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Thesis research

Date post: 11-Mar-2016
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Secondo draft della ricerca di tesi, Languages
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1 Fosca Salvi, Languages

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Fosca Salvi | Languages | 28.10.2011

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Indice

IndiceLanguages

1. Ricerca

1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

1.2 Linguaggi dimenticati, le lingue

1.3 Celebrazione tecnologica

1.4 Musei e simili

1.5 Fonti

• Memex• As we may think• The mother of all demos• What the dormouse said • Man-computer symbiosis

• Sketchpad• Eliza• GraIL• Smalltalk• PostScript

• Biycle for two thousand• The binary counter• Wikipedia 10th anniversary

• Computer History Museum• Adobe interactive timeline• History of programming languages• Museum of obsolete objects• History of the iPhone• The museum of me• Art Project• Adobe museum of digital media

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Fosca Salvi | Languages | 28.10.2011

1.1 Linguaggi dimenticatile ispirazioniTutto ha avuto inizio qualche mese fa, esattamente quando è stato il momento di scegliere un argomento per la mia tesi. Mi sono immediatamente resa conto che non avrei potuto fare una tesi di interaction de-sign senza indagare questa disciplina partendo dal suo inizio, o senza almeno provare a farlo. Ho così realizzato che la necessità di interagire con le mac-chine, necessità su cui questa disciplina si basa, è do-vuta alla volontà di capire le macchine e di “parlare” la loro stessa lingua. Sin dagli inizi della computeriz-zazione, sin da quando i computer hanno fatto la loro comparsa nelle nostre vite, si è cercata una maniera per renderle più simile a noi, quindi più utili nell’aiu-tare le nostre attività quotidiane. Più nello specifico, molti sforzi sono stati dedicati al tentativo di elevare i computer ad una sorta di sintonia ideale con la mente umana.

MEMEX, VANNEVAR BUSH, 1930Bush (1890-1974), ingegnere americano noto per il suo ruolo politico nello sviluppo della bomba atomi-ca durante la seconda guerra mondiale, introduce il concetto di memex(1) (probabilmente derivazione di memory extension) negli anni ‘30, che egli immaginò come uno strumento basato sull’utilizzo di microfilm per archiviare i vari materiali, meccanizzato per esse-re consultato con straordinaria velocità e flessibilità. Egli voleva che il Memex si emulasse l’intricata rete di impulsi trasportati dalle cellule del cervello, quindi doveva essere molto simile alle funzioni del cervello umano. Era molto importante che questo strumento fosse anche estremamente accessibile, un dispositi-vo futuro per utilizzo individuale, una sorta di libreria/archivio meccanizzato sotto forma di scrivania. Ogni elemento è immediatamente collegato ad un al-tro. Bush spiega come la mente umana sia diversa dai tradizionali paradigmi di archiviazione. Per esempio, i dati sono spesso archiviati in ordine alfabetico, e per fruirne l’utente deve risalire attraverso intricati per-

corsi sottocartelle di sottocartelle. Il cervello, dice Bush, funziona per associazione invece che per indice.

MEMEX DEMONSTRATOR, DYNAMIC DIAGRAMS, 1995Nel 1995 in occasione del cinquantesimo anniversa-rio della pubblicazione di As we may think(2), Dynamic Diagrams(5) (studio di design specializzato in archi-tettura dell’informazione e infografica) produsse un’applicazione che riproduceva nel dettaglio quello che doveva essere il funzionamento di un Memex. La demo(6) interattiva venne distribuita ai partecipanti della conferenza ACM SIGIR (Association for Compu-ting Machinery’s Special Interest Group on Information Retrieval). L’applicazione, realizzata con Macromedia Director, non è più utilizzabile oggi, ne rimane solo un video dimostrativo, che però rende molto bene ciò che Bush aveva in mente per il Memex; probabilmente egli stesso era cosciente che si trattasse principalmente di un concept difficilmente realizzabile; che la descri-zione dei dettagli tecnici era un po’ debole, probabil-mente ipotizzò che il tutto si basasse sull’utilizzo di microfilm perché era la tecnologia più avanzata del momento, anche se i problemi legati ai microfilm erano visibili già allora. Ma è subito evidente quanto l’idea di Bush fosse forte e come rappresentasse le necessità del suo tempo. Sin dalla fine dell’Ottocen-to, sin da Paul Otlet(8) e il suo Mundaneum (progetto di un complesso sistema di indicizzazione che compren-deva sedici milioni di carte, relative ad altrettanti ar-gomenti), molti sforzi vennero dedicati alla questione della catalogazione, l’importanza del collegamento nei sistemi di documentazione e l’idea di ipertesto. Perciò il Memex, anche se irrealizzabile, segnò la sto-ria della computerizzazione, perchè fu un progetto che guardava al futuro, aldilà delle capacità tecnolo-giche contemporanee.

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1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

Memex sotto forma di scrivania richiamerà immediatamente materiali relativi ad ogni soggetto al tocco delle dita dell’operatore. Schermi inclinati e traslucidi ingrandiran-no supermicrofilm archiviati attraverso codici numerici. A sinistra un meccanismo che fotografa automaticamente note scritte a mano, figure e lettere, quindi ,e archivia nella scrivania per riferimenti futuri.(3)

Memex in uso, su uno degli schermi trasparenti l’operatore del futuro scriverà note e commenti utilizzando come riferimento il materiale che sarà proiettato sullo schermo di sinistra. L’inserimento del relativo codice, in basso nello schermo di destra, richiamerà immediatamente un nuovo elemento e le note verranno fotografate su supermicrofilm.(4)

Uno scienziato del futuro registrerà esperimenti attraverso una piccola telecamera mu-nita di lente universale. Il piccolo rettangolo sulla sinistra degli occhiali “vede” l’oggetto.(3)

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Alcuni fotogrammi dell’applicazione realizzata da Dyniamic Diagrams nel 1995, in oc-casione dei cinquant’anni dalla pubblicazione di “As we may think”. L’applicazione da vita agli schizzi di Vannevar Bush riguardanti il concetto di Memex.(6)

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1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

L’avvocato bibliotecario belga Paul Otlet ( 1868 – 1944) sognò un “cervello collettivo meccanico”, diede il via ad una gigantesca catalogazione della storia del mondo, un’enci-clopedia universale che comprendeva milioni di schede dedicate ai vari argomenti. Il sistema di archiviazione Otlet ebbe inizio nel 1895 e fu portato avanti fino 1930.Otlet progettò anche un sistema di mobili speciali atti a contenere le schede, il Mundaneum appariva come una serie infinita di schedari in legno muniti di migliaia di piccoli cassetti atti a contenere le schede indicizzate.(8)

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AS WE MAY THINk, VANNEVAR BUSH, 1945Articolo scritto da Vannevar Bush per la rivista The Atlantic Monthly(2) nel luglio del 1945 che ispirò molti e fu in parte responsabile di alcuni dei più importanti successi tecnologici della seconda metà del Nove-cento. Bush, allora direttore dell’Office of Scientific Research and Development (OSRD),dipartimento che coordinò la ricerca scientifica statunitense du-rante la seconda guerra mondiale, sottolineò come l’unità di intenti degli scienziati alleati nella seconda guerra mondiale dovesse essere protratta anche in tempo di pace. Se gli scienziati avevano avuto compiti ben precisi durante la guerra, ora, a conflitto finito, dovevano impiegare la competenza ottenuta in nuovi compiti. Se gli uomini di scienza americani erano stati in grado di collaborare per una causa comune durante la guer-ra, ora, a combattimenti cessati, dovevano ancora più saldamente unire le proprie forze.Nell’articolo Bush presenta per la prima volta il con-cetto di memex, idea avuta diversi anni prima.

“Questa non è stata una guerra degli scienziati; è stata una guerra in cui tutti hanno preso parte. Gli scienziati, dimenticando la loro antica competizione professionale per la necessità di una causa comu-ne, hanno condiviso molto e imparato altrettanto. È stato l’incredibile lavoro di un’efficace collaborazio-ne. Ora, per molti, tutto questo sembra stia finendo. Cosa faranno gli scienziati dopo?”

Questo articolo fu illuminante per molti, se non tutti, gli scienziati e ingegneri che operarono dopo la guer-ra, gettando le basi per la computerizzazione così come la conosciamo oggi.

AS WE MAY THINk, PASSAGGIPer anni le invenzioni hanno potenziato le capacità fi-siche dell’uomo piuttosto che le sue capacità mentali. E se ora il tutto cambiasse?Sarà mai possibile fare fotografie a secco? Spesso si vorrebbe poter scattare una foto e avere la possibilità di vedere immediatamente la fotografia.Per registrare un’informazione oggi si scrive con una penna o si batte a macchina. L’autore del futuro sarà capace di parlare direttamente con la registrazione?Ci saranno sempre un’infinità di cose da automatizza-re nell’intento di semplificare azioni complicate che milioni di persone compiono.In qualunque operazione in grado di seguire una gui-da prefissata c’è una possibilità per la macchina.Un giorno potremo forse selezionare argomenti su una macchina con la stessa precisione con cui oggi inseriamo i prezzi in un registro di cassa.L’azione principale è la selezione. Semplice selezione: si procede esaminando a turno ogni articolo di una lunga lista, scegliendo quelli che possiedono deter-minate caratteristiche. Esiste però un’altra forma di selezione meglio illustrata dal funzionamento di un centralino telefonico. Si compone un numero e il cen-

tralino seleziona solo una destinazione tra milioni di altre possibili (il telefono come processore meccanico di informazioni). Il centralino presta attenzione solo a una classe determinata dalla prima cifra, dopodiché solo alla sua sottoclasse definita dalla seconda cifra, e così via. Questo sistema potrebbe tranquillamente funzionare anche per la selezione di argomenti.La mente umana funziona per associazione. Dopo ave-re “afferrato” un argomento, scatta istantaneamente a quello successivo, suggerito da un’associazione di pen-sieri, secondo un’intricata rete di impulsi trasportati dalle cellule del cervello. Selezione attraverso asso-ciazione invece che per indicizzazione. Considerando un dispositivo futuro per uso individua-le, una sorta di libreria/archivio personale. Questo dispositivo ha bisogno di un nome, e coniandone uno casualmente, “memex” assolverà questo compito. Un Memex è un dispositivo ovo un individuo potrà imma-gazzinare i suoi libri, le sue registrazioni e le sue di-scussioni, sarà meccanizzato e potrà essere consul-tato con estrema velocità e flessibilità. Si tratta di un personale supplemento alla sua me-moria. Il Memex consiste in una scrivania, è principalmen-te un elemento di arredamento su cui egli lavora. Sul piano di scrittura sono posizionati tre schermi traslu-cidi, un materiale su cui è possibile proiettare mate-riali per la lettura. E’ presente anche una tastiera e un sette di leve e pulsanti, altrimenti sembrerebbe una normale scrivania.I vari materiali vengono archiviati come microfilm.L’utente ha la possibilità di creare una sequenza di diversi materiali che nella sua mente sono collega-ti, alla sequenza viene dato un codice, richiamando questo codice egli richiama tutti i materiali ad esso connessi. Un documento può fare parte di varie se-quenze.Forme completamente nuove di enciclopedie appari-ranno, semplicemente create dall’utente attraverso una rete di percorsi associativi che vi corrono attra-verso.

Idee visionarie che hanno guidato un’intera genera-zione di scienziati e ingegneri. Bush vedeva in ogni la-voro ripetitivo, come per esempio quello impiegatizio, grandi possibilità per la ricerca scientifica, e a buon ragione.

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1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

Vannevar Bush sull’Atlantic Monthly. Dopo aver giocato un ruolo fondamentale per quan-to riguarda la tecnologia bellica utilizzata dall’esercito americano durante la seconda guerra mondiale, Bush scrisse alcuni articoli che segnarono il conseguente sviluppo tecnologico.(7)

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THE MOTHER Of All DEMOS , DOUGlAS ENGElBART, 1968 La Madre di Tutte le Dimostrazioni(9) è una presen-tazione fatta da Douglas Engelbart, inventore ame-ricano, il 9 dicembre 1968, a proposito di tecnologie sperimentali sviluppate da lui e il suo team all’ARC (Augmentation Research Center) nei 6 anni prece-denti.Durante la conferenza tenutasi al Convention Cen-ter a San Francisco, Engelbart, con l’aiuto della sua squadra schierata nel loro laboratorio a Menlo Park, dimostrò l’operato del NLS (oNLine System). Questo fu il debutto in pubblico per il mouse da com-puter, ma il mouse era solo una delle molte innova-zioni presentate quel giorno, tra cui link ipertestuali, object orienting e dinamic file lincking, come anche condivisione collaborativa dello schermo tra due per-sone in due punti differenti dello stato che comuni-cano attraverso un network con interfaccia audio e video.Durante la Seconda guerra mondiale, quando prestò servizio come tecnico radio per la marina nelle Fi-lippine, Engelbart fu ispirato dall’articolo scritto da Vannevar Bush As We May Think e decise, dopo aver conseguito una laurea in ingegneria elettronica, che le sue capacità e la sua conoscenza dovevano essere utilizzate per una causa comune.

La carriera di Engelbart ebbe uno slancio nel 1951 quando realizzò che la sua carriera non aveva nessun obiettivo se non quello di ottenere una buona educa-zione e un lavoro rispettabile. Nel corso alcuni mesi elaborò che: 1) avrebbe utilizzato il suo lavoro per fare del mondo un luogo migliore;2) ogni sforzo per rendere il mondo migliore richiede una certa organizzazione;3) sfruttare l’intelligenza collettiva di tutte le perso-ne che potessero contribuire a soluzioni effettive era la chiave.4) se è possibile migliorare drasticamente la maniera in cui ciò viene fatto, ogni sforzo per migliorare il pia-neta verrà amplificato;5) i computer avrebbero potuto essere il mezzo per raggiungere questi obiettivi.Per ottenere i risultati che si era prefissato Engel-bart reclutò una squadra di ricerca per il suo nuovo Augmentation Research Center (ARC, il laboratorio che formò allo Stanford Research Institute a Menlo Park, California) che diventò la forza trainante dietro alla progettazione e lo sviluppo dell’On-Line System (NLS).

A partire dal 1962 Engelbart e un gruppo di 17 ricer-catori lavorarono all’ARC sul progetto dell’oN-Line System, durante i sei anni di lavoro l’NLS assunse una forma strabiliante, tanto da non differire di mol-to dalla tecnologia di cui facciamo usa oggi, più di quarant’anni dopo. Guardando Engelbart durante che con incredibile dimestichezza e tranquillità, di-

Programma della conferenza tenuta da Engelbart nel 1968(10)

mostra il funzionamento del suo sistema, parlando in un futuristico mini-microfono con auricolare incorpo-rato e dirigendo allo stesso tempo la sua squadra a Menlo Park, la prima cosa che viene in mente è una conversazione su Skype con condivisione dello scher-mo. Ma se l’oN-Line System era l’obiettivo principale dell’ARC non fu di certo il solo progetto che ne risul-tò, durante quei sei anni il gruppo di ricerca “incappò” nell’invezione di svariati oggetti oggi di uso comune, uno per tutti il mouse. Davvero impressionante è la maniera in cui Engelbart parla di queste cose; quando nel corso della dimostrazione gli capita di nominare il mouse, ridacchiando per via del nome, spiega che dopo un po’ di tempo che ne facevano uso a qualcuno venne in mente di chiamarlo così, per l’innegabile so-miglianza con un topo, coda e tutto il resto, e poi han-no semplicemente continuato ad usare quel nome, quando a quel tempo muoversi attraverso lo schermo era un problema non da poco.

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1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

Engelbart e la sua squadra durante la dimostrazione. L’intera regia, la condivisione dello schermo, l’utilizzo di diverse telecamere, ogni cosa che venne proiettata quel giorno sul megaschermo fu gestita dagli ingegneri dell’ARC.(10)

Copia di “As we may think” proprietà di Douglas Engelbart.(10)

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WHAT THE DORMOUSE SAID, JOHN MARkOff, 2005 John Markoff, scrittore e giornalista americano, spe-cializzato in trattati di informatica, nel suo What the Dormouse said: come la controcultura degli anni ‘60 definì l’industria del personal computer(11) unisce tut-ti i punti e spiega come il clima politico degli anni ‘60, l’utopico stato mentale della controcultura, la speri-mentazione di droghe psichedeliche, la ricerca finan-ziata dall’esercito e le battaglie per il futuro dell’in-telligenza artificiale che ebbero luogo nella Bay Area, giocando un ruolo significativo nel susseguente svi-luppo dell’industria del computer.

Doug Engelbart seduto al di sotto di uno schermo alto sei metri, controllando l'attenzione dell'audience a due mani. Per lo meno questo è quello che parse a Chuck Thacker, un giovane designer dello Xerox PARC il quale vide alcuni anni dopo il video della dimostra-zione che cambiò il corso dell'intero mondo dei com-puter.Il 9 dicembre 1968 l'oNLine System venne mostrato al mondo per la prima volta. Engelbart scelse il Fall Joint Computer Conference, dove annualmente si ra-dunavano alcune delle più prestigiose firme del set-tore, per il debutto pubblico dell'Augmentation Re-search Center. Nell'oscurato auditorium Brooks Hall di San Francisco tutte le sedie erano occupate e altri spettatori ancora si allinevano in piedi lungo le pareti.Sul gigantesco schermo alle sue spalle, Engelbart dimostrò un sistema che parve pura fantascienza al pubblico formato da programmatori cressciuti a schede perforate e terminal con possibilità di sola scrittura.In novanta minuti di sessione mozzafiato, egli mo-strò come era possibile modificare un testo su uno schermo, creare link ipertestuali tra un documento elettronico e l'altro, come mescolare testo e grafica e addirittura come mischiare video e grafica. Abbozzò anche una visione di computer network sperimentale, che sarebbe poi stato chiamato ARPAnet, e ipotizzò che nel giro di un anno sarebbe stato in grado di fare la stessa dimostrazione a distanza, mostrandola in tutta la nazione.In pratica ogni aspetto significativo dei computer di oggi venne rivelato in quella magnifica ora e mezza.Vi furono due dettagli che abbagliarono particolar-mente il pubblico durante quel piovoso lunedì mat-tina: per prima cosa il computer da macina-numeri quale era divenne strumento di informazione e co-municazione. Secondo: la macchina veniva usata in maniera interattiva e tutte le sue risorse erano dedite ad un singolo individuo. Era la prima volta che veniva visto un vero personal computer. Engelbart parlava dolcemente con voce monotona, la quale aveva una nota leggermente inquietante data dal riverbero nella grande sala conferenze. Indossando cravatta e camicia bianca a maniche cor-te, seduto su una sedia Herman Miller con scrivania su misura, introdusse il mondo intero al cyberspazio.

Mostrò ai migliori ingegneri informatici della nazione come le persone avrebbero lavorato nel futuro, con-dividendo complesse informazioni digitali in tempo reale, anche ai due capi opposti del mondo.Per molti che assistettero quello fu più che un fulmi-ne a ciel sereno: fu un'esperienza religiosa che ispirò quella generazione di scienziati allo stesso modo in cui il Memex di Vannevar Bush ispirò Engelbart 23 anni prima. Engelbart rubò letteralmente la scena, durante i giorni successivi non si parlò d'altro. Anni dopo la sua dimostrazione divenne "la madre di tutte le dimostra-zioni", dalle parole di Andries van Dam, uno studente di informatica della Brown University. In molti aspet-ti è ancora la più eccezionale dimostrazione che il mondo dell'informatica abbia mai visto. "Il mondo fantastico dei computer di domani" titola-va il San Francisco Chronicle, il quale scrisse che En-gelbart sapeva che il suo gruppo di lavoro stava co-scientemente puntando ad un'intelligenza artificiale chiamata computer.Non esisteva più la minima distinzione tra augmen-tation e automation per il giornalista, ma questo era anche il cuore della dimostrazione. Engelbart mise al centro di tutto l'azione dell'uomo, andando con-tro quelle che erano le convinzioni degli informatici dell'epoca. Era praticamente eresia, ma da questa eresia nacque e si sviluppò il personal computer come lo conosciamo oggi. (tradotto personalmente)

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1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

Community Memory, terminal a Leopold’s Records, Berkeley, California, 1975.Tutti potevano usare questo terminale per lasciare messaggi, connesso ad un computer mainframe che utilizzava una rete timesharing. Questa fu un’idea radicale di un tempo in cui quando la controcultura paventò che i computer divenissero strumenti del potere industriale.(12) (13)

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Fosca Salvi | Languages | 28.10.2011

MAN-COMPUTER SYMBIOSIS, J. C. R. lICklIDER, 1960 Joseph Carl Robnett Licklider (1915 – 1990), in-formatico americano, interessato nella tecnologia dell’informazione, Come Vannevar Bush, il contributo di Licklider allo sviluppo di internet, o meglio dell’u-tilizzo della tecnologia, è composto da più idee che invenzioni.

Idee a su come i computer potranno amplificare la capacità umana nel risolvere i problemi: tanto tempo fa, per far eseguire al computer un comando c'era bi-sogno di praticare dei fori su schede o nastri d carta, consegnare questi a qualcuno che li avrebbe infilati nella macchina e quindi aspettare per ore o addirittu-ra giorni. Licklider era convinto che si poteva fare di meglio e, più di chiunque altro, vide in anticipo quello che poi sarebbe successo.

ABSTRACT(14) (15) La simbiosi uomo-computer è uno sviluppo aspettato dell'interazione cooperativa tra gli uomini e i calcolatori elettronici. Coinvolgerà una congiun-zione molto stretta tra gli esseri umani e i membri elettronici di questa società. I principali intenti sono 1) permettere ai computer di facilitare il pensiero for-mulato come ora facilitano la soluzione di problemi formulati, e 2) lasciare che gli uomini collaborino con i computer nel prendere decisioni e nel controlla-re complesse situazioni, senza essere dipendenti in maniera inflessibile da programmi predeterminati. Nella cooperazione simbiotica di cui sopra, gli uomi-ni stabiliranno gli obiettivi, formuleranno le ipotesi, determineranno le regole e prenderanno le decisioni. Le macchine faranno tutto il lavoro di routine atto a preparare la via per intuizioni e decisioni nel mondo tecnico e scientifico. Analisi preliminari dimostrano che l'associazione simbiotica farà eseguire operazio-ni intellettuali in maniera molto più efficace rispetto a quello che l'uomo sarebbe in grado di fare da solo. Tra i prerequisiti per la realizzazione di una efficace as-sociazione cooperativa sono inclusi ulteriori sviluppi della tecnologia time-sharing e dei dispositivi di input e output.

ABSTRACT Il PROBlEMA DEl lINGUAGGIOLa profonda diversità tra i linguaggi dell'uomo e i lin-guaggi della macchina potrebbe essere l'ostacolo più serio per questa simbiosi. E' comunque rassicurante notare i grandi passi che sono già stati fatti, con pro-grammi interpretativi e in particolare assembly e pro-grammi di compilazione che avvicinano i computer ad una forma di linguaggio più umana.

Gli uomini sembrano pensare in maniera più natura-le in termini di obiettivi più che in termini di processi. Certamente normalmente sanno qualcosa della dire-zione che verrà presa o delle guide lungo le quali la-vorare, ma davvero pochi iniziano qualcosa con un'i-dea precisa dell'itinerario.

Paragonando ordinarie le istruzioni rivolte ad un es-sere umano pensante e quelle rivolte ad un compu-ter, le seconde specificheranno sempre tutti i precisi passaggi e il loro ordine predefinito. Le prime istru-zioni presenteranno alcune note incentive e di moti-vazione .Istruzione rivolte ad un computer specificheranno i processi; istruzioni rivolte ad un uomo preciseranno gli obiettivi.Istruzioni per le machine attraverso la definizione di obiettivi vengono attenuate attraverso due procedi-menti. 1) Soluzione di problemi. 2) Concatenazione in tempo reale di segmenti pre-programmati e di prede-finite sotto-classi che l'operatore umano più richia-mare all'azione digitando un semplice nome.

Le parti meccaniche di cui l'uomo si è servito nel cor-so del tempo sono sempre servite da estensioni, pri-ma delle sue braccia, poi dei suoi occhi.Ai giorni nostri i computer sono progettati per risol-vere problemi pre-formulati, tutte le possibili alter-native vanno dichiarate in anticipo. Uno degli obiettivi principali è quello di elevare i computer a macchine capaci anche di formulare problemi. Appare evidente che questa nitrazione cooperativa migliorerà largamente il processo di pensiero. Paragonate agli uomini, le macchine sono molto più veloci e precise, ma le loro capacità sono ridotte allo svolgimento di poche operazioni elementari per vol-ta. Gli uomini sono flessibili, capaci di "programmare" loro stessiGli uomini stabiliranno gli obiettivi e forniranno le motivazioni, per lo meno nei primi anni. Formuleranno ipotesi, porranno domande, inventeranno i meccani-smi, le procedure e i modelli. In generale loro daran-no un contributo approssimativo e imperfetto, ma pri-mario, guidando il corso generale dei pensieri.

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1.1 Linguaggi dimenticati, le ispirazioni

Illustrazioni di Roland B. Wilson che accompagnarono la pubblicazione originale.

Disegni fatti dallo stesso Lickider per dimostrare il web.

Il COMPUTER COME STRUMENTO DI COMUNI-CAzIONE, J. C. R. lICklIDER, 1968 Era il 1968, Engelbart non aveva ancora fatto la sua futuristica dimostrazione utilizzando un proto-inter-net e un proto-Skype, e Licklider stava già immagina-do le macchine del futuro, con idee vicine in maniera impressionante a quello che poi sarebbe realmente successo. Egli vedeva una comunità online diffussa nello spazio che condivideva informazione di comune interesse; vedeva persone che durante una confe-renza, controllavano dati relativi alla presentazione; immaginava che un giorno sarebbe stato più facile comunicare attraverso lo schermo di un computer che parlare faccia a faccia.

(16) In pochi anni, gli uomini saranno in grado di co-municare più efficacemente attraverso le macchine che faccia a faccia. Comunicare è più che mandare e ricevere. Ogni conversazione tra due persone a proposito di un'esperienza comune fa uso di modelli informativi relativi a quello stesso argomento. Ogni modello è la struttura concettuale di astrazioni formulate ini-zialmente nel pensiero di una delle due persone che comunicano, non ci sono modelli comuni. Una visione futura del sistema comunicativo permet-te ad ogni partecipante alla conversazione di sfo-gliare i file relativi al discorso che viene ascoltato, e quindi verificare importanti questioni senza bisogno di interrompere la presentazione. Le contemporanee comunità on-line sono separate sia operativamente che geograficamente, ogni mem-bro può consultare solo il materiale in possesso della sua comunità. Il prossimo passo è quello di intercon-nettere le distinte comunità trasformandole quindi in una supercomunità. Queste comunità ne faranno parte non grazie ad una posizione comune, ma bensì grazie ad interessi comu-ni. Cosa farà parte della memoria comune? Ogni docu-mento battuto, ogni strumento di raccolta dati, ogni dettato registrato nutrirà il network.(tradotto personalmente)

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Fosca Salvi | Languages | 4.11.2011

1.2 Linguaggi dimenticatile lingueA partire dagli anni ‘60 si è assistito ad un intermi-nabile fiorire di linguaggi di programmazione e di sempre nuove maniere per comunicare con le mac-chine. Quello che mi affascina principalmente sono i tentativi, spesso non andati a buon fine, i progetti in-credibilmente innovativi, ogni volta definiti precursori di qualcosa o primi esempi di qualcos’altro, ma che non hanno poi trovato il giusto spazio per crescere. Tutte queste prove potrebbero essere rappresentate come i piccoli affluenti di un grande fiume, alla cui foce sta lo stato dell’arte della tecnologia contempo-ranea, pressoché perfetta, la quale ha avuto bisogno di questi incerti tentativi per diventare così come la conosciamo oggi.

SkETCHPAD, IVAN SUTHERlAND, 1963Ivan Sutherland è un ingegnere informatico america-no, un pioniere dell’informatica. Professore alla Utah University e co-fondatore del-la compagnia Evans & Sutherland, di cui molti dei dipendenti furono suoi ex-studenti e parteciparono attivamente nella scrittura un pezzo di storia della tecnologia, fondando aziende come Adobe, Pixar e Silicon Graphics.Anche Sutherland dichiara che la sua carriera fu lar-gamente ispirata da As we may think scritto da Van-nevar Bush, così come avvenne per Doug Engelbart. Durante il suo dottorato al MIT, Sutherland inventò Sketchpad(17), un programma innovativo che senza dubbio influenzò alcune delle principali forme di inte-razione con i computer.Antenato dei moderni CAD (Computer-Aided Draf-ting) segnò lo sviluppo di una vera e propria interfac-cia grafica per i computer.Sketchpad, programmato per il Lincoln TX-2 del MIT usa il disegno come un nuovo mezzo per comunicare con la macchina. In un tempo in cui, per mandare un qualunque comando alla macchina, era indispensa-bile saper scrivere il codice relativo a quel comando

o addirittura imprimerlo in una scheda perforata, il sistema di Sutherland permetteva all’utente di dise-gnare semplicemente i propri comandi. Comprende-va input, output e compilatori che gli permettevano di interpretare le informazioni disegnate e mostrarle semplicemente sullo schermo, senza bisogno di al-cun tipo di codice o coordinata. Sutherland progettò anche gli strumenti con cui era possibile utilizzare il programma: una penna luminosa con cui tracciare i segni direttamente sullo schermo a tubo catodico e una consolle di leve e pulsanti con cui richiamare le varie funzioni, i disegni fatti venivano poi salvati su nastri magnetici, quattro manopole alla base dello schermo permettevano di muoversi all’interno del “foglio da disegno”. Con Sketchpad era possibile dise-gnare qualcosa, salvarlo, copiarlo, incollarlo altrove, modificare il simbolo sorgente e, a cascata, modifi-care tutte le sue copie posizionate in diversi disegni; si poteva disegnare qualcosa a mano libera e servirsi poi di vincoli per assicurasi che le linee fossero dritte. In un filmato girato all’epoca, Sutherland mostra ad-dirittura la possibilità di utilizzare la terza dimensione per costruire i propri disegni, mostrando Sketchpad in una modalità con vista molteplice. Tutto questo è incredibilmente impressionate se si pensa che era il 1963, ma ancora più impressionante e significativo, è il punto del filmato in cui Sutherland quasi si lamenta delle condizioni della macchina su cui programmò Sketchpad: se non fosse stato per la memoria limitata, per lo schermo troppo piccolo e a bassa definizione, se non fosso stato per i nastri ma-gnetici di cui doveva servirsi per salvare i vari file, il suo programma sarebbe stato perfetto, praticamen-te AutoCAD fatto e finito.E questo avvenne durante il suo dottorato, c’erano tutte le promesse per una carriera strabiliante. Ma Sketchpad ebbe una distribuzione molto limitata, se non nulla, questo non gli impedì di influenzare molti dei programmi che gli susseguirono, ma senza dubbio

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1.2 Linguaggi dimenticati, le lingue

Sutherland non diventò lo Steve Jobs del disegno ge-ometrico. Sketchpad fu un fulmine a ciel sereno, nes-suno era ancora pronto per qualcosa di così avanzato, tanto meno la tecnologia del tempo, che non era as-solutamente all’altezza. Si dovettero aspettare altri 20 anni prima di vedere veramente commercializzato il primo computer con interfaccia grafica, il Macintosh nel 1984.

Dettaglio della penna luminosa utilizzata in Sketchpad.(17)

Sezione del puntatore luminoso.(17)

Studente del MIT mentre usa Sketchpad in modalità 3D. (18)

“You will see a man actually talking to a computer. The computer is not anymore a number-crunching ma-chine, it’s a human assistant”Steven Koons, professore di ingengeria meccanica al MIT

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ElIzA, JOSEPH WEIzENBAUM, 1964-66 Eliza(19) è un programma, uno dei primi esempi di elaborazione del linguaggio naturale, sviluppato al MIT da Weizenbaum. Eliza funziona trasformando le risposte dell’utente in un codice poi utilizzato per rispondere a sua volta. La versione più famosa di que-sto programma è DOCTOR, la simulazione di uno psi-coanalista che non fa uso del metodo descritto sopra e nessun genere di informazione sui comportamenti umani, ma è in grado di dare risposte che sembrano umane. DOCTOR fu uno dei primi chatterbot mai esi-stiti.Eliza mi interessa in quanto esempio principe della volontà dell’uomo di trovare un metodo per cui comu-nicare con le macchine il più simile possibile a quello usato tra esseri umani.Weizenbaum progettò Eliza quasi per gioco, ciò che credeva ne sarebbe risultato era la parodia di uno quei terapisti paziente-centrici, tanto di moda allora. Ma a progetto finito si rese conto che Eliza non era affatto una parodia, che il semplice fatto di fare delle doman-de la rendeva quasi umana, anche se queste domande erano evidentemente generate da un algoritmo ba-sato su ciò che l’utente aveva scritto in precedenza. Dopo Eliza si sono susseguiti innumerevoli chatterbot e simili, uno per tutti Cleverbot,.Un’applicazione web che si basa, come Eliza, su un sistema di domanda-risposta, ma in questo caso il robot, pressoché come un essere umano, è in grado di imparare. Ogni volta che viene digitato qualcosa di nuovo nella casella di testo, Cleverbot lo apprende e lo memorizza in rela-zione al contesto in cui questa risposta è stata data. In seguito Cleverbot sarà in grado di utilizzare quel-la stessa battuta in altre conversazioni. Cleverbot è stato lanciato per la prima volta nel 1988 e, se oggi è in grado di sostenere una conversazione quasi ragio-nevole, è perché moltissime persone hanno passato ora a parlare con lui, pur sapendo benissimo che si trattava di un robot.

Simulatore di DOCTOR presente sul Terminale di ogni sistema operativo Mac OS X.

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1.2 Linguaggi dimenticati, le lingue

GRPHICAl INPUT lANGUAGE, RAND CORPORA-TION, 1969 GRaIL(20) è un flowchart language sviluppato alla RAND (Research ANd Development) nel 1969, che, permetteva di disegnare elaborati grafici.L’utente, disegnando su una tavoletta grafica, per esattezza la prima tavoletta grafica in grado di co-municare con n compire, progettata anch’essa alla RAND Corporation, poteva vedere in tempo reale ciò che stava creando su un semplice schermo a tubo catodico. Il dettaglio più impressionante di questo linguaggio era la capacità di riconoscere la segno a mano libera come input, distinguendo i vari simboli e lettere. Il sistema era estremamente reattivo e sem-plice da comprendere con un’interfaccia grafica per l’interazione uomo-macchina.La macchina utilizzata era un IBM modello 360, dedi-cato completamente al supporto di un singolo GRAIL, divenendo così un personal computer estremamente costoso.Forse era un programma molto pesante per i compu-ter dell’epoca, ma il risultato era qualcosa di magico, qualcosa di talmente semplice che, guardando uno dei filmati dimostrativi girati al tempo, non c’è qua-si bisogno di alcuna spiegazione. L’utente deve sem-plicemente disegnare o scrivere ciò che desidera e il programma è in grado di riconoscere di cosa si tratta.Anche in questo caso si tratta di uno strabiliante pro-getto, non solo per l’epoca, che non ha poi avuto signi-ficativi successori. Sono passati decenni prima che si potesse usare un programma per il riconoscimento della scrittura manuale, anni prima di poter utilizzare ragionevolmente una tavoletta grafica.

GRAIL così come appariva nel 1969 sull’IBM 360.(9)

Simboli di cui l’utente si poteva servire per costruire grafici.Immagine tratta dalle documento pubblicato dalla RAND Corporation nel 1969.(20)

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“We came up with a software idea that allowed you to program at all levels of the machine. We called it programming system.We wanted to make sure that people could build applications that represented their own understanding.”Adele Goldberg intervistata dal Computer History Museum(21)

SMAllTAlk, AlAN kAY ADElE GOlDBERG E AlTRI, 1972Smalltalk(21) è un linguaggio di programmazione object-oriented con analisi dinamica del codice scrit-to dall'utente e paradigma di programmazione ri-flessivo. Chiaro esempio di una nuova Man-computer symbiosis (vedi pag. 14). Smalltalk è stato sviluppato negli anni Settanta allo Xerox PARC(22). Lo Xerox PARC (Palo Alto Research Center) fu una sorta di paradiso/inferno per i ricerca-tori informatici. Sorto nel 1970 all'interno della Xerox Corporation, un'azienda che produceva principalmen-te stampanti e, arrivando alla conclusione che i com-puter atti a produrre il materiale ciò che sarebbe sta-to poi stampato con una Xerox non erano all'altezza, decise di creare un proprio laboratorio di ricerca atto a migliorare questi computer. Il compito assegnato ai nuovi assunti ingegneri e scienziati era quello di cre-are l'ufficio del futuro. Xerox PARC fu paradiso e in-ferno allo stesso tempo perché era sì il luogo perfetto dove inventare la tecnologia del futuro e dove tutti i migliori ricercatori erano concentrati, ma allo stesso tempo aveva una libertà d'azione solo apparente. In-fatti, nonostante le invenzioni fatte al PARC furono le "prime" in molti campi, non venne permesso loro di avere successo come prodotti commerciali, molte idee non vennero mai rese pubbliche, probabilmente per decisione dell'azienda madre Xerox.Anche Smalltalk fa parte di questo mondo di idee brillanti che non raggiungono mai il pieno successo. Smalltalk-72, la prima versione, fu troppo innovativa e non venne adottato dai programmatori dell'epoca, quando Smalltalk-80 fu disponibile per il pubblico nel 1980, molti altri sistemi operativi erano già sul mer-cato o pronti ad invaderlo, non lasciando molto spa-zio per Smalltalk. L'obiettivo del software fu quello di cambiare il paradigma di programmazione usato fino a quel momento. Se fino ad allora si era programmato separando nettamente quello che era programma e quello che era dato/informazione, Smalltalk propo-se di cancellare questa separazione, concentrando-si principalmente sull'oggetto, che contiene sia dati che programma. Quindi l'utente non modificherà più il programma per ottenere risultati sugli oggetti, ma modificherà gli oggetti stessi. Con Smalltalk era pos-sibile programmare a tutti i livelli della macchina, si trattava di un software, un sistema, che avvicinava la programmazione anche alle persone comuni, per-mettendo loro di creare applicazioni di varia comples-sità, a seconda della loro conoscenza personale.

Beanbag conference room allo Xerox PARC, 1970 ca.(23) (24)

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1.2 Linguaggi dimenticati, le lingue

POSTSCRIPT, JOHN WARNOCk, 1976Questo ultimo esempio di linguaggio è il più (e pres-soché unico) fortunato a livello commerciale in questa lista. L'idea che generò PostScript(25) iniziò a prendere forma nel 1976 quando John Warnock era dipendente della compagnia Evans & Sutherland (lo stesso Sutherland che inventò Sketchpad nel 1963). Warnock lavorava in una succursale della E&S della Bay Area di San Francisco, incentrando il suo lavoro soprattutto su materiale grafico di vario tipo, fu così l'idea di creare un linguaggio capate di processare questo genere di materiale. Dopo questo inizio passa-to ancora anni prima che il vero e proprio PostScript venisse sviluppato e distribuito. Nel 1982 Warnock fondò la Adobe Systems insieme a Chuck Geschke, che lasciò lo Xerox Parc proprio per questo motivo; i due programmarono la prima versione di PostScrip e la commercializzarono nel 1984. Lo scopo princi-pale di PostScript, linguaggio di descrizione pagina interpretato, era quello di permettere di mandare in stampa un documento prodotto da un computer con la stessa qualità di uno prodotto in maniera tradizio-nale, utilizzando a pieno le potenzialità della stam-pante, sempre maggiori di quelle di un monitor per computer. Un file PostScript può essere visualizzato e stampato alla massima risoluzione su qualunque piattaforma compatibile. In quegli anni in molti stavano lavorando a proget-ti simili, ne risultano linguaggi come HPGL (Hewlett Packard Graphics Language) che fu forse il primo linguaggio grafico per stampanti, sviluppato dal Hewlett-Packard Co., compagnia che simbolicamen-te fa da pietra miliare la Silicon Valley. HPGL era però estremamente complesso e veniva "compreso" solo da stampanti HP. Ci fu anche il software Bravo, nato allo Xerox PARC nel 1974, definito il primo program-ma per scrittura a computer con modalità WYSIWYG (What You See Is What You Get), Bravo fu concepito per poter usare al meglio le stampanti Xerox, nono-stante la bassa qualità del monitor utilizzato per vi-sualizzare i documenti, al tempo la risoluzione massi-ma per uno schermo era di 72 ppi; quello fu il periodo in cui Xerox sviluppò la prima stampante laser con una risoluzione di 300 ppi.PostScript, diversamente da precedenti linguaggi per il controllo di stampanti, è un linguaggio di descrizio-ne pagina interpretato completo, è in grado di descri-vere il contorno dei caratteri tipografici, permettendo quindi ampia libertà per quanto riguarda la dimen-sione, la rotazione e la posizione di questi. PS può maneggiare con la stessa dimestichezza immagini bitmap o vettoriali, la libertà viene limitata solo dalla dimensione della memoria RAM dell'interpretatore, usato per visualizzare sullo schermo quello che verrà poi stampato.La ragione per cui PostScript (e nessun altro dei linguaggi sopra descritti) portò la Adobe Systems a diventare la potenza che è oggi fu anche una buona strategia commerciale. Infatti poco dopo il lancio di PostScript al pubblico, Steve Jobs visita la Adobe ne-cessitando di un linguaggio grafico da installare sulle

stampanti Apple; nel 1985 la Apple LaserWriter fu la prima stampante ad essere venduta con PostScript incorporato, quest'ultimo ulteriormente implementa-to ed in grado di elaborare anche immagini.Nell'84 uscì anche il primo Macintosh, il primo perso-nal computer commercializzato provvisto di mouse e di interfaccia grafica, su di esso poteva essere instal-lato PageMaker interpretatore per PostScript, intro-dotto nel 1984 dalla Aldus Corporation ed in seguito acquisito dalla stessa Adobe, poi evolutosi nell'InDe-sign che conosciamo oggi.Si può dire che nel 1985 il mondo dell'editoria era sta-to portato con successo anche all'interno dei compu-ter.

PageMaker prodotto dalla Aldus Corporation.(26)

Prima versione Adobe Illustrator, 1987.(27)

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1.3 Celebra-zione tecnologicaIn questo capitolo ho raccolto alcuni interessanti progetti di interaction design che, mi è parso, aves-sero la volontà di celebrare la tecnologia pura e sem-plice, cioè quello che tento di fare io con la mia tesi, anche se aggiungendo a questa celebrazione un fat-tore educativo. Pur non facendo parte della catego-ria "musei e simili", questi progetti possiedono quella nota nostalgica, tipica dei musei, nei confronti di una tecnologia passata, forse più semplice e onesta.

BICYClE BUIlT fOR 2.000, AARON kOBlIN E DANIEl MASSEY, 2009Bicycle built for two thousands è la registrazione di 2.088 voci registrate raccolte attraverso il servi-zio web Mechanical Turk fornito da Amazon. Venne chiesto alle persone, lavoratori online all'interno del sistema di Amazon, di ascoltare un breve pezzo di una traccia audio e di registrare se stessi mentre cercavano di imitare ciò che avevano sentito. La can-zone da cui erano tratte tutte le varie clip era "Daisy Bell", canzone divenuta famosa perché fu la prima ad essere "cantata" da un computer. Nel 1961 John Kelly e Max Mathews, nei Bell Labs(29), scrissero un programma per un IBM 7094 che lo fece diventare la prima macchina in grado di produrre una voce sin-tetizzata cantando "Daisy Bell". La canzone raggiun-se popolarità stellare quando fu cantata dal Hal in "2001: Odissea nello spazio", film del 1968 diretto da Stanley Kubrik. In contrasto con la versione sintetiz-zata della canzone del '62, Koblin e Massey utilizza-rono un sistema di voci umane distribuite in 71 paesi del mondo.

WIkIPEDIA'S 10TH ANNIVERSARY, DEAN MCNAMEE E TIM BURREll-STUARD, 2011Installazione progettata per la festa in occasione del decimo anniversario dalla fondazione ufficiale di

Wikipedia, tenutasi alla Louse T. Blouin Foundation di Londra l'11 settembre 2011. Un sistema di travatura reticolare metallica correva sopra l'ingresso della fondazione , questa struttura sorreggeva una serie di 18 stampanti sospese con-nesse via web che stampavano un articolo tratto da Wikipedia ogni volta che esso veniva modificato o cre-ato. Il risultato era un flusso continuo di pagine che, dopo essere state stampate, cadevano dolcemente sul pavimento, sino a ricoprirlo completamente. L'in-stallazione dimostra pienamente la devozione della comunità di utenti che sta dietro a Wikipedia, lo stru-mento per antonomasia della conoscenza collettiva.

BINARY COUNTING, BIERBOWER, NOBlE, lYCkEGAARD, 2011 Progetto(31) di tre studenti del CIID (Copenhagen Institute of Interaction Design) durante un wor-kshop tenuto da Massimo Banzi, David Mellis e David Gauthier.Si tratta di un display interattivo e di uno strumento di educazione per bambini, il quale li aut a comprendere gli elementi fondamentali dell'informazione digitale: gli zero e gli uno. Un byte viene suddiviso in 8 bit a ciascuno dei quali viene rappresentato fisicamente e visualmente attraverso servomotori e luci LED. The Binary Counter usa i movimenti generati dai motori per mostrare il cambiamento dei valori in ogni diver-sa posizione all'interno del byte. I bambini possono veder sollevarsi la scheda relativa ad ogni bit mentre ruotano un disco atto ad incrementare i numeri deci-mali sullo schermo. Appena iniziano a comprendere il funzionamento, sono in grado di fare calcoli premen-do direttamente i pulsanti corrispondenti ai vari bit. Progetto molto interessante per la sua semplicità, per come semplicemente funziona.

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1.3 Celebrazione tecnologica

A Bicycle for Two Thousands(28)

Wikipedia 10th Anniversary(30)

Binary Counting(32)

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1.4 Musei esimili

Questa è la sezione della ricerca che si avvicina di più al mio progetto di tesi in quanto vengono raccolti al-cuni progetti che in diversi modi voglio omaggiare un pezzo di storia più o meno contemporanea. Si tratta di musei, con una reale posizione geografica o collocati semplicemente nel web, si tratta di linee del tempo, interattive o meno, che raccolgono informazioni rela-tive ad una parte di storia della tecnologia.

COMPUTER HISTORY MUSEUM, MON-TAIN VIEW CAlIfORNIAIl CHM è l'istituzione leader nel mondo per quanto riguarda la storia dell'informatica, è dove sono collo-cate le più grandi collezioni di artefatti della compu-terizzazione, comprendendo hardware, software, do-cumentazione, fotografie ed immagini in movimento. Il museo porta la storia dei computer alla vita, una perla preziosa della museografia. Diverso da altri mu-sei di informatica e computerizzazione perché attra-verso il suo sito internet mette a disposizione di tutti, anche coloro che non possono permettersi un viaggio in California per visitare il museo, i suoi incredibili materiali, incredibili per ricchezza e per ottima cata-logazione. Proprio la parte del sito internet è quella che mi interessa di più. Il sito si chiama "Revolution, the first 2000 years of computing" ed è proprio così, sia attraverso la linea del tempo interattiva, che na-vigando tra le varie "exhibit" proposte, si può davvero aggirarsi nei primi 2000 anni della computerizzazio-ne. Qui sono raccolte le migliore foto relative all'ar-gomento che si possono trovare online, la timeline è anche arricchita da molti video tra cui interviste fatte ad alcuni dei miti dell'informatica. Ma è soprattutto importante il modo in cui il sito riesce a dare una chia-ra vista d'insieme di quella che è considerata la storia del computing, diversamente da ciò che viene offerto da altri website e, se vogliamo, da Wikipedia, è sem-pre difficile riuscire a farsi un'idea di come andarono le cose, anche se parliamo di alcuni decenni fa, le in-

formazioni sono sempre un po' confuse, rimescolate o non riportate completamente.

ADOBE INTERACTIVE TIMElINE, WWW.ADOBE.COM,2007Timeline realizzata nel 2007 in occasione venticin-quesimo anniversario dalla fondazione di Adobe Sy-stems. Si tratta di una linea del tempo interattiva che illustra la storia dei primi venticinque anni di Adobe, azienda che ha segnato indelebilmente il modo in cui oggi ci si serve di un computer, soprattutto nel mondo del design. La timeline interattiva, realizzata in Flash, suddivide gli avvenimenti tra quelli propriamente re-lativi alla compagnia, le persone che hanno reso pos-sibili questi avvenimenti, i prodotti via via commer-cializzati da Adobe e quello che era il panorama dei prodotti rivale, molti dei quali sono poi stati acquisiti da Adobe stessa. Tutto ciò è molto interessante ma la navigazione della timeline non è ottimale, ben di-versa da quella del CHM. Impossibile avere una vista d'insieme di tutti gli avvenimenti, difficile ottenere informazioni approfondite, tutti i testi sono semplici immagini non cliccabili che non vanno oltre ad un ti-tolo e sottotitolo.

HISTORY Of PROGRAMMING lANGUAGES O'REIllY Si tratta di un poster prodotto dalla casa editrice spe-cializzata in temi tecnologici O'Reilly. Il poster celebra cinquant'anni di programmazione durante i quali sono stati sviluppati più di 2500 linguaggi, O'Reilly vuole tirare le somme di questi chilometri di codice scritto da programmatori, evidenziando i cinquanta più im-portanti linguaggi. Il poster è stato in parte tratto dal diagramma di Éric Lévénez "History of programming languages", diagramma incredibilmente dettagliato, ma non completamente comprensibile, così O'Reilly decise di utilizzare quella ricchezza di informazioni

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1.4 Musei e simili

Screenshot dal sito del Computer History Museum http://www.computerhistory.org(33)

Adobe interactive timeline http://www.adobe.com/aboutadobe/history/timeline/(34)

Dettaglio del poster History of Programming Languages di O'Reilly (35)

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ma rendendola più leggibile. Vennero stabilite delle misure precise, non più i 5,5 metri di lunghezza del poster di Lévénez , ma 45x100 centimetri con linee del tempo multilivello, connessioni fra i vari linguaggi e un chiaro codice colore. Ovviamente questa non è una storia della programmazione né definitiva né as-soluta, ma la casa riconosce che comprendere tutti i linguaggi esistenti in un un'ics visualizzazione sareb-be impossibile e illeggibile, decidendo così di selezio-nare solo i più significativi.

MUSEUM Of OBSOlETE OBJECTS, JUNG VON MATT/NEXT, 2011 MOOO è un canale di Youtube realizzato dall'agenzia di comunicazione tedesca Jung von Matt/next e rac-coglie video relativi a tutta una serie di oggetti che sono diventati obsoleti nel corso degli anni. Parten-do da penna e calamaio, obsoleti dal 1860, passando per il floppy disk, obsoleto dal 1995, fino ad arrivare a prevedere che il mouse da computer diventerà obso-leto nel 2015. Si inizia questa esplorazione navigando una timeline interattiva dalla grafica molto curata, selezionando poi l'oggetto interessato, facendo così partire il relativo video. Il video parte con una musica che sembra venuta da programma tv degli anni 70 e introduce l'oggetto in questione l'anno in cui è stato inventato e l'anno in cui è divenuto obsoleto. dopodi-ché una voce elettronica spiega la funzione. Impres-sionante l'accuratezza con cui i video sono realizzati e l'ironia coi ogni oggetto viene rappresentato. La collezione di oggetti comprende solo poche decine di esemplare per questo canale permette anche agli utenti di suggerire ulteriori oggetti secondo loro ob-soleti non ancora compresi nel MOOO.

HISTORY Of THE IPHONE, CNET Uk, 2011Video che racconta la storia del telefono cellulare a partire dal primo modello disponibile, nel 1983, sino ad arrivare all'iPhone 4S del 2011. Il video, presen-tato pochi giorni prima del lancio mercato dell'ultimo iPhone, vuole posizionare lo stesso iPhone all'interno di un contesto più ampio e per farlo utilizza un'innogra-fia animata. L'iPhone viene suddiviso nelle parti che lo compongono e, parte per parte, viene analizzato come lo sviluppo nella tecnologia o nel design dei passati decenni abbia influenzato l'aspetto e il funzionamen-to dei vari modelli di iPhone. Il risultato del video è davvero una panoramica totale degli avvenimenti che portarono l'iPhone a essere quello che conosciamo, passando per il Motorola DYNATAC (primo esempio di telefono cellulare), ARPANET (prima connessione via internet)e il design di Dieter Rams (da cui l'aspetto di alcuni prodotti Apple ha senza prese ispirazione). Però il video non è ricchissimo di dettagli, gli avvenimenti scorrono troppo veloci per essere compresi a pieno e l'aspetto grafico non è ben curato, come magari è quello del Museum Of Obsolete Objects descritto so-pra. Ma diciamo che assolve bene il suo compito di in-casellare l'iPhone all'interno di un sistema più ampio.

Screenshot dal Museum Of Obsolete Objects http://www.youtube.com/user/MoooJvM(36)

Alcuni fotogrammi del video History of the iPhone. (37)

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1.4 Musei e simili

Screenshot dal Museum Of Obsolete Objects http://www.youtube.com/user/MoooJvM(36)

Alcuni fotogrammi del video History of the iPhone. (37)

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THE MUSEUM Of ME, INTEl, 2011Intel(38) trasforma le memorie virtuali raccolte nel nostro profilo di Facebook in un museo personale. Il tutto è dovuto all'uscita dell'ultimo processore Intel, Core i5(39), per il quale l'azienda ha pensato di fare pubblicità attraverso una applicazione per Facebook. Sembra fatta su misura per tutto quell'e-sercito di narcisisti che popolano i social network. Vi sia accede attraverso una sezione del website Intel dedicata, si acconsente che l'applicazione si connet-ta al nostro profilo di Facebook, assicurandoci ce le nostre informazioni non verranno salvate o utilizzate in alcun altro modo. Si attende per alcuni istanti che l'applicazione raccolga tutte le mostre informazioni, dopodiché l'esperienza inizia: un video 3D che ci porta all'interno di un ipotetico museo alle cui pareti sono appese le nostre fotografie pubblicate su Facebook, i nostri amici, i nostri commenti. Il video è ben fatto, di stile, perché non esagera né nella durata, appena due minuti, né nel modo in cui tratta i contenuti e la musica che accompagna ha il compito di lavare via quella nota dozzinale che accompagna un po' sempre le cose relative a Facebook. Di stile ma forse un poco limitato nell'interattività, in fondo si tratta semplice-mente di un video, senza nemmeno la possibilità di essere salvato, con il quale non possiamo interagire in tempo reale, se non cambiando i contenuti del no-stro profilo di Facebook, non possiamo scegliere dove o cosa "guardare" durante la visita nel nostro museo. Ma l'idea rimane interessante, un modo interessante di sviluppare l'idea del museo virtuale.

ART PROJECT, GOOGlE, 2011"Side project" di un gruppo di sviluppatori Google, pas-sato relativamente inosservato, che permette di visita-re virtualmente 17 dei migliori musei al mondo. La leggenda relativa all'ambiente lavorativo dell'azien-da Google è che tutti i dipendenti hanno la possibilità di utilizzare il 30% dell'orario lavorativo per sviluppare le proprie idee, ed è proprio da qui che nascono alcune dei migliori progetti che Google ha realizzato negli ultimi anni.Art Project(40) è uno di questi. L'idea principale era quella di utilizzare l'avanzata tecnologia di cui dispone Google per rendere alla portata importanti opere d'ar-te. Per questo progetto la squadra di Street View ha sviluppato un novo veicolo chiamato "trolley" in grado di fare fotografie a 360° all'interno die musei, in questo modo è possibile visitare questi 17 importanti musei stando semplicemente seduti davanti al computer. Ma la parte migliore del progetto è la tecnologia "gigapi-xel"(41) con la quale sono state fotografate le opere. Ogni immagine contiene 7 miliardi di pixel, si può zu-mare al punto di vedere la pennellate del pittore nel minimo dettaglio. Proprio questo è sorprendente, ri-mane sì interessante girovagare per le sale di un mu-seo, magari all'altro capo del mondo, ma durante que-sto tour ci vengono mostrate le abituali immagini da Google Street View(42) a bassa qualità, ci viene quasi difficile proiettarci all'interno del museo. Ma è quan-

do poi scegliamo di guardare un'opera che rimaniamo strabiliati, è possibile vedere tutto fino al minimo det-taglio, quasi meglio che vederla dal vivo, con il riverbe-ro della luce che ci disturba e la distanza di sicurezza che dobbiamo sempre mantenere per non far scattare nessun allarme. Ultimo aspetto del progetto, a fare un po' da ciliegina sulla torta c'è la possibilità di creare la propria collezione d'arte, selezionando le opere che più ci piacciono e raccogliendole in una sorta di galle-ria personale. Il museo al momento comprende più di mille opere d'arte, ma l'obiettivo del progetto è quello di ingrandire sempre di più la sua collezione virtuale.

ADOBE MUSEUM Of DIGITAl MEDIA, ADOBE, 2011In questo caso si tratta di un museo interamente vir-tuale, un luogo che non esiste geograficamente, dove vengono raccolte innovative opere d'arte digitale. Il museo è stato creato per spingere le persone a una ri-flessione sui nuovi trend culturali, su come le persone vivono e comunicano oggi, come l'impatto dei digital media ha influenzato le nostre vite. L'AMDM(43) come ogni museo tradizionale presenta diverse collezioni aggiornate nel corso del tempo, ma qui finisce ogni connessione con i musei tradizionali. L'AMDM sfrutta a pieno ogni possibilità del mondo virtuale; il museo di per se un modello 3D sviluppato dall'architetto italiano Filippo Innocenti(44), il risultato è una futuristica strut-tura interamente visibile, che appare forse un poco di-sabitata e oscura, essendo che nel museo non ci son né oggetti reali né persone reali. Le mostre appaiono come guizzanti fasci di luce nel mezzo dello spazio, quando poi selezioniamo una delle mostre quello che ci viene mostrato va dall'animazione 3D alla video intervista al tour virtuale attraverso virtuali opere d'arte. Per-sonalmente trovo la collezione ancora un po' povera, non è davvero interessante quello che ci viene mostra-to, ma il modo in cui questo ci viene mostrato sembra adattarsi perfettamente allo scopo. L'accuratezza dei dettagli dello spazio e degli elementi di navigazione è quello che più colpisce in questo museo digitale.

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1.4 Musei e simili

Alcuni frammenti del tour attraverso il Museum Of Me, Intel(38)

Dettaglio dell'opera "I mietitiori" di Pieter Bruegel, 1565, compresa nel Art Project(38)

Dettagli del Museum of Digital Media di Adobe(38)

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1.5 Fontitesti, immagini e link

Memex (testo) (1) Il Web, premesse e antefatti: dal Mundaneum al Memex, Bollettino telematico di filosofia politica, http://bfp.sp.unipi.it (2) Vannevar Bush, As we may think, Atlantic monthly, 1945, http://www.theatlantic.com

Memex (immagini) (3) http://www.mercurious.com (4) http://www.retronomicon.it/memex/

Memex (demonstrator) (5) Dynamics diagrams, http://www.dynamicdiagrams.com/ (6) Memex animation, Dynamics diagrams, 1995, http://www.youtube.com/watch?v=c539cK58ees

As we may think (testo) (2) Vannevar Bush, As we may think, Atlantic monthly, 1945, http://www.theatlantic.com

As we may think (immagine) (7) The Atlantic Magazine, Vannevar Bush cover portrait, August 1955, http://www.rarenonfiction.com Paul Otlet (testo e immagini) (8) Meike Laaff, Networked Knowledge, decades before Google, Spiegel online, 2011, http://www.spiegel.de

The mother of all demos (testo e immagini) (9) Alan Kay, Doing with Images Makes Symbols, 1987, http://www.archive.org (10) The MouseSite, a resource for exploring the history of human computer interaction, http://sloan.stanford.edu/MouseSite/

What the dormouse said (testo) (11) John Markoff, What the Dormouse said: how the Sixties counterculture shaped the personal computer industry, MetroActive books, 2005, http://www.metroactive.com

What the dormouse said (immagini) (12) Community Memory terminal at Leopold’s Records, Berkeley, California, 1975, Compter History Museum (13) Community Memory terminal, 1975 ca., Computer History Museum

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1.5 Fonti

Man-computer symbiosis (testo e immagini) (14) In Memoriam: J.C.R. Licklider, System Research Center, 1990 (15) J.C.R. Licklider, Man-Computer Symbiosis, IRE Transactions on Human Factors in Electronics, 1960 (16) J.C.R. Licklider, The computer as a Communication Device, Science and Technology, 1968

Sketchpad (testo) (17) Ivan Sutherland, Sketchpad, a man-machine graphical communication system, Massachusetts Institute of Technology, 1963

Sketchpad (immagini) (18) Ivan Sutherland : Sketchpad Demo, http://www.youtube.com/watch?v=USyoT_Ha_bA

Eliza (testo) (19) Radiolab, Talking to Machines, programma radiofonico del 31 maggio 2011, http://www.radiolab.org

GRaIl (testo) (20) T. O. Ellis, J.F. Heafner and W.L. Sibley, The Grail Language and Operations, RAND Corporation, 1969

GRaIl (immagini) (9) Alan Kay, Doing with Images Makes Symbols, 1987, http://www.archive.org Smalltalk (testo) (21) Adele Goldberg, video intervista per il Computer History Museum, 2011 (22) Dan Ingalls, Design principled behind Smalltalk, BYTE, 1981

Smalltalk (immagini) (23) The PARC Computer Science Laboratory (CSL), 1970 ca. Computer History Museum (24) Smalltalk screenshot, 1972, Computer History Museum

PostScript (testo) (25) Adobe, History of innovation, http://www.adobe.com

PageMaker (immagine) (26) Peter C. S. Adams, PageMaker, past, present, future, http://www.makingpages.org

PostScript (immagine) (27) Adobe Systems, Meet Adobe Illustrator, Introduction and Demo, 1987, dal VHS che accompagnava il floppy disk contenente il programma

A bicycle built for 2000 (website) (28) Aaron Koblin e Daniel Massey, A Bicycle Built for 2000, http://www.bicyclebuiltfortwothousand.com/

A bicycle built for 2000 (testo) (29) Bell Labs, Background: Bell Labs Text-to-Speech Synthesis: Then and Now, http://www.bell-labs.com

Wikipedia 10th anniversary (website) (30) Dean McNamee and Tim Burrell-Saward, Wikipedia 10th Anniversary, http://www.deanmcnamee.com/wikipedia-anniversary

Binary counting (testo) (31) Joshua Noble, More CIID work: teaching binary counting, http://thefactoryfactory.com/wordpress/?p=758

Binary counting (video) (32) Chris Bierbower, Binary counting, http://vimeo.com/19721329

Computer History Museum (website) (33) http://www.computerhistory.org

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Adobe interactive timeline (website) (34) http://www.adobe.com/aboutadobe/history/History of programming languages O'Reilly (website) (35) O'Reilly, News & Commentary, http://oreilly.com/news/languageposter_0504.html

The museum of obsolete objects (canale di YouTube) (36) http://www.youtube.com/user/MoooJvM

History of the iPhone (testo e immagini) (37) C|Net, iPhone history animated video, http://crave.cnet.co.uk/mobiles/iphone-history-animated-in-our-infographic-video-50005285/

The Museum of Me (testo e immagini) (38) Intel, The Museum of Me, http://www.intel.com/museumofme/r/index.htm/ (39) Intel, Processore Core i5, http://www.intel.com/it_it/products/processor/corei5/index.htm

Art Project (testo e immagini) (40) Google, Art Project, http://www.googleartproject.com/ (41) Gigapixel, http://en.wikipedia.org/wiki/Gigapixel (42) Google, Street View, http://maps.google.com/intl/en/help/maps/streetview/

Adobe Museum of Digital Media (testo e immagini) (43) Adobe, AMDM, http://www.adobemuseum.com/ (44) Filippo Innocenti, architetto, http://www.filippoinnocenti.com/

Page 33: Thesis research

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1.5 Fonti


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