Sentenza 6 luglio 1953; Pres. Usai P., Est. Donati, P. M. Ciccio (concl. diff.); A. (Avv. Maresca) c.D. (Avv. Castiglia)Source: Il Foro Italiano, Vol. 77, No. 7 (1954), pp. 1043/1044-1045/1046Published by: Societa Editrice Il Foro Italiano ARLStable URL: http://www.jstor.org/stable/23144631 .
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1043 PARTE PRIMA 1044
L'unica cosa che resta da vedere è se la cauzione sia stata
o meno interamente prestata dai due convenuti. All'uopo devesi esaminare quali crediti e in quale misura essi inten
devano garantire. Sembra anzitutto abbastanza evidente
dal testo stesso del contratto di cauzione, che essi intendes
sero garantire tutte le « imposte e tasse ed eventuali soprav venienze passive afferenti la Società a tutto il 31 ottobre
1950 ». Che cioè la garanzia avesse scopi esattamente pari alla responsabilità che essi assumevano. Se anche il « tutto »
non è letteralmente inserito nel testo, quell'» eventuale »
costituisce un indubitabile argomento a 'priori. D'altra
parte neppure possono i convenuti seriamente sostenere
che la cauzione da essi fornita dovesse estendersi soltanto
sino all'importo di lire 2.400.000. Essi si sono infatti as
sunti l'obbligo (e qui è l'aspetto più interessante giuridi camente) di fornire una cauzione di importo per così dire, mobile e indeterminato, ma determinabile ; e cioè una cau
zione pari alla loro responsabilità. Sicché a mano a mano
che si accerta maggior misura di questa responsabilità at
traverso la determinazione non seriamente contestabile
delle prime ignote sopravvenienze passive, cresce anche la
misura del loro obbligo di cauzione. Essi non hanno che il
beneficio del termine : 10 giorni di tempo dalla comunica
zione per integrare la garanzia. Che tale sia la natura del
l'obbligo (integrare la cauzione a mano a mano che si accer
ta la responsabilità cauzionata) risulta anche dalla seguente
argomentazione indiretta. Che cosa sarebbe successo se non
si fossero assunti l'obbligo di integrare la cauzione ? Sem
plicemente questo : per la misura delle sopravvenienze pas sive eccedenti la cauzione essi non avrebbero più avuto
una res in facilitate solutionis e precisamente la eadem res
che era in obligatione. Non adempiendo i convenuti regola menti alla medesima, gli acquirenti avrebbero perfezionato il diritto ad agire nei loro confronti per inadempimento. Se
dunque non ci fosse stata quella clausola di integrazione, o
meglio quella clausola di mobilità della cauzione stessa, essi avrebbero dovuto sborsare le somme corrispondenti ai
crediti via via in scadenza, oltre la misura di quelli ini
zialmente accertati in lire 2.400.000. Non sarebbe stato
certo sostenibile che i debiti non garantiti, perchè in eccesso
a quelli garantiti, dovessero . . . gravare sulla cauzione !
Ora una volta che tutti i debiti sono stati cauzionati e non
soltanto quelli compresi entro lire 2.400.000, come potrebbe la posizione degli acquirenti essere giuridicamente inferiore
a quella di cui essi avrebbero goduto se la garanzia fosse
stata limitata ai debiti accertati entro la somma suddetta ?
Obbligo di pagare i venditori avevano in ogni caso. Con la convenzione 9 novembre 1950 essi si sono assunti anche
l'obbligo di garantire tale pagamento e di tale garanzia han
no tosto versato un primo acconto. Del resto cosi operando essi non hanno fatto che applicare un principio di cui il le
gislatore ci ha dato (sia pure in altra ipotesi) un chiaro
esempio occasionale con l'art. 1850 cod. civ. (diminuzione della garanzia). Se il valore della garanzia diminuisce oltre al decimo la banca garantita per la sua anticipazione può chiedere al debitore un supplemento di garanzia nel termine in uso. In questo caso il debito (eventuale o reale) garantito è certo e liquido quanto al suo ammontare. Nel nostro caso invece è proprio la progressiva liquidazione del debito ga rantito che compromette la sufficienza della garanzia.
C'è da chiedersi se la norma non fosse quindi appli cabile, mutatis mutandi, in via di estensione analogica. In tale ipotesi l'impegno contrattuale fra le parti sarebbe valso : a) a fissare il « termine d'uso » in giorni 10 ; 6) a eliminare il limite di oscillazione tollerata dal decimo del va lore. Una volta cosi chiarita la latitudine della cauzione come pari alla responsabilità assunta e ritenuto pertanto immediatamente operante per legge e per contratto l'obbligo di integrarla parallelamente al progressivo accertamento non seriamente contestabile (liquidità effettiva di esistenza e di quantità) dei debiti garantiti, non resta che esaminare caso per caso se tale oggettiva liquidità esiste ed in misura tale da superare l'importo della parte della cauzione ini zialmente anticipata. (Omissis)
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI MILANO.
Sentenza 6 luglio 1953 ; Pres. Usai P., Est. Donati, P. al.
Ciccio (conci, diff.) ; A. (Avv. Maresca) c. D. (Avv.
Cartiglia).
Stato civile -— Matrimonio — Annotazione dell'atto — Presunzione di esistenza — Prova contraria —
Mancanza dell'atto — Insufficienza (Cod. civ., art.
130, 132, 451, 452 ; r. d. 3 luglio 1939 n. 1238, ordina
mento dello stato civile, art. 88, 172, 173, 175).
L'annotazione di un atto di matrimonio in margine agli atti
di nascita delle parti pone in essere una presunzione dell'esistenza di esso, la quale può essere vinta dalla prova contraria, ma non dalla sola impossibilità di rinvenire
l'atto per la distruzione dei registri dello stato civile del
luogo e del tempo della indicata celebrazione del matri
monio. (1)
Il Tribunale, eco. — L'attrice (con l'adesione del conve
nuto) mira con il presente giudizio ad inficiare di nullità le
annotazioni esistenti a margine degli atti di nascita suo e
del convenuto, relative alla asserita celebrazione di matri
monio fra gli stessi in X.
Le ragioni che dovrebbero suffragare tale domanda,
quali esposte negli atti di entrambe le parti, si riassumono
nella premessa che l'annotazione a margine di un atto di
stato civile ha valore di mezzo supplementare di pubblicità di un evento giuridico concernente lo stato della persona ; e nella conclusione che, se è inesistente l'atto integrale di matrimonio nei registri di stato civile, considerato come
mezzo principale per pubblicamente dimostrare l'esistenza
del vincolo (art. 130 cod. civ.), l'annotazione, che solo in
via sussidiaria od indiretta svolge analoga funzione pro batoria, rimane sprovvista di valore e di effetti.
Sembra necessario al Collegio premettere anzitutto che
non deve confondersi la natura della annotazione con le
sue finalità. È esatto che l'annotazione abbia anche lo
scopo (ma invero non è l'unico) « di servire da guida per rin
tracciare il documento destinato a far prova della esistenza
del fatto annotato », ma ciò non contrasta con la sua natura
di attestazione promanante da un pubblico ufficiale.
E anche se in relazione alla sua efficacia probatoria dovrà accettarsi il principio sancito dall'art. 451 cod. civ., non è dubbio che per constrastare la veridicità del conte
nuto dell'annotazione è necessaria una efficiente prova con
traria, semprechè il suo contenuto sia circoscritto ad una
mera attestazione di fatti, che non siano avvenuti in pre senza dell'ufficiale di stato civile e di atti, che non siano
stati da lui compiuti. Di fronte alle due annotazioni in questione le parti
in causa dovevano o dimostrare che esse erano state effet
tuate dagli ufficiali di stato civile per mero errore materiale
(ipotesi che invero in pratica non sembra ragionevole, atteso che dovrebbe supporsi che i due ufficiali di stato civile abbiano fantasiosamente immaginato un vincolo matrimo niale irreale) ; o che esse si riferivano ad un matrimonio celebrato bensì (più o meno validamente), ma che non era documentato dal relativo atto di matrimonio.
Sarebbe da chiedersi, in quest'ultima ipotesi, se l'anno tazione di un matrimonio esistente, e non invalidato, anche se non documentato da relativo atto di matrimonio (ma che anche in tal caso il vincolo possa considerarsi valido è provato dall'art. 132) sia da considerarsi valida ed efficace,
perchè rispondente al vero, anche se non trovi appoggio formale nel documento principale (l'atto di matrimonio) per la inesistenza o la distruzione di quest'ultimo.
Ma nella specie non è necessario affrontare, in tali
( 1 ) Non risultano precedenti giurisprudenziali editi. In dot trina vedi G. B. Nappi, Presunzione di prova in atti dello stato civile, in Mon. trib., 1953, 312, che critica la presente sentenza per non aver considerato che solo quando l'annotazione sia richiesta dalle parti, e non anche'quando lo sia dal procuratore della Re
pubblica, deve presentarsi la copia autentica dell'atto.
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1046 GIURISPRUDENZA CIVILE 1046
termini, la questione, poiché le parti si sono limitate a
negare che fra A. e D. sia mai esistito un valido vincolo, ed hanno ritenuto di poter sottrarsi all'onere probatorio di rovesciare la legittima presunzione di esistenza del vin colo nascente dalle due annotazioni trascritte a margine dei rispettivi atti di nascita degli ufficiali di stato civile, a sensi, con le forme e per gli effetti di cui agli art. 132, 172 e 175 r. decreto 9 luglio 1939 n. 1238 (ordinamento dello stato civile). (Omissis)
Ora, dinnanzi a tale quadruplice annotazione (sui re
gistri di nascita presso gli uffici di stato civile e sui dupli presso i competenti tribunali) effettuata da due diversi ufficiali di stato civile e da due diversi cancellieri e formal mente regolare, il Tribunale deve ritenere in atto una
presunzione a favore dell'esistenza di quel vincolo matri
moniale cui le annotazioni si riferiscono.
Ben poteva l'attrice, come detto più sopra, invalidare tale presunzione con una prova contraria.
Ma tale prova contraria non poteva limitarsi alla con
siderazione della inesistenza dell'atto di celebrazione del
matrimonio, inesistenza notisi che l'attrice si è limitata a dedurre dal fatto che sarebbero andati distrutti i registri degli atti di stato civile, relativi al primo trimestre 1941 del comune di X, in base ad una dichiarazione dell'ufficiale di stato civile di M. in data 2 febbraio 1953. (Omissis)
Ora, la semplice impossibilità di produrre l'atto di ma
trimonio, estratto dai registri di stato civile, può interdire il reclamo del titolo di coniuge e gli effetti del matrimonio
(art. 1.30) ; ma .tale impossibilità (anche se dimostrata in
modo e con i mezzi più convincenti di quanto l'attrice
non abbia tentato) non costituisce prova circa l'insussistenza
del vincolo.
Non è lecito contestare la veridicità del contenuto di
un atto (l'annotazione) solo col dimostrare (o col tentare
di dimostrare) di non aver potuto provvedersi di una prova che confermi la veridicità di tale contenuto.
Per questi motivi, ecc.
TRIBUNALE DI VENEZIA.
Sentenza 20 maggio 1953 ; Pres. Mastrobttono P., Est. Al
banese ; Soo. adriatica di elettricità (Avv. Dalla
Santa) c. Balbinot (Avv. Longobardi) e Balbinot (Avv.
Bardella).
Lavoro (rapporto di) — Morte del prestatore di la voro — Indennità per la eessazione del rapporto — Diritto dell'affiliato — Sussistenza (Cod. civ., art. 2118, 2120, 2122).
L'affiliato deve ritenersi compreso tra i familiari ai quali spettano le indennità per la cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, causata dalla morte del
prestatore di lavoro. (1)
(1) Non risultano precedenti giurisprudenziali editi. In dottrina vedi, in senso conforme, G. Dalla Santa, Diritto
dell'affiliato alle indennità dovute -per la risoluzione del rapporto di lavoro in seguito alla morte dell'affinante, in Mass. giur. lav., 1953, 172, in nota alla presente sentenza.
Si controverte se l'affiliazione dia luogo alla costituzione di uno stato familiare ovvero soltanto di un vincolo di assistenza. La prima soluzione è prevalente : cfr. App. Milano 25 maggio 1948, Foro it., Rep. 1948, voce Affiliazione, n. 5 ; Trib. Trapani 26 novembre 1949, id., Rep. 1950, voce cit., n. 8 ; Salvi, Sull'af filiazione come causa di uno « status » familiare, in Giur. it., 1948, I, 2, 504 ; Scherillo, Affiliazione e adozione, in Foro it., 1939, IV, 259. Nel secondo senso vedi Trib. Milano 14 gennaio 1948, nella motivazione, Giur. it., 1948, I, 2, 498 ; Pret. Potenza 20
gennaio 1941, Foro it., Rep. 1942, voce Affiliazione, n. 64. La Corte dei conti ha escluso che l'affiliante possa vantare
alcun diritto per la morte dell'affiliato per causa di guerra (deci sioni 27 marzo 1947, id., 1947, III, 209, e 15 aprile 1948, id., 1948, III, 189).
Il Tribunale, ecc. — L'art. 2120, 1° comma, cod. civ. attribuisce al prestatore di lavoro, nel caso di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato non ripor tabile al fatto di lui, il diritto a percepire, da parte del datore di lavoro, una «indennità di anzianità» proporzio nale alla durata del rapporto ed alla ultima retribuzione ; inoltre, in difetto di preavviso, è a lui dovuta (art. 2118 cod. civ.) una ulteriore indennità, sostitutiva di quello. Lo stesso art. 2120 prevede, poi, al comma 2°, la possibilità del riconoscimento, per effetto di contratto collettivo o individuale di lavoro, del diritto a percepire la indennità di anzianità predetta a favore del lavoratore che dia causa, mediante volontario recesso, alla cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ancora, l'art. 2122 sta bilisce che, venendo a fine il rapporto di lavoro del genere predetto per la morte del lavoratore, entrambe le menzio nate indennità di anzianità e sostitutiva del preavviso, vanno corrisposte a determinate persone, il coniuge ed i
figli del lavoratore e, se viventi a carico di lui, i parenti e gli affini, rispettivamente entro il terzo e secondo grado, dividendosi tra esse, in difetto di accordo, secondo il ri
spettivo bisogno, e che, mancando le persone predette, quelle indennità vanno attribuite secondo le norme della successione legittima. Infine, le indennità menzionate non
competono (art. 2119 e 2120) al lavoratore che, per suo fatto colpevole, determini la cessazione del rapporto.
L'esame delle norme menzionate rivela che il fatto « cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato »
costituisce, oltre e più che termine, la causa determinante dell'attribuzione della indennità di anzianità, l'altra, sosti tutiva del preavviso rivelando presupposti propri, e co
munque natura eventuale, se pur a volte accessoria della
prima, e che le ragioni che quella cessazione determinano solo vengano in considerazione al fine della identificazione dei beneficiari, ovvero quale condizione limitativa o esclusiva della attribuzione medesima. Ciò è particolarmente messo in luce, e sottolineato, dalla espressa previsione relativa alla ipotesi delle volontarie dimissioni dall'impiego da parte del lavoratore, previsione per altro verso affatto superflua, avuto riguardo alla nota' libera facoltà delle parti del con tratto collettivo o individuale di lavoro di convenire, a favore del lavoratore, condizioni più vantaggiose di quelle costituenti il minimo non derogabile imposto dalla legge.
Tanto più appare, poi, immediato ed esclusivo il rap porto di derivazione delle indennità menzionate dal fatto « cessazione » del rapporto, quando si consideri che la attri buzione relativa è operata direttamente, e non per diritto
successorio, alle persone specificate, nella ipotesi di morte del lavoratore in pendenza del rapporto, e che a lui è espres samente sottratto ogni potere dispositivo al riguardo (art. 2122, ultimo comma) ; e che, ancora, l'attribuzione pre detta non va fatta nei confronti del lavoratore che, per sua colpa, dia luogo alla cessazione. Per effetto di tali
disposizioni, invero, devesi ovviamente escludere che la
indennità di anzianità possa ritenersi elemento integratore della retribuzione, di acquisizione successiva.
Non può, peraltro, non rilevarsi che entrambe le inden
nità, di anzianità e sostitutiva del preavviso, sono intima mente connesse alla retribuzione, che costituisce, poi, un elemento della relativa determinazione quantitativa, risen
tendo la indennità della natura particolarissima e pubbli cistica di essa, che è al contempo prezzo e premio del lavoro e garanzia di autosufficienza e di libertà del lavoratore e della famiglia di lui ; riferibili a tale complessa natura
appaiono, invero, la disposizione secondo cui l'obbligo di
attribuzione permane a carico del datore di lavoro anche
di fronte al mancato acquisto del correlativo diritto da
parte del lavoratore (salva la ipotesi in cui il venir meno
del diritto sia giustificato dalla colpa di questo, che ipotizza, tra l'altro, un dovere risarcitorio di lui nei confronti del
datore di lavoro), nonché il criterio della attribuzione re
lativa nella ipotesi della morte del lavoratore. Dalla na tura predetta, ancora, deriva la peculiare protezione rico
nosciuta al diritto di credito relativo, che (art. 2751 cod.
civ. e 545 cod. proc. civ., nonché decreto legisl. pres. 10
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