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Cioran: Uno spirituale dei nostri tempi

Date post: 22-Mar-2023
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Uno spirituale dei nostri tempi: Emile Cioran Prefazione Mentre leggevo Cioran, mi sono più volte chiesta: Perché Cioran ha scritto, e pubblicato i suoi libri, invece di bruciarli? Per sfuggire all’insonnia e per non abbandonare la sua individualità? In una intervista realizzata a Parigi nell’ottobre 1990, Cioran dichiara di aver fatto uso dello scrivere come terapia. Se lo scrivere vuol dire rimanere ancora attaccati alla vita, la liberazione è nell’astensione all’atto. Cioran afferma che il liberato non compone poiché è completamente distaccato dal mondo e dalle parole in quanto mere illusioni e per l’appunto, perdendo il contatto con le parole, si perde il contatto con gli esseri. Perché leggere Cioran? Come poter trovare consolazione o gusto nei suoi scritti senza speranza e ansie apocalittiche? Paradossalmente la scoperta del vivere, la conoscenza del vivere e del vivente, viene distrutta dalla rivelazione della verità che nega se stessa. Tutto è frivolo e le ultime verità sono solo nostalgia dell’essere, dell’Essere a cui non riusciamo più ad essere fedeli. 1
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Uno spirituale dei nostri tempi: Emile

Cioran

Prefazione

Mentre leggevo Cioran, mi sono più volte chiesta:

Perché Cioran ha scritto, e pubblicato i suoi libri, invece di

bruciarli?

Per sfuggire all’insonnia e per non abbandonare la sua

individualità?

In una intervista realizzata a Parigi nell’ottobre 1990, Cioran

dichiara di aver fatto uso dello scrivere come terapia.

Se lo scrivere vuol dire rimanere ancora attaccati alla vita, la

liberazione è nell’astensione all’atto. Cioran afferma che il

liberato non compone poiché è completamente distaccato dal mondo e

dalle parole in quanto mere illusioni e per l’appunto, perdendo il

contatto con le parole, si perde il contatto con gli esseri.

Perché leggere Cioran? Come poter trovare consolazione o gusto

nei suoi scritti senza speranza e ansie apocalittiche?

Paradossalmente la scoperta del vivere, la conoscenza del vivere e

del vivente, viene distrutta dalla rivelazione della verità che

nega se stessa. Tutto è frivolo e le ultime verità sono solo

nostalgia dell’essere, dell’Essere a cui non riusciamo più ad

essere fedeli.

1

Siamo condannati ad un reale intrinsecamente non autentico e ad

una vita insincera poiché l’autentico distrugge il non autentico e

trovandosi quest’ultimo ad essere l’unico reale.

Per Cioran quando si scopre il fondo di noi stessi, non vi è più

mistero poiché mistero vuol dire possibilità , probabilità,

scelta. Cioran ha un effetto terapeutico in quanto non vi e

traccia di auto commiserazione, ci stimola alla riflessione di un

mondo che ci appare sempre più indecifrabile seppure tutto, o quasi,

spiegato.

Come scriveva il Leopardi: «Il vero certamente non e’ bello: ma

pur anch’esso appaga, o se non altro, affetta in qualche modo

l’anima, ed esiste senza dubbio il piacere della verità e della

conoscenza del vero, arrivando al quale, l’uomo pur si diletta e

compiace, ancorché brutto e misero e terribile si questo tal

vero»1.

La riflessione che emerge dagli scritti di Cioran è la perdita di

interesse nel mistero come realtà assoluta ed indiscutibile, sulla

morte e la vita, che caratterizza il nostro presente storico. Fino

a che esiste la domanda del senso e la credenza nel mistero

esistiamo noi, quando si perde interesse nella magia della vita si

cade inevitabilmente in ciò che Cioran definisce cattiva eternità o

oblio nell’eternità negativa.

Quando il senso scompare noi scompariamo con esso e Cioran annuncia

questa caduta di senso generalizzata oramai applicata ai nostri

tempi.

Solo l’illusione permette la vita. Solo l’illusione è origine, è

inizio, è storia. Quando non pensiamo, o “pensiamo a nostra

insaputa”, la chiaroveggenza emerge dal silenzio, essa è: «il solo

1 G. Leopardi, Zibaldone, pag. 810

2

vizio che renda liberi, liberi in un deserto»2. Dunque la libertà è

direttamente proporzionale alla quantità di illusioni che l'uomo

della conoscenza ritiene. La lucidità è appunto questa

chiaroveggenza, coscienza fuori da se stessa che riflette il

vuoto, un abisso di vacuità. «La sfortuna vuole che, una volta

lucidi, lo si diventi sempre di più: nessuna possibilità di barare

o di recedere. E questo progresso si compie a danno della

vitalità, dell’istinto»3. Una volta divenuti lucidi, coscienti, non

ci si può fermare dall'essere ancora più lucidi. E' dunque un

crescendo, la lucidità non è un momento, quanto piuttosto uno

stato della mente fuori da se stessa nel senso di consuetudine e di

tradizione delle categorie spazio-temporali, una sorta di

illuminazione e di taglio netto.

Ma se come sottolinea Rensi, le categorie conoscitive come lo

spazio e tempo sono essenzialmente non solo le categorie tramite

le quali conosciamo ma costituiscono essenzialmente il mondo

conoscibile come potersi tirare fuori e concepire o sentire ciò

che non è materialmente conoscibile?

La lucidità, afferma Cioran, è un «flagello, cui giunge l’uomo che

ha cessato di essere natura». Quindi diremo un uomo sciolto dalle

categorie conoscitive dunque tolto dall’esistenza ordinaria, dal

mondo materiale.

Non potendo recuperare persino le antiche follie o i dubbi

deliranti cosa gli rimane ad un uomo che abbia raggiunto delle

ragioni destituite di fondamento, perdendo il fondamento unico?

«Si sceglie, si decide fintanto che si rimane alla superficie

2 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag.183 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 47

3

delle cose; appena si va al fondo, non si può più decidere, né

scegliere, si può solo rimpiangere la superficie»4.

La libertà presuppone la rinuncia all’identità ma la stessa

rinuncia produce la mancanza di altre vie di scelta. Vivere senza aver

capito vuol dire non vivere, ma credere di vivere. Ma togliendo

alla vita la fiducia riposta non possiamo che allontanarci da essa

come protesta e come dovere. Si vive finché si è ingenui,

inconsapevoli, autentici illusi.

L’uomo è «un essere della distanza, del distacco dell’altro

essente, da altri suoi simili e persino da se stesso»5. Con il

pensiero pongo una distanza tra me e l’altro.

Distanza necessaria all’identità. Ma questa volontà di essere,

l’identità, per Cioran, rappresenta il vicolo cieco

dell’esistenza.

Per Cioran è quello dell'uomo spirituale un percorso vacante che

lo spinge oltre confini estremi dove si sprofonda nel baratro del

Vuoto, nel non essere, l’indistinto, il non attributi, il non

nominato, identico solo a se stesso, indifferenziato.

Sotto di esso la vita come la morte si trovano prive di un senso e

il noi si smarrisce nel non sapere più, né perché vivere, né per

cosa morire. Dunque l’uomo consapevole, lungi dall'essere un uomo

nuovo nel senso di trasfigurazione positiva, è un uomo solo,

separato dalla coscienza, devastato, gettato nel vuoto del se

stesso, è un sopravvissuto di se stesso, sofferente; «Non ho

niente, ho solo fatto un salto fuori dal mio destino, e ora non so

più verso cosa voltarmi, verso cosa correre…»6.

4 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 1485 Wilhelm Weischedel, Il dio dei filosofi. Fondazione di una teologia filosofica nell’età del nichilismo, Genova 1988-1994, vol III, pag. 3216 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 187

4

Nel momento stesso che cerchiamo disperatamente la vita, non

possiamo che negarla.

Il risveglio interiore è un inconveniente poiché la nostra ragione

e dunque il nostro essere non reggono la verità dell’illusione

cosmica. Senza Dio o la coscienza cosmica o Essere non ci rimane

che il vuoto. Sulla tematica del Vuoto ne torneremo a parlare in

seguito poiché entrambi Cioran e Rensi hanno appunto affermato

come il Vuoto rischia d’altro canto di diventare pieno perdendo la

sua funzione di costante travalico.

Per Cioran non vi è via d'uscita se non esercitare il “non

volere”, il libero e l'unico arbitrio del non agire. Di

conseguenza dobbiamo liberarci della vita, vivere senza credere.

Cioran definisce Nietzsche, l’Ingenuo per eccellenza, il Genio

che ha voluto per forza dare all’Umano ancora un valore, al

possibile ancora un posto sicuro e alla libertà una sfera

privilegiata. Ancora voler essere altro, il superuomo non è altro

che un volere positivo, un tendere altro da se, un altro migliore.

Il si alla vita, l’amor fati, il superuomo nella visione di Cioran

non sono altro che gli ultimi bagliori di luce prima del distacco

totale, o meglio, l'euforia della nascita, intesa come rinascita,

risveglio dall’accecamento, contrapposti alla delusione

conseguente. La stessa idea dell’ Eterno Ritorno da Cioran viene

interpretata come una tendenza o bisogno di redimere il senso nel

non senso. Rensi afferma, che vi è in fondo alla filosofia di

Nietzsche un ottimismo che potremo paragonare all’idea di

Progresso inteso sempre come superamento e miglioramento.

Riprendendo ancora la filosofia buddhista il Nostro afferma che

la libertà è in primo luogo rinuncia all’io fino a giungere

all’indifferenza, al distacco da noi, dalla nostra storia

5

personale, all’anonimato. Il liberato non ha nulla e non deve

lasciare tracce dietro di sé, vivere come non essere dunque. Per

questo l’uomo per Cioran è condannato perché “inadatto” per sua

natura, ambiguo, sia all'animato che all'inanimato.

Se la libertà si ottiene cercando di tagliare tutto quello che ha

a che fare con le lacrime e il sangue possiamo divenire liberi ed

essere ancora vivi?

Le grandi emozioni come la rabbia e l’odio sono catene per i

Taoisti.

Ma liberandoci dal "male” possiamo ancora vivere? Possiamo ancora

“sentirci”? Se è solo tramite la sofferenza che ci sentiamo vivi,

se solo attraverso il dolore vediamo noi stessi, allora come è

possibile seguire il buddhismo dove è proprio il dolore da

eliminare per elevarci? Eliminandolo il dolore, trascendendolo,

possiamo ancora pensare di essere vivi? Il male e’ essenziale alla

vita e alla storia. La vita è possibile solamente in quanto morire

agli istanti dell’eterno presente, respingere «il rimpianto della

nostra antica felicità»7. Il male è la vita, l’assurdo. Fuori da

questo c’è il nulla.

7 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 109

6

Capitolo I: Oltre la filosofia

Diari intimi di scettici: Rensi e Cioran

Rensi e Cioran sono i filosofi dell’interiorità, degli stati

limiti dell’uomo che si mette in questione radicalmente senza

approdare ad alcuna speranza, ma che non può fermarsi dal cercarla

febbrilmente. Nei loro testi emerge una esperienza umana

condannata a non poter avere fede, dilaniata da un dubbio

persistente che li allontana dall’assoluto e nel contempo li

spinge a cercarlo. Considero qui prendere in considerazione un

lato che accomuna questi due filosofi, un filo conduttore segnato

da un passaggio, un sentire terribile e unico che conduce allo

scetticismo metafisico, esistenziale, conoscitivo.

«Un pensare a propria insaputa»8, «un fluire dal cervello come una

piccola corrente di lava»9, che cambia il pensiero rendendolo8 E.M.Cioran, Il Funesto Demiurgo, pag. 569 G. Rensi, La filosofia dell’assurdo, Adelphi, pag. 14

7

spietato sulle cose della vita in virtù del loro necessario

tendere verso la morte e la solitudine.

Il loro scetticismo è dunque segnato da una sorta di sentire, un

sentire non derivato dall’esperienza, quindi derivato da se

stesso, «prima di ogni esperienza»10, quel sentire proprio dei

mistici. A ben ragione possiamo considerarli degli spirituali

senza speranza, religiosi senza religione, scettici sofferenti,

poeti senza essere credenti.

Le loro inquietudini non trovano pace in nessuna direzione o

risposta, vacillano tra l’essere e il non essere, tra il tempo e

l’eternità, tra il divenire e l’atemporale, sempre in bilico nella

doppiezza, affermano e rinnegano ciò che e’, l’essere, la vacuità

stessa di ogni sentimento, pensiero o credenza. Tutto ciò che è

nel tempo muore. Ossessionati dalla percezione di ogni istante

nell'irreparabile, nel non essere. Nulla ritorna, tutto è

destinato a scomparire per sempre, nell’eternità, nel non essere,

e a sprofondare nella «massa anonima dell’irrevocabile»11.

Tutto viene inghiottito nel nulla. Con loro è trovarsi immersi in

un vero e proprio scetticismo viscerale, disgregante e onesto fino

in fondo, che include in se il pessimismo o nichilismo come

naturale conclusione nel senso di dolore della conoscenza che

equivale a conoscenza del dolore. La filosofia come concepita dai

Nostri, deve essere un pericolo per la vita, un fuoco ché divora e

che stimoli la diffidenza verso se stessi, per giungere al

confine, l’ultimo limite oltre il quale la negazione stessa non ha

più motivo di negare.

10 Benjamine Fondane, Rimbaud, la Canaglia, Castelvecchi, trad. di Gian Luca Spadoni 2811 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 270

8

Ciò è possibile aprendo gli occhi sull’assoluto e la ragione come

responsabili dell’accecamento.

«Vedete le contraddizioni come qualcosa di predominante, che

giganteggia su ogni armonia ed ogni armonia distrugge, e la storia

come semplicemente l’arena, sanguinosa e dolorosa, senza senso e

soluzione, delle contraddizioni stesse? Siete irrazionalisti,

sensisti, scettici, atei, ed il vostro temperamento è

pessimista»12.

La storia per Cioran e Giuseppe Rensi è la manifestazione

dell’irrazionale e dell’assurdo. Ripetizione ed assurdo. Assurdo

perché ripetizione, ripetizione perché eternità d’assurdo.

Entrambi vedono la perfetta congiunzione tra storia e

contraddizioni sostenendo che la storia e le contraddizioni sono

una cosa sola. Il presente risulta sempre come non, ovvero come

non attualizzazione, non ancora realizzazione del processo divino o

razionale. Ma perché vi sia processo storico c’è bisogno

dell’assenza dello spirito.

Vorrei analizzare la tematica delle contraddizioni, le quali,

tramite la loro intrinseca vitale natura, producono la storia e

come l’eliminazione, alterazione o soppressione di queste

rappresenta il pericolo che oggi chiamiamo realtà virtuale, ovvero

un’altra realtà copiata quindi esente dalle contraddizioni e

miserie della realtà poiché astrazione della realtà privata del

tempo, del divenire, dunque tempo senza materia.

«La storia, poiché non è che vita ed esplicitazione di una realtà

irrazionale, non può essere, e non è, che una serie di casi

assurdi»13.

12 G. Rensi, La filosofia dell’assurdo, Adelphi, pag. 2913 G.Rensi, La filosofia dell’assurdo, pag. 167

9

La storia è composta da azioni e idee causali legati alla

temporaneità, ad una risposta ai bisogni attuali, che cambiano, si

scontrano, si susseguono senza una direzione predestinata. Diciamo

di qualcosa essere predestinato a fatto accaduto, quindi dopo

l’evento non prima. Non vi è nessuna necessità.

Lo scetticismo non è un movimento di pensiero, ma una

trasformazione che possiamo definire traumatica nel senso di

rottura dallo stato precedente esistenziale, metafisico, un trauma

senza causa prima, una rottura senza avvenimento esteriore che

l’abbia preceduto.

Il loro scetticismo non è solamente una tappa del loro filosofare

come per Hegel che vede nello scetticismo un momento necessario

per l’apertura alla possibilità dell’infinito.

Lo scetticismo non è una filosofia, è l’unico infinito modo di filosofare.

Nella loro visione filosofica lo scetticismo rappresenta dunque

l’unica vera presa di coscienza in un mondo illusorio e

irrazionale. Si può vivere solo rimanendo nell’incoscienza, intesa

come non coscienza della coscienza, sedotti dalle illusioni

dell’esistere fino a quando non si varca la soglia dell' albero

della Conoscenza sotto il quale: «decisamente non è bello

indugiare»14 Vediamo come lo scetticismo si affermi come sola

alternativa quindi necessaria alla profondità, si sostituisce al

pensiero stesso ed elimina la possibile scelta di altro tipo di

filosofare che non annulli la filosofia stessa nel suo voler a

tutti i costi definire ed andare oltre le contraddizioni. Ciò che

sembra reale è apparenza, illusione, incubo.

Quando non c'è più realtà da nessuna parte, siamo inevitabilmente

dei sopravvissuti, per quanto forte sia la nostra vitalità e

14 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 121

10

imperiosi i nostri istinti, ma diventano solo « falsi istinti e

falsa vitalità»15.

Lo scettico profondamente segnato continua a vivere ma non alla

maniera degli altri poiché «la lucidità non estirpa il desiderio

di vivere, tutt’altro, rende solo inadatti alla vita».

Lo scettico, il lucido pur trascinandosi nella durata temporale,

non può fare a meno di spostare l'attenzione alla inconsistenza

dell’esistere.

Il tempo è una costruzione diabolica ma necessaria, un male che

investe noi e la natura nel ciclo di vita e di morte, nel tempo

vivono le contraddizioni e gli opposti, la luce e le tenebre, ed è

nel tempo che la vita fiorisce. «L’io si dissolve a contatto con

il paradiso. Fu probabilmente per evitare quel rischio che il

primo uomo fece la scelta che sappiamo»16.

La vita è nel tempo, e la libertà svincolata dal tempo non ha più

motivo d'essere, è una libertà fuori dalla vita. Non c'è salvezza

né nell'esistenza, né nel nulla, né attraverso la storia. «Perire

è la formula segreta della salvezza»17.

La salvezza non esiste poiché quando siamo da un lato

dimentichiamo l’altro o ne siamo all’oscuro e dunque siamo illusi,

quando siamo nell’ignoto, nel non essere, la salvezza è nel non,

dunque moriamo a noi stessi e alla vita.

«Mi svincolo dalle apparenze e ciò nondimeno rimango impastoiato;

o meglio sono a metà strada fra quelle apparenze e questa cosa che

le infirma, questa cosa che non ha né nome né contenuto, questa

cosa che è niente e che è tutto. La mia natura mi obbliga a

ondeggiare, a perpetuarmi nell’equivoco, e se tentassi di decidere

15 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 61716 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 9017 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 675

11

in un senso o nell’altro perirei della mia stessa salvezza»18.

Questa cosa è l’equilibrio, quello che si instaura immediatamente

tra opposti e che illumina i contrasti. Ma in fondo non è proprio

questa la speranza dei pensatori scettici dal “sangue caldo", se

non rimanere in attesa di quella cosa feconda sebbene disgregatrice?

La lucida consapevolezza approda necessariamente allo scetticismo

come l’unica verità a cui la ragione portata al limite, naufraga,

poiché per i Nostri, una mente che non si spinge fino ed oltre la

negazione delle negazioni, all’insorgere del dubbio durante la

negazione stessa, è una mente ingenua. A questo proposito Rensi

scrive:

«Tutte le volte che il pensiero umano ha toccato la sua massima

profondità – in Buddha,

nell’Imitazione di Cristo, in Spinoza, in Tolstoj – ha affacciato la

medesima esigenza : la

soppressione dell’io. Che poi coincide , a ben considerare, con la

severa e implacabile lezione che la morte ci impartisce»19.

Diretti e spietati, i loro scritti rivelano una coerenza che è già

all’interno della contraddizione stessa senza volerla risolvere. E

la contraddizione per eccellenza e’ la consapevolezza della morte

nella vita. Questo porta Cioran ad affermare che quando: «non si

specula più sulla morte, ma si è la morte»20, l’esistenza si

trasforma in una lenta agonia dell’Io, dell’ego, del nostro centro

vitale.

Il delirio o il desiderio sebbene ipocrita e illusorio che

costituisce la vita è smascherato e distrutto. La vita si svuota

di ogni contenuto poiché il contenuto fatto di speranze e sogni o

18 E.M.Cioran, L'inconveniente di essere nati, pag. 1319 Rensi, G. La filosofia dell’assurdo, pag. 4620 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 156

12

utopie sono illusioni, parvenze di realtà. La verità è tremenda in

quanto contiene la dissoluzione dell’idea stessa di una verità

misteriosa. C'è quindi una verità senza pretesa di essere tale ma

che vanta una infallibilità sulle altre negandole tutte o meglio

negando l'assolutezza di ciascuna.

«Infatti tutta la filosofia, dal fedone all’idealismo attuale si

può prospettare come uno sforzo sempre più complicato e sottile,

sempre meno ingenuo, sempre più astuto, infaticabile a cercare

nuove vie, elaborate, tortuose, strane, evanescenti man mano che

ognuna delle precedenti veniva distrutta, perdentesi infine, nella

nebbia, ma incoercibile e sempre risorgente per cancellare il

fatto della morte»21. Ed e’ appunto -il fatto della morte- ciò che

affascina in queste figure sono le intuizioni fulminanti, il

tragico che emerge nel ripudio di tutto, nella disperazione della

condizione umana, di tutto l'Universo.

Il distacco dalle nostre certezze ci proietta fuori dalla natura,

ci sottrae alla magia del possibile, ci costringe alla negazione

totale, tagliamo i fili che ci legano al tempo, oltrepassiamo i

sentimenti e la nostra finitudine ci assale. La nostra abituale

visione del mondo non ci serve più perché è irrimediabilmente

deformata, o meglio trasfigurata.

Una disperazione che rasenta l’assurdo, per tal motivo possiamo

considerare come il Rensi, Cioran, i filosofi dell’assurdo per i

loro paradossi, contraddizioni, una delle quali e’ che la vita non

merita di essere vissuta se non con la vista sulla morte. Ma

appunto questo sentimento della morte porta l’uomo ad un

atteggiamento diverso.

21 Rensi. G, La filosofia dell’assurdo, pag. 41

13

Renzi ribaltando la famosa definizione hegeliana della realtà e

razionalità, afferma che “Ciò che e’ reale e’ irrazionale, e ciò

che e’ irrazionale e’ reale”.

Per questo la realtà è assurda insieme alla ragione, poiché

esistono le ragioni e di conseguenza contraddizioni.

«Respiriamo nel molteplice»22. Dietro ogni uomo che dispensa

certezza si nasconde un carnefice poiché: «quando ci si rifiuta di

ammettere l'intercambiabilità delle idee, scorre il sangue...Sotto

le risoluzioni ferme si leva un pugnale»23.

Non possiamo ignorare quanto sia vero il fatto che ogni volta che

un’ideale assoluto ha voluto prevalere vi sia stato il massacro

della libertà individuale.

D’altra parte oggi il pericolo è che non si tratta di ideali ma di

cose inconsistenti, praticamente irreali e assurde dove la

politica, perdendosi gli ideali, ha perduto interamente il suo

spazio. Il mercato finanziario ed internet sono i nuovi veri

assoluti contemporanei che schiacciano l’individuo poiché realtà

esterne ed incompatibili. Ma anche loro sono mossi da un

meccanismo che potrebbe d'un tratto incepparsi e sommergerci in

una apocalisse concreta.

Sistema e Morte

Il sistema con le sue pretese di concludere e racchiudere serve

per «aiutar l’uomo a “non pensarci”, a stornare gli occhi dalla 22 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 8123 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 14

14

realtà, è l’anima di quella filosofia per cui la storia o il

processo è luminosa estrinsecazione dell’assoluto e del divino. E’

dunque, in fondo, nient’altro che l’anima del grossolano gaudente,

che vuole ad ogni costo chiudere occhi e cuore alle afflizioni,

alle sofferenze»24.

Ciò a cui il sistema aspira è l’ideale di non contraddizione.

Cioran come Rensi ammirano gli scettici greci che non pretendono

di superare le contraddizioni mediante il sapere, ma le

“sopportano” poiché le contraddizioni, non sono parte della vita

ma producono la vita stessa e la storia come somma delle singole

culture.

«Poiché non v'è filosofo grande e significante in cui non siano

state additate delle innegabili contraddizioni.. con passione e

sincerità e senza preoccuparsi d'altro che di vivere il suo

pensiero vi ha collocato elementi contraddittori, gli uni o gli

altri dei quali potrebbe, sì, eliminare, ma solo a costo di

sopprimere ciò che anche percepisce come verità, ed i quali quindi

eliminare non vuole perché sente che tutti, per quanto

contraddittori, corrispondono a verità, e che, qualunque di essi

sacrificasse, sacrificherebbe verità».25

Per questo il sistema in filosofia, rappresenta una violenza da

parte di una verità che vuole prevalere sulle altre per disporle

in un ordine o in una logica anche morale, dunque, «la peggiore

forma di dispotismo e’ il sistema, in filosofia e in tutto»26.

E’ infatti la vita stessa ad essere multiforme e contraddittoria e

le forme urtano inevitabilmente con la vita che è dolore, morte e

finitudine e per questo incontrollabile e imprevedibile, La vita

24 G. Rensi, La filosofia dell’assurdo, pag. 11125 G. Rensi, La filosofia dell’assurdo26 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 111

15

e’ irrazionale e quando si cerca di razionalizzarla le togliamo

l’elemento vitale, l’elemento tragico. Il sistema è ricerca

d’equilibrio, aspira e abdica alla vita, che è essenzialmente, a

quanto afferma Cioran, uno stato di squilibrio. Ma l’equilibrio è

proprio dell’inerte, dell’ inorganico, del non essere. Nel

raggiungimento dell’armonia, questo falso perfetto attributo

assoluto, tentativo di chiarire le contraddizioni, di giustificare

speranze, il sistema mira alla sua distruzione in quanto pretesa

di verità, quindi assurdo.

Il sistema dunque è la continuazione di una «falsa speculazione di

costruzione su un fondo di nulla», in verità un tentativo di

fuggire alla morte poiché: «non cominciamo a vivere realmente se

non una volta giunti in fondo alla filosofia, sulla sua rovina,

quando abbiamo capito sia la sua terribile insignificanza, sia

l’inutilità del farvi ricorso, in quanto non è di alcun aiuto»27.

Il sistema non è che evasione dal problema della morte,

dell’angoscia dell’indefinito e della disperazione. Il desiderio

di sfuggire, di salvarsi, di soffrire, è insito in qualsiasi teoria

o forma precisa di esistenza, «l’anima di chi non vuol saperne di

seccarsi con l’idea della morte e del dolore, ne scaccia da sé il

pensiero e il ricordo»28.

La filosofia lontana dal sentire, la filosofia che mira solo alla

presunzione intellettuale e linguistica è una filosofia morta, che

cessa di lottare, si arrende e si accomoda da un lato. Molto

significativo il seguente passo del Rensi:

«Non ai vincitori, ma ai vinti, ai seguaci d’ogni idea

vinta..Poiché è quando l’uomo vede che la sua idea è prostrata e

trionfa quella contraria alle sue più profonde convinzioni (cioè 27 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 6928 Ibidem

16

l’assurdo), che il velo di Maya gli si squarcia ed egli scorge che

il mondo è irrazionale»29.

Il Nichilismo e il Vedanta sono le uniche strade per Cioran, o

“mezzi” che per il fatto di essere tali possono superarsi. Fino a

quando rimaniamo fedeli all’uomo e al nostro io non vi può essere

una elevazione spirituale sincera e non vi può essere redenzione

se non nel rimanere nel disgusto di se, morire a se stessi.

Solamente il sentire risulta essere l'unica forma vera, l’unica a

vedere la realtà dell’irrealtà: «neanche la minima traccia di realtà da

nessuna parte, se non nelle mie sensazioni di non realtà»30. Quando

la costruzione della realtà è compresa come illusione, penetriamo

nell’irrealtà, e la realtà viene a coincidere con la sola

sensazione reale fissa in una certezza di non realtà. Il sapere

noto e’ una barriera da infrangere e le verità generalmente

accettate per Cioran meritano di essere ridicolizzate fino alla

fine poiché esse pretendono di essere vere ma non sono reali. Solo

le verità che sconvolgono e a volte antitetiche a quelle apprese

attraverso il ragionamento meritano di essere cercate. Ma questa

forza esplosiva derivata dalla visione dell'irrealtà, richiede la

mortificazione delle nostre certezza, delle cosiddette verità

oggettive e di tutto il nostro sapere appreso senza travagli come

afferma Cioran.

«Per concepire l’irrealtà, e lasciarsene penetrare è

indispensabile averla senza sosta presente allo spirito. Il giorno

in cui la si sente, in cui la si vede, tutto diventa irreale, a

esclusione di questa irrealtà».31 Dunque la constatazione che tutto

è irreale, illusorio, assurdo è l’unica certezza che emerge,

29 G. Rensi, La filosofia dell’assurdo, pag. 1430 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 10131 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 55

17

l’unica prova e risposta della contraddizione intrinseca di ogni

cosa, dell’illusorietà del tempo e dello spazio.

Questo sentire non può essere trasmesso, è un vedere oltre gli

occhi fisici quando si comprende che «duriamo finché durano le

nostre finzioni»32, che tutto è illusorio, ma la vita senza

illusioni non è possibile.

Sulla trasformazione del filosofo in poeta

La filosofia, per essere tale deve essere viva, deve avere

un’anima.

«C’è una conoscenza che toglie peso e portata a quello che uno fa-

e per la quale è tutto privo di fondamento, tranne essa medesima»33

e dopo l’accesso a questa altra conoscenza il filosofo non può fare

a meno di filosofare in modo poetico.

Alla fatica del concetto dunque si oppone la contemplazione o

l’estasi per accedere alla conoscenza, poiché avere fiducia nel

pensiero vuol dire chiudere le porte all’infinito, chiudersi in un

orizzonte e non toccare l’essenziale che e’ dato proprio dal

fallimento del pensiero o meglio del suo limite. Il pensiero è

separazione tra noi e il mondo, contrapposto alla contemplazione e

all'estasi.

32 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 21433 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag 9

18

La filosofia come concepita da Cioran, deve scavare nelle nostre

profondità fino a spingerci nell’irreparabile, dove vacillano le

nostre realtà e la realtà stessa si inscrive nel dominio dell’

insensatezza.

L’ uso della scrittura aforistica rispecchia come Cioran praticò

la filosofia ovvero ricerca ininterrotta all’acquisizione di punti

di vista sempre nuovi e diversi, senza timore di contraddizioni.

Gi aforismi, le sintesi fulminanti, l’originalità del suo stile,

la singolarità nell’uso delle parole riportate alla loro origine e

limite, portano il lettore ad una intima condivisione poiché

ognuno di noi ha provato un dolore, almeno una separazione.

Ci coinvolgono appunto poiché rimandano alla nostra storia, alla

propria solitudine e all’andare inesorabilmente verso la morte,.

L’uso dell’aforisma meglio si presta a descrivere squarci di

solitudine, tristezze e gioie indefinibili fino a sfiorare

l’inafferrabile. «Coltivano l’aforisma soltanto coloro che hanno

conosciuto la paura in mezzo alle parole, quella paura di crollare con

tutte le parole»34.

Ma il filosofo è nemico del disastro, «è tanto sensato come la

ragione, e tanto prudente come essa»35 e il suo lavoro è appunto

adularla e proteggerla. Cioran aspira ad una filosofia autentica,

generata nei momenti di solitudine, composta da visioni, come

avviene nella poesia, dove tramite una comunicazione di

impressioni e di universali angosce il poeta penetra nel lettore e

lo costringe al confronto, scava nelle profondità dei nostri

abissi fino al naufragio del pensiero. Necessario ricordare il

Leopardi, sulla figura del “filosofo perfetto” afferma: «E’ del

tutto indispensabile che un tal uomo sia sommo e perfetto poeta; 34 E.M.Cioran, Sillogismi dell’amarezza, pag. 1535 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 646

19

ma non già per ragionare da poeta; anzi per esaminare da

freddissimo ragionatore e calcolatore ciò che il solo ardentissimo

poeta può conoscere»36.

Poiché il poeta sa della morte ed è il sentimento della finitudine

e il dolore della vita che il poeta descrive. Trovo che vi siano

similitudini tra Cioran e il poeta maledetto Rimbaud, come la

rabbia, il disprezzo, la ribellione, che si rivelano nei loro

fulminanti deliri poetici.

Vi e’ in entrambi la rivolta rabbiosa verso l’inconsistenza della

nostra esistenza e poi il disgusto e rifiuto della stessa.

Ribelli contro la vita e le illusioni, delusi e soli «vanno

deliberatamente verso la demenza, la disperazione, la morte, senza

motivo plausibile»37.

Entrambi si ribellano sino ad incontrare il problema fondamentale,

che è quello di non potersi ribellare contro nessuno. Ci si può

ribellare alla politica, al sistema, a tutto. Ma quando ci si

ribella all’Essere, alla vita, trascinarsi nell’esistenza e

nell’esistente, a chi poter gridare contro? La natura stessa non

ha colpe se non quella di rivelarci ogni istante il nostro

fallimento dovuto all’arroganza del volerci voluti differenti da

lei.

La natura si vendica nel rivelarci che non possiamo fare nulla per

cambiare un destino che illudendoci di poter essere unico abbiamo

allontanato la natura dalla nostra essenza.

«Il bersaglio è il suo io. Il suo io? quale io? Non ha più a chi

colpire: non più vittima, non più soggetto, solo un susseguirsi di

36 G.Leopardi, Zibaldone di pensieri, pag. 66537 Benjamin Fondane, Rimbaud, la Canaglia, Castelvecchi, trad. di Gian Luca Spadoni, pag. 100

20

atti senza agente, un’anonima sfilata di sensazioni…Un liberato?

Un fantasma? Uno straccio»?38.

Cioran è un predestinato alla sventura39, una disperazione senza

causa, ma che è impossibile da rinnegare poiché la solitudine

rimane come unica certezza quando tutto viene necessariamente

negato e l’ignoto prende forma.

Le poesie vivono di contraddizioni e metafore come accenno

dell'inesprimibile.

In questo balzo consisterebbe la trasformazione del filosofo in

poeta, poiché

«dal mondo definitivo delle forme e delle questioni astratte si

precipita, in una vertigine dei sensi e non si può più fare a meno

di filosofare se non in modo poetico», immediato, come citava

Rimbaud “ attraverso uno sconvolgimento dei sensi”.

La poesia e’ senza luogo e senza forma ed e’ per questo che si

avvicina alla metafisica.

«Conosco una sola visione della poesia che sia pienamente

soddisfacente, quella di Emily Dickinson quando dice che in

presenza di una vera poesia è colta da un tale freddo da avere la

sensazione che nessun fuoco potrà più scaldarla»40.

La poesia per Cioran deve essere assassina, egoista, incosciente.

Le poesie si possono definire vere quando ci tendono agguati e

servono a darci come degli scossoni, bloccano il dialogo interiore

dando slancio al nostro silenzio.

Percepiamo questo mondo magico cui anelano i poeti e ci lasciamo

travolgere dal desiderio intenso che ci comunicano.

38 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, Adelphi, pag. 9339 Benjamin Fondane, Rimbaud, la Canaglia, Castelvecchi, trad. di Gian Luca Spadoni, pag. 2540 E.M.Cioran, L’Inconveniente di essere nati, p. 50

21

La poesia tende verso l’ignoto, aspira al Paradiso poiché nel

fondo della poesia vi e’ il richiamo del sentimento della morte.

Se il filosofo non prova la metamorfosi nella poesia rimarrà

impigliato nella rete del dialogo personale, socratico, e non

potrà liberarsi dal demone dell’ Io. Solo la poesia senza coerenza

può vantare uno statuto speciale poiché non cerca di dire qualcosa

ma lo lascia intravedere. E ciò che si lascia intravedere è

l’Inesprimibile. Nella vera poesia quindi ciò che conta è quello

che non è detto.

La poesia e’ senza luogo e senza forma ed e’ per questo che si

avvicina alla metafisica.

Più tardi Cioran esprimerà il suo allontanamento dai poeti, perché

legati agli oggetti, ai Simboli, al mondo delle apparenze, e in

ultima istanza verso i ricercatori del concetto universale poiché

ciò che dovrebbe rivelare la poesia vera è l’impoetico, il

mostruoso, tutto ciò che è contrario alla bellezza. La lucidità

non lascia spazio all’immaginazione e al desiderio pur essendo

quest’ultimo molto difficile da eliminare. La finzione poetica

rivela un universo tanto vero quanto falso. «Sono passato dalla

visione poetica, alla visione oggettiva dell’irrealtà, dal “sogno

dell’ombra” alla delusione rigorosa»41.

La poesia si crea in stato di euforia, non ha nessun senso quando

lo stato febbrile termina e si rimane in uno stato vuoto. La

poesia e’ rivolta. Quando la rivolta cessa ed arriva la

rassegnazione non si può più fare poesia.

41 E.M.Cioran, Quaderni, p. 690

22

Il sentimento della morte e scetticismo

«Non vedo in che cosa, attraverso la morte, si possa entrare. La

morte non è uno stato, non è forse neppure un passaggio»42. La

religione poiché fondata su un piano prospettico della morte, ci

porta a pensare alla morte proiettandola istintivamente nel

futuro, la percepiamo come qualcosa che accadrà. Per Cioran come

per Rensi, il vero significato della vita è la morte, dunque la

vita è tale in quanto la morte rappresenta la sua rinnegazione, ed

è la morte l’unico criterio di valore reale: «la dimensione più

intima di tutti i vivi, a separare l'umanità in due ordini così

irriducibili, così lontani l'uno dall'altro.

Tra l’uomo che ha il sentimento della morte e quello che non lo ha

si spalanca l' abisso fra due mondi non comunicanti; eppure

entrambi muoiono; ma l’uno ignora la sua morte; l’altro la

conosce; l’uno muore un solo istante, l’altro non cessa di

morire..l’uno vive come se fosse eterno; l’altro pensa

continuamente la propria eternità e la nega in ogni pensiero»43.

I santi non fanno altro che anelare ad essa, alla salvezza del

dopo. I santi come i poeti sono dei folli. La follia è propria

dell’individuo che non ha perduto totalmente le illusioni che il

pazzo lucido ha abbandonato per sempre.

42 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 6943 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 23

23

Il lucido è oltre o sotto alla follia, ha controllo su di essa,

controlla gli impulsi della follia, i deliri che da essa emergono.

Solo la presenza della morte è reale e l’unica cosa seria

dell’esistenza, poiché di fronte ad essa non siamo più noi i

padroni della nostra vita. «Non cominciamo a vivere veramente se

non quando la vita non è più nostra, quando ci accorgiamo di non

possederla e richiamando la filosofia buddhista Cioran afferma:

«non si è liberato in vita, e insieme proprietario»44.

Per Cioran, la morte è imminente alla vita poiché «Tutto è la

morte»45.

Lo scetticismo contiene lo scandalo della religione ma con la

perdita dell'immortalità e ci apre ad una conoscenza che

«meriterebbe di essere definita postuma: opera infatti come se chi

conosce fosse vivo e non vivo, essere e memoria di essere»46.

«Ciascun essere è il proprio sentimento della morte»47. Noi siamo

la morte.

La morte è presente sempre, durante la veglia come nel sonno. Essa

è accanto a noi e quando ce ne accorgiamo la realtà è trasfigurata

di un tempo già vissuto, un tempo fermatosi per l’eternità, «quel

tempo che non somiglia a nessun altro»48 poiché appunto immutabile,

la morte non subisce cambiamenti quindi fissa, eterea, immobile,

eterna.

L’uomo consapevole muore ad ogni istante, così che gli istanti,

metafisicamente parlando, si tramutano in eterni anch'essi, vivono

della morte. La visione della morte sul piano metafisico porta ad

una nuova interpretazione della vita, ciò che dà senso ad essa

44 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 1445 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 20946 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 1047 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 20648 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 209

24

vediamo ora che è la morte, non abbiamo che due alternative: o

diventa uno strumento della nostra lotta contro il destino o si

tramuta in una ossessione paralizzante per la quale moriremo. Per

alcuni, il pensiero della morte funge da stimolo ad «un attivismo

rabbioso»49

Sapendo che può prenderci da un momento all’altro non lascia il

tempo di titubare, il non perdere tempo e godere la vita a pieno,

un atteggiamento ancora positivo.

L’ossessione della morte è propria di chi è ancora attaccato alla

vita ed è proporzionale a questa. Di conseguenza più si è dentro

la vita, più la morte si rende visibile e ci ossessiona. L’uomo è

mortale perché sa di dover morire, ha coscienza del morire.

Ma chi non lo sa, l’incosciente non muore. Nel paradiso perduto

l’uomo non sapeva di morire e non moriva. La paura rende coscienti

e rende pieni gli istanti e il sentire della vita.

Senza la paura che è aggrapparsi alla vita, gli istanti morirebbero

della morte.

Chiunque abbia superato la paura della morte afferma Cioran

«diventa qualcosa più o meno di un vivo»50. I mistici e i pensatori

che incitano a superare questa paura non si rendono conto che

grazie ad essa che riusciamo a sopportare la vita. Solo grazie al

principio che la distrugge la vita ha un senso e la nascita è un

fine. « Dobbiamo tutto, quasi tutto alla morte. Il debito che

accettiamo di pagarle di tanto in tanto, ha qualcosa di esaltante,

di appagante»51, in virtù della sua presenza possiamo vivere dunque

una vita più vera. Perché temere il nulla che ci attende, se non è

diverso dal nulla che ci procede? E proprio questa quantità di

49 E.M.Cioran, Quaderni, pag.40150 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 18051E.M.Cioran, Quaderni, pag. 532

25

essere, ciò che noi crediamo sussista di per se, il nostro io, che

teme di sparire. Se avessimo l’esatta e costante percezione del

nostro non essere, dell’irreale, illusoria realtà del nostro

essere, questa paura si dissolverebbe.

Ciò ha del positivo e del negativo.

Se la morte non è ispirazione, la vita non può essere altrettanto,

poiché sempre mancante.

D’altra parte abolita l'idea dell'immortalità e dei simbolismi che

fanno parte dell’'immaginario, ci liberiamo, ma a scapito della

vita. Una umanità svincolata per sempre dall’idea di immortalità,

questa voglia di perpetuarsi è una distorsione e una perversione

che oggi chiamiamo progressi della biotecnologia.

Poiché la morte è immorale o ci spinge a riguardare i nostri

bisogni più autentici o ci disorienta poiché ci costringe a

guardare in faccia il nostro dissolverci.

Non siamo più sostanza, di fronte a lei non siamo più soggetto,

diventiamo oggetto, o meglio, un riflesso illusorio senza

consistenza.

La morte è l’attentato ai nostri pensieri e alla vita, perché ci

svela la nullità del tempo e insieme il valore infinito di ogni

istante. Infinito nel senso di unico, istante prima della morte,

irripetibile, ma comunque insignificante. Quando anche il

sentimento della morte perderà la sua significata nella vita ed è

ciò che rappresenta il vero pericolo del nostro periodo storico

che tenta di evitare proprio la morte oramai la sola insieme alla

malattia e la vecchiaia ad essere un intralcio.

Quando il sentimento tragico della morte sarà sparito non vi sarà

più equilibrio, ma un ancora troppo, troppa vita. Vediamo come la

biologia odierna si stia dando da fare per togliere persino alla

26

morte la sua possibilità, sconfiggerla poiché intralcio al nostro

dominio completo sulla realtà e sull’irrealtà. Persino i sogni

oggi si mescolano alla realtà nel virtuale, ma si può fare

esperienza dell'agire e del toccare che nei sogni continua a

sfuggire.

«Si può pensare ogni giorno alla morte; non è lo stesso quando si

pensa continuamente all'ora della propria morte; chi si concentrasse

solo su quell’istante commetterebbe un attentato contro tutti gli

altri istanti»52. L’esperienza del sentimento della morte

interrompe la successione temporale e si verifica un cambiamento

di coscienza o più esattamente uno stato di assenza di essa.

L’eternità dunque è rivelazione, morte e verità, «poiché

l’eternità è assenza, è l’essere che non svolge nessuna delle

funzioni dell’essere, è privazione eretta a non si sa che cosa,

non è dunque niente, o tutt’ al più un’apprezzabile finzione»53.

L’eternità è dunque il supremo no, è la negazione dell’essere

poiché ne è l’assenza dal momento che «ci si accorge che i

fondamenti di un’esistenza sono altrettanto fragili delle

apparenze che li rivestono»54.

Dunque i fondamenti sono solo attributi, non esistono. La verità

non è né nell’effimero, né nella sostanza delle cose, sostanza e

apparenza si equivalgono, le cose sono perché appaiono. Potrebbe

essere lo stadio di lucidità estrema o il livello spirituale più

alto quello di poter sentire ad ogni istante il soffio della

morte, sperimentare l’eternità come non essere? Il sentimento

della morte in questo senso non ha nulla a che vedere col

suicidio, poiché il suicidio è ancora speranza, scelta.

52 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 45953 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 15354 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 157

27

L’uomo che sente la morte non può che astenersi dal creare.

La morte è evidenza, una fatalità cosmica. E’ naturale quanto

indistruttibile. « Ho voluto amare la terra,il cielo, le loro

gesta e i loro ardori, e non vi ho trovato nulla che mi ricordasse

la morte: fiori, astri, volti..»55.

La follia e la Lucidità

Se Nietzsche si chiedeva: quante verità può sopportare, può osare

un uomo, Cioran descrive l’impossibilità esistenziale e di alcuna

verità metafisica quando si conosce l’irrealtà. Se entrambi hanno

spinto la contraddizione all’estremo senza cercare o salvarsi

attraverso alcuna mediazione, la differenza tra i due pensatori è

notevole.

La follia di Nietzsche e la lucidità di Cioran. I deliri di

Nietzsche per Cioran non sono altro che gli ultimi bagliori di

luce, di assolutamente luminoso, prima del distacco totale.

O meglio ancora, l’euforia della nascita, intesa come rinascita ed

evoluzione spirituale, contrapposta alla delusione conseguente.

Nietzsche per Cioran non è invecchiato, perché: «là dove la

coscienza si è separata dalla vita, la rivelazione della morte

diviene così violenta che distrugge ogni ingenuità, ogni slancio

di gioia e ogni piacere naturale»56.

55E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 100 56 E.M.Cioran, Al culmine della disperazione, pag. 35

28

Per questo Nietzsche agli occhi di Cioran è un illuso poiché

fiducioso degli uomini e di se stesso, «un folle che a tutti i

costi ha cercato di dare un senso alla vita»57.

La vita non ha senso, non può averne, poiché essa non è appunto. La

storia e tutta la filosofia della storia nasce da verità d’errore,

dalla paura della finitudine e utopia della fuga dalla corruzione

del divenire. Alzato il velo, come sopportare la vita? Come

sopportarsi?

Il si alla vita, l’amor fati, l’eterno ritorno dell’uguale e

l’idea del superuomo, nella visione di

L’idea del superuomo, divenire nuovamente un nuovo uomo,

rinascere, è una fantasticheria, perché: «chi non muore per il

fatto di essere uomo, sarà per sempre solo un uomo» 58, e non

cesserà il delirio fino al disgusto delle proprie stravaganze, la

prima delle quali è che l’uomo non è, e non può essere altro che

uomo oppure niente.

Il superamento implica il morire a se stessi, perché «l’uomo non

può migliorarsi impunemente»59.

La libertà esige la ribellione estrema, rottura coll’umano e col

divino ovvero con l’Essere in quanto verità ingannevole.

Il distacco da se provoca inevitabilmente il distacco dagli altri.

«Non c’è traccia di me in me stesso. Quando gli altri cessano di

esistere per noi, anche noi cessiamo di esistere per noi stessi»60.

Non vi è redenzione se non nel rimanere sul disgusto di se, ed

equivale a morire ogni giorno, l’istante stesso si sottrae alla

sorpresa che fino a quel momento rappresentava il suo fulcro,

principio e fine. Non si può più volere, non si può più scegliere.57 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, p. 13858 Bataille. G, L’esperienza interiore, pag. 7159 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 33260 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 28

29

Nulla può guarirci e invano si rimpiangerà il manto delle

apparenze, ciò in cui un tempo credevamo. Quel tempo, quel ricordo

dell’io prima della coscienza esasperata di se stessa, è morto.

“L’esilio metafisico” è in realtà un dramma che si consuma nella

vita di un individuo dalla quale diviene necessariamente

distaccato, esiliato dalle certezze viene ad essere condannato ad

un esilio sito in un posto desertico, arido, dove il dubbio solo

può elevarci. La lucidità estrema ci snatura, il dubbio d’altronde

ci dona ancora il privilegio del “sentire”.

«L’essere vivente coglie esistenza dappertutto; a partire dal

momento in cui non è più natura, incomincia a scoprire il falso

nell'apparente, l’apparente nel reale e finire per sospettare

dell’idea stessa di realtà»61. Le apparenze esigono che le si

prenda come realtà, o per lo meno come imitazione camuffata del

reale, essendo copia le apparenze stesse della realtà, per potersi

offrire come risorse, per poter ancora credere in esse, altrimenti

esse non sono nulla.

Il distacco è contro natura, un attentato alla vita in quanto essa

rappresenta:

«l' impossibilità di astenersi», poiché siamo noi stessi illusione

a creare l’apparenza reale, a generare la vita. Il distaccato

dunque non può conservare il genuino ottimismo di Nietzsche,

poiché la realtà si spoglia definitivamente di ogni contenuto e

ogni slancio verso la vita diventa un ingenuo tentativo di

aggrapparsi alle ultime illusioni. Allo scettico, al lucido, non

rimane che mentire e mentirsi continuamente.

Una menzogna consapevole come risposta al disgusto di se e della

vita. «Definisco ingenua una mente, che ignora che cosa sia una

61 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, Pag. 101

30

negazione, una mente che non ne ha esaurita nessuna»62, quando, anche

l’ultima negazione va sgretolandosi sotto la pressione del dubbio

radicale ecco emergere un no ancora più forte. Una trasformazione

che procura poi quella degenerazione del processo razionale che

si esaurisce dall’elaborazione o nella venuta del dubbio

radicale.

Le derivazioni esistenziali alla messa in questione della

sicurezza della nostra ragione sono la disperazione e poi

annientamento addirittura di questa in una lucidità insieme

corporea, apatica e fredda.

La lucidità estrema si sussegue e si sostituisce irrimediabilmente

ad ogni tentativo di ricostruzione della presa visione del senso

perduto. La demolizione dell'io rappresenta la perdita di tutto e

del Tutto, ovvero la centralità viene sradicata in altri centri

che vanno man mano espandendosi. L'uomo del crollo dell'io non ha

più dunque nulla da perdere o da preservare poiché ha perduto

tutto tranne la propria follia: « un dispiacere che abbia smesso di

evolversi», un delirio cercato, voluto, un approdare ancora alla

«falsa concezione dello spazio che il cuore si crea»63. Cedere ad

una sola fede vuol dire accrescere il delirio e la illusione. La

pazzia è la degenerazione della follia, in quanto esaltazione di

una irrealtà, ossessione del manifesto e assolutizzazione del non

manifesto e l’alterazione dello stesso in un qualcos’altro da qui.

Dunque creare è aspirare, è credere, è volere, è illudersi. Per

questo Dio non ha potuto aver creato, altrimenti dovremo credere

ad un Dio annoiato.

62 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 67263 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 43

31

«Non vi è nobiltà se non nella negazione dell’esistenza, in un

sorriso che sovrasta paesaggi annientati»64. Un sorriso amaro ma

pur sempre un sorriso sulle macerie delle adulazioni, una

liberazione dal falso, una chiarezza della coscienza.

Il pensiero giunge ad uno stato di visione delle cose che prima

non c’era o meglio non che non si sapeva. Questo sapere o questa cosa

coinciderebbe con la certezza della irrealtà.

Questo tipo di sapere è di conseguenza conoscenza senza fenomeno

e fondamento.

Il pensare inteso non solamente come un pensare contro se stessi,

contro l’io, ma essenzialmente un pensare che andando a ritroso

non può che approdare al dubbio sul fondamento e limite del

pensiero stesso. Cioran ci parla della lucidità spietata della

ragione che come esito approda al naufragio delle convinzioni

esistenziali e del motivo motore delle azioni. La lucidità è la

normalità, il processo naturale autodistruttivo del pensare,

l'equivalente negativo dell'estasi. vi è la stessa pienezza, ma

nel Nulla.

La evanescenza delle azioni rende vana l’euforia del fare. Il

lucido non dubita.

Il dubbio rappresenta per il lucido una forma di salvezza, anzi la

salvezza stessa.

La lucidità assoluta non è possibile poiché come afferma Cioran,

«è incompatibile col respiro», «è la rottura del vivente con se

stesso»65, la lucidità disumanizza.

L’assurdità tragica dei suoi scritti nello scendere nell’animo

umano e poi negare addirittura la tragedia stessa intesa come

orrore dell’essere senza rimedio, incurabile destino. 64 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, p.1865 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 142

32

«Lì e l’insopportabile: in tutto. Essere vivi, ecco l’errore!»66.

Se per Nietzsche l’uomo è una fune sospesa tra l’animale e il

superuomo, è un ponte, non una meta, è transizione e tramonto e

risorgenza, per Cioran : «Essere Uomo non è una soluzione, come non

lo è il cessare di esserlo»67, ed all’uomo si aprono due strade:

essere ingannato o perire. Dobbiamo insomma scegliere tra la vita

che è sonnambulismo o la morte. Il problema è che una scelta

compromette l'esistenza dell'altra.

Anelando alla realtà atemporale non si può altrimenti che

distaccandosi dal tempo, o essere già distaccati dalla realtà

temporale. Cioran esprime l’abisso contraddittorio che si cela

nell’io, una contraddizione connaturata, impossibile da

ripristinare e la quale non è possibile eludere se non con il

sacrificio dell’identità, che però non rappresenta la salvezza, e questo ci

fa riflettere sul pericolo che oggi corriamo poiché al sacrificio

dell'identità consapevole va sostituendosi l'alienazione totale da se

stessi e dalla realtà inconsapevole, automatica.

CAPITOLO II: Oltre la storia

66 BENJAMIN FONDANE, Rimbaud, la Canaglia, Castelvecchi, trad. di Gian Luca Spadoni, pag.9967 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 67

33

La filosofia della storia

L’uomo ha sempre cercato di dare un senso e un fine agli eventi

definendo percorso storico la storia come organismo in evoluzione.

Grazie alle varie concezioni teologiche, alla metafisica e tutto

il materialismo storico che tendono ad attribuire un significato

all’inspiegabile ed inspiegato, l’idea che il succedersi degli

eventi seguano un fine,

un assoluto che si dispiega nel processo storico ha permesso

l’idea della grande illusione del progresso.

Cioran, similmente a Rensi, professa lo smascheramento di ogni

assoluto ed afferma:

«La storia non è che una sfilata di Falsi Assoluti, una

successione di templi innalzati a dei pretesti»68.

Tutti gli sforzi finora compiuti dagli storici e dai filosofi di

trovare una giustificazione razionale sono votati al fallimento,

poiché tutto nella storia è irrazionale e senza senso, gli eventi

sono imprevedibili e irrazionali. Questa concezione si allontana

notevolmente dall’escatologia cristiana che conferisce alla storia

un valore e giustifica il male come necessario per la vita eterna

dopo.

«Ci comportiamo infatti come se la storia seguisse uno

sconvolgimento lineare, come se le varie civiltà che si succedono

fossero solo le tappe che un qualche vasto disegno, il cui nome

varia secondo le nostre credenze o le nostre ideologie, percorre

per compiersi e manifestarsi»69. La stessa idea di destino più che

68 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 1369 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 45

34

l’idea di Dio conferisce un senso ai nostri dolori, alle

ingiustizie e alla morte. Il dolore come il destino, è senza

motivo e bisogna accettarlo per quello che è, come «un miracolo in

negativo»70.

Il cristianesimo ha voluto dare un motivo al destino e la storia

si configura come una prova, un periodo di preparazione

all’instaurazione del Regno di Dio, che rappresenterebbe lo scopo

finale a cui tende tutto ciò che esiste nel creato. Per il

cristianesimo dunque la fine ed il fine sono in Dio. Per Cioran,

credere che il divenire avvia un senso, e che tutto rientri in un

Disegno Divino, deriva dalle credenze teologiche originate dalla

paura, e dalla fede in una salvezza che si manifesti almeno in un

altro mondo dopo la morte, dal momento che non è possibile

accedervi durante il corso di una vita.

La storia è contraddittoria, assurda, non segue alcun disegno

razionale e non può contenere alcun elemento divino. Non vi è

alcun scopo intrinseco. L’assoluto che si evolve è una fandonia,

poiché il divenire è assenza di spirito.

Ogni evoluzione è possibile se si mette a tacere lo spirito, e il

progresso rappresenta in ultima analisi il sonno dello spirito, il

trionfo della ragione e l’irrazionalità della realtà.

Poiché se lo spirito si manifestasse prima di tutto si sarebbe già

manifestato ed in ogni caso la sua presenza equivaler ebbe

all’arresto del divenire, dunque ad uno stare eterno.

Se ci fosse lo spirito e regnasse l’eterno presente, il tempo

senza tempo, quell’immobilità pura, la storia non avrebbe luogo,

perché l’uomo non eserciterebbe alcuna delle funzioni che

sostengono la sua vita al posto della “non vita originaria”, la

70 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 45

35

vera vita perduta, che ha rifiutato per poter emergere. Il vero

senso della storia è il continuo rifiuto della libertà, che a sua

volta sta nel rifiuto della vita corrotta dagli inizi dei tempi e

del tempo. La linfa che sostiene la vita è la stessa in un senso

più ampio di quella che produce la storia. A riprova di quanto

affermato citiamo il seguente passo: «Ciò che un popolo può

esprimere ha soltanto un valore storico: è la sua riuscita nel

divenire. Ma ciò che non può esprimere, il suo fallimento

nell’eterno, è la sete infruttuosa di se stesso»71.

Ciò che un popolo ha da esprimere è ciò che lo afferma ma a

scapito del suo rinnegamento dell’eternità e la sua perversione e

decadimento spirituale.

Di conseguenza l’essenza dei popoli dunque può trovarsi solo

nell’inespresso.

Cioran non vuole andare oltre la visione dei crolli e le macerie

dell’essere nascondono sotto la nuda vacuità dell’assoluto, un

nuovo assoluto senza attributi e dunque vuoto.

«L’uomo idealmente lucido, e quindi idealmente normale, non

dovrebbe avere altra risorsa all’infuori del nulla che è in lui…Mi

pare di sentirlo: Sottratto allo scopo, a qualsiasi scopo, dei

miei desideri e delle mie amarezze conservo soltanto le formule.

Avendo resistito alla tentazione di concludere, ho vinto lo

spirito, così come ho vinto la vita mediante l’orrore di cercarvi

una soluzione»72. alla lotta, alla rivolta, Cioran oppone la

rassegnazione, ma non accettazione, poiché più ci si eleva dall’uomo

e dall’illusione del comune, inevitabilmente si soffrirà per la

perdita della fede del volere, la dedizione all’atto che ci faceva

costruire, progettare. Per cui elevarsi alla vera conoscenza, che 71 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 4772 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag.18

36

equivale alla certezza della irrealtà, è disastrosa per la nostra

quotidianità poiché il concetto di utilità e di realtà si

dissolve.

Si sprofonda dunque in quella sorta di stato simile alla noia,

non si produce, a differenza della disperazione e della rabbia che

sono manifestazioni, poiché rinunciare all’atto vuol dire

rinunciare all’identità, al marcare, al marcarsi.

La visione del non senso rappresenta in Cioran l’inizio di un

processo disastroso ma assolutamente autentico e necessario per la

vera conoscenza poiché «una verità che non distrugga la creatura

non è una verità», diceva il mistico Eckhart citato spesso dal

nostro autore. Il pensare diventa separato dall’agire e dal volere

e l’atto stesso si tramuta in violenza del silenzio e della

solitudine, considerati da Cioran, gli unici stati autentici.

L’unica volontà è quella di: « far consistere la propria vita in

un ordine di sentimenti, pensieri, affetti, azioni che non abbiano

nulla a che fare con l’io, che perdurino oltre il trapassare di

questo, indifferenti a tale suo trapassare».73

L’amore per la vita e la verità dovrebbe dunque essere concepito

appunto come un amore attuabile, una sorta di passione assoluta senza

speranza e allo stesso tempo mantenersi nella comprensione

dell’irrealtà, della dimensione atemporale, dovrebbe essere il

compito dell’uomo. Ma se tutti gli uomini smettessero di fingere e

di illudersi, a quel punto si vivrebbe in una realtà più vera

quanto lontana dalla vita e dal sentimento tragico.

Sarebbe dunque la fine della storia. Il messaggio di Cioran

risuona come: «non aprite i vostri occhi perché non c’è niente,

perché moriamo alla nostra identità, ci miniamo, non sopravvive

73 G.Rensi, La filosofia dell’assurdo, pag. 191

37

altro che il vuoto». La scoperta dell’irrealtà è troppo

sconveniente perché oltre a non rappresentare la salvezza, è un

inferno, una voragine dalla quale non si può che uscirne “cadaveri

di se stessi” o “fantasmi viventi”.

«Contemplato troppo dall’alto, il regno della diversità e del

molteplice svanisce. A un certo punto della conoscenza, solo il

non-essere resiste»74. Non è follia la vita, è follia voler

conferire un senso all’esistenza.

Dopo certe esperienze si dovrebbe cambiare nome dice Cioran,

poiché moriamo al vecchio io, la cui ombra però non smetterà di

perseguitarci e di ricordarci ad ogni istante non vissuto di

averlo tradito e ridotto in agonia come non ci perdonerà di aver

distrutto ciò che portava con se. La tua individualità è polvere

dice Rensi e come tale sarà dispersa, «sepolta nella dimenticanza

e nel nulla»75.

Cioran afferma:«Quando si tende all’Essere non si riesce più ad

intrattenere con gli esseri»76 , la folle ricerca dell’assoluto che

si risolve nel niente non permette una tregua di illusione. Se non

crediamo nella nostra maschera come possiamo credere in quella

degli altri? Quando non amiamo più il nostro io, come possiamo

amare gli io degli altri?

«La conoscenza rovina l’amore: nella misura in cui penetriamo nei

nostri segreti, detestiamo i nostri simili, appunto perché ci

somigliano»77, al mistero si sostituisce il disgusto, alla sorpresa

la monotonia dell’uomo sempre troppo uguale a se stesso.

Gli altri non sono altro che le nostre ossessioni, i nostri

desideri, le nostre debolezze e le nostre scelte. «Il mondo ha 74 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 10175 G.Rensi, Schegge (pagine di un diario intimo), Biblioteca ed., Rieti 1939, p.45.76 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 2177 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 80

38

infestato la nostra solitudine; su di noi le tracce degli altri

diventano indelebili»78. Per questo bisogna liberarci degli altri

allo stesso modo in cui ci liberiamo del nostro vecchio io. L’uomo

non si può amare per il contenuto ma per la sua assenza dunque e

ciò che di bene e di giusto possiamo fare per gli altri è aiutarli

a soccombere, sconvolgere le loro menti, provocare le ferite,

immergerli nella irrealtà.

In breve, trascinarli nella disperazione e nel ridicolo fatto di

essere. A chi comunicare certi pensieri e vibrazioni se non agli

altri? se non altro perché vi sono altri che sono liberi come

siamo noi liberi al noi. Cerchiamo disperatamente anime profonde a

cui parlare pur sapendo che gli abissi non hanno risposta. Questa

è la solitudine estrema, poiché l'altro diventa per noi nel

momento in cui condivide con noi la visione nel non essere o che

abbia almeno sfiorato l'orlo del suo nulla. La comunicazione vera

dunque rimane possibile tra due esseri lacerati, che si annullino a

vicenda, in ultima analisi, l’assurdo della comunicazione vera

fondamentalmente avviene tra due essere muti, uniti nel destino

della solitudine e dell'irrealtà. I discorsi dunque si

fonderebbero su argomenti a prova di irrealtà?

La noia e il tempo

78 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 30

39

In una intervista rilasciata al giornalista Jason Weiss nel 1983

Cioran afferma:

«Un uomo che agisce ed è impegnato a fare qualcosa non pensa al

tempo. Sarebbe assurdo. Ma la coscienza del tempo dimostra che sei

fuori dal tempo, che sei stato espulso. Questa si può davvero

chiamare un’esperienza filosofica o metafisica. Ricordo

perfettamente la prima volta che ho avuto una rivelazione del

tempo. Ero bambino, avevo cinque anni, era un pomeriggio durante

la prima guerra mondiale. Posso perfino dire l’ora, erano le tre

del pomeriggio. Improvvisamente ebbi la sensazione di guardare il

tempo passare. Non ne facevo parte, ne ero fuori. E ritengo che

questa sensazione, che non durò  neanche dieci minuti, fu la mia

prima esperienza della noia, del tedio. La noia è anche una sorta

di presa di coscienza del tempo, perché il tempo non passa. Quindi

ero un po’predestinato a questa coscienza del tempo e l’insonnia

l’ha solo accelerata»79.

La noia in Cioran diviene per eccellenza il sentimento

dell’evidenza del Nulla, del non esistente che Leopardi descrive:

«Tutti i nostri mali infatti possono forse trovare i loro analoghi

negli animali; fuorché la noia. Tanto ella e’ stata proscritta

dalla natura, ed ignota a lei. Come no infatti? La morte nella

vita? La morte sensibile, il nulla nell’esistenza? E il sentimento

di esso, e della nullità di ciò che e’ e di quegli stesso che la

concepisce e sente, e in cui sussiste»?80. Similmente a Leopardi,

Cioran parla di una frattura del tempo che compromette l’io inteso

come presente, passato, futuro. Durante l’insonnia la coscienza

per Cioran tocca l’esasperazione fino ad esaurirsi in un tempo

bloccato, un “non divenire”. 79 Intellettuale senza patria, Mimesis, a cura di Antonio Di Gennaro, pag. 26-2780 G.Leopardi, Zibaldone, pag. 733

40

Avviene una scissione percettiva del divenire dove gli istanti

emergono ad una nuova coscienza o se vogliamo rivelazione. Questo

tipo di consapevolezza, privata di intenzionalità, provoca e

sposta la nostra percezione su un tempo diverso, un tempo che è già

accaduto. Ciò che è o che sta accadendo viene percepito come fermo,

come di già vissuto.

Gli istanti vengono risucchiati nell’attimo stesso in un tempo che

non muta, un tempo immobile, un tempo fuori dal tempo,

sull’attimo percepito come infinito vuoto,senza divenire. «Io accumulo

passato, non cesso di fabbricarne e di precipitarvi il presente,

senza dargli la possibilità di esaurire la sua stessa durata»81.

La sofferenza è nel male di esistere, un male senza oggetto, senza

materia, e l'impossibilità di un rimedio al male dell'esistenza.

Non c'è uscita. c'è sogno, e dietro al sogno niente. Il mistero

stesso non ha più ragione di essere. «Vi sono al mondo esseri a

cui nessuna catastrofe è capitata vivono in qualche modo in un

ambito morale ove la sofferenza appare non solo come possibile e

inevitabile, ma come immanente e auspicabile»82.

Ma tutti noi non potremo esistere neanche per un attimo senza

illuderci poiché: «La natura medesima è impostora verso l’uomo, né

gli rende la vita amabile o sopportabile se non per mezzo di

immaginazione e inganno»»83. Lo scettico è costretto a fingere

continuando a far parte del mondo e delle relazioni umane pur

essendosene irrimediabilmente allontanato. Se i nostri istanti

andranno e stanno andando già perduti, da cosa proviene la forza di

volerne altri? Si arriva al punto in cui: «Fingere di credere, di

81 E.M.Cioran, La caduta nel tempo82 Benjamin Fondane, Rimbaud, la Canaglia, Castelvecchi, trad. di Gian Luca Spadoni, pag. 2383 G.Leopardi, Pensieri, intr. di Orlando, Bur Classici, Rizzoli, Milano 1999, pag.75

41

sperare, di esistere, è il massimo di realtà che si possa

raggiungere»84. Di conseguenza appena si sa non si è più in armonia

col mondo, si comincia a sopravvivere appena si comincia a capire,

a percepire un’illusione dove prima credevamo una realtà.

Siamo soggetti ad un accecamento, un impostura, tramite la quale

ci inganniamo sulle nostre reali dimensioni e ci spinge a credere

e volere la vita, a dare importanza a ciò che non è. Ma come poter

concepire una vita senza scopo, “una esistenza senza risultato?”85

Se avessimo presente esattamente la nullità dell’atto, come

garantire all’atto la sua sopravvivenza? Come garantire alla

volontà una direzione?

Come poter agire come i nostri atti avessero importanza quando

sappiamo che non ne hanno alcuna? Potremo parlare di arricchimento

generato dalla visione dell’irrealtà, del non essere applicato

dunque solo alla sfera spirituale? I livelli spirituali quindi

dovrebbero essere conformi alla gradazione di irrealtà che

possiamo sopportare? Se tutto va verso la fine, ci domandiamo che

senso abbia tutto, insieme alle idee, verità, sofferenze e gioie,

tormenti. Che senso ancora avrebbe il grande freddo e la profonda

tristezza? Cioran risponderebbe che la vita consiste in un

tirocinio al soffrire con dignità, ma allo stesso tempo afferma che

proprio quando tutte le illusioni cadono e il nostro essere

vacilla, segretamente conserviamo una folle speranza, senza la

quale sarebbe impossibile continuare a vivere. Se niente è reale,

il dolore è, l’esserci della solitudine, ma sebbene «tutto è privo

di fondamento e di sostanza»86, un uomo completamente compenetrato

nel nulla non può esistere, riconosce Cioran e «per quanto

84 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 86985 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 16986 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 70

42

smaliziati si possa essere, si conserva qualche lato ingenuo, non

si coincide con ciò che si sa»87. La sopravvivenza, l’amor proprio

dunque non si può sradicare poiché siamo natura e la ragione

stessa dipende da lei. Questa è la suprema farsa dell’esistenza,

la divisione intrinseca dell'uomo, la sua doppiezza. L'unica vera

esperienza che può fare l'uomo è quella del non essere, in cui

fuori da cerchio, l uomo viene strappato alla sua “cornice

naturale”, inteso come consuetudine del vivere.

Volontà, speranza e desiderio

Il volere per Cioran è una malattia poiché contrasta e distoglie

l’unica volontà autentica che è quella del non volere o sperare ,

quindi la volontà della solitudine, intesa non come rifiuto degli altri

ma come necessità dello spirito di vivere l’irrealtà.

Altri desideri e voglie sono false ed euforiche devianze e derivati

di devianze poiché di fondo, «Tutto ciò che scintilla sulla faccia

della terra, è frutto di ebbrezza e ignoranza».

Se il pensiero delirante vuole creare, il volere per il volere,

desiderio infinito dell’altrove o dell’infinitamente nulla, al

contrario il pensiero lucido provoca una volontà debole, sdentata,

poiché oramai priva di finalità dove persino il desiderio

dell’altrove, dell’impossibile, della felicità stessa si annulla.

Se il desiderio e speranza si equivalgono, soppresso il desiderio,

si elimina la speranza.

87 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 477

43

Per esserci azione ci deve essere un io intenzionale e cosciente

ma al tempo stesso che conservi un minimo di incoscienza, di

illusione ingenua.

Qualsiasi atto esige che vi sia una volontà, che creda nell'opera

che va facendo, una volontà fiduciosa dunque che si riesca a

tenere incosciente davanti all'evidente evidenza che non siamo

nulla. L’atto è divisone per eccellenza. Il male è nell’azione,

nell’illusione dell’atto, attraverso il quale l’Io si manifesta e

si afferma a scapito della irrealtà.

Persino l’intenzione implica un atto che si mantiene nel pensiero

trasformandosi nel prefiggersi un obiettivo e il pensiero ci

proietta nel divenire, nella volontà del costruire, nella volontà

di tempo.

«Se ognuno avesse capito, la storia sarebbe cessata da tempo. E

quand’anche tutti capissero, escluso uno, la storia si

perpetuerebbe a causa di costui, a causa del suo accecamento. A

causa di una sola illusione!»88. finanche tutti gli specchi del

mondo venissero rotti, qualcuno cercherebbe sempre di procurarsene

uno per la volontà e desiderio di essere, di differenziarsi. La stessa

caduta nel tempo fu causata dal desiderio e dalla volontà altro

dalla noia. La noia stessa di esserci nel paradiso, la noia

dell’esserci. La storia dunque è il risultato della paura della

noia. Se noi agiamo, attraverso il pensare, il volere e il

sentire, queste tre condizioni in Cioran vengono rivisitate sino a

rendere nulla la ragione di ogni agire e dell’atto stesso come

insignificante e oltremodo ostacolante per l’elevazione spirituale

ma allo stesso tempo necessarie per la vita e in generale la

volontà collettiva fondamentale per il procedere storico. Si può

88 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 129

44

agire solo se si dimentica che le apparenze sono apparenze e le si

prende come realtà. Insomma si può vivere solo auto ingannandosi,

forzando la volontà. Siamo perché concettualizziamo e desideriamo

perché:«l’animo umano e’ sempre ingannato nelle sue speranze, e

sempre ingannabile: sempre deluso dalla speranza medesima, e

sempre capace di esserlo: aperto non solo, ma posseduto dalla

speranza nell’atto stesso dell’ultima disperazione, nell’atto

stesso del suicidio. La speranza e’ come l’amor proprio, dal quale

immediatamente deriva. L’uno e l’altra non possono per essenza e

natura dell’animale, abbandonarlo mai finché’egli vive, cioè sente

la sua esistenza».89 Togliendo alla volontà l’aspetto

utilitaristico dove concentrarla? La volontà rivolta all’interno

non va forse perdendo la sua ragione d’essere? La volontà si

rivolta contro se stessa dunque in una non-volontà, o volontà

privata di credo.

Ma questa volontà non avendo uno spazio o luogo va disperdendosi

su un punto senza punto, una infinito spazio, dove si continua a

vivere « in una falsa aspirazione»90.

L’ultima speranza sarebbe quella dunque di rimanere aggrappati

alla salvezza, intesa come mantenimento della parte razionale,

poiché la lucidità esasperata riduce la ragione a disgregarsi

tanto quanto la spingiamo, in quanto essa è: «un privilegio che

può esserci tolto»91. Se da un lato non si può perdonare alla

nostra parte razionale la frattura dall’incoscienza a danno degli

uomini, allo stesso tempo non possiamo disfarcene per esistere.

89 G. Leopardi, Zibaldone, pag. 74890 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 3891 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 18

45

Tempo e illusione della Storia

« Il tempo è una tara dell’eternità; la storia, una tara del

tempo; la vita è anch’essa, tara della materia. Che cos'è dunque

normale, che cosa è sano? L’Eternità? Essa stessa non è che

un’infermità di Dio»92.

Dalla lettura di Cioran emergono due stati particolari che sono

essenzialmente:

lo sdoppiamento della coscienza, proprio di chi -guarda

l’esistenza e allo stesso tempo si guarda mentre la guarda-93, e la

caduta dal tempo, sia come esperienza individuale, sia storica

come caduta di senso. Che cosa si intende per caduta dal tempo?

Come è possibile porsi fuori dalla durata? Per Cioran la causa è

una eccessiva attenzione al tempo. Piuttosto che dimenticarsi del tempo

succede che il tempo diventa oggetto di coscienza. Questo fa si

che porre troppa attenzione al tempo, osservarlo, provoca una

scissione della coscienza e ciò avviene anche per le civiltà.

Quelle che arrivano a troppa coscienza del se, le civiltà stanche

e disilluse, sono destinate alla morte poiché il corso della

storia è collegato alla forza degli ideali di un popolo. Il

rapporto di Cioran col tempo, con la storia e con la vita non è

possibile definirlo ambiguo ma doppio. Questa ambivalenza è data

dalla scissione del suo pensiero di guardare il mondo e la realtà

con i due lati, con il “doppio che ognuno di noi ha, il nostro 92 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 11493 E.M.Cioran, Quaderni 1957-1972, pref. di Simone Bouè, trad.it.T.Turrolla, Adelphi, Milano 2001 p.704

46

dualismo, l'uomo interiore e l'uomo esteriore, che coabitano

nell'essere umano. Infatti che senso avrebbe di parlare di fine

della storia quando si afferma l’illusorietà del tempo?

Si può parlare di fine, intesa sia come conclusione di un processo

che implica un inizio, e sia come senso, quando si ha coscienza

del non senso del divenire storico, e, di conseguenza, si può

parlare di senso storico quando si ha una presa di coscienza degli

avvenimenti, e gli avvenimenti si svolgono nel tempo. A seconda

della prospettiva con la quale Cioran considera la storia, la

storia come coscienza storica, essa è reale e ha un inizio e una

fine, similmente all’uomo, d’altro lato essa è irreale, illusoria,

insignificante, ed è il risultato di una nostra proiezione. « La

storia non è che un interminabile malinteso»94, incredibile

illusione che non ha mai smesso di accrescersi. L’uomo ha scelto

il tempo da cui è sorta la storia, che non è altro che orrore e

falsità. La storia è il prodotto dell’illusione del tempo. E' una

costruzione presente di ciò che avvenne a seguito della frattura

originaria, e da quel momento, afferma Cioran: « Tutti si

ingannano, tutti vivono nell’illusione»95. Eppure per quanto

possiamo distaccarci dalla storia non possiamo liberarcene poiché

l’uomo «per quanto lontano, per quanto rapidamente egli corra,

corre con lui la catena»96.

Siamo relegati nel regno dell’io, degli altri e più cerchiamo di

strapparci al nostro io più ci sprofondiamo per Cioran. L’animale

non ha passato, non ha storia e si potrebbe aggiungere che non ha

vita, non ha la nostra stessa vita. Gli uomini sono legati ai

ricordi e le esperienze, non riescono a dimenticare, conservano la94 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 76895 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 16396 F. Nietzsche, Sull’utilità e il danno della storia per la vita, trad. it. S.Giametta, Adelphi, Milano, 1973, pag. 6

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memoria, il sentimento delle esperienze. Dimenticanza ed oblio sono

i mezzi con cui poter superare il nostro passato e tramutare i

nostri ricordi in sangue, come fossero vivi ora, e la felicità è «la

capacità di sentire, mentre essa dura, in modo non storico». Sentire

in modo non storico vuol dire cessare di sentirsi nel tempo,

annullare e annullarsi, disintegrare la nostra storia , il passato

e dunque aprendosi alla dimensione atemporale.

Vi è un tempo che si afferma come durata, e il tempo misticamente

negato, frantumato in un momento fulminante, un istante immediato

e avvertito come immobile, ed è comune a tutte le mistiche. Per

Cioran in tempo esiste e non esiste, il tempo è una illusione,

esiste finché noi esistiamo, non esisterebbe dunque se noi non ne

avessimo coscienza. Ma il tempo è anche reale nella misura in cui

ci ossessiona e non ce ne possiamo liberare. Per Cioran, quando

l’uomo cessa di essere animale storico non coincide più con nulla

e a quel punto si è liberi e infelici, o tutt’al più, indifferenti.

E’ condannato sia l’uomo che non riesce a dimenticare, sia l’uomo

che va oltre il suo stato temporale e si sposta su un piano sovra

storico poiché: «La storia è l’ostacolo della rivelazione ultima,

l’intralcio che si giunge a far saltare in aria unicamente se si è

percepita la nullità di qualsiasi avvenimento, ad eccezione di

quello rappresentato da tale percezione e in virtù del quale si

attinge di quando in quando la verità vera, ossia la vittoria di

tutte le verità»97. Non vi è salvezza attraverso la storia e

appunto essa è possibile attraverso proprio «nel rifiuto della

salvezza»98. Poiché la salvezza sta nell’inazione, e la felicità

nell’astensione all’atto, ne deriva che la storia è possibile solo

con il rifiuto della salvezza e della felicità. «Nel suo intimo 97 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 3598 E.M.Cioran Quaderni, pag. 541

48

l’uomo, aspira a raggiungere la condizione che aveva prima della

coscienza. La storia è solo la deviazione per arrivarci»99.

« coloro, che esplorando la natura intima del tempo, si riconosca

figlio dell’istante, non ha bisogno di negare la temporalità,

semplicemente si limiterà a strappare al tempo la sua maschera:

anni, stagioni, il tempo che scorre e dura, è smascherato come una

costruzione del nostro pensiero.»100.

La storia è qui intesa come percorso dunque spiritualmente

evoluzionistico teso verso l’incoscienza, o meglio una presa di

coscienza dell’incoscienza e dell’unione primordiale. Non si

intravede qui una folle speranza? Per Cioran, la storia essendo il

prodotto di una tara iniziale è destinata ad autodistruggersi,

come l’uomo, essendo un proprio prodotto è destinato a scomparire.

Non c’è salvezza finché c’è vita, l’uomo è un prodotto storico e

siamo condannati ad illuderci e a produrre la storia. La storia è

tragedia: «lungi dallo sfuggirvi, essa vi è sottomessa e ne porta

il segno più dell’eroe tragico stesso»101, poiché la storia nasce

dal tradimento dell’uomo verso il sacro, dai mali della volontà

dinamica che alimenta la nostra febbre e crea il divenire. Al pari

della tragedia la storia non può essere cambiata, non ci sono vie

d’uscita. Le sue origini sono sconcertanti e terrificanti: «senza

l’invidia non ci sarebbero avvenimenti, e neanche mondo: è sempre

lei che ha reso possibile l’uomo, gli ha permesso di farsi un

nome, di accedere alla grandezza attraverso la caduta, attraverso

questa rivolta contro la gloria anonima del paradiso»102.

99 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 114100 Coomaraswmy, Ananda K, Tempo ed eternità, pref. G.Marchianò, editrici Luni, Milano, 1996, pag. 9101 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 33102 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 88

49

L’invidia dunque, propriamente il volere altro da ciò che si è e

ciò che si ha, è l’origine degli avvenimenti e conducono le sorti

di un uomo o di un popolo a seconda della forza della credulità.

L’incredulità dunque segnerà la fine della vita poiché il

paradiso è realizzabile fuori dal mondo, fuori la vita, perché

esso è la non vita, la dissoluzione degli esseri storici nel nulla,

nell’eternità..

La doppia verità

Per capire meglio la filosofia di Cioran è importante citare la

teoria della doppia verità.

Nel suo libro dal titolo “Squartamento”, Cioran riprende la teoria

della doppia verità dove si intende l’esistenza appunto di due

verità: «verità vera e verità velata»103, ovvero una verità ad

appannaggio dei liberati, e le verità comuni, che Cioran,

classifica come verità d’errore. Le due verità non interagiscono

tra di loro poiché la prevalenza dell’una nasce e si fonda a

scapito dell’altra, «l’interferenza delle due verità è feconda per

il risveglio, ma nefasta per l’atto»104. La verità vera annichilisce

la verità de’errore, che permette la vita, come quest’ultima è

quando l’altra dorme. Cioran introduce questa dottrina per

collocare la storia nella scala delle verità d’errore, che sono

103 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 26104 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 27

50

verità dinamiche sulle quali si fonda la vita e la storia e sono «

privilegio o maledizione del non-affrancato»105.

La verità vera è propria di chi si pone al di fuori della sfera

degli atti e si apre alla non realtà. La verità vera è quella che

nega ogni verità e condanna ogni idea su di essa.

E’ un privilegio e insieme maledizione poiché l’affrancato si

ritrova ad essere finalmente libero, ma allo stesso tempo schiavo

di questa stessa libertà che non gli permette di far parte della

storia e del mondo degli atti e degli scopi.

Le verità vere ci tolgono le illusioni, ci strappano a noi stessi,

tolgono ai nostri atti le motivazioni che li accrescono, e per

questo possono definirsi verità inumane, verità da vertigine, che

si respingono perché nessuno può fare a meno di sostegni e di

verità.

Ma il nostro essere esige la verità, ma essa ci informa del nostro

non essere, del nostro nulla. Il rivelarsi dell’essere si annulla

allo stesso tempo. La scoperta della illusorietà del tempo

compromette il nostro fare nella quotidianità e nel pensare al

futuro. Ed è tramite questa visione che avviene il distacco tra

l’uomo spirituale e l’uomo del progetto.

Cioran descrive la trasformazione dell’uomo normale in uomo di

conoscenza o non uomo, un uomo fuori da tutto attraverso una

“vertigine mistica” ed attraverso essa si fa esperienza del reale

o del nulla assoluto. Quando l’uomo si distacca dalla vita non è

più complice di questa, diviene libero, libero dalla vita e dalla

morte, dunque libero dal tempo, nel tempo. Non ha più nulla da

perdere né da conquistare, ha perso tutto, le brame si staccano

poiché illusorie. A dire il vero, aggiunge Cioran, « la storia non

105 E.M.Cioran, Squartamento pag. 26

51

manca del tutto d'essenza, poiché è essenza di inganno, chiave di

tutto ciò che acceca, di tutto ciò che aiuta a vivere nel tempo»106.

L’uomo distaccato dal sentimento che muove il tempo, e dalle

passioni che muovono il mondo, non ha più storia.

L’esperienza dell’autentico dunque e’ quella dell’attimo, un

istante che arresta il divenire, un momento di frattura che viene

vissuto come un presente assoluto e che risucchia con violenza

passato e futuro.

Il pensiero di Cioran non si nutre, è un pensare già nutrito, un

pensare pre- o post logico, potremo dire a priori, che attraverso

lo stile aforistico si sottrae continuamente alla logica, ma non

per questo non mantenendo una lucidità coerente.

Tendiamo ad assimilare la logica con uno stato dell'esser lucidi.

La lucidità di Cioran è un vero e proprio sabotaggio alle

fondamenta della logica stessa, dove i sillogismi risultano

infondati. In una pagina dello Zibaldone in cui il Leopardi

definisce il suo uno scetticismo ragionato scrive:

«Qui potrei dimostrare che ogni sillogismo , cioè ogni atto ed

ogni nozione della nostra ragione, avendo bisogno di più altri

sillogismi, e questi di più altri in infinito, si arriva al non

poter trovare vero principio ne’ fondamento assoluto alla nostra

ragione, non potendo arrivare a un primo sillogismo che non abbia

bisogno di più altri...».

Mancando un inizio e andando sempre a ritroso il pensare come

ricerca del senso perde colpi, il fondamento, poiché non riconosce

più il fenomeno con gli stessi strumenti logici e temporali. Il

“dolce naufragar nel mar” dell’ Infinito del Leopardi in Cioran è

all’opposto una sorta di “sotto eternità”, che risucchia tutto in

106 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 27

52

se nel buco nero del vuoto, inteso come nulla assoluto ma senza

gli attributi di quest’ultimo.

La «Esperienza della nullità qui» inevitabilmente conduce alla

impossibilità di credere o di sperare «l’inesistenza

dell’Altrove».In questa trasformazione esistenziale e conoscitiva

non solo vediamo che l’uomo del progetto e’ perduto ma anche

l’uomo religioso dubita del sacro. Qualsiasi filosofia della

storia per Cioran e’ da distruggere poiché la tragedia della

storia confuta il progresso, un fine, un senso.

Ma d’altro canto se andiamo a fondo e vediamo bene dentro la

tragedia, vi troviamo una mistificazione della realtà per

distrarre dalla pesantezza dell’irrealtà’ poiché la tragedia e’ un

richiamo al sentimento della morte e la sua presenza nella vita,

ma un morire sentimentale che nel nulla metafisico di Cioran non

trova posto.

Il condannato all’esistenza

Quando la solitudine dà inizio alla conoscenza il nostro io come

quello degli altri non ci interessa più. Il mistico è infelice

come tutti coloro che si dedicano allo spirito sono infelici

poiché smorzano la natura e rallentano la vita, cadono dal tempo.

La saggezza quindi, nella misura in cui smaschera la vita toglie

al folle che è in tutti noi l’entusiasmo necessario per andare

avanti dato dalla quantità e qualità delle nostre illusioni. In

questo senso la conoscenza vera è un pericolo poiché è fatta di un

sapere che non ha avvenire, di certezze antivitali. «Non è bene

53

che l’uomo si ricordi a ogni istante di essere uomo. Già è male

concentrare l’attenzione su se stessi; ma è ancora peggio

concentrarla sulla specie, con uno zelo da ossessi: significa

attribuire alle miserie arbitrarie un fondamento oggettivo»107. Le

apparenze ci sembrano dotate di realtà nella misura in cui noi le

nominiamo, le apparenze diventano cose, aventi un significato. La

differenziazione è una questione di terminologia nel Vedanta. Le

cose in sostanza,sono, perché noi ne parliamo. Dopo essere uscito

dal paradiso ha nominato la terra popolandola di oggetti e di

esistenze reali ma irreali. «L’uomo è nato da una volontà di

superamento, ed è diventato follia di superamento»108, volontà di

distinguersi, di differenziazione, di farsi importante. Quando noi

percepiamo il nostro io, lo percepiamo come volontà e come realtà.

Volere e’ creare. La volontà e’desiderio e coscienza. La speranza

è volontà in quanto creazione progetti, di fedi e di ispirazioni.

La speranza è la fede su un posto altrove, diverso da qui, un

posto altro migliore e la preghiera è di conseguenza invocazione

dell’altro fuori da qui e rifiuto dell’esistente. La preghiera in

Cioran si trasforma in lucida invocazione ma con la disillusione

dell’esistenza dell’altrove.

Il lucido o il risvegliato o “il condannato alla esistenza” è

colui che abbandona l’abituale visone del mondo ed esce dal

sipario, per sempre fuori, in una sorta di “esilio metafisico” un

estraniamento da se stessi e dall’intorno senza ritorno, nostalgia

disperata di non poter fare ritorno all’essere, a casa, al tutto,

al destino.

Il condannato alla vita, lo scettico per eccellenza e’ colui che non ha

scelta, e’ condannato alla libertà, ad una libertà senza salvezza.107 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, traduzione di Teo Turolla, pag.5108 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 691

54

Libertà e non scelta si intersecano in Cioran quando il dubbio

radicale investe tutti i piani del reale e si trasforma in una

negazione estrema che ci priva di ogni certezza illuminandoci

della sola certezza dell’illusorietà del reale e diventa unico

parametro di giudizio.

Il destino è dunque la libertà. La volontà privata del dare per

l’altro si trasforma in un tendere solitario verso il «nulla o il

tutto», quindi assorbita nell’essere o nel non essere.

La libertà nega la salvezza, poiché diventiamo liberi in un

deserto, in un deserto senza rifugio, soli a noi stessi: «più

libero di chiunque, ma la libertà non gli serve più a niente. E

libero in un deserto»109.

Senza la fede, senza dio o l’idea, siamo punti morti, passivi,

condannati alla libertà di rifiutare e rinnegare e dubitare della

negazione stessa. Il dubbio radicale per Cioran non è un metodo.

E’ un male congenito, non lo scegliamo, cadiamo in esso come in

una sorta di maledizione. Il dubbio è necessario perché

inevitabile. Il dubbio esistenziale precede il dubitare logico ,

non è negazione, poiché la negazione logica non è che un affermare

al contrario, e rimane legata al pensare. Dubitare vuol dire

sconvolgere, de-creare, scandagliare il pensiero fino a vederlo

sfumare, ripiegarsi su se stesso e morire.

La disperazione è data dalla lacerazione provocata dal dubbio.

Esso: «ha radici profonde quanto quelle della preghiera»110.

Il dubbio radicale si trasforma in una negazione estrema che ci

priva di tutto e ci illumina al tempo stesso. Il no deve essere

prima un “no” che scaturisce dal sangue, derivato da una

desolazione essenziale. Il dubbio stesso si sostituisce al 109 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 707110 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 676

55

pensiero e ciò significa che l’atto del dubitare non rientra

nell’atto del pensare ma è piuttosto una tensione volta alla

frattura di questo. Ogni evidenza, il cogito, la consistenza

vengono a cadere. L’evidenza dell’essere non è più cosi evidente

poiché l’evidenza è inganno.

All’evidenza dell’essere si sostituisce il dubbio.

Per Cioran non si può acquisire la libertà senza perderla.

Pare un paradosso o una contraddizione ma la libertà appartiene al

mondo della scelta ed il mondo delle scelte coincide con quello

delle apparenze per Cioran. L’uomo che ha mortificato le illusioni

e se stesso, compromesso la realtà del reale presente, non è più

natura anche se in fondo è più vicino alla natura poiché come essa

non ci è scopo. il male è nell’essere nati. L’unica uscita dalla

disperazione sta nella virtualità di non aver esistito,

nell’essere intatti come eravamo nello stato anteriore, mettere da

parte quello che pensavamo di essere. Essere come nati-morti. La

lucidità cronica non permette il convertirsi in qualcosa, è una

sorta di disincanto dall’incantamento della vita.

L’intera struttura del reale salta in aria gettando l’uomo che ne

fa esperienza senza alcun appoggio senza sicurezza se non la sua

morte.

In realtà anche il Nulla in Cioran non sembra una scelta.

Poiché la libertà e’ scegliere, la salvezza e’ speranza.

Quando si diventa liberi non si crede e non possiamo che non

scegliere poiché nessuna idea può sostituire l’intuizione e la

consapevolezza dell’irrealtà’.

In Cioran la morte si impone, non è una scelta. Il pensiero della

morte avvilisce qualsiasi conoscenza poiché essa sola rimane ad

avere un senso, un senso fine a se stesso ingoiando la vita e le

56

cose viventi. La saggezza è accesso ad un sapere che il nostro

sapere non sapeva, e per sapere, deve distruggere il suo sapere

noto, abbandonare il senso per lo accoglimento del non senso.

L’individuo che abbia avuto l’esperienza della morte e che abbia

sacrificato l’identità alla verità si trova in uno stato di morte

figurata. Non vive più nel tempo poiché vi e stato respinto. Non

fa più parte della storia, non ha più lui una storia e non

appartiene più al mondo familiare. La caduta dal tempo applicata

all’individuo, è distacco dall’identità che porta al distacco

dagli altri. Perduto ogni punto di riferimento, infranti tutti i

fini e le fedi non rimane che lo spettacolo di un tempo svuotato,

il nostro passato come il nostro futuro non ci appartiene ciò per

cui Cioran esclama: «Pietà per colui che fu nel Tempo e non potrà

più esservi!»111. Gli esiliati dal tempo sono condannati a non poter

più reinserirsi, esclusi dalla fiducia della durata e dal circuito

degli atti.

Il caduto a cui non è che rimasta una lucidità cronica deve

inventarsi la vita giorno per giorno poiché non può più vivere nel

senso di progettualità, partecipazione o relazioni.

Ma esistere coincide con essere. Dunque per esistere dobbiamo

portare avanti un io. Dunque dobbiamo essere, in Cioran assume

quindi essere come auto inganno, attori senza passione per l’atto

poiché la vita è essenzialmente una finzione, una invenzione.

La solitudine

111 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, Adelphi, Milano,1995, p. 118

57

La sensazione di solitudine nasce da una frattura originaria per

il nostro Autore, dalla negazione del paradiso, che avrebbe poi

sconvolto la nostra natura e ridotti per sempre ad una sembianza,

una illusione.

L’uomo solamente può dividersi dal reale, porsi fuori dal

divenire. Unico fra gli animali, l'uomo rinnega e si rivolta

contro la luce e il paradiso, contro l'unità originaria, la

purezza contenente tutto in se, senza distinzione, ovvero il non

essere. L’uomo si è voluto essere, si è voluto distinguere, fino al

punto di assorbirsi totalmente in questo suo capriccio di divenire

distinto da se, farsi soggetto, e porsi fuori dall’altro e creare la

distanza.

L’uomo è il prodotto di questo entusiasmo originario e caduta

originaria che coincide con l’emergere della coscienza, e la

coscienza è propriamente «non partecipazione a ciò che si è, la

capacità di non coincidere con nulla»112. In altre parole volere

essere ciò che non si è, volere emergere, volere un destino. Ha

così inizio la grande illusione che incalza l’uomo, lo spinge a

progettare, lo fa agitare e lo costringe all’agire, lo incatena al

mondo.

L’uomo è per Cioran il «grande transfuga dell'essere»113, l'uomo è

eternamente colui che non è poiché avendo rinnegato la sua origine

intravediamo un destino segnato dalla precarietà e dalla miseria.

Il rimorso del rinnego, la coscienza dell’orrore.

L’uomo è per questo solo per eccellenza. La solitudine intesa come

isolamento dal e nel mondo. “L’uomo è di qui e non lo è”.

Siamo noi che abbiamo scelto di precipitare nel tempo, e in tutto

ciò che noi nominiamo vita, abbiamo voluto il sapere e perduto la 112 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 184113 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 12

58

vera immortalità, ovvero quella di non sapere di morire.

affascinati dall'albero della conoscenza dunque abbiamo scelto di

morire. Dopo tale momento, un evento tremendo, se evento può

ancora definirsi ciò che si è verificato nel senza tempo, ogni

cosa vivente sappiamo destinata al ciclo di nascita e morte.

L’uomo solo fa esperienza della irrealtà e della morte.

L’uomo essendo un essere per la morte non può contemporaneamente

essere dotato per la vita. Risulta quindi essere naturalmente

inadatto alla vita, una sorta di fuori programma della specie. «Il

racconto della caduta ci permette di intuire, che pur nel cuore

dell’Eden, il promotore della nostra razza doveva sentire un certo

malessere: non si riuscirebbe a spiegare altrimenti, la facilità con

cui cedette alla tentazione»114. Questo malessere supponiamo

originatesi da una innocenza che si stava perdendo, indebolendo,

una falsa innocenza poiché si è lasciata contaminare dal desiderio

e dalla curiosità.

Il male nell’uomo è connaturato.

La verità è terribile, annienta l’umano, condanna alla solitudine

più solitaria rendendolo consapevole e condannato. Fondane afferma

che «l’uomo non e’ solo se ha con se, non dico la speranza, perché

l’uomo puo’, al limite, fare a meno della speranza, ma una certa

fiducia nella sua ragione»115. La verità deve per necessità

approdare alla sua negazione per affermare, se non per affermarsi

essa stessa nel discernere l’inesistenza di un fondamento. Quando

rompiamo col mondo, con la realtà, nostra e degli altri non ci

rimane nessuno quaggiù con cui dialogare. Dio fonda i nostri deliri.

Dio rappresenta dunque il nostro unico confidente, emerge nella

solitudine come un dialogo, altrimenti, la solitudine diventa 114 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 7115 B. Fondane, Rimbaud, la Canaglia, pag. 80

59

disperazione infinita. Quando non ci rimane più niente ci

aggrappiamo a Dio come ultima tentazione, come un lampo di luce

nella disperazione e possiamo concepire il divino solo come

manifesto nella solitudine che è silenzio, deserto interiore che

ha bisogno di comunicare. La vera solitudine è quella dove si ha

bisogno di una preghiera, una preghiera che superi la fede stessa

afferma Cioran, perché quando ci si sente soli, quando incarniamo

la solitudine stessa tutto ciò che proviamo è religioso, mistico.

Ma solitudine vuol dire porsi al di fuori dell’esistenza, sentire

l’esistente e la sofferenza. «Colui la cui emozione di fronte ai

cieli e ai mari, non ha rasentato le lacrime, costui non ha mai

abitato le nebulose contrade del divino, dove la solitudine è tale

che ne richiama un’altra ancora più grande»116. La preghiera è quasi

sempre mossa dal desiderio di fuga e di abbandono o di rifiuto;

oppure dalla pienezza di una solitudine traboccante di gioia,

gratitudine, dalla nostalgia per un tempo fuori dal tempo. è la

solitudine totale o per meglio dire la solitudine colpevole di non

essere totale, a creare una solitudine più grande.

Dio rappresenta «il vertice della non comunione,

l'intrasmissibile, un punto insostanziale al quale è necessario

dargli un nome, attribuirgli una esistenza fittizia, estraneo a

ogni genesi, a ogni crollo nell’essere»117. Dio è l’ultima tappa del

cammino della solitudine, e quando camminiamo solitari verso la

più profonda solitudine, li incontriamo il vuoto, un vuoto

sconosciuto, tanto insipido quanto il conosciuto. Si parte dalla

disperazione per arrivare a Dio che è: «la disperazione che ha

inizio là dove finiscono le altre»118.

116 E.M.Cioran, Lacrime e Santi, pag. 44117 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 765118 E.M.Cioran, Lacrime e Santi, pag. 21

60

Si deduce una visione non di trascendenza o entità redentrice,

quanto piuttosto la constatazione di una realtà misera quanto

desertica, comprensione della coscienza spinta all'estrema

solitudine. L’abisso evocato nelle esperienze mistiche è l’unica

cosa reale dove le differenze si assottigliano fino a sparire, e

il tutto si confonde col niente.

L’uomo è senza scampo, le vie d’uscita sono -il vuoto o le

illusioni-. O per dirla come Rensi: “o l’assurdo o il nulla”119

Per questo la verità è antiumana e inumana poiché non solo ci

lascia soli a noi stessi ma ci esclude dalle faccende del mondo.

Ci esclude e ci condanna ai limiti delle cose ordinarie rimanendo

a trascorrere una esistenza apparente.

Oltrepassata la normalità si rimane tagliati fuori da vincoli e

confini. Scompaiono le definizioni, i concetti. Si rimane

«sospesi tra l’immobilità e la tetraggine, nell’assoluto

dell’impaludamento, dove la parola stessa sprofonda»120 poiché

svuotata di ogni assoluto.

Cadere dal tempo, appunto, è un allontanarsi, spingersi oltre se

stessi.

«Arrivati a un certo grado di solitudine o di intensità esistono

sempre meno persone con cui si possa discorrere; anzi si finisce

per constatare che non si hanno più dei propri simili»121. Se non

sono più io, non ho un io da presentare agli altri o un io pratico

utilizzabile dagli altri. L’uomo è votato quindi all’insincerità.

L’incontro e’ dunque lo scambio di esseri perfettamente inutili ed

insinceri.

119 G.Rensi, La filosofia dell’assurdo, pag. 131120 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 123121 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 712

61

Il fulcro della dialettica occidentale si fonda propriamente

sull’altro inteso come specchio e riconoscimento del soggetto

stesso, e desiderio e culto di Altro fuori di qui.

L’altro in Cioran finisce per diventare un elemento di disturbo

poiché l’altro ci riporta alla ipocrisia, alla maschera, alle

nostre miserie.

Cioran ipotizza un nuovo tipo di uomo: l’uomo quotidianamente di

fronte alla morte.

«siamo realmente noi stessi, quando non coincidiamo con niente,

nemmeno con la nostra singolarità»122. La singolarità intesa come

unicità dell’io e del tutto uno viene annichilita e assorbita nel

nulla, il nulla vuoto.

Una sorta di estasi che si proietta verso un infinito vuoto altro

da un assoluto pieno. Paradossalmente, la riscoperta della vita,

del vivere e del vissuto viene irrimediabilmente distrutta dalla

rivelazione dell’autentico.

Le cose, gli oggetti, l’esistenza e gli esistenti smettono di

essere interessanti e desiderati. La condivisione e il concetto di

reciprocità si annullano.

«In pieno smarrimento, la certezza assoluta della mia

solitudine»123.

Vediamo come in Cioran la solitudine assume carattere metafisico.

La solitudine è testimone assoluto delle nostre percezioni come

degli smarrimenti.

La solitudine non si muove, non diviene, è sempre là, simile alla

tristezza che «non diminuisce, non aumenta. E»124. Cioran

attribuisce alla tristezza come alla solitudine un aspetto

122 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag.5 123 E.M.Cioran, Quaderni, pag.33124 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 78

62

metafisico poiché sono entrambi stati di connessione col Nulla.

«Ogni cammino che non conduca alla solitudine o non inizi da essa

è deviazione, errore, perdita di tempo»125. La solitudine è una

esperienza individuale ed insieme uno stato reale.

Nella irrealtà è l’unico stato ad avere una realtà propria. Ed è

ciò che fondamentalmente ci fa dubitare sull’assenza del divino ma

che disperatamente ci conduce a cercarlo.

«Il senso profondo della preghiera è questo: l’impossibilità di

rivolgersi a qualcuno quaggiù, non perché si viva a livello

spirituale elevato, ma per un senso di abbandono..Non ci sarebbe

assoluto se l’uomo potesse sopportare la massima solitudine. Non si

tratta della solitudine dell’abbandono;al contrario in questo caso

può esserci una pienezza nella solitudine; ma proprio questa

pienezza è insopportabile, perché troppo grande per un io. L’estasi

crea Dio quasi automaticamente; altrimenti lo ucciderebbe, proprio

perché troppo piena, troppo vasta per uno solo. Bisogna che ci sia

una Maiuscola, sia essa Dio o il Vuoto- persona suprema o suprema

irrealtà-»126. Dio è un essere necessario perché è terapia contro la

disperazione. In ultima istanza Dio rappresenta “l’occasione per

sfuggire all’opprimente banalità del vero”, ma Lui nemmeno può

offrirci una consolazione ed impedire la malinconia rappresentando

appunto mancanza lui stesso. Cioran inserisce l'ossessione del

nulla, uno stato anteriore alla caduta, prima di esserci per l

mondo, al tempo, frutto dell’impurità dell’essere. La nostalgia è

legata al desiderio non prossimo ma anteriore, al passato in Dio, un

mondo fuori dal tempo. La perdita di Dio, la morte di Dio si

traduce in una ulteriore disgrazia ovvero quella di dimenticare

Dio e la nostalgia. La nostalgia mostra tanto la verità della 125 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 81126 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 713

63

nostra caduta quanto la nostra verità, quella che si colloca al

nascere del momento tragico, misterioso quanto misero, da cui

contemporaneamente è sorto il tempo. Nostalgia della purezza prima

dell’inizio di tutti gli inizi e i principi.

Ma la purezza appunto si colloca fuori dalla vita. L'inferno è

qui, ma il paradiso è fuori la vita.

E' religioso Cioran?

Alla domanda «cosa è religioso»? Cioran risponde: «e’ qualcosa che

si approfondisce in noi a scapito del mondo, è il progredire verso

un silenzio melodioso»127. Cioran subisce il fascino dei mistici e

allo stesso tempo non riesce a liberarsi dall'ossessione del

divino ma neanche ad aderire ad alcuna religione. Se dovessimo

avvicinarlo come temperamento potremo affiancare la visione di

Cioran ad alcune pratiche zen, mancanti di metodo, aventi come

finalità il satori, simile ad una brusca apertura. Il satori è cercato

nella direzione del non senso e si sostituisce alla realtà

sensata, e rivela una realtà più profonda.

La religiosità di Cioran esige la rinuncia, la rinuncia alle

risposte della fede e alle domande della ragione, rinuncia al

mondo come luogo delle apparenze per approdare ad un silenzio che

va al di là della preghiera, e scavalca la fede stessa. Tutto ciò

che è religioso nasconde una nostalgia e allo stesso tempo un

rifiuto velato per i limiti del mondo terreno e l’aprirsi ad una

nuova realtà spirituale. Il peccato della religione è innanzitutto

127 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 316

64

aver sminuito i sensi riducendoli a turbe della carne, ed in ultimo di

aver corrotto lo scetticismo e distrutto la saggezza antica,

dispensando una spiegazione assoluta, inconfutabile, rendendo il

mistero una realtà di attributi positivi.

Ha conferito all’uomo una grandezza che non ha, allontanandolo

dalla sua insignificanza, nel promettere un premio che non trovando

posto oggi la si proietta nel domani. «Siamo stati felici soltanto

nelle epoche in cui, avidi di annientamento, con entusiasmo

accettavamo il nostro niente»128.

Gli antichi, non ricercavano risposte sicure proprio perché era

chiara la fragilità e l’insignificanza dell’essenza umana, e

cercavano soltanto di migliorare l’esistenza alleviandone la

sofferenza. La rasserenante rassegnazione, tipica degli scettici greci

antichi, è l’unica ad offrirci la visione reale di noi stessi e

dei nostri limiti.

La religione degli antichi si traduceva in una filosofia del

vivere. L’esistenza di un rapporto dialettico uomo-Dio, accresce

l’importanza dell’uomo e la convinzione di ritenersi singolare è

ciò che ossessiona maggiormente Cioran. Questo rapporto è un

illusione. Gli animale sono più vicini a Dio di quanto lo sono gli

essere umani che mentono sulla universale comunanza spirituale, in

quanto assurda e utopica per l’uomo che abbia visto l’irrealtà.

Gli animali non sono diversi da ciò che sono e vivono nell’unità

con Dio.

Unità che avevamo prima della caduta nel tempo.

128 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 24

65

Il Vuoto

Quando si scopre l’inganno e si alza il velo, il mondo svanisce

nelle vertigini dell’abisso e del vuoto e l’unica cosa che rimane

è la solitudine che resta intatta e tale e quale al massacro del

reale illusorio. « Quando il nulla mi invade e giungo, alla

vacuità del vuoto, mi accade, affranto da un tale eccesso, di

ripiegare su Dio, non fosse che per desiderio di calpestare il

miei dubbi, di contraddirmi, e di cercarvi uno stimolo

moltiplicando i miei fremiti»129.

« Più d’uno ha l’India facile e s’immagina d’averne colto i

segreti, mentre nulla in realtà ve lo predispone, né il carattere,

né la formazione, né le inquietudini»130.

Riflette sulla difficoltà per uno occidentale di assimilare e

comprendere pienamente e praticamente le dottrine orientali. Come

è possibile aderire alla verità buddhista che professa tutte le

cose come irreali e continuare allo stesso tempo a considerarle

esistenti e a soffrire quindi per esse? Da dove proviene quella

sofferenza senza oggetto?

«Abbiamo il fenomeno nel sangue» aggiunge Cioran, e, un occidentale

non ha la capacità di spersonalizzarsi se non a costo di un

mutamento radicale della struttura che la mente applica alla

realtà, che non si può imparare, né insegnare, ma solo

sperimentare e soccombere. Noi occidentali, amanti della vita e

della frenesia dove potremo mai «trarre le energie per la

129 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 106130 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 14

66

contemplazione, questo dispendio statico, questa concentrazione

all’immobilità?»131.

E’ qualcosa che va contro i nostri istinti e non può che portare

alla mortificazione di questi. Il vuoto per un occidentale non

significa nulla e può divenire una scusa per il lassismo, oppure

conduce inevitabilmente alla passività non solo fisica ma anche

intellettuale. Vi è dunque il pericolo di smarrimento non tanto

dato dalla morte di Dio ma l’esperienza della morte dell’io e

della soggettività. Cioran fa notare come l’attrazione verso altre

forme di saggezza, come quella indiana e orientale possono avere

effetti negativi e creare altre illusioni, perché fraintese. Ma

allo stesso tempo la ricerca in un'altra religione esprime un

bisogno di spiritualità che non c’è più. Si pone contro i falsi

liberati, falsi buddhisti che credono di aver raggiunto la

salvezza e non fanno altro che rimanere imprigionati.

L’arricchimento spirituale di cui parla Cioran, è un livello

spirituale che non è dato da beatitudine e da pace interiore, ma

dal livello di scoperta dell’irrealtà e la scoperta dell’irrealtà

totale conduce alla percezione del Tutto Nulla, o meglio il tutto

che si riduce al nulla,una pienezza del non senso, che provoca

instabilità e smarrimento. Questo stato lo potremo identificare la

caduta dal tempo, propriamente una caduta nel vuoto, estraniazione

dal tempo, senza che a questa mancanza si possa sostituire

qualcosa da cui poter trarne beneficio, perché l’esperienza del

vuoto non può rivelare nulla, eccetto il nulla stesso. Cioran a

questo punto si divide tra il fascino esercitato dalla visione del

vuoto e la conseguente spogliazione che ne comporta. Il vuoto

arricchisce, afferma, in quanto libera l’uomo dall’illusione e lo

131 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 23

67

distacca dall’ego e dal passato, superandolo, ma essendo assenza

di forma e contenuto, il vuoto è assenza di pensieri e di

coscienza,

«inghiottimento beato, disastro incomparabile»132.

La contemplazione del vuoto è una esperienza sconvolgente che

investe tutti i piani del reale e il proprio io che sembrava

essere la realtà più reale e più inattaccabile. Per il buddista il

vuoto si traduce in uno stato benefico e attivo perché non vuol

dire distruzione, annientamento della ragione e conseguente

indebolimento della volontà e del pensiero, ma emancipazione,

perché la ragione stessa ne risulta purificata e libera da

confusione e follie. Il vuoto secondo la concezione orientale è

pieno, attivo. In Occidente il vuoto non è niente, è appunto vuoto

ovvero non essere. «Il Nulla per il buddismo non ha la

“connotazione” leggermente sinistra che ha per noi. Si confonde

una esperienza limite della luce, o se si vuole, è una condizione

di eterna assenza luminosa, di vuoto radioso -è l’essere che ha

sconfitto tutte le sue proprietà, un non essere supremamente

positivo perché dispensa una felicità senza materia, senza

sostrato, senza alcun appoggio in qualsivoglia mondo»133. Per il

buddista il Vuoto è la condizione per accedere alla salvezza,

perché liberandoci dal desiderio ci liberiamo dal male di

esistere. Privata dei desideri la coscienza vuota compie nell’uomo

uno stravolgimento. Liberandoci dalla realtà esteriore scoperta

illusoria si trasforma la nostra realtà interiore che privata di

tutti i pregiudizi prende direttamente dall’esterno i contenuti

poiché il vuoto e per gli orientali al di là dell'essere e del non

essere. Il vuoto distrugge l’idea stessa di essere. Il pericolo è 132 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag..100133 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 565

68

di convertire il vuoto in sostituto dell’essere. Il vuoto non deve

diventare legame.

«La percezione del vuoto deve eludere qualsiasi antitesi – dove

non c’è più essere nell’essere, dove ciò che è non si distingue da

ciò che non è, dove tutto è e non è»134.

Il vuoto, questo “ nulla trasfigurato”, ci rivela l’indistinto,

il non senso. Il vuoto è un antidoto al dolore, afferma Cioran, «

Anche se fosse un inganno, l’esperienza del vuoto meriterebbe

sempre di essere fatta. Ciò che essa propone, ciò che tenta, è di

ridurre a niente la morte e la vita, al solo scopo di rendercele

tollerabili»135 dunque possiamo dire è un “modo” essenziale dello

spirito per liberare l’uomo da qualsiasi forma di legame fisico e

psicologico.

Cioran, pur avvertendo nell’esperienza del vuoto e del distacco

una possibile via di salvezza, rimane in lui la convinzione di

matrice gnostica, che il male non è un’illusione e non è possibile

liberarsi del tutto. D’altra parte quando ci si distacca e si

diviene indifferenti, ci si ritrova ad essere «salvi e infelici

per sempre», perché la salvezza rappresenta «tutto ciò che

assottiglia il regno della coscienza e ne compromette la

supremazia»136.

Se l’esperienza del vuoto permette il superamento della paura, ci

affranca dalle delusioni come dalle illusioni, libera da ogni

legame dunque da ogni sofferenza, d’altra parte l’esperienza

dell’irrealtà compromette i significati e le relazioni e il noi stessi.

Smantellato l’edificio dell’io e le sue realtà, il me non risulta

più io e a questo punto non si sa più cosa essere o come essere.

134 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 647135 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 114136 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 35

69

Dissolversi nel vuoto o nell’assoluto significa precipitare in una

sorta di gioia neutra senza alcuna determinazione, nell’irrealtà.

Quando ci lasciamo travolgere dall’esperienza senza attribuirle

alcunché, accade l’inconcepibile, ciò che non avremmo potuto

pensare possibile entro il possibile stesso. L’impossibile o

inevitabile diventando possibile, fattosi esperienza, toglie al

possibile tutte le sue possibilità.

Madame Du Deffand, osservava che la libertà non era « un bene per

tutti», che rari sono quelli che possono sopportarne «il vuoto o

l’oscurità»137.

Ciò che nel buddismo è lo stadio più alto per giungere al nirvana

per Cioran la spogliazione completa, lucidità finale, è

estremamente pericolosa, inutile e dannosa. Più si cresce

nell’indifferenza più ci si allontana dal tutto inteso come

tensione per la vita e amore per gli altri. Bisogna per questo

fuggire la salvezza ci suggerisce il nostro autore. Ammonizione

che vale altrettanto per i popoli liberi, vedremo in seguito, perché

salvarsi significa cessare di essere per se stessi, di fingere la

vita, morire al me, non esistenza dell'altro. « Chi, una volta

salvato, osa dirsi ancora vivo?138.

Esistenza e sofferenza

C’è un vissuto che devasta la fiducia, le percezione della realtà

sembrano diventare scintille consapevoli di coscienza che si

137 E.M.Cioran, Esercizi d’ammirazione, pag. 65138 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 43

70

estinguono assorbendosi in un altro tipo di coscienza. Il dolore

per Cioran può portare a questo cambiamento.

Può succedere che ad un forte dolore si scateni una energia

sconosciuta ma consapevole, priva di esperienza visibile, ma reale

quanto fisica, che smembra il vissuto rendendolo autentico e nudo.

Questo tipo di cambiamento è simile ad un fuoco cerebrale che

incendia le foreste di credenze, non cessa di divampare fino a

consumare gli ultimi sintomi umani.

Dal momento che ogni dottrina della salvezza parte dalla

constatazione della realtà del dolore e «dall’equazione esistenza-

sofferenza»139, eliminata quest’ultima vi può essere ancora vita?

non è forse più naturale accettare il dolore e le contraddizioni?

Noi esistiamo solo in quanto soffriamo, afferma Cioran, e la

sofferenza è prima di ogni esperienza, poiché:« L’esistenza o il

nulla “sono” soltanto attraverso la sofferenza»140. E’ il dolore a

darci la coscienza di vivere e permette alla nostra anima di non

morire, di confrontarsi e affrontare “la quantità di insopportabile,

alla quale tutti i viventi sono chiamati. Tutti siamo infelici, e

ancor di più quando abbiamo coscienza dell’infelicità. E allora

sperimentiamo quella sorta di dolore non più personale ma un

dolore diremo cosmico. Per Cioran è il dolore insieme alla malattia

a dare profondità all’esistenza, perché il dolore rende la vuota

esistenza color del sangue, nel senso che ci rende vivi, fusi con

essa. Vita e sofferenza sono legate indissolubilmente. Cioran

condivide con Leopardi il sentimento della solitudine cosmica e

l’incapacità’ connaturata del raggiungimento della felicità per

ogni forma vivente come si esprime nel Dialogo tra la Terra e la

Luna:139 Ibidem.140 E.M.Cioran, Lacrime e Santi, pag.81

71

Terra. « generalmente gli abitatori tuoi sono felici o infelici»?

Luna. «Tanto infelici, che io non mi scambierei col più fortunato

di loro».

Terra. «Il medesimo è qui. Di modo che io mi meraviglio come

essendomi si diversa nelle altre cose, in questa mi sei conforme

Luna: Perché il male è cosa comune a tutti i pianeti

dell'universo, o almeno di questo pianeta solare...e gli

interrogassi se in loro abbia luogo l’infelicità.. ciascuno ti

risponderebbe come ho fatto io»141.

Il dolore è ciò che di più reale ci può essere, poiché esso non è

solo presente nell'Essere ma nella stessa esperienza del non

Essere. « L’assenza può significare una mancanza di esistenza, ma

non di dolore»142. Il dolore risulta dunque avere una realtà

esistenziale e metafisica. Inoltre indispensabile mezzo per

accedere alla conoscenza. Il buddismo supera il male superando il

dolore, di conseguenza l' essere nel dolore esistenziale. Perché

il dolore possa avere luogo significa non aver compreso

l'illusorietà di questo legato a sentimenti dell'io. Se non siamo

più noi smettiamo di coincidere con i nostri stati d'animo. Il

buddismo supera il dualismo perché il vuoto è aldilà dell’essere e

del non essere, della vita e della morte. Ma siccome è attraverso

il dolore che sperimentiamo l’essere, il dolore è la morte, il

dolore è nel non essere.

Non vi è alcun rimedio al dolore del male di esistere se non la

soppressione di tutte le risorse vitali. Finché «si vive realmente

soltanto grazie al rifiuto di liberarsi della sofferenza», una

volta liberati si dilegua la vita, la tragedia, il profondo, e Dio

141 Giacomo Leopardi, Operette Morali, a cura di G.Ficara, Mondadori 1988, Dialogo dellaTerra e della Luna, pag. 87142 E.M.Cioran, Lacrime e Santi, pag. 82

72

stesso o quella «sorta di tentazione religiosa

dell’irreligiosità»143. Poiché la visione del Nulla ci rende

consapevoli della nostra nullità e della nullità dell’altro,

l’uomo ha bisogno di soffrire, poiché quando si sopprime il

desiderio di soffrire, siamo salvi ma allo stesso tempo semi-vivi.

L’uomo ha voluto la religione per questa necessità di soffrire. Il

dolore è tutto.

Cioran condivide con il buddismo “l’inconveniente di essere nati",

lo svantaggio dell'esistere, ma si allontana da questa dottrina

poiché non vi è soluzione al dolore che è essenza ed assenza

dell’esistenza. «Ci ripugna considerare la nascita un flagello:

non ci è stato forse inculcato che era il bene supremo, che il

peggio era posto alla fine e non all’inizio della nostra

traiettoria? Il male, il vero male, è però dietro, non davanti a

noi. E quanto è sfuggito al Cristo, è quanto ha invece colto il

Buddha»144.

Cioran non riesce a liberarsi dal male come il vero motore immobile

dell’universo e l’agente motore del mondo. E’ l’alimentatore di

tutti gli atti, dunque non è privazione, ma il compimento

intrinseco e primario del nostro essere. Permea il nostro essere,

crea la lotta, produce il delirio e la vita stessa. Se il male

sparisse cadremmo nella monotonia del bene. Senza l’impurità

dell’essere niente si crea, poiché tutto ciò che si crea è

diminuzione d’essere. Poiché l’uomo crea vi è il male, e la

creazione divina è male poiché «la bontà non crea»145. «Dunque il

bene è inadatto a diffondersi, il male, ben altrimenti

intraprendente, vuole trasmettersi, perché possiede il duplice

143 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 43144 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 10145 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag.12

73

privilegio d’essere fascinatore e contagioso»146. Dunque è grazie al

peccato che è stata possibile la vita, l’illusione, ciò che ha

permesso all’uomo di “farsi un nome”.

Come una forza funesta, una malattia originaria ha separato l’uomo

dal resto e dalla purezza. Poiché ciò che non possiede impurità

non ha realtà, solo l’impurità permette il reale. Solo l'uomo

rivoltandosi contro la gloria anonima ha voluto il diavolo, noi,

tutto, dipende dal diavolo poiché riposare in Dio vuol dire

soffocare in Lui.

L'uomo è un animale segnato, poiché affetto da una tara iniziale.

L’uomo per Cioran non potendo annegare in Dio se non perdendo

tutto per il niente, si spinge a competere con Lui, ad accrescere

il proprio potere mettendosi dalla parte del diavolo.

Se il male è legato alla condizione temporale dell'uomo, si è

liberi solo rompendo con la sua opera, e con il proprio io, ma ciò

implica un definitivo distacco dal mondo, generatore di illusioni,

perché: « Ogni esperienza religiosa profonda ha inizio là dove il

regno del demiurgo finisce»147, nel senso che il momento religioso

avviene attraverso la rottura col tempo, gli istinti, i progetti.

Dio è l’ultima tappa della solitudine, e quando camminiamo

solitari verso la più profonda solitudine, lì incontriamo il

vuoto, un vuoto sconosciuto, tanto insipido quanto il conosciuto.

Si parte dalla disperazione per arrivare a Dio che è «la

disperazione che ha inizio là dove finiscono le altre».

La caduta dal tempo 146 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 18147 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 16

74

«Gli altri cadono nel tempo; io invece sono caduto dal tempo.

All’Eternità che si ergeva al di sopra di esso succede quest’altra

che si pone al di sotto, zona sterile dove non si prova più che un

solo desiderio: reintegrare il tempo, innalzarsi ad esso a ogni

costo, appropriarsene una particella per insediar visi, per darsi

l’illusione di una dimora propria. Ma il tempo è chiuso, ma il

tempo è fuori portata: e proprio dell’impossibilità di penetrarvi

è fatta questa eternità negativa, questa cattiva eternità»148.

La caduta dal tempo e’ intesa da Cioran come allontanamento dalla

realtà presente che e’ la caduta nel tempo e l’oblio conseguente

dell’eternità’, di un tempo fuori dal tempo. In sintesi la caduta

dalla Storia.

Se il tempo che costituisce la storia è il risultato della nostra

prima caduta,

Cioran profila un’altra caduta, ancora più grave, la caduta dal

tempo, la caduta dalla storia dunque. Il momento di trionfo

dell’uomo sugli dei e domato tutto il mondo, domata la realtà,

l’uomo non potrà altro che soccombere alla sua libertà. Perso il

tempo e la coscienza della finitudine, l'uomo si ritroverà privo

di riferimenti, «in piena irrealtà o inferno»149, in una sorta di

paradiso desolato, in un tempo che scorre immobile svuotato dei

momenti unici.

Possiamo ovviamente paragonare la realtà virtuale ad un paradiso,

e quando diventerà dominio di molti in molti ne diventeranno non

solo sedotti e dipendenti, ma completamente assoggettati. Dalla

148 E.M.Cioran, La Caduta nel tempo, trad. T. Turrolla, Adelphi, Milano 1995, pag 118149E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 123

75

dipendenza all'assoggettamento non vi è molta distanza. Realtà ed

irrealtà si mescolano e si finisce col perdere davvero il contatto

con la natura e il distacco saràincolmabile.

Dunque se la caduta nel tempo è deviazione dalla purezza per noia,

la caduta dal tempo è ancora più pericolosa poiché oltre

all’annichilimento del metafisico e del sacro, l’estraniamento

naturale si confonderà, per utilizzare una metafora, con

l’inorganico. L’uomo cadrà dunque nella cattiva eternità dove avrà

perduto sia il lato sacro, divino, sia la sua dignità e la sua

identità, Cioran profetizza: «Stiamo tutti correndo verso l’uomo

muto e nudo…»150. Nudo perché non avrà più niente da difendere, non

avrà più se stesso, e muto perché non ci sarà più niente da dire.

Già oggi purtroppo assistiamo a questo processo di dipendenza

internet e di estraniamento.

Cioran mette il punto. Non c’è più nulla da scrivere e da dire, né

da sentire a parte il sentire l’irrealtà della storia come nostra

costruzione o maleficio diabolico ma che un malessere ancora più

grande è alle porte, appunto la caduta dalla Storia.

Fine della storia, fine dell’uomo, fine delle grandi narrazioni,

perdita di interesse dell’elemento tragico, caduta di senso,

allontanamento dalle tradizioni.

Cioran è ossessionato dalla storia, o meglio, da presentimento

della fine che ci coglie quando la esaminiamo più da vicino, ne

constatiamo la degradazione e la necessaria conclusione. Non

possiamo negare che la storia abbia un futuro nella visione di

Cioran, ma quando volgiamo il pensiero a questo futuro non

possiamo che pensare ad un finale grandioso, una morte universale

150 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 157

76

poiché: «Nell’intimo degli individui, come delle collettività,

abita una energia distruttrice»151.

La crisi presuppone una frattura, ma al tempo stesso un

cambiamento.

Per Cioran il cammino della storia è votato irreversibilmente

verso la sua fine. La caduta dal senso e dal tempo coinvolge

maggiormente l’Occidente poiché il decesso dei nostri valori

indica e provoca il suo crollo.

Per Cioran religione e civiltà sono indissolubilmente unite, per

cui come le chiese sono divenuti oramai sepolcri, così i nostri

credo vacillano sempre di più. Possiamo dire che gli dei creano le

civiltà, la vita, e quando questi muoiono la civiltà è destinata

essa stessa a morire, come la creatura muore con il suo creatore.

L’Occidente sta assistendo alla sua decadenza, poiché stanca sia

di combattere, sia di credere, sa oramai di “un cadavere

profumato”. Ogni credo è destinato all’esaurimento e Cioran

intravede nell’Europa una civiltà da troppo tempo in decadenza, la

società che ha prodotto e produce più lucidi.

«Non tutto è perduto: restano i barbari. Da dove emergeranno? Non

importa. Per il momento, ricordiamoci che presto si metteranno in

marcia. Nell’umiliarci, calpestarci, ci conferiranno energia

sufficiente per aiutarci a morire o a rinascere»152.

Il crollo di una civiltà è rappresentato dall’aumento

dell’attività intellettuale che spegne la vivacità, propria, di

una civiltà ai suoi inizi. Il decadimento per Cioran è inscritto

nella stessa civiltà, come il processo di autodistruzione è insito

nell'essere umano. In questo senso essendo la civiltà un organismo

151 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 44152 E.M.Cioran, La tentazione di esistere, pag. 46

77

vivente, insieme di norme e di fedi e di deliri, quando cessa

tutto ciò è destinata a scomparire.

Cioran è un rabbioso proclamatore della Fine dell’Uomo come atto

dovuto, come necessità naturale, è ciò che spetta agli esseri

umani di scomparire per destino e per natura.

Il post-storia e Internet

«Post-storia. Vedo distintamente l’uomo alla fine del suo corso,

quando non avrà più niente da dire»153. Secondo la visione di Cioran

l’uomo moderno puzza di putrido e di maniacale. Denuncia il nostro

presente storico come sottrazione al divenire e al futuro.

Il cadavere dell’umano inizia ad emergere poiché oggi sono

esaurite anche le risorse della caduta nel tempo e vi è un

progressivo ed alquanto anomalo allontanamento dal tragico della

vita che muove la conoscenza, e dalle emozioni che insieme alla

ragione contribuiscono al pupillare di contraddizioni.

Il pericolo che stiamo vivendo è che esaurito persino «il fenomeno

del vedersi», ovvero di confrontarsi, di misurarsi, non gli rimane

«nessuna riserva di esistenza che gli permetta di sdoppiarsi»154, e

descrive ciò a cui il “web” tende, la ragnatela che tiene un

mondo che rifugge la solitudine.

Cioran ipotizza un post-uomo che si ritroverà ad avere nostalgia

della storia, dell'umano e di tutte le illusioni che finora hanno

153 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 706154 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 704

78

sostenuto la realtà. L'ultimo uomo è quello che avrà perduto per

sempre persino il ricordo del passato e della storia. E’ forse

questo il presentimento del progressivo perfezionamento del

virtuale che è già falsificazione di un reale già falso, ma

stravolgendolo con la perfezione e amoralità.

«Superando la storia si realizza la sovra coscienza,

indispensabile per l’esperienza dell’eternità. Essa conduce in una

regione dove le antinomie, le contraddizioni, e le incertezze del

mondo non hanno più alcun valore, dove non si sa più di esistere,

né di morire»155. Ed è ciò che internet è. “Una irrealtà sopra

un’altra irrealtà” è la prospettiva del futuro nella visione di

Emile Cioran dove la nostalgia non riguarderà più l’eternità, ma

la storia e il tragico.

Possiamo dire con Cioran che quando la realtà virtuale, ovvero

fusione dell’impossibile col possibile, realtà con l’irrealtà,

diventerà « patrimonio dell’uomo, egli cesserà di essere animale

storico. Ed è allora che avendo perduto perfino il ricordo della

vera eternità, della sua primitiva felicità, volgerà il suo

sguardo altrove, verso l’universo temporale, verso questo secondo

paradiso, dal quale sarà stato bandito»156.

Per paradiso temporale intendiamo gli istinti, le sensazioni, i

sentimenti, l’istinto religioso, tutto. Non è molto lontano per

Cioran il momento in cui l’uomo si troverà ad essere in una terza

dimensione, che non sarà né verità, né illusione, né eternità, ma

si creerà una sovra-sovra struttura della realtà, né temporalità,

ma un succedersi di istanti bloccati, dominati da una natura

oramai esiliata da se stessa. Dimenticando sia la dimensione

naturale e sia quella atemporale, l’uomo non saprà più dove 155 E.M.Cioran, Al culmine della disperazione, pag. 81156 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, Pag. 123

79

volgersi. L’accrescimento del potere tecnologico, il potere della

rete rappresenta già una non coscienza, dimentica della propria

finitezza che finirà di pensare alla morte come un "intralcio", un

impedimento, solo una cosa, l'unica. Persino la morte troverà a

trovarsi snaturata poiché solo una cosa che sta là lontana,

perdendo il sentimento di essa sarà possibile la realizzazione del

non-uomo privato del tragico intrinseco del suo creare.

Per Cioran c’è una eternità vera, positiva e piena, che si estende

al di là del tempo, e ci riempie la vita e per la quale rinunciamo

al terreno, al terrestre, senza che si accompagni alcun senso di

frustrazione. E c’è né un’altra, negativa, falsa, che ci proietta

al di là del tempo, ma che si situa al di qua. E’ una eternità che

logora, allontanandoci dalla salvezza e dai sentimenti, ci libera

privandoci di tutto. La cattiva eternità a livello individuale è

assenza, uno stare al di sotto di se stessi. Al di sopra o al di

sotto del bene e del male si scopre essere tutto uguale e

indifferente, il che implica non superamento delle strutture

morali, ma una assuefazione ad un vuoto dentro e fuori. La cattiva

eternità è propriamente «L’infinito delle anime marcite per

mancanza di superstizioni»157 insieme alle speranze inghiottite

dalla delusione. A livello storico riguarda la polverizzazione

degli ultimi pregiudizi, il tramonto per sempre dei dogmi e degli

“antichi terrori”, che fanno dell’uomo un essere libero, ma allo

stesso tempo lo lasciano nudo di fronte al baratro del futuro

spodestato dai sogni. «Non più accecati dalla Ragione, scopriamo

finalmente l’altra faccia del mondo, le tenebre che vi abitano»158.

Nessuna luce, nessun mistero, nessun altro mondo o vero mondo

oltre il velo di maya. L’abisso è fuori e dentro di noi. Siamo 157 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 27158 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 78

80

tutti predestinati ad essere inghiottiti. «Vittime di una duplice

frattura, sballottati tra le due verità, condannati a non poterne

scegliere una se non per rimpiangere subito l’altra, noi siamo

troppo chiaroveggenti per non essere avviliti, stanchi sia di

illuderci, sia di non avere illusioni»159. Coscienti della maschera

cosa accadrebbe se tutti ci mettessimo a nudo? E se avvenisse la

decadenza generalizzata? Come salvarsi poi da una folla di

spettri?

«Le nostre solitudini a fior di pelle; quale inferno per gli

altri! Ma è sempre per gli altri, e talvolta per noi stessi, che

inventiamo le nostre apparenze…»160, perché l’uomo, lasciato a se

stesso, completamente nudo, è un mostro. Persa la sua maschera

emerge la sua angoscia. Noi abbiamo bisogno di maschere, poiché

senza di esse, ci perdiamo.

Siamo così disingannati che gli dei che verranno, per dirla con

Cioran, dovranno avere tanta energia quanto serve per illuderci

nuovamente, per sprofondare in un’altra illusione che inizialmente

avvertiremo come vera e come ultima, tanto sarà la forza

nell’ammagliare i nostri cuori. Da quale parte dunque arriverà ciò

che cambierà il nostro destino?

Così l’uomo verrà a trovarsi nel vicolo cieco dove la possibilità

stessa si esaurisce, non si accontenta, e il possibile stesso si

sottrae così da poter verificarsi l’eterno presente nella storia

dalla connotazione negativa dell’immobilità. Esiliati

completamente da noi stessi non avremo dunque né rimpianti, né

nostalgie.

Dunque per Cioran siamo destinati ad essere sempre più numerosi

nella consapevolezza della irrealtà e ciò in cui sprofonderemo 159 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 34160 E.M.Cioran, Sommario di decomposizione, pag. 20

81

sarà una solitudine negativa fatta solo di macerie della storia

dove persino la morte di dio sarà un ricordo, come avvenne per gli

dei. Non vi può essere redenzione dell’umanità dal male ma Cioran

profetizza l'annullamento di questa come possibile riscatto verso

la natura.

Sappiamo troppo per credere ancora. Non abbiamo più di che cosa e

per che cosa lottare. «Questo mondo, per niente meraviglioso,

potrebbe in qualche modo diventarlo se accettasse non già di

scomparire, ma di liquidare i suoi rifiuti, imponendosi compiti

impossibili opposti a quell’orribile buon senso che lo sfigura e

lo rovina»161.

Appunto impossibili poiché accessibili solo tramite il distacco e

la decadenza, applicata sia all’individuo sia applicata ai popoli

come una presa di coscienza scettica, atea, una svolta definitiva

all’esercizio dell’irrealtà, una metamorfosi compiuta, concreta,

fino al punto che il fascino delle tentazioni non possa più

sopraggiungere.

Dunque un capovolgimento storico, in breve, «si tratterebbe, di

ricominciare la Conoscenza, cioè edificare un’altra storia»162.

Di conseguenza la possibilità di concretizzare una seconda innocenza, una

seconda innocenza però conquistata nel tempo, durante la storia.

Se non ci è consentito di recuperare l’innocenza primordiale, in

compenso, possiamo immaginarne un’altra e tentare di accedervi

grazie «ad un sapere privo di perversità, purificato dalle sue

tare, cambiato in profondità, pentito»163.

A tal riguardo osserva la Tripodi: «Ormai consapevole delle

sventure seguite alla scelta del frutto dell’albero della

161 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 27162 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 76163 Ibidem.

82

conoscenza del bene e del male, l’uomo rinascerebbe sotto l’albero

della vita»164. Ma per Cioran questa praticamente rimane una folle

speranza, poiché non vi è redenzione per l’uomo e dalla colpa di

essere nati e delle cause del nostro antico rinnegamento. Rimane

impossibile nel tempo liberarsi del tempo. «Come è possibile

vincere il tempo con i mezzi del tempo?»165.

L’utopia del nichilismo è l’universalizzazione dell’estraneità,

l’uscire da se stessi, la tensione volta alla frattura dell’io e

l’aprirsi a questo uomo nuovo senza io e il superamento del me

apparente. Questa umanità trasfigurata, anarchica, è assurda.

L’uomo non è adatto alla libertà, all’amore. La mancanza di utopia

è segno di una libertà finalmente svincolata da fedi e speranza,

d’altra parte la sua assenza indica una grave mancanza, ovvero il

mondo che volge verso la pietrificazione e il vuoto, segni della

sua scomparsa. Se la realtà è irreale e irrazionale, l’utopia non

trova terreno per svilupparsi, in quanto ciò su cui essa lavora

sono appunto le nostre illusioni.

Cioran però ammette che Il mondo per sopravvivere ancora ha

«bisogno di un delirio nuovo»166. Senza un idolo le civiltà sono

votate a morire poiché incapaci di generare illusioni. Decadenza

in Cioran ha il significato di mettersi a nudo. E la nostra è un

epoca spietata perché decadente, troppo stanca non solo di

illusioni, ma anche per le disillusioni, ci costringe a guardarci

senza inganni.

Non tanto la caduta della ragione illuminista come guida di

giustizia, quanto la morte del Dio padre hanno segnato le fondamenta

delle stesse verità di cui l’Occidente si nutriva, era. Continua a

164 A.M.Tripodi, Cioran, metafisico dell’impossibile, cit. pag. 91165 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 75166 E.M.Cioran, Storia e Utopia, pag. 22

83

trascinarsi ombre e finzioni, ben consapevole di farlo, ma

consapevole del fatto che considerarle morte queste verità

segnerebbe decisamente e definitivamente il suo crollo. Il

cambiamento, in positivo o in negativo, arriverà dall’esterno, dai

popoli giovani e carichi di illusioni, secondo Cioran, «dai nuovi

barbari, che avranno vitalità in abbondanza per imporci

dell’altro. Altri vocaboli».

Il crollo di una civiltà è dato dal dubbio che si insinua nelle

sue verità, il crollo di una civiltà avanza allo stesso tempo del

crollo delle illusioni. Dopo aver sfruttato «le risorse del

proprio genio», le civiltà decadono a causa della perdita

d’identità, alla presa di coscienza che porta inevitabilmente allo

smascheramento di ciò che prima ha dato splendore, in cui

credevano. Dunque «L’Occidente? Un possibile senza domani»167.

Ma è nei periodi di declino che le civiltà vengono messe a nudo,

spogliate dalle seduzioni e dall’arroganza legata alle loro

realizzazioni. La fine di ogni epoca costituisce il paradiso dello

spirito, perché il disinganno presuppone un risveglio non solo

intellettuale ma esistenziale, spirituale. L’aridità artistica è

uno dei segnali di decomposizione di una civiltà, testimonia il

deserto spirituale che invade la poesia, la musica.

Entrambi Cioran e Rensi parlano dell’ universalizzazione del

risveglio, non di una sola civiltà, ma dell’insieme delle civiltà

che tengono in vita la storia, consentirà la cancellazione

definitiva del tempo, unica speranza di un mondo senza senso.

Questo sarebbe possibile in seno ad una umanità che si eleva al

dubbio e allo scetticismo.

167 E.M.Cioran, Sillogismi dell’amarezza, pag. 60

84

Ma se ciò è raro nell’esperienza interiore del singolo, non c’è

speranza alcuna che diventi un modo generale di sentire.

Oltretutto, abolite le Maiuscole, all’uomo, non resta che una

coscienza vuota, senza nulla, e non vi potrà essere mai più nulla

che possa riempirla.

Una completa trasparenza identica a se stessa. Niente si potrà

creare e sarà «l’isterilimento per mancanza di cecità, per

sterminio dell’ingenuità»168. La vita si nutre di illusioni ne non

può fare a meno di esse, di conseguenza lo splendore di una

civiltà sta nella forza delle idee e quindi dallo splendore delle

illusioni.

Vero che la nostra epoca è una epoca strana, disillusa, disagiata,

dove il presentimento di un disastro immanente e imminente si fa

più vivo e paralizzante.

«Sono in molti a sentirsi torturati dalla visione di un mondo

relitto, irrimediabilmente abbandonato a una solitudine glaciale,

che neppure i deboli riflessi di un chiarore crepuscolare riescono

a raggiungere»169. Sentire di non poter far nulla per arrestare

questo divenire sempre più veloce, febbrile, spinto all’eccesso,

il percorso degli eventi ci risulta estraneo e ci esclude. Viviamo

un epoca di sospensione, tra il baratro e la speranza. sempre più

lontani da ciò che accade, minacciati dalla storia, ci sentiamo

perduti anche all’interno. Caduta dei valori e deviazione dei

sentimenti in un universo troppo spiegato. L’uomo folle che grida

alla folla Dio è morto, Dio resta morto, siamo noi che l’abbiamo

ucciso, risuona in tutte le opere di Cioran come attualità in

questo presente storico. Le sue opere dunque sono testimonianze di

questo evento accaduto, della perdita della fiducia in Dio. Come 168 E.M.Cioran, Squartamento, pag. 63169 E.M.Cioran, Al culmine della disperazione, pag. 62

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si può ancora credere all’uomo e nell’uomo o in un Dio buono e

compassionevole? E’ oramai noto che la storia è teatro di

squilibri, sofferenze, guerre, disastri provocati da fanatismi,

interessi, ideali.

«La fine del mondo, anzi la fine dell’uomo, in qualsiasi modo

debba avvenire, è la sola unica speranza»170. La morte di Dio porta

alla rivelazione del nulla, del non senso, dell’eternità negativa.

Ma se la morte di Dio nasconde un piacere di libertà, laddove però

non esiste più terra alcuna, vi è angoscia nell’assenza di

orizzonti, l’angoscia pura dinanzi al puro nulla.

In questo mondo dove l’ironia è libera e «testimonia la

lacerazione segreta delle anime ferite»171, si po’ solo sperare

nella fine del mondo, non intesa come fine della terra, ma come

fine dell’uomo e del mondo creato da lui.

Cioran afferma con veemenza: «Liberarsi dall’ossessione di sé:

nessun imperativo è più urgente»172.

Al conosci te stesso, Cioran oppone: «conosci fuori te stesso»,

oltre l’identità, perché: «conoscersi, non è conoscere, o meglio è

solo una varietà del conoscere»173.

Fino a quando la filosofia resterà nella superstizione dell’io,

non potrà andare avanti. Il primo passo verso la libertà è quindi

liberarsi dall’ossessione dell’uomo, la catena suprema che

contamina i nostri pensieri, e successivamente «svincolarsi dalla

libertà stessa, abbassarla a livello di un pregiudizio, di un

pretesto, per non doverla più idolatrare…»174. La sollecitazione del

nostro autore è un operare il miracolo su se stessi, liberarsi

170 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 580171 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 57172 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 14173 E.M.Cioran, Esercizi d’ammirazione, pag. 102174 E.M.Cioran, Il funesto demiurgo, pag. 65

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dall’idea di salvezza e di libertà, scomparire al nostro io

padrone.

Certamente il pensiero di Cioran non si lascia catturare, poiché è

un pensiero che squarcia il suo nascere, che guarda alla

razionalità come un solo modo della coscienza, sebbene il più

antico e tradizionale, ma non il solo appunto. C’è il sentire, il

presentire, il percepire dunque diversamente, l'emergenza naturale

del negativo. Cioran grida alla libertà, è un martire potremo dire

della libertà, che è prima ancora della giustizia. Non può

fermarsi

dall’ eludere le gabbie che incontra e a distruggere quelle che

potrebbe costruire. Dichiara guerra al sistema come dittatura che

ci costringe in un determinato ordine mentale che chiude presto

ogni forma di comunione e di comunicazione tra le contraddizioni.

Il sistema non deve essere considerato come una conclusione,

seppur logicamente coerente e razionalmente non discutibile e

funzionante nelle sue parti, ma bisogna considero come un mezzo

per accedere al di là di esso. Questa è la funzione di ogni

sistema. Prima un mezzo, poi un ostacolo, e in seguito, irreale e

insignificante. La filosofia è importante solo nel suo

distruggersi. Ogni filosofia vera inizia col dubitare e solo dopo

può accadere il silenzio. La filosofia autentica quindi per Cioran

dovrebbe sfociare nella non-filosofia, non nell’antifilosofia,

come il parlare autentico si scioglie nel silenzio. Arrivare a

«concepire un pensiero, uno solo- ma che faccia a pezzi

l’universo»175.

La sfida della filosofia dunque per non è il rafforzamento del

pensiero ma il risanamento di questo attraverso il metodo negativo

175 E.M.Cioran, Quaderni, pag. 259

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interpretato come un invito al distacco, un invito ad abbattere i

fantasmi, a debellare i nostri vincoli, a scorgere l’equivoco

generale e ad affrontare la paura che paralizza la nostra crescita

spirituale. «L’esser certi che non c’è salvezza, è una forma di

salvezza, è anzi la salvezza. A partire da lì si può organizzare

la propria vita, come pure costruire una filosofia della storia»176.

L’ idea di salvezza è il limite supremo da superare, perché siamo

liberi quando non crediamo di essere salvi, siamo salvi quando

rifiutiamo la salvezza. Questo ci fa riflettere che l’uomo

rovesciando Cioran, non si trovi alla fine, ma al suo inizio e

Cioran stesso accenna: «L’uomo ha ancora tanta strada da fare»177.

L’uomo ha ancora tanta strada da fare perché ciò che sperimentiamo

è solo un modo della coscienza ed il sapere è inesauribile come i

mondi inimmaginabili che si scorgono nel pensiero dell'infinito.

L'esasperazione sta nel voler racchiudere appunto questo infinito,

e la stanchezza è prodotta da questo buco, il buco nero di cui

parla il nichilismo.

«Cinque orecchie-e là nessun suono! Si è fatto muto il mondo…

Ascoltai con le orecchie della mia curiosità: cinque volte al di là

di me gettai l’amo, senza prendere pesci per cinque volte-

interrogai-nessuna risposta corse nella mia rete-ascoltai con

l’orecchio del mio amore…»178.

Urge il bisogno oggi di un rinnovato amore, un amore spoglio di

universalità e di spiritualità, un amore più umano, concreto, in

questo ordine reale che è l’oggi che ci forza ad abbandonare

persino i residui di ciò che era la vita prima. Le illusioni oggi

come il denaro, la tecnologia, la realtà virtuale sono sintomi di

176 E.M.Cioran, L’inconveniente di essere nati, pag. 173177 E.M.Cioran, La caduta nel tempo, pag. 22178 F. Nietzsche, Ditirambi di Dionisio, Poesie Postume, Adelphi, Milano 1992, pag. 81

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una fuga che però questa volta può risultare davvero letale per i

sentimenti e le vite singole. Se l’oggi si presenta così orribile

la filosofia oggi dovrebbe preoccuparsi di ripensare le basi di

questa angoscia che da speranza del futuro è psicologicamente ed

devozionalmente divenuto un incubo che si spera solo che cessi.

Una storia dotata di senso questa volta, una storia che sorga

definitivamente dai suoi stessi fallimenti. Ma la direzione della

storia analizzandola obiettivamente è di un tempo completamente

impazzito, un mondo che cade a bocconi e la follia degli

estremisti, la presente mancanza di identità degli immigrati,

l’odio delle terre, i bambini con gli psicofarmaci, i bambini

depressi ci mostrano un mondo presentemente fuori controllo.

Paradossale che con internet possiamo essere ovunque, ma ovunque è

in nessun posto.

Scritto da: Stefania

Andretta

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