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E. Salerno, ‘Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento. Il...

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EMANUELE SALERNO GIUSNATURALISMO E CULTURA GIUSPOLITICA NELLA TOSCANA DEL PRIMO SETTECENTO. IL DISCORSO SOPRA LA SUCCESSIONE DELLA TOSCANA DI NICCOLÒ ANTINORI (1711) ESTRATTO da ARCHIVIO STORICO ITALIANO 2015/1 ~ a. 173 n. 643
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EMANUELE SALERNO

GIUSNATURALISMO E CULTURA GIUSPOLITICANELLA TOSCANA DEL PRIMO SETTECENTO.

IL DISCORSO SOPRA LA SUCCESSIONE DELLA TOSCANA DI NICCOLÒ ANTINORI

(1711)

ESTRATTOda

ARCHIVIO STORICO ITALIANO2015/1 ~ a. 173 n. 643

ISSN 0391-7770

FONDATO DA G. P. VIEUSSEUXE PUBBLICATO DALLA

DEPUTAZIONE DI STORIA PATRIA PER LA TOSCANA

ARCHIVIOSTORICO ITALIANO

643 Anno CLXXIII

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Anno CLXXIII

Fasc.643

ARCHIVIO STORICO ITALIANODirettore : Giuliano Pinto

Comitato di Redazione :Mario ascheri, serGio Bertelli, eMilio cristiani, riccardo FuBini,

richard a. Goldthwaite, christiane KlaPisch-ZuBer, halina ManiKowsKa,rosalia Manno, rita MaZZei, Mauro Moretti, renato Pasta,

roBerto Pertici, Mauro ronZani, thoMas sZaBó,lorenZo tanZini, serGio toGnetti, andrea ZorZi

Segreteria di Redazione :lorenZo tanZini, serGio toGnetti, claudia triPodi

Direzione e Redazione: Deputazione di Storia Patria per la ToscanaVia dei Ginori n. 7, 50123 Firenze, tel. 055 213251

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I N D I C E

Anno CLXXIII (2015) N. 643 - Disp. I (gennaio-marzo)

MemorieDieter GirGensohn, Gregorio XII a Siena: un episodio del Gran-

de Scisma d’Occidente (1407-1408) Pag 3

emanuele salerno, Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento. Il Discorso sopra la succes-sione della Toscana di Niccolò Antinori (1711) » 31

stefano ferrari, Il Nachlaß italiano di Winckelmann: bilancio storiografico e nuove prospettive di ricerca » 65

marco PiGnotti, Il notabilato ligure nell’orbita della ‘grande’ Genova (1861-1921) » 89

DocumentiGiovanna murano, Quattro lettere autografe di Alessandro Tar-

tagni a Lorenzo de’ Medici (1471) » 117

Paolo simoncelli, Berenson – Orlando. Scampoli d’un carteggio » 125

RecensioniPatricia skinner, Medieval Amalfi and its diaspora. 800-1250

(ameDeo feniello) » 141Gian Paolo G scharf, Potere e società ad Arezzo nel XIII se-

colo (1214-1312) (enrico faini) » 143

lorenzo Di francesco GuiDetti Ricordanze, a cura di Lorenz Böninger (clauDia triPoDi) Pag 147

isabella camPaGnol, Forbidden Fashions. Invisible Luxuries inEarly Venetian Convents (samantha maruzzella) » 149

GiorGio antei, L’orizzonte in fuga. Viaggi e vicende di AgostinoCodazzi da Lugo (leonarDo rombai) » 152

elena PaPaDia, Di padre in figlio. La generazione del 1915 (ro-berto Pertici) » 156

Notizie » 161

Summaries » 185

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segue nella 3a pagina di copertina

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643 Anno CLXXIII

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DISP. I

L E O S . O L S C H K I E D I T O R EF I R E N Z E

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La rivista adotta per tutti i saggi ricevuti un sistema di Peer review. La redazione valuta preliminarmente la coerenza del saggio con l’impianto e la tradizione della rivista. I contributi che rispondono a tale criterio vengono quindi inviati in forma anonima a due studiosi, parimenti anonimi, esperti della materia. In caso di valu-tazione positiva la pubblicazione del saggio è comunque vincolata alla correzione del testo sulla base delle raccomandazioni dei referee.

Oltre che nei principali cataloghi e bibliografie nazionali, la rivista è presente in: ISI Web of Knowledge (Art and Humanities Citations Index); Current Contents, Scopus Bibliographic Database, ERIH.

Emanuele Salerno

Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento.Il Discorso sopra la successione della Toscana

di Niccolò Antinori (1711)

1. introDuzione – Sull’importanza del rinnovamento cultura-le nel primo Settecento, in ordine a «lotta politica e riforma delle istituzioni»1 del Granducato, la storiografia degli ultimi decenni ha prodotto moltissimi studi.2 Il presente contributo è parte di una più ampia ricerca ancora in corso, che si interessa specificamente delle forme di recezione del ‘giusnaturalismo moderno’ da parte del ceto dirigente e di governo toscano nella prima metà del Settecento.

* e. salerno è dottore di ricerca in Storia e sociologia della modernità - [email protected]

1 La citazione si riferisce a M. VerGa, Da “cittadini” a “nobili”. Lotta politica e rifor-ma delle istituzioni nella Toscana di Francesco Stefano, Milano, Giuffrè, 1990; su questo volume, che illustra le vicende di un cinquantennio a partire dal 1710, si vedano le os-servazioni di J. c. Waquet, Da“cittadini” a “nobili”, appunti intorno a un libro recente di Marcello Verga, e la replica di Verga, «Storia e società», XIV, 1991, pp. 913-926, 927-936.

2 Per una rassegna ragionata della storiografia politico-istituzionale sulla Toscana dell’età moderna, non indirizzata a esaminare innanzitutto i fattori intellettuali e ide-ologici quali vettori di cambiamento, si veda l. Mannori, Effetto domino. Il profilo istituzionale dello Stato territoriale toscano nella storiografia degli ultimi trent’anni, in La Toscana in Età Moderna (secoli XVI-XVIII). Polizia, istituzioni, società: studi recenti e prospettive di ricerca, a cura di M. Ascheri-A. Contini, Firenze, Olschki, 2005, pp. 59-90 (in particolare, pp. 79-86), ora distribuito in formato digitale da «Storia di Fi-renze. Il portale per la storia della città», http://www.storiadifirenze.org, nella sezione «biblioteca».

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Per chiarire il presupposto metodologico cui questo articolo si ri-ferisce è sufficiente ricordare quanto ha evidenziato, in più occasioni, Peter Burke: quando si parla di recezione nella storia culturale occor-re tener sempre presente la massima di Tommaso d’Aquino, secondo il quale «quidquid recipitur, ad modum recipientis recipitur».3

L’avvertenza è tanto più valida per il giusnaturalismo, che ha avu-to negli ultimi anni una rinnovata fortuna storiografica: 1. perché non si tratta di un singolo autore, ma di una composita serie di testi, o an-cor più genericamente di una corrente giuridico-politica variamente interpretata; 2. perché le ragioni e i punti di vista per cui gli storici sono tornati a indagare sul tema della recezione sono stati diversi; 3. perché i contesti europei nei quali la recezione è stata studiata mo-strano uno stretto legame funzionale tra giusnaturalismo e specifiche situazioni politiche.

Sul primo punto non occorre aggiungere altro, se non ricordare che ci si riferisce a oltre un secolo di testi, che vanno dal De jure belli ac pacis di Grozio del 1625, allo Jus naturae methodo scientifica pertractatum di Wolff del 1748. Sul secondo punto è invece opportu-no notare come il rinnovato interesse per il diritto naturale sia nato in relazione a diverse questioni storiografiche, quale contributo alla discussione del concetto di pre-Illuminismo, o del fondamento del contrattualismo settecentesco, o delle basi della tolleranza religiosa e dei rapporti tra stati e chiese: «it thus has a real claim to being the key organising principle of the early Enlightenment era».4 Del resto, la tradizione del moderno diritto naturale – è stato rimarcato anche dalla recente storiografia – è storicamente servita come strumentario flessibile a diversi scopi e concetti, in dibattiti sulla religione, la tol-leranza, la resistenza, la morale e la sovranità. Anche limitatamente

3 Summa theologiae, 1a, q. 75, a. 5. Cfr. P. Burke, The reception of Bodin, edited by H. A. Lloyd, Leiden, Boston, Brill, 2013, p. 21. Ringrazio il prof. Vittor Ivo Comparato per la citazione di Burke e per i numerosi e illuminanti suggerimenti che volle darmi nel corso della stesura della mia tesi di dottorato, Giusnaturalismo e discussione politica nella Toscana della prima metà del Settecento. Neutralità, indipendenza e governo giusto da Sutter a Buondelmonti (1703-1755), relatore A. M. Bertucelli Migliorini, Università di Pisa, Facoltà di Scienze Politiche, XXIII ciclo [2012, 531 p.]; il cui cap. II è alla base del presente saggio.

4 t. J. hochstrasser e P. schröDer, Introduction, in Early modern natural law theories: contexts and strategies in the early enlightenment, edited by T. J. Hochstrasser- P. Schröder, Dordrecht, Springer, 2003, pp. IX-XVIII (p. XI).

33Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

ai primi decenni del XVIII secolo, è da osservare che le idee di cui era portatore il giusnaturalismo furono interpretate in modo origina-le nei diversi stati europei perché lette secondo un nuovo ordine di priorità e di aspettative.5 Come si è accennato al punto terzo, infine, è necessario tenere in attenta considerazione i risultati dello studio delle composite forme di recezione del giusnaturalismo nelle diver-se regioni d’Europa per riuscire ad affrontare la ricostruzione della recezione toscana, e ricordare che, anche nel Granducato, così come in altri contesti degli antichi Stati italiani, il giusnaturalismo fu senza dubbio un’arma polemica.6

Chiarita l’impostazione generale, resta da presentare l’ipotesi di lavoro seguita. Questa presuppone che la recezione toscana del giusnaturalismo presenti almeno due aspetti, uno prevalentemente intellettuale e tecnico pertinente alla formazione del giurista, l’altro fortemente motivato dal punto di vista politico. Già parzialmente confermata nell’ambito del progetto di ricerca internazionale War, trade and neutrality,7 tale ipotesi appare quanto mai utile alla com-prensione del fenomeno della circolazione e dell’utilizzo di queste dottrine, in un contesto, come quello del Granducato, in cui si deve riconoscere in primo luogo quanto fosse determinante la posizione internazionale del piccolo stato toscano nell’orientare la scrittura pubblica dei suoi intellettuali.8 In definitiva, l’ipotesi del presente

5 Ivi, p. X.6 Quanto emerge, ad esempio, anche dai più recenti studi sulla recezione di Pufendorf,

accuratamente esaminati in M. Bazzoli, Aspetti della recezione di Pufendorf nel Settecento ita-liano, in Dal“De jure naturae et gentium” di Samuel Pufendorf alla codificazione prussiana del 1794. Atti del Convegno internazionale, Padova, 25-26 ottobre 2001, a cura di M. Ferronato, Padova, Cedam, 2005, pp. 41-60. Un simile fenomeno è stato osservato, per il caso napole-tano, a partire dalla metà del Seicento, da Salvo Mastellone, cfr. s. Mastellone, Francesco D’Andrea politico e giurista (1648-1698). Ascesa del ceto civile, Firenze, Olschki, 1969, p. 8.

7 Progetto coordinato da Antonella Alimento e costituito da studiosi afferenti alle Università di Pisa, di Venezia (Ca’ Foscari), di Parigi (Panthéon-Sorbonne), di Siviglia (Pablo de Olavide), di Rotterdam (Erasmus University) e all’École pratique des Hautes Études di Parigi. I contributi offerti dai diversi gruppi di ricerca afferenti al progetto sono oggi disponibili nel volume War, Trade and Neutrality. Europe and the Mediterranean in seventeenth and eighteenth centuries, edited by A. Alimento, Milano, FrancoAngeli, 2011.

8 Sul tema della neutralità e del sofisticato uso da parte del ceto dirigente toscano della dottrina groziana per accreditare il Granducato presso la società politica interna-zionale, quale piccolo stato neutrale, imparziale e soprattutto affidabile, cfr. e. salerno, Stare pactis and neutrality. Grotius and Pufendorf in the political thought of the early eight-eenth century Grand Duchy of Tuscany, in War, Trade and Neutrality cit., pp. 188-202.

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saggio considera che il massimo degli elementi di comprensione delle forme di espressione politica del ceto dirigente nel corso del primo Settecento sia offerto proprio dalle congiunture imposte dalla crisi dinastica medicea e dalla situazione internazionale,9 durante le quali si profilava l’eventualità di una rottura col regime precedente.

Il contesto di riferimento è appunto quello degli anni 1710-1711, in cui con la questione successoria si apre, e si prolunga per decenni, quella mobilitazione intellettuale che si può in senso lato attribuire a coloro che la storiografia ha definito i giuristi o giureconsulti di stato.10 Una mobilitazione che a partire dalla crisi dinastica medicea sarà chiamata a difendere lo status internazionale del Granducato; ed è proprio attraverso questo carattere internazionale della discussione politica che si può comprendere la ripresa di attualità del giusnatura-lismo, del resto già annunciata dall’intento solo parzialmente erudito della De iure belli et pacis disputatio11 di un allievo, Phillip Wilhelm

9 Sul contesto politico degli antichi Stati italiani emerso a seguito dell’avvio della guerra di successione spagnola (1702-13), si vedano: i due fascicoli monografici di «Chei-ron» dedicati al tema (XI, 1994, Dilatar l’Impero in Italia. Asburgo e Italia nel primo Set-tecento, a cura di M. Verga; XIX, 2002, Famiglie, nazioni e Monarchia. Il sistema europeo durante la guerra si Successione spagnola, a cura di A. Álvarez-Ossorio Alvariño); D. fri-Go, Gli stati italiani, l’Impero e la guerra di Successione spagnola, in L’Impero e l’Italia nella prima età moderna / Reichsitalien in der frühen Neuzeit, a cura di von M. Schnettger- M. Verga, Bologna, Il Mulino; Berlin, Duncker & Humbolt, 2006, pp. 85-114. Sui mu-tamenti del profilo politico della monarchia asburgica, dovuti ai domini conquistati alla corona spagnola, cfr. M. VerGa, Il «sogno spagnolo» di Carlo VI. Alcune considerazioni sulla monarchia asburgica e i domini italiani nella prima metà del Settecento, in Il Trentino nel Settecento fra Sacro Romano Impero e antichi stati italiani, a cura di C. Mozzarelli- G. Olmi, Bologna, Il Mulino, 1985, pp. 203-261.

10 Cfr. G. Gorla, I tribunali supremi degli Stati italiani, fra i secc. XVI e XIX, quali fattori della unificazione del diritto nello Stato e della sua uniformazione tra Stati, in La for-mazione storica del diritto moderno in Europa, Firenze, Olschki, 1977, I, pp. 447-531 (pp. 464-465, 508-510, 528); e. fasano Guarini, I giudici della Rota di Firenze sotto il governo mediceo (problemi e primi risultati di una ricerca in corso), in Atti del Convegno di studi in onore del giurista faentino Antonio Gabriele Calderoni (1652-1736), Faenza, Società Tor-ricelliana di Scienze e Lettere, 1989, pp. 87-117; eaD., Per una prosopografia dei giudici di Rota. Linee di una ricerca collettiva, in Grandi tribunali e Rote nell’Italia di Antico Regime, a cura di M. Sbriccoli-A. Bettoni, Milano, Giuffrè, 1993, pp. 389-420; D. friGo, Principe, giu-dici, giustizia: mutamenti dottrinali e vicende istituzionali fra Sei e Settecento, in Illuminismo e dottrine penali, a cura di L. Berlinguer-F. Colao, Milano, Giuffrè, 1990, pp. 3-38; l. Mar-chi, L’organizzazione del lavoro all’interno della Segreteria del Regio Diritto nella Toscana granducale tra XVII e XVIII secolo, «Archivio Storico Italiano», CLXIX, 2011, pp. 507-563.

11 PhilliP WilhelM Von sutter (francesizzato De Souter), De jure belli, et pacis di-sputatio sub clementissimis auspiciis regiae celsitudinis Cosmi 3. magni Etruriae ducis in Pisana Academia publice propugnanda proponitur a Philippo Willelmo de Souter Germano

35Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

von Sutter,12 dell’eminente giurista e professore di diritto civile presso l’Università di Pisa, Giuseppe Averani, pubblicata nel 1703.

La storiografia che si è occupata delle teorie dell’ordine interna-zionale nell’epoca moderna ha rilevato il significativo apporto dato a questa elaborazione dall’integrazione di due elementi: «l’articolato sviluppo delle dottrine giusnaturalistiche dello jus gentium e l’evo-luzione della teoria della ‘ragion di Stato’ in dottrina degli ‘interessi degli Stati’».13 Connotati questi che sono presenti in modo esempla-re nell’inedito Discorso sopra la successione della Toscana di Niccolò Antinori,14 presentato a Cosimo III nel 1711, di cui si offre in questa sede un primo esame.15

sub praesidio Josephi Averanii in eadem Academia juris civilis professoris ordinarii, Flo-rentiae, typis Regiae Celsitudinis, Apud Petrum Antonium Brigonci, 1703. Per un breve esame del testo cfr. salerno, Stare pactis and neutrality cit., pp. 192-194.

12 Phillip Wilhelm von Sutter era uno studente speciale, potremmo dire; nato a Düss-eldorf (e qui battezzato il 31 maggio 1681), questi risulta aver incrociato la biografia di Anna Maria Luisa de’ Medici, moglie del principe elettore Giovanni Guglielmo Neuburg, nel periodo in cui la Medici si trasferì presso la capitale del Palatinato (luglio 1691-ottobre 1717). Inoltre, ragionevolmente in virtù dell’ufficio del padre Johan Daniel von Sutter, alto funzionario di stato (membro del consiglio di guerra) del Palatinato, Philip Wilhelm intrattenne rapporti con la corte; nel 1704 compare, infatti, col titolo di Consigliere Auli-co (Hofrat), nonché marito di una dama di compagnia della Elettrice Palatina, di origine turca, battezzata col nome di Anna Maria Maddalena Luisa Medici. Per notizie biografi-che sui Sutter si può consultare anche il sito http://www.ahnenforschungen.net.

13 M. Bazzoli, Piccolo stato e teoria dell’ordine internazionale nell’età moderna, in Polis e piccolo stato tra riflessione antica e pensiero moderno, a cura di E. Gabba-A. Schia-vone, Como, Edizioni New Press, 1999, pp. 76-93; ora anche in M. Bazzoli, Stagioni e teorie della società internazionale, Milano, Led, 2005, pp. 387-407 (p. 392).

14 Niccolò Francesco Antinori (1663-1722), formatosi col sostegno dello stesso Cosi-mo III presso le università di Roma, Salamanca e Parigi, dall’agosto del 1699 al gennaio del 1722 ricoprì la carica di Auditore Presidente dell’Ordine di S. Stefano, e di Soprintendente degli Studi di Pisa e di Firenze. Nell’agosto del 1700 entrò a far parte del Senato fiorentino, divenendo poi Consigliere di Stato; fu in diverse occasioni inviato granducale per difendere l’autonomia della Toscana durante la guerra di successione spagnola. Su questo personag-gio e questa famiglia, cfr. Archivio Biografico Italiano, IV ed., München, K. G. Saur, 2001 (in seguito: ABI), I, fiche 57, pp. 376-382; II, fiche 20, p. 60; IV, fiche 20, pp. 87-92; D. M. Manni, Il Senato fiorentino o sia notizia de’ senatori fiorentini dal suo principio fino al presen-te data in luce da Domenico Maria Manni. Seconda edizione ampliata. Al Nobiliss. Sig. Mar-chese Alamanno Bartolini Salimbeni, in Firenze, per lo Stecchi e il Pagani, 1771, pp. 11-13.

15 n. antinori, Discorso sopra la successione della Toscana fatto, e presentato all’Al-tezza Reale del Serenissimo Gran Duca Cosimo 3° dal Senator Prior Niccolò Antinori Consi-gliere di Stato, e Presidente dell’Ordine Militare di S. Stefano l’anno 1711, in ASF, Auditore poi Segretario delle Riformagioni, 236, cc. 1r-4r (n.n.), 1r-29v. In appendice al presente articolo si offre la trascrizione delle prime quattro carte non numerate in cui sono presen-tati schematicamente i documenti allegati e il «Sunto» del Discorso.

36 Emanuele Salerno

L’impostazione e le auctoritates usate dall’autore, nella sua du-plice veste di Consigliere di Stato e di membro del ceto senatorio, risultano essere anche un’anticipazione (e un modello) per altri in-terventi sulla medesima questione e per quelle memorie e proteste di parte granducale che saranno compilate in risposta all’articolo V del Trattato di Londra del 2 agosto 1718, per dimostrare l’infondatezza giuridica dell’investitura feudale del Granducato che l’imperatore Carlo VI si riservava di dare, una volta estintasi la linea maschile della famiglia de’ Medici, al sovrano successore.16

2. il ceto DiriGente e il ProBleMa Della successione Di un Pic-colo stato. – Il profilo del Granducato come piccolo stato emerge chiaramente sia dalla valutazione delle caratteristiche fisico-geogra-fiche, demografiche, economiche e politico-militari,17 sia dall’esame del ruolo svolto nel «sistema internazionale di potenza» europeo del XVII e XVIII secolo; intendendo con quest’ultima espressione che il sistema degli stati e lo sviluppo della politica internazionale si erano andati determinando sulla base degli interessi delle grandi potenze.18

Se sul primo aspetto non occorre, in questa sede, approfondire oltre; sul secondo punto è opportuno ricordare quanto Luciana Ga-ribbo ha segnalato sulla situazione internazionale del primo Settecen-to, rispetto alla quale, nella penisola italiana è già possibile rintraccia-re quel «rovesciamento del significato dell’equilibrio nell’ambito dei rapporti tra grandi e piccoli stati», che a livello europeo si sarebbe sviluppato solo nella seconda metà del secolo.19 Si tratta in definitiva

16 Si segnala, tra l’altro, che il Discorso sopra la successione della Toscana dell’Antinori, datato 1711, è stato rinvenuto in copia manoscritta, legata assieme alle copie a stampa del De libertate civitatis Florentiae ejusque dominii del 1722, e del Mémoire sur la liberté de l’Etat de Florence datato 1721. Sul susseguirsi, nel corso degli anni Venti del Settecento, di memorie e proteste di parte granducale volte a confutare la pretesa di considerare il Granducato come un feudo imperiale, si veda M. BenVenuti, L’erudizione al servizio della politica: la polemica per la successione in Toscana, «Nuova rivista storica», XLII, 1958, pp. 484-506.

17 Sul movimento demografico e su alcuni settori produttivi si veda la sintesi propo-sta in P. MalaniMa, L’economia toscana nell’età di Cosimo III, in La Toscana nell’età di Co-simo III, a cura di F. Angiolini-V. Becagli-M. Verga, Firenze, Edifir, 1993, pp. 3-17 (p. 17).

18 M. Bazzoli, Il piccolo stato nell’età moderna. Studi su un concetto della politica internazionale tra XVI e XVIII secolo, Milano, Jaka Book, 1990, p. 17. Sul Granducato, cfr. B. a. raViola, L’Europa dei piccoli stati. Dalla prima età moderna al declino dell’antico regime, Roma, Carocci, 2008, p. 67.

19 l. GariBBo, La neutralità della Repubblica di Genova, Milano, Giuffrè, 1972, p. 115.

37Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

della trasformazione della funzione attribuita dal sistema diplomatico ai piccoli stati: da elemento attivo, in un sistema di garanzia dell’equi-librio contro le ambizioni di una grande potenza, a elemento passivo strumentalmente utilizzato dalle potenze maggiori che autonoma-mente destinano questo o quel territorio al bilanciamento delle forze sulla scena internazionale.

Dinanzi a questa situazione si deve registrare la consapevolezza da parte del ceto dirigente toscano della prescrittività del sistema inter-nazionale di potenza. La stessa politica matrimoniale di Cosimo III, come ha ricordato ultimamente anche Marcello Verga, era stata de-terminata dalla necessità di preservare l’autonomia, l’integrità terri-toriale e gli equilibri costituzionali del Granducato dagli effetti della crisi degli equilibri europei che avrebbero coinvolto l’area italiana.20

La consapevolezza che il ceto dirigente aveva della natura e del ruolo di piccolo stato del Granducato nel sistema degli stati europei emerge chiaramente anche nel Discorso del senatore e Consigliere di Stato Antinori del 1711, quando questi scrive:

In conclusione persuade ogni legge di giustizia, e di carità verso la pubblica convenienza, che nello stato presente delle cose nostre, e del Mondo si pon-ga questa successione, come in commercio per farne il più onesto traffico, preferendo al godimento della medesima senza altro riguardo quel Principe, che facendo il negozio suo faccia anche il nostro, e che valutando quanto deve, la grandezza del Benefizio, lo riceva a condizione precisamente di do-vercelo ricompensare col retribuirci l’integrità dello Stato […].21

Del resto, già nel dicembre del 1710, a Firenze si era consapevoli del fatto che alla corte di Vienna si discuteva sul futuro del Grandu-cato, con ipotesi di smembramento dello ‘Stato Vecchio’ dal ducato di Siena e dai feudi imperiali nella Lunigiana, nella non peregrina prospettiva che nel giro di pochi anni sarebbero mancati tutti i di-scendenti maschi della casa Medici: Francesco Maria, il gran principe

20 Cfr. M. VerGa, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo III (1670-1723), in La Toscana nell’età di Cosimo III cit., pp. 335-361 (pp. 349-350); iD., La «disav-ventura inesplicabile». Mutamenti dinastici e riforme nell’Italia del primo Settecento. Note sul Granducato di Toscana da Cosimo III a Francesco Stefano, in L’Europa delle corti alla fine dell’antico regime, a cura di C. Mozzarelli-G. Venturi, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 405-427 (pp. 410-411).

21 antinori, Discorso sopra la successione della Toscana cit., c. 28r-v.

38 Emanuele Salerno

Ferdinando e Gian Gastone.22 La morte di Francesco Maria nel feb-braio del 1711 e quella dell’imperatore Giuseppe I nell’aprile dello stesso anno avrebbero dunque accelerato il dibattito interno e inter-nazionale sulla successione in Toscana.

Al granduca e al ceto dirigente e di governo, che in quei mesi si interrogavano sulle prospettive politiche e istituzionali del Gran-ducato, si presentavano essenzialmente due ipotesi istituzionali: la ricostruzione dell’antica repubblica oligarchica, o la successione me-dicea per linea femminile. La prima ipotesi, presentata nell’inverno del 1710 presso la conferenza di Geertruidenberg, preliminare alla pace di Utrecht del 1713, dall’inviato mediceo Carlo Rinuccini,23 avrebbe incontrato, almeno per quello che riportano i carteggi dello stesso, il favore del Gran Pensionario di Olanda, Anthonie Heinsius, e dell’ambasciatore inglese a L’Aia, il whig lord Charles Townshend.24 Con l’ipotesi di ricostituzione di un regime oligarchico-repubblicano, già illustrato ad Heinsius a L’Aia nell’agosto 1710,25 il Rinuccini si fa-

22 Da due cifre del granduca Cosimo III al marchese Carlo Rinuccini, Firenze, 2 dicembre 1710, e 6 gennaio 1711, riprodotte in e. roBiony, Gli ultimi dei Medici e la successione al Granducato di Toscana, Firenze, Seeber, 1905, p. 103.

23 Carlo Rinuccini (1679-1748), nominato da Cosimo III gentiluomo di Camera nel 1697, nel 1699 fu inviato a Roma con Clemente Vitelli (ambasciatore presso Innocenzo XII), nel 1702 fu presso la regina d’Inghilterra Anna, nel 1704 presso Luigi XIV e dal 1705 al 1709 fu ambasciatore di Cosimo III a Madrid, presso la corte di Filippo V. Dal luglio 1709 al marzo 1710 rimase a Firenze, per poi partire alla volta dell’Olanda dove arrivò nell’agosto dello stesso anno. Nel viaggio si fermò a Düsseldorf alla corte dell’e-lettore palatino Giovanni Guglielmo, marito della figlia di Cosimo III Anna Maria Luisa. Per ordine di Cosimo III, che già non sentiva più alcuna urgenza di lavorare sull’ipotesi di ritorno alla repubblica, nel maggio 1711 Rinuccini dovette spostarsi da L’Aia a Düsseldorf per occuparsi di affari relativi alle contribuzioni; rappresentante del granduca all’incoro-nazione dell’imperatore Carlo VI, partecipò poi al congresso di Utrecht del 1713. Tornato a Firenze nel 1716 fu nominato dal granduca Consigliere di Stato e Segretario alla Guerra, cariche che avrebbe mantenuto, oltre che nel periodo del regno di Gian Gastone, anche durante la reggenza lorenese. Su questo personaggio e questa famiglia, cfr. G. aiazzi, Ricordi storici di Rinuccini Filippo di Cino dal 1282 al 1460, Firenze, Piatti, 1840, pp. 190-200; ABI, I, fiche 849, pp. 147-156 e II, fiche 506, pp. 384-385.

24 Cfr. l. Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica fiorentina all’estinzione della Casa de’ Medici, «La rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti di Teramo», XII, 1897, pp. 289-301 (p. 292). Dai resoconti cifrati spogliati dal Bruni e dal Robiony si apprende che gli interlocuto-ri privilegiati del piano di ricostituzione della repubblica a Firenze, cui anche il granduca Co-simo III in un primo momento (agosto 1710-agosto 1711) sembrò lasciare spazio, furono gli inglesi e soprattutto gli olandesi, a questi ultimi si chiedeva l’impegno di lavorare affinché nei successivi trattati di pace i territori toscani venissero integrati con quelli dello Stato de’ Presidi.

25 Dalla corrispondenza del marchese Rinuccini al granduca Cosimo III, L’Aia, 28

39Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

ceva portatore non tanto dei desideri del granduca, il cui progetto era la successione della figlia Anna Maria Luisa, quanto degli interessi del patriziato fiorentino di cui faceva parte.

Sebbene Cosimo III avesse abbandonato il piano di ricostituzio-ne della repubblica già nell’agosto del 1711,26 il Rinuccini continuava a ribadirne l’opportunità nella sua nota lettera al granduca del dicem-bre di quello stesso anno:

[…] ho sempre creduto, e credo più che mai, che il governo della Serenissima Elettrice possa essere sommamente utile, et applaudito in codesto paese […]. Per dopo la morte di S.A.E. mi ricordo che V.A.R. più volte si è degnata di scri-vermi in Olanda, che bisogna restituire al Paese quello del quale il Paese si era volontariamente spogliato per esaltare la Casa di V.A.R. […]. Dopo fatta e sta-bilita questa disposizione che è la più naturale e che sarebbe applaudita dentro e fuori lo Stato, vi è sempre tempo […] ad eleggere un capo,27 che ci governi come fa V.A.R. – In questo caso il Senato, e quelli che devono avere l’onore di aiutare del loro consiglio il Principe in materie così gravi, dovrebbero essere consultati, et esaminare con mature, e lunghe riflessioni quel che più convenga al bene del Paese e pigliare sempre quella resoluzione che può essere più utile ai Popoli. Facendosi in altra forma, e correndosi a nominare un Principe senza le accennate diligenze e con derogare forse alla libertà del Paese, V.A.R. rifletta che si carica d’un gran peso avanti Dio e avanti gli uomini. So benissimo che

agosto 1710, e 23 ottobre 1710; successivamente (26 febbraio 1711), nel medesimo carteg-gio, l’inviato mediceo riporta anche il consenso del cancelliere imperiale Philipp Ludwig (Wenzel) Graf von Sinzendorf al progetto di ricostituzione dell’antica repubblica fioren-tina, seppur con l’esclusione di Siena e dei feudi imperiali. I passi più significativi delle lettere sopra menzionate sono trascritti in roBiony, Gli ultimi dei Medici cit., pp. 108-110 e p. 113, nota 2 (Robiony conserva la grafia Zinzendorf, diversamente da quanto indicato dal Deutsches Biographisches Archiv, I, fiche 1188, pp. 273-280, 286-288; II, fiche 1229, pp. 289-290; III, fiche 857, pp. 245-247, 252-253).

26 Riaffermando come non sussistesse alcun «obbligo di rendere il governo alla Re-pubblica», come si legge in una sua lettera del 17 agosto 1711, parzialmente trascritta in Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica fiorentina cit., p. 298.

27 Ossia l’elezione di un uomo capace di governare se la forma repubblicana, «l’an-tico governo», che era poi la reale proposta di Carlo Rinuccini per l’assetto politico e istituzionale da instaurarsi dopo l’estinzione della dinastia medicea, fosse stata giudicata non adatta in quelle circostanze. Per la centralità di Carlo Rinuccini nell’elaborazione della proposta del ritorno al regime repubblicano si veda Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica fiorentina cit., pp. 298-299, dove viene pubblicata ampiamente questa cifra del Rinuccini del 17 dicembre 1711 al granduca Cosimo III, nella quale, inoltre, si può leggere: «Di più, se anche non ci fosse quell’obbligo di restituire al Paese la sua libertà, perché mai un Principe buono, come V.A.R., non avrebbe a cercare di fargli quel bene che puole, per generosità, per gratitudine e per molti altri motivi?».

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non saranno mancate persone che avranno detto a V.A.R. che ella, senza l’in-tervento di nessun altro, ha una piena autorità di nominare per successore chi le pare, e che non corre nessun obbligo di restituire la libertà al Paese.28

Il richiamo del Rinuccini, apertamente manifestato in più occa-sioni, alla centralità del Senato per la definizione dell’assetto politico e istituzionale del paese non aveva alcun fondamento propriamente giuridico, era dunque una proposta politica, espressione del ceto pa-trizio-senatorio per il consolidamento del proprio potere nella ge-stione dello stato. Come ha notato Marcello Verga, il granduca aveva contribuito al rafforzamento di un ceto di governo – già omogeneo sotto il profilo culturale e politico – attraverso l’accelerazione del processo d’inserimento di esponenti delle famiglie dell’aristocrazia fiorentina negli apparati dello stato e la costituzione di un gruppo di giuristi di stato.29 Nei primi anni del Settecento, questa oligarchia aveva la forza di imporre «una interpretazione tutta aristocratica del-la storia dell’affermazione del principato mediceo».30

La seconda ipotesi di soluzione era quindi il progetto di Cosimo III della successione immediata sul trono toscano della figlia Anna Maria Luisa, di cui aveva fatto balenare alcuni tratti ai medesimi Heinsius e Townshend, sempre per tramite del Rinuccini, già negli incontri di questi presso L’Aia nel settembre-ottobre del 1710.31 Del resto il gran-duca era convinto che la corte di Vienna «ne potesse avere gusto, trat-tandosi di distinguere la moglie di un Principe zio dell’Imperatore».32

Il Discorso dell’Antinori del 1711 è dunque scritto in una con-giuntura cruciale per la questione successoria ed è indirizzato a riven-

28 Questo estratto della cifra del Rinuccini al granduca, del 17 dicembre 1711, è trat-to dalla trascrizione edita in Bruni, Il progetto di restaurare la Repubblica fiorentina cit., pp. 298-299. Tuttavia si segnala che questa versione presenta alcune differenze, non del tutto trascurabili, rispetto a quanto citato in VerGa, Da “cittadini” a “nobili” cit. p. 18, nota 13, che attinge a r. Galluzzi, Istoria del Granducato di Toscana, Firenze, Cambiagi, 1781.

29 Cfr. VerGa, Appunti per una storia politica del Granducato di Cosimo III (1670-1723) cit., pp. 351-352; r. B. litchfielD, Ufficiali ed uffici a Firenze sotto il granducato mediceo, in Potere e società negli stati regionali italiani del ’500 e ’600, a cura di E. Fasano Guarini, Bologna, il Mulino, 1978, pp. 134-151.

30 VerGa, Da “cittadini” a “nobili” cit., p. 19.31 Dalle lettere di Carlo Rinuccini, L’Aia, 4 settembre 1710, e 30 ottobre 1710, tra-

scritte in roBiony, Gli ultimi dei Medici cit., p. 109 e nota 2, p. 111 e nota 1.32 Da una cifra di Cosimo III al marchese Rinuccini, Firenze, 18 novembre 1710,

riportata in roBiony, Gli ultimi dei Medici cit., p. 113.

41Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

dicare la libertà di designazione anticipata da parte dell’«Ultimo della Casa Regnante», o di «quello de’ Principi Viventi, in cui consentisse-ro gli altri», ma «coll’approvazione, e consenso del Popolo necessario a tal effetto, giaché si tratta di trasferire in altri un Jus, che risiede appresso il medesimo Popolo».33

Le vicende successive sono note: nel gennaio del 1712 Carlo VI avrebbe dichiarato la concessione dell’immediata successione a Anna Maria Luisa,34 a condizione che alla morte della Medici il trono to-scano passasse all’imperatore stesso. Quindi nelle circostanze in cui, durante il congresso di Utrecht (gennaio 1712-luglio 1713), le diverse potenze europee si erano dimostrate restie nel decidere delle sorti della Toscana, mentre Carlo VI aveva modificato la legge di succes-sione riguardante la linea femminile con la Prammatica sanzione (19 aprile 1713), ed era occorsa la morte del figlio primogenito del granduca, Ferdinando (30 ottobre 1713), fu proprio Cosimo III a prendere l’iniziativa. Con il motuproprio del 26 novembre del 1713, il granduca chiamava l’Elettrice Palatina alla successione eventuale di Toscana, in tutti i territori del suo dominio, subito dopo la morte dell’ultimo maschio della dinastia. Occorre dunque ricordare che fu proprio Carlo Rinuccini a suggerire a Cosimo III l’opportunità che l’atto ricevesse la ratifica senatoria; ratifica che avvenne immediata-mente, il successivo 27 novembre 1713.35 Appare verosimile che per il Rinuccini e i ‘repubblicani’ fiorentini, non potendo ragionevolmente sperare in una pura e semplice restaurazione della repubblica, questa ratifica significasse porre una forte ipoteca sulla forma di governo.

In effetti, in questi anni le circostanze imponevano al ceto di governo una linea politica condivisa, e il Discorso dell’Antinori del 1711 rappre-

33 antinori, Discorso sopra la successione della Toscana cit., cc. 3v-4r (n.n.). 34 La lettera del Rinuccini al granduca, Francoforte, 5 gennaio 1712, nella quale si

riporta che l’Elettrice aveva rassicurato l’imperatore Carlo VI sul sospetto che la corte granducale stesse trattando con il duca di Berry o con qualche altro nemico della casa d’Austria, e in cui si descrive l’accettazione di Carlo VI all’immediata successione di Anna Maria Luisa, a patto che dopo di lei fosse chiamato a succedere l’imperatore stesso, è trascritta in roBiony, Gli ultimi dei Medici cit., pp. 118-119.

35 Il testo del motuproprio e quello della ratifica del Senato fiorentino sono presenti anche in l. cantini, Legislazione toscana raccolta e illustrata da L. Cantini, 32 voll., Fi-renze, nella Stamperia Albizziniana da S. Maria in Campo, per Pietro Fantosini e figlio, 1800-8, vol. XXIV, pp. 17-22, ora anche in ristampa digitale a cura di M. Montorzi, Pisa, ETS, 2006.

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senta bene quanto acutamente osservato da Eluggero Pii relativamente al sentimento repubblicano, e alla letteratura che a questo si informava, dei ceti dirigenti degli antichi Stati italiani dinanzi il sistema monarchico dei grandi regni dell’Europa del XVIII secolo; un sentimento repub-blicano che «without ever ceasing to be present, [...] was driven under-ground, and [...] remained fragmentary and for the most part implicit within a discourse that was obliged to conform to realities».36

3. il Discorso Di niccolò antinori: il GiusnaturalisMo Dei ‘Giu-risti Di stato’. – La chiamata di professori e intellettuali a collaborare attivamente a campagne di propaganda di stato non può essere consi-derata una novità nell’Europa di Luigi XIV. Si trattava di giuristi che erano chiamati a munire di buone ragioni le pretese territoriali, o di altro genere, che gli stati, spesso, si riservavano di sostenere in altra maniera. Nel caso di un piccolo stato come la Toscana, la rivendica-zione della libertà di designazione successoria era indirizzata proprio verso chi poteva negarla, cioè l’Impero, ma successivamente questa pamphlettistica giuridica si sarebbe potuta rivolgere genericamente all’‘opinione pubblica’ internazionale.37

Quale fonte per la storia politica, il Discorso dell’Antinori sembra suggerire l’opportunità di arretrare il terminus a quo per la ricostru-zione della storia della successione medicea, generalmente indivi-duato nella sottoscrizione da parte di Francia, Gran Bretagna, Pro-vince unite d’Olanda e Impero del Trattato di Londra del 2 agosto 1718.38 Infatti, se già il breve Memorial di Leibniz è del 20 dicembre

36 e. Pii, Republicanism and Commercial Society in Eighteenth-century Italy, in Re-publicanism. A Shared European Heritage, edited by M. Van Gelderen-Q. Skinner, Cam-bridge, Cambridge University Press, 2002, pp. 249-274 (p. 249).

37 Cfr. BenVenuti, L’erudizione al servizio della politica cit; Pii, Republicanism and Commercial Society in Eighteenth-century Italy cit., p. 252-254.

38 In particolare, sull’articolo V del trattato della Quadruplice del 1718 si vedano M. aGlietti, Il Granducato di Toscana negli anni Trenta del Settecento. Il cambio dina-stico e la difficile eredità medicea, «Ricerche storiche», XXXIV, 2004, pp. 259-325; eaD., Tre documenti relativi a Bernardo Tanucci conservati presso l’Haus- Hof- und Staatsarchiv di Vienna, in Bernardo Tanucci nel terzo centenario della nascita (1698-1998), Pisa, ETS, 1999, pp. 479-517; mentre sull’arretramento del terminus a quo, e sulla figura di Leibniz ‘Hofrath’ si vedano VerGa, Da “cittadini” a “nobili” cit., p. 27, e dello stesso autore il re-cente articolo ‘Finis saeculi novam rerum faciem aperuit’ (Leibniz). Guerre di successione, stati, popoli e culture della rappresentazione nell’Italia del XVIII secolo, «Studia Borromai-ca», XXIV, 2010, pp. 7-17.

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del 1713,39 e può essere considerato come la prima risposta di parte imperiale al motuproprio di Cosimo III a favore della successione della figlia Anna Maria Luisa (datato 26 novembre 1713, in evidente connessione con la Prammatica sanzione del 19 aprile), il Discorso dell’Antinori è datato 1711.

Come fonte per la storia della cultura giuspolitica del ceto diri-gente toscano, questo scritto è importante in quanto esemplare del modus operandi del ceto dei giuristi dell’ultimo periodo del diritto comune dinanzi a discussioni a sfondo internazionalistico, e ciò in quanto: 1. presenta i materiali storico-giuridici, le auctoritates che verranno poi riutilizzate in tutti gli altri testi filo-granducali durante la storia della successione medicea;40 2. conferma la funzione di uni-formazione del diritto fra stati, anche fuori dalla penisola, svolta dalla letteratura dei grandi collettori della tradizione commentariale, dei consiliatori e dei pratici quattro-cinquecenteschi e, successivamen-te, dalla giurisprudenza forense dei tribunali supremi;41 3. relativizza, però, il predominio di queste fonti, quali fattori principali del diritto e della scientia iuris, poiché tali auctoritates sono combinate con i trattati dei giuspubblicisti della ‘ragion di stato’ e con le opere dei giusnaturalisti;42 anzi, si potrà osservare che nel Discorso del senatore

39 Cfr. G. W. leiBniz, Leibnizens Briefwechsel mit dem Minister von Bernstorff, Han-nover, Hahn’sche Buchhandlung, 1882, p. 73 (doc. 46).

40 La stessa conservazione del Discorso dell’Antinori, legato assieme alle copie a stampa del De libertate civitatis Florentiae ejusque dominii del 1722, e del Mémoire sur la liberté de l’Etat de Florence datato 1721, è a questo proposito assai indicativa.

41 Cfr. Gorla, I tribunali supremi degli Stati italiani, cit., pp. 481-482, 513-517, 521-527, nonché i contributi del medesimo e di Enrico Spagnesi presenti negli Atti del Convegno di studi in onore del giurista faentino Antonio Gabriele Calderoni (1652-1736) cit., rispettivamente alle pp. 11-56 e pp. 119-141 (in particolare, pp. 130-131); assieme a e. sPaGnesi, Iurisprudentia, stilus, au(c)toritas, in Grandi tribunali e Rote nell’Italia di Antico Regime cit., pp. 575-604 (pp. 579-283). Sulla ricostruzione dell’interpretatio me-dievale si veda anche u. Petronio, L’analogia tra induzione e interpretazione prima e dopo i codici giusnaturalistici, in Il ragionamento analogico: profili storico-giuridici, a cura di C. Storti, Napoli, Jovene, 2010, pp. 183-292 (pp. 187-200).

42 Sui riferimenti dottrinali utilizzati per fondare la maestà e l’indipendenza di un piccolo stato, quale quello mantovano all’inizio del Settecento, riferimenti ben ancorati all’impostazione medievale e al riconoscimento della validità del vincolo feudale, ma in-tegrati dall’utilizzo di argomenti relativi, per esempio, alla reciprocità delle prestazioni tra «vassallo» e «signore», e ai limiti al potere del sovrano (in questo caso dell’impera-tore) fondati sul diritto naturale e delle genti, si vedano D. friGo, La concezione dell’Im-pero nella pubblicistica e nelle fonti diplomatiche italiane della seconda metà del Seicento, in Marco d’Aviano e il suo tempo. Un cappuccino del Seicento, gli Ottomani e l’Impero,

44 Emanuele Salerno

Antinori l’uso di tali trattati giuridico-politici prevale nella forma-zione della communis opinio per interpretare la legge successoria e per affermare la legittimità di una designazione anticipata del nuovo sovrano. In più, il ricorso al giusnaturalismo di Grozio e Pufendorf come fondamento ultimo del diritto pubblico degli stati, in assenza di norme con valore ‘costituzionale’, è evidente nelle pagine di Antinori «sopra la successione della Toscana».

Al fine di sostenere in termini giuridici gli interessi dello stato e della famiglia medicea, il senatore fiorentino era chiamato a trattare i seguenti punti: 1. escludere che a seguito dell’eventuale ammissione della successione femminile a favore di Maria Luisa si destassero prete-se da parte dei Farnese43 e dei Borbone, discendenti dei Medici per via femminile, gli uni da Margherita (1612-1679), gli altri da Maria (1575-1642), a subentrare nelle contese successorie; 2. assicurare l’unità dello stato, dunque riaffermando la forma di governo granducale, in quanto, altrimenti, con la ricostituzione dell’antica repubblica fiorentina l’Au-stria non avrebbe acconsentito all’unione del Senese e degli altri feudi imperiali allo ‘Stato Vecchio’;44 3. sostenere comunque un assetto co-stituzionale in cui il Senato avesse un ruolo centrale di rappresentanza dell’interesse generale del paese e di fondamento legittimante il potere sovrano; 4. affermare la legittimità di una designazione successoria an-ticipata sul duplice ambiguo versante, o della plenitudo potestatis del granduca regnante, ovvero della restitutio al popolo della sovranità.

Antinori percorrerà tutto l’arco delle motivazioni giuridiche pro-ducibili, per così dire, in ultima istanza: dal richiamo alla volontà

Pordenone, Edizioni Concordia, 1993, pp. 342-368 (pp. 362-363); eaD., Impero, diritti feudali e “ragion di stato”. La fine del ducato di Mantova (1701-1708), «Cheiron», XI, 1994, pp. 55-84 (pp. 62-77). Sulla forza degli schemi degli istituti feudali di influenzare, nello stato sabaudo dei primi decenni del Settecento, anche istituti di diritto pubblico, quale la superiorità territoriale, si veda l. Bulferetti, Il principio della «superiorità territoriale» nella memorialistica piemontese del secolo XVIII: Carlo Ignazio Montagnini di Mirabello, in Studi in memoria di Gioele Solari, Torino, Ramella, 1954, pp. 153-218 (pp. 178-180, 190-191).

43 Si veda la missiva di Carlo Rinuccini al granduca, L’Aia, 23 ottobre 1710, ove si riportano i colloqui con il conte Sanseverino, ministro della corte di Parma, trascritta in roBiony, Gli ultimi dei Medici cit., p. 104, nota 2.

44 Si veda la lettera di Carlo Rinuccini al granduca, del 26 febbraio 1711, in cui l’in-viato mediceo riporta una conversazione avuta con il cancelliere imperiale Philipp Lud-wig (Wenzel) Graf von Sinzendorf, citata in roBiony, Gli ultimi dei Medici cit., p. 113, nota 2.

45Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

inespressa del legislatore originario, a una designazione ispirata all’e-quità naturale, o infine, francamente, al diritto del popolo (rappre-sentato dal Senato) di preservare la salus reipublicae. È in quest’ul-tima funzione ‘costituente’ che i testi di Grozio e Pufendorf sono prevalentemente richiamati. Tuttavia, al fine di comprendere come il giusnaturalismo dovesse necessariamente essere combinato sul terre-no pratico-politico con fonti normative e dottrine con cui i giuristi to-scani avevano una più antica consuetudine,45 appare utile considerare le fonti di questo densissimo testo e cercare di classificarle.

Il testo dell’Antinori è suddiviso in tre articoli: i primi due, volti a escludere la successione femminile, quella per linea femminile e la successione di discendenti appartenenti a rami minori della famiglia Medici, sono sostenuti principalmente attraverso la dottrina giuridica relativa alle successioni, richiamando la giurisprudenza dei tribunali supremi (soprattutto le decisiones della Rota Romana) e la letteratura giuridica corrente utile a difendere le singole tesi dell’autore: da Luca da Penne a Marta, da Covarrubias a Da Ponte, De Luca etc.; nel terzo articolo, invece, teso ad avallare l’interpretazione restrittiva dei sog-getti ammessi alla successione secondo «la sola suprema Legge della salute del Popolo», le auctoritates sono in prevalenza i giuspubblicisti imperiali, come Henning Arnisaeus, Christoph Besold, Arnold Clap-mar con i loro testi sull’esercizio della sovranità, e i giusnaturalisti Samuel Pufendorf, Hugo Grozio e Francisco Suárez.

L’esclusione delle donne dalla successione nel governo della Re-pubblica Fiorentina, una volta estintasi la linea mascolina del gran-duca Cosimo I, è dimostrata facendo riferimento alle disposizioni del Lodo del 28 ottobre del 1530 e del Diploma imperiale del 30 settembre 1537. Tuttavia, per affermare l’esclusione del diritto dei Farnese e dei Borbone ad accedere alla successione medicea, e per assicurare l’unità dello stato, rimanevano da stabilire due fondamen-tali questioni, relative a: 1. i maschi discendenti per linea femminile; 2. la devoluzione del governo ad altri rami della famiglia dei Medici non discendenti da quelli cui era appartenuto il papa Clemente VII.

45 Si vedano i saggi di D. Marrara, Il “processo” per tirannide celebrato contro il duca Alessandro de’ Medici. Problemi storico giuridici, «Bollettino storico pisano», XLIX, 1980, pp. 39-60; iD., I rapporti giuridici tra la Toscana e l’Impero (1530-1576), in Firenze e la Toscana dei Medici nell’Europa del ’500, Firenze, Olschki, 1983, I, pp. 217-227.

46 Emanuele Salerno

I maschi discendenti per linea femminile sono esclusi dalla suc-cessione ricorrendo principalmente ai testi di Marco Antonio Pel-legrini, De fideicommissis, di Giovanni Battista de Luca sempre sui fedecommessi, di Giovanni Torre, De successione in majoratibus et primogenituris Italiae, e citando le diverse decisiones della Rota Ro-mana. Antinori puntualizza che:

[…] non si tratta presentemente di esaminare una disposizione di Sua natu-ra favorevole, o fatta per modo di ultima volontà da chi avendo un pieno ed assoluto Dominio sopra ciò di cui dispone […]. Ma bensì di una concessio-ne per via di arbitramento, o contratto, come dir si voglia, in cui cessando le considerazioni, che si hanno per le disposizioni testamentarie sotto nome de’ descendenti maschi vengono i soli maschi di maschio.46

Inoltre Antinori richiama il fatto che nella Lega di Barcellona e nel Lodo, e in ogni altra disposizione, si «ebbe solo in mente di prov-vedere alla famiglia di sua Santità, et a stabilire perfettamente l’in-grandimento della medesima», e dunque «che in simili disposizioni ordinate specialmente al benefizio, e splendore dell’agnazione, resta-no non solo escluse le femmine, ma che sotto nome de descendenti maschi non son compresi quelli, che da esse descendono».47

Anche l’articolo secondo, sull’esclusione dalla successione dei membri degli altri rami della famiglia Medici, è sostenuto richiaman-do in vari luoghi i passi del Lodo e della sua fonte,48 nonché i testi dottrinali sulle successioni e la giurisprudenza dei tribunali supremi.

Cosimo I era succeduto ad Alessandro in qualità del più prossimo per «libera elezione fatta di lui dal Senato», e Antinori avverte:

Che però con gran ragione poteva persuadersi il Senato essere ammissibile la persona di Cosimo come descendente dal detto Magnifico Lorenzo, ve-

46 antinori, Discorso sopra la successione della Toscana cit., c. 5r.47 Ivi, c. 6r. Tutto l’articolo primo del testo dell’Antinori, che punta principalmente

a dimostrare l’infondatezza giuridica dell’ammissione alla successione medicea dei maschi discendenti per linea femminile, è rinforzato citando a chiusura (c. 7r) i testi di Pufendorf e Grozio, là dove trattavano dei diversi modi di acquisto della sovranità; su questo si veda oltre, quando si discutono le fonti giusnaturalistiche.

48 Cioè la «Lega» o «confederazione» tra Clemente VII e Carlo V (stipulata in Bar-cellona il 29 giugno 1529), in quanto secondo l’Antinori si doveva prestare particolare attenzione «alle convenzioni suddette per bene intendere la mente dell’Imperatore nel susseguente suo Lodo», ivi, c. 9v.

47Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

rificandosi in esso le qualità necessarie di descendente maschio, e d’agnato: poco importando, che la detta qualità di descendente si verificasse in lui per via di femmine escluse dalla successione del Principato, mentre succedendo egli in virtù de’ propri, e naturali suoi requisiti, non poteva fargli ostacolo per l’effetto suddetto la personale incapacità della madre.49

Per Antinori è dunque importante ribadire che:

[…] fuori delle stesse precise circostanze, l’esaltazione di Cosimo I non fa stato in altri descendenti per linea femminina, che non siano insieme dell’a-gnazione; né per li agnati trasversali più remoti, et oltre il decimo grado, fuori del quale rispetto a questi (ciò che sia quanto ai descendenti dal co-mune stipite e stirpe regnante)50 non si dà regolarmente alcuna legittima successione, né comprensione a favor del più prossimo della famiglia: né per quelli tampoco, che avuta considerazione al tempo più immediato alla disposizione di che si tratta non erano assolutamente riconosciuti come della stessa propria famiglia del Papa, nella quale si pensava di perpetrare il Prin-cipato della Patria già introdotto nella medesima.51

Un altro gruppo di riferimenti presenti nella prima parte, ancora occasionale nello scritto dell’Antinori, ma destinato nel corso del di-battito internazionale sulla successione toscana a essere sempre più frequente nei testi sulla ‘libertà fiorentina’, è costituito dalle trattazio-ni storiche della città di Firenze.

Sul punto dell’esclusione dalla successione dei membri degli altri rami, il senatore Antinori utilizza le storie fiorentine di Benedetto Varchi, Jacopo Nardi, Bernardo Segni e Scipione Ammirato,52 per

49 Ivi, c. 15r.50 Su questo punto si cita, oltre al PelleGrini, al coVarruBias etc. anche il De jure belli

ac pacis di Grozio (liber II, caput VII, § XXIII), là dove si descriveva la successione lineale agnatizia. Come è noto, se per successione lineale si intende che si succede per linea retta, senza ammettere il passaggio ad altri parenti se la prima linea non è estinta, quella lineale agnatizia esclude dalla successione le donne e i loro discendenti (tale forma è detta anche salica o alla francese), mentre quella lineale cognatizia non esclude le donne e la loro linea di discendenza, ma le pospone ai maschi della stessa linea (tale forma è detta anche castigliana).

51 Ivi, cc. 15v-16r.52 Sulla storiografia sviluppatasi nel periodo che va da Cosimo I a Ferdinando I, si

veda l. Mannori, Il pensiero giuridico e storico-politico, in Storia della civiltà toscana. Il Principato mediceo, a cura di E. Fasano Guarini, Firenze, Le Monnier, 2003, pp. 311-332 (pp. 319-327). Marcello Verga ha opportunamente segnalato che questo tipo di storie circolavano ampiamente in forma manoscritta; in particolare, le storie del Varchi, del

48 Emanuele Salerno

garantire gli interessi della famiglia di Cosimo III e per esaltare la centralità del Senato dei Quarantotto nell’assetto politico e istituzio-nale del Granducato. L’uso giuridico della storiografia sembra indi-rizzato a dimostrare sia che l’esercizio delle magistrature cittadine si era conservato all’interno della sola linea di discendenza di Gio-vanni d’Averardo de’ Medici,53 sia che la legittimità giuridica della successione di Cosimo I ad Alessandro era dovuta alla funzione di rappresentanza degli interessi generali della res publica esercitata dal Senato. La legittimità di questo passaggio è infatti giustificata dal senatore Antinori con il fatto che Cosimo I era stato chiamato alla successione per «libera elezione fatta di lui dal Senato», e l’esser più prossimo al defunto Duca Alessandro era stato «considerato sempli-cemente per un motivo opportuno di congruenza per far cadere in lui l’elezione ad esclusione delli altri competitori». La forza proban-te di questa circostanza è fondata proprio sull’autorità delle storie fiorentine:

Questa verità si raccoglie dal gran contrasto, che fu suscitato in Senato sì per stabilire la forma del futuro Governo, come per la scelta della Persona, in cui collocarsi dovesse l’assoluta potestà del medesimo, di che fanno menzio-ne concordemente tutti gli Istorici fiorentini.54

Segni e del Nerli furono pubblicate solo nei primi decenni del Settecento, ossia quando gli esponenti del ceto dirigente erano impegnati in un complesso confronto sull’assetto politico e istituzionale dello stato. La Storia fiorentina di Benedetto Varchi sarebbe stata edita nel 1721, le Storie fiorentine di Bernardo Segni nel 1723 e i Commentarj dei fatti civili occorsi dentro la città di Firenze di Filippo de’ Nerli nel 1728. Negli stessi anni, il curatore delle dette edizioni, Francesco di Marco Settimanni, avrebbe anche lavorato alla ristampa dei quattro libri dell’opera di Donato Giannotti Della repubblica fiorentina (1721 e 1722), in cui si trattava sia della forma di repubblica più adatta a Firenze, sia della storia delle repubbliche fiorentine passate (1494-1523, 1527-1530); sul punto, cfr. VerGa, Da “citta-dini” a “nobili” cit., pp. 34-43.

53 antinori, Discorso sopra la successione della Toscana cit., cc. 10v-11r: «il Prin-cipato della Repubblica fiorentina, i di cui principij furono originariamente fondati da Giovanni di Averardo de’ Medici, e stabiliti viepiù da Cosimo Padre della Patria, e da Lorenzo Suoi figlioli, continuò poi successivamente sempre appresso i descendenti del prefato Giovanni e finalmente appresso Ippolito, et Alessandro, che lo godevano, e ne furono spogliati nel tempo medesimo del Ponteficato mediante il decreto del loro Esilio dalla città, senza che siasi esteso mai, et accomunato ad altre linee più remote, e da gran tempo separate da quelle formate da figlioli di detto Giovanni, che unicamente può, e deve riceversi, e riconoscersi per il primo Autore del superiore ingrandimento et esalta-zione di questa Casa».

54 Ivi, c. 13v. Antinori indica in nota il libro VIII delle Storie fiorentine di BernarDo seGni e il Ritratto di Cosimo I presente negli Opuscoli di sciPione aMMirato.

49Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

Antinori enfatizza dunque il fatto che:

[…] se egli [Cosimo I] non avesse dovuta interamente al Senato la suddetta elezione, difficilmente si sarebbe indotto a confessarla per tale, e renderla pubblica a tutto il Mondo in tante memorie, in cui fece pompa di riconosce-re la Sua Dignità dal pieno e libero consenso del Senato.55

Inoltre, ricorrendo all’autorità di Benedetto Varchi, Antinori co-glie l’occasione per riportare un passo del discorso del plenipotenzia-rio imperiale, Giovanni Antonio Muscettola, durante la consegna alla Signoria di Firenze del Lodo cesareo del 1530, in cui veniva chiarito che:

[…] doppo la discendenza del Duca Alessandro doveva appartenere il Go-verno al più prossimo della Casa de’ Medici della linea di Cosimo, e di Lo-renzo fratelli, e figlioli di Giovanni de’ Medici.56

Le auctoritates relative all’esercizio della sovranità costituiscono un altro importante gruppo di fonti, il cui utilizzo si rileva soprattutto nel terzo e ultimo articolo del Discorso dell’Antinori, in cui il Consigliere di Stato argomenta a favore di un’interpretazione restrittiva in vista del «Ben pubblico», che escluda dalla successione tutti gli agnati non discendenti dai rami cui era appartenuto il papa Clemente VII. Per ragioni prudenziali non si cita il testo principe della teoria della so-vranità, la République di Jean Bodin, ma il suo usuale sostituto: il De republica di Pierre Grégoire. Mentre, proprio per l’indiretto destina-tario del Discorso, l’imperatore Carlo VI, nel testo dell’Antinori sono ripetutamente richiamati i massimi giuristi imperiali e della ragion di stato, quali Arnisaeus, Besold e Clapmar,57 assieme a Pufendorf.

55 Ivi, c. 14v.56 Ivi, c. 16v. Qui si rimanda alla Storia fiorentina di BeneDetto Varchi indicando

erroneamente il libro VII, mentre il discorso del Muscettola è riportato nel libro XII.57 Sulla recezione del polisemico concetto di ‘ragion di stato’ nella teoria politica te-

desca del Seicento, si veda la sintesi proposta da h. Dreitzel, Reason of state and the crisis of political aristotelianism: an essay on the development of 17th century political philosophy, «History of European Ideas», XXVIII, 2002, pp. 163-187. Per i profili dei giuristi impe-riali si veda M. stolleis, Storia del diritto pubblico in Germania, trad. it., Milano, Giuffrè, 2008. Sulla concezione della sovranità nella trattatistica tedesca del Seicento, si vedano le considerazioni di M. scattola, Ordine e imperium: dalle politiche aristoteliche del primo Seicento al diritto naturale di Pufendorf, in Il potere. Per la storia della filosofia politica mo-

50 Emanuele Salerno

Occorrerà ricordare che già in chiusura del primo articolo, Anti-nori aveva ritenuto utile rinforzare la tesi dell’esclusione dei maschi per linea femminile citando, oltre a Giovanni Torre e le decisiones della Rota Romana, i giuspubblicisti tedeschi Arnisaeus e Besold, richiamando così anche una letteratura sull’esercizio della sovrani-tà che affermava l’inadeguatezza del genere femminile – e dei suoi discendenti – per le funzioni pubbliche di governo. Nel passo di Be-sold, ad esempio, si citava il caso del re d’Inghilterra Edoardo III, il quale, essendo nipote per via femminile, ossia per parte di Isabella, del re delle Gallie, Filippo il Bello, non venne ammesso alla succes-sione francese.58

Ora, nel terzo articolo del suo Discorso, superando la «ragione legale», Antinori passa a trattare dell’esclusione dalla successione dei membri di rami diversi da quelli cui era appartenuto il papa Clemen-te VII in modo da:

[…] esaminar la materia colla sola ragione della pubblica convenienza, e su i fondamenti di un’altra Giurisprudenza unicamente regolatrice della suc-cessione delli Stati.59

Occorreva infatti sottolineare «la gran differenza, che passa fra le private successioni, e le pubbliche»,60 citando Arnisaeus, per poi specificare che le successioni pubbliche non sono normate dalle:

[…] sottigliezze delle Leggi Civili, ma dalla sola suprema Legge della salute del Popolo, alla quale unicamente, e non al benefizio delle private famiglie sono ordinate; e che conviene che la superiore autorità del pubblico bene prevaglia, e si distingua da tutti i rispetti del ben privato.61

derna, a cura di G. Duso, Roma, Carocci, 1999, pp. 95-111. Giova sempre ricorrere anche al classico libro di f. Meineicke, L’idea della ragion di Stato nella storia moderna, trad. it., Firenze, Vallecchi, 1942-44 (in particolare, pp. 165-204).

58 Ivi, c. 5v. Qui Antinori rimanda ai passi di arnisaeus, presenti in Doctrina politica, liber I, caput IX, § Consequens, e in De republica, seu Relectionis politicae libri duo, liber II, caput II, sect. XII; oltre a quelli di BesolD, tratti dai suoi Dissertationum nomicopoliti-carum libri tres, liber I, dis. XII, nn. 1, 2 e 3.

59 Ivi, c. 20r.60 Ibidem. Qui Antinori rimanda a arnisaeus, De republica, seu Relectionis politicae

libri duo, liber II, caput II, sectiones VI e VII.61 Ivi, c. 20v. Qui si citano arnisaeus, De republica, seu Relectionis politicae libri duo, li-

ber II, caput II, sect. VIII, e claPMar, De arcanis rerumpublicarum libri sex, liber IV, caput I.

51Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

In questo passo, dunque, spiccano le citazioni dei giuspubblicisti tedeschi della ragion di stato, quali Arnisaeus e Clapmar; in particola-re, rispetto a quest’ultimo, il luogo cui l’Antinori rimanda il lettore è quello in cui Clapmar, trattando delle diversità tra il diritto pubblico e quello privato, specificava che nel diritto pubblico dominano piut-tosto la forza e il principio della salute del popolo, che l’equità.

La conclusione cui giunge il senatore è chiara, e presentata come necessaria:

[…] è altrettanto infallibile, che se doppo quasi dugento anni di Dominio nella Casa Regnante con tanto accrescimento di magnificenza, e Dignità (og-getti tutti, che lusingano nei Popoli in mezzo alla sommissione la loro più giusta ambizione) si avesse a trasferire questa Maestà in una famiglia rimasta allora, e poi vissuta sempre in condizione di privata, come quella di ogni altro nobile per il solo riguardo dell’agnazione, resterebbe subito sotterrato in un abisso di oscurità lo splendore, la Dignità, le Alleanze e finalmente la Reputazione, e con essa la sostanza del Principato per far necessariamente subentrare in luogo loro nel Popolo l’irreverenza, ne Nobili di fortuna più mediocre l’emulazione, ne più ricchi, e poderosi la deserzione della Patria, ne spiriti fazionarij i Partiti, l’introduzione delle Potenze Straniere per soste-nerli, ne Cervelli sediziosi la turbolenza, ne poveri l’oppressione, e per tante fatalità unite assieme l’ultimo esterminio, e desolazione dello Stato.62

Nella traslazione della maiestas doveva essere conservato il lega-me tra summa potestas e summus honor per evitare conflitti nel corpo politico. Dunque, citando in nota Arnisaeus e Pufendorf, Antinori asserisce che «i maestri della buona Politica» avevano sempre ritenu-to «fatale la traslazione della sovranità nelle famiglie private; e dato per precetto anche ne Principati puramente elettivi di collocarla sempre nel sangue avvezzo a regnare che porta con se medesimo tut-ti i requisiti per conciliarsi l’obbedienza, e l’amore».63 Di Arnisaeus

62 Ivi, c. 23r-v. Questo paragrafo è chiuso richiamando in nota arnisaeus, De repu-blica, seu Relectionis politicae libri duo, liber II, caput II, sect. IV, nn. 127, 130, 131 e 132.

63 Ivi, c. 23v. In questo passo Antinori rimanda ai testi di arnisaeus, De republica, seu Relectionis politicae libri duo, liber II, caput II, sect. IV, nn. 127 e 129, e Doctrina po-litica, liber I, caput IX, § Nihilominus, in cui il giuspubblicista tedesco sosteneva che per evitare lacerazioni sociali, dovute in primo luogo alla indisponibilità dei cittadini a farsi comandare da uguali, nel caso non si ricorra a sovrani stranieri, è storicamente provata, sia in Germania che in Ungheria, Polonia, Danimarca e Francia, l’efficacia della prudenza

52 Emanuele Salerno

si richiamano i passi in cui l’autore sosteneva l’efficacia della trasla-zione della sovranità in un soggetto di stirpe regale, anche straniero, portando esempi tratti dalla storia antica e moderna, e sottolinean-do altresì come nelle stirpi antiche il popolo percepisca qualcosa di sacro. Mentre il filosofo sassone è citato là dove specificava, anche sulla scorta di Grozio, che nei regni sorti per libero consenso del popolo, l’ordine di successione dipende dalla volontà del popolo; in tal modo Antinori introduce nell’argomento quella concezione della sovranità che distingue la maiestas realis dalla maiestas perso-nalis, cioè la titolarità della sovranità dal suo effettivo esercizio. In particolare, il passo di Pufendorf (De jure naturae et gentium, liber VII, caput VII, § XII) spiegava che qualora il popolo abbia reso la successione puramente ereditaria (cioè abbia scelto di traslare la sola sovranità, senza riconoscere al re il diritto di scegliersi un successo-re) alla morte del sovrano è necessario, «salus civitatis […] jubet», che la successione rimanga nella posterità del primo monarca, senza passare a collaterali o affini, ovvero, in mancanza di discendenti (non essendo ammessi i figli naturali, illegittimi o adottivi), che il diritto di disporre del regno e della forma di governo ritorni al popolo (qui Pufendorf indicava il commento di Johann Heinrich Boecler al De jure belli ac pacis di Grozio, liber II, caput VII, § XV). Pufendorf so-steneva dunque che nelle monarchie ereditarie fondate sul consenso del popolo, sempre in base all’argomento che l’ordine di successione spetta al popolo, il sovrano successore non succede in forza di un diritto del defunto.

Essendo poi necessario assicurare l’unità dello stato, «composto dello Stato vecchio trasferito nella Casa Regnante dalla Repubblica, e del nuovo infeudato con altre Province nella sola descendenza ma-sculina del Gran Duca Cosimo I», secondo l’Antinori:

[…] quel che più importa è l’escludere qualunque Agnato, o estraneo, che non sia creduto capace di preservar lo Stato dal gran male della mentovata divisione, e sue conseguenze; et applicare solamente a quello, nella persona

degli elettori nel chiamare quale sovrano un soggetto di stirpe regale. La questione della sacralità attribuita alle stirpi antiche è richiamata citando arnisaeus, De republica, seu Relectionis politicae libri duo, liber II, caput II, sect. V, nn. 10 e 11. Di seguito si citano PufenDorf, De jure naturae et gentium, liber VII, caput VII, § XII, e clauDe De seyssel, De republica Galliae et regum officiis, libri duo.

53Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

del quale concorrino i maggiori requisiti per impedirlo, seguitando anco in ciò le massime di quella giurisprudenza, ch’è la più propria della materia.64

E di questa giurisprudenza, non a caso, oltre ai giuristi tedeschi, quali Clapmar, Arnisaeus e Besold, utilizzati per affermare la necessi-tà dell’indivisibilità della sovranità per la «salute della Repubblica», erano parte integrante proprio le dottrine di Grozio e Pufendorf (as-sieme a Suárez) sull’interpretazione delle convenzioni tra stati, sulla sola base delle quali – secondo il Consigliere di Stato Antinori – sa-rebbe stato possibile «adempiere il primo intento della tranquillità, e conservazione dello stato» secondo la «retta ragione».65

In particolare, all’opera di Clapmar, Antinori ricorre là dove il giurista tedesco sosteneva, nel paragrafo «divisio principatuum per-nitiosissima», la necessità dell’indivisibilità della sovranità, evocando esempi storici, presso l’antica Roma, la Francia, la Polonia e la Ger-mania, e chiosando col sostegno dell’autorità di Aristotele. Di Arni-saeus, il giurista fiorentino richiama il luogo in cui si perorava la ne-cessità della conservazione dell’indivisibilità del dominio territoriale e della sovranità con l’esempio della fine dell’impero di Alessandro, che a causa della divisione, e dunque della debolezza, era divenuto preda della potenza romana. Infine, di Besold vengono citati due punti. Il primo sempre in relazione al tema della indivisibilità della sovranità, ossia il passo66 in cui si portava l’esempio dell’ordinamento confedera-to della Germania, nel quale, Besold osservava, le molteplici giurisdi-zioni sono ricondotte a un ente unitario e sovrano cui sono sottoposti tutti i soggetti, incluso l’imperatore. Il secondo punto, invece, trattava della ratio politica,67 cioè della ragion di stato, che il giurista tedesco

64 Ivi, cc. 23v-24v. Le auctoritates citate dall’Antinori in questo passo sono descritte nella nota qui di seguito.

65 Ivi, cc. 24v-25r. Nel passo sopra descritto sono citati: claPMar, De arcanis rerum-publicarum libri sex, liber II, caput XXII, § Sed; arnisaeus, De republica, seu Relectionis politicae libri duo, liber II, caput II, sect. VII, n. 14 «et per tota»; BesolD, Principium et fi-nis politicae doctrinae, caput VIII, § IV; iD., De arcanis rerumpublicarum discursus, § Ratio politica; Grozio, De jure belli ac pacis, liber II, caput XVI, §§ XXII e XXVI; PufenDorf, De jure naturae et gentium, liber V, caput XII, §§ XIX, XXI e XXIII.

66 Nel ms. (c. 24v) si legge «precogn. Polit.», in riferimento alle prime pagine dell’o-pera di BesolD, Principium et finis politicae doctrinae, intitolate appunto Praecognita po-litices complectens.

67 Nel ms. (c. 25r) si legge «Besold, in disc. De Arcan. Rerum publ., cap. 8, § Ratio

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distingueva in antica e moderna. Quella antica, era intesa come coin-cidente con l’equità, in quanto sebbene trasgredisse la lettera della legge non ne violava il senso e il fine; e sebbene abrogasse o annullasse una disposizione, ciò era fatto sempre a causa dell’ottenimento di un beneficio migliore e comune. Quella moderna, invece, era concepita come un’invenzione dei tiranni che giudicano di poter trasgredire, in nome dell’acquisizione e conservazione del proprio piccolo stato, tutte le leggi anche quelle divine; affermando, in conclusione, che la distinzione tra ragion di stato ed equità è da intendersi sulla base che la prima è indirizzata al bene privato del dominatore, mentre la secon-da è diretta alla realizzazione del bene pubblico.

Circa i riferimenti alle opere di Grozio e Pufendorf, che in questa parte, come si è detto, si riferiscono all’interpretatio delle convenzioni tra stati, le citazioni di Grozio (De jure belli ac pacis, liber II, caput XVI, §§ XXII e XXVI) richiamano la dottrina dell’interpretazione restrittiva, prevista a seguito del difetto originario della volontà, ovve-ro a seguito del conflitto tra la volontà e un caso emergente. Nel para-grafo XXII, il giurista olandese specificava che per difetto originario della volontà è da intendersi che nessuno deve essere creduto volere cose assurde; nel paragrafo XXVI, che l’incompatibilità tra volontà e caso emergente va risolta sulla base dei precetti naturali o divini. Nel caso discusso dall’Antinori, dunque, la volontà dei sottoscrittori del-le convenzioni cinquecentesche di estendere il diritto di successione anche a coloro che, nella circostanza storica sopravvenuta di inizio Settecento, non avevano «mezzi potenti, e spese immense, e stima, e credito, ed alleanze, e molte altre connessioni politiche proprie solo dei Sovrani»68 per assicurare la conservazione dello stato, non era da presumersi, e ciò, come spiegava Grozio, sia in base al principio che il disponente non poteva aver voluto la rovina dello stato, sia in base alla «retta ragione».69

Politica», che è stato ricondotto alle pagine del De arcanis rerumpublicarum discursus di BesolD presente alla fine dell’opera di claPMar, De arcanis rerumpublicarum libri sex. Si segnala che il § Ratio politica si trova in effetti al cap. I e che tutta l’operetta di Besold consta di soli quattro capitoli, almeno nell’edizione consultata, quella stampata assieme all’opera di Clapmar, con l’indicazione Amsterodami, apud Ludovicum Elze-virium, 1644.

68 antinori, Discorso sopra la successione della Toscana cit., c. 24r. 69 Ivi, c. 25r.

55Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

Di Pufendorf, Antinori cita i passi del De jure naturae et gentium (liber V, caput XII, §§ XIX, XXI e XXIII) in cui il filosofo sassone di-chiarava espressamente di seguire Grozio (De jure belli ac pacis, liber II, caput XVI). In questi luoghi Pufendorf specificava i quattro casi in cui secondo il diritto romano si deve ricorrere a un’interpretazione estensiva per evitare di eludere il vero significato della disposizione e, in merito all’interpretazione restrittiva, esplicitava che al fine di non rendere nulle tutte le promesse è da escludere la validità di una tacita condizione contrattuale che le cose restino immutate (§ XXI), mentre la tacita accettazione di una condizione deve essere ammessa solo in base alla sua corrispondenza coi connotati della natura umana (§ XXIII). L’opera di Suárez è ricordata (Tractatus de legibus, ac Deo legislatore, liber VI, caput I, n. 17) citandone il passo in cui si enume-ravano i modi o le congetture da utilizzare per indagare l’intenzione del legislatore, la mens legislatoris, ponendo quali limiti la corrispon-denza alla materia della legge e la ragionevolezza della norma.

L’obiettivo era infatti, come si è detto, quello di dimostrare che gli estensori del Lodo avevano mirato a preservare la «tranquillità, e conservazione dello Stato» escludendo tutti gli agnati; il senatore fiorentino puntualizza che:

[l’] intenzione [di estendere il diritto della successione a tutta l’agnazione della famiglia regnante] potendo produrre adesso effetti sì alieni dalla retta ragione, non può presumersi; e quando pur fusse tale, non deve attendersi: volendo ogni legge, che perischino piuttosto le conseguenze di un intento sì mostruoso, che la salute della Repubblica.70

L’Antinori esplicita il principio d’eccezione sopramenzionato sia attraverso l’Arnisaeus:

[…] è massima indubitata appresso i Giuristi, che le leggi anche fondamen-tali, e specialmente le successioni de’ Principati, e de’ Regni abbino sempre in lor medesime eccettuata la necessità, o utilità estrema della repubblica,

70 Ivi, c. 25r. È qui che Antinori richiama, come si è in parte già detto, in relazione alla «retta ragione» il De jure belli ac pacis di Grozio (liber II, caput XVI, § XXVI assieme al caput VII, § XIII) e il De jure naturae et gentium di PufenDorf (liber V, caput XII, § XXI); in rapporto alla «salute della Repubblica» il De arcanis rerumpublicarum discursus di BesolD (§ Ratio politica) e di nuovo il De jure naturae et gentium di PufenDorf (liber V, caput XII, § XXIII).

56 Emanuele Salerno

onde resti giustificato in qualche occorrenza non avvertita l’arbitrio della contravvenzione, o di un nuovo provedimento.71

Sia attraverso Grozio e Pufendorf:

[…] perciò è non pur conveniente, ma necessario, che quelli appresso de’ quali è la pubblica autorità, abbino ancora un egual libertà di esimere dall’osservanza tutte le contingenze, che gli stessi Autori della Legge esime-rebbero a benefizio della pubblica convenienza, se fossero presenti.72

Il punto era assai delicato e complesso, ma Antinori pone la que-stione in termini chiari:

Qual ragione può mai persuadere esservi tanta autorità ne Principati, e nelle Repubbliche per derogare le altrui Leggi, convenzioni, e disposizioni, e non ve ne sia tanta quanto basta per interpretare, estendere, limitare e derogare ancora se bisogna la legge successoria del Principato, quando sia necessario per la difesa, salute e conservazione di se medesima.73

Il giurista fiorentino recupera quindi l’equità naturale, specifican-do che:

[…] in questo caso succede appunto ciò che dall’equità naturale è accor-dato a tutti i privati, i quali benché per il buon regolamento della società civile abbino sottoposta la loro libertà originaria a quelle leggi, che per difesa, e conservazione sì de’ beni, che della vita sono state ordinate dalla pubblica autorità, nella quale hanno depositato volontariamente tutte le facoltà necessarie a tal fine; ciò non ostante in alcuni casi ricuperano la medesima libertà, e di quella si servono lecitamente in difesa propria, ove obbedendo alle leggi non vi sarebbe né modo, né tempo di conseguirla per altra strada.74

71 Ivi, c. 25r. Qui si richiama il testo di arnisaeus, De republica, seu Relectionis politi-cae libri duo, liber II, caput II, sect. IV, n. 41 ss., nei passi in cui il giuspubblicista tedesco sosteneva che l’elezione corregge i vizi della successione, portando a tal fine esempi storici in cui la necessità o l’utilità estrema dello stato avevano portato a infrangere la legge suc-cessoria, sebbene questa fosse confermata dal diritto delle genti.

72 Ibidem. Antinori cita nuovamente gli stessi passi di Grozio, De jure belli ac pacis, liber II, caput XVI, § XXVI, e di PufenDorf, De jure naturae et gentium, liber V, caput XII, § XXI, sulle dottrine dell’interpretazione delle convenzioni tra stati.

73 Ivi, cc. 25v-26r.74 Ivi, c. 26r.

57Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

Qui Antinori richiama, oltre ai passi del Corpus Iuris Civilis, della Politica di Aristotele, e dell’orazione Pro A. Cluentio Habito di Ci-cerone, il De jure belli ac pacis di Grozio (liber I, caput III, § II) e il De jure naturae et gentium di Pufendorf (liber II, caput V, § IV), e di quest’ultimi due autori sono citati i luoghi in cui entrambi sosteneva-no la liceità della guerra privata – anche una volta stabilitosi lo stato civile, e dunque i tribunali – nel caso in cui non sia possibile ricorrere a un giudice o si sia esposti a gravi pericoli istantanei.

Sulla base dell’argomento sopraesposto, sostenuto principalmen-te – come si è evidenziato – attraverso il ricorso a Grozio e Pufendorf, la conclusione del senatore è perentoria:

Così la Repubblica, et il Principe, come Capo della medesima, che libera-mente, et unitamente si sono obbligati a’ principio all’osservanza della Leg-ge Successoria da loro stabilita nel Principato, ricuperano la primiera libertà per porre in sicuro con diverso provvedimento l’indennità dello Stato: mas-sima così irrefragabile, che per esser, come si è detto, fondata tutta nella ragione, et equità naturale, ch’è la suprema regolatrice delle azioni umane, non ha bisogno di maggior prova.75

Una volta chiarito questo aspetto, Antinori passa ad affermare la legittimità, in ragione della necessitas, di una designazione successo-ria anticipata, richiamando ovviamente l’autorità dei giuspubblicisti tedeschi della ragion di stato, quali Arnisaeus e Clapmar. Nel testo si legge:

[…] essendo la mancanza della successione in un Principato un successo di sua natura calamitoso, il miglior consiglio per render meno sensibile un sì gran male, è quello di prevenire il caso della vacanza colla destinazione del successore per instituirlo poi nel Governo doppo la morte dell’ultimo pos-sessore: poiché venendo così a tener luogo di legittima, e natural successione questa anticipata destinazione, si confortano i Popoli mirabilmente, e ritorna al primo vigore l’amor loro, e zelo per il Bene della Patria col persuadersi, che stabilito una volta a chi si deva obbedire doppo l’estinzione della Stirpe Re-gnante, non patirà lo Stato quei gran sconcerti, che son prodotti sempre da tal disgrazia, quando non è provveduto alla medesima, e rimediato per tempo.76

75 Ivi, c. 26r-v.76 Ivi, cc. 28v-29r. Su questi punti Antinori rimanda oltre ai passi dell’arnisaeus e del

claPMar, sopra commentati, anche al GrÉGoire, De republica, liber VII, caput XII, n. 2.

58 Emanuele Salerno

Qui sono citati, oltre al Corpus Iuris Civilis, due testi di Arnisaeus: il De republica, seu Relectionis politicae libri duo (liber II, caput II, sect. IV, nn. 90, 100, 133 e 134) là dove il giurista tedesco sosteneva la legit-timità di una designazione anticipata del successore – elogiando il me-todo elettivo – quale antico costume a garanzia della stabilità dei regni, portando come esempi storici, tra gli altri, l’imperatore Carlo V, il re di Polonia Sigismondo, i viceré spagnoli nelle Indie Orientali e gli antichi romani; la Doctrina politica (liber I, cap. IX, § Verum in successione) là dove si rimarcava, con altri casi tratti tanto dall’antichità romana, quanto dagli eventi del XV secolo, come la morte di un sovrano senza la designazione di un successore determini il sorgere di pericolose con-tese. Mentre di Clapmar è richiamato il De arcanis rerumpublicarum (liber II, caput XXI; liber III, capita II e X); nel primo passo, Clapmar, sulla scorta di Aristotele e portando svariati esempi storici, da Alessan-dro a Carlo Magno, dai Longobardi alla Polonia dell’Alto Medioevo, raccomandava la necessità di assicurare un successore certo del regno, in modo da evitare la lacerazione in più parti del dominio territoriale, e garantire la conservazione dello stato e della sua forma; rimandando poi il lettore alla dissertazione sul successore del principe e sugli arcana dominationis, in quanto, secondo Clapmar, assicurare la presenza e la certezza dell’erede è da considerarsi non solo un rimedio per garantire la salvezza dello stato, ma anche un mezzo per conservare il potere del principe. I restanti riferimenti sono alla parte dell’opera in cui il giuri-sta tedesco trattava della «dominatio», dagli italiani chiamata «Signo-ria», specificando che questa non presuppone la soppressione della libertà dei cittadini, ed equiparava i termini di «Imperator, Dominus, Caesar, Rex, Princeps e Kyrios». In più, nel capitolo X, si ribadiva, attraverso esempi storici dell’antica Roma, ma anche dei secoli XIV e XVI, la necessità di evitare che il successore resti nell’incertezza.

Ma è proprio in quest’ultima parte del terzo, e ultimo, artico-lo che Antinori integra le numerose auctoritates già presentate con l’utilizzo delle dottrine giusnaturalistiche sul contratto originario e sul fondamento della sovranità. L’obiettivo era quello di affermare, come si è detto, la legittimità della designazione anticipata da parte della casa Medici, non solo attraverso i principi della ragion di stato, ma anche in base al consenso del popolo, cioè del Senato fiorenti-no. Già in conclusione del primo articolo, occorre ricordare, Anti-nori aveva avvisato che nel caso della successione granducale non

59Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

si trattava di Regni, e Principati Ereditari, ma bensì di «Principati [che] sono stati conferiti dal Popolo ad una certa famiglia per esser perpetuamente governati dalla medesima, ch’è il caso nostro»,77 so-stenendo questo punto col combinato disposto del De jure naturae et gentium (liber VII, caput VII, § II) di Pufendorf e del De jure belli ac pacis (liber II, caput VII, § XV) di Grozio. Del De jure naturae et gentium il senatore fiorentino aveva richiamato il passo in cui Pu-fendorf puntualizzava che le monarchie per essere legittime hanno bisogno del consenso del popolo, e che quelle fondate sul consenso spontaneo acquistano la sovranità attraverso l’elezione, piuttosto che attraverso il diritto di successione (che è il modo d’acquisto della so-vranità nelle monarchie fondate su un consenso forzato del popolo). Mentre del De jure belli ac pacis aveva citato il luogo in cui si trattava dell’acquisto derivativo in base a leggi di successione legittime, che secondo Grozio prevedono, nel caso di regni ereditari stabiliti dal consenso del popolo, che il regno sia stimato indivisibile e che la suc-cessione non si estenda oltre i discendenti del primo sovrano, e ciò in quanto il popolo ha eletto solo una determinata famiglia a rango regale; argomento questo, da cui il giurista olandese derivava anche quello successivo, cioè che qualora la detta famiglia si estingua, la sovranità tornerà al popolo.

Ora, a chiusura del terzo e ultimo articolo del proprio Discorso sopra la successione della Toscana, il senatore fiorentino precisa che:

[…] del Supremo Dominio conferito dalla Repubblica ad una certa famiglia, com’è questo della Toscana, non può l’ultimo Principe della medesima di-sporre arbitrariamente a benefizio di un’altra, ed a suo talento; perché non possedendolo egli come bene Ereditario, ed alienabile, l’ius di trasferirlo in altra famiglia ritorna al Popolo, che attesa la legge, e limitazione data alla successione, così ha voluto a principio.78

Le note a questo paragrafo rimandano, oltre che ai più volte ri-cordati testi dell’Arnisaeus e del Besold, ora assieme a quelli del Va-

77 Ivi, c. 7r.78 Ivi, c. 29r. Qui si citano: arnisaeus, De republica, seu Relectionis politicae libri

duo, liber II, caput II, sect. XIV, n. 29; BesolD, Dissertationum nomicopoliticarum libri tres, liber III, dis. III, n. 14; Grozio, De jure belli ac pacis, liber I, caput III, § XIII, n. 1; PufenDorf, De iure naturae et gentium, liber VII, caput VII, §§ XII e XV.

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squez e di Miguel de Aguirre, proprio ai passi del De jure belli ac pacis (liber I, caput III, § XIII, n. 1) di Grozio e al De iure naturae et gentium (liber VII, caput VII, §§ XII e XV) di Pufendorf, in cui i maestri della scuola del diritto naturale moderno illustravano la tipo-logia della sovranità.

Dell’opera dell’Arnisaeus il punto richiamato negava la liceità del-la disposizione sovrana se portatrice, in caso di successione, di pre-giudizio allo stato e specificava che la legittimazione fatta dal principe di un successore avrebbe avuto effetto nullo qualora non fosse stata approvata da tutti coloro che ne avrebbero potuto subire pregiudizio. Il passo del Besold asseriva che in caso di estinzione della stirpe rega-le o di decesso del principe senza erede, la potestà ritorna al popolo e le assemblee del regno hanno libera facoltà di scegliersi il sovrano o anche di cambiare forma di governo, «reipublicae formam».

Di Grozio si citano dunque i punti in cui il giurista olandese affermava che nei regni originariamente stabiliti dal pieno e libero consenso del popolo, non è concesso presumere che il popolo ab-bia voluto concedere al re il diritto di alienare la sovranità (senza un nuovo consenso del popolo). Di Pufendorf si indicano i passi in cui si sosteneva che nei regni originariamente stabiliti dal pieno e libero consenso del popolo, l’ordine di successione dipende dalla volontà del popolo, e veniva specificata la centralità del popolo, sia nel caso in cui non vi sia alcun discendete, in quanto il diritto di disporre del regno torna al popolo (§ XII), sia nel caso in cui si presentino delle contese tra i concorrenti alla corona, in quanto è il popolo a dover approvare in ultima istanza il nuovo sovrano, essendo stato lo stesso popolo ad aver stabilito l’ordine di succes-sione originario (§ XV).

Antinori dunque mette in evidenza come la sovranità originaria rimanga nel popolo, e come il rapporto tra popolo e casa regnante sia di natura pattizia. Tanto che qualsiasi designazione per essere legit-tima deve avere la sanzione dei rappresentanti del popolo, cioè del Senato. Lo schema ricorda abbastanza da vicino la vicenda dinastica inglese e farebbe ipotizzare una qualche propensione del senatore Antinori ad assimilare Senato fiorentino e Parlamento inglese. In più, citando il passo di Besold, dove si faceva riferimento, oltre alla storia dell’antica Roma, proprio alla travagliata impugnazione della nomina di Ferdinando a Re dei Romani, sollevata nel 1530 dall’elettore di

61Giusnaturalismo e cultura giuspolitica nella Toscana del primo Settecento

Sassonia e da altri principi territoriali contro la proposta dell’impe-ratore Carlo V, il senatore fiorentino punta a utilizzare dinanzi l’in-diretto interlocutore Carlo VI, proprio l’esperienza asburgica come argomento a sostegno della tesi, del ceto dirigente patrizio-senatorio, della necessità che la nomina del sovrano successore, per essere va-lida e legittima, avvenga col consenso del Senato, la cui funzione è sostanzialmente parificata a quella delle assemblee rappresentative. Il testo si conclude infatti con queste parole:

E perché con questa stessa disposizione resti ancora proveduto alla conservazione del suddetto Jus, che per l’estinzione della famiglia regnante ritorna al Popolo, conviene, che doppo aver prese le misu-re più proprie per la deliberazione dell’affare, sia questa participata al Senato affinché accettata, e ratificata col suo consenso resti per ogni parte legittimato il nuovo provedimento, usando a tal effetto né più né meno di quelle formalità, colle quali i Serenissimi Granduchi si sono sempre contentati benignamente, che delle resoluzioni più gravi, e più rilevanti al Bene dello Stato, se ne passi il Partito anco in Senato.79

4. osserVazioni finali. – In definitiva la tesi di Antinori andava configurando un rapporto con l’Impero basato necessariamente sulla sovranità originaria della Repubblica, con tutta la serie di atti dispo-sitivi – elezioni, esclusioni, designazioni – che avevano configurato la situazione in oggetto: cioè lo ‘Stato Nuovo’ infeudato dall’Impero a un potere a sua volta sovrano. Per questo si faceva appello, alter-nativamente, ai teorici della sovranità e ai giusnaturalisti, dai quali si attingevano i principi fondamentali che reggono le società civili: la ragione, l’equità naturale, la salus reipublicae.

Il Discorso dell’Antinori del 1711 si rivela dunque un esempio di recezione delle dottrine giusnaturalistiche in relazione alle teorie del fondamento dello stato e della sovranità, ma soprattutto dimostra quanto il ricorso ai giusnaturalisti emergesse là dove l’ordinaria giu-

79 Ivi, c. 29v. Nel ms. si rimanda a «Arnis. De Iur. Maiest. cap. VII de translat. Imp. n. 14», da ricondurre plausibilmente a arnisaeus, De subjectione et exemtione clericorum, caput VII, n. 14; a GrÉGoire, De republica, liber VII, caput XII, n. 2, e a BesolD, Disser-tationum Nomicopoliticarum Libri III, liber III, dis. III, nn. 16 e 17.

62 Emanuele Salerno

risprudenza successoria privatistica non assicurava un sostegno suf-ficiente a questioni pertinenti le relazioni internazionali, e quando si voleva emendare la versione ‘dispotica’ della dottrina della ragion di stato richiamando la sovranità e i diritti originari (ossia naturali) del popolo.

APPENDICE

ASF, Auditore poi Segretario delle Riformagioni, 236, cc. 1r-4r (n.n.)

[c. 1r (n.n.)] Discorso sopra la successione della Toscana fatto, e presenta-to all’Altezza Reale del Serenissimo Gran Duca Cosimo 3° dal Senator Prior Niccolò Antinori Consigliere di Stato, e Presidente dell’Ordine Militare di S. Stefano l’anno 1711

[c. 2r (n.n.)] Documenti allegati nel presente Discorso.A. Partiti fatti dalla Repubblica Fiorentina li 26 Aprile 1527 per l’allontana-

mento di Alessandro, e Ippolito de’ Medici a [c.] 30. B. Articolo della Lega de 29 Giugno 1529 fra Clemente VII e Carlo V a [c.] 30.C. Articoli della Capitolazione fra il Popolo Fiorentino, e i Commissari del

Papa, e dell’Imperatore li 12 Agosto 1530 a [c.] 31.D. Lodo dell’Imperatore Carlo V de 28 Ottobre 1530 a [c.] 31.E. Articolo dell’Instrumento d’accettazione del detto Lodo ne 6 Gennaio

1531 a [c.] 31 tergo.F. Articolo della Riforma del Governo di Firenze fatta li 27 Aprile 1532 a

[c.] 32 tergo.G. Decreto del Senato dell’Elezione del Gran Duca Cosimo Primo li 9 Gen-

naio 1536 stil. flor. a [c.] 33.H. Dichiarazione del Commissario Imperiale a favore del Gran Duca Cosi-

mo Primo del dì 21 Giugno 1537 a [c.] 33 tergo.I. Diploma di Carlo V confermatorio dell’Elezione del Gran Duca Cosimo

Primo de 30 Settembre 1537 a [c.] 34 tergo.K. Albero della descendenza della Casa Regnante a [c.] 36.L. Descendenza del Gran Duca Cosimo Primo per linea femminina dal Ma-

gnifico Lorenzo a [c.] 36 tergo.[c. 3r (n.n.)] Sunto del presente Discorso.

L’esclusione delle Femmine dalla successione della Toscana è litterale tanto nel Lodo Cesareo del 1530, che nel Diploma del 1567 [ma 1537].

I Descendenti dalle Femmine non sono compresi, mentre apparisce es-sere stata considerata, e chiamata la Famiglia de’ Medici, e ristretta a questa la successione.

64 Emanuele Salerno

Né possono pretendere alcun Jus alla medesima gli altri Agnati della Fa-miglia de’ Medici; perché nell’esaltazione al Principato fu solo considerata la Famiglia di Clemente 7°, cioè la descendenza del Magnifico Lorenzo de’ Medici, che ne era stata spogliata, o al più quella ancora dell’antico Giovan-ni di Averardo de’ Medici, ma non già tutta la famiglia, et agnazione indif-ferentemente non compresa nella ragione della reintegrazione al Principato suddetto.

Et in caso di dubbio tutte le considerazioni per il Ben pubblico per-suadono, che deva prendersi una simile restrittiva interpretazione, e non estensiva a tutti gli agnati.

[c. 3v (n.n.)] Supposto ciò, essendo interesse dello Stato il non mutar la forma del Governo, già stabilito per il corso di vicino a dugento anni, in caso dell’estinzione che si desse della Casa Regnante, e convenendo altresì pro-vedere in tempo ai gran sconcerti, che causerebbe un tale accidente, con la preventiva destinazione del successore, questa può, e deve farsi dall’Ultimo della Casa Regnante coll’approvazione, e consenso del Popolo necessario a tal effetto, giachè si tratta di trasferire in altri un Jus, che risiede appresso il medesimo Popolo.

E perché il fine di tale preventiva elezione non è, né deve essere altro, che quello del pubblico Bene: quando anco avanti, che si riducesse la Casa Regnante all’Ultimo Possessore si presentasse un’opportuna occasione di conseguire il fine suddetto con più sicurezza, e vantaggio di quel che spe-rar si potesse in altro tempo: sarebbe per così dire necessità l’applicare ad una tal congiuntura in qualunque tempo la medesima si offerisse e che si prendesse il pensiero di stabilire la futura successione al Governo quello de’ Principi Viventi, in cui consentissero gli altri, che da lui fosse fatta la desti-nazione [c. 4r (n.n.)] del successore per avere effetto doppo la mancanza di tutta la Casa Regnante.

Circa la Persona da destinarsi pare che convenga sceglier quella, che più possa esser di benefizio allo Stato mediante la conservazione dello splendo-re, e condecorazione del medesimo, e nella quale possa sperarsi, che siano per mantenersi uniti ambedue li stati con riportare mediante il Suo Credito, et aderenze le Investiture a Suo favore dello stato di Siena, e delli altri acqui-sti fatti dalla Casa Regnante.

Direttore: Giuliano Pinto

Redazione: Deputazione di Storia Patria per la Toscana, Via dei Ginori, n. 750123 firenze

Registrazione del tribunale di Firenze n. 757 del 27/3/1953

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turco dopo Lepanto. 1961. √ 28,00 [2079 0]14. Ugurgieri della Berardenga, C., Avventurieri

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25. Pastori, P., Rivoluzione e potere in Louis De Bonald. 1990. √ 55,00 [3699 9]

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30. Nicola Ottokar storico del Medioevo. Da Pietroburgo a Firenze. A cura di L. Pubblici e R. Risaliti. 2008. √ 19,00 [5763 5]

31. I libri di famiglia dei nobili de Giudici di Arezzo. Scritti da Angelo Lorenzo di Giovanfrancesco e continuati dal genero Pietro Albergotti. Con alcune note sul carteggio con Vittorio Fossombroni (1769-1876). A cura di L. Carbone. 2008. √ 35,00 [58489]

32. Corfiati, C., Il Principe e la Regina. Storie e letteratura nel Mezzogiorno aragonese. 2009. √ 18,00 [5850 2]

33. Montinaro, G., Fra Urbino e Firenze. Politica e diplomazia nel tramonto dei della Rovere (1574-1631). 2009. √ 16,00 [5854 0]

34. Ciuffoletti, Z., Alla ricerca del «vino perfetto»: il Chianti del Barone di Brolio. Ricasoli e il Risorgimento vitivinicolo italiano. Con il carteggio fra Bettino Ricasoli e Cesare Studiati (1859-1876). 2009. √ 20,00 [5909 7]

35. Marino, S., Ospedali e città nel regno di Napoli. Le Annunziate: istituzioni, archivi e fonti. (secc. XIV-XIX). 2014. √ 23,00 [6306 3]

36. Amministrazione ed etica nella Casa di San Giorgio (1407-1805). Lo statuto del 1568. A cura di G. Felloni. 2014, vi-218 pp. con 176 figg. n.t. [6315 5]

37. Città e campagne del Basso Medioevo. Studi sulla società italiana offerti dagli allievi a Giuliano Pinto.. 2014, viii-268 pp. √ 30,00 [6321 6]

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