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B.M. ARANGUREN, F. GRASSI, 2013, Sorveglianza archeologica nel fosso del Nebbiaio (Montieri, Gr),in...

Date post: 09-Jan-2023
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Sorveglianza archeologica nel fosso del Nebbiaio a Montieri (Gr) Bianca Maria Aranguren - Soprintendenza Archeologica della Toscana Francesca Grassi - CoopERA Soc. coop. [email protected] L’intervento di sorveglianza archeologica presso il fosso Nebbiaio a Montieri si è svolto, su incarico dell’Unione dei Comuni Montana Colline Metallifere, nel corso dei lavori di risistemazione dell’alveo del torrente che scende dal poggio di Montieri verso il centro abitato. La presenza di un archeologo sul cantiere è stata motivata dalle numerose attività antropiche, collegate alle varie fasi dell’estrazione e lavorazione del minerale che si sono succedute lungo il fosso del Nebbiaio nel corso dei secoli e che in parte erano già state individuate o semplicemente segnalate da archeologi dell’Università degli Studi di Siena e da appassionati locali (BIANCHI, BRUTTINI, DALLAI 2011; VATTI 1983). La produzione dei metalli monetabili, infatti, fu il centro delle attività di Montieri per tutto il medioevo: queste attività coinvolsero tutto il poggio di Montieri e la popolazione che qui risiedeva. L’estrazione dei minerali di piombo argentifero (galena), di rame (calcopirite), di zinco e ferro (blenda e pirite) avveniva all’interno delle numerose miniere scavate sul fianco della collina, il minerale subiva una serie di processi di riduzione nei forni fusori costruiti in prossimità dei fossi che dalla vetta scendevano a valle. Gli scarti o scorie della lavorazione, dette “loppe”, venivano accumulate immediatamente a valle del borgo o lasciati lungo i fossi stessi, mentre i pani di metallo venivano portati nell’edificio della zecca, che per un periodo fu anche a Montieri, nell’edificio delle Fonderie (ARANGUREN, BIANCHI, BRUTTINI 2008). Queste attività resero Montieri uno dei borghi medievali più importanti dell’intero comprensorio minerario. Pertanto, l’intervento è consistito sia nella sorveglianza dello scavo effettuato a ruspa o manualmente per l’alloggio delle briglie e di alcune parti di argine laterale in legno sia nella ricognizione sistematica di tutto il tratto del Nebbiaio interessato dall’intervento di risistemazione, dato che il passaggio del mezzo meccanico avrebbe cancellato in parte le tracce antropiche presenti nell’alveo. Esponiamo adesso in maniera geografica, da monte a valle, le evidenze documentate (Fig. 1). Nel primo tratto sono state rintracciate: un’area pertinente ad un forno fusorio nella sponda est, una carbonaia ed una struttura muraria distrutta nella sponda ovest. L’area del forno era visibile già prima dei lavori per la colorazione rossa della sponda del fosso (Fig. 4), esposta ed erosa dallo scorrere dell’acqua: si è deciso dunque di aprire un piccolo saggio di 100x200 cm, a piccone, in modo da indagare stratigraficamente i piani residui relativi alla struttura. Il saggio ha evidenziato alcune sequenze di piani di terra concotta e di terra carboniosa delimitati, nel lato opposto all’argine, da una piccola massicciata di pietre (us 8). I piani hanno restituito varie pietre facenti parte delle pareti della struttura (arenarie con tracce di combustione), molti frammenti di calcare sottoposto a cottura, due scorie, vari carboni. Tutto il contesto è sicuramente interpretabile come il disfacimento di un forno per la riduzione del minerale: le modalità d’uso delle strutture prevedeva la destrutturazione della fornace al momento della fine del ciclo di cottura di alcuni carichi di minerale; talvolta la struttura poteva essere smontata anche dopo un solo utilizzo lasciando scarse tracce della sua messa in opera nel terreno. Il fattore che ha permesso il recupero di tracce molto più cospicue nel contesto del fosso del Nebbiaio, e che dà un valore eccezionale ai ritrovamenti effettuati nel corso dei lavori, è senza dubbio legato a questa specifica area produttiva, lontana dalle abitazioni, motivo per cui dopo l’utilizzo non fu necessario smontare completamente il forno. Nell’area antistante il forno, lungo la sponda ovest del fosso, è stato documentato un ampio pianoro, di forma ellittica, con i diametri di 7 metri e 6 metri, visibilmente carbonioso in superficie nonostante la copertura costituita dal fogliame del bosco (us 4). Una volta ripulito, è stata
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Sorveglianza archeologica nel fosso del Nebbiaio a Montieri (Gr) Bianca Maria Aranguren - Soprintendenza Archeologica della Toscana Francesca Grassi - CoopERA Soc. coop. [email protected] L’intervento di sorveglianza archeologica presso il fosso Nebbiaio a Montieri si è svolto, su incarico dell’Unione dei Comuni Montana Colline Metallifere, nel corso dei lavori di risistemazione dell’alveo del torrente che scende dal poggio di Montieri verso il centro abitato. La presenza di un archeologo sul cantiere è stata motivata dalle numerose attività antropiche, collegate alle varie fasi dell’estrazione e lavorazione del minerale che si sono succedute lungo il fosso del Nebbiaio nel corso dei secoli e che in parte erano già state individuate o semplicemente segnalate da archeologi dell’Università degli Studi di Siena e da appassionati locali (BIANCHI, BRUTTINI, DALLAI 2011; VATTI 1983). La produzione dei metalli monetabili, infatti, fu il centro delle attività di Montieri per tutto il medioevo: queste attività coinvolsero tutto il poggio di Montieri e la popolazione che qui risiedeva. L’estrazione dei minerali di piombo argentifero (galena), di rame (calcopirite), di zinco e ferro (blenda e pirite) avveniva all’interno delle numerose miniere scavate sul fianco della collina, il minerale subiva una serie di processi di riduzione nei forni fusori costruiti in prossimità dei fossi che dalla vetta scendevano a valle. Gli scarti o scorie della lavorazione, dette “loppe”, venivano accumulate immediatamente a valle del borgo o lasciati lungo i fossi stessi, mentre i pani di metallo venivano portati nell’edificio della zecca, che per un periodo fu anche a Montieri, nell’edificio delle Fonderie (ARANGUREN, BIANCHI, BRUTTINI 2008). Queste attività resero Montieri uno dei borghi medievali più importanti dell’intero comprensorio minerario. Pertanto, l’intervento è consistito sia nella sorveglianza dello scavo effettuato a ruspa o manualmente per l’alloggio delle briglie e di alcune parti di argine laterale in legno sia nella ricognizione sistematica di tutto il tratto del Nebbiaio interessato dall’intervento di risistemazione, dato che il passaggio del mezzo meccanico avrebbe cancellato in parte le tracce antropiche presenti nell’alveo. Esponiamo adesso in maniera geografica, da monte a valle, le evidenze documentate (Fig. 1). Nel primo tratto sono state rintracciate: un’area pertinente ad un forno fusorio nella sponda est, una carbonaia ed una struttura muraria distrutta nella sponda ovest. L’area del forno era visibile già prima dei lavori per la colorazione rossa della sponda del fosso (Fig. 4), esposta ed erosa dallo scorrere dell’acqua: si è deciso dunque di aprire un piccolo saggio di 100x200 cm, a piccone, in modo da indagare stratigraficamente i piani residui relativi alla struttura. Il saggio ha evidenziato alcune sequenze di piani di terra concotta e di terra carboniosa delimitati, nel lato opposto all’argine, da una piccola massicciata di pietre (us 8). I piani hanno restituito varie pietre facenti parte delle pareti della struttura (arenarie con tracce di combustione), molti frammenti di calcare sottoposto a cottura, due scorie, vari carboni. Tutto il contesto è sicuramente interpretabile come il disfacimento di un forno per la riduzione del minerale: le modalità d’uso delle strutture prevedeva la destrutturazione della fornace al momento della fine del ciclo di cottura di alcuni carichi di minerale; talvolta la struttura poteva essere smontata anche dopo un solo utilizzo lasciando scarse tracce della sua messa in opera nel terreno. Il fattore che ha permesso il recupero di tracce molto più cospicue nel contesto del fosso del Nebbiaio, e che dà un valore eccezionale ai ritrovamenti effettuati nel corso dei lavori, è senza dubbio legato a questa specifica area produttiva, lontana dalle abitazioni, motivo per cui dopo l’utilizzo non fu necessario smontare completamente il forno. Nell’area antistante il forno, lungo la sponda ovest del fosso, è stato documentato un ampio pianoro, di forma ellittica, con i diametri di 7 metri e 6 metri, visibilmente carbonioso in superficie nonostante la copertura costituita dal fogliame del bosco (us 4). Una volta ripulito, è stata

campionata una porzione centrale per prelevare alcuni sacchetti di terreno ad alta matrice carboniosa, composto anche da carboni di grandi dimensioni. Si tratta senza dubbio di un’area utilizzata come carbonaia, molto diffuse nel medioevo in prossimità delle strutture produttive per ottenere il carbone per l’uso dei forni stessi: in questo caso la datazione si ricava soltanto per associazione con la struttura descritta sopra e con i numerosi reperti medievali recuperati in superficie nel fosso che delimitano l’ambito cronologico di utilizzo intensivo di tutta l’area ai secoli centrali del medioevo (XI-XII/XIII) (Fig. 2). Al di sotto della carbonaia, sulla stessa sponda del fosso, è stata documentata una struttura muraria costituita da pietre di calcare sbozzate e legate da abbondante malta, totalmente crollata. Il rilievo della struttura ha permesso di accertarne un’altezza attuale di 1,30 metri, una lunghezza di circa 8 metri, lungo l’argine, ed un’areale di spargimento del crollo molto ampio, che forma un’area di circa 50 mq. nel bosco. Della struttura è stato campionato un sacchetto di malta ed un primo confronto autoptico ha permesso di escludere una somiglianza con la malta usata per l’edificio detto “Polveriera”, poco distante, e sicuramente datata al XIX secolo. Questo ci permette di ipotizzare che tale struttura fosse un ambiente ricavato lungo il fosso e collegato alle lavorazioni stesse del minerale (ad esempio un magazzino), pertinente come cronologia al forno ed alla carbonaia, dunque medievale. Scendendo lungo il fosso, lo scavo realizzato dal mezzo meccanico per inserire due piccole briglie, ha permesso di effettuare una sezione alta circa 2 metri all’interno di un’area di discarica di miniera (us 5), visibile già in superficie ed ampia circa 100 mq. La discarica era composta da pietrame sciolto in grande quantità e durante lo scavo sono stati raccolti due grandi frammenti di maiolica arcaica, dieci frammenti di acroma depurata, una decina di scorie ed un grande cristallo di quarzo. Il secondo forno da riduzione, documentato e scavato stratigraficamente, si trovava immediatamente a valle della seconda briglia in legno, sull’argine est come il precedente. Questa struttura era già stata individuata più volte, fotografata ed oggetto di varie segnalazioni presso la Soprintendenza Archeologica della Toscana; dunque quello che si è effettuato è stato lo scavo e la rimozione completa dei resti della struttura, dato che il progetto di risistemazione dell’alveo ha previsto proprio in questo punto una piccola briglia in legno incassata nelle sponde. Il forno si identificava, come il precedente, per la colorazione molto rossa della terra presente nella sezione esposta del fosso, in questo punto alta circa 5 metri (Fig. 3). La rimozione di due alberi che impedivano di lavorare nell’area descritta ha dunque permesso di scavare lo strato rosso e di creare un’area pianeggiante per procedere allo scavo in maniera stratigrafica. Da subito è emersa la straordinaria leggibilità e l’ottima conservazione del forno: infatti, tolta la terra concotta, si sono rimaste in posto due grandi pareti del forno, scorificate e collassate forse a causa della presenza di un albero soprastante. Le due pareti (us 13 e 14) sono state rimosse interamente; ad un primo esame sembrano composte da calcare che date le alte temperature ha assunto tre colorazioni distinte, visibili a fascia. La sua forma originaria era presumibilmente a cupola ed era costruito con il materiale di cui sono state recuperate le pareti ancora in posto, benchè collassate; si trattava prevalentemente di argilla e forse, elementi di laterizio, nonchè pietra locale. All’interno della camera del forno, così come è stato possibile ipotizzarla, si è documentato uno strato di pietrisco e grandi pietre (us 15) forse depositatosi dopo il crollo del forno stesso. Questo eccezionale manufatto archeologico sembra essersi conservato proprio grazie agli alberi che lo hanno ricoperto nel corso del tempo, creando una barriera per il dilavamento della sponda. Al di sotto, sulla stessa sponda, è stata documentata un’ulteriore evidenza collegabile ad un forno da riduzione: è emerso a circa 2 metri di altezza dal fondo attuale dell’alveo uno strato (us 16) lungo circa 1,5 metri ed alto 30/40 cm di colore rosso e giallo, molto plastico ed argilloso, probabilmente appartenente al disfacimento di un forno. Potrebbe infatti trattarsi di una parte della parete del forno rimasta nella sezione ed in corso di disfacimento, come ha mostrato la sua consistenza molto plastica. Scavando lo strato in questione sono stati raccolti tre frammenti di ceramica acroma depurata medievali e due ossa, probabilmente animali. Infine, le ultime evidenze archeologiche sono state ritrovate a ridosso della chiesa di San Giacomo e sono pertinenti ad uno strato (us 19, Fig. 4) contenente numerose ossa umane, in giacitura

secondaria, e vari reperti (ceramica, vetro, scorie, quarzi) scivolati dal versante ovest del fosso che in questa parte finale presenta una parete quasi verticale molto alta (circa 10 metri). La maggiore presenza di reperti nella parte finale del fosso dipende innanzitutto dal costante lavoro di dilavamento che permette ai reperti di scivolare a valle, ma sicuramente anche dalla vicinanza della chiesa e dunque da una maggiore presenza antropica intorno all’edificio. Lo strato ha restituito infatti tutti materiali medievali, in lacuni casi databili con precisione, per la forma e la tipologia del reperto, ad un arco ristretto di secoli, compreso tra XI e XIII. In particolare hanno questa datazione così puntuale alcuni frammenti di ceramica grezza (olla) e due anse di brocca depurata. Per quanto riguarda alcune ossa umane raccolte durante lo scavo della parte terminale del fosso, esse sarebbero relative al dilavamento del pendio (us 20) che si trova sul fianco sud della chiesa, oggi tagliato per la costruzione dello stretto passaggio che permette di accedere alla parte absidale ed al fosso stesso. Questo terreno, come risulta ben evidente, era sino a pochi decenni fa parte integrante del complesso ecclesiastico e risultava allo stesso livello di calpestio di una porta ancora oggi visibile sul lato in questione della chiesa, che immetteva direttamente sul poggio. Questo spazio, nel corso dei secoli, fu usato come area cimiteriale e soltanto l’apertura del corridoio laterale ha interrotto la continuità che esisteva tra l’edificio e l’area di sepoltura. Durante il lavoro è stato raccolto tutto il materiale relativo a resti ossei, cercando di allargare la raccolta anche all’area soprastante il corridoio stesso: nessun resto si trovava in giacitura primaria. In conclusione, durante il lavoro di sorveglianza sono state censite, documentate ed in alcuni casi completamente scavate ben sette evidenze archeologiche di notevole valore per la ricostruzione della frequentazione medievale dell’area del poggio di Montieri e del fosso del Nebbiaio: tre forni per la riduzione del minerale, una struttura muraria, una carbonaia, un’ampia discarica di miniera ed un’area sepolcrale. BIBLIOGRAFIA B. M. ARANGUREN, G. BIANCHI, J. BRUTTINI, 2008, Montieri (Gr). Archeologia urbana: l’intervento in via delle Fonderie, Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, 3/2007, pp. 435-442. G. BIANCHI, J. BRUTTINI, L. DALLAI, 2011, Sfruttamento e ciclo produttivo dell'allume e dell'argento nel territorio delle Colline Metallifere grossetane, E. DE MINICIS (a cura di) Risorse naturali e attività produttive. Il caso di Ferento a confronto con altre realtà, II Convegno di studi in memoria di Gabriella Maetzke, Viterbo 27-28 aprile 2010, vol. 12, pp. 249-282. G. VATTI, 1983, Montieri. Notizie storiche, Firenze.

Fig. 1: vista GIS del fosso del Nebbiaio rispetto al paese di Montieri e posizionamento delle evidenze archeologiche documentate

Reperto/provenienza us 2

us 3

us 5

us 7

us 12

us 13

us 16

us 19

us 20

Sporadico fosso

Totale

Acroma depurata 10 1 3 6 19 39 Maiolica arcaica 2 2 Acroma grezza 1 1 Ferro medievale 1 1 2 Quarzo 1 2 3 Ossa animali 1 2 2 6 Ossa umane 11 14 25 Scorie di riduzione 10 2 9 11 32 Pareti forno 1 4 1 8 2 16 Vetro medievale 1 1 Totale 2 5 26 1 2 8 5 31 14 33 127 Fig. 2: quantitativo di reperti recuperati nel corso della sorveglianza archeologica, divisi per classi ed espressi in numero di frammenti

Fig. 3: le pareti del forno da riduzione ancora in posto (us 13 e 14) ed il riempimento interno formatosi dopo l’abbandono della struttura (us 15)

Fig. 4: a sx è visibile lo strato ricco di reperti antropici, in forte pendenza, oggetto di un dilavamento costante nell’alveo del fosso (us 19).


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