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bevande coloniali.pdf

Date post: 10-Dec-2023
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1 NICOLA PERULLO Cioccolata, caffè e tè in Europa tra storia e cultura (saggio comparso nel Catalogo della mostra "Le Bevande Coloniali. Argenti e Salotti del Settecento italiano. Tè, Caffè e Cioccolato", Arezzo, maggio 2015 La storia europea della cioccolata, del caffè e del tè s’intreccia ai più ampi cambiamenti sociali che hanno investito il nostro continente dagli albori della modernità a oggi. La fine del vecchio mondo e delle antiche aristocrazie, il progressivo avvento al potere della borghesia, l’avvio del mercato globale e della società degli spettacoli, il concetto di “buon gusto” come nuovo marcatore della posizione sociale guadagnata dagli individui, sono alcuni tra gli elementi imprescindibili per comprendere il grande significato culturale che, in misura l’una diversa dall’altra, ciascuna di queste bevande ebbe a partire dal XVII secolo in Europa. Ripercorreremo alcuni aspetti salienti di questa storia particolare, per cercarne di evidenziare tratti che hanno reso queste bevande, un tempo esotiche e straordinarie, così familiari e ordinarie per la nostra società. Sul piano più ristretto dei consumi alimentari, l’ascesa delle bevande coloniali si lega, da un lato, al declino dell’uso delle spezie come status di ricercatezza e ricchezza. Le spezie, che dominano l’immaginario gastronomico necessariamente alto” tra l’XI e il XVII secolo vengono gradualmente accantonate da esso perché diventano merce comune. A un gusto esotico che scompare ne subentra però un altro: quello per le nuove bevande che, all’inizio, hanno lo stesso carattere esclusivo. Dall’altro, esse si intrecciano al nuovo mercato capitalistico dei grandi gruppi commerciali che importano le materie prime dai paesi d’origine, decidendone i prezzi. Da questo punto di vista, è fondamentale inquadrare questa storia anche all’interno del dominio assoluto che assunse il dolcificante
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NICOLA PERULLO

Cioccolata, caffè e tè in Europa tra storia e cultura

(saggio comparso nel Catalogo della mostra "Le Bevande Coloniali. Argenti e Salotti del

Settecento italiano. Tè, Caffè e Cioccolato", Arezzo, maggio 2015

La storia europea della cioccolata, del caffè e del tè s’intreccia ai più ampi

cambiamenti sociali che hanno investito il nostro continente dagli albori della modernità a

oggi. La fine del vecchio mondo e delle antiche aristocrazie, il progressivo avvento al

potere della borghesia, l’avvio del mercato globale e della società degli spettacoli, il

concetto di “buon gusto” come nuovo marcatore della posizione sociale guadagnata dagli

individui, sono alcuni tra gli elementi imprescindibili per comprendere il grande significato

culturale che, in misura l’una diversa dall’altra, ciascuna di queste bevande ebbe a partire

dal XVII secolo in Europa. Ripercorreremo alcuni aspetti salienti di questa storia

particolare, per cercarne di evidenziare tratti che hanno reso queste bevande, un tempo

esotiche e straordinarie, così familiari e ordinarie per la nostra società.

Sul piano più ristretto dei consumi alimentari, l’ascesa delle bevande coloniali si

lega, da un lato, al declino dell’uso delle spezie come status di ricercatezza e ricchezza. Le

spezie, che dominano l’immaginario gastronomico – necessariamente “alto” tra l’XI e il

XVII secolo – vengono gradualmente accantonate da esso perché diventano merce

comune. A un gusto esotico che scompare ne subentra però un altro: quello per le nuove

bevande che, all’inizio, hanno lo stesso carattere esclusivo. Dall’altro, esse si intrecciano al

nuovo mercato capitalistico dei grandi gruppi commerciali che importano le materie prime

dai paesi d’origine, decidendone i prezzi. Da questo punto di vista, è fondamentale

inquadrare questa storia anche all’interno del dominio assoluto che assunse il dolcificante

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moderno per eccellenza, lo zucchero, la cui coltivazione massiva in America è proprio uno

dei momenti fondamentali della storia dell’alimentazione moderna.

Prima di trattare separatamente i tratti essenziali delle storie di cioccolata, caffè e

tè, però, occorre mettere in luce che cosa esse abbiano in comune. Sono, tutti e tre, alimenti

stimolanti, energetici e, in diversa misura, eccitanti. Caffè e tè contengono caffeina, la

cioccolata ne contiene molto meno ma in compenso è ricca di teobromina. È sotto questa

caratteristica comune che deve essere collocata la loro irresistibile ascesa nel mondo

occidentale diventando, da consumi elitari, non solo culturalmente e socialmente diffuse

ma anche vere e proprie commodities commerciali. Tuttavia, ciascuno di questi alimenti ha

seguito percorsi propri, significando cose diverse e collocandosi diversamente nello spazio

e nel tempo. Seguiremo i loro percorsi seguendo l’ordine cronologico della loro

immissione nei mortai, nelle teiere, nelle caffettiere, nelle tazze e nelle tazzine europee.

Cioccolata

La cioccolata è forse l’alimento, insieme al vino, che più ha suscitato interesse

storico, filosofico e culturale negli ultimi tre secoli in Occidente. Dipinti, saggi, racconti,

film ispirati alla cioccolata continuano ad essere prodotti in serie. Le ragioni sono certo

molte, ma una delle principali risiede nella sua ambivalenza: tra piacere e peccato, la

cioccolata rimanda all’ingordigia, al godimento primordiale infantile e alle sue presunte

virtù di afrodisiaco; ma, proprio per questo, anche ai sensi di colpa sul piano etico,

religioso e soprattutto dietetico. La cioccolata arrivò in Europa circa mezzo secolo prima

delle altre due nostre bevande. Il primo documento certo si riferisce al 1544 in Spagna, e al

1585 la prima spedizione di cacao alla volta di Siviglia. Il cacao è il nome della pianta e

delle sue bacche; la cioccolata è il prodotto ottenuto dal cacao, conosciuto dal XVI

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secolo. Quando si parla di cioccolata si parla di America e nello specifico degli Olmechi e

dei Maya, popolazioni che hanno iniziato e codificato la coltivazione della pianta di cacao

tra Messico, Yucatan, Chiapas e Guatemala. La pianta del cacao (nome scientifico

Theobroma cacao) era chiamata Cacahuatl, ovvero “cibo degli dei” perché dai suoi semi,

utilizzati anche come moneta di scambio, si otteneva una bevanda sacra, riservata soltanto

agli strati più alti della popolazione. Probabilmente, il primo europeo ad entrare in contatto

con i semi di cacao fu Cristoforo Colombo nel 1503, ma la bevanda forse fu scoperta nella

città messicana di Oaxaca da suore spagnole che iniziarono a consumarla aggiungendovi

dello zucchero per renderla più dolce e gradevole. Proprio in Spagna la cioccolata arriva

qualche decennio dopo, entrando nel consumo aristocratico e religioso come bevanda

inizialmente fredda e solitamente mescolata con zucchero, cannella e vaniglia. Dopo la

Spagna, fu proprio l’Italia il paese europeo che accolse subito questa meravigliosa

bevanda. Il motivo è stato spesso identificato dagli storici con le virtù altamente

energetiche della bevanda, che ne fecero un alimento importante nei periodi di digiuno e

nei tempi di magro, particolarmente adatto al mondo cattolico.

La cioccolata si diffuse nel XVII secolo, prima nelle corti dei Savoia in Piemonte

e dei Medici in Toscana, poi nelle grandi città come Venezia e Napoli, e comunque non per

un consumo di massa ma esclusivo e ricercato. La cioccolata da un lato veniva vista come

alimento energetico e digestivo, dall’altra però proprio per il suo calore era guardata con

un certo sospetto. Già nel secondo Seicento, tuttavia, la cioccolata, resa calda da acqua o

latte, è fatta oggetto, nel nostro paese, di attenzioni scrupolose e di varianti notevoli, come

si può notare da questo passo di Francesco Redi: “L’uso [della cioccolata] in Europa è

diventato comunissimo e particolarmente nelle Corti de’principi e nelle case de’nobili;

credendosi che possa fortificare lo stomaco e che abbia mille altre virtù profittevoli alla

sanità. La Corte di Spagna fu la prima in Europa a ricever tal uso. E veramente in Ispagna

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vi si manipola il cioccolatte di tutta perfezione: ma alla perfezione spagnuola è stato a’

nostri tempi nella corte di Toscana aggiunto un non so che di più squisita gentilezza, per la

novità degl’ingredienti europei, essendosi trovato il modo d’introdurvi le scorze fresche

de’cedrati e de’ limoncelli, e l’odore gentilissimo del gelsomino, che mescolato colla

cannella, colle vainiglie, coll’ambra e col muschio fa un sentire stupendo a coloro che del

cioccolatte si dilettano.”1 La cioccolata è il simbolo della prima colazione aristocratica

servita a letto, come viene raffigurato nel famoso quadro di Pietro Longhi dal titolo La

cioccolata del mattino. Nel Settecento la cioccolata, chiamata anche “brodo indiano” a

sottolinearne il fascino esotico, imperversa anche a Parigi, è oggetto di rappresentazione di

numerosi quadri di artisti francesi. I cioccolatieri italiani sono già famosi per le loro

creazioni di alta scuola. Il “cioccolatte” viene cantato da poeti e scrittori come Metastasio e

Parini. In quel periodo, in cui nacquero anche le prime cioccolatiere d’argento, Torino e i

suoi maestri erano già famosa, con esportazioni di cacao in Austria, Svizzera, Germania e

Francia. All’inizio dell’Ottocento, sempre a Torino si formarono anche alcuni giovani che

hanno fatto la storia de cioccolato moderno: Cailler e Suchard, per esempio, fondatori di

marchi che sono diventati colossi nel mondo, iniziarono ad operare a Torino da Caffarel e

in altri laboratori.

Declinata gradualmente la moda della cioccolata liquida, salirono alla ribalta

cacao in polvere e le tavolette solide. Questa storia si lega alle nuove supremazie del

cioccolato: quelle dell’Olanda, dell’Inghilterra e della Svizzera, rispettivamente con Van

Houten che, nel secondo decennio del XIX secolo, inventa un sistema per spremere le fave

e ottenere la polvere di cacao da sciogliere in acqua separando, dalla massa, il burro di

cacao e ottenere dunque un prodotto meno energetico ma più digeribile; con Fry, che nel

1849 realizza la prima tavoletta solida; con Peter, che inventa la cioccolata al latte grazie al

1 F. Redi, Annotazioni di F. R. al Ditirambo, in Opere di F: Redi, Società tipografica dei classici italiani, Milano 1809,

vol I p. 74.

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latte condensato Nestlè; e con Lindt, che alle fine del secolo scopre il modo di realizzare il

fondente.

Vi sono moltissime varietà di cacao ricavabili dalla pianta, e che si dividono in tre

grandi classi: due sottospecie e un ibrido. Il Criollo, originario dell’America Centrale,

considerato il più “puro” e pregiato quanto al gusto. Rappresenta il 5% della produzione

totale, e oggi si coltiva soprattutto in Venezuela, Ecuador, Colombia e Giava. Il Forastero,

originario della foresta amazzonica, vigoroso e robusto, coltivato soprattutto in Africa e

Asia, che rappresenta circa l’80% della produzione. Il Trinitario, un ibrido tra Crollo e

Forastero, nato alla fine del XVIII secolo a Trinidad. Oggi coltivato in Indonesia, Caraibi,

Sud America rappresenta circa il 15% della produzione mondiale. In generale, i maggiori

paesi produttori di cacao sono oggi in Africa: Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria e Camerun

(con oltre il 70%). Segue l’Asia con Indonesia e Malesia (intorno a 15%) e l’America ha

solo un 13% seppure quello di migliore qualità.

Caffè

Il caffè rappresenta l’elemento nervoso, fast e competitivo della nostra epoca: per

questo è la bevanda che ha avuto il maggior successo sociale trasversale nell’Occidente

moderno, diventando un coadiuvante dell’esistenza quotidiana per moltissime persone. Ma

il caffè ha svolto anche un ruolo fondamentale nella differenze religiose: se il vino è la

bevanda cristiana, il caffè è invece la bevanda islamica per eccellenza. Le origini del caffè

sono abbastanza oscure, tra storia e leggenda, e ci portano probabilmente tra le tribù

nomadi d’Arabia, intorno all’anno Mille. Le testimonianze certe risalgono però solo al XV

secolo in Etiopia, in particolare in una regione chiamata Kaffa, e negli altipiani dello

Yemen. In uno dei primi trattati a stampa sul caffè, pubblicato nel 1671, si narra poi di un

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pastore, Kaldi, che avrebbe scoperto le virtù eccitanti del caffè grazie alle sue pecore che si

cibarono delle bacche. Come che sia, questa zona il caffè si diffuse subito in Arabia ed

Egitto dove entrò presto a far parte dell’alimentazione quotidiana. La pianta del caffè – la

Coffea - è molto antica, e forse il significato etimologico viene dall’arabo “Kàvek” che

significa eccitante.

Gli inizi del consumo di caffè sono probabilmente quelli dei semi pestati insieme

a grassi animali, e poi nel mondo arabo miscelati nell’acqua (prima fredda e poi bollita). Il

processo della macinatura e della torrefazione viene inventato solo più tardi, nel XIV

secolo. Gli inizi del caffè furono legati ai suoi effetti tonici, e fu considerato come un

medicinale. Il caffè entrò in Europa tramite gli scambi commerciali nel Cinquecento e in

questo tragitto un ruolo fondamentale lo svolsero inizialmente Costantinopoli e in

particolare Venezia, città dove sbarcò nel 1570 il primo carico di chicchi e dove nel 1683

si aprì la prima bottega del caffè. Ma già nei primi decenni del secolo la èlite degli studenti

e dei professori dell’Università di Padova consumava la bevanda. Nonostante il sospetto

iniziale del mondo cattolico, infatti, che vedeva nel caffè una potenziale arma di corruzione

spirituale (tanto che fu richiesta a Papa Clemente VIII l’interdizione per la bevanda), in

pochi decenni il caffè divenne moda in gran parte d’Europa. Gli Olandesi, nel Seicento,

grazie alla loro potenza commerciale diventarono monopolisti del prodotto ma ovunque

iniziò a imperversare la mania del “vino d’Arabia”: bevanda energetica e non inebriante,

rappresentava bene la nuova società e il dibattito intellettuale, che allora si svolgeva molto

nei caffè letterari. Se la cioccolata fu il simbolo del cattolicesimo, dell’aristocrazia e del

vecchio regime, il caffè diventò così inizialmente il simbolo dell’etica protestante dei paesi

nordici, della rivoluzione industriale e della nuova società capitalistica. Questo grazie alle

sue proprietà: considerata come un rimedio contro la sbornia – per prevenirla, bevendolo al

posto dell’alcol, e per curarne eventualmente gli effetti dopo – venne salutata come

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coadiuvante per la migliore efficienza energetica, permettendo di lavorare di più e meglio

tanto al corpo che alla mente.

Il caffè nacque come bevanda pubblica in Inghilterra, con le sue famose coffee-

houses (prima di essere soppiantato dal tè, come vedremo) in Francia e, lo abbiamo già

detto, in Italia. Solo successivamente, un secolo dopo, diventò bevanda domestica: i caffè,

luoghi di scambio intellettuale frequentati da letterati e filosofi, fiorirono nei principali

centri europei. Locali famosissimi vennero inaugurati in quel periodo sotto il segno del

caffè: il Cafè Procope a Parigi che pare essere stato aperto dal siciliano Francesco Procopio

Coltelli nel 1686, dove era solito sedersi Voltaire (“Bevo quaranta caffè al giorno per

essere ben sveglio e pensare”, diceva) e il Florian a Venezia sono solo alcuni tra gli esempi

più eclatanti del successo che raggiunse la bevanda: è del 1732 la Cantata del caffè di

Johan Sebastian Bach e del 1750 la commedia di Goldoni La bottega del caffè. Nel 1764,

Pietro Verri a Milano pubblica il periodico Il caffè, di impostazione illuminista, che

inseriva l’Italia nel dibattito filosofico e letterario europeo. In Germania, il successo di

caffè implicò una diminuzione del consumo di birra. In Inghilterra, si chiusero i nascenti

locali per una settimana, onde difendere l’appena nata e fiorente tradizione del tè. Più a

Est, Costantinopoli/Istanbul continuò ad avere un ruolo centrale per la cultura del tè, e la

città divenne famosa anche grazie ai suoi leggendari caffè frequentati da artisti, poeti e

letterati. Tutto questo portò a un incremento fortissimo della sua produzione nel

Settecento: il caffè cominciò ad essere coltivato prima a Martinica, nelle Antille e poi in

Brasile, in Giamaica e nel resto del Sud America.

In Italia nell’Ottocento, da Venezia a Torino fino a Napoli il consumo di caffè è

già un rito anche se è legato soprattutto alla dimensione pubblica e ai ceti agiati. Il

consumo casalingo, dapprima legato alla semplice bollitura d’acqua e caffè, acquistato

crudo, tostato a casa in modo rudimentale, macinato e posto in pentole, si espande con

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l’invenzione della caffettiera napoletana alla fine del XIX secolo, e poi delle macchine a

pressione – la prima fu inventata a Torino dall’ingegner Moriondo - dalla quale deriva la

macchina da bar. L’espresso nasce in Italia nel 1901.

Nonostante le sue origini africane, oggi i maggiori paesi produttori di caffè sono

in Centro e Sud America – tanto che molti ancora identificano l’origine del caffè con il

Brasile! - e in estremo oriente (paesi come il Vietnam, l’Indonesia e l’India sono forti

produttori). Molto importanti anche i paesi d’origine del caffè, con gli altopiani arabici che

producono varietà molto interessanti. Anche se il consumo di caffè rimane per lo più

ancorato ai paesi occidentali, tuttavia si sta sviluppando un trend importante anche in paesi

come il Giappone e forse non tutti sanno che il maggior consumo pro capite mondiale della

bevanda si trova nell’area Scandinava. Dalla pianta Coffea, di cui si contano circa 70

specie, due sono in particolare quelle più note e commercializzate: la Coffea arabica (che

contiene una quantità di caffeina tra 1,1 e 1,7%) e la Coffea canephora (volgarmente detta

Robusta, che contiene una quantità di caffeina tra 2 e 4%).

In Occidente, il tè rappresenta, in qualche modo, una ritualità opposta a quella del

caffè. Una filosofia per la quale è essenziale riappropriarsi del tempo secondo criteri di

lentezza. Il tè, delle tre, è dunque senza dubbio la bevanda coloniale assurta a emblema di

calma e meditazione. Rispetto a cioccolata e caffè, la storia occidentale, oltre che un po’

più marginale, è anche quella più recente. Arrivato per ultimo tramite i mercanti olandesi,

il tè non si diffonderà mai, tranne in Inghilterra e in Russia, come le due bevande “cugine”

che abbiamo finora trattato. Eppure il tè, dopo l’acqua, è la bevanda più diffusa al mondo.

Esso si identifica con l’Oriente e con il luogo in cui se ne ha la prima testimonianza certa,

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sotto forma di infuso fatto da foglie selvatiche, fino dall’origini dell’era cristiana: la Cina.

Qui la varietà di gran lunga più nota e coltivata della pianta, la Camellia sinensis, veniva

chiamata in vari modi, ed è probabile che la parola tè si riferisca alla voce dialettale tay

usata nella provincia cinese di Amoy per designare la bevanda ottenuta per infusione,

oppure che derivi dalla voce araba scha che richiama il cinese cha (pronuncia tia), dati i

commerci che intercorrevano tra popolazioni arabe e Cia già dal IX secolo.

La storia del tè per molti secoli s’intreccia con quella delle comunità monastiche,

dove si iniziò a coltivare la pianta intorno al IV-V° secolo, ma in breve tempo divenne

bevanda diffusa perché usata anche per le sue virtù curative. Definito anche, in una sua

varietà, “spuma di giada liquida”, nella cultura cinese il tè si lega a una visione

complessiva del mondo, come emerge per esempio nel celebre testo di Lu Yu (760 d. C.) Il

canone del tè. Da qui, si diffonde poi in Tibet e in Corea, giungendo in India solo piuttosto

tardi. In Europa la storia del tè inizia in Olanda nel XVII secolo, grazie alla potente

Compagnia delle Indie nazionale operante sul porto di Amsterdam (il primo imbarco di

semi fu da Giava nel 1610). Da qui, fu commercializzato in Portogallo, Francia e Italia. In

Olanda il consumo di tè sostituì in parte quello della birra, per motivi analoghi a quelli già

analizzati per il caffè: bevanda stimolante ed eccitante, il tè non contiene alcol e non

intorpidisce, permettendo prestazioni lavorative più efficaci. Ma ancora nel Settecento il tè

in Occidente non è una bevanda di successo paragonabile a caffè e cioccolata. Le cose

cambiano se guardiamo alla patria del tè, l’Inghilterra, che ne assume il dominio europeo

attraverso il consumo, superando gradualmente la potenza olandese. La storia più grossa e

recente del tè inglese non è legata però direttamente alla Cina ma all’India, dove furono

coltivate – precisamente a Ceylon - già nel Seicento alcune piante. Già a metà del secolo le

coffee-houses vendono tè come infuso di foglie bollite, e divenne di moda presso la corte di

Carlo II. Nei locali il tè cominciò a sostituire il caffè: la celeberrima coffe house di Thomas

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Twining – la Tom’s coffee house – in Devereux Court, a inizio Settecento, fu la prima, in

occidente, a far degustare il tè e dovette in pochi anni aprire altre due nuove sedi per

l’inarrestabile successo.

Nell’Ottocento, l’Inghilterra iniziò a importare tutto il tè dalle sue colonie indiane,

per sfruttare gli enormi vantaggi commerciali rispetto al traffico con la Cina: nel 1836

venne fatta una prima spedizione di tè indiano Assam a Londra e, nel giro di quattro anni,

il tè indiano ebbe un enorme successo nazionale. Anche un altro nome oggi sinonimo di tè,

Lipton, si lega a questa vicenda, essendo un commerciante che fece fortuna con le

piantagioni di tè nell’Assam. Perché in Inghilterra il tè soppiantò il caffè, a differenza di

quanto avvenne in altri paesi europei? Molti storici se lo sono chiesti, ed è difficile dare

una risposta univoca. Probabilmente, ciò fu dovuto soprattutto a una potentissima

operazione di “persuasione” commerciale da parte della Compagnia delle Indie. Ma il rito

del tè è legato anche all’affascinante storia dei suoi contenitori, le teiere: di terracotta in

oriente, di porcellana in Europa. In effetti, la moda inglese corrispose alla grande stagione

dei maestri della porcellana, che crearono teiere e tazze oggi estremamente ricercate tra i

collezionisti di tutto il mondo. Il tè all’inglese si prepara secondo la regola di un cucchiaino

di tè a persona, ma ci sono molti modi di fare il tè. Quello alla russa si caratterizza per la

presenza del Samovar, simbolo di convivialità, in rame argentato, porcellana o addirittura

in oro, con un rubinetto che eroga acqua calda. Nel tè alla cinese sono invece tipiche le

piccole misure di teiera e tazzine,

Cina, India e infine Giappone: il terzo polo orientale del tè si caratterizza per una

ancora più marcata e per noi esasperata ritualità. La cerimonia del tè, legata alla filosofia

zen e cantata da pensatori e poeti, può durare anche diverse ore. Nel paese del Sol Levante

i semi della pianta arrivano alla fine del Cinquecento ma per lunghissimo la bevanda fu di

quasi esclusivo uso monastico e aristocratico, diventando popolare solo intorno al XV

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secolo. In Giappone si coltivano, secondo gli esperti, alcune delle varietà più pregiate del

mondo e le foglie di tè verde sono considerate tra le più ricercate. Come abbiamo già

scritto, tra Oriente e Occidente, la Russia è sicuramente il paese con la più antica e

sviluppata cultura del tè, perché nel XVII secolo esso è già conosciuto e apprezzato. Con

l’invenzione del Samovar, posta a metà Settecento, il cerimoniale del tè alla russa diviene

istituzione conviviale e la bevanda fu uno dei simboli dell’impero. Nel Settecento, invece,

gli altri paesi europei come Francia, Germania, Spagna e Italia sono immersi nei profumi e

nei sapori della cioccolata e del caffè. Qui il tè non scalfì mai veramente il loro dominio,

restando relegato anche successivamente a un consumo piuttosto marginale, limitato

soprattutto al tè verde.

La pianta del tè (Camellia sinensis) è molto antica: risale forse a Duemila anni

prima di Cristo ed è stata portata in Cina probabilmente dalle regioni dell’Himalaya

orientale. Ci sono sedici varietà di Camellie che producono tè ma le tipologie più note si

distinguono sulla base della lavorazione delle foglie: tè verde (non fermentato), tè bianco e

tè giallo (molto delicati, prodotti in quantità limitate in alcune zone della Cina), tè nero

(con foglie completamente fermentate, perché sottoposte a un processo di ossidazione), te

wuolong (a metà tra nero e verde, parzialmente fermentato) tè aromatizzati (inventati dagli

europei con aromi naturali o ottenuti chimicamente). La Russia è l’unico produttore

europeo. La grande quantità di tè è prodotta in Asia – Giappone, Cina, Taiwan e altri paesi

- mentre il maggiore produttore al mondo è oggi l’India.

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BIBLIOGRAFIA

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