Date post: | 10-Dec-2023 |
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NICOLA PERULLO
Cioccolata, caffè e tè in Europa tra storia e cultura
(saggio comparso nel Catalogo della mostra "Le Bevande Coloniali. Argenti e Salotti del
Settecento italiano. Tè, Caffè e Cioccolato", Arezzo, maggio 2015
La storia europea della cioccolata, del caffè e del tè s’intreccia ai più ampi
cambiamenti sociali che hanno investito il nostro continente dagli albori della modernità a
oggi. La fine del vecchio mondo e delle antiche aristocrazie, il progressivo avvento al
potere della borghesia, l’avvio del mercato globale e della società degli spettacoli, il
concetto di “buon gusto” come nuovo marcatore della posizione sociale guadagnata dagli
individui, sono alcuni tra gli elementi imprescindibili per comprendere il grande significato
culturale che, in misura l’una diversa dall’altra, ciascuna di queste bevande ebbe a partire
dal XVII secolo in Europa. Ripercorreremo alcuni aspetti salienti di questa storia
particolare, per cercarne di evidenziare tratti che hanno reso queste bevande, un tempo
esotiche e straordinarie, così familiari e ordinarie per la nostra società.
Sul piano più ristretto dei consumi alimentari, l’ascesa delle bevande coloniali si
lega, da un lato, al declino dell’uso delle spezie come status di ricercatezza e ricchezza. Le
spezie, che dominano l’immaginario gastronomico – necessariamente “alto” tra l’XI e il
XVII secolo – vengono gradualmente accantonate da esso perché diventano merce
comune. A un gusto esotico che scompare ne subentra però un altro: quello per le nuove
bevande che, all’inizio, hanno lo stesso carattere esclusivo. Dall’altro, esse si intrecciano al
nuovo mercato capitalistico dei grandi gruppi commerciali che importano le materie prime
dai paesi d’origine, decidendone i prezzi. Da questo punto di vista, è fondamentale
inquadrare questa storia anche all’interno del dominio assoluto che assunse il dolcificante
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moderno per eccellenza, lo zucchero, la cui coltivazione massiva in America è proprio uno
dei momenti fondamentali della storia dell’alimentazione moderna.
Prima di trattare separatamente i tratti essenziali delle storie di cioccolata, caffè e
tè, però, occorre mettere in luce che cosa esse abbiano in comune. Sono, tutti e tre, alimenti
stimolanti, energetici e, in diversa misura, eccitanti. Caffè e tè contengono caffeina, la
cioccolata ne contiene molto meno ma in compenso è ricca di teobromina. È sotto questa
caratteristica comune che deve essere collocata la loro irresistibile ascesa nel mondo
occidentale diventando, da consumi elitari, non solo culturalmente e socialmente diffuse
ma anche vere e proprie commodities commerciali. Tuttavia, ciascuno di questi alimenti ha
seguito percorsi propri, significando cose diverse e collocandosi diversamente nello spazio
e nel tempo. Seguiremo i loro percorsi seguendo l’ordine cronologico della loro
immissione nei mortai, nelle teiere, nelle caffettiere, nelle tazze e nelle tazzine europee.
Cioccolata
La cioccolata è forse l’alimento, insieme al vino, che più ha suscitato interesse
storico, filosofico e culturale negli ultimi tre secoli in Occidente. Dipinti, saggi, racconti,
film ispirati alla cioccolata continuano ad essere prodotti in serie. Le ragioni sono certo
molte, ma una delle principali risiede nella sua ambivalenza: tra piacere e peccato, la
cioccolata rimanda all’ingordigia, al godimento primordiale infantile e alle sue presunte
virtù di afrodisiaco; ma, proprio per questo, anche ai sensi di colpa sul piano etico,
religioso e soprattutto dietetico. La cioccolata arrivò in Europa circa mezzo secolo prima
delle altre due nostre bevande. Il primo documento certo si riferisce al 1544 in Spagna, e al
1585 la prima spedizione di cacao alla volta di Siviglia. Il cacao è il nome della pianta e
delle sue bacche; la cioccolata è il prodotto ottenuto dal cacao, conosciuto dal XVI
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secolo. Quando si parla di cioccolata si parla di America e nello specifico degli Olmechi e
dei Maya, popolazioni che hanno iniziato e codificato la coltivazione della pianta di cacao
tra Messico, Yucatan, Chiapas e Guatemala. La pianta del cacao (nome scientifico
Theobroma cacao) era chiamata Cacahuatl, ovvero “cibo degli dei” perché dai suoi semi,
utilizzati anche come moneta di scambio, si otteneva una bevanda sacra, riservata soltanto
agli strati più alti della popolazione. Probabilmente, il primo europeo ad entrare in contatto
con i semi di cacao fu Cristoforo Colombo nel 1503, ma la bevanda forse fu scoperta nella
città messicana di Oaxaca da suore spagnole che iniziarono a consumarla aggiungendovi
dello zucchero per renderla più dolce e gradevole. Proprio in Spagna la cioccolata arriva
qualche decennio dopo, entrando nel consumo aristocratico e religioso come bevanda
inizialmente fredda e solitamente mescolata con zucchero, cannella e vaniglia. Dopo la
Spagna, fu proprio l’Italia il paese europeo che accolse subito questa meravigliosa
bevanda. Il motivo è stato spesso identificato dagli storici con le virtù altamente
energetiche della bevanda, che ne fecero un alimento importante nei periodi di digiuno e
nei tempi di magro, particolarmente adatto al mondo cattolico.
La cioccolata si diffuse nel XVII secolo, prima nelle corti dei Savoia in Piemonte
e dei Medici in Toscana, poi nelle grandi città come Venezia e Napoli, e comunque non per
un consumo di massa ma esclusivo e ricercato. La cioccolata da un lato veniva vista come
alimento energetico e digestivo, dall’altra però proprio per il suo calore era guardata con
un certo sospetto. Già nel secondo Seicento, tuttavia, la cioccolata, resa calda da acqua o
latte, è fatta oggetto, nel nostro paese, di attenzioni scrupolose e di varianti notevoli, come
si può notare da questo passo di Francesco Redi: “L’uso [della cioccolata] in Europa è
diventato comunissimo e particolarmente nelle Corti de’principi e nelle case de’nobili;
credendosi che possa fortificare lo stomaco e che abbia mille altre virtù profittevoli alla
sanità. La Corte di Spagna fu la prima in Europa a ricever tal uso. E veramente in Ispagna
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vi si manipola il cioccolatte di tutta perfezione: ma alla perfezione spagnuola è stato a’
nostri tempi nella corte di Toscana aggiunto un non so che di più squisita gentilezza, per la
novità degl’ingredienti europei, essendosi trovato il modo d’introdurvi le scorze fresche
de’cedrati e de’ limoncelli, e l’odore gentilissimo del gelsomino, che mescolato colla
cannella, colle vainiglie, coll’ambra e col muschio fa un sentire stupendo a coloro che del
cioccolatte si dilettano.”1 La cioccolata è il simbolo della prima colazione aristocratica
servita a letto, come viene raffigurato nel famoso quadro di Pietro Longhi dal titolo La
cioccolata del mattino. Nel Settecento la cioccolata, chiamata anche “brodo indiano” a
sottolinearne il fascino esotico, imperversa anche a Parigi, è oggetto di rappresentazione di
numerosi quadri di artisti francesi. I cioccolatieri italiani sono già famosi per le loro
creazioni di alta scuola. Il “cioccolatte” viene cantato da poeti e scrittori come Metastasio e
Parini. In quel periodo, in cui nacquero anche le prime cioccolatiere d’argento, Torino e i
suoi maestri erano già famosa, con esportazioni di cacao in Austria, Svizzera, Germania e
Francia. All’inizio dell’Ottocento, sempre a Torino si formarono anche alcuni giovani che
hanno fatto la storia de cioccolato moderno: Cailler e Suchard, per esempio, fondatori di
marchi che sono diventati colossi nel mondo, iniziarono ad operare a Torino da Caffarel e
in altri laboratori.
Declinata gradualmente la moda della cioccolata liquida, salirono alla ribalta
cacao in polvere e le tavolette solide. Questa storia si lega alle nuove supremazie del
cioccolato: quelle dell’Olanda, dell’Inghilterra e della Svizzera, rispettivamente con Van
Houten che, nel secondo decennio del XIX secolo, inventa un sistema per spremere le fave
e ottenere la polvere di cacao da sciogliere in acqua separando, dalla massa, il burro di
cacao e ottenere dunque un prodotto meno energetico ma più digeribile; con Fry, che nel
1849 realizza la prima tavoletta solida; con Peter, che inventa la cioccolata al latte grazie al
1 F. Redi, Annotazioni di F. R. al Ditirambo, in Opere di F: Redi, Società tipografica dei classici italiani, Milano 1809,
vol I p. 74.
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latte condensato Nestlè; e con Lindt, che alle fine del secolo scopre il modo di realizzare il
fondente.
Vi sono moltissime varietà di cacao ricavabili dalla pianta, e che si dividono in tre
grandi classi: due sottospecie e un ibrido. Il Criollo, originario dell’America Centrale,
considerato il più “puro” e pregiato quanto al gusto. Rappresenta il 5% della produzione
totale, e oggi si coltiva soprattutto in Venezuela, Ecuador, Colombia e Giava. Il Forastero,
originario della foresta amazzonica, vigoroso e robusto, coltivato soprattutto in Africa e
Asia, che rappresenta circa l’80% della produzione. Il Trinitario, un ibrido tra Crollo e
Forastero, nato alla fine del XVIII secolo a Trinidad. Oggi coltivato in Indonesia, Caraibi,
Sud America rappresenta circa il 15% della produzione mondiale. In generale, i maggiori
paesi produttori di cacao sono oggi in Africa: Costa d’Avorio, Ghana, Nigeria e Camerun
(con oltre il 70%). Segue l’Asia con Indonesia e Malesia (intorno a 15%) e l’America ha
solo un 13% seppure quello di migliore qualità.
Caffè
Il caffè rappresenta l’elemento nervoso, fast e competitivo della nostra epoca: per
questo è la bevanda che ha avuto il maggior successo sociale trasversale nell’Occidente
moderno, diventando un coadiuvante dell’esistenza quotidiana per moltissime persone. Ma
il caffè ha svolto anche un ruolo fondamentale nella differenze religiose: se il vino è la
bevanda cristiana, il caffè è invece la bevanda islamica per eccellenza. Le origini del caffè
sono abbastanza oscure, tra storia e leggenda, e ci portano probabilmente tra le tribù
nomadi d’Arabia, intorno all’anno Mille. Le testimonianze certe risalgono però solo al XV
secolo in Etiopia, in particolare in una regione chiamata Kaffa, e negli altipiani dello
Yemen. In uno dei primi trattati a stampa sul caffè, pubblicato nel 1671, si narra poi di un
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pastore, Kaldi, che avrebbe scoperto le virtù eccitanti del caffè grazie alle sue pecore che si
cibarono delle bacche. Come che sia, questa zona il caffè si diffuse subito in Arabia ed
Egitto dove entrò presto a far parte dell’alimentazione quotidiana. La pianta del caffè – la
Coffea - è molto antica, e forse il significato etimologico viene dall’arabo “Kàvek” che
significa eccitante.
Gli inizi del consumo di caffè sono probabilmente quelli dei semi pestati insieme
a grassi animali, e poi nel mondo arabo miscelati nell’acqua (prima fredda e poi bollita). Il
processo della macinatura e della torrefazione viene inventato solo più tardi, nel XIV
secolo. Gli inizi del caffè furono legati ai suoi effetti tonici, e fu considerato come un
medicinale. Il caffè entrò in Europa tramite gli scambi commerciali nel Cinquecento e in
questo tragitto un ruolo fondamentale lo svolsero inizialmente Costantinopoli e in
particolare Venezia, città dove sbarcò nel 1570 il primo carico di chicchi e dove nel 1683
si aprì la prima bottega del caffè. Ma già nei primi decenni del secolo la èlite degli studenti
e dei professori dell’Università di Padova consumava la bevanda. Nonostante il sospetto
iniziale del mondo cattolico, infatti, che vedeva nel caffè una potenziale arma di corruzione
spirituale (tanto che fu richiesta a Papa Clemente VIII l’interdizione per la bevanda), in
pochi decenni il caffè divenne moda in gran parte d’Europa. Gli Olandesi, nel Seicento,
grazie alla loro potenza commerciale diventarono monopolisti del prodotto ma ovunque
iniziò a imperversare la mania del “vino d’Arabia”: bevanda energetica e non inebriante,
rappresentava bene la nuova società e il dibattito intellettuale, che allora si svolgeva molto
nei caffè letterari. Se la cioccolata fu il simbolo del cattolicesimo, dell’aristocrazia e del
vecchio regime, il caffè diventò così inizialmente il simbolo dell’etica protestante dei paesi
nordici, della rivoluzione industriale e della nuova società capitalistica. Questo grazie alle
sue proprietà: considerata come un rimedio contro la sbornia – per prevenirla, bevendolo al
posto dell’alcol, e per curarne eventualmente gli effetti dopo – venne salutata come
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coadiuvante per la migliore efficienza energetica, permettendo di lavorare di più e meglio
tanto al corpo che alla mente.
Il caffè nacque come bevanda pubblica in Inghilterra, con le sue famose coffee-
houses (prima di essere soppiantato dal tè, come vedremo) in Francia e, lo abbiamo già
detto, in Italia. Solo successivamente, un secolo dopo, diventò bevanda domestica: i caffè,
luoghi di scambio intellettuale frequentati da letterati e filosofi, fiorirono nei principali
centri europei. Locali famosissimi vennero inaugurati in quel periodo sotto il segno del
caffè: il Cafè Procope a Parigi che pare essere stato aperto dal siciliano Francesco Procopio
Coltelli nel 1686, dove era solito sedersi Voltaire (“Bevo quaranta caffè al giorno per
essere ben sveglio e pensare”, diceva) e il Florian a Venezia sono solo alcuni tra gli esempi
più eclatanti del successo che raggiunse la bevanda: è del 1732 la Cantata del caffè di
Johan Sebastian Bach e del 1750 la commedia di Goldoni La bottega del caffè. Nel 1764,
Pietro Verri a Milano pubblica il periodico Il caffè, di impostazione illuminista, che
inseriva l’Italia nel dibattito filosofico e letterario europeo. In Germania, il successo di
caffè implicò una diminuzione del consumo di birra. In Inghilterra, si chiusero i nascenti
locali per una settimana, onde difendere l’appena nata e fiorente tradizione del tè. Più a
Est, Costantinopoli/Istanbul continuò ad avere un ruolo centrale per la cultura del tè, e la
città divenne famosa anche grazie ai suoi leggendari caffè frequentati da artisti, poeti e
letterati. Tutto questo portò a un incremento fortissimo della sua produzione nel
Settecento: il caffè cominciò ad essere coltivato prima a Martinica, nelle Antille e poi in
Brasile, in Giamaica e nel resto del Sud America.
In Italia nell’Ottocento, da Venezia a Torino fino a Napoli il consumo di caffè è
già un rito anche se è legato soprattutto alla dimensione pubblica e ai ceti agiati. Il
consumo casalingo, dapprima legato alla semplice bollitura d’acqua e caffè, acquistato
crudo, tostato a casa in modo rudimentale, macinato e posto in pentole, si espande con
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l’invenzione della caffettiera napoletana alla fine del XIX secolo, e poi delle macchine a
pressione – la prima fu inventata a Torino dall’ingegner Moriondo - dalla quale deriva la
macchina da bar. L’espresso nasce in Italia nel 1901.
Nonostante le sue origini africane, oggi i maggiori paesi produttori di caffè sono
in Centro e Sud America – tanto che molti ancora identificano l’origine del caffè con il
Brasile! - e in estremo oriente (paesi come il Vietnam, l’Indonesia e l’India sono forti
produttori). Molto importanti anche i paesi d’origine del caffè, con gli altopiani arabici che
producono varietà molto interessanti. Anche se il consumo di caffè rimane per lo più
ancorato ai paesi occidentali, tuttavia si sta sviluppando un trend importante anche in paesi
come il Giappone e forse non tutti sanno che il maggior consumo pro capite mondiale della
bevanda si trova nell’area Scandinava. Dalla pianta Coffea, di cui si contano circa 70
specie, due sono in particolare quelle più note e commercializzate: la Coffea arabica (che
contiene una quantità di caffeina tra 1,1 e 1,7%) e la Coffea canephora (volgarmente detta
Robusta, che contiene una quantità di caffeina tra 2 e 4%).
Tè
In Occidente, il tè rappresenta, in qualche modo, una ritualità opposta a quella del
caffè. Una filosofia per la quale è essenziale riappropriarsi del tempo secondo criteri di
lentezza. Il tè, delle tre, è dunque senza dubbio la bevanda coloniale assurta a emblema di
calma e meditazione. Rispetto a cioccolata e caffè, la storia occidentale, oltre che un po’
più marginale, è anche quella più recente. Arrivato per ultimo tramite i mercanti olandesi,
il tè non si diffonderà mai, tranne in Inghilterra e in Russia, come le due bevande “cugine”
che abbiamo finora trattato. Eppure il tè, dopo l’acqua, è la bevanda più diffusa al mondo.
Esso si identifica con l’Oriente e con il luogo in cui se ne ha la prima testimonianza certa,
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sotto forma di infuso fatto da foglie selvatiche, fino dall’origini dell’era cristiana: la Cina.
Qui la varietà di gran lunga più nota e coltivata della pianta, la Camellia sinensis, veniva
chiamata in vari modi, ed è probabile che la parola tè si riferisca alla voce dialettale tay
usata nella provincia cinese di Amoy per designare la bevanda ottenuta per infusione,
oppure che derivi dalla voce araba scha che richiama il cinese cha (pronuncia tia), dati i
commerci che intercorrevano tra popolazioni arabe e Cia già dal IX secolo.
La storia del tè per molti secoli s’intreccia con quella delle comunità monastiche,
dove si iniziò a coltivare la pianta intorno al IV-V° secolo, ma in breve tempo divenne
bevanda diffusa perché usata anche per le sue virtù curative. Definito anche, in una sua
varietà, “spuma di giada liquida”, nella cultura cinese il tè si lega a una visione
complessiva del mondo, come emerge per esempio nel celebre testo di Lu Yu (760 d. C.) Il
canone del tè. Da qui, si diffonde poi in Tibet e in Corea, giungendo in India solo piuttosto
tardi. In Europa la storia del tè inizia in Olanda nel XVII secolo, grazie alla potente
Compagnia delle Indie nazionale operante sul porto di Amsterdam (il primo imbarco di
semi fu da Giava nel 1610). Da qui, fu commercializzato in Portogallo, Francia e Italia. In
Olanda il consumo di tè sostituì in parte quello della birra, per motivi analoghi a quelli già
analizzati per il caffè: bevanda stimolante ed eccitante, il tè non contiene alcol e non
intorpidisce, permettendo prestazioni lavorative più efficaci. Ma ancora nel Settecento il tè
in Occidente non è una bevanda di successo paragonabile a caffè e cioccolata. Le cose
cambiano se guardiamo alla patria del tè, l’Inghilterra, che ne assume il dominio europeo
attraverso il consumo, superando gradualmente la potenza olandese. La storia più grossa e
recente del tè inglese non è legata però direttamente alla Cina ma all’India, dove furono
coltivate – precisamente a Ceylon - già nel Seicento alcune piante. Già a metà del secolo le
coffee-houses vendono tè come infuso di foglie bollite, e divenne di moda presso la corte di
Carlo II. Nei locali il tè cominciò a sostituire il caffè: la celeberrima coffe house di Thomas
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Twining – la Tom’s coffee house – in Devereux Court, a inizio Settecento, fu la prima, in
occidente, a far degustare il tè e dovette in pochi anni aprire altre due nuove sedi per
l’inarrestabile successo.
Nell’Ottocento, l’Inghilterra iniziò a importare tutto il tè dalle sue colonie indiane,
per sfruttare gli enormi vantaggi commerciali rispetto al traffico con la Cina: nel 1836
venne fatta una prima spedizione di tè indiano Assam a Londra e, nel giro di quattro anni,
il tè indiano ebbe un enorme successo nazionale. Anche un altro nome oggi sinonimo di tè,
Lipton, si lega a questa vicenda, essendo un commerciante che fece fortuna con le
piantagioni di tè nell’Assam. Perché in Inghilterra il tè soppiantò il caffè, a differenza di
quanto avvenne in altri paesi europei? Molti storici se lo sono chiesti, ed è difficile dare
una risposta univoca. Probabilmente, ciò fu dovuto soprattutto a una potentissima
operazione di “persuasione” commerciale da parte della Compagnia delle Indie. Ma il rito
del tè è legato anche all’affascinante storia dei suoi contenitori, le teiere: di terracotta in
oriente, di porcellana in Europa. In effetti, la moda inglese corrispose alla grande stagione
dei maestri della porcellana, che crearono teiere e tazze oggi estremamente ricercate tra i
collezionisti di tutto il mondo. Il tè all’inglese si prepara secondo la regola di un cucchiaino
di tè a persona, ma ci sono molti modi di fare il tè. Quello alla russa si caratterizza per la
presenza del Samovar, simbolo di convivialità, in rame argentato, porcellana o addirittura
in oro, con un rubinetto che eroga acqua calda. Nel tè alla cinese sono invece tipiche le
piccole misure di teiera e tazzine,
Cina, India e infine Giappone: il terzo polo orientale del tè si caratterizza per una
ancora più marcata e per noi esasperata ritualità. La cerimonia del tè, legata alla filosofia
zen e cantata da pensatori e poeti, può durare anche diverse ore. Nel paese del Sol Levante
i semi della pianta arrivano alla fine del Cinquecento ma per lunghissimo la bevanda fu di
quasi esclusivo uso monastico e aristocratico, diventando popolare solo intorno al XV
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secolo. In Giappone si coltivano, secondo gli esperti, alcune delle varietà più pregiate del
mondo e le foglie di tè verde sono considerate tra le più ricercate. Come abbiamo già
scritto, tra Oriente e Occidente, la Russia è sicuramente il paese con la più antica e
sviluppata cultura del tè, perché nel XVII secolo esso è già conosciuto e apprezzato. Con
l’invenzione del Samovar, posta a metà Settecento, il cerimoniale del tè alla russa diviene
istituzione conviviale e la bevanda fu uno dei simboli dell’impero. Nel Settecento, invece,
gli altri paesi europei come Francia, Germania, Spagna e Italia sono immersi nei profumi e
nei sapori della cioccolata e del caffè. Qui il tè non scalfì mai veramente il loro dominio,
restando relegato anche successivamente a un consumo piuttosto marginale, limitato
soprattutto al tè verde.
La pianta del tè (Camellia sinensis) è molto antica: risale forse a Duemila anni
prima di Cristo ed è stata portata in Cina probabilmente dalle regioni dell’Himalaya
orientale. Ci sono sedici varietà di Camellie che producono tè ma le tipologie più note si
distinguono sulla base della lavorazione delle foglie: tè verde (non fermentato), tè bianco e
tè giallo (molto delicati, prodotti in quantità limitate in alcune zone della Cina), tè nero
(con foglie completamente fermentate, perché sottoposte a un processo di ossidazione), te
wuolong (a metà tra nero e verde, parzialmente fermentato) tè aromatizzati (inventati dagli
europei con aromi naturali o ottenuti chimicamente). La Russia è l’unico produttore
europeo. La grande quantità di tè è prodotta in Asia – Giappone, Cina, Taiwan e altri paesi
- mentre il maggiore produttore al mondo è oggi l’India.
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BIBLIOGRAFIA
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