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TERZO MODULO

Date post: 31-Mar-2016
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 "http://creativecommons.org/licenses/by‐nc‐nd/2.5/it/
 
 
 
 Queste
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 “Voi
per
primi
dovete
essere
il
 (Mahatma
Gandhi)
 
 
 
 
 

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Page 1: TERZO MODULO
Page 2: TERZO MODULO

Questedispensesonoprodotteedistribuiteda:

ViaBrunettoLatini7350133Firenze

Tel/fax:055576962

SottoLicenza

"http://creativecommons.org/licenses/by‐nc‐nd/2.5/it/

Page 3: TERZO MODULO

“Voiperprimidoveteessereil

cambiamentochedesideratevederein

questomondo”

(MahatmaGandhi)

Page 4: TERZO MODULO

1

Sommario

ABBREVIAZIONI .................................................................................................... 2

LA SALUTE GLOBALE ........................................................................................... 3

LEZIONE 1 – BENESSERE E SALUTE ................................................................ 3

1. Il benessere ........................................................................................................................................ 3

Crescita uguale Sviluppo? ............................................................................................................................. 3

Definizione di Sviluppo Umano ..................................................................................................................... 4

Indicatori del Benessere ................................................................................................................................ 6

2. Salute e povertà ................................................................................................................................. 8

Salute determinante dello sviluppo umano .................................................................................................. 8

La salute: bene privato o di interesse generale? .......................................................................................... 8

LEZIONE 2 – SALUTE E DIRITTI UMANI ..................................................... 11

1. La disuguaglianza innaturale .............................................................................................................11

Diseguaglianze nello stato di salute ............................................................................................................ 11

Diseguaglianze nell’assistenza sanitaria ...................................................................................................... 13

2. La tutela della salute a livello internazionale ....................................................................................13

L’Organizzazione mondiale della sanità ...................................................................................................... 13

Il diritto alla salute come human right ........................................................................................................ 14

LEZIONE 3– SALUTE GLOBALE E STRATEGIE DI INTERVENTO ........... 17

1. La Primary Health Care e le organizzazioni internazionali .................................................................17

L’approccio Primary Health Care ................................................................................................................ 17

La PHC: selective vs comprehensive. La “controrivoluzione” ...................................................................... 18

2. Il ruolo degli altri attori internazionali ...............................................................................................20

La recessione economica degli anni ’80 e i SAPs......................................................................................... 20

La trappola medica della povertà ............................................................................................................... 21

Macroeconomia e salute............................................................................................................................. 22

3. Il presente ed il futuro della PHC .......................................................................................................23

Gli ultimi sviluppi ......................................................................................................................................... 23

Le partnership pubblico-privato.................................................................................................................. 25

BIBLIOGRAFIA .................................................................................................... 27

SITOGRAFIA ........................................................................................................ 29

FILM, VIDEO, DOCUMENTARI ........................................................................ 30

Page 5: TERZO MODULO

2

Abbreviazioni

COE Council of Europe / Consiglio d’Europa: www.coe.int

HDI / ISU Human Development Index / Indice di sviluppo Umano

IMF / FMI International Monetary Found / Fondo Monetario Internazionale: www.imf.org

IDPs Internally Displaced Peoples / Sfollati

IOM International Organization for Migration / Organizzazione Internazionale per le

Migrazioni www.iom.int

LDCs Less Developed Countries / Paesi meno sviluppati

MDGs Millennium Development Goals / Obiettivi di sviluppo del millennio

NATO North Atlantic Treaty Organization: www.nato.int

OUA / UA Organizzazione dell’Unione Africana, Unione Africana: www.africa-union.org

PS Paesi sviluppati / Developed Countries

PVS Paesi in via di sviluppo / Developing Countries

UE Unione Europea: http://europa.eu/index_it.htm

UN / ONU United Nations / Organizzazione delle Nazioni Unite: www.un.org

UNDP United Nations Development Programme / Programma delle Nazioni Unite per lo

sviluppo: www.undp.org

UNHCR Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati / United Nations High

Commissioner for Refugees: www.unhcr.org

WB / BM World Bank / Banca Mondiale: www.worldbank.org

WHO /OMS World Health Organization / Organizzazione mondiale della salute: www.who.int

WTO / OMC World Trade Organization / Organizzazione mondiale del commercio: www.wto.org

Page 6: TERZO MODULO

3

La salute globale

Dopo aver introdotto il concetto di benessere come strettamente legato a fattori di ordine socio-

economico e politico-culturale (in accordo con l’approccio di Sviluppo Umano promosso dall’UNDP e

dalle maggiori organizzazioni internazionali), la prima parte di questo modulo affronterà il tema della

salute attraverso l’identificazione delle reali determinanti che la condizionano.

Successivamente il confronto si incentrerà sulla discussione del concetto di disuguaglianza,

distinguendo, anche in ambito della salute, tra quella che può essere considerata “naturale” e quella

invece “non naturale” e perciò modificabile. Saranno inoltre presentati gli obiettivi principali

dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’ultima parte del modulo presenterà le strategie di

intervento in ambito sanitario che si sono succedute nel tempo per arrivare agli ultimi sviluppi

dell’azione delle maggiori organizzazioni internazionali.

Lezione 1 – Benessere e salute

1. Il benessere

Crescita uguale Sviluppo?

Molti studiosi si sono occupati al problema della crescita economica e della sua relazione con lo

sviluppo. Fra le teorie della crescita che si sono susseguite nel tempo vi sono significative differenze,

soprattutto per quanto riguarda le ragioni della crescita e i modi per realizzarla. La definizione del

concetto di crescita e dei suoi effetti sembrano però largamente condivisi.

La crescita economica è intesa di solito come un fatto quantitativo (la percentuale di aumento del

reddito o del prodotto pro-capite) mentre i benefici della crescita, che consistono in un generale

innalzamento delle condizioni di vita della popolazione, sono quelli che più correttamente possiamo

indicare con il termine di sviluppo. È quasi immediato collegare questi due aspetti, affermando che

dove c’è crescita c’è anche sviluppo. La crescita economica è ciò che permette di rendere sempre più

grande le dimensioni di quella "torta" che rappresenta la ricchezza di un paese: e se questa torta

diventa più grande la popolazione starà meglio. L’obiettivo principale di ogni paese è allora quello di

puntare ad un tasso di crescita del reddito pro-capite più elevato possibile.

A partire dagli anni ‘50 il PIL (Prodotto Interno Lordo) è diventato il più importante, se non unico,

punto di riferimento su cui si è concentrata l’attenzione degli economisti e dei governi. L’idea di base

era che i guadagni derivanti dalla crescita del PIL avrebbero fatto ricadere, (trickle down mechanism:

sgocciolamento) i loro effetti positivi sull’intera popolazione con nuovi posti di lavoro, maggiori

opportunità economiche e standard di vita più elevati, riduzione della povertà e delle diseguaglianze.

In realtà ciò non avviene automaticamente. L’inadeguatezza del PIL come indicatore di benessere e

sviluppo diventa sempre più evidente quando si osserva che molte attività che accrescono il PIL

portano ad una diminuzione del benessere e viceversa1. Larghe fasce di popolazione, in molti paesi,

non riuscirono e non riescono ancora a cogliere i frutti della crescita. La povertà rimane e a volte

aumenta, anche quando il tenore di vita medio si innalza.

1 L’aumento del consumo di benzina, che fa aumentare il PIL di un paese, porta ad un aumento dell’uso di

veicoli, quindi del traffico e dell’inquinamento. Viceversa, aumentare le ore che una popolazione sceglie di dedicare ad attività sociale e di volontariato non fa aumentare la quantità di PIL prodotta da quella popolazione.

Page 7: TERZO MODULO

4

All’inizio degli anni ’70 l’economista pakistano Mahbub ul Haq2 sosteneva che l’attenzione si

sarebbe dovuta spostare sui contenuti del Prodotto Interno Lordo e quindi su quelle riforme

strutturali che i governi avrebbero dovuto attuare per migliorare non solo i tassi di crescita del PIL

stesso ma anche la sua “qualità”. Nel 1971 ul Haq scriveva:

Ci avevano insegnato ad occuparci solo del prodotto interno lordo perché poi quest’ultimo si sarebbe preso cura della povertà. Ribaltiamo questa opinione, occupiamoci della povertà perché ciò, a sua volta, si prenderà cura del prodotto interno lordo. In altri termini, preoccupiamoci del contenuto del prodotto lordo, ancor più del suo tasso di incremento.

Negli ultimi quaranta anni sono stati proposti numerosi approcci innovativi al problema del

benessere e dello sviluppo. Negli anni ’70 all’interno dell’ILO (International Labour Organization) fu

elaborata la strategia definita dei basic needs (bisogni fondamentali). Si suggeriva ad ogni paese di

garantire uno standard minimo ai gruppi più poveri della popolazione, che attraverso un reddito

minimo doveva coprire i bisogni primari di una famiglia per cibo, abitazione, vestiario e servizi

essenziali (la disponibilità di acqua potabile, l’igiene pubblica, i trasporti, le cure mediche, l’istruzione,

oltre che un impegno adeguatamente remunerato per chiunque voglia lavorare). La teoria dei basic

needs è stata poi riveduta a metà degli anni ‘80 da parte di due economisti dello sviluppo, Paul

Streeten e Francis Stewart, che sottolineavano la necessità di attuare politiche di lotta alla povertà

basate sul trasferimento di beni e servizi, soprattutto nel campo della sanità e della scuola, oltre che

sul reddito. L’obiettivo generale era quello di garantire il raggiungimento di uno "stato di vita piena"

per tutti e non soltanto una data soglia di reddito.

Questa visione dello sviluppo segna un punto di svolta piuttosto radicale rispetto allo scenario

delineato dalle teorie della crescita economica. L’attenzione si sposta dagli indicatori economici riferiti

ad un’intera popolazione alla singola condizione individuale per evitare che dietro a valori complessivi

o medi si nascondano profonde diseguaglianze. Inoltre mentre le teorie tradizionali della crescita

ponevano il soddisfacimento dei bisogni fondamentali degli individui a valle del processo di crescita,

la teoria dei basic needs ribalta completamente la prospettiva: è attraverso il soddisfacimento dei

bisogni umani che si può pensare di favorire la crescita economica.

Sempre in questi anni si inserisce anche il contributo determinante di Amartya Sen3 alla

riformulazione dei concetti di povertà, diseguaglianza e benessere. Sen afferma che i concetti di

sviluppo e di benessere debbano andare al di là del semplice possesso di beni o alla disponibilità di

servizi guardando piuttosto a ciò che essi permettono agli individui di fare. I beni, così come il reddito,

sono un mezzo per ottenere benessere ma non sono da soli indice di benessere. È necessario

guardare a ciò che le persone riescono a fare e ad essere con i mezzi e le capabilities a loro

disposizione. Per giudicare il benessere degli individui e lo sviluppo di un paese è necessario guardare

allo spazio delle realizzazioni e dei traguardi importanti della vita umana. La teoria di Sen ha avuto

forte influenza sulle politiche di sviluppo promosse dalle organizzazioni internazionali e dai singoli

stati negli ultimi anni,

Definizione di Sviluppo Umano

Il concetto di sviluppo umano viene elaborato, alla fine degli anni '80, dal programma delle Nazioni

Unite per lo Sviluppo UNDP, al fine di superare ed ampliare l'accezione tradizionale di sviluppo

incentrata solo sulla crescita economica. Compare ufficialmente per la prima volta nel 1990

2 Mahbub ul Haq (1934 - 1998) è stato un importante economista pakistano. Ha elaborato una teoria dello

sviluppo umano e ha fondato, collaborando con l’UNDP, lo Human Development Report. 3 Amartya Kumar Sen (1933- ) è un economista indiano conosciuto per il suo contributo all’economia del

benessere e dello sviluppo, in particolare sui meccanismi che legano la povertà, disuguaglianza, crescita e democrazia. Nel 1998 ha vinto il premio Nobel per l’economia.

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5

all'interno del primo Rapporto sullo Sviluppo Umano dell'UNDP4, che afferma:

Questo rapporto si occupa della gente e del modo in cui lo sviluppo ne amplia le scelte. Si occupa di questioni che vanno al di là di concetti quali crescita del PNL, reddito e ricchezza, produzione di beni e accumulazione di capitale. La facoltà di una persona di avere accesso a un reddito rappresenta una di queste possibilità di scelta, ma non la somma totale delle aspirazioni umane. (UNDP: Human

Development Report 1990)

L’approccio dello sviluppo umano è dunque un criterio di interpretazione e di valutazione della

condizione umana del tutto innovativo. Sviluppo umano significa infatti rompere radicalmente con la

concezione tradizionale dello sviluppo come crescita economica, proponendo un paradigma di

sviluppo che riguarda non tanto la crescita della ricchezza di una nazione, ma l'ambiente nel quale le

persone vivono e possono esprimere appieno il loro potenziale. Lo scopo principale dello sviluppo

umano è "allargare le scelte delle persone. Scelte che, in teoria, possono essere infinite e cambiare in

ogni momento". La ricchezza monetaria, allora, rappresenta solo una di queste scelte, mentre

l'obiettivo prioritario dello sviluppo si caratterizza come processo finalizzato all'ampliamento delle

opportunità e delle capacità a disposizione di ogni essere umano.

Questo processo che si fonda su quattro pilastri specifici:

Eguaglianza � lo sviluppo umano è un processo di ampliamento delle opportunità che deve

andare a beneficio di tutte le persone e non solo di pochi privilegiati. Le persone devono godere di

pari opportunità e ogni barriera contro le opportunità politiche, economiche, sociali e culturali deve

essere abbattuta affinché tutti possano trarre benefici. Un percorso di sviluppo che lascia fuori

qualcuno da questo cammino, non potrà condurre molto lontano. Una delle disuguaglianze più

marcate nell’accesso alle opportunità è la disuguaglianza di genere.

Sostenibilità � ogni processo di sviluppo non può definirsi tale se non è sostenibile; deve

cioè garantire la riproduzione delle forme di capitale fisico, umano, sociale e ambientale così da

porre le basi per il suo perdurare nel tempo.

Partecipazione � la partecipazione delle persone rappresenta uno dei punti centrali

dell’approccio dello sviluppo umano. “Partecipazione vuol dire che le persone sono coinvolte in

profondità nei processi economici, sociali, culturali e politici che influenzano la loro vita. In alcuni casi,

esse possono godere di un controllo completo e diretto di questi processi, mentre in altri questo

controllo può essere indiretto o parziale, ma il punto fondamentale è che dispongono comunque di

qualche potere. La partecipazione, intesa in questo senso, è un elemento essenziale dello sviluppo

umano” (UNDP). Non si tratta dunque di una semplice partecipazione politica espressa attraverso il

voto, ma è un metodo che deve essere applicato ad ogni sfera della vita umana. Ogni meccanismo di

esclusione, di discriminazione, di impedimento al processo partecipativo nei confronti di un qualsiasi

individuo, rappresenta un limite ed una sconfitta per lo sviluppo umano.

Produttività � le persone devono essere messe in grado di incrementare la propria

produttività, di partecipare pienamente al processo di produzione dei redditi e di accedere a un

impiego remunerato. La crescita economica costituisce dunque un sotto insieme dell’approccio dello

sviluppo umano. Proprio perché l'aspetto produttivo è importante per ogni approccio che si

preoccupi di questioni di sviluppo, solo una popolazione ben nutrita, sana, con adeguate competenze

e motivata a partecipare può contribuire all'accrescimento della produttività. Investire sulle persone

significa puntare su un investimento che porterà maggiori profitti nel lungo periodo, ma è

certamente un investimento remunerativo.

4 Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (United Nations Development Programme, UNDP) è stato

istituito nel 1966 in seguito ad una risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU, si occupa di finanziare e coordinare progetti di sviluppo nei PVS. È in prima linea per i progetti finalizzati al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio.

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6

Lo sviluppo umano ha due facce: la formazione delle capabilities come ad esempio un migliorato

stato di salute, di conoscenza; e l'uso che le persone possono fare delle capabilities da loro acquisite

per piacere, per scopi produttivi o per essere attivi in campo culturale, sociale o politico. Se queste

due componenti non sono bilanciate, il risultato sarà la frustrazione. Il reddito è quindi solo una delle

opzione che le persone vorrebbero avere, anche se importante. Lo sviluppo deve necessariamente

essere più di una crescita del reddito e della salute. Il suo obiettivo devono essere le persone.

Lo sviluppo umano coinvolge e riguarda alcuni ambiti fondamentali dello sviluppo economico e

sociale: la promozione dei diritti umani e l'appoggio alle istituzioni locali con particolare riguardo al

diritto alla convivenza pacifica, la difesa dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile delle risorse

territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi ed

ai gruppi più vulnerabili, il miglioramento dell'educazione della popolazione, con particolare

attenzione all'educazione di base, lo sviluppo economico locale, l'alfabetizzazione e l'educazione allo

sviluppo, la partecipazione democratica, l'equità delle opportunità di sviluppo e d'inserimento nella

vita sociale. Poiché consiste nell'ampliamento delle scelte, il fondamento stesso dello sviluppo umano

è la libertà. Se non c’è libertà, infatti, non è possibile disporre di scelte. Con le parole di Sen: "lo

sviluppo può essere visto come un processo di espansione delle libertà reali di cui la gente può

godere".

Indicatori del Benessere

Lo sviluppo umano è un processo di ampliamento delle scelte delle persone. In teoria, queste possono essere infinite e cambiare nel tempo. Ma a tutti i livelli di sviluppo, le tre scelte essenziali per la gente sono vivere un’esistenza lunga e sana, acquisire conoscenze ed accedere alle risorse necessarie per un dignitoso tenore di vita. Se queste scelte non sono disponibili, molte altre opportunità rimangono inaccessibili. (UNDP: Human Development Report, 1990)

L'Indice di sviluppo umano (HDI, Human Development Index) è un indicatore di sviluppo umano a

livello statale che è stato realizzato dall'economista Mahbub ul Haq nel 1990. Dal 1993 le Nazioni

Unite lo utilizzano accanto al PIL per valutare la qualità della vita nei paesi membri. Il PIL rappresenta

il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un anno su un determinato territorio nazionale e

che si basa quindi esclusivamente sulla crescita e non tiene conto del capitale (soprattutto

ambientale) che viene consumato nei processi di crescita. Inoltre il valore economico totale può

nascondere una distribuzione molto diseguale della ricchezza: due paesi con PIL pro capite uguale

possono avere cittadini con redditi reali molto diversi. L’HDI cerca invece una formulazione

matematica che in qualche modo applichi il concetto di sviluppo umano di cui si è parlato nel

precedente paragrafo. Oltre al PIL si considerano infatti l'alfabetizzazione, dei bambini e degli adulti, e

la speranza di vita alla nascita.

Longevità, conoscenze e risorse sono le tre dimensioni fondamentali che entrano nel calcolo

dell’Indice, anche se l’UNDP non si stanca mai di sottolineare che il concetto è più ampio della sua

misurazione e che, per quanto possa venire migliorato e perfezionato, non potrà mai riflettere in

modo adeguato un concetto così complesso. A queste tre dimensioni sono collegate le capabilities

fondamentali per la vita umana:

• la longevità riflette la possibilità di vivere a lungo e in buona salute e fornisce in modo

indiretto informazioni sulle condizioni di vita materiale di ogni individuo (alimentazione,

sanità, copertura dei servizi di base, abitazione);

• conoscenza e istruzione esprimono la capacità di un individuo di comunicare e di partecipare

alla vita della comunità;

• l’accesso alle risorse è rappresentativo di uno standard di vita dignitoso.

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7

La scelta di includere queste tre dimensioni e non altre può naturalmente essere discussa e

criticata. La scelta compiuta dall’UNDP è compromesso tra l’effettiva disponibilità di dati statistici per

ogni paese e la necessità che tali dati rappresentino in modo adeguato realtà molto diverse tra loro.

L’idea di base è che se queste capacità di base non sono realizzate, molte altre scelte non sono

disponibili e molte opportunità restano inaccessibili. Tuttavia è necessario ricordare che lo sviluppo

umano è un processo di espansione delle scelte e che l’HDI deve essere inteso come una misura

minima e non come un traguardo. Non è quindi un limite massimo e ogni paese raggiunge un valore

elevato di HDI dovrà comunque porsi l’obiettivo di espandere le scelte degli individui in altre

direzioni, siano esse politiche, economiche, sociali o culturali.

Fig. 1 – Indice di sviluppo umano

L’indice ha valori compresi tra 0 e 1: paesi con un basso livello di sviluppo umano hanno un HDI

compreso tra 0 e 0.499, paesi a medio sviluppo tra 0.500 e 0.799, paesi ad alto sviluppo tra 0.8 a 1.

Nello Human Development Report del 2008 sono 26 paesi che risultano con un HDI inferiore a 0.5:

sono tutti paesi africani eccetto Timor Este. I paesi africani sub sahariani con l’indice più elevato sono

il Gabon, la Guinea Equatoriale e il Sudafrica, rispettivamente al 107°, 115° e 125° posto. I paesi con

un indice superiore a 0.8 sono 75: sono presenti tutti i paesi sviluppati di Nord America, Europa,

Oceania e Asia dell'Est, alcuni paesi in via di sviluppo dell'Europa dell'Est, America Latina, Sudest

Asiatico e Caraibi, e i paesi del petrolio della ricca Penisola Araba. Nella fascia intermedia si trovano

invece 78 Stati, tra i quali alcuni dei paesi più popolati del mondo: Cina, India e Brasile.

Fig. 2 – Mappa dell'indice di sviluppo umano (Rapporto 2008-dati 2006)

██ sopra a 0,950 ██ 0,900–0,949 ██ 0,850–0,899 ██ 0,800–0,849 ██ 0,750–0,799

██ 0,700–0,749 ██ 0,650–0,699 ██ 0,600–0,649 ██ 0,550–0,599 ██ 0,500–0,549

██ 0,450–0,499 ██ 0,400–0,449 ██ 0,350–0,399 ██ sotto a 0,350 ██ N/A

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8

2. Salute e povertà

Salute determinante dello sviluppo umano

La consapevolezza del ruolo della salute come una delle determinanti che contribuiscono al

benessere di una popolazione è cresciuta soprattutto negli ultimi venti anni. La scelta di inserire un

indicatore di salute nella formulazione dell’Indice di Sviluppo Umano ne è la prova. Inoltre sempre

maggiore attenzione viene data alla relazione tra povertà e salute. In ciascun paese del mondo, la

speranza di vita è più breve e la maggior parte delle malattie sono più frequenti per le fasce di

popolazione più povere.

Il rapporto pubblicato dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità nel 19955 si legge infatti che “la

povertà è la più funesta malattia del nostro mondo”. Mentre nei paesi occidentali la speranza di vita

alla nascita continua a crescere di anno in anno, in alcuni PVS l’aspettativa di vita sta diminuendo

perché le fasce più povere della popolazione muoiono per mancanza di acqua potabile, di condizioni

igieniche adeguate e di cure mediche di base. Circa il 40% dei decessi registrati in tutto il mondo è

dovuto a malattie contagiose, il 99% delle quali si verifica nei PVS, e a problemi che madri e bambini

incontrano nel periodo che va dalla gestazione ai primi mesi di vita del nascituro.

Situazioni di povertà e disoccupazione sono contemporaneamente causa ed effetto di un cattivo

stato di salute, perché creano un circolo vizioso all'interno del quale la scarsa salute diminuisce la

capacità dell'individuo di lavorare, riducendone di conseguenza la possibilità di guadagnare ed

aggravandone la condizione di povertà. Un buono stato di salute implica la riduzione dei livelli di

fallimento scolastico, l’aumento della capacità di lavorare, la diminuzione del lavoro precario e della

disoccupazione, il miglioramento degli standard abitativi. La povertà è anche una delle cause

dell'infermità e della fame, ed una delle principali cause di malattia mentale, suicidio, disintegrazione

familiare ed abuso di sostanze stupefacenti.

Anche i paesi industrializzati soffrono di questi problemi. Nel corso degli ultimi venti anni i

l’aumento della povertà e la crescita del fenomeno migratorio dai PVS ha portato con sé anche una

rinascita di malattie infettive (respiratorie soprattutto, come la tubercolosi) che si credevano

debellate sia in Europa che in Nord America. Già nel 1995 l’Organizzazione Mondiale per la Sanità

sottolineava quindi la necessità di un’azione concertata a livello globale per affrontare quella "che

rappresenta la più grande causa singola di morte, malattia e sofferenza in tutto il mondo".

La salute: bene privato o di interesse generale?

La sanità non è un bene pubblico perché, seguendo la definizione adottata nel Modulo II, è sia

escludibile che rivale. Esistono però alcune attività sanitarie che hanno caratteristiche particolari e

per le quali l’intervento dello Stato è ragionevole. La cura delle malattie infettive, ad esempio, ha

ricadute positive su tutta la popolazione poiché evita la propagazione del contagio. D’altra parte

lasciare la fornitura del bene “sanità” in mano esclusivamente a soggetti privati potrebbe portare ad

una copertura solo parziale del territorio nazionale (un privato non avrebbe interesse ad aprire un

ambulatorio nelle regioni montane o poco abitate). Inoltre chi ha bisogno di cure (il paziente)

generalmente ha conoscenze mediche molto inferiori a chi può fornire le cure (il medico) e non è

quindi in grado di valutare la qualità del servizio che sta consumando. Lo Stato può garantire un

controllo su personale e strutture sanitarie che un soggetto privato non ha interesse a fare (perché

non conviene).

Esistono vari modelli attraverso i quali uno Stato può decidere di organizzare i servizi sanitari sul

proprio territorio. Ai due estremi troviamo:

5 World Health Organization, Rapporto sulla Salute Mondiale 1995 - Colmare le lacune.

Page 12: TERZO MODULO

9

Modello pubblico: tutti i cittadini hanno il diritto di usufruire di servizi gratuiti o semi-gratuiti.

L’offerta dei servizi è organizzata dallo Stato nell’ambito di strutture pubbliche (ospedali, ambulatori,

medici). Il modello garantisce uniformità di prestazioni ma presenta rischi di inefficienze e impone

limiti alla libertà di scelta del cittadino. Il Sistema Sanitario Nazionale è finanziato attraverso la

tassazione.

Modello privatistico: lo Stato non effettua prelievi fiscali per la sanità e i cittadini

volontariamente sottoscrivono assicurazioni private. Ogni contratto di assicurazione definisce i diritti

dell’assicurato, l’ammontare e le modalità dei rimborsi da parte dell’impresa assicuratrice (come per

l’assicurazione dell’auto). Il cittadino può scegliere fra molte imprese assicurative che si fanno

concorrenza tra loro e che quindi dovrebbero garantire livelli adeguati di efficienza. Ci sono forti rischi

di non equità: alcuni possono non assicurarsi perché pensano di non averne bisogno, altri perché non

possono permettersi il costo dell’assicurazione.

La maggior parte dei paesi europei adotta modelli misti prevalentemente pubblici. Negli Stati Uniti

il modello privatistico è integrato con due agenzie pubbliche che forniscono assistenza ai più poveri,

Medicare e Medicaid.

I costi per fornire un’assistenza sanitaria di base (primary health care) sono relativamente bassi,

anche per i paesi in via di sviluppo. In questi paesi tra gli interventi che dovrebbero essere garantiti a

tutti ci sono programmi di controllo delle nascite, terapie di reidratazione orale per curare infezioni

dell’apparato gastro-intestinale e interventi per rendere l’acqua potabile, educazione sanitaria,

vaccinazioni. Nonostante questi costi siano sufficientemente bassi, la fornitura di questi servizi non è

così diffusa come potrebbe. Ci sono dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità che

mostrano che i tre quarti di tutta la spesa sanitaria nei PVS è stata utilizzata per fornire assistenza

sanitaria molto costosa a favore di una minoranza della popolazione residente nelle città. Ospedali e

cliniche moderne che dispongono di tecnologie mediche costose assorbono la gran parte degli aiuti

internazionali indirizzati al settore sanitario.

Di conseguenza, le risorse potrebbero essere riallocate a favore di misure sanitarie poco costose

ma con un impatto sulla popolazione molto più elevato. Spese di questo genere possono essere

giustificate non solo per il loro impatto sulle capabilities ma anche per i loro effetti sui livelli di

produttività.

Page 13: TERZO MODULO

10

APPROFONDIMENTO – Epidemie e pandemie: quando la sanità è un GPG

La gestione delle pandemie è uno dei settori per i quali si può giustificare l’intervento dello

Stato e per sottolineare la necessità di coordinamento e azioni comuni a livello internazionale.

Le malattie endemiche sono quelle costantemente presenti in una popolazione o in un’area

geografica, perché sono legate alle condizioni ambientali favorevoli alla conservazione dei germi di

queste malattie. Le endemie infettive (la peste o il colera in India, la febbre gialla in America, la

malattia del sonno in Africa, la malaria nelle regioni paludose) tendono a propagarsi anche in zone

molte lontane dai loro focolai di origine. Nei paesi in cui una malattia infettiva è endemica, la

maggior parte degli individui hanno un’ immunità acquisita, anche se non sono mai stati colpiti da

una forma percettibile dell’infezione (è uno stato di infezione latente). I soggetti sani provenienti

da altri paesi sono invece facilmente preda dell’infezione e possono presentare forme cliniche più o

meno gravi.

Quando si parla di epidemia invece si intende l’insorgenza improvvisa e simultanea di molti casi

della stessa malattia infettiva (ad es. tifo, colera, meningite, …), per un periodo di tempo limitato,

con diffusione su larga scala e con un esaurimento più o meno rapido della forma morbosa.

L’epidemia ha un decorso acuto: o si vive o si muore e chi sopravvive è immunizzato (contribuendo

così al declino della diffusione). È per questo che le epidemie sono cicliche. Conoscere le sorgenti di

infezione, il decorso della malattia e le modalità di trasmissione è essenziale per fare azioni di

prevenzione per ridurre il rischio di epidemia. A volte si arriva alla scomparsa della malattia stessa:

il vaiolo è stato dichiarato eradicato totalmente mondo nel 1979.

Infine, si parla di pandemia quando una patologia investe contemporaneamente e rapidamente

ampie aree di tutto il mondo, grazie al suo alto grado di contagiosità. Oltre ai casi storici della

peste, l’esempio più evidente è la diffusione dell’influenza che con ciclicità annuale si presenta in

ogni parte del pianeta.

Le malattie responsabili del più alto numero di morti nel mondo nella storia recente – vaiolo,

influenza, tubercolosi, malaria, peste, morbillo e colera – sono malattie infettive in grado di

diffondersi con velocità in tutto il pianeta. Per arginare il contagio ogni volta che si presenta un

nuovo focolaio, sono necessarie misure di prevenzione, informazione, coordinamento e cura che

coinvolgano tutti gli Stati. La SARS, una forma atipica di polmonite, è apparsa nel novembre 2002

nella provincia del Guangdong in Cina. Apparsa a Hong Kong e in Vietnam nel tardo febbraio 2003,

si è poi diffusa per via di viaggi internazionali di individui infetti. Il contenimento dell’epidemia fu

reso difficile dall'iniziale difficoltà di diagnosi e soprattutto dalla non corretta informazione da

parte di Cina e Vietnam. I sistemi sanitari e di controllo alle frontiere di USA, Canada e Europa

permisero di bloccare gli infetti o sospetti tali, metterli in quarantena e curarli tempestivamente.

Tuttavia in Europa si diffusero atteggiamenti di panico verso la malattia. Molti stati acquistarono

quantità enormi di medicinali, ancora prima che fosse scoperto un vaccino per la malattia.

Medicinali che non sono poi stati necessari, vista la scomparsa del virus.

Page 14: TERZO MODULO

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LEZIONE 2 – Salute e diritti umani

L’analisi dello stato di salute di una popolazione e le disuguaglianze nell’accesso all’assistenza

sanitaria all’interno di un paese e tra paesi diversi, sono strettamente legate a condizioni di

disuguaglianza e iniquità più generali, di tipo sociale, economico e politico6.

Margaret Whitehead (Whitehead, 1990) descrive tre caratteristiche distintive che, se presenti

contemporaneamente, trasformano le semplici diseguaglianze o variazioni dello stato di salute in

iniquità nella salute: la loro natura sistemica, la loro produzione sociale e la loro perversità:

- Sistemicità: è frequente che le variazioni in salute non si presentino in modo casuale, ma al contrario mostrino una distribuzione costante all’interno di una popolazione. Uno degli esempi più significativi è quello che mette in relazione diretta una peggiore condizione socio-economica con un più alto livello di mortalità e di morbilità.

- Produzione sociale: le variazioni in salute sono il risultato di processi sociali e non dipendono unicamente da fattori biologici. Non esiste nessuna legge biologica che possa giustificare differenze così evidenti nei tassi di mortalità e morbilità fra individui che vivono in condizioni socio-economiche agiate e individui che versano in un grave stato di povertà.

- Perversità: le diseguaglianze nell’accesso ai servizi essenziali e le discriminazioni sociali sono in genere considerate non eque perché, riflettendo un’ingiusta distribuzione delle determinanti sociali della salute, ledono il comune senso della giustizia.

Nei paragrafi che seguono, dopo aver analizzato la disuguaglianza a livello concettuale, viene

proposta una chiave di analisi che si oppone a quella di alcuni studiosi sociali che minimizzano la

presenza di ingiustizie sociali alla base delle maggiori disuguaglianze in sanità. Secondo alcuni autori,

infatti, il dibattito andrebbe limitato alla sfera di responsabilità personale di ciascun individuo il quale,

essendo libero di gestire il suo stile di vita, può prendere decisioni che risultano lesive nei confronti

del proprio stato di salute. L’analisi che segue invece si concentra sul tema del diritto alla salute come

diritto fondamentale dell’individuo: chi sono i depositari di tale diritto? Chi ha il compito o il dovere di

realizzarlo e tutelarlo? Nel presentare quali sono le istituzioni e gli attori che operano in ambito

sanitario, si mette in luce la stretta correlazione fra sistema di responsabilità individuale e sistema di

responsabilità collettiva, dell’interazione inevitabile fra stile di vita personale e contesto socio-

economico e culturale di riferimento.

1. La disuguaglianza innaturale Diseguaglianze nello stato di salute

Gli indicatori che sono più comunemente usati per analizzare lo stato di salute di una popolazione

sono la speranza di vita alla nascita (Life expectancy at birth), il tasso di mortalità infantile (Infant

mortality rate) e il tasso di mortalità dei bambini al di sotto dei cinque anni (Under five mortality rate).

In ogni paese del mondo si osserva una forte correlazione fra la posizione che uno Stato ricopre

nella scala sociale e i dati sulla speranza di vita alla nascita della sua popolazione. Amartya Sen,

Michael Marmot7 ed altri autori che hanno lavorato per le maggiori agenzie delle Nazioni Unite

affermano con sicurezza che in molti paesi è in corso un aumento delle diseguaglianze nella salute che

rispecchiano il rafforzamento del gradiente sociale della mortalità generale.

6 Per un’introduzione al concetto di disuguaglianza e alla distinzione tra disuguaglianza naturale e morale, si

veda il Modulo 1. 7 Michael Marmot (1945 - ) è professore di Epidemiologia e Salute Pubblica all’University College di Londra. Ha

guidato la Commissione sui determinanti sociali della salute dell’OMS.

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Tab. 1 – Salute e globalizzazione

Fattori globali Impatto probabile sullo stato di salute

Macroeconomia Politiche di aggiustamento strutturale del FMI e della BM; disoccupazione cronica e strutturale.

Marginalizzazione, povertà, inadeguatezza delle reti di sicurezza sociale � aumento dei tassi di morbilità e mortalità.

Commercio Commercio di tabacco, alcol e stupefacenti, di farmaci non sicuri e non necessari, di generi alimentari contaminati.

Aumento del consumo di questi beni, diffusione di terapie dannose o inefficaci, diffusione di malattie infettive oltre i confini nazionali.

Viaggi Più di un milione di persone attraversano ogni giorni almeno un confine statale.

Trasmissione delle malattie infettive e esportazione di stili di vita dannosi (ad es. comportamenti sessuali ad alto rischio).

Migrazione e

demografia

Aumento di rifugiati e rapida crescita della popolazione.

Conflitti etnici e civili, degrado ambientale.

Sicurezza

alimentare

Aumento della domanda di cibo in economie in crescita (India, Cina, …); aumento del commercio alimentare che supera l’aumento della produzione alimentare; declino dell’aiuto alimentare.

Scarsità di cibo anche dove sarebbe disponibile, per impossibilità dei paesi poveri di pagare. Aumento della migrazione e delle tensioni civili nelle aree marginali.

Degrado

ambientale e

modelli di

consumo

insostenibili

Impoverimento delle risorse, in particolare difficoltà di accesso all’acqua, inquinamento aria e acqua, buco dell’ozono e aumento di radiazioni ultraviolette, accumulazione di gas serra e riscaldamento globale.

Impatto sulla salute locale e globale, epidemie e violenze fra Stati, introduzione di tossine nella catena alimentare e disordini respiratori, immunosoppressione, cancri alla pelle, cataratte. Aumento di malattie infettive, morti per ondate di caldo, alluvioni e uragani, peggioramento della disponibilità alimentare e malnutrizione in molte regioni.

Tecnologia Brevetti sulle nuove tecnologie (TRIPs).

Benefici delle nuove tecnologie non disponibili nei paesi poveri.

Comunicazione e

media

Sponsorizzazione di beni dannosi, come il tabacco.

Promozione attiva di comportamenti dannosi per la salute.

Politica estera Politiche basate sull’interesse nazionale, xenofobia e protezionismo.

Sfida al multilateralismo e alla cooperazione globale, necessaria per affrontare problemi sanitari transnazionali.

Fonte: Grunberg & Stern (1999), Global public goods: international cooperation in the 21st century, Oxford

University Press for UNDP, 1999, pp. 286-287.

I dati raccolti a livello internazionale sono chiarissimi anche quando si confrontano fra loro le

situazioni di diversi paesi; i tendenziali miglioramenti nello stato della salute aggregata a livello globale

nascondono un netto aumento delle differenze fra paesi e comunità residenti in nazioni differenti. I

dati e le stime dell’OMS sono preoccupanti:

− la speranza di vita alla nascita: è di 41 anni in Angola, 42 in Afghanistan, Lesotho, Niger e

Swatziland, mentre è di 83 anni in Giappone, 82 in Svizzera, Monaco, Andorra, Australia;

− la probabilità di morire di un uomo tra i 15 e 60 anni di età è del 79.8% in Lesotho, del 60.4%

in Iraq e dell’8.3% in Italia;

− la speranza di vita nei paesi più avanzati varia in media di 5-10 anni secondo le differenze di

reddito, di istruzione e di condizioni di lavoro; in Australia esiste una differenza di 20 anni nella

speranza di vita fra gli aborigeni e la media degli abitanti;

− circa 11 milioni di bambini sotto i cinque anni sono morti nel 2002 ed il 98% di questi era nato

in un PVS.

Le malattie infettive più diffuse sono oggi la polmonite, la tubercolosi, le malattie diarroiche, la

malaria, il morbillo e l’AIDS. Sono la causa della metà delle morti premature nel mondo.

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Diseguaglianze nell’assistenza sanitaria

Altrettanto importanti e probabilmente ancora più gravi, perché dipendenti per buona parte da

politiche socio-sanitarie ed economiche, sono le disuguaglianze che caratterizzano gli indicatori

riguardanti i servizi di salute.

Spesso i problemi della salute sono stati affrontati dagli Stati e dalle organizzazioni internazionali

in maniera inappropriata: dagli anni ‘80 molti programmi sanitari realizzati in tutto il mondo si sono

basati sulla selezione di un determinato gruppo-obiettivo (target) e sulla disponibilità del target a

pagare per il servizio che veniva offerto, escludendo dalla sua fruizione coloro che non erano in grado

di pagare. Non tenere conto delle determinanti della salute e dell’importanza di stabilire processi

partecipati con la collaborazione della popolazione beneficiaria ha determinato l’insuccesso di

numerosi programmi di assistenza, e un frequente aumento delle disuguaglianze nello stato di salute

a livello nazionale e internazionale. L’assenza di coordinamento e la competizione tra agenzie

pubbliche e private, nazionali e internazionali, ha provocato un forte spreco di risorse nella gestione

delle politiche socio-sanitarie a tutti i livelli. Per analizzare rapidamente le disuguaglianze nei servizi di

assistenza sanitaria tra paesi, che anche in questo caso vanno a nuocere le fasce più vulnerabili della

popolazione, è possibile considerare i dati sulla spesa sanitaria per abitante all’interno di ogni paese:

esistono enormi disuguaglianze tra la spesa sanitaria negli Stati Uniti e nei paesi dell’Unione Europea

e gli Stati dell’Africa sub sahariana. Con l’eccezione degli Stati Uniti, nei quali si riscontra un’elevata

proporzione di spesa privata, i dati disponibili indicano che generalmente sono i cittadini dei paesi più

poveri (e tra questi probabilmente le fasce più vulnerabili della popolazione che hanno maggior

bisogno di assistenza sanitaria) a doversi accollare direttamente ed in misura maggiore le prestazioni

mediche, che lo Stato non riesce a fornire gratuitamente.

2. La tutela della salute a livello internazionale L’Organizzazione mondiale della sanità

L’Organizzazione mondiale della sanità (OMS, World Health Organization) è l’agenzia specializzata

dell'ONU per la salute. Fondata nel 1948, ha come obiettivo il raggiungimento da parte di tutte le

popolazioni del livello più alto possibile di salute e ha la responsabilità di preparare, coordinare e

supervisionare le misure da prendere a livello internazionale per la protezione del diritto alla salute.

Nel Preambolo del Trattato costitutivo dell'OMS si legge che “il godimento del livello di salute più

elevato possibile costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di

razza, religione, opinioni politiche, condizione economica o sociale.”

Durante gli anni ’60 e ’70 gli indirizzi dell’OMS sono influenzati dal contesto politico caratterizzato

dall’emergere delle nazioni africane decolonizzate, dalla diffusione dei movimenti nazionalisti e

socialisti e dalle nuove teorie dello sviluppo che privilegiano la crescita socio-economica a lungo

termine piuttosto che gli interventi tecnologici a breve termine.

È in questo contesto che si sviluppa la strategia della Primary Health Care, l’idea cioè che per far

fronte a problemi sanitari insoluti, come quello della malaria, è necessario rafforzare le infrastrutture

sanitarie, soprattutto delle aree rurali, e insieme percorrere la strada dello sviluppo economico e

sociale. A favore di questa strategia si batte il nuovo Direttore generale dell’OMS Halfdan T. Mahler

(1973-1988) che convoca su questo tema una Conferenza internazionale. La Conferenza sulla Primary

Health Care (PHC) si tiene ad Alma Ata (capitale della repubblica sovietica del Kazakhstan) nel 1978.

Per la prima volta i rappresentanti di tutti i paesi del mondo si ritrovano per definire una cornice

comune per la promozione e lo sviluppo di un’assistenza sanitaria per tutti; vengono affrontati anche i

problemi sanitari dei paesi più poveri e si cerca un collegamento tra salute e sviluppo. La

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Dichiarazione di Alma Ata definisce l’assistenza sanitaria di base:

[…] quella assistenza sanitaria essenziale fondata su metodi e tecnologie pratiche, scientificamente valide e socialmente accettabili, resa universalmente accessibile agli individui e alle famiglie di una comunità attraverso la loro piena partecipazione a un costo che la comunità e i paesi possono permettersi a ogni stadio del loro sviluppo in uno spirito di fiducia in sé stessi e di autodeterminazione. Essa è parte integrante sia del Sistema sanitario nazionale, di cui è il perno e il punto focale, che dello sviluppo economico e sociale globale della comunità. […] Essa include almeno: l’educazione riguardo i più importanti problemi sanitari e i metodi per prevenirli e controllarli; la promozione di un’adeguata alimentazione; un’adeguata disponibilità di acqua potabile e condizioni salubri di vita; l’assistenza materno-infantile, inclusa la pianificazione familiare; le vaccinazioni contro le maggiori malattie infettive; la prevenzione e il controllo delle malattie endemiche; l’appropriato trattamento delle comuni malattie e l’approvvigionamento dei farmaci essenziali. […] Coinvolge oltre al settore sanitario, tutti i settori e gli aspetti correlati allo sviluppo nazionale e della comunità, in particolare l’agricoltura, l’allevamento, l’alimentazione, l’industria, l’educazione, la casa, i lavori pubblici, le comunicazioni, e altri settori; e richiede lo sforzo coordinato di tutti questi settori.

Il concetto di promozione della salute viene poi definito in una Carta adottata ad Ottawa dagli Stati

membri dell’OMS nel 1986. Nella "Carta di Ottawa" la promozione della salute viene definita come un

processo che conferisce alle popolazioni i mezzi per assicurare un maggior controllo sul loro livello di

salute e per migliorarlo, ponendo in evidenza non solo gli aspetti individuali ma anche quelli collettivi

e politici che ne condizionano le caratteristiche e i mutamenti. La promozione della salute deve

portare a condizioni di vita e di lavoro sicure, stimolanti e soddisfacenti, alla protezione degli ambienti

naturali e artificiali, alla conservazione delle risorse naturali. Deve consentire una valutazione

sistematica degli effetti dell'ambiente sul benessere delle persone e garantire strategie e azioni mirate

ad indurre cambiamenti nel singolo e nella collettività. La promozione della salute passa quindi

necessariamente attraverso l'adozione di politiche pubbliche coordinate e tese a favorire e sviluppare

beni e servizi più sani, ambienti igienici e non pericolosi, cambiamenti legislativi coerenti, mutamenti

nell'organizzazione sociale e ambientale.

La Carta di Ottawa, che si conclude con un appello rivolto a tutti gli Stati e le organizzazioni

internazionali affinché sostengano la causa della promozione della salute in tutte le sedi appropriate.

È dunque il punto di partenza di tutti i progetti e le iniziative che successivamente sono state poste in

essere a livello internazionale per la salvaguardia della salute.

Nel 1998 l'OMS adotta la "Dichiarazione mondiale sulla salute", con la quale gli Stati membri si

impegnano a realizzare un vasto programma per l'attuazione di una "Strategia della Salute per tutti

per il 21° secolo". Gli Stati europei membri dell'OMS (51 Paesi, 870 milioni di abitanti) hanno la

"Dichiarazione mondiale sulla salute" in un documento di carattere politico-tecnico ed operativo che

stabilisce 21 punti chiave per la promozione della salute nella Comunità Europea (HFA, Health For All).

Il diritto alla salute come human right

Sono numerosi gli strumenti internazionali attinenti ai diritti dell'uomo che si riferiscono alla

salute e ai problemi a essa correlati.

La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (1948) proclama all’art.25:

1. Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà.

2. La maternità e l'infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della sua stessa protezione sociale.

Il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali adottato dall’Assemblea generale

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dell’ONU nel 1966 affronta il diritto alla salute all’art.12:

1. Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto di ogni individuo a godere delle migliori condizioni di salute fisica e mentale che sia in grado di conseguire.

2. Le misure che gli Stati parti del presente Patto dovranno prendere per assicurare la piena attuazione di tale diritto comprenderanno quelle necessarie ai seguenti fini: a) la diminuzione del numero dei nati-morti e della mortalità infantile, nonché il sano sviluppo dei bambini/e; b) il miglioramento di tutti gli aspetti dell'igiene ambientale e industriale; c) la profilassi, la cura e il controllo delle malattie epidemiche, endemiche, professionali e d'altro genere; d) la creazione di condizioni che assicurino a tutti servizi medici e assistenza medica in caso di malattia.

Nel 1979 la Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione femminile (CEDAW)

all’art.12 affronta per la prima volta anche il tema della pianificazione familiare:

1. Gli Stati parti prenderanno tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nel campo delle cure sanitarie al fine di assicurare loro, in condizione di parità con gli uomini, i mezzi per accedere ai servizi sanitari, compresi quelli che si riferiscono alla pianificazione familiare.

2. Nonostante quanto disposto nel paragrafo I del presente articolo, gli Stati parti forniranno alle donne, durante la gravidanza, al momento del parto e dopo il parto, i servizi appropriati e, se necessario, gratuiti, ed una alimentazione adeguata sia durante la gravidanza che durante l'allattamento.

Gli impegni enunciati nella Carta di Ottawa del 1986 sono:

• intervenire a sostegno di un chiaro impegno politico a favore della salute e dell'equità in ogni settore;

• focalizzare l'attenzione sulle questioni di salute pubblica quali l'inquinamento, i rischi occupazionali, la questione delle abitazioni e degli insediamenti;

• riconoscere che le persone costituiscono la maggiore risorsa per la salute; supportarle e metterle in grado di mantenere sane se stesse, i familiari e gli amici (con mezzi finanziari o con altri mezzi) e accettare che la comunità sia una voce fondamentale sui temi della salute,delle condizioni di vita e del benessere;

• orientare i servizi sanitari risorse verso la promozione della salute e condividere il potere con altri settori e con le persone stesse;

• riconoscere che la salute e il suo mantenimento sono un importante investimento sociale e una sfida; occuparsi del problema ecologico globale rappresentato dai nostri stili di vita modi.

Infine specifiche disposizioni sono previste anche dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia del

1989, che all’art. 24 prevede:

1. Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo al godimento dei più alti livelli raggiungibili di salute fisica e mentale e alla fruizione di cure mediche riabilitative. Gli Stati parti devono sforzarsi di garantire che il fanciullo non sia privato del diritto di beneficiare di tali servizi.

2. Gli Stati parti si sforzano di perseguire la piena situazione di questo diritto ed in particolare devono prendere misure appropriate per:

• ridurre il tasso di mortalità neonata ed infantile;

• garantire a tutti i bambini la necessaria assistenza e cure mediche. con particolare riguardo allo sviluppo ed ai servizi sanitari di base;

• combattere le malattie e la malnutrizione nel quadro delle cure mediche di base mediante, tra l'altro, l'utilizzo di tecniche prontamente disponibili e la fornitura di adeguati alimenti nutritivi e di acqua potabile, tenuto conto dei dischi di inquinamento ambientale;

• garantire appropriate cure mediche alle madri in stato di gravidanza;

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16

• garantire che tutti i membri della società in particolare i genitori ed i fanciulli, siano informati sull'uso di conoscenze di base circa la salute e la nutrizione infantile, i vantaggi dell'allattamento materno, l'igiene personale ed ambientale, la prevenzione degli incidenti, e beneficino di un aiuto che consenta loro di avvalersi di queste informazioni;

• sviluppare la medicina preventiva, l'educazione dei genitori e l'informazione ed i servizi in materia di pianificazione familiare.

3. Gli Stati parti devono prendere tutte le misure efficaci ed appropriate per abolire le pratiche tradizionali che possono risultare pregiudizievoli alla salute dei fanciulli.

4. Gli Stati parti s'impegnano a promuovere ed ad incoraggiare la cooperazione internazionale allo scopo di garantire progressivamente la piena realizzazione del diritto riconosciuto in questo articolo. A questo proposito i bisogni dei paesi in via di sviluppo saranno tenuti in particolare considerazione.

MDG 5– MIGLIORARE LA SALUTE MATERNA

5.1 Ridurre di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, il tasso di mortalità materna; 5.2 Rendere possibile, entro il 2015, l'accesso universale ai sistemi di salute

riproduttiva. Una delle peggiori conseguenze della mancanza di un sistema sanitario

adeguato e accessibile a tutti nei PVS è l’altissimo numero di donne, più di 50 milioni, che incorrono in malattie o disabilità permanenti nel corso della gravidanza o durante il parto: ogni anno muoiono per questi motivi oltre 500000 donne in tutto il mondo.

Nei paesi dell’Africa Sub Sahariana a fronte di un elevato tasso di nascite le donne hanno una possibilità su 16 di morire di parto. Nei paesi europei che hanno un basso tasso di natalità, invece il rapporto è di una donna su 2.000, mentre nel nord America è una su 3500.

Quali progressi?

Alcuni progressi sono stati fatti, in particolare in Asia orientale. Stime recenti dicono che Africa Sub Sahariana e Asia meridionale sono le più lontane dall’Obiettivo.

Cosa fare?

Progressi nella pianificazione familiare possono portare ad una riduzione della mortalità materna perché si riduce il numero di gravidanze per donna. L’accesso a cure ostetriche d’emergenza deve essere esteso e la presenza di personale medico sanitario deve essere assicurata per la maggior parte dei parti: attualmente solo la metà dei parti nei PVS è assistita. Il personale medico sanitario nelle aree rurali deve essere dotato di tutti gli mezzi possibili (antibiotici, strumenti tecnici, bende sterili) per aiutare le donne che non possono raggiungere un presidio sanitario (ambulatorio, ospedale) per partorire.

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Lezione 3– Salute globale e strategie di intervento

Facendo riferimento anche a quanto detto nelle due lezioni precedenti, il Modulo 3 si conclude

con un tentativo di analisi critica degli approcci e delle politiche fino ad oggi promosse in favore della

tutela del diritto alla salute, attraverso una presentazione generale della struttura istituzionale di

riferimento, degli attori coinvolti, dei valori e delle linee guida adottate per la promozione della salute

a livello internazionale e nei progetti di cooperazione internazionale.

1. La Primary Health Care e le organizzazioni internazionali

L’approccio Primary Health Care 8

La strategia indicata dalla Dichiarazione di Alma Ata per raggiungere gli obiettivi di Health for All

nel 2000 è, come è stato detto, la Primary Health Care (PHC). Questa si basa sui principi dell’equità,

della volontà politica, della partecipazione della comunità, dell’intersettorialità, della promozione

della salute e dell’uso di tecnologie appropriate. In particolare si parla di comprehensive PHC in

presenza di una “assistenza sanitaria essenziale basata su metodi praticabili, scientificamente validi e

socialmente accettabili e su tecnologie rese universalmente accessibili a individui e famiglie nella

comunità attraverso la loro piena partecipazione ed a costi che la comunità ed il paese possano

permettersi di abbordare ad ogni stadio del loro sviluppo in uno spirito di autonomia ed

autodeterminazione.” Come definita dalla Dichiarazione:

• riflette e nasce dalle condizioni economiche, politiche e socioculturali di un paese e delle sue

comunità; necessità di una ricerca sociale, biomedica e sanitaria specifica;

• si occupa dei principali problemi sanitari della comunità, garantendo servizi sanitari integrati

di promozione, prevenzione, cura e riabilitazione;

• comprende almeno: l’educazione a riguardo dei prevalenti problemi sanitari e i metodi che ne

permettono la prevenzione ed il controllo; un’adeguata disponibilità d’acqua potabile e di

servizi igienici di base; assistenza sanitaria materno-infantile, inclusa la pianificazione

familiare; immunizzazione alle principali malattie infettive; il trattamento adeguato delle

malattie e degli infortuni comuni; la garanzia di accesso ai medicinali essenziali;

• impegna, insieme al settore sanitario, tutti i settori e gli aspetti relativi allo sviluppo nazionale

e delle comunità, in particolare l’agricoltura, l’allevamento, l’alimentazione, l’industria,

l’istruzione, le condizioni abitative, il lavoro pubblico, le comunicazioni ed i trasporti; inoltre

richiede a questi settori di garantire il coordinamento dell’impegno e il massimo del

contributo al processo di sviluppo;

• promuove il massimo grado di fiducia in se stessi e di partecipazione individuale e

comunitaria in tutte le fasi, utilizzando dove possibile le risorse locali disponibili; sviluppa le

capacità e le possibilità di partecipazione per le comunità attraverso appropriati metodi di

informazione e di educazione;

• deve essere sostenuta da un sistema di riferimento e di supporto integrato, che conduca

progressivamente ad un’assistenza sanitaria comprensiva e per tutti, dando priorità a coloro

8 Questo capitolo è tratto dalla Tesi di Laurea Triennale in Sviluppo e Cooperazione Internazionale del dott.

Andrea Rapisardi, dal documento “Da Alma Ata al Global Fund – Un itinerario storico nella politica sanitaria internazionale” a cura dell'Osservatorio Italiano sulla Salute Globale www.saluteglobale.it e dal testo Le politiche sanitarie globali a trent’anni da Alma Ata. Adriano Cattaneo, IRCCS Burlo Garofolo, Trieste.

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che ne hanno più bisogno.

• si affida a personale sanitario (medici, infermieri, ostetriche, personale ausiliario e animatori,

insieme ai necessari curatori tradizionali) appropriatamente formato, sia in ambito tecnico

che sociale, per coordinarsi nel lavoro e rispondere ai reali bisogni sanitari espressi dalla

comunità.

È una definizione teorica molto ampia9, che sottolinea la necessità di essere continuamente

sottoposta a revisione e controllo, alla luce delle particolari condizioni locali. La PHC deve quindi

essere la base di un approccio operativo che può essere riproposto all’interno di qualsiasi contesto ed

in favore di tutta la popolazione, a prescindere dalle differenze socio-culturali che ne caratterizzano i

vari gruppi e le differenti comunità.

I principi a cui si ispira sono:

• accesso universale all’assistenza sanitaria e copertura in base ai reali bisogni della comunità;

• piena partecipazione individuale e comunitaria;

• uso di tecnologie appropriate, compreso il prevalente utilizzo di risorse locali;

• integrazione dei servizi di prevenzione, promozione, trattamento e riabilitazione;

• integrazione multisettoriale;

• sostenibilità dei servizi;

Per l’implementazione pratica di una strategia di PHC si prevedono almeno:

• rifornimento adeguato di acqua pulita e eliminazione dei rifiuti;

• promozione di un alimentazione adeguata e dell’accesso al cibo sufficiente;

• assistenza materno-infantile, compresa la pianificazione familiare;

• vaccinazione contro le più importanti malattie infettive;

• prevenzione e controllo delle malattie endemiche locali;

• prevenzione, diagnosi e trattamento appropriato delle malattie e dei traumi più frequenti;

• servizi di urgenza per chirurgia, traumatologia, ostetricia e stomatologia;

• rifornimento regolare di farmaci essenziali e valorizzazione dei metodi tradizionali di cura;

• impiego di risorse locali come fattore che garantisce l’efficacia e la sostenibilità degli

interventi;

• sviluppo di un sistema sanitario fortemente integrato a livello organizzativo, amministrativo e

operativo;

• educazione sanitaria su malattie, prevenzione e controllo, con la più ampia partecipazione

possibile;

• cooperazione con gli altri settori dell’amministrazione pubblica, per evitare le crescenti

inefficienze ed ineguaglianze provocate dall’implementazioni di programmi selettivi e

concorrenti;

• promozione di nuove partnership con tutti gli attori coinvolti in ambito sanitario (governi

nazionali e amministrazione pubblica a tutti i livelli, società civile, organizzazioni

internazionali, ONGs, altri enti privati non-profit e profit)

La PHC: selective vs comprehensive. La “controrivoluzione”

Alma Ata segnava dunque una svolta per le politiche sanitarie globali e nazionali. La sua

applicazione pratica si scontrò molto presto con resistenze ed ostacoli di vario tipo: a poco più di un

anno dall’adozione della Carta, il 1 Novembre 1979, la prestigiosa rivista medica New England Journal

9 WHO, Primary Health Care: a framework for future strategic directions, Global Report, 2003, pp.5-7.

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19

of Medicine pubblicò un articolo10 sulla selective PHC. Gli autori, associati all’università di Harvard,

lavoravano per la Rockefeller Foundation. L’articolo partiva dalla constatazione che le risorse sono

limitate, che il tempo stringe e che non si può far tutto e da alcuni calcoli sul rapporto costo/efficacia

di vari interventi medici. La conclusione a cui gli autori giungevano era che la PHC avrebbe dovuto

essere selettiva e concentrarsi solo su obiettivi raggiungibile. Si sostenevano in particolare la

reidratazione orale per combattere la diarre, le vaccinazioni contro morbillo, difterite, pertosse e

tetano, e l’allattamento al seno e l’uso sistematico delle carte della crescita (che sostituisce nella lista

delle priorità la terapia anti-malarica, ritenuta evidentemente troppo costosa).

Nello stesso periodo (1980), diviene direttore dell’UNICEF James P. Grant, un medico

statunitense, figlio di missionari protestanti in Cina e con esperienza di lavoro nello stesso paese.

Grant sostituisce Henry Labouisse, firmatario della Dichiarazione di Alma Ata insieme al capo

dell’OMS, e che aveva promosso iniziative di comunità per salute, nutrizione, educazione formale e

informale, acqua e igiene.

Grant sposa immediatamente la causa della selective PHC. Con il suo entusiasmo convince

rapidamente governi e donatori, ma anche la stessa OMS, a lanciare nuovi programmi verticali. Il

primo è ispirato direttamente dall’articolo del New England Journal of Medicine e sarà conosciuto in

tutto il mondo con l’acronimo GOBI (Growth monitoring, Oral rehydration, Breastfeeding,

Immunization). Sarà il progenitore di una lunga serie di iniziative simili; il nipote attualmente più

famoso del GOBI si chiama GFATM (Global Fund against Aids, Tuberculosis and Malaria).

La selective PHC presenta alcune debolezze teoriche che possono essere soggette a critiche:

Fare delle analisi costo/efficacia è difficile, e spesso queste risultano inaccurate sia per il calcolo

dei costi che per la stima dell’efficacia. Il metodo di calcolo non può essere universale, poiché costo

ed efficacia variano al variare delle situazioni e dei paesi. Inoltre questi calcoli tendono ad escludere

attività costose ma che hanno effetti positivi su tutta la popolazione non solo in termini di salute (non

si calcolano ad esempio interventi sui sistemi di raccolta e distribuzione dell’acqua e sui sistemi

fognari, programmi di nutrizione o di educazione).

L’approccio di rischio (concentrare l’azione sul gruppo di popolazione che le statistiche

definiscono più a rischio o sulle malattie che hanno più probabilità di verificarsi in un’area) può

sembrare semplice buon senso, ma non sempre riesce ad assicurare l’efficacia maggiore efficacia.

Esistono aree e situazioni per le quali ha più senso fare un intervento su tutta la popolazione e non su

un singolo sottogruppo.

Ci si concentra molto sugli interventi medici efficaci, trascurando di analizzare i determinanti

sociali che sono alla base di un buono stato di salute. Non si affrontano le questioni legate alla

disponibilità e all’accessibilità delle risorse, alle condizioni di vita e di lavoro, all’educazione. Ad

esempio, curare e vaccinare contro la poliomielite senza cambiare le condizioni di igiene, ignoranza e

povertà può portare alla scomparsa della malattia, ma lascia inalterate le condizioni sociali che la

favoriscono e possono favorirne altre.

È possibile dimostrare che concentrarsi su un approccio selettivo tende ad indebolire il sistema

sanitario di uno Stato e il suo funzionamento, poiché non si occupa delle aree marginali di un paese e

non da risorse per interventi sanitari che non rientrano in quelli appena descritti.

Non si può negare però che un approccio selective abbia dei vantaggi indubbi, che è possibile

confrontare con gli svantaggi, che esistono e sono speculari, di un approccio comprehensive PHC.

10

Walsh JA, Warren KS. Selective primary health care: an interim strategy for disease control in developing

countries. N Engl J Med 1979;301:967-74.

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20

Selective PHC – Vantaggi Comprehensive PHC - svantaggi

I cicli di programmazione sono brevi e concentrati. Spesso coincidono con i cicli finanziari dei donatori (e con i cicli elettorali, in caso di donatori governativi).

Non sono previsti cicli di programmazione, oppure sono lunghi, vaghi e flessibili. In ogni caso non coincidono con i cicli finanziari dei donatori.

La raccolta di fondi (pubblici e privati) è relativamente facile

Non è facile stimare quanti soldi servono e per quanto tempo; è più difficile convincere i donatori al finanziamento.

Fare la rendicontazione è relativamente facile (anche se cambia da donatore a donatore)

Non si sa dove vadano a finire esattamente i soldi, perché le spese sono distribuite nel “sistema” paese.

Il controllo è affidato ad agenzie ed organizzazioni specifiche, o al ministero della salute.

Non esiste un ministero di controllo unico, perché gli interventi coinvolgono più settori per definizione.

È possibile raggiungere successi “raccontabili” a breve termine.

Non si ottengono risultati a breve termine, sono investimenti sul lungo periodo.

C’è grande visibilità data da rapporti annuali o specifici ed da un uso accorto dei media.

Gli interventi hanno scarsa o nessuna visibilità.

2. Il ruolo degli altri attori internazionali

La recessione economica degli anni ’80 e i SAPs

Le crisi petrolifere intervenute negli anni ’70-’80, a seguito della guerra arabo-israeliana prima

(1973) e della rivoluzione iraniana poi (1979), ebbero pesanti effetti negativi sull’economia mondiale,

colpendo duramente tutti i paesi importatori di petrolio. Le misure adottate per far fronte

all’aumento del costo dell’energia, e alla conseguente crescita dell’inflazione, determinarono ovunque

una fase di grave recessione.

Per i PVS, che negli anni ’60 avevano registrato una significativa crescita economica, le

conseguenze furono doppiamente devastanti perché all’aumento del costo del petrolio (e degli altri

prodotti importati dai paesi industrializzati) si aggiunse il ribasso del prezzo delle materie prime, di cui

essi erano principali esportatori. Lo shock petrolifero fu per alcuni paesi soprattutto asiatici (le “tigri”

Sud Corea, Taiwan, Singapore) fu l’occasione per ristrutturare le proprie economie arrivando a

produrre internamente (e poi esportando) beni precedentemente importati. Per la maggioranza dei

paesi poveri invece lo shock petrolifero segnò l’inizio di una lunga fase di crisi, di impoverimento e di

indebitamento. La ricetta confezionata dalla Banca Mondiale negli anni ’80 per il “risanamento” delle

economie dei paesi più poveri e indebitati (e condizione vincolante per la concessione dei crediti) fu

coerente con le politiche neo-liberiste dominanti in quel periodo in Usa e Gran Bretagna. Il mercato,

libero da interferenze pubbliche, è considerato il migliore e più efficiente distributore di risorse, ed è

pertanto il meccanismo più efficace per promuovere il bene pubblico, compresa la salute. Gli sforzi

devono concentrarsi sulla crescita economica, senza badare alle conseguenze a breve termine.

Mentre OMS e UNICEF si dibattono tra comprehensive e selective PHC, scegliendo però di mettere

in pratica quest’ultima, la Banca Mondiale si inserisce nel dibattito assumendo una posizione che

minaccia alla radice politiche e sistemi sanitari nazionali. In un documento del 1987 afferma che

“l’approccio più comune all’assistenza sanitaria nei paesi in via di sviluppo è stato quello di trattarla

come un diritto di cittadinanza e di tentare di fornire a tutti servizi gratuiti. Questo approccio di solito

non funziona.” (World Bank. Financing health services in developing countries. World Bank,

Washington DC, 1987)

Quattro sono le principali linee di azione che vengono promosse:

- Rendere a pagamento i servizi sanitari pubblici.

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21

- Favorire la privatizzazione dei servizi sanitari.

- Promuovere programmi assicurativi.

- Decentralizzare il governo della sanità.

Insieme, Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, le due maggiori istituzioni finanziarie

internazionali promuovono per tutti gli anni ‘80 e oltre i cosiddetti Piani di Aggiustamento Strutturale

(Structural Adjustment Programms, SAPs) in cambio di prestiti o aiuti agli Stati in crisi: drastici tagli nei

consumi e nella spesa pubblica per ridurre l’inflazione e il debito pubblico; privatizzazioni in tutti i

settori; decentramento e bassissimo profilo dello Stato centrale.

Per il settore salute, si richiede la riduzione della spesa pubblica, l’incoraggiamento del settore

privato, la separazione delle funzioni di acquisto da quelle di offerta dei servizi sanitari, e l’enfasi

sull’efficienza rispetto all’equità.

Uno dei risultati più perversi sulla salute dell’attuazione dei Piani di Aggiustamento Strutturale è

l’introduzione quasi universale delle tariffe (user fees): il pagamento totale o parziale delle prestazioni

sanitarie da parte del paziente. Queste user fees hanno reso costosi ed inaccessibili per ampie fasce di

popolazione dei PVS, ma anche di quelli a medio o alto reddito, anche i più semplici interventi medici.

L’introduzione degli user fees, giustificabile per motivi di efficienza perché rende più sostenibile il

bilancio del sistema sanitario nazionale, è sicuramente contraria ai principi di equità dell’accesso alle

cure.

Nel 1989 l’UNICEF, pur restando fedele all’approccio selettivo, denuncia che a causa degli

interventi di aggiustamento strutturale (“inumani, non necessari, inefficienti”) le condizioni di vita e

di salute dei paesi più poveri si sono paurosamente aggravate e che “almeno mezzo milione di

bambini sono morti negli ultimi dodici mesi come conseguenza del-la crisi economica che colpisce i

PVS”. Per tentare di arginare tali effetti l’UNICEF promuove le cosiddette reti di sicurezza sociale

(Social Safety Nets, SSNs): sussidi sotto forma di servizi forniti per proteggere le fasce più deboli della

popolazione.

La trappola medica della povertà

Nel 1993 la Banca Mondiale dedica il suo rapporto annuale ai temi della salute (Investing in

Health): è l’entrata della principale istituzione finanziaria mondiale nella scena della sanità, che

oscura il ruolo dell’OMS. Nel rapporto si legge: “I paesi a reddito medio/basso non possono offrire a

tutta la popolazione tutte le prestazioni sanitarie, ma solo pacchetti di prestazioni di provata efficacia

e di costo compatibile col reddito per abitante; gli abitanti con reddito più elevato potranno

acquistare i servizi non compresi in questi pacchetti nel libero mercato della merce salute.” World

Bank. World development report 1993: investing in health. Oxford University Press, Oxford, 1993

Nel testo si trovano:

- la definizione (e la stima economica) del pacchetto di servizi clinici essenziali e di interventi di

sanità pubblica che i governi dovrebbero assicurare a tutta la popolazione;

- l’introduzione di un nuovo indicatore per misurare lo stato di salute di un paese: il DALYs

(DisabilityAdjusted Life Years). Il DALYs misura il “carico di malattie” di una comunità mettendo

insieme due indicatori: le perdite dovute a morte prematura e le perdite di vita sana dovuta a

disabilità. L’obiettivo è misurare il costo degli interventi per la prevenzione e/o la cura di determinate

malattie e quindi valutare quale siano le priorità nell’allocazione delle risorse. Questo tipo di

approccio è in linea con visione selettiva della PHC e conferma l’allontanamento della Banca dalle

conclusioni della Conferenza di Alma Ata.

Nonostante le raccomandazioni degli esperti della Banca di investire in salute, la sanità dei paesi

più poveri precipita, soprattutto nell’Africa sub-Sahariana. La quota di PIL destinata alla spesa

sanitaria diminuisce fortemente. La privatizzazione aumenta all’interno delle strutture pubbliche

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(sempre più fatiscenti), ma soprattutto fuori: si assiste ad una “fioritura” del mercato sanitario, che si

basa in particolare sul commercio di farmaci. Farmaci spesso scaduti o contraffatti, distribuiti quasi

sempre da personale abusivo, sono venduti ovunque, nelle cliniche private, nei drug shops, nelle

bancarelle ai mercati o agli angoli delle strade. Il motivo del boom della vendita di medicinale è

dovuto all’impossibilità di accedere alle troppo costose strutture sanitarie “formali” (ospedali e centri

di salute, pubblici, privati non profit e privati profit, tutti rigorosamente a pagamento). La grande

maggioranza della popolazione è costretta a rivolgersi a chi offre una risposta a buon mercato ai

problemi di salute: una iniezione o qualche pillola. In un articolo di Margaret Whitehead del 2001 si

legge: “Negli ultimi due decenni, la spinta verso riforme dei sistemi sanitari basate sul mercato si è

diffusa in tutto il mondo, da Nord verso Sud, dall’Occidente all’Oriente. Il “modello globale” di sistema

sanitario è stato sostenuto dalla Banca Mondiale per promuovere la privatizzazione dei servizi e

aumentare il finanziamento privato, attraverso il pagamento diretto delle prestazioni (user fees). […]

Questi tentativi di minare alla base i servizi pubblici da una parte rappresentano una chiara minaccia

all’equità nei paesi con solidi sistemi di welfare in Europa e Canada, dall’altra costituiscono un

pericolo imminente per i fragili sistemi per i paesi con medio e basso reddito. Queste due tendenze,

l’introduzione delle user fees nei servizi pubblici e la crescita dei pagamenti diretti (out-of-pocket

expenses) nei servizi privati –, se combinate, possono rappresentare una vera e propria trappola della

povertà.”

Gli autori elencano le pesanti conseguenze prodotte dalle politiche della Banca nei confronti della

sanità dei paesi più poveri, concentrandosi su quattro categorie:

• le malattie non trattate;

• ridotto accesso all’assistenza;

• uso irrazionale di farmaci;

• impoverimento a lungo termine.

La conseguenza più grave in termini di sviluppo è che le persone comprano l’assistenza anche

quando ciò mette a repentaglio la propria sussistenza a lungo termine. Le famiglie si indebitano, sono

costrette a vendere il loro capitale (un appezzamento di terra o il bestiame), o a rinunciare ad altre

spese vitali, come l’educazione dei figli. L’impatto sociale negativo delle user fees nel campo

dell’assistenza sanitaria è maggiore che in altri settori della vita sociale perché queste spese sono

spesso inaspettate e il loro costo totale è imprevedibile e sconosciuto fino alla fine del trattamento.

Macroeconomia e salute

La reazione dell’OMS ai danni portati dai SAPs arriva invece più tardi. Mentre continuano ad

implementare i suoi programmi verticali (vaccinazioni, malaria, tabacco, Aids, …), l’OMS commissiona

uno studio sul rapporto11 tra macroeconomia e salute a Jeffrey D. Sachs, economista dello sviluppo e

professore ad Harvard.

Le conclusioni del rapporto sono:

• I servizi sanitari non sono un diritto, ma un bene di consumo, e sono quindi soggetti alla legge

della domanda e dell’offerta, alle leggi del libero mercato, alle regole dell’Organizzazione

Mondiale per il Commercio (come gli accordi GATS e TRIPS).

• Maggiore e migliore salute porta a sviluppo e crescita economica. Nel tentativo di dimostrare

questa relazione di causa ed effetto, il rapporto non sottolinea che la relazione tra salute e

povertà ha due direzioni, ma non è simmetrica: la povertà è il più importante singolo

determinante di una cattiva salute, ma la cattiva salute non è il più importante singolo

11

WHO Commission on Macroeconomics and Health, Macroeconomics and Health: investing in health for

economic development, WHO, Geneva, 2001.

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determinante della povertà.

• Investire in salute (34 $ per persona/anno nel 2015) è essenziale per far aumentare il PIL (94

miliardi di $ darebbero un ritorno di 186 miliardi di $).

• Gli investimenti in salute dovrebbero essere concentrati su pacchetti essenziali di interventi

efficaci. È in linea con la selective PHC e ma non affronta lo sviluppo dei sistemi sanitari.

• Gli investimenti dovrebbero essere prodotti e controllati da partnership pubblico/privato, cioè

da Fondi Globali con la partecipazione di agenzie dell’ONU, della Banca Mondiale, di

rappresentanti dei governi dei paesi ricchi, di delegati delle imprese multinazionali.

In effetti nel rapporto mancano le misure di riduzione della povertà che hanno un sicuro impatto

positivo sulla salute. La cancellazione del debito, la riduzione del protezionismo commerciale e

l’eliminazione dei sussidi alle produzioni agricole ed industriali dei paesi ricchi, un maggiore

intervento dello stato per la redistribuzione del reddito e nella modificazione degli assetti di proprietà

(riforma agraria, politica fiscale, etc.), sono tutte misure che hanno un sicuro effetto positivo sul

benessere, e quindi sulla salute, di tutta la popolazione.

3. Il presente ed il futuro della PHC

La primary health care è nata dall’inadeguatezza di un approccio puramente medico e sanitario ai

problemi di salute. Questa inadeguatezza continua ad esistere e la PHC rimane perciò attuale. Ma

metterla in pratica comporta un difficile cambiamento nelle politiche, se non nelle ideologie: è

necessario passare dal concetto di sanità a salute, dai determinanti biologici a quelli sociali, dalla cura

alla promozione ed alla prevenzione, dall’ospedale alla comunità ed alla salute pubblica, dal centro

alla periferia, dall’operatore sanitario al cittadino (empowerment).

Per attuarla sono necessarie una forte volontà politica, risorse e competenze tecniche specifiche,

in contrasto con la tendenza in atto in tutto il mondo che considera la salute una merce e non un

diritto. Il rischio è che l’applicazione della PHC si limiti al primo contatto tra l’utente ed i servizi

sanitari, alla fornitura di servizi sanitari alle popolazioni meno privilegiate, ai servizi offerti da

operatori di basso livello (non medici), ai servizi offerti nei dispensari e nei posti di salute, ai servizi

che costano poco, considerati adatti per i poveri che non possono permettersi la medicina “vera”, a

un pacchetto di servizi essenziali. Inoltre, è difficile che i ministeri coinvolti nell’attuazione della PHC

comunichino e si coordinino realmente, l’integrazione delle attività è spesso vista come una minaccia

ai budget di settore, non vi sono incentivi economici ad un approccio integrato ed intersettoriale, le

priorità dei governi spesso non si basano su un’analisi razionale e su una strategia di lungo periodo.

Per concludere, raccogliere e fornire prove dell’efficacia sulla salute di interventi non sanitari

(abitazione, acqua, trasporti, politiche agricole ed alimentari, istruzione, educazione, etc.) è difficile.

Per tutti problemi sottolineati, la PHC non è quasi citata nella Dichiarazione del Millennio e nei MDGs.

Gli ultimi sviluppi

L’OMS ha costituito nel 2005 una Commissione sui Determinanti Sociali della Salute. Nel primo

rapporto pubblicato nel 200812 si legge: “ridurre le disuguaglianze nella salute è un imperativo etico.

L’ingiustizia sociale sta uccidendo intere popolazioni.”

Si prende atto della grandezza delle disuguaglianze nella salute sia tra paesi diversi (confrontando

ad esempio la speranza di vita media degli Stati europei con quella degli Stati africani), sia all’interno

di uno stesso Stato. Poiché lo sviluppo di un paese, ricco o povero che sia, può essere giudicato a

partire dallo stato di salute della sua popolazione, la Commissione esorta l’OMS e tutti i governi ad

12 Commission on Social Determinant on Health, WHO, Closing the gap in a generation, health equity through

action on the social determinants of health, 2008.

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un’azione globale sui determinanti sociali della salute. Per raggiungere l’uguaglianza della salute; è

necessario che i governi, la società civile, l’OMS e tutte le altre organizzazioni interessati lavorino

insieme per migliorare la vita dei cittadini di tutto il mondo, poiché raggiungere l’uguaglianza nella

salute è un obiettivo possibile nell’arco di una generazione.

Altre iniziative interessanti per l’elaborazione di politiche di rafforzamento dei sistemi sanitari e

per affrontare i determinanti sociali di salute sono state avviate in alcuni paesi ad alto o medio

reddito (tra gli altri: Canada, Nuova Zelanda, Svezia, Gran Bretagna, Messico, Brasile, Venezuela,

Sudafrica). Dal 2003 ad esempio, la Svezia punta su partecipazione ed influenza nella società,

sicurezza economica e sociale, condizioni sicure e favorevoli nell’infanzia e l’adolescenza, vita

lavorativa più sana, ambiente e prodotti sicuri e salutari, servizi sanitari che promuovono la salute,

protezione efficace contro le malattie infettive, sessualità sicura e buona salute riproduttiva, aumento

dell’attività fisica, buona alimentazione e cibi sicuri, ridotto uso di alcool e tabacco, niente droghe e

gioco d’azzardo. Non siamo lontani da Alma Ata. In Messico, Brasile, Nicaragua e in altri paesi sono

stati attuati programmi per il trasferimento di denaro alle famiglie povere condizionato a mandare i

figli a scuola, migliorare l’alimentazione ed usare di più i servizi di salute preventivi. Dopo primi

incoraggianti risultati, questo tipo di programmi si sta diffondendo.

Alcuni paesi ad alto reddito, e in particolare Norvegia e Gran Bretagna, si sono fatti promotori di

alcune iniziative volte ad accelerare il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio che riguardano la

salute delle donne e dei bambini. Contrariamente a precedenti iniziative, queste mirano a potenziare

attività generali per il rafforzamento dei sistemi sanitari ed dei piani nazionali dei paesi beneficiari. In

Italia un documento prodotto nel 2007 per gli Stati Generali della Solidarietà e Cooperazione Sanitaria

ribadisce la necessità di attenersi ai principi di Alma Ata. Ancora non è possibile vedere se ciò porterà

a modificare le strategie di cooperazione verso interventi e programmi a carattere intersettoriale e

con enfasi sul rafforzamento dei sistemi sanitari.

Anche le organizzazioni non governative impegnate nel settore si stanno muovendo nella stessa

direzione ed hanno recentemente promosso un’iniziativa chiamata 15 by 2015, una campagna che

invita tutti i donatori ad assegnare per lo meno il 15% dei fondi per la cooperazione al rafforzamento

dei sistemi sanitari ed al miglioramento della qualità delle cure primarie entro il 2015. Infine, una rete

di associazioni presenti in molti paesi ha creato nel 2000 il People’s Health Movement,13 un

movimento che si propone di ridare attenzione alla PHC, promuovendo incontri e redigendo nel 2005

una Carta per la Salute dei Popoli che invita i popoli della terra a chiedere ai loro governi:

- riforma radicale di Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e Organizzazione

Mondiale per il Commercio;

- la cancellazione del debito dei paesi poveri;

- regole efficaci per controllare il potere delle multinazionali;

- pace e protezione per l’ambiente;

- politiche agricole per la gente, non per il mercato;

- il controllo e la tassazione dei capitali finanziari;

- la verifica dell’impatto sulla salute delle politiche economiche;

- priorità per istruzione e salute, con uno stop alla privatizzazione ed un aumento

dell’investimento pubblico ad almeno il 70% del bilancio sanitario e sociale;

- accesso universale a servizi integrati di salute, in base ai bisogni, non alla capacità di pagare;

- enfasi sulla promozione, la prevenzione e la partecipazione;

- rafforzamento, anche dal punto di vista legale, del lavoro intersettoriale ed interdisciplinare.

13

http://www.phmovement.org/cms/

Page 28: TERZO MODULO

25

Le partnership pubblico-privato

Nel 1998, nel suo momento di prestigio più basso, viene eletta alla direzione generale dell’OMS

Gro Harlem Brundtland. Anche se non si discosta molto dalla politica della Banca Mondiale, l’elezione

della Bruntland ha il merito di riportare il tema della salute nell’agenda politica internazionale. Nei

cinque anni della sua direzione, oltre alla pubblicazione nel World Health Report 2000 di criteri di

valutazione dei sistemi sanitari (peraltro abbastanza discussa), viene istituita la Commissione

Macroeconomics and Health presieduta da J. Sachs e viene adottata la Convenzione-quadro sul

controllo del tabacco. Si assiste alla moltiplicazione di iniziative finanziate da donatori pubblici e

privati (Public-Private Partnership - PPP) come la European Partnership Project on Tobacco

Dependence, la Global Alliance for TB Drug Development, la Global Alliance to Eliminate Leprosy, la

Global Alliance for Vaccines and Immunization, la Global Polio Eradication Initiative, la Global School

Health Initiative, la Multilateral Initiative on Malaria, la Stop TB, la UNAIDS/Industry Drug Access

Initiative. All’interno di queste iniziative ha assunto un forte ruolo Fondazione di Bill e Melinda Gates

che al settembre 2002 aveva versato la cifra di 2,8 miliardi di dollari, di cui 750 milioni indirizzati alla

Global Alliance for Vaccines and Immunization (Gavi). La Roll Back Malaria conta oltre 80 partner tra

organizzazioni bilaterali, multilaterali, non governative e private (tra cui OMS, Banca Mondiale, Gates

Foundation, Amref, Bayer, Novartis, Eni, governo italiano). Non è raro che la molteplicità degli attori

coinvolti in queste iniziative provochi problemi di gestione e governance sia a livello centrale sia

periferico: per la malaria, l’OMS ha deciso di istituire una propria struttura autonoma, il Global

Malaria Programme.

I PPP sono una nuova versione dei programmi verticali e selettivi già analizzati precedentemente.

Come osservato da Gavin Yamey, autore di una serie di articoli dedicati all’OMS, “le partnership

tendono a ‘cogliere dall’albero i frutti più bassi’, concentrano i loro sforzi nell’ottenere risultati rapidi

piuttosto che costruire un sistema sanitario ampio e robusto per venire incontro ai bisogni della

popolazione. [...] I paesi poveri inoltre non hanno le risorse per coordinare tutte queste frammentarie

iniziative.”

Inoltre le iniziative globali non dipendono più solo dall’OMS, che seppur lenta e burocratica

rappresenta 192 paesi del mondo, e rispondono fortemente agli interessi dei donatori, in particolare

fondazioni private e paesi ricchi. Poiché scelgono quali interventi sanitari finanziare (soprattutto

controllo delle malattie infettive), quali strategie adottare (prevalentemente programmi verticali) e

quali paesi debbano ricevere aiuto, queste iniziative indeboliscono l’influenza delle Nazioni Unite sul

modo di spendere i soldi per la salute globale.

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MDG 6 – COMBATTERE L’HIV/AIDS,

LA MALARIA E LE ALTRE MALATTIE

6.1 Si arresti e inizi un’inversione di tendenza nella diffusione dell’HIV/AIDS; 6.2 Garantire entro il 2010 l'accesso universale alle cure contro l'HIV/AIDS a tutti coloro che ne

hanno bisogno; 6.3 Si arresti e inizi un’inversione di tendenza nella diffusione della malaria e di altre malattie.

HIV/AIDS: ogni giorno circa 7000 persone contraggono il virus dell’HIV. L’HIV/AIDS non colpisce solo l’individuo, ma tutta la comunità: insegnanti malati non sono in grado di insegnare nelle scuole, contadini affetti non riescono a coltivare i loro campi per soddisfare le loro esigenze e quelle delle loro famiglie.

Malaria: colpisce 500 milioni di persone ogni anno e ne uccide più di un milione. Il 90% dei casi si registra in Africa. Molti ricercatori temono che la situazione possa peggiorare a causa degli effetti cambiamento climatico, della crescita della popolazione e delle maggiori resistenze ai medicinali e agli insetticida che si stanno registrando. I bambini che riescono a sopravvivere alla malaria possono riportare comunque danni celebrali e un indebolimento della capacità di apprendere. Le donne incinte e i nascituri sono inoltre particolarmente vulnerabili alla malaria che è una delle maggiori cause della mortalità prenatale, del sottopeso e dell'anemia materna.

TBC: uccide circa 2 milioni di persone ogni anno e il trend è in crescita in tutto il mondo, anche nei paesi ad alto reddito.

La malaria, l’HIV/AIDS e la tubercolosi sono tra le maggiori cause di morte nei paesi poveri e rappresentano una delle maggiori sfide della salute pubblica poiché minano la possibilità sviluppo di questi paesi.

Quali progressi?

Il numero di malati di HIV/AIDS è cresciuto da 35 milioni di persone nel 2001 a 38 milioni nel 2003. La malattia continua a diffondersi in tutta l’Africa Sub Sahariana, in Europa Orientale e in Asia Meridionale. L’impatto sulla salute, l’istruzione e lo sviluppo dei paesi affetti da queste malattie è enorme. Mentre i malati di malaria non diminuiscono, la tubercolosi sta diminuendo in alcune regioni del mondo ma continua ad aumentare in Africa Sub Sahariana.

Che fare?

Sebbene siano malattie prevenibili e, in parte curabili, milioni di persone non hanno accesso né ad efficaci sistemi di prevenzione né ai farmaci necessari. Educazione, diagnosi e trattamento sono ancora insufficienti in molti paesi africani, dove i governi non spendono adeguatamente nei sistemi sanitari e le aree rurali non sono servite da alcun tipo di servizio di base. L’educazione è uno strumento determinante per fermare la diffusione di malattie sessualmente trasmissibili e per adottare comportamenti di prevenzione adeguati, e ha un costo relativamente basso.

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