nachlass, p. 295, 13 (cfr. p. 299, 1), e p. 297, 16.268 Ibid., p. 218, 16. La teoria del genio sostenuta dal Ficino e dalla

sua cerchia, nonostante tutta l’importanza attribuita all’aumentataconsapevolezza di sé, non è realmente una teoria individualistica, inquanto i Musarum sacerdotes o i viri literati sono sempre intesi come unaclasse, e gli uomini di genio appaiono, per cosí dire, a frotte. Il rico-noscimento di un individuo come originale e irripetibile («Desgleichen

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ihm zu seinen Sciten Keiner Gleich erfunden wirdet und etwan langKeiner vor ihm gwest und nach ihm nit bald Einer kummt», ibid., p.221,16) o di un’opera come originale e irrepetibile («Das man vor nitgeseben noch ein Ander gedacht hätt) si ha in Dürer prima che nel Sud.Questo vale anche a spiegare la profonda avversione di Dürer a ripe-tersi nel suo lavoro. L’uomo, che per le sue «abitudini economiche»(Wölfflin) sarebbe stato portato a riutilizzare schizzi o studi fatti moltianni prima, non si è ripetuto nemmeno una volta nelle opere che sonoeffettivamente uscite dal suo studio, cioè incisioni, dipinti o xilogra-fie; la scimmia e l’uomo con il succhiello, ripresi dall’incisione B42 odalla xilografia B117 e trasferiti nella serie dei Sette Dolori della Ver-gine di Dresda costituiscono semplicemente delle prove contro l’au-tenticità dei dipinti; per i rapporti tra il San Paolo di Monaco e l’inci-sione B46, cfr. p. 283, nota 37, il contributo pubblicato nel «Münch-ner Jahrbuch der bildenden Kunst».

269 Citazioni in panofsky, Idea cit., p. 70. L’affermazione relativaagli oberen Eingiessungen è stata già ricordata a questo proposito dalgiehlow 1904.

270 Già abbiamo ricordato (cfr. p. 330) che Agrippa si richiamaanche alla dottrina platonica delle idee. Possiamo anche notare, in rap-porto con la nozione tipicamente nordica dell’artista ispirato, che èstato nell’arte tardo-gotica dei Nord che «la Madre di Dio ritratta dasan Luca» è stata per la prima volta rappresentata come la visione diun’immagine tra le nubi (cfr. d. klein, St Lukas als Maler der Maria. Iko-nographie der Lukas-Madonna, tesi, Hamburg 1933, che però non ricor-da parecchi esempi importanti).

271 Lo sappiamo grazie all’espressione di Melantone scoperta dawarburg, Heidnisch-antike Weissagung cit., p. 529, che parla della«melancholia generosissima Dureri». Indipendentemente da questascoperta, M. J. Friedländer, nell’ambito di un felice e misurato com-mento alla Melencolia I, già si era chiesto se Dürer stesso non fosse statoun melanconico (Albrecht Dürer, Leipzig 1921, pp. 146 sgg.) e all’in-terrogativo è tanto piú facile rispondere affermativamente in quantoDürer soffriva di una malattia che i medici del suo tempo annovera-vano espressamente tra i morbi melancholici: il famoso disegno diBrema L130 con in alto la scritta: «Do der gelb fleck ist vnd mit demfinger drawff dewt, do ist mir we» indica un’affezione alla milza. Que-sto disegno di solito è messo in relazione con l’ultima malattia diDürer. Però a questo proposito possiamo affermare che tale opinionenon trova fondamento. Lo stile del disegno, che è leggermente colora-to, ricorda gli studi sulle proporzioni degli anni 1512-13 molto piú deidisegni successivi, mentre la scrittura, che nel caso di Dürer costitui-sce un importante sussidio per la cronologia, è molto lontana dallasuperba regolarità, che si vede anche nelle piú rapide annotazioni,

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degli anni venti, ed è solo un po’ piú sviluppata che nelle lettere aPirckheimer, e le piú strette analogie si hanno ancora una volta con gliappunti teorici del 1512-13. Inoltre il corpo è quello di un uomo nelsuo fiore, i capelli sono ancora biondi e tutto l’aspetto della testa èquanto mai vicino all’autoritratto che si vede nel quadro di Ognissan-ti. Ci sono tutti gli argomenti per assegnare il disegno di Brema al terzolustro del Cinquecento, cioè agli anni immediatamente precedenti lacomposizione della Melencolia I, e per considerarlo come un’ulterioreprova dell’interesse profondamente personale di Dürer per l’argomen-to. Le ragioni per riferire il disegno di Brema alla sua ultima malattiaappaiono ancora minori se si tiene conto che egli è stato spesso mala-to anche precedentemente; nel 1519 Pirckheimer scriveva: «Turermale stat» (e. reicke, in «Mitteilungen des Vereins für Geschichte derStadt Nürnberg», xxviii, 1928, p. 373), e nel 1503 Dürer stesso scri-veva sul disegno L231 di averlo fatto «nella sua malattia». Dopo averescritto questo abbiamo scoperto che due altri studiosi sono propensi adassegnare una nuova data al disegno di Brema: h. a. van bakel in unsaggio intitolato Melancholia generosissima Dureri, in «Nieuw Theolo-gisch Tijdschrift», xvii, 4, 1928, p. 332; e e. flechsig, in AlbrechtDürer, vol. II, Berlin 1931, pp. 296 sgg., che per qualche ragione vuoleanticiparlo addirittura al 1509.

272 Per questo cfr. u. hoff, Rembrandt und England, tesi, Ham-burg 1935.

273 L429.274 lf, Nachlass, p.17,5. È tipico della natura di Dürer che anche nel

turbamento che accompagna questo sogno visionario egli noti a qualedistanza le acque incontrano la terra e perfino tenti di inferire dallarapidità con cui la pioggia cade l’altezza da cui cade («Und sie kamenso hoch herab, dass sie im Gedunken gleich langsam fieln»).

275 Cfr. la descrizione di Kant del melanconico (p. 115), che è statain buona parte anticipata dalla bella descrizione che il Camerarius fadi Albrecht Dürer: «Erat autem, si quid omnium in illo viro quod vitiisimile videretur, unica infinita diligentia et in se quoque inquisitrixsaepe paruni aequa» (introduzione alla traduzione latina dei Vier Büchermenschlicher Proportion, Nürnberg 1532).

276 Solo in questo senso la Melencolia I è di fatto il pendant dell’in-cisione del San Girolamo. a. weixlgärtner, in «Mitteilungen derGesellschaft fùr vervielfiltigende Kunst», 1901, pp. 47 sgg., dimostrache l’idea di un pendant esterno, formale è in questo caso del tuttofuori luogo. Meno ancora si può affermare, come fa r. wustmann, in«Zeitschrift für bildende Kunst», nuova serie, xxii, 1911, p. 116, chela zucca che pende dal soffitto nell’incisione di San Girolamo fosse inorigine destinata ad accogliere la scritta «Melencolia II». TuttaviaDürer quasi sempre diede via queste due incisioni insieme (lf, Nach-

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lass, pp. 120, 16; 121, 6; 125, 12; 127, 13, 17; 128, 17); e sono statefrequentemente studiate ed analizzate insieme (cfr. la lettera a Gio-vanni Cocleo del 5 aprile 1520, pubblicata, con altre, da e. reicke, in«Mitteilungen des Vereins für Geschichte der Stadt Nümberg», vol.XXVIII, 1928, p. 375).

277 Per questo mutamento nella concezione düreriana dell’arte, cfr.soprattutto l. justi, Konstruierte Figuren und Köpfe unter den WerkenAlbrecht Dürers, Leipzig 1902, pp. 21 sgg.; e id., in «Repertorium», vol.XXVIII, 1905, pp. 368 sgg. Anche panofsky, Dürers Kunsttheorie cit.,pp. 113, 127 sgg.; e id., in «Jahrbuch für Kunstwissenschdt», iii, Leip-zig; 1926, pp. 136 sgg.

278 lf, Nachlass, p. 288, 27. Naturalmente l’ignoranza di Dürerriguarda non l’idea della bellezza, ma le condizioni visibili, in partico-lare la proporzione, che determina la bellezza (cosí anche wölfflin, DieKunst Albrecht Dürers cit., p. 368). E questo è ben chiaro da ciò chesegue: «Idoch will ich hie die Schonheit also für mich nehmen: Waszu den menschlichen Zeiten van dem meinsten Theil schön geachttwürd, des soll wir uns fleissen zu machen». L’affermazione «was aberdie Schönheit sei, das weis ich nit» equivale quindi alle affermazioniriportate oltre, lf, Nachlass, p. 222, 7, o p. 359, 16.

279 lf, Nachlass, pp. 290, 23 sgg. Questo è uguale quasi parola perparola a un appunto datato 1512 (ibid., p. 300, 9).

280 Ibid., p. 363, 5.281 Ibid., p. 359, 3. L’edizione a stampa dei Vier Bücher menschli-

cher Proportion continua: «Das gib ich nach, dass Einer ein hübschersBild... mach... dann der Ander. Aber nit bis zu dem Ende, dass es nitnoch hübscher möcht sein. Dann Solchs steigt nit in des MenschenGernüt. Aber Gott weiss Solichs allein, wem ers offenbarte, der wesstes auch. Die Wahrheit hält allein innen, welch der Menschen schön-ste Gestalt und Mass kinnte sein und kein andre... In solichem Irrtum,den wir jetzt zumal bei uns haben, weis ich nit statthaft zu beschrei-ben endlich, was Mass sich zu der rechten Hübsche nachnen möcht»(ibid., p. 221, 30).

282 lf, Nachlass, p. 222, 25 (dai Vier Bücher menschlicher Proportiona stampa).

283 Sono stati naturalmente i romantici che hanno interpretato la«Melanconia» düreriana come una raffigurazione diretta del tempera-mento faustiano. Hermarm Blumenthal ci ha cortesemente segnalatola fonte prima di questa interpretazione nelle Briefe iber Goethes Faustdi karl gustav carus, vol. I, Leipzig 1835, lettera II, pp. 40 sgg. Que-sta analisi notevolmente fine, che sottolinea anche decisamente il «con-trasto tra il bambino tutto intento a scrivere e la pigra meditazione elo sguardo tristemente fisso della figura maggiore», è tanto piú ammi-revole in quanto l’immagine di un Dürer lacerato da emozioni faustia-

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ne era, come lo stesso Carus sentiva e ha dichiarato piú volte, in com-pleta contraddizione con la concezione, iniziata con Wackenroder e aquell’epoca generalmente accettata, del maestro «peraltro cosí tran-quillo e pio». È particolarmente significativo che Carus, affascinato dal-l’analogia con Faust da lui scoperta, parli della figura principale del-l’incisione come di una figura maschile.

284 In relazione con questa parte si veda il saggio già citato a p. 283,nota 37, nel «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst». Poichéentrambi gli scritti trattano dello stesso argomento, benché da undiverso punto di vista, è stato difficile evitare sovrapposizioni; alcunefrasi e perfino interi paragrafi hanno dovuto essere ripetuti quasi paro-la per parole a fini di chiarezza e coerenza.

285 j. sandrart, Teutsche Akademie, ed. A. R. Peltzer, München1925, p. 67.

286 Cfr. ad esempio, j. heller, Das Leben und die Werke AlbrechtDürers, Leipzig 1827, vol. II, i, pp. 205 sgg.; f. kugler, Geschichte derMalerei, Leipzig 18673, libro IV, § 240 (vol. II, p. 498); a. von eye,Leben und Wirken Albrecht Dürers, Nördlingen 1860, p. 452; m. thau-sing, Dürer, Leipzig 1884, vol. II, pp. 278 sgg.

287 Die vier Apostel von Albrecht Dürer in ihrer ursprünglichen Gestalt,in «Zeitschrift für deutsche Bildung», ix, 1930, pp. 450 sgg., con ripro-duzione delle iscrizioni ora riunite con le immagini e resoconto parti-colareggiato dei rapporti tra Dürer e Neudörffer. van bakel (Melan-cholia generosissima Dureri cit.) è anche tornato alla vecchia, tradizio-nale interpretazione di queste immagini degli apostoli come raffigura-zioni dei temperamenti, ma erroneamente considera san Giovannicome il melanconico, il che rende alquanto discutibili le sue conclusionicirca il significato spirituale della Melencolia I.

288 Cosí wölfflin, Die Kunst Albrecht Dürers cit., pp. 348 (e suc-cessivamente t. hampe, in Festschrift des Vereins fir die Geschichte derStadt Nirnberg zur 400 jährigen Gedächtnisfeier Albrecht Dürers,1528-1928, Nümberg: 1928, p. 58). Una nota simile risuona quandoun uomo del Settecento respinge ogni tentativo di classificare le figu-re storiche degli apostoli secondo le complessioni con l’argomento chenon gli piace che «uomini del Signore, che sono direttamente ispiratidallo Spirito Santo, siano giudicati cosí completamente con un metrofilosofico come gente comune, e che non solo i loro temperamenti, maanche il loro grado, la loro utilità e Dio sa che cosa ancora delle piúpiccole parti di essi sono esaminate particolareggiatamente e determi-nate con precisione» (appelius, Historisch-moralischer Entwurff derTemperamenten cit., Prefazione alla 2a ed., 1737, fol. C 42V).

289 h. kaufmann, Albrecht Dürers rhythmische Kunst, Leipzig 1924,pp. 60 e 135 sgg. Secondo il Kaufmann le descrizioni dei quattro apo-stoli come i quattro tipi di complessione in origine si riferivano non alla

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differenza nella loro costituzione umorale ma alla differenza nei loroatteggiamenti e gesti, e solo da questo «gradualmente si sviluppò l’o-pinione che queste quattro complessioni fossero i quattro tempera-menti». A quanto sembra, il Kaufmann non notò che era in realtà lafonte piú antica che li definiva come «sanguinicus, cholericus, phleg-maticus et melancholicus».

290 e. heindrich, Dürer und die Reformation, Leipzig 1909, p. 57.291 Egli dice di Daniel Engelhart, lo scultore di stemmi e intaglia-

tore di sigilli, che era cosí eccellente «che Albrecht Dürer mi disse quinella sua stanza, mentre stavo scrivendo alla base delle già menziona-te quattro immagini e copiando varie frasi della Sacra Scrittura, che eglinon aveva mai visto un piú potente e abile scultore di stemmi» (johannneudörffer, Nachrichten von Künstlern Werkleuten Nürnbergs, 1547,riedito da g. w. k. lochmr, in Quellenschriften für Kunstgeschichte, vol.X, Wien 1875, pp. 158 sgg.).

292 neudörffer, Nachrichten cit. (ed. Lochner), pp. 132 sgg.293 Londra, Brit. Mus., Ms Egerton 2572, fol. 51v.294 lf, Nachlass, p. 382, 2.295 Ibid., p. 227, 4.296 Cosí von eye, Leben und Wirken Albrecht Dürers cit.; thausing,

Dürer cit.; kugler, Geschichte der Malerei cit.297 Secondo questo san Giovanni era il sanguigno, san Pietro il col-

lerico, san Marco il flemmatico (!) e san Paolo il melanconico.Mayer-Bamberg ci ha gentilmente informato dell’ubicazione del qua-dro ricordato da heller, Das Leben und die Werke Albrecht Dürers cit.(sagrestia di San Giacomo a Bamberga), e ce ne ha fatto avere una foto-grafia.

298 Trittico del 1488 nella chiesa dei Frari; cfr. k. voll, in «Süd-deutsche Monatshefte», iii, 1906,pp. 74 sgg.; e g. pauli, in «Vorträ-ge der Bibliothek Warburg», i, 1921-22,p. 67.

299 Gli apostoli nelle incisioni B48, 49 e 50 hanno approssimativa-mente la stessa età.

300 Cosí anche h. beeken, in «Logos», xix, 1930, p. 225, benchéneghi ogni rapporto con la dottrina dei temperamenti.

301 I nostri rilievi circa il colorito delle figure sono stati messi a con-fronto con una descrizione fatta autonomamente da Erwin Rosenthal,al quale dobbiamo i nostri ringraziamenti.

302 Cfr. pp. 7, 14, 108 sgg.303 Cosí costantino africano, Theorica Pantegni (Opera, vol. II,

Basel 1539, p. 249).304 Per inciso, Rubens, nella misura in cui è possibile un confronto

con le figure di Dürer (infatti solo due di queste sono evangelisti), seguíla stessa successione di età o, se si vuole, di temperamenti nella sua rap-presentazione dei quattro evangelisti a Sanssouci (Klassiker der Kunst,

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ed. R. Oldenbourg, Stuttgart 1921, p. 68). San Giovanni è rappre-sentato come un giovane (sanguigno), san Marco come un uomo anco-ra abbastanza giovane (collerico), san Luca come un uomo piú anziano(melanconico) e san Matteo come un vecchio (flemmatico). A questopunto possiamo anche osservare che la proposta di Steininann di farcoincidere le Ore del giorno di Michelangelo con i temperamenti puòessere accettata, se mai, solo seguendo la correlazione letteraria tradi-zionale tra le ore del giorno e i quattro umori (cfr. p. 14, nota 21). Cosínon possiamo dire: Aurora = melanconia, Giorno = collera, Crepusco-lo = flegma e Notte = sangue; invece dobbiamo dire: Aurora = sangue,Giorno = collera, Crepuscolo = melanconia (a E. Zola nell’Œuvrecapita di scrivere «pénétré par la mélancolie du crépuscule») e Notte= flegma. Non è impossibile che queste nozioni abbiano avuto unaparte anche nella concezione artistica di Michelangelo (in particolareper il fatto che non esisteva una tradizione iconografica per le ore delgiorno); e l’ira del Giorno, che in se stessa è incomprensibile, potreb-be benissimo essere connessa con la nozione di collera. Si deve peròtenere presente che il mondo di Michelangelo nel suo complesso eratroppo condizionato dalla melanconia per ammettere una natura esclu-sivamente flemmatica, e meno che mai per una esclusivamente san-guigna. Volendo stabilire un parallelo tra i temperamenti e le Ore delgiorno di Michelangelo bisognerebbe considerare quest’ultime comeuna serie di nature melanconiche sovrapposte a una base sanguigna, auna collerica, a una di melanconia naturale e a una flemmatica.

305 Cfr. p. 263.306 La testa del melanconico del 1502 e quella del san Paolo del 1526

rappresentano, naturalmente, solo i due estremi di una serie, di cui itermini intermedi principali sono il quadro Barberini, l’altare Heller (inparticolare L510), il disegno LA, la xilografia B38 e l’incisione B50.Però se si mettono a confronto tutte queste opere, che in linea di prin-cipio sono tutte collegate, il San Paolo di Monaco appare particolar-mente vicino, almeno fisiognomicamente, alla testa del melanconico chesi vede in B132, nonostante tutte le differenze di ethos: piú vicino,comunque, che alla testa del san Paolo inciso della tavola B50 a cui F.Haack vuole collegalo troppo strettamente («Mitteilungen des Vereinsfür Geschichte der Stadt Nürnberg», vol. XXVIII, 1928, p. 313).

307 thausing, Dürer cit., vol. II, p. 288, e (con l’illuminante propostache la tavola centrale dovesse essere una Santa Conversazione nello stiledel disegno L363) g. pauli, in «Vorträge der Bibliothek Warburg», i,1921-22, p. 67.

308 L368.309 Per particolari cfr. e. panofsky, in «Münchner Jahrbuch der bil-

denden Kunst», nuova serie, vol. VIII, 1931, pp. i sgg.310 thausing, Dürer cit., vol. II, p. 279.

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311 Cfr. johann eck, De primatu Petri libri tres, Paris 1521 ed edi-zioni successive. La preminenza di san Paolo rispetto a san Pietro sipuò interpretare come conseguenza di un atteggiamento antipapaletanto piú agevolmente in quanto una tradizione iconografica, affer-matasi in epoca paleocristiana e durata ininterrottamente fino allaRiforma, prescriveva che i due principi degli apostoli fossero collocatiesattamente sullo stesso piano: una tradizione che il Dürer dei 1510aveva seguito come cosa del tutto naturale nei due pannelli esterni del-l’altare Heller e nella xilografia B38.

312 Cfr. il bel disegno di Brema, L131, raffigurante Cristo soffe-rente.

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Capitolo terzo

Il retaggio artistico della Melencolia I

La Melencolia I di Dürer, come la sua Apocalisse,rientra tra quelle opere d’arte che sembrano aver eser-citato un potere quasi coattivo sull’immaginazione dellaposterità. Le eccezioni a questa influenza sono relativa-mente poche. Da un lato ci sono illustrazioni di calen-dari e trattati popolari sulla salute, nei quali i vecchi tipidei vari temperamenti sopravvivono, modificati soloesternamente in ossequio alle esigenze dell’epoca1; dal-l’altro ci sono illustrazioni subordinate alle esigenze deltesto, come le incisioni dei frontespizi dei trattati scien-tifici (l’esempio piú ricco è nell’Anatomy of Melancholydi Burton2), il frontespizio a una serie di immagini deipianeti su disegni di Marten de Vos3, le figure dell’Ico-nologia di Cesare Ripa4, o le illustrazioni a un poemacome quello di Alain Chartier5. Se si tolgono queste,quasi tutte le rappresentazioni della melanconia in sensostretto, come pure molte immagini su temi simili, finoalla metà dell’Ottocento, devono qualcosa al modello fis-sato da Dürer, direttamente, attraverso l’imitazione con-sapevole, oppure attraverso quella pressione inconsape-vole che si chiama «tradizione».

Volendo classificare queste rappresentazioni dellamelanconia che in qualche modo derivano da Dürer, sipotrebbero raccogliere in due gruppi: quelle che, come illoro grande modello, sono allegorie complete in sé e quel-le che ancora vengono inserite nella consueta serie dei

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quattro temperamenti. I gruppi che risultano da questometodo assolutamente meccanico di classificazione coin-cidono, inoltre, sia pure all’ingrosso, con quelli che risul-tano da una classificazione regionale o cronologica. Lerappresentazioni della melanconia in qualche modo lega-te all’incisione düreriana, in cui la figura compare comeuna delle quattro complessioni, non vanno oltre il xvisecolo, mentre le epoche successive hanno preferito l’al-legoria singola e autonoma; inoltre si può constatare cheanche nel corso del xvi secolo, quando le rappresenta-zioni della melanconia ispirate all’incisione dürerianaerano assai spesso incluse nella serie delle complessioni,non tutti i paesi presentano questo fenomeno in ugualmisura. In Italia, dove già durante il Quattrocento le nor-mali serie dei temperamenti erano state poche, anche nelCinquecento esse sono meno numerose delle allegorie iso-late. L’opposto accade nei Paesi Bassi, mentre in Ger-mania i due tipi piú o meno si equilibrano6.

Ciò nonostante ci è parso meglio classificare le rap-presentazioni della melanconia7 derivate dall’incisionedüreriana non iconograficamente, ma a seconda dellaloro concezione interna, cioè dividerle cosí:

1) quelle che sostanzialmente mantengono la formula delloro modello, cioè rappresentano la melanconia (o comefigura a sé stante o come elemento di una serie dellecomplessioni) come una figura femminile isolata, piú omeno idealizzata, talvolta (nei casi di aderenza partico-larmente stretta a Dürer) accompagnata da un putto;

2) quelle che tornano al tipo drammatico a due figure delleillustrazioni dei calendari tardo-medievali e tradisconola loro dipendenza da Dürer solo per certi particolari;

3) quelle la cui composizione deriva da rappresentazioni diSaturno o dei suoi «figli» anziché dalle serie delle com-plessioni, per cui il loro rapporto con Dürer è pura-mente concettuale.

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1. rappresentazioni della melanconia in forma difigura femminile sola al modo di dürer.

Dobbiamo ricordare il fatto non trascurabile che, aquanto sembra, la piú antica rappresentazione dellamelanconia al modo di Dürer non è nata nella sua cer-chia, ma si deve a un artista che in passato era conside-rato certamente olandese e che, anche se non fosse cosí,può essere fiorito solo nella Germania nordoccidentale,forse in Westfalia. È il maestro col monogramma «A.C.» (Passavant 112). Poiché un’incisione simile comestile, e probabilmente anch’essa ispirata all’incisionedüreriana della Melanconia, la Geometria (Passavant113) reca la data 1526, non dovremmo esitare a collo-care anche la sua Melanconia non oltre il terzo decenniodel Cinquecento, e addirittura, dato che la sua Geome-tria sembra un po’ piú avanzata come stile, prima anzi-ché dopo il 1526. Lo stile di questa incisione dellamelanconia è spiccatamente italianizzante. Il movimen-to della figura principale, nuda e senza ali, ricorda glischiavi di Michelangelo nella Cappella Sistina, in parti-colare quelli a sinistra sopra Gioele e a destra sopra laSibilla libica, e anche i tondi donatelliani nel cortile diPalazzo Medici-Riccardi, che hanno influenzato Miche-langelo e sono a loro volta copie di opere antiche. Ilputto fa pensare non solo a Dürer ma anche a Raffael-lo: si veda, ad esempio, la posa michelangiolesca delgenietto nell’affresco delle Sibille in Santa Maria dellaPace. Il putto del Maestro A. C., però, tiene un sestan-te nella mano destra, e la cosa è significativa non soloperché gli attributi matematici sono per il resto larga-mente tralasciati, ma anche, soprattutto, perché il moti-vo di un putto che tiene un sestante in precedenza si èvisto, in questo contesto, una volta sola, e cioè nel dise-gno originario di Dürer, a Londra. È difficile pensareche un incisore, per il resto cosí diverso dal grande mae-

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stro, sia potuto arrivare da solo a questo motivo tutt’al-tro che ovvio, e poiché ciò potrebbe spiegare anche ladata relativamente precoce dell’incisione in questione,forse non sarebbe eccessivo cercare il Maestro A. C. (lacui firma compare su incisioni già nel 1520) fra i nume-rosi artisti che hanno avuto la fortuna di conoscere per-sonalmente Dürer durante il suo soggiorno nei PaesiBassi8.

Tralasciando la xilografia che fa da frontespizio alNew Formularbuch di Egenolff9, che è quasi una copiameccanica di Dürer e quindi senza interesse per noi, l’i-mitazione successiva, e inconfondibilmente tedesca, del-l’incisione di Dürer è stata l’incisione di Beham B144,datata 1539. Anche qui la figura principale è diventatapiú classica sia nelle vesti che nell’atteggiamento, men-tre la composizione rivela la nuova tendenza manieri-stica del tempo10, in quanto è disegnata piú per riempi-re una superficie piatta che per raggiungere valori divolume e spazio. Mancano il putto e il cane, come delresto la maggior parte degli altri attributi, mentre sonoaggiunte due bottiglie, probabilmente in rapporto colcrogiolo, e ovviamente stanno a indicare studi alchimi-stici. La xilografia di Jost Amman nel trattato d’araldi-ca del 1589 rientra anch’essa in questo gruppo. Anch’e-gli raffigura la Melanconia in abbigliamento classico,però senza ali, e riduce ulteriormente gli strumenti dellasua professione, aggiungendo solo il soffietto, a noi fami-liare dalla xilografia di Hans Döring11. La colonna mozzasembra indicare che Amman si è servito di un’incisionedi Virgil Solis, oltre che di quella di Dürer.

Questa incisione di Virgil Solis (B181), a differenzadelle immagini finora citate, fa parte di una serie deiquattro temperamenti, nella quale occupa il quartoposto, con la significativa trasformazione del titolo inMelancolicus. Lo stesso vale per un piccolo complesso didisegni, conservati a Wolfegg, attribuiti a Jost Amman,

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solo che in questo caso il melancolicus occupa il terzoposto. L’incisione di Solis è notevolmente piú vicina,negli elementi essenziali, a Dürer, in quanto lascia allafigura principale il compasso, che invece nel disegno diWolfegg è sostituito da un rotolo di pergamena, con ilche l’idea specificamente matematica dell’incisione diDürer viene trasformata in senso piú generale secondoun concetto piú vasto della meditazione creativa.Entrambe le immagini, però, hanno questo in comunecon quelle ricordate prima, cioè che, pur conservandodiversi degli attributi di Dürer, sostituiscono l’abbiglia-mento borghese dell’epoca, che si vede nella MelencoliaI, con un altro che è idealizzato e classico; nel disegnodi Wolfegg l’atteggiamento della figura principale fapensare anche alla tipica posa di una Musa classica. Percontro, entrambe le immagini cercano un compromessocon la tradizione medievale, non solo negando le ali allafigura principale, ma anche, in forma più o meno moder-na e umanistica, ritornando all’impiego degli animali infunzione simbolica, come vediamo nel Calendario deiPastori e nei Libri d’Ore. Nell’incisione di Solis il tem-peramento sanguigno è rappresentato dal cavallo e dalpavone, quello collerico dal leone e dall’aquila, quelloflemmatico dalla civetta e dall’asino, e quello melanco-nico dall’alce triste (ripreso, sembra, dall’incisioneAdamo ed Eva di Dürer), e dal cigno che, in quantouccello sacro ad Apollo, può alludere al «praesagiumatque divinum» che è proprio del melanconico12. Neidisegni di Wolfegg il sanguigno ha la scimmia, il colle-rico l’orso, il flemmatico il maiale e il melanconico l’a-gnello: il che corrisponde sostanzialmente alla distribu-zione che si ha nel Calendario dei Pastori e nei Librid’Ore13.

Tralasciando tutto il resto, due caratteristiche di fon-damentale importanza distinguono tutte queste imma-gini dall’originale da cui derivano. Anzitutto non rap-

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presentano alcun antidoto alla melanconia, e, in parti-colare, ignorano il profondo rapporto cosmologico tra lamelanconia e Saturno; in secondo luogo, l’aspetto cupo,meditabondo della figura principale è reso con mezzifisiognomici del tutto diversi e quindi e in certa misurainterpretato diversamente. La posa pesante della figuraseduta sul suo basso ripiano di pietra è diventata, inBeham, un atteggiamento di negligenza e apatia; neidisegni di Wolfegg, un atteggiamento di equilibrio clas-sico; in Amman e nel Maestro A. C., una contorsioneangosciata; e in Virgil Solis una posa di eleganza manie-rata. Il pugno chiuso e sostituito da una mano molle-mente aperta. Cosí anche gli occhi non fissano piú inlontananza con misteriosa intensità, ma sono stanca-mente e torpidamente rivolti a terra. Non c’è dubbioche queste immagini susseguenti a Dürer cercano anco-ra di mostrare la nobile melanconia dell’uomo che pensae lavora; questo si può vedere dal fatto che vengono con-servati i simboli delle occupazioni, come pure dal disti-co che figura sotto l’incisione di Solis14 (che chiaramen-te si rifà al Problema XXX, 1 di Aristotele) e dai versi,alquanto domestici, che illustrano l’incisione di Amman.Tuttavia il tono interno che in esse si esprime somigliapiú all’indolenza inerte dell’acedia medievale che allatensione intellettuale della melanconia, cosí come erastata nobilitata dagli umanisti: ancora tesa e vigile nono-stante il suo animo turbato. Per quanto questi artistiadottino i tratti esterni dell’immagine di Dürer, e perquanto cerchino di superarlo in idealizzazione classica,pure, quanto al significato intimo delle loro opere, rica-dono nella concezione delle rappresentazioni anterioridei temperamenti15. Dietro il panneggio classico, lamente è in fondo più vicina allo spirito del xv secolo chea quello di Dürer16.

Beham, Amman, Solis e altri maestri simili offronoben poche difficoltà all’esegesi puramente fattuale del

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contenuto, altrettanto poche che il Maestro F. B. (orain genere identificato con Franz Brun) nella sua inci-sione, che, per quanto ridotta a una scena di genere, hauna certa originalità, ed è assai suggestiva nella sua tene-bra da prigione (B78)17. I dipinti sono una cosa assaidiversa. Quanto a opere di maestri tedeschi, ne abbia-mo finora scoperte solo cinque: il quadro datato 1558,un tempo nella Collezione Trau a Vienna, che M. J.Friedländer ha congetturalmente attribuito al pittoreMatthias Gerung di Lauingen18, e quattro quadri che sonousciti in rapida successione (1528, 1532, 1533, 1534)dalla bottega di Lucas Cranach.

Il quadro di Matthias Gerung del 1558 mostra al cen-tro la Melanconia alata e seduta, in un tipico atteggia-mento col gomito sul ginocchio, ma col viso eretto e difronte, e senza alcun attributo. Il compasso non è impu-gnato da lei, ma da un uomo accoccolato alla base delquadro, e apparentemente occupato a misurare un globo,come Dio Padre nelle Bibles moralisées; in lui ricono-sciamo un cosmografo19, un perfetto esempio di perso-na dotata del tipo di mentalità simboleggiata dalla figu-ra principale. Intorno a queste due figure ruota unavivace ghirlanda di scene miniaturistiche. In un paesag-gio assai variato e ondulato vediamo ogni possibile atti-vità della vita urbana, rurale e militare: ma, per quantoconcepite realisticamente, queste scene non sembranoavere alcun legame né l’una con l’altra né con l’idea dellamelanconia. I fenomeni astrali, però, indicano la via diuna possibile interpretazione. Oltre ai motivi dell’arco-baleno e della cometa, che sono ripresi da Dürer, vedia-mo il Sole e le due divinità planetarie Luna e Marte, efra di esse un cherubino che sembra accennare a Marte.(Che angeli guidassero i pianeti nel loro corso era un’i-dea assai comune nell’astrologia cristiana, che è soprav-vissuta perfino nel mosaico di Raffaello nella CappellaChigi in Santa Maria del Popolo).

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Non si sa bene se i pianeti di questa triade siano dainterpretare come i pianeti dominanti nell’anno20, comeuna congiunzione, o come un semplice segno della situa-zione generale; però è certo che la loro presenza non èaccidentale. Si ha l’impressione che ci sia una compo-nente di attualità dentro il quadro, e che si tratti di unaraffigurazione della melanconia non solo dipinta nel1558, ma in qualche modo condizionata dagli avve-nimenti di questo anno (fu l’anno della morte di CarloV). Di fatto i tre pianeti sono legati in modo cosí evi-dente con le scene della parte inferiore del quadro (finointorno al cartiglio) che si potrebbero dividere le scenequasi immediatamente nelle tipiche occupazioni dei«figli» del Sole, della Luna e di Marte. Banchetti, gio-chi, bagni, giocolieri (si noti l’orso che balla) spettanoalla Luna; la musica, la lotta, la scherma e il tiro con l’ar-co, al Sole; la guerra e la lavorazione dei metalli (si notila miniera) spettano ovviamente a Marte. Le scene nellaparte superiore del quadro, invece, sembrano rappre-sentare le stagioni, o i mesi, e probabilmente indicanoil corso di quell’anno infausto: le coltivazioni, i raccol-ti, i pascoli, l’uccisione del maiale, la caccia e l’andarein slitta. L’andare in slitta, in realtà, poiché compare inun paesaggio che per il resto non ha l’aspetto inverna-le, si spiega male, tranne che con l’intenzione di carat-terizzare le diverse parti dell’anno. Il quadro non mancaaffatto di fascino, però l’effetto artistico nel complessoè determinato dal fatto che né la Melanconia né l’espo-nente umano di questo temperamento, il cosmografo,sembrano prendere parte alcuna a tutto questo festosoo rischioso ciclo della vita quotidiana. Sono insensibilialla miseria della guerra, non traggono piacere alcuno daigiochi, dai banchetti o da altri divertimenti, e non parte-cipano alle gioie e ai dolori della campagna. I versi sem-plici del trattato di araldica di Amman riassumono que-sta qualità della disposizione melanconica:

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Né il cinguettio di bambini mi rallegra, Né galline che depongono uova, né capponi all’ingrasso. Lasciami solo, a pensare ai casi miei, Altrimenti poco profitto in me troverai.

Questa opposizione tra gaiezza mondana e serietàmelanconica, in contrasto con la splendida unità checontraddistingue l’incisione di Dürer, si riscontra anchenei dipinti di Cranach. Il primo, datato 152821, ora inpossesso del conte di Crawford, mostra la Melanconiain abbigliamento d’epoca (sebbene originariamente fossealata), seduta su una vasta terrazza. A terra vi sono uncompasso, una sfera, un cesello e un succhiello; sul tavo-lo un piatto di frutta e due bicchieri; sullo sfondo unpaesaggio festoso. Quattro bambini nudi, probabilmen-te derivati da una modificazione del putto di Dürer22,giocano tra loro e con un cane, che ne è un po’ infasti-dito, mentre il vero «cane della Melanconia»23 è acciam-bellato su una panca dietro, a destra. Finora l’interpre-tazione del quadro presenta poche difficoltà. Due fortimotivi però si possono spiegare solo con lo stesso accre-scersi delle credenze superstiziose e magiche che hadeterminato la differenza fondamentale tra le due ver-sioni dell’Occulta philosophia di Agrippa di Nettesheim.Uno di questi è l’occupazione della figura principale, inquanto appare in atto di appuntire o togliere la cortec-cia a un rametto con un coltello. L’altro è l’affacciarsidi un’orda di streghe al comando di Satana, che, entrouna nube scura, stanno attraversando il cielo chiaro.Ora il melanconico saturnino è messo in rapporto contutti i generi di arti magiche o diaboliche e la sua cupae sinistra mentalità, contraria ai pensieri della vita quo-tidiana, lo rende incline alla magia nera24, con la stessafacilità con cui lo innalza alla contemplazione religiosao scientifica. Il motivo del tagliare o togliere la cortec-cia al bastoncino (sicuramente non si tratta di una vera

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bacchetta da rabdomante, perché non è biforcuto)25,considerato insieme al sabba delle streghe, potrebbequindi essere interpretato come la preparazione di unabacchetta magica, cui, secondo l’antica credenza, sidoveva togliere la corteccia in modo che «nessuno spi-rito s’annidi tra legno e corteccia»26.

Il quadro successivo di Cranach, datato 1532 e ora aCopenaghen27, contiene pochi elementi nuovi. I simbo-li delle occupazioni mancano, tranne la sfera, con cui ifanciulli, ora in numero di tre, stanno giocando rumo-rosamente. L’unico elemento nuovo è una coppia di per-nici, che però probabilmente è stata messa solo per arric-chire la scena di festosa attività mondana. Anche quivediamo il sabba delle streghe, e la figura principale èintenta a tagliare un bastoncino.

Anche il terzo di questi quadri28, datato 1533 e oranella collezione Volz all’Aia, conserva questi due moti-vi, che sembrano peculiari di Cranach. Per il resto, inve-ce, si allontana sostanzialmente dalle due opere prece-denti. La figura principale è compressa nell’angolodestro del primo piano, la veduta è ridotta al minimo, etutti gli accessori, animati o inanimati, mancano, tran-ne la testa di un vecchio (Saturno stesso, o qualche altrospirito?) che appare nel cielo, e addirittura quindiciputti, per lo più danzanti, alcuni addormentati e duemusicanti con piffero e tamburo. Quindi una nuovainfluenza sembra intervenire in quest’ultimo quadro, esarebbe strano se non venisse dal Mantegna. C’era il suoquadro di forma quasi esattamente analoga, in cui erarappresentata la Malancolia con sedici putti danzanti emusicanti, e che, come abbiamo visto, può avere avutoqualche importanza per l’incisione di Dürer29. Ma men-tre in quest’ultimo caso la concordanza era solo vaga egenerica, nel caso di Cranach, dove i putti sono quasinello stesso numero e sono anch’essi intenti a danzare efare musica, la concordanza sembra spingersi relativa-

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mente lontano; e poiché non conosciamo nessun altroquadro analogo, è difficile sbagliare mettendo l’opera diCranach in relazione con quella ora perduta del Mante-gna. Non è necessario che Cranach l’abbia vista, e nem-meno che ne abbia vista una copia o un disegno prepa-ratorio, perché potrebbero essere bastate notizie delquadro, comunicate oralmente o per lettera, a orienta-re la sua interpretazione, pur restando lo stile e la com-posizione originali, nella direzione del Mantegna.

Il fatto che Cranach abbia messo solo quindici puttianziché sedici non sembra avere alcun significato parti-colare, e si potrebbe assai facilmente spiegare con la cir-costanza che non aveva visto il suo modello30. Il nume-ro esatto poco importava al maestro tedesco, mentre ilMantegna probabilmente l’aveva scelto per qualchebuona ragione: infatti si può ritenere che questo mae-stro, che aveva tanto interesse per l’archeologia da arri-vare talvolta a scrivere la sua firma in greco, fosse al cor-rente del fatto che una delle opere piú famose dell’an-tichità, la statua del Nilo, mostrava intorno alla figuraallegorica di un uomo sedici bambini intenti a giocare31.

Storicamente, se non artisticamente, l’imitazione piúimportante dell’incisione di Dürer realizzata in Germa-nia nel xvi secolo è stata quella scoperta da L. Volk-mann32. L’altare nel coro orientale della cattedrale diNaumburg, datato 1567, è adorno, tra l’altro, di ottorilievi, sette dei quali rappresentano il consueto ciclodelle Arti liberali. Dai cicli enciclopedici dell’arte monu-mentale, o dalle illustrazioni a Boezio, ci si aspetterebbeche questo insieme di sette figure femminili fosse gui-dato da una personificazione della filosofia o della teo-logia. In questo caso invece la parte di guida è assegna-ta a una Melanconia ovviamente derivata dalla tradi-zione düreriana33. È effettivamente un caso storico rile-vante che, in una chiesa, e nel quadro di una tradizio-ne vecchia di un millennio, la figura che rappresenta il

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principio unificatore di tutte le attività intellettuali nonsia piú quello della filosofia, la disciplina che dà il fon-damento sistematico a tutte, ma quello di una forza psi-cologica soggettiva, cioè della disposizione che rendepossibile l’attività intellettuale: una distinzione di cui ilNord aveva preso coscienza attraverso l’incisione diDürer.

Un’opera piú modesta, indicataci da Erdmann, sipuò forse citare come testimonianza di un’intenzioneanaloga. Si tratta di un orologio (opera di un MaestroF. F. L. di Norimberga, eseguita nel 1599), a forma dipiccola torre, in cui si vedono l’Astronomia da un latoe la Melanconia dall’altro, e che è corredato di tutti glielementi simbolici dell’incisione di Dürer, solo che ilquadrato magico è stato ridotto a una tavola con numeriordinari e il putto appare come un comune bambino del-l’asilo. Anche in questo modesto oggetto, quindi, laMelanconia figura come un simbolo complessivo dellecapacità intellettuali; ma poiché sugli orologi, in parti-colare, si trova spesso un ammonimento che richiamaalla transitorietà di tutte le cose terrene (come il famo-so «Una ex illis ultima»), non è impossibile che anchequi c’entri un pensiero circa la vanità di ogni ricercaintellettuale, per quanto nobile.

L’eredità lasciata dall’incisione di Dürer è stata natu-ralmente meno estesa nell’Italia del xvi secolo che nelNord, però in Italia ha avuto conseguenze piú vaste, inquanto subito è cominciato un processo di trasfor-mazione che ha portato dalla contemplazione intellet-tuale al patetismo passionale.

Sembra in effetti che ci siano state imitazioni fondatesu un atteggiamento intellettuale non diverso sostan-zialmente da quello che è prevalso nel Nord: possiamoricordare la Melanconia del Vasari, circondata da ungran numero di strumenti matematici, in un affrescodipinto nel 1553 in Palazzo Vecchio a Firenze34, come

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pure l’allegoria della Scultura descritta nel Disegno diAntonio Francesco Doni, che sembra quasi un doppio-ne della Melencolia I35. La Melanconia dipinta da Fran-cesco Morandini detto il Poppi come uno dei quattrotemperamenti sulle pareti dello Studiolo in Palazzo Vec-chio, sempre a Firenze (che, tra l’altro, non è parti-colarmente attraente né originale) si distingue dalle suesorelle nordiche per l’espressione spiccatamente pateti-ca di dolore, talmente agitata da sfiorare il pianto36; e neiMarmi, un’altra opera dello stesso Doni, che apparve nel1552, troviamo una xilografia, che, per quanto moltomediocre, ha esercitato una fortissima influenza, e cipresenta la sublime profondità della figura principaledella Melencolia I (il Doni dice di possedere una copiadell’incisione düreriana) trasformata nella tristezzaelegiaca di una «feminetta tutta malinconosa, sola, aban-donata, mesta et aflitta» che piange su uno scoglio soli-tario37. Si può comprendere come l’arte italiana, dotatadi una innata inclinazione al pathos e priva di una soli-da tradizione pittorica nel campo delle vere e proprieserie delle complessioni38, dovesse dare la preferenzaalla concezione soggettiva e poetica della melanconia(quale troviamo illustrata una ventina d’anni doponell’Iconologia del Ripa39) piuttosto che a quella ogget-tiva e scientifica, anche quando, come nel caso del Poppie del Doni, l’incisione di Dürer poteva essere conosciu-ta direttamente. Cosí, nel Cinquecento si sono poste lepremesse di ciò che sarebbe accaduto nell’epoca baroc-ca, cioè la fusione dell’immagine della Melanconia conquella rappresentante la Vanità.

Una monografia sulle «Immagini della Vanità» èancora da scrivere, anche se H. Janson ha dato un buonavvio col suo saggio The Putto with the Death’s Head(«Art Bulletin», vol. XIX, 1937). Essa potrebbe co-minciare con i monumenti funerari e le allegorie dellaMorte del tardo Medioevo, nelle quali tanto spesso si

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vede un osservatore di fronte a immagini di caducità oanche di sfacelo che lo esortano al pentimento con ilmonito «Tales vos eritis, fueram quandoque quod estis»,o qualcosa del genere. Potrebbe quindi continuare conle opere del Quattro e Cinquecento, nelle quali la pre-senza della Morte in persona è sostituita da una medi-tazione sulla morte. Infine dovrebbe mostrare come l’i-dea di questa «Meditazione della Morte»40 si è gradual-mente liberata dalla nozione di una personalità indivi-duale significante, e si è sviluppata in una perso-nificazione a se stante; e come, nel corso di questo pro-cesso, l’affascinante contrasto tra il contenuto lugubredella meditazione e la giovanile bellezza del soggettomeditante sia stato sempre piú accentuato, per cui il sanGirolamo fu spesso sostituito da una Maria Maddalena.Questa immagine della Vanità, suggestiva sia per il suofascino sensuale che per il brivido della morte che vi sicela, potrebbe chiaramente accordarsi per molti aspetticon altre idee pittoriche, con soggetti che ricorrono sianella sfera degli idilli arcadici che in quella della filoso-fia morale ascetica41. È, quindi, comprensibile che anchel’immagine düreriana della melanconia contemplativa, lacui tetra natura era sempre stata associata al pensierodella notte e della Morte, e che specialmente dopo laControriforma era stata interpretata in senso religio-so42, potesse combinarsi col tipo dell’immagine dellaVanità.

L’esempio piú antico e rilevante di questo tipo, eforse l’opera d’arte piú importante derivata dall’in-fluenza della Melencolia I di Dürer, è la composizione diDomenico Feti43, di cui ci sono pervenute diverse copie.Cosa significativa, esse sono note coi titoli sia di Melan-conia che di Meditazione. A ridosso di un muro che, sullasinistra, lascia scorgere un piacevole paesaggio, sta ingi-nocchiata una donna di aspetto voluttuoso; tutte le rap-presentazioni viste finora ci avevano mostrato la Melan-

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conia seduta o, raramente, in piedi. Il suo busto è appog-giato a un blocco di pietra su cui sono deposti un librochiuso e (nella copia di Venezia) un compasso. I suoicapelli sono mollemente intrecciati, la testa posa sullamano sinistra, mentre la destra, che indubbiamente sirichiama al motivo delle immagini della Vanità, stringeun teschio su cui si fissa il suo sguardo celato44. Intornole stanno i piú diversi simboli di attività, nel fondo unglobo celeste, libri e una clessidra, in primo piano unvolume aperto, una grossa sfera, una squadra, una pial-la, tavolozza e pennelli e, infine, un modello da sculto-re che (non casualmente) rappresenta un satiro ed è os-servato da un cane grosso e bello. Il significato di que-sta rappresentazione è evidente: ogni attività umana,pratica o teorica, teorica o artistica, è vana, data lavanità di tutte le cose terrene.

Per quanto grandi siano le differenze tra la bellacomposizione di Domenico Feti e la modesta xilografiadei Marmi, le due opere hanno però una cosa in comu-ne rispetto alle rappresentazioni nordiche: in esse la me-lanconia è intesa come un tipo di emozione e l’origina-ria disposizione melanconica è acuita fino alla gravedisperazione che sgorga da una emozione del genere.Però l’opera del Feti è per molti aspetti piú profonda, edi fatto si potrebbe dire che, partendo dai concetti assaidiversi della Controriforma, essa ha incontrato l’inci-sione di Dürer su un terreno comune. Il teschio col suomemento mori fornisce ora all’afflizione immotivata dellaMelanconia düreriana un oggetto definito, e quello cheera stato un vago dubbio, difficile da esprimere, circa ilproblema se il pensiero e l’attività umana avessero unqualche significato di fronte all’eternità, si condensaora in una semplice domanda a cui si deve risponderecon un deciso ed esplicito «No». La Melanconia oraassomiglia al tipo della Maddalena penitente45.

Per «Aristotele» il valore della disposizione melan-

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conica consisteva nella sua capacità di ottenere grandirisultati creativi in tutti i campi possibili; il senso difavore divino che il Medioevo aveva visto nella «malat-tia melanconica» era stato di tipo morale anziché prati-co, in quanto proteggeva dalla tentazione mondana. NelRinascimento, e in particolare con Dürer, la consape-volezza della capacità creativa umana venne per la primavolta a fondersi con un’aspirazione alla pienezza reli-giosa. Però ora l’epoca del barocco italiano tornò allaconcezione medievale, solo che si orientò verso ladimensione emotiva anziché quella metafisica. Ciò cheDomenico Feti aveva espresso solo con segni visibili,anche se assai poco ambigui, fu espresso a parole unagenerazione dopo, in un’incisione di Benedetto Casti-glione, che deriva sia dal Feti che da Dürer. «Ubi in-letabilitas – dice la scritta, – ibi virtus»: «Dove c’è lamestizia, là c’è la virtú»46.

Nel quadro di Domenico Feti e, molto piú, nell’in-cisione del Castiglione, l’idea generica di instabilità assu-me un accento tutto particolare in seguito all’introdu-zione di muri in rovina e colonne spezzate; questo cor-risponde a una tendenza che si era fatta sempre piúforte dal Quattrocento in poi e toccò uno dei suoi apiciricorrenti intorno o subito dopo il 1600: il culto roman-tico delle rovine47. La famosa Notte del Guercino ne èun altro esempio48, e storicamente deriva non dalle serie«Giorno e Notte», ma dalla formula delle immaginidella Melanconia o della Vanità. Due disegni di Nicho-las Chaperon rappresentano questa Vanità-Melanconia,triste e in un vero e proprio museo all’aperto: nell’unoè rappresentata senza ali, e ci si discosta dalla tradizio-ne anche negli arnesi da lavoro inutilizzati (libri, rotolidi pergamena, lampade e un globo); nell’altro è raffigu-rata con le ali e cosí concentrata sulla caducità della bel-lezza antica che di tutto il repertorio tradizionale soprav-vivono solo una piccola, indistinta pila di carte e una

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clessidra, quest’ultima simbolo della morte piú che segnodi attività intellettuale49.

Nel corso del Settecento il typus Melancholiae subí lasorte comune a tutte le forme tradizionali in quest’epo-ca, cioè fu convenzionalizzato a tal punto che la verarealtà dello stato melanconico poté trovare espressionesolo in altre sfere50. In poesia il tipico atteggiamentodella Melanconia era degenerato in una semplice posacon sguardo afflitto e guancia appoggiata alla mano:

Di’ in quale valle profondamente remota,La testa reclina sulla mano,Siedi a spiare gli ultimi fievoli bagliori di luce51,

come John Whitehouse, ad esempio, dice in un’odedegli anni intorno al 1780, in cui le tradizionali rocce delRipa sono avvolte nella grigia nebbia o illuminate dagliazzurri lampi della scuola gotica. Anche nella pittura iltipico atteggiamento della Melanconia era divenuto unfatto puramente esornativo e talmente poco impegnati-vo che, ad esempio, il francese Langrenée il Vecchio eracapace di isolare in un tableau de grande histoire una qua-lunque figura femminile dolente e copiarla come perso-nificazione della melanconia52. L’arte inglese o diedeuna versione sentimentalizzata della «pia monaca» diMilton: lo attesta un’incisione di J. Hopwood da J.Thurston con la Melanconia nelle vesti di una monacacon gli occhi rivolti al cielo, cipressi sullo sfondo e,sotto, i versi di Collins:

Con gli occhi rivolti in alto, come persona ispirata,La pallida Melanconia sedeva appartata53;

o anche trasformò l’atteggiamento saturnino in unaposa attraente per la signora alla moda, come, per fareun esempio eloquente, il ritratto di Lady Louisa Mac-

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donald di Angelica Kauffmann, il cui atteggiamentodolente perde ogni senso per l’aggiunta di un’àncora disperanza54.

Il romanticismo ottocentesco, al contrario, cercò diridare alla tradizionale espressione della melanconia ilsuo significato originario, e cosí facendo ritornò talvol-ta consapevolmente a Dürer. Ma in vari modi infransela concisione tipicamente rinascimentale della creazionedüreriana, che, nonostante tutte le armoniche persona-li, era stata oggettiva, e, nonostante tutta la sua profon-dità filosofica, facile da cogliere visivamente. Possiamovedere come, mentre l’esegesi letteraria, in netto con-trasto con l’idea che correntemente si aveva allora diDürer, ha sollevato l’emozione espressa nella Melenco-lia I alle sfere della metafisica faustiana, le derivazionipittoriche l’abbiano attenuata fino a farla diventare,per cosí dire, un senso «privato» di solitudine. Inentrambi i casi, però, il dolore diventa desiderio, la sof-ferenza per l’umanità una fuga dalla realtà; e di conse-guenza, indipendentemente dalla loro rilevanza oggetti-va, le rappresentazioni romantiche della melanconia citoccano in un modo del tutto nuovo. Grazie a questanostalgia, il dolore s’impadronisce di una serie nuova dioggetti: anziché essere, come finora era stato, limitatoall’esistenza presente, abbraccia tutto il tempo nell’ar-co dell’immaginazione. Per cui l’impressione che cidànno le immagini romantiche, cioè il desiderio o di unpassato irrecuperabile o di un futuro che non c’è spe-ranza di raggiungere, ora per la prima volta fa sì che iltema del sentimento melanconico, cosí spesso e cosístrettamente legato alla musica, possa essere espressoanche «musicalmente».

Cosí il modesto Steinle, aspirando a un effetto «anti-co tedesco» nell’ortografia, nei caratteri e negli orna-menti, combinandolo nello stesso tempo col tentativo,comune ai pittori nazareni, di emulare la dolcezza del-

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l’arte umbra, trasforma il sublime meditare della Melan-conia nella Melencolia I nell’umile, quieta afflizione diuna fanciulla abbandonata, in parole che suonano comeun canto popolare:

Quanto piú a lungo sto sola, tanto piú sono contenta,perché vengono meno fedeltà e verità55.

Caspar David Friedrich56 amplia e, nello stessotempo, diluisce il sentimento di una profonda aspira-zione, senza scopo o direzione, a qualcosa di ignoto. Laforma della sua immagine ha anticipato l’Iphigenia aufTauris di Anselm Feuerbach, che, però, ha sostituito l’i-gnota lontananza, verso cui la «fanciulla solitaria» delpittore romantico sta guardando nostalgicamente, conl’idea troppo letteraria della «terra dei Greci».

2. rappresentazioni tipiche della melanconianegli almanacchi tardomedievali.

Il carattere ambiguamente soggettivo di un’opera cosíspiccatamente romantica come quella di Caspar DavidFriedrich ha impedito un uso dei simboli preciso quan-to quello che abbiamo finora visto nelle precedentiimmagini che trattavano questo tema. Ciò non escludeperò la possibilità che certi motivi singoli, considerati inorigine simboli concettuali, possano essere sopravvissu-ti come simboli emozionali o, con altrettanta proba-bilità, siano stati ricreati indipendentemente dalla tra-dizione. Cosí la landa, da cui la Melanconia di CasparDavid Friedrich ci sta desolatamente fissando, è carat-terizzata non solo dall’assenza di fiori, da foglie intricatee aspri cardi, ma anche dall’«albero spoglio» che erastato uno dei suoi costanti attributi nell’illustrazionedel Ripa e nella poesia barocca tedesca; mentre la sua

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solitaria prigionia è indicata da una tela di ragno, che,cosa curiosa, appariva anche in una raffigurazione tede-sca della Melanconia del xvi secolo. Quest’ultima com-posizione, a noi nota in un disegno a penna della Ger-mania meridionale, o forse della Svizzera, del 1530-40circa57, sembra appartenere a una serie dei quattro tem-peramenti58. Ovviamente l’opera ha risentito, se puresolo indirettamente, dell’influenza di Dürer poichésenza di essa il contenuto speculativo della rappresenta-zione, già sottolineato dal possessore francese nella dida-scalia, sarebbe poco comprensibile cosí come lo sono inumerosi simboli della misurazione o il compasso colquale il melanconico meditativo sta vanamente cercandodi misurare il suo globo (infatti è in questo modo che incerti casi viene interpretata la sfera di Dürer, comeavviene, ad esempio, nell’orologio ricordato sopra). Peròil fatto che questa incarnazione dell’intensa riflessionenon appaia piú in forma di figura femminile idealizza-ta, ma nella forma quanto mai realistica di un uomo cen-cioso e a piedi nudi, accompagnato da una vecchia diaspetto simile, mostra chiaramente che l’illustrazione delsignificato intrinseco dell’incisione di Dürer è tornata altipo tardo-medievale delle raffigurazioni degli almanac-chi: alle coppie di figure rappresentate realisticamentein un rapporto drammatico. D’altra parte questa coppiarealistica è circondata da numerosi simboli, il cui si-gnificato va molto oltre il campo degli almanacchimedievali cosí come si discosta da quello dell’incisionedüreriana. L’albero spoglio già ricordato può ancora,naturalmente, essere considerato come una semplice in-dicazione dell’inverno, la stagione che corrisponde all’u-more melanconico e alla terra; e anche i tre segni zodia-cali sembrano riferirsi alla stagione dell’anno59; nel Ripail motivo dell’albero spoglio era spiegato dicendo che lamelanconia produce sugli uomini lo stesso effetto chel’inverno produce sulla vegetazione. Però il braciere a

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cui la vecchia si sta scaldando è uno strumento dimagia60, oltre che di uso pratico, e la pergamena a terraaccanto a lei, con la sua stella a sei raggi e altri elemen-ti magici61, dimostra ovviamente che essa, come leMelanconie di Lucas Cranach, si occupa di opere dia-boliche e di stregoneria. Anche la civetta indica non so-lo la notte, la sventura e la solitudine in genere, ma, inparticolare, lo «studio d’una vana sapienza», che le pole-miche dei Padri avevano rimproverato all’uccello dellaMinerva pagana62. Lo stesso si può dire anche della teladi ragno. Il Rinascimento la considerava un emblemadell’«opera vana»63, per cui sembra riferirsi all’infrut-tuoso disorientamento in cui è caduto l’altrettanto sven-turato compagno della strega melanconica. Non ci azzar-diamo a indicare la ragione per cui questa figura staseduta su una botte; forse i suoi piedi nudi e il suoaspetto cencioso fanno pensare a Diogene64, o può trat-tarsi semplicemente della modifica di un modello ante-riore in cui si vedeva un globo anziché una botte65. Peròil riccio che ha fatto il nido in questa botte si spiega inun modo solo. Si tratta di un antico simbolo dell’esita-zione, però, riferito al caso particolare del pensatoretutto preso dalla meditazione, indica il destino delmelanconico di essere soggetto a inibizioni cosí forti danon poter concludere la sua fatica, se mai la conclude,se non a costo di grande pena: allo stesso modo che lafemmina del riccio indugia nel dare alla luce il piccoloper paura dei suoi aculei, per cui la nascita risulta anco-ra piú dolorosa66.

Influenzato indirettamente da Dürer, quindi, questodisegno della Germania meridionale si è proposto diintellettualizzare le illustrazioni degli almanacchi tardo-medievali, come già si era tentato, in forma più rozza,nella xilografia che illustrava il De conservanda bonavaletudine di Eobanus Hesse67.

Abbiamo qui un maggior numero di elementi gero-

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glifici ed emblematici, cui si aggiunge un interesse, pre-sente anche in Cranach, per il magico e il demoniaco. Lostesso fenomeno si è avuto in quadri manieristi olande-si successivi, però per ragioni del tutto diverse, cioè perla tendenza, tipica di questo stile, di emulare, quanto allaforma, gli ideali artistici dei seguaci italiani di Miche-langelo e Raffaello, pur presentando, nello stesso tempo,il repertorio delle figure alla luce degli usi contempora-nei per quanto riguarda il racconto e lo scenario.

Cosí, ad esempio, in una serie dei quattro tempera-menti incisa da Pieter de Jode da opere di Marten deVos troviamo le tradizionali coppie di figure idealizza-te al modo italiano e contemporaneamente aggiornatenello stile olandese. Differenziate a seconda del tipo, delrango e dell’abito, esse rispondono a ogni requisito della«grazia» e «grandezza» manieristiche, però sonoambientate in luoghi che, pur contenendo gli elementie le stagioni tradizionalmente associati alle complessio-ni e conservando il loro significato tipico68, dànno tut-tavia l’impressione di puri e semplici paesaggi. Il com-portamento delle stesse figure è rappresentato piú in ter-mini sociologici che psicologici, per cui una illustrazio-ne delle disposizioni umane si è trasformata in certamisura in una illustrazione dei diversi stili sociali divita. La rappresentazione dei flemmatici potrebbeintitolarsi I pescivendoli, quella dei collerici Soldato ecantiniere, e quella dei sanguigni Duetto all’aperto. L’im-magine dei melanconici rappresenta una donna con tuttele seduzioni della bellezza ricercata, ma cosí immersa inprofonda, anche se un po’ apatica, meditazione sui suoiproblemi alchimistici (un’eco dell’ispirazione düreriana)che non riescono a scuoterla nemmeno l’oro e i gioielliche un ricco mercante le sta offrendo. Anche questogruppo corrisponde a un noto tipo della pittura olande-se di moralità (indicato in genere come «La coppia malassortita»), tranne che in questo caso la donna ha ere-

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ditato qualcosa della profondità meditativa della melan-cholia generosa69.

3. la melanconia nelle rappresentazioni di satur-no o dei suoi figli.

Il tipo di raffigurazione dei «figli» dei vari pianetiche si era formato nel Quattrocento rimase relativa-mente immutato fino in pieno Settecento. Ad esempio,in una sequenza dei pianeti incisa da Muller da disegnidi Marten van Heemskerck i mortali governati da Satur-no sono raggruppati e caratterizzati esattamente allostesso modo che nelle immagini corrispondenti delloHausbuch o del manoscritto di Tubinga, cioè come con-tadini, taglialegna, mendicanti, sciancati, prigionieri edelinquenti condannati70. Lo stesso maestro ha disegna-to anche una serie dei quattro temperamenti caratteri-stica per il fatto che, come tipi, le figure rimangono inte-ramente nello schema delle rappresentazioni dei «figlidei pianeti»71. Anche gli esponenti dei quattro umorisono raccolti in numerosi gruppi di piccole dimensioninell’immagine di Heemskerck, disposti in un paesaggiounitario, e anche qui caratterizzati secondo gli elemen-ti e le stagioni; essi appaiono anche come rappresentan-ti di certe attività e di certi strati sociologici. Inoltre,ogni gruppo è chiaramente sotto il dominio del propriopatrono planetario, che è sospeso nelle nubi ed è accom-pagnato da tre segni zodiacali72: il flemmatico è sogget-to alla Luna, il collerico a Marte, il sanguigno a Giovee Venere, e il melanconico, naturalmente, a Saturno. Senon fosse per i titoli e i distici esplicativi, l’osservatorela crederebbe una semplice serie dei «figli dei pianeti».

È quindi tanto piú significativo il fatto che il carat-tere conservatore di queste immagini, in ogni senso tra-dizionali, abbia ceduto in un solo punto. È il punto in

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cui la concezione tradizionale della natura di Saturnoviene a essere in conflitto con la concezione dürerianadella Melanconia. Mentre nelle altre tre rappresenta-zioni vediamo solo gli esponenti delle consuete attivitàcollegate ai pianeti (la danza, la caccia, la scherma e gen-te di mondo che fa all’amore nella rappresentazione deltemperamento sanguigno, e soldati, armaioli ecc. inquella del collerico), in quella del temperamento melan-conico vediamo il tradizionale repertorio dei figli diSaturno ridotto a un impiccato (o un suicida) e a due ere-miti che vagano nel fondo. Mendicanti, contadini, scian-cati, boscaioli e prigionieri hanno ceduto il posto acostruttori, ottici e dotti presi da problemi di geometriae astrologia. Qui, in forma anche piú inequivocabile chein Dürer, nella cui Melencolia I la trama di rapportipuramente suggeriti rimane nascosta entro il corpo vivodell’immagine visibile, il nesso Saturno-Me-lanconia-Geometria viene in luce73; e il fatto che ciòavvenga in una serie di incisioni che per il resto è cosítradizionale, e che anche quando si discosta dalla tradi-zione cede all’influenza solo concettuale, non formale,di Dürer, costituisce una prova anche piú rilevante dellaforza di suggestione intellettuale di Dürer.

Una serie delle complessioni di Jacob I de Gheyn(«illustrata» con distici latini notevolmente spiritosi)sembra a prima vista un semplice parallelo delle incisio-ni già ricordate su disegni di Marten de Vos. Entrambesono modernizzazioni di tipi tardomedievali, che appro-dano a scene di genere idealizzate al modo italiano eambientate in paesaggi caratterizzati ognuno in accordocol temperamento cui si riferiscono. Però Jacob I deGheyn segue il tipo in una sola figura delle illustrazio-ni degli almanacchi anziché quello delle coppie di figu-re abbinate drammaticamente74. Il collerico, ad esempio,è un soldato brutale, dalle lunghe basette, circondato daarmi da guerra, con una torcia che cola al fianco, una

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città che brucia alle spalle, seduto su un tamburo, men-tre brandisce la spada in una posa eroicamente distorta.Il flemmatico è un vecchio pescatore con occhi cisposie capelli gocciolanti, che getta ogni sorta di animalimarini in un mastello di legno sulla riva del mare, sottola pioggia. Ma anche queste due immagini a un esamepiú attento si rivelano qualcosa di piú che figure idea-lizzate tratte dalla vita quotidiana. L’ambizione accesadi De Gheyn sale un grado piú in alto di quella di Mar-ten de Vos: raggiunge l’antichità e la mitologia. Adesempio, nonostante gli abiti del tempo, il collerico nonbrandisce spade moderne o armi da fuoco (queste stan-no ritte o giacciono inutilizzate intorno a lui), ma unaspada antica a lama corta e uno scudo rotondo comple-tamente inservibile nel Cinquecento; egli è stato conce-pito in modo da ricordare i guerrieri dell’antichità clas-sica o addirittura lo stesso Marte. E il piscis homo75 nellarappresentazione del flemmatico, sia nel tipo che nellaposa si rivela la reincarnazione di un antico dio marinoo fluviale, la cui urna, pur conservando la sua forma ela sua funzione, è stata trasformata in una gigantescacesta di vimini da pescatore.

In queste due immagini, come in quella del sangui-gno, si vogliono suggerire associazioni mitologiche piúche realizzare un’identificazione con personaggi dellamitologia. Però nella rappresentazione del melanconico,che anche qui occupa un posto particolare, c’è una verafusione della «bile nera» con la divinità classica che laguida e protegge. Questa eroica figura nuda di pensato-re, con la testa coperta, altri non è che l’antico Satur-no, come lo conosciamo dalla statuetta del Museo Gre-goriano o dall’affresco nella Casa dei Dioscuri, solo che,con compasso in mano e sfera sul ginocchio, occhi chiu-si, viso stanco e segnato da rughe, condivide tutti i pro-blemi dello spirito umano che soffre di melanconia76. Ementre gli esponenti degli altri tre temperamenti erano

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posti in paesaggi che, per quanto di carattere allusivo esimbolico, pure apparivano reali e privi di mistero, que-sto melanconico Saturno sta seduto su un globo sospe-so nell’universo sotto un cielo stellato.

Nel melanconico di Heemskerck, come in quello diJacob I de Gheyn, è interamente esplicitato ciò chenella Melencolia I di Dürer solamente si intuiva, cioè lasostanziale unità di Melanconia, Saturno e Matematica.Ma mentre Heemskerck per arrivare allo scopo deve pre-sentare il suo melanconico in una scena di prosaica vitaquotidiana, De Gheyn spinge l’allegoria addirittura piùin là di quanto aveva fatto Dürer. Non solo rappresen-ta la natura del melanconico in modo simbolico, ma loinnalza alla statura di un essere semidivino, lontano daogni contatto con il mondo degli uomini: pure si portadietro il suo umano dolore negli spazi dei cieli.

1 Cfr. pp. 108 sgg. Ancora nel 1861, ad esempio, una Ecole de Saler-ne uscí a Parigi tradotta da C. Meaux Saint-Marc e corredata di unamodesta litografia (p. 131) dei quattro temperamenti sotto forma diquattro signori vestiti alla moda intorno a una tavola. Karl Arnold pub-blicò, addirittura nel 1928, sulla «Münchner Illustrierte Presse» (p.133), una serie dei «Quattro temperamenti danzanti», ultima deriva-zione dal vecchio schema dei calendari delle coppie psicologicamentedifferenziate.

2 Per la prima volta nella 3a ed. del 1628. Questa incisione, operadi Le Blon, mostra le principali forme di melanconia: l’innamoratomelanconico, l’ipocondriaco, il maniaco e (come rappresentazionedel superstitiosus) il monaco che recita il rosario. L’incisione di LeBlon contiene anche un ritratto dell’autore in veste di Democritojunior e il suo antico predecessore, Democrito di Abdera, nonché, sulfondo, due figure allegoriche delle cause o peculiarità del tempera-mento melanconico (Zelotypia = invidia, e Solitudo = solitudine); einfine due rimedi, la borragine e l’elleboro, che sono raccomandatialla fine come antidoti alla melanconia nel codice di Peutinger (Mona-co, Staatsbibliothek, Ms lat. 4011, fol. 23). Un altro esempio ne è ilfrontespizio, cit. sopra (p. 283, nota 37) del Bericht von der Melan-cholia Hypochondria di Johannes Freytag che, oltre al gruppo già

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descritto della melanconia vinta da un dottore, mostra Asclepio congallo e libro («Confortat») e una personificazione della Verità con lirae sole («Illustrat»).

3 Cfr. p. 327, nota 10 e pp. 370-71.4 Il Malenconico della serie dei temperamenti nelle Complessioni di

Cesare Ripa è un uomo ritto, vestito di scuro, con un libro in una manoper mostrare la sua inclinazione allo studio, una borsa da avaro nel-l’altra, una benda sulla bocca per indicare la sua taciturnità, e un pas-sero sulla testa per mostrare la predilezione per la solitudine. Per lamelanconia come personificazione singola, che si trova anch’essa nelRipa, cfr. pp. 213 sgg.

5 Cfr. pp. 209 sgg.6 La Francia, «encombrée par sa tradition», per usare le parole di

Henri Focillon, sembra essere sfuggita quasi del tutto all’influenzadell’incisione di Dürer nel corso del Cinquecento, ed esserne stata toc-cata solo nel Seicento attraverso il barocco italiano (cfr. tav. 141, eanche pp. 365 sg.).

7 Richiederebbe uno studio a sé raccogliere tutte le rappresentazioniin cui la sterminata ricchezza di motivi dell’incisione düreiana è statautilizzata per raffigurare altri temi, in particolare le personificazionidella Contemplatio, della Meditatio, della Penitentia, ecc., e delle Artiliberali e meccaniche; particolarmente caratteristica in questo senso èla serie delle Artes di Virgil Solis, B183-89, e quella di H. S. Beham,B121-27. Dato che i tipi sia dell’autore in meditazione, ecc. che delleArtes costituivano la base dell’incisione di Dürer, questa poteva orainfluenzare lo sviluppo di entrambe.

8 Nulla di sicuro si sa finora sull’identità dell’artista A. C. La vec-chia opinione, generalmente accettata, che le iniziali significasseroAllart Claesz è stata duramente attaccata da M. J. Friedländer (u. thie-me e f. becker, Allgemeines Lexicon der bildenden Künstler, VII, p. 36);il Friedländer conclude, in base alle differenze stilistiche tra i vari modidi disegnare, che la firma A. C. può indicare solo una bottega d’orafoin cui operavano diversi incisori, ed è propenso a identificare quest’o-rafo con un certo Aleart, di cui è sconosciuto il cognome, citato dalloScorel. Di recente però, come cortesemente ci comunica Winkler,anche l’origine olandese delle incisioni è stata messa in dubbio (per iloro legami con Gossart, però, cfr. e. weiss, J. Gossart, Parchim 1913,p. 42). mentre l’opinione corrente prima dell’ipotesi Allart Claesz,cioè che il maestro A. C. fosse Adrian Collaert senior, un incisore emercante d’arte di Anversa attivo «verso il 1540», sembra ora del tuttoabbandonata; secondo b. linnig, La gravure en Belgique, Antwerpen1911, p. 76, Collaert non è nato prima del 1520, il che escluderebbequesta identificazione; però, per quanto ne sappiamo, non c’è prova perquesta data. Non ci arrischiamo in questa controversia, però possiamo

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ricordare che nel settembre 1520 Dürer dava a un certo Master Adrianstampe per il valore di due fiorini (lf, Nachlass, p. 131, 8): questoAdrian quindi difficilmente può essere identificato con A. Herbouts oHorebouts, il magistrato di Anversa; a quest’ultimo infatti ci si rivol-geva sempre rispettosamente con qualche titolo (ibid., pp. 154, 4 e 151,22), e inoltre, come si apprende dal passo ora citato, Dürer piú tardigli farà dono di «tutta una tiratura».

9 Le varianti consistono semplicemente nella versione in greco dellascritta e nella riduzione del quadrato magico. Dal punto di vista ico-nografico la composizione è un mosaico dei motivi piú vari. Nellaparte alta la Melanconia è collegata con l’Amymone di B71, la partebassa raffigura l’impresa di M. Curzio, sulla sinistra c’è una raffigura-zione della Fortitudo, sulla destra una del Miles christianus, che le poten-ze delle tenebre tentano di arrestare nella sua ascesa a Dio. Per l’au-tore, cfr. h. röttinger, Der Franklurter Buchholzschnitt 1530-1550,Strassburg 1933, p. 62.

10 Cfr. s. strauss-klöbe, in «Münchner Jahrbuch der bildendenKunst», nuova serie, II, 1925, p. 58.

11 Una copia della xilografia di Amman si ha sulla facciata dell’al-bergo «Zum roten Ochsen» a Stein am Rhein.

12 Cosí il giehlow 1904, p. 66. cicerone, De divinatione, I, 81,costituisce il passo classico per questo rapporto.

13 Per questi, cfr. pp. 277 sg. Le differenze consistono semplice-mente nel fatto che la serie di Wolfegg sostituisce l’agnello al maiale(sia che si tratti di un esempio della frequente confusione tra melan-conia e flegma, o di una conseguenza della sublimazione umanisticadella nozione di melanconia, per cui il maiale è escluso per ragioni diincongruenza) mentre il leone del collerico è sostituito da un orso, sim-bolo tradizionale dell’ira: anche in Cesare Ripa (Iconologia cit., s. v.«Ira»). Una vetrata olandese con una raffigurazione della melanconia,dei 1530 circa, che si trova al Victoria and Albert Museum (MurrayBequest, n. C. 1380-1924), presenta una grottesca mescolanza di ani-mali simbolici, emblemi della morte, e un’immagine della regola mona-stica quale avrebbe potuto concepirsi solo durante le lotte della Rifor-ma, con i loro «asini papali» e i loro «vitelli monacali»: Saturno inaspetto di guerriero con abiti mezzo orientali, con una gamba ancorasollevata, sta allontanando il melanconico dalle porte del suo palazzoverso un cortile rustico; quanto al melanconico, che si ritrae nervosa-mente, lo si vede vestito da monaco con un rosario gigantesco e un te-schio sotto il braccio sinistro, però ha sulle spalle una testa di verroanziché di uomo. Il vetro sembra abbia fatto parte di una serie, perònon si è finora stabilito se si trattasse di una serie rappresentante i tem-peramenti.

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14 «Omne Melancholici studium sine fine pererrant, | Hac generiscelebres parte fucre viri».

15 Cfr. più avanti.16 Questo vale anche per la rappresentazione della melanconia nella

serie dei temperamenti di Paul Flindt, 1611, ricordata sopra, che occu-pa un posto a parte in quanto le quattro complessioni sono tutte rap-presentate da putti, stilizzati alla maniera di Spranger, il Sanguineus chesuona il liuto, il Cholericus con l’armatura, il Phlegmaticus che scolpi-sce e il Melancholicus che se ne sta afflitto fra i soliti arnesi.

17 Datata 1560, mostra la melanconia in aspetto di monaca, conl’ambiente intorno che si allontana all’infinito, completamente vuoto,e i pochi attributi disposti con tale regolarità e ordine geometrico chesembra non possano mai piú lasciare il loro posto. L’ombreggiaturascura delle pareti e del soffitto e il forte contrasto tra luce e ombra sonoparticolarmente efficaci, mentre l’esecuzione minuziosa della prospet-tiva dell’ambiente chiuso assicura una grande forza di espressione psi-cologica.

18 Katalog der Erfurter Leihausstellung, 1893, n. 173, riprodotto in o.doering e g. voss, Meisterwerke der Kunst aus Sachsen und Thüringen,Magdeburg s. d., tav. 35; cfr. anche thieme e becker, Allgemeines Lexi-con der bildenden Künstler cit., p. 488; catalogo d’asta del collezionistaF. Trau, Gilhofer e Ranschburg, Wien, 26-30 aprile 1937, n. 551.

19 G. Hellmann ci ha gentilmente segnalato che una gemma ripro-dotta in c. daremberg e e. saglio, Dictionnaire des antiquités, I, i,Paris 1887, n. 587, Presenta una figura molto simile, benché mostra-ta di profilo. Se questo tipo di immagine è realmente classico, una que-stione su cui non osiamo pronunziarci, la figura di Dio Padre nelleBibles moralisées potrebbe farsi risalire a questa origine; per cui un tipoclassico di astronomo o cosmografo sarebbe stato deificato nel Medioe-vo per ritornare umano nel Rinascimento. Il modello del Cosmografo,che Matthias Gerung ha copiato quasi esattamente, è stato nel frat-tempo riconosciuto nell’Astrologo del Campagnola (hartlaub, Geheim-nis, tavv. 25-27), tranne che quest’ultimo è intento a misurare i cielianziché la terra.

20 L’elenco dei pianeti regnanti nell’anno sembra variare conside-revolmente nella bibliografia relativa. G. Hellmann ci ha cortesemen-te informato di due elenchi per l’anno 1558, che portano ri-spettivamente Marte e Venere, e Marte, Saturno e Giove. QuindiMarte è ricordato in entrambi i casi, la Luna e il Sole in nessuno. Peròsecondo G. Hellmann una terza fonte potrebbe altrettanto bene por-tare questo trio.

21 christian schuchardt, Lucas Cranach d. Ä. Leben und Werke,vol. II, Leipzig 1851, p. 103 cita questa copia come appartenente allaCollezione Campe, Nürnberg; cfr. ora m. j. friedländer e j. rosen-

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berg, Die Gemälde von Lucas Cranach, Berlin 1932, n. 228, che men-ziona anche una copia «in possesso del Dr. Paul Weber di Jena». Suc-cessivamente appartenuta al console Moslé di Lipsia, questa copia fuceduta il 22 aprile 1948 all’asta Parke-Bernet a New York; la suaattuale collocazione ci è sconosciuta. Moslé ci ha fatto notare che neldipinto del conte di Crawford la Melanconia non era senza ali, comeè sostenuto nella Dürers Melencolia I, ma che è possibile vedere traccedi ali che sparirono quasi completamente quando parte del dipintovenne tagliata. Un dipinto successivo, dello stesso soggetto (probabil-mente un prodotto di bottega), di cui dobbiamo conoscenza a M. J.Friedländer, è datato 1534, ma, nel complesso, è riferibile alla conce-zione del 1528. Gli elementi magici sono tuttavia ridotti all’indispen-sabile scortecciamento della bacchetta, mentre il collegamento con lageometria, messa in evidenza dalla squadra da disegno di Dürer, è piúforte che nella composizione di Copenaghen e in quella dell’Aia, dovemanca anche la sfera.

22 G. E. Hartlaub ci informa gentilmente che egli ritiene di aver tro-vato la spiegazione per il gruppo di putti nei dipinti di Cranach, e forseanche per il bambino che scarabocchia nell’incisione di Dürer in untrattato sull’alchimia datato 1530 e splendidamente illustrato, dal tito-lo Splendor Solis (Norimberga, Germanisches Museum), dove un grup-po di bambini che giocano rappresenta un certo stadio nella trasfor-mazione alchernica, ossia la coagulatio poiché questo «wirdet zugelei-chet dem Spil der Kinder, die so spylen, das so oben gelegen, ligt yetztunndten». I putti che accompagnano la Melanconia dovrebbero esse-re interpretati come simboli alchimistici. Dobbiamo confessare chequesta interpretazione potrebbe convincerci solo se le posizioni alter-nate di sopra e sotto, su cui si basa l’intero paragone, si dimostrasseroaltrettanto inequivocabili di quelle della miniatura del Ms di Norim-berga. Questo comunque non è proprio il caso dei dipinti di Cranach,e tanto meno dell’incisione di Dürer, dove il putto, solitario ed estre-mamente serio, è affaccendato alla lavagna.

23 Una copia piú fedele del cane che si vede nell’incisione di , peròrovesciato e arricchito di una zampa anteriore comicamente stesa, si hanel quadro dei Paradiso di Cranach, 1530: Vienna, Kunsthist. Mus. n.1462 (cfr. friedlander e rosenberg, Die Gemalde von Lucas Cranachcit., tav. 167).

24 Cfr., ad esempio, Ibn Esra: «Et in eius parte [sc. Saturni] suntdiabolici»; e Abú Masar «Omneque magice omnisque malefici stu-dium». Il rapporto appare in modo particolarmente chiaro in una serieincisa dei pianeti di Henry Leroy (1579 circa - 1651; g. k. nagler, Kün-stlerlexicon, vol. VIII, p. 399), in cui streghe e maghi sono quasi gliunici rappresentanti dei «figli di Saturno»; la scritta dice: «Saturnus...magis et sagis, fodinis et plumbo pracest».

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25 Quella che sembra una biforcazione del rametto nel quadro diCopenaghen sono solo due frammenti della scorza staccata.

26 Cfr. c. borchling, in «Vorträge der Bibliothek Warburg», III,1923-24, p. 229. Secondo g. c. horst, in «Zauberbibliothek», vol. VI,1826, p. 210, la verga sulla quale la strega sta giurando obbedienza aldiavolo è «un bastoncino bianco che sembra essere stato tagliato da unsalice e poi privato della corteccia».

27 Cfr. ora friedländer e rosenberg, Die Gemälde von Lucas Cra-nach cit., fig. 227.

28 Cfr. ibid. fig. 228.29 Cfr. p. 288.30 Inoltre, come cortesemente ci ha segnalato il console Moslé, que-

sto quadro, come quello di proprietà del conte di Crawford, sembra siastato tagliato, e non e improbabile che anche qui la figura principalefosse in origine alata.

31 plinio, Nat. hist., XXXVI, 58: «Numquam hic: [sc. basanites]maior repertus est, quam in templo Pacis ab imperatore VespasianoAugusto dicatus argumento Nili, sedecim liberis circa ludentibus...» Perrepliche del gruppo (la copia del Vaticano ovviamente è stata scopertasolo ai tempi di Leone XIII), cfr. w. amelung, Die Skulpturen desVatikanischen Museums, Berlin 1903, p. 130.

32 «Zeitschrift für bildende Kunst», vol. LIX, 1925-26, pp. 298 sgg.33 Elsheimer invece, in un delicato quadretto del Fitzwilliarn

Museum di Cambridge, ha raffigurato Minerva come patrona dell’ar-te e della scienza in un atteggiamento tipico della Melanconia (w.drost, in «Belvedere», voll. IX-X, 1926, pp. 96 sgg., tav. 2).

34 Cfr. l. volkmann, in Werden und Wirken, Festschrift für K. W.Hiersemann, Leipzig 1924, p. 417; e «Zeitschrift fiir bildende Kunst»,vol. LXIII, 1929-30, pp. 119 sgg. L’affresco, che fu distrutto nel corsodella trasformazione della «Sala di Saturno» nella «Loggia di Saturno»raffigurava la fondazione della città di Saturnia, che come dice il Vasa-ri nei suoi Raggionamenti, fu costruita in un «luogo solitario e melan-conico». La stessa Melanconia vi era rappresentata «con arnesi da arti-giano, compasso, quadranti e canne per misurare».

35 Cfr. schlosser, La letteratura artistica cit., p. 213. La descrizio-ne del Doni (fol. 8f. nell’edizione di Venezia del 1549) suona così:«Nell’aspetto la fecero grave, nel mirar severa, e d’habito intero vesti-ta: puro et honorato, equale cosí alla testa come a tutto il corpo. Il qualehabito mostrava non meno d’esser da temere, che da esser honorato.Et cosí ferma e stabile, solitaria e pensosa, si stava a sedere con le suemasseritie, e artifitiosi stromenti intorno; si come a tal arte si con-viene».

36 Cfr. l. volkmann, in «Zeitschrift für bildende Kunst», vol.LXIII, 1929-30, pp. 119 sgg., con tavole. La Melanconia, come nel-

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l’originale Düreriano, appare in forma di donna alata, mentre gli altritre temperamenti, cosa abbastanza significativa, non hanno ali; tieneil mento sulla mano sinistra ed è appoggiata a una tavola, con un piedesollevato, mentre nella mano destra tiene una bilancia. Ai suoi piedi èaccoccolato un bambino con un libro, e sulla sporgenza di uno dei murisi vedono un altro libro, una clessidra e un astrolabio.

37 a. f. doni, I Marmi, vol. II, Venezia 1552, p. 87. I versi posti inbocca a questa donna addolorata sono intonati al carattere elegiaco del-l’immagine: «Che pena si può dire | Piú grande che morire? || Maggiorè la mia pena | E passa ogn’aspra sorte, | Che mai punto raffrena | Macresce ogn’hor piú forte; | lo vivo, et ogni dí provo la morte, || Dun-que è maggior martire | Chi vive in doglia, et mai non può morire». Laxilografia del Doni, col titolo cambiato in tutti i modi (ad esempio,divenuto Sibylla Albunea) fu ripresa in tutta una serie di stampe vene-ziane, e quindi divenne molto nota ed esercitò una grandissima influen-za in Italia (cfr. anche oltre, pp. 363 sgg.). Una serie di quarantadueEmblemata, tradizionalmente attribuita a Comelis Massys, compren-deva anch’essa una copia rovesciata della xilografia del Doni; il titoloè Melancholia, la didascalia: «Hanc: caveas, moneo, si alacrem visducere vitam». Gli altri pezzi della serie trattavano temi come Perti-nacia, Punitio, Dolor, ecc. L’inclusione della figura del Doni nella seriespiega perché la xilografia italiana abbia esercitato un’influenza anchesull’arte olandese successiva. Ad esempio, una serie dei temperamentiincisa da Cornelis Bloemaert su disegno di Abraham Bloemaert, com-prende una Melanconia che, benché per molti rispetti discenda diret-tamente dall’incizione di Dürer deve la sua posa, un gentile Kontrapo-st, e il suo carattere elegiaco senza possibilità di equivoci al Doni. Lostesso si può dire della Dialettica nella famosa allegoria di Torino delleArti liberali che sonnecchiano mentre c’è la guerra di Frans Floris. Per laGeometria di J. Boeckhorst, cfr. p. 308, nota 2.

38 Cfr. pp. 271 sgg., 280.39 Non è un caso che la Malinconia del Ripa (fig. 5), di cui già si è

parlato (pp. 214 sgg.), somigli al tipo generalmente accettato dellaMelanconia meno delle sue personificazioni dell’Accidia e della Medi-tazione, e si comprende assai bene che il testo non faccia riferimentoall’incisione di Dürer. È quindi tanto piú significativo che l’edizionefiamminga corregga l’omissione (Amsterdarn 1644, p. 500). Per unarappresentazione di Abraham Janssens, che, seguendo il Ripa,contrapponeva la Malinconia all’Allegrezza, cfr. pp. 214-15 di questolibro, Einaudi, Torino 1983.

40 Il Ripa ne fece una personificazione particolare descrivendolacome «donna scapigliata, con vesti lugubre, appoggiata col braccio àqualche sepoltura, tenendo ambi l’occhi fissi in una testa di morto ...»Come esempi anteriori di questo genere ci limitiamo a ricordare il gio-

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vane che medita su un teschio del Campagnola (hartlaub, Geheimnis,tav. 24) e la bella acquaforte della Vanitas (B15) del Parmigianino.

41 Cfr. w. weisbach, in «Die Antike», vi, 1930, pp. 127 sgg.42 Significativo per questo rispetto è il frontespizio della serie dei

pianeti di Marten de Vos, 1581. Qui il Phlegma figura come Diana, ilSanguis come Venere, e la Cholera come Minerva armata; la Melancho-lia invece come una monaca con un cartiglio, in atto di ammonire. Ilfrontespizio inciso delle Tables anatomiques di J. Guillemeau, Paris1586, è derivato da questo, però qui la Melancholia torna ad essereseduta, con la testa appoggiata alla mano. Anche nella serie vera e pro-pria l’elemento religioso prende un posto preminente; i sette pianeti’ele sette età dell’uomo sono messi in rapporto con le sette opere di mise-ricordia, e l’anziano saturnino viene spinto a pentirsi dalla Conscientiache gli indica il cielo. Milton e molti suoi successori si rivolgono allaMelanconia come a una «monaca pensosa, devota e pura».

43 Copie al Louvre, all’Accademia di Venezia e al Ferdinandeuin diInnsbruck. Non vediamo elementi per mettere in dubbio, come fa ilWölfflin, il rapporto tra Feti e Dürer, solo che si tenga conto della vastacircolazione dell’incisione düreriana e della presenza di tanti attributisimili (cane, compasso, sfera, squadra, clessidra, pialla); ma natural-mente anche il Feti deve avere avuto familiare il tipo piú sentimenta-le del Doni. Gli oggetti che mancano nell’incisione düreriana (model-lo da scultore ed astrolabio) si hanno, ad esempio, in un’acquafortedella Vanitas di Jacob Matham, la quale, come tante rappresentazioniolandesi di questo tipo (cfr. h. wichmann, Leonaert Bramer, Leipzig1923, pp. 45 sgg.), rinunzia del tutto alle figure umane e si contentadi contrapporre i simboli delle arti e delle scienze secolari a una natu-ra morta religiosa composta di teschio, bibbia, crocifisso e rosario.

44 Cfr. la Maddalena dello stesso Feti riprodotta in r. oldembourg,Domenico Feti, Roma 1921, tav. xii. Una rappresentazione simile dellaVanitas, però questa volta di nuovo alata, si trova riprodotta in «Jahr-buch der kunsthistorischen Sammlungen des allerhöchsten Kaiserhau-ses» vol. xxvi, 1906-907, tav. xii. Nel corso del Seicento questi duetipi si confusero talmente che in molti casi (ad esempio, nel disegno diChaperon), sia il titolo di Melanconia che quello di Vanitas sarebberoparimenti giustificati.

45 E in effetti la copia di Parigi dell’opera del Feti fu catalogata comeuna Maddalena nel Seicento, e solo nel Settecento (quando forse fu rico-nosciuto il suo legame con Dürer) fu dato ad essa il nome di Melan-cholie. (Cfr. m. endres-soltmann, Domenico Fetti, tesi, München1914, pp. 28 sgg.).

46 Vogliamo qui rinnovare i nostri sinceri ringraziamenti a LudwigMünz, che ha attirato la nostra attenzione su questa acquaforte (B22)del Castiglione. Nell’occasione possiamo anche ricordare un’altra

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acquaforte della Melanconia (B26, un rettangolo orizzontale) operadello stesso artista.

47 Per l’interpretazione delle rovine si vedano, ad esempio, c. hus-sey, The Picturesque. Studies in a Point of View, London and NewYork 1927; k. clark, Landscape into Art, London 1949.

48 È stato j. hess (Agostino Tassi, München 1935, p. 22) a indicareil rapporto tra la Notte del Guercino e l’incisione di Dürer. Si deve peròsottolineare che la composizione del Guercino presuppone non solo l’o-riginale di Dürer ma anche le sue modificazioni in senso sentimentalealla maniera della xilografia del Doni, e in realtà, per quanto riguardala concezione generale, soprattutto quest’ultima.

49 Louvre, Inv. nn. 25196 e 25198. Cfr. l’acquaforte della Vanitasdi J. H. Schönfeldt, 1654 (riprodotta in w. drost, Barockmalerei in dengermanischen Ländern, Wildpark-Potsdam 1926, tav. xv) che icono-graficamente differisce dai disegni di Chaperon solo nel fatto che lafigura principale è maschile e che c’è l’insistenza tipicamente tedescasull’idea della morte.

50 Cfr. p. 224 di questo libro, Einaudi, Torino 1983.51 «Say in what deep-sequester’d vale, | Thy head upon thy hand

reclin’d | Sitt’st thou to watch the last faint gleams of light» (John Whi-tehouse, cit. in e. m. sickels, The Gloomy Egoist, New York 1932).

52 Louvre, Catal. n. 450. La figura è identica a una delle plorantidella Morte della moglie di Dario del museo di Nantes. Delle rappre-sentazioni della Melanconia create dal cosiddetto classicisme de milieu,che andò di moda intorno al 1760, possiamo ricordare la Douce Mélan-cholie di Joseph-Marie Vien (incisa da Beauvarlet), impersonata da unagiovane donna pensierosa in una stanza riccamente decorata, e unaMélancholie del suo discepolo François-André Vincent, datata 1801,che, secondo il Nagler, rappresenta «una meravigliosa figura femminilesotto cipressi».

53 «With Eyes up-rais’d, as one inapir’d, | Pale Melancholy satretird». Cfr. p. 223.

54 Cfr. i ritratti di Reynolds studiati e riprodotti da e. wind, Huma-nitätsidee und heroisiertes Porträt in der englischen Kultur des 18. Jahrhun-derts, in «Vorträge der Bibliothek Warburg», ix, 1930-31, pp. 156 sgg.Il ritratto di Lady Macdonald, su cui Wind ha gentilmente attirato lanostra attenzione, si trova riprodotto in v. manners e g. g. william-son, Angelica Kauffmann, London I924, p. 97; cfr. anche ursula hoff,Rembrandt und England, tesi, Haniburg 1935.

55 «Jhe lenger jhe lieber ich bin allein, | denn treu und wahrheit istworden klein». Acquarello nello Städelsches Kunstinstitut, Frankfurt;cfr. p. weber, Beiträge zu Dürers Weltanschauung; eine Studie über diedrei Stiche, Ritter Tod und Teufel, Melancholie und Hieronymus imGehäus, Strassburg 1900, p. 82. Questa immagine naturalmente non

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si può utilizzare per l’interpretazione dell’incisione di Dürer, in quan-to la ghirlanda sul capo della Melencolia I non è composta di caprifoglio(Teucrium). Cfr. pp. 304-5.

56 Disegno, Dresden 1801; xilografia tratta da esso dal fratello del-l’artista, Christian, intorno al 1818; cfr. w. kurth, in «Amtliche Beri-chte aus den königlichen Kunstsammlungen», xxxvi, 1914-1915, pp.229 sgg. La posa della figura somiglia moltissimo a quella della ben notaSant’Elena di Londra di Paolo Veronese, il quale a sua volta ha larga-mente utilizzato l’incisione B460, in passato erroneamente attribuitaa Marcantonio e forse derivata da una composizione del Parmigianino.Questa incisione, con qualche modifica nella parte superiore del corpo,è servita anche come modello per la Madonna di Barthel Beham, B8(cfr. a. oberheide, Der Einfluss Marcantonio Raimondis auf die nordi-sche Kunst des M. Jahrhunderts, tesi, Hamburg 1933, pp. 104, 113, tav.xli), che a sua volta è stata utilizzata nel disegno di Rembrandt H. d.G. 877. È quindi in errore j. l. a. a. m. van rijckevorsel, Rembrandten de Traditie, Rotterdam, 1932, pp. 121 sgg., che, non avendo presentel’incisione falsamente attribuita a Marcantonio, ritiene che anche laSant’Elena del Veronese derivi da Beham. Un disegno di BartolomeoPassarotti della Collezione Mond, pubblicato da t. borenius e r.wittkower, Catalogue of the Collection of Drawings by the Old Masters,Formed by Sir Robert Mond, London 1937, p. 44, tav. 30, è anch’essoderivato da questa incisione.

57 Il disegno dell’Ecole des Beaux-Arts fu pubblicato come france-se da p. lavallée in Les trésors des bibliothèques de France, vol. II, Paris1929, p. 88, pur ammettendo che «sujet et style sont plutôt allemandsque français». L’origine tedesca del disegno, però, è assicurata dallascritta di mano dell’artista «Sametkäplin» che precisa ciò che ha in capola figura maschile, mentre il titolo francese Un mélancolique spéculatifdeve risalire a un possessore successivo del disegno.

58 Il segno V, che è il simbolo alchimistico della terra, chiaramenterichiama i tre simboli corrispondenti (Z - fuoco, V - acqua, A - aria;cfr. g. carbonelli, Sulle fonti storiche della Chimica e dell’Alchimia inItalia, Roma 1925, p. 23). Un’ulteriore prova che fa parte di unasequenza di quattro si ha nella presenza dei tre segni zodiacali, per iquali, però, si veda la nota seguente.

59 Il terzo segno zodiacale per indicare l’inverno, il Capricorno, è statosostituito dalla Vergine, ma questo può darsi sia dovuto semplicementea un errore, a meno che, come nelle serie incise derivate da Heem-skerck, di cui trattiamo alle pp. 371 sg., la combinazione dei segni zodia-cali non sia intesa come comprensiva anche della patologia degli umori.

60 Cfr. pietro d’abano, Elementa magica, aggiunti all’Occulta phi-losophia di Agrippa (edizione di Lione, p. 561): «Habeat [sc. operans]vas fictile novum igne plenum».

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61 pietro d’abano, Elementa magica, p. 560: «Deinde sumat hocpentaculum [l’illustrazione è identica alla stella del disegno di Parigi]factum... in charta membrana hoedi».

62 Cfr. pierio valeriano, Ieroglifici, Venezia 1625, p. 256, conrichiami a san Basilio ed Esichio di Gerusalemme. Il Ripa cita anchela civetta come simbolo di superstizione.

63 Cfr. ibid., pp. 342-43; la tela di ragno significa opera vana.64 Cfr. panofsky, Hercules am Scheidewege cit., pp. 51 e 110.65 L’incisione di Jacob I de Gheyn, riprodotta alla tav. 148, sem-

bra suggerire questa possibilità.66 Cfr. pierio valeriano, Ieroglifici cit., p. 104. Il porcospino signi-

fica i «Danni che si sentono per l’indugio», perché «questo animalequando la femina sente lo stimolo dei partorire, che il ventre le duole,differisce, et indugia à partorire quanto piú può; onde avviene, che ilsuo parto sempre piú crescendo, maggior dolore poi nel partorire learreca».

67 Cfr. p. 309, fig. 2.68 Cfr. ad esempio il mulino a vento nella raffigurazione del san-

guigno «volubile», il castello in fiamme in quella del collerico «foco-so», il paesaggio marino in quella del flemmatico «acquoso».

69 La quartina scritta sotto è una variante dei versi salernitani, peròelimina tutte le buone qualità del melanconico. Lo stesso vale perun’altra sequenza dei temperamenti, incisa da J. Sadeler da disegni diMarten de Vos, in cui la Melanconia è rappresentata da una donnaquasi nuda che si torce le mani, e da un uomo che si è addormentatoin mezzo a una quantità di arnesi rotti. Anche in questo caso è chiarala relazione con le coppie di figure dei calendari.

70 Cfr. t. kerrich, A Catalogue of the Prints wich have been engra-ved alter M. Heemskerck, Cambridge 1829, p. 98.

71 Cfr. ibid., pp. 98 sgg. Bella Martens ci ha gentilmente segnalatoquesta serie.

72 I segni dello zodiaco sono quelli nei quali, secondo l’antica tra-dizione dei calendari, si deve trovare la luna se si vuole salassare conbuon esito un melanconico, un sanguigno, ecc. «Quando Luna est inthauro, in virgine et in capricorno, tunc minutio valet melancholicis»,leggiamo, ad esempio, in marcus reinhart, Horae B. V. Mariae, Kir-chheim 1490 circa, cit. a p. 279, nota 18.

73 La stessa tendenza si può osservare nella xilografia di HansDöring riprodotta alla tav. 112.

74 La metamorfosi rozzamente umoristica di una serie del genere,che a quanto sembra è avvenuta agli inizi del Seicento in Olanda, sipuò vedere in una litografia del 1845. Vi sono rappresentati gli effet-ti dell’ubriachezza sui quattro temperamenti. I vari caratteri sonoaccompagnati dai loro animali tradizionali, il sanguigno da un agnello,

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il collerico da un orso e il flemmatico da un maiale, tranne il melanco-nico cui è assegnata una scimmia perché quando è ubriaco gli si attri-buisce la capacità di «inventare mille trucchi».

75 Cosí lo chiama la formula umoristica nel distico esplicativo.76 «Atra, animaeque animique lues aterrima, bilis | Saepe premit

vires ingenii et genii». Di fatto il Saturno di Jacob I de Gheyn è cosístrettamente legato come tema al Mélancolique spéculatif del disegno apenna di Parigi, che si potrebbe arrivare a immaginare che si fondinosullo stesso modello. Se mai un simile originale è esistito, la propostaavanzata che la botte del disegno a penna fosse una trasformazione diuna sfera potrebbe avere qualche fondamento.

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