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Etnografia di una rete complessa. Strumenti e pratiche per l'auto-organizzazione nella società...

Date post: 26-Nov-2023
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONA Dipartimento Tempo, Spazio, Immagine, Società (TeSIS) CORSO DI DOTTORATO IN STUDI STORICI, GEOGRAFICI E ANTROPOLOGICI (Università degli studi di Padova, Università Ca' Foscari Venezia, Università degli studi di Verona) XXVIII ciclo Etnografia di una rete complessa Strumenti e pratiche per l'auto-organizzazione nella società civile veronese Dottorando: Dott. Miro Marchi Supervisore: Prof.ssa Anna Maria Paini Supervisore: Prof. Marco Deriu Coordinatore: Prof. Gian Maria Varanini S.S.D.: M/DEA–01
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI VERONADipartimento Tempo, Spazio, Immagine, Società (TeSIS)

CORSO DI DOTTORATO IN STUDI STORICI, GEOGRAFICI E ANTROPOLOGICI(Università degli studi di Padova, Università Ca' Foscari Venezia, Università degli studi di Verona)

XXVIII ciclo

Etnografia di una rete complessaStrumenti e pratiche per l'auto-organizzazione

nella società civile veronese

Dottorando: Dott. Miro MarchiSupervisore: Prof.ssa Anna Maria PainiSupervisore: Prof. Marco DeriuCoordinatore: Prof. Gian Maria Varanini

S.S.D.: M/DEA–01

Tesi accessibile in modalità Open Access all'indirizzo http://hdl.handle.net/11562/930832, con licenza Creative Commons Attribuzione 4.0 Internazionale.

Indice

Introduzione.......................................................................................................................6

Avvertenza 8

Ringraziamenti 9

Capitolo 1 – Sistemi complessi e approccio antropologico.............................................11

Il modello delle reti di governance 11

Contributo dell'antropologia nel riconoscere le reti di governance 19

Reti di governance complesse nel contesto di Bali 22

Promuovere la sostenibilità nel contesto di Bali 26

Il fieldwork nel mondo interconnesso 32

Capitolo 2 – Caso studio e metodologia..........................................................................46

Fieldwork di una rete 46

Processi e soggetti in campo 46

Posizionamento sul campo e genesi della ricerca 52

Rapporto con interlocutrici/interlocutori e con il contesto 57

Epistemologia della collaborazione in antropologia 57

Antropologia e cambiamento sociale 61

Co-design della ricerca 68

Ricerca come partecipazione ad un esperimento 76

Svolgimento della ricerca 79

Strumento proposto e risultati attesi 79

Raccolta e fruizione dei dati 82

Prodotti della ricerca e restituzione 88

Capitolo 3 – Fieldwork: disegnare le collaborazioni.......................................................94

Sul campo 94

Timeline e organizzazione del fieldwork 94

Gruppo di accoglienza: Naturalmente Verona 96

Posizionamento iniziale rispetto alla rete di economia solidale veronese 98

Mappa concettuale partecipativa: il “Cielo di Villa Buri” 103

La Commissione Progetti di Villa Buri 103

Costruzione partecipativa 110

Fruizione del disegno 120

Posizionamenti 127

La comunità di Naturalmente Verona 132

“Grafo-interviste” al Festival dell'economia eco-equo solidale 132

«Ognuno coltiva il suo orto»: un problema di partecipazione o di percezione? 152

Capitolo 4 – Fieldwork: costruire insieme i dati...........................................................167

Esplorazione della rete e approfondimento delle relazioni 167

Campionatura 167

Le prime difficoltà della collaborazione 169

Riposizionamenti 176

Pratiche linguistiche nella comunità di Mag Verona 181

Lezioni di auto-organizzazione: “piccoli-grandi passi” 181

Proposte e strumenti per la “regia” dei beni comuni 193

Gruppo di ricerca sulla rete di imprese Mag come bene comune 204

Parole chiave “partecipate” 235

Rete economica emergente attorno al progetto agro-alimentare 238

Bioloc e il progetto agro-alimentare: itinerario di una giovane comunità di pratiche 238

Grafo delle connessioni della PDO 244

Grafi a partire dal database del gestionale 250

Punto di rottura 254

Capitolo 5 – Restituzione: costruzione dello strumento................................................262

Lo sviluppo 262

Il gruppo di lavoro del portale si allarga 262

Mediazione tra tecnico e committenti 265

Svolta open source 272

Le funzioni dell'applicazione web 278

Le entità del sito 278

I soggetti del grafo 282

Le relazioni del grafo 287

Il campionamento snowball 295

Visualizzare il tempo comune 298

Grafi e altre visualizzazioni del sito 298

Tempo, meswork e storylines 302

Ricezione e utilizzo 309

Promozione e coinvolgimento 309

Feedback su Retebuonvivere.org 312

Capitolo 6 – Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione.....................328

Principali criticità per le organizzazioni della comunità 328

L'“imponenza” delle aspettative 328

Risorse insufficienti 333

Ricambio del personale 336

Difficoltà a visualizzare la rete emergente 338

Elementi metodologici e scientifici 342

Rete frammentata o connessa? 342

Coordinamento dal basso 343

Cambiamento negli slogan della società civile 350

L'approccio CAS e ABM nelle scienze sociali 354

Conclusione...................................................................................................................360

Riferimenti Bibliografici...............................................................................................364

Introduzione

Questa tesi si inserisce nel dibattito interdisciplinare sull'individuazione e la promozionedi modelli di governance di rete capaci di migliorare la sostenibilità sociale, ambientaleed economica dei sistemi socio-ecologici. In particolare, l'originalità della ricercarisiede nel tentativo di far dialogare linguaggi, teorie e pratiche dell'antropologia conquelli dell'analisi delle reti sociali e della scienza della complessità, nell'analisi di unarete di interazione tra comunità di pratiche della società civile. L'analisi si basa su uncaso studio consistente nella rete di collaborazioni tra organizzazioni della società civiledi Verona e sui materiali raccolti durante un lavoro di campo prolungato.

La tesi prende le mosse dalla considerazione, ormai diffusa a livello scientifico epolitico, che per raggiungere l'obiettivo della sostenibilità sia necessario superarel'attuale modello socio-economico, fondato sul consumo di capitale sociale e naturaleper trasformarlo in capitale economico, con un nuovo modello incentrato sul costanterinnovamento di capitale sociale e naturale. Nel primo capitolo approfondisco quindi ilmodello teorico delle “reti di governance adattative”, fondato sul paradigma dei benicomuni, l'auto-organizzazione nelle reti complesse e la governance policentrica. Questiprincipi consistono nel riconoscimento della capacità degli utilizzatori di risorse eservizi di contribuire anche alla gestione e al rinnovamento degli stessi; e nelriconoscimento che il coordinamento bottom-up che può emergere all'interno di reti dicomunità di pratiche, parzialmente sovrapposte e connesse attraverso diverse scale, è ingrado di risolvere i problemi tipici della gestione sostenibile (caratterizzati da un elevatolivello di interdipendenza tra cause ed effetti), che rimangono fuori dalla portata degliapprocci top-down.

Procedo poi ad analizzare nel dettaglio un caso di confronto offerto dalla retecomplessa emergente dall'interazione locale delle associazioni di irrigazione dell'isola diBali. Attraverso l'esempio chiarisco in particolare come la metodologia costituita dalla

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Introduzione

combinazione di fieldwork etnografico e modellazione formale dei sistemi complessipossa essere fruttuosamente impiegata sia per rendere visibili reti di governancecomplesse esistenti, sia per innescare processi di apprendimento sociale che conducanole comunità coinvolte ad una gestione sostenibile delle risorse. Ripercorrosuccessivamente gli sviluppi della problematizzazione dei concetti di campo e dicomunità a cura dell'antropologia contemporanea, attraverso cui è possibile costruirericerche di campo anche in contesti non “lontani” e all'interno di comunità di pratiche.In questo modo è possibile approcciarsi allo studio e alla promozione di processi diapprendimento sociale per la sostenibilità nei contesti “connessi” tipici dellacontemporaneità.

Nel secondo capitolo offro un inquadramento del campo su cui si basa la ricerca,costituito dalla rete delle comunità di pratiche delle organizzazioni di società civile dellacittà di Verona. Questa rete non si occupa di gestire risorse specifiche come nel casobalinese, ma influisce nella generale governance della città (politica, economica,ambientale, e sociale). La ricerca consiste principalmente nel coinvolgere i membridelle comunità in un esperimento partecipativo di auto-rappresentazione della rete diinterazione tra le comunità stesse, nell'ipotesi che questo possa favorire l'emergere diuna consapevolezza di rete e favorire la capacità di auto-organizzazione al suo interno.Il coinvolgimento degli interlocutori, che va dalla co-teorizzazione iniziale fino allaraccolta dei dati condivisa, viene inquadrato attraverso un approfondimento sullametodologia dell'etnografia collaborativa, “sperimentale” e sull'approccio indiretto alcambiamento sociale.

La ricerca intende sperimentare il design collaborativo di strumenti e metodi persostenere l'auto-organizzazione nei sistemi di apprendimento sociale orientati allasostenibilità. Specificamente, la costruzione di un grafo di collaborazione della retesociale studiata ha l'obiettivo di unire i diversi punti di vista individuali dei membri inun'immagine plurale. Con questa si intende “rendere visibile” l'interdipendenza el'estensione dei patterns relazionali che altrimenti rischiano di rimanere invisibili, siaagli osservatori esterni (che spesso giudicano ininfluenti i movimenti senza un leaderforte), sia agli osservatori interni (che hanno una visione posizionata e quindi limitata,costruita in base alla propria conoscenza ed esperienza). Lo strumento è quindiindirizzato ad instaurare un feedback attraverso cui i soggetti coinvolti possanocomprendere meglio i risultati delle proprie azioni di gestione e coordinamento,nell'obiettivo di favorire il co-adattamento, l'auto-organizzazione e l'apprendimentoall'interno della rete.

Nella parte centrale della tesi (terzo, quarto e quinto capitolo) descrivo la raccolta deimateriali del fieldwork, da cui cerco di far emergere, in particolare, i diversi momenti disperimentazione avvenuti all'interno di diverse comunità del campo. In questeesperienze sono state messe alla prova diverse modalità di raccolta partecipativa dei datie di disegno dei grafi, nonché diversi supporti per la fruizione dei disegni realizzati. La

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progressione da una situazione alla successiva mostra il tentativo di aumentare il livellodi partecipazione degli interlocutori-collaboratori e di estendere la partecipazione ad unmaggior numero di organizzazioni della comunità di pratiche. Anche il mio ruolo diricercatore si trasforma da una partecipazione di tipo periferico ad un progressivoavvicinamento alle pratiche centrali delle diverse comunità. In questa parte, dedicataall'esposizione dei materiali, analizzo anche alcune delle pratiche relazionali delleorganizzazioni e dei discorsi articolati su queste pratiche. Cerco di mettere in lucemodalità di relazione, aspettative sulla collaborazione e metafore linguistiche utilizzate,nel tentativo di fornire una descrizione densa del contesto relazionale del campo.

Nel quinto capitolo descrivo in particolare il processo di costruzionedell'applicazione web realizzata come prodotto finale di restituzione dei risultati dellaricerca per il pubblico degli interlocutori, a partire dall'esperienza maturata nelleprecedenti fasi del fieldwork. Anche l'applicazione web è realizzata in collaborazionecon alcuni membri delle comunità del campo, in particolare aggregandosi al progetto diun portale web per il terzo settore. In questo progetto il mio ruolo di ricercatorepartecipante diventa ancora più centrale e legittimato, come mediatore tra i partecipantie co-protagonista. Descrivo inoltre la ricezione dello strumento realizzato da parte degliinterlocutori-collaboratori.

Nel capitolo conclusivo riassumo i principali argomenti di riflessione e diinterpretazione aperti nel corso della ricerca. Innanzitutto metto in evidenza le questioniemerse come elementi di criticità per l'azione delle organizzazioni della rete.Successivamente mi ricollego ad alcuni dei dibattiti scientifici con cui la tesi si pone inrelazione, mettendo in evidenza in particolare il contributo che l'antropologia puòapportare nell'applicazione dell'approccio dei sistemi complessi alle scienze e alleproblematiche sociali.

Avvertenza

Esplicito alcune scelte sull'utilizzo di traduzioni, termini tecnici e nomi di interlocutori einterlocutrici.

Quando disponibile, utilizzo la traduzione dell'edizione italiana dei testi citati, adesempio Olivier de Sardan (2009 [1995]: 28); per i testi non disponibili in edizioneitaliana la traduzione dall'inglese è mia.

Per quanto riguarda l'utilizzo delle parole straniere ho optato per la resa in corsivodei termini non entrati nell'uso corrente nella lingua italiana. Ad esempio non uso ilcorsivo per stakeholder (e nemmeno il plurale), mentre lascio in corsivo termini comeadvocacy.

Per i nomi propri degli interlocutori e interlocutrici ho condiviso con loro la scelta dinon utilizzare pseudonimi, ma di riportare il nome per intero e l'iniziale del cognome.Quando lo stesso nome si ripete più volte all'interno della stessa pagina o di pagineconsecutive ometto l'iniziale del cognome per rendere più scorrevole la lettura. Nei

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Introduzione

dialoghi, dopo la prima occorrenza mantengo soltanto l'iniziale del nome. Andrea Tronchin ha avuto un ruolo centrale nella fase di co-teorizzazione iniziale

della ricerca e di comune accordo abbiamo scelto di lasciare il suo nome e cognome perintero, come riconoscimento di co-autorialità. Le interlocutrici e interlocutori che hannocontribuito a questa ricerca e che sono anche autrici e autori di testi pubblicati sonoinseriti in bibliografia con il cognome completo. Lo stesso vale per coloro che sononominati per il ruolo di carattere pubblico che ricoprono (es. docente, fondatore storico,e così via).

Ringraziamenti

Sono riconoscente all'Università di Verona e al Dipartimento Tempo, Spazio, Immagine,Società (TeSIS) per avermi concesso la borsa di studio del dottorato, che mi hapermesso di concentrarmi per tre anni nella ricerca di cui questa tesi è il risultatotangibile.

Desidero ringraziare sentitamente i miei supervisori, Prof.ssa Anna Maria Paini eProf. Marco Deriu, per la revisione del testo, per le preziose indicazioni bibliografiche eper avermi aiutato a far emergere i nodi analitici centrali, che nelle prime stesure deicapitoli erano schiacciati da un racconto etnografico del fieldwork troppo legato aldiario di campo. Sono grato ad Anna Paini per la cura con cui ha commentato il testo.

Sono loro riconoscente, insieme a colleghi e docenti del coso di dottorato tra cui laProf.ssa Franca Tamisari, il Prof. Glauco Sanga e il coordinatore della sede Veronese deldottorato interateneo, Prof. Gian Maria Varanini, per i feedback che mi hanno rimandatodurante tutto il periodo di ricerca; Anna Paini anche per il coordinamento del “gruppo diantropologia” del dottorato. Sono stati molti gli eccellenti incontri di approfondimento edi scambio, con docenti di livello internazionale, provenienti da diverse università delmondo. Inoltre ho un debito di riconoscenza nei confronti del Prof. Renzo Derosas e delProf. Michele Cangiani per tutto quello che mi hanno insegnato rispetto all'analisi dellereti sociali, il primo, e alla teoria dei sistemi, il secondo.

Ringrazio altresì interlocutori e interlocutrici che hanno contribuito in modi diversialla ricerca e che mi hanno conferito fiducia, facendomi partecipe dei molteplici aspettidelle pratiche delle loro organizzazioni. Sono grato a Alberto B., Alberto T., Alberto Z.,Alessia d. B., Andrea B., Andrea S., Anna B., Anna S., Annalisa, Antonella M., AntonioM, Antonio T., Bernardo P, Bruno R., Chiara A., Chiara F., Chiara M., Christian L.,Damiano F., Daniela P., Davide B., Dino C., Eliana R., Enzo D. F., Fabrizio P., FedericaP., Felicita C., Filippo, Flavio F., Flora M., Francesco B., Francesco G., Francesco L.,Gabriella, Gemma A., Gianluca, Gino L., Giovanni S., Giulia P., Giulio L., Giuseppe B.,Guido C., Leonardo Z., Linda T., Lino S., Loredana A., Lorenza B., Lorenzo G., LucaM., Lucia F, Luciano P., M. Teresa G., M. Antonietta B., Manuela F., Marco, Marco A.,Marco C., Marco M., Marco M., Massimo R., Matteo, Matteo T., Manuel G., Mauro T.,Max C., Mirella, Mirko V., Nadia A., Nico C., Nicola M., Paolo D., Paolo T. V., Paolo

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V., Patrizia D., Pierluigi T., Pietro, Rino F., Rita O., Roberto, Roberto G., Rocio P., SaraB., Sebastiano M., Silvano B., Silvia M., Silvia A., Silvia C., Simone V., Stefania C.,Stefano D., Stefano G., Stefano M., Tito B., Valentina Z., Vittorio C..

Non mi è qui possibile specificare il ruolo di tutti e tutte, ma ciascuna/o di loroconosce il contributo che ha apportato alla ricerca. Ci tengo tuttavia a nominare lecomunità di pratiche con cui ho maggiormente lavorato: Naturalmente Verona –Arcipelago Scec, Villa Buri onlus e Mag Verona. Un ringraziamento particolare adAndrea per avermi condotto sul campo; a Loredana, Paolo e Gemma per la continuadisponibilità al confronto; a Francesco e Silvia, con i quali ho condiviso un intensoperiodo di scrittura condivisa; a Lucia, per aver sperimentato con me la collaborazione“intra-disciplinare” sul campo; a Felicita, Gabriella, Antonella, Alberto e Marco perl'accoglienza iniziale ed i bei momenti trascorsi insieme; a Silvano e Paolo per la fiduciache mi hanno conferito fin da subito, e che continua ancora oggi; a Pierluigi per averdato una “casa” a ReteBuonVivere.org.

Sono grato all'amico Roberto P. per avermi introdotto alla programmazione conjavascript mentre mi aiutava nella realizzazione della libreria grafica utilizzata perdisegnare le reti dinamiche; a mio fratello Sirio per avermi introdotto alle pratiche dellosviluppo web e del software open source, e per avermi assistito supervisionando tutta larealizzazione tecnica dell'applicazione.

L'amore e il supporto di Marta e dei miei genitori, Michelangelo e Daniela, e la guidadi Paola B. sono stati fondamentali per rendere meraviglioso questo periodo della miavita, nonostante le difficoltà. Vi ringrazio dal profondo del cuore.

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Capitolo 1

Sistemi complessi e approccio antropologico

In questo capitolo presento la riflessione teorica più ampia sottesa alla ricerca. A partiredal vincolo della sostenibilità intendo mettere in evidenza il modello di governanceemergente, spaziando tra la scienza della complessità e l'antropologia. Il caso balinesedella rete delle associazioni subak servirà da filo conduttore per descrivere un approcciometodologico che si inserisce in questa nuova tradizione multidisciplinare e che, graziealla problematizzazione del metodo del fieldwork ad opera dell'antropologiacontemporanea, può essere esteso ed utilizzato per promuovere la formazione e ilsostentamento di reti e comunità al fine di aumentare la sostenibilità della societàglobale.

Il modello delle reti di governance

Il concetto di sostenibilità indica la capacità delle società di persistere nel tempo,reagendo in maniera co-evolutiva ai cambiamenti dell'ambiente. È un concetto checoinvolge i domini di natura e cultura, interconnessi nei sistemi socio-ecologici (Wall2014: cap. 5). Sono molti gli esempi storici documentati di società hanno dovutoaffrontare la sfida della sostenibilità. Alcune sono passate attraverso un processo ditrasformazione riuscendo ad adattarsi, altre sono andate incontro al collasso (Diamond2005); altre ancora sono riuscite a sopravvivere migrando in aree dove le risorse eranoancora abbondanti. Questi casi del passato mostrano società «relativamente isolate daaltre parti del mondo», mentre il nostro periodo storico è contrassegnato dalla sfida dellasostenibilità per la comunità globale altamente interconnessa, in cui «il massicciofallimento sociale o ambientale in una regione minaccia l'intero sistema» (Costanza etal. 2007: 522).

Il modello culturale attualmente dominante si è sviluppato in un periodo storico –dalla prima rivoluzione industriale agli anni Settanta del Novecento1 – in cui i segnaliambientali erano radicalmente diversi: risorse naturali abbondanti e pressionedemografica ridotta (Costanza 2008). Questo ha permesso nel tempo l'evoluzione di unavisione del mondo basata sulla crescita economica illimitata e su una concezione dieconomia come sfruttamento del capitale sociale e naturale. Per molti aspetti si può dire

1 Generalmente vengono indicati come punti di svolta la pubblicazione del report del Club di Roma I limiti dello sviluppo (Meadows, Meadows, e Randers 1972); del 1972 è anche Blue Marble, la prima fotografia della Terra vista dallo spazio, ispiratrice dell'idea di condivisione di un unico sistema comune; e la crisi energetica del 1973, che segna il passaggio dall'economia fordista all'economia flessibile (Pollard 2012). Si tratta comunque, come in tutte le periodizzazioni, di termini indicativi.

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Capitolo 1

che è un modello in cui lo sviluppo economico, elevato ad indicatore dello sviluppoumano, è considerato indipendente e separato dall'evoluzione generale. Una separazioneo dualismo le cui fondamenta possono essere fatte risalire alle origini della culturaoccidentale moderna (Ingold 2011: 8) o addirittura alle origini della storia umana(Eldredge 1995), ma che ha assunto l'aspetto “economicistico” attuale con l'avventodella società di mercato (Polanyi 1974 [1944]). Questo modello di sviluppo ha prodotto(ed è giunto di fronte a) i suoi limiti: grave danneggiamento dei servizi ecosistemici,radicale riduzione della resilienza dei sistemi naturali, aumento di diseguaglianzasociale e povertà, massicce estinzioni di specie (Sterman 2012; Millennium EcosystemAssessment 2005; Bodley 2012).

Molti autori, sebbene individuino le tracce del cambiamento culturale necessario perpoter adattarci ed raggiungere uno stato sostenibile, indicano diversi ostacoli sulla stradaper questa transizione ed evidenziano caratteristiche e principi da sviluppare perprodurre la sostenibilità (Beddoe et al. 2009; Sterman 2012; Millennium EcosystemAssessment 2005). La mia ricerca si concentra su alcuni di questi principi che siriferiscono specificamente alla problematica della governance per la sostenibilità:paradigma dei beni comuni, auto-organizzazione, partecipazione, cooperazione,governance policentrica e pensiero dei sistemi complessi. Li introduco brevemente perpoi entrare più in profondità.

Il primo di questi principi indica la necessità di modificare l'attuale assettoistituzionale che favorisce i beni privati (o in generale esclusivi) a spese dei benipubblici (o in generale non-esclusivi) (Beddoe et al. 2009). Questo assetto,caratterizzato dalla dicotomia stato/mercato, crea un aumento della diseguaglianzasocio-economica e impedisce il prendersi cura dei beni e servizi che hanno maggioreimpatto sulla qualità della vita (educazione, infrastrutture, salute, servizi ecosistemici, ecosì via). L'obiettivo è ottenere un regime di costante riproduzione di capitale sociale enaturale ed è stato mostrato come soluzioni di gestione comunitaria, che vedono comeprotagonisti gli utenti stessi di beni e servizi siano spesso più eque, efficienti esostenibili (Barnes 2006; E. Ostrom 1990).

Favorendo l'auto-organizzazione è possibile mettere a frutto la soggettività e larelazionalità delle persone, la possibilità di prendersi cura collettivamente del proprioambiente (naturale e culturale), la fiducia che si instaura attraverso le relazioni, lacapacità di elaborare risposte innovative e di imparare insieme (E. Ostrom 2010;Seyfang e Smith 2007; Snyder e Wenger 2010: 109–112). È necessario quindi allargarela partecipazione a tutti gli stakeholder, che possono contribuire allo sviluppo delprocesso di apprendimento sociale sotteso alle gestioni comunitarie (Snyder e Wenger2010: 108). Questo garantisce una maggiore diversità, essenziale per aumentare lalegittimazione delle istituzioni operanti, e per integrare nuove conoscenze ecompetenze, in particolare riconoscendo anche il sapere locale (Biggs, Schlüter, eSchoon 2015).

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Sistemi complessi e approccio antropologico

Viene segnalata l'importanza di poter contare su una molteplicità di istituzioni ecentri decisionali diversi, operanti a diverse scale e con campi d'azione e comunitàparzialmente sovrapposti per favorire una gestione flessibile ed efficace, in modo che iproblemi possano essere affrontati al livello e dalle istituzioni di volta in volta piùindicate (E. Ostrom 1999). A questo tipo di assetto ci si riferisce spesso con i termini digovernance policentrica (Simonsen et al. 2014; Aligica e Tarko 2012; E. Ostrom 2010),nested enterprises (E. Ostrom 1990), o approccio multi-scala (Millennium EcosystemAssessment 2003: cap. 5).

In tutti questi casi la cooperazione tra i soggetti interagenti è l'elemento fondamentaleper gestire l'interdipendenza (Ball 2012: 38). Il sistema attuale ha per lungo temposovra-incentivato il comportamento competitivo, specialmente al livello globale, vissutocome mercato. Tuttavia la gestione sostenibile delle problematiche contemporanee, daquelle locali alle relazioni internazionali, richiede un più elevato livello di cooperazione(Beddoe et al. 2009).

Infine viene evidenziata la necessità di sviluppare un pensiero orientato allacomplessità e in particolare ai “sistemi complessi adattativi” (John Urry 2005)2. Conquesto si intende sia il cambiamento kuhniano di paradigma scientifico (Dent 1999), siail cambiamento nel modello culturale (Simonsen et al. 2014: 11; Escobar 2003),necessari per comprendere la realtà contemporanea, profondamente interconnessa.

Anche se il pensiero dei sistemi complessi non aumenta direttamente la resilienzadi un sistema, riconoscere che i sistemi socio-ecologici sono basati su unacomplessa e imprevedibile rete di connessioni e interdipendenze è il primo passoverso interventi di gestione che possono favorire la resilienza. (Simonsen et al.2014: 11)

Non solo i molteplici soggetti coinvolti nei processi di governance policentricapresentano complicati schemi di relazione tra loro. Interagiscono anche con lecomponenti ambientali e i servizi ecosistemici, anch'essi organizzati a diverse scale e sudiversi cicli temporali. Per rappresentare e comprendere strutture di questo tipo,caratterizzate da intrecci di azioni e retroazioni, è necessario un approccio sistemicocomplesso.

La caratteristica di base di un sistema complesso adattativo è di essereconcettualizzato come una rete di componenti (agenti individuali) che interagiscono traloro nel tempo. Questo modello introduce molti concetti3, tra cui forse il più rilevante

2 Con il termine “complessità” mi riferisco alla scienza della complessità, la quale coinvolge diverse discipline e filoni di studi. Semplificando si potrebbe riassumere dicendo che si tratta di un percorso di studi iniziato negli anni Quaranta del Novecento con la cibernetica e la teoria dei sistemi, che si è poi evoluto nella teoria della complessità, integrando nel percorso le teorie dei sistemi dinamici, dell'intelligenza artificiale, delle reti, e così via. Una descrizione più dettagliata della “complessità della scienza della complessità” è fornita dalla mappa creata da Brian Castellani (Castellani e Hafferty 2009). Per una presentazione dell'evoluzione storica del pensiero sistemico-complesso si veda anche Capra e Luisi (2014).

3 Un'esaustiva tabella riassuntiva delle caratteristiche dei sistemi complessi si trova in Sterman (2012: 25); una tabella comparativa tra le caratteristiche della visione del mondo emergente (complessa) e quella tradizionale (lineare) si trova in Dent (1999: 8).

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Capitolo 1

per le scienze sociali è quello di emergenza (Lansing 2003: 192)4, con cui si indica ilfatto che le caratteristiche di livello sistemico, i “comportamenti” di un sistema, nonsono imposti dall'alto, ma emergono dall'interazione delle componenti tra loro, neltempo. La sostenibilità è appunto una di queste caratteristiche che non possono esserepossedute da singole componenti, ma che, attraverso la partecipazione di una pluralità disoggettività diverse, umane e non, possono emergere a livello sistemico. Gli esseriumani partecipano ad un complesso processo di trasformazione o sviluppo del mondo incui convergono tutte le traiettorie delle azioni degli abitanti del pianeta (Ingold 2011: 6).

Degli argomenti introdotti, il paradigma dei beni comuni, cioè la partecipazionediretta degli utilizzatori finali di risorse e servizi nei processi di governance, è diparticolare importanza. La presenza degli “utenti” è la presenza di coloro che abitano unluogo, che traggono sostentamento da un ambiente, che sperimentano quotidianamente ifeedback in quel determinato sistema, che ne condividono le sorti. L'agentività degli“abitanti” è un continuo lavoro di costruzione della propria vita (Ingold 2011:7) partecipando alla trasformazione del mondo, in cui le soluzioni individuate e lecompetenze sviluppate emergono «all'interno degli specifici contesti relazionali del lorocoinvolgimento pratico con l'ambiente circostante» (Ingold 2011: 10). La conoscenzaprodotta, secondo questa “prospettiva dell'abitare” che «unisce gli approcci ecologico efenomenologico» (Ingold 2011: 11), è una conoscenza pratica, incorporata ed engaged.

Inoltre la presenza continuativa degli abitanti nel tempo, anche attraverso piùgenerazioni, permette lo sviluppo co-evolutivo di queste conoscenze, all'interno di unsistema di apprendimento in cui le persone imparano a conoscere i vincolidell'ambiente. Recenti studi sulla diversità bio-culturale postulano infatti un “legameinestricabile” tra diversità biologica e diversità linguistico-culturale (Maffi 2007).L'adattamento reciproco tra l'uomo e l'ambiente avviene innanzitutto a livello locale.

L'importanza di far dialogare la conoscenza locale e la conoscenza scientifica è vitalenella gestione dei sistemi socio-ecologici (Crewe e Axelby 2012: 156) ed è riconosciutadai metodi di governance e management adattivi (Simonsen et al. 2014: 12). Con questonon voglio dire che la conoscenza locale o il livello di organizzazione locale siano di persé migliori o sufficienti per la gestione dei sistemi socio-ecologici. Molte sfiderichiedono la cooperazione tra scale o aree diverse, l'introduzione di conoscenze astrattee la collaborazione intersettoriale.

Ad esempio, la gestione delle foreste è influenzata più fortemente dalle azioniesterne al settore forestale, come le politiche e istituzioni commerciali, le politichemacroeconomiche e le politiche di altri settori quali agricoltura, infrastrutture,energia, e minerario, che da quelle al suo interno. (Millennium EcosystemAssessment 2005: 19–20)

Anche quando le risorse sembrano circoscrivibili localmente, come nel caso di una

4 In inglese viene utilizzato il termine emergence (caratteristica dei sistemi complessi), per distinguerloda emergency (circostanza imprevista che richiede un intervento urgente). In italiano si usa lo stesso termine – emergenza – per entrambe le accezioni.

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Sistemi complessi e approccio antropologico

foresta o di un lago da pesca, non è mai possibile adottare una gestione isolata, perché ledinamiche sociali, economiche ed ecologiche in cui le risorse sono inserite e da cuidipendono sono sempre più ampie e complesse.

La credenza (implicita in molte ricerche sulla sostenibilità e sui modelli alternativi)che «i processi decisionali localizzati siano intrinsecamente più socialmente giusti oecologicamente sostenibili», chiamata «trappola locale» (Purcell e Brown 2005), èfuorviante. Nessuna scala (locale, regionale, globale, e così via) ha in sé maggioripossibilità di produrre risultati sostenibili. Nemmeno processi decisionali universalipossono essere la soluzione, in quanto non rispettano la diversità delle configurazioniesistenti.

Decenni di ricerche dimostrano che una serie di politiche che si sovrappongono alivello cittadino, sub-nazionale, nazionale, e internazionale ha più probabilità disuccesso rispetto a singoli, onnicomprensivi accordi vincolanti. (E. Ostrom 2012)

La sostenibilità dipende quindi dalla parziale sovrapposizione di processi decisionaliorganizzati a diverse scale, in modo da creare una rete policentrica, connessa edinamica.

L'auto-organizzazione inoltre non si manifesta solo all'interno dei limiti della scalalocale, ma anche all'esterno. Nella letteratura inerente si trovano molti e diversi casi diquesto tipo di coordinazione, ad esempio tra città, tra stati, ma anche tra aziende o trasettori all'interno di grandi organizzazioni private o pubbliche. Spesso il focus deglistudi sociali è sulle città come unità d'analisi dell'interazione. Le «città sono responsabiliper il 70% delle emissioni globali di gas serra» e «in assenza di una legislazioneinternazionale per ridurre le emissioni», «un crescente numero di leader cittadini staagendo per proteggere i propri cittadini ed economie».

In tutto il mondo, stiamo assistendo ad una pluralità eterogenea di città cheinteragiscono in un modo che potrebbe avere un'influenza di vasta portata su cometutto il sistema di supporto vitale della Terra si evolve. Queste città stannoimparando le une dalle altre, incrementando lo sviluppo delle buone idee edisfacendosi di quelle più scadenti. A Los Angeles ci sono voluti decenni perimplementare controlli di inquinamento, ma altre città, come Pechino, si sonoconvertite rapidamente quando ne hanno visto i benefici. Nei prossimi decenni,potremmo assistere all'emergenza di un sistema globale di città sostenibiliinterconnesse. In caso di successo, tutti vorranno entrare nel club. (E. Ostrom2012)

La riduzione dell'inquinamento e dei consumi è un settore in cui l'auto-organizzazione ela cooperazione tra città stanno aumentando in modo sensibile. Ciò accade anche a scalapiù ampia: sebbene «gli Stati Uniti non abbiano prodotto alcun mandato federale che[…] promuova obiettivi per la riduzione delle emissioni», molti Stati hanno sviluppato ipropri piani di azione per il cambiamento climatico (E. Ostrom 2012). In Italia il casodella rete dei Comuni Virtuosi mostra simili dinamiche di comunicazione e mimesi dellebuone pratiche (e delle buone politiche) a livello degli enti locali più piccoli (Boschini

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2012).Altri esempi documentano nel dettaglio l'auto-organizzazione sociale a tre livelli:

all'interno delle città, come nel caso della coalizione intersettoriale per lo sviluppoeconomico di Chicago da cui è nata la comunità di pratica Chicago Biotech Network(Snyder e Wenger 2010: 114); tra città a livello nazionale, come nel progetto SafeCitiesper la riduzione della violenza armata negli Stati Uniti (Snyder e Wenger 2010: 116); etra città a livello internazionale, come nel caso del progetto Ayuda Urbana che hacoinvolto dieci città dell'America Centrale con l'obiettivo di affrontare le sfide comuniin modo cooperativo (Snyder e Wenger 2010: 118). Questi tre esempi vedono lapresenza in gioco di attori sociali con lo specifico compito di promuovere e coordinarel'emergere di comunità di pratiche5; cionondimeno in tutti i casi si è verificata laformazione di comunità auto-governate, di apprendimento orizzontale e dicooperazione. Ulteriori studi documentano l'importanza dell'auto-organizzazionenell'interazione tra team di settori diversi all'interno di aziende private o pubbliche. Adesempio all'inizio degli anni Novanta gli ingegneri della Chrysler hanno costituito unarete di “club tecnici” in cui, a partire dalle proprie specializzazioni in relazione a varicomponenti delle automobili, potevano condividere le conoscenze attraverso i settori incui era divisa l'azienda (Wenger, McDermott, e Snyder 2002: cap. 2).

In generale, al di là delle specificità dei singoli casi, la condizione necessaria affinchéreti di auto-organizzazione emergano e siano in grado di risolvere problemi complessi, èche gli agenti che interagiscono rispondano agli stessi segnali ambientali (Lansing 2006:85–86). In caso contrario gli agenti si trovano ad «imitare modelli lontani», a reagire asegnali diversi da quelli del proprio vicinato, e «il processo di co-adattamento siinterrompe» (Lansing 2006: 86).

L'enfasi posta da molti studiosi e studiose sulla scala locale è motivata dalla suafatale negligenza da parte delle istituzioni internazionali nei programmi di “sviluppo” e“modernizzazione”. Fra gli esempi più illustrativi si possono citare gli effetti negatividella “Rivoluzione Verde”. Oltre che da motivazioni di speculazione politica edeconomica da parte di specifiche agenzie ed imprese, gli effetti negativi, a voltedisastrosi per ecosistemi e società, sono stati prodotti dalla credenza che i segnali localipotessero essere trascurati. Le soluzioni tecnologiche imposte (un'agricoltura intensiva,industrializzata, chimica e monetizzata), sono state sviluppate in e per specifici contestisocio-ecologici per poi venire applicate in aree del mondo molto diverse, senza tenernein considerazione le specificità ecologiche e sociali (Shiva 1991). Inoltre le soluzionitecniche elaborate (ad esempio le cosiddette varietà di sementi “ad elevato rendimento”)erano il frutto di una conoscenza riduzionista che trascurava alcune funzioni e utilizzidelle colture, come il foraggio per gli animali e la fertilizzazione organica dei terreni.Ne è risultata la diminuzione di biomassa disponibile per gli ecosistemi. In generalequesta conoscenza trascurava molti dei cicli naturali e sociali su cui andava ad

5 Approfondisco il concetto di comunità di pratica a p. 34.

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intervenire, relegando ogni retroazione indesiderata nella categoria esogena – e quindideresponsabilizzante – di “effetti collaterali”6.

Le varietà introdotte servivano specificamente per la loro capacità di assorbire inutrienti dei fertilizzanti chimici prodotti industrialmente. In questo modo è statopossibile creare un mercato mondiale per i fertilizzanti, ma il loro utilizzo massivo haridotto la capacità produttiva degli ecosistemi e prodotto molti altri effetti negativi:aumento nel consumo di acqua per l'irrigazione, diminuzione della biodiversità,inquinamento chimico dei terreni e delle falde, sviluppo di varietà di parassiti semprepiù resistenti, indebitamento dei contadini, perdita di autonomia e aumento delladipendenza dalle aziende fornitrici, volatilità dei prezzi degli alimenti, e così via (Shiva1991: 58). Seguendo questo modello di “esportazione” del cambiamento, anchesoluzioni che nel contesto d'origine possono essere adattative, altrove si trasformano inforze esogene distruttive. La storia recente, come nel caso indicato, ci fornisce esempi o“esperimenti real-world” che dimostrano come la sostenibilità venga messa in gravepericolo dall'imposizione di conoscenze, tecnologie, assetti istituzionali e pratiche calatedall'alto, nella convinzione che il livello locale possa essere plasmato a piacere. Invece«[l]a conoscenza utile non si applica con lo stampino. Le condizioni locali richiedonocapacità di adattamento e applicazione intelligente» (Snyder e Wenger 2010: 121).

Per co-evolvere con l'ambiente sono quindi necessarie due caratteristiche: 1) ilsistema sociale deve essere in grado di ascoltare i segnali ambientali locali; 2) gli agentidel sistema devono poter comunicare tra loro per coordinarsi e cooperare “localmente”(cioè tra soggetti “vicini” in senso strutturale, che rispondono agli stessi segnaliambientali). In questo modo possono emergere nel tempo reti di governance in grado diadottare soluzioni adattative alle sfide della sostenibilità. Infatti, le «reti complesse sonoin grado di risolvere problemi» (Lansing 2006: 191) che non sono alla portatadell'azione individuale degli agenti. Inoltre, con il procedere dell'interazione in unsistema così concepito, il coordinamento delle reti progredisce dal livello locale ailivelli superiori (Lansing 2006: 192), formando “reti di reti” in modo frattale (Snyder eWenger 2010: 120). Si delinea così un'immagine di un sistema globale in cui molteplicireti di governance (policentriche e parzialmente sovrapposte7) emergono bottom-updall'interazione degli agenti coinvolti, senza la necessità di controllo centralizzatodall'alto (Lansing 2006: 192), in modo da valorizzare la diversità bio-culturale delpianeta.

Su questo modello delle reti di governance emergenti stanno convergendo molti ediversi filoni della ricerca interdisciplinare contemporanea: beni comuni, diversità bio-

6 Sterman afferma che «[…] non esistono effetti collaterali – solo effetti. Quelli che ci aspettavamo o che si sono rivelati utili li chiamiamo effetti principali e ne rivendichiamo il merito. Quelli che minano le nostre politiche e causano danni, affermiamo che sono effetti collaterali, sperando di giustificare il fallimento del nostro intervento. Gli “effetti collaterali” non sono una caratteristica della realtà, ma un segno che i confini dei nostri modelli mentali sono troppo stretti, i nostri orizzonti temporali troppo brevi» (2012: 24).

7 Per una trattazione approfondita del concetto di “confini” e del ruolo svolto dalla sovrapposizione tra diverse reti o comunità nei sistemi di apprendimento comunitari si veda Wenger (2010b).

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culturale, sostenibilità e sistemi complessi adattativi. Allo stesso tempo questo modellocondivide molti aspetti con i modelli sociali creati in altre importanti tradizioni di studisulla governance. Ne cito alcune.

Innanzitutto è «vicino in spirito all'anarchismo e all'anarco-socialismo politico efilosofico» (Escobar 2003: 353), con cui condivide i principi di base, «autonomia,associazione volontaria, auto-organizzazione, mutuo aiuto, democrazia diretta»(Graeber 2004: 3); l'idea che l'ordine sociale non debba essere imposto da un'autoritàesterna (White e Kossoff 2007) e il rifiuto dell'utilizzo di «forme di violenza strutturale,ineguaglianza e dominio» (Graeber 2004: 3) come strumenti per promuovere l'ordinesociale. La principale differenza con la tradizione anarchica è che nel modello dellagovernance di rete non c'è un rifiuto a priori dello Stato come forma di organizzazione.Nella letteratura sui beni comuni uno dei principi di base della buona gestione dellerisorse comuni è che il diritto dei membri delle comunità ad elaborare le proprie regoledi gestione sia rispettato dalle autorità esterne (E. Ostrom 1990: 101). Ma non si fa mairiferimento ad un rifiuto tout court della forma di governance statale (Carlsson eSandström 2008: 34). Anche se i casi concreti vedono spesso le istituzioni autonomecontrapporsi alle istituzioni esterne.

Si riscontra poi una vicinanza con il modello democratico, specialmente inriferimento alla tradizione partecipativa che si rifà ai principi della sovranità popolare,della sussidiarietà, della partecipazione dei cittadini (V. Ostrom 2008; V. Ostrom 1991),dell'autonomia individuale e collettiva (Castoriadis 2010). Si osserva inoltre lavicinanza con il modello della conoscenza e della cultura come rizoma, sviluppato infilosofia (Deleuze e Guattari 1987), con principi come «connessione ed eterogeneità» e«molteplicità» (Deleuze e Guattari 1987: 7,8). Anche il concetto di “assemblaggio”come nuova unità di analisi per le ricerche sociali, particolarmente sviluppato nellateoria sociale di Manuel De Landa (2006), e fortemente influenzato dalla teoria deisistemi complessi, produce un modello emergente in sintonia con quello in discussione.

Infine si osserva come, sebbene il principio di auto-organizzazione sia anche allabase del modello teorico (non dell'implementazione neoliberista) del “libero mercato” edella “mano invisibile”, il modello della governance di rete si distingua da questo inmodo radicale. Alcune differenze fondamentali sono che il modello del libero mercato«non richiede alcun investimento nei beni pubblici ad eccezione dell'istituzione minimadel mercato stesso» (Lansing 2006: 194), al contrario la sostenibilità impone un regimedi rigenerazione continua di capitale naturale e sociale al di là degli interessi economici;l'auto-organizzazione del mercato avverrebbe soltanto su base di segnali interni(domanda ed offerta), senza tenere in considerazione l'ambiente (capitale naturale ecosti ambientali); il comportamento desiderato per gli attori economici, orientatiall'interesse personale e al calcolo a breve termine, sarebbe fatale per la gestionesostenibile.

I diversi aspetti del modello delle reti di governance elencati fin'ora – paradigma dei

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beni comuni, auto-organizzazione, partecipazione, cooperazione, governancepolicentrica e pensiero dei sistemi complessi – anche se come varianti minoritarierispetto al modello attualmente dominante (Beddoe et al. 2009), sono elementi presentinella nostra cultura.

La buona notizia è che lo sviluppo evolutivo dei processi decisionali [evolutionarypolicymaking] sta già accadendo organicamente. […] Ciò non sorprende affatto –anzi, dovrebbe essere incoraggiato. (E. Ostrom 2012)

Questi elementi stanno già emergendo, in forma organica e senza la presenza di uncoordinamento centralizzato. Il percorso verso la sostenibilità non richiede quindi dicreare un modello di organizzazione sociale ex novo (di “trovare un'alternativa”), ma dibilanciare il peso, rinforzandolo, di questi ed altri elementi alternativi. Ovvero dimettere a frutto la diversità culturale già presente nel sistema. Vedere la società comeuna diversità di reti emergenti e interconnesse non significa rinunciare allaresponsabilità e alla possibilità di gestione e progettazione (Snyder e Wenger 2010:107). La sfida della sostenibilità ci richiede di saper riconoscere le reti di governanceadattative laddove esse sono già all'opera o stanno nascendo, di sostenerle e di favorirnelo sviluppo, e di crearne di nuove ove sia possibile e necessario.

Contributo dell'antropologia nel riconoscere le reti di governance

Il modello delle reti di governance è astratto e non stabilisce a priori la forma delleistituzioni e degli schemi organizzativi che favoriscono la sostenibilità, i quali varianoin base al contesto (Hahn 2011). È solamente sul campo che si può osservare, adesempio, quali istituzioni e quali attori intervengono su una determinata problematica.Non ci sono ricette prestabilite su quali siano i temi di competenza di un livello e qualidi un altro. In specifiche circostanze un governo cittadino può elaborare una soluzionemigliore rispetto a quello regionale, o viceversa, oppure ancora ci possono essere attorilocali maggiormente in grado di gestire il problema. Inoltre, risulta difficile stabilire apriori una netta separazione tra settori come politica, religione, economia, medicina,gestione dell'ambiente, e così via. Spesso soltanto una prolungata presenza sul territoriopermette di riconoscere le complesse reti di relazioni tra componenti culturali,tecnologiche e naturali in gioco nel contesto specifico.

L'antropologia contemporanea ha sviluppato il metodo del fieldwork che la rendeparticolarmente adatta a questo scopo. Certo non è l'unica disciplina ad effettuarericerche empiriche sul campo, ma ritengo rilevante sottolinearne l'importanza perl'obiettivo di riconoscere le reti di governance. In primo luogo l'antropologia sidistingue perché si fonda sul fieldwork come metodo principale (Gupta e Ferguson1997a: 1; James Urry 1984: 35). La pratica del campo è parte integrante dellaformazione di antropologi e antropologhe in tutto il mondo per i quali il campo non èquasi mai opzionale. Per le ricerche di dottorato «è un rito di passaggio quasi

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obbligatorio» (Rivoal e Salazar 2013: 181). Oltre ad essere costantemente praticato, illavoro sul campo è anche uno dei principali oggetti della riflessione metodologicainterna alla disciplina (James Urry 1984; Robben e Sluka 2012). Ciò ha portato allosviluppo di un'estesa letteratura sulle difficoltà e i punti di forza del fieldwork a livellopratico/operativo, teorico/epistemologico e personale/esistenziale, da cui emerge unimmaginario della ricerca sul campo come un mestiere artigianale, «una faccenda diapprendimento pratico» (Olivier de Sardan 2009 [1995]: 28), che può essere affinato inbase alle tecniche e all'esperienza, ma mai completamente racchiuso in una procedurastandard. L'elaborazione delle nozioni di serendipità ed improvvisazione mettonoparticolarmente in luce questo punto (Hannerz 2006). Da un lato viene lasciato spazio –e soprattutto tempo – al caso, al manifestarsi di eventi e condizioni non pianificate atavolino; ma dall'altro viene data molta importanza al training necessario per svilupparela capacità di cogliere le opportunità offerte dal campo e le connessioni tra situazioni edeventi in modo che le coincidenze possano divenire significative e generare intuizioniproduttive (Rivoal e Salazar 2013: 181).

L'antropologia si distingue quindi per un profondo interesse verso le personeincontrate sul campo (Gupta e Ferguson 1997a: 36), per i loro modi di fare, pensare evivere. È nel seguire e poi nel cercare di comprendere le pratiche sperimentate sulcampo, e le relazioni sociali che le sostengono, che si svolge il mestieredell'antropologo. Questo fa sì che gli incontri etnografici siano alla base delle ricerche,non solo come momenti per la produzione dei dati da analizzare, ma anche comemomenti in cui le persone incontrate – gli “altri” – entrano nel processo diinterpretazione e di costruzione della conoscenza scientifica. Le persone e le situazioniincontrate hanno anche un peso nell'orientare le ricerche stesse, e gli antropologi sitrovano spesso ad approfondire tematiche diverse da quelle che avevano programmatoprima di partire. Il campo ha un ruolo di primaria importanza nel determinare il designdella ricerca (Rivoal e Salazar 2013: 180).

Questa apertura verso l'altro è inoltre vista in chiave comparativa con il contesto diprovenienza del ricercatore o ricercatrice i quali, studiando forme culturali “altre”,ottengono l'effetto di mettere in luce ed aumentare la consapevolezza del caratterestorico e costruito di tutte le istituzioni culturali, anche di quelle presenti nei contesti dipartenza (Remotti 1990). Gli antropologi cercano quindi di dare conto dei modellialternativi trovati sul campo al pubblico “domestico”, sia accademico che generico,attraverso un'operazione di interpretazione e di traduzione, cioè usando categorie esignificati in uso nel proprio contesto scientifico e culturale per interpretare i modi incui le persone sul campo danno significato alle proprie pratiche (Geertz 1998 [1973]). Inquesto modo mettono in relazione il punto di vista esterno (-etico) con quello interno (-emico) sulla realtà socio-culturale studiata (Pike 1954), producendo un sapere originale,ibrido, che nasce al confine tra diversi sistemi di significato (Fabietti 1999).

Oltre a ciò gli antropologi sono sempre impegnati in attività di restituzione, con le

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quali cercano di entrare in un rapporto di reciprocità con gli interlocutori sul campo(Paini 2002: 138). Una delle pratiche di restituzione più diretta è quella di rendere irisultati delle ricerche disponibili anche per le persone che ne sono state al centro e chehanno collaborato alla produzione di quel sapere. Il dialogo cercato dall'antropologodurante la ricerca sul campo ed instaurato sulla base dell'ascolto, dell'empatia e dielementi di fiducia reciproca con gli interlocutori, favorisce la condivisione el'esplicitazione delle categorie specifiche alla base dei saperi locali, che agiscono inlarga misura in forma pratica e tacita. Lo scioglimento delle conoscenze incorporate e latraduzione antropologica (Fabietti, Malighetti, e Matera 2000: 76–77) sono strumenti dinotevole aiuto per favorire la comunicazione e la partecipazione delle comunità locali aiprocessi decisionali del mondo globalizzato ed interconnesso. Ciò è particolarmentevisibile nei contesti in cui la ricerca viene condotta con approccio collaborativo, in cuile comunità e i membri delle popolazioni studiate partecipano attivamente al processo diricerca nel ruolo di collaboratori e partner (Lamphere 2004).

Poiché «l'antropologia ha da lungo, e giustamente, insistito sul fatto che la strada perla comprensione risiede nella partecipazione concreta» (Ingold 2011: 20), è unadisciplina particolarmente adatta a comprendere i meccanismi della conoscenza praticaed engaged. Gli etnografi si specializzano quindi nel seguire i movimenti di persone eoggetti, lo svolgimento di azioni ed eventi e l'articolazione di metafore e concettiattraverso i complessi intrecci che formano il reale tessuto sociale di una pratica o di undeterminato fenomeno (Marcus 1995; Olivier de Sardan 2009 [1995]). Ai finidell'argomento che sto sviluppando ciò è particolarmente importante in quantol'antropologia risponde alla necessità scientifica di osservare le soluzioni ai problemidella contemporaneità radicate nei contesti in cui vengono elaborate. Gli etnografi –specialmente in anni recenti in cui sono «più interessati alla 'sfida del contemporaneo'»– cercano di comprendere come le persone riescono a «(re)inventare formesocioculturali che si adattano al contesto (globale) in rapido cambiamento in cuivivono» (Rivoal e Salazar 2013: 179).

Inoltre la capacità dell'antropologia di mettere in prospettiva le pratiche e i sistemi dipensiero, evidenziando la configurazione istituzionale su cui si reggono, permette diaccogliere lo “sguardo dell'altro” per de-familiarizzare e rendere espliciti i modelliculturali della società occidentale moderna – all'interno della quale la disciplina si èformata – e persino le categorie cognitive implicite nell'antropologia stessa. Molte altrediscipline scientifiche nate in seno alla stessa tradizione culturale stentano a sviluppareuna capacità auto-riflessiva e ad assumere un ruolo critico nei confronti della societàcontemporanea e del proprio punto di vista (Gupta e Ferguson 1997a: 35–36).L'antropologia quindi presta molta attenzione alla restituzione della complessità dellerelazioni tra gli aspetti spirituali, economici, politici, ambientali, e così via, che nellacultura e nella scienza occidentale sono considerati spesso come separati8. Così come

8 Gregory Bateson (1972: 64) riconduce la tendenza a considerare separatamente gli ambiti religioso, economico, e così via alla fallacia della concretezza mal posta (fallacy of misplaced concreteness),

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Capitolo 1

pone attenzione alla “posizione” sociale e politica da cui vengono prodotti i diversisaperi in gioco in un contesto o situazione, tra i quali anche il sapere antropologico(Gupta e Ferguson 1997a: 37)9.

Tutti questi elementi caratterizzano la prospettiva e il contributo dell'antropologianella comprensione delle problematiche contemporanee e nel riconoscere, documentaree tradurre i modelli alternativi in opera al di fuori degli specifici contesti in cui sonoattivi, favorendo così la partecipazione delle diverse comunità ai processi decisionalicontemporanei. Ciò nonostante le tecniche classiche della ricerca di campo possonoessere insufficienti, proprio a causa del fenomeno dell'emergenza e delle altrecaratteristiche dei sistemi complessi. Poiché la relazione tra le azioni degli singoli agentie il risultato collettivo emergente non è lineare, il comportamento di un sistemacomplesso non è deducibile a partire dall'osservazione delle singole parti. Diventanecessario poter osservare anche il livello sistemico, il quadro generale, oppure servonoosservazioni su tempi molto lunghi o scale molto grandi. La ricerca di campo,specialmente in solitaria, è vincolata alla presenza del ricercatore e ad osservazionilimitate nel tempo e nello spazio. È quindi necessario integrare con altri metodi.

Il caso dello scontro tra il sistema tradizionale di risicoltura e la Rivoluzione Verdenell'isola di Bali, studiato dall'équipe10 coordinata dall'antropologo Stephen J. Lansing(Lansing 2006; 2007 [1991]), è un esempio particolarmente efficace per illustrarequesto argomento, mettendo in luce l'importanza e i limiti del metodo etnografico, oltread essere una «miniera d'oro pedagogica» nell'emergente campo della scienza dellasostenibilità (Clark in Lansing 2007: XV).

Reti di governance complesse nel contesto di Bali

I contadini balinesi si riuniscono in associazioni auto-governate a livello localechiamate subak. Ogni subak aggrega i contadini che dipendono dallo stesso corsod'acqua. All'interno di un subak i contadini collaborano alla gestione delle attivitàagricole, attraverso assemblee democratiche11 ed elaborati rituali organizzatiprincipalmente presso una particolare categoria di templi chiamati “templi dell'acqua”.L'utilizzo cooperativo dell'acqua per l'irrigazione è una questione centrale in molte delleprincipali pratiche dei subak. I contadini si accordano sul calendario della semina in

concetto elaborato da Alfred N. Whitehead (1926: 64) per indicare l'errore di reificazione compiuto quando si considerano come concrete delle astrazioni concettuali, o si fraintende il modello per la realtà.

9 Approfondisco il concetto di posizionamento e di riflessività a p. 36.10 Il lavoro di ricerca sulla rete dei subak esposto da Lansing è frutto di un elevato numero di

collaborazioni scientifiche, sia da parte di studiosi balinesi che stranieri. I principali collaboratori sul campo, con i quali Lansing ha formato quella che definisce «core team», sono Wayan Alit Arthawiguna (ricercatore presso il centro ricerche del Ministro dell'Agricoltura a Bali) e Sang Putu Kaler Surata (biologo presso il Mahasaraswati College di Tabanan, Bali). Per l'elenco completo dei partecipanti alle ricerche si veda Lansing (2006: X).

11 L'équipe di ricercatori ha documentato diversi “livelli” di democraticità nei subak, evidenziando una tensione tra governance democratica e leadership autoritaria, in relazione a vari episodi (Lansing 2006: 108).

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modo da sincronizzare i momenti del raccolto, dell'inondazione dei campi e delmaggese. Questa sincronizzazione è una delle tecniche tradizionali di controllo deiparassiti: se un'area abbastanza grande viene allagata, i parassiti vengono privati del lorohabitat e del cibo, e decimati; d'altro canto, non è possibile allagare tutti i campicontemporaneamente, perché si causerebbero ammanchi d'acqua per i subak più a valle.I contadini quindi si riuniscono nei templi dell'acqua, dove mettono in atto continuiprocessi di negoziazione per accordarsi sugli schemi di sincronizzazione.

Le relazioni di coordinamento avvengono (tramite delegati di ogni associazione)anche tra subak vicini e, seguendo la geografia dei bacini idrografici dei fiumi, a livelligerarchicamente superiori, fino a costituire un'unica rete complessa di coordinamentoestesa a tutta l'isola. Questo processo avviene tramite offerte rituali da parte dei delegatipresso i templi dei subak più a monte. La rete così formata non è governata dall'alto enon si è formata storicamente come pianificazione da parte dei regni balinesi o di altreistituzioni12. Cionondimeno riesce a elaborare schemi di sincronizzazione in manieradinamica e adattativa, fornendo acqua sufficiente a tutti i contadini, in manieraegualitaria, e consentendo anche il controllo dei parassiti. Il risultato sono abbondantiraccolti per tutti.

Evidenze archeologiche indicano che il sistema dei subak risale almeno all'XI secolo(Lansing 2006: 47). Quando il governo indonesiano all'inizio degli anni Settanta delNovecento ha introdotto la Rivoluzione Verde, pur con la buona intenzione diaumentare la produzione di riso, non ha riconosciuto il ruolo funzionale dei rituali e deitempli dell'acqua nell'ecologia dell'isola, giudicandoli istituzioni esclusivamente“religiose” e arcaiche, superstizioni che impedivano il cammino del “progresso”(Lansing 2007: 112). Ha così soppiantato il complesso calendario rituale di seminasincronizzata con un “più efficiente” ordine per ogni contadino di seminare non appenail terreno lo rendesse possibile le varietà “ad elevato rendimento” e di utilizzare ipesticidi per controllare i parassiti. Nel giro di pochi anni gli effetti sono divenutievidenti: devastanti epidemie di parassiti e interruzioni del flusso d'acqua che hannoprodotto la perdita di interi raccolti.

La rete dei templi dell'acqua si è auto-organizzata nel tempo come fenomenoemergente dall'interazione locale dei contadini promossa dall'esigenza di risolvere iproblemi di sincronizzazione e di gestione, attraverso la costruzione di terrazzamenti,canali, dighe e altre opere irrigue. Proprio per questo suo carattere emergente, il ruoloecologico di controllo dell'irrigazione giocato dalla rete era rimasto invisibile fino almomento in cui la Rivoluzione Verde lo ha rimosso, facendone percepire l'assenza. Ilruolo dei templi «non era riportato nei molti studi sull'agricoltura balinese realizzati dairicercatori coloniali olandesi nei primi anni del XX secolo» (Lansing 2007: xxi). Né laletteratura antropologica segnalava l'esistenza di una classe specifica di templidell'acqua, rispetto agli altri templi balinesi (Lansing 2007: 3). Quando Lansing iniziò il

12 Per un riferimento più dettagliato al dibattito in corso sulla questione storica della formazione della rete dei subak si veda p. 345.

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lavoro sul campo, nemmeno il Dipartimento dei Lavori Pubblici balinese era al correntedell'esistenza di una rete di coordinazione tra i templi dell'acqua. D'altro canto ilDipartimento, un'istituzione storicamente discendente dalla burocrazia olandese, non eraveramente in controllo dell'irrigazione, ma solo di alcuni suoi aspetti tecnici come laraccolta di tasse e l'ammodernamento di alcune infrastrutture (Lansing 2007: 5).

Nei primi anni Ottanta gli ingegneri dei Lavori Pubblici, «colti di sorpresa» dai dannidella Rivoluzione Verde, avevano quindi iniziato a studiare più a fondo l'argomento edavevano scoperto che «i templi esercitavano una sorta di controllo gerarchicosull'irrigazione»; tuttavia anche dopo le prime ricerche commissionate alla UdayanaUniversity di Bali, «la natura di questo controllo si è dimostrata molto difficile dadeterminare» (Lansing 2007: 5). Soltanto i contadini e i sacerdoti dei templi dell'acquaconoscevano l'importanza reale della propria religione per la gestione dell'agricoltura ela loro preoccupazione era aumentata nel momento in cui, forzati ad abbandonare letecniche tradizionali, la calendarizzazione dei rituali aveva smesso di corrispondere aquella delle attività agricole. Sono stati infatti i contadini “interlocutori” di Lansing asegnalargli la presenza di queste problematiche e a ri-orientare su di esse la sua ricercadi campo (ecco un esempio del ruolo di co-design della ricerca da parte degliinterlocutori). Gli stessi hanno anche informato i gruppi di ricerca del Dipartimento deiLavori Pubblici. Ma il sapere locale dei subak continuava ad essere incomprensibile edintraducibile per il linguaggio e la cultura dei pianificatori (Lansing 2007: 115).

Lansing ha studiato in modo approfondito i rituali e le istituzioni associateall'agricoltura e ha compreso i meccanismi sociali di base attraverso cui i subakgestivano cooperativamente le attività produttive. Allo stesso tempo però è moltoesplicito nell'affermare che la comprensione del comportamento e quindi del ruolo dellarete di coordinazione tra subak (nonché della sua evoluzione storica) è stata possibilegrazie all'affiancamento dell'approccio dei sistemi complessi alla ricerca etnografica.

Si potrebbero facilmente vedere le pratiche agricole balinesi o i templi dell'acquacome particolarmente ricchi esempi di metis13; come tesori della tradizioneaccumulata. In effetti, ci si potrebbe aspettare che ogni comunità abbia un propriomagazzino locale di metis. Questo è esattamente quello che mi aspettavo di trovarequando ho iniziato la mia ricerca sui tempi dell'acqua, e se non fosse per la miacollaborazione con il Dr. Kremer [ecologo sistemico], probabilmente è tutto ciò dicui mi sarei accorto. […V]orrei sottolineare quanto possa essere facile, anche perun antropologo, non riuscire a riconoscere i tipi di interazioni multi-scala, che gliecologi si sono addestrati a vedere. Priests and programmers [Lansing 2007]descrive come i miei colleghi ed io siamo venuti gradualmente a riconoscere itempli dell'acqua come più che depositi di metis. Ma […] la nostra capacità divedere, di riconoscere schemi emergenti nelle reti dei templi dell'acqua, harichiesto un processo di apprendimento. Le reti dei templi sono diventate visibili inparte come risultato della Rivoluzione Verde, che ne ha svelato il ruolo ecologico, ein parte attraverso la nostra crescente familiarità con le proprietà dei sistemi

13 Metis è un termine greco che Lansing riprende dall'antropologo James Scott (1998), il quale lo utilizza in riferimento alla conoscenza e alle pratiche locali, ingegnose e adattate alle caratteristiche del territorio.

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complessi adattativi […]. (Lansing 2007: xxix)

La collaborazione tra antropologia ed ecologia sistemica ha permesso di integrare lostudio olistico delle singole interazioni sociali con uno sguardo d'insieme sugli effettiecologici di tali interazioni a livello regionale. Partendo dall'osservazione di LudwigVon Bertalanffy, uno dei fondatori della teoria dei sistemi, secondo cui «una dellefunzioni delle scienze è quella di estendere l'osservabile» (Von Bertalanffy 2004: 364[1967]), si può notare come nella ricerca balinese sia stata la combinazione dei dueapprocci (sistemico ed etnografico) a sviluppare negli studiosi la «capacità di vedere» lereti di coordinamento dei templi dell'acqua.

Una delle parti più innovative del lavoro di Lansing e Kremer consiste nell'avercostruito un modello digitale (un modello-ad-agenti) del sistema di subak, in modo dasimulare il comportamento della rete emergente nel tempo dalle interazioni degli agentinell'ambiente (Lansing e Kremer 1993). A partire dalle osservazioni sul campo, adesempio dalle «decisioni sugli schemi di semina» che venivano prese nei templi«cercando un compromesso tra due vincoli [della] condivisione dell'acqua e [del]controllo dei parassiti» (Lansing 2007: 118), e introducendo dati ecologici(precipitazioni, dati sulle epidemie, e così via), i ricercatori hanno costruito un modellosemplificato del sistema socio-ecologico dell'area compresa tra i bacini idrografici didue fiumi, per un totale di 172 subak (Lansing 2007: 153). Hanno simulato sia loscenario della sincronizzazione tradizionale, sia lo scenario di non cooperazioneprovocato dalla Rivoluzione Verde, verificando – nel modello – la capacità gestionale ele ottime performance del primo scenario e l'insostenibilità e i danni provocati dalsecondo.

La possibilità di fare esperimenti con diverse combinazioni di fattori ed osservare irisultati dei diversi sviluppi temporali del sistema nella simulazione ha costituito unaimportante fonte di intuizione per i ricercatori.

La capacità delle reti dei templi dell'acqua di risolvere problemi alla scala globale[…] poteva emergere da decisioni prese a scala locale. Il successo delle reti deitempli sarebbe dipeso dalla loro abilità di raccogliere e rispondere all'informazioneproveniente dagli ambienti locali. Ma, in modo più critico, sarebbe dipeso dallacooperazione. I contadini avrebbero dovuto avere la volontà di cooperare congruppi di diversa dimensione nel condividere la loro risorsa più preziosa, l'acqua.Ma, se fossero riusciti a sostenere tale cooperazione, la simulazione mostrava chequalcosa di piuttosto magico poteva accadere. (Lansing 2006: 16)

Il modello mostrava come lo scambio di informazioni tra subak vicini sull'andamentodel raccolto permettesse nel tempo l'emergere di schemi di sincronizzazione a livelli piùampi, in modo adattativo. Il fieldwork ha permesso di verificare l'accuratezza delmodello. Le dinamiche di base (cooperazione diffusa su diverse scale e condivisionedell'informazione a livello locale), espresse in forma semplificata nel modello, eranoeffettivamente in gioco nella situazione reale più complessa. Inoltre gli schemi dicoordinazione elaborati dal computer corrispondevano in modo molto stretto a quelli

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Capitolo 1

reali (Lansing 2006: 79).Lansing non è l'unico autore a segnalare l'importanza di combinare la ricerca di

campo con altri metodi per riconoscere la complessità in azione. I modelli formali – inparticolare i modelli-ad-agenti e più raramente l'analisi delle reti sociali (Carlsson eSandström 2008) – vengono spesso usati nella letteratura riguardante i beni comuni el'azione collettiva, insieme alla conduzione di esperimenti in laboratorio e sul campo,alla meta-analisi di casi studio e alla ricerca di campo collaborativa e d'équipe (Poteete,Janssen, e Ostrom 2010). Altri tipi di modelli formali spesso utilizzati nella scienzadella sostenibilità sono i modelli della dinamica dei sistemi (system dynamics) con lecaratteristiche rappresentazioni di cicli di azioni e retroazioni multiple (Sterman 2001;2012). A ciò si aggiunge l'uso frequente nelle ricerche antropologiche dell'analisi storicabasata sulle fonti d'archivio, al fine di comprendere i processi culturali nel loro sviluppotemporale. Questi ed altri metodi e strumenti possono essere di grande aiuto perriconoscere patterns di organizzazione operanti su scale spaziali e temporali troppoampie per essere percepite in modo diretto, che indichino la presenza delle reticomplesse di cui noi esseri umani siamo parte14. Inoltre tali strumenti sono essenzialiper innescare le azioni e gli interventi che permettano una gestione sostenibile delleattività umane.

Promuovere la sostenibilità nel contesto di Bali

L'équipe di ricerca aveva compreso i meccanismi di una rete di governance adattativache era stata scardinata dalle nuove politiche agricole della modernizzazione.L'obiettivo per la sostenibilità in questo caso era quindi la restaurazione della rete.Molteplici relazioni scritte sono state presentate ai pianificatori della AsianDevelopement Bank (l'agenzia di sviluppo che aveva promosso il “Bali IrrigationProject”, responsabile della maggior parte degli interventi), sia da parte degli agronomidella Facoltà di Agraria della Udayana University che svolgeva le indagini sucommissione del Dipartimento dei Lavori Pubblici, sia da Lansing stesso. Questiresoconti evidenziavano gli «effetti negativi sperimentati in conseguenza della politicadella continua e scoordinata semina del riso» e «le connessioni tra la gerarchia deitempli dei subak e gli schemi di semina» (Lansing 2007: 116).

Azioni come queste, in cui i ricercatori si preoccupano in prima persona dellaricezione e dell'utilizzo dei risultati delle proprie ricerche, vengono spesso inquadratenel settore dell'advocacy ed aprono ad una serie di problematiche teoriche,metodologiche ed etiche relative all'applicazione della ricerca scientifica,

14 Lansing e Kremer segnalano un altro caso dove l'auto-organizzazione degli individui forma una rete complessa con le stesse dinamiche di quella dei subak (cioè la sincronizzazione della semina). In questo caso l'auto-organizzazione avviene tra piante dipterocarpacee nella foresta del Borneo e la sincronizzazione del rilascio dei semi ha una funzione adattativa per aumentare le chances di riproduzione (Lansing 2007: xxii). I ricercatori sostengono che ovunque si presentano dinamiche di rapporto tra comunità umane e ambiente naturale, dove l'apprendimento sociale è stimolato da costanti feedback delle azioni produttive, si potrebbero trovare altri casi di auto-organizzazione e cooperazione su larga scala.

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all'engagement dei ricercatori e alle diverse forme che l'engagement può assumere. Laletteratura antropologica è molto attenta a questo tema (Low e Merry 2010). Nel casodelle analisi di Lansing e colleghi è importante comprendere lo specifico contesto in cuii ricercatori stavano lavorando.

L'interesse a trovare una soluzione al dirompere delle epidemie di parassiti e degliammanchi d'acqua che distruggevano i raccolti era condiviso da tutti gli stakeholder:contadini e sacerdoti, da un lato, e promotori della Rivoluzione Verde, tra cui istituzionistatali indonesiane, agenzie di sviluppo, aziende e banche (indonesiane e straniere) escienziati dell'“International Rice Research Institute” delle Filippine, dall'altro. Lansingsottolinea ripetutamente le buone intenzioni dei pianificatori. Le relazioni dei ricercatorierano quindi scritte nell'interesse dei pianificatori così come dei contadini. Con questonon intendo negare il valore politico di questi resoconti, né il fatto che i rapporti tra ledue parti fossero talvolta conflittuali. Lansing accenna in diversi momenti al fatto che laRivoluzione Verde fosse stata imposta dai funzionari burocratici attraverso la minacciadella forza legalizzata, cioè proibendo ai contadini l'utilizzo delle sementi tradizionali epunendo le trasgressioni (Lansing 2007: 113).

Nonostante l'interesse condiviso, le parti non riuscivano a dialogare.

Ma per i consulenti stranieri del progetto di irrigazione di Bali la proposta direstituire il controllo dell'irrigazione ai templi dell'acqua veniva interpretata comeconservatorismo religioso e resistenza al cambiamento. La risposta ai parassitierano i pesticidi, non le preghiere dei sacerdoti. (Lansing 2007: 115)

Il problema di fondo era una incapacità di comunicazione fra i due gruppi sociali, i qualiproponevano due soluzioni opposte: tornare al sistema tradizionale o continuare nellaestenuante lotta chimica contro i parassiti dove ad ogni nuova epidemia venivasviluppata ed imposta una nuova varietà di riso immune, che immancabilmente siscopriva vulnerabile ad un nuovo parassita, in un ciclo senza fine (Lansing 2007, 115).Per quanto i resoconti dei ricercatori sostenessero e comprovassero la proposta deicontadini, non riuscivano a superare il problema di incomprensione, mantenendo lasituazione conflittuale di opposizione.

In diverse relazioni scritte, ho cercato di dimostrare che i rituali dei templidell'acqua non erano un modello per un obsoleto sistema di coltivazione, ma unsistema di gestione ecologica, con profonde radici storiche nella cultura balinese.L'agricoltura era un processo sia sociale che tecnico, dipendente dalla “solidarietàidraulica” raggiunta dal sistema dei templi. La raccolta continua del risominacciava sia l'ecologia dei terrazzamenti, sia le infrastrutture sociali diproduzione. Ma questi argomenti non sono riusciti a fare molta impressione suifunzionari della banca. (Lansing 2007, 116)

Il linguaggio di queste relazioni non era in grado di tradurre l'elemento chiave – lacapacità gestionale ed il valore economico dei templi dell'acqua – in modo da farebreccia nel modello mentale lineare dei pianificatori, per il quale continuava a rimanere«invisibile».

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Capitolo 1

Il dialogo con i pianificatori è continuato ed infine è confluito «in un processo diapprendimento collettivo che ha aiutato il sistema a recuperare parte della precedenteresilienza» (Clark in Lansing 2007: xv), ma la svolta è arrivata soltanto attraverso larappresentazione visuale della simulazione computerizzata. Quella rappresentazione haletteralmente “aperto gli occhi” dei pianificatori i quali nel 1988 hanno ufficialmentericonosciuto che il loro intervento, anziché portatore di progresso, era controproducente.Hanno dichiarato che la causa era stata la loro incapacità di riconoscere il sistemacomplesso in opera e che il modello tradizionale era invece riuscito proprio inquell'intento, e hanno così ristabilito il controllo informale dei subak sulla gestione dellerisaie. (Lansing 2007: 108).

L'esempio narrato ci mostra l'importanza della costruzione di strumenti e dispositivisimbolici, materiali e concettuali, in grado di rendere visibili e in ultima analisipercepibili le complesse reti dei sistemi socio-ecologici in cui siamo inseriti, ma di cuinon possiamo fare esperienza diretta. Soltanto quando queste reti riescono a fare breccianella percezione delle persone, si produce la consapevolezza necessaria ad una gestionesostenibile delle risorse. Proprio come abbiamo bisogno di un contatore Geiger perpercepire la presenza di radiazioni nucleari, o di una mappa per poter renderci contodella forma di una regione geografica, gli strumenti ci aiutano ad ampliare le nostrecapacità percettive in accordo con la nostra visione del mondo. Gli strumenti infatti nonfunzionano isolatamente dal resto delle pratiche e procedure, relazioni, simboli,linguaggi, idee e regole – ovvero delle istituzioni sociali (Martin 2004) – in cui sonoinseriti.

Lansing ci mostra che è proprio in questo senso che va compreso il ruolo dei rituali edei molti aspetti della cultura balinese connessi alla coltivazione. Gli esempi che cifornisce sono molteplici, approfonditi e rendono conto di un simbolismo estremamentecomplesso. Non è questo il luogo per una discussione dettagliata15. Ma è chiaro che,come il mondo occidentale contemporaneo si regge su un modello culturale largamentefondato sulla competizione e sulla crescita continua, che viene continuamente rinforzatoe fissato nella consapevolezza collettiva attraverso i rituali ed i simboli di programmitelevisivi, pubblicità, valutazioni e prove scolastiche, gare sportive, rapporti di lavoro, eattraverso strumenti tecnici come conti correnti e carte di credito, o istituzioni come laborsa e così via, allo stesso modo il mondo rurale balinese tradizionale (e in largamisura fino ad oggi) si regge su un modello culturale fondato sulla cooperazione esull'equilibrio con la natura.

Gli strumenti simbolici in questo caso sono le narrazioni culturali espresse nel teatro,nei miti, nelle arti, e nei rituali, che rinnovano nei contadini lo status mentalecooperativo necessario a condividere le risorse e la consapevolezza di essere parte dicicli naturali più ampi. Attraverso la concreta condivisione dell'acqua sacra provenientedal lago del cratere, donata dalla dea del lago Dewi Danu (Lansing 2007: 73) e

15 Rimando a Marchi (2012: 62) .

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trasportata in tutti i templi, mescolata con l'acqua di altre sorgenti sacre, e usata perbenedire i campi, i rituali rendono visibile la condivisione e l'interdipendenza cheformano un unico sistema coordinato di irrigazione e gestione dei terrazzamenti.Strumenti tecnici di suddivisione dell'acqua di irrigazione, che apparivano arretrati aipianificatori, sono invece efficienti e coerenti con la visione del mondo balinese perchérendono visibile la quantità d'acqua a colpo d'occhio, e così l'equità delle suddivisioni,riducendo l'emergere di invidie e conflitti. Grazie a rituali e simboli costruiti su uncomplesso parallelismo tra mondo esteriore delle cose e mondo interiore delle emozioni,ogni contadino sa che la buona riuscita delle attività produttive dipende anche dallapropria capacità di gestire le emozioni che possono portare caos. I contadini sonocostantemente in contatto con strumenti e narrazioni che da un lato rinforzano la visionedel mondo fondata sull'interdipendenza con i cicli naturali e sulla necessità della fiduciareciproca, e dall'altro offrono modi per agire in concordanza con questa visione.

È facile osservare come il modello della religione balinese “dell'acqua sacra” AgamaTirtha (Lansing 2007: 55) sia molto più vicino al modello dei sistemi complessi (adeccezione dell'aspetto divino) di quanto non lo sia il modello ingegneristico lineare deipiani di sviluppo o il modello culturale della crescita illimitata. L'interdipendenza tradiversi cicli naturali presente nella cultura balinese ricorda molto i cicli interdipendenti– cibernetici – dei modelli dinamici costruiti dall'ecologia e dalla scienza dellasostenibilità (Sterman 2012). Ed è importante notare che il modello lineare è unaversione ristretta del modello complesso, cioè il modello lineare prende inconsiderazione soltanto una parte dei circuiti attivi (Bateson 1972: 146), fallendo nellacomprensione dei meccanismi di retroazione delle azioni (Sterman 2012: 26).

Molti esperimenti sui modelli mentali hanno verificato la scarsissima comprensionedelle dinamiche complesse, ovvero la ristrettezza dei modelli mentali degli occidentali,dai leader politici agli studenti universitari (Sterman 2012). Molti meccanismi di basedei sistemi complessi vengono fraintesi in modo significativo, portando ad ampi erroridi valutazione dell'impatto delle azioni umane e alla contro-produttività dei rimediprogettati. Al contrario l'esempio di Lansing ci dimostra che i contadini balinesi sono,per certi versi, maggiormente in grado di pensare con i modelli della complessità e diadottare soluzioni adattative.

Poiché la percezione è mediata dai modelli culturali, e diverse culture percepiscono ilmondo in diversi modi, anche gli strumenti simbolici per rendere visibili le reti diinterdipendenza assumono forme diverse. Per divulgare la propria ricerca Lansing,insieme al regista Andre Singer, ha realizzato anche un film documentario il cui titolo,The Goddess and the Computer, suggerisce come la capacità e l'autorità narrativa dellareligione e della dea del lago stiano sullo stesso piano della cultura tecnica deipianificatori e del programma di simulazione al computer. È dunque possibilesviluppare la consapevolezza necessaria per comprendere la complessità e per favorirela sostenibilità anche in culture il cui modello dominante è lineare, per mezzo di

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Capitolo 1

strumenti e tecniche appropriate.

Ci è stato a lungo detto che l'insostenibilità della nostra società nasce dal fatto chetrattiamo il mondo come illimitato e i problemi come non connessi quando inveceviviamo in una “astronave Terra” limitata, in cui “non c'è altrove” e “tutto èconnesso a tutto il resto”. Molti fautori della sostenibilità ritengono che ilsuperamento di questi problemi richieda lo sviluppo di un pensiero sistemico […].La sfida consiste nel passare da slogan sui sistemi a strumenti e processi specificiche ci aiutino a capire la complessità, progettare politiche migliori, facilitarel'apprendimento individuale e delle organizzazioni, e catalizzare il cambiamentotecnico, economico, sociale, politico e personale di cui abbiamo bisogno per creareuna società sostenibile. (Sterman 2012: 23)

L'ideazione e la costruzione di tali strumenti e dispositivi che supportino un pensierosistemico complesso è un settore promettente per migliorare le nostre capacità collettivedi far fronte ai problemi contemporanei. La scelta della simulazione non è casuale inquanto si tratta di un elemento costitutivo dell'apprendimento alla base del metodoscientifico, uno dei fondamenti delle dinamiche di potere del modello culturale globale.

Non c'è apprendimento senza feedback, senza conoscere i risultati delle nostreazioni. Tradizionalmente, gli scienziati generano tale feedback attraverso lasperimentazione controllata, un processo iterativo attraverso cui intuizioni vengonogenerate e messe alla prova, ipotesi testate, nuovi esperimenti eseguiti. Ma gliesperimenti sono impossibili in molti dei sistemi più importanti, tra i quali moltisistemi cruciali per la sostenibilità. Quando l'esperimento è impossibile, gliscienziati si basano su modelli e simulazioni che permettono la sperimentazionecontrollata in mondi virtuali. I modelli di simulazione sono stati a lungo centralinella ricerca ambientale e sulla sostenibilità […]. (Sterman 2012: 54)

Il problema è che per modificare azioni controproducenti abbiamo bisogno di renderciconto degli effetti di quelle stesse azioni; ma quando le scale temporali sono troppoampie o i sistemi di interazione troppo complessi, non riusciamo ad osservare i risultatidelle nostre azioni. Nella cultura scientifica questi limiti vengono superati attraversostrumenti che amplificano la percezione umana, e modelli virtuali che semplificano lacomplessità dei sistemi naturali abbastanza per riuscire a tenerla a mente, ma nontroppo, in modo da non snaturare le dinamiche realmente in gioco. In questo modo gliscienziati creano contesti virtuali che favoriscono l'apprendimento, l'intuizione e lacomprensione.

Come precedentemente discusso, il percorso verso la sostenibilità richiede dirinforzare certi elementi già presenti nella cultura globale. In questo senso vieneconsiderata l'importanza di estendere l'utilizzo di modelli formali e simulazioni al di làdei limiti del mondo accademico.

Ma le simulazioni non sono utili solo nella creazione della conoscenza. Devonoanche diventare uno strumento principale di comunicazione della conoscenza.Come scienziati, sviluppiamo la nostra conoscenza attraverso un processo diapprendimento iterativo e interattivo di sperimentazione sia nel mondo reale chenel mondo virtuale delle simulazioni. […] Ma troppo spesso poi facciamo marciaindietro e raccontiamo i risultati ai decisori politici, ai nostri studenti e al pubblico

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attraverso relazioni, presentazioni e conferenze. Non dovremmo stupirci quandoqueste persone, escluse dal processo di scoperta – che non sono in grado di valutaregli elementi di prova per conto proprio, e cui presentiamo delle conclusioni checonfliggono con i modelli mentali profondamente radicati – diventano confusi,ignorano i risultati, e sfidano la nostra autorità. (Sterman 2012: 54)

Per il nostro attuale modello sociale di apprendimento la produzione della conoscenzasulla sostenibilità è divisa dalla sua applicazione. La comprensione delle dinamiche deisistemi socio-ecologici viene generata negli istituti e nei centri di ricerca accademici,attraverso strumenti euristici quali modelli e simulazioni, e poi trasmessa ai decisoripolitici e al resto della popolazione tramite strumenti di trasmissione e divulgazione, peressere messa in pratica. Un tale modello funzionerebbe solo se l'autorità del mondoaccademico fosse indiscussa (quando invece è oggetto di continue negoziazioni). Eancora rimarrebbe il problema di come gestire la dissonanza cognitiva scaturita dalloscarto tra le nuove conoscenze da applicare e la base di conoscenza radicata nellepersone responsabili dell'applicazione. Se vogliamo promuovere l'apprendimentosociale dobbiamo quindi considerare l'importanza dell'accesso delle persone e deidecisori politici agli strumenti di produzione della conoscenza.

Alla luce di questo argomento possiamo reinterpretare l'azione di Lansing come unadiversificazione dei prodotti della ricerca, coerente con i diversi tipi di destinatari e dicontesti. Gli articoli su riviste scientifiche specialistiche sono indirizzati principalmenteal pubblico accademico, alcuni specificamente per le discipline sociali e l'antropologia,altri per le discipline ecologiche e ambientali. I libri hanno un taglio più didattico e piùdivulgativo, come, attraverso altri media, il film documentario. Infine le relazioni scrittee, attraverso altri media, la simulazione sono indirizzate ai pianificatori con lo specificoobiettivo di informare le politiche in atto dei risultati delle ricerche16. La simulazione, inparticolare, ha avuto la capacità di rendere i pianificatori stessi in grado di valutare glielementi di prova e di riconoscere il cambiamento necessario.

È chiaro che quest'ultimo utilizzo, andando ad influenzare processi decisionali,ricade nel settore dell'advocacy. Ma Lansing non faceva advocacy per conto di unparticolare gruppo sociale, per difenderne i diritti o promuoverne lo sviluppo. Il suo nonè un “dare la parola a” o un “parlare al posto di”. Piuttosto stava promuovendo i risultatidella propria ricerca scientifica, durante la quale era riuscito a comprendere, tradurre erendere visibile un sapere molto specifico, in grado di migliorare la salute di un interoecosistema e di risolvere un conflitto culturale in corso. La conoscenza prodotta dallaricerca, più che essere usata per “fare advocacy”, è stata sviluppata in un “contesto diadvocacy” già esistente, in cui gli interlocutori di Lansing erano coinvolti (Lansing2007: 116). Contesto che ha dato forma all'osservazione partecipante dell'antropologo.Sono stati il rigore e le abilità scientifiche che hanno portato Lansing e Kremer adapplicare in modo originale la teoria dei sistemi complessi e a sviluppare il modello di

16 Questa suddivisione è soltanto illustrativa, e i vari prodotti della ricerca possono avere utilizzi diversi.Così ad esempio la simulazione è stata utilizzata anche dai sacerdoti balinesi, come si vede nel film.

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Capitolo 1

simulazione della rete dei subak. Ma è stato il contesto di advocacy a porre la necessitàdi una tale impresa e a coinvolgere i ricercatori in essa.

Poiché l'evidenza raccolta sulla rete di subak ha inoltre mostrato che le stessedinamiche rimangono invisibili e vengono trascurate in altri contesti, creando importantidanni alla sostenibilità della comunità globale, Lansing e colleghi hanno continuato ilprocesso di advocacy in atto e sono riusciti ad estenderne la portata. Nel giugno 2012 ilsistema dei subak è stato inserito nella lista del patrimonio mondiale dell'UNESCO conil titolo de “Il Paesaggio Culturale della Provincia di Bali: il Sistema dei Subak comeManifestazione della Filosofia Tri Hita Karana”, laddove con questo concetto vieneindicata la compresenza dei tre reami dello spirito, del mondo umano, e della natura(UNESCO World Heritage Center 2012). Questa è un'ulteriore forma o prodotto dellaricerca, con l'obiettivo di preservare il sistema rendendolo visibile a livello globale.

L'iscrizione alla lista del patrimonio immateriale UNESCO è un processocontroverso, con importanti risvolti politici, economici, sociali e ambientali, su cui c'èun ampio dibattito in corso17. Per il caso balinese basti pensare che la crescita del settoreturistico generata dall'iscrizione nella lista sta contribuendo ad aumentare la pressioneecologica nell'area di conservazione (Watson e Lansing 2012; Nurhayati 2013)18. Comepossibile soluzione, Lansing e colleghi hanno sviluppato per l'UNESCO un innovativopiano di promozione della conservazione, dello sviluppo sostenibile e del turismoresponsabile, nel quale indicano esplicitamente le comunità locali dei subak e deivillaggi presenti nel territorio protetto come attori principali della struttura digovernance incaricata della gestione (Erviani 2012; 2013). Il piano, tutt'ora in corso diapplicazione, potrà servire da modello per lo sviluppo sostenibile bottom-up in altri sitinell'ambito del patrimonio dell'umanità, come ha spiegato Lansing alla 6th AnnualInternational Ecosystem Services Partnership Conference svoltasi a Bali nell'agosto del2013.

Il fieldwork nel mondo interconnesso

Attraverso l'approfondimento dell'esempio balinese ho mostrato come la metodologiacostituita dalla combinazione del fieldwork etnografico e della modellazione formale deisistemi complessi possa essere impiegata in contesti di engagement degli stakeholder,per innescare processi di apprendimento sociale che conducano ad una gestionesostenibile delle risorse. Bali è uno straordinario caso in cui una cultura millenaria èrimasta molto vitale e relativamente intoccata dai processi di globalizzazionecontemporanei fino ad anni recenti. Ancora oggi, i grandi cambiamenti sono concentratiprincipalmente nella zona pianeggiante a sud dell'isola, dove si espande l'agglomeratourbano della capitale, e risalendo le pendici del vulcano per alcune decine di chilometrisi può ancora riconoscere, almeno in parte, quel contesto culturale distintivo inscritto

17 Per una discussione generale rimando a Bindi (2013).18 In particolare è in pericoloso aumento la velocità con cui i terreni coltivati a riso vengono acquistati

dai costruttori per l'edificazione di strutture turistiche.

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Sistemi complessi e approccio antropologico

nell'immaginario collettivo dall'etnografia visuale di Margaret Mead e Gregory Batesonormai considerata un classico in antropologia (Jacknis 1988).

Negli ultimi trent'anni la riflessione e la pratica antropologiche hanno però portato ilfieldwork molto lontano rispetto all'archetipo malinowskiano moderno (Gupta eFerguson 1997a: 39). Già le ricerche dell'équipe di Lansing si distaccano dal prototipopiù classico di questo archetipo in quanto non sono state condotte in una singola piccolacomunità isolata, con interlocutori facilmente identificabili come “altri”. Hanno invececoinvolto diversi villaggi dell'isola, diverse associazioni subak, hanno implicato unperiodo di studio presso l'International Rice Research Institute nelle Filippine, nonchédiversi viaggi di ritorno dal “campo” a “casa” e nuovi periodi di campo, lunghecollaborazioni con il mondo accademico e i ricercatori universitari “indigeni” di scienzenaturali e sociali, i quali hanno avuto parte sia nell'osservazione che nell'interpretazione,collaborazioni che sono continuate con l'instaurazione di joint venture come l'advocacyper l'iscrizione alla lista UNESCO, e così via (Lansing 2007: xxxi)19. Nonostante ilcarattere multi-situato (Marcus 1995), collaborativo e innovativo della specifica ricercae le trasformazioni sociali in corso, le risaie terrazzate sulle pendici del vulcanodell'isola di Bali rimangono un campo relativamente alto nella «gerarchia di purezza deiluoghi del campo» (Gupta e Ferguson 1997a: 13) in quanto «lontano, esotico e strano»rispetto alla «“casa” archetipica dell'antropologia (la cultura dominante e maggioritariadegli Stati Uniti contemporanei)» (Gupta e Ferguson 1997a: 14).

La teoria antropologica recente ha aperto il concetto di cultura e di comunità ad unmaggior livello di astrazione. Ha riconosciuto e abbandonato la propria finzionenarrativa sulla totalità e coerenza interna delle culture (Marcus 1989; Fabietti,Malighetti, e Matera 2000: 25) per abbracciare una concezione maggiormentepluralistica e dinamica. Ed in questo lo studio di Lansing e Kremer offre uno spuntoinnovativo per quanto riguarda la costruzione dell'immagine del sistema dei subak.Questa infatti è stata costruita in modo sperimentale e bottom-up per emergenza, senzadare per scontata a priori l'esistenza di tale sistema; e limitandosi alla spiegazionedell'autogoverno delle attività agricole, cercando le connessioni con altri elementiculturali, ma senza postulare una cultura descrivibile nella sua totalità in modofunzionalistico.

È stata quindi abbandonata l'idea di un mondo costituito da “popoli e culture”separati gli uni dagli altri da confini ben definiti (Gupta e Ferguson 1997b: 2),

19 La ricerca di Lansing e colleghi, oltre ad essere indubbiamente innovativa per la metodologia impiegata, restituisce un livello di complessità molto elevato. Si tenga presente che il resoconto che ne ho dato in questo capitolo è frutto di una sensibile semplificazione ai fini della specificità del mio discorso. Ad esempio la ricerca originale presenta le comunità contadine dei subak all'interno del più ampio contesto sociale balinese, caratterizzato dall'appartenenza delle persone a molteplici associazioni o comunità volontarie (tra cui i subak) e dalla presenza del sistema gerarchico delle caste. Allo stesso modo le strutture analizzate sono collocate nella storia, risalendo fino alle prime testimonianze archeologiche della cultura balinese. I rituali associati all'agricoltura sono analizzati in relazione all'intero complesso delle espressioni religiose. E la cultura balinese non viene presentata come isolata dal più ampio contesto di scambi, ad esempio quelli coloniali, con il resto del mondo.

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Capitolo 1

approdando ad un «più fluido concetto di comunità» (Wilson e Peterson 2002: 455) –come il concetto di «comunità di pratiche» (Lave e Wenger 1991) – in grado di coglierele tante diverse modalità di interazione sociale con cui i ricercatori venivano a contatto.

[L']approccio antropologico è adatto a studiare il continuum delle comunità,identità, e reti esistenti – dalla più coesa alla più diffusa – a prescindere dallemodalità in cui i membri della comunità interagiscono. (Wilson e Peterson 2002:456)

Né la connessione forte ed identitaria con un territorio limitato, né la modalità dicomunicazione in presenza, sono più considerati requisiti essenziali per poteridentificare una comunità, come dimostrano alcuni casi di comunità online, dove lacomunicazione viene mediata dall'uso della rete internet, i membri sono fisicamentedispersi in differenti paesi del mondo e non si incontrano mai di persona. Ciò cherimane centrale per l'approccio delle comunità di pratiche è la presenza di tredimensioni strutturali di base: un «dominio» di interessi condivisi che definisconol'identità della comunità; la «comunità» stessa, formata dall'interazione e dal mutuoapprendimento innescato dai membri nel perseguimento degli interessi; e la «pratica»,lo sviluppo da parte dei membri della comunità di un repertorio condiviso di esperienze,storie, strumenti, modi di risolvere problemi ricorrenti (Snyder e Wenger 2010: 110).Con il concetto di comunità di pratiche, ma ciò è valido anche per quello di comunitàlinguistica, i recenti sviluppi permettono di spostarsi da una concezione di comunitàspesso idealizzata (basata sull'omogeneità linguistica e culturale) ad una incentrata sullepratiche di interazione osservate sul campo o sull'uso della lingua nella vita sociale(Morgan 2002: 69).

Richiamando gli esempi introdotti precedentemente in questo capitolo (p. 15), si puòquindi notare come la riscoperta flessibilità dello sguardo antropologico possaindividuare esempi teoricamente validi di comunità in ogni tipo di contesto e di scala,dalla famiglia, ai tech clubs di un'azienda, all'interazione tra stakeholder in un'areametropolitana o rurale, alla rete di città o di paesi vicini, alle reti globali di persone o diorganizzazioni. Grazie alla capacità di astrarre dalle specifiche forme dell'interazione trai membri, l'approccio delle comunità di pratiche è inoltre «adeguatamente allineato» conla teoria dei sistemi complessi adattativi.

Il concetto di comunità di pratiche non è nato nella tradizione della teoria deisistemi. Ha le sue radici in tentativi di dare conto della natura socialedell'apprendimento umano ispirati all'antropologia e alla teoria sociale (Lave 1988;Bourdieu 1977; Giddens 1984; Foucault 1980; Vygotsky 1978). Tuttavia, ilconcetto di comunità di pratiche risulta adeguatamente allineato con il punto divista delle tradizioni sistemiche. Una tale comunità può essere vista come unsistema sociale semplice. E un sistema sociale complesso può essere visto comecostituito da comunità di pratiche interconnesse.

[…] Una comunità di pratiche può essere vista come un sistema di apprendimentosociale. Derivante dall'apprendimento, presenta molte caratteristiche dei sistemi piùin generale: struttura emergente, relazioni complesse, auto-organizzazione, confini

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dinamici, negoziazione continua di identità e significato culturale, per citarnealcuni. (Wenger 2010a: 179)

Il parallelismo permette di concettualizzare una comunità di pratica come una retecomplessa e come un sistema sociale di apprendimento, unendo gli sviluppi teorici dellascienza della complessità e dell'antropologia.

Non sono nemmeno l'appartenenza formale, né l'intenzionalità o volontarietàdell'appartenenza dei membri, a contraddistinguere una comunità di pratiche. Essa vienecostruita nel tempo attraverso l'apprendimento comune favorito dall'interazione tra ipraticanti impegnati e coinvolti (engaged) in una determinata situazione sociale. Ha unastruttura emergente. Secondo lo schema teorico di Etienne Wenger, l'apprendimentoavviene nel tempo secondo «due intrecciate ma distinte linee di memoria» checostituiscono «un duplice processo di costruzione di senso».

Da un lato, ci impegniamo direttamente in attività, conversazioni, riflessioni, e altreforme di partecipazione personale alla vita sociale. D'altra parte, produciamomanufatti fisici e concettuali – parole, strumenti, concetti, metodi, storie,documenti, collegamenti a risorse, e altre forme di reificazione – che riflettono lanostra esperienza condivisa e attorno a cui organizziamo la nostra partecipazione(Wenger 2010a: 180)

Nel corso del tempo la mutua interazione tra «partecipazione» e «reificazione»20 puòcreare «una storia sociale di apprendimento» (Wenger 2010a: 180) e dare origine ad unacomunità. Per riprendere l'esempio balinese, si è visto come in quel caso si sia formatoun processo sociale di apprendimento tra diverse comunità coinvolte nell'attività praticadi gestione delle risaie: contadini e sacerdoti, ricercatori statunitensi, ricercatori locali,pianificatori e burocrati, e così via. Si è visto come nel tempo siano continuati undialogo ed un'interazione spesso problematici tra le parti e come sia emerso il ruolo dimediazione svolto dalla ricerca antropologica. In particolare è stata messa in evidenzal'importanza della costruzione del “manufatto fisico” della simulazione al computer edel “manufatto concettuale” della rete complessa emergente e auto-organizzante. Questistrumenti, posizionandosi al confine tra le pratiche di pianificatori e sacerdoti/contadini,ed inserendosi in una storia di coinvolgimento e di partecipazione dei praticanti inazioni e situazioni che hanno reso il contesto favorevole21, sono stati in grado dipermettere il mutuo apprendimento. Ciò ha dato origine ad un cambiamento nel sistemasociale: le istituzioni burocratiche statali e le istituzioni contadine-religiose dei subak,che storicamente avevano ruoli segregati nella gestione dei sistemi di irrigazione, hannoiniziato a collaborare.

Ho cercato di mostrare come l'apertura del concetto di comunità costituisca un

20 Wenger utilizza il termine reificazione in senso letterale (Wenger 2010a: 180).21 In particolare si osserva che se la Rivoluzione Verde non avesse incontrato resistenze ecologiche nel

breve periodo, il sistema tradizionale sarebbe stato più facilmente trascurato e i pianificatori non avrebbero avuto un chiaro incentivo ad ascoltare e a comprendere il modello tradizionale come è invece avvenuto nella realtà. Come osserva lo stesso Wenger, la produzione di pratiche non è sempre un processo positivo (Wenger 2010a: 180).

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Capitolo 1

elemento chiave per permettere allo sguardo antropologico di spaziare al di fuori deisuoi limiti classici. La riflessione interna alla disciplina ha messo in luce un ulteriorenodo il cui scioglimento può liberare il concetto di fieldwork e quindi la praticadell'antropologia da quegli stessi limiti. È possibile costruire un campo di ricerca inluoghi o comunità non lontani ed esotici? In questione non c'è soltanto la concezioneantropologica dell'alterità, di chi sono gli “altri”, di cosa si possa considerare un campovalido, ma anche la concezione del “noi”, della provenienza e del posizionamento dellosguardo antropologico (Gupta e Ferguson 1992: 13).

È stato osservato come vi sia una ideologia implicita nello schema narrativo delmovimento tra i due luoghi immaginari di “casa” e “campo” (Gupta e Ferguson 1992;1997c; Amit 2000). Questo simbolismo spazializzato è un dispositivo di distanziamentoche contribuisce a sostenere le inique relazioni internazionali politiche ed economichein cui l'antropologia come disciplina è inserita: osservatori professionali che, dai “paesisviluppati” dell'Occidente, viaggiano lontano in luoghi isolati nei “paesi in via disviluppo” per essere testimoni di “diverse” forme dell'agire umano, tornando poi “acasa”, dove si trova il mondo accademico, a completarne lo studio. Il movimento tracasa e campo è un dispositivo attraverso cui l'antropologia stessa crea l'alterità del suooggetto di studio, «produ[cendo] differenze in un mondo di luoghi culturalmente,socialmente ed economicamente interdipendenti» (Gupta e Ferguson 1992: 14)22.

Questa pratica narrativa è stata quindi messa in discussione e de-naturalizzata. Aquesto fine è stata evidenziata l'importanza di riconoscere le tradizioni disciplinari“periferiche” (dopotutto anche l'antropologia è una comunità di pratiche con un centro edei confini), ad esempio le tradizioni “nazionali” di Messico, Brasile, Germania, Russia,India, e così via; così come le eterodossie nella tradizione “centrale” di Stati Uniti,Regno Unito e Francia, ad es. il concetto di fieldworker–osservatore non professionaledell'etnografia di Paul Radin, che riconosce il ruolo e l'importanza dei collaboratori sulcampo nella raccolta dei dati (Gupta e Ferguson 1997a: 22). Altre “tradizioni”antropologiche che hanno contribuito a questa svolta sono quelle, parzialmentesovrapposte, dell'antropologia nativa, dell'antropologia dell'Occidente edell'antropologia “domestica” o “del vicino” (Viazzo 2003) o “del noi” (Fabietti,Malighetti, e Matera 2000: 16), le quali hanno aperto ad una profondaproblematizzazione delle concezioni di “noi” e “altri” mettendo in pratica moltepossibili combinazioni23. O ancora è stato importante il riconoscimentodell'organizzazione transnazionale delle vite accademiche di antropologhe eantropologi, che ha messo in discussione la concezione di “casa” come di un luogostatico (Amit 2000). Così come la tradizione del fieldwork multi-situato (Marcus 1995)e lo studio di situazioni di migrazione e di multiculturalismo hanno messo in evidenzacome il campo possa essere molto più complesso rispetto al prototipo di purezza.

22 Gupta e Ferguson riferiscono dunque allo spazio lo stesso ragionamento precedentemente sviluppato da Fabian in relazione al tempo (Fabian 2000 [1983]).

23 Si veda ad esempio la tabella sui diversi fieldwork di Mondher Kilani in Viazzo (2003: 172).

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Sistemi complessi e approccio antropologico

Il risultato di questa lunga riflessione sulla sfocatura della distinzione tra casa ecampo è da un lato il riconoscimento che, «tutte le associazioni di luogo, popolo ecultura sono costruzioni storiche e sociali da spiegare, non fatti naturali» (Gupta eFerguson 1997b: 4). Dall'altro è il superamento del paradigma di “popoli e culture”(Fabietti, Malighetti, e Matera 2000: 37) per arrivare ad una visione del mondo formatoda luoghi, comunità e persone interconnessi in modi più o meno complessi. Ciò hamolteplici implicazioni. Mi soffermo su tre di esse, la cui esplicitazione è necessaria pergiustificare la mia ricerca.

La prima implicazione riguarda l'abbandono di un approccio naif all'immersionetotale nel campo come metodologia di ricerca. In particolare sono le ricerche diantropologia del vicino ad evidenziare l'impraticabilità dell'immersione “totale”.

[…] una delle difficoltà peculiari della ricerca condotta vicino a casa è che non si èmai in grado di essere completamente 'nel campo', e nemmeno si è mai del tutto ingrado di 'lasciare il campo'. (Caputo 2000: 28)

Se viene a mancare la netta separazione (spaziale e temporale) tra una casa e un camponon più vissuti come luoghi distinti e lontani, diventa molto difficile immergersitotalmente nel campo. Le ricerche nel vicino sono caratterizzate da continue entrate eduscite da un campo inteso come una «dimensione» in più, che si aggiunge «alla retedelle relazioni sociali e degli impegni stabiliti dell'etnografo» (Caputo 2000: 27).Questo enfatizza la necessità di «continui spostamenti del proprio posizionamento trasituazioni, persone, identità e prospettive» (Amit 2000: 11) in base ai contesti del lavoro(il mondo accademico), del campo, della famiglia, e così via. Anche i “ritorni a casa” –in senso letterale – possono essere quindi multipli (ad esempio giornalieri) ecaratterizzano una presenza fluida, episodica del ricercatore.

Contestualmente al periodo di fieldwork viene inoltre mantenuto un rapportooperativo col contesto accademico, ad esempio durante una ricerca di dottoratoattraverso i feedback o il monitoraggio dello stato di avanzamento della ricerca da partedei supervisori. La mancanza della separazione geografica e temporale tra casa e camporende quindi più difficile anche la separazione metodologica classica del momento dellaraccolta dei dati, caratterizzato dalla scrittura grezza delle note di campo, da quello dellaloro elaborazione, caratterizzato dalla scrittura riflessiva del testo antropologico (Guptae Ferguson 1997a: 12)24. In generale, la presenza dell'etnografo sul campo è quindicaratterizzata da complessi schemi di mobilità.

Sono però le stesse ricerche di antropologia del vicino a mettere in luce come lacomplessità del mondo contemporaneo, con la fluidità e la necessità di gestire contestimultipli che le si accompagnano, sia una caratteristica che avvicina le vite deglietnografi a quelle degli interlocutori, più che allontanarle. Come sottolinea VirginiaCaputo:

24 In certi casi la compresenza di fieldwork e contesto accademico può anche semplificare il lavoro di campo, ad esempio attraverso il supporto che si può ottenere dal confronto con supervisori e colleghi nei momenti di insicurezza e di dubbio caratteristici delle ricerche di campo (Caputo 2000: 27).

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Capitolo 1

[…] l'etnografo non è l'unico preso nel movimento di negoziare continuamentequesto terreno instabile. Le persone con cui stiamo lavorando in questi ambientiurbani sono coinvolte esse stesse in movimenti complessi. (Caputo 2000: 28)

Nemmeno gli informatori sono quindi veramente confinati in un luogo (Caputo 2000:26). Anzi, a volte quando l'etnografo effettua un fieldwork residenziale e continuativo sitrova ad avere contatti con soggetti locali che sono meno “residenti” di lui o di lei(Rapport 2000). Più in generale si nota come siano i contesti locali ad essere complessi,connessi e coinvolti nelle dinamiche globali a prescindere dagli spostamenti dellesingole persone.

[…] l'immaginazione di coloro che vivono in mondi locali tende ad articolarsi informe via via più complesse all'interno di contesti globali, anche quando ilmovimento dei soggetti nello spazio è limitato o è addirittura inesistente. Talicontesti globali sono i processi indotti dalla presenza di entità quali il mercato, lostato e i mezzi di informazione. (Fabietti, Malighetti, e Matera 2000: 107)

L'avanzamento dei processi di globalizzazione pone, ad esempio, gli stessi macroproblemi – causati dallo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e sociali e dalpersistere di eccessive asimmetrie di potere – alla base delle agende pubbliche ecollettive, e anche delle vite private, nei diversi contesti locali, tanto che spessofieldwork vicini e lontani presentano simili caratteristiche “glocali” (Salazar 2010: 178–180).

A ben vedere, fluidità, episodicità e necessità di continui riposizionamenti tra ambitie situazioni diverse sono caratteristiche condivise anche dai fieldwork lontani. Anche inquesti casi più classici gli etnografi mantengono spesso legami al di fuori del campo,con familiari, amici e colleghi (Amit 2000), oltre all'esistenza di più complesse relazionied interessi che coinvolgono le istituzioni che portano i ricercatori e le ricerche su undeterminato campo (Fabietti, Malighetti, e Matera 2000: 40).

La nozione di immersione implica che il 'campo' in cui gli etnografi entrano esistecome un insieme indipendentemente circoscritto di relazioni e di attività, che èautonomo rispetto al lavoro sul campo attraverso il quale esso viene scoperto.Eppure, in un mondo di infinite interconnessioni e contesti sovrapposti, il campoetnografico non può semplicemente esistere, in attesa di essere scoperto. Deveessere faticosamente costruito, apprezzato separatamente da tutte le altre possibilitàdi contestualizzazione alle quali le sue relazioni e connessioni costitutive possonoessere riferite. Questo processo di costruzione è inevitabilmente modellato dalleopportunità e risorse concettuali, professionali, finanziarie e relazionali che sonoaccessibili all'etnografo. Visto da questa prospettiva, l'idea di lavoro sul campo incui si prevede che l'etnografo si separi dai suoi soliti coinvolgimenti in modo daimmergersi nel 'campo' dei coinvolgimenti di altri è un ossimoro. (Amit 2000:6)

È l'idea di un campo etnografico separato e isolato che viene abbandonatadall'antropologia contemporanea. Nemmeno “l'uscita dal campo”, un altro dei cardini sucui si reggeva tale idea (Gupta e Ferguson 1997a: 12), è così categorica comesembrerebbe, dal momento che il campo viene incorporato nelle biografie, nelle

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Sistemi complessi e approccio antropologico

concettualizzazioni e nelle affiliazioni degli antropologi (Amit 2000). L'uscita non ènemmeno interamente una scelta nelle mani del ricercatore, poiché anche gli informatorihanno la possibilità di tentare di riprendere o mantenere i contatti una volta terminato ilfieldwork (Amit 2000: 16).

Anche l'accesso dell'etnografo alle performance, agli eventi, ai luoghi e persino agliinterlocutori del campo è sempre limitato – indipendentemente da quanto profonda sial'immersione – per restrizioni motivate da questioni di intimità, genere, classe, etnia,status rituale, ruolo, o anche soltanto per il fatto che l'osservazione partecipante limita lapresenza del ricercatore a particolari avvenimenti, rendendone inaccessibili altricontemporanei o troppo distanti. Per queste “assenze” che caratterizzano il campoalmeno quanto la “presenza” diretta dell'etnografo, l'osservazione partecipante vienesempre integrata con altri metodi (interviste, focus group, ricerca di documentid'archivio, dati statistici, raccolta di artefatti, e così via) che permettono di indagare iprocessi non direttamente accessibili (Amit 2000: 12). La metodologia del fieldwork èquindi intesa in modo più comprensivo nei termini di «polymorphous engagements» conle interlocutrici e gli interlocutori (Gusterson 1997: 116).

Allo stesso modo, i contesti sempre più interconnessi dei campi contemporaneirendono più esplicita la necessità di integrare l'interazione condotta in presenza tramiteulteriori forme di comunicazione (email, lettere, telefonate e video-telefonate,messaggistica digitale, comunicazioni tramite social network online e così via). Paini,ad esempio, evidenzia come «“le tradizionali destinazioni antropologiche” in Oceaniasiano cambiate e non possano più essere connotate facendo ricorso ai soliti trattistereotipati» (Paini 2002: 122). Già nel 2002 forniva un'immagine del suo camponell'isola di Lifou (Nuova Caledonia) «non connotata da tratti esotici […] ma da reti dicomunicazione» (2002: 121), proprio a partire da alcune telefonate e da un'emailricevute, in diversi periodi, dal campo (già connesso alla rete elettrica e da poco anchealla rete internet). In queste comunicazioni interlocutrici e antropologa hanno mantenutouna ricchezza di scambi e relazioni, si sono scambiate saluti, informazioni e hannodiscusso richieste e proposte di collaborazione. La necessità di tenere in considerazioneanche questo tipo di scambi, che contribuiscono a connettere i vari periodi di fieldworkche alcuni antropologi e antropologhe (come nel caso di Paini) conducono negli anni,evidenzia come, in generale, siano «le circostanze a definire il metodo piuttosto che ilmetodo a definire le circostanze» (Amit 2000: 11). Anzi, è importante lasciare il metodoantropologico libero da standard troppo restrittivi, per poter mantenere la capacità delladisciplina di raggiungere e comprendere le molte forme della vita contemporanea(Hannerz 2006: 33).

La seconda implicazione è un riconoscimento della valenza politica e costruttivadelle rappresentazioni etnografiche.

Gli antropologi sono diventati maggiormente consapevoli del fatto che lerappresentazioni etnografiche non sono mai semplicemente “su” processi socialicome quelli di costruzione di luoghi e di costruzione delle persone, ma sono allo

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Capitolo 1

stesso tempo attivamente coinvolte in queste costruzioni. Come molte opereantropologiche si sono preoccupate di mostrare, le etnografie partecipano volenti onolenti alle stesse politiche di rappresentazione e di costruzione sociale cheintendono descrivere. (Gupta e Ferguson 1997b: 23)

Accettare l'idea che tutto il sapere è prospettico (Fabietti, Malighetti, e Matera 2000: 75)significa accettare che la pratica dell'antropologia partecipi essa stessa a processi dicostruzione sociale. Interrogarsi sulle motivazioni delle proprie ricerche e sugli effettiche esse hanno sulla realtà studiata non è più quindi un tratto distintivo delle ricerche“applicate” e diviene un importante elemento di riflessione per qualsiasi lavoroantropologico. Un nodo, questo, grazie al quale i ricercatori possono orientare con piùconsapevolezza il proprio lavoro sul campo e il proprio ruolo nell'accademia e nellasocietà.

Tutto ciò non ha dissolto l'identità e la specificità dell'antropologia nel sempre piùsfumato rapporto tra le diverse discipline scientifiche (Caputo 2000: 21). Il fieldworkprolungato rimane il tratto distintivo. Ha invece rinforzato la capacità auto-riflessivadella disciplina rendendo necessaria e al contempo possibile la problematizzazione delledimensioni dell'engagement degli sguardi e dei punti di vista: la posizione da cui laconoscenza e il sapere antropologici vengono prodotti (Gupta e Ferguson 1997b: 23) ele relazioni del fieldwork con la biografia dell'etnografo (Amit 2000). Queste capacitàvanno ad aggiungersi al potenziale auto-riflessivo dell'antropologia alimentatodall'approccio fenomenologico-ermeneutico. L'antropologa o l'antropologo sono quindiin grado di dare conto degli elementi socio-culturali in gioco nelle realtà che osservanosul campo non tanto cercando di “vedere il mondo dal punto di vista dei nativi” e“mettendo da parte” le proprie categorie concettuali, ma attraverso l'esplicitazionesistematica del posizionamento dell'osservazione che guida le loro ricerche.

Questa centralità del posizionamento si riflette appieno nella scienza dei sistemicomplessi, che enfatizza il ruolo dell'osservatore nella creazione dei modelli dirappresentazione di un sistema. L'oggettività scientifica viene ricercata non nel tentativodi eliminazione della “perturbazione” data dalla soggettività dell'osservatore, ma nellostudio delle relazioni tra osservatore e realtà (e persone) osservata. Essenzialmentel'osservatore, il sistema (osservato) e l'ambiente (in cui entrambi sono inseriti) devonoessere considerati come un solo circuito (Bateson in Brand 1976). Questo è verospecialmente con e dopo il movimento chiamato Second Order Cybernetics – di cuifacevano parte, tra gli altri, gli antropologi Bateson e Mead – e che si contraddistingueproprio per lo studio dei sistemi che coinvolgono i loro osservatori (Von Foerster 2003),e di cui il fieldwork etnografico è un esempio emblematico.

Proprio in virtù della capacità auto-riflessiva dell'antropologia è possibile non solol'etnografia del lontano, ma anche quella del vicino; compiuta da antropologi eantropologhe non soltanto occidentali; all'interno, ma anche all'esterno delle tradizioniteoriche egemoniche. Guardando inoltre al posizionamento in riferimento alla inegualedistribuzione del potere nella società, gli antropologi possono dirigere il loro sguardo

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Sistemi complessi e approccio antropologico

verso il basso (studying down), studiando persone che occupano posizioni subalterne,periferiche, o che coprono un ruolo debole in riferimento ad un determinato contesto;verso l'alto (studying up), concentrandosi sulle élite e i centri del potere; lateralmente(studying sideways), quando le pratiche degli interlocutori sono simili a quelledell'etnografo; e attraverso (studying through), cioè tracciando reti di relazioni tra attori,istituzioni e discorsi per comprendere le politiche e i sistemi di governance (Hannerz2006: 24). Tutte le possibili combinazioni degli elementi che costituiscono i soggettidell'antropologia sono messe in pratica nella contemporaneità e conferiscono alladisciplina quel carattere policentrico e polifonico che la rende particolarmente adattaallo studio della diversità culturale, delle alternative sociali, e in generale dellacomplessità dei sistemi sociali (Ribeiro 2006).

La terza implicazione è che questa nuova visione del mondo «al di là delle culture»(Gupta e Ferguson 1992) al centro del pensiero antropologico contemporaneo – basatasulla dinamica aggregazione (e separazione) delle persone in diverse e parzialmentesovrapposte reti o comunità di pratiche, strutturate in modo frattale a livelli dicomplessità progressivi – è molto vicina al modello delle reti di governance emergentirichiamato in apertura di questo capitolo (Snyder e Wenger 2010). Questo non stupiscedata la sorprendente vicinanza e compatibilità tra la teoria e il linguaggiointerdisciplinari della scienza della complessità e quelli specifici dell'antropologia (Abel1998; 2013).

[...] gli antropologi hanno sostenuto a lungo il proprio modo di comprendere leculture, in termini che sembrano straordinariamente simili a quelli enunciati dallanuova scienza della complessità. (Abel 1998: 6)

L'estensione del modello delle comunità di pratiche a livello collettivo, cioè al di làdelle singole organizzazioni (private o pubbliche), sembra contraddistinguere la stradache la comunità globale sta percorrendo nel tentativo di creare sistemi di apprendimentoin grado di evolvere e aumentare la capacità di adattamento di cui abbiamo bisogno persuperare la sfida della sostenibilità.

Ora abbiamo bisogno di sviluppare framework per descrivere la naturaorganizzativa della società civile come un sistema di action-learning basato sullecomunità – e strumenti e metodi per la coltivazione di tali sistemi. Questo capitolonon è quindi solo un invito all'azione e una proposta di ciò che è possibile. È inoltreun appello per una nuova disciplina. Una disciplina che espanda il campo deldesign delle organizzazioni e che applichi principi analoghi a livello mondiale. Unadisciplina che promuova lo sviluppo di sistemi di apprendimento sociale strategiciper amministrare pratiche civiche a livello locale, nazionale e globale. Unadisciplina la cui portata sia il mondo e il cui focus sia la nostra capacità diprogettare il mondo come un sistema di apprendimento – una disciplina di worlddesign. (Snyder e Wenger 2010: 123)

Estendere la capacità di progettazione e gestione oltre l'ambito delle singoleorganizzazioni significa sviluppare metodi e strumenti per comprendere e coltivare lacapacità di apprendimento dell'intera “società civile”. Questa ampia visione del

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Capitolo 1

cambiamento sociale offre – a mio parere – all'antropologia contemporanea un quadrogenerale (non l'unico) a partire dal quale poter iniziare a posizionare la propria attivitàdi ricerca. Come ho cercato di mostrare, l'antropologia possiede la sensibilità necessarianon solo per studiare ma anche per coinvolgere i praticanti di comunità di pratiche più omeno formate nello sviluppo dei processi di apprendimento alla base delle comunitàstesse. Questo framing della pratica della disciplina è particolarmente rilevante perun'antropologia che desidera sempre di più essere “pubblica” (Morris 2015), chedesidera intervenire per partecipare ai dibattiti e migliorare le politiche pubblicherelativamente ai grandi problemi della società contemporanea.

L'appello di William Snyder ed Etienne Wenger sottende certamente una grandesfida. Tuttavia, nonostante la complessità in gioco sia molto elevata, «il vantaggiodell'approccio delle comunità di pratiche è di poter essere evolutivo» (Snyder e Wenger2010: 123). Non serve (oltre a non essere possibile) progettare i sistemi diapprendimento dall'esterno con un approccio top-down, quanto favorire lacomprensione e lo sviluppo dei processi di auto-organizzazione di tali sistemi. Propriocome nel caso balinese, la difficoltà più grande è forse riconoscere l'esistenza, se nonproprio di reti adattative già completamente realizzate, degli elementi che nel tempopossono portare allo sviluppo di tali reti. Ciò comporta lo studio delle istituzioni e dellepratiche esistenti, attraverso le quali passa la rigenerazione del capitale sociale.

Il compito di costruire il capitale sociale è sempre mediato dalle strutture socialiesistenti. Non è possibile indurre gli individui a cooperare o rispettarsi l'un l'altrosenza prima prestare attenzione alle istituzioni che costituiscono la società. (Hyden1997: 13)

Il riferimento al concetto di società civile è facilmente comprensibile e collocabile nelmodello di governance emergente in esame. Nonostante le differenti accezioni deltermine e le differenti scuole di pensiero25, sembra essere condivisa l'idea che societàcivile sia «quella parte di società che collega i singoli cittadini con la sfera pubblica»(Hyden 1997: 5), a livello locale, nazionale e recentemente anche globale. Il concetto èfondato sull'agentività e l'auto-organizzazione delle persone (Hyden 1997: 4). La societàcivile è concettualizzata come un'arena in cui il libero associazionismo permette aicittadini di contribuire alla creazione del capitale sociale attraverso il proprio impegnosociale. È una «complessa rete di pratiche economiche, sociali e culturali basate suamicizia, famiglia, mercato e associazione volontaria», che si posizionano in un certosenso tra i domini delle istituzioni governative e del mercato competitivo (Hyden 1997:5, 18, 27). In tutte le differenti tradizioni, al di là delle tante questioni ancora aperte,«[…] si ritiene che investimenti in capitale sociale e società civile siano necessari perraggiungere la democrazia e, di conseguenza, lo sviluppo» (Hyden 1997: 4). Sviluppoche è possibile leggere come sviluppo sostenibile se si considera che tra le correntiideologiche principali della società civile – specialmente nel recente emergere della

25 Si veda Goran Hyden (1997) per una tipologia delle interpretazioni del concetto di società civile e Kaldor (2003) per una tipologia delle interpretazioni del concetto di società civile globale.

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società civile globale attorno alla proposizione di alternative all'organizzazione neo-liberista (Chesters 2004) – ci sono anche l'ecologia e la sostenibilità.

La società civile così intesa, specialmente nell'accezione «massimalista»26, è quindil'arena ideale per lo sviluppo di sistemi di apprendimento basati sulle comunità dipratiche e sulle reti di governance. Anche in questo campo tuttavia le strutture e iprocessi chiave rischiano di rimanere invisibili. L'appello al design di strumenti emetodi per sostenere l'auto-organizzazione nei sistemi di apprendimento socialeorientati alla sostenibilità indica quindi principalmente la costruzione strumenti e metodiche rendano visibile lo stato di sviluppo di tali sistemi, in modo da instaurare deifeedback (retroazioni) attraverso cui poter comprendere i risultati delle azioni digestione, e quindi permettere l'apprendimento.

Questo appello è condiviso da molti osservatori nel mondo accademico e nellasocietà civile. Paul Hawken, un esempio della seconda categoria, ha sostenuto con forzal'importanza di considerare come un unico movimento plurale, atomizzato eppureconnesso, l'insieme di tutte le organizzazioni della società civile che nel mondopromuovono la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale. Nel suo libro Moltitudineinarrestabile si fa riferimento fin dal sottotitolo (Come è nato il più grande movimentoal mondo e perché nessuno se ne è accorto)27 al fatto che tale movimento continui adessere invisibile. I motivi risiedono nell'inadeguatezza dei nostri strumenti concettuali(parole, categorie, modelli) nel cogliere le caratteristiche complesse di un talefenomeno, tanto che persino il termine “movimento” fallisce nel tentativo (Hawken2007: 11).

Il movimento non si adatta perfettamente a alcuna categoria nella società moderna,e ciò che non può essere visualizzato non può essere nominato. Negli affari, ciò chenon è misurato non viene gestito; nei media, ciò che non è visibile non vieneriportato. (Hawken 2007: 15)

Reti come questa (senza un leader identificabile, senza un'ideologia specifica, checonnettono organizzazioni senza che vi sia un'adesione formale, e così via) sonoinvisibili non solo agli osservatori esterni, ma anche in gran parte agli agenti, gli attorisociali che ne creano le connessioni.

Anche le persone all'interno del movimento possono sottovalutarlo, basando il lorogiudizio solamente sulle organizzazioni con cui sono connessi, sebbene le loro retipossono comprendere solo una frazione del tutto. (Hawken 2007: 3)

26 Hyden identifica due posizioni in base alla questione su quali associazioni costituiscano la società civile. La «posizione minimalista» tende a comprendere soltanto le associazioni «che sono esplicitamente politiche o civiche nel senso di promozione delle norme della democrazia». La «posizione massimalista» tende a comprendere qualsiasi organizzazione che contribuisca a creare capitale sociale, giocando «un importante ruolo nella creazione di fiducia e quindi di cooperazione» (1997: 15).

27 Come spesso succede, la traduzione non dà conto delle sfumature dell'originale. Il sottotitolo originale recita How the Largest Movement in the World Came Into Being and Why No One Saw It Coming.

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Ciò dipende dalla visione posizionata e quindi limitata che ognuno costruisce in basealla propria conoscenza ed esperienza. I partecipanti ad un sistema di apprendimentosociale si costruiscano inevitabilmente un'immagine del sistema emergente man manoche prendono consapevolezza della propria partecipazione e posizione.

Mentre noi (e per estensione le nostre comunità) negoziamo la nostrapartecipazione in sistemi più ampi, abbiamo bisogno di dare un senso sia al sistemache alla nostra posizione in esso. (Wenger 2010a: 184)

La capacità di «immaginazione» è uno dei tre «modi di identificazione» evidenziati daWenger, insieme a «engagement» e «allineamento». L'engagement è il modo più direttodi relazionarsi ad una pratica, «impegnandosi in attività, facendo cose, lavorando da solio insieme, parlando, utilizzando e producendo manufatti». Per rendere efficacel'engagement è sempre necessario un determinato livello di allineamento al contesto,«facendo in modo che le attività siano coordinate, che le leggi siano seguite, o che leintenzioni siano comunicate». L'immaginazione permette di creare un'immagine delmondo mentre ci impegniamo in esso. Queste immagini (o modelli) ci servono per«localizzarci e orientarci, per vedere noi stessi da una prospettiva diversa, per rifletteresulla nostra situazione, e per esplorare nuove possibilità». «[S]ono essenziali per lanostra partecipazione nel mondo sociale» (Wenger 2010a: 184).

In ultima analisi è sulla capacità di immaginazione dei partecipanti alle comunità ealle reti di questo complesso sistema di apprendimento civico globale che si puòlavorare con i metodi e gli strumenti della scienza della complessità. Nella visione diquesti autori e autrici (Hawken, Snyder, Wenger, Ostrom, Lansing) la partecipazionedelle varie organizzazioni alla società non può essere soltanto quella di “portatori diinteressi in un'arena competitiva”, ma deve diventare sempre di più quella di utenti dibeni comuni o partecipanti a comunità di pratiche, legittimati ad utilizzarne le risorse econtemporaneamente a gestirne la cura e il rinnovamento. Il livello sistemico (inteso insenso relativo, dalla piccola comunità alla rete globale) è visto da questi autori comeluogo di cooperazione. Ciò individua una profonda trasformazione nel modo di pensarealla governance sostenibile in termini di partecipazione di una moltitudine di soggettidiversi. La sostenibilità non è più l'ambito esclusivo di politiche governative e non puòessere lasciata alle dinamiche di mercato della green economy. Il loro impegno comericercatori è quindi indirizzato a comprendere i meccanismi di tale cambiamento e aprodurre risultati scientifici in grado di supportarlo.

La sfida di progettare e sviluppare intenzionalmente e sistematicamente il mondocome un sistema di apprendimento deve essere un movimento sociale globale,diverso e interconnesso. Questo movimento sociale non riguarda semplicementel'advocacy; né si tratta di una rivoluzione politica. Piuttosto, riguarda latrasformazione della coscienza civica – un modo di pensare alla governance comead un processo di action-learning, un ruolo per gli attori civili di tutti i settori, unprocesso che colleghi il locale e globale in modi chiari e concreti. E dipende,fondamentalmente, dal fatto che gli individui trovino un modo per partecipare alivello locale – che ciò significhi una comunità di luogo, di pratica o entrambe – un

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Sistemi complessi e approccio antropologico

modo che dia loro accesso all'intero sistema di apprendimento (Snyder e Wenger2010: 124).

In questo capitolo ho presentato il discorso teorico che sostiene questa visione in cui laricerca scientifica ha la capacità di sperimentare modelli (intesi sia come strumenti concui allenare la capacità immaginativa che come immagini) di governance dei sistemisocio-ecologici adatti alla complessità del mondo contemporaneo e necessari alla sfidadella sostenibilità. Lo sviluppo di tali modelli può essere studiato e sperimentato ininnumerevoli circostanze. «Possiamo iniziare dovunque ve ne sia l'opportunità, l'energiae dove esistano le connessioni» (Snyder e Wenger 2010:123). La ricerca che esporrò neiprossimi capitoli si basa sul fieldwork condotto nell'ambito di una rete di organizzazionidi società civile radicate nella città di Verona. L'occasione si è presentata dunque in unfieldwork per me vicino. Sono entrato in contatto con alcune persone di questeorganizzazioni in un periodo in cui si stavano domandando come fosse la rete di cuisono parte – ma che “non riuscivano a vedere” – ed ho colto l'opportunità per“sperimentare” (Ingold 2011:15) o “esplorare” (Hannerz 2006: 36) insieme a loro unmetodo per tentare di comprendere questa rete.

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Capitolo 2

Caso studio e metodologia

Il fieldwork costruito sul caso studio introdotto al termine del capitolo precedentecostituirà la fonte primaria dei materiali per l'analisi e per la scrittura. Inizio quindi conle coordinate generali del fieldwork, con la descrizione della genesi della ricerca el'esplicitazione del mio posizionamento. Ciò mi permetterà di introdurre il concetto dicollaborazione, filo conduttore di questo capitolo. Partendo dalla riflessione teoricadisciplinare sul metodo collaborativo, illustro il rapporto instaurato con gli interlocutorisul campo, in particolare in riferimento alla co-teorizzazione della ricerca, allacollaborazione nella raccolta dei dati ed nel processo di restituzione.

Fieldwork di una rete

Processi e soggetti in campo

I soggetti del campo sono i membri di alcune organizzazioni della società civile locale,situate ed operanti prevalentemente nella provincia di Verona. Il focus della ricerca nonè una singola organizzazione, ma la rete emergente dalle interazioni tra organizzazionidiverse; in altri termini, il sistema di apprendimento sociale emergente, costituito dalla“comunità di comunità di pratiche” delle singole organizzazioni della società civilelocale. Per spiegare come sia possibile praticare un fieldwork “di una rete” e che cosasignifichi, è necessario prima liberare il terreno da alcuni impedimenti concettuali chepossono ostacolare il ragionamento sul contesto della ricerca, la “società civile”.

Il concetto di società civile è difficile da definire in senso univoco. Come anticipatonel capitolo precedente, diversi autori differiscono nella definizione dei limiti delconcetto, nel considerare l'appartenenza di specifici soggetti, e nel considerare le radicifilosofiche e politiche, i valori e persino le pratiche di base. Possono quindi essereconsiderati appartenenti alla società civile, di volta in volta, soggetti for-profit oppurenonprofit, democratici, ma anche parzialmente autoritari, orizzontali ma anchegerarchici, che lavorano esclusivamente a livello di opinione pubblica oppure che fannolavori pratici, e così via.

Questa disomogeneità delle interpretazioni si accentua ulteriormente quando sitengono in considerazione le diverse forme e storie locali di società civile, specialmenteaprendo lo sguardo verso i contesti non occidentali o i contesti di cooperazioneinternazionale (Hann e Dunn 1996; Glasius, Lewis, e Seckinelgin 2004). Nonostante ilfocus della mia ricerca non sia il concetto di società civile (una etnografia della societàcivile locale) quanto invece le interazioni tra alcune organizzazioni e persone che ne

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Caso studio e metodologia

fanno parte (l'etnografia di un esperimento di auto-rappresentazione condotto all'internodi e insieme a questi soggetti)1, l'indeterminatezza e la polisemia del termine ne fannoun concetto problematico da utilizzare operativamente nell'orientare l'indagine sulcampo: quali organizzazioni considerare? Sono state quindi necessarie alcune sceltemetodologiche che intendo precisare fin da subito.

Innanzitutto ho utilizzato un'accezione generale, massimalista (Hyden 1997: cap. 15)e relazionale (Donati 2007; Stanzani 1998) del concetto. Nonostante i diversi modi incui la società civile si può manifestare, in generale sembra esserci un ampioallineamento nel considerare all'interno del concetto le esperienze di azione collettiva incui i partecipanti cercano di migliorare la società in cui vivono (Edwards 2009). Questotipo di inquadramento pone da subito l'accento sull'aspetto sociale/relazionale, più chesulle qualità individuali delle organizzazioni (ad esempio la categoria giuridica, o ilgrado di democratizzazione dei processi decisionali interni e così via).

Anche un'azienda che opera attraverso i consueti mezzi del mercato economico, adesempio un negozio locale di frutta e verdura, può partecipare a pieno titolo in relazionidi società civile se aderisce ad un progetto in collaborazione con altri soggetti per unobiettivo sociale. Un esempio di questo tipo tratto dal mio fieldwork potrebbe essere ilprogetto “Biosol” (biologico e solidale), che prevede la costruzione di una rete dicommercializzazione locale di prodotti biologici a prezzi contenuti. In questo casol'aspetto politico, civico e sociale dell'impresa sta nel tentativo di creare un mercatointerno, per un target di potere d'acquisto medio, di prodotti che le normali dinamicheStato/mercato spostano sull'esportazione e su un target più alto.

Il mercato sociale locale del biologico, nell'intento dei suoi promotori, ha l'obiettivodi contribuire all'accorciamento della filiera, con benefici per l'ambiente (menoinquinamento da trasporti); per l'economia locale (meno intermediari appartenenti allagrande distribuzione); per l'equità (il risparmio dato dall'accorciamento della filieraviene reinvestito per offrire un prezzo più alto ai produttori e più basso ai consumatori);per la creazione di capitale sociale allargato (poiché la consegna non viene fatta adomicilio personale, ma presso gruppi di acquisto, che il progetto contribuisce a creare,oppure attraverso mercatini locali temporanei); e così via. Come si può notare unprogetto di questo tipo è fondamentalmente pubblico negli obiettivi, ma poiché vienepromosso e messo in pratica da soggetti privati (associazioni di promozione sociale,associazioni di produttori e di contadini, aziende agricole, negozi di frutta e verdura,gruppi di acquisto solidale, cooperative di servizi, altre associazioni e gruppi informalidi cittadini), ricade nel settore dell'azione collettiva. Non solo, creando esternalitàpositive e capitale sociale al di là della promozione dell'interesse personale deipartecipanti, rientra nelle pratiche della società civile.

1 Sulla differenza tra etnografia di un fenomeno o di un ambiente sociale ed etnografia di un esperimento condotto all'interno dell'ambiente, in collaborazione con altri attori sociali, si veda il progetto etnografico condotto da Douglas Holmes, discusso in Holmes e Marcus (2008: 94–95). Approfondisco il concetto di etnografia collaborativa e sperimentale a p. 76.

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Capitolo 2

L'accezione relazionale e massimalista del concetto di società civile, se risolve ilproblema della definizione della “natura” dei soggetti, accentua il problema dei confini.Ad esempio, muovendosi verso i settori del mercato e dello Stato, fino a che puntoarriva la società civile? Per rendere operativo il concetto di società civile è statonecessario quindi riconoscere come esso venga usato nei termini di una categoriaprototipica e fuzzy. Secondo l'approccio dei prototipi (Rosch e Lloyd 1978) e delpensiero fuzzy (Kosko 1995 [1993]) – entrambi largamente utilizzati in antropologia(Borofsky 2000: cap. 410–411 [1994]; Piasere 1998) – molte categorie vengonodefinite, nel loro uso, in base a gradienti di rappresentatività piuttosto che in base ad unalogica binaria. Queste categorie appaiono quindi come aggregati o “nuvole”: vicino alnucleo centrale vi sono i riferimenti prototipici, la cui appartenenza alla categoria èindiscussa; man mano che ci si allontana dal nucleo, l'appartenenza dei casi specificialla categoria diviene più discutibile e oggetto di negoziazioni.

Per quanto riguarda la categoria di società civile, al centro vi sono i casi diassociazioni di volontariato che si prefiggono scopi di promozione di valori “civici”come la tolleranza, il rispetto dei diritti umani e la sostenibilità, organizzando campagnemediatiche, dibattiti, convegni, spettacoli di sensibilizzazione. Spostandosi versol'esterno si possono trovare forme meno tipiche, come organizzazioni nonprofit i cuimembri sono dipendenti stipendiati; organizzazioni for-profit che però non perseguonoil profitto come fine principale; organizzazioni le cui attività sono meno informative odiscorsive e più operative o pratiche; gruppi di persone che non costituisconoassociazioni formali; gruppi che non utilizzano nemmeno il concetto di società civile neipropri discorsi di auto-definizione (e preferiscono ad esempio quello di cittadinanzaattiva). Si possono trovare persino enti pubblici, quando si comportano come soggettipartecipanti in progetti di azione collettiva (in Italia si veda il caso della Rete deiComuni Virtuosi2, un'associazione di società civile i cui soggetti sono amministrazionilocali); e anche singoli cittadini facoltosi che partecipano alla società civile attraversoforme di filantropia.

Società civile è una categoria fuzzy non soltanto nel discorso accademico, a livello-etico, ma anche nell'utilizzo del concetto sul campo, a livello -emico. Molti deipraticanti della società civile incontrati sul campo definiscono la società civile in terminifuzzy, come concetto ombrello sotto il quale racchiudere una moltitudine di esperienzediverse, che hanno tutte in comune l'essere forme di cooperazione tese ad aumentare laqualità della vita contemporaneamente delle persone direttamente coinvolte e dellasocietà più ampia. In questo modo, ad esempio, vengono spesso associate le esperienzedi società civile con quelle di economia solidale o economia sociale. Per altri queste duecategorie sono essenzialmente distinte perché rimandano a tradizioni di studi differenti ea prototipi differenti. Spesso sul campo ho riscontrato che il termine ombrello più

2 Si tratta di una rete costruita con l'intenzione di diffondere le buone pratiche in materia di sostenibilità(Boschini 2012).

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Caso studio e metodologia

utilizzato è il composto di questi due: «società civile ed economia solidale»3.Altre volte viene preferito come termine ombrello «terzo settore»4. In questo caso si

tratta del termine più diffuso nel linguaggio istituzionale nei discorsi sul welfare mix.Proprio per questo suo uso normativo, “terzo settore” perde la connotazione dispontaneità che invece “società civile” mantiene. Società civile è il campodell'agentività dei cittadini. Sia per i membri più attivisti delle associazioni di societàcivile che vengono definite grassroots, «movimenti dal basso»5 (con una spiccataconnotazione politica), che per gli utenti-gestori di beni comuni (ad esempio uncomitato di gestione di un parco), che negli altri casi di libero associazionismo conrisvolti politici meno apparenti (ad esempio gruppi di lettura e promozione dellapoesia), la società civile si connota come l'arena in cui chiunque può prenderel'iniziativa ed agire direttamente nella sfera pubblica, senza aspettare di essereautorizzato, riconosciuto o rappresentato da “altri”. Questo assetto costituisce ilcarattere bottom-up della società civile. “Terzo settore” invece è un termine piùistituzionale, può tornare utile come categoria generica, ma difficilmente vieneutilizzato in contesti di auto-definizione6.

Altre volte ancora vengono preferiti altri termini e perifrasi, utilizzati sia comecategorie ombrello, sia come concetti specifici. Tra questi ho osservato sul campol'utilizzo di “cittadinanza attiva”, “attivismo”, “volontariato”, “associazionismo”, “ilmondo dei beni comuni”, “il mondo del sociale”, “il mondo dell'alternativa”,“decrescita”, “società civile organizzata”, “imprenditoria sociale”, “il nuovo pubblico”,e così via, comprese varie combinazioni di essi. Nonostante le tante varianti, societàcivile sembra essere il concetto più generico, nonché il più diffuso a livello locale edinternazionale, ed è a questo livello generico che viene mantenuto in questa ricerca.

Ciononostante la scelta del termine “società civile” non è priva di controindicazioni.Come gli altri candidati si tratta comunque della scelta di un termine che ha significatispecifici in alcuni domini e tradizioni di studi (ad esempio nella tradizione hegeliana),per cui può generare fraintendimenti. In modo più rilevante è un terminescientificamente debole e discutibile perché troppo marcato in senso “positivo”, laddove

3 Quella di utilizzare termini composti è una prassi diffusa. Ad esempio, è visibile anche nel tentativo di rendere esplicita l'intersezione dei settori di commercio equo-solidale, economia sociale, ecologia ed ambientalismo, che risultano nell'aggettivo «eco-equo solidale» utilizzato per caratterizzare il festival organizzato da “Naturalmente Verona – Arcipelago Scec”, una delle associazioni al centro della mia ricerca.

4 La bibliografia sul terzo settore evidenzia come anche questo termine presenti una struttura fuzzy, dove il prototipo è costituito da organizzazioni nonprofit che si occupano di servizi alla persona all'interno di pratiche di welfare mix (Bulsei 2010: 94).

5 Nella mia esperienza di campo ho assistito all'utilizzo del termine «movimenti dal basso» soltanto da parte di “Mag Verona”.

6 Ad esempio, il progetto di un portale web per dare visibilità alle organizzazioni della società civile e dell'economia solidale di Verona nella sua fase iniziale era stato nominato «Portale del Terzo Settore», quando in nessuna delle due organizzazioni promotrici viene utilizzato il termine terzo settore in discorsi informali per definire la propria organizzazione. Nella prima (Mag Verona) i membri utilizzano preferenzialmente «economia sociale»; nella seconda (Naturalmente Verona) «società civile» e «economia solidale».

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Capitolo 2

l'aggettivo “civile” diviene facilmente origine di opposizione a ciò che di volta in voltaviene considerato “incivile” e nasconde in questo modo gli aspetti più “oscuri”dell'agire sociale cui le organizzazioni e le persone coinvolte non sono affatto immuni.Per restare all'interno dell'aspetto relazionale centrale per la mia ricerca, cito tra ledinamiche negative cui la società civile è sensibile il familismo e il clientelismo, comeesempi più oscuri, e il più semplice “dilettantismo” e il “pressapochismo”, come esempipiù blandi. I primi fanno capo al problema dell'esclusione sociale, i secondi allamancanza di professionalità. In generale si deve tenere presente che i riferimenti aiconcetti di etica, relazionalità e fiducia, diffusi nei discorsi della e sulla società civilenon eliminano la presenza degli aspetti di lotta, coercizione, scontro, diffidenza,anch'essi caratteristici delle relazioni di società civile.

[…] non possiamo permetterci di tralasciare alcune interpretazioni negative ecritiche del moderno concetto di società civile. […] Sarebbe sbagliato, oltre cheprofondamente ingenuo, infatti, ridurre la sfera sociale a luogo esclusivo di eticitàpolitica e di consenso razionale. Essa è anche, e, talvolta, soprattutto l'arenahegeliana del conflitto particolaristico e del dissenso di identità non fluidificabili.La pratica comunicativa intersoggettiva rischia così di apparire un modelloinsufficiente: la società civile non è riconducibile esclusivamente ad un agireorientato all'intesa; essa è pure lo spazio di specifiche relazioni strategiche e diinevitabili dinamiche coercitive. (Cini 2012: 69)

C'è implicito nella categoria di “società civile” un pregiudizio che vede nelleorganizzazioni non statali o non di mercato un “di più” che è problematico.Paradossalmente le imprese commerciali e gli enti statali possiedono, in diversa forma,la capacità di superare le dinamiche di scontro (in particolare le motivazionipersonalistiche) che si possono creare nei contesti di collaborazione, riducendo gliaspetti umani alla questione economica, nel caso delle prime e alla questioneburocratica, nel caso dei secondi. In questo modo è possibile, nel primo caso,concludere un affare con un “avversario” fintantoché se ne possa ricavare un guadagno,nel secondo, concludere una procedura sulla base della legislazione. Le organizzazionidi società civile, da questo punto di vista, sono più complesse.

Sono dunque consapevole dei limiti della mia scelta, che motivo esclusivamentecome tentativo di utilizzare un termine ombrello in grado di centrare la categoria fuzzyche va dalle esperienze di economia solidale a quelle di cittadinanza attiva, dalvolontariato all'impresa sociale. In questo modo la mia intenzione è di spostarel'attenzione dalla natura dei soggetti alle interazioni tra i soggetti all'interno del campofuzzy. L'aspetto relazionale del concetto è centrale perché, come è stato evidenziato damolti osservatori, soltanto quando le organizzazioni della società civile sonointerconnesse tra loro formando una rete, esse riescono a produrre capitale sociale per lasocietà; soltanto quando le diverse comunità di pratiche interagiscono ai confini,riescono a generare l'apprendimento.

La bibliografia sugli aspetti strutturali del capitale sociale evidenzia unafondamentale differenza tra i legami verso l'interno di una comunità, che accumulano

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Caso studio e metodologia

capitale sociale bonding, e quelli verso l'esterno, che producono capitale socialebridging (Granovetter 1973; E. Ostrom 2009). Nei casi in cui si sviluppa soltanto ilprimo tipo di capitale sociale, i gruppi sociali sono coesi, ma tendono a chiudersi e adisolarsi. Una società che fosse costituita soltanto da gruppi di questo tipo sarebbeframmentata. Mentre se le persone sono libere di instaurare legami anche al di fuori delproprio gruppo, o di appartenere a più comunità (multi-membership), il risultato è unaserie di comunità parzialmente sovrapposte in modo da creare un tessuto connesso(Fukuyama 2001: 9), in grado di favorire la comunicazione necessaria all'emergere dicoordinazione e cooperazione ad ampi livelli, di cui si è discusso nel capitoloprecedente.

Nella teoria delle comunità di pratiche è presente un'analisi del tutto simile, in cui lasituazione più favorevole per l'apprendimento sociale presenta un cuore della comunitàdove esperienza e competenza tendono a coincidere formando una profonda expertise,mentre verso i confini esperienza e competenza tendono a divergere, lasciando piùspazio all'innovazione. Le esperienze di confine spesso portano i membri di unacomunità a sperimentare e apprendere competenze diverse, che possono poi riportarenella propria comunità, introducendo novità (Wenger 2010b: 127).

Se competenza ed esperienza sono troppo vicine, se corrispondono sempre, non èprobabile che si verifichi molto apprendimento. Non ci sono sfide; la comunitàperde il suo dinamismo e la pratica è in pericolo di diventare stantia. Anche in casocontrario, se esperienza e competenza sono troppo scollegate, se la distanza ètroppo grande, non è probabile che si verifichi molto apprendimento. Stando seduticon quel gruppo di fisici delle particelle ad alta energia, potreste non impararemolto perché la distanza tra la vostra esperienza e la competenza che stateaffrontando è semplicemente troppo grande. Per lo più ciò che state imparando èche non ne fate parte. (Wenger 2010b: 126)

Né la segregazione e frammentazione totale, né la connessione tra pratiche troppodiverse e distanti, sono assetti che possono portare allo sviluppo dell'apprendimento. Cidevono essere scambio e inter-comprensione. L'apprendimento avviene soltanto quandole pratiche dell'interno e le sperimentazioni verso l'esterno sono in una rapporto ditensione creativa.

Sono caratteristiche relazionali come quelle presentate che ho posto quindi al centrodell'osservazione del fieldwork. Questa lunga digressione sull'utilizzo operativo sulcampo del concetto di società civile è necessaria anche per spiegare l'aspettometodologico e pratico dell'individuazione dei soggetti della ricerca, il quale è avvenutoper “iterazione concreta” (Olivier de Sardan 2009 [1995]: 40) e tenendo conto dellapercezione emica di appartenenza alla società civile locale intesa come comunità dipratiche.

Nelle indagini etnografiche non si parte con un elenco degli interlocutori daintervistare. Spesso non c'è un campione predefinito. Al contrario, si inizia dalleoccasioni che si presentano sul campo, interagendo con alcune persone, e poi saranno

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Capitolo 2

queste ad indicarne altre che possono essere coinvolte nella ricerca7. Oppure ilricercatore incontra altre persone mentre partecipa ad attività ed eventi. In questo modonell'inchiesta sul campo «si riflettono le reti “reali” dell'ambiente studiato» (Olivier deSardan 2009: 40 [1995]).

Le persone della ricerca sul campo non sono persone lontane dalle loro condizioniconcrete di esistenza, dalle loro affiliazioni personali, di famiglia o di clientela, deiloro modi di socializzare (a differenza dell'inchiesta con persone a campione, cheper definizione e per necessità sono rappresentative di variabili astratte estandardizzate). L'inchiesta sul campo si adegua ai diversi circuiti sociali locali,alla loro complessità, ai loro legami, alle loro distorsioni. Non ha niente di lineare.(Olivier de Sardan 2009: 40 [1995])

L'iterazione è un procedimento complesso e non lineare, e il campo risultante è in uncerto senso un fenomeno emergente. Il campo non è preesistente; emerge dalleinterazioni tra il ricercatore e gli altri soggetti incontrati. Ciò rende il risultato ad uncerto livello imprevedibile e parzialmente fuori dal controllo del ricercatore. Anche lasocietà civile è un fenomeno emergente, che nasce dall'interazione tra le organizzazioniche la costituiscono, ed è per questo che il fieldwork etnografico è un metodoappropriato per lo studio di tale fenomeno. Come tipicamente accade nell'ambito dellacomplessità e in quello dell'antropologia, la rappresentazione del campo di questaricerca restituisce quindi un'idea e un'ampiezza della rete della società civile veroneseche dipendono significativamente dalle condizioni iniziali (la genesi della ricerca e lerelazioni che mi hanno portato ad individuare questo campo) e dall'interazione tra isoggetti (il ricercatore e le persone che durante lo svolgimento hanno partecipato ecollaborato al design o allo svolgimento della ricerca). Proseguo quindi conl'esplicitazione di queste componenti.

Posizionamento sul campo e genesi della ricerca

L'esplicitazione della genesi della ricerca è utile per mettere a fuoco il mioposizionamento come ricercatore in riferimento al contesto. Inizio dalla località. Illavoro di campo si è svolto prevalentemente nei luoghi dove avvengono le pratiche delleorganizzazioni con cui sono venuto a contatto: uffici, sale conferenze, sedi diassociazioni, aule didattiche, stanze nella case private che qualcuno mette a disposizioneper una riunione, la sala stampa del municipio, aree adibite ai festival, e così via; nelleabitazioni private o nei luoghi di lavoro di alcune persone con cui sono entrato inrapporto più stretto; e in luoghi di ritrovo pubblici, come bar e ristoranti.

Anche se non si tratta di luoghi in senso tradizionale, molte delle conversazioni piùimportanti sono avvenute durante gli spostamenti in auto per raggiungere i luoghinominati (ad esempio per andare alle riunioni) grazie ai passaggi che ho offerto e piùfrequentemente mi sono stati offerti. Lo stesso, con minore frequenza, vale per gli

7 Nel mio caso sono stati spesso i membri delle organizzazioni con cui entravo in contatto ad indicarmialtre organizzazioni appartenenti alla società civile.

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Caso studio e metodologia

spostamenti a piedi in compagnia degli interlocutori. Oltre a questi luoghi fisici, mobilio immobili, sono divenuti rilevanti per frequenza ed intensità gli scambi attraversoluoghi virtuali e mezzi di comunicazione contemporanei: telefonate, email, e socialnetwork.

La maggior parte di questi luoghi e scambi sono situati all'interno del territorio dellacittà di Verona e, ad eccezione della sede di una cooperativa agricola, l'ambiente delfieldwork è cittadino. Come ho anticipato si tratta di un campo “vicino” perché Verona èla città dove sono nato. La mia conoscenza del campo pregressa all'avvio della ricercaera quindi elevata, anche se, per essere precisi, sono cresciuto in un piccolo paese dellaprovincia, in un ambiente decisamente contadino. Questo particolare mi ha permesso, avolte, di far valere più o meno la mia posizione di insider, a seconda del peso delladinamica centro/periferia nei vari contesti. Ad esempio, in presenza di persone che,marcando la propria identità contadina, assumevano atteggiamenti di leggeraopposizione verso i modi di fare dei “cittadini”, è tornato utile precisare la miaprovenienza periferica.

In modo più rilevante questa distanza tra centro e periferia è emersa nel fieldwork inquanto con quasi nessuno dei soggetti della ricerca avevo un legame preesistente. Seavessi scelto come campo il mio paese d'origine, i legami forti di parentela o di amiciziacon me o con i miei familiari avrebbero inevitabilmente marcato la mia identità e diconseguenza influenzato la ricerca. In un tale contesto sarei sempre stato “il figlio di”prima di qualsiasi altra connotazione identitaria. Ciò avrebbe decisamente aumentato lasovrapposizione tra le relazioni del fieldwork e le relazioni personali pregresse. Invece,non senza una mia certa sorpresa, la rete di relazioni che ho costruito sul campo si èrivelata quasi completamente separata dalla mia rete personale preesistente, fattaeccezione fondamentalmente per un legame ponte tra le due cerchie, rappresentato damio fratello.

Questa separazione è dovuta inoltre al fatto che precedentemente al dottorato hofrequentato l'università a Venezia, e non a Verona. In caso contrario avrei avuto moltepiù occasioni di entrare in contatto con la società civile locale perché i legami di questacon l'Università di Verona sono molteplici. Questi legami sono dovuti all'appartenenzadi persone ad entrambe le comunità (studenti, ricercatori e professori che partecipanoanche ad organizzazioni della società civile); alla presenza di discorsi e linguaggicomuni, come ad esempio la riflessione sull'economia solidale (Bertell et al. 2013b), sucivismo, terzo settore e società civile (Di Nicola, Stanzani, e Tronca 2010), sul pensierodella differenza (Diotima 1987; 1990; 1996), e così via; ad eventi ed incontri in cui sitrovano membri delle due comunità (si veda il ciclo di conferenze “Economie, Lavoro eBenessere in una società in transizione”8); e alla collaborazione tra dipartimentiuniversitari e organizzazioni della società civile sulla base di specifici progetti

8 Queste conferenze, organizzate dal gruppo di ricerca “Unimat”, formato da esponenti della società civile e da personale dell'Università, si avvicinano all'accezione di «para-siti» sul modello del Center for Ethnography della Università di Irvine, seguendo la riflessione di Holmes e Marcus (2008: 96) .

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Capitolo 2

collaborativi (ad esempio la partecipazione del Dipartimento Te.S.I.S. “Tempo SpazioImmagine e Società” al progetto di recupero dell'area del lazzaretto di Verona ad operadel F.A.I. “Fondo Ambiente Italiano”; oppure alcuni dei progetti co-finanziatidall'ateneo veronese nell'ambito del programma Joint Project, ad esempio i duecoordinati da Anna Paini – docente di antropologia culturale presso il DipartimentoTe.S.I.S – sul tema del turismo responsabile9).

Ognuno di questi casi trova diretta corrispondenza nella tipologia di “ponti tracomunità” definiti nella teoria delle comunità di pratiche in relazione al concetto deiconfini (Wenger 2010b: 127–130). I joint projects in particolare sono un esempioemblematico di incontro tra le comunità di pratiche dell'accademia e del “territorio”.

Il Bando Joint Projects ha l'obiettivo principale di unire università, impresa eterritorio in progetti di ricerca collaborativa, allo scopo di incentivare, attraversorisorse derivanti dal bilancio universitario, la realizzazione di iniziative di ricerca dibase, ricerca industriale e sviluppo precompetitivo di interesse sia per l'Universitàche per le aziende, gli enti e le altre realtà territoriali. (“Joint Projects - ProgettiUniversità Imprese” 2015)

«Territorio» è un termine ampio con cui vengono indicate le realtà (in particolareimprenditoriali, ma non solo) che mostrano nel loro agire un'attenzione verso ilbenessere allargato al territorio. Queste possono includere realtà della società civile, inparticolare dell'impresa sociale, come nel caso dei progetti coordinati da Paini (2011:cap. 11).

Tra le due comunità si instaura un rapporto reciproco, come osservato da Gian PaoloRomagnani (direttore del dipartimento Te.S.I.S) nella prefazione del volume cheraccoglie i contributi del seminario conclusivo del progetto “Verso la costruzione di unarete locale di turismo responsabile: un approccio antropologico”.

[…] dal territorio è venuta una domanda forte e chiara cui l'Università ha saputorispondere con precisione e concretezza non disgiunte da fantasia. (Romagnani2011: 7)

Il progetto infatti è stato avviato «su proposta del territorio», «che ha privilegiato undipartimento di scienze sociali, volendo quindi dare a questo progetto di ricerca untaglio innovativo» (Paini e de Cordova 2011: 9). L'innovazione in questo tipo dipratiche risiede soprattutto nel fatto che in entrambe le comunità i soggetti coinvoltiassumono come obiettivi del proprio agire non la sola «massimizzazione del profitto»(che andrebbe a rinforzare il modello culturale dello sviluppo economico separatodall'evoluzione generale), bensì una ottimizzazione di diversi aspetti, certamente lasostenibilità economica ma anche «la cura del territorio», «la difesa dei beni comuni»,«il benessere di uomini e donne», «la funzione sociale» (Paini e de Cordova 2011: 9). Èl'esigenza di tenere insieme tutte le dimensioni dell'agire sociale che stimola in queste

9 I due progetti sono “Verso la costruzione di una rete locale di turismo responsabile: un approccio antropologico” (2008-2009) e “Scenari ecosostenibili per un turismo ed un'ospitalità innovativi in Lessinia orientale” (2014-2015).

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Caso studio e metodologia

imprese e progetti sperimentali l'elaborazione di risposte creative e spesso innovativealle sfide della sostenibilità.

Nel fruttuoso rapporto col territorio si evidenzia una dinamica di cura in cui emergeil contributo delle scienze sociali.

Il turismo responsabile e sostenibile […] vuole essere, invece, una rispostaalternativa alla logica consumistica di cui sopra. Una proposta che uniscecompetenze accademiche e saperi imprenditoriali, declinate in maniera nuova, perdimostrare che i saperi umanistici possono contribuire non poco ad affrontare losviluppo economico in maniera più equilibrata, tendendo al miglioramento dellaqualità della nostra vita più che al mero profitto. (Romagnani 2011: 7)

Si tenga presente – per inciso – che è particolarmente all'interno delle scienze dellasocietà che può emergere l'innovazione di cui abbiamo bisogno oggi, cioè quella checontribuisce a migliorare la capacità di adattamento della società. Ciò rientra nel bennoto argomento del rapporto tra scienza e società esposto, ad esempio, da VonBertalanffy. L'approccio sistemico prospetta l'integrazione delle scienze, tuttaviariconosce che la conoscenza non è progredita allo stesso modo nei diversi settoridisciplinari. La conoscenza delle leggi della fisica è elevata, da cui deriva una alquantosviluppata tecnica e tecnologia di controllo della materia inorganica; la conoscenza delleleggi della biologia è meno avanzata, ma sufficiente da permettere un buon livello dellatecnica e della tecnologia applicate alla materia organica; la conoscenza delle leggi dellasocietà umana è invece largamente inferiore e produce una tecnica e una tecnologiaapplicate del tutto insufficienti a gestire le normali attività di organizzazione sociale(Von Bertalanffy 2004: 92 [1967])10.

Se la società civile costituisce quindi un'indiscutibile fonte di creatività per losviluppo e la sperimentazione di modelli alternativi e sostenibili (Hawken 2007),altrettanto si può dire del mondo accademico (e delle scienze sociali in particolare),dove l'innovazione nelle idee e nelle pratiche si incontra con la ricerca sistematica,approfondita e rigorosa. Un enorme potenziale risiede nella collaborazione tra questedue comunità di pratiche, ed è qui che ho cercato di posizionare la mia ricerca e il mioruolo sul campo.

Per concludere la discussione sul mio posizionamento rimane da affrontare il miorapporto con la società civile. Al momento dell'inizio del fieldwork non avevoprecedenti esperienze di affiliazione ad organizzazioni della società civile. Una parzialeeccezione potrebbe essere l'anno di “Servizio Civile Nazionale” svolto presso l'ufficio di“Protezione Civile e Rischi Industriali” del comune di Venezia, anche se in quel caso lastruttura ospitante è un'istituzione pubblica. Tuttavia la Protezione Civile è un'istituzione

10 È lo stesso Bertalanffy a fornire un esempio di questo stato di cose: «Chiunque abbia fatto esperienza di attraversare interi continenti su aviogetti ad altissima velocità, per poi dover trascorrere ore interminabili d'attesa mescolato tra la folla che si ammassa negli aeroporti, può facilmente comprendere come le tecniche fisiche relative ai viaggi per via aerea siano giunte al migliore dei livelli possibili, ma che le tecniche “organizzative” si trovano ancora ad un livello del tutto primitivo»(Von Bertalanffy 2004: 154 [1967]).

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Capitolo 2

complessa in cui soltanto una parte del personale è costituito da dipendenti pubblici, cuisi affianca un gran numero di volontari, impegnati nelle operazioni sul campo. È unesempio di istituzione ibrida. In ogni caso la mia motivazione allora eral'approfondimento della tematica della gestione del rischio, su cui stavo cercando diorientare il mio percorso universitario, e non il volontariato11.

Il mio “primo contatto” con le organizzazioni della società civile veronese èavvenuto quando alcune persone nella mia cerchia delle relazioni più strette12 sonodiventate “attivisti”, cioè hanno iniziato a partecipare attivamente alle attività diun'associazione. Era il 2011, e l'associazione in questione è il gruppo locale dello“Zeitgeist Movement”, un movimento internazionale orientato al conseguimento dellasostenibilità della vita umana sul pianeta, con un focus sull'utilizzo della tecnologiasostenibile. Il 2 dicembre 2011 sono stato invitato ad una conferenza promossa dalgruppo e tenuta da Andrea Tronchin, presidente dell'associazione “NaturalmenteVerona”. Con Andrea condividevo l'interesse per la visualizzazione delle reti, e sullabase di quell'interesse è iniziata una relazione di collaborazione teorica e pratica che èsfociata nel progetto da cui ho sviluppato questa ricerca di dottorato.

Gli elementi che hanno portato alla genesi della ricerca mi permettono di chiarire ilmio posizionamento. Non si tratta di un'indagine da parte di un membro interno allacomunità locale della società civile. Né l'identificazione di un fieldworkgeograficamente vicino è dipesa da una scelta a priori della località. Al contrario, lasignificatività del sito è stata valutata a posteriori rispetto all'ideazione del fieldwork,confrontando precedenti studi sul tema del civismo a Verona (Di Nicola, Stanzani, eTronca 2010). La mia motivazione fondamentale, come esposto nell'inquadramentoteorico del primo capitolo, è la ricerca teorica e pratica sui modelli culturali sostenibilinel nostro periodo storico e sulla sperimentazione sul campo di metodi e strumenti perfavorire un'organizzazione sostenibile della società.

La genesi di questo fieldwork è il risultato della serendipità, di una messa inprospettiva di alcune esperienze che stavo maturando nel corso del 2011-2012. Mi erotrasferito nel Regno Unito per migliorare la conoscenza dell'inglese, dopo essermilaureato con una tesi tra antropologia e analisi delle reti sociali. In quel periodo,rileggendo Verso un ecologia della mente di Bateson (1976 [1972]) sono entrato più inprofondità nello studio dell'approccio cibernetico e sistemico cui ero stato introdotto dalProf. Michele Cangiani. Sono passato alla lettura di Teoria generale dei sistemi di VonBertalanffy (2004 [1967]), il quale nel 1954 aveva fondato la Society for GeneralSystems Research13. Terminato il libro ho scoperto che l'associazione, con il nuovo

11 Al momento non ero nemmeno consapevole dell'esistenza di una sfera della società civile e ho avuto la prima formazione al riguardo proprio grazie alle attività dell'ufficio Servizio Civile, con lezioni sui temi della nonviolenza, dell'obiezione di coscienza, della disobbedienza civile e del volontariato.

12 Si tratta di mio fratello, e del nostro comune amico Federico P. (già coordinatore nazionale di “Zeigeist Italia”).

13 Insieme a Kenneth Boulding, Ralph Gerard, and Anatol Rapoport (“Origin and Purpose of the ISSS” 2015).

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Caso studio e metodologia

nome di International Society for Systems Sciences, di lì a qualche settimana avrebbeospitato la sua 55a conferenza mondiale proprio nell'Università di Hull, nello Yorkshire.Lì ho avuto modo di approfondire l'interesse verso la teoria dei sistemi complessi.All'inizio di marzo 2012 sono partito per un viaggio in Indonesia, dove ho trascorso unpaio di mesi, di cui uno nell'isola di Bali leggendo Perfect Order di Lansing (2006)14 ecercando di vedere con i miei occhi il sistema che descrive nel libro. Ho incontratoAndrea Tronchin a Verona tra il ritorno dal Regno Unito e la partenza per l'Indonesia.Tuttavia, soltanto al ritorno dal secondo viaggio sono riuscito a scorgere il filoconduttore che ha portato a questa ricerca.

Rapporto con interlocutrici/interlocutori e con il contesto

Epistemologia della collaborazione in antropologia

L'aspetto collaborativo del rapporto tra ricercatori e comunità locali sul campo è unargomento plurivalente nella letteratura antropologica. Innanzitutto si nota come, da uncerto punto di vista, la collaborazione sia indicata come «il principio guida della praticae dell'etica della ricerca» etnografica classica (Marcus in Paini e Aria 2012: 87), mentreda un altro, l'aspetto collaborativo sia indicato come il tratto distintivo dellarifunzionalizzazione dell'etnografia contemporanea, attualmente in corso.

La collaborazione è un aspetto importante dei cambiamenti che sta attraversando lascena classica dell'incontro etnografico. Naturalmente, il fieldwork ha sempre avutonatura collaborativa; anzi, uno dei temi cruciali di Writing Culture [Clifford eMarcus 1986] era proprio il tentativo di mostrare come queste condizioni dicollaborazione de facto (piegate e distorte dall'antropologo in relazione ai suoisoggetti), venissero marginalizzate e soppresse nel testo etnografico.

[…] La richiesta attuale di collaborazione come modalità basilare della ricerca èqualcosa di molto diverso rispetto a come la si rappresentava e discuteva nellascena classica dell'incontro etnografico. (Marcus in Paini e Aria 2012: 86–87)

Il passaggio dell'intervista a George E. Marcus mette in evidenza il duplice significatodel termine collaborazione.

Ad un primo livello, quindi, la collaborazione sul campo è una caratteristicacostitutiva e intrinseca del metodo etnografico. Poiché la ricerca antropologica nonavviene sotto copertura15, gli interlocutori sul campo sono al corrente degli intenti deiricercatori e possono quindi scegliere di fornire il loro contributo, cioè collaborare, allaproduzione della conoscenza necessaria alla ricerca. Si pensi al contributo degliinterlocutori nell'insegnamento della lingua nativa, nella raccolta delle tradizioni orali enegli altri aspetti della cultura locale. A questo livello ogni etnografia è collaborativa. Seperò si osservano le condizioni in cui avvengono le specifiche ricerche sul campo, le

14 Il libro mi era stato consigliato da Stefano Balbi durante la preparazione della proposta di progetto “Integrating space and society: an agent-based model for flood risk mitigation in the Venetian mainland", cui ho collaborato su invito del Prof. Renzo Derosas nel marzo 2011.

15 Ad eccezione di alcuni casi particolari (Scheper-Hughes 2004).

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Capitolo 2

cose non sono così lineari. La critica interna alla disciplina si è concentrata su dueaspetti principali, corrispondenti ai due momenti del processo etnografico: sul tipo dicollaborazione implicato nella produzione della conoscenza sul campo, e sullarestituzione della collaborazione nella scrittura etnografica.

In relazione all'etnografia come metodo di ricerca è stato messo in evidenza che lacollaborazione con gli interlocutori difficilmente aveva il carattere di una relazione “allapari”, di una libera scelta da parte degli interlocutori indigeni di collaborare alle ricerchedegli etnografi. I rapporti tra etnografo e interlocutori sul campo erano inscritti inspecifiche e inique relazioni di potere, tipicamente coloniali, che ponevano laconduzione della ricerca e l'interpretazione dei dati completamente nelle manidell'etnografo. I “collaboratori” indigeni non avevano voce in capitolonell'interpretazione e nella rappresentazione delle proprie culture, che venivano quindimantenute in posizione subordinata anche attraverso il paradigma dell'alterità (rispettoall'Occidente) utilizzato dall'antropologia per comprenderle e descriverle (Fabian 2012:444). Da questo punto di vista la complicità e a volte la collaborazione esplicita traantropologia e colonialismo occidentale (Bunzl 2005: 190; Fabian 2012: 440) ha messoin secondo piano quella tra interlocutori ed etnografi sul campo16.

Il concomitante crollo del positivismo scientifico e dell'imperialismo colonialista, icontesti epistemologico e politico in cui l'antropologia si era formata, hanno provocato,a partire dalla fine degli anni Sessanta (Bunzl 2005: 188), una crisi della disciplina cheha portato a profondi cambiamenti nel modo di condurre e concepire il fieldwork (oltreche nella produzione del testo etnografico), in direzione di una più profonda, o più reale,collaborazione. A livello politico l'antropologia è divenuta più consapevole delledinamiche di potere in cui gli incontri sul campo hanno luogo (in particolare nei contesticoloniali e post-coloniali) ed ha assunto una posizione critica sul ruolo politicodell'etnografo. Invece, non sono mai divenute dominanti le posizioni più radicali (siveda Hymes [1972]), le quali richiedevano di «trasformare l'antropologia in una scienzaapplicata» ed «in termini esplicitamente attivisti», concependo per l'etnografo un ruoloetico e politico di advocacy per conto dei gruppi con cui collaborava (Bunzl 2005: 190).

A livello epistemologico, si vedano ad esempio ai contributi di Johannes Fabian(1971, 2000 [1983], 1991), si è affermata una concezione della conoscenzaantropologica come emergente dalle interazioni dialogiche ed interpretative cheavvengono sul campo. Ciò ha restituito l'etnografia al dominio della prassiintersoggettiva ed ermeneutica (Bunzl 2005: 189), attraverso il riconoscimento dellacompresenza e coevità dell'altro nella produzione della conoscenza antropologica

16 Il termine “collaborazione” e i suoi derivati sono carichi emotivamente, e possono attivare frame concettuali più o meno positivi. Fabian, ad esempio, durante il seminario Thoughts about some megathemes in anthropology tenuto il 4 ottobre 2012 per il Dottorato di Studi Storici, Geografici e Antropologici, ha contestato l'utilizzo del termine “collaboratori” riferito agli interlocutori o agli antropologi sul campo, per le assonanze con l'utilizzo del termine “collaborazionisti” nella Germania nazista. Si veda anche Peacock (2008) per una riflessione sull'etica della collaborazione in antropologia, in particolare sull'utilizzo dell'etnografia collaborativa per studiare “verso l'alto”, che implica la collaborazione con soggetti di potere (2008: 173).

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Caso studio e metodologia

(Fabian 2000 [1983]). Impostando sull'interazione comunicativa (Hymes 1972) lapratica del campo, Fabian punta l'attenzione inoltre sul confronto di saperi che avvienetra etnografo e interlocutori. Il confronto, più che la collaborazione, è dunque il concettoepistemologico che meglio rappresenta la costruzione della conoscenza antropologica(Fabian 2012; 2013), lasciando spazio da un lato agli aspetti meno apparentemente“collaborativi”, come la «negoziazione delle differenze nelle interpretazioni» (Lassiter2005a: 94); e dall'altro, nuovamente, alla compresenza e coevità tra etnografo einformatori.

Legata alla critica della collaborazione nel fieldwork, si è sviluppata anche la criticadell'etnografia come genere testuale. Come indicato da Marcus nel passaggio sopracitato, sebbene le ricerche prodotte dagli etnografi beneficiassero dell'aiuto da partedegli interlocutori, spesso le pubblicazioni etnografiche risultanti negavano enascondevano questo aspetto, facendo apparire solamente il ricercatore come soggettodella raccolta dei dati e della produzione di conoscenza. La svolta letteraria innescatadalla “crisi di rappresentazione” messa in evidenza dalle critiche degli anni Ottanta(Clifford e Marcus 1986; Marcus e Fischer 1986) ha prodotto un notevole numero disperimentazioni di scrittura etnografica con l'obiettivo di restituire nel testo il caratteredialogico e collaborativo del fieldwork. La molteplicità di voci presenti sul campo, dacui emerge la conoscenza etnografica, trovava spazio anche nel testo17.

Le posizioni più recenti nella discussione sull'etnografia collaborativa si concentranosu ulteriori elementi. Alcuni mettono in evidenza come la collaborazione sia un trattodistintivo non solo della ricerca etnografica, ma costituisca una tendenza dominantedell'epoca contemporanea, cui l'antropologia si sta adattando (Marcus 2012: 433;Holmes e Marcus 2008).

La collaborazione (o termini equivalenti, come interdisciplinarità), è anche unatendenza predominante promossa dalle forme di sovranità globale e neo-liberista atutti i livelli delle strutture organizzative. La ricerca sul campo deveobbligatoriamente seguire questa cultura dell'organizzazione e mischiarsi ad essa.Vi sono così oggi pressioni da più parti affinché il fieldwork si ridefinisca seguendomodalità di collaborazione. (Marcus in Paini e Aria 2012: 87)

Questa interpretazione è in linea con il modello di governance emergente presentato nelprimo capitolo, dove si mette chiaramente in evidenza l'importanza cruciale dellacooperazione tra diverse istituzioni e comunità per una efficace gestione dei problemidella sostenibilità. Le osservazioni di Marcus mettono l'accento sul cambiamentoprovocato da tale contesto sul tipo di informatori-collaboratori che gli etnografi trovanosul campo.

Via via che il campo è diventato più mobile e multi-situato, i soggetti si sono fattipiù controparti che altri. Il fieldwork finisce per essere coinvolto nelle conoscenzeorganizzate dei suoi soggetti, nelle strategie dei movimenti sociali, delle ONG, dei

17 Questo fermento ha raggiunto il suo apice negli anni Novanta, con sperimentazioni anche eccessive che, seppure sono state abbandonate, hanno raggiunto l'obiettivo di una presa di coscienza generale inantropologia sulla necessità di restituire l'intersoggettività del fieldwork nella scrittura etnografica.

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Capitolo 2

gruppi di ricerca. La metafora chiave dell'incontro etnografico non è più quelladell'apprendista, di colui che impara i fondamenti della cultura nella vita dicomunità, bensì quella del lavorare con vari soggetti attorno a interessi, progetti,idee e problemi reciprocamente condivisi. In altre parole, il soggetto riflessivo èoggi l'unico tipo di attore che l'antropologo incontra e che fa parte del suo stessouniverso intellettuale (o almeno si sovrappone con esso). Il soggetto diventadunque necessariamente il partner del ricercatore, e la metafora dellacollaborazione soppianta quella dell'apprendistato (o altre analoghe). (Marcus inPaini e Aria 2012: 87)

Gli interlocutori cui l'autore si riferisce sono soggetti impegnati nello stesso tipo diriflessione in cui sono impegnati gli etnografi, cioè nel tentativo di «comprendere emappare i modi in cui i propri settori in rapido mutamento si stanno evolvendo» (Rees2010: 158). Questi interlocutori sono «esperti» dei propri contesti socio-culturali, tantoda spingere Holmes e Marcus ad utilizzare il termine «para-etnografi» (Holmes eMarcus 2008: 83, 86, 90).

È evidente che il tipo di lavoro etnografico che si può intraprendere con questo tipodi soggetti è necessariamente collaborativo. La ricerca etnografica si configura quindicome «partnership intellettuale» (Holmes e Marcus 2008: 97) in cui il ricercatorecollabora con altri soggetti riflessivi nella conduzione dei loro progetti di auto-riflessione, centrati sulle loro culture organizzative.

Dalle istituzioni c'è una domanda di ricerca etnografica, non tanto per fornire unarappresentazione oggettiva e preferibilmente favorevole dell'istituzione, ma perpartecipare agli sforzi interni di rivedere gli aspetti chiave delle cultureistituzionali. (Holmes e Marcus 2008: 98)

Il vantaggio principale indicato da questi autori è di poter integrare «l'intelligenzaanalitica e le intuizioni esistenziali» dei collaboratori nel processo dirifunzionalizzazione dell'immaginario e degli strumenti dell'etnografia. In questo modol'antropologia può perseguire il proprio obiettivo di creare modelli di fieldworkcollaborativo che permettano agli etnografi di operare con i propri programmi di ricercaall'interno delle situazioni di collaborazione diffusa, tipiche del mondo contemporaneo(Holmes e Marcus 2008: 85, 86, 95). I progetti para-etnografici, che avvengono incampi intesi come «para-siti» (Holmes e Marcus 2008: 96) e che sono tipicamente (manon solo) settings istituzionali, sono visti quindi come «esperimenti» (Holmes e Marcus2008: 94–95) condotti da para-etnografi, che mettono alla prova framework e«narrative» (Holmes e Marcus 2008: 83) per dare senso ai propri contesti. Le ricercheetnografiche possono essere condotte all'interno di questi esperimenti, maindipendentemente da essi.

Un diverso, anche se largamente connesso, filone di ricerca sull'etnografiacollaborativa concepisce la ricerca come un'impresa esplicitamente cooperativa con lecomunità locali sul campo, un'impresa comune. I soggetti con cui l'etnografo collaborapossono essere anche attivisti o ricercatori locali impegnati nella gestione di concreteproblematiche sociali ed in questo modo l'etnografia collaborativa è spesso (ma non

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Caso studio e metodologia

sempre) anche un'etnografia applicata e attivista (Lassiter 2005a). La collaborazione può estendersi a tutte le fasi e le componenti della ricerca, dalla

concettualizzazione del progetto di ricerca, alla produzione di modelli interpretativicondivisi, alla co-conduzione del fieldwork e della raccolta dei dati, alla co-scrittura, ealla co-azione (Lassiter 2005b: 16; Lassiter e Campbell 2010: 758). I prodotti dellaricerca collaborativa possono essere «testi scritti insieme» (co-authored), «volumicollettanei in cui antropologi e ricercatori locali presentano i loro risultati»,«pubblicazioni scritte per le comunità locali», «oppure testi con singolo autore chericonoscono il contesto collaborativo nel quale sono stati prodotti» (Rappaport 2008: 2).Viene spesso sottolineata l'importanza di tenere in considerazione tra i destinatari, nonsolo il pubblico accademico, ma anche le persone con cui gli etnografi lavorano sulcampo (Lassiter 2005a: 94).

Se questa letteratura si è particolarmente concentrata sulla produzione testuale,nell'ultimo decennio si è aperta all'approfondimento degli aspetti metodologici, cioè di«come i ricercatori apprendono attraverso la collaborazione» (Rappaport 2008: 2).Joanne Rappaport mostra l'importanza della collaborazione nel creare spazi di co-produzione della teoria, un processo che chiama co-teorizzazione.

Per co-teorizzazione, intendo la produzione collettiva di veicoli concettuali cheattingono sia da un corpo di teoria antropologica che da concetti sviluppati dainostri interlocutori; […] Una tale operazione comporta la creazione di formeastratte di pensiero simili in natura e intenti alle teorie create dagli antropologi,anche se sono in parte originate in altre tradizioni e in contesti non accademici.(Rappaport 2008: 4)

La collaborazione permette di creare connessioni (ponti) tra i ricercatori esterni, iricercatori indigeni, e le comunità locali (Rappaport 2008: 11) e «convertire lo spaziodel fieldwork da uno di raccolta dei dati ad uno di co-concettualizzazione» (Rappaport2008: 4). Il focus qui è l'etnografia intesa come engagement in ricerche che siano«equamente produttive […] per l'etnografo professionale e per le comunità» (Rappaport2008: 3).

La co-teorizzazione implica che il controllo della ricerca venga condiviso con icollaboratori (Rappaport 2008: 6), riconoscendo la loro capacità di teorizzare ericonoscendo loro una posizione sullo stesso piano epistemologico di quella deglietnografi (Rappaport 2008: 24). La collaborazione non è quindi soltanto «una sceltamorale» dei ricercatori, per sostenere ed unirsi alle cause delle comunità studiate, ma èanche «una scelta che produce qualità dell'etnografia» (Rappaport 2008: 1), perchépermette un'apertura in grado di rinnovare il dibattito teorico e metodologico delladisciplina, di fornire concetti innovativi e spiegazioni alternative (Rappaport 2008: 19,22) che emergono dal confronto tra i diversi soggetti.

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Capitolo 2

Antropologia e cambiamento sociale

In questa letteratura sulla collaborazione, etnografia e impegno civico sono intrecciatianche attraverso la rifunzionalizzazione dell'“immaginario boasiano”. L'etnografia e ilfieldwork elaborati dalla scuola di Boas rappresentano un'alternativa al metodomalinowskiano, in particolare per la diversa accezione del fondamentale concetto dialterità.

Nel lavoro sul campo di Boas, una separazione epistemologica costitutiva traetnografo e nativo era assente. Certamente Boas ha esercitato varie forme di poteresui suoi informatori. Ma questo potere non è mai stato compreso in termini diprivilegio epistemologico. Dal punto di vista di Boas, né antropologo néinformatore avevano accesso immediato alla storia che egli sperava di ricostruire.In questa situazione, antropologo e informatore erano uniti in una posizioneepistemologica comune nei confronti del vero Altro dell'antropologia di Boas.Questo Altro, in ultima analisi, era la storia che aveva generato la condizioneattuale, una storia che sfuggiva alla descrizione immediata a causa della mancanzadi documenti scritti. (Bunzl 2004: 438 citato in Lassiter and Campbell 2010: 762)

Boas e i suoi studenti erano interessati a scrivere la storia di popoli non ancoradocumentati ed inserirli quindi nella storia più conosciuta, come quella a matriceeuropea. L'oggetto di indagine – la storia indigena – non era conosciuto a priori né daglietnografi né dai nativi. Era il frutto della impresa etnografica collaborativa, il risultatodel fieldwork. Ma se gli altri, gli interlocutori, erano – a livello epistemologico – deicollaboratori (tanto che «Boas era altrettanto soddisfatto nel caso in cui erano i NativiAmericani stessi a produrre i dati etnografici» [Bunzl 2004: 438]), che cosa era dunquel'«Altro»? Come si legge nel passaggio citato, in ultima analisi l'altro era proprio lascrittura della storia indigena, l'elemento di alterità all'interno di una storia dell'umanitàa dominazione occidentale.

L'immaginario boasiano si riconnette ad un'antropologia pubblica, engaged oapplicata18 perché mostra come la conoscenza etnografica prodotta possa innescarecambiamenti sociali positivi attraverso la messa in prospettiva di dinamiche sociali ecomportamentali in cui siamo inseriti e di cui siamo largamente all'oscuro perché sitratta di processi naturalizzati (Boas in Lassiter e Campbell 2010: 762).

Per Boas e i suoi studenti la descrizione etnografica aveva la capacità diraggiungere [le persone/i pubblici] al di là dell'accademia, di cambiare le idee dellagente riguardo sé e gli altri, e in ultima analisi di cambiare la nostra società.(Lassiter e Campbell 2010: 763)

L'antropologia, per la scuola di Boas, non solo si prefigge di raggiungere pubblicidiversi da quello accademico (la comunità locale con cui gli etnografi collaborano, ilvasto pubblico, i decisori politici, e così via [Sabloff 2011]), ma individua una

18 L'antropologia pubblica o engaged e l'antropologia applicata o pratica sono strettamente allineate, e una delle ragioni è proprio il fatto che «traggono ispirazione dalle stesse fonti: Franz Boas, Ruth Benedict, e Margaret Mead sono alcuni degli esempi più citati» (Rappaport 2008: 4). La convergenza tra le varie forme e tradizioni di applicazione della disciplina sta inoltre aumentando sempre di più (Lamphere 2004).

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concezione del sapere antropologico parzialmente diversa rispetto al dominanteimmaginario malinowskiano.

Nell'immaginario malinowskiano, un etnografo affronta e conquista uno stranomondo per costruire una conoscenza dell'umanità; nell'immaginario boasiano, glietnografi collaborano per mobilitare una conoscenza che ci sfida a costruire unmondo migliore. (Lassiter e Campbell 2010: 763)

Il focus si sposta dall'etnografia come metodo di accumulazione della conoscenzaantropologica sull'umanità, alla concezione di progetti etnografici in cui unamolteplicità di attori collaborano per favorire e dirigere il cambiamento sociale epolitico.

L'originalità della mia ricerca consiste nell'integrare gli elementi dell'etnografiacollaborativa descritti in questa sezione con alcuni concetti della scienza dei sistemicomplessi, per adattarli allo schema teorico generale presentato nel capitolo precedente.Dal punto di vista della scienza dei sistemi complessi (in particolare grazie allariflessione della cibernetica) l'etnografo è un osservatore che costruisce un modello delsistema osservato. La natura costruttivista dell'osservazione implica inevitabilmente lapartecipazione dell'osservatore al sistema osservato (Von Foerster 2003: 211).L'osservazione non coglie il mondo com'è, né produce una rappresentazione selettivadella realtà. L'osservatore-partecipante costruisce una realtà-osservata (Keiding 2010:cpv. 78) ed entra quindi indelebilmente a far parte del sistema che descrive. Lapartecipazione è quindi una questione epistemologica prima che etica e politica.

Inoltre l'etnografo si trova ad osservare un sistema multi-agente, in cui ci sono altriosservatori-partecipanti (Von Foerster 2003: 226). Lavorando con interpretazioni diinterpretazioni (Geertz 1998 [1973]), o adottando un metodo più esplicitamentecollaborativo nella costruzione del modello interpretativo (come nella letteraturaprecedentemente ricordata), l'etnografo costruisce una realtà-osservata insieme ad altriosservatori. A prescindere da quanto l'etnografo lo riconosca nella sua produzionetestuale (di cui può anche rimanere il singolo autore), il fieldwork etnografico produceun'osservazione plurale, intersoggettiva.

L'osservazione-partecipante etnografica è di per sé intervento sul sistema studiato.Nel momento stesso in cui l'etnografo cerca di comprendere il sistema di cui entra a farparte, l'osservazione innesca un processo di apprendimento. In questo processo non ècoinvolto soltanto l'etnografo; attraverso la collaborazione nella produzione del modelloe l'engagement con il pubblico (comunità locale, mondo accademico, e così via),l'osservazione etnografica si costituisce come un processo di apprendimento sociale.

L'apprendimento è l'adattamento di un soggetto al suo ambiente e avviene – perdefinizione – attraverso il cambiamento (Bateson 1976 [1972]: 283). È vero dunque chel'osservazione etnografica favorisce il cambiamento sociale, come nella tradizioneboasiana; tuttavia non necessariamente perseguendo direttamente fini specifici (come adesempio aumentare il livello di democrazia in un particolare processo decisionale o

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Capitolo 2

ottenere il riconoscimento di specifici diritti della comunità studiata). L'antropologia èin grado di «cambiare le idee della gente riguardo sé e gli altri, e in ultima analisi dicambiare la nostra società» attraverso la promozione di processi di apprendimentosociale che coinvolgono le comunità dei collaboratori, dei colleghi e il più ampiopubblico a cui ci si rivolge.

A livello generale, il rapporto tra antropologia e cambiamento sociale è in un certosenso indiretto: la ricerca antropologica favorisce processi di apprendimento sociale cheportano al cambiamento. Da una parte si può quindi osservare che la ricerca etnograficaha inevitabilmente un effetto nei processi di cambiamento sociale. Dall'altra, anchequando gli antropologi vogliono produrre volontariamente dei cambiamenti socialispecifici, lo possono fare principalmente in modo indiretto, favorendo l'apprendimentosociale, anche se ciò può apparire come un paradosso, «quasi si suggerisse di trascurarelo scopo in vista di raggiungerlo» (Bateson 1976: 159). Questo concetto è messo inevidenza proprio da Margaret Mead (1942), allieva di Boas e l'antropologa che senzadubbio ha coltivato maggiormente il proprio ruolo di intellettuale pubblico, oltre cheaccademico (Stull in Lassiter 2008: 72; Sabloff 2011).

Il contributo della dott. Mead consiste nell'essere stata in grado, fortificata dallostudio di altre culture, di trascendere le abitudini di pensiero correnti nella suacultura e, in pratica, di dire: “Prima di applicare la sociologia ai nostri affarinazionali, dobbiamo riesaminare e modificare le nostre abitudini di pensiero sultema dei mezzi e dei fini. Abbiamo appreso, nel quadro della nostra cultura, aclassificare il comportamento in 'mezzi' e 'fini' e se procediamo a definire i finicome se fossero separati dai mezzi e poi applichiamo brutalmente gli strumentisociologici, adoperando ricette scientifiche per manipolare la gente, arriveremo aun regime totalitario piuttosto che a un regime democratico”. (Bateson 1976[1972]: 160)

Il testo citato è parte di un articolo che Bateson ha scritto in dialogo con l'articolo diMead del 1942, ed è Bateson stesso ad interpretare l'indicazione dell'autrice in terminidi apprendimento. Il ragionamento è piuttosto complesso, ma cerco di riassumerlobrevemente.

L'abitudine mentale del “pensiero strumentale” (che presuppone una separazione tramezzi e fini, giustificando i primi con i secondi) è vista prima di tutto attraverso lacomparazione e l'astrazione antropologica come un modello culturale appreso. Batesonpoi utilizza la propria teoria dei tipi di apprendimento per indicare come lo stato mentaledel “pensiero strumentale” possa essere acquisito tramite processi di apprendimento delsecondo livello, cioè fa parte di quelle abitudini mentali che «sono, in un certo senso,prodotti derivati dei processi di apprendimento». Poiché Mead auspicava uncambiamento del pensiero strumentale, per produrre questo cambiamento doveva quindipromuovere un processo di apprendimento sociale di secondo livello e nel suo articolosuggeriva un diverso atteggiamento mentale: «[…] che nell'applicazione pratica dellescienze sociali si ponga più attenzione alla 'direzione' e al 'valore' inerenti agli attipiuttosto che orientarci sulla base di qualche meta preprogrammata» (Bateson 1976

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[1972]: 175). Sarà la ripetuta attuazione di questa attenzione al valore inerente allesingole situazioni con cui di volta in volta ci si confronta a produrre, come effettoderivato, l'apprendimento di secondo livello desiderato.

Cerco ora di riportare queste riflessioni sul metodo etnografico collaborativo nelloschema teorico presentato nel capitolo precedente. L'obiettivo più ampio in cui inseriscola mia ricerca, in accordo con gran parte della ricerca scientifica attuale, è quello dipromuovere la sostenibilità, cioè di promuovere il cambiamento necessario affinché siproduca il co-adattamento tra la comunità umana globale e l'ambiente. Poiché lasostenibilità è una caratteristica emergente e sistemica, se la scienza vuole produrre lasostenibilità, non può farlo solamente attraverso scoperte scientifiche, invenzionitecnologiche o tramite l'evoluzione intellettuale della comunità scientifica. È anchefondamentale l'apprendimento sociale diffuso, affinché si sviluppi una societàsostenibile. È dunque a questo livello che l'apporto dell'antropologia è più visibile,perché l'antropologia è una scienza che a livello epistemologico, metodologico epragmatico produce processi di apprendimento sociale, cioè favorisce la co-evoluzionetra comunità umane, e tra queste e le altre componenti dei sistemi socio-ecologici in cuiviviamo19.

Come indicato da Mead e Bateson, non è possibile modificare un sistema socio-ambientale con un intervento ingegneristico-riduzionista20. Il cambiamento inteso inquesta accezione presupporrebbe infatti un intervento da parte di un soggetto (unosservatore) esterno al sistema – lo scienziato, il mondo accademico, lo Stato, e così via– in grado prescindere dalle interazioni e dagli effetti di feedback tra le proprie azioni eil sistema. Questo approccio oggettivista21 non considera le soggettività in gioco nelsistema socio-ambientale, umane e non, o più precisamente considera implicitamente dipoter sovrapporre la soggettività dell'osservatore a tutte queste soggettività. Unapproccio di questo tipo creerebbe delle problematiche etiche enormi, come sottolineatoda Mead.

L'approccio antropologico accoglie maggiormente la complessità (l'interdipendenzatra le componenti e le dinamiche non lineari) dei sistemi socio-ambientali e dei sistemidi governance. Un cambiamento individuato come desiderabile (nel caso di questaricerca, favorire lo sviluppo di reti di governance complesse che siano in grado dirisolvere problemi di adattamento tipici della sfida della sostenibilità) viene perseguitoattraverso il riconoscimento delle soggettività in campo e la collaborazione con esse.

19 Si veda il caso studiato da Lansing e illustrato dettagliatamente nel capitolo precedente.20 Mead e Bateson parlano di «ingegneria sociale».21 Heinz Von Foerster descrive il principio dell'oggettività nei termini di un'«illusione del pensiero

occidentale», un imperativo secondo cui «le proprietà dell'osservatore non devono entrare nella descrizione delle sue osservazioni» (Von Foerster 2003: 285). La cibernetica del secondo ordine non propone di rimpiazzare questo con un paradigma della soggettività, quanto di considerare la circolarità del rapporto tra l'osservatore e le proprie osservazioni e propone l'imperativo epistemologico di osservare le proprie osservazioni. A conferma, ancora una volta, della vicinanza trai due linguaggi dell'antropologia e della scienza dei sistemi complessi, parole molto simili sono usate da Barbara Tedlock per descrivere lo sguardo dell'antropologia contemporanea (Tedlock 1991; 2005).

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Capitolo 2

Questo significa da una parte essere un soggetto “tra gli altri” (sullo stesso pianoepistemologico, etico e pratico); dall'altra cercare di essere un soggetto “insieme aglialtri”, cioè orientando l'interazione verso l'emergenza di un processo di apprendimentosociale, che possa nel tempo far emergere una struttura di governance, la quale possaportare il sistema verso lo stato desiderato (la sostenibilità).

Nel lavoro antropologico l'etica è quindi inserita all'interno della pratica, implicatadalla metodologia del dialogo e del confronto con i soggetti. L'antropologia non è unadisciplina che serve ai pianificatori per promuovere il coinvolgimento delle persone inprogetti che hanno un “impatto sociale”. Le osservazioni plurali e l'apprendimentosociale promosse dall'antropologia influiscono sul cambiamento sociale sistemico,inclusa la pianificazione e i modelli culturali che sostengono un determinato modo dipianificare. Ciò non vuol dire però necessariamente che la ricerca antropologica intesain questi termini equivalga alla ricerca attivista.

[…] c'è una grande distanza tra il coinvolgimento complice e dialogico, el'attivismo.

[…] il ruolo politico che gli etnografi possono giocare, […] certamente puòcoinvolgere la collaborazione attraverso la creazione congiunta, ma non implicanecessariamente l'attivismo, che, vorrei sostenere, comporta un insieme di abilitàche gli antropologi come studiosi non portano sul tavolo. (Rappaport 2008: 8)

Ci può essere una notevole distanza tra la ricerca collaborativa e la ricerca attivista. Èvero che sono entrambe forme di engagement22, ed è vero che anche quella attivista puòessere una scelta atta ad ottenere una maggiore qualità della ricerca in determinaticontesti. Tuttavia nella letteratura viene messo in evidenza che l'attivismo è frutto delcoinvolgimento personale dei ricercatori, in quanto cittadini (Jimeno 2006; Rappaport2008: 3), non in termini accademici. «[L']attivismo si basa anche sugli impegni comecittadino o come essere umano nell'affrontare violazioni o sofferenze di altri esseriumani» (Low e Merry 2010: S211)

Nel trattare l'attivismo come forma di engagement antropologico, Setha Low e SallyMerry si rifanno ad una definizione che rende esplicito il punto distintivo di questo tipodi ricerca, cioè la «doppia lealtà» alla disciplina accademica e alla causa in cui sonoimpegnati come attivisti, considerate come attività diverse con obiettivi distinti.

Charles Hale definisce la “ricerca attivista” come “un metodo attraverso il qualeaffermiamo un allineamento politico con un gruppo organizzato di persone in lottae rendiamo possibile un dialogo con loro per plasmare ogni fase del processo”(Hale 2006: 97). Sia Speed [2006] e Hale che Sanford e Angel-Ajani (2006),sostengono che l'attivismo è diverso dalla critica, specialmente dalla criticaculturale, in quanto gli studiosi che praticano come ricercatori attivisti hanno una

22 Ad esempio Low e Merry (2010) identificano tra le forme di engagement della ricerca antropologica: condivisione e supporto, insegnamento ed educazione pubblica, critica sociale, collaborazione, advocacy e attivismo. In particolare, tra la condivisione delle pratiche dei soggetti sul campo (in breve l'osservazione partecipante) e l'attivismo sembra esservi una differenza di gradazione del livellodi partecipazione attiva del ricercatore (Low e Merry 2010: S211–S212).

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Caso studio e metodologia

doppia lealtà, alla loro disciplina e/o comunità accademica e ad una lotta politica(Hale 2006: 100). (Low e Merry 2010: S211)

Nell'impianto teorico e metodologico all'interno del quale è organizzata la mia ricerca,soltanto l'obiettivo della sostenibilità non è interno alla disciplina antropologica, echiama in causa quindi una giustificazione esterna. Tuttavia è un obiettivo pienamentericonosciuto in ecologia, disciplina con cui l'antropologia è perfettamente in grado didialogare, specialmente attraverso il linguaggio interdisciplinare dei sistemi complessi23.Situando dunque la ricerca in questo terreno interdisciplinare, non ritengo che si tratti diuna forma di attivismo tout court. La mia partecipazione nelle organizzazioni dellasocietà civile locale con cui sono venuto in contatto durante la ricerca va intesa comeuna forma di ricerca collaborativa. Il mio interesse verso queste organizzazioni derivadal fatto che esse incarnano quella forma di partecipazione attiva e di auto-organizzazione identificate dal modello teorico cui ci si riferisce negli studi sullagovernance dei sistemi socio-ecologici.

Questo non significa che durante una ricerca (anche di una ricerca non-attivista) nonsi possano presentare delle situazioni per cui l'antropologo si trovi nella posizione didover intervenire, persino in disaccordo con i propri collaboratori (Scheper-Hughes1995). Ciò accade ad esempio in situazioni di violenza dove l'intervento diventa unobbligo morale, dove la non-azione equivale ad un'azione e l'antropologo non puòesentarsi da un profondo coinvolgimento. Oppure nelle situazioni in cui la conoscenza el'autorità dell'antropologo possono “fare la differenza”, e così via. In questi casi èauspicabile un'azione al di là degli obiettivi della disciplina e della ricerca. Tuttaviaqueste questioni etiche non sono direttamente dipendenti dal rapporto collaborativodell'etnografia sul campo. Dipendono dalle circostanze, che si possono presentareoppure non presentare in questi termini. Durante il mio fieldwork si è presentata soltantoun'occasione che ha richiesto una presa di posizione da parte mia, ma si è trattato di unasituazione non grave e piuttosto semplice da affrontare, se pure ha avuto alcuni effettisulla ricerca (si veda p. 254).

Johanne Rappaport mette ancor più l'accento sul lato delle organizzazioni con cui ilricercatore attivista collabora, affermando che la specifica complicità caratteristica dellaricerca attivista si concretizza in un certo senso nel mettere la ricerca scientifica aservizio degli obiettivi dei collaboratori.

[…] non solo complicità in un dialogo etnografico (che è spesso di maggioreinteresse per l'etnografo che per il soggetto), ma complicità nel raggiungimentodegli obiettivi del soggetto attraverso lo svolgimento di una ricerca congiunta.Questo può avvenire solo quando spostiamo il controllo del processo di ricercadalle mani dell'etnografo. (Rappaport 2008: 8)

Sulla base di questo ragionamento, ribadisco ancora una volta che non voglio collocarela mia ricerca nell'ambito dell'attivismo. Nel mio caso, l'obiettivo della ricerca non è

23 È sempre Margaret Mead ad evidenziare l'importanza di questo linguaggio condiviso (Mead in Von Foerster 2003: 288).

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Capitolo 2

stato posto da altri, ma è stato – ancora una volta – collaborativo, come adesso intendomostrare.

Co-design della ricerca

Introduco innanzitutto il concetto di “grafo”, che è uno dei concetti fondamentali sullabase dei quali si è sviluppato il progetto della ricerca. Un grafo è una particolarerappresentazione visuale (con aspetti sia quantitativi che qualitativi) di una rete dielementi connessi tra loro24. Ad un livello generico ed intuitivo tutti sappiamo disegnareuna serie di elementi connessi tra loro in una qualche forma di grafo. Ci capita di vedereesempi di questo a scuola, con i diagrammi di flusso, nella visualizzazione dellecostellazioni dove le stelle sono unite da linee, o nei giochi della «pista cifrata», dovebisogna unire i puntini, in matematica con la rappresentazione grafica degli insiemi edelle funzioni, in chimica con la rappresentazione grafica delle formule chiamata«formula di struttura». Disegniamo un grafo ogni volta che prendiamo appunti su unquaderno e tracciamo una freccia che collega una parola ad un altra per indicare unarelazione.

Anche in antropologia vengono usate rappresentazioni relazionali visuali. Alcunesono divenute uno strumento di ricerca privilegiato per analizzare uno dei temi più“classici” della nostra disciplina: la parentela. Diagrammi di parentela o alberi difamiglia hanno affiancato il testo di molte monografie. E non si tratta, come alcunipotrebbero pensare, di strumenti “dismessi” (Frank 2007), anche se la riflessionecritico-teorica all'interno della disciplina ha mostrato i limiti culturali ed ideologici insitinella rappresentazione delle relazioni di parentela sotto forma di diagrammi genealogici(Bouquet 1996). Qui mi limito a richiamare le immagini alla mente come esempi di unlivello intuitivo e generico di rappresentazione tramite punti/parole e frecce/relazioni.

I grafi che propriamente sono chiamati in questo modo e non grafici, diagrammi,infografiche o altro, sono un tipo specifico di rappresentazioni relazionali. La principaledifferenza tra un grafo di rete e un diagramma di parentela, ad esempio, è che il secondoè vincolato ad una linearità gerarchica che il grafo non richiede (Ingold 2000, 140). Lastruttura dei grafi può essere formalizzata, tanto che è stata costruita una vera e propriateoria matematica – la teoria dei grafi. Questa può essere applicata ad una serie ditecniche di analisi – l'analisi delle reti – anch'esse con un elevato livello diformalizzazione, che vengono usate nei più disparati ambiti disciplinari. Nelle disciplinesociali si parla di analisi delle reti sociali e se ne fa uso anche in antropologia, anzi,l'analisi delle reti sociali ha avuto uno sviluppo fondamentale proprio con l'antropologiadella scuola di Manchester degli anni Cinquanta (Piselli 2001, X; Scott 2000, 26).

L'applicazione dei grafi ha una diffusione vasta ed eterogenea perché si tratta di unastruttura astratta che si adatta bene a mettere in evidenza l'aspetto relazionale deifenomeni, di quelli semplici come di quelli complessi. Nella comunità di ricercatori e

24 Nella teoria dei grafi, il grafo rappresenta più precisamente un oggetto matematico astratto formato da elementi connessi. Per praticità mi riferisco alla sua rappresentazione visuale più tipica.

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appassionati di questo settore circola infatti lo slogan «graphs are everywhere», scritto

anche nella forma (Graphs)-[:ARE]->(Everywhere)25, usando la sintassi di

Cypher, uno dei linguaggi informatici che consentono il recupero dei dati da undatabase con struttura a grafo. Questa sintassi indica i tre elementi di base dellastruttura: un soggetto o source (Graphs), un predicato o relazione -[:are]-> , un oggettoo target (Everywhere). Come si può notare è una struttura dati “sintattica”, attraverso laquale è possibile creare un database attraverso semplici frasi, dette anche “triplette” (lepiù piccole rappresentazioni di una relazione binaria). È proprio questa semplicità dibase a permettere di rappresentare con un grafo molte e anche moltissime relazioni chesi intrecciano tra loro, ed è questa proprietà a fare dei grafi uno degli strumenti piùadatti a rappresentare sistemi complessi, laddove complesso significa appunto“intrecciato insieme” (Cotsaftis 2009).

La rappresentazione visuale dei grafi permette quindi di cogliere l'effetto d'insieme,emergente dall'intreccio di un elevato numero di relazioni, proprio come un tessutopermette di cogliere dei patterns, dei disegni, che analizzando i singoli fili della trama edell'ordito separatamente o in un diverso ordine non è possibile vedere. Il mio interessenei grafi risiedeva in questa capacità di rendere visibili alcuni effetti sistemiciemergenti. Anche Andrea Tronchin nutriva un interesse per la rappresentazione dellerelazioni in forma di grafi di rete. Ed è proprio in virtù di questo interesse comune chesono stato invitato alla conferenza di Tronchin del 2 dicembre 2011, organizzata dalgruppo Zeitgeist a Verona26.

Durante la conferenza Andrea ha presentato alcuni progetti su cui lavorava siadirettamente che attraverso l'associazione di cui era ed è presidente, la rete di economiasolidale “Naturalmente Verona – Arcipelago Scec”. Partendo da una criticasull'orientamento del sistema socio-economico attuale, basato sullo sfruttamentosregolato delle risorse, ha presentato il suo concetto di «sobreconomia»27, ha ragionatosui concetti di sovranità alimentare e sovranità monetaria, forse quelli che più gli stannoa cuore e su cui maggiormente si concentra la sua attività pratica, come ho avuto poimodo di scoprire negli anni successivi. Il suo racconto potrebbe essere descritto comeuna discussione su alcuni modi pratici per riprenderci – in quanto “persone” o cittadini,senza ulteriori definizioni identitarie – una parte di sovranità sull'economia collettiva,rifacendosi al principio costituzionale della sovranità appartenente al popolo28.

Uno di questi progetti pratici era il “grafo della rete”, un grande disegno fatto a manoin cui da più di un anno Andrea tentava di tenere traccia delle relazioni tra le

25 Il motto è usato ad esempio come slogan della conferenza GraphConnect Europe 2015 (Londra 7 maggio), l'incontro di riferimento per esperti di database con struttura a grafo.

26 Il gruppo Zeitgeist aveva precedentemente invitato Andrea come relatore del “Simposio Società Sostenibile”, tenutosi a Verona il 19 novembre 2011.

27 Si veda ad esempio l'articolo Un sistema alternativo a quello neoliberista: la SobrEconomia (Tronchin 2008) pubblicato sul giornale online Altritasti, dove Andrea spiega che il concetto di sobreconomia si articola nei tre punti di «sovranità alimentare», «economia solidale» e «decrescita attiva e conviviale».

28 Affermato nell'articolo 1 della Costituzione italiana.

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soggettività che, a partire da Verona, sono impegnate nei settori di «economia solidale»,«decrescita» e «sovranità alimentare». Nel disegno (figura 1) Andrea considerava duetipi di soggettività, le «realtà» (associazioni, movimenti, e in generale leorganizzazioni)29 e i loro principali «progetti» o attività. Andrea si aiutava con uncerchiografo per tenere ordinato il disegno: cerchi blu per le realtà, cerchi rossi per iprogetti. Lo spessore dei cerchi era indicativo di una qualche valutazione di importanzada parte sua. Cercava anche di differenziare delle tipologie di «relazioni» tra le variesoggettività. Alcune connessioni indicavano una collaborazione, altre una “sintonia” ouna comunità di interessi. I tratti erano diversi: linea tratteggiata (una collaborazionedesiderata, in costruzione o una relazione in qualche modo “debole”), linea continua(una connessione esistente).

Attraverso questo strumento Andrea cercava di promuovere una visione d'insiemesulla rete di relazioni intrattenute dai vari soggetti plurali della «società civileorganizzata» locale, e delle sue connessioni a livello nazionale e internazionale. Il suoatteggiamento nel mostrare il grafo era quello di dare forza al suo discorso e alla suavisione: «siamo in tanti» e «insieme diamo vita all'alternativa» al sistema capitalisticoneo-liberista. Il grafo per lui era uno strumento per superare le divergenze e le difficoltàalla collaborazione tra le diverse organizzazioni che compongono la società civile e percreare consenso attorno alle proprie proposte di rete.

Da questa breve descrizione del mio incontro con colui che diventerà il gatekeeper el'interlocutore principale della ricerca e con lo strumento di rappresentazione da luiprogettato, risulta chiaro che Andrea da un lato era (ed è) un attivista impegnato inun'azione politica di aggregazione, con l'obiettivo di dare forza a specifiche propostealternative emergenti dalla società civile; dall'altro il particolare modo di azionerappresentato dalla creazione del “grafo della rete” lo impegnava in una sorta di ricercapara-etnografica, atta a comprendere e a rappresentare la geografia relazionale dellasocietà civile locale, attraverso un particolare «modo di conoscenza» (Holmes e Marcus2008: 82) che era appunto il disegno delle relazioni tra organizzazioni.

Questa doppia natura trova corrispondenza nella duplice formazione di Andrea. Egliha maturato un lungo periodo di esperienza (1984 – 1996) nella cooperazioneinternazionale all'interno dell'ONG “ProgettoMondo Mlal (Movimento Laici AmericaLatina)”, dove ha lavorato principalmente in sede (a Verona) e per periodi breviall'estero in occasione di convegni e conferenze internazionali. In seguito si è laureatoalla Facoltà di Agraria dell'Università di Padova, completando un indirizzo tecnico-economico nel 2000, con un perfezionamento nel 2001 in “Sviluppo Rurale eCooperazione Decentrata”.

Grazie a queste (ed altre) esperienze Andrea ha maturato la convinzione che “nonpossiamo (noi occidentali) andare a dire agli altri come fare le cose, quando noi perprimi non le facciamo. Il cambiamento deve partire da casa nostra”. Andrea è

29 D'ora in avanti utilizzerò il termine organizzazioni perché meno ambiguo rispetto a “realtà”.

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attualmente una figura di riferimento per la società civile locale, regionale e nazionale30.Si tratta quindi di un interlocutore la cui azione è motivata e affiancata da una certacapacità riflessiva e analitica, maturate durante la formazione accademica, l'esperienzanella cooperazione, e l'attivismo di società civile31. Queste esperienze, come dicevo,fanno di lui un «soggetto riflessivo» caratteristico dell'etnografia della contemporaneità(Marcus 2008: 7); un soggetto con il quale si rende necessaria, oltre che produttiva, unaetnografia di tipo collaborativo.

Dopo la conferenza, sono stato coinvolto in un piccolo gruppo di lavoro conl'obiettivo di aiutare Andrea con la mappatura delle associazioni veronesi che avevainiziato. Eravamo due attivisti di Zeitgeist (Manuel G. e mio fratello), Andrea ed io. Inquel momento non ero ancora coinvolto attraverso il dottorato (cosa che sarebbeavvenuta soltanto al mio ritorno da Bali). Durante gli incontri con questo gruppo però,lavorando sull'iniziativa di Andrea, abbiamo elaborato il progetto collaborativo che èrisultato in questa ricerca di dottorato.

All'inizio il mio compito era semplicemente di mostrare come poter utilizzare alcunisoftware di analisi delle reti per digitalizzare il grafo, rendendolo cioè un oggettoaggiornabile, modificabile e condivisibile in modi che il foglio di cartoncino non potevapermettere. Questi programmi consentono, tra le altre cose, di inserire in input i datidelle connessioni (anche in forma sintattica come ho mostrato) e di ottenere comeoutput dei grafi disegnati secondo vari “algoritmi di layout”. Il più intuitivo, il piùutilizzato e quello che più si avvicina al disegno originale di Andrea è il layout organico,o force-directed. Il principio concettuale alla base di questo layout è semplice: i punti(detti nodi o vertici della rete) vengono disposti nello spazio bidimensionale attraverso ilcalcolo di forze di attrazione e repulsione associate alle connessioni (dette archi ospigoli). In pratica i nodi vengono disposti inizialmente all'esterno, lontani dal centro, eogni volta che un arco viene aggiunto, esso attrae tra loro la coppia di nodi che unisce,ed entrambi verso il centro dello spazio. Il risultato è che i nodi risultano più viciniquanto più sono connessi tra loro e l'effetto è intuitivo perché mette in risalto i gruppi dinodi relazionalmente vicini.

30 Andrea è stato tra i creatori/firmatari nel 2003 della carta nazionale RES (Carta per la Rete italiana di Economia Solidale [Giovanni Acquati et al. 2003], un documento di riferimento per l'economia solidale in Italia; attualmente è presidente della rete di economia solidale “Naturalmente Verona – Arcipelago Scec”, un'associazione attiva sul territorio locale e interregionale (Veneto e Trentino Alto Adige); ed è uno degli 80 “agenti del cambiamento” della recentissima rete nazionale promossa dal progetto “L'Italia Che Cambia” (Tarozzi 2013); ricopre o ha ricoperto ruoli sia amministrativi che operativi in “Associazione Rurale Italiana – ARI”, “Movimento contadino Via Campesina”, “Federazione Internazionale Movimenti Adulti Rurali Cattolici – FIMARC”, “Rete Internazionale perla Promozione dell'Economia Sociale e Solidale – RIPESS”, e così via.

31 In particolare è rilevante la sua formazione teorica all'interno del gruppo di ricerca della Rete italiana di Economia Solidale (si vedano la già citata Carta RES e gli altri documenti disponibili sul sito internet della RES (“Strategie di rete per l’economia solidale” 2002; Tavolo RES 2009; Tavolo RES 2011). Nel 2002 Andrea ha inoltre lavorato nella segreteria per il NGO/CSO Forum for Food Sovereignty di Roma (risultato di una consultazione internazionale in cui sono state coinvolte più di 600 organizzazioni della società civile, che si è svolto in concomitanza con il World Food Summit: five years later organizzato dallla FAO).

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Capitolo 2

Durante la mia formazione universitaria avevo maturato un discreto livello dicompetenza in alcune tecniche di analisi delle reti sociali (in particolare nellavisualizzazione)32. Queste pratiche si posizionano al confine rispetto alla comunità dipratiche dell'antropologia. È chiaro come sia stata questa competenza di confine afavorire il mio engagement con gli interlocutori e con il contesto della società civile,sempre alla ricerca di “tecnici” che sappiano “fare” e realizzare le tante idee presenti.Tuttavia, come avrò modo di mostrare in diversi punti del testo, sono le specifichecompetenze e pratiche dell'antropologia a fornire la capacità di immaginare il tipo dicollaborazione che è alla base di un progetto di ricerca come questo. È il saper faredell'antropologia a fornire la capacità di immaginare un processo collaborativo chepossa portare ad un apprendimento sociale. Se gli attori interni ai contesti collaborativi –attivisti, responsabili di progetti para-etnografici promossi dalle istituzioni economichee politiche, e così via – sono orientati al risultato della ricerca, l'antropologo invece puòconcentrare l'attenzione sull'aspetto collaborativo; può fornire un aiuto pratico su comecostruire una ricerca profondamente collaborativa; e soprattutto concepisce il suoobiettivo non come il risultato della conoscenza, ma come promozione di un sistema diapprendimento collettivo.

Al secondo incontro del gruppo ho chiesto ad Andrea di illustrarci il suo disegno piùin dettaglio. Mi ha colpito la sua creatività nella lettura del grafo. Per lui i legami (oconnessioni) rappresentati dalle linee avevano diversi significati. Non solo diversi tipi direlazioni esistenti tra le organizzazioni, ma addirittura alcuni legami rappresentanorelazioni auspicabili, e altri ancora relazioni compromesse, su cui “bisogna lavorare perripristinarle”. Tutto questo a suo giudizio personale, motivato dalla sua esperienza33.Quel grafo aveva un determinato livello di incoerenza, di imprecisione (o se vogliamo,di libertà personale), in ogni caso era poco formale. Ad esempio i cerchi erano disposti agruppi cercando di mostrare le reali aggregazioni nella rete, ma alcune organizzazionierano ripetute più di una volta per visualizzare l'appartenenza a diversi gruppi; ancora,esistevano alcune “realtà” che erano piuttosto delle tipologie, ad esempio “Movimenti didifesa del territorio”; e poi le varie tipologie di legami erano decisamente inscritte più“nella mente” di Andrea che nel disegno, dove ad un occhio esterno apparivano soltantodue tipi di linee: tratteggiate e continue.

Ero colpito dall'ampio ventaglio delle letture e degli utilizzi che quel disegnopermetteva. C'era qualcosa nel modo di Andrea di utilizzare lo strumento del grafo chenon avevo percepito nelle ricerche accademiche che pure facevano uso di strumentisimili, ma in modo più rigoroso e formale. C'era un elemento estremamente qualitativoe performativo, quasi evocativo, nell'utilizzo che stavo osservando e dipendeva molto

32 Di recente ho contribuito come technical reviewer al libro Mastering Gephi Network Visualization di Ken Cherven (2015).

33 Esisteva persino una connessione colorata di verde tra “Naturalmente Verona” e “Arcipelago Scec” (l'associazione nazionale costituita da tante «isole» regionali o macro-regionali di cui Naturalmente Verona costituisce l'isola Veneto e Trentino Alto Adige), connessione che a domanda diretta Andrea ha definito «sinergica».

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dal fatto che Andrea leggeva il grafo “da dentro” (posizionandosi all'interno dellarappresentazione), più che “da fuori” come avrebbe potuto fare uno scienziato. Anche seallora non ero ancora in grado di cogliere l'importanza di questo aspetto, ne eroaffascinato.

Il primo marzo 2012 ho realizzato e condiviso con il gruppo la prima versionedigitale del grafo di Andrea. Si trattava di un calco il più possibile fedele all'originale(figura 2), mantenendo quindi anche incoerenze e ambiguità. L'idea a questo punto eradi insegnare ad Andrea come utilizzare il programma, in modo che potesse aggiornare ildisegno in maniera più dinamica. Tuttavia insieme a mio fratello, programmatore diprofessione, intravedevamo la possibilità di rendere quello strumento più avanzato: nonsoltanto un disegno digitale, ma una vera e propria applicazione capace di far interagirepiù persone (un'applicazione multi-utente), aprendo quindi ad una pluralità di soggettiquesto strumento, che per il momento rimaneva il risultato del lavoro individuale diAndrea.

Agli incontri del gruppo discutevamo di come realizzare il grafo digitale, di comecondividerlo, e di come organizzare il lavoro tra di noi. A questo proposito abbiamoanche aperto uno spazio di discussione online, ed abbiamo creato alcuni documenticondivisi dove tenere traccia del progresso del lavoro, dei compiti di ognuno, e degliobiettivi. Il contributo di Andrea al documento sugli obiettivi permette di mettere afuoco alcuni elementi cruciali.

Per quanto riguarda gli obiettivi, personalmente vorrei arrivare ad avere unostrumento che ci aiuti a comprendere e aiuti a comprendere anche tutte quelle realtàche sono presenti sul grafo; da anni si cerca di creare una aggregazione consolidatasu una piattaforma condivisa d'intenti, nessuno ci è realmente mai riuscito, credoche partire dalla consapevolezza di chi siamo e che relazioni ci sono e qualirelazioni sono possibili sia un buon passo… (Tronchin, 2012)

Nelle parole «uno strumento che ci aiuti a comprendere» è possibile individuarel'atteggiamento riflessivo para-etnografico. Ma chi è il soggetto di questa riflessione?Andrea inizialmente usa il «ci» e si riferisce a se stesso e al nostro gruppo di lavoro, mapoi specifica «e aiuti a comprendere anche tutte quelle realtà che sono presenti sulgrafo» e in questo modo apre il discorso ad una concezione distribuita, culturale, diquesta conoscenza. Il soggetto sono quindi – potenzialmente – tutte le soggettivitàplurali presenti sul grafo: associazioni, imprese e imprenditori sociali, comitati dellasocietà civile, gruppi di cittadini e cittadine che desiderano prendersi cura insieme dielementi della propria vita al di là della sfera individuale, e così via. L'oggetto dellaconoscenza è la rete di “relazioni” (per il momento genericamente intese34) tra questi

34 Il grafo finale, o per meglio dire la versione attuale dello strumento del grafo, si è concretizzata in duediverse forme di una tipologia ben precisa di grafo: il grafo di collaborazione. Nella sua forma base, ilgrafo rappresenta una rete in cui due organizzazioni hanno un legame tra loro quando collaborano ad una stessa attività. La tipologia del grafo di collaborazione è molto diffusa anche nell'analisi sulle comunità scientifiche, dove la rete viene costruita solitamente attraverso legami di co-autorialità. Per un'analisi della rete di co-autorialità nelle scienze sociali si veda (Moody 2004).

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Capitolo 2

soggetti plurali. Il potenziale di quel grafo stava quindi nel fornire uno strumento di auto-riflessione.

Uno strumento che potesse favorire una presa di coscienza da parte di questi attorisociali del proprio ambiente relazionale, della propria compresenza. Come indicato neltesto «partire dalla consapevolezza di chi siamo e che relazioni ci sono e quali relazionisono possibili». Il desiderio espresso era di fare in modo che una comunità di pratiche infase di formazione (i cui membri stentavano ancora a percepirsi come tali), prendesseroconsapevolezza del proprio capitale sociale35. Ciò corrisponde ad una delle tipichetipologie di attività che costituiscono la pratica in una comunità di pratiche, cioèl'attività di «mappatura della conoscenza ed identificazione delle lacune», esemplificatadalle seguenti domande da parte dei membri della comunità: «Chi conosce cosa[?] e checosa stiamo trascurando? Con quali altri gruppi dovremmo connetterci?» (Wenger 2011:3). Si può facilmente notare la vicinanza di queste domande generiche con quelle posteda Andrea nel testo.

Nel passaggio citato è presente inoltre un riferimento alla motivazione chegiustificava il progetto del grafo: «da anni si cerca di creare una aggregazioneconsolidata su una piattaforma condivisa d'intenti, nessuno ci è realmente mai riuscito».Andrea riteneva che le diverse organizzazioni della società civile, pur essendo connessein vario modo, pur operando largamente sulla base degli stessi principi e con modalitàsimili, non fossero sufficientemente unite; riteneva che non ci fosse una sufficientefiducia reciproca. Questa percezione di scarsità di collaborazione e di fiducia eracondivisa anche dai membri di Zeitgeist con cui mi ero confrontato. Il percorsopersonale dello stesso Andrea nelle organizzazioni di cui ha fatto parte è costellato dicollaborazioni ma anche di separazioni, di accordi e disaccordi, come ho avuto modo didiscutere con lui ed altri durante il fieldwork.

Tra i membri del gruppo, la collaborazione tra le organizzazioni era ritenuta giocareun ruolo cruciale in quanto alla possibilità di incidere veramente sull'organizzazioneeconomica della propria città; di mettere in pratica degli efficaci processi di economiasostenibile. Ipotizzavamo, me compreso, che il grafo avesse il potenziale di incidere allivello della consapevolezza delle persone coinvolte nella comunità della società civile,e di aumentare il loro senso di appartenenza ad una rete e ad un contesto più grandi(rispetto alle singole organizzazioni di cui ognuno è parte), attraverso un'amplificazionedella visione. Ciò dipendeva dal coinvolgimento di altri membri della comunitànell'utilizzo dello strumento di rappresentazione. Per poter condividere il grafo diAndrea, anche solo nella sua versione statica, dovevamo prima di tutto renderlocomprensibile anche a chi non possedeva il suo vissuto e le sue interpretazioni personali(me per primo). Volevo rendere il disegno più leggibile e questo ci obbligava in un certosenso a semplificarlo. Su mia indicazione abbiamo cercato di sistemare i diversielementi del grafo, partendo dalla creazione di una legenda per chiarire le tipologie di

35 Ho condiviso esplicitamente all'interno del gruppo la terminologia del capitale sociale.

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legami.Abbiamo distinto due livelli di intensità, richiamando la distinzione tipica nell'analisi

delle reti sociali tra legami forti e deboli (Granovetter 1973). Nel processocollaborativo, la terminologia da me proposta si è incrociata con quella di Andrea. Lalinea continua indicava quindi un legame «consolidato» tra due organizzazioni. La lineatratteggiata un legame “debole” (utile ad esempio per indicare quando il rapporto tradue organizzazioni è nella fase iniziale, oppure quando, dopo aver collaborato ad unprogetto, due organizzazioni smettono di interagire). Non siamo invece riusciti a trovareun metodo per tenere traccia dei legami “desiderati”, cui Andrea teneva molto. Questadimensione poneva troppe problematiche: desiderati da chi? Per quale motivo? Eratroppo complessa e l'abbiamo messa da parte sperando di riuscire a riprenderlanell'eventuale sviluppo successivo di un software più elaborato.

Abbiamo evidenziato una seconda dimensione dei legami, anche stavolta divisa indue categorie, chiamando – su suggerimento di Andrea – «istituzionali» i legami traorganizzazioni (cui abbiamo associato il colore blu), e «strumentali» i legami checoinvolgevano progetti (colore rosso). A questi abbiamo poi aggiunto la tipologia dellegame «sinergico» tra organizzazioni (colore verde, linea continua), che in un mioresoconto condiviso con il gruppo di discussione online avevo descritto nel modoseguente:

[…] significa che non solo le due realtà collaborano a progetti comuni, macostituiscono un sistema (es: Naturalmente Verona e Arcipelago Scec. Le due realtàcondividono il presidente e costituiscono una sola associazione, pur essendo a tuttigli effetti due entità diverse).

Le semplificazioni apportate, oltre a rendere più leggibile il grafo, ci avevano permessodi rielaborare gli obiettivi del progetto. Nello stesso resoconto, riassumevo il risultato diqueste riflessioni:

[…] uno dei nostri obiettivi è quello di rendere la rete “viva”, attiva. Innanzituttorappresentando la vivacità, attività, della rete. Per ottenere una rappresentazionedell'attività della rete si può utilizzare l'indicatore della vivacità dei legami. Se duenodi sono molto attivi, il legame che li unisce nel grafo deve in qualche modorappresentare questa “presenza”. Al momento il nostro indicatore dell'attività deilegami è rappresentato da tre livelli: massimo (linea verde continua, legame“sinergico”); medio (linea continua, legame “consolidato”); minimo (lineatratteggiata, legame “debole”).

È importante, a distanza di quasi tre anni, rivedere questo periodo iniziale. Il momentodella scrittura della tesi offre questo potenziale di retrospettiva. Nel testo citato si puònotare come allora avessimo due obiettivi sovrapposti: da una parte favorire la“consapevolezza di rete”, cioè la consapevolezza delle persone attive sul territoriorispetto al “movimento” più ampio in cui si trovavano coinvolte e cui contribuivano;dall'altra volevamo favorire l'attività all'interno di questa rete, cioè in pratica favorire unaumento della collaborazione. Una volta iniziata la ricerca antropologica per il

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dottorato, ho distinto questi obiettivi e ho lasciato cadere il secondo per focalizzarmisull'attività riflessiva del primo. Ciò è in accordo con le considerazioni sul rapporto“indiretto” tra ricerca antropologica e cambiamento sociale espresse precedentemente inquesto capitolo. Lavorare sulla consapevolezza di rete era una condizione necessariaall'eventuale sviluppo autonomo della cooperazione.

Un altro elemento da semplificare nel grafo erano i gruppi di organizzazioni, cheAndrea aveva rappresentato con degli insiemi. Ad esempio Andrea affermava cheNaturalmente Verona fosse una rete di «circa settanta realtà socie». Nel grafo queste nonerano connesse tra loro da archi indicanti le specifiche connessioni, ma genericamenteraggruppate in un insieme. Il problema con questa modalità di rappresentazione era chesenza connessioni effettive il software non poteva calcolare la posizione di questi nodirelativamente agli altri e quindi non potevamo utilizzare nessun layout automatico.Questo limitava il potenziale auto-riflessivo del grafo perché la posizione dei nodi nonpoteva essere calcolata in base a relazioni esistenti e non aveva quindi un significatosemantico di “vicinanza relazionale” (a meno che non si passasse ad un posizionamentomanuale).

In questo caso è stato il mio sguardo “da esterno” a permettere di sciogliere ilproblema. Durante uno degli incontri ho osservato che i nodi che rappresentavano i«soci» erano effettivamente delle «realtà» allo stesso livello delle altre. Quindiavremmo potuto mapparle, con i rispettivi legami, all'interno della rete, senza chedovessero “dipendere” da qualche gruppo. In altre parole mi sono reso conto comeanche in questo aspetto il grafo originale rispecchiava il “punto di vista” e la conoscenzaparticolari di Andrea, costruita in base alla sua esperienza personale. Andrea non avevainserito tutte le connessioni sia perché non le conosceva, ed usava quindi delle categoriedi approssimazione come “soci di” o “nella rete di”, sia perché la sua attenzione e il suoposizionamento erano più spostati sulle organizzazioni di coordinamento, che non suogni singola «realtà».

Man mano che procedevamo nella progettazione, risultava più evidente che ilpotenziale dello strumento risiedeva specificamente nella sua capacità di integrare idiversi punti di vista individuali di attori interni alla società civile, per creare unarappresentazione plurale. Io però cominciavo a maturare la convinzione che, affinché ilgrafo potesse diventare uno strumento utile alle persone rappresentate al suo interno,non bastava condividere il prodotto finito; avremmo dovuto permettere a queste personedi partecipare – proprio come Andrea – al processo di costruzione dello strumento.Dovevamo permettere anche ad altri di poter sperimentare quella sorta di letturaperformativa ed evocativa del grafo “dall'interno”, che avevo visto mettere in pratica daparte di Andrea.

Ricerca come partecipazione ad un esperimento

Ciò è risultato per me evidente dopo il mio ritorno da Bali. Ho adottato quindi unapostura, che si ritrova in tantissimi altri studi di antropologia, che è quella di utilizzare il

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Caso studio e metodologia

cosiddetto “giro lungo” in un altra società per poi tornare alla società di provenienza conuna rinnovata capacità riflessiva (Remotti 1986). L'esempio balinese mi aveva permessodi mettere a fuoco degli aspetti specificamente culturali dell'utilizzo di strumenti dirappresentazione della complessità. Mi riferisco al fatto che il modello culturalecooperativo dei subak balinesi non è dato a priori. Piuttosto è il risultato di uninterminabile processo di costruzione sociale. Contadini e sacerdoti rinnovano la propriaimmagine mentale del mondo desiderato attraverso una moltitudine di pratiche diverse,a partire dalla disposizione di oggetti in forma di mandala, cioè di schemi rappresentantil'ordine del mondo (utilizzati ormai di rado nella semina dei campi, ma ancorafrequentemente nelle offerte e in altre occasioni), alle performance musicali e teatrali, airituali, alla costruzione e manutenzione dei templi, e così via (Lansing 2006: cap. 5). Isimboli utilizzati in queste pratiche si rimandano a vicenda in una complessa rete dicorrispondenze, in cui elementi visuali (colori, posizioni, e così via) corrispondono allenote musicali, alle scansioni del tempo nel complesso calendario, alle letteredell'alfabeto, ai sensi e alle emozioni umane, e così via. Queste corrispondenze vanno acostruire un tessuto simbolico che rinforza il modello culturale cooperativo.

Allo stesso modo il lavoro di rappresentazione grafica della rete di Verona aveva ilpotenziale di offrire una corrispondenza visuale da una parte agli atti linguistici e aidiscorsi sul “fare rete”, “mettere in rete”, e “creare reti” già diffusi nella società civileinternazionale (Mance 2003; 2010), nazionale (Tavolo RES 2010) e locale (“Strategie direte per l’economia solidale” 2002; Musso 2002; Ceriani 2012); dall'altra alle pratichedi rete già messe in atto dalle organizzazioni locali, come i festival (dove molteorganizzazioni si trovano fisicamente insieme per uno o più giorni all'interno di unasituazione “di piazza” o “di mercato”), le campagne politiche, di informazione, disensibilizzazione (in cui diverse organizzazioni collaborano, non necessariamente “inpresenza”), le riunioni di programmazione partecipate da esponenti di diverseorganizzazioni e le tante altre progettualità di rete. In questo modo poteva rinforzare,attraverso media e canali percettivi diversi, lo stesso atteggiamento mentale cooperativo.

Dopo l'immersione nel caso analizzato da Lansing ho capito che a Verona avevol'occasione di partecipare ad un “esperimento” condotto da alcuni membri di unacomunità di pratiche in formazione, da cui era sorta la domanda di conoscere meglio larete collettiva che emergeva dalla loro interazione; un sistema che manifestava così ilsuo percorso di apprendimento. Ciò mi ha permesso di riposizionarmi nel progetto conil ruolo di ricercatore. Andrea e altri membri del gruppo di lavoro che si era formatodesideravano utilizzare il grafo per comprendere la loro realtà relazionale. La lorodomanda di conoscenza è engaged. Io, come ricercatore, potevo seguire e documentarequesta pratica, partecipandovi. La mia domanda di ricerca è quindi in un certo sensoduplice. Da un lato mira principalmente alla produzione di una conoscenzaantropologica: capire come un tale esperimento di auto-riflessione collettiva vienemesso in pratica.

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L'etnografia, pensiamo oggi, non raggiunge i suoi obiettivi quando riesce a ridurrecreazioni sconosciute e complesse a strutture logiche familiari o a modelli bendefiniti (o, per quel che conta, il comportamento strano e 'selvaggio' a funzionisociali comprensibili). Ciò cui ora miriamo sono report, storie e commentari chesiano in grado di rendere presente la conoscenza che rappresentano. Per riprenderela versione di Geertz sulla questione della conoscenza – come si sa che si sa – orachiediamo (e dovremmo essere in grado di rispondere) cosa sappiamo su comeloro sanno quello che sanno. (Fabian 2012: 443)

Riprendendo le parole di Fabian, che riprende quelle di Clifford Geertz, questa ricercapuò dire qualcosa su come gli interlocutori costruiscono la propria conoscenza.

Dall'altro lato anche la mia domanda di ricerca è engaged: anch'io sono interessato aquesto esperimento in corso, e desidero verificare la possibilità di utilizzo dellostrumento del grafo per il fine proposto. Ciò, come dicevo, rappresenta il mioengagement come ricercatore nei confronti della scienza applicata al miglioramentodella sostenibilità, considerata come una problematica che mi accomuna con gliinterlocutori sul campo.

[…] sono tentato di dire che, mentre abbiamo potuto essere impegnati a scoprire'come noi viviamo e loro sopravvivono', dobbiamo ora riconoscere lasopravvivenza come condizione umana comune. Questo non è un cambiamento dienfasi banale o semplicemente retorico (e decisamente non è una questione diassecondare uno zeitgeist di globalizzazione e rovina ecologica). (Fabian 2012:447)

Il risultato della trasformazione epistemologica segnalata da Fabian è la presa diconsapevolezza del fatto che la conoscenza antropologica è un tipo di conoscenza«pragmatica», «che modifica» «il conoscente» e «il conosciuto» (Fabian 2012: 447).

«L'antropologia non è generalmente considerata una scienza sperimentale». Gliantropologi spesso interpretano il coinvolgimento dell'osservatore nella produzionedell'osservazione come una «fonte potenzialmente problematica di pregiudizidell'osservatore» più che come «procedura di scoperta» (Ingold 2011: 15).

Eppure, per le persone che vivono là, la vita quotidiana è sperimentale in tutto e pertutto. Gli abitanti in tutto il mondo maturano la conoscenza di come portare avantila propria vita provando le cose da soli, spesso guidati da compagni più esperti, inprevisione di ciò che i risultati potrebbero essere. E come studenti confessi delquotidiano, gli antropologi – nella pratica – fanno sostanzialmente lo stesso. Non èla sperimentazione, quindi, fondamentale per l'indagine antropologica quanto lo èper i modi di vita che cerca di comprendere? (Ingold 2011: 15)

Ad un livello profondo d'analisi, con un approccio ampio e “filosofico” come quello diIngold, si può riconoscere che ogni pratica che possiamo osservare sul campo ha ilcarattere dell'esperimento, avviene in quel preciso momento, nella sua unica eirripetibile performance. Anche attraverso un approccio più specifico che si concentrasulle forme della contemporaneità (come quello rappresentato dagli studi di Marcus), ilcarattere sperimentale delle pratiche osservate sul campo appare comunque comeelemento preponderante.

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Se ci si avventura nell'amministrazione di una banca di investimento francese perconversare con i matematici che progettano gli strumenti finanziari, oppure si parlacon chi costruisce i modelli climatici a Boulder o ci si incontra con gli attivisticattolici al servizio degli anziani a Milano o a Varsavia, si incontrano attori chesperimentano varie narrazioni della loro situazione personale e le condizioniambigue che incorniciano le loro aspettative e sentimenti. Poi ci sono i medici cheinterpretano nuove tecnologie di diagnostica per immagini o i televangelisti chemediano le vite spirituali di una comunità carismatica collegata globalmente,entrambi praticanti implicati in cambiamenti tecnologici che nessuno comprendepienamente. (Holmes e Marcus 2008: 83)

Proprio perché il contemporaneo appare come periodo di cambiamento e transizione,molte delle attività tipiche di questo periodo storico si configurano comesperimentazioni anche a livello cosciente da parte degli attori che le mettono in pratica(da cui il carattere para-etnografico di alcuni di questi esperimenti).

Il mio posizionamento e la mia identità sul campo si manifestano quindicontemporaneamente a due livelli. Da un lato attraverso il ruolo dell'antropologo conl'obiettivo di documentare, partecipandovi, lo svolgersi di una pratica; ruolo che midistingue chiaramente dai miei interlocutori-collaboratori, impegnati nella pratica,nell'applicazione di una metodologia (pratica che comporta una sorta di ricerca para-etnografica). Ad un livello più generale la mia presenza è quella del ricercatore engagedo applicato, impegnato nel documentare un determinato metodo di apprendimentocollettivo in modo da diffonderne la conoscenza nella comunità scientifica, nellacomunità dei collaboratori, e nel pubblico più ampio, al fine ultimo di collaborare alla«coltivazione» dei sistemi di apprendimento sociale (Snyder e Wenger 2010: 123), che aloro volta possano portare la nostra comune società allo stato di sostenibilità desiderato.

A questo livello, coerentemente con l'immaginario boasiano e riprendendo le paroledi Matti Bunzl citate in precedenza (p. 62) l'“altro” non sono gli interlocutori sul campo.Antropologo e interlocutori-collaboratori, siamo «uniti in una posizione epistemologicacomune nei confronti del vero Altro», che è rappresentato dalla storia comune delleorganizzazioni della società civile locale, la quale «aveva generato la condizioneattuale» che Andrea ed altri chiamavano “rete”, e «che sfuggiva alla descrizioneimmediata a causa della mancanza di documenti scritti». Com'è questa rete? È connessacome diceva Andrea, oppure è frammentata come veniva percepita dalle critiche?Quanto è grande? Chi ne fa parte? C'è un leader, un gruppo o un'organizzazionecentrale? E poi, la rappresentazione grafica della rete avrebbe sortito qualche effetto alivello di consapevolezza di questa comunità di pratiche? Avrebbe favoritol'apprendimento sociale? Le risposte a queste domande non erano conosciute da me(ricercatore), né da loro (membri delle organizzazioni). Insieme, quindi in modocollaborativo, abbiamo tentato un metodo ed un esperimento per scoprirlo.

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Svolgimento della ricerca

Strumento proposto e risultati attesi

All'interno della cornice teorica e metodologica presentata fin'ora e partendo dai risultatidella co-teorizzazione iniziale propongo a) di utilizzare la stessa metodologia combinata(costituita da fieldwork etnografico e modellazione formale dei sistemi complessi)illustrata per il caso balinese e adattarla al caso veronese; b) di adottare l'approcciocollaborativo non solo nei confronti del fieldwork in generale, ma anche specificamentedella costruzione e fruizione del modello formale; c) di realizzare in questo modo unostrumento di rappresentazione della complessità relazionale – costituito da un grafodelle collaborazioni partecipativo – nell'intento di favorire l'instaurazione di un processodi apprendimento sociale riflessivo all'interno della rete di comunità di pratiche delcampo.

Il passaggio dalla metodologia e dal contesto del caso studio balinese a quelloveronese non è immediato e passa attraverso un sistematico processo di astrazione, cheintendo esplicitare. Inizio dalle comunità primarie interessate dalle due ricerche:comunità di contadini e sacerdoti da un lato e comunità di membri di organizzazionidella società civile (intesa nel senso massimalista descritto) dall'altro. È evidente che icontesti, le abitudini e le pratiche culturali in campo sono molto diversi. Nellaprogettazione della ricerca il passaggio dall'una all'altra comunità è reso possibileattraverso il concetto di comunità di pratiche (si veda p. 34), il quale si configura comeun modello astratto in grado di illuminare diversi tipi di interazione tra persone indiversi contesti.

L'interazione tra le associazioni di irrigazione (subak) in cui sono organizzate lecomunità di contadini balinesi è ulteriormente modellabile come una generica rete dicooperazione (e coordinamento) tra agenti autonomi, un modello elaborato all'internodel paradigma della scienza della complessità. Sulla base di un'indagine preliminarenella letteratura su contesti di società civile ed economia solidale di livellointernazionale e nazionale (Hawken 2007; Tavolo RES 2010: cap. 1; Biolghini 2007:cap. 4)36 e sulla base della iniziale conoscenza del caso particolare sviluppata nelperiodo di co-teorizzazione descritto, ipotizzo che anche le organizzazioni della societàcivile locale possano essere fruttuosamente modellate come una rete di cooperazione.

Il caso balinese mostra la presenza di un sistema di apprendimento sociale in cuisono coinvolte altre comunità, secondarie rispetto alla presenza a loro riservata nelfieldwork etnografico (comunità dei pianificatori e gruppi di ricercatori stranieri elocali). Anche la comunità veronese è coinvolta in un processo di apprendimento socialeinsieme ad altri gruppi (istituzioni locali, cittadinanza non appartenente al “mondo”della società civile, università). Tuttavia il fieldwork della mia ricerca si concentraesclusivamente sulla comunità principale e sul processo di apprendimento riflessivopresente al suo interno: una rete/comunità di cui i membri stessi stanno prendendo

36 Si veda anche Mance (2003) per un contesto esterno (Brasile).

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Caso studio e metodologia

consapevolezza, cercando di comprenderne i confini, la struttura, le pratiche e ledinamiche. Il ruolo della ricerca antropologica nel caso di Lansing è stato (e continua adessere) quello di favorire il processo di apprendimento sociale, oltre che di comprenderee documentare il soggetto del campo, cioè la rete dei subak. Come ho mostrato, intendoadottare lo stesso “doppio obiettivo” nella mia ricerca.

Il complesso sistema di simboli, miti e rituali, specialmente quelli associati ai templidell'acqua, sono manifestazioni uniche della cultura e della religione balinesi, che èimpossibile riscontrare altrove. Tuttavia, ai fini della ricerca, possono esseregeneralizzati come strumenti di rappresentazione della rete di cooperazione tra subak,capaci di rendere comprensibile la complessità delle dinamiche socio-ecologicheall'opera, riducendola abbastanza da tenerla a mente ma non troppo da snaturare ledinamiche reali. Questi strumenti culturali aiutano i membri delle comunità coinvoltenella gestione dell'irrigazione e della risicoltura a mantenere uno “status mentale”collaborativo.

Anche il modello-ad-agenti costruito dai ricercatori può essere interpretato come untale strumento di rappresentazione, orientato ad entrare in relazione con la culturatecnico-scientifica dei pianificatori, che si è dimostrato capace di rendere visibile ilsistema complesso esistente. Allo stesso modo propongo di interpretare il grafo dellecollaborazioni come strumento per rappresentare la complessità relazionale interna allacomunità veronese e per favorire la diffusione di un atteggiamento collaborativo tra imembri. L'indagine preliminare ha lasciato intuire che l'orizzontalità di questo tipo direti e l'autonomia delle organizzazioni che le compongono rendono difficile cogliere larete nel suo insieme e che i membri possono confondere le proprie visioni posizionate eparziali per immagini della rete complessiva. Il grafo vuole fornire inoltre un'immaginevisuale della rete che crei un sistema di corrispondenze simboliche con i discorsi e lepratiche di rete già presenti.

Il sistema-ad-agenti della rete di subak è stato realizzato dai ricercatori, sulla basedelle informazioni del fieldwork, per poi essere fruito (principalmente, ma non solo) daipianificatori. Il diverso contesto della mia ricerca (ad esempio l'ampia diffusione eutilizzo di internet e del web 2.0 tra gli interlocutori-collaboratori) mi permette ditentare di realizzare lo strumento del grafo non solo sulla base del fieldwork, ma anchein collaborazione con alcuni membri della comunità, gli stessi che ne costituiranno iprincipali fruitori. In particolare la definizione delle entità e delle relazioni, cioè deinodi e degli archi che andranno a costituire il “grafo di collaborazione” non è stabilita apriori.

In matematica e nelle scienze sociali, un grafo collaborazione è un grafo chemodella una qualche rete sociale dove i vertici rappresentano i partecipanti a talerete e dove due partecipanti distinti sono uniti da un arco ogni volta che c'è unrapporto di collaborazione di qualche tipo tra di loro. (Yegnanarayanan eUmamaheswari 2011: 1115)

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Pur rimanendo all'interno del concetto del grafo di collaborazione37, indicante quindirapporti di collaborazione tra i partecipanti alla rete della società civile veronese, ledefinizioni operative su cosa considerare nodi e relazioni e su come costruire il grafosono state prese in base ai risultati dell'etnografia collaborativa (per le definizionioperative delle entità si veda p. 282; delle relazioni p. 287).

Sulla base dei risultati ottenuti dalla ricerca di Lansing, mi aspetto che l'introduzionedello strumento del grafo riesca a rendere visibile la rete di cooperazione. L'obiettivosottostante è che l'immagine della rete possa favorire l'emergere di un feedback(retroazione) tra gli agenti e il sistema emergente, che renda in un certo senso“accessibile” il livello collettivo-sistemico; una sorta di “mappa relazionale” che gliagenti possano usare per “vedere” la rete e che possa aiutarli nell'orientare le propriepratiche e il proprio percorso, come una carta geografica può aiutare un viaggiatore. Miaspetto inoltre che la costruzione collaborativa del grafo possa favorirne l'adozionenell'ottica dei beni comuni (uno strumento/bene comune, da usare e di cui prendersicura); che questo possa contribuire ulteriormente ad aumentare la consapevolezza daparte dei singoli membri delle organizzazioni di essere parte di una comunità piùgrande, cui insieme contribuiscono a dare vita; e che ciò possa a sua volta favorire losviluppo di un atteggiamento cooperativo o, più precisamente, una “disposizione alnetworking”38.

In generale l'obiettivo del grafo e dell'etnografia, oltre che nel seguire l'esperimentodi auto-rappresentazione avviato, consiste nel promuovere una visione sistemica-complessa e relazionale del mondo della società civile (dell'economia solidale, del terzosettore, dei beni comuni e della cittadinanza attiva). Con questa intendo portare unnuovo sguardo specificamente sulla questione del coordinamento delle diverseesperienze di questo mondo che, sia da parte di osservatori interni che esterni, vienespesso definito come frammentario e diviso in una serie di componenti (soggetti edesperienze) isolate. Intendo valutare i risultati attesi quanto possibile attraversol'osservazione dell'utilizzo dello strumento durante le pratiche del fieldwork.

Raccolta e fruizione dei dati

Per seguire l'esperimento sul campo ho strutturato la raccolta dei materiali in modo dacoinvolgere gli interlocutori-collaboratori sia nelle fasi di progettazione, creazione, egestione dello strumento del grafo, che nell'acquisizione dei dati da cui il grafo vienedisegnato. Ciò ha richiesto un duplice percorso, da una parte l'etnografia collaborativa,dall'altra il design di un software collaborativo.

Iniziando dal secondo punto, era necessario estendere lo strumento elaborato da

37 La tipologia grafo di collaborazione è divenuta famosa grazie ai lavori sulla collaborazione tra ricercatori matematici, calcolata in base alla co-autorialità dei papers scientifici, iniziati come riconoscimento dell'impegno collaborativo del famoso matematico Paul Erdős (Grossman 2013).

38 È più corretto parlare di networking che di cooperazione in quanto il primo concetto è meno legato adaccezioni “positive” e più indicato a riferirsi alla «combinazione di concorrenza e dipendenza reciproca» (Bateson 1976 [1972]: 437) tipica dei sistemi complessi.

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Andrea per dare la possibilità ad altre persone di inserire informazioni nel grafo. Primadi procedere alla progettazione del software, è stato quindi necessario rivedere laprocedura tipica di elaborazione di un grafo utilizzata nell'analisi delle reti, che èessenzialmente individuale. Innanzitutto l'analisi delle reti divide solitamente ilmomento della raccolta dei dati da quello dell'elaborazione e dell'analisi. La creazionedel database con i dati relazionali può avvenire tramite procedure di censo o di spogliosistematico di documenti d'archivio, tipiche delle ricerche storiche. In antropologia sonousate varie tecniche di elicitazione, ad esempio Giovanni Bennardo (2009: 313) mostracome si possano utilizzare questionari, interviste e «osservazioni indirette»39. Laraccolta dei dati viene solitamente effettuata dai ricercatori, o da aiutanti sul campo, perun determinato periodo di tempo fino a quando viene dichiarata sufficientementecompleta per l'analisi. Nel caso dell'esperimento che si stava svolgendo a Verona,invece, era importante mantenere aperta la fase di raccolta dei dati a tempoindeterminato, in modo tale che lo strumento potesse essere aggiornato nel tempo, anchedopo il termine della ricerca di dottorato e anche indipendentemente dalla mia presenzadi ricercatore. Ciò ha richiesto di programmare un'elaborazione dei dati automatica intempo reale; il grafo si deve aggiornare man mano che i membri della comunitàinseriscono nuove informazioni nel database.

Una seconda riflessione riguarda l'utilizzo della visualizzazione. L'analisi delle retipresenta aspetti quantitativi – come la matematica dei grafi e il calcolo matriciale estatistico con i complessi algoritmi usati per calcolare valori relazionali – e altri che, puravendo una base quantitativa, hanno un aspetto marcatamente qualitativo, tra cui lavisualizzazione delle reti. L'elaborazione grafica è ottenuta con algoritmi matematici apartire dai dati grezzi (aspetto quantitativo), ma il risultato dell'iterazione di unalgoritmo di layout – il disegno del grafo40 – è un oggetto emergente, che non èpossibile “vedere” nei dati (a meno che non si tratti di reticoli molto semplici) e che puòessere apprezzato come sintesi (qualitativa) dell'elaborazione dei dati. Lavisualizzazione è un elaborato emergente che riesce a mantenere e a mostrare alcuniaspetti della complessità del sistema analizzato, senza ridurli completamente ad unaserie di numeri.

In una dinamica tipica di utilizzo dell'analisi delle reti nella ricerca scientifica ilricercatore (l'osservatore) utilizza gli strumenti (statistiche e visualizzazioni) percomprendere la rete di relazioni che compongono il sistema “oggetto” di studio.L'osservatore dunque si pone come osservatore esterno. Il ricercatore utilizza l'impattoqualitativo della visualizzazione e le possibilità di esplorazione interattiva ad essa

39 Per una breve rassegna sulle tecniche di costruzione dei dati relazionali in antropologia si veda Bennardo (2009: 310).

40 La visualizzazioni delle reti non si limita ai grafi tipicamente rappresentati da cerchi per i nodi e frecce per gli archi di connessione (node-link diagrams), ci sono altri strumenti, ad esempio le matriciordinate o, come mostrerò nel quinto capitolo, i grafici storylines. La visualizzazione dei grafi è un'area di ricerca molto attiva negli ultimi 20-30 anni (Arendt e Blaha 2014: 1); ad esempio il simposio internazionale Graph Drawing, dedicato a questa disciplina, si tiene regolarmente ogni annodal 1992.

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associate (colorazione, filtri, navigazione, timeline, e così via) per scoprire dei patternse in generale avere delle intuizioni sulla struttura del sistema (Blythe, McGrath, eKrackhardt 1996; Shneiderman e Dunne 2013; Freeman 2005; Heymann e Le Grand2014). La natura qualitativa della tecnica della visualizzazione è confermata dall'utilizzoche ne viene fatto sia a livello aziendale che accademico a fini di comunicazione (Perer2010: 160), un aspetto connesso al concetto sociale di bellezza delle visualizzazioni(Steele e Iliinsky 2010).

Nella ricerca “classica” sulle reti sociali, i grafi sono strumenti euristici in mano al“ricercatore-osservatore esterno” e i soggetti rappresentati nel grafo (persone oorganizzazioni) costituiscono l'“oggetto” d'analisi. Alcune riflessioni critichesuggeriscono «che tali visualizzazioni possono essere di interesse non solo per analistie ricercatori, ma anche per le persone i cui dati vengono analizzati» e che sia importante«permettere alle persone di comprendere le proprie reti sociali» (Viégas e Donath 2004).Nell'esperimento veronese intendevo cogliere l'occasione di costruire un grafo di auto-rappresentazione, insieme e con l'aiuto delle persone – almeno alcune – rappresentate,in modo che i soggetti rappresentati nel grafo fossero contemporaneamente gliosservatori del grafo e persino i costruttori del grafo. L'obiettivo era quello diposizionare lo strumento all'interno della comunità di pratiche per favorirne l'auto-riflessione. In questo modo non ci sarebbe stata un'“osservazione esterna”, ma un'auto-rappresentazione intersoggettiva. Per fare questo, non ritenevo sufficiente lavorare sullato della restituzione e della condivisione dei risultati, ad esempio facendo circolare ilgrafo tra i diretti interessati come aveva precedentemente fatto Andrea. Il grafo,elaborato in tempo reale sulla base dei dati inseriti dagli interessati, doveva essere anchevisualizzabile ed esplorabile direttamente da loro.

A livello tecnico ho trovato la soluzione a questa sfida attraverso la creazione diun'applicazione web interattiva che permette alle persone di autenticarsi come utenti,inserire schede informative relative alle attività delle proprie organizzazioni e relativealle collaborazioni, ed osservare il grafo complessivo risultante. Si tratta quindi di ungrafo di collaborazione partecipativo. Questa applicazione (descritta in dettaglio a p.278) è in un certo senso più vicina alla struttura delle simulazioni partecipative con imodelli-ad-agenti che non ai software di analisi delle reti. Tipicamente una simulazionecon un modello-ad-agenti (ottenibile ad esempio utilizzando il software NetLogo)consiste in un programma che aziona contemporaneamente una moltitudine di agentivirtuali, cui viene impartito un set di regole comportamentali da seguire, per poiosservare (a livello qualitativo e quantitativo) il risultato emergente dall'interazione.Nelle simulazioni partecipative (ad esempio utilizzando lo strumento HubNet incluso inNetLogo) invece, ogni agente può essere “impersonato” da un utente che si trovafisicamente ad un terminale connesso al programma di simulazione. In questo caso leregole vengono impartite alle persone, ma ognuno è libero di interpretarle e di agire aproprio piacimento. Questo tipo di esperimenti e simulazioni partecipative vengono

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tipicamente eseguite in classe o in laboratorio con gli studenti per verificare ipotesi eteorie e costituiscono, ad esempio, un'importante componente della ricerca sulla teoriadei giochi e sulla teoria dei beni comuni (Poteete, Janssen, e Ostrom 2010: cap. 6). Ilsoftware che ho costruito per la ricerca di Verona è pensato come una simulazionepartecipativa estesa sul campo. Sono i membri delle organizzazioni ad inserire i propridati, a creare quindi i nodi e le connessioni della rete disegnata nel grafo.

La creazione di un esperimento di questo tipo non è affatto una questione puramentetecnica ed ha reso necessario prendere molte decisioni insieme a molti interlocutori-collaboratori durante tutto il percorso di realizzazione. La soluzione metodologica ècostituita dall'etnografia collaborativa, attraverso cui ho potuto partecipare alle attivitàdi alcune organizzazioni, collaborando operativamente con molte persone nelle pratichedella comunità. Ciò mi ha permesso di vivere molto tempo insieme agli interlocutori-collaboratori in situazioni di condivisione o comunque di vicinanza. Grazie a questotempo comune sono emerse molte occasioni di confronto. Ho potuto confrontarmi con icollaboratori sia direttamente e apertamente sulle scelte relative al progetto,continuando quindi il processo di co-teorizzazione iniziale descritto nella sezioneprecedente, sia indirettamente su situazioni comuni nelle quali ho potuto osservare ilmio comportamento e quello degli altri. Il fieldwork, durato più di due anni, hapermesso il mio coinvolgimento nelle attività dei collaboratori e contemporaneamente ilcoinvolgimento di alcuni collaboratori nel progetto della ricerca.

Per quanto riguarda la raccolta dei dati etnografici attraverso l'osservazionepartecipante, il primo argomento in ordine di rilevanza si riferisce all'occasione che si èpresentata di stendere i verbali di molte riunioni a cui ho partecipato. La mia entrata nelcampo è consistita nell'essere invitato dal gatekeeper a partecipare alle riunionidell'associazione Naturalmente Verona. Alla prima riunione sono andato senza quadernoper gli appunti e senza registratore, perché non intendevo assumere la posa di “quelloche ci studia”, come in un paio d'occasioni qualcuno scherzando mi ha apostrofato. Allostesso tempo avevo bisogno di prendere delle note di campo. Avrei certamente potutofarlo dopo le riunioni, tornato a casa ed inizialmente ho infatti utilizzato questastrategia. Fin dalla prima riunione però avevo notato che Andrea, presidentedell'associazione, prendeva apertamente appunti sul suo diario per redigere poi ilverbale della riunione, che solitamente pubblicava sul sito web dell'associazione. Inoltrescattava anche qualche fotografia, che pubblicava insieme al testo. Pensavo che avreipotuto fare lo stesso, perché – nonostante fosse chiaro a tutti il mio ruolo di studentericercatore in antropologia (come ero stato presentato fin dall'inizio) – quel tipo dipresenza mi avrebbe permesso di tenere insieme la mia duplice posizione dipartecipante e di osservatore.

L'occasione si è presentata alla prima assemblea dei soci avvenuta dopo averterminato l'edizione 2012 del “Festival dell'Economia Eco-Equo Solidale”, organizzatodall'associazione. La discussione avvenuta durante l'incontro è stata ricca di spunti di

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riflessione, ma a distanza di una settimana il verbale non era ancora stato pubblicato. Hoscritto quindi ad Andrea una email dove, presumendo che si trovasse sobbarcato dilavoro e pensando di fare cosa gradita, gli inviavo il verbale redatto dai miei appunti.Nella sua risposta Andrea si è dichiarato estremamente felice e riconoscente per il miogesto. Due giorni dopo Alberto B., tesoriere dell'associazione, ha condiviso il verbale trai membri del direttivo, includendo anche me nei destinatari, ringraziandomi edinvitandomi ad accettare il ruolo di segretario nel direttivo stesso. A partire dallasuccessiva riunione ho quindi iniziato a prendere appunti al computer direttamentedurante la conversazione. Ciò mi permetteva di svolgere al meglio il mio ruolo diosservatore, e al contempo di fare un lavoro utile per l'associazione, cioè mi conferivaun ruolo riconoscibile – e gradito – come collaboratore alle attività del gruppo.

Il vantaggio di assumere un ruolo culturalmente definito nel gruppo sociale diinserimento è una opzione metodologica indicata per incorporare «un'identitàcomprensibile, oltre al ruolo non familiare dell'etnografo» e limitare lo «stigma» delricercatore come «outsider» (Johnson, Avenarius e Weatherford, 2006, p. 114).L'efficacia di questa scelta si è dimostrata tale che l'ho adottata, ove ne ho avuto lapossibilità, anche con le altre organizzazioni di cui frequentavo le riunioni e ciò mi hapermesso di raccogliere centinaia di pagine di appunti e di verbali. Le due tipologie ditesto non sono uguali, e spesso dovevo rivedere il contenuto degli appunti prima dipoterlo inviare sotto forma di verbale, togliendo ad esempio tutte le trascrizioni delleconsiderazioni “fuori verbale” e i “detto tra noi”, tipiche delle riunioni organizzative,oppure gli appunti contestuali (relativi all'atteggiamento o all'aspetto dei presenti,all'ambiente, e così via). Se da un lato i verbali dei vari incontri che ho redatto sono statiutili ai membri dei rispettivi gruppi operativi nello svolgimento delle proprie attività,dall'altro anch'io ho potuto usufruire di vari verbali e trascrizioni redatte da membridelle comunità, ad uso interno o pubblico, per aumentare la mia documentazione.

Il contributo della verbalizzazione delle riunioni di organizzazioni operanti sulcampo alla raccolta dei dati etnografici non è nuovo alla ricerca antropologica. Unariflessione in tal senso trova un posto di rilievo nella ricerca di dottorato di AnneLavanchy, svolta in Cile presso alcune comunità Mapuche (Lavanchy 2009: 60–64).

[…] Ho giocato il ruolo di segretaria [presso il gruppo culturale Weliven]trascrivendo sul mio portatile la registrazione delle interviste condotte dai membri,che avevano lo scopo di raccogliere la storia recente di Elicura, raccontata dai lorogenitori e nonni.

[…] Sono stata anche ufficialmente designata per la trascrizione di conferenze ediscussioni di vari incontri pubblici. (Lavanchy 2009: 61)

[…] Nell'ambito di un progetto culturale finanziato dall'Università Arcis, i membridel gruppo culturale hanno registrato storie sulla vita nella valle, di lì a unacinquantina d'anni, che mi hanno chiesto di trascrivere. (Lavanchy 2009: 62)

È chiaro che la trascrizione delle discussioni orali costituisce una delle competenze

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Caso studio e metodologia

trasversali degli antropologi molto richiesta in determinati contesti (come l'attivismo disocietà civile) e che è possibile quindi utilizzarla per facilitare la collaborazione con gliinterlocutori sul campo. Lo stesso può valere, soprattutto per chi ha esperienza nellapratica dell'antropologia visuale, per la competenza nella registrazione audio-visiva,anch'essa molto richiesta da parte di gruppi che desiderano raccogliere registrazioni permotivi documentali e/o comunicativi. Lavanchy ha tratto vantaggio anche da questo tipodi pratiche sul campo. Ho utilizzato la raccolta di materiale audio-visivo soltanto su miainiziativa e in una particolare modalità, cioè riprendendo alcune persone chedisegnavano i grafi di rete delle proprie organizzazioni su di un quaderno. Tuttavia sonostate innumerevoli le occasioni in cui ho rifiutato la proposta di fungere da cameramandurante gli eventi cui partecipavo, in quanto la telecamera è un mezzo con cui non mitrovo a mio agio e che, nel mio caso, avrebbe complicato eccessivamente il lavoro sulcampo. Se avessi avuto la necessità di raccogliere dati visuali sugli incontri, osemplicemente di avere un ruolo che facilitasse il mio accesso al campo, sarebbero statebuone occasioni.

Lavanchy conferma che la «collaborazione» con gli interlocutori attivi sul campo, la«partecipazione» operativa alle loro attività, «offre la possibilità» di «dibattere a piùriprese» su temi rilevanti per la ricerca e di «prendere coscienza dei problemi» delcontesto di vita delle persone sul campo. Inoltre questo tipo di «inserimento»«legittima» la presenza del ricercatore, ed aiuta «nel corso dei mesi, ad instaurarecontatti con persone che non [fanno] parte» dei gruppi con cui si collabora (Lavanchy2009: 62).

Una ulteriore occasione di notevole importanza per favorire l'entrata nel campo eraccogliere informazioni sul dominio, sui discorsi e sulle pratiche della comunità ècostituita dall'offerta di corsi e altre attività didattiche da parte di organizzazioni dellasocietà civile41. Anche in questo caso è stato il campo a fare emergere l'occasione. Adesempio, durante il lavoro con le associazioni Naturalmente Verona e “Villa Buri onlus”ho capito che la società di mutuo soccorso e cooperativa di servizi “Mag Verona” eraun'altra organizzazione che ricopriva il ruolo di rete locale, e che mi sarebbe interessatofrequentare. Cercando un modo per interagire con loro, sono venuto a conoscenza di uncorso di “Economia del buon vivere”, organizzato attraverso la “Libera Universitàdell'Economia Sociale e degli Scambi”, uno dei progetti messi in campo da Mag. È statal'occasione per trascorrere molte ore insieme a membri dell'organizzazione in uncontesto di apprendimento che favoriva lo scambio di informazioni. Allo stesso modo il“Movimento per la Decrescita Felice” di Verona organizzava un ciclo di conferenze daltitolo “Ali-Menti”, dove si progettava ed organizzava la proposta di una rete di orticollettivi. Persino l'Università di Verona offriva un corso didattico sulla sostenibilità daltitolo “Per un futuro sostenibile: che fare?”, corso che in alcune lezioni entrava in

41 Anche Lavanchy segnala di aver partecipato a corsi organizzati dai gruppi con cui ha collaborato (Lavanchy 2009: 61).

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Capitolo 2

contatto diretto con la comunità della società civile42. Un ulteriore ciclo di conferenzeorganizzato a metà tra le comunità di pratiche dell'università e della società civile è statoil già citato “Economie, Lavoro e Benessere in una società in transizione”, organizzatodal gruppo di ricerca ibrido “Unimat”.

Frequentando questi momenti didattici è stato possibile assistere alla messa in scenadelle retoriche, delle conoscenze, dei discorsi fondanti delle singole comunità dipratiche. Considerando il taglio specifico della ricerca, è stato possibile, ad esempio,approfondire la comprensione delle domande “chi conosce cosa?” e “chi conosce chi?”(Wenger 2011: 3). Questi momenti didattici, insieme ai tanti eventi pubblici organizzatidalle associazioni, sono stati utili anche per mettere in atto la «partecipazione perifericalegittima» tipica delle fasi iniziali dei processi di apprendimento (Lave e Wenger 2006[1991]) e scelta efficace nella fase iniziale del fieldwork.

In generale questo è possibile grazie all'apertura verso l'esterno caratteristica delleorganizzazioni della società civile. La loro attività tende ad essere visibile e pubblica, esi concretizza in eventi e azioni che coinvolgono la cittadinanza, azioni che possonoavere risvolti strettamente “economici” come ad esempio la creazione di nuove imprese,ma che sempre presentano un aspetto sociale ed inclusivo. Si ritrovano in momenti“interni”, per preparare l'attività, per condividere esperienze, ma sempre sicaratterizzano per un'apertura verso curiosi, simpatizzanti, potenziali nuovi membri everso le istituzioni, con le quali cercano a volte la collaborazione e di cui cercano ilriconoscimento, anche se spesso si trovano a mettere in pratica forme di parzialedissenso e critica nei confronti delle stesse istituzioni politiche ed economiche. Se ci sipresenta con la volontà di offrire il proprio contributo nelle pratiche diun'organizzazione, si trova generalmente la «porta aperta», atteggiamento che adesempio “Mag Verona” ricollega al principio cooperativo “della porta aperta” sancitodal Codice Civile43. Viste attraverso la teoria di Lave e Wenger, queste aperture(collaborazioni, corsi didattici, eventi, e così via) garantiscono il processo della“partecipazione periferica legittima” attraverso il quale i newcomers possono acquisiretutte le conoscenze e competenze necessarie per ottenere una piena partecipazione allepratiche socioculturali di una comunità. Questa immagine di un percorso diavvicinamento alle comunità di pratiche tramite un apprendimento progressivo puòessere impiegata anche per comprendere e descrivere l'entrata nel campo da partedell'etnografo.

Prodotti della ricerca e restituzione

La descrizione dello svolgimento e dei risultati di una ricerca di dottorato trovanospazio principalmente nella tesi, un prodotto della ricerca destinato principalmente al

42 Nell'ultima lezione ad esempio sono stati invitati diversi esponenti di organizzazioni della società civile.

43 Il principio della porta aperta a livello legale si riferisce specificamente all'introduzione di nuovi soci nelle cooperative, si vedano gli articoli 2524, 2527, e 2528 del Codice Civile Italiano.

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Caso studio e metodologia

pubblico accademico. In antropologia ha un peso rilevante anche la restituzione deirisultati della ricerca al pubblico costituito dalla comunità degli interlocutori-collaboratori sul campo. Spesso inoltre le ricerche vengono indirizzate anche al grandepubblico a fini divulgativi. A questi si possono aggiungere altri pubblici o destinatarispecifici per la particolare ricerca svolta, come ad esempio i pianificatori nel caso diLansing discusso precedentemente. Una delle strategie comuni per incontrare i diversipubblici, che ho adottato anch'io, consiste nella diversificazione dei prodotti dellaricerca in base ai diversi destinatari.

Inizio dal pubblico dei collaboratori. Il principale prodotto della ricerca indirizzato aicollaboratori è l'applicazione web. Essa è stata concepita non soltanto in modocollaborativo con alcune persone appartenenti alla società civile, ma anche avendo inmente i membri delle organizzazioni della società civile come utilizzatori principalidegli strumenti che essa offre, tra cui il grafo della rete di collaborazioni. Questo tipo diprodotto della ricerca si configura come strumento utile ai collaboratori. Ugualmentepossono essere considerati restituzioni di questo tipo anche i grafi relativi alle specificheattività che ho seguito. Questi prodotti sono circolati in varie forme, come immaginiallegate alle comunicazioni via email tra i membri dei vari gruppi, proiettati duranteriunioni e assemblee, e stampati. Una variazione degna di nota dello strumento del grafodigitale è la versione cartacea in formato poster. Sono stati realizzati soltanto due diquesti poster, centrati sulla rete di una singola organizzazione.

Questi prodotti possono essere considerati una sorta di restituzione “in itinere”,durante il processo di ricerca. Questa pratica ha assunto ulteriori forme. Innanzitutto lascrittura di una serie di articoli su blog, di cui il primo pubblicato sul blogdell'associazione “Naturalmente Verona” e i successivi sul blog creato appositamenteper affiancare l'applicazione web. I contenuti di questi articoli descrivono la creazionedell'applicazione, le motivazioni, e il suo funzionamento. La stessa tipologia dicontenuti ha trovato forma anche in un articolo scritto per una pubblicazione cartacealocale (Marchi 2014), curata da una delle organizzazioni collaboratrici. Si tratta dellarivista “AP. Autogestione e Politica Prima”, pubblicata da “Mag Verona”. Questepubblicazioni sono intese come partecipazione alle attività di scrittura e pubblicazionedei collaboratori e, per quanto possibile, è stata cercata la collaborazione anche nellascrittura stessa. Il testo che ho scritto per la rivista è stato curato ed editato da LoredanaA., socia fondatrice di Mag Verona, prima della pubblicazione. L'articolo pubblicato sulblog di Naturalmente Verona è stato condiviso tra i membri del direttivo prima dellapubblicazione. In entrambi i casi il testo è stato revisionato prima dalla tutoruniversitaria. Gli articoli sul blog dell'applicazione sono stati pensati e progettatiinsieme ai collaboratori del gruppo operativo formatosi per gestire l'applicazione web.

Da queste collaborazioni sulla scrittura sono scaturite importanti riflessioni sullinguaggio e i concetti utilizzati nella comunità, creando un circolo virtuoso tra attivitàdi restituzione e di osservazione partecipante. In particolare ciò è stato possibile durante

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Capitolo 2

un'ulteriore occasione offerta dall'invito a partecipare ad una ricerca in corso pressoMag Verona nel primo periodo del fieldwork. Si è trattato di una ricerca sulla rete diimprese sociali individuata a partire da Mag e attraverso la prospettiva teorica dei benicomuni, che prendeva le mosse dalla ricerca e tesi di laurea specialistica di SilviaCeriani sullo stesso argomento (Ceriani 2012). In questo caso il livello di collaborazionenella scrittura è stato molto profondo, giungendo alla co-scrittura insieme agli altrimembri del gruppo attraverso documenti elettronici condivisi. Il lavoro si è protratto perun lungo periodo ed ha permesso il confronto, il dibattito e la co-teorizzazionesull'argomento dei beni comuni, centrale per la ricerca. Il risultato, confluito nellascrittura di un report (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013), è stato presentato ad unconvegno apposito dal titolo “Imprese sociali in rete: beni comuni per le realtà locali eoltre” a cui erano presenti un gran numero di esponenti della società civile e inparticolare dell'economia sociale e solidale locali44. In queste ed altre occasioni hoquindi avuto modo di partecipare anche alla produzione orale dei discorsi di riflessionedella società civile locale in contesti pubblici.

Poiché i principali prodotti della ricerca destinati al pubblico dei collaboratori sonostati l'applicazione web, i grafi e la partecipazione ai discorsi (interni e aperti alpubblico) locali, non si è ricercata una scrittura collaborativa della tesi, che invece èpensata come prodotto della ricerca indirizzato completamente al pubblico accademicodisciplinare. Non è stata intrapresa alcuna forma di sperimentazione nella scrittura,cercando una struttura il più possibile chiara e lineare.

Di interesse per il pubblico accademico delle scienze sociali può essere consideratoanche il dataset prodotto dall'applicazione web. C'è un enorme potenziale, ancoralargamente inespresso, nello sviluppo di una scienza sociale computazionale (Lazer etal. 2009). Uno dei principali ostacoli a questo sviluppo è la difficoltà di accesso ai dati,laddove i più grandi e completi dataset esistenti sono proprietari di corporations privatee contengono informazioni personali sensibili. Certo il dataset prodotto da questaricerca è piccolo (al momento la rete è composta di 163 nodi e 196 connessioni45; lastima del campione reale della società civile locale è tra le 300 e le 500organizzazioni46), ad esempio rispetto agli standard dei dataset in possesso dei grandisocial network. Tuttavia si tratta di un dataset di potenziale interesse per comprenderel'evoluzione dei sistemi di apprendimento sociale che coinvolgono le organizzazioni disocietà civile, perché è stato costruito per contenere dati pubblici (non sensibili) erelazionali.

L'applicazione web permette di raccogliere i dati che le organizzazioni singolarmente

44 Abbiamo presentato il report anche in una seconda occasione, meno frequentata, durante un ciclo di incontri tematici presso una biblioteca locale.

45 I 163 nodi sono divisi in 130 organizzazioni e 33 progetti/attività. Delle organizzazioni inserite, soltanto 34 hanno aderito al progetto del grafo e di queste soltanto 24 stanno contribuendo attivamente alla raccolta dei dati. Le organizzazioni presenti nel grafo, ma non aderenti al progetto, sono state inserite come collaboratori ai progetti/attività presenti e le loro schede sono vuote, in attesadi un'eventuale partecipazione dei membri di tali organizzazioni.

46 Questa stima è effettuata dall'organizzazione Mag Verona. Si veda anche Ceriani (2012: 80).

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Caso studio e metodologia

rendono pubblici di propria spontanea volontà (ad esempio pubblicando le proprieattività sui social network, sui propri siti internet, tramite volantini e inserzioni neimezzi di comunicazione cartacei) e di metterli in relazione tra loro. Anche i dati relativialle collaborazioni sono pubblici, spesso si trovano sui contenuti sopra indicati, rubricatialla voce “attività realizzata con la collaborazione di”.

Esiste qualche dataset pubblico sulle organizzazioni della società civile. Ad esempionel Regno Unito lo “Uk Civil Society Almanac” raccoglie dati statistici, è focalizzatosulle organizzazioni volontarie, ed è in grado di offrire una sintesi ed unapprofondimento sulla composizione e su molti altri aspetti della società civile inglese(Kane et al. 2014). Questo tipo di datasets tuttavia, poiché non raccoglie datirelazionali, non è in grado di rappresentare la rete di collaborazioni esistente tra leorganizzazioni. Un grande dataset sulla società civile con struttura relazionale eraquello di Wiser.org, «Il social network per la sostenibilità», iniziato dalla ricerca diHawken nel 2007 e chiuso nel 2014 per mancanza di fondi47. Per quanto riguarda larappresentazione dei dati relazionali, il Wiser.org aveva l'obiettivo di favorire a livellovirtuale la creazione di connessioni tra i soggetti, non di mappare le collaborazionirealmente esistenti sulla base di attività svolte in comune, perciò sarebbe stato piùdifficile trarre da quel dataset una mappa relazionale dell'esistente. Inoltre, a livello direstituzione, il software permetteva di visualizzare soltanto la ego-network di unasingola organizzazione e non il grafo completo48.

Per poter rendere i dati del grafo di collaborazione liberamente disponibili è stataadottato lo standard di strutturazione dei dati “RDF – Resource DescriptionFramework”, messo a punto dal “World Wide Web Consortium” per il web semantico (oweb fatto di dati, in contrapposizione al web fatto di documenti). In breve, il formatoRDF permette di mettere in relazione dati provenienti da diversi database, con struttureinterne (schemas) diverse. Ciò è possibile perché, oltre ad avere una struttura sintattica, idati possiedono anche riferimenti semantici. Ogni dato o risorsa presente online è cioèconnessa a schemi tassonomici («vocabolari», «ontologie», e così via), attraverso unaserie di triplette (soggetto, predicato, oggetto), ad esempio (Naturalmente Verona) -[è]→(un'associazione di promozione sociale); (Un'associazione di promozione sociale) -[è]→ (un'organizzazione); e così via. Il complesso intreccio di informazioni che siriesce ad ottenere in questo modo crea la struttura semantica, il cui effetto principale èquello di rendere possibile un certo livello di “comprensione” dei dati attraverso ilsoftware49.

47 Prima della chiusura, il database di Wiser.org conteneva quasi 115.000 organizzazioni di tutto il mondo (“Wiser.org” 2015).

48 Wiser.org disponeva però di un'API (Application Programming Interface) che rendeva possibile l'utilizzo dei dati in modo indipendente dall'interfaccia di navigazione di Wiser.org. Cioè sarebbe stato teoricamente possibile creare un'applicazione che leggesse i dati di Wiser.org attraverso l'API e li mostrasse in modo autonomo, per esempio come un grafo intersoggettivo.

49 Ad esempio, da quando il motore di ricerca Google ha implementato il supporto per i dati strutturati, è in grado di “riconoscere” alcuni tipi di referenti e di rappresentarli secondo modalità appropriate. Sesi ricerca il nome di un attore, ad esempio, appariranno in evidenza le informazioni relative ai

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Capitolo 2

L'interconnessione dei database in questo modo è alla base del movimento LinkedOpen Data. Le informazioni, in questa visione dell'evoluzione di Internet, devonoessere di libero accesso (open), e strutturate (data), cioè marcate da metadati chedefiniscano i dati in modo da poter essere messi in relazione gli uni agli altri (linked). Ilsoftware collaborativo creato per questa ricerca utilizza un'ontologia multi-dominiostandard chiamata “Schema.org”, formata da una serie gerarchicamente organizzata ditipi, ognuno contenente una lista di proprietà. In particolare, attraverso l'applicazioneweb si propone l'estensione di questa ontologia per quanto riguarda la descrizione delleorganizzazioni, proponendo di aggiungere dei tipi specifici per indicare lecollaborazioni e le attività. Questa ricerca intende quindi contribuire alla definizionecollettiva delle ontologie e dei vocabolari del web semantico con cui descriviamo estrutturiamo le informazioni relative al modello di governance policentrica emergente.In questo modo questo particolare prodotto della ricerca si riferisce anche ad unpubblico costituito dagli addetti alla gestione della conoscenza coinvolti nel nuovo“web dei dati” (Legg 2007) e ai ricercatori (modellers) coinvolti nella promettentepratica della costruzione di modelli-ad-agenti collaborativi attraverso l'utilizzo delletecnologie del web semantico (Chmieliauskas, Davis, e Bollinger 2013).

Per riuscire ad ottenere soluzioni efficaci a queste questioni tecnico-informatiche, enell'ottica della ricerca collaborativa, ho ricercato fin dall'inizio la collaborazione con ilDipartimento di Informatica dell'Università di Verona. È stata attivata la possibilità perstudenti del corso di laurea in Informatica di impostare la propria tesi sulla realizzazionedell'applicazione web, ma nessuno studente si è proposto. Successivamente ho tentato dicoinvolgere l'“Istituto Tecnico Economico Statale Luigi Einaudi”, ma la complessità delsoftware è stata giudicata dalla docente di informatica dell'istituto troppo elevata per illivello generale degli studenti. Non sono quindi riuscito ad avviare una collaborazionedi questo tipo. Tuttavia, avendo l'esigenza di procedere con la fase di realizzazione dellostrumento, ho realizzato l'applicazione web e il design della struttura semantica dei datiprincipalmente in prima persona, con l'aiuto di alcuni membri delle organizzazioni esoprattutto grazie ai contributi della comunità online del software libero che houtilizzato, che hanno reso possibile il mio processo di self-training. Per quanto ilrisultato sia soddisfacente, gli strumenti informatici realizzati sono da considerarsi, aifini di questa ricerca, come una proof of concept, utili per dimostrare la fattibilitàdell'utilizzo di un grafo di collaborazione partecipativo come strumento di auto-riflessione in una comunità di pratiche.

Una considerazione finale, relativa ai destinatari dei prodotti della ricerca, riguarda lepersone che sono al di fuori della “cultura dell'alternativa” rappresentata nel grafo.Dall'esterno, questo mondo eterogeneo in cui si intrecciano esperienze di società civile,

principali film in cui l'attore ha avuto un ruolo. Se si cerca il nome di un professore, appariranno invece i principali libri che ha pubblicato. Ciò è possibile perché quelle informazioni sono strutturate in modo semantico. Ovviamente, se il nome cercato non è collegato ad alcuno schema tassonomico, non verrà “interpretato” dal software.

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Caso studio e metodologia

economia solidale, decrescita e beni comuni, accomunate dalla sperimentazione di modialternativi di organizzazione dei sistemi socio-ambientali rispetto allo status quocaratterizzato dalla diffusione delle politiche neoliberiste, è visto spesso comeinconsistente, inefficace. L'esempio più evidente consiste nell'utilizzo fino ad annirecenti dello slogan “TINA, There Is No Alternative” (Chomsky 2001). Questo slogan,ancora utilizzato in contesti politico-amministrativi, accademici e aziendali (anche semeno rispetto a prima dell'ultima crisi finanziaria) consiste spesso nella negazione apriori della fattibilità delle proposte alternative e rappresenta quel modello culturale cheIgnacio Ramonet (1995) ha efficacemente descritto come “pensiero unico”.

In particolare, ciò che viene criticato delle proposte alternative provenienti dalleorganizzazioni di società civile è la “frammentarietà” delle diverse esperienze e ledivisioni intestine nei movimenti. La critica proveniente dall'esterno coincide quindi,come ho ricordato precedentemente, con quella proveniente dall'interno. Il tema dellaframmentazione è centrale nella ricerca e sarà trattato in modo approfondito. Qui mipreme sottolineare che lo strumento del grafo è stato co-progettato con lo scopoesplicito di fornire una narrazione innovativa sulla questione, attraverso una descrizionevisuale del grado di frammentazione (o del grado di connessione) in termini della teoriadelle reti. Questa rappresentazione ha il vantaggio di poter superare (se vengono raccoltisufficienti dati) i problemi derivanti dalla ristrettezza delle prospettive individuali,integrandole insieme in un'immagine plurale. Questa immagine plurale è indirizzata nonsoltanto all'interno della comunità di pratiche (in modo riflessivo), ma anche all'esterno,per informare osservatori politici ed economici, amministrazioni pubbliche ed imprese.

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Capitolo 3

Fieldwork: disegnare le collaborazioni

I capitoli terzo, quarto e quinto costituiscono la parte del testo dedicata all'esposizionedei materiali raccolti durante il fieldwork. Nel presente capitolo, dopo unachiarificazione sulla struttura temporale generale del fieldwork, mi concentro suirisultati delle sperimentazioni di due modalità di disegno delle relazioni dicollaborazione condotte insieme ai membri di due comunità del campo. L'analisi delprocesso di costruzione di questi esperimenti mi permette di entrare in profondità sutematiche cruciali quali partecipazione, organizzazione, intersoggettività,posizionamento.

Sul campo

Timeline e organizzazione del fieldwork

La partecipazione alla prima riunione dell'associazione “Naturalmente Verona” hasegnato il momento della mia entrata nel campo, a partire dal quale ho iniziato acollocarmi come etnografo sul campo, praticando con rigore il metodo etnografico. Nelcercare di seguire e partecipare all'evoluzione dei processi di auto-rappresentazionedella rete di comunità di pratiche della società civile locale, che richiamando Marcus (siveda p. 60) e Ingold (p. 78) definisco “esperimento”, il lavoro di campo si è strutturatoin tre diverse “fasi”. Ognuna di queste ha comportato l'incontro con membri dimolteplici organizzazioni e comunità di pratiche, la frequentazione di molteplici eventied attività. Ogni nuovo incontro ha implicato in un certo senso una nuova “entrata”, lanecessità di un avvicinamento graduale alle nuove comunità, la frequentazione di nuovepratiche. Nonostante la timeline di questi percorsi sia piuttosto intricata (si veda figura3), nel complesso la mia presenza si è trasformata in modo sostanziale incorrispondenza di ogni “cambio di fase”, grazie all'evoluzione del rapporto con gliinterlocutori-collaboratori.

La prima fase del fieldwork è consistita nella sperimentazione di due diversemodalità di raccolta dei dati relazionali e di due modalità di disegno dei grafi direlazioni tra organizzazioni. Con la “Commissione Progetti” dell'associazione “VillaBuri onlus” ho sperimentato la creazione di una “mappa concettuale partecipata”. Conalcuni soci di Naturalmente Verona ho condotto delle “grafo-interviste” durante il“Festival dell'Economia Eco-Equo Solidale”. Questo periodo di sperimentazioneiniziale mi ha permesso di verificare alcuni assunti della teoria ipotizzata nella fase dico-progettazione. Specificamente gli effetti che la costruzione condivisa e la fruizione di

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

un “manufatto di confine” (Wenger 2010b: 128) hanno sulla partecipazione e lacollaborazione interne alla comunità di pratiche; la familiarità dei membri dellacomunità con la tecnica di rappresentazione relazionale tipica dei grafi di rete; e la lorointerpretazione di tale metodologia. In questa fase la mia presenza si è caratterizzatageneralmente come una «partecipazione periferica legittima» (Lave e Wenger 2006[1991]) all'interno delle due comunità di pratica. Anche nei momenti più operativi hocercato di mantenere una partecipazione periferica alle decisioni, cioè comportandomicome un “apprendista”, lasciando che fossero i membri più esperti delle comunità aprendere le decisioni.

Forte dei risultati di questo “test” iniziale, e ormai abbastanza inserito nel contestosocio-culturale del campo, ho proseguito con una fase di esplorazione della rete allaricerca di collaborazioni per l'esperimento in corso. Durante questo periodo hofrequentato molti eventi, conosciuto molte persone e collaborato a varie attività diorganizzazioni diverse. Ad alcune attività ho partecipato attraverso un'osservazionepassiva e periferica, mentre in altre ho potuto partecipare più attivamente, grazieall'approfondimento del rapporto con alcuni interlocutori-collaboratori, i quali mi hannocoinvolto nelle proprie pratiche. In questo modo sono entrato in contatto in particolarecon “Mag Verona”, terza delle organizzazioni centrali per l'esperimento di auto-rappresentazione in corso. Sono stato accolto all'interno del piccolo gruppo di ricercaimpegnato nel portare a compimento uno studio economico-sociologico sulla rete diimprese collegate a Mag. Mi è stato inoltre permesso di avvicinarmi alle pratiche dellacomunità che si stava formando attorno ad un progetto agro-alimentare di piccoladistribuzione organizzata di prodotti biologici locali, all'interno del quale ho potutocogliere l'occasione di sperimentare ulteriori modalità di disegno di un grafo di rete,questa volta a partire dal database creato attraverso il sistema gestionale della rete didistribuzione “Bioloc”. In questa fase il mio interesse era rivolto principalmente verso larete costituita dalle diverse comunità di pratiche, di cui ho cercato di sperimentare iconfini e la struttura.

Nel periodo successivo, la terza “fase”, ho approfondito ulteriormente il rapporto conle organizzazioni che avevano un ruolo prioritario nella collaborazione per larealizzazione dell'applicazione web, cioè di una modalità di disegno automatico delgrafo a partire dalla costruzione collaborativa di un database condiviso. Ho ristrettosempre di più il focus della mia partecipazione alle attività più direttamente collegatealla costruzione dello strumento, cercando di portare a conclusione le altrecollaborazioni. In particolare ho individuato il mio ruolo come mediatore nel rapportotra il tecnico informatico (lo sviluppatore dell'applicazione) e i membri delleorganizzazioni (gli utilizzatori e amministratori dell'applicazione). Il mio ruolo in questoperiodo si è allontanato definitivamente da quello di osservatore marginale per divenirequello di uno dei collaboratori principali e dei responsabili dell'esperimento in corso,partecipando a tutto il processo decisionale.

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Capitolo 3

La descrizione dei materiali del fieldwork seguirà solo in parte l'evoluzionecronologica reale della ricerca di campo, principalmente per mettere a fuoco i passaggitra le diverse fasi e il processo di avvicinamento alla rete di comunità di pratiche. Lediverse “linee” rappresentanti la mia partecipazione a diverse comunità o attivitàverranno per lo più intrecciate per restituire una esposizione significativa dei materiali.Il filo conduttore interpretativo è fornito dall'inseguimento dell'esperimento che,partendo dall'originale idea del grafo della rete presentata nel capitolo precedente,passerà attraverso la sperimentazione all'interno delle comunità di “Villa Buri”,“Naturalmente Verona”, “Mag Verona”, “Bioloc”, per poi incrociarsi definitivamentecon il progetto del “Portale del Terzo Settore” a cura delle reti di Naturalmente Verona eMag Verona e sfociare nella produzione dell'applicazione web, descritta nel capitolo 5.In definitiva i prossimi tre capitoli costituiscono l'esposizione ragionata dei risultatidell'esperimento in corso, e solo indirettamente la descrizione della comunità di praticheche conduce e partecipa a questo esperimento.

Gruppo di accoglienza: Naturalmente Verona

A fine maggio 2012 ho partecipato alla mia prima riunione con l'associazione dipromozione sociale e rete di economia solidale “Naturalmente Verona – ArcipelagoScec”. La riunione si è svolta presso la sede di una delle realtà socie della rete, “LaNatura di Satya”, un negozio di giochi in legno ed altri materiali naturali, abbigliamentobiologico, cosmesi naturale, e così via. Le riunioni dell'associazione non avvengonosempre nella stessa sede, ogni volta vengono ospitate presso una delle realtà socie dellarete. Questo fa parte di una esplicita politica per rendere “viva” la rete attraverso leattività in-presenza, per favorire la conoscenza reciproca tra le organizzazioni e lepersone, e rientra nella progettualità chiamata “Naturalmente Verona itinerante”.

Al mio arrivo erano già tutti seduti in cerchio, in una stanza spaziosa del negozio,attorno ad un tappeto colorato (figura 4). Si trattava di una riunione del «direttivoallargato», cui possono partecipare tutti i soci dell'associazione. Eravamo in 14,equamente distribuiti tra uomini e donne, per la maggior parte originari di Verona. Citengo a sottolineare la presenza di alcune persone provenienti da altre città e regioni (delcentro, del nord e del sud Italia), a testimonianza del fatto che il “locale” vissuto intermini di appartenenza e nell'ottica dei beni comuni non richiede che i cittadini attivisiano originari del posto, ma solo che se ne vogliano prendere cura. Il negozio è diAntonella M., gentile ed energica al contempo, membro del «direttivo». Erano presentianche gli altri membri del direttivo: Andrea, presidente dell'associazione; Gabriella,accogliente nei modi e con una sensibilità pratica negli interventi, appartenenteall'associazione “Gruppo Volontari Casa dei Bambini”, che opera attraverso raccoltafondi, adozione a distanza e un mercatino solidale per sostenere una struttura diaccoglienza per bambini abbandonati in Thailandia; Marco R., ricercatore e docente diinformatica, appassionato di cultura yoga, rappresentante l'associazione “NeoHumanistic Relief” che si occupa principalmente di adozione a distanza in India;

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

Felicita C., dal carattere espansivo e con una spiccata sensibilità interpersonale, chesvolgeva ruoli di segreteria e grafica per l'associazione e in particolare perl'organizzazione dell'annuale “Festival dell'economia eco-equo solidale”; Alberto B., il“tesoriere”, acuto, diretto negli interventi e molto spiritoso, che ha portato una cassa diciliege raccolte dal suo campo da condividere.

Il verbale di questa assemblea è stato redatto e pubblicato online da Andrea sul sitodell'associazione qualche giorno dopo l'incontro1. Andrea era molto attivo durante lariunione: aiutava a moderare l'assemblea (introducendo l'ordine del giorno eriprendendo gli argomenti che venivano tralasciati), scattava delle fotografie e prendevaappunti su un diario per redigere poi il verbale. Come ho anticipato nel capitoloprecedente, ho subito notato con interesse il valore potenziale per la documentazionedella pratica di verbalizzazione delle riunioni. Questa implica che un partecipanteprenda appunti durante gli incontri e in un secondo momento (o al termine dell'incontrostesso) rediga il verbale e lo condivida con gli altri membri. Questa pratica serve sia pertenere traccia (archiviazione) delle discussioni e soprattutto delle decisioni, sia perinformare gli assenti.

L'argomento di discussione verteva principalmente sulla distribuzione dei«banchetti» dei «soci espositori»2 durante il festival previsto per ottobre 2012 presso lasede dell'Ex Arsenale Scaligero. Ho mantenuto al minimo i miei interventi, avevobisogno di ascoltare, non conoscendo assolutamente ciò di cui parlavano. Andrea peròcercava di farmi partecipare alla conversazione, chiedendo esplicitamente il mio pareresu alcune questioni. Ero colpito dalla concretezza del lavoro che facevano. Abbiamotrascorso molto tempo a discutere della distribuzione dei banchetti con una piantadettagliata dell'Arsenale posizionata al centro del cerchio. I ragionamenticontemplavano la creazione di un percorso strutturato (con i banchetti divisi percategorie come non-profit, vendita, alimentari, e così via); la disposizione degli spazicomuni (ricreativi per i bambini, cucina e ristorazione, relax); le alternative in caso dipioggia; la comunicazione e la promozione; il programma culturale costituito da danze,spettacoli, workshop e conferenze proposti delle organizzazioni socie; l'organizzazionedella cucina biologica e vegetariana; la distribuzione e la formazione all'utilizzo deibuoni d'acquisto solidali “Scec”3; e così via. L'incontro si è concluso piuttosto tardi con

1 http://www.naturalmenteverona.org/naturalmente-verona-arcipelago-scec-verbali-assemblee-30-maggio-e-13-giugno/

2 I soci di Naturalmente Verona sono definiti «soci espositori» perché, per praticità, l'adesione e la quota associativa viene raccolta annualmente in occasione dell'iscrizione al festival.

3 Lo Scec è uno strumento di scambio che si utilizza come una sorta di abbuono tra le attività economiche che lo accettano. Il risultato finale per l'utente non è quindi una moneta locale, ma piuttosto una sorta di sconto in percentuale variabile a discrezione del commerciante “accettatore” suibeni e servizi acquistati. I commercianti e in generale gli accettatori possono a loro volta riutilizzare gli Scec ritirati presso altri fornitori che accettano gli Scec. Si tratta in definitiva di uno sconto che non si esaurisce nell'atto dell'acquisto, ma continua a mantenere il suo valore per gli scambi successivi. L'obiettivo del progetto è la creazione e il sostentamento di un circuito virtuoso di attività economiche locali e non speculative, attraverso la valorizzazione dei propri interscambi, oltre alla promozione di altre attività e progetti sociali correlati. L'inserimento delle attività commerciali nel

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alcune decisioni prese, altre questioni rimaste aperte, e calorosi e lunghi saluti tra ipresenti, soprattutto tra i membri del direttivo.

Se si escludono le sei realtà socie i cui rappresentanti sono anche membri deldirettivo, c'erano soltanto altre tre organizzazioni della rete di Naturalmente Veronapresenti alla riunione, e di queste una partecipava per la prima volta. La mia primaimpressione è stata quindi di una scarsa partecipazione dei soci alle riunioni della “rete”,impressione che è stata poi confermata in molte occasioni ed esplicitamente espressa daldirettivo. Si tratta di una situazione che caratterizza anche le altre “reti” e associazionicon cui ho collaborato.

In termini riflessivi, l'essere stato invitato a partecipare a questa riunione – e ingenerale a fare questa ricerca – è stato un elemento importante, che ho percepito comeun “invito ad entrare nel campo” da parte del gatekeeper. Ciò mi ha messo in unacondizione favorevole, in cui riuscivo a sentirmi a mio agio perché non sentivo lanecessità di giustificare la motivazione della mia presenza e del mio interesse. È statoinfatti Andrea stesso a presentarmi, specificando il mio interesse al progetto del grafodella rete. L'accoglienza è stata buona e i presenti hanno dimostrato da subito curiositànei miei confronti. Il direttivo di Naturalmente Verona costituisce il “gruppo diaccoglienza” (Strang 2009: 2) della mia esperienza di fieldwork. A partire dal momentodell'entrata nel campo, che ho descritto in questa sezione, ho continuato a frequentaregli incontri di questo gruppo per tutta la durata del fieldwork. Non solo riunioni,assemblee e attività, ma anche incontri meno formali e personali, che mi hannopermesso di costruire un rapporto amicale con molti dei membri del gruppo.

Posizionamento iniziale rispetto alla rete di economia solidale veronese

Al termine dell'incontro io e Andrea ci siamo spostati in un locale per discuteredell'inizio della nostra collaborazione. La situazione informale ci ha permesso dichiacchierare molto liberamente e ne ho approfittato per confrontarmi con lui su di unnodo importante della ricerca. Insieme avevamo discusso molto su come coinvolgerel'Università di Verona nel progetto del grafo, coinvolgimento che alla fine ho“impersonato” io stesso, attraverso la ricerca di dottorato. Andrea aveva suggerito inomi di alcuni docenti con i quali aveva collaborato in passato, sempre su tematiche dieconomia solidale, società civile e sostenibilità; in particolare si riferiva al seminario“Quale lavoro per l'Altra Economia” del 31 marzo 20094. Con la bozza del progetto diricerca ero andato ad incontrare alcuni di loro per un primo confronto. La conversazionecon Antonia De Vita era stata particolarmente interessante in quanto mi ha permesso dicogliere l'esistenza di una frattura nel tessuto sociale della comunità della società civilelocale.

circuito è gestito a livello comunitario dai vari volontari.4 Il seminario è stato organizzato da tre docenti: Antonia De Vita (pedagogia generale e sociale),

Giorgio Gosetti (sociologia dei processi economici e del lavoro) e Anna Maria Paini (antropologia culturale).

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

L'iniziale interesse mostrato dalla docente nei confronti del progetto da me espostoha lasciato posto ad un atteggiamento più critico nel momento in cui ho ripetuto il nomedel mio gatekeeper per sostenere che una tale ricerca era supportata da una domandaproveniente dal territorio. Con mio iniziale stupore “le porte del campo anziché aprirsisi chiudevano”. In realtà, questa ambivalenza della figura del gatekeeper (o del gruppoospite) è un aspetto conosciuto della pratica etnografica (Seale 2012), e non sorprendenemmeno che nel mio caso studio il fenomeno si estenda all'interno dell'università. Èuna testimonianza della permeabilità tra i mondi della società civile e dell'accademia dicui ho già detto nel capitolo precedente. La docente infatti partecipava al gruppo diricerca “Unimat”, i cui membri sono per metà accademici e per metà rappresentantidell'economia solidale5.

La sua critica metteva in dubbio l'esistenza, la realtà, della rete di cui parlava Andrea.È un nodo molto importante perché ad un certo livello, come ho mostrato, il grafo eraeffettivamente frutto della percezione personale di Andrea. Per di più includeva ladimensione del desiderio, oltre a quella del reale. Nella retorica di Andrea ho notatospesso la mancanza di una distinzione netta tra questi due livelli, così come di unadistinzione chiara tra la sua percezione e quella degli altri. Ad esempio le sueaffermazioni come «nella rete siamo circa settanta realtà socie» nascondono una realtàmolto meno nitida, in cui le organizzazioni partecipano in modo discontinuo, e i cuimembri possono avere percezioni più “sbiadite” della rete (dei confini e delle attività),rispetto a quella del loro presidente. Anche se l'unico dato di riferimento che avevo,l'elenco dei “soci espositori” del Festival organizzato da Naturalmente Verona nel 2010,contava effettivamente 67 organizzazioni. La retorica di Andrea, come avrò modo diconstatare, è orientata spesso al rafforzamento della rete e delle progettualità della rete,ed è mossa dalla sua volontà di promozione del cambiamento. In altre parole è coerentecon la sua interpretazione del ruolo politico di presidente della rete di NaturalmenteVerona – Arcipelago Scec. La sua rappresentazione della rete tende a dare forma al suodesiderio più che essere motivata dalla ricerca di una restituzione “fedele” della realtà.

Il racconto dell'episodio ha stimolato il confronto con Andrea, il quale ha iniziato acondividere parte della storia che ha portato ad una sorta di frattura all'interno dellacomunità dell'economia solidale veronese. Riassumo la vicenda per sommi capi. Andreaè stato uno dei fondatori e primo presidente dell'associazione “El Sélese”6,un'associazione nata dall'esperienza della “Rete Lilliput”7 e che, tra le altre attività, hariattivato l'InterGAS di Verona (il coordinamento tra Gruppi di Acquisto Solidale).Verso la fine del 2009 El Sèlese si è sciolta e nel 2010 si è costituita, per iniziativa dialcuni dei membri di El Sélese, l'associazione “Le Matonele”, che è stata riconosciutacome “Distretto di Economia Solidale” (DES) di Verona dal “Tavolo RES” nazionale,

5 Il nome è il risultato della composizione di Uni- (per università) e -mat (per “Matonele”, il nome dell'associazione del Distretto di Economia Solidale veronese).

6 Sélese è una parola dialettale locale che indica l'aia delle case mezzadrili.7 Si veda in particolare il documento “Strategie Di Rete per L'economia Solidale” [2002] contenente

gli atti del convegno omonimo, tenutosi a Verona il 19 ottobre 2002.

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l'organo di coordinamento dell'economia solidale con competenze di garante8. Andreanel 2008-2009 è diventato presidente dell'associazione “Naturalmente Verona” (fondatanel 2003 a partire dalla precedente associazione informale “Naturalmente Insieme”, natanel circa vent'anni prima), evitando lo scioglimento prospettato anche per questogruppo. Alcuni membri di Naturalmente Verona e di El Sélese avevano già collaboratoin alcune occasioni in precedenza e hanno continuato nel 2010.

Nel 2010 Naturalmente Verona si è assunta la responsabilità burocratica per“Arcipelago Scec” come referente regionale (ruolo denominato “isola Scec”) per ilVeneto, ed ha acquisito nella pratica il nome di “Naturalmente Verona – ArcipelagoScec”9. Nel 2011 Andrea ha presentato richiesta per l'adesione di “Naturalmente Verona– Arcipelago Scec” al Tavolo RES nazionale, adesione che ha tardato ad essere accettatasia perché la richiesta di riconoscimento da parte di due reti di economia solidale nellastessa provincia, unico caso in Italia, ha manifestato la presenza di una situazioneconflittuale su cui il Tavolo si è riservato di indagare ulteriormente, sia perché il Tavolonon aveva «analizzato compiutamente» l'utilizzo dello strumento economico “Scec”10.La “questione Scec” è uno dei nodi alla base delle differenze tra le due reti di economiasolidale veronesi, oggi entrambe riconosciute dal Tavolo e coesistenti anche se ancora inuna situazione insolita e non definita. La questione Scec si è ormai appianata,soprattutto per la collaborazione di esponenti di Arcipelago Scec e del Tavolo RESall'interno dei “tavoli tematici” della nuova rete de “l'Italia che cambia”11.

Le due reti non sono affatto completamente separate, e ci sono importantisovrapposizioni. Cionondimeno, le due realtà sembrano12 testimoniare due modiparzialmente diversi di intendere il concetto di rete di economia solidale, in particolarein riferimento ai confini. In questa distinzione ricalco quella già citata tra approcciominimalista/massimalista negli studi sulla società civile. Da un lato sono consideratisoggetti principali dell'economia solidale i Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), iproduttori solidali (che possono essere inseriti negli stessi gruppi), e gli organi dicoordinamento come InterGAS, distretti (DES), reti (RES), e il Tavolo RES. Lo sguardo

8 È al Tavolo RES che le singole reti o distretti pagano ad esempio la quota annuale per l'iscrizione all'elenco nazionale e l'adesione alla rete nazionale.

9 Nel 2012-13 l'associazione è divenuta isola Scec di riferimento anche per la regione Trentino Alto Adige.

10 Si veda il verbale della del Tavolo RES del 26 marzo 2011, interamente riportato sul sito di Naturalmente Verona, http://www.naturalmenteverona.org/naturalmente-e-il-tavolo-nazionale-res/

11 Durante la partecipazione alla “Scuola estiva di Giovinazzo” del 2013, organizzata dall'“Associazionedella Decrescita”, ho potuto constatare che la “questione Scec” continuava a mantenere gli attori coinvolti in posizioni conflittuali. Ad esempio Davide Biolghini, docente della scuola e membro del Tavolo RES, era diffidente nei confronti dell'utilizzo dello Scec nelle reti di economia solidale, mentre Andrea Tronchin ne è sempre stato un accorato sostenitore. In uno scambio tra i due, nella mailing list dell'“Area Formazione e Ricerca” del Tavolo RES di marzo 2015, Biolghini afferma di essere in contatto con esponenti di Arcipelago Scec tramite il “Tavolo economia” di “Italia che cambia” e tramite il Gruppo di Lavoro “Monete Sociali” del Tavolo RES. Nonostante la precedente conflittualità va sottolineato che nei contributi più recenti si nota una convergenza.

12 La mia conoscenza dell'approccio della comunità “Le Matonele” si basa soltanto sui testi da loro pubblicati online (si veda ad esempio “La Nostra Visione » Le Matonele” 2012)  e su alcune presentazioni tenute da membri della comunità all'Università di Verona.

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può andare oltre questi confini, verso associazioni e “attori economici critici” ingenerale, ma l'attenzione è rivolta principalmente verso l'interno di questo nucleofondativo, di queste organizzazioni tipiche dell'economia solidale. Si può in un certosenso parlare di un approccio che tende maggiormente alla difesa e al presidio deiconfini delle pratiche centrali.

Dall'altra parte, per l'approccio “massimalista” come quello messo in pratica daimembri di Naturalmente Verona – Arcipelago Scec, i confini sono meno nitidi e la rete èpiù aperta alle forme ibride, non prototipiche di organizzazione. Naturalmente Veronastessa è un esempio di forma ibrida, avendo questo duplice aspetto di rete di economiasolidale da un lato e di “Isola Scec” dall'altro. L'associazione “Arcipelago Scec”, a suavolta, ha un approccio relativamente minimalista e la questione della «duplice natura»di Naturalmente Verona è stata sollevata spesso alle riunioni “di isola” che hofrequentato. Questa duplicità invece, come ho già evidenziato nel precedente capitolo, èconsiderata come punto di forza da Andrea, il quale non vede due realtà distinte, ma unsistema bipolare in simbiosi “sinergica”, come egli è solito definire.

Un esempio chiarificatore sulla distinzione tra i due approcci può essere fatto apartire da una delle principali attività che caratterizza l'economia solidale, cioèl'acquisto collettivo di prodotti biologici locali. “Biosol” – l'attuale progetto di piccoladistribuzione organizzata sostenuto da Naturalmente Verona – prevede la distribuzione,per mezzo di «vettori», a «gruppi di acquisto». Questi gruppi non devono essere perforza gruppi di acquisto solidale, non viene richiesta un'adesione completa a dei principidi economia solidale o di decrescita. I gruppi possono formarsi anche specificamenteper l'acquisto dei prodotti della rete, ad esempio all'interno di un ufficio, tra colleghi cheprima di lasciare il posto di lavoro si fanno consegnare le cassette di frutta e verdura.L'idea sottostante è che nel tempo questa attività possa portare ad una forma disocializzazione e diffusione dei valori e delle pratiche dell'economia solidale. I vettorisvolgono il ruolo economico dei commercianti, dei mediatori, acquistando da produttoribiologici locali e organizzando la distribuzione. Nelle reti di GAS invece spesso sonogli stessi consumatori ad effettuare gli acquisti collettivamente presso i produttori. Ciònon significa che nel caso della PDO il rapporto tra produttori e consumatori siainesistente13, ma la filiera ha un tassello in più rispetto all'approccio minimalista.Ugualmente, ciò non significa che nel caso dei GAS non ci siano le consegne, cioè ladistribuzione, con annessi elementi di trasporto e inquinamento.

Tornando alla generale distinzione tra minimalisti e massimalisti dell'economiasolidale, ritengo entrambi gli approcci legittimi ed importanti. Il fatto che nel territorioveronese i due co-esistano (anche se le idiosincrasie personali possono in certi casiportare a separazione e negazione reciproca) è forse un segnale positivo di pluralità e

13 Ad esempio ho assistito ad una riunione organizzata dai membri del progetto “Bioloc” (da cui si è poidistaccato il progetto Biosol di cui sto parlando) con lo specifico intento di permettere ai consumatori di conoscere i produttori. Durante la riunione, oltre alle presentazioni dei produttori e alle domande dei consumatori, è stata anche presentata la possibilità di visite ai produttori sull'ambiente di lavoro, lasciando spazio al rapporto non mediato dai vettori e dagli organizzatori del progetto.

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diversità nel sistema, più che un elemento di preoccupazione. Seguendo la teoria sullecomunità di pratiche (Wenger 2010b: 127), sembra legittimo pensare a questi dueapprocci come entrambi necessari affinché si sviluppi una solida comunità di praticadell'economia solidale. Il primo potrebbe posizionarsi al cuore della comunità, perrinforzare la conoscenza delle pratiche fondative della stessa. Il secondo alla periferia,per permettere la sperimentazione e la contaminazione necessarie a fornire allacomunità sufficiente dinamismo in modo da permetterne l'adattamento e la co-evoluzione con le pratiche esterne (per non cadere nell'isolamento).

Non vi è dubbio che tra le due “zone” della rete di economia solidale veronese vi siala mutua comprensibilità necessaria a produrre apprendimento, essendo percorsi natidalle stesse esperienze e condividendo in gran parte gli stessi principi (si veda la giàcitata Carta RES, firmata da esponenti di entrambi i gruppi). Può darsi che anche gliattori interni a queste due comunità sviluppino un mutuo apprezzamento che permettaloro di valorizzare le differenze, riconoscere la reciproca importanza e sviluppare ilpotenziale della loro coesistenza. Alcuni recenti sviluppi lasciano pensare che si stiaandando verso questa direzione14, tuttavia, fino ad ora i due gruppi sembrano conviverein una “consensuale separazione amichevole”.

Mi interessa sottolineare che questa frattura presente nella comunità dell'economiasolidale locale è emersa fin dalle prime battute della ricerca e che il mio posizionamentoiniziale dato dalla co-progettazione con Andrea mi ha inevitabilmente posto su uno deidue fronti. Nonostante io abbia partecipato ad alcune attività con l'obiettivo ditrascorrere del tempo insieme ad esponenti dell'“altro lato” e di gettare uno sguardo disuperficiale esplorazione su quel terreno, non ho voluto investire del tempo per cercaredi ottenere una collaborazione (incentrata sul progetto di ricerca) trasversale rispetto allafrattura evidenziata. Anche se il progetto avrebbe potuto coinvolgere il DES veronese,che in effetti è interessato alla questione della «mappatura» dell'economia solidalelocale15, temevo che la ricerca di una collaborazione di questo tipo avrebbe richiestotroppo tempo e troppe energie. Piuttosto, nella prima fase ho lasciato che lecollaborazioni emergessero dalle attività e dalle relazioni che si sviluppavanospontaneamente dal fieldwork. Ritengo a posteriori che questa si sia dimostrata unabuona scelta di percorso, dal momento che la frattura è ancora in fase di risoluzione.

Questo posizionamento iniziale si è protratto per tutta la durata del fieldwork ed èdivenuto una vera e propria “affiliazione” al gruppo di accoglienza. In particolare ciò èstato ufficializzato con il mio ingresso nel direttivo nel ruolo di segretario verbalizzatoreil 5 novembre 2012. Ogni volta che entravo in contatto con un nuovo gruppo e dovevo

14 Questa sembra essere la direzione che il rapporto tra le due comunità sta prendendo nel recentissimo periodo, dal momento che all'assemblea di Naturalmente Verona del 18 maggio 2015 è stato espresso il desiderio chiaro di superare la situazione di conflitto e di avere una sola RES veronese.

15 Tra gli obiettivi del gruppo Le Matonele si legge: «mantenere una mappatura aggiornata delle realtà di economia solidale del territorio, tenendo viva la relazione con quelle conosciute e cercando il coinvolgimento di nuove». Per la messa in pratica di questo intento si veda il progetto “I Quarei del Sélese. Una mappa della diversa economia veronese” (“Il progetto » Quarei” 2011)  , iniziato nel 2008 all'interno dell'associazione “El Sélese” e ancora attivo nel DES Le Matonele.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

presentarmi, esplicitavo l'affiliazione alla mia università e al gruppo di accoglienza permettere in evidenza fin da subito il mio posizionamento a cavallo delle due comunità delmondo accademico e della società civile. Oltre a Naturalmente Verona, in base allesuccessive collaborazioni ho guadagnato l'affiliazione meno formale anche presso altreorganizzazioni come Villa Buri onlus e Mag Verona. Nella maggioranza dei casil'esplicitazione di queste affiliazioni si è rivelata un elemento di facilitazione per il mioavvicinamento alle comunità. Più raramente si è trasformata in un fattore diproblematizzazione delle relazioni, a causa di pregresse esperienze negative dicollaborazione dei miei interlocutori con le organizzazioni cui ero affiliato.

Questa frattura, incontrata fin dall'inizio del fieldwork, è anche la testimonianza dellato più oscuro delle relazioni tra le organizzazioni e le persone della società civile cuiho fatto riferimento a p. 49. Questo mondo che sul lato razionale è così orientato avalori positivi, di accoglienza, solidarietà, collaborazione, convivenza, apertura,inclusione, etica, e così via, sembra fare fatica a gestire l'aspetto emozionaleambivalente delle relazioni, in particolare il “lato oscuro” fatto di idiosincrasiepersonali, ferite, delusioni, inimicizia, risentimento. Non è il tema della mia ricerca, maè importante notare che gli aspetti difficili delle relazioni possono generare effetti nelleinterazioni di rete, producendo reti che limitano volontariamente i contatti con altre reti,che si evitano, e che in definitiva creano divisioni “invisibili”.

Mappa concettuale partecipativa: il “Cielo di Villa Buri”

La Commissione Progetti di Villa Buri

L'11 giugno 2012 Andrea partecipa al primo incontro della “Commissine Progetti”presso “Villa Buri”, sede dell'omonima associazione onlus. Villa Buri è un'associazionecostituita nel 2003 come progetto condiviso e azione di rete tra “AGESCI (AssociazioneGuide e Scouts Cattolici Italiani) Verona”, “AGESCI Veneto”, “ACLI (AssociazioniCristiane Lavoratori Italiani) Verona”, “Banca Popolare Etica”, “Associazione Bilanci diGiustizia Verona”, “CESTIM (Centro Studi Immigrazione onlus)”, “Diocesi di Verona”,“Fondazione San Zeno”, “Associazione il Germoglio”, “Cooperativa La Rondine”(aderente al consorzio CTM Altromercato), “Legambiente Verona” e “MASCI(Movimento Adulti Scout Cattolici Italiani) Veneto”.

Il progetto di costruzione di questa associazione era nato tre anni prima, quando gliultimi proprietari della villa – i “Fratelli della Sacra Famiglia”16 che vi avevano gestitouna scuola diocesana ed un centro diurno (tutt'ora attivo) – l'avevano messa in vendita.Dalla società civile, in particolare da organizzazioni e persone coinvolte nella “ReteLilliput”, era emersa la proposta di acquistare la proprietà tramite “azionariatopopolare”, per farne un «grande centro culturale» (Cavalleri e Menin 2004) per la città emantenerne quindi il valore pubblico e sociale che negli anni il luogo aveva sviluppato.La campagna di sensibilizzazione del comitato promotore creato per l'occasione ha

16 Prima ancora era stata la sede del collegio scout di Mario Mazza.

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Capitolo 3

raggiunto, durante l'undicesima edizione della “Festa dei Popoli” (2002), gliimprenditori veronesi Marina Salamon e Marco Benatti. La proprietà fu quindiacquistata da loro e concessa in comodato d'uso gratuito all'associazione “Villa Burionlus” appositamente fondata nel 2003.

L'obiettivo di questa pluralità di soggetti17, ricostruibile attraverso le parole di alcuniarticoli tuttora presenti online, era «diventare la casa della società civile veronese»,«dare un tetto all'economia solidale e alla sostenibilità», «superare le differenze emettere risorse in rete per raggiungere un obiettivo comune» (Musso 2002), «creare ungrande parco culturale» (wikipedia.it, voce “Villa Bernini Buri”), «dare vita ad unprogetto comune, rivolto alla collettività» (villaburi.it), «un progetto aggregante diformazione e di presa di coscienza» (weboflife.com), «un progetto che, sovrapponendo idifferenti “occhiali” con cui ciascuna associazione legge la realtà (dall'attenzioneeducativa a quella ambientale, dall'economia di giustizia all'impegno diretto con ildisagio sociale per estendere i diritti di cittadinanza), riesca a proporne una sintesi eduna contaminazione» (GRILLONews 2003), «il sogno per una Verona nuova»(weboflife.com). È chiaro da questa brevissima rassegna che le aspettative riposte inquesto progetto erano molto elevate.

All'incontro dell'11 giugno si sono riunite 11 persone, membri del CdA (Consiglio diAmministrazione) di Villa Buri, membri delle associazioni socie e di altre associazionivicine (tra cui Andrea per Naturalmente Verona). Insieme hanno costituito la“Commissione Progetti”18 con l'obiettivo di riprendere in mano la progettazionecomune, che a quasi dieci anni di distanza dalla nascita dell'associazione sembrava aver«perso l'entusiasmo dei primi tempi»19. La discussione durante l'incontro è proceduta sudue binari: da una parte le idee su «eventi di valenza culturale» da organizzare a VillaBuri; dall'altra il «dialogo e collegamento tra le diverse associazioni, creando sinergie».Mi interessa qui principalmente questo secondo aspetto relativo alle pratiche di rete.

Attraverso l'analisi del verbale redatto dal presidente della commissione Andrea S.20

è possibile inquadrare la dinamica che ha portato alla proposta di creazione del primografo condiviso. Ciò è possibile perché il verbale si configura come una fonte a cavallotra scritto e orale, e mantiene ancora l'andamento dell'oralità. La costruzione del grafo di

17 Nel tempo i soci sono leggermente cambiati. È stata creata una nuova associazione “Amici di Villa-Bosco Buri” specificamente per prendersi cura del parco; sono entrati inoltre come nuovi soci la “Federazione Veronese del Volontariato (CSV)” e l'“associazione NADIA onlus”; la Cooperativa la Rondine si è unita con l'associazione “El Ceibo”, dando vita a “Le Rondini soc. cooperativa”. Nel frattempo l'associazione Bilanci di Giustizia ha scelto di uscire dall'Associazione.

18 La Commissione rimarrà aperta a tutti i potenziali collaboratori, si veda ad esempio questa descrizione scritta da Paolo, tratta dal verbale del 21 luglio 2015 : «La Commissione è aperta a tutti: non occorre essere soci di associazioni (appartenenti o meno a Villa Buri Onlus), l'unico requisito richiesto è quello di voler concorrere, con il proprio tempo, entusiasmo e competenze alla realizzazione del “Progetto Villa Buri”».

19 Dal verbale dell'incontro.20 Tra qualche mese (molto prima della fine del lavoro sul grafo che stiamo per iniziare) Andrea si

dimetterà dal ruolo ritenendo che l'associazione Villa Buri e il suo CdA gestiscano male il luogo, i fondi, le risorse umane e le attività.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

Villa Buri, che qui ha preso avvio, costituisce la prima messa in pratica concreta dellateoria sviluppata in co-progettazione ed è quindi un momento estremamente importanteper la ricerca successiva. Mi soffermo in dettaglio sull'analisi di questo primo verbale,passando in rassegna le riflessioni più salienti dei partecipanti21 riguardanti il tema delcollegamento tra associazioni perché questo incontro presenta già molti degli elementiche hanno caratterizzato le successive discussioni della Commissione e di altri gruppi dilavoro in cui sono stato coinvolto.

Durante l'incontro viene espresso innanzitutto il bisogno di conoscenzadell'articolazione interna della rete di Villa Buri.

Giulio L: Conosciamo poco com'è articolata Villa Buri, facciamo parte dellacommissione Nuovi Stili di Vita (giustizia, pace e salvaguardia del creato – 60diocesi in tutta Italia) e ci piacerebbe entrare in sintonia con associazioni che cisembrano vicine.

Il punto di vista di Giulio è da collocare all'interno di un'organizzazione (la“Commissione Nuovi Stili di Vita”) collegata al “Centro Missionario Diocesano”, chenon solo è parte della Diocesi, organizzazione socia di Villa Buri, ma che collaboraattivamente con Villa Buri all'organizzazione della annuale “Festa dei Popoli”.Nonostante facciano parte di una progettualità specifica all'interno della rete, ciò non èsufficiente a garantire loro una conoscenza della rete complessiva.

Anche Marco indica l'importanza dell'interazione interna alla rete.

Marco C.: CdA di Villa Buri, in quota AGESCI Verona. Interazione tra le varieassociazioni in modo da creare un percorso comune in cui le diverse associazioniriescano a riconoscersi. Villa Buri dovrebbe riuscire a farsi conoscere, per lo menopresso le stesse associazioni che ne fanno parte e che le varie associazionidovrebbero riuscire a capire che VB è la loro casa comune.

Il primo obiettivo secondo lui non è quello di farsi conoscere all'esterno, nel pubblicopiù ampio, ma proprio all'interno. Sono molte infatti le organizzazioni socie checonoscono solo alcuni degli altri soci, quelli con cui collaborano attivamente, ma nonconoscono gli altri, né le tematiche di cui si occupano. Eppure dovrebbero parteciparealle assemblee dei soci insieme. Le occasioni di incontro non mancano e in moltiutilizzano gli spazi della villa, ma senza che si crei quella familiarità indispensabile aprodurre il sentimento di «casa comune».

Paolo conferma il concetto e aggiunge che è importante anche avere buone relazionicon l'esterno, con altre organizzazioni fuori dalla rete ristretta dei soci dell'associazione,e con il pubblico degli utenti e dei visitatori.

Paolo T.: AGESCI, ex presidente di Villa Buri. Esprime soddisfazione per questanuova commissione, nell'ultimo periodo ci si è concentrati sulla gestionedell'esistente (logistica e mura), adesso si è pronti per lavorare su progetti. Se siriuscisse a creare qualcosa di nuovo, ben venga, ma è molto importante creare

21 I passaggi citati non sono trascrizioni letterali delle conversazioni, ma sono brevi riassunti che AndreaS. ha fissato nel verbale. Sono quindi indicativi del contenuto espresso, e riportano l'autore.

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Capitolo 3

relazione e comunicazione tra i vari soggetti e verso l'esterno. Ospitare un eventocome la festa dei popoli senza che gli ospitati sappiano perché sono ospitati a VB ègià una perdita come associazione.

Una delle sfide più grandi per Paolo è quella di riuscire a comunicare verso l'esterno lecaratteristiche sociali e culturali del luogo.

Marco ribadisce l'ordine delle priorità: si deve partire dalla comunicazione interna.

Marco C.: Comunicazione all'interno: all'esterno si va quando si ha chiaro cosaportare. Al di la della comunicazione c'è una relazione (non via mail ma attraversole mail). E' importante che ogni associazione comunichi per tempo cosa fa e cerchieventuali sinergie.

Per Marco questa comunicazione deve essere una prassi, cioè deve essere supportata dauna relazione stabile tra i gruppi. Inoltre esprime la necessità di una ricerca intenzionalee sistematica della collaborazione e delle «sinergie», che spesso non fa parte dellapratica di base del lavoro all'interno di queste organizzazioni. Marco pone l'attenzionesull'importanza del tempismo delle comunicazioni per poter avere il tempo necessario amettere in pratica le eventuali collaborazioni. Non è solamente importante che leorganizzazioni siano al corrente delle attività dei potenziali collaboratori, ma che leinformazioni arrivino per tempo.

L'argomento è ripreso da Marco M., il quale precisa che il “fare rete” non dovrebbeessere soltanto un mezzo per ottenere un fine, ma un piuttosto un «metodo», grazie alquale si possa valorizzare costantemente la diversità intrinseca in una rete disoggettività.

Marco M.: Cosa proporre anche come metodo. Organizzare delle iniziative noncome singole associazioni ma trovandosi in due o tre e provando a pensare unatematica comune, valorizzando le specificità che ognuno di noi ha rispetto alla suastoria e alle sue esperienze. Con i Cantieri del Dialogo si era organizzato unconfronto tra [il lavoro di] Mario Mazza e Don Lorenzo Milani e questo risultato èemblematico del livello di collaborazione che si vuole raggiungere. Non serve unacollaborazione tra tutti ma basterebbero due o tre associazioni per volta.

Qui Marco M. rende chiaro che il problema non è che le organizzazioni della comunitànon collaborino tra loro (le collaborazioni infatti ci sono), ma che stentino a raggiungereil livello e la modalità di collaborazione desiderati.

Questa riflessione introduce il tema generale del livello di collaborazione necessarioaffinché la rete sia in grado di agire in modo coordinato. In particolare, emerge ladimensione del numero ottimale di collaboratori per iniziativa, che non è il massimoteorico possibile (tutti collaborano con tutti), ma un livello “gestibile” («due o treorganizzazioni per volta»). Questo argomento si collega con il tema della connettivitànella teoria delle reti e dei sistemi complessi adattativi (Lansing 2003: 186–192). Ilnumero di connessioni di ogni nodo di una rete di coordinazione influisce sulcomportamento della rete stessa. Numeri troppo piccoli o troppo grandi inibiscono lacapacità delle reti di trasmettere informazione e di adattarsi, ovvero di risolvere

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problemi complessi. Nel caso dei subak balinesi, ad esempio, ogni organizzazione-subak coordina con un

sottoinsieme dei suoi vicini lo schema di semina/raccolto/inondazione delle risaie neltentativo di ottimizzare il controllo dei parassiti e la condivisione dell'acqua (Lansing2006: 85). La simulazione al computer attraverso il modello-ad-agenti ha permesso airicercatori di sperimentare diversi valori per il numero di connessioni tra vicini,scoprendo che se ogni subak-nodo si coordinava con meno di due vicini, la reterisultava troppo statica con risultati sub-ottimali. Variando questo numero da 3 a 13vicini, aumentava la velocità di coordinazione della rete in generale. Ma quando «vicinimolto lontani», che non rispondevano agli «stessi segnali ambientali», venivano presi inconsiderazione, allora il risultato diventava caotico.

Queste considerazioni assumono una notevole importanza perché permettono diipotizzare che il problema del coordinamento delle organizzazioni della società civile,da molti sentito come prioritario, potrebbe non risiedere nella necessità dell'interventodall'alto di organismi pianificatori. Piuttosto sembra rilevante dare maggiore centralitàalle capacità auto-organizzative delle reti, cioè all'emergere di coordinamento a partiredalle semplici interazioni locali dei singoli nodi, motivate da una visione comune.

Proseguendo nell'analisi del verbale, si osserva come Chiara M. introduce unulteriore tema, quello dell'“origine perduta”. Afferma che il «GIT di Banca Etica l'ha[Villa Buri] sempre vissuta da “utente” e ritiene che negli ultimi anni si sia persol'entusiasmo dei primi tempi». Segnala la «[n]ecessità di spazi in cui trovarsi e riunirsi»e «ricorda iniziative interessanti, tipo “Zaino Zingaro”». Il suo commento indica che colpassare del tempo l'«entusiasmo» che ha permesso ai fondatori di creare un'iniziativadeve essere rigenerato, altrimenti si esaurisce.

Nello stesso commento emerge il tema della “memoria”. Chiara si ricorda di unaparticolare iniziativa perché l'ha vissuta direttamente. “Fare memoria” è una delleattività più importanti per mantenere una continuità nel percorso di soggetti pluralicome le organizzazioni. La memoria è il passato comune che permette l'aggregazione dipiù persone. Poiché non è possibile che tutti i membri abbiano la stessa memoria diretta,è importante rinfrescare e condividere le memorie. Ciò può avvenire, per riprendere laterminologia delle comunità di pratiche (Wenger 2010a: 180), sia attraverso processipartecipativi di condivisione sia attraverso la “reificazione” di manufatti che, riflettendol'esperienza condivisa, ne incorporano la memoria.

Ad un certo punto della riunione, dopo le considerazioni viste, Andrea descrive ilprogetto del “Portale del Terzo Settore”.

Andrea T.: […] Con Mag portiamo avanti il progetto di rifare le PagineArcobaleno22 tramite un portale che potrebbe essere uno strumento utile per lacomunicazione, con calendario per diffondere le realtà. Mappa concettuale perraffigurare le diverse associazioni.

22 Si tratta di un elenco cartaceo di prodotti, servizi e principali eventi dell'economia solidale e della società civile della provincia, realizzato nel 2004 (si veda p. 169).

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Capitolo 3

Afferma che il portale – con le sue funzioni di gestione condivisa degli eventi, «mappaconcettuale» (cioè il grafo), e presentazione delle attività – potrebbe essere sfruttatocome strumento concreto per affrontare i problemi di comunicazione, di coordinamentoe di memoria rilevati dalla Commissione. Prima di valutare la proposta, la discussioneprocede però con ulteriori considerazioni.

Paolo afferma che «[l]e associazioni spesso sono gelose di quello che fanno,cercando di mettere il cappello su quello che fanno, ma questo fa perdere di vista larete». Introduce così un tema delicato, riferendosi al livello percettivo-emozionale, siaindividuale sia gruppo, nel quale si annidano alcune delle problematiche dellacollaborazione. Le associazioni, oltre a non riuscire a collaborare come e quantovorrebbero, a volte si comportano come se non volessero collaborare per nulla, inquanto «gelose» della propria autonomia, dimostrando di aver paura di perderequalcosa. Come avrò modo di verificare altre volte durante il fieldwork la paura/timorenel collaborare è un sentimento che si trova spesso a fondamento delle problematichedell'agire collettivo nelle organizzazioni.

Questo passaggio mi permette anche di osservare l'utilizzo di metafore linguisticheper indicare il comportamento delle organizzazioni. Qui Paolo utilizza l'espressione«metterci il cappello» per indicare l'atteggiamento delle organizzazioni che cercano difar apparire come propria un'iniziativa spontanea, o che cercano di imporre il propriomarchio o il proprio linguaggio ad un'iniziativa partita in modo spontaneo, iniziata daaltri, o con altri. Il risultato è che in questo modo le organizzazioni si concentranotroppo sulla propria immagine e sulla propria identità, “perdendo di vista” l'importanzadelle collaborazioni e del coinvolgimento delle altre associazioni e gruppi. In questomodo si riduce lo spazio simbolico “libero” necessario alla collaborazione di soggettiesterni ai confini della propria identità. Il “lato oscuro” delle relazioni emerge dunqueanche in particolari metafore linguistiche.

Anche «perdere di vista la rete» è una metafora che, in modo più letterale rispettoalla precedente, mostra lo stesso atteggiamento. Come successo alle associazioni sociedi Villa Buri, può accadere che le organizzazioni partano con un'iniziativa di rete perintrecciare i vari percorsi individuali, e col passare del tempo finiscano per agire semprepiù spesso individualmente. I motivi sono svariati: perché possono fare a meno dellerisorse condivise (come nel caso dei soci che hanno già una propria sala riunioni equindi non hanno la necessità di trovarsi a Villa Buri); perché ritengono che ilcoordinamento richieda troppe energie; e così via. In questi casi sembra che l'azione direte sia concepita più come un mezzo per ottenere un obiettivo contingente che come unvalore in sé. La metafora può inoltre indicare altri casi, in cui motivazioni personali cherendono le relazioni conflittuali o poco piacevoli inibiscono a priori la collaborazionetra organizzazioni.

Mentre Paolo mette in evidenza la problematica dell'ambivalenza delle relazioni,Flora si sofferma sul tema dell'appartenenza.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

Flora: Pensiamo a questo come gruppo di lavoro e non come lavoro di gruppo. E'necessaria una coscienza dell'appartenenza. Servirebbe una anamnesi del passatoper avere una partenza. Bisogna anche capire bene le competenze e le conoscenzeche ci sono tra di noi. Serve una cernita dei temi base per creare comunicazione.Serve anche capire che risorse e che forza può essere messa in campo dai singoli edall'associazione VB onlus.

Flora indica l'importanza dell'essere coscienti del sentimento dell'appartenenza algruppo. Ciò significa sentire l'organizzazione (Villa Buri) come “propria”, non comeuna realtà “esterna”, appartenente “ad altri”. Anche Marco C. indicava questo temaattraverso la metafora del “sentirsi a casa”, nella «casa comune». L'appartenenza è untema importante e al contempo delicato, sul quale i concetti di rete e di comunità dipratiche, con i loro confini complessi (indefiniti e al contempo percepibili, che mettonoin connessione invece che dividere), possono fare la differenza rispetto ai concetti piùrigidi su cui tipicamente si è costruita l'appartenenza in passato, come ideologia, partito,cultura, gruppo sociale, squadra sportiva, famiglia, e così via.

Nel passaggio di Flora si individuano altri due argomenti. Il primo è l'importanzadella storia, del passato, per poter capire la direzione verso cui l'associazione staandando, quali risorse sono disponibili, qual è il percorso e quali traguardi sono statiraggiunti. Il secondo argomento è l'importanza di conoscere i temi e le questioni su cuisi concentra l'attività delle altre organizzazioni della rete, così come individuarecompetenze e conoscenze delle organizzazioni e delle persone. Questa reciprocaconoscenza favorirebbe (rendendola più efficiente ed efficace) la progettazionecondivisa.

Verso la conclusione dell'incontro si trova uno spazio per accordarsi su una o piùdelle proposte emerse durante la discussione. Si tratta di un passaggio molto diffuso inquesto tipo di incontri, la cui struttura presenta spesso una forma caratteristica: dopo ilmomento informale dell'accoglienza prende avvio la discussione con le comunicazioni(dove trovano spazio ad esempio i resoconti delle attività svolte dal precedenteincontro), successivamente la discussione si fa più partecipata, più o meno strutturataper punti (a volte stabiliti in un ordine del giorno); quando si cambia troppe volteargomento la condivisione di “sintesi” (su cui i partecipanti esplicitano spesso il proprioconsenso) aiuta a riprendere il filo della discussione; per finire, le “proposte” el'organizzazione dell'appuntamento successivo. Si tratta di una forma tipica dei processidi democrazia diretta, come evidenziato da Graeber (2013).

In questa riunione, tra le proposte c'è il grafo come strumento per agevolare la mutuaconoscenza attraverso la mappatura delle relazioni della rete di Villa Buri.

Marco C.: Per fare qualcosa di concreto potremmo costruire un grafo, comeproponeva Andrea Tronchin.

[…] Flora: Si potrebbe fare un incontro in cui tutte le associazioni costruisconoquesto grafo.

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Capitolo 3

Paolo: E' importante che le associazioni si presentino, per percepire e conoscerequello che viene fatto e sentire più loro la Villa.

Flora esplicita il desiderio di costruire questo strumento in modo condiviso. Comesottolinea Paolo, la realizzazione dello strumento può diventare essa stessa un'occasioneper conoscersi e per rivitalizzare il sentimento di appartenenza nella rete. Puntuale, achiusura del verbale, giunge la riproposizione riassuntiva delle proposte: costruzione delgrafo e racconto della storia del luogo23.

Qualche giorno dopo l'incontro ho ricevuto un'email di Andrea che, oltre ad inviarmiil verbale, mi invitava al successivo incontro «aperto a tutti i soci delle associazionisocie (e anche ai curiosi, ovviamente)». L'email di convocazione, con il suo invitoesteso anche al di fuori dei confini della comunità di Villa Buri, mette in evidenzal'atteggiamento della “porta aperta”, indicato nel capitolo precedente (p. 88). Questaoccasione di sperimentare la costruzione condivisa di un grafo è per me una confermamolto importante della domanda proveniente dal territorio di questo metodo diconoscenza e di auto-riflessione all'interno delle comunità. Riconosco ad Andrea ilmerito di aver creato questa occasione: questa volta il ruolo del gatekeeper è statofondamentale nel permettere il mio accesso alla nuova situazione del campo, diinteresse cruciale per la ricerca.

Costruzione partecipativa

In questa sezione descrivo il processo di costruzione che, a partire dai racconti dellestorie relazionali delle associazioni socie partecipanti alla Commissione Progetti, èsfociato nella realizzazione di un grande grafo di questa rete, tutt'ora esposto nel saloned'entrata della villa ed utilizzato dai membri di Villa Buri onlus come riferimentosimbolico per dare senso alla propria rete ed alla propria mission. Si tratta di un percorsocollaborativo nel quale le idee e i feedback che i partecipanti condividevano durante leriunioni e le comunicazioni confluivano nella realizzazione tecnica del disegno, cheman mano prendeva forma. La descrizione e l'analisi di questa esperienza si avvalgono,oltre che dell'osservazione partecipante durante gli incontri, di materiali estratti daverbali, email, conversazioni informali e degli elaborati grafici provvisori.

Il secondo incontro della Commissione Progetti si è svolto a circa un mese didistanza dal primo, di sera. Tutte le riunioni del gruppo si svolgono dopo cena perpermettere la più ampia partecipazione poiché la maggior parte dei presenti hanno unlavoro e si dedicano alle attività dell'associazione a titolo volontario e nel proprio tempolibero24. Anche questa volta conoscevo soltanto Andrea, il quale, pur non dovendo

23 «Proposta: trovarsi il 25 alle 20.30 (PUNTUALI!) con: – Marco Menin (storia di Villa Buri in 20 minuti); – presentazione delle varie associazioni e creazione del GRAFO con storia e attività delle varie associazioni».

24 Per la stessa motivazione anche altri gruppi di lavoro cui ho partecipato (Direttivo di Naturalmente Verona, conferenze della rete degli orti collettivi, gruppo del Portale del Terzo Settore, Comitato “Cittadella del Vivere Consapevole”) posizionano gli incontri nell'orario serale, dopo cena oppure neltardo pomeriggio se l'incontro prevede una cena auto-prodotta, in cui ognuno porta qualcosa. Più

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scrivere il verbale prendeva appunti e scattava qualche fotografia confermando il suoatteggiamento para-etnografico. La riunione è stata molto operativa. Come «compiti percasa» tra un incontro e l'altro, nell'email di convocazione si sollecitavano i partecipanti a«produrre uno schema della propria associazione e delle realtà collegate, per costruireinsieme la mappa concettuale».

Abbiamo iniziato Andrea ed io, presentando il cartellone con il suo grafo originale.Fin da subito è emersa una delle criticità che caratteristiche di tutto il lavoro successivo:per Marco C. il grafo era troppo difficile da capire, troppo complesso e disordinato. Luiproponeva di mettere Villa Buri al centro, con i soci attorno, cioè riteneva di doverprivilegiare l'esigenza della comunicazione piuttosto che quella della mappaturaconoscitiva. Abbiamo rassicurato tutti che quello esposto era soltanto un esempio e cheera possibile realizzare un grafo più semplice e comunicativo. In ogni caso la questioneindica ancora una volta l'esigenza di individuare un livello ottimale di complessità, chepermetta di rappresentare in modo realistico la struttura reale della rete, ma che alcontempo possa semplificare il più possibile questa realtà per renderla facilmentecomunicabile. Si tratta di un problema che ritorna spesso nella ricerca e che è tipicodella realizzazione dei modelli formali25.

Dopo la presentazione, sul retro del cartellone ho iniziato a disegnare a mano il“grafo di Villa Buri” mentre ad uno ad uno tutti i partecipanti narravano la storia dellapropria associazione. Raccontavano le attività svolte e le tematiche affrontate cercandodi esplicitare le organizzazioni con cui intrattenevano rapporti, con chi erano inrelazione, e con quali modalità. Man mano coglievo le relazioni e le disegnavo. Non erasemplice perché non conoscevo la maggior parte di queste realtà. Senza cercare dicapire tutto, disegnavo in una modalità quasi “automatica”. Ascoltavo e scrivevo, quasimeccanicamente, dando vita a linee, pallini e nomi. Ogni tanto intervenivo per chiedereconferma. Il disegno fungeva da tecnica di elicitazione collettiva, istituendo un feedback(retroazione) con il racconto. Le persone vedevano il disegno delle collaborazioniprendere forma, vedevano i nomi trascritti, e si ricordavano di ulteriori connessioni, diulteriori storie. In breve tempo il grafo è divenuto molto ampio (figura 5). Anche se eroio a scrivere, riconosco che questa pratica ha permesso di collaborare con gliinterlocutori nella raccolta dei dati relazionali.

La riunione è continuata con l'excursus storico di Villa Buri da parte di Marco M.,insegnante di fisica e presidente dell'associazione “Il Germoglio” onlus26. Marcodescriveva persone e organizzazioni che hanno animato il luogo: i conti Bernini Buri,poi la guerra in cui la villa è divenuta un rifugio tedesco, il saccheggio da parte degli

raramente gli incontri si svolgono la domenica.25 Si pensi all'esempio emblematico del disegno della mappa della metropolitana di Londra realizzato da

Harry Beck nel 1932, che ha semplificato la mappa precedente, diminuendone il realismo ma aumentandone enormemente l'efficacia comunicativa ed informativa (Vertesi 2008).

26 L'anno successivo, dopo un periodo di conflitto interno alla sua associazione, Marco ha dato le dimissioni, prendendo le distanze dai suoi ex collaboratori e ha fondato la nuova associazione “La Fenice” onlus.

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Capitolo 3

abitanti dopo il 25 aprile, la successiva vicenda di Mario Mazza e del collegio scout, poii Fratelli della Sacra Famiglia con la scuola diocesana, ed infine la vicendadell'associazione Villa Buri, dalla Rete Lilliput a Marina Salamon, ai vari presidenti chesi sono succeduti. Descriveva inoltre la tipologia di attività (educazione, ambiente,solidarietà, incontro interculturale), le date e il periodo storico, e così via. Trovo moltointeressante il fatto che nel gruppo si utilizzasse la storia della villa per iniziare aconoscersi a partire dalla conoscenza del luogo e delle sue vicende, delle sue vocazioni.

Il racconto della storia, quella di Villa Buri come per le singole storie delleorganizzazioni socie, sembrava essere utilizzato efficacemente e consapevolmente comestrumento per creare condivisione, oltre che conoscenza. La pratica di condivisionedelle storie creava una memoria comune e sopperiva in parte alla mancanza di unpassato comune tra le persone presenti, creando connessioni tra le differenti memorieindividuali. Ciò era molto importante per coltivare quel sentimento di appartenenza algruppo, che era stato nominato nell'incontro precedente. Inoltre il racconto della storiasi adattava molto bene alla rappresentazione delle connessioni in un grafo, dove isoggetti delle vicende diventano i nodi della rete. È sorprendente quanto la storia diun'organizzazione venga narrata attraverso le connessioni con altre organizzazioni, oltreche attraverso la specificazione delle proprie caratteristiche.

La riunione si è chiusa con nuovi “compiti per casa” ed io mi sono assunto quello didigitalizzare il grafo. Ho deciso di utilizzare un programma che permette di disegnarenodi e archi come se si stesse disegnando con la matita27. Questo software non permettedi gestire un database condiviso, né il disegno collaborativo di più utenti, però è moltorapido e intuitivo, adatto per questa fase iniziale. Prima di inserire il nome diun'organizzazione o di un progetto ho verificato le informazioni su internet (la maggiorparte delle organizzazioni e dei progetti hanno infatti un proprio sito internet oppuresono descritti nei siti internet di altre organizzazioni). Spesso i nomi che avevo scrittorisultavano incompleti e approssimativi perché le persone avevano utilizzatoabbreviazioni e nomignoli. È stato un esercizio per approfondire la mia conoscenza delcontesto e delle realtà nominate. Una volta inseriti tutti i dati, ho sperimentato un po'con il layout e la grafica, utilizzando un gradiente di colorazione la cui intensitàsbiadiva allontanandosi dal nodo di Villa Buri onlus28 (figura 6) nel tentativo diconferire in questo modo una maggiore centralità all'associazione, come aveva richiestoMarco.

Nella comunicazione in cui condividevo il disegno realizzato, ho incluso alcunespecificazioni perché il disegno era molto complesso e ritenevo che potesse creare unaprima impressione di caos e dare origine a misinterpretazioni.

Si tratta soltanto di un'immagine creativa della rete. La rete “vera” è quella che

27 Si tratta del softare yEd graph editor, in grado di generare diagrammi di varia tipologia, tra cui i grafi di rete (https://en.wikipedia.org/wiki/YEd).

28 Per le operazioni di layout e colorazione ho utilizzato il software open source di esplorazione e visualizzazione di reti Gephi (Bastian, Heymann, e Jacomy 2009).

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

costruite giorno per giorno con i vostri contatti e collaborazioni. Inoltre si tratta diun'immagine costruita con dati non completi, e soprattutto non ragionati. Per di piùè un'immagine che ho costruito da solo e non in modo partecipato con voi [che vi]mando per permettervi di avere qualcosa da visualizzare […].

Come sperato, la condivisione del primo disegno del grafo ha stimolato alcunifeedback e alimentato il processo di collaborazione. Chiara di Banca Etica, ad esempio,ha coinvolto il suo collega Antonio M. ritenendo che possedesse una miglioreconoscenza della «storia della banca e del contributo all'associazione Villa Buri».Utilizzo un passaggio del commento inviato via email da Antonio perché indicativo deltipo di lavoro collaborativo che si era innescato. In particolare il commento mette inevidenza una ulteriore modalità di collaborazione sempre relativamente alla raccolta deidati relazionali da rappresentare nel grafo.

Socio di Villaburi onlus non è il git di Banca Etica ma BANCA ETICA. […] Con ilcerchio di BANCA ETICA si possono fare le seguenti 4 diramazioni:circoscrizione soci, Git, Fondazione, Ufficio Via Scrimiari. Collegherei BancaEtica direttamente anche con DES el Selese e Università del Bene Comune.Grande assente è LIBERA Associazione contro le mafie: merita un bel cerchio dacollegare, oltre a Villa Buri onlus, anche a Banca Etica, Arci, Acli, Legambiente.La cooperativa GENOVESA è presente in molte iniziative.

Si può notare innanzitutto come attraverso i tanti contributi di questo tipo il grafovenisse progressivamente sistemato, messo in ordine in base alla conoscenza personaledella propria organizzazione, della sua storia relazionale. In questo modo si integravanodiverse soggettività, diversi punti di vista, in un disegno comune. Questa integrazioneintersoggettiva è senza dubbio la funzione principale del lavoro svolto.

Il coinvolgimento di Antonio conferma che il processo di costruzione comune era giàiniziato. Ciononostante la percezione soggettiva di tale condivisione e collaborazionenon era egualmente diffusa tra tutti i partecipanti. Alcuni infatti continuavano, almenoper il momento, a riferire a me il lavoro, utilizzando espressioni come «il tuo grafo».Probabilmente in questi casi non c'era una piena condivisione dell'utilità della pratica incorso e la partecipazione si basava più su responsabilità e senso di appartenenza algruppo. Altri invece si sono coinvolti in modo più appassionato durante tutto il lavoro.

Attraverso lo strumento del grafo, Antonio non è stato il solo ad indicare, oltre allastruttura relazionale esterna della propria organizzazione, anche quella interna. Spessole organizzazioni sono strutture complesse a loro volta, costituite da sezioni, uffici,gruppi di lavoro e così via. La scelta portata avanti nel grafo su Villa Buri, e che poi èstata mantenuta nel lavoro sulla rete più ampia, è stata di non rappresentare le divisioniinterne di ogni singola organizzazione, perché aumentano troppo la complessità deldisegno, aggiungendo informazioni che sono più efficaci in spazi comunicativi esterni aldisegno, ad esempio nei siti internet delle organizzazioni29.

Nelle successive riunioni e negli scambi via email il lavoro collaborativo di

29 Anche questa decisione rientra nella problematica del livello ottimale di complessità del modello richiamata precedentemente.

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Capitolo 3

costruzione del grafo si è consolidato. La posizione, inizialmente sostenuta dallaCommissione, di voler rappresentare soltanto Villa Buri, le associazioni socie e leattività svolte da Villa Buri, per motivi di «comunicazione», è stata mediata dalla miainsistenza sull'importanza di posizionare la rete di Villa Buri all'interno della più granderete costituita dalla società civile locale, di cui anche Villa Buri è parte. Questamediazione è specificata già nella convocazione del terzo incontro della Commissione:«[…] ci si ritrova per continuare a lavorare sul grafo delle relazioni e dei soggetticoinvolti in Villa Buri e più in generale nell'economia di solidarietà e giustizia aVerona». La soluzione escogitata nel gruppo per mediare tra i due obiettivi è stata didisegnare la rete più ampia in cui Villa Buri è inserita, ma di rappresentare questa rete apartire dal nodo di Villa Buri. Posizioniamo il nodo di Villa Buri al centro del disegno edisponiamo gli altri nodi della rete in anelli concentrici sempre più esterni, in base allaloro distanza relazionale dall'associazione Villa Buri30 (figura 7).

Oltre al posizionamento lungo l'asse centro-periferia, tipico delle rappresentazioniego-centrate dell'analisi delle reti sociali (Scott 2000), è emerso uno schema radiale, peril quale i nodi più strettamente interconnessi occupano lo stesso settore circolare31.Anche questa soluzione è emersa dalla collaborazione, dall'integrazione delle intuizionipersonali degli interlocutori attivi nel progetto. Si veda ad esempio il seguentecommento di Marco M.: «Ti suggerirei di spostare dalla stessa parte il Germoglio, ilprogetto Macramè ed il Centro Diurno, che rientrano tutti insieme in un percorsocomune e strettamente intrecciato». Il risultato di questi aggiustamenti sulla posizionedei nodi in base alla distanza relazionale ha contribuito a creare un grafo piùsignificativo (e più comunicativo), in cui sono evidenziati alcuni dei settori di attività edi collaborazione, nei quali la rete di Villa Buri si articola32.

Inoltre, la disposizione ad anelli concentrici ha esercitato un impatto come principiogenerale di ordine, innescando un'ulteriore retroazione con la scelta dei dati relazionalida rappresentare. Il nuovo schema di utilizzo dello spazio ha imposto di limitare ilnumero di nodi posizionati nel quarto e nel quinto anello (quelli relativi alleorganizzazioni esterne alla rete di Villa Buri). Insieme abbiamo deciso quindi che ogni

30 Questo posizionamento è stato ottenuto a partire dal layered layout di Gephi scritto dall'Ing. Jaroslav Kuchař (Facoltà di Information Technology, Czech Technical University di Praga). I livelli del layout sono stati calcolati in base ad un attributo numerico dei nodi creato ad hoc, contenente il numero del livello da 1 per il primo anello a 5 per l'ultimo anello. Le posizioni sono poi state aggiustate manualmente.

31 Il settore circolare è la porzione di un cerchio racchiusa da due raggi e da un arco di circonferenza (https://it.wikipedia.org/wiki/Settore_circolare)

32 La complessità del grafo è eccessiva per una applicazione manuale rigorosa del tipo di posizionamento perseguito. Il layout automatico utilizzato, layered layout, non è in grado infatti di riposizionare i nodi all'interno dell'anello di appartenenza in base alla distanza relazionale (per limitare le sovrapposizioni degli archi e per avvicinare i nodi più interconnessi). L'estensione dell'algoritmo di layout era fuori dalle capacità tecniche mie e degli interlocutori-collaboratori, quindiho proceduto tramite il riposizionamento manuale approssimativo. Tuttavia ho inserito un commento (una feature request) sul sistema di gestione del codice open source dell'algoritmo (https://github.com/jaroslav-kuchar/Layered-Layout/issues/1), proponendo una modifica in modo da offrire un contributo ed estendere la collaborazione a quel progetto.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

organizzazione socia scegliesse le tre organizzazioni con cui collaborava maggiormente.Anche questo passaggio insiste sulla tematica del livello ottimale di complessità, livelloche veniva a definirsi con il procedere del lavoro.

Alla riunione del 8 ottobre 2012 ho portato finalmente una prima versione del grafostampato su carta in formato poster. Lo abbiamo steso sui grandi tavoli del salone dellavilla dove ci riunivamo ed è iniziato il confronto. Il formato molto grande del disegnoha favorito ancora di più la collaborazione rispetto allo schermo del personal computerdi dimensioni limitate. I presenti hanno iniziato a valutare il risultato complessivo dellavoro e a notare i particolari con attenzione. Hanno segnalato alcuni nodi mancanti, cheho aggiunto a matita sul foglio stesso. Si è innescato un vivace dibattito su variequestioni, ad esempio sulla convenienza di inserire il nodo del “Comune di Verona” odella “Fondazione Cariverona”. La questione nasceva da un lato perché si tratta diorganizzazioni che occupano posizioni liminali nella categoria fuzzy di società civile;dall'altro perché sono organizzazioni con cui l'associazione collaborava, ma con cuiaveva anche degli attriti. Si è deciso di adottare un approccio aperto e di rappresentareanche questi nodi.

Il disegno ha suscitato un vivo interesse e prodotto un ampio coinvolgimento deipresenti, al di là del fatto che alcuni commenti erano entusiasti, altri meno, e altri anchecritici. Flora e Giulio, ad esempio, hanno dichiarato che per la prima volta avevano unacomprensione chiara di cosa stavano facendo; non si riferivano tanto alla comprensionedella struttura del grafo, ma al ruolo della Commissione Progetti. L'obiettivo dellaCommissione è di definire un orientamento e un progetto comuni per Villa Buri e per laprima volta, guardando il grafo, hanno avuto un'immagine chiara di questo livellocomune. Capivano meglio che cosa fosse la rete di Villa Buri, di cosa si occupasse, chine facesse parte. Questo per me è stato un momento saliente della ricerca in quanto sitratta di un'importante conferma di ciò che ho ipotizzato nella teoria rispetto allarealizzazione condivisa dello strumento. In quel momento, mentre ero sul campo, hoavuto la percezione che lo strumento nel suo contesto stesse producendo effettivamenteil risultato ipotizzato: una comunità di pratiche che veniva agevolata nel prendereconsapevolezza della propria complessità.

Integrando informazioni da diversi punti di vista soggettivi, il processo dicostruzione del disegno ha fatto emergere un senso di pluralità e di insieme, fornendouno strumento per pensare una complessità di rapporti di collaborazione, dei quali isingoli membri erano solo parzialmente al corrente. Non si trattava di rappresentaregraficamente un'immagine mentale preesistente – il che sarebbe stato già un risultatonotevole in sé – come nel caso delle mappe concettuali. Si trattava di una mappaconcettuale collaborativa. L'aspetto più interessante di questo lavoro è che il disegnorisultante dipingeva una realtà che non era precedentemente visibile alle personecoinvolte. In questo senso il disegno di rete realizzato è da intendersi come i disegni dicui parla Tim Ingold: non come immagini che sono rappresentative nel senso di stare al

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Capitolo 3

posto di una realtà, ma come immagini che sono strumenti che aiutano a trovare e capiredegli aspetti della realtà (2011, pp. 197, 204). Nei termini della teoria della complessità,non si può dire che il grafo realizzato abbia permesso un possesso cognitivo dell'interarete, dell'intero sistema, ma ha fornito certamente l'accesso ad un'immaginecollaborativa del sistema.

La costruzione e la fruizione del grafo inoltre sono state uno stimolo per laprogettazione e l'attività successive del gruppo. Come emerso dall'incontro dell'8ottobre, il grafo era visto come «uno strumento per arrivare ad un progetto comune».Durante l'incontro infatti, dopo aver lavorato sul poster del grafo, è iniziata ladiscussione sulla progettualità comune (tra i soci), che la Commissione era incaricata dirivitalizzare. Stimolati dal lavoro sulle relazioni, sono emersi diversi interrogativi: incosa consisteva questa progettualità comune? Di che cosa si occupavano i vari soci?Quali erano le tematiche che accomunavano i percorsi dei soci? Chi avrebbe potutoessere interessato a questo o quel tipo di attività? Questi sono esempi delle domande cheguidavano la discussione. L'aver costruito insieme – per alcuni mesi – il grafo della retedi collaborazioni in cui è immersa Villa Buri, l'aver discusso, nominato, scelto leorganizzazioni e le attività da rappresentare, ha attivato nella memoria e nellapercezione dei membri della Commissione tutte queste informazioni, che divenivano inquel momento disponibili per la progettazione. Flora e Giulio hanno preso spunto dalverbale dell'incontro per scrivere un progetto sintetico, un testo che riassumesse le varieproposte, alcune delle quali hanno poi avuto seguito (come il “cineforum delleassociazioni”). Il grafo era servito alla Commissione per comprendere la rete esistente,permettendo di “fare rete” con maggiore consapevolezza. «Ritengo che il grafo sia unottimo strumento dal quale ora possiamo partire», sottolineava Paolo in un'email del 15ottobre.

L'analisi dei dati effettuata fin'ora mi porta a ritenere che il coinvolgimento e lacollaborazione con i membri della Commissione siano stati in generale positivi. Alcunipiù di altri, ma tutti hanno collaborato alle attività di costruzione del grafo. Al contrario,i soci di Villa Buri che non partecipavano alla Commissione, non partecipavanonemmeno alla raccolta dei dati da inserire nel grafo, alla quale erano stati invitati dallaCommissione (via email e in alcuni casi anche attraverso contatti personali). Questoriflette le dinamiche già presenti all'interno della rete, dove circa metà delleorganizzazioni socie solo di rado partecipava attivamente. In altre parole, se alcunimembri della Commissione meno coinvolti partecipavano più per senso diresponsabilità nei confronti delle scelte collettive del gruppo di lavoro che per un realeinteresse nel progetto del grafo, è probabile che altri soci non partecipassero perché sitrattava di un'attività promossa da Villa Buri, più che per un concreto disinteresse.

Chi si era lasciato coinvolgere da questo lavoro, che considerava il grafo unostrumento utile, riteneva che esso potesse produrre un cambiamento anche in questasituazione di scarso coinvolgimento. Speravano che il grafo aprisse un varco ed aiutasse

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

a sciogliere questo nodo. Descrivevano il disegno come un «segno di appartenenza»,utile a «far capire alle associazioni un'appartenenza a VB». Ritenevano che, attraversola propria rappresentazione all'interno di questa immagine plurale, «[l]e associazioni[avrebbero dovuto] sentirsi partecipi»33. Nei termini della teoria delle comunità dipratiche, la Commissione auspicava che il disegno funzionasse come elemento di“reificazione” in grado di produrre la partecipazione alle pratiche della comunità.

Io come ricercatore pensavo che i soci non partecipanti fossero disinteressati alprogetto. Invece, i collaboratori, soprattutto quelli che avevano maggiormente il polsodella situazione perché frequentavano da più tempo l'associazione, sapevano che ildisinteresse era trasversale a tutti gli ambiti. È partita da loro infatti l'idea di utilizzare ilgrafo per stimolare un maggiore coinvolgimento da parte dei soci che si impegnavanomeno nella rete. Non solo c'è stato quindi un interesse per lo strumento del grafo (comeprecedentemente evidenziato, p. 115), che mi ha permesso di essere accettato nel gruppoin quanto portatore di competenze specifiche. A questo punto erano i collaboratori adivenire protagonisti, prendendo il testimone e proiettando lo strumento sulla propriaprogettualità. In questo senso è possibile affermare che questo disegno costituisce unelemento di restituzione “in itinere” dei risultati della ricerca agli interlocutori-collaboratori sul campo. Non tutte le restituzioni sono infatti da collocare al termine delfieldwork.

A partire dalla riunione del 8 ottobre, per gli incontri successivi fino all'assemblea deisoci del 14 dicembre, l'attività della Commissione procedeva su due binari paralleli. Dauna parte continuava la costruzione del grafo, dall'altra iniziava l'organizzazione delleattività e degli eventi indirizzati a riprendere la progettualità comune. Per quantoriguarda il secondo binario, emergeva un tema peculiare dell'organizzazionecollaborativa: la «contaminazione».

Paolo: Tutti quelli che hanno deciso di far parte di Villa Buri si riconoscono almenoin uno degli aspetti che vengono sviluppati da VB. Pace, accoglienza (giustizia,integrazione), economia (sostenibilità, legalità), ambiente (natura), gestione. Questigrandi contenitori danno risposta a tutti. Il bello di far parte di Villa Buri è chel'Altro completa, con quella parte che io non ho, per arrivare a I Cantieri dei MondiNuovi. Quello che tu fai è molto interessante per me, perché non è quello chefaccio io.34

Paolo: l'originalità di VB è non solo lavorare per il bene comune, ma anche lacontaminazione. Io faccio qualcosa e tu qualcos'altro. Il Cantiere lo organizziamonon solo quando ognuno porta il suo, ma anche quando ci si contamina. Mettersiassieme tra diverse realtà per cercare di contaminarsi. Il che ha anche una logicapolitica.

Giulio: La contaminazione ci interessa molto, bel tema.35

Secondo l'approccio originario di Villa Buri, di cui è testimone principale Paolo in

33 Verbale dell'incontro del 8 ottobre 2012.34 Verbale dell'incontro del 8 ottobre 2012.35 Verbale dell'incontro del 29 ottobre 2012.

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Capitolo 3

quanto ex presidente dell'associazione (il secondo dalla nascita), la contaminazione è daconsiderarsi come un aspetto essenziale della collaborazione. Non è importantesolamente il coordinamento tra associazioni che si interessano degli stessi temi, maanche la convivenza e la “contaminazione” tra organizzazioni diverse, con diversecompetenze. Ciò non significa che si debba collaborare con organizzazioni troppodiverse. Secondo la teoria delle comunità di pratiche, le differenze fra le competenze ele esperienze delle comunità che interagiscono non dovrebbero mai essere troppo ampieda rendere inefficace la comunicazione, e questa consapevolezza era diffusa ancheall'interno della comunità di Villa Buri. Era chiara infatti la necessità di sapere qualifossero le competenze dei potenziali collaboratori. Ad esempio, nel progetto sinteticoelaborato da Flora e Giulio le «competenze, capacità, potenzialità specifiche di ognisocio» sono elencate come «risorse», mentre la «non conoscenza delle ricchezzereciproche» e la «mancanza di sinergia» sono indicate come «debolezze».

Per quanto riguarda la costruzione del grafo, i membri della Commissione hannoelaborato ulteriori proposte che si sono concentrate sull'estetica e sulla capacitàcomunicativa del disegno. Sono state decise in modo condiviso le dimensioni deglielementi nel grafo (più grandi verso il centro), le trasparenze (più trasparenti versol'esterno), la colorazione e lo sfondo. “Il grafo assomiglia ad una costellazione” – è statoosservato. “Potremmo utilizzare uno sfondo che ricorda il cielo, un cielo stellato”; «ilcielo di Villa Buri» – osserva qualcun altro. E così ha preso forma il nome del grafo “Ilcielo di Villa Buri” e con esso l'idea grafica di fondo.

Relativamente ai colori, avevo inizialmente riproposto quelli del disegno originale diAndrea (rosso per i progetti e le attività, blu per le organizzazioni). Durante unariunione, quando ormai il disegno aveva assunto la sua forma definitiva, Chiara, Marcoe altri hanno risollevato la questione, ritenendo che i colori scelti conferissero al lavoroun'aria troppo professionale. Proponevano di utilizzare colori vivaci come quellidell'arcobaleno (elemento presente nel logo dell'associazione Villa Buri e molto caro ingenerale alla società civile)36. Avevo delle perplessità rispetto alla proposta perchéritenevo che troppi colori potessero complicare il disegno e diminuirne il poterecomunicativo. Inoltre è emersa un po' di tensione nella mia relazione con i collaboratori,dovuta al fatto che ogni modifica del disegno comportava una discreta quantità di lavoronell'editing al computer, lavoro che non rientrava facilmente nella spartizione deicompiti all'interno del gruppo. Nonostante le circostanze e l'intervento del gatekeepermi avessero permesso di trovarmi fin da subito pienamente coinvolto in un'attivitàinterna alla comunità, il rapporto con gli interlocutori-collaboratori era ancora in unostato iniziale. Non mi sentivo abbastanza libero di esprimere la mia fatica e il miobisogno di riconoscimento del lavoro svolto perché non volevo che il lavoro venisse

36 Si pensi ad esempio alla bandiera della pace (su fondo arcobaleno), utilizzata in Italia fin dagli anni Sessanta dai movimenti pacifisti. In riferimento a Villa Buri, come in molti altri casi, la scelta del “colore arcobaleno” è una scelta che simbolicamente rappresenta la pluralità, la diversità e la contaminazione tra tanti soggetti diversi.

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sospeso. La tensione generata da questa situazione ha stimolato una importante riflessione sul

metodo sperimentato perché ho cominciato a prendere coscienza del fatto che la tecnicadi coinvolgimento degli interlocutori-collaboratori nella raccolta dei dati e nellacostruzione del grafo sperimentata in questo periodo aveva un forte limite, un “collo dibottiglia” costituito dal passaggio obbligato attraverso la mia figura di ricercatore per latraduzione delle informazioni in modifiche nel disegno. Più che un problema disovraccarico di lavoro, emerge un problema di separazione tra il lavoro cooperativodurante le riunioni e il lavoro individuale di realizzazione del disegno epadroneggiamento dei mezzi tecnici. Come ho mostrato, la maggior parte dellemodifiche al disegno sono frutto di scelte condivise. Tuttavia, poiché sono stato sempreio a realizzare i disegni, per alcuni membri della Commissione questi disegnirimanevano i “miei” elaborati, il “mio” lavoro. Questo collo di bottiglia nel processocooperativo deresponsabilizzava alcuni collaboratori, nonostante fossero rappresentatianche i dati forniti da loro, relativi alle loro organizzazioni e nonostante loro stessiavessero partecipato alle scelte su come rappresentare questi dati (perfino richiedendocomplicate operazioni di editing). Questo inibiva in parte il carattere partecipatodell'attività e del manufatto.

La soluzione alla discussione sui colori ci è stata offerta dalla compresenza quellasera di un'attività residenziale in Villa da parte di un gruppo di giovani scout. Marco C.ha chiesto a due di loro un feedback. La risposta è stata inequivocabile: “sembra moltointeressante ma è troppo noioso, ci vorrebbero colori più vivaci”.

Continuando sul binario della costruzione partecipativa del grafo sono emersi altridue temi di notevole importanza, rimasti poi centrali per tutta la ricerca: il tempo e lasoggettività. Innanzitutto ci siamo scontrati con la temporalità del grafo e della realtàrelazionale che esso dipingeva. La raccolta dei dati relazionali era avvenuta attraversoistruzioni generiche ed interpretabili, che richiedevano ad esempio di indicare i nodi concui ogni socio «intrattiene[va] un rapporto più stretto», o con cui collaborava«maggiormente»37. Il risultato di questa modalità rappresenta quindi la nostraricostruzione collettiva di un'immagine statica della rete di Villa Buri. È come seavessimo disegnato la rete dell'associazione “congelata” in un istante; un disegno dovesono presenti soltanto i collegamenti che avevano ancora un valore per le persone che lihanno inseriti. Questi collegamenti rappresentavano per così dire la condensazione dellaloro storia relazionale passata (del passato recente), così come percepita dai singolimembri che avevano partecipato alla raccolta dei dati. È una “fotografia” assemblata estatica di un processo relazionale dinamico. Abbiamo deciso quindi di aggiungere unsottotitolo indicante la data di allora in modo da rendere esplicita la dimensionetemporale della rappresentazione. Inoltre abbiamo osservato che in caso di necessitàsarebbe stato necessario aggiornare il disegno38. Nella bozza di progetto di Flora e

37 Da una mia email del 26 settembre 2012.38 Di recente (novembre 2015) mi è stato chiesto di aggiornare il grafo.

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Giulio, ad esempio, il grafo era indicato come una delle «azioni da intraprendere»,un'«[a]zione continua della vitalità di V[illa] B[uri]».

Intrecciato al tema del tempo si evidenzia quello della soggettività. L'esperienza dicostruzione collettiva de “Il Cielo di Villa Buri” permette una riflessione importanteriguardo la soggettività intrinseca al lavoro realizzato. Nel grafo ottenuto non c'è rigorenella definizione delle connessioni.

Fin qui abbiamo seguito un po' implicitamente la regola per cui due associazionisono connesse se hanno un progetto in comune o se appartengono a unaassociazione di secondo livello insieme, si potrebbe continuare su questa linea.Tenete presente che tra i due o tre nodi selezionati ci possono anche essere deiprogetti prodotti dal singolo socio.39

Come ricordavo nell'email citata, durante la prima fase di raccolta dei dati relazionali,quando trascrivevo nel disegno le connessioni in base al racconto dei membri dellaCommissione, erano chiaramente emerse due interpretazioni principali del concetto direlazione (rappresentato graficamente dalle connessioni fra nodi), ricalcando la tipologiaideata da Andrea nel suo grafo originale40. Da un lato le relazioni di collaborazione sullabase di attività svolte insieme da più organizzazioni, corrispondenti ai legami«strumentali» di Andrea; dall'altro le relazioni tra organizzazioni appartenenti alla stessarete formale, ad esempio le relazioni tra i soci di Villa Buri, corrispondenti ai legami«istituzionali».

Nonostante la presenza di questo schema generale implicito, la sua applicazione nonè stata quantitativamente fondata, né rigorosa, e nemmeno le due tipologie di relazionirisultano distinguibili nell'elaborato finale. La scelta delle relazioni da rappresentare si èbasata esclusivamente sulla percezione delle singole persone che stavano collaborandoal grafo, in base alla loro interpretazione del concetto di “rete di collaborazioni”. Ilrisultato di un lavoro di questo tipo è in un certo senso quello di una mappa concettualepartecipativa, in cui l'elaborazione dei dati relazionali è lasciata all'intersoggettivitàdelle persone, anziché essere esplicitata in una formula oggettiva.

Fruizione del disegno

La fase di progettazione si è conclusa in vista dell'assemblea annuale dei soci; occasionein cui abbiamo presentato il lavoro. Si tratta di uno dei momenti cruciali di questa fasedi sperimentazione della ricerca, proprio perché il grafo è stato presentato a persone chesi sono trovate di fronte al prodotto finito (la reificazione), senza aver partecipatoattivamente al processo di costruzione (la partecipazione). Intendo quindi documentarela loro reazione.

L'assemblea si è tenuta il 14 dicembre 2012. Eravamo riuniti in una delle sale grandial piano terra della villa. Era la prima volta che partecipavo ad una riunione che non

39 Da una mia email del 26 settembre 2012.40 È possibile che il grafo originale di Andrea, con cui abbiamo iniziato il lavoro, abbia influenzato

parzialmente la percezione dei membri della Commissione. Tuttavia, fino al momento dell'invio dell'email citata non sono mai state esplicitate convenzioni per la definizione delle relazioni.

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fosse ristretta alla Commissione Progetti. Mi sono subito reso conto dell'assenza didonne nella sala. Erano presenti Marco C., Paolo e Marco M., rappresentati di treassociazioni socie (Masci, Agesci, Il Germoglio) e membri della Commissione. Ormaiavevamo alle spalle sei mesi di riunioni insieme (nove in totale) e insieme ci eravamopreparati anche per questa assemblea. Mancavano però gli altri della commissione,anche se avevano confermato la loro presenza (senz'altro ha influito la nevicataterminata poche ore prima, ma questa non giustifica completamente le assenze). Su 14persone presenti, i rappresentanti delle associazioni socie erano solo sette. Oltre ai tresopra ricordati c'erano anche Don Giuseppe dell'“Ufficio Migrantes e Centro PastoraleImmigrati”, in rappresentanza della Diocesi di Verona, Antonio per Banca Etica, LuigiS. e Alberto Z., presidente e vice-presidente dell'associazione “Amici di Villa – BoscoBuri”. Questa scarsa presenza non era una sorpresa: la Commissione Progetti era stataformata proprio con l'obiettivo di migliorare una situazione di “scarsa” partecipazione ecollaborazione tra i soci.

La prima parte dell'assemblea è stata occupata dalla discussione di uno studio diprevisione del bilancio dell'associazione, leggermente in perdita41. Nella seconda partela Commissione ha presentato il lavoro svolto. È stato Marco a prendere la parola42,spiegando l'origine e gli obiettivi della Commissione: aumentare la conoscenzareciproca delle associazioni che costituiscono Villa Buri; favorire il “fare rete”, lacooperazione e la contaminazione fra le diverse realtà; e rinnovare l'originario obiettivodei soci di dare vita ad un progetto comune e non soltanto utilizzare gli spazi della villaper le proprie esigenze associative.

Il progetto comune si chiama “Cantiere di Mondi Nuovi”. Tutte le associazioni socie,ognuna per proprio conto, lavorano su tematiche e progetti specifici di interesse sociale:pace, educazione, sostenibilità ambientale, equità sociale, emigrazione, economiasociale, intercultura, cittadinanza attiva, accoglienza e integrazione, e così via. Marco haspiegato che per il programma dell'anno 2013 la Commissione promuoveva “I NostriMondi Nuovi”, un'edizione dei Cantieri in cui ciascun socio era invitato a partecipare,«testimoniando la propria peculiarità, il proprio operato, il messaggio di cui è portatoree che arricchisce l'immaginario dei “nostri mondi nuovi”». Così recitava anche il foglio

41 La conversazione, molto approfondita, ha vagliato le varie voci di bilancio, soffermandosi a valutare alcune proposte di razionalizzazione e controllo dei consumi e di miglioramento dell'efficienza energetica. Però ha assunto toni cupi quando si è spinta a proporre “tagli” anche sulle (pochissime) risorse umane disponibili. Oltre a ridurre le spese si è ragionato su come aumentare le entrate, ed alcuni interventi hanno creato tensione perché le proposte di aumento della produttività attraverso alcuni progetti come la “casa per ferie” ad alcuni sembravano snaturare la vocazione sociale, relazionale ed educativa dell'associazione. La “Casa per ferie” è entrata in funzione nel 2014 anche grazie all'introduzione nella discussione del concetto di turismo responsabile, che ha fatto cadere alcune resistenze sul progetto.

42 Marco C. è subentrato – suo malgrado – come presidente della Commissione ad Andrea S. dopo le dimissioni di quest'ultimo. Il ruolo di verbalizzatore invece, che era sempre ricoperto da Andrea S., l'ho assunto io. Ancora una volta riuscendo a far coincidere le esigenze di documentazione della ricerca con le esigenze operative degli interlocutori-collaboratori, come discusso nel capitolo precedente.

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preparato da Chiara, e distribuito a ciascuno dei presenti, sul quale erano erano indicatigli estremi per potersi tenere in contatto con la Commissione ed era riassunto ilprogramma che Marco stava raccontando.

In breve, la Commissione proponeva tre diverse modalità di partecipazione: a) uncineforum in cui ogni associazione poteva proporre (anche in collaborazione con lealtre) un film che meglio rappresentasse la propria mission e tematica di ricerca, eorganizzare il dibattito invitando esperti del settore43; b) delle tavole rotonde o incontriaperti al pubblico (organizzabili in collaborazione con altre associazioni, sia socie chenon), per affrontare le tematiche che rappresentavano il proprio lavoro; c) un eventocomune, una festa nel parco della villa alla quale le associazioni erano invitate ad esserepresenti con i propri spazi informativi ed attività, per favorire in particolare lacontaminazione e il confronto fra organizzazioni anche meno “vicine”.

Marco non nascondeva la sua amarezza. I soci erano stati convocati dal CdA eavevano ricevuto una seconda email dalla Commissione allo scopo di preparare ildibattito in modo da renderlo fruttuoso e partecipato. Sconfortato, si è lasciato andare adun «sono triste» poiché credeva che l'assenza della maggior parte dei diretti interessatipregiudicasse la discussione. Mentre parlava i nostri sguardi si sono incrociati più volteprovocandomi un sorriso. Marco ha un atteggiamento piuttosto pessimista, che luistesso riconosce, ma non è disfattista. Anche in quest'occasione il suo pessimismo non ècontagioso, almeno per me, piuttosto lo considererei informativo in quanto permettevaai presenti di rendersi conto della situazione. Soprattutto, rappresentava solo una facciadella medaglia, come nell'espressione di Romain Rolland “il pessimismodell'intelligenza, l'ottimismo della volontà”, resa celebre da Antonio Gramsci (1975quad. 28).

Proprio come era successo con Andrea alla prima riunione di Naturalmente Verona,qui è stato Marco ad introdurmi. Ha fatto riferimento alla mia formazione inantropologia culturale e in analisi delle reti sociali, marcando soprattutto la secondadisciplina che per lui aveva un tono più tecnico e professionalizzante. Ha spiegato cheero entrato a far parte della Commissione su invito di Tronchin, presidente diNaturalmente Verona, associazione con cui Villa Buri collaborava molto pur nonessendo socie l'una dell'altra, e che tutti i presenti sembravano conoscere. A questopunto avevo già srotolato sull'immenso tavolo il grande poster con il grafo, stampato sumateriale plastico (il “prodotto finito”, visibile in figura 8). Il cartellone, molto colorato,è stato di grande effetto e tutti si sono avvicinati per osservarlo meglio. Ho spiegato cheil grafo era il risultato di un processo e di un lavoro che aveva coinvolto molte persone,tra cui alcuni dei presenti, e che aveva preso forma un po' alla volta, acquisendoprogressivamente ordine. Ho spiegato inoltre che la Commissione lo riteneva unostrumento in grado di favorire l'immaginazione della dimensione associativa di VillaBuri e che, dato il livello di complessità rappresentato, poteva essere necessario

43 Nell'organizzazione di cena e musica etniche per il momento conviviale sono state coinvolte anche varie “associazioni degli immigrati”, coinvolte attraverso la “Festa di Popoli”.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

acquisire un minimo di confidenza prima di poter utilizzare lo strumento.Mentre illustravo il grafo, qualcuno segnava col dito i nodi nominati e tutti seguivano

con attenzione. L'ho descritto come un «dispositivo simbolico» che poteva aiutare atenere a mente quella rete e quel “fare rete” che Marco aveva definito un'importanterisorsa. Il grafo aiutava ad avere una “doppia attenzione”: su di sé, cioè sulla propriaassociazione, e anche sulla rete complessiva. Addirittura al di là dei confini dellacomunità di Villa Buri, nella società più ampia. Ci tenevo in particolare a mettere inevidenza che il grafo creava una corrispondenza a livello visuale di quei concetti di cuic'era già una diffusa rappresentazione verbale, cioè i discorsi sulla rete, sulle strategie direte, sul coordinamento, sulla collaborazione e così via. Attraverso questecorrispondenze i simboli si rinforzavano reciprocamente. Per questi motivi laCommissione Progetti riteneva il grafo uno strumento importante per favorirel'emergenza di cooperazione nella rete.

Conclusa la mia presentazione, l'assemblea è proseguita con il dibattito. Le reazionisono state entusiaste e si è innescata una discussione stimolante, tanto che ad un certopunto ho deciso di registrare il resto degli interventi. Silvano B. (che poi sarebbediventato presidente di Villa Buri) ha condensato in un commento il filo narrativoprincipale. «È molto importante poter vedere una fotografia così ampia della rete di cuifacciamo parte» […] «la rete esiste già, ma non è facile tenerla a mente» […] «d'altraparte, bisogna trovare dei modi per farla vivere quella rete». Il suo commento inizia conl'apprezzamento della capacità offerta dallo strumento di rendere visibile la reteemergente, procede con la considerazione che quel disegno è una rappresentazione della“vera” rete di relazioni sociali tra le persone appartenenti alle diverse organizzazioni,osserva che il grafo aiuta a “tenere a mente” questa rete, e conclude riconoscendo chebisogna agire sulle relazioni reali per favorire l'efficacia della rete.

Bruno R., presidente allora in carica, osservava come il grafo fosse uno strumentoimportante per «iniziare a fare memoria». Quando qualcuno organizzava qualcosa, oaveva un'idea, ora poteva dire «toh! Guarda [indicando il grafo] aspetta che lo dicoanche agli altri». Per questo, su suggerimento di Antonio, si è deliberato che una copiadel cartellone dovesse essere appesa nella sala d'entrata della Villa, in modo da esseresempre visibile a tutti. Marco sostiene che se Villa Buri voleva essere la “casa” delleassociazioni che ne fanno parte, allora avrebbero dovuto «esserci dei segni» indicanti«che si tratta[va] di casa propria. Si dovrebbe sentire la presenza». Quando leassociazioni organizzano degli eventi in Villa «l'invito è che lascino un segno»: ilmanifesto del convegno organizzato, una targhetta informativa degli alberi piantati nelparco, e così via, «in modo che chi viene senta che c'è attività, che c'è partecipazione».Cosa che al momento «non si percepisce» rincalzava Paolo. Il cartellone è statoapprezzato anche per il suo aspetto materiale, che lo rendeva un elemento percepibile eduraturo.

Antonio di Banca Etica, indicando con la mano il grafo, ha tracciato un percorso a

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partire dal centro: «questi in bianco sono i soci attuali» e, spostandosi in basso a sinistra,«poi ci sono delle realtà che sono molto “vicine”» a Villa Buri, pur non essendo soci,«per esempio Libera, che è nata recentemente, o Naturalmente Verona, Mag, Sezano[“Monastero del Bene Comune”]». Si potrebbe – ha chiesto – studiare una nuovatipologia di socio che «lasci da parte il bilancio» e «si impegni nella progettualità»? Alladomanda ha risposto inizialmente Marco, ricordando che la partecipazione diassociazioni non socie era già possibile sulla base di una collaborazione nei progetticomuni con i soci e sottolineando come «le associazioni [fossero] libere di farsipromotrici delle singole iniziative». Antonio però credeva che fosse importante avere adisposizione una procedura per l'accettazione di nuovi soci e il presidente è intervenutoproponendo, sulla base della sua esperienza lavorativa come commercialista,l'istituzione della tipologia dell'“affiliato”, da affiancare a quella del socio.

Entrambe queste due proposte – rendere più vissuta la casa e accettare nuovi soci –non erano nuove. Ma sono state discusse in questo momento con evidente «rinnovatoentusiasmo» (termine utilizzato dal “pessimista” Marco in un'email scritta allaCommissione il giorno successivo). Mentre il dibattito si svolgeva, osservavo coninteresse come lo strumento simbolico di cui ci eravamo dotati innescasse e orientassela programmazione dell'azione attraverso l'aumentata consapevolezza del livellocollettivo.

Marco M., partendo dall'esempio della propria associazione, faceva notare che alcunidegli eventi proposti ed organizzati a Villa Buri dai singoli soci, avrebbero potuto già,per le tematiche affrontate e senza bisogno di modifiche, rientrare nel progetto comunede “I Nostri Mondi Nuovi”. «Avrebbe senso» organizzare tali eventi non in quanto«singola associazione che utilizza la Villa» come location, ma «in quanto quel temarappresenta il contributo dell'associazione al cammino de “I Nostri Mondi Nuovi”», «inmodo che quelle attività diventino il contributo che l'associazione dà all'insieme».Proponeva dunque di inserire le attività in un programma comune da diffondere comevolantino o altri mezzi per poter raggiungere i cittadini e le cittadine. In questo modoanche la comunicazione sarebbe stata diversa: «le attività sarebbero pubblicizzate comeprodotti delle associazioni, ma all'interno del percorso dei Cantieri». Questo programmaavrebbe proposto un'offerta più ampia e diversificata che sarebbe potuta risultare in «unritorno di visibilità». Inoltre qualcuno degli «affiliati» di uno dei soci avrebbe potutoessere interessato a «mettere il naso» nelle attività degli altri, favorendo in questo modola conoscenza reciproca e quindi anche la collaborazione.

«Per me occorre proprio un salto culturale» – rincalzava Paolo – «perché abbiamo unfreno: vorremmo che le nostre attività attirassero la gente, però non le facciamo in retecon gli altri». E questo «rischia di essere un controsenso, se vuoi più gente possibiledevi allargare i canali». Paolo chiariva un altro tema toccato nel precedente discorso,cioè che «non chiediamo niente di più rispetto a quello che già si fa», nessun «ulterioreimpegno» da parte dei soci. Da una parte Paolo sapeva che alle riunioni della

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Commissione era emerso spesso il problema di proposte che appesantiscono la mole dilavoro delle associazioni. Dall'altra voleva sottolineare l'importanza del fatto che gliostacoli alla collaborazione e alla visione d'insieme sono innanzitutto «barrierementali», cioè la percezione di separazione laddove potrebbe esserci connessione, diostacoli dove non ci sono.

Don Giuseppe ha osservato che il grafo rappresentava la rete dei soggetti, e questoaiutava a capire come essi «interagiscono tra di loro». «Sarebbe altrettanto interessante»– sosteneva – poter capire quali sono i «nuclei» tematici attorno ai quali avvienel'interazione, perché è quella «la base per una possibilità di lavoro».

Faccio un esempio: Centro Pastorale Immigrati, CESTIM, e non so chi altro possaessere interessato [elenca i nodi indicandoli sul grafo] a tutto il discorsodell'intercultura. Va bene che interessa anche tanti altri, ma bisognerebbedichiararlo, e dichiararlo dicendo “sì, ci stiamo”, e allora possiamo anche partirea… Quindi indicare i nuclei attorno ai quali come Villa Buri lavoriamo, quali sonole associazioni che sono interessate a questo o non all'altro. Personalmente, comeCentro Pastorale Immigrati, ci sono delle realtà che mi possono interessare, ma nonè lo specifico... Posso far conoscere, faccio rete, da questo punto di vista, ma è altroinsomma il mio scopo.

Riteneva che ogni organizzazione dovesse rendere esplicite - «dichiarare» – le tematichesu cui lavorava, poiché la collaborazione più profonda poteva nascere tra associazioniche si occupano di temi specifici comuni. Poi poteva essere aperta a tutti gli altrimembri della rete, ma più in termini di ricezione, di informazione, dal momento chequesti altri soggetti potevano avere un interesse meno «funzionale»44.

L'argomento sollevato da Don Giuseppe ha riportato l'attenzione dell'assemblea sullanecessità di far partecipare i soci, dal momento che la definizione o discussione delletematiche di afferenza era esattamente il secondo punto all'ordine del giorno pensatodalla Commissione. Paolo ha riassunto la discussione della seconda parte dell'assembleaper poter concludere e passare ai festeggiamenti di fine anno nella stanza accanto, doveerano già iniziati i preparativi. Come argomento conclusivo ha interpellato tutti circa ladisponibilità ad assumersi l'incarico di andare personalmente a chiedere lapartecipazione ai soci mancanti, raccogliendo le tematiche sulle quali stanno lavorandoe facendosi promotori del programma proposto. «Ci prendiamo questo impegno qua?» –ha chiesto – e quando tutti hanno risposto affermativamente, battendo il pugno sultavolo come fossimo ad un asta, ha chiuso esclamando: «Bene, venduto!».

In riferimento alla teoria delle comunità di pratiche, si può osservare che le personepresenti all'assemblea avevano di fronte i risultati della reificazione, ma non avevanoavuto un ruolo attivo nella partecipazione che ha portato alla costruzione coordinata delmanufatto (ad esclusione dei membri della Commissione). Cionondimeno, durantel'assemblea ho osservato l'efficacia dello strumento nel favorire la consapevolezza della

44 È facile comprendere come la dichiarazione delle tematiche potrebbe favorire sia la collaborazione per temi comuni di cui parla Don Giuseppe, sia quella per contaminazione cui faceva riferimento Paolo.

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complessità della rete. Il valore non sembrava risiedere tanto nel prodotto del lavoro (ildisegno) in sé, quanto – anche in questo caso – nel processo innescato dalle pratiche difruizione dello stesso. Ciò che conta era infatti osservare attraverso il disegno eripercorrere mentalmente le connessioni disegnate, facendo emergere i ricordi dellesituazioni vissute, riattivando informazioni dalla memoria, o scoprendo nuoveconnessioni.

L'importanza dell'interazione col disegno è emersa anche in altri momenti e in altremodalità. Un'occasione si è verificata, ad esempio, durante uno degli incontri per ilcoinvolgimento di soci e vicini che la Commissione ha organizzato nei giorni successiviall'assemblea. Questo incontro si è svolte al centro dei “Missionari Comboniani” diVerona, in una sala del “Museo Africano”. Osservando la versione ridotta del Cielo diVilla Buri, stampata per l'occasione, alcuni dei missionari hanno manifestato il lorostupore per la mancata presenza della loro organizzazione. In risposta, uno dei membridella Commissione presenti all'incontro ha fatto notare che le connessioni eranodisegnate sulla base di collaborazioni tra i gruppi, e che evidentemente la vicinanzasentita tra Comboniani e Villa Buri non si era ancora concretizzata in attivitàcollaborative. La discussione è proseguita quindi sull'organizzazione del “cineforumdelle associazioni”, che è poi sfociato nella fruttuosa collaborazione perl'organizzazione della prima serata e del primo film. Confrontando però le locandinedelle feste dei popoli, dalla prima del 1992 fino all'ultima del 2015, è possibileconstatare che i missionari avevano ragione: tutte le feste dei popoli sono stateorganizzate da un gruppo di circa sette organizzazioni principali, tra cui Villa Buri onluse i Missionari Comboniani.

Uno stage musicale residenziale organizzato dall'“Orchestra Giovanile Veronese” aVilla Buri consente di avere una seconda conferma dell'importanza dell'interazione conil manufatto. Infatti, durante la permanenza qualcuno dei ragazzi ha incollatoun'etichetta sul grande poster incorniciato in entrata, andando ad aggiungere il nododell'Orchestra Giovanile, dal momento che non era presente, e collaborando così(spontaneamente e a posteriori) all'aggiornamento del grafo.

Questi sono due esempi di fruizione innescati dalla dimensione simbolica delmanufatto e dal desiderio di essere rappresentati nel grafo di una rete di cui ci si senteparte. Durante altri incontri per il coinvolgimento di soci e vicini il grafo non hascaturito alcun effetto apparente. Così è stato per l'incontro con l'“Interzona AGESCI”di Verona45, cui ho partecipato insieme ad Andrea B. (della Commissione Progetti), el'incontro con “Legambiente Verona”, cui ho partecipato come unico inviato dellaCommissione. In quest'ultimo caso in particolare, mi sono reso conto che il rapporto trale due organizzazioni (Legambiente Verona e Villa Buri) manifestava fratture profonde,risultato di una relazione che dura da anni e che oltre a molte collaborazioni ha prodottoanche alcuni attriti. Non ci si può certamente aspettare che questo tipo di problematiche

45 Una riunione dei coordinatori delle tre zone scout veronesi.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

possano essere risolte dalla semplice fruizione di uno strumento collaborativo.Cionondimeno anche i membri di Legambiente hanno apprezzato il lavoro.

Posizionamenti

La percezione diffusa tra le persone che collaborano all'interno dell'associazione VillaBuri è che ci sia una scarsa partecipazione da parte di alcuni soci. È evidente che ci sonodiversi gradi di partecipazione ed alcuni soci partecipano solo attraverso la quotaannuale. Questo non significa però che la partecipazione all'organizzazione delle attivitàdi Villa Buri sia scarsa. La realizzazione del grafo “Il Cielo di Villa Buri”, ovvero laprima attività svolta della Commissione, ha coinvolto direttamente sei associazionisocie. La realizzazione del successivo ciclo di “Cineforum” ha coinvolto ulteriormentequattro associazioni socie (di cui una che non aveva collaborato al grafo), più sei o setteorganizzazioni esterne tra associazioni degli immigrati, associazioni legate al “Festivaldel Cinema Africano”, gruppi musicali, e così via. Un'attività realizzata incollaborazione tra sette o dieci organizzazioni è molto complessa. Serve una notevolemole di comunicazione per mettere a punto il coordinamento di tutte le personecoinvolte, la sincronizzazione dei compiti di ognuno, l'ottenimento dei permessi delcaso, l'aggiornamento delle informazioni, la promozione e la comunicazione pubblicadei risultati, e così via46. E si tenga presente che in molti casi le persone sono coinvolte atitolo volontario.

Se diamo credito alla percezione espressa da Marco M., cioè che sia sufficiente lacollaborazione di due o tre organizzazioni per volta, bisogna osservare che nelle attivitàrealizzate dalla Commissione il livello di collaborazione è stato piuttosto elevato.Questa affermazione non è in contraddizione con la precedente (quella secondo cuialcuni soci non collaborano molto), piuttosto entrambe evidenziano due punti di vistacomplementari, uno più attento a “ciò che manca”, che vede “il bicchiere mezzo vuoto”,l'altro a “ciò che c'è”, che vede “il bicchiere mezzo pieno”. Il secondo è piùrappresentativo dell'atteggiamento che ho mantenuto durante la mia partecipazione alleattività della Commissione.

Fin dalla prima riunione infatti mi sono reso conto che la complessità generataquando nelle discussioni sono coinvolte tante persone crea spesso stress e affaticamento.Ognuno segue un percorso cognitivo ed emozionale che è solo parzialmente parallelo aquello degli altri. Si verificano spesso cambi di argomento repentini, perdita del filodiscorsivo, esaltazione di alcuni ragionamenti e accantonamento di altri, mancatapercezione degli stati emozionali e dei bisogni degli altri. Il discorso che si dispiega è unintreccio, e qualche volta un vero e proprio groviglio, che i soggetti coinvolti tentano ditessere, cercando insieme un ordine. Ma questo ordine non è sempre visibile, emerge col

46 Il lavoro di coordinamento per la realizzazione del Cineforum delle Associazioni all'interno del progetto denominato “Verso il Cantiere di Mondi Nuovi” ha necessitato di un notevole impegno organizzativo. Il format realizzato era costituito da aperitivo presso il “Buri Bar”, proiezione del film nella sala conferenze, breve discussione (a volte con relatore esterno), cena etnica all'aperto con concerto di musica etnica.

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passare del tempo, ed è parzialmente fuori dal controllo individuale.In un ambiente di questo tipo i conflitti sono la norma, la maggior parte di piccole

dimensioni (ad esempio perché nel discorso del collega c'è una parola o unragionamento che non condividiamo, o che abbiamo approfondito molto nel nostropercorso e proprio per questo non riusciamo a fare a meno di puntualizzare, o chepercepiamo come una mancanza di riconoscimento del nostro impegno, e così via); equalche rara volta più grandi. Non mancano nemmeno le effervescenze positive, glientusiasmi contagiosi, che lavorando singolarmente sarebbero difficili da produrre.

L'auto-ironia, individuale e collettiva, è un ulteriore elemento che facilitanotevolmente la fluidità delle riunioni, e il perseguimento degli obiettivi. Ad esempioPaolo nella Commissione si è distinto per la sua capacità di sdrammatizzare e diprovocare risate attraverso battute ironiche sulla Commissione e sull'associazione VillaBuri. Si veda ad esempio la simulazione evidente della situazione del battitore d'asta,richiamata nella descrizione della chiusura dell'assemblea dei soci (pag. 125).Nell'immaginario comune quando il battitore dell'asta batte il martello e dichiara“venduto!”, non si può “tornare indietro”. L'acquirente non può ritirare la sua offerta. Èpresente in innumerevoli film, ad esempio, la scena da commedia degli equivoci in cui,per errore o perché spinto da qualcuno, il personaggio sfortunato alza la mano durantel'asta, o fa un minuscolo cenno che, suo malgrado, viene interpretato dal battitore (avolte in cattiva fede poiché il battitore deve vendere) come un'offerta, e il personaggio siritrova ad acquistare un bene di cui non ha bisogno (tipicamente una patacca),suscitando la risata del pubblico.

Era significativo che Paolo usasse questo riferimento gestuale perché sottolineava inmodo comprensibile, ma ironico, scherzoso e non serio e perentorio, la pressione socialeche in quel momento si stava cercando di applicare nei confronti dei presenti. Lapartecipazione in questo come in molti contesti simili è volontaria, quindi non si puòordinare od obbligare nessuno, mentre la pressione sociale è spesso un elementoutilizzato, più o meno consciamente. Paolo è stato (come in altre situazioni) in grado dialleggerire la pressione sociale e di suscitare piacere nei destinatari, invece cheappesantimento. In questo modo il compito da svolgere viene associato ad un ricordopiacevole. Utilizzo questo come esempio della capacità dell'ironia, e soprattuttodell'auto-ironia di gruppo (cioè quella in cui il soggetto è il “noi”) di agevolare leattività.

L'atteggiamento ironico, spesso dimostrato da Paolo e da Flora (e con minorefrequenza da altri partecipanti), era da questo punto di vista opposto a quello assunto daMarco C. (ma da cui non erano immuni anche altri partecipanti), che spesso aveva untono ansioso e deliberativo, severo. Marco aveva il ruolo di chi cerca di far rispettare lescadenze ad un gruppo lento e disorganizzato, che non è mai pronto fino all'ultimomomento. Probabilmente il suo ruolo è stato altrettanto indispensabile di quello di Paoloe di tutti gli altri. Inoltre, questa schematizzazione non è comprensiva di tutte le

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sfaccettature dell'atteggiamento delle persone nominate. Marco ad esempio in certimomenti era molto positivo e persino entusiasta, come nell'email inviata dopo lapresentazione del lavoro all'assemblea dei soci (si veda pag. 124).

Con Marco mi sono fermato qualche volta a conversare dopo la fine delle riunioni.La sera dell'assemblea, ad esempio, abbiamo parlato a lungo. Lui mi ha confidato cheall'inizio dell'attività non aveva molta fiducia nel lavoro di costruzione del grafo.Pensava che non avesse sostanza, che fosse poco utile, “cervellotico”; «fuffa» è iltermine che ha usato. Aveva però cambiato idea, era entusiasta del risultato perchéaveva davvero avuto l'impressione che il CdA e i soci presenti fossero stati colpiti inpositivo, che ci fossero una nuova consapevolezza e un «rinnovato entusiasmo» da parteloro. Marco ha inoltre specificato che una componente del “successo” della nostraattività era collegata al mio modo di relazionarmi con loro. Con questo intendeva direche apprezzava il mio modo di essere almeno altrettanto delle competenze tecniche cheportavo nel gruppo. Un commento da una precedente email di Paolo, che condividel'opinione di Marco, mi permette di esplicitare la percezione di questo atteggiamento.

Ciao a tutti,mi unisco a Marco nel ringraziare Flora, Giulio e Miro per il lavoro svolto. Ritengoche il grafo sia un ottimo strumento dal quale ora possiamo partire.Vi ringrazio ancor di più per l'entusiasmo, la leggerezza e l'interesse nelcomunicare che ci avete trasmesso in occasione di queste riunioni, e anchesuccessivamente con le vostre mail: se queste sono le premesse e le condizioni, ilnostro impegno non sarà certo inutile.

Certamente io e Flora facevamo parte del “polo ottimista” della Commissione.L'«entusiasmo» è più un contributo di Flora e di Paolo che mio, così come la capacità dicomunicare «interesse» nei confronti delle attività svolte. «Leggerezza» invece è unattributo che riconosco in pieno nell'atteggiamento che avevo durante la collaborazione.Come ho detto, le riunioni presentavano continui piccoli conflitti e problemi, dovuti allanatura stessa della collaborazione tra individui. Per quanto mi fosse possibile, cercavo dinon dare corso ai problemi e agli ostacoli, quanto di favorire lo svolgimento fluido dellacollaborazione. Soprattutto nella fase iniziale del campo partecipavo poco allediscussioni nel senso di fornire contenuti. L'aver assunto il ruolo di verbalizzatore (perVilla Buri come per Naturalmente Verona e per altri gruppi poi) mi permetteva dimantenere questa presenza con ancora più naturalezza proprio perché, essendoimpegnato nella trascrizione (un'attività utile per il gruppo), non venivo percepito comeassente se restavo in silenzio.

I miei contributi alle conversazioni erano essenzialmente di due tipi. Il primo era tesoa facilitare lo svolgimento dell'azione, della discussione. Dopo diversi minuti didiscussione su una problematica su cui diverse persone interagivano senza trovare unaccordo, o ponevano sul tavolo idee contrastanti e ripetuti cambi di argomento, ioproponevo delle “sintesi” nell'intento di favorire la comprensione, utilizzando interventidel tipo “mi sembra di capire che ci sono due punti di vista, il primo… il secondo…,

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che potrebbero anche coesistere in modo…”47. Questi interventi erano volti in un certosenso a semplificare la complessità delle interazioni e spesso avevano l'effetto disciogliere i nodi e far scorrere la discussione. Altre volte intervenivo introducendo unnesso logico che poteva legare due argomenti apparentemente contraddittori. Ecco,forse, il motivo dell'interpretazione di questo atteggiamento nei termini di “leggerezza”.

Questo tipo di interventi hanno influito più o meno positivamente rispetto al miomodo di relazionarmi con gli interlocutori. Ricordo in particolare l'occasione in cui èstato invitato un membro esterno a partecipare alla Commissione e presentare la suaproposta di coinvolgimento delle associazioni. L'invitato occupava una posizioneperiferica nella comunità di Villa Buri ed aveva maturato una lunga esperienzanell'associazionismo cattolico e nella politica cittadina (per la quale aveva ricopertodiversi ruoli ufficiali). Il suo linguaggio era molto lontano da quello tipicamenteutilizzato nella Commissione, che tendeva ad essere esplicitamente apolitico eaconfessionale (più di una volta alcuni membri della Commissione hanno espressoquesta necessità). L'incontro di questi due linguaggi, unito forse a idiosincrasiepersonali di cui allora non ero al corrente, ha fatto velocemente scaldare la discussione esalire il livello della tensione. Il mio contributo di sintesi in quel momento è statoparticolarmente apprezzato dagli interlocutori che hanno elogiato la mia «capacitàdiplomatica». Tuttavia in un'altra occasione simile, questa volta durante una riunionemolto tesa tra Naturalmente Verona e l'associazione culturale “Retrobottega”,responsabile di “Vrban eco-festival”48 cui Naturalmente Verona ha collaborato nel 2013,il mio atteggiamento è stato giudicato in modo meno positivo, definito spregiatamente«democristiano» perché troppo orientato alla mediazione e all'evitare i conflitti.

Al di là della modalità dei miei interventi e della loro ricezione, il focus della miaattenzione in quei momenti era rivolto alla collettività dell'assemblea. Il secondo tipo dicontributi era invece frutto del mio coinvolgimento più personale nei confronti deicontenuti della discussione in corso. Ad esempio quando Marco ed altri hanno propostodi rappresentare nel grafo solamente Villa Buri e le associazioni socie, sono intervenutoper far valere le mie motivazioni e la proposta di non trascurare l'importanza dirappresentare la rete di Villa Buri inserita (embedded) nel contesto più ampio, nella retedella società civile di Verona, per non limitarsi ad una visione restrittiva e snaturare ilsenso stesso del lavoro. Se la Commissione avesse deciso di dare corso alla proposta diuna rappresentazione chiusa della rete interna, il lavoro sarebbe stato per me menocomplesso in termini di realizzazione tecnica (a meno che non si fosse deciso dirappresentare un livello di complessità interno, ad esempio tramite i gruppi informali oformali di cui sono composte le organizzazioni, o addirittura la rete delle interazioni alivello individuale). Però, avevo ancora viva la sensazione che la prima impressione che

47 Successivamente ho ritrovato questo tipo di sintesi, messe in pratica in modo più sistematico ed esplicito, nelle discussioni del comitato cittadino “Cittadella del Vivere Consapevole” (si veda anche p. 329), di cui ho seguito molti incontri.

48 Il nome dell'evento utilizza la lettera U scritta utilizzando il grafema romano dell'epoca classica, cioè V, per poter creare un gioco di parole con la sequenza VR, sigla della provincia di Verona.

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alcuni collaboratori avevano avuto del lavoro fosse quella di poter ottenere un cartellonepubblicitario con una bella grafica accattivante, e non di partecipare ad un'attivitàcognitiva e sociale. Non volevo dare corso a questa impressione e ho sentito il bisognodi fare la mia contro-proposta (le due poi, come ho mostrato a p. 114, si sonocombinate).

Inoltre in casi come questo c'è di mezzo la percezione di “fallimento” della ricerca.Se la mia proposta fosse stata rifiutata tour court, avrei comunque potuto registrare nellenote di campo un tale corso del progetto, come una sorta di negazione della volontà disperimentare una visione ampia di rete o di prevalenza delle esigenze di visibilità e dipubblicità (e in parte questo è registrato nell'esistenza stessa di tale proposta). È chiaroche la mia ricerca in questo caso non sarebbe veramente “fallita”, nel senso che avreicomunque potuto continuare a descrivere i processi e le pratiche caratterizzanti ilproseguimento del progetto. Ma certamente non sarebbe stato facile accettare un talecorso della ricerca, chiaramente lontano dal mio “desiderio”.

In generale, nonostante questa difficoltà, ho cercato per quanto possibile di limitarequesto secondo tipo di interventi. Non è stato un tentativo naif con cui ho cercato dieliminare la mia “interferenza” con l'“oggetto” della ricerca, applicando una retrogradaconcezione dell'antropologia. Si è trattato invece di una risposta che consideroadattativa nei confronti di un aspetto emozionale e sociale che spesso entra in giocoquando si partecipa ad un'attività in modo attivo ed interessato, cioè lo sviluppo diattaccamento ed identificazione nei confronti del progetto o dell'impresa. Più siinvestono le proprie risorse in un attività e più la si sente propria. Se da un lato questocrea un circolo di feedback positivo, in cui l'investimento di risorse crea attaccamento,che stimola ad investire più risorse, dall'altra può diventare un problema quando siperde la capacità di lasciar andare, di accettare un'eventuale separazione o una perdita dicontrollo sull'attività49. Nonostante il proprio intervento e la propria partecipazione, leimprese e i progetti sono in parte indipendenti dalla volontà di chi vi partecipa.

La creazione dei grafi (quello di Villa Buri come i successivi) e in minor misuraanche altre attività cui ho partecipato sul campo hanno costituito per me una sfida, chemi ha costretto a riflettere sul mio attaccamento. L'approfondimento della concezione diricerca antropologica applicata e pubblica e dell'approccio indiretto verso ilcambiamento sociale che ho esplicitato nel capitolo precedente (si veda p. 62) sono statistimolati da queste riflessioni. Durante il periodo iniziale del fieldwork questoposizionamento non era, tuttavia, ben definito. Il costante confronto con il contestoaccademico, con tutor, colleghi e docenti all'interno del corso di dottorato, hacertamente influito positivamente sulla mia messa a fuoco e sull'esplicitazione del nodo

49 Il problema assume maggiore visibilità in ambienti specifici, come nel contesto aziendale (e specialmente delle imprese familiari), ad esempio quando un imprenditore o un'imprenditrice, ormai troppo attaccati alla propria impresa, anche quando questa entri in crisi non sono in grado di lasciare andare le apparenze, di accettare le profonde trasformazioni necessarie alla sopravvivenza del business (compresa la propria successione come leader) e vengono trascinati (con l'impresa) nel fallimento giuridico. Si veda ad esempio Baschieri (2014).

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problematico del rapporto tra ricerca e attività sul campo. In questa fase disperimentazione iniziale, non avevo ancora maturato una riflessione profonda alriguardo; la mia strategia era prevalentemente intuitiva e si è concentrata sul mantenerequell'atteggiamento di “leggerezza”, apprezzato da Marco e Paolo durante lacollaborazione con loro. Ciò non significa che non ci siano stati anche momenti ditensione nel mio rapporto con i collaboratori, proprio come ho mostrato nelladiscussione sulla scelta dei colori (si veda pag. 118). Tuttavia, ho cercato di mettere incampo un atteggiamento che ponesse maggiormente in evidenza gli aspetti costruttivi(ad esempio l'originalità e l'alternativa portata alla discussione dai contributi dei varicollaboratori) rispetto ai conflitti e agli elementi negativi.

Questa inclinazione non si è limitata a contrassegnare la mia presenza. Anche larappresentazione del grafo risultante dal lavoro collaborativo ha assunto questocarattere. Se si osserva “Il Cielo di Villa Buri” – è stato notato da un collega durante unamia presentazione dello stato di avanzamento della ricerca del dottorato – si haun'impressione pervasiva di “armonia” e si percepisce la mancanza, del tuttoinverosimile, di conflitti. In effetti i conflitti e le relazioni problematiche dicollaborazione non hanno trovato spazio nel disegno. Questo esito è derivato dallasomma del mio atteggiamento e delle difficoltà a nominare il lato oscuro della relazionimostrata dalle organizzazioni della società civile (si veda anche p. 103).

Inoltre, è la modalità stessa di raccolta dei dati (secondo cui ogni socio partecipanteha indicato le organizzazioni con cui la sua associazione collaborava maggiormente)non ha lasciato la possibilità all'“altro” – nominato nella collaborazione – di dare la suaopinione su quella linea tracciata tra i nodi delle due organizzazioni. Si sarebbe potutotenere conto di questa bidirezionalità della collaborazione, per esempio chiedendo adogni organizzazione “nominata” di dare il suo parere, di confermare o negare lacollaborazione, o semplicemente di commentarla. In questo modo il disegno sarebbestato il risultato di un processo di costruzione che dava ai conflitti la possibilità diemergere, e perché no, si sarebbe potuto trovare anche il modo di rappresentaregraficamente tali conflitti.

La comunità di Naturalmente Verona

“Grafo-interviste” al Festival dell'economia eco-equo solidale

Durante i mesi di settembre e ottobre, contemporaneamente al lavoro con laCommissione Progetti di Villa Buri, ho partecipato alle riunioni di NaturalmenteVerona. Anche in questo caso gli incontri erano finalizzati alla preparazione diun'attività specifica: l'edizione 2012 del “Festival dell'Economia Eco-Equo Solidale”.Non ero ancora entrato a far parte del direttivo dell'associazione, tuttavia sono statoinvitato, dal gatekeeper Andrea, a partecipare alle riunioni di preparazione al Festival,aperte a tutti i soci. In questi incontri, che si svolgono nella sede di “LegambienteVerona”, venivano messi a punto tutti gli aspetti organizzativi: raccolta delle

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

partecipazioni, spiegazione del funzionamento degli abbuoni Scec, ottenimento deipermessi per il parcheggio, valutazione delle soluzioni logistiche per la disposizione deibanchetti, organizzazione del calendario degli eventi culturali, organizzazione deivolontari per le attività di montaggio, smontaggio, cucina, e così via.

All'assemblea del 17 settembre 2012 erano presenti circa 35 persone, per la maggiorparte “soci espositori”. La riunione è iniziata con una breve presentazione da parte diognuno, segnale della presenza di diverse «facce nuove». Anch'io mi sono presentato(questa volta da solo), esplicitando il mio lavoro sul grafo della rete della società civiledi Verona. Si sono raccolte poi le adesioni dei volontari. Per aumentare la scarsapartecipazione iniziale è stato offerto uno sconto sul prezzo dell'iscrizione al festival perogni organizzazione che avesse messo a disposizione dei volontari. Il numero totale allafine è stato molto alto. Anch'io mi sono offerto di svolgere alcuni compiti comevolontario, considerandola un'ottima occasione per partecipare attivamente alle pratichedel gruppo.

Un successivo incontro, del 25 settembre, è servito anche da conferenza stampa.Tutte le realtà rappresentate nella rete di Naturalmente Verona erano state invitate, emolte erano presenti. Una giornalista de L'Arena, Chiara Bazzanella, si è fermata a fineincontro per raccogliere ulteriori informazioni. Andrea le ha parlato anche del nostroprogetto di ricerca e mi sono trovato coinvolto in un velocissimo dialogo a tresull'argomento. L'articolo uscito il giorno successivo sul quotidiano cittadino, dopo unampio panorama sul senso e sulle attività del festival, concludeva con un accenno allaricerca.

«Molte associazioni hanno tanti punti in comune e non lo sanno» spiega MiroMarchi, dottorando in Scienze antropologiche all'Università scaligera che per 3anni studierà il vasto mondo veronese impegnato nel «bene comune», per metterloin relazione. (Bazzanella 2012)

Nel passaggio l'autrice non fa riferimento alla dimensione della rappresentazione,trasformando la ricerca sulla costruzione partecipativa di una rappresentazione della retedella società civile locale, in una ricerca il cui obiettivo è «mettere in relazione» leorganizzazioni della rete. Questo parziale slittamento di significato è dovuto in parteall'estrema sintesi giornalistica del pezzo, e in parte ad una leggera mancanza dichiarezza sugli obiettivi della ricerca, favorita anche dalla discussione congiunta conAndrea, nella quale sono entrati anche i suoi obiettivi. La mia distinzione tra una ricercaapplicata all'aumento di collaborazione nella rete e una ricerca applicata ad un'attività diauto-rappresentazione dei membri della comunità di pratica è una questione scientifica,che ha poca importanza nella prassi di Andrea, e che non era ancora completamenteemersa come problematica nel mio lavoro.

Il giorno successivo alla riunione, Andrea ha inviato a me e in copia ai membri deldirettivo un'email in cui, riprendendo una discussione che avevamo iniziato, misuggeriva di svincolarmi dagli impegni di gestione del festival, per concentrarmi

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sull'aspetto della ricerca.

Ciao Miro,al di là delle urgenze e necessità di volontari che il Festival di Naturalmente Veronarichiede, penso che più che in cucina o allo stand SCEC, il tuo compito nei duegiorni dovrebbe essere questo:– Passare da tutte le realtà presenti, una per una, e prendere nota di: chi sono, cosafanno, quali i referenti, quali i progetti, quali i collegamenti con altre realtà dellasocietà civile veronese e non… e quanto altro ti viene in mente per portare avanti illavoro di ricerca del grafo con l'università.Questo festival è la più grossa manifestazione in assoluto del suo genere nellaprovincia di Verona e ritengo che perdere questa occasione sia un grosso danno peril progetto che abbiamo in mente (l'occasione successiva sarà l'anno prossimo).In copia ci legge il CD [consiglio direttivo] di Naturalmente Verona affinchéprenda atto e, per quanto possibile, ti sganci da altri impegni volontaristici relativialla manifestazione…Un abbraccio solidaleandrea

La funzione di questa comunicazione è in particolare quella di legittimare il mio ruolodi ricercatore partecipante, anzi di “partecipante ricercatore”. Anche in quest'occasionel'intervento del gatekeeper nel fieldwork è stato di grande utilità nel favorire il mioposizionamento.

Per quanto riguarda la pratica di ricerca durante il festival, avevo intenzione disperimentare qualcosa di diverso rispetto all'intervista classica. L'email di Andreaconteneva due indicazioni. La prima, con la quale mi trovavo d'accordo, era diincontrare ed entrare in relazione con i soci. Il festival era certamente un'occasione perconoscere molte persone che partecipavano alla comunità di pratica della società civilelocale. La seconda indicazione si riferiva al mettere a frutto l'occasione per “raccoglieredati” (tra cui anche i dati relazionali) sulle organizzazioni che fanno parte dellacomunità. Tuttavia, l'esperienza che proprio in quel periodo stavo maturando attraversoil lavoro con la Commissione Progetti di Villa Buri, mi permetteva di inquadrare conmaggiore chiarezza la problematica della raccolta dei dati. Non bastava che il momentodella raccolta dei dati fosse partecipato e condiviso, la gestione dei dati doveva rimanerenelle mani di chi li aveva condivisi anche dopo la fase di raccolta.

Come già discusso a pag. 119, la difficoltà che stavo sperimentando a Villa Buririsiedeva nel fatto che ogni proposta di variazione, ogni aggiunta di un collegamento oun nodo da inserire nel database da cui ricavare il grafo, passava attraverso il mio ruolodi incaricato della gestione. Questa struttura di raccolta dati richiedeva troppo lavoro dimanutenzione, concentrato nelle mani di una sola persona. Inoltre, e in modo piùsignificativo, vanificava in parte l'aspetto di partecipazione presente nella fase diraccolta, perché i partecipanti, una volta consegnati i dati, tendevano ad abbandonarnela responsabilità. Avevo quindi intenzione di sfruttare questa seconda occasione – ilfestival – per sperimentare una tecnica diversa. Non ero interessato tanto a raccogliere idati relazionali e “anagrafici” di ogni realtà socia, come sembrava suggerire Andrea,

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

quanto a verificare che tipo di dimestichezza con lo strumento rappresentativo del grafofosse diffusa tra i membri delle organizzazioni. Questa verifica era necessaria per potersuccessivamente estendere la capacità partecipativa dello strumento in modo dapermettere ai partecipanti di disegnare direttamente in un grafo comune le proprieconnessioni e relazioni.

Nelle fasi di allestimento del festival (montaggio dei banchetti, scarico materiali,organizzazione iniziale, e così via) mi sono reso utile come volontario. Offrire aiuto mipermetteva di conoscere molte persone e di farmi conoscere in qualità di collaboratore.Inoltre indossavo la maglietta verde consegnata a tutti i volontari con il logo diNaturalmente Verona, che mi permetteva di essere facilmente identificato come partedel gruppo. Nelle fasi invece di pieno svolgimento del festival, quando ognuno stavadietro il proprio banchetto per incontrare persone e discutere delle iniziative dellapropria organizzazione o per vendere i propri prodotti, mi presentavo con un set distrumenti di ricerca (telecamera su cavalletto, registratore digitale, quaderno, matita elapis bicolore), chiedendo agli interlocutori di disegnare il grafo della propria rete.

Ad ogni incontro introducevo brevemente l'obiettivo della ricerca e chiedevo didisegnare sul quaderno la rete di connessioni sotto forma di grafo (quindi cerchi efrecce), indicando, a partire dalla propria organizzazione, le connessioni dicollaborazione con altre organizzazioni. Spiegavo che l'obiettivo dei disegni era disperimentare le modalità di creazione di questi grafi, e che quindi erano liberi diinterpretare la consegna come meglio credessero. Per semplificare, nonostante lerelazioni cambino nel tempo e sia molto importante tenere traccia dell'evoluzione dellereti, proponevo di disegnare soltanto le connessioni attive nel presente. In questo modoho raccolto i disegni di rete di sette organizzazioni e i video della costruzione di quattrodisegni. L'utilizzo del video mi serviva per registrare la costruzione progressiva deigrafi. Infatti posizionavo la telecamera fissata sul cavalletto molto alto, indirizzata versoil basso per inquadrare le mani delle persone che si muovevano facendo apparire ildisegno sul quaderno bianco. Ho scelto di rappresentare il risultato di queste ripreseattraverso una sequenza di fotogrammi chiave, per mettere in evidenza il progressivoemergere dei grafi, con la successione delle modifiche50 (tre di queste sequenze sonoriportate nelle figure 12, 22 e 28).

Ho iniziato la serie di “grafo-interviste” da Lorenza B. dell'associazione “EnergoClub onlus”, senza registrare. L'associazione, con sede a Treviso, promuove un progettoin particolare, chiamato “Sole in rete”, fondato sulla costruzione di una rete di “Gruppidi Acquisto Fotovoltaico” (GAF) e il conseguente acquisto collettivo di strumenti eservizi indispensabili alla conversione energetica, che comprendono, oltre agli impianti,anche i servizi di credito bancario e gli incentivi statali per le rinnovabili. L'associazionefornisce quindi assistenza e competenze di networking. Si tratta di un progetto moltocomplesso, che si estende a scala nazionale, coinvolgendo una rete di enti locali,

50 Questa tecnica è molto diffusa anche nell'analisi delle reti per rappresentare reti dinamiche (Farrugia e Quigley 2011).

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aziende produttrici e aziende locali (per l'installazione), banche e istituti di credito,cittadini, associazioni locali, e così via, e che spazia su un ampio ventaglio di soluzionienergetiche rinnovabili, dal fotovoltaico, alle pompe di calore.

Lorenza ha disegnato diversi schemi e grafi che descrivono diversi aspetti delprogetto “Sole in Rete” e di altre attività dell'associazione (ad esempio il progetto“Svolta Elettrica” che promuove la diffusione dei veicoli elettrici, con modalità simili alprecedente). Il primo disegno è generico, indica la collaborazione tra i soggetti“Associazione Energoclub onlus” e “Cooperativa Retenergie” nell'obiettivo generale dicreare una rete energetica “intelligente” fondata sul micro scambio di energia. Loschema o “struttura dati” relazionale utilizzato in questo grafo è del tipo “due soggetticollaborano ad uno o più progetti sulla base di un obiettivo comune”. Il secondo disegno(figura 9) mostra (a livello estremamente semplificato) il rapporto tra “Energoclub” e“Sole in rete” attraverso lo stesso schema relazionale bipartito51 usato da Andrea, cioèdiviso in organizzazioni e progetti. Nello stesso disegno si vede la distribuzioneindicativa dei GAF sulla mappa geografica dell'Italia, in continuità con l'Europa (adindicare che “Sole in rete” fa parte di una progettualità europea più ampia, comesottolineato a voce da Lorenza).

Nel terzo disegno (figura 10) la rete di soggetti (organizzazioni) che collabora per larealizzazione dei GAF è descritta con un livello di dettaglio superiore, che lascia spazioalla distinzione tra le varie tipologie di organizzazioni. Ne ricavo tre osservazioniprincipali. Innanzitutto lo schema, seppur dettagliato, rimane generico rispetto alle realiorganizzazioni coinvolte. Sono cioè indicati nel grafo i nomi comuni (associazionilocali, aziende produttrici, e così via), e non i nomi propri dei soggetti. Si tratta quindi diuna mappa concettuale che rappresenta la matrice relazionale generica (o templaterelazionale) del progetto, e che potrebbe essere dettagliata con i nomi specifici per ognisingolo gruppo di acquisto fotovoltaico reale. La seconda osservazione (riferibile inparte anche al disegno precedente) è che per la descrizione della rete del progettoLorenza ha impiegato la rappresentazione del grafo ego-centrato, esteso ai collaboratoridi primo livello. La terza osservazione è che il grafo disegnato presenta alcuni elementidi maggiore complessità rispetto ai nodi dello schema bipartito. Si vedono infatti deigruppi di nodi (ad esempio le «associazioni» locali sono raggruppate sotto l'etichetta«fondo etico», che indica la modalità di partecipazione di queste associazioni). Èpresente poi, come nel precedente disegno, l'utilizzo delle frecce per indicare unobiettivo (le associazioni «promuovono l'ambiente»); inoltre un nodo («materiali,garanzie, lavorazione») rappresenta un ambito di azione.

Il quarto disegno di Lorenza rappresenta la suddivisione dei servizi principali di cui ècostituito “Sole in rete”: il GAF e le «serate informative». In questo caso il grafo èutilizzato a fini di comunicazione dell'attività del progetto e non rappresenta alcuna

51 Nella teoria dei grafi l'aggettivo “bipartito” indica un grafo che può essere diviso in due insiemi di nodi indipendenti in modo tale che gli archi connettano soltanto nodi di un insieme con nodi dell'altro.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

organizzazione. Il quinto disegno rappresenta un diagramma di flusso della procedura diazione del progetto “Svolta elettrica”, che mostra i passaggi sequenziali e causaliattraverso cui si promuove il progetto. Qui, come in altri disegni, Lorenza ha fatto uso diicone rappresentative per indicare gli elementi dei diagrammi (auto elettrica, casa,fabbrica, e così via). Nel settimo52 disegno appare un nuovo elemento, cioè una frecciatra il progetto “Sole in rete” e il progetto “Svolta elettrica”, laddove il primo è indicatocome «contenitore [di] gruppi d'acquisto» che possono partecipare anche ad acquisticollettivi per il secondo progetto. Osservo quindi che, questa struttura relazionale a retemono-partita (in cui i nodi sono solo del tipo “progetto”), potrebbe essere trasformata instruttura bipartita se si introducessero i gruppi di acquisto come secondo insieme dinodi.

Nell'ultimo disegno (figura 11) Lorenza è entrata nel dettaglio della realtà localeveronese. Questa volta il grafo è disegnato secondo il modello del grafo a proprietà(property graph model), in cui ci sono tre tipi di elemento: i nodi e gli archi, come neiprecedenti, e poi gli attributi, assegnabili sia ai nodi che agli archi. Viene inoltreintrodotto un ulteriore tipo di nodo, che rappresenta le persone dello staff checollaborano all'interno del progetto (sono indicate ad esempio le due referenti per ilVeneto). Come attributo o etichetta degli archi è indicata una cifra in euro,corrispondente al loro compenso (previsto). Alle referenti sono uniti poi ulteriori ruoli(il nodo rappresenta il termine generico del ruolo, «collaboratori», «segnalatori»).Andrea Tronchin è rappresentato come collaboratore, a titolo esemplificativo e perspiegare nel dettaglio la connessione tra Energoclub onlus e Naturalmente Verona.

È interessante osservare una certa corrispondenza tra i disegni di Lorenza e ilmateriale informativo dell'associazione di cui fa parte, ad esempio l'uso sistematicodelle stesse icone. Dal banchetto ho preso due documenti, entrambi dall'aspettocontemporaneamente professionale e piacevole, molto colorati, stampati su cartariciclata. Il primo è il “Manifesto” per la “transizione dalle fossili alle rinnovabili”, unpiccolo libretto quadrato di una ventina di pagine che illustra tutto il progetto ditransizione verso la sostenibilità energetica a cura dell'associazione Energoclub. Il testoè suddiviso in tre sezioni: «premesse», «valori» e «azione». I valori sono numerati, novein totale, tre dei quali mi colpiscono in particolare. Il numero 2 dal titolo «Rispetto dellanatura nell'impiego delle risorse» presenta un'immagine della Terra come un torsolo dimela morsicato da due lati. In alto, sulla superficie rimanente, si vedono i simbolidell'economia improntata alla crescita economica: gru, palazzi, automobili. Il testoinizia con la frase: «La Terra è un sistema dalle risorse limitate». Mi colpisce questascelta terminologica dallo stile “scientifico” in un foglio illustrativo come questo. Ilprincipio numero 7 è intitolato «Dettiamo dal basso le regole del mercato» e costituisceuna chiara rappresentazione del modello di organizzazione socio-economica bottom-upsulla base di una «formula democratica e partecipata». Infine il principio numero 8

52 Qui e in seguito tralascio l'analisi di alcuni disegni che non offrono ulteriori osservazioni rispetto a quelli già descritti.

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Capitolo 3

chiama in causa il concetto di «reti intelligenti» e riporta una citazione dal libro Laterza rivoluzione industriale di Jeremy Rifkin (2011).

Il modello espresso nel libro di Rifkin, e richiamato in modo esplicito in più punti diquesto manifesto, è fondato sull'evoluzione del sistema economico capitalistico in unaforma chiamata «capitalismo distribuito», che permetta, ad esempio, ai semplicicittadini di produrre in modo sostenibile energia elettrica per il fabbisogno personale edi vendere l'eventuale eccedenza attraverso una «rete intelligente». Questo linguaggio èdecisamente diverso (in riferimento alla questione economica) da quello utilizzato daaltre organizzazioni presenti al festival. Un esempio emblematico è il “Circolo diVerona del Movimento per la Decrescita Felice”, che utilizza un vocabolario molto più“rurale” (auto-costruzione, case in terra battuta e paglia, orti sinergici, economia deldono, e così via) e dichiaratamente lontano dalla terminologia economicistica.

La distanza tra i due linguaggi è visibile in particolare nell'utilizzo del termine«crescita». La «green economy» richiamata nel valore numero 3 del manifesto diEnergoclub offre «opportunità di crescita, stabilità e prosperità futura». Mentre ilMovimento per la Decrescita Felice insiste sulla radicale necessità di abbandonare ilparadigma della crescita economica. D'altra parte, i due linguaggi sono molto più vicinidi quanto non sembri all'apparenza, come testimoniato dal principio numero 4 che mettein relazione «l'efficienza» con il «risparmio», dichiarando che il «risparmio energetico èuna delle principali risorse disponibili». Allo stesso tempo il Movimento per laDescrescita Felice non si limita a promuovere la riduzione della produzione e deiconsumi, ma si concentra su una concezione plurivalente della sostenibilità, non soloambientale ma anche sociale ed economica, ed è favorevole al progresso tecnologicoorientato all'efficienza produttiva. Ciò rappresenta un ampio terreno comune tra i duelinguaggi. È una nota di sicuro interesse osservare la coesistenza all'interno della rete diNaturalmente Verona di questi linguaggi diversi, ma in parte sovrapposti.

Il secondo documento che ho raccolto dal banchetto dell'associazione è nel classicoformato della brochure pieghevole, ed è interamente dedicato al progetto “Sole in rete”.Gli elementi presenti nella prima pagina sono: in alto logo, nome e motto del progetto;al centro uno slogan e un'immagine evocativa; in basso logo, nome e mottodell'associazione promotrice. Nelle pagine interne si trovano informazioni su contatti,perché e come aderire, come funziona il progetto. La penultima pagina consiste in unelenco delle serate informative e l'ultima pagina (il retro del pieghevole) mostra lecollaborazioni, cioè i dati relazionali relativi al progetto. Queste sono divise in: entipubblici (sezione con titolo «con il patrocinio di»); e «associazioni». In totale sonocoinvolte «61 associazioni»; di queste sono messe in evidenza (con logo, nome e mottorispettivi) quelle veronesi. Molti dei volantini, locandine, pieghevoli e altri documentipresenti sui banchetti delle associazioni e riguardanti specifici progetti e attivitàpresentano una struttura simile e riportano in fondo le partecipazioni (o più raramente intesta, con la dicitura “X, con la collaborazione di Y, presenta Z”). Questo significa che i

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

dati relazionali sono spesso resi pubblici dalle organizzazioni stesse, che li mettono inevidenza nei materiali informativi.

Per la seconda “grafo-intervista” ho coinvolto Marco R., membro del direttivo diNaturalmente Verona, e rappresentante dell'associazione “Neo Humanisti Relief”, il cuioperato principale consiste nel sostegno e adozione a distanza, soprattutto in India e nelsud-est asiatico. L'intervista, parzialmente videoregistrata, è durata un'ora, durante laquale Marco ha elaborato quattro disegni. Nel primo (figura 12), ha iniziato dal nododella propria associazione, e dopo aver descritto alcuni progetti (in modo generico,indicando la tipologia delle attività), ha disegnato il nodo di un'altra associazione,anch'essa presente al festival con un banchetto situato proprio di fronte al suo. Perspiegare la connessione tra le due associazioni, Marco ha introdotto un nodo a forma dinuvola, al quale entrambe le associazioni sono collegate. «[…V]isto che siamo qui, e sevuoi riprendere anche lì, proprio qui davanti c'è un banco, c'è “Baan Unrak”» – ha dettoindicando il banchetto dell'associazione “Gruppo Volontari Casa dei Bambini onlus”,rappresentata da Gabriella, del direttivo di Naturalmente Verona.

Dopo andrai da loro. Che cos'è Baan Unrak? Baan Unrak… è una didi53. Lui[indica un monaco yoga vestito d'arancione, che tra poco darà lezioni di yoga inuna sala dell'Arsenale] è dada e lei una didi. È una monaca yoga che… lavora inThailandia e ha una “casa dei bambini”, che ha centinaia di bambini. Quindigestisce un centro e per autofinanziarsi fa anche dell'handicraft, dell'artigianato.Loro [i volontari dell'associazione Casa dei Bambini] penso che vendano qualcosaper fare raccolta fondi. Quindi “Baan Unrak” è questo tipo di realtà con cui si puòdire che noi siamo collegati… in che modo? Mettiamoci un cloud [disegna unanuvola] perché questo non è un collegamento nel senso che noi collaboriamo conloro eccetera. Alla fine è la stessa NGO, è la stessa meta associazione se vogliamodefinirla in modo un po' intellettuale. Cioè è una stessa associazione che si chiama“Ananda Marga”. Questa ha un sistema di monaci dello yoga […]. Questa didi, sichiama Dewa Mala, poi sentirai la loro versione, è una monaca di Ananda Marga[…].

Il collegamento tra le due associazioni “dirimpettaie” passa quindi dall'affiliazione allastessa associazione “madre”. Proseguendo nel racconto, Marco ha disegnato unaseconda nuvola con l'etichetta “Proutist International”, spiegando che, se “AnandaMarga” è l'organizzazione che si occupa degli aspetti più socio-spirituali, “Proutist” èquella che si occupa degli aspetti più politico-economici, entrambe parte di una stessafilosofia. Per mostrare la connessione tra queste due nuvole ha introdotto un ulteriorenodo, che corrisponde alla figura fondatrice, Prabhat Ranjan Sarkar (1921 – 1990).Vicino al nome Marco ha disegnato l'icona della “pedina” dei giochi da tavola,tipicamente utilizzata per indicare le persone.

Per ognuna delle due organizzazioni “nuvola” Marco ha eseguito dei disegni piùdettagliati, sia specificando le attività principali, sia – su mia insistenza – raccontando leattività e le realtà presenti a livello locale. In questi grafi sono quindi presenti dei nodi

53 Più precisamente, mi ha spiegato Marco, il nome Baan Unrak si riferisce alla struttura di accoglienza per bambini e in thailandese significa “casa della felicità”.

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Capitolo 3

che rappresentano i territori locali, tra i quali “Verona”, da cui si dipartono icollegamenti con le organizzazioni locali coinvolte. Tra questi ha disegnato anche ilnodo di un'organizzazione ormai chiusa (l'asilo vegetariano “Giardino del Sole” diVerona), che cionondimeno costituisce un riferimento importante per Marco, in quanto«è stato il primo asilo vegetariano in Italia». Appare per la prima volta quindi ildesiderio di rendere visibili anche nodi non più attivi per recuperare il valore che essirappresentano per l'intero contesto. Questo valore in un certo senso continua ad esserepercepito nel presente.

Ho continuato ad insistere affinché Marco si concentrasse sulla rete localecoinvolgente la sua organizzazione e il rapporto con Naturalmente Verona. «Peresempio, voi siete connessi con naturalmente Verona, […] esploriamo un po' questaconnessione a livello locale?». Marco ha affrontato questa richiesta disegnando con unapproccio storico.

[…] inizialmente si chiamava “Naturalmente Insieme”. […] circa nel 1991-1992[…], storicamente, mi ricordo la prima edizione di Naturalmente Insieme in SanGiorgio, sul Lungadige, dove noi come Ananda Marga abbiamo partecipato perchéavevamo un'attività che adesso non è più aperta di vendita di tofu e cibo biologico,e allora avevamo lo stand. Naturamente Insieme è stata fatta a volte, a volte è statainterrotta, ma dopo è nata Naturalmente Verona […] e da qualche anno iopersonalmente mi sono interessato a parteciparvi, inizialmente solo come stand eattività di raccolta fondi per la onlus Neo Humanistic Relief. […] come solo socio,fa conto dal 2009 al 2011… Poi dal 2012, quest'anno, sono del direttivo. Vuol direche mi sono… che ho deciso di dedicare più del mio tempo per una realtà che ècollegata alla mia […].

Alcuni dei nodi disegnati in questo grafo da Marco sono accompagnati dalla datazione.In particolare mi colpisce l'idea di mettere una data sulle relazioni tra Neo HumanisticRelief e Naturalmente Verona, che diventano «socio 2009-2011» e «direttivo 2012». Unulteriore modo in cui appare l'importanza del tempo nella rappresentazione del grafo.Sempre riferito al tempo, ma in questo caso come tempo-risorsa, l'appunto finale in cuiMarco sottolinea che partecipare al direttivo della rete Naturalmente Verona significa«dedicare» del «tempo» personale ad una «realtà collegata» alla propria. Ri-emergel'argomento trattato spesso durante le riunioni della Commissione di Villa Buri, cioè cheper persone che fanno già parte di un'organizzazione (anche oltre al proprio lavoro,come nel caso di Marco), dedicarsi ad attività di rete può significare una richiestaulteriore di tempo ed energie di cui non è detto che abbiano disponibilità.

Marco ha continuato descrivendo il suo ruolo di informatico nel direttivo diNaturalmente Verona.

[…] e adesso, in questo momento nel direttivo sono anche la persona di riferimentodi Naturalmente Verona come informatica, per la comunicazione e il sito. […] Iosono l'amministratore del sito. […] Sito e anche, chiamiamo portale […] Il sito èun portale nel senso che non è un sito di poche paginette, è più un portale perché ècollegato anche ad altre realtà e poi ci sono varie, oltre al blog, altre cose […] È unbuon sistema, si può collaborare, tu puoi, anzi lo farò. Ti metto come editore del

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

sito, se vuoi pubblicare cose lo puoi fare, mi dai la tua mail, ti creo un account, tido il link e tu puoi entrare […]

Stimolato da alcune domande tecniche sul software utilizzato nella gestione del«portale» di Naturalmente Verona, ha colto l'occasione per offrirmi la possibilità didiventare un co-autore del blog interno al sito. Un'occasione che ho afferrato volentieri eche mi è tornata utile successivamente per pubblicare, oltre a documenti inerenti illavoro dell'associazione Naturalmente Verona in quando segretario del direttivo, ancheun articolo di presentazione della mia ricerca di dottorato.

Alla fine dell'intervista è stato Marco stesso a fare un'osservazione riflessiva sullavoro eseguito.

Quello che sento adesso come “critica” tra virgolette, autocritica mia, è che qui io tiho descritto per quasi un'ora tutta la nostra realtà, però non ci stiamo tantocollegando ad altri. Magari lo faccio mandandoti un'email e così con calma, amente un po' tranquilla nei prossimi giorni metto […] i vari altri collegamenti.Comunque Naturalmente Verona è collegata poi – tu lo sai – a tutto il resto,mettiamo il cloud qua, va molto di moda, eccetera. E noi, come siamo collegati nelterritorio, quello che manca te lo mando per email più articolato perché adesso unpo' mi sfugge…

I disegni eseguiti in effetti si concentrano molto sull'organizzazione interna dell'universorelazionale di riferimento per Neo Humanistic Relief e poco sulle collaborazioni conaltri soggetti, non affiliati alla filosofia di Sarkar. L'elevata complessitàdell'articolazione interna di quel movimento richiede molto tempo per essere spiegata.

La terza grafo-intervista è relativa all'associazione “Libera – coordinamentoterritoriale di Verona” e ha coinvolto Luca M., mio coetaneo, figlio di Antonio che hoconosciuto come rappresentante di Banca Etica a Villa Buri. Luca ha disegnato un unicografo, molto “pulito” (figura 13). L'associazione “Libera Verona” al centro con unattributo quantitativo indicante il numero di persone coinvolte «15-20». L'associazione ècircondata da una raggiera di frecce, la maggior parte delle quali puntano ad altreorganizzazioni del territorio con cui Libera collabora attivamente. Altri nodirappresentano dei progetti. È stato Luca a differenziare le due tipologie, e dopo unadiscussione sull'utilizzo dei colori, li ha cerchiati in rosso per aderire allo schema che gliracconto. Emergono due sequenze di connessione: «Libera Verona»→ «Banca Etica» →«Uso del denaro pulito», cioè prima la connessione con l'organizzazione e poi con ilprogetto; e «Libera Verona» → «Carovana anti-mafia» → «CGIL», cioè prima laconnessione al progetto e poi da questo all'organizzazione collaboratrice.

Tra le relazioni disegnate, si distingue per la maggiore vicinanza con il centro-egoquella con di Villa Buri. È probabile che la minore distanza tra i nodi sia indicativa diuna percezione da parte del disegnatore di un legame in qualche modo più stretto. Infattitutte le riunioni del coordinamento territoriale di Libera si svolgono presso Villa Buri.Non mi soffermo oltre su questa intervista dal momento che altri elementi presenti sonogià emersi nelle interviste precedenti. Approfondisco invece l'intervista successiva

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Capitolo 3

perché coinvolge un'organizzazione che avrà un ruolo centrale nella ricerca.Per la quarta intervista mi sono spostato al banchetto di “Mag Verona”. Dopo aver

spiegato il mio obiettivo, i membri del gruppo presenti hanno deciso che fosse StefaniaC. a partecipare alla grafo-intervista, disegnando la rete di un singolo progetto di cui èreferente, lo “sportello di microcredito Micro Mag” (figura 14). Anche Stefania, comeLuca per Libera, disegna una ego-network molto semplice (figura 15). In questo caso ècentrata su un progetto ed è circondata dalle organizzazioni che collaborano al progetto.Stefania ha elaborato una schematizzazione per tipologia dei soggetti collaboratori.

[…] per soddisfare al meglio i bisogni delle persone che generalmente sono esclusedal sistema bancario tradizionale (perciò sono sotto la soglia di […] e se si recanoin banca non ottengono credito) […] noi, siccome il nostro obiettivo non è erogareun prestito, ma risolvere un problema, abbiamo bisogno di attivare una rete diassociazioni. Che sono, in primis le banche. Perché il microcredito comportacomunque l'erogazione di crediti. Due banche convenzionate, che sono le BCC diMarano e di Verona, dove abbiamo depositato dei fondi di garanzia per erogare duetipi di prestito: il prestito d'emergenza di 1500 euro, o l'avvio d'impresa che arrivafino a 20000 euro. Però, per ottenere questo, abbiamo bisogno anche dellefondazioni, “Cariverona” e anche dello stesso “Comune di Verona” che ci ha datoun fondo.

La prima tipologia di nodi del grafo di Micro Mag è costituita dagli enti di erogazionedel credito. Banche, fondazioni, e anche il Comune di Verona. Queste sono tutteorganizzazioni locali o comunque presenti sul territorio.

“Banca Popolare di Verona”, inizialmente avevamo una convenzione perl'erogazione del credito, ma poiché la macchina burocratica della BPV è talmenteampia non riusciamo, nel senso che noi abbiamo bisogno con le banche con cuicollaboriamo di un faccia-a-faccia, dobbiamo interagire sia per dialogare, ma ancheper seguire i casi, perché il microcredito inizia dal momento in cui una personaviene al momento in cui estingue il suo credito, che possono essere 36 o 60 mesi,perciò il percorso è molto lungo e questo era un po' difficile con loro perché sonotante le filiali… e si è pensato di dare fondi solo per la formazione e ilmantenimento del progetto con loro.

Come si può notare, la presenza sul territorio è essenziale per alcuni tipi dicollaborazioni, che necessitano della relazione in-presenza («faccia-a-faccia»). Anchel'erogazione di credito necessita di questa tipologia di relazione, perché c'è la necessitàdi «seguire» gli assistiti da vicino, dall'inizio alla fine del percorso e in collaborazionecon l'ente erogatore. Interessante è anche il fatto che nell'esempio citato, un soggetto hamodificato il suo ruolo (la sua collaborazione al progetto) nel tempo.

Dopo collaboriamo, come associazioni e realtà del territorio, con le “ACLIVerona”, questo soprattutto quando vengono persone a cui mancano contributi perarrivare alla pensione […]. La “Ronda della carità”, è un'associazione che lavoraprevalentemente con […] le persone senza fissa dimora, dà assistenza, però […] c'èsempre un momento in cui alcune persone vogliono uscire da questo e allora noisosteniamo per, ad esempio, prendere in affitto una casa, pagare le cauzionid'affitto. Poi siamo con FEVOSS, un'altra associazione che collabora a livello di

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

territorio e che da assistenza a livello di… cibo proprio, alle persone che ne hannobisogno. Poi “Comitato San Vincenzo”, un'altra associazione a livello curiale, dellachiesa, a cui si rivolgono persone bisognose, e anche queste, se hanno la possibilitàdi restituire, gli viene offerto il microcredito.

La seconda tipologia di nodi è costituita dalle organizzazioni della comunità locale dellasocietà civile e dell'economia solidale. Le collaborazioni con questi soggetti permettonodi rendere il progetto più denso e più complesso, creando sinergie attraverso diversecompetenze.

Poi abbiamo altri enti finanziatori, come “Vita”, settimanale di Milano […], inquesto caso non per erogare credito ma per fornire formazione a chi vuole aprireattività, consulenza, dall'idea del progetto al perfezionamento del progetto, albusiness plan, allora si fanno dei corsi, loro ci danno i fondi e noi Mag realizziamoi corsi e le consulenze.

Un'ulteriore categoria è costituita da organizzazioni residenti al di fuori del territoriolocale (in questo caso viene fornito un solo esempio).

Di seguito Stefania ha nominato le organizzazioni e le reti di coordinamento, inquesto caso l'esempio è di una rete nazionale di cui Mag Verona è socio fondatore: «[…]siamo arrivati a “RITMI”, questa è la rete italiana della microfinanza, di cui siamo socifondatori, questa opera però a livello nazionale[…]». Infine, ma non per ordine diimportanza, Stefania ha introdotto un nodo che si riferisce alla struttura interna delprogetto.

Poi abbiamo, che non è da dimenticare, un gruppo di volontari, persone chededicano il loro tempo per le consulenze specializzate, ex dirigenti d'azienda, exnotai, che aiutano. Come dicevo il fine ultimo non è dare un prestito ma risolvereun problema. […] sono lo staff.

Si tratta del «gruppo di volontari» (molti dei quali provengono da organizzazionicollegate alla Mag) che forniscono le consulenze professionali, e che sono parteintegrante dello «staff» operativo del progetto.

La dimestichezza che Stefania ha mostrato con la rappresentazione del grafo per ilprogetto di cui è coordinatrice deriva dalla sua conoscenza dell'attività descritta, maanche da una precedente esperienza di rappresentazione in grafo dello stesso progetto,di cui è rimasta traccia nel sito internet di Mag Verona (figura 16). Il disegnorappresenta l'articolazione degli stakeholder del progetto ed è abbondantementesovrapponibile con il disegno realizzato nell'intervista.

La successiva intervista, video-registrata, con Silvia A. di “Banca Etica Verona”,evidenzia invece solamente la rete interna all'organizzazione (come era già successodurante il lavoro con Villa Buri attraverso i contributi di Antonio). Il soggetto posto alcentro della ego-network è chiaramente l'associazione nazionale. Da questa si dipartonouna serie di componenti territoriali (GIT – Gruppo di iniziativa territoriale, Promotore,Filiale), tra le quali viene evidenziata quella di Verona. Dal nodo locale si diramanodelle connessioni di collaborazione con altre organizzazioni del territorio, ma l'intervista

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Capitolo 3

è terminata senza che nel disegno apparisse alcun nome. Silvia mi ha consegnato delmateriale cartaceo dal quale avrei potuto ricavare molte informazioni sullecollaborazioni della sezione locale di Banca Etica. Come ho detto, in molti stands horaccolto materiale che contiene informazioni relazionali sui soggetti coinvolti nelleattività (si veda pag. 138), ma il “Bilancio Sociale” di Banca Etica meritaun'osservazione specifica.

Si tratta di un documento molto voluminoso e dettagliato (quasi 200 pagine informato A4), stampato su carta riciclata. Il target dello scritto è costituito daglistakeholder e dalla comunità allargata in cui l'organizzazione agisce. È quindi naturaleche soci, azionisti e in generale i collaboratori occupino un ruolo importante nel testo.Tuttavia emergono tre considerazioni.

Innanzitutto mi colpisce l'utilizzo del termine “rete”. Il capitolo del testo intitolato«la rete di Banca Etica» si riferisce alla rete interna del “Gruppo Banca Etica”, formatoda cinque organizzazioni: “Fondazione Culturale e Responsabilità Etica”, “Etica SGR”,“La Costigliola società agricola SRL – “Etica Servizi SRL”, “Innesco SPA”, “SEFEA –Società Europea di Finanza Etica e Alternativa”, oltre ovviamente a “Banca PopolareEtica”. Il paragrafo dal titolo «La rete di Banca Popolare Etica» (all'interno del capitolosull'«Identità aziendale») si riferisce alla struttura interna dell'organizzazione descrittagraficamente da Silvia (la sezione è corredata da una mappa geografica dell'Italia contutte le filiali e gli altri nodi della rete georeferenziati). La prevalente associazione deltermine “rete” con l'articolazione in qualche modo “interna” è coerente con l'approcciodi Silvia e Antonio. Questa scelta terminologica è probabilmente dettata dalla elevata«complessità relazionale» (Piccolo, Callegaro, e Peraro 2012: 30) dell'organizzazione ecertamente non da un disinteresse verso il contesto relazionale esterno, che invece ètenuto in grande considerazione ed è messo in evidenza nel bilancio.

La seconda osservazione riguarda appunto l'inserimento nel contesto relazionale. Nelcapitolo intitolato «Relazione sociale» viene impiegata la metafora del «bosco» perindicare «il rapporto fra Banca Etica e i suoi stakeholder».

Il rapporto fra Banca Etica e i suoi stakeholder è ben rappresentato dall'immaginedel bosco: la Banca appartiene al più ampio sistema rappresentato dagli attoridell'ecosistema economico, sociale e ambientale e trae le energie vitali percrescere e prosperare dai suoi stakeholder (soci, clienti, risorse umane,fornitori)54. (Piccolo, Callegaro, e Peraro 2012: 53)

L'immagine descritta nel testo (che contiene evidenti parallelismi con il linguaggio dellateoria dei sistemi) è corredata da un disegno (figura 17) che rappresenta il «GruppoBanca Etica» come un grande albero al centro, circondato da altri alberi (il dettaglio nonè elevato e gli alberi rappresentano categorie di organizzazioni). Da un lato gli alberi di«banche», «imprese» e «imprese sociali»; dall'altro quelli di «amministrazionipubbliche», «sindacati e politica», «associazioni», «università e scuola» e «chiese»55.

54 Corsivi e maiuscoletto nell'originale.55 La divisione rappresenta chiaramente una distinzione tra un lato maggiormente for profit e uno

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

Insieme formano il bosco della «società civile». Al di sotto della linea del terreno sitrovano le radici («soci, clienti, risorse umane, fornitori»). L'organizzazione-albero haquindi due reti: la rete delle radici, rappresentante la struttura interna; e la rete dei rami,che insieme costituiscono il «gruppo». L'organizzazione-albero è poi inserita in una reteesterna (il bosco), con gli altri alberi-organizzazioni della società civile più ampia.

Il riconoscimento da parte di Banca Etica di essere parte di un sistema più ampio,come quello della società civile, fa sì che essa cooperi con tutti gli altri attori pergarantire a tale sistema vitalità, dinamicità e capacità di rispondere alle sfide cheogni comunità umana si trova ad affrontare, nel rispetto dell'uomo e della natura.(Piccolo, Callegaro, e Peraro 2012: 53)

Banca Etica si riconosce come «parte di un sistema più ampio» costituito dalla «societàcivile»; ed è questo «riconoscimento», favorito dall'immagine del bosco, a permettere lacooperazione con gli altri soggetti del sistema. Alcuni esempi concreti di questecooperazioni si possono leggere nella sezione dedicata alla fondazione culturaleresponsabilità etica, dove nel paragrafo «Sensibilizzazione e lavoro in rete: dare forzaalla società civile» sono elencate le reti e campagne cui la fondazione partecipa(“Sbilanciamoci!”, “Zerozerocinque”, e così via).

La terza osservazione riguarda le collaborazioni di livello locale. Queste sonoelencate in lunghe tabelle nelle appendici del testo. Nella tabella «adesioni adassociazioni e fondazioni» trova spazio, ad esempio, la partecipazione di Banca Etica aVilla Buri. La sezione «attività delle aree territoriali» elenca tutte le attività divise percategoria56, raggruppate per area e ordinate per zona. Per ciascuna attività, sotto lacolonna «partner coinvolti» sono elencate le organizzazioni che hanno collaborato57.Successivamente, con la stessa struttura sono riportate le «attività nazionali», ma inquesto caso non sono elencate le organizzazioni collaboratrici. Ciò che mi interessamettere in rilievo attraverso questa breve analisi del materiale di Banca Etica è chel'organizzazione mantiene un database interno delle proprie collaborazioni di livellolocale, e lo rende pubblico attraverso i bilanci annuali. Trasformare queste tabelle in ungrafo sarebbe un esercizio triviale a livello informatico.

Ho proseguito le interviste con Antonella M., proprietaria e responsabile del negozio“La Natura di Satya”, anche lei parte del direttivo di Naturalmente Verona. Il suodisegno presenta una nuova categoria di relazione tra organizzazioni, probabilmentetipica delle attività commerciali: la «convenzione». In questo caso riporto anche partedelle mie battute, per restituire il senso e la dinamicità del dialogo che, pur essendopresente anche nella altre, è più veloce in questa intervista.

Antonella: […] adesso io devo fare un pensiero, io ho tutta una serie di

maggiormente nonprofit.56 Le categorie di attività distinte sono «convegni, tavole rotonde, seminari», «formazione»,

«eventi/manifestazioni», «pubblicazioni», «rapporti con università» e «partecipazione a campagne».57 Il caso della manifestazione Naturalmente Verona, ulteriormente categorizzata come «fiera del

biologico», presenta per l'elenco dei partner la dicitura «decine di associazioni» dato l'elevato numero di partecipanti e il poco spazio della tabella.

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Capitolo 3

convenzioni con altre associazioni. […] nel senso che chi ha la tessera diquell'associazione lì ha diritto ad un'agevolazione all'interno del mio negozio.

Miro: e viceversa?

A: no. Al momento no. E queste al momento sono, l'“associazione Amyco”, “IlMelograno”, la “Scuola Steineriana”, […] la “Corte dei Bambini” – l'asilo [pressoVilla Buri], […]

M: E c'è questo circuito per cui le tessere di questi valgono anche in altri negozi, adesempio il tuo?

A: esatto. Beh, per quanto riguarda l'associazione La Corte dei Bambinisicuramente si, altre no, è solo una questione tra me e loro. Poi io ho aderito anchead Arcipelago Scec, sono […] socia […] “fruitrice e accettatrice” come negozio.

Osservo che, mentre “Arcipelago Scec” viene descritto come un progetto a cui aderire,che Antonella ha disegnato come un nodo cui connettersi (come le altre collaborazionipresenti nel grafo), le altre convenzioni sono rappresentate come un elenco. Meritano inun certo senso una trattazione separata. Nel primo caso, l'organizzazione (il negozio diAntonella) è connessa al progetto Scec, attraverso cui è connessa a tutti gli altri soci(“accettatori”, cioè che accettano pagamenti in buoni scec, e “fruitori”, cioè chespendono i buoni scec) del progetto. Mentre nel secondo caso, l'organizzazione èconnessa tramite relazioni individuali con ognuno degli altri soggetti delle convenzioni.

Torna poi l'argomento della temporalità delle connessioni, questa volta esemplificatoin entrambe le direzioni, verso il passato e verso il futuro.

A: Poi cos'altro, io ah […], no questa è una cosa che non faccio più quindi […]

M: ah, d'accordo. Si, l'obiettivo è poi quello di avere uno strumento che rappresentaanche l'evoluzione storica di questi contatti, però adesso, in questo momento…

A: non è forse il caso. E… no, essendo socia anche dell'associazione Antroposoficadella scuola Steineriana, per i primi tre anni di apertura del mio negozio, a chiacquistava nel mio negozio – di loro – facevo il 5% di convenzione alle famiglie, disconto, e il 5% poi lo facevo come donazione libera alla scuola. Adesso questa cosanon la faccio più, comunque sono anche socia della Scuola Steineriana. Si, sonostata anche nell'organizzazione interna anni fa, adesso no, soltanto come genitori,non faccio più parte del gruppo attivista […] poi ecco sì, organizzo laboratori divario ordine e natura, di acquerelli… non so [se mettere] una connessione conl'associazione… Adesso è troppo prematuro. Perché è il primo esperimento chefacciamo insieme.

Noto con interesse che la modalità di rappresentazione del grafo delle connessioni“attive” ha spinto Antonella, non solo a disegnare le connessioni attive nel presente, maanche a disegnare soltanto le connessioni di cui riteneva di avere una certa sicurezza. É«troppo prematuro» inserire una connessione di collaborazione con un'altraorganizzazione prima di essere un po' più sicuri che quella collaborazione funzioni. Ciòfa pensare ad una “soglia di rappresentazione” che potrebbe funzionare in base alla

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

percezione di sicurezza, o di importanza (se una connessione è troppo poco rilevantenon viene disegnata), o seguendo altri meccanismi percettivi simili.

Ciò è confermato da un'affermazione successiva di Antonella.

M: Con altre associazioni, ad esempio che sono qui [al festival], hai dei contatti…dei progetti […]?

A: […] Arcipelago Scec, […] poi con…, no progetti effettivamente direi di no,perché alla Casa dei Bambini ogni tanto do [delle cose]; Mag: ricevo tutte le mailma non riesco ad andare a nessun evento…

Ci sono quindi attività che non superano la soglia di rappresentazione cui è legato ilconcetto di “relazione di collaborazione”. Nel primo caso (dare materiale alla scuoladell'infanzia) probabilmente il concetto più corretto per descrivere la relazione è quellogenerico di “donazione”. Il secondo caso (essere iscritti alla newsletter di Mag) siconfigura come una condivisione di informazione. Sono entrambe delle forme direlazione, e ci si può perfino aspettare che si configurino nel tempo come forme discambio – inteso secondo la teoria antropologica (Mauss 2002 [1924]) – e quindicomportare una qualche forma di reciprocità. Tuttavia, a partire dal discorso diAntonella, prendo nota del fatto che queste forme non vengono spontaneamentedescritte come relazioni di collaborazione in un grafo di collaborazione come quello chestiamo sperimentando, lasciando intendere un'indecisione provocata da un effetto soglia.

Ho chiesto poi ad Antonella cosa pensasse dell'idea di base della ricerca. Se ritenevache uno strumento per rendere visibile la rete di collaborazioni tra le diverseorganizzazioni potesse essere in qualche modo essere utile.

M: […] questi per me non sono i grafi definitivi, è per me una sperimentazione diun modo per raccogliere informazioni; l'obiettivo finale è quello poi che ognisoggetto rappresentato in questo grafo possa gestire la sua presenza, i suoi dati, inmodo che si possa […] attraverso internet […], che si possa visualizzarel'evoluzione storica della rete generale, e che si possa poi fare delle visualizzazioniparticolareggiate, per esempio se tu vuoi vedere la rete tua [la ego-network dellapropria organizzazione], che si veda magari al centro più libero il graficorappresentante le connessioni di primo livello e dopodiché come questi sono poiintegrati nell'universo diciamo di “bene comune” [propongo la vista realizzata perVilla Buri], […]. La domanda è: pensi che questo [grafo], ad esempio poterlovedere o navigare, o avere un mega-poster che sta nella sede dove si ritrovaun'associazione…, pensi che possa essere interessante?

Per rispondere, Antonella ha proposto come riflessione un esempio di “frammentazionedelle energie” e di spreco di risorse dovuti a scarsa collaborazione e insufficientecoordinamento.

A: Mah […] non ci avevo pensato, dovrei fare una riflessione con un po' dicalma… Mah, è interessante perché… comunque in tutto questo labirinto, magari avolte ci sono… un esempio che ti faccio, che mi viene in mente, i comitati peresempio “no all'inceneritore”, qui per Ca' del Bue, ne sono sorti 12 […]. Ad uncerto punto io mi chiesi, […] un giorno c'erano ben tre banchetti che raccoglievanofirme singolarmente […]. “Mi spiegate, nella mia ignoranza, perché siete in tre a

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Capitolo 3

lavorare su questa cosa […]?” […] e lui “Ma perché... Lui in realtà… poi lui sioccupa anche di… Non dedica a… In realtà poi noi invece abbiamo promosso…[…] Ma è da manicomio! È da manicomio! Io sarò anche ignorante, ma così è damanicomio. Cioè così si frammentano le forze […]. Purtroppo […] era partita congrande entusiasmo […], che non siamo una squadra. […] voglio dirti, … adessosarebbe lungo il discorso, però… Quindi, se questo [il grafo] potesse servire inqualche modo a riunire gli intenti di… veramente per il bene comune… ben venga!È che io vedo che di coscienza ce n'è ancora [… poca]. Per carità, magarivedendolo rappresentato a qualcuno gli si illumina un po' il cervello e dice “Però,guarda […]”.

Antonella concede una piccola speranza all'idea che la rappresentazione, il “vedererappresentate” le collaborazioni, possa produrre una “presa di coscienza” da parte dialcuni e favorire così il coordinamento delle attività, che a sua volta può «favorire gliintenti». È interessante il riferimento all'immagine del «labirinto» per descrivere latortuosa complessità delle attività e dei soggetti della società civile, che risultaincomprensibile, ma che cionondimeno produce la sensazione di uno spreco di risorse,(«si frammentano le forze») e di inutili divisioni interne. Antonella ammette di nonavere una conoscenza approfondita della situazione, tuttavia è innegabile che questavenga da lei recepita nei termini di uno scarso coordinamento, cui si riferisce conl'esclamazione «è da manicomio!». Anche se la qualità della registrazione non permetteuna trascrizione completa, si può notare l'utilizzo dell'immagine della «squadra», perindicare in modo contrastivo una situazione dove invece gli impulsi individuali sonoben coordinati.

M: cioè non c'è coordinamento, non c'è abbastanza coordinamento […] l'esempioche hai fatto tu della raccolta di firme è ovvio. Almeno la raccolta di firme! Cioèmagari ognuno può avere il suo comitato […], però almeno per il progettooperativo, tipo la raccolta di firme, è ovvio che…

A: almeno che possano comunicare tra di loro… Ma neanche, ma perché fare 12comitati diversi?! […] con magari delle bandiere politiche diverse. Io non lo so difatto cosa c'è dietro. […] Però vedi, se andiamo al di là del grafo, […] sono lecoscienze.

È chiaro che spesso ci sono delle motivazioni particolari ad impedire la collaborazionetra organizzazioni. Ad esempio l'appartenenza a gruppi politici diversi. Per questoAntonella osserva che la rappresentazione delle relazioni di collaborazione può aiutarese e quando contribuisca a produrre un effetto sulla «coscienza» delle persone. Ilprogetto si basa infatti proprio su questo assunto: che gli strumenti in grado di renderevisibili (o generalmente percepibili) determinati aspetti della realtà, influiscano propriosui modelli cognitivi e culturali.

Ho condotto l'ultima grafo-intervista all'aperto con Manuela F. e Paolo V., presidentee vice-presidente dell'associazione “WWF Verona” (figura 18). Manuela ha chiestoinnanzitutto se doveva usare i colori come indicatori della direzionalità dei legami: «nelsenso che il rosso e il blu sono in entrata e in uscita?», anche se poi non ha utilizzato

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

questa formattazione. La prima osservazione sul grafo del WWF è chiaramente l'elevatolivello di personalizzazione (figura 19).

Manuela: Noi siamo “Associazione WWF Verona” e siamo autonomi, nel sensoche noi esistiamo come associazione, quindi con un'attività locale i cui referentisiamo noi, sulle linee guida del “WWF Italia”. […] Ovviamente […] se noidobbiamo occuparci di un giardino pubblico o di due alberi che sono qua nelcomune è chiaro che io ho delle linee guida del WWF, ma non c'è nessuncoinvolgimento del WWF Italia. Quindi qui [indica l'area attorno al corpo delpanda] ci sono tutti i coinvolgimenti a livello locale per le attività locali. Qui invece [scrive sulla testa del panda] siamo al “WWF International”, la testapensante, che ha dei suoi progetti e delle sue linee guida sulle quali noi abbiamofirmato […] una convenzione univoca bilaterale, quini col “WWF Global” […],cioè possiamo essere solo del WWF. […]

Paolo: Magari qua ci puoi mettere anche l'ONU.

M: […] gli mandiamo dei dati […] perché l'impronta ecologica a livellointernazionale viene data all'ONU come lavoro, quindi noi e il Global FootprintNetwork [..] di Mathis Wackernagel, […] lavorano insieme a rilevare i dati in tuttoil mondo che vengono conferiti all'ONU. Quindi… ogni due anni c'è questapubblicazione, […] in cui i dati che vengono da tutto il mondo, i nostri chearrivano al WWF Italia, che arrivano al WWF International, confluiscono…

[…] arriviamo all'ONU, nel senso che noi siamo presenti in 40 paesi in tutto ilmondo e siamo sempre un unico e uguale WWF ovunque. Per cui io raccolgo ifondi per la tigre, io salvo il panda e nelle mie intenzioni e nei miei progetti ècompreso anche il fatto che io salverò il panda, e lo stesso il WWF internazionalenel momento in cui usa i fondi per salvare il panda, lo salva a nome di tutti noirigirando una parte dei fondi anche sui progetti che vengono fatte sulle aree locali,che vengono scelti su criterio rigorosamente scientifico […]

Gli scienziati di tutto il mondo […] hanno stabilito che ci sono 200 regionisalvando le quali viene salvata la biodiversità del pianeta, vale a dire la possibilitàdi vita sul pianeta. Ora quelle sono state chiamate eco-regioni, allora noi lavoriamosulla nostra eco-regione – agire localmente pensare globalmente – noi agiamo sullanostra eco-regione però siamo coinvolti in tutto il lavoro sul pianeta […] e il WWFinternazionale pensa anche a noi e ai nostri progetti, per cui noi i finanziamentilocali li utilizziamo per piantare alberi, per mettere a posto l'oasi, per fare ivolantini, però se c'è il progetto per salvare il Mar Mediterraneo ci pensa il WWFInternazionale, o salvare le Alpi o qui in Lessinia, il Baldo per esempio è uno deipunti che l'eco-regione alpina comprende come uno dei 200 da salvare […]. Quindii progetti loro rientrano anche nel nostro territorio nel momento in cui ci sono ifocus di interesse globale. Ecco, così funziona.

Manuela disegna un panda, simbolo del WWF, al cui cuore fa corrisponderel'associazione “WWF Verona”. L'immagine del panda serve per disporre ed allineare leconnessioni “verticali” di federazione, cioè quelle relative al capitale sociale di tipolinking (Hawkins e Maurer 2010: 1780) che attraverso livelli successivi arrivano finoall'“Organizzazione delle Nazioni Unite”. Sulla testa del panda si trova l'associazionenazionale (“WWF Italia”), e sopra, su di un altro piccolo panda stilizzato, il livello

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Capitolo 3

internazionale (“WWF International”), connesso ancora più in alto al nodo dell'ONU58.Manuela si è soffermata con un certo dettaglio ad analizzare il rapporto locale-globaledal punto di vista della federazione del WWF, spiegando che le azioni e progetti localivengono gestite in modo autonomo dall'associazione locale, mentre le azioni cheesulano dalla competenza dell'associazione locale sono affrontate con il contributo di odirettamente da i livelli gerarchicamente superiori.

Manuela ha iniziato poi a disegnare le collaborazioni dell'associazione a livellolocale, introducendo un nuovo elemento di formattazione grafica: la forma dei nodi.

Queste [associazioni] tonde sono rappresentate a livello nazionale, quindi peresempio un ricorso al TAR possiamo farlo solo con loro, perché devono essereassociazioni rappresentate a livello nazionale.

Le organizzazioni con rappresentanza anche nazionale (proprio come il WWF),identificate da un nodo circolare, hanno quindi la possibilità di intraprenderedirettamente alcune azioni legali che non sono accessibili per tutte le associazioni. Lerelazioni di collaborazione con queste associazioni avvengono tuttavia sempre al livellolocale.

Miro: […] però il contatto che voi avete è a livello locale?

Manuela: A livello locale, certo, perché il contatto è sempre locale, in tutti i casi.

Come emerso per Banca Etica, nonostante la complessità relazionale in cui questo tipodi associazioni multi-scala sono coinvolte, nelle relazioni esiste un determinato ordinedi tipo “gerarchico”59.

Un ulteriore elemento messo in evidenza da Manuela è la rappresentazione dellecollaborazioni sui manifesti delle attività organizzate.

[…] Per dire noi sul manifesto originale del traforo [“Comitato di cittadini contro iltraforo sulle Torricelle”], sul manifesto originale di Marezzane [“Marezzane non sitocca”]… c'erano i loghi delle associazioni, hai capito…

Come già osservato, i manifesti (il cui contenuto è solitamente distribuito in diversiformati, dal poster al volantino, a varie versioni digitali) sono quindi un importantefonte di informazioni relazionali sulle collaborazioni che avvengono tra diverseassociazioni sulla base delle attività pubblicizzate nei manifesti stessi, anche se non sipossono considerare una fonte accurata60. Sul manifesto del Festival di NaturalmenteVerona (stampato su carta riciclata), ad esempio, il WWF Verona compare tra «sponsore partner».

58 Inizialmente Manuela disegna il WWF International sulla testa del panda («la testa pensante»). Poi aggiunge i livelli intermedi “WWF Veneto” e “WWF Italia”, e il WWF International viene spostato sopra la testa su di un ulteriore nodo a forma di panda più piccolo.

59 Utilizzo il temine “gerarchico” in riferimento alla gerarchia come principio di ordine nella teoria dei sistemi complessi (Gandolfi 199: 37), quindi fuori da valenze politiche/sociali.

60 Non è infrequente infatti che nell'elaborazione dei manifesti, che solitamente vengono realizzati in fretta al termine di un'attività, ci si dimentichi un logo o un riferimento (si veda anche p. 226).

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

Soffermandosi sul racconto delle relazioni con le altre principali associazioniambientaliste (con rappresentanza nazionale) presenti sul territorio, Manuela ha messoin evidenza un ulteriore aspetto della rete di collaborazioni.

Diciamo che [con] “Legambiente” e “Italia Nostra”, maggiormente, abbiamo fattodelle osservazioni ai vari momenti di pianificazione, urbanistici… vale a dire sulpiano degli interventi, sul PAT, su… tutto, e anche alle volte […] sì, metti cheabbiamo fatto più osservazioni noi sul fiume, sul bosco, ma Italia Nostra le ha fattepiù sulla parte più urbanistica quindi le strade, e… però normalmente richiediamoanche il loro appoggio: io faccio le osservazioni sull'Adige e dico “le ho fatte, dateun occhio? E se vi vanno bene me le firmate” e in genere loro firmano.Legambiente dice “io ho fatto quelle sulla discarica, leggetemele [e firmatemele]”.Italia Nostra dice “ho fatto quelle sulla viabilità di Borgo Milano e imonumenti…”, […] e firmiamo. Ecco, è così. Ricorsi al TAR anche li facciamo…La LIPU a volte partecipa a volte no, perché ovviamente loro [per] la parteurbanistica sono un po' tagliati fuori, sono molto specifici, e quindi con loro è piùfacile interessarsi di situazioni riguardo a boschi, a fatti eminentemente di naturaselvatica.

Ha descritto descritti quattro soggetti principali, che collaborano sulla base di progettioperativi, condividendo le proprie competenze e creando sinergie. Si evidenzia inoltreuna maggiore collaborazione fra tre di questi soggetti, perché la sovrapposizione delleloro competenze è maggiore e sono quindi in grado di realizzare azioni insieme. Con ilquarto soggetto, la cui competenza è molto più specifica, il WWF collaboraoperativamente, ma le occasioni sono minori, proprio per la minore sovrapposizionedelle competenze. Questo schema riporta alle osservazioni di Don Giuseppe Mirandoladurante l'assemblea dei soci di Villa Buri, il quale indicava l'importanza di conoscere inuclei tematici su cui ogni organizzazione lavora per poter ricercare le collaborazionicon chi si occupa di argomenti simili (si veda pag. 125).

Le “grafo-interviste” descritte costituiscono la condensazione più strutturata del miolavoro di campo nei giorni del festival. A queste si aggiungono altre riprese video divarie attività (danze popolari, lezioni di yoga, cucina, e così via) e soprattutto tutte lediscussioni informali favorite dalla mia presenza come volontario. Ad esempio hopotuto discutere con alcuni dei partecipanti del fatto che la diversità tra le tipologie diorganizzazioni rappresentate nel festival di “Naturalmente Verona” venisse percepitanon solo come un punto di forza (come veniva presentata nei discorsi ufficialidell'organizzazione), ma anche come una criticità61. Questo argomento, strettamenteconnesso ai concetti di “collaborazione” e di “contaminazione”, ha trovato risonanza inmolte altre discussioni durante il fieldwork. Qui mi limito a citare l'efficacia, ai fini dientrare in relazione con le persone partecipanti al festival, di essermi reso disponibilegenericamente a “dare una mano”, assumendo il ruolo di volontario. Che si trattasse di

61 Un operatore del settore biologico, ad esempio, si dichiarava “sempre più convinto” che per la sua attività fosse più conveniente partecipare soltanto ai festival esclusivamente biologici, laddove a “Naturalmente Verona” convivono almeno altre tre categorie interne al settore alimentare, soltanto parzialmente sovrapposte: il commercio equo-solidale, i produttori locali, e il movimento vegetariano.

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Capitolo 3

scaricare un furgone, aprire un gazebo o fornire informazioni, queste attività mi hannopermesso di trascorrere del tempo insieme a tante persone, applicandomi con loro inpratiche comuni. Questo tempo ha permesso di maturare un maggior grado di intimitànecessario ad innescare un'apertura, uno scambio di pensiero ed opinioni, o unasemplice relazione verbale non strutturata. Su queste basi ho potuto intavolare diversevolte la discussione sulla cooperazione tra organizzazioni e chiedere il parere dei mieiinterlocutori nei confronti dell'idea di costruire insieme un grafo delle collaborazioni. Inalcuni casi gli interlocutori hanno dimostrato scarsa fiducia nelle capacità di un taleprogetto/strumento, come nel caso citato di Antonella (p. 147); tuttavia, nessuno hadichiarato che non sarebbe valsa la pena di tentare.

«Ognuno coltiva il suo orto»: un problema di partecipazione o di percezione?

A distanza di circa un mese dal Festival (il 26 ottobre 2012) i soci di NaturalmenteVerona sono stati convocati ad una nuova assemblea, per una valutazione sullamanifestazione conclusa, per raccogliere i commenti e le idee (anche a partire da unquestionario intitolato “Chiediamoci”, che il direttivo ha inviato nei giorni successivi alfestival) e riprendere insieme la progettazione futura. La riunione, sempre nello spirito“itinerante” della rete, si è svolta presso la sede della sezione di Verona degli scout“CNGEI – Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani”, situataall'interno di un antico forte austriaco (Forte San Mattia) sulla collina sovrastante lacittà.

L'assemblea è iniziata con la proiezione delle fotografie scattate durante il festival:un momento conviviale molto piacevole. Le immagini mostravano l'elevata presenza dipersone nonostante la pioggia di quei giorni. Inoltre si vedevano diverse “maglietteverdi” dei volontari e molti dei presenti (Felicita, Andrea, Gabriella, e altri) hannocommentato sulla bellezza di «sentire viva» la rete durante i giorni della manifestazione.In sala eravamo presenti in 12 (cinque rappresentanti del direttivo, 6 rappresentanti deisoci ed io, che sono entrato a far parte del direttivo soltanto dopo questa riunione).Finito il festival si è ritornati quindi ad avere una partecipazione minore duranteassemblee e riunioni. La valutazione della manifestazione ha coinvolto svariati aspetti(dalla logistica, al calendario delle attività, al resoconto economico, e così via), ma la«partecipazione» è decisamente il tema centrale dell'incontro. La discussione emersadurante quest'assemblea è emblematica dei contenuti e dei ragionamenti che concernonoil tema della partecipazione. È quindi un ottimo punto di riferimento da cui partire perstrutturare l'esposizione dei vari argomenti, esposizione che integro con riferimenti adaltri incontri e altri discorsi dove necessario.

Il processo di costruzione collettiva della manifestazione, attraverso assemblee eincontri, è stato giudicato positivamente, «molto più partecipato e collettivo rispetto alleprime edizioni». Queste considerazioni hanno spinto qualcuno a condividere «lasensazione di essere un sistema che evolve». È stata riconosciuta una partecipazione

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

attiva dei soci, ad esempio attraverso la proposta di laboratori, conferenze, incontri eworkshop che hanno permesso di presentare un'offerta molto ricca di attività. Inoltre,come appariva anche dall'analisi dei questionari, i soci hanno espresso un «giudiziomolto positivo […] riguardo l'accoglienza e la disponibilità degli organizzatori».

Nonostante queste valutazioni positive, era evidente per tutti i presenti che lapartecipazione si era concentrata nei giorni precedenti al festival e durante il festivalstesso, per poi calare notevolmente. Già dal numero dei questionari restituiti ciòrisultava evidente, dato che ne erano pervenuti soltanto cinque. I presenti hannocondiviso il sentimento della mancanza di «un fattore comune che unisca tutti durantetutto l'anno». “Naturalmente Verona” – dicevano – “è in larga misura percepita dai socie dai cittadini come coincidente con il festival, sono in pochi a sapere che questo èsoltanto uno dei progetti in corso. Non c'è la percezione di una rete presente tuttol'anno”. Inoltre, in molti percepiscono il festival come la manifestazionedell'associazione Naturalmente Verona, «cioè del direttivo di Naturalmente Verona – enon come la manifestazione “di tutti”», ovvero la “propria” manifestazione. Ciò èevidente, ad esempio, se si leggono le tante email di espositori ed ex espositori chescrivono alla casella di posta di Naturalmente Verona chiedendo di partecipare allamanifestazione, cui si riferiscono con: la «vostra manifestazione».

Emerge una marcata differenza tra il senso di appartenenza alla rete di NaturalmenteVerona da parte dei membri del direttivo e da parte di molti soci (con significativeeccezioni). Durante l'assemblea del 5 giugno 2013, un incontro molto partecipato perchéall'ordine del giorno c'era la discussione sulla possibilità o meno di organizzare ilfestival del 2013, Felicita ha ripreso l'argomento dell'appartenenza in un dialogo direttoai soci.

Un piccolo “rimprovero”, per avere un feedback. Ogni anno al termine dellamanifestazione mandiamo un questionario. Ne sono arrivati una decina su unasettantina. È indicativo, è triste. Perché la manifestazione non è fatta dalle cinque,sei persone… più i volontari che siamo riusciti ad aggregare con lo sconto sullaquota… abbiamo bisogno di più partecipazione. Naturalmente Verona quei duegiorni è una finestra, dove vengono fuori la maggior parte delle attivitàdell'economia solidale, della società civile, umana, ma… si lavora tutti i giorni.Allora io mi chiedo, perché non sentite vostra la manifestazione? Ci vuole poco acompilare il questionario… Poi la manovalanza si sa che è difficile perché ognunoha il suo stand, la sua bottega… però abbiamo famiglie tutti quanti, perché nonabbiamo il potere aggregativo, di dire anche ai clienti di comprare un prodottopiuttosto che un altro… perché non lo sentite vostro? Perché non ci credete? E io credo in Verona, c'è tantissimo “umano”, ecco la rete esiste, ma in quei duegiorni non riusciamo ad arrivarci tutti insieme... perché?! Senso di appartenenzaspicciolo: tu lo senti il senso di appartenenza a Naturalmente Verona?

Questo passaggio, tratto dal verbale dell'incontro (in cui ho cercato come sempre ditrascrivere il più possibile letteralmente gli interventi), cattura un momento in cuiFelicita ha espresso in modo profondo e toccante lo sconforto e anche l'irritazioneprovate dai membri del direttivo e da alcuni dei soci più vicini, nell'apprendere che

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Capitolo 3

nonostante tutti i loro sforzi e i tanti piccoli segnali positivi raccolti la manifestazione ela rete continuano a non venire percepite dagli altri membri della comunità comeun'attività comune, un bene comune che sia in grado di suscitare un «senso diappartenenza».

Si può intuire che entrano in gioco delle aspettative/desideri importanti da parte deimembri del direttivo. Ad esempio l'aspettativa e il desiderio di riuscire a creare un«potere aggregativo», che possa favorire il consumo critico di cittadini e cittadine,oppure lo stesso desiderio di una manifestazione/bene comune, organizzata attraversouna partecipazione diffusa degli espositori. Sono aspettative molto elevate, che sonosolo parzialmente condivise tra i membri della rete. Alcuni tra i soci aderiscono in largamisura a questo immaginario, e quindi partecipano con maggior consapevolezza econvinzione alle pratiche della rete. Spesso nelle riunioni del direttivo ci si riferisce aquesto gruppo centrale come a «i soci più sensibili». Altri partecipano meno, fino adarrivare a coloro che partecipano solamente nei giorni della manifestazione, aderendotramite i moduli di iscrizione, come per qualsiasi altra manifestazione/mercatino delsettore.

In altre parole, la comunità di pratiche di Naturalmente Verona ha una strutturapiuttosto fluida. Essa è definita da un nucleo centrale (il direttivo), che si occupa diorganizzare le attività, che si ritrova regolarmente per condividere informazioni ediscussioni. Attorno al centro si trova un gruppo molto ristretto di persone checondividono in una certa misura le conoscenze e pratiche centrali, e che restanoinformati partecipando agli incontri allargati o attraverso contatti più o meno frequenticon i membri del direttivo. Oltre questi praticanti «più sensibili» si trova la maggioranzadei soci, i quali sono meno coinvolti e partecipano discontinuamente alle pratiche dellacomunità. Al di là dei confini della comunità, si trovano tutti gli altri, tra cui vienespesso evidenziato il gruppo che Andrea chiama «gli inconsapevoli», intendendo coloroche non conoscono l'economia eco-equo solidale, e che se la conoscessero,probabilmente ne entrerebbero a far parte.

Da questa struttura deriva un particolare problema che è stato sollevato alla riunionedel 26 ottobre 2012 e in altre successive: la discontinuità delle presenze durante leassemblee. Ad ogni assemblea ci sono sempre «circa una decina di persone, ma quasimai sono le stesse della volta precedente (a parte lo staff), ciò rende più difficile creareuna continuità, costruire su ciò che si è già fatto e detto le volte precedenti». Nonostantela regolare condivisione dei verbali delle riunioni affinché tutti abbiano la possibilità direstare aggiornati, «per certi aspetti, ogni volta è necessario ricominciare da capo».L'unico gruppo che partecipa con sufficiente costanza da permettere l'organizzazionedelle attività, ad esempio da permettere l'assunzione di un compito, è (con qualche raraeccezione) il direttivo.

Anche la partecipazione dei volontari durante il festival è stata valutata conattenzione. Da un certo punto di vista è innegabile che ci sia stata una grandissima

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presenza di volontari, di importanza vitale per poter organizzare le attività diallestimento, smontaggio, parcheggio e il servizio cucina. Dall'altra, questa grandepartecipazione è emersa soltanto dopo aver attivato l'incentivo di restituzione di €50 altermine della manifestazione ai soci che avessero messo a disposizione dei volontari. Ingenerale questo è stato considerato in termini positivi, dopotutto si è trattato di un buonuso di un incentivo economico. Tuttavia, per mettere in risalto questo aspettoambivalente è stato coniato ironicamente il termine “spintaneità” (una «spintanea messaa disposizione di volontari»), che incrocia la spontaneità dei soci con la spinta deldirettivo. Oltre alla spinta, è stato necessario un discreto lavoro di coordinamento perorganizzare le presenze ed i turni dei volontari, coordinamento svolto questa volta daAlberto e da altri, e in ogni caso ancora una volta dal direttivo.

Le attività impegnano molto i membri del direttivo, che già dopo il festival del 2012si sono dichiarati esausti. L'assemblea del 5 giugno 2013 è stata indetta allo specificoscopo di valutare la disponibilità e la volontà di partecipazione da parte dei soci perl'organizzazione dell'edizione 2013, poiché il direttivo non se la sentiva di gestirenuovamente l'intera mole di lavoro. Dopo l'aggiornamento sullo stato dei vari progetti eattività, e una breve descrizione della rete, il dibattito si è aperto con una domandadiretta: «facciamo la festa quest'anno?», cui tutti i 40 presenti hanno rispostoaffermativamente e senza indugio. Il direttivo, attraverso l'intervento di Felicita citatoprecedentemente, ha impostato la questione sulla necessità di partecipazione nel segnodell'appartenenza, «abbiamo bisogno di più partecipazione». La prosecuzione deldibattito è stata molto interessante sotto vari punti di vista, a partire dai commentinegativi. Ad esempio l'intervento di Bernardo P., ex membro del direttivo e amico diFelicita, Andrea e di altri attuali membri del direttivo, che molto sinceramente hadichiarato «io sono uscito perché non lo sentivo [il senso di appartenenza], mi sembravache fosse solo una vetrina, senza ritorno».

Il successivo commento è di Antonio T., contadino della cooperativa agricola Ca'Magre (attiva da decenni nel settore biologico). Antonio ha fatto parte del direttivo diNaturalmente Verona e anche della precedente “Naturalmente Insieme” (si veda p. 100).Il suo punto di vista è quello di uno dei membri con maggiore esperienza nella comunitàdi Naturalmente Verona.

Io non voglio fare il cinico, ho vissuto Naturalmente Verona dall'inizio e da sempreci diciamo che serve partecipazione. Allora sono arrivato alla conclusione che sonopalle, non si riesce! È inutile! Allora, perché ognuno ha la sua realtà, ognuno siimpegna in modo esagerato sulla propria realtà, piace andare a NaturalmenteVerona perché è bello, trovarsi, è una vetrina. Allora Naturalmente Verona potràandare avanti solo finché ci sono Andrea, Gabri, Feli,… che si fanno un culo così!Allora se oggi troviamo cinque persone che si vogliono fare il culo si fa, altrimentino. E vi invito a non credere più nella partecipazione. Poi tutto il resto è bello, mase non c'è il gruppo centrale, quei quattro, cinque, non sono mai state di più lepersone. Dopo qualche anno si “bruciano”, e è sempre subentrato qualcun altro.Allora: oggi ci sono cinque persone? Se no, invece di fare la manifestazione si faBioloc, si fa Filiera Italia… Siamo anche sfortunati che abbiamo un comune che

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non ci aiuta… Se ci dessero dieci mila euro per la manifestazione, aiuterebbero[…].

Il commento di Antonio ha un tono realista. Invita a riflettere sul fatto che, per quanto ildirettivo continui da tempo ad immaginare una “manifestazione/bene comune”organizzata dagli stessi utenti, la realtà mostra invece la necessità della presenza di ungruppo operativo che si occupi dell'organizzazione. Antonio invita a prendere atto diquesta realtà e a procedere quindi in modo diverso: invece di cercare una partecipazioneche non c'è, cercare il ricambio del direttivo.

Il tema del «ricambio generazionale» è emerso in diversi incontri, ma fino all'ultimariunione del 18 maggio 2015 è rimasto irrisolto, senza che si sia riusciti a trovare alcunsostituto. L'edizione 2014 infatti non ha avuto luogo. Gli interventi forti di Felicita eAntonio hanno stimolato un dibattito molto partecipato che pone in evidenza, attraversouna discussione accesa, il rapporto tra membri “anziani” e newcomers62 della comunitàdi pratiche di Naturalmente Verona. Riporto il passaggio più significativo di questodialogo.

Sara: Legandomi a quello che diceva Antonio, io mi chiedo: non sono mai statacoinvolta nell'organizzazione, cosa vuol dire organizzare Naturalmente Verona?Giustamente Antonio dice che ci vogliono cinque persone che facciano dacapofila… cosa devono fare? Siccome ci si sta chiedendo la disponibilità, vorreicapire cosa fare…

Andrea: ma se ci sono dieci persone anziché cinque le cose da fare cambiano…

Manuela: ci sono i permessi presso gli uffici, telefonate, concordare… comune,acqua, elettricità, autorizzazioni base del comune, dalla vendita all'esposizione.Nulla è implicito. Possiamo un po' cavalcare il fatto che siamo conosciuti, ma nonci risparmia molta fatica. C'è da prendere appuntamenti, andare in piazza quandovengono a fare gli allacciamenti, prendere le chiavi, poi strutturare lamanifestazione da un punto di vista culturale, la cucina, il cuoco, chi monta,smonta…

[Partecipante]: Ognuno deve esprimere una disponibilità, poi ci possono ancheessere uno due che coordinano.

S: Secondo me possiamo fare prima un piano di lavoro…

M: …prima vuoi sapere tutto quello che hai di fronte e poi forse dai ladisponibilità?

S: Si.

M: Ma no, devi entrarci nella cosa…

Felicita: … se tu ci credi, le cose da fare ci sono per qualsiasi persona. Basta che tucreda che lo stai facendo per il bene comune di Naturalmente Verona. Ma tu seidisposta a farlo, a dare qualcosa del tuo personale per il bene comune di

62 Riprendo il termine inglese dagli scritti di Lave e Wenger (2006 [1991]) al fine di esplicitare il riferimento alla teoria delle comunità di pratiche.

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Naturalmente Verona? Scusa l'aggressività, ma è questa la questione a monte.

M: Si può fare anche una cosa rapida, puoi dire: ti metti nel gruppo cucina, c'èbisogno di un certo numero di persone cuochi, permessi da chiedere, trovare lestoviglie, chi ha voglia di interessarsi di questa cosa qui? Non puoi saperlo prima…

S: Io voglio sapere quanti tipi di mansione sono da fare…

A: Qualunque cosa dici c'è da fare!

M: Il problema intergalattico è che devi fare 40 telefonate e poi ancora: non c'è iltale, non risponde, non legge la mail, e passa il tempo. Anche con i soci, che non siiscrivono, che non pagano la quota…

[…]

[Un'altra partecipante]: io penso, sono una persona abbastanza pratica, stasera cisiamo trovati per vedere se si può fare l'organizzazione, io non posso dire chedisponibilità ho, se prima non so cosa c'è da fare. Voi dovreste dire ci sono tuttiquesti passaggi per arrivare alla meta. Io e la mia associazione potremmopartecipare, però dobbiamo sapere di cosa c'è bisogno.

Nel dialogo riportato il rapporto tra “veterani” e “nuove reclute” della comunità èimpersonato in particolare da un lato da Manuela F., presidente del WWF Verona ecome Antonio partecipante storica all'associazione fin dalla sua forma precedente di“Naturalmente Insieme”; e per la categoria dei newcomers da Sara B., dipendentedell'agenzia “Planet Viaggi Responsabili”, organizzazione di riferimento per il settoredel turismo responsabile. Sara da alcuni mesi era impegnata nel progetto ArcipelagoScec, per il quale è responsabile del “punto Scec” presso la sede di Planet Viaggi, doveè possibile ottenere informazioni e cambiare i propri Scec elettronici in cartacei.Frequentava gli incontri ed è concreta e propositiva. Occupandosi di uno dei progettiprincipali Sara non è affatto estranea alla comunità. Tuttavia era la prima volta che siinteressava al progetto della manifestazione.

Dal dialogo è possibile ricavare due approcci diversi all'organizzazione dell'attività.Sara, seguita da un'altra partecipante, chiede un piano di lavoro con il dettaglio deicompiti, in base al quale ognuno possa assumersi quelli che ritiene di poter svolgere.Manuela, seguita da Felicita e Andrea, insiste sulla priorità della disponibilità ad entrarein relazione con gli altri del gruppo; è attraverso la relazione che i compiti possonoemergere ed ognuno può assumersi quelli che è in grado di seguire. Anche se neldialogo i due approcci vengono presentati in modo contrastivo, è importante osservareche ci sono importanti sovrapposizioni. Innanzitutto entrambi i gruppi desideranopartecipare. In secondo luogo, bisogna considerare che anche i membri anziani dellacomunità utilizzano strumenti organizzativi simili al piano di lavoro, all'elenco dellepriorità o all'elenco delle mansioni che vengono nominati durante la discussione daimembri giovani. Ad esempio l'organizzazione dei volontari dell'edizione 2012, a cura diAlberto, si è appoggiata all'utilizzo di un foglio di calcolo dove sono stati raccolti i

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nomi, divisi per gruppi di lavoro, per orari e così via. Questo foglio di calcolo potrebbeessere affidato di anno in anno a chi si assume il compito di coordinare i volontari inmodo da agevolarne il lavoro. Il problema non è che il direttivo non voglia dotarsi di unpiano di lavoro generale e di ulteriori strumenti che agevolino la partecipazione deimembri nuovi o periferici alla manifestazione, è semplicemente che non lo ha mai fattonegli anni precedenti. Se un newcomer si proponesse di realizzare tali strumenti, imembri del direttivo ne sarebbero felici e non porrebbero particolari obiezioni. Il puntoè proprio questo, cioè che, come osservato da Antonio, in un modo o nell'altro sembranecessario ricoprire un ruolo di coordinamento, ma né il direttivo (uscente) né i nuovimembri hanno la volontà di ricoprirlo, i primi perché sono stufi, i secondi perché non cicredono abbastanza.

La retorica della praticità da parte dei newcomers e quella dell'appartenenza da partedei membri anziani rendono il dialogo molto denso, ciononostante intendo qui metterein evidenza una considerazione in particolare. La proposta di Sara ed altri nonrappresenta una vera alternativa perché, parafrasando i loro discorsi, è come sedicessero di essere disposti a partecipare solo se il direttivo continuasse il suo ruolo dicoordinamento, quando il commento lucido di Antonio aveva messo a nudo lamancanza di disponibilità del direttivo a continuare in quel ruolo. Allo stesso tempo ildirettivo non riesce a gestire operativamente la questione del suo ricambio63. Datoquesto stato di cose, l'unica opzione che resta percorribile è che qualcuno si facciaavanti e prenda in mano le redini del coordinamento, o perlomeno un'intera mansione ogruppo di lavoro (ad esempio l'organizzazione della cucina, della comunicazione, delleiscrizioni, e così via). Il direttivo infatti si è dichiarato esplicitamente favorevole aquesta evenienza, arrivando ad ipotizzare di attivare una sorta di “accettazioneautomatica” di qualunque candidatura.

In breve, la riunione è proseguita senza che nessuno si sia proposto per ilcoordinamento. Ciononostante è emersa un'ulteriore possibilità offerta dall'aggregazionedel festival di Naturalmente Verona all'“Vrban eco-festival” organizzatodall'associazione Retrobottega. Non è necessario entrare nei dettagli della vicenda. Èsufficiente mettere in evidenza il fatto che questa opzione è stata accettata dopo unavotazione democratica dell'assemblea, l'unica votazione cui ho assistito durante tutto ilperiodo del fieldwork (solitamente si procede attraverso il metodo più simile al metododel consenso). Il risultato è di 22 voti per l'opzione di collaborazione con Vrban contro 3voti per entrambe le altre opzioni (organizzare la manifestazione da soli, o farleentrambe). La motivazione di questa scelta, resa molto esplicita durante il dibattito, è laconvinzione che si potesse aggirare completamente il problema organizzativo, dalmomento che sarebbero stati i membri di Retrobottega a gestire l'organizzazione del

63 Come esempio emblematico si veda il caso del ruolo di segretaria ricoperto da Felicita: nel momento in cui, largamente oltre il termine del suo periodo lavorativo retribuito, ha dichiarato di non essere piùin grado di seguire la segreteria di Naturalmente Verona, il direttivo non si è preoccupato di sostituirla. Né alcun membro del direttivo si è assunto il compito di gestire la casella di posta elettronica (e le altre attività), se non per alcuni limitati momenti.

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festival, riservando al direttivo di Naturalmente Verona il compito di valutare gli estremidella partecipazione (coerenza etica, accettabilità dei prezzi, e così via).

Questa idea si è rivelata poi profondamente errata. Infatti il festival è statoorganizzato in collaborazione tra le due organizzazioni, ed ognuna di esse ha avuto ingestione una parte di sua competenza. Retrobottega ha richiesto esplicitamente di«trattare con un interlocutore unico», cioè, in definitiva, con il coordinamento della retedi Naturalmente Verona. L'organizzazione del festival, complice anche l'esito giudicatonegativo del rapporto di collaborazione con i partner di Retrobottega, ha esaurito anchele ultime energie dei membri del direttivo di Naturalmente Verona, tanto che nel 2014sono cessati completamente anche gli incontri interni del direttivo stesso, nonostante leripetute “spinte” di Andrea. In pratica attualmente (novembre 2015) NaturalmenteVerona è attiva soltanto attraverso alcuni progetti (Biosol, Arcipelago Scec eRetebuonvivere), che sono completamente autonomi, ed è in attesa del prossimomomento di rinascita.

Oltre alla riflessione sulla struttura della comunità di pratiche in base al senso diappartenenza e alla partecipazione (correlati all'età e al turnover) è rintracciabile nei variincontri una riflessione sulla diversità di settori e di pratiche tra i vari soggetti checostituiscono la rete. Se ne è discusso, ad esempio, durante l'assemblea successiva alfestival del 2012. In quell'occasione ho fatto notare che qualcuno durante il festivalaveva affermato di percepire l'elevata diversità come elemento di criticità, cioè comemancanza di omogeneità che potrebbe contribuire a rendere più difficile l'emergere diun sentimento di appartenenza alla rete. In particolare, alcuni pensano al festival comead una “fiera del biologico”64 e si sorprendono quando trovano, ad esempio, esponentidel commercio solidale o produttori locali non strettamente biologici, per non parlare diorganizzazioni che non appartengono nemmeno al settore alimentare. Qualcun altro hafatto notare che anche la presenza del patrocinio del Comune di Verona è stato vissutocome incoerente da parte di alcuni soci dal momento che l'attuale amministrazionecomunale altre volte si è posta in aperta opposizione con la manifestazione, e ingenerale non ha mai favorito la rete e lo spirito che la anima65.

Queste osservazioni hanno dato avvio ad una discussione sull'«orizzonte comune» (avolte chiamato «tappeto comune»), cioè l'insieme dei valori e delle pratiche che sonoabbastanza condivisi da tutte le organizzazioni della rete, con i quali le organizzazionisono “compatibili”. Questo concetto potrebbe essere chiamato, riprendendo le metaforematematiche utilizzate da Marco Deriu, un «comune divisore» (Deriu 2013: 61-62).Questo orizzonte era considerato da tutti i partecipanti all'assemblea come

64 La categorizzazione del “Festival dell'economia Eco-Equo Solidale” come “fiera del biologico” è emersa altre volte, ad esempio nel Bilancio Sociale di Banca Etica (si veda pag. 145). Nell'ultima riunione di Naturalmente Verona cui ho partecipato (18 maggio 2015) questa misinterpretazione dellacategorizzazione del festival è emersa come tema di discussione esplicito.

65 Il discorso sui patrocini è stato ripreso in altre riunioni durante l'anno. La soluzione finale è stata quella di invertire il procedimento: invece di chiedere il patrocinio, Naturalmente Verona ha istituito il premio “Comuni del Buon Vivere”, un riconoscimento ufficiale per le amministrazioni virtuose nel settore sociale e ambientale, e ha chiesto il patrocinio per la manifestazione ai comuni candidati.

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sufficientemente coeso e condiviso. Dopotutto, come osservato da molti, ci sono iproduttori biologici, quelli equo-solidali e quelli locali (di cui alcuni sono anchebiologici), ma in ogni caso «non ci sono le fabbriche di armi». Allo stesso modo, vienespesso utilizzata dal direttivo l'immagine del percorso/cammino, secondo la quale nonha senso pretendere che ogni soggetto si converta istantaneamente a tutti ivalori/pratiche dell'economia eco-equo solidale, e che sia auspicabile invece un «tendereverso». Un negozio che venda oggettistica, ad esempio, può quindi partecipare alla reteperché si sta convertendo alla vendita di materiali naturali, attraverso canali solidali,dell'artigianato locale, e così via. Ognuno di questi mutamenti è visto come “un passoverso” un'economia diversa, anche se il portfolio del negozio continua a contenereprodotti di tipo più capitalistico.

Emerge quindi nuovamente una diversità di approcci, dove alcuni membri,probabilmente più centrali (tra cui molti di quelli coinvolti nel coordinamento) adottanouna visione più tollerante, centrata in un certo senso su un comune divisore “variabile”,mentre altri membri della comunità, probabilmente più periferici, tendono a pensare neitermini più intransigenti di un “massimo comune divisore”, come descritto da Deriu(2013: 62). Per questo secondo approccio è importante proiettare un'immagine il piùuniforme possibile, come ad esempio quella di “fiera del biologico”, con le dovutecertificazioni. Solo che la società civile e l'economia solidale, come osserva Deriu,presentano una varietà di temi, ognuno dei quali «ha qualcosa in comune con qualcunodegli altri, ma non con tutti», creando «una costellazione di idee senza un centrocomune» (2013: 62).

Per il primo approccio è importante che ci siano connessioni possibili tra le varierealtà, ma non serve obbligare gli aderenti ad uniformarsi ad uno o più valori/praticheper rimanere nella rete. L'opinione dei membri del direttivo, a volte più esplicita, a voltemeno, è che sia importante mantenere un equilibrio tra il livello di uniformità dipratiche e valori tra i membri della rete, sufficientemente coerenti da permettere ilriconoscimento all'interno di uno stesso movimento, e il livello di diversità e varietàdelle pratiche, in modo da permettere lo scambio fecondo e l'emergere di sinergie. Ingenerale, durante la riunione è stato espresso un giudizio positivo sulla diversità ed èstata «rilevata l'importanza di pensare a modi diversi per creare e rafforzare le sinergiafra i vari soci e fra questi e tutta la Rete, per far si che le diverse realtà non rimanganosempre e soltanto “nel proprio giardino”».

Come esempio di «sinergia» Alberto ha proposto un'idea in riferimento al tema dellacomunicazione/pubblicità pre-festival. Dato il consenso sull'importanza dell'articolouscito sul quotidiano locale L'Arena e la necessità di un maggiore coinvolgimento degliorgani di informazione locale, la discussione si è soffermata sulla comunicazioneattraverso la rete. Non è molto apprezzata l'idea di utilizzare i mezzi di comunicazioneinvasivi della pubblicità “tradizionale”, come i cartelloni di cui la città è spessotappezzata. «La migliore pubblicità è il contatto con le altre associazioni, è la Rete».

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Alberto ha proposto di provare (anzi di ri-provare) a costruire una partnership con altreiniziative, ad esempio con la manifestazione “Tocatì – Festival internazionale dei giochidi strada” che si tiene di solito la settimana precedente al festival di NaturalmenteVerona. L'idea è di diffondere i volantini di Naturalmente Verona attraverso i banchettidel Tocatì e di offrire ad alcuni gruppi del Tocatì la possibilità di riproporre i giochiall'Arsenale durante il festival di Naturalmente Verona. È stato osservato che questo tipodi pubblicità tramite partnership è più economico, «meno invasivo», permette di creareinsieme alla comunicazione anche dei «legami», di trascorrere del tempo insieme, einoltre permette di rinforzare l'orizzonte comune «eco-equo solidale» (la cucinabiologica, la convivialità, la socialità, il gioco sono tutti valori/interessi comuni tra ledue organizzazioni e vicini tra loro). Inoltre è stato osservato che «ciò potrebbe generareuna sorta di continuità anche per il pubblico […] e per chi è interessato ad uno stile divita più sostenibile, ecologicamente e socialmente». Anziché una serie di proposteindipendenti ed isolate, si potrebbe ottenere una sorta di ciclo di iniziative connessel'una all'altra.

Nonostante l'idea di poter fare a meno del coordinamento per l'organizzazione dellamanifestazione abbia rivelato la sua mancanza di senso di realtà, e nonostante l'esitoconsiderato negativo della collaborazione con Vrban (le cui pratiche sono stateconsiderate troppo distanti dall'orizzonte comune di Naturalmente Verona), il principioseguito in quell'occasione, cioè di unire le forze con altre attività ed altre organizzazioniper sopperire ai problemi di partecipazione e creare sinergie, è senz'altro una stradapromettente. Il termine “sinergia” viene utilizzato per definire una collaborazione il cuirisultato non è ottenibile singolarmente, proprio come nell'esempio proposto daAlberto66. Affinché ciò avvenga è necessario però che le organizzazioni siano disposte aguardare al di là dei propri confini, “al di fuori del proprio giardino”, e a mantenere uncerto livello di tolleranza per la diversità dei potenziali partner.

La “metafora del giardino”, più spesso usata nella forma della “metafora dell'orto”(«ognuno coltiva il suo orticello»), è molto diffusa nella comunità di pratiche delleorganizzazioni della società civile, di certo la metafora più utilizzata tra quelle che horaccolto, e necessita di un'attenzione particolare. Per supportare la mia analisi propongoun ulteriore esempio. Questa volta è stato Paolo ad utilizzare la metafora, durante lariunione della Commissione Progetti di Villa Buri del 8 ottobre 2012 (si tratta del primoutilizzo che ho registrato nel diario di campo).

Nel “cantiere” [Cantiere di Mondi Nuovi] ogni associazione attraverso il suoprogetto fa crescere anche le altre, per fare sinergie. Il tuo progetto aiuta me asottolineare cosa manca a me, che non è il mio specifico. Ciò ci aiuta ad avere

66 L'accezione emica coincide dunque con quella etica. “Sinergia” è infatti un termine tecnico della scienza dei sistemi complessi, all'interno della quale ha un significato vicino a quello di “emergenza”,ma con un accento positivo (Fath e Patten 1998). Il termine è inoltre utilizzato in molte altre discipline, con una certa uniformità: «[c]ome minimo, il termine “sinergia” potrebbe essere utilizzato come lingua franca pan-disciplinare per [indicare] gli effetti funzionali prodotti da fenomeni cooperativi di vario genere» (Corning 1998).

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un'azione politica completa. Noi ad esempio siamo Agesci, e spesso lavoriamosulla formazione del carattere, ma se noi rimaniamo “chiusi” nel nostro gruppo enon ci apriamo alla cittadinanza, non riusciamo veramente a fare formazione allacittadinanza attiva. Ci servono queste occasioni. Per questo ci interessal'appartenenza a una realtà come questa [la rete di Villa Buri onlus]. Se rimaniamotutti “nel proprio orticello”, non si riesce ad avere una attività politica completa.

Il risultato della sinergia, in ultima analisi, è l'«azione politica completa», cioè laproposta di un intero modello socio-economico-culturale alternativo, che non èappannaggio di nessuna organizzazione presa singolarmente. Ciascuna organizzazioneinfatti si occupa di una specifica parte di tale sistema, affronta degli specifici problemidella realtà.

La percezione di moltissimi membri delle organizzazioni che ho incontrato sulcampo è che le organizzazioni siano però troppo concentrate sulla propria attivitàinterna. È per esprimere questa idea che viene utilizzata la metafora dell'orto, o delgiardino. Questa coglie da un lato l'aspetto ri-generativo del lavoro di ogni gruppo,paragonato alla coltivazione di un orto o alla cura di un giardino, e dall'altrol'attaccamento alla propria organizzazione e ai “frutti” del proprio lavoro, che puòsfociare nell'identificazione con esso. «[O]gnuno si impegna in modo esagerato sullapropria realtà», aveva detto Antonio. «Le associazioni spesso sono gelose di quello chefanno», diceva Paolo (p. 108).

La metafora dell'orto è utilizzata per mettere in luce la stessa ambivalenza anche daDeriu nella sua analisi sul mondo delle «economie diverse» (derivante da ricerche-azione effettuate anche nel territorio di Verona).

Credo che dovremmo essere onesti e riconoscere che anche in questo mondocosiddetto alternativo, spesso ognuno coltiva i propri temi, le proprie sensibilità,potremmo dire le proprie passioni e ossessioni, ma mostrandosi freddo eindifferente verso esperienze appena appena diverse dalla propria o che mettono afuoco altri problemi. In questo modo ciascuno valorizza il “suo” ma si tienelontano e in qualche modo si difende dal resto. Questo significa non solo rinunciarea una visione più di insieme ma anche a riconoscere le connessioni spessodeterminanti tra un problema e un altro. (Deriu 2013: 56)

Ognuno «coltiva» «il “suo”», «mostrandosi indifferente» verso «il resto». Per Deriu «ilrinchiudersi ognuno nel proprio orto» provoca «almeno tre grossi problemi»: «ladifficoltà di rimandare un'immagine comprensibile per la maggioranza dellapopolazione»; «l'incapacità di cogliere le connessioni e quindi di comprendere anche ledimensioni di interazione, di conflitto o di sinergia tra un fenomeno e l'altro»; e «unoscarso impatto culturale e politico» (Deriu 2013: 57).

Il risultato è una comunità apparentemente «frammentata» (si veda il commento diAntonella a p. 148), continuando la metafora una comunità formata da tante piccole“corti chiuse”, bei giardini e orti rigogliosi, chiusi all'interno delle proprie mura. Ciòcorrisponde esattamente alla percezione indigena, racchiusa in un'auto-narrazionecircolante tra i membri di varie comunità della società civile e inscritta nella diffusa

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

metafora degli orti divisi. Durante il periodo del fieldwork ho raccolto decine diriferimenti a questa narrazione, da parte di persone appartenenti a diverse comunità.Come afferma Deriu, questa frammentazione non è soltanto «politica», ma anche«simbolica» (Deriu 2013: 61), e «mentale» (2013: 57), perché le divisioni sono prima ditutto immaginate.

Ritengo che ci sia una certa distanza tra l'auto-narrazione simbolica e la praticacollaborativa delle organizzazioni. Come per Villa Buri, anche i membri diNaturalmente Verona sono coinvolte in molte collaborazioni, e di questo sonoconsapevoli. Entrambi i gruppi inoltre ricercano attivamente le sinergie, e riconoscono ilcontributo dell'“alterità” (si pensi alle riflessioni sulla “contaminazione” dellaCommissione Progetti e del “tendere verso” del direttivo di Naturalmente Verona).Queste persone sembrano impegnate nel compiere lo «spostamento simbolico» di cuiparla Deriu, passando dalla logica dei divisori comuni a quella dei «multipli comuni».

In queste condizioni, per fare un salto di livello occorre uno spostamentosimbolico: non dobbiamo più pensare la costellazione dell'economia alternativa esolidale in termini di sommatorie, ma di moltiplicazione e di sintesi d'insieme.Ancora in termini matematici questo può essere espresso nell'immagine delminimo comune multiplo (mcm). […] Tradotto in termini politici possiamointenderlo come un programma che trascende e al tempo stesso ricomprendeciascun singolo soggetto. Passare dalla logica del massimo comune divisore aquella del minimo comune multiplo significa non limitarsi a ricercare nell'altro ciòche conosciamo già ma piuttosto ciò che ci manca e che potrebbe – grazie a questoaltro – divenire più familiare anche a noi stessi. Significa entrare nella logica di uninsieme più vasto in cui ciascuna realtà viene inclusa e allo stesso tempo superatada una visione più grande che comprende tutti e allo stesso tempo amplia le identitàdi ciascuno. (Deriu 2013: 63)

Il pensiero indicato da Deriu e condiviso da altri studiosi67 è riscontrabile nelleprogettualità di rete dei due gruppi. Nel “cantiere di mondi nuovi” di Villa Buri e nella“rete di economia solidale” di Naturalmente Verona, gli organizzatori cercano proprio di«trascende[re]» e al contempo «ricomprende[re]» le soggettività coinvolte; dipromuovere una «visione più grande» che possa «comprende[re] tutti» e «amplia[re] leidentità di ciascuno».

Il fatto che queste stesse persone poi percepiscano la rete emergente comeframmentata, potrebbe dipendere più dalle loro elevate aspettative che da una mancanzadi riconoscimento delle collaborazioni esistenti o da un reale giudizio sul livello diinterconnessione. Tuttavia, oltre ad una distanza rispetto alle aspettative di coesionedella rete, potrebbe giocare un ruolo importante anche un'idea di rete profondamentecaratterizzata dall'elemento dell'unicità e dall'auto-referenzialità.

67 Ad esempio Davide Biolghini. Alla “3a Conferenza internazionale su decrescita, sostenibilità ecologica e giustizia sociale – Venezia 2012”, durante l'ultimo panel ho potuto chiedere ai relatori, tutti esponenti di reti italiane di società civile, se ci fosse qualcosa in particolare di cui loro, essendo impegnati in modo pratico ed operativo nel “fare rete”, sentissero il bisogno (oltre a maggiori risorse). Ha risposto Biolghini affermando che serve una «cultura di rete» che permetta di «capire chesomme sistemiche sono diverse da somme aritmetiche».

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Capitolo 3

Nelle discussioni del direttivo di Naturalmente Verona, ad esempio, si può cogliere latendenza a riferirsi alla rete intendendo la rete di Naturalmente Verona, non la reteemergente da tutte le interazioni locali delle diverse organizzazioni. Proprio come nellinguaggio di Banca Etica il termine rete si riferisce spesso alla “propria” rete (si veda p.144). Lo stesso atteggiamento è osservabile per la rete di Villa Buri e, come mostrerònel prossimo capitolo, anche per la rete di Mag Verona. Questo modo auto-referenzialedi guardare alla “rete” si riflette sulle pratiche. In diversi casi ho osservato unatteggiamento per cui i membri delle organizzazioni-rete si aspettano dei comportamentida parte dei soci, che loro stessi non mettono in pratica nei confronti dei soci, poiché siidentificano con “la rete”. Ad esempio quando durante le riunioni di Villa Buri vieneauspicato che i soci condividano tramite social network, mailing list e altri canali leiniziative di Villa Buri e spesso ci si stupisce perché ciò non viene fatto, nessunoosserva riflessivamente che l'associazione Villa Buri non condivide sistematicamente leiniziative dei suoi soci attraverso i propri canali mediatici. Situazioni simili sipresentano per le altre reti con cui ho collaborato.

Certamente ci sono importanti eccezioni alla visione auto-referenziale, e il grafo diAndrea rappresenta l'eccezione principale osservata nel mio fieldwork (si noti che inaltre circostanze anche Andrea ha adottato una visione della rete centrata suNaturalmente Verona), seguito dal progetto del “Portale del Terzo Settore” che illustronel prossimo capitolo. Tuttavia, l'interpretazione generalizzata – espressa ad esempio daFabrizio Pigozzi, segretario di Villa Buri, in una discussione personale trascritta a finegiornata nel mio diario – è che “Verona possiede una rigogliosa società civile,particolarmente sviluppata, con molte proposte e molte realtà, ma ha il difetto che ognirealtà è concentrata sul proprio orticello, impedendo la formazione di un grandeprogetto di rete”. Sembra che nemmeno le organizzazioni “di rete” esistenti siano deltutto immuni a questo problema, probabilmente perché si collocano ad un livellointermedio tra le singole organizzazioni e la rete emergente dalle loro interazioni.

Come solitamente accade nelle riunioni di Naturalmente Verona, anche durantel'assemblea del 26 ottobre è stato riservato uno spazio all'aggiornamento riguardo ai«progetti» “autonomi” della rete e alle collaborazioni: “Sole in rete” in collaborazionecon “Energoclub onlus”; il “Portale del Terzo Settore” e il “servizio civile incollaborazione con Mag Verona; Bioloc; e Scec. Il 26 si discute anche (per la primavolta) del «grafo dell'economia solidale veronese». L'argomento ha suscitato unadiscussione interessante al termine della riunione, quindi “fuori verbale”. È statoAlberto ad iniziare, dicendo che aveva qualche critica da fare sul grafo di Villa Buri, cheproprio in quel periodo stavo portando a compimento con la Commissione Progetti68. Siè inserito poi Andrea con una battuta: «dice che il pallino di Naturalmente Verona ètroppo piccolo!» che ha suscitato altri commenti ironici e risate. Alberto in ogni caso ha

68 Andrea continuava a ricevere le email della Commissione e le condivideva con il Direttivo, perciò Alberto si riferiva all'immagine più recente del grafo che aveva ormai quasi tutti gli elementi del risultato finale.

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Fieldwork: disegnare le collaborazioni

spiegato il suo punto di vista, esplicitandolo attraverso due riflessioni. Innanzitutto, confermando l'argomento sull'auto-referenzialità appena discusso,

sosteneva che disegnare grafi «associo-centrici», cioè centrati su una singolaassociazione, costituisse un errore a livello «pedagogico» perché si riproponeva quelloschema mentale già diffuso per cui ognuno si sente al centro della rete, «al centrodell'universo». Inoltre, riteneva che fosse un lavoro «in più», perché se si fosse costruitoun unico grafo tutti sarebbero stati rappresentati, senza bisogno di ripetere tante volte glistessi dati.

In quel periodo ero totalmente concentrato sugli aspetti positivi del lavoro con laCommissione Progetti e pensavo di essere riuscito a mantenere nel grafo la rete esternaa Villa Buri, anche se schiacciata negli ultimi anelli. Al contrario, la percezione diAlberto (un punto di vista esterno a Villa Buri) era chiaramente quella di unarappresentazione eccessivamente “egocentrica”. La sua critica è stata quindi molto utile.Ho spiegato ad Alberto il processo che ha portato all'idea di una rappresentazione ego-centrata e stratificata, frutto di una mediazione tra esigenze di comunicazione edesigenze di rappresentazione. Ho spiegato inoltre che c'è una differenza tra i dati sullabase dei quali si costruisce il grafo e la “vista” dei dati, cioè la particolarevisualizzazione degli elementi grafici. Sulla base di una stessa base di dati si possonorealizzare diverse “viste”, che attraverso diversi layout, filtri, selezioni e formattazioni,mostrano gli stessi dati in modi diversi. Quindi non sussisteva il problema di ripetere laraccolta dei dati. Il lavoro “in più” era limitato alle esigenze di visualizzazione.

Inoltre non credo sia corretto scartare la vista ego-centrata, perché essa ha il pregio direndere chiara la rete dei contatti di una singola organizzazione o di un singolo progetto,come dimostrano le grafo-interviste condotte durante il festival, e di far emergere questereti dal «labirinto»69 della rete complessiva. La visualizzazione ego-centrata èimportante sia come strumento pratico (ad esempio per riflettere sui propri legami, sulleproprie collaborazioni), sia a livello di rappresentazione simbolica dell'autonomia diogni organizzazione o progetto, in grado di mantenere contemporaneamenteun'immagine del contesto. In fin dei conti la rete complessiva non è altro che unfenomeno emergente dall'interazione di singole, autonome organizzazioni. Certamenteperò si potrebbero adottare altri metodi per ottenere lo stesso scopo, ad esempio lacolorazione della ego-network di un'organizzazione in modo da farla risaltare sul grafogenerale, ma senza eliminare la restante rete; oppure l'affiancamento di due viste, unacon la rete complessiva e una con la ego-network.

In ogni caso, Alberto insisteva sull'importanza di riflettere sul ruolo pedagogicoassociato a queste rappresentazioni, ruolo che si sarebbe dovuto concretizzarenell'insegnare ai membri delle associazioni a non guardare soltanto «al propriobusiness» (un altro modo per indicare il proprio “orto”). Questa indicazione di Alberto è

69 L'immagine del labirinto era stata utilizzata da Antonella. Nella bibliografia sulla visualizzazione delle reti si trovano innumerevoli tentativi di risolvere il problema dell'eccessiva densità visuale dei grafi, cui ci si riferisce tipicamente come effetto hairball (Correa e Ma 2011).

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Capitolo 3

tanto più rilevante considerando l'abitudine auto-referenziale delle organizzazioni-rete,compresa quella di cui fa parte.

Il secondo argomento di Alberto riguarda un altro importante aspetto dellacostruzione del grafo. Alcuni elementi secondo lui dovrebbero corrispondere a dei «datioggettivi». Inizia con l'esempio della «dimensione dei pallini», con cui era partita ladiscussione. Alberto ritiene che la dimensione dei nodi dovrebbe essere valutata in basealla considerazione di uno o più parametri decisi insieme in modo condiviso. Adesempio il numero di eventi organizzati, il numero di presenze, il volume di affari, ecosì via. Anche per tracciare i legami si dovrebbero prendere in considerazione deivalori il più possibile quantificabili, come i soggetti con cui ego ha collaboratonell'ultimo anno o negli ultimi cinque anni. Alberto segue un ragionamento in linea conl'approccio quantitativo tipico dell'analisi delle reti sociali. Tuttavia, come osservavodurante il lavoro con la Commissione Progetti (pag. 120), la soggettività presente nellacostruzione collettiva del grafo non era da intendersi come una mancanza di oggettività,quanto piuttosto come la costruzione di una rappresentazione intersoggettiva.

Secondo l'approccio fenomenologico, in antropologia e nell'indagine etnografical'oggettività risiede nell'intersoggettività umana (Fabian 1971; 2007; Duranti 2010;Fabietti, Malighetti, e Matera 2000: 40, 75–76). Anche la richiesta di “oggettività” daparte di Alberto è quindi da considerare come parte della costruzione intersoggettiva delgrafo della rete; un'istanza con cui cercherò di fare i conti in particolare nel lavorosuccessivo. Al momento della programmazione dell'applicazione web per la raccolta e lavisualizzazione dei dati, diventerà di cruciale importanza trovare un metodo per farcoesistere la necessità della partecipazione soggettiva dei membri delle organizzazioni ela necessità di quantificare gli elementi di tale partecipazione, poiché ogni programmainformatico per funzionare ha bisogno di elementi quantificabili (si veda cap. 5).

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Capitolo 4

Fieldwork: costruire insieme i datiContinuo l'esposizione dei materiali iniziata nel capitolo precedente, con l'analisi dellepratiche relazionali e dei discorsi sulla rete di due ulteriori comunità, da cui sievidenziano il paradigma dei beni comuni e il contratto di rete. Cerco inoltre di faremergere i momenti di sperimentazione di specifiche modalità di raccolta di dati e divisualizzazione collaborative, in particolare attraverso l'utilizzo di database condivisi.

Esplorazione della rete e approfondimento delle relazioni

Campionatura

Le esperienze con la commissione Progetti di Villa Buri e con il Festival Eco-equosolidale di Naturalmente Verona mi hanno permesso di raccogliere importanti feedbacksu alcuni elementi fondamentali della ricerca. Ho raccolto conferme della presenza diuna generale approvazione (e in certi casi di un vero e proprio interesse) verso lacostruzione di uno strumento di rappresentazione collettiva come può divenire il grafodelle collaborazioni. Ho verificato l'esistenza di una discreta familiarità con questatecnica di rappresentazione relazionale tra i membri della comunità di pratiche dellasocietà civile locale. Familiarità o facilità di apprendimento della tecnica, sia a livello dicreazione dei grafi, che a livello di utilizzo (lettura) dei grafi.

Ho verificato anche la sufficiente aderenza del modello di dati ipotizzato nella fase dico-design iniziale, consistente in due tipologie di nodi (organizzazioni e attività), unitida legami di collaborazione. Il modello riesce a rappresentare sia le organizzazioni più“semplici” (come le imprese uni-personali di cui è un esempio “La Natura di Satya”),sia le organizzazioni più complesse (come Mag Verona, WWF Verona), perchéscompone la complessità relazionale nelle reti dei singoli progetti (come nell'esempio diMicro Mag). Anche casi come la rete Naturalmente Verona si adattano facilmente aquesto modello poiché i legami con le organizzazioni socie sono costruiti e ricostruiti divolta in volta attraverso le collaborazioni ad attività specifiche (come la manifestazioneannuale). Rimane invece fuori dalla portata di questo modello relazionale la capacità dirappresentare la struttura formale interna delle organizzazioni/rete (come nel caso di“Banca Popolare Etica” nazionale o di Villa Buri onlus), per le quali sono presenti deilegami stabili tra organizzazioni posizionate su diversi “livelli” o diverse scale.

Infine ho potuto testare due diverse modalità di raccolta partecipata dei dati. ConVilla Buri la raccolta era mediata da una domanda all'interlocutore implicita del tipo“Quali sono le x principali organizzazioni con cui la tua organizzazione collabora o hacollaborato di recente?”. Con le grafo-interviste la raccolta era mediata da una domanda

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Capitolo 4

implicita del tipo “Disegna la ego-network della tua organizzazione, indicando lecollaborazioni attualmente attive”. In entrambi i casi si è presentata la problematicaderivante da una modalità di aggregazione dei dati non completamente partecipativa.Separando il rapporto tra le persone e i dati da esse prodotti si produceva una perdita delsenso di responsabilità nei confronti dei dati stessi e una perdita del coinvolgimentonella rappresentazione. Inoltre, non coinvolgendo le organizzazioni nominate dagliinterlocutori nelle relazioni, si perdeva il potenziale di partecipazione bidirezionale nellaraccolta dei dati (si veda p. 132).

Dopo questi test iniziali, focalizzati su come disegnare e come mappare la rete dicollaborazioni, risultava evidente la necessità di sperimentare l'utilizzo di un softwarecollaborativo online per permettere la raccolta e l'aggregazione partecipative dei datiall'interno di un database condiviso. Il problema non era tecnico; ero infatti al correntedel fatto che i software della categoria CMS (Content Management Systems) permettonodi realizzare un'applicazione web con le caratteristiche necessarie allo scopo.Desideravo però individuare gli eventuali collaboratori, interessati a costruire un taledatabase, all'interno della comunità di pratiche della società civile. L'obiettivo dellaricerca infatti è la sperimentazione, insieme ai soggetti riflessivi della comunità, di unatecnica di auto-riflessione sullo stato della comunità stessa, e non la realizzazione di unostrumento o la soluzione di un problema.

Terminato il festival, continuando a partecipare agli incontri del direttivo diNaturalmente Verona e (in parte) della Commissione Progetti di Villa Buri, ho iniziatoad esplorare ulteriormente la rete, venendo a contatto con altre comunità, partecipandoad altri eventi e seguendo altre attività, orientato dalla ricerca di interlocutori-collaboratori interessati a seguire il progetto dello sviluppo dell'applicazione webinterattiva. Tra le nuove esperienze ho individuato due percorsi significativi che hodistinto in base ad un ragionamento di campionatura articolato su due dimensioni.

La prima dimensione si riferisce alla “maturità” del processo di apprendimentosociale interno alla comunità di pratiche. Da un lato, una comunità matura, con unalunga esperienza sviluppata nel tempo, la definizione di procedure e pratiche centraliben identificabili, la presenza di confini e di una membership piuttosto stabili. Dall'altro,una comunità nuova, ancora in fase di formazione, senza una lunga storia comune aisuoi membri, con procedure e pratiche ancora in fase di definizione, e caratterizzata daconfini instabili che cambiano frequentemente. La seconda dimensione si riferisce allaspecificità e alla tipologia dell'attività seguita dalla comunità. Da una parte, unacomunità con un approccio “multi-business”, attiva su tanti progetti diversi anche seappartenenti inseriti in una visione comune, una comunità che differenzia le sue pratichenell'obiettivo di perseguire la propria mission associativa generale. Dall'altra, unacomunità con un approccio “single-business”, in fase di aggregazione attorno ad unamission molto specifica che coincide con l'unica attività seguita, su cui si basa l'interaeconomia della comunità.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

Ho intrapreso un percorso di avvicinamento alla comunità di Mag Verona1, che adifferenza di Naturalmente Verona, si caratterizza per una struttura molto più stabile,con un ufficio permanente, la partecipazione sistematica a progetti e a fondi regionali edeuropei; inoltre rispetto anche a Villa Buri onlus possiede uno staff di dipendenti (soci-lavoratori) più numeroso ed ha una storia più lunga, iniziata ufficialmente nel 1978 (siveda p. 229). Al contempo ho cercato di seguire l'emergere più incerto di una nuovacomunità di pratiche costituita dall'interazione di diversi attori attorno ad un implicitoprogetto economico agro-alimentare, che ha visto il coinvolgimento più o menoprofondo, più o meno continuativo delle comunità dei progetti Bioloc (poi Biosol) eArcipelago Scec, e delle organizzazioni Naturalmente Verona, Atrax, Mag Verona,Cooperativa Ca' Magre, Filiera Italia, Circolo di Verona del Movimento per laDecrescita Felice, Associazione Rurale Italiana, e altre.

Le comunità di Mag e Bioloc si posizionano agli estremi opposti all'interno delle duedimensioni individuate: matura e multi-business la prima, giovane e single-business laseconda. In entrambi i casi, durante il percorso che ha portato allo sviluppodell'applicazione web finale, sono stato coinvolto attivamente in attività di ricerca esperimentazione che implicavano l'auto-analisi delle comunità stesse.

Le prime difficoltà della collaborazione

L'individuazione dei collaboratori per la costruzione della base di dati è iniziata proprioa partire dal Festival eco-equo solidale. Mentre aspettavo di poter iniziare l'intervistacon Stefania presso il banchetto di Mag Verona, avevo individuato, tra i tanti materialiinformativi esposti, un comunicato relativo al progetto del “Portale del terzo settore”,promosso dalle reti di Mag Verona e Naturalmente Verona. Mi sono reso conto che ilportale in progettazione aveva effettivamente quasi tutte le caratteristiche necessarie allaraccolta dei dati per il grafo delle collaborazioni. Già durante la fase di co-progettazioneiniziale con il gruppo di lavoro per digitalizzare il grafo avevamo ipotizzato che i dueprogetti potessero condividere la stessa base di dati.

Innanzitutto erano previste schede con i dati delle singole organizzazioni.

[…] le “Pagine Arcobaleno” virtuali. Queste pagine conterranno i recapiti e ledescrizioni di tutte le realtà di utilità sociale che vorranno aderire al progetto, e chequindi potranno farsi conoscere anche attraverso questa banca dati che, grazie alsuo facile ed immediato utilizzo, potrà diventare lo strumento di riferimento diquanti vogliano cercare prodotti, servizi o altro nel variegato mondo della SocietàCivile Organizzata. […]

Il portale era infatti pensato come evoluzione digitale delle “Pagine Arcobaleno”, unelenco cartaceo ragionato delle organizzazioni di società civile e dell'economia solidaledella provincia, realizzato nel 2004 a cura di Rete Lilliput e MAG Verona all'interno delprogetto “Macramè: reti e altri intrecci di economia sociale per il terzo settore”2. Il

1 Mag è una cooperativa di mutuo soccorso e una società di servizi.2 Il progetto Macramè (2002-2005) è stato finanziato dalla Comunità Europea, dal Ministero del

Lavoro e dalla Regione Veneto, all'interno dell'iniziativa comunitaria EQUAL a sostegno di nuove

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Capitolo 4

portale prevedeva quindi la costruzione di una pagina web (una scheda) per ogniorganizzazione, contenente tutti i rispettivi dati informativi: «recapiti e descrizioni».

Secondariamente erano previste schede per le «iniziative» (progetti, attività, eventi, ecosì via) delle organizzazioni.

Tante, tantissime sono le iniziative che ogni giorno la Società Civile Organizzatapropone: di qui il bisogno di coordinarle, per evitare sovrapposizioni e, invece,potenziare sinergie e collaborazioni, e di raccontarle e diffonderle. Per questo saràimplementato nelle “Pagine Arcobaleno” virtuali anche un Calendario Comune, sulquale le organizzazioni aderenti potranno pubblicare e presentare le loro iniziativee che sarà accessibile anche dagli utenti che potranno apprezzare, grazie ad unagrafica immediata, i diversi eventi e la loro distribuzione.

Era prevista la costruzione di un «calendario comune» per evitare sovrapposizioni tra glieventi organizzati dai soggetti della comunità di pratiche. In generale questo strumentodovrebbe favorire il coordinamento spontaneo dei soggetti della comunità ed ha moltoin comune con il grafo delle collaborazioni. Calendario e grafo potrebbero diveniredunque due strumenti diversi, con obiettivi simili, ospitati sullo stesso portale web, edattingenti alla stessa base di dati.

Infine era prevista la possibilità per le persone iscritte al portale di controllaredirettamente i dati relativi alle pagine della propria organizzazione.

Ma non si tratterà di un semplice “elenco del telefono”. Consapevolidell'importanza dell'interattività e dell'aggiornamento continuo, vogliamo offrirealle realtà che lo desiderano la possibilità di avere, all'interno delle “PagineArcobaleno” virtuali, anche una pagina dedicata solo a loro sulla quale operatori edoperatrici potranno con semplicità inserire le attività in programma, le ultimenotizie sulla loro organizzazione e tutte le informazioni e immagini che riterrannoimportanti. La possibilità di gestire di persona una propria pagina individualediventa anche un'opportunità per tutte quelle realtà che hanno bisogno di garantirsivisibilità ma non hanno le competenze o le risorse per avviare da sole un sitointernet.

Per consentire la costruzione del grafo di collaborazioni mancano soltanto i datirelazionali (“chi collabora con chi”). A livello tecnico è possibile aggiungere questatipologia di dati come relazioni tra i dati ipotizzati.

Con mia sorpresa, durante il festival sono venuto a conoscenza di un secondoprogetto simile a questo. “Banca Etica Verona” aveva infatti organizzato, all'internodella programmazione del festival, un incontro intitolato “La rete di Zoes”. Zoes(“ZOna Equo-Sostenibile”) è un social network online (tutt'ora funzionante) di portatanazionale, sponsorizzato da “Fondazione Culturale Responsabilità Etica” (unaorganizzazione costituita da “Banca Popolare Etica”) e “Fondazione Sistema Toscana”.

forme del lavoro e della socialità. Oltre a Mag Verona ha coinvolto altre 16 organizzazioni: «Comunità Filosofica Diotima» dell'Università di Verona, «Verona Innovazione della CCIAA di Verona», «Comuni di Caprino Veronese, Legnago, S. Ambrogio, S. Martino Buon Albergo, Villafranca [e] Verona», «Comunità Montana del Baldo», «Vecomp Srl», «Banca di Credito Cooperativo di Marano», «ULSS 22», «Provincia di Verona», «Rete Civica Veronese», «Associazione Finanza Etica», «Rete Lilliput» «e alcuni partners europei» (GRILLONews 2004).

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Fieldwork: costruire insieme i dati

Lo strumento, progettato con l'obiettivo di agevolare la comunicazione tra le personeimpegnate nell'economia solidale e nella sostenibilità, consente in effetti molti degliutilizzi comunicativi pensati per il “Portale del Terzo Settore” progettato daNaturalmente Verona e Mag. Zoes però era già disponibile all'indirizzo internetwww.zoes.it

Zoes è uno strumento per favorire la diffusione di stili di vita sostenibili, permettere in rete i vari modi di fare economia responsabile socialmente eambientalmente. È una piattaforma informatica per rendere visibili le tante realtà intorno a noi chegià si impegnano per un mondo migliore: consumatori responsabili, reti dimutualità, campagne di azione, produttori, imprenditori, commercianti,associazioni ed enti, amministrazioni ed istituzioni. È un social network per discutere e far crescere una cultura della sostenibilità e delvalore, anche economico, delle relazioni tra persone. (“Zoes è | Zoes” 2015)

Zoes.it permette inoltre di creare dati relazionali. Tuttavia gli utenti (che possono esseredi due tipi: persone oppure organizzazioni) possono creare connessioni virtuali tra loroanche se queste non pre-esistono nella realtà. La modalità di creazione delleconnessioni, sulla scia di molti altri social network, permette ad un utente di inviare una«richiesta di relazione» o «diventare amico» (questi sono i due concetti utilizzati nelsito) di un altro utente. Anche Zoes.it, come Wiser.org (si veda p. 91), ha l'obiettivo difavorire la creazione di connessioni e lo scambio di informazioni. Il suo modello di datirelazionali è quindi diverso da quello su cui si basa il progetto del grafo, in quanto nonpermette di raccogliere le connessioni di collaborazione ad attività comuni e non èorientato all'obiettivo di rappresentare la rete esistente.

Considerato il mio coinvolgimento con Naturalmente Verona, partner del progettodel portale, e considerata la maggiore vicinanza dello schema dati di quel progettorispetto a quello di Zoes, ho ipotizzato che il primo potesse essere il percorso piùpraticabile. Ho chiesto ad Andrea e Paolo D., socio-lavoratore di Mag, mio coetaneo euno dei responsabili del progetto, di essere invitato agli incontri del gruppo di lavoro.Così mi sono presentato all'incontro del 26 novembre 2012, organizzato presso la sededi Mag Verona, dove ci siamo riuniti in sei, due rappresentanti di Naturalmente Verona(io e Andrea), due di Mag Verona (Paolo D., responsabile dell'ufficio formazione eprogetti, e Loredana A., socia fondatrice e direttrice), e due esperti informatici incaricatidella realizzazione tecnica del portale (Marco A. in qualità di sviluppatore e Marco L.come tecnico «commerciale»).

Era la prima volta che entravo nella “Casa Comune Mag”, la nuova sede multi-servizi della cooperativa aperta da pochi giorni. Nei locali della Casa Comune si trovanolo sportello di microcredito e di finanza solidale, una sala conferenze, un «incubatore»di imprese sociali, gli uffici dei servizi alle imprese sociali e al lavoro cooperativo eassociativo, un centro di documentazione sull'economia sociale, l'ufficio comunicazionee progetti, la sede della Libera Università dell'Economia Sociale e degli Scambi(LUESS), una cucina dove spesso i tanti soci-lavoratori si ritrovano a mangiare insieme

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Capitolo 4

e così via3. Con tutti questi servizi la Casa Comune Mag è un luogo che svolge il ruolodi hub di incontri tra persone e di scambi tra progetti e attività diverse. Durante ilfieldwork ho potuto osservare più volte come la possibilità di compresenza all'interno diquesti spazi favoriva l'instaurarsi di relazioni.

La riunione ha preso luogo nella stanza dell'«incubatore sociale»4. Come negliincontri dei mesi precedenti con gli altri gruppi, ho adottato la posturadell'apprendimento periferico. Mi sono concentrato sull'ascolto gli interventi deipartecipanti. Andrea e Loredana giocavano il loro ruolo nel dare l'orientamento generaledel progetto, nel rendere chiare le linee guida. Il ruolo di Paolo era centrale, era lui cheteneva gli appunti sull'avanzamento del progetto5, che cercava di far rispettare l'ordinedel giorno e di “recuperare il filo” dalla precedente riunione.

Sono stati nominati gli obiettivi principali del portale: rappresentare il «mondodell'economia solidale e dintorni» nelle sue «diverse forme»; essere uno strumento utileper «informare» e per tenersi informati su ciò che accade all'interno di questo mondo;essere un'«occasione per intrecciare rapporti» attraverso il forum di discussione;«facilitare la co-progettazione» delle attività. Sono state descritte funzioni ecaratteristiche principali tra cui una mappa geografica su cui rappresentare leorganizzazioni aderenti e un calendario che possa raccogliere tutti gli eventi. Sono statepreviste tre tipologie di account utente: “standard”, per tutte le persone che voglionoutilizzare il sito; “organizzazione partecipante”, per tutti i membri delle organizzazioniche si iscrivono al portale, i quali possono anche «aprire» e «moderare» le discussioninel forum; e account amministrativi, fondamentalmente per i tecnici informatici,affinché possano gestire il portale, ma anche per Naturalmente Verona e per Mag Veronaaffinché possano (eventualmente) accedere ad alcune funzioni di amministrazione senzail bisogno dei tecnici.

La discussione si è spostata poi sullo stato di avanzamento e sulla strategia futura delprogetto. Il primo incontro risaliva ad un anno prima. I tecnici affermavano che losviluppo del software era in stato “avanzato”. I passaggi successivi sarebbero statiinnanzitutto lo sviluppo della grafica e successivamente l'apertura del portale per unnumero limitato di utenti che potessero fornire dei feedback (si prevedeva di inaugurareil forum con la discussione dal titolo «Come vorresti che diventasse questo portale?»). Apartire da questa seconda fase, definita di «test», lo sviluppo avrebbe dovuto procedere

3 L'acquisto di questo spazio di servizi è organizzato attraverso una campagna di crowdfunding (chiamato «azionariato popolare diffuso»), la cui notizia è approdata anche sulla televisione nazionale(servizio di Rai3 per il TGR Veneto del 24/12/2014, ore 19.30). La campagna permette di sostenere il progetto tramite l'acquisto di «mattoni solidali» di differenti valori.

4 La stanza ha l'aspetto di una sala riunioni, con dei grandi tavoli bianchi al centro, circondati da poltrone rosse, un computer, grandi armadi grigi ai muri e una serie di vetrate dall'intelaiatura rossa disposte verso ovest, da cui entra molta luce fino al tramonto; sul lungo davanzale una serie di giornali e riviste di settore. Durante le mie numerose visite avrò modo di notare che la stanza viene usata spesso per condurre riunioni ed incontri, ma anche per momenti di convivialità e di festa e ogni tanto come sala lettura.

5 Andrea prende sempre appunti sul suo diario, confermando il carattere para-etnografico della sua presenza.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

«di pari passo con le adesioni». L'obiettivo della campagna di raccolta delle adesioni era di raggiungere tutte le

organizzazioni e le persone che agiscono all'interno della comunità locale dell'economiasociale, della società civile e dei beni comuni. La strategia di coinvolgimento ipotizzatapartiva dalle relazioni, quindi da tutte le organizzazioni con cui Mag e NaturalmenteVerona erano in contatto. La stima discussa era di 500 organizzazioni. Andrea eLoredana erano d'accordo nell'evidenziare che fosse necessario iniziare con i gruppi«più motivati», e nell'elenco che hanno stilato a voce sono riuscito a cogliere i nomi di“Banca Etica”, “Le Rondini”, e “CTM Altromercato”6. In generale suggerivano diiniziare a coinvolgere chi aveva precedentemente aderito alle Pagine Arcobaleno. Nelcoinvolgimento, era importante promuovere «un utilizzo non limitato alla pubblicità»,alla «vetrina», in modo che il portale divenisse uno strumento utile per fare rete e nonsolo per avere visibilità.

Si è discusso sul nome da dare a questo portale. “Portale del terzo settore” era statoun concetto utile nella fase di progettazione, per chiarire il target primario, ma non eragiudicato un buon nome. Tutti i presenti, ma in particolare Loredana, Andrea e Paolo,hanno partecipato ad una condivisione di termini e parole. Sono stati proposti:«economia sociale», «buon vivere», «bene comune», «economia del buon vivere»,«beni comuni», «società dei beni comuni», «rete». La discussione è stata lasciata insospeso, per lasciare che le parole potessero sedimentare dentro ognuno dei presenti.Soltanto alla fine della riunione la discussione è stata ripresa e quasi in modoautomatico è emersa la combinazione «rete del buon vivere», che è divenuto il nomeufficiale del portale.

Durante l'incontro Andrea, Loredana e Paolo non sono mai entrati nel merito dellequestioni tecniche relative alla realizzazione pratica delle varie funzioni del sito.Nemmeno i due tecnici hanno affrontato tali questioni, ad esempio non hanno illustratocome sarebbero state costruite le pagine del sito, quali software sarebbero stati utilizzati,quali standard, di chi sarebbe stata la proprietà del codice o del dominio, e così via.Avevo la sensazione che i due esperti non stessero semplicemente “evitando itecnicismi”. I loro discorsi rimanevano troppo imprecisi. Si parlava molto dei costi deivari servizi, da distribuire sugli tutti gli utenti, della disponibilità dei tecnici a fornireassistenza all'utilizzo (servizio di help desk), e così via, ma quando la discussione sispostava su come era realizzato il sito e sullo stato della realizzazione, emergevanoespressioni molto vaghe come “il motore è già pronto, ora basta disegnare il temagrafico”, “senza una maschera grafica non possiamo mostrarvi niente, ma il motore èpraticamente finito”, “per il forum di discussione dobbiamo usare un servizio di terzeparti, che ha un costo aggiuntivo”, e così via. Nonostante la mia competenza sullarealizzazione di siti web partecipativi (web 2.0) fosse limitata, ero in grado di giudicare

6 È interessante notare che nessuna di queste organizzazioni considerate “più motivate” ha ancora aderito al progetto e, almeno in un caso, per una precisa volontà di non partecipare (si veda p. 327).

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queste espressioni non solo vaghe ma anche parzialmente incorrette7. In ogni caso nonmi sembrava affatto di assistere alla riunione operativa di un progetto in via diultimazione, come sostenevano sia i tecnici e che gli altri membri del gruppo. Sembravapiuttosto di essere al termine della fase di ideazione, e che la realizzazione concretafosse soltanto all'inizio.

Una grossa parte della discussione tecnica, cui con mio stupore tutti hannopartecipato attivamente e durante la quale non si sono risparmiati i tecnicismi, vertevasull'individuazione dell'appropriata configurazione del servizio di hosting8. Inparticolare si è discusso sulla possibilità di scegliere un servizio di hosting “condiviso”,più economico, e “migrare” su uno “dedicato” (più costoso e performante) quandosarebbe stato necessario9. La discussione ruotava soprattutto attorno alla previsionedella quantità di traffico generato dal sito in base ad una stima del numero di personeche lo avrebbero visitato e utilizzato. Si parlava di migliaia di visitatori contemporanei.Al di là della mancanza di informazione sulla possibilità di un moderno servizio discaling automatico, che permettesse di aumentare le prestazioni (e i costi) in manieradinamica in base al traffico effettivo (senza cambiare o riconfigurare la piattaformahosting), e al di là della sostanziale inutilità (a mio avviso) della discussione in quellasede, avevo la sensazione che la stima fosse ampiamente eccessiva.

Ciò che mi lasciava più stupito era la scoperta che il progetto non sarebbe statosviluppato come software libero e comunitario. Il software libero e open source èdistribuito con licenze che permettono a terzi di accedere al codice sorgente, per poterstudiarlo e riutilizzarlo (tal quale o modificandolo) per altri progetti. Questo favorisce ladiffusione, la standardizzazione, l'apprendimento e la collaborazione all'interno delmondo informatico, nonché il miglioramento del software stesso. Molti software opensource sono scritti in modo collaborativo da comunità di sviluppatori anche moltograndi (anche dell'ordine delle centinaia di migliaia), organizzate come comunità dipratiche, con un piccolo gruppo centrale che si occupa della manutenzione edell'evoluzione del software di base (core) e una grande periferia di sviluppatori checontribuiscono con più o meno piccoli aggiustamenti (patches) o sviluppando software

7 I componenti di un sito web con cui l'utente interagisce (testi, immagini, caselle di inserimento di testo, caselle a scelta multipla, pulsanti, e così via) utilizzano stili grafici di base forniti dal browser e dal sistema operativo, i quali possono essere sovrascritti da ulteriori specifiche fornite dal tema grafico del sito stesso. Quindi se esistono delle pagine (statiche o generate dinamicamente a partire dai contenuti di un database), queste sono sempre visionabili. L'espressione “il motore è pronto, ma non si può ancora vedere niente perché manca la grafica” può significare quindi che sono state impostate la struttura del database ed eventualmente una serie di script per la gestione di alcuni componenti e funzioni del sito. In questo caso, lo stato avanzato dello sviluppo sarebbe tutt'altro che avanzato.

8 In breve, affinché un sito sia visibile nella rete internet deve essere fisicamente installato (ospitato, dacui hosting) su di un computer connesso, che assume il ruolo di server fornendo cioè le pagine del sito ai client (tutti i dispositivi che si possono connettere alla rete e visitare quelle pagine).

9 L'aspetto riguardante la configurazione hardware e le prestazioni del server è l'unico elemento tecnico discusso anche nel comunicato del portale che Mag e Naturalmente Verona hanno condiviso. In generale ritengo completamente ininfluente questo tipo di informazione per il progetto in questione.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

che aggiungono funzionalità al programma di base (modules, apps e plugins). Questecomunità presentano una diffusa pratica di documentazione per favorirel'apprendimento e l'ingresso dei newcomers; l'organizzazione di eventi in cui i membridelle specifiche comunità si incontrano in presenza; l'organizzazione di momenti disviluppo condiviso per risolvere problemi comuni, a volte chiamati sprints; e così via.

Per questi motivi il software open source comunitario ha suscitato l'interesse dellaricerca antropologica (Kelty 2008) e ritengo che sia di particolare interesse per il mondodella società civile e dei beni comuni. Non a caso sono molte le aziende che sispecializzano nel fornire strumenti open source per il settore nonprofit. Inoltre ilconcetto di open source è uscito dai confini del settore informatico ed è divenuto negliultimi anni un caposaldo della visione collaborativa della società fondata sullacondivisione dell'informazione e del sapere, contrastando la visione proprietaria fondatasui diritti esclusivi sanciti dai brevetti. A Verona sono diverse le organizzazioni che siinteressano specificamente di promuovere la cultura open source (una fra tutte, proprioil Movimento Zeitgeist10 con cui era iniziato il progetto del grafo, ma anche altre chesono parte della rete di contatti di Mag) e proprio per questo mi aspettavo che il progettodel portale volesse cogliere l'occasione di contribuire a, e di promuoversi attraverso, ilconcetto e la pratica dell'open source.

Nonostante le mie impressioni tutt'altro che positive, ho cercato di ridurre al minimoi miei interventi. Non avevo intenzione di entrare a far parte di un gruppo operativo giàattivo da un anno ed iniziare con delle polemiche di fondo, proponendo alternative apratiche ormai affermate nel gruppo. Inoltre, in quanto newcomer al primo incontro, nonmi sarebbe mai stata accordata l'attenzione che si dedica alle proposte di un membroanziano, o comunque di un membro di fiducia. Piuttosto mi sono preoccupato diproporre l'integrazione del grafo delle collaborazioni nel portale, il motivo principaleper cui ero presente all'incontro. La proposta è stata accettata senza particolaridiscussioni, ma rimandata allo sviluppo delle funzioni più elaborate del software.

Alla fine della riunione ho cercato di approfondire con lo sviluppatore informaticoalcuni dettagli tecnici relativi al percorso per ottenere ed integrare i dati relazionalinecessari a produrre il grafo e lui si è dimostrato disponibile e fiducioso sulle possibilitàdi riuscita. Ne ho così approfittato per porgli delle domande nell'intento di capire meglioalcune scelte di sviluppo, in particolare la scelta di non utilizzare un software opensource per la gestione dei contenuti tra i tanti disponibili11. Le sue risposte mi hanno

10 L'edizione veronese del 2013 dello “ZDay”, l'evento annuale del Movimento Zeitgeist organizzato simultaneamente in diverse città del mondo dai vari capitolo locali del movimento (“Movimento Zeitgeist - Wikipedia” 2015), aveva per tema di discussione “Open Source e Sostenibilità”.

11 Ritengo che i due content management systems liberi e comunitari più appetibili per questo progetto fossero “Drupal” e “Wordpress”. Drupal è il secondo o terzo più utilizzato al mondo, in base al tipo distatistica (si veda http://trends.builtwith.com/cms); è utilizzato ad esempio da Zoes.it; e a Verona nel 2011 si è tenuto l'evento annuale della comunità di sviluppatori nazionale, chiamato “DrupalCamp”, presso il dipartimento di Scienze Informatiche dell'Università. Drupal è specializzato per la realizzazione di applicazioni che prevedono l'interazione di molti utenti nella creazione dei contenuti. Wordpress è il CMS più utilizzato al mondo e ciò vale anche per i siti internet delle organizzazioni

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lasciato ancora una volta perplesso, dandomi l'impressione che non fossero state presedelle decisioni ponderate a riguardo, ma semplicemente che il mondo del softwarelibero e comunitario fosse per lo più lontano dalla sua prassi di lavoro12, e da quelledegli altri membri del gruppo.

Riposizionamenti

L'aspetto senz'altro positivo dell'incontro è che sancisce l'inizio ufficiale dellacollaborazione tra il progetto del grafo delle collaborazioni e quello del portale del terzosettore. Questa collaborazione presentava però molteplici problematiche. Innanzitutto ilportale non sembrava essere in fase di completamento, ma ancora in fase diprogettazione. Se da un lato ciò rendeva più semplice l'integrazione fin dall'inizio delmodello di dati relazionali di cui ha bisogno il grafo, dall'altro l'allungamento dei tempidi realizzazione dello strumento poteva diventare un problema, date le tempistichevincolate della mia ricerca di dottorato. Le scelte tecniche del gruppo di lavoro delportale (in particolare di creare un software per la gestione dei contenuti ad hoc, exnovo, anziché utilizzarne uno tra i tanti disponibili con licenza di software libero, eadattarlo alle proprie esigenze) mi facevano pensare che il lavoro di sviluppo sarebbestato piuttosto lungo.

C'era poi la questione dei costi di sviluppo e gestione del portale, che implicavano uncosto di iscrizione per gli utenti. Ritengo che il costo stimato (60€ + iva perorganizzazione per anno) fosse eccessivo e potesse divenire un ostacolo allapartecipazione, a meno che i membri delle organizzazioni non avessero deciso diassumersi questo costo volontariamente nei termini di un'auto-tassazione per la gestionee manutenzione di un servizio inteso come un bene comune. Perché ciò avvenisse, però,ci doveva essere una corrispondenza tra costo e valore percepito e la decisione dovevaessere sentita come interna alla comunità. Durante l'incontro avevo avuto la sensazioneche i membri del gruppo operativo del portale non stessero valorizzandosufficientemente il coinvolgimento dei soggetti della comunità nel processo diprogettazione. Mi sembrava infatti impossibile che nessuno avesse ancora sollevato ilproblema del software libero o quello dei costi ed ipotizzo che la spiegazione piùsemplice sia che nessuno, al di fuori dei membri del gruppo operativo, stesse realmente

della società civile veronese. Utilizzare Wordpress avrebbe aumentato le probabilità di trovare collaboratori all'interno della comunità locale. Entrambi i software sono inoltre mantenuti e sviluppatida grandi comunità di professionisti e amatori, ed entrambe le comunità manifestano una particolare attenzione alle esigenze del mondo nonprofit.

12 Ad esempio Marco ha affermato di preferire scrivere il software autonomamente perché in caso di problemi (bug) può contare sulle sue proprie capacità, senza dover fare affidamento su pezzi di codice scritti dalla comunità di sviluppo di un CMS open source, dove spesso convergono i contributidi migliaia e decine di migliaia di sviluppatori. È altamente improbabile che uno sviluppatore di software possa creare un'applicazione complessa senza utilizzare codice preesistente (e solitamente rilasciato con licenza open source proprio per favorirne il riutilizzo), perché lo sviluppo software (in particolare del software per il web) si configura sempre di più come una costruzione collettiva cumulativa (Herbsleb e Moitra 2001). Interpreto l'affermazione di Marco come un tentativo di dare sfoggio verbalmente della sua competenza e abilità tecnica, piuttosto che come indicazione di una scelta ponderata.

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seguendo lo sviluppo di questo progetto. Anche questo avrebbe rappresentato unabarriera all'adesione delle organizzazioni.

Che io scegliessi di collaborare o meno al progetto, l'incontro del 26 novembre hasegnato un cambiamento nel mio atteggiamento sul campo; un cambiamento nel tipo dipresenza in relazione al fieldwork e nel rapporto con gli interlocutori. Se avessi scelto dicollaborare infatti sarei stato costretto ad abbandonare il tipo di partecipazioneperiferica che avevo adottato fino a quel momento, caratterizzata dall'ascolto e dallaeventuale elaborazione di proposte compatibili e non conflittuali nei confronti delle altreproposte dei membri dei gruppi di lavoro13. Avrei dovuto iniziare ad esprimere propostealternative a quelle dei collaboratori e per farlo avrei dovuto prima essere accettato dalnuovo gruppo di lavoro. Se invece avessi scelto di non collaborare, avrei potutocontinuare la ricerca di collaboratori interessati alla costruzione dell'applicazione web,oppure costruirla da solo. Dall'inizio della mia ricerca stavo infatti sperimentando lagestione del mio diario di campo attraverso “Drupal”, lo stesso CMS con cui è costruitoZoes, ed ero consapevole della possibilità di ottenere ciò di cui avevo bisogno entro ilimiti di tempo stabiliti, a costo zero per gli utenti della comunità. Tuttavia anche questascelta avrebbe avuto delle rilevanti conseguenze sul fieldwork, perché l'applicazionecostruita sarebbe diventata un evidente competitore del portale in progettazione tra Mage Naturalmente Verona. Le caratteristiche delle due applicazioni infatti non sarebberomai state abbastanza distinte da essere indipendenti poiché per la costruzione del grafoserve essenzialmente la stessa base di dati del portale (i nodi), con la sola aggiunta deidati relazionali (i legami tra nodi).

Mi sono confrontato con Andrea, il quale mi ha confermato la scarsa competenzainformatica dei membri del gruppo, ad eccezione dei tecnici. Andrea appoggiava ilmovimento del software libero, riteneva che esso costituisse uno elemento fondamentalenello sviluppo della «sovranità di comunicazione»14, ma non conosceva l'argomento afondo per capire se fosse il caso di insistere nel richiederne l'utilizzo nel progetto delportale ed eventualmente quali richieste concrete porre ai tecnici. Anche per quantoriguarda il prezzo non era in grado di elaborare una cifra, pur desiderando mantenere icosti bassi per aumentare l'accessibilità al portale. Andrea però riponeva la sua fiducianegli altri componenti del gruppo di lavoro. Ad esempio, riteneva che il il prezzopreventivato fosse stato elaborato nel rispetto dei principi del riconoscimento del lavorodei collaboratori e dell'accessibilità per gli utenti. La fiducia nell'autonomia dei membrioperativi dei gruppi di lavoro è uno dei principi cardine della pratica collaborativa dimolti membri della società civile locale (si veda anche p. 337). In questo caso la fiducianell'autonomia dei membri operativi spiega perché Andrea e gli altri non si occupasserodelle questioni informatiche, che lasciavano volentieri ai «tecnici», di cui si fidavano, e

13 Le mie proposte fino a quel momento erano state di mediazione tra obiettivi diversi ma compatibili, come nel caso della rappresentazione ad anelli concentrici del grafo di Villa Buri (si veda p. 114).

14 La citazione è tratta da una bozza di documento contenente una «proposta di iniziativa popolare» chiamata «politiche virtuose», scritta da Andrea nel 2011, nel quale il «software libero» costituisce l'argomento centrale dell'articolo 12.

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con cui si confrontavano durante le riunioni.Per quanto riguarda la problematica del coinvolgimento dei soggetti della comunità

nel processo di costruzione del portale Andrea non era d'accordo con la miaimpressione. Innanzitutto metteva in evidenza che il portale era l'evoluzione delprecedente progetto delle Pagine Arcobaleno. Questo indicava la presenza di un unpassato condiviso (tra le organizzazioni aderenti al progetto precedente), un elemento diestrema importanza per stimolare la partecipazione. Inoltre Andrea mi ha fatto notareche, proprio come io avevo trovato il volantino del comunicato al banchetto di Magdurante il Festival di settembre, così anche altri ne erano venuti a conoscenza eavrebbero potuto interessarsi e chiedere di far parte del gruppo operativo. In lineateorica chiunque avrebbe potuto partecipare al gruppo operativo, con le giustemotivazioni e modalità collaborative, secondo il principio della porta aperta.Esattamente la stessa pratica seguita dalla Commissione Progetti di Villa Buri e daldirettivo di Naturalmente Verona. La condivisione dell'informazione riguardo alprogetto era avvenuta poi anche tramite un articolo pubblicato su alcuni dei siti internetfrequentati dalle organizzazioni della comunità15 ed ognuna delle due organizzazionicoinvolte aveva condiviso il progetto al suo interno e tra i suoi contatti. Senza contareinfine che proprio il lavoro di sperimentazione con la Commissione Progetti di VillaBuri era partito dalla condivisione del progetto del Portale come strumento utile per lacomunicazione e per il coordinamento delle iniziative anche all'interno della rete diVilla Buri (p. 107).

In effetti la sperimentazione con Villa Buri costituiva un forte momento dicondivisione, ma si era concluso. Nessuno aveva invitato un rappresentante di Villa Buriall'incontro del gruppo del portale. Mentre, riguardo agli altri momenti di condivisione,quello che a mio parere mancava era il coinvolgimento nella progettualità, non lacondivisione del prodotto finito. Il comunicato scritto e condiviso (il testo degli articolipubblicati è sostanzialmente lo stesso del comunicato) non faceva riferimento ad alcuntipo di apertura alla partecipazione nel processo di costruzione del portale, ad esempioun semplice invito a dare i propri feedback e suggerimenti nei confronti del progetto.Per non parlare di un più profondo coinvolgimento nelle scelte operative su comerealizzare lo strumento, quali obiettivi porsi, e così via. Il comunicato non presupponevauno scambio di informazione, si trattava di una comunicazione a senso unico, più similead una notifica o ad un avviso.

Nonostante il nostro disaccordo, Andrea confermava che per il momento i contributialla progettualità erano arrivati esclusivamente dai partecipanti al gruppo operativo. Essiagivano, in un certo senso, in funzione di rappresentanti della comunità di pratiche. Leintenzioni del gruppo erano di lavorare attivamente al coinvolgimento delleorganizzazioni della comunità quando il portale sarebbe stato pronto per essere

15 L'articolo di presentazione del progetto è pubblicato sui siti internet di Naturalmente Verona, di Arcipelago Scec, e su “Criticamente – Per un'informazione consapevole” (testata online indipendente).

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utilizzato (anche se in fase di test). Prima, rimaneva comunque la possibilità chequalcuno, venendo informato del progetto attraverso i tanti canali utilizzati (web,festival, volantini, riunioni, passaparola, e così via), si proponesse di offrire il suocontributo. Inoltre i membri del gruppo operativo erano liberi di proporre lacollaborazione di altre persone.

Dopo il confronto con Andrea ho deciso di continuare la collaborazione con ilprogetto del portale per due motivi principali. Innanzitutto avevo la sensazione chestesse emergendo una differenza tra due modelli di collaborazione in parte diversi, macionondimeno compatibili. Il modello di collaborazione seguito dal gruppo operativosembrava più orientato alla rappresentanza e alla mediazione, laddove i membri di Mage Naturalmente Verona fungevano da rappresentanti per altri membri della comunità dipratiche e da mediatori tra le esigenze della comunità e i tecnici impegnati nellosviluppo dello strumento. La mia idea di collaborazione era invece più orientata alcoinvolgimento diretto dei membri della comunità nello sviluppo del progetto e nelprocesso decisionale. Non ero in grado di stabilire quale modello fosse più efficace, edinoltre i membri del gruppo non si erano dichiarati contrari ad un più ampiocoinvolgimento.

In secondo luogo ritenevo che i progetti alternativi non offrissero opzioni praticabili.Zoes e Wiser, come già discusso, avevano uno schema di dati relazionali diverso daquello del grafo e sarebbe stato più difficile far coesistere due modelli relazionali nellastessa applicazione; inoltre il gruppo del portale non era interessato ad utilizzare queglistrumenti che pur essendo gratuiti e già disponibili, non erano strumenti locali. Andreaera dell'opinione che servisse uno strumento incentrato sulla rete locale, e più avanti hoavuto modo di apprendere da Loredana che anche per Mag il portale eraconcettualizzato essenzialmente come un bene comune della rete locale e una forma diauto-gestione. Una ricerca sul materiale disponibile online e attraverso le relazioni giàistituite sul campo faceva emergere solamente un altro progetto di mappaturadell'economia solidale, questa volta strettamente locale e concentrata sulle due categoriedi Gruppi di Acquisto Solidale e produttori. Si tratta del progetto “I Quarei del Sélese”ad opera del distretto di economia solidale “Le Matonele”. Come discusso inprecedenza, non ritengo opportuno ricercare attivamente la collaborazione con questoprogetto perché si colloca troppo all'interno del conflitto tra le due reti di economiasolidale locali e non intendo rischiare che questa problematica assorba la ricerca.

Entrambi i progetti (“Quarei del Sélese” e “Portale del Terzo Settore”) partono dauna stessa discussione/progettualità iniziata all'interno dell'associazione El Sélese nel2008 (in quel periodo Andrea era presidente dell'associazione), motivata dallacontinuazione delle “Pagine Arcobaleno”.

Il progetto de “I Quarei del Sélese” nasce nel maggio 2008 da un'idea maturata,discussa e cresciuta all'interno del gruppo del Sélese.

[…] Al di là del contesto e delle linee guida che ispirano e caratterizzano il

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progetto, i “I Quarei del Sélese” si pongono idealmente come il proseguo el'evoluzione delle “Pagine Arcobaleno” della Rete Lilliput, ovvero della prima“Guida pratica al consumo critico e agli stili di vita sostenibili” pubblicata e diffusain forma cartacea e via web nel 2003.

Come allora, anche adesso l'esigenza primaria è quella di dare visibilità evalorizzare tutte quelle esperienze e realtà dell'economia solidale veronese presentisul territorio. (“Il progetto » Quarei” 2011) 

Andrea, successivamente alla separazione dal gruppo el Sélese e alla chiusuradell'associazione, ha ripreso la progettualità insieme a Mag Verona. Le “PagineArcobaleno”, a loro volta, sono state realizzate all'interno del progetto Macramè, daMag Verona e dal nodo locale della Rete Lilliput (lo stesso gruppo da cui nasceva anchela rete di Villa Buri onlus). Tra i due progetti di mappatura in corso, ritengo che il“Portale del Terzo Settore”, coordinato da Mag Verona e da Naturalmente Verona,occupi una posizione più centrale nella comunità di pratiche della società civile locale,anche tenendo conto della sua evoluzione storica. Inoltre, il portale ben si inserisce neglioriginali obiettivi del progetto Macramè.

[…] 17 partners di MAG in Macramè. Lo scopo è quello di favorire – attraversoincontri periodici – lo scambio di linguaggi e di strumenti tra imprese sociali didiverse generazioni; la costruzione di “reti”, per la circolazione di saperi pratici el'invenzione di strumenti gestionali innovativi e consoni al Terzo Settore.(GRILLONews 2004)

In particolare si inserisce nella categoria «strumenti gestionali innovativi e consoni alTerzo Settore».

In base a queste considerazioni, ritenevo che le mie migliori chances risiedesseronella collaborazione col progetto del Portale del Terzo Settore e nella possibilità dicontribuire nel migliore dei modi possibili alla sua realizzazione entro un limite ditempo ragionevole. Andrea era del parere che io dovessi condividere con tutti i membridel gruppo operativo del Portale le mie impressioni sulla gestione del progetto, perchériteneva che potessero costituire uno stimolo importante di riflessione. Ho raccoltoquindi tutte le mie considerazioni in una lunga email inviata a Paolo il 28 novembre. Inessa dettagliavo tutti gli argomenti (vantaggio di utilizzare il software libero ecollaborativo, importanza di coinvolgere le organizzazioni nel processo di sviluppo enella decisione del prezzo, giudizio sullo stato di avanzamento dello sviluppo tecnico, ecosì via), inquadrando esplicitamente la comunicazione in modo da chiarire che nonintendevo in nessun modo rallentare ulteriormente il lavoro iniziato e che, solo dopoessermi confrontato con Andrea e solo perché lui lo riteneva potenzialmente utile, avevoscelto di condividere le mie impressioni.

La mia partecipazione all'interno del gruppo del portale non poteva dunque esserepassiva e periferica come era stato all'inizio delle precedenti esperienze. Allo stessotempo però ero un newcomer nel gruppo e non c'era un passato comune tra me e gli altrimembri (ad eccezione di Andrea) che potesse legittimare la mia partecipazione attiva e

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addirittura potenzialmente conflittuale. Sentivo quindi la necessità di approfondire ilrapporto, in primo luogo per comprendere meglio le motivazioni alla base delle sceltetecniche sullo sviluppo dell'applicazione e in secondo luogo perché si potesse svilupparela fiducia reciproca necessaria affinché le mie eventuali proposte potessero venir presein considerazione. Oltre a Naturalmente Verona era coinvolta nel progetto la comunitàdi pratiche di Mag, con la quale non c'era stato un periodo di partecipazione perifericalegittimata. Sentivo quindi il bisogno di costruire questo tipo di presenza.

Pratiche linguistiche nella comunità di Mag Verona

Lezioni di auto-organizzazione: “piccoli-grandi passi”

In attesa della convocazione alla successiva riunione del gruppo del portale, ho iniziatoa cercare le occasioni che mi permettessero di partecipare in maniera periferica elegittima alla quotidianità della nuova comunità di pratiche. Da un po' tenevo sottocontrollo la newsletter che Mag invia ogni due settimane con una serie di informazionisu attività ed eventi della sua rete. Nella newsletter n°58 del 14 dicembre 2012 mi hacolpito la pubblicità della quarta edizione del “Master in Pedagogia delle Relazioni”,realizzato presso la “Libera Università dell'Economia Sociale e degli Scambi – LUESS”(un progetto formativo stabile di Mag)16 intitolato “Economia del buon vivere.Ispirazioni e pratiche creative dal vivo dell'esperienza”. Il corso di 18 ore17 è consistitoin sei incontri tenuti da sei relatori provenienti da contesti diversi (imprenditoria sociale,docenza universitaria, specialità in settori della sostenibilità, amministrazione pubblica,associazionismo). La struttura degli incontri consisteva in una lezione frontale, unmomento in cui i partecipanti si dividevano in gruppi per discutere sulla base deglispunti offerti dalla lezione, ed infine il dibattito conclusivo in cui spesso si incrociavanoi temi centrali emersi nelle discussioni per gruppi, esposti da portavoce.

Come discusso nella parte metodologica (p. 88), si è trattato di un'ottima occasioneper poter entrare nella comunità in modo periferico ma legittimo, permessa daquest'apertura fornita dall'organizzazione stessa. L'analisi dettagliata delle pratichediscorsive del primo incontro del corso mi permette di approfondire una componentedell'approccio all'auto-organizzazione e ai beni comuni circolante nella comunità diMag, e di mostrare i punti di contatto con il modello balinese descritto nel primocapitolo. Completo la descrizione di questo approccio nella sezione successiva,approfondendo il problema del coordinamento delle diverse esperienze di beni comuniattraverso l'analisi di un discorso mainstream presente anche all'interno della comunitàdi Mag. Infine, dopo aver illustrato l'applicazione di questo approccio ad una ricercasulla “rete Mag” cui ho preso parte, descrivo le sperimentazioni sull'utilizzo di strumenti

16 Mag Verona è un organismo iscritto all'Elenco regionale degli Organismi di Formazione Accreditati nel settore “formazione continua”. Il progetto formativo della “Libera Università dell'Economia Sociale e degli Scambi” è nato nel 2005 nell'ambito dello stesso macro-progetto (Macramè) dal quale sono uscite anche le Pagine Arcobaleno (si veda pag. 169).

17 Il corso è aperto ad un massimo di 30 partecipanti e ha un costo di iscrizione 150 euro.

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linguisti costruiti con parole chiave, avvenute durante gli incontri conclusivi del corso diformazione e della preparazione della ricerca.

Il 25 gennaio 2013 è iniziata la prima lezione del master tenuta da Teresa Piras,rappresentante del “CSA – Centro Sperimentazione Autosviluppo” di Iglesias, inSardegna. Teresa ha iniziato la sua relazione citando alcune figure magistrali che hanno«orientato» il suo percorso formativo, professionale e personale18.

Sono stata insegnante e sono in pensione da 10 anni, mi sono associata almovimento di cooperazione educativa MCE e ho potuto capire ancora di più ilmessaggio di dare la parola a chi non l'aveva. Era il tempo di Don Milani. AncheDon Milani l'ho conosciuto tramite il prof. Capitini. Quindi una serie di maestri eformatori che hanno orientato la mia vita, verso un'attenzione agli “esclusi” a chinon aveva la possibilità di esistere e ricordo la pedagogia popolare di Freinet cheho praticato per più di 30 anni nella scuola e anche la possibilità che ho avuto diconoscere la pedagogia di P. Freire […].

[…] Queste riflessioni che ho fatto rispetto alla mia formazione mi fanno pensareche la vita di ciascuno di noi è veramente un intreccio e non è solo una storiaindividuale e come diceva Neruda: “la mia vita è anche la vita degli altri”. Citandole sue parole tratte dal libro “Confesso che ho vissuto” autobiografia di P. Neruda:“forse non vissi in me stesso, forse vissi la vita degli altri, la mia vita è una vitafatta di tutte le vite”. Anch'io trovo che la mia storia individuale è un intreccio ditutte queste vite, di tutti quelli che ho citato e di tutti quelli che non cito, perchénon hanno importanza per questo contesto.

L'argomento di maggiore interesse in questo passaggio è l'utilizzo della metaforadell'intreccio per indicare l'influenza degli altri sul proprio percorso personale. La storiaindividuale non viene vista come un percorso lineare semplice, ma come un intrecciocon i “fili” di altre storie individuali. L'importanza della metafora dell'intreccio per lacomprensione dell'interdipendenza e delle complesse reti di interazione nei sistemisocio-ecologici emerge in diversi momenti della ricerca, fino a diventare un elementoprincipale della riflessione sulla rappresentazione della complessità (si veda p. 305).

La lezione di Piras costituisce il primo momento del fieldwork in cui ho osservatoconsapevolmente l'utilizzo di questa immagine. Questo utilizzo mi ha rimandato ad unprecedente intervento di Marco M. (p. 114), che ho riletto attraverso la metaforadell'intreccio: «[…] il Germoglio, il progetto Macramè ed il Centro Diurno […]rientrano tutti insieme in un percorso comune e strettamente intrecciato». Anche lastoria delle organizzazioni poteva dunque essere rappresentata tramite un intreccio,costruito attraverso le collaborazioni. In questa prospettiva ho rivisto anche il concettodi “contaminazione”, usato nei discorsi della Commissione di Villa Buri. Lo stessoconcetto viene usato, in termini diversi ma con significato simile, nel linguaggio dellateoria delle comunità di pratiche, per indicare le parziali sovrapposizioni ai confini di

18 I testi citati di seguito sono tratti dalle trascrizioni delle registrazioni audio degli incontri, curate da volontari e soci-lavoratori di Mag e resi disponibili sul sito internet come materiali didattici. Il testo dell'incontro di Piras è stato trascritto da Nadia A.. In rari casi integro con passaggi tratti dalle mie note di campo. Le integrazioni sono, come al solito, contrassegnate dall'utilizzo delle parentesi quadre.

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diverse comunità, che permettono l'esposizione dei partecipanti a pratiche diverse daquelle della propria comunità. Attraverso le collaborazioni, le organizzazioni intreccianoquindi i propri percorsi, le storie, le pratiche e le competenze.

Dopo essersi presentata, Piras ha focalizzato il suo intervento sulle attività e sulleesperienze dell'organizzazione di cui fa parte, il “Centro SperimentazioneAutosviluppo”. Si tratta di un gruppo formato principalmente da donne, situato adIglesias in Sardegna, la cui principale attività consiste nella creazione di un circuito diturismo responsabile (o di ospitalità diffusa) chiamato “Domus Amigas”19. Nel seguentetesto introduttivo sono contenuti riferimenti ad una serie di argomenti che possonoessere considerati come emblematici del paradigma dei beni comuni e dell'auto-organizzazione. Approfondisco questi temi di seguito tramite altri passaggi tratti sempredal discorso della relatrice, trascritto e pubblicato sul sito di Mag Verona.

Gli anni dal '70 al '90 sono gli anni di chiusura delle miniere. In questi 20 annicircolavano molti interrogativi sul futuro del territorio, quella delle miniere eraun'economia secolare, ci si interrogava: “quale sarà il futuro, come sarà la vita?”.Sono stati anni di grande elaborazione. Il mondo maschile elaborava grandiprogetti legati soprattutto all'industria, è nato in quegli anni un movimento: “per ilparco geo-minerario storico ambientale della Sardegna”, praticamente un grandeprogetto per il recupero e valorizzazione del patrimonio minerario. Anche noi comedonne, abbiamo partecipato anche se non eravamo in sintonia con tutto. E quicomincia una riflessione diversa per noi, per me. La crisi delle miniere era certo lacrisi di un territorio, ma per me anche la crisi di un modello di economia, di societàe di vita. La fine del modello minerario, intendendo quel modello di economiabasato sul prendere dalla terra, prendere sempre di più dalla terra, senza restituire,lasciando anzi dietro di sé un'eredità di scorie, di malessere, di rovine. Questa“ricca” economia mineraria in poco tempo ha lasciato dietro di sé rovine, scorie,residui, e quindi per me urgeva una forte riflessione. Bisognava “uscire” dallaminiera, e abbandonare la visione mineraria della vita, per dare inizio ad un altromodo di abitare la terra, una terra viva e non una terra da saccheggiare con la qualeentrare in sintonia e in relazione. (Piras 2013: 6)

Il primo argomento è costituito dalla crisi del modello culturale fondato sulla crescitaeconomica illimitata. Nella zona di Iglesias la crisi del sistema capitalistico prende laforma di crisi dell'industria mineraria, nella quale il territorio era largamente coinvolto.Per questo la relatrice propone la metafora dell'economia estrattiva, fondata cioè sulcostante consumo di capitale naturale, il «prendere dalla terra», per indicare l'interomodello culturale, «la visione mineraria della vita». Questo modello viene riconosciutocome dannoso perché è «lineare», «prendere sempre di più dalla terra, senza restituire»,si preoccupa di trasformare il capitale naturale in capitale economico («una riccaeconomia»), ma non di rigenerare il suo sostentamento.

Il modello proposto e perseguito dal gruppo rappresentato dalla relatrice è invececircolare, e si basa sul concetto di relazione tra gli abitanti e le risorse.

[…] il cerchio, l'economia mineraria non è un'economia del cerchio è un'economia

19 La comunità di pratiche delle Domus Amigas e del CSA è una delle protagoniste del libro Davide e Golia (Bertell et al. 2013b: 30).

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lineare della crescita, la nostra vuole essere un' economia del cerchio, dellavalorizzazione dei luoghi, del limite ma non della chiusura. Il cerchio non vuolerappresentare la chiusura però il limite si. Un'economia del limite dove tutto va etutto torna, qui c'è anche la riflessione scientifica: la vita nasce e si sviluppasoltanto nella cooperazione, fuori da questa relazione non esiste la vita. Un libro diCapra, Ecoalfabeto [Capra 2005], contiene la visione scientifica della vita comecooperazione. […] (Piras 2013: 8)

Il modello circolare descritto è vicino sia al modello culturale dei subak balinesi che almodello culturale elaborato dalla scienza della sostenibilità e dei sistemi complessi,entrambi esposti nel primo capitolo. Questa lezione didattica presso Mag testimonia cheall'interno della comunità di pratiche del fieldwork circolano e vengono proposti esempidi questo modello. Il riferimento a Fritjof Capra è significativo in quanto si tratta di unodei più importanti esponenti della scienza dell'ecologia e dei sistemi complessi, autoredi molti testi divulgativi che promuovono una visione della vita fondata sulla metaforadella rete di relazioni (Capra 1982 [1975]; 1984 [1982]; 2001 [1997]; 2002; 2014)20 eco-fondatore del Center for Ecoliteracy di Berkeley con l'obiettivo di promuove ilpensiero sistemico complesso e orientato alla sostenibilità nella scuola primaria esecondaria.

Nel discorso della relatrice, i modelli lineare e circolare si contraddistinguonoattraverso alcune caratteristiche opposte. Al primo corrisponde un atteggiamentodefinito «maschile», incentrato sull'ideazione di «grandi progetti» per il territorio,elaborati a partire dall'alto, per cui le persone restano «immobili» in attesa deifinanziamenti provenienti dall'esterno della comunità locale. Al secondo corrisponde unmodo definito «femminile», per cui le persone elaborano piccoli progetti, realizzabilinel presente e senza bisogno di denaro, a «partire da sé» e dal proprio «quotidiano», esolo dopo si estendono alla comunità e al territorio, innescando il cambiamento dalbasso nell'ottica dell'«auto-sviluppo».

La parola d'ordine che circolava tra di noi, (uso questo termine per esprimere cheera una cosa molto forte per noi), era che volevamo contare sulle nostre forze e nonaspettare che altri decidessero per noi, che altri ci proponessero modelli disviluppo, che ci proponessero delle soluzioni ai nostri problemi. Noi avevamoquesto forte senso che è un principio fondamentale della nonviolenza gandhiana:swarai, contare sulle proprie forze come individui, swadeshi21 contare sulle proprieforze come collettività. Avevamo questa forte consapevolezza che volevamocontare sulle nostre forze, avere fiducia in noi, sulle nostre capacità di sognare unfuturo come lo volevamo noi, secondo criteri diversi da quelli della società nellaquale eravamo inseriti. […] L'auto-sviluppo (oggi non è il massimo usare la parolasviluppo) per noi che l'abbiamo ideata in quegli anni ha il significato di “auto-realizzazione”, di “capacità di autogestione” quindi non importa se la decrescita

20 Si prenda nota del fatto che nel libro Il Tao della Fisica, in particolare, Capra mette in relazione la conoscenza della fisica contemporanea con quella della metafisica orientale, tra cui le visioni del Buddhismo e dell'Induismo su cui si fonda anche la metafisica balinese implicata nella costruzione del modello culturale dei subak.

21 Anche l'associazione Le Matonele di Verona utilizza il concetto gandhiano di Swadeshi (“La nostra visione | Le Matonele” 2012).

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critica la parola sviluppo, non fa niente, noi la usiamo con questo significato diauto-realizzazione personale e collettiva della comunità di autogestione, diimparare a risolvere i problemi in modo comunitario valorizzando le risorse dellepersone, di un luogo (Piras 2013: 7-8).

Il passaggio descrive il paradigma dell'auto-sviluppo locale da un punto di vista internoalla comunità cui la relatrice appartiene. Il discorso mette in grande rilievo l'esigenza diautonomia, di libertà dalla dipendenza da istituzioni esterne, per la gestione dellapropria economia e della vita comunitaria. Questo corrisponde al principio della teoriadei beni comuni secondo cui il diritto di elaborare le proprie regole di gestione dellerisorse da parte dei membri della comunità deve essere rispettato dalle autorità esterne(E. Ostrom 1990: 101; 2007: 7).

Il rapporto con le istituzioni è dunque visto completamente all'interno dell'ottica deibeni comuni, laddove il valore primario è posto nel rispetto del diritto all'auto-organizzazione, e solo in un secondo momento nella ricerca di sostegno e difinanziamenti da parte delle istituzioni.

[…] qui, in questa esperienza, il valore del denaro è stato ridimensionato, nel sensoche noi diciamo: “possiamo fare delle cose anche senza denari.” E infatti leabbiamo fatte senza il denaro. Abbiamo creato la rete delle Domus senza il denaro.Mentre gli altri progetti più grandi che avevano bisogno di denaro sono ancorafermi. Noi siamo andati avanti e abbiamo portato nel territorio economia, anchedenaro. Questo discorso del denaro lo abbiamo fatto con molto coraggio edeterminazione dicendo che noi potevamo fare delle cose anche senza il denaro.Non perché non abbiamo bisogno del denaro ma perché volevamo dimostrare ilpotere delle persone di fare delle cose e di cambiarle. Io ero molto determinata suquesta cosa, e non andavamo a chiedere denaro neanche alle istituzioni. Abbiamocontato sulle nostre forze veramente. Dopo dieci anni di lavoro le istituzioni cihanno visto, ci hanno riconosciuto il valore, un valore formativo nel territorio e cihanno affidato dei progetti. Abbiamo avuto un po' di denaro dalle istituzioni, loabbiamo preso perché erano progetti in sintonia con le nostre idee. Lo abbiamopreso e ci ha consentito di ridistribuirlo ai giovani operatori che potevano lavorarecon quel denaro. Abbiamo ridimensionato il ruolo del denaro nel cambiamento,perché la gente diceva: “Non possiamo fare niente, non abbiamo denaro. (Piras2013: 16)

La capacità di auto-organizzarsi permette di mettere a frutto le risorse (umane, sociali,simboliche, naturali, e così via) interne alla comunità. Ciò costituisce una forma diempowerment della comunità, il cui valore è ancora più comprensibile tenendo contodel contesto capitalistico che viene percepito come una forza di disempowerment, comedimostra il passaggio seguente.

Oggi nel nostro territorio oltre alla crisi delle miniere c'è la crisi dell'industria, equindi ancora si ripropone questo problema. Non possiamo fare niente perché nonci sono soldi”, No, non è questo il punto di partenza. Il punto di partenza è crederenella nostra indipendenza nella nostra capacità di essere umani di creare delle cose.E questo la società globalizzata ce l'ha tolto, ci ha tolto questa fiducia. Ci ha resodipendenti da chi ha i soldi. (Piras 2013: 16–17)

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L'approccio descritto «ridimensiona[…] il ruolo del denaro nel cambiamento»,mettendo al primo posto la capacità di auto-organizzazione, la «sperimentazione» el'azione diretta.

“Centro Sperimentazione Auto Sviluppo” […]. Come dicono le parole, lasperimentazione è qualcosa che ci derivava dalla conoscenza della non violenza eci invitava a fare delle azioni, a vivere, a provare a fare delle cose, correggendociman mano che andavamo avanti. Abbiamo iniziato a “fare” delle azioni che ormaisono diventate comuni al mondo delle economie alternative, allora erano pioniere.Quindi, fare delle cose, provare a farle, correggendoci e imparare dagli errori.(Piras 2013: 7)

Allo stesso tempo appare un rapporto in un certo senso indiretto, graduale o differitocon il cambiamento della società. Il cambiamento deve “partire da sé” e solo attraversopassaggi successivi attraverso i livelli di organizzazione superiori, può giungere fino aiterritori allargati e alle istituzioni.

[…] Noi ci siamo trovate nella situazione in cui, o rimanevamo immobili adaspettare i soldi per realizzare i progetti o partivamo dal quotidiano, è questa la viascelta e forse la specificità femminile, siamo partite da quello che mangiamo ognigiorno. Un'economia su che cosa si basa? Si basa sulla soddisfazione dei bisogniprimari, mangiare, vestirsi. Noi abbiamo detto: “Possiamo dipendere di più dalnostro territorio anziché dal supermercato?” Abbiamo fatto questo ragionamentoquotidiano, di far tornare i conti sul cibo, e abbiamo detto “proviamo” così alcunidi noi si sono sganciati dal supermercato e abbiamo iniziato a vedere se potevamofarlo da noi, se potevamo cambiare l'economia partendo da noi. Poi è diventato unprogetto anche del territorio, a questo punto potevamo andare dalle istituzioni adire che noi conosciamo cinque aziende che sono biologiche, noi avevamo visto ilnostro territorio sotto altri punti di vista. Abbiamo fatto quel passo.

Forse la parte maschile dell'umanità è più difficile che lo faccia, la parte maschilepensava al grande progetto, pensava al denaro che doveva venire, al capitale chedoveva essere dato come doveva essere realizzato e faceva grandi progetti, noifacevamo piccoli passi e cosa abbiamo scoperto dopo dieci anni? Che abbiamofatto grandi passi. Abbiamo avviato il nuovo turismo che loro non hanno ancorafatto, stanno aspettando che arrivino i capitali per ristrutturare le case della minierache nel frattempo si sono distrutte. Gli stessi promotori di grandi progetti nonconoscevano questo. Dicevano con stupore “voi state già facendo le cose e senzadenaro”. Avevamo creduto nella possibilità delle persone di iniziare un percorso.La cosa sorprendente è che lo vedono a posteriori, perché prima non ci credevoneanche io che potesse avere questo grande successo, […]. A posteriori dico cheabbiamo fatto un bel lavoro perché abbiamo creduto nelle persone, nei valori e cisiamo impegnati. Siamo pochissime adesso, però continuiamo ad avere un grandesignificato nel territorio: ce lo siamo conquistati senza volerlo conquistare. (Piras2013: 18-19)

Questo concetto di organizzazione “dal basso”, inteso in senso particolarmente letterale,è riscontrabile anche nel discorso generale dell'economia solidale, con i già citati livellidi organizzazione successivi costituiti da gruppi di acquisto solidale, distretti e reti dieconomia solidale22. Questo discorso è riscontrabile anche interno della comunità di

22 A questo proposito ricordo una domanda da parte di Andrea Tronchin in una conversazione personale:

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pratiche di Mag Verona, cui iniziavo ad approcciarmi attraverso il materiale scrittodell'organizzazione, come segnala il passaggio qui riportato.

L'adozione del principio di sussidiarietà come principio architettonico di un nuovoordine sociale che va dal livello micro, relazioni interpersonali, passando per tutti ilivelli intermedi, configura una società alternativa sia a quella liberale sia a quellasocialista, entrambe intese in senso stretto, moderno, sia anche ai loro mix.

Queste nuove possibilità e scelte dettate dallo sviluppo dell'Impresa Socialeobbligano i fautori dell'una o dell'altra posizione (Stato o mercato) a confrontarsicon un universo di alternative possibili a quella che, in entrambi i casi,costituirebbe un'espropriazione dei commons, considerando modelli di gestione dalbasso, fondati su nuove ed antiche forme di empowerment delle comunità di utentidi risorse collettive. (Ziviani e Aldegheri 2011: 15)

In questi discorsi è anche riscontrabile la presenza di un ragionamento più ampio, chericorda i principi della governance policentrica e multi-scala.

[…] posso dire che anche le Istituzioni hanno iniziato a guardarci con rispetto.Recentemente ci ha convocato la Regione perché doveva modificare la legge sulturismo e ci voleva sentire. (Piras 2013: 19)

[…] Loredana: Sta succedendo, diceva anche Teresa nell'esempio, che le Istituzionistanno percependo qualche cambiamento come è successo a noi negli anni 2000,abbiamo visto che l'Europa nel rilanciare l'economia sociale ha citato l'esempiodelle MAG in Italia. Stanno entrando nelle Istituzioni anche persone nuove, nonburocrati ecc. che in qualche modo vedono quali sono le idee buone e giuste equindi le mettono nei bandi. Le cose spesso poi si ingarbugliano, ma non sarebbebene che l'Europa, le Regioni si mettano a guardare queste realtà e dicano “noidobbiamo essere a servizio di queste realtà innovative, perché hanno autenticità,senso, validità economica, validità sociale”?! E quindi ben venga che l'Europa,sburocratizzando i bandi, si metta ad osservare ed operare diversamente […].

In entrambi i passaggi citati il movimento dal basso è assegnato specificamente al flussodi informazione. Ciò è importante affinché le organizzazioni dei livelli superioripossano ascoltare ed accogliere i segnali locali, di importanza vitale. Gli schemi e le retidi comunicazione e interazione (in particolare i processi decisionali), invece, sonocomplesse e non necessariamente si inseriscono perfettamente in una dinamica bottom-up in senso stretto.

Nel modello proposto il coinvolgimento degli altri, e in generale del territorio, vienedescritto anche attraverso l'immagine dell'«onda oceanica».

Teresa P.: Siccome di fatto sta succedendo, che chi ha costruito la sua DOMUS inun paese, si unisce ad altri dello stesso paese e promuove iniziative, ci sembravaimportante incoraggiare questo, cioè che le cose che iniziano poi si allargano, c'èuna bellissima immagine che Gandhi usa: “L'Onda oceanica”, un'onda che pianopiano si allarga e raggruppa le altre onde […] di cui si perdono le tracce.

[…] Noi abbiamo cominciato con un'idea che poteva sembrare folle, ovvero

“Secondo te quanti livelli di rete esistono?”. Non sapendo cosa dire ha risposto lui stesso nominando “famiglia, Gas, Des, Res nazionale, reti internazionali e reti globali”.

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pensare di cambiare l'economia a partire da noi. Noi pensiamo che questo siapossibile perché l'abbiamo sperimentato nella nostra vita quotidiana e stiamocercando di lavorare nel territorio perché questa idea diventi anche l'idea dellanostra comunità. Questo è il lavoro che stiamo facendo, probabilmente non lovedremo realizzato noi nel corso della nostra vita, però i passi che stiamo facendosono questi. […]

L'immagine dell'onda oceanica indica la diffusione al di là delle sperimentazioni inizialidi iniziative e pratiche che vengono adottate e copiate altrove o che stimolano ulterioriiniziative.

Questo approccio può far emergere una problematica psicologica, una criticità cheviene messa in evidenza da un intervento durante la discussione finale.

Partecipante: Nel nostro gruppo abbiamo parlato della differenza tra il modofemminile e maschile di vedere la questione. Ci si chiedeva se nel vostro centrosiete tutte donne o ci sono anche uomini, penso che il pensiero femminile siavincente rispetto a quello maschile. Il pensiero femminile dice “guardiamo checosa c'è” quello maschile va a sottolineare le assenze “mi manca qualcosa”. Unaltro pensiero emerso nel gruppo è che è più facile che le donne facciano reteformando l'onda che si diceva prima che ad un certo punto non si capisce più dadove sia nata, piuttosto di un pensiero maschile che cerca il riconoscimento (sonoio che ho fatto partire l'onda). La voglia di riconoscimento toglie la possibilità dicreare il mare e trovare altre onde. La difficoltà che il maschio ha di fare rete e poidi sparire dietro le quinte esiste, mentre per le donne mi sembra più naturale.

L'eccessivo bisogno di «riconoscimento», maggiormente attribuito alla modalità diazione maschile, è considerato come un ostacolo per il «fare rete» nella modalitàdell'«onda oceanica», per la quale è necessario anche saper accettare di «sparire dietro lequinte». Sembra che l'esigenza di protagonismo (intesa in senso personale o del singologruppo) possa costituire una barriera per il fare rete quando l'attenzione delle persone siferma più sul tracciare la “paternità” di idee e azioni («sono io che ho fatto partirel'onda»), anziché sull'interazione e sulla diffusione delle idee e azioni («creare il mare etrovare altre onde»).

Riprendendo il discorso di Piras appena citato (p. 186) si può osservare come ilcambiamento sociale venga prodotto in modo graduale, un passo alla volta, senzapretendere di ottenere subito un risultato completo, ma attraverso una continuariproposizione del modello circolare “ad ogni passo”. Inoltre, sempre all'internodell'approccio definito “femminile”, ogni passo è un “piccolo passo” nel senso di essererealizzabile. Si veda più in dettaglio l'esempio del raggiungimento del consumo criticoall'interno delle Domus Amigas, specificamente dei prodotti del commercio equo-solidale.

Teresa P.: Con i consumi quotidiani non collaboriamo allo sfruttamento di altripopoli ma prestiamo particolare attenzione alla provenienza dei prodotti epreferiamo quelli dei circuiti equo solidali e dei prodotti locali. Questo è untraguardo, perché non tutte le famiglie aderiscono subito a questo progetto, ma noicostantemente lo riproponiamo e quello che è successo, di molto interessante, è chegli ospiti che sono venuti hanno incoraggiato le famiglie delle Domus ad avere i

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prodotti del commercio Equo: li chiedevano. C'è stato questo rafforzamentodall'esterno di una proposta che noi facevamo dall'interno. […] Non pretendiamo diaver raggiunto la perfezione ma sappiamo di aver iniziato insieme un cammino.

Non tutte le persone coinvolte hanno aderito subito al progetto poiché, nonostante leapparenze, si tratta anche in questo caso di un “grande passo”. Ciononostante, leprotagoniste del CSA hanno continuato costantemente a riproporne l'adesione e hannopersino osservato l'instaurarsi di un feedback positivo da parte degli ospiti poiché,orientandosi ad un turismo responsabile, anche i “clienti” rinforzavano l'idea delcommercio etico.

Il “paradigma dei piccoli passi” descritto implica quindi contemporaneamente il“partire da sé” e dal quotidiano, la realizzazione di progetti e attività realizzabili, unapproccio al cambiamento sociale bottom-up e “indiretto”. Infatti Piras afferma che«dopo dieci anni» di «piccoli passi» lei e il suo gruppo hanno «scoperto» di aver «fattograndi passi» (in particolare di aver «avviato il nuovo turismo» nella zona). Specificainoltre che il «grande successo» ottenuto è divenuto visibile soltanto a posteriori (siadall'esterno, che dall'interno) e che il loro comportamento era motivato dall'aver«creduto nelle persone, nei valori» e nell'essersi «impegnati» in tutti i piccoli passi piùche dall'aver perseguito la realizzazione del grande progetto di attivazione di una risorsaeconomica alternativa (il turismo) per il territorio. In questo modo il CSA, «senzavolerlo», ha conquistato «un grande significato nel territorio». Questo approccioindiretto entra in risonanza con quello relativo alle scienze sociali descritto nel secondocapitolo (p. 65), secondo il quale per perseguire il cambiamento sociale, anzichéorientare il comportamento sulla base di un fine programmato, è necessario porrecostantemente l'«attenzione alla direzione e al valore inerenti agli atti» (Bateson 1976[1972]: 175).

Nonostante la cautela della relatrice («Non pretendiamo di aver raggiunto laperfezione»), l'esperienza da lei raccontata viene percepita dai partecipanti come uncaso di grande successo. «Possiamo dire che quest'esperienza, che state facendo, è dielevatissima qualità», ha osservato un partecipante. In confronto, come messo inevidenza da alcuni interventi durante la discussione finale, la situazione veronese vienegiudicata meno riuscita, meno completa o efficace. All'interno del mio gruppo23, durantela discussione per gruppi, questo punto è stato sottolineato in modo molto evidente inriferimento alla pratica relazionale del CSA.

M. Teresa G. (socia fondatrice Mag): Noi come Mag dobbiamo dedicarci al farerete, a mantenere le relazioni, cioè rispetto a quello che fanno in Sardegna ci mancauna continuità, una referenza reciproca, una circolarità. Noi intessiamo relazioni si,ma poi non ci preoccupiamo di mantenerle, ravvivarle, dare forza alla rete, comefanno loro.

[…] Un socio Mag: Interessante questa capacità di spinta originale. Sono dei puntiche rimangono in relazione tra loro grazie a questa politica relazionale originale.

23 I commenti che seguono sono trascritti a partire dalle mie note di campo.

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Emerge l'importanza di mantenere le relazioni, di “mantenere viva” la rete. Uncommento indica la «politica relazionale originale», cioè la pratica relazionalesviluppata tra donne del Centro e poi mantenuta nelle nuove relazioni istituite dalCentro, come fonte del loro successo nel mantenere le relazioni. Per Mag mantenere lerelazioni significa principalmente riuscire a mantenere un rapporto più costante con letante realtà con cui entra in contatto, anche dopo il termine del rapporto più strettamentefunzionale (fornitura di servizi). Inoltre M. Teresa G. nota la mancanza della«circolarità» delle relazioni, cioè la «referenza reciproca», che nell'analisi delle reti enella teoria dei grafi è indicata come bidirezionalità dei legami.

Un ulteriore commento è ancora più duro nel riferirsi al deficit di relazionalità delterritorio veronese, definendo le iniziative meritevoli delle «monadi»24, che nasconocome dei casi isolati, non si uniscono alle altre “onde” e non innescano quel processo dicambiamento sociale diffuso descritto dalla metafora dell'«onda oceanica».

[…] Noi ci sentiamo delle monadi. Non so come mai, qui il territorio è menoidentitario rispetto al caso che ci ha mostrato oggi, forse per causa di un benessereancora diffuso. Io per esempio […] questa cosa non è replicabile. Rimane unamonade. Non suscita repliche da altri.

Il commento ipotizza che la situazione di deficit relazionale del territorio sia dovuta allapresenza di «un benessere ancora diffuso», utilizzando la parola benesserenell'accezione economicistica che si riferisce ai beni privati/materiali. Secondo questoragionamento, nel territorio veronese il benessere materiale medio, più elevato rispettoal caso di Iglesias descritto, inibirebbe il bisogno di adottare strategie di cooperazione(di sviluppare beni comuni), dato che per molti è possibile perpetrare nello status quodelle strategie individualistiche tipiche della società capitalistica.

Questo è confermato da un altro intervento che sottolinea il ruolo della crisi diffusa egeneralizzata nel creare la situazione favorevole all'emergere dell'auto-organizzazionecomunitaria.

[…] Partecipante: Possiamo dire beata la crisi perché ha stimolato la gente, ilterritorio a cogliere meglio le proposte?

Teresa P.: Direi di sì, quale è stata la forza? La forza è trovarsi e domandarci comepossiamo vivere? Questa è stata la forza che ha unito che ha aggregato che ha fattovenire la gente a parlare, a pensare. Adesso con la crisi dell'industria la gente si stanuovamente riunendo per dire: “Ma come facciamo, ce ne andiamo? Andiamo viatutti da qui oppure ci inventiamo qualche altra cosa? La crisi è importante perché eil punto di unione tra le persone che si ritrovano a dire: “Solo se troviamo un puntodi unione possiamo uscirne.

Partecipante: Dobbiamo prendere la crisi come un'opportunità per riattivarcicercando di attivare le soluzioni più fattibili a misura nostra. […]

24 Il commento si riferisce all'accezione leibniziana del concetto di monade, secondo la quale ogni monade è una sfera indipendente dalle altre, completamente autonoma e all'interno della quale la realtà esterna non ha influenza.

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La relatrice ha confermato che la sua comunità ha sperimentato una forte motivazione –prodotta dalla crisi – a riunirsi per discutere, proporre e condividere idee e soluzioni. Lacrisi è considerata «il punto di unione» per persone diverse che si trovano a fronteggiareun identico problema. Il ruolo della crisi è dunque ritenuto fondamentale nell'accrescerela percezione del vantaggio di elaborare soluzioni alternative, comunitarie e innovative.Senza la pressione della crisi, possono sembrare più vantaggiose strategie individuali eormai “tradizionali” che non necessitano dei percepibili costi di innovazione e dicooperazione.

Questo argomento si collega al tema dell'origine o genesi dei beni comuni, affrontatoda Francesco Grottola nella rivista “AP – Autonomia e Politica Prima”, il «trimestraledi azione Mag e dell'economia sociale» pubblicato da Mag Verona25.

[Elinor Ostrom] riconosceva che il passaggio da strategie individuali a coordinate,ovvero l'origine primaria di un'istituzione, si innesta in una presa di coscienza, unaconsapevolezza da parte dei membri di una comunità, che il mantenimento distrategie individualiste porta a danneggiare il bene comune e che quest'ultimorisulta salvaguardato da un'azione collettiva sinergica […]. (Grottola 2012: 10)

[…] un bene comune nasce sempre da una mobilitazione, da una rinnovatapercezione dei bisogni […] (Grottola 2012, 12).

La crisi è ritenuta dunque capace di favorire la «presa di coscienza» del valore dellacollaborazione e della necessità di cambiare rotta collettivamente rispetto ad unpercorso che, solo grazie al suo fallimento reso visibile appunto dalla crisi, vienepercepito come innegabilmente negativo. Utilizzando un linguaggio più economico, sipotrebbe dire che la crisi rende visibili i costi nascosti del sistema individualistico, chevanno a ridimensionare la percezione dei costi di cooperazione (questi ultimicorrispondono alla ri-costruzione del capitale sociale consumato).

Questo punto di vista sulla crisi richiama l'argomento sulla “pedagogia dellecatastrofi”, utilizzato ad esempio da Serge Latouche (2007: cap. 12), uno degli autoripiù conosciuti nella comunità di pratiche della società civile. Riprendendo riflessioni dialtri autori come Denis de Rougemont, Hans Jonas e Jean-Pierre Dupuy, Latoucheafferma che la stessa catastrofe provocata dall'applicazione su scala planetaria delmodello socio-economico della crescita illimitata, ha il potenziale pedagogico di“svegliare il mondo” e di aprire gli occhi delle persone e dei decisori politici, neiconfronti degli effetti distruttivi del paradigma capitalistico. Se l'umanità sopravviveràdunque alla catastrofe da essa provocata, questa scatenerà la presa di coscienzanecessaria per creare un nuovo paradigma sostenibile.

L'argomento emerso nel dibattito sembra considerare che il benessere materialeancora diffuso sul territorio veronese impedisca la percezione chiara della crisieconomica, ambientale e sociale (i cui effetti sono più visibili altrove) e non inneschi lapresa di coscienza necessaria alla costruzione di esperienze efficaci di economia

25 Analizzo il testo in dettaglio a p. 205.

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solidale, decrescita, e così via. Ascoltando questi interventi avevo la sensazione che ilmodello esposto dalla relatrice avesse messo i partecipanti “sulla difensiva”,spingendoli a cercare giustificazioni per spiegare come mai nella propria comunità nonfossero riusciti a costruire un'esperienza così “virtuosa, radicale, unitaria e di successo”come quella narrata. In base a questa percezione ho deciso, nella discussione plenariafinale, di fare un intervento per portare l'attenzione sulle tante esperienze delle retiveronesi che erano all'opera, dato che ormai ne conoscevo già un discreto numero.

[Miro]: Volevo dire di iniziative di Verona che assomigliano a quelle di cui lei haparlato, per quanto riguarda il turismo sostenibile e responsabile, c'è Rotte Locali,per quanto riguarda la rete di economia solidale c'è Mag, il sistema agricoloproduttivo locale c'è Bioloc.

Il mio intento, nel fornire questo elenco, era di mostrare la possibilità di una letturacostruttiva della lezione, come stimolo, e di un atteggiamento costruttivo nei confrontidel territorio, fondato su “cosa c'è” e “cosa si può fare” (in sintonia con lo spiritodescritto dalla relatrice). La mia intenzione è stata colta da M. Teresa G., che con tonopositivo ha proseguito l'elenco, aggiungendo ulteriori reti.

[M. Teresa G.]: Ci sono anche altre realtà come [Adiconsum per i consumatori e]Agile che si sta occupando dell'architettura industriale abbandonata […]. Le retisono molte a Verona e credo si possano fare delle reti più intense.

L'intervento successivo, di Elisabeth G. dell'agenzia “Verona Innovazione” dellaCamera di Commercio di Verona, ha riportato l'attenzione di nuovo su “ciò che manca”.

[Elisabeth]: Volevo aggiungere, io mi occupo di un progetto europeo chepraticamente vuole creare imprese che nascono dal territorio, dalle tradizioni, dallepratiche sociali, perché se ci sono delle imprese fortemente radicate nel territorio,non vado a delocalizzare e quindi si crea un circolo virtuoso. Noi, lavorando conaltri partner internazionali, vediamo che Verona è una realtà più grande rispetto adaltre. Eppure c'è una mancanza di visione e di strategie, e quando manca la visionesiamo ben lontani da come opera un partner austriaco che ha deciso che la lororegione, nel 2020, arriverà ad essere sostenibile rispetto al vivere e quindi stalavorando per questo. Le casalinghe che fanno marmellate e le vendono creanospazi per chi gestisce gli orti, creano un ambiente più bello e così si scambia ecostruisce comunità. Però qui mancano le reti fondamentalmente.

[M. Teresa G.]: Ci sono ma devono prendere più forza.

Da questa discussione risulta evidente che la situazione veronese, pur presentandodiverse esperienze di rete che vanno nella stessa direzione del modello esposto, vienegiudicata inefficace. I presenti ritengono che le tante diverse esperienze e reti presentimanchino di «forza» e non riescano a cambiare l'organizzazione dell'economia locale,che nel suo insieme rimane all'interno del vecchio modello lineare economicistico. Lereti esistenti mancano di visibilità e i partecipanti di queste reti mancano di «visione» edi «strategie». In pratica c'è la percezione che il cambiamento rimanga circoscritto adelle nicchie e non si diffonda nel territorio.

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Ancora una volta leggo questi interventi attraverso la lente costituita dall'esperimentodi auto-rappresentazione della comunità. Lo strumento del grafo della rete potrebbeandare ad influire sulla dimensione della visione, fornendo alle tante realtà distinte lapossibilità di “vedersi” nel loro insieme relazionale, cioè – in prospettiva – come unasola rete plurale e complessa. Questo inoltre permetterebbe di mantenere in un certosenso sia il punto di vista del mare di onde indistinte (la rete), che quello della singoleonde (i nodi), il “femminile” e il “maschile”.

La documentazione dell'incontro e del modello dell'auto-organizzazione raccontatoda Piras mi permette di mettere in evidenza il livello di familiarità e la modalità con cuiconcetti quali auto-organizzazione, beni comuni, sostenibilità, relazioni di rete,collaborazione (che sono alla base della teoria di riferimento per questa ricerca) sonodiscussi all'interno della comunità di pratica che ruota attorno a Mag. Alcuni dei temipresenti nella lezione sono stati approfonditi nelle lezioni successive del corso. Adesempio l'auto-costruzione insieme al co-housing sono i temi principali della secondalezione, tenuta dal bio-architetto Giovanni Ceriani; il ridimensionamento del ruolo deldenaro è al centro della lezione di Luca Iori di “Mag Reggio Emilia”; l'«economiacivile» della lezione del professor Luigino Bruni, e così via. Al termine del master èstato organizzato un incontro aggiuntivo di auto-valutazione dell'esperienza diformazione vissuta, che descriverò più avanti (p. 236), dopo aver completato il quadrodell'approccio ai beni comuni circolante nella comunità di Mag.

Proposte e strumenti per la “regia” dei beni comuni

Il 28 gennaio, tre giorni dopo la lezione di Teresa Piras, il modello dei beni comuni èstato discusso in televisione nazionale nella rubrica “Fuori Tg”, lo spazio diapprofondimento del “Tg3” condotto da Maria Rosaria De Medici. Ospiti della puntata,intitolata “Di chi sono i beni comuni?”, erano l'archeologo e storico dell'arte SalvatoreSettis, autore del libro Azione Popolare. Cittadini per il bene comune (2012), e ildocente di Diritto amministrativo dell'università di Trento Gregorio Arena, fondatoredell'associazione “Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà”.

La discussione si apre con alcuni esempi di beni comuni.

Studenti e genitori che ridipingono le aule scolastiche; amanti del verde chelavorano insieme per creare un giardino in una zona pubblica non utilizzata;cittadini che si organizzano per tenere aperta un'area culturale abbandonata.Cittadini, in altre parole, che si prendono cura dei beni comuni.

Le esperienze di cittadinanza attiva costituiscono quindi il focus del concetto di benicomuni emergente dalla discussione. I confini del concetto vengono però lasciati apertie ampliati fino ad includere le città e i diritti civili in generale.

De Medici: ambiente, territorio, paesaggio, monumenti, strade, la nostra città,diritti civili.

Settis: tutti questi diritti sono collegati tra loro, dobbiamo vederli insieme.

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Arena: la sussidiarietà è un principio costituzionale che ci consente di prendercicura del nostro paese. Fino al 2001 se qualcuno si occupava di quelle cose di cuiabbiamo sentito parlare (giardini, piazze o altro), di fatto veniva sanzionato perchénon era autorizzato a farlo. Quindi la sussidiarietà toglie il coperchio alle energiedei cittadini.

De M.: Sono anche cose nostre, ce ne possiamo occupare, ne abbiamo il diritto eadesso con questo principio ne abbiamo anche il potere.

A.: si credo che l'Italia sia un bene comune di tutti gli italiani, e come tali credo chedovremmo essere tutti responsabili. […] Un piccolo riscontro economico ce l'ha... epoi c'è il significato sociale di occuparsi del posto dove si abita, insomma.

Concepire i beni comuni in base all'atteggiamento del «prendersi cura» «del posto dovesi abita» permette di arrivare fino a considerare l'intero paese come un bene comune.

Arena: Non è che tutti devono essere cittadini attivi, è una questione divolontariato. Se qualcuno non vuole prendersi cura dei beni comuni, non èobbligato a farlo. E non è che i cittadini attivi siano persone migliori delle altre,solo che è gente che si sente responsabile. […] La chiave di tutto il discorso èuscire dalla logica della delega, smetterla di pensare che ci sarà qualcun altro che sioccuperà dei problemi al posto nostro. Io uno un'immagine: se io vado a cena da unamico e vedo che c'è una crepa nel muro, mi dispiace, perché è un amico, ma non èun problema mio. Ecco, 60 milioni di persone vivono in Italia come se fosseroospiti, cioè non vedono i problemi come se fossero loro. La cittadinanza attiva fa siche le persone si comportano come fosse casa loro, come se fossero a casa loro,quindi se uno vuole lo fa.

La metafora del prendersi cura si associa a quella dell'abitare nel costruire un discorsoopposto a quello della «delega». Abitanti che si prendono cura del paese considerandolola propria casa, al posto di persone che vivono come se fossero «ospiti». Il concetto di«proprio» nel discorso non si riferisce ad una concezione di possesso privato, ma ad unadi appartenenza collettiva, di partecipazione.

In questi termini risulta molto chiaramente la vicinanza tra il paradigma dei benicomuni e quello dell'auto-sviluppo descritto da Piras ed esposto nella sezioneprecedente, in particolare in riferimento al concetto di “partire da sé”.

Partire da sé significa dunque cominciare con il modificare/cambiare/trasformaretutto “ciò che dipende da noi”, tutto ciò che possiamo mettere in moto facendo lanostra parte senza delegare il cambiamento a qualcosa che è esterno o fuori di noi.(De Vita 2013: 66)

Come messo in evidenza da Antonia De Vita, il «partire da sé»26, «dal proprio piccolo»,«da dove si è», ovvero dalla «dimensione locale», corrisponde all'attivarsi in primapersona e attraverso le proprie relazioni senza delegare il cambiamento ad interventidall'esterno.

Arena mette chiaramente in evidenza il fatto che non si tratta di spingere tutti i

26 La pratica del “partire da sé” è stata messa al centro del pensiero e della pratica del femminismo delladifferenza, di cui uno dei riferimenti nazionali è la comunità di Diotima di Verona, a partire dagli anni'70 del Novecento.

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cittadini a cambiare atteggiamento nei confronti dei beni comuni. Il valore sta piuttostonel riuscire a mettere quei cittadini che spontaneamente desiderano contribuire eprendersi cura di beni comuni nelle condizioni di farlo al meglio, permettendo loro dimettere a frutto le proprie «energie» a beneficio dell'intera società. Per questo ilprincipio di sussidiarietà, incorporato nella Costituzione Italiana nel 2001 (articolo 118),è così importante. Con tale principio si rivaluta completamente il rapporto tra leistituzioni e i cittadini attivi.

Settis: Il funzionamento delle istituzioni è la prima cosa, se le istituzionifunzionano allora succedono cose molto belle come quelle di Piacenza [presentatoin trasmissione], e cioè la possibilità dei cittadini più attivi e desiderosi dicollaborare, di lavorare con le istituzioni va non solo salvaguardata ma promossa,perché è questo il modo di salvare la democrazia: fare sì che i cittadini si sentanoparte della macchina che fa funzionare il paese, sentano che lo stato siamo noi!

Arena: i cittadini attivi non sono tappabuchi delle inefficienze delleamministrazioni, è una forma nuova di cittadinanza, un modo diverso di esserecittadini […], responsabili, solidali, attivi.

Per Settis le istituzioni non solo devono accettare e permettere ai cittadini attivi dicontribuire alla gestione dei beni comuni, ma devono anche promuovere tali iniziative.Arena precisa che non si tratta di una questione di inefficienza degli enti pubblici, ma diuna forma di governance collaborativa tra amministrazione e cittadini, una forma piùadatta alla complessità del mondo contemporaneo.

Dopo aver esposto quindi il modello dei beni comuni, la discussione si sposta adaffrontare la problematica di come organizzare la governance dei beni comuni.

De Medici: […] Quante sono queste persone?

Arena: a spanne centinaia di migliaia solo che non lo sa nessuno perché uno deiproblemi è che sono tanti piccoli casi sul territorio ma nessuno sa quanti sono. […]

De M.: «manca il coordinamento». Manca qualcosa anche a livello legislativo?

A.: no, direi che a livello legislativo non è indispensabile. Più che altro a livello piùbasso, cioè regolamenti comunali, che applicando il principio costituzionaledell'articolo 118 ultimo comma, disciplinino i minuti rapporti tra i cittadini... Peresempio uno dei problemi principali è avere delle assicurazioni che proteggono icittadini attivi mentre si prendono cura dei beni comuni. Poi il problema delcoordinamento. Lì [viene mostrata la mappa del sito www.labsus.org] si vedonoalcune bandierine ma in realtà i casi sono molti, molti di più. Se si riuscisse acreare una rete di tutte queste esperienze, questo farebbe la differenza!

Emergono nel dibattito due aspetti della questione, connessi tra loro. Da una parte lanecessità di elaborare strumenti legislativi che risolvano i rapporti tra istituzioni ecittadini attivi al livello operativo, cioè che mettano gli enti locali nelle condizioni disaper gestire la cittadinanza attiva in modo positivo. Dall'altra la necessità dicoordinamento (e di strumenti di coordinamento) tra le tante diverse iniziative, per farein modo che non rimangano isolate e che i risultati siano esponenzialmente più efficaci.

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La soluzione intravista sembra risiedere nella possibilità di «creare una rete di tuttequeste esperienze».

Settis: […] trovare il modo di far convergere tre diverse energie, quelle delleistituzioni, del volontariato già in opera e quelle delle associazioni, che spesso sonosolo di protesta e che devono passare alla fase di un volontariato più attivo.

De Medici: ma forse andrebbero anche coordinati, lei non crede che manchi unmetodo? Per esempio per la protezione dei beni culturali?

S.: manca un metodo, manca la capacità di coordinare, e questa capacità dicoordinare oggi non se la prende più nessuno perché il ministero dei beni culturaliè in crisi enorme perché ha un bilancio minuscolo, dopo tutti i tagli dal 2008 adoggi, il personale è sempre meno, più vecchio, occorre un grande progetto dirilancio in cui lo Stato, i comuni, il volontariato e le associazioni lavorino tuttiinsieme, senza contare che il volontariato può fare tante cose ma non può maisostituirsi a chi ha le competenze professionali, [...] cioè gli archeologi che hannostudiato per farlo.

In generale viene sottolineata la mancanza di un «metodo» per gestire il coordinamentoo per dirigere la convergenza (cioè allineare) cittadini attivi e istituzioni. Questa enfasisull'esigenza di un metodo per il coordinamento è in sintonia con le posizioni dellaCommissione Progetti di Villa Buri. Tuttavia, in occasione della costruzione del “Cielodi Villa Buri” la comunità ha sperimentato un metodo per l'auto-rappresentazione dellapropria rete, che si colloca quindi a monte della gestione del coordinamento. Il discorsodi Settis invece, centrato sui beni comuni di tipo storico-artistico, sembra riferirsi alMinistero dei beni e delle attività culturali e del turismo, quindi ad un ente centrale,come soggetto teoricamente più adatto ad assumere il compito di gestire ilcoordinamento, anche se praticamente impossibilitato data la crisi fiscale.

Anche Arena riprende i due aspetti delle regole per la gestione del rapporto entilocali – cittadini e del coordinamento della rete di iniziative.

Arena: Mancano regole a livello locale per facilitare il rapporto comune – cittadini.Gli amministratori locali sono abituati a pensare che spetta a loro risolvere iproblemi. Perché la logica in cui siamo da due secoli è che l'amministrazionepubblica si fa carico di tutti i problemi e i cittadini sono passivi. […] Sudditi eutenti. In realtà utenti di tanti servizi. Invece la logica adesso è di dire insiemepossiamo risolvere tutti i problemi. […] Secondo me la prima cosa che dovrebbefare il nuovo presidente del consiglio è quella di creare uno spazio dicoordinamento, un portale, qualche cosa del genere in cui tutte queste centinaia dimigliaia di persone possano ritrovarsi, comunicare fra di loro, e fare in modo chenon bisogni sempre reinventare la ruota.

Arena propone esplicitamente la creazione di un portale web (concepito come «spazio dicoordinamento»), come esempio di strumento essenziale per favorire l'organizzazione eil coordinamento dei soggetti impegnati nella gestione di beni comuni. È importantesottolineare la segnalazione di questa esigenza (in linea con il progetto veronese delPortale del Terzo Settore descritto a p. 169) da parte di una figura di riferimento per il

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settore dei beni comuni come Gregorio Arena.Sulla questione dell'organizzazione dei beni comuni, il laboratorio Labsus si

concentrerà a fondo negli anni successivi, in accordo con la propria visione e con ipropri obiettivi.

Le risorse per curare e sviluppare i beni comuni ci sono, anche se finora sonorimaste nascoste. Per farle emergere è necessario però considerare le persone comeportatrici non soltanto di bisogni, ma anche di capacità, che potrebbero esseremobilitate per la “manutenzione” dei beni comuni da un Piano nazionale per lacura civica dei beni comuni […].

Per realizzare tale piano sono necessari essenzialmente tre fattori: la legittimazionesotto il profilo giuridico; esperienze pratiche come modelli cui fare riferimento;una rete di soggetti che dia impulso, promuova e coordini le iniziative necessarieper realizzare il Piano.

I primi due elementi ci sono già. Manca solo il terzo, cioè l'organizzazione. (Arena2013a)

Il primo grande risultato del laboratorio sarà l'elaborazione, come partner scientificoall'interno del progetto “Le città come beni comuni”, del “Regolamento sullacollaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei benicomuni urbani” del Comune di Bologna (2014)27. Un testo che «rappresenta la primatraduzione del principio costituzionale di sussidiarietà in norme di dirittoamministrativo», scritto con il Comune di Bologna che «è la prima amministrazione inItalia a sperimentare il modello dell'amministrazione condivisa […]» (Gentili 2014).

Il regolamento, contenente indicazioni su tutti gli aspetti della gestione dellacollaborazione tra cittadini attivi e amministrazione comunale, è uno strumento diimportanza cruciale per riuscire a mettere a frutto le energie e l'innovazione dal basso.Trattandosi di un regolamento comunale, lo strumento è funzionale esclusivamentequando l'amministrazione locale lo adotti, o venga persuasa ad adottarlo.

A poco più di un anno dalla sua nascita, sono ben 44 i Comuni italiani che hannoscelto di accogliere nel proprio assetto normativo il Regolamento perl'amministrazione condivisa dei beni comuni urbani. E l'elenco è in costanteevoluzione: in altri 77 Comuni la procedura di adozione è già in corso d'opera.(Taverna 2015)

In ogni caso il regolamento riconosce e sostiene il modello sociale dell'auto-organizzazione e delle reti di governance, portandolo all'interno delle regoleamministrative istituzionali.

Autonomia civica: l'amministrazione riconosce l'autonoma iniziativa dei cittadini epredispone tutte le misure necessarie a garantirne l'esercizio effettivo da parte ditutti i cittadini attivi. (Comune di Bologna 2014: 9)

Rimanendo sul piano del discorso e delle retoriche messe in atto dal laboratorio Labsus,

27 Il Regolamento è stato pubblicato il 22 febbraio 2014. Arena è stato invitato nuovamente in trasmissione a Fuori Tg il 4 aprile 2014 per discutere del Regolamento.

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si possono riscontrare, in alcuni testi presenti sul portale www.labsus.org, degli elementiaggiuntivi di particolare interesse per mettere a fuoco il framing del concetto dicoordinamento delle diverse esperienze dei beni comuni. Si vedano ad esempio ilparagrafo intitolato «Una regia nazionale e regionale» della proposta indirizzata aicandidati alle elezioni politiche, pubblicata dal presidente del Labsus, Arena, il 29gennaio 2013; il paragrafo «Ci vuole una regia» del testo Un ricostituente per l'Italia.Un patto di cittadinanza per i beni comuni, sempre di Arena del 18 giugno 2013; e iltesto Una cabina di regia per la cura dei beni comuni. Ai beni comuni serve un registapubblicato dal direttore del Labsus, Christian Iaione, il 3 marzo 2013.

Ciò che manca, a questi gruppi sparsi per tutta Italia, è la consapevolezza di essereuna “rete invisibile” che coinvolge complessivamente centinaia di migliaia dipersone. In sostanza, se i gruppi di cittadini oggi inconsapevoli l'uno dell'altro chealimentano questo “giacimento” di risorse civiche potessero comunicare fra di loro,sia sul web, sia incontrandosi per scambiarsi esperienze e idee, gli effetti del loroimpegno per lo sviluppo dei beni comuni sarebbero moltiplicati. (Arena 2013a)

In questo passaggio Arena utilizza la metafora della «rete invisibile», in modoparzialmente ambiguo. Da una prima lettura sembrerebbe descrivere il fatto che le tantepersone e organizzazioni coinvolte nella gestione dei beni comuni sono incomunicazione tra loro singolarmente a livello di personal network, ognuno con i propricontatti (quindi sono una rete), ma senza avere una «consapevolezza» della retecomplessiva emergente dalle singole interazioni, che non si può vedere. Tuttavia,l'autore procede con un argomento che entra in contraddizione con questa lettura,affermando in modo ipotetico che «se i gruppi di cittadini oggi inconsapevoli l'unodell'altro […] potessero comunicare tra loro, […] gli effetti […] sarebbero moltiplicati».

Nell'articolo di giungo Arena chiarisce la sua interpretazione delle esperienze di benicomuni in Italia attraverso la metafora dell'«arcipelago», che le rappresenta comesituazioni “isolate”, senza inter-comunicazione.

Non è affatto utopia pensare che gli italiani siano disposti a curare i beni comunicon la stessa attenzione con cui curano i propri beni privati, a cominciare dallacasa. Le centinaia di casi che abbiamo raccolto dal 2006 ad oggi dimostrano infattiche, in maniera del tutto autonoma e scoordinata, i cittadini già lo stanno facendo.

Il problema è un altro, cioè appunto quello di coordinare queste migliaia di microesperienze locali, creando canali di comunicazione fra di loro per moltiplicarel'effetto energizzante della cittadinanza attiva sull'intera società. Si tratta di mettere“a sistema” ciò che oggi è un (meraviglioso) arcipelago di singole esperienze dicura civica dei beni comuni. (Arena 2013b)

I gruppi di cittadinanza attiva agirebbero «in maniera del tutto autonoma e scoordinata»formando un «(meraviglioso) arcipelago di singole esperienze».

Con «rete invisibile» quindi Arena intende in un certo senso una rete “in potenza”,che ancora non esiste. Alcune persone, tra cui i membri dell'“osservatorio” dellaboratorio Labsus, riescono però a “vedere” questa potenzialità.

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Ciò che invece manca è la percezione dell'esistenza di una “rete invisibile” cheinvece noi vediamo da anni e che coinvolge complessivamente migliaia e migliaiadi cittadini attivi. (Arena 2013b)

Se questa interpretazione è corretta, emerge una parziale differenza tra il progetto delPortale del Terzo Settore combinato con il grafo delle collaborazioni e il progetto delportale web come spazio di coordinamento pensato dal Labsus. Il primo è inquadrabilecome un tentativo di rendere visibile una rete esistente. I soggetti (gruppi,organizzazioni, e così via) sono già in comunicazione tra loro, a livello di personalnetwork, attraverso diversi canali e media. Si tratta quindi di dare una rappresentazionea queste relazioni, specificamente dando la possibilità ai soggetti di creare un'immagineplurale attraverso la rappresentazione delle reali collaborazioni tra loro. Il portale delLabsus è inquadrabile, invece, come un tentativo di rendere visibile una rete non ancoraesistente, «creando canali di comunicazione» per coordinare le diverse esperienze localiautonome.

Poiché è del tutto irrealistico ritenere che i gruppi di cittadini attivi siano realmenteisolati (sia genericamente in quanto gruppi sociali, che particolarmente in quanto“attivi”), è plausibile che il discorso di Arena intenda promuovere la necessità di creareuna comunicazione mediata da un unico canale o un unico medium (il quale porterebbequindi alla luce la “rete invisibile”).

Tutte queste esperienze sparse per l'Italia sono come i punti di quel giocoenigmistico chiamato la “pista cifrata” in cui c'è una sequenza di punti disordinati.Solo collegandoli seguendo un certo ordine emerge un'immagine d'insiemecomprensibile e familiare, in questo caso l'immagine dell'Italia dei beni comuni.(Arena 2013b)

Anche la metafora della «pista cifrata» chiarisce questa differenza di approcci. PerArena i punti sono disordinati ed è necessario non solo vedere le connessioni (comeprospettato nel grafo delle collaborazioni), ma tracciare le connessioni «in un certoordine».

L'argomentazione di Arena è in un certo senso in accordo con il punto di vista deimembri della comunità di pratiche veronese espresso dalla citata metafora dell'orto (p.161). Non è che le tante organizzazioni siano letteralmente isolate, però sono troppoconcentrate sulle proprie attività interne per riuscire a “tenere in vista” la rete.

In Italia ci sono già migliaia di cittadini attivi che si prendono quotidianamentecura dei beni della comunità in cui vivono. Lo fanno innanzitutto, giustamente, permigliorare la qualità della propria vita. Ma così facendo dimostrano di aver capitoche i beni comuni di cui una determinata comunità ha il godimento (un centrostorico, per esempio, o un territorio particolarmente bello), sono in un certo sensodati “in custodia” dall'umanità a quella comunità. Questa ultima ha certamente ildiritto di goderne, ma anche la responsabilità di mantenerli in condizioni tali daconsentirne l'uso a tutti gli altri. (Arena 2013b)

Il fatto che in molti si prendano cura “dei propri giardini comuni”, indica che è stato in

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parte superato l'atteggiamento della delega. Il passaggio successivo, che anche perArena denota il suo livello di aspettative e desiderio, è che i cittadini attivi smettano diguardare “solo” al proprio giardino e si mettano «a sistema». In gioco, anche in questocaso, c'è il potenziale di sinergia dato dal coordinamento di queste esperienze, chepotremmo definire quindi principalmente auto-referenziali.

[…] queste esperienze locali sono come tanti personal computer, ciascuno dei qualiha soltanto la potenza che serve per il singolo utente. Ma se con software appositisi collegano insieme migliaia di pc in quelli che vengono chiamati cluster dicomputer si ottiene una potenza di calcolo enorme, superiore a quella dei grandicentri di calcolo.

Allo stesso modo, se le micro esperienze locali di cura civica dei beni dellacomunità fossero collegate fra di loro, potessero scambiarsi conoscenze ecompetenze, evitando di ripetere gli stessi errori o di affrontare i medesimi ostacoli,il moltiplicatore rappresentato dal coordinamento di tutte queste esperienzeavrebbe per l'organismo debilitato del nostro Paese l'effetto di un potentericostituente. (Arena 2013b)

Come Deriu (2013) anche Arena utilizza il concetto di “moltiplicazione” per spiegare ilfenomeno e la portata della sinergia. L'interconnessione tra le diverse esperienzeall'interno di in una complessa comunità di pratiche, i cui membri potrebbero«scambiarsi conoscenze e competenze», avrebbe il potenziale di risollevare le sortidell'intero paese.

Il progetto Labsus intende quindi perseguire attivamente e direttamente l'obiettivodel coordinamento di queste realtà scoordinate e di costruire quel «certo ordine». Ineffetti, Arena utilizza la metafora del coordinamento come «regia».

La valorizzazione dell'impegno dei cittadini attivi per la cura dei beni dellecomunità richiede una regia a livello comunale (nelle grandi città probabilmenteanche a livello di quartiere), regionale e nazionale. Servono centri di informazione,sostegno e coordinamento dei cittadini che si attivano per i beni comuni, nellospirito dell'art. 118 ultimo comma della Costituzione, che prescrive ai soggettipubblici di “favorire le autonome iniziative dei cittadini per lo svolgimento diattività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”.

“Favorire” non vuol dire né esercitare poteri, né elargire denaro, bensì svolgere unafunzione di regia, coinvolgendo soggetti espressione delle diverse realtà territoriali,regioni, enti locali, università, fondazioni, organizzazioni civiche, soggetti delTerzo settore ma anche imprese, profit e non profit, coinvolti grazie allasottoscrizione di Patti di cittadinanza per i beni comuni. (Arena 2013b)

Questa metafora illumina, a mio avviso, un approccio al modello dell'auto-organizzazione in un certo senso complementare rispetto a quello illustrato da TeresaPiras. Nonostante Arena sottolinei che non si tratta né di «esercitare poteri, né [di]elargire denaro», non è immediato pensare alla «funzione di regia» svolta dai «centri diinformazione, sostegno e coordinamento dei cittadini [attivi]», come ad una praticabottom-up.

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Il testo di Iaione, direttore del Labsus, aiuta a fare ulteriore chiarezza su questopunto.

[…] il riconoscimento e la tutela dei beni comuni. Il tema richiede un cambiamentoculturale nell'amministrazione della cosa pubblica e implica il passaggio da logichedi government centrate sul paradigma bipolare a logiche di governance […]centrate sul “paradigma sussidiario” […]. E servirà pure un cambiamento diapproccio metodologico, da teorico a sperimentale. Il salto culturale richiesto daibeni comuni rende evidente la necessità di mettere in campo iniziative di vario tipoper convincere, formare, accompagnare e assistere le amministrazioni pubbliche e iloro funzionari nell'applicazione concreta dei modelli di amministrazione condivisadei beni comuni. Solo così sarà possibile favorire l'ampia diffusione del paradigmadella governance, nell'ambito del quale le già diffuse pratiche di cura condivisa deibeni comuni si iscrivono. (Iaione 2013)

Innanzitutto risulta evidente da questo passaggio il riferimento generale allo stessomodello di governance a fondamento di questa ricerca, anche se il punto di vista delLabsus è centrato sul ruolo delle istituzioni pubbliche, le quali possono contribuire allarealizzazione di reti di governance attraverso il principio di sussidiarietà. Anche ilriferimento alla necessità di sperimentazione in questo settore è un punto di contatto conla mia ricerca. Successivamente Iaione sottolinea l'importanza di modificarel'atteggiamento delle istituzioni locali, affinché adottino un approccio aperto verso lagovernance partecipativa, ed è intuitivo inserire in questo obiettivo il “Regolamento perl'amministrazione condivisa” discusso in precedenza (si veda p. 197).

Il metodo proposto per la diffusione della «cultura della governance» è quello dellarealizzazione di una «cabina di regia», una istituzione pubblico-privata che si assuma ilruolo di «governo delle reti».

[…] In altri termini, per favorire la diffusione di una cultura della governance deibeni comuni occorre ripartire dalla leva della “comunicazione istituzionale”, intesacome politica pubblica centrata, per un verso, sulla “messa in comune” di unavisione del mondo e, per altro verso, sul governo delle reti e sulla valorizzazionedelle energie presenti nella società. La proposta richiede la creazione di un “luogo”o “hub”, al quale le amministrazioni pubbliche intenzionate ad adottare tecniche digovernance dei beni comuni possano attingere per offrire ai propri dipendentiattività di “formazione-intervento” basate sull'alternanza aula-campo.

Proponiamo in sostanza di giungere alla costituzione di una Cabina di regia per lagovernance dei beni comuni, un'istituzione pubblico-privata con il compito disvolgere una funzione di promozione e sostegno, rivolta principalmente allepubbliche amministrazioni, per la realizzazione di esperienze di governance deibeni comuni. (Iaione 2013)

Iaione fa riferimento a due aspetti di questo ruolo. Da una parte la «“messa in comune”di una visione del mondo», quella dei beni comuni e della cittadinanza attiva, fondatasul principio di «considerare le persone come portatrici non soltanto di bisogni, maanche di capacità». Dall'altra parte la cabina di regia si deve assumere il ruolo delcoordinamento e del «governo delle reti». È chiaro che il primo aspetto è più indiretto,

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Capitolo 4

mentre il secondo manifesta un approccio più diretto al cambiamento sociale. Come precedentemente emerso nel discorso di Settis, anche Iaione attribuisce il

ruolo di coordinatore o “regista” ad un'istituzione centrale, con la differenza che perquest'ultimo si tratta di una nuova istituzione, più adatta al modello della governance,che si posizioni tra le istituzioni pubbliche e i gruppi di cittadini attivi.

[…] L'iniziativa della creazione della Cabina di regia dovrebbe essere assunta alivello nazionale da un soggetto istituzionale, preferibilmente con il sostegnofinanziario privato, assecondando così in pieno lo spirito della governance. Gliinterlocutori principali della Cabina di regia dovranno essere, per un verso, leamministrazioni statali, regionali, locali o le loro aggregazioni. E, per altro verso, icittadini e gli operatori impegnati quotidianamente nella trincea della ricerca disoluzioni condivise o della fattibilità economico-finanziaria, elementi oramaiinscindibili per garantire la sopravvivenza e la cura dei beni comuni.

L'obiettivo principale della Cabina di regia dovrebbe essere quello di favorire ildialogo, lo scambio di competenze, informazioni ed esperienze tra tutti i soggettiinteressati alla creazione di una concreta partnership tra istituzioni e comunità perla protezione, il recupero, la manutenzione e la gestione dei beni comuni. (Iaione2013)

Inizialmente sembra che la nuova istituzione della cabina di regia sia «rivoltaprincipalmente alle pubbliche amministrazioni», in particolare agli enti locali. Tuttavia,Iaione chiarisce che le cabine di regia (nazionale, regionali, locali) dovrebberofunzionare da «hub» di mediazione idealmente delle comunicazioni tra tutti glistakeholder interessati alla co-gestione, caso per caso, dei beni comuni che coinvolgonole amministrazioni.

Per riprendere il caso dei subak, come modellato dalle ricerche di Lansing,sembrerebbe che il Labsus intenda realizzare l'infrastruttura istituzionale della rete tra igruppi di cittadini attivi (ruolo che nel sistema dei subak è svolto dai templi dell'acqua).Se dunque l'approccio del Centro Sperimentale Autosviluppo è quello di partire da sé edalla propria comunità, senza aspettare che le istituzioni “esterne” giungano in aiuto,l'approccio del Labsus è quello di promuovere la realizzazione di una nuova categoria diistituzioni (le cabine di regia), che riescano a valorizzare e sostenere le esperienzeautonome come quella del CSA, coinvolgendole all'interno dell'«amministrazionecondivisa» dei territori locali. In questo senso ritengo che i due approcci sianocomplementari.

Il caso dei subak suggerisce però che, in particolari condizioni e in tempisufficientemente lunghi è possibile l'emergere di coordinamento senza alcuna istituzionecentrale che se ne assuma il compito diretto, soltanto grazie al lavoro indiretto dellacultura, cioè attraverso la creazione di una visione comune collaborativa e delleinterazioni locali dei singoli nodi. Ciò non significa affatto che l'esistenza di una cabinadi regia centralizzata, soprattutto come inquadrata dal Labsus, sia controproducente perl'emergere di coordinamento spontaneo. Al contrario, in condizioni di scarsa presenza divisione comune collaborativa, e di una cultura della delega tutt'ora diffusa, potrebbe

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essere una soluzione vincente. Di sicuro istituzioni di regia come quelle descrittepossono dare un grande contributo ed è forse naif pensare di riuscire a promuoverel'auto-organizzazione nelle società occidentali senza l'intervento di una tale categoria disoggetti.

La differenza, seppur sottile, tra il modello del Labsus e quello perseguito in questaricerca, è che per quest'ultimo il “regista” può essere considerato come un attore tra itanti, nel complesso sistema di reti di governance in costruzione. La regia è un ruolocome tanti altri. In quest'ottica non è così importante che la funzione di regia vengaistituzionalizzata top-down e in maniera completa, come proposto dal modello di Iaione.La regia (il coordinamento) potrebbe invece essere un compito assunto da diversisoggetti. Alcuni soggetti potrebbero giocare un ruolo decisivo nella funzione di regiasolo per determinati periodi, o limitatamente a determinati ambiti, o a specifichecerchie, e così via, trasformando la “regia” in un'azione più diffusa e distribuita.Quest'ottica permette a mio avviso di concentrarsi maggiormente sul favorirel'emergenza del coordinamento spontaneo, piuttosto che sulla necessità di governare ilcoordinamento, riconoscendo la “lezione fondamentale” della gestione dei sistemicomplessi (approfondita a p. 355).

Anche nel discorso del Labsus è rintracciabile qualche riferimento ad una flessibilitànella gestione del ruolo di regia.

Queste cabine di regia, in particolare a livello locale, possono essere istituiteautonomamente da organizzazioni civiche in rappresentanza della società civile,con il sostegno delle istituzioni. Oppure possono essere queste ultime a prenderel'iniziativa, coinvolgendo la società civile in tutte le sue articolazioni, secondo lalogica della sussidiarietà circolare. (Arena 2013b)

Arena ad esempio afferma che le «cabina di regia […] possono essere istituiteautonomamente da organizzazioni civiche in rappresentanza della società civile»,oppure dalle istituzioni. Tuttavia, nel discorso del Labsus manca qualsiasi riferimentoall'importanza di studiare l'interazione di livello locale tra i gruppi di cittadini attivi perpoter cogliere un eventuale fenomeno di emergenza di coordinamento spontaneo (oauto-organizzazione).

Questa riflessione, scaturita dal confronto con la retorica praticata dal Labsus, mi hapermesso di porre attenzione al concetto di “regia” utilizzato dalle persone e dalleorganizzazioni che collaborano al progetto del portale del terzo settore. Comeconcepivano e come mettevano in pratica il proprio ruolo rispetto alla rete locale?Intendevano creare il portale web come strumento di regia attraverso cui governare ilcoordinamento, oppure intendevano favorire l'emergere di coordinamento spontaneo? Inparticolare, per quanto riguarda la costruzione del portale quali strategie comunicativevenivano messe in pratica? Intendevano costruire un hub attraverso cui far passare lecomunicazioni per controllarle, oppure intendevano riconoscere l'esistenza e l'utilizzo didiversi canali di comunicazione utilizzati nella comunità?

Considero il discorso sui beni comuni elaborato dal laboratorio Labsus di livello

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mainstream in quanto il Labsus è l'organizzazione che, con l'ampia diffusione del“Regolamento per l'amministrazione condivisa” nelle amministrazioni comunali,influisce maggiormente sull'effettiva operativizzazione del paradigma dei beni comuni edella sussidiarietà nel territorio nazionale. Questo discorso ha una circolazioneall'interno della comunità di Mag Verona.

Nel 2014, l'anno successivo rispetto al periodo di fieldwork che sto descrivendo, Magha tenuto un corso dal titolo “Un salto di qualità nelle politiche territoriali che creanolavoro e ricchezza sociale e nella gestione condivisa dei beni comuni”, incentrato sulle«sperimentazioni di sussidiarietà e di rinnovata cooperazione tra Istituzioni e Societàcivile»28, proprio come indicato nel modello Labsus. Il corso era indirizzato a «Dirigentie Responsabili di Servizi degli Enti Pubblici e Locali, per neo Assessori alle politichesociali e territoriali, per neo Consiglieri/e di Istituzioni Locali, con la partecipazione dialcuni/e Responsabili di Imprese Sociali», quindi era incentrato sul ruolo delleamministratori, come indicato dalle ricerche del Labsus. L'incontro del 7 maggio 2014,l'ultimo dei quattro previsti, dal titolo “Dalla delega all'amministrazione condivisa.Regole nuove per un nuovo rapporto fra cittadini e amministrazioni” è tenuto proprio daGregorio Arena. In questo caso Mag tenta di svolgere il ruolo di cabina di regia, inparticolare in riferimento alla funzione educativa, che Iaione descriveva come «“luogo”o “hub”, al quale le amministrazioni pubbliche intenzionate ad adottare tecniche digovernance dei beni comuni possano attingere per offrire ai propri dipendenti attività di“formazione-intervento” basate sull'alternanza aula-campo».

Ho riscontrato riferimenti al discorso del Labsus come ad un'organizzazioneautorevole nel settore di ricerca sui beni comuni anche da parte di Francesco G. durantegli incontri del gruppo di ricerca di Mag cui ho iniziato a partecipare da febbraio 2013.

Gruppo di ricerca sulla rete di imprese Mag come bene comune

Ho incontrato Francesco la prima volta mentre aspettavo l'arrivo di tutti i partecipantiper la riunione del portale. È un giovane laureato in economia presso l'Università diVerona che stava svolgendo il Servizio Civile Nazionale presso Mag. Chiacchierandoabbiamo scoperto di condividere l'interesse per il tema dei beni comuni e per le ricerchedi Elinor Ostrom. È stato lui a chiedermi se fossi interessato ad unirmi al gruppo diricerca che si stava costituendo all'interno di Mag con l'obiettivo di approfondire,attraverso la teoria dei beni comuni, un'indagine in corso sulla rete di imprese socialicollegate a Mag.

Come per Naturalmente Verona anche all'interno della comunità di Mag alcunimembri erano impegnati in una ricerca para-etnografica. In questo caso l'obiettivo è dimettere alla prova la narrativa della rete di imprese sociali (Ceriani 2012) e,successivamente, quella dei beni comuni (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013) per daresenso al proprio contesto e alla propria esperienza. L'invito di Francesco è stato quindi

28 Citazioni dalla locandina del corso disponibile all'indirizzo http://www.magverona.it/un-salto-di-qualita-corso-di-alta-formazione/

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Fieldwork: costruire insieme i dati

per me un'ulteriore occasione per seguire una sperimentazione in corso nel campo, dicollaborare a stretto contatto con alcuni membri di Mag su un tema centrale sia per lamia ricerca che per le loro. Il tempo trascorso insieme in un'attività condivisa è statofondamentale per stringere il rapporto con i nuovi collaboratori.

Francesco era da poco membro della comunità, ma non era affatto periferico. Comeanticipato (p. 191), per l'ultimo numero del trimestrale “Autonomia e Politica Prima”pubblicato da Mag, ha scritto un articolo dal titolo Ritorno alle origini e mobilitazione,a fondamento dei beni comuni. Dalla premio nobel E. Ostrom e oltre… Nel testo,Francesco connette alcuni dei temi fondativi della riflessione filosofica portata avanti daMag con la teoria dei beni comuni di Ostrom, attraverso il concetto dell'origine. Leistituzioni di gestione dei beni comuni nascono con il «passaggio da strategie individualia coordinate». Questo passaggio si concretizza come un percorso di apprendimento che«[…] tramite tentativi ed errori porta dal caos delle strategie individuali a una sorta dicosmogonia dell'istituzione, con strategie cooperative, efficienti ed eque». L'inizio diquesto tipo di processi è scatenato «[…] sempre da una mobilitazione, da una rinnovatapercezione dei bisogni» alla quale prendono parte delle persone, fondatori e fondatricidella spinta all'auto-governo e all'auto-gestione che è alla base della nuova «impresacomune». Il percorso di auto-sviluppo si regge sull'autorità delle «figure magistrali»,che riescono a mantenere e ricreare l'«orientamento dell'impresa comune» e che«conservano “lo spirito degli inizi”».

Alcuni passaggi del testo in particolare mi offrono spunti di dialogo conl'argomentazione dell'autore.

Quindi, riferirsi alle origini equivale a coltivare le radici dell'auctoritas, inparticolare dei fondatori, per accrescere il senso di partecipazione e la capacità digenerare e rigenerare le relazioni che costituiscono il vivere comune. (Grottola2012: 11)

Francesco indica l'importanza di fare riferimento al passato comune e all'autorità intesanel significato etimologico di «“accrescere”, “aumentare” e “rafforzarsi”», per«accrescere il senso di partecipazione» e «rigenerare le relazioni». Sulla base dellostesso argomento, nella lunga email inviata a Mag con i miei commenti sul progetto delPortale, sostenevo l'importanza di continuare a fare esplicito riferimento all'esperienzapassata (originaria, se vogliamo) delle Pagine Arcobaleno, al fine di aumentare lapartecipazione.

Evocato dall'immagine delle relazioni che vengono (e devono venire) continuamenterigenerate, appare il tema della continuità e della processualità, il quale vieneapprofondito in seguito nel testo.

[…] Il mito delle origini deve poi essere sostenuto da una necessaria attivitàcomunicativa dei membri del gruppo, in modo da tramandare, con l'arte delracconto, la potente spinta innovatrice che ha animato le origini.

A questo proposito gioverebbe parlare di “commoning” anziché di commons, come

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Capitolo 4

sostiene Peter Linebaugh [2008] […] (Grottola 2012: 12)

In risonanza con la retorica che riscontravo durante gli incontri della CommissioneProgetti di Villa Buri, emerge l'elemento della forza creativa delle origini («la potentespinta innovatrice»), che dà vita alla cooperativa, al progetto, e in generale al«fenomeno dell'associazione, del mettersi insieme cooperando con fiducia ereciprocità». La «spinta» deve essere rinnovata e sostenuta continuamente per garantireil proseguimento dell'impresa comune. Questa immagine di una continua necessità dirigenerazione del capitale sociale originario, ricorda l'interpretazione data da Lansing alsistema dei subak balinesi (Lansing 2006: 210; Marchi 2012: 61). In entrambi i casiquesta necessità viene presentata come un punto di forza, non come un punto debole29.Una ulteriore risonanza con gli argomenti che emergevano durante il lavoro con lacommissione di Villa Buri è il riferimento all'importanza della condivisione della storia(«tramandare, con l'arte del racconto») come metodo per attuare questa rigenerazione.

Sulla base di questi punti di contatto ho iniziato a costruire un dialogo con Francesco,approfittando del fatto che entrambi frequentavamo le lezioni del master LUESS. Oltrea leggere il suo lavoro gli ho consegnato una copia del mio articolo sulle ricerche diLansing. Grazie a questo rapporto sono stato ufficialmente invitato a partecipare algruppo di ricerca sulla rete di imprese collegate a Mag insieme a Loredana, Francesco eSilvia. Quest'ultima, da alcuni mesi, stava conducendo la sua ricerca di laureaspecialistica per il corso in “Decisioni Economiche, Impresa e Responsabilità Sociale”dell'Università di Trento, incentrata sul caso studio della “rete Mag”.

L'idea della ricerca nasce dal desiderio di analizzare l'effettivo valore della rete,partendo dallo studio delle imprese che la compongono, per capire in che modo edin che misura interagiscono e collaborano tra loro. (Ceriani 2012: 135)

Silvia si era avvicinata a Mag Verona attraverso un periodo di stage, durante il quale hapotuto progettare la sua ricerca.

L'ambito della presente indagine è il frutto dell'intreccio di due filoni: il presentestudio in merito alle sinergie di rete nel Terzo Settore ed il percorso di ricerca chela Mag conduce dal 2010 nell'avvalorare le imprese sociali di autogestione in retedel significato di bene comune per la comunità (l'approccio di riferimento è ilframework ideato da Ostrom). (Ceriani 2012: 130)

La permanenza “sul campo” ha prodotto l'«intreccio» della sua ricerca con il percorso diauto-riflessione attraverso cui Mag cercava di applicare il linguaggio dei beni comunialla propria rete di imprese sociali. Questo percorso, iniziato nel 2010, ha avuto deimomenti di riflessione principali in corrispondenza della pubblicazione del numero03/04, 2011 di “AP” dal titolo I beni comuni già all'opera. Nelle nostre vite e nei nostricontesti (Ziviani e Aldegheri 2011) e con il “Master LUESS 2012 in Pedagogia

29 I sistemi di irrigazione balinese, i quali necessitano di continua manutenzione da parte di tutti i contadini/utenti, non sono considerati da Lansing come “fragili”, ma come «ingegnerizzati per facilitare la gestione cooperativa», perché alzano il costo di un «fallimento della collaborazione».

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dell'Autogestione” dal titolo “Beni comuni già all'opera nelle pratiche dell'EconomiaSociale e della Finanza Solidale”.

A livello metodologico la ricerca risultante da questo intreccio si è svolta attraversola somministrazione di un questionario telematico a 212 «organizzazioni collegate allaMag, cioè tutte quelle realtà che gravitano continuativamente ed attivamente nel circuito[…]» (Ceriani 2012: 131). Sono stati esclusi dalla ricerca «sindacati ed agli entipubblici, che pure operano in rete con le realtà della Mag», in quanto l'«[o]biettivo della[…] ricerca è […] di indagare le dinamiche reticolari nel Terzo Settore» (Ceriani 2012,130-131). Nel momento del mio ingresso, il gruppo di ricerca si trovava al termine dellafase di raccolta dei dati restituiti con i questionari, e all'avvio della fase di analisi.

Il primo incontro, del 7 febbraio 2013, è iniziato nello studio di Loredana, con unbriefing sullo status della ricerca. Le «tappe» mancanti prevedevano l'elaborazione deidati dei questionari; la scrittura collaborativa di un report «con linguaggio semplice eaccessibile» ai soggetti della ricerca, i quali non hanno «un'abitudine intellettuale aleggere report» tecnico-scientifici; e la «diffusione e disseminazione» del report insiemeagli inviti per il convegno finale di presentazione30. Su mia richiesta Loredana habrevemente spiegato l'obiettivo del lavoro.

È importante che la gente che lavora a livello di base, cioè che è coinvolta inattività di cura del territorio, prenda consapevolezza del valore di quello che fanno.Del gruppo che tiene viva la rete.

L'obiettivo consiste nell'aumentare la «consapevolezza» dei membri della rete (in questocaso della “rete Mag”), consapevolezza sia del «valore» delle proprie azioni, siaspecificamente dell'importanza della rete di relazioni per mantenere quel valore.

Prima di tutto era però necessario cercare di aumentare il livello di completamentodei questionari, perché su 212 inviati, solo 122 erano stati consegnati, e molti eranocompletati in minima parte31. Silvia, Francesco ed io ci siamo messi subito al lavoro.Silvia ci ha spiegato la struttura del database con i risultati dei questionari. Abbiamoinvestito l'intera mattinata per riuscire ad ottenere un indice di completamento deiquestionari ricevuti. Alla fine ci siamo riuscito solo dopo aver posto una domanda sulsito della comunità online del software libero “Libreoffice” e grazie alla risposta giuntada un utente un paio di giorni dopo. Questo esercizio è stato utile anche per poterapprezzare “sul campo” il vantaggio di utilizzare un software supportato da una grandecomunità, nella quale si può attivamente interagire e porre delle domande o rispondereai dubbi degli altri utenti, scambiandosi informazioni preziose che possono aiutare arisolvere problemi.

Francesco desiderava collaborare con me e Silvia su argomenti che entrassero più nelvivo della questione dei beni comuni. Così, dopo il pranzo condiviso nella cucina della

30 Il desiderio originale di Mag era di invitare al convegno Elinor Ostrom ed altri esponenti del Workshop di cui era direttrice. Purtroppo Ostrom è scomparsa il 12 luglio 2012.

31 Per motivi di rappresentatività quantitativa era necessario, per Silvia, ottenere la compilazione in modo esaustivo di almeno il 60% dei questionari.

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Casa Comune con altri lavoratori e lavoratrici di Mag, ci siamo fermati a discutereinsieme, soffermandoci sugli autori conosciuti. Francesco condivide con noi una copiadell'ultimo articolo pubblicato da Ostrom, Green from the Grassroots (2012). Lapassione per la questione dei beni comuni gli deriva dalla sua formazione universitariain economia. Tuttavia, ritiene che in quell'ambiente per molti rimanga ancora unargomento «esotico». Anche i docenti universitari sono convinti che la gestionecondivisa tipica dei commons possa funzionare solo per piccoli gruppi sociali chegestiscono porzioni di territorio o risorse ben circoscritte, ma non possa funzionare«qui». Francesco invece sosteneva che il concetto di beni comuni fosse molto più ampioe si interessava ai cosiddetti “new commons” e a situazioni o risorse che ancora nonvengono concepite come commons dalla ricerca scientifica mainstream. Nel numero diAP I beni comuni già all'opera citato, «l'acqua», «il denaro», «il lavoro domestico»,«l'impresa sociale di autogestione», «le lingue», «il World Wide Web», «i servizi delTerzo Settore», vengono tutti definiti beni comuni.

Anch'io ho esplicitato la mia posizione nei confronti della teoria dei beni comuni,elencando tre riflessioni a partire dall'intreccio con la teoria dei sistemi complessi.Innanzitutto l'importanza del posizionamento dell'osservatore. Nei confronti di un benecomune circoscritto, qualsiasi azione o rappresentazione è messa in pratica da unadeterminata posizione, che può essere ad esempio quella dell'attivista che intendeperseguire la conservazione del bene comune, oppure quella del politico professionista,interno o esterno alla gestione del bene comune, oppure quella del ricercatore cheintende studiare i fattori di successo di una determinata gestione condivisa, e così via.Tuttavia, ad un certo livello di astrazione questi confini perdono di valore e tutto ilpianeta diviene un complesso bene comune la cui gestione condivisa rende qualsiasisoggetto un soggetto interessato (engaged), e quindi un osservatore interno. In altreparole, quando l'obiettivo è la sostenibilità, a causa della profonda interdipendenza dellecomponenti dell'ecosistema planetario, esiste sempre una motivazione che (sericonosciuta) potrebbe spingere i soggetti a prendersi cura del “proprio” ambiente, inquanto «abitanti» e non «ospiti» (per riprendere il linguaggio di Gregorio Arena citatopiù sopra), per sé e non per altri o aspettando che siano altri a farlo.

In secondo luogo, il paradigma dei beni comuni si basa sul valore dell'agentivitàdelle persone, considerate «come portatrici non soltanto di bisogni, ma [soprattutto] dicapacità», per continuare con le parole del Labsus. Ci sono dunque diversi motivi chespingono le persone a partecipare e quindi a mettere a frutto la propria agentività. Lacrisi ambientale, il cambiamento climatico, la crisi economica, il pericolo di rivolte eguerre civili per l'aumento della povertà e dell'esclusione dalle risorse, sono tutti motivifondati sulla «pedagogia delle catastrofi» e sono tra i motivi più forti. Personalmentepreferisco lavorare su motivi positivi, che non siano fondati sulla paura, ma sullacreatività. Anche se si tratta di motivi meno pressanti, le persone possono decidere diprendersi cura insieme della società anche per perseguire la propria visione comune

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positiva.Infine è importante tenere presente che gli effetti cumulativi dell'interazione tra le

componenti di un sistema non sono lineari, cioè si deve sviluppare la capacità diosservare gli effetti sistemici emergenti per poter tenere in considerazione lacomplessità del sistema (la sua non linearità) e quindi orientare i comportamenti inmodo da ottenere effetti sistemici desiderati. Ciò è molto importante anchespecificamente in riferimento all'agentività delle persone. In un sistema multi-agente(come può essere considerato ogni bene comune) gli effetti delle azioni personali siintrecciano, dando origine a comportamenti sistemici emergenti che possono essereanche in completa contraddizione con le intenzioni personali, da cui la necessità ditenere conto delle dinamiche dell'emergenza.

Insieme a Francesco e Silvia ci siamo ritrovati numerose volte fino alla conclusionedel lavoro, che ha portato al convegno finale del 17 maggio. Ci incontravamo circa unavolta alla settimana per riuscire a completare il lavoro di scrittura collaborativa delreport. Loredana era presente soltanto ad alcuni incontri, coerentemente con il suo ruolodi supervisione. Occasionalmente abbiamo anche avuto il contributo di Paolo D. eGemma A., altri due soci-lavoratori di Mag.

Il lavoro di completamento dei questionari è stato portato a termine da Silvia eFrancesco, i quali hanno contattato telefonicamente le organizzazioni che avevanolasciato i questionari incompleti o vuoti, offrendosi di affiancarli il più possibile nellacompilazione.

La raccolta dei questionari ha richiesto numerosi solleciti; i rispondenti hannoimputato la resistenza alla compilazione all'assenza di tempo da dedicare allaricerca, alla dimenticanza e al sovraccarico di questionari ricevuti da parte di altrienti (in concomitanza con il censimento Istat sulle imprese nonprofit). Sono stateinvece contenute le difficoltà nella comprensione delle domande, in quantopresidenti e dirigenti si sono dimostrati abituati a questo tipo di analisi. (Ceriani2012: 133)

In molti hanno fatto presente che la compilazione del questionario costituiva unimpegno di tempo che non riuscivano ad assumersi (alcuni si sono lamentati anchedell'insistenza con cui è stato loro chiesto di compilare il questionario). Emerge fin dasubito anche in questo contesto (come precedentemente per le reti di Villa Buri e diNaturalmente Verona) la mancanza di tempo e di energie come un elementocaratterizzante della vita di molte organizzazioni della comunità, un dato che tornerà piùvolte nell'analisi dei questionari. In ogni caso, alla fine del lavoro di sollecito, il numerodi questionari ricevuti e il livello di completamento risultavano sufficienti per poterprocedere all'analisi.

Durante i primi incontri abbiamo cercato di confrontare il modello di gestione deibeni comuni elaborato dalle ricerche del Workshop in Political Theory and PolicyAnalysis fondato da Vincent ed Elinor Ostrom con le esigenze del caso studio della reteMag. Francesco ha proposto la lettura del testo La conoscenza come bene comune (Hess

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e Ostrom 2009 [2007]), nel quale le riflessioni del “gruppo Ostrom” vanno al di là dellatipologia prototipica dei beni comuni intesi come risorse naturali delimitate e condiviseda una comunità ben definita di utenti. La conoscenza, ad esempio, non ha confinidefiniti, può essere facilmente condivisa, e in alcuni casi più se ne fa uso e più acquistadi valore per tutti. L'approfondimento della riflessione è passato anche per altri autoricome Stefano Rodotà e Ugo Mattei, che ci hanno aiutato ad uscire dalla logica giuridicarestrittiva con cui spesso viene affrontato l'argomento dei beni comuni.

Le osservazioni fin qui svolte suggeriscono di spostare l'attenzione dalle diversepossibili forme giuridiche del possesso ai modi di governo effettivo, alle finalitàsostanziali della gestione dei beni comuni. […]

La definizione della commissione Rodotà di beni comuni come “utilità funzionaliall'esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona” […]

In definitiva, un bene comune va al di là delle considerazioni sulla proprietà edell'ottica manichea che vede una netta separazione tra soggetto e oggetto.Nell'ambito dei beni comuni il giurista Ugo Mattei sostiene che il soggetto è partedell'oggetto (e viceversa) e che è necessario guardare al senso del bene inriferimento al contesto (Mattei 2011). I beni comuni sono una categoria ampia,flessibile, difficilmente racchiudibile nelle tradizionali classificazioni giuridiche epolitiche. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 32)

Grazie a queste riflessioni è stato possibile per il gruppo identificare la categoria di benicomuni in base alla relazione tra i beni (l'«oggetto») e l'esercizio dei diritti fondamentalie del libero sviluppo delle persone (il «soggetto»). Ciò ha permesso di considerare benicomuni anche «la cultura, la formazione, la salute, il clima e il patrimonio biologico, ilterritorio, il lavoro […]» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 32).

Il confronto teorico ha integrato poi le riflessioni sui principi di cooperazione e disussidiarietà32, riferendosi specialmente ai testi di Francesco Galgano.

L'art. 43 [Costituzione], che Galgano valorizzò con forza già verso la fine deglianni Settanta, indica in maniera esplicita la possibilità del modo comunitario digestione, ovvero la possibilità di affidare, oltre che ad enti pubblici, a “comunità dilavoratori o di utenti” la gestione di servizi essenziali, fonti di energia, situazioni dimonopolio. Secondo Galgano non vi è dubbio che le comunità di lavoratori e diutenti di cui parla l'art. 43 siano società mutualistiche […]. (Ceriani, Grottola, eMarchi 2013: 4)

Infine l'art. 118, contenuto nella seconda parte della Costituzione e modificato nel2001, individua la sussidiarietà (verticale e orizzontale) come principioarchitettonico di un nuovo ordine sociale in cui l'individuo (singolo e associato) èlibero di agire autonomamente per lo svolgimento di attività di interesse generale.Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni sono chiamati a favorirequesto comportamento. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 5)

Su queste basi, nel report finale, abbiamo esplicitato due livelli di senso del concetto di

32 In riferimento al concetto di sussidiarietà, le riflessioni del laboratorio Labsus sono state nominate piùvolte, anche se il loro lavoro non è stato inserito nei riferimenti bibliografici del report.

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beni comuni applicato alle imprese sociali in rete: 1) le «imprese sociali»33 sono soggettidesiderosi di, legittimati a, e in grado di prendersi cura di beni comuni; 2) le impresesociali stesse, considerate nella loro dimensione relazionale ed interconnessa, sono unbene comune.

L'autogestione che sta alla radice delle forme cooperative e associative a matriceMag si fonda sul sapere dell'esperienza e su un'imprenditività capace al contempodi attivare reti civiche e senso di responsabilità diffusa. L'impresa sociale è sia unafigura vocata al prendersi cura, a livello locale, dei beni comuni, sia un benecomune in sé, quando si compone di un tessuto di relazioni a trama reticolare eaperta. […] Sono considerati beni comuni: l'aria, l'acqua, il clima, la salute, laconoscenza, la cultura, il paesaggio, l'arte, il lavoro di cura e anche il lavoro nonmercificato. A questo elenco Mag aggiunge le pratiche relazionali dell'economiasociale e della finanza solidale. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 2)

Questo risultato è derivato dalla discussione motivata da una eccessivaschematizzazione del modello dei beni comuni, principalmente originata dalla miaesigenza di fare chiarezza per ragionare insieme agli altri membri del gruppo. Il mioragionamento tendeva a distinguere oggetto e soggetto come due componenti delconcetto di bene comune, cioè distinguendo le risorse o diritti (sia materiali cheimmateriali) e i sistemi di governance che se ne prendono cura (in cui facevo rientrarele reti di organizzazioni dell'economia sociale).

Questa differenza di linguaggio e di atteggiamento intellettuale ha suscitato uninteressante confronto. Si veda, a titolo esemplificativo, il seguente commento diLoredana tratto dall'incontro del 14 aprile 2013.

Nella pratica Mag, l'impresa sociale è essa stessa bene comune quando trae ilproprio movente, ispira la propria esistenza alla cura delle relazioni, interne edesterne, all'attenzione al territorio e al contesto, in un'ottica non privatistica bensì disoddisfazione condivisa degli esiti dell'attivazione dell'impresa sociale; quando lepersone che la costituiscono sono mosse non da calcoli di tipo individualistico e damotivi economicistici, ma dal mettere in gioco il lavoro e la loro aspettativa di unreddito equo; sono protesi a realizzare un ambiente in cui altri attori e attrici dellacomunità, spesso locale ma non solo, sentano e avvertono un beneficio e un valore.[…]

Il lavoro auto-organizzato nel territorio, in base ai principi di solidarietà,cooperazione e mutualità è un bene comune, come l'acqua, l'aria, la salute, lacultura e l'arte.

Delle imprese sociali che si mettono in rete, gestiscono beni e servizi, non lo fannoin termini speculativi, bensì in ottica rivolta al territorio, di salvaguardia… quello èbene comune. Non c'è scissione. […]

I beni comuni: alcuni sono dati (aria, acqua), altri sono frutto di un processo.

Il lavoro di auto-organizzato, e in generale l'attività delle imprese della rete Mag, è

33 Con questo termine nel linguaggio di Mag si intendono generalmente tutte le organizzazioni che fanno parte del Terzo Settore e che operano nell'economia sociale.

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considerata un bene in sé, quindi anche a prescindere dalle sue funzioni di mezzo perottenere certi fini (come ad esempio la sostenibilità sociale ed ambientale). Ciò è insintonia con quanto emerso durante il lavoro della Commissione Progetti di Villa Buri(p. 106) e con l'approccio del Centro Sperimentale Autosviluppo (p. 189). Dal punto divista di Loredana, che si faceva portavoce dell'approccio fondativo di Mag, la praticadell'economia sociale è un fatto di «desiderio» (una delle parole più marcate nellinguaggio di Loredana) e ha un valore intrinseco. Per rendere più esplicito questo puntosi potrebbe congetturare che, anche se il mondo fosse in uno stato di equilibrio a livelloambientale, spirituale, sociale, economico – cioè anche senza la presenza della “crisi” –le persone che adottano l'atteggiamento descritto da Loredana continuerebbero acondurre le loro attività secondo i principi della solidarietà, della cooperazione e dellamutualità.

Ciò è molto interessante perché evidenza una discrepanza rispetto alla concezionedella crisi come fattore originario e motivazionale, emersa in altri momenti (si veda p.191). In effetti, dietro questa apparente incongruenza si nasconde un pattern piùregolare, che il questionario della ricerca di Silvia riesce a rivelare grazie ad alcuniattributi in grado di evidenziare l'evoluzione storica della rete Mag. Oltre a raccoglierel'età di ogni organizzazione (attraverso cui si distinguono le imprese più «vecchie» o«storiche» da quelle più «giovani»), e l'anno di adesione alla rete Mag, il questionariopermette di distinguere altri due «sottogruppi»: «le organizzazioni che sono nateattraverso Mag» e «le imprese nate in modo autonomo che hanno aderito a Mag inseguito» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 20). Per alcune risposte del questionario èstato possibile quindi evidenziare delle importanti differenze tra questi sottogruppi.

Dall'analisi dei dati effettuata da Sivia emerge la costante crescita nel tempo degliingressi nella rete Mag, con un aumento significativo in seguito alla recente crisieconomica.

La rete della Mag ha alle spalle più di trent'anni di storia nel Terzo Settore […].Nelle prime tre decadi si è assistito ad un progressivo ampliamento della rete […].Lo scaglione finale rivela un aumento esponenziale dell'adesione alla rete […] (in 4anni l'aumento ha quasi raggiunto i 10 anni precedenti). Se da un latol'ampliamento della rete va attribuito anche all'andamento delle nascite, dall'altro viè un consistente aumento dell'adesione […]. Questo accade soprattutto a partire dal2006: negli ultimi anni di crisi economica, la reazione delle imprese di piccoledimensioni, quali le imprese della Mag, è di aderire ad una rete del Terzo Settore,per ottenere e dare supporto e per non vanificare gli sforzi di costruzione diun'economia sociale. (Ceriani 2012: 169)

Molte delle organizzazioni che si sono aggregate alla rete Mag in seguito alla crisi nonsono nate in seno alla Mag, o aiutate nella fase di startup dalla Mag e non hanno avutoquindi lo stesso percorso di formazione di quelle che invece lo sono state.

Se si passa ad analizzare le differenze tra questi due sottogruppi, si può evidenziarecome, in generale, le organizzazioni che aderiscono dopo la loro nascita, partecipanomeno alle attività di rete, ma ne traggono comunque i benefici.

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Nella fotografia che si delinea, le organizzazioni aderenti alla rete Mag in unsecondo momento rispetto alla loro costituzione partecipano in modo ridotto alledinamiche reticolari, ma si dimostrano più soddisfatte della partecipazione alla rete.Al contrario le imprese aderenti al circuito dalla loro nascita si sono dimostrate piùprotagoniste nelle dinamiche reticolari, ma allo stesso tempo leggermente menosoddisfatte (questo fenomeno potrebbe spiegarsi con il fatto che i loro investimentielevati risentono del comportamento di coloro che partecipano in modo più passivoalla rete, andando ad abbassare il livello qualitativo generale). (Ceriani, Grottola, eMarchi 2013: 21)

Questo perché esiste un vero e proprio percorso di «maturazione» (Ceriani, Grottola, eMarchi 2013: 23) all'interno della comunità di Mag, il quale permette di elaborare edapprendere un linguaggio e delle pratiche comuni che costituiscono un vero e proprio«metodo» di azione nella rete.

Tale metodo consiste in alcune “mosse” fondamentali, come curare la fiducia e lalealtà, imparare a vedere la forza dei desideri, partire da sé, essere presenti inquello che si fa, dare valore all'esperienza soggettiva, evitare di schierarsi o dicontrapporsi a forze che possono schiacciare, ma tenerne conto per realismo,entrare con semplicità e, al tempo stesso, con astuzia nel “territorio del diavolo”(Muraro in De Perini e Aldegheri 2009), mettersi in relazione per un di più di forzae di felicità. Mag ha colto il pericolo che incombe oggi sulle “piccole impresesociali” che rischiano di essere snaturate ed espropriate del loro sapere pratico, senon fanno un salto di qualità, se non danno la giusta importanza a nominare “l'oro”che sta nelle loro mani, in modo che l'esperienza non rimanga chiusa in contestilimitati, ma diventi moneta circolante, sapere diffuso, “lingua corrente”. (Ceriani,Grottola, e Marchi 2013: 7)

Le varie indicazioni o «“mosse” fondamentali» di questo metodo sono tuttericonducibili all'importanza di condividere le proprie esperienze con gli altri membridella rete per rendere reale la forza delle relazioni e della rete («nominare “l'oro” che stanelle loro mani»). Come evidenziato da Lucia Bertell (2013b: 3–5) nell'introduzione diDavide e Golia (e richiamando anche il testo di De Vita nello stesso volume), anchenelle pratiche della rete Mag è fondamentale l'«incontro tra “partire da sè” e messa “incomune”».

Questo metodo si basa su «una pratica che può essere trasmessa alle giovanigenerazioni e trasferita, con le opportune traduzioni, in altri contesti» (De Perini eAldegheri 2009). Ritorna ancora una volta l'importanza di trasmettere la memoria,questa volta come una forma di eredità o di traduzione. Tuttavia si tratta di una praticache deve essere appresa e proprio per questo si evidenziano diversi livelli nel percorsodi apprendimento.

[…] le attività svolte in modo congiunto evidenziano chiaramente come sianosvolte maggiormente dalle imprese che aderiscono da più tempo alla rete rispettoalle nuove entrate. Questo si ricollega alle motivazioni, che hanno evidenziato unfattore stimolante sempre meno dettato dalla ricerca della collaborazione con lealtre organizzazioni e richiama anche ad una maturazione che le imprese compionoall'interno della rete. Se nei primi anni di adesione le imprese attingono più risorserispetto a quanto investono – cioè consumano il capitale sociale della rete più di

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Capitolo 4

quanto ne creino – con il passare del tempo maturano un comportamento di“restituzione” – e contribuiscono a ricreare il capitale sociale. (Ceriani, Grottola, eMarchi 2013: 23)

Le imprese più vecchie, che hanno aderito da più tempo alla rete e che sono anche nateall'interno della rete si trovano quindi in una fase più avanzata di questo percorso di«maturazione». Si può dire che occupano una posizione più centrale all'interno dellacomunità di pratiche. Investono maggiormente nelle attività di rete e sono più critichenel giudicare i benefici perché li bilanciano con i propri investimenti. Le organizzazionigiovani e le organizzazioni che aderiscono in seguito alla loro nascita sono più restie arestituire alla rete perché vedono la rete più come una risorsa da cui trarre supporto.Queste occupano una posizione certamente più periferica nella comunità di pratiche.

Illuminante è anche l'analisi delle motivazioni che spingono le organizzazioni adaderire alla rete Mag in relazione all'anno di adesione, cioè all'evoluzione storica dellarete. Tra le motivazioni, la ricerca di un aiuto finanziario non è particolarmente presente,ed è in costante calo.

Nel complesso, la motivazione meno sentita è annessa alle difficoltà finanziarie,che rappresentano la causa meno rappresentativa di adesione, in quanto la Mag hafin dagli albori perseguito un modo di fare economia che non avesse al primo postol'aspetto monetario, attitudine che si è riflessa in una rete che non pone le basi sulsupporto finanziario delle collegate.

[…] Le difficoltà finanziarie vivono una parabola discendente (da 3,10diminuiscono progressivamente fino a 1,85). In una fase iniziale le aderentiambivano ad avere un maggiore supporto monetario, oggi l'aspetto finanziariopassa in secondo piano (anzi sono le collegate che sostengono economicamente leattività della Mag). (Ceriani 2012: 171)

Tra i motivi della diminuzione di importanza del ruolo di «supporto finanziario», oltread una precisa volontà di “ridimensionare il ruolo del denaro” come nel caso del CSA diIglesias, Silvia ricorda anche l'«emanazione della legge antiriciclaggio che limitò lalibera raccolta di risparmio (legge n. 197/1991)» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 17).È chiaro che anche il contesto istituzionale esterno alla comunità gioca un ruolofondamentale nel definire e orientare le pratiche interne.

In visibile aumento appare invece il bisogno di «servizi specifici». Il gruppo diricerca34 ha considerato questo come un chiaro segnale del fatto che le organizzazionihanno sempre più necessità di esternalizzare molti servizi, per concentrarsi sul loro«core business», sull'azione.

Il supporto alla gestione dell'impresa sociale costituisce il servizio più utilizzato, inparticolare esso si riferisce ai servizi legali e amministrativo-fiscali, alle consulenzee alle pratiche del lavoro; svetta quindi la necessità per le organizzazioni diesternalizzare funzioni amministrative e burocratiche, per concentrarsi sulla propriaattività caratteristica (core business). (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 18)

34 In casi come questi non prendo posizione perché non conosco abbastanza bene la situazione per potersostenere questo tipo di interpretazioni.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

L'ascesa della motivazione di usufruire dei servizi specifici (principalmente fornitida Mag Servizi) indica che la qualità dei servizi offerti è progressivamentecresciuta e che le organizzazioni sono sempre più intenzionate ad esternalizzareattività non specifiche. Per converso il desiderio di lavorare in rete sta subendo unrallentamento, sebbene di lieve entità. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 23)

Riassumendo, le organizzazioni vorrebbero essere liberate dagli impegni burocratici (tracui anche la ricerca di finanziamenti) e in generale dagli impegni trasversali, perconcentrarsi sulle proprie attività specifiche e principali, quelle stesse attività nate dalla“spinta delle origini”, dalla “rinnovata percezione di bisogni” e che ancora motivano imembri delle organizzazioni agendo sul loro “desiderio”. Inoltre, il questionariopermette di rilevare un generale «rallentamento» del «desiderio di lavorare in rete». Ilrisultato dell'unione di questi due elementi sembra rinforzare l'auto-narrazione dellametafora dell'orto, indicando che non solo le organizzazioni sono concentrate sulproprio giardino, ma che vorrebbero essere ancora più libere di farlo.

Nella sua tesi Silvia inserisce questi elementi all'interno di un quadro dell'evoluzionedella rete, che divide in tre fasi storiche.

Nella fase iniziale la rete era contraddistinta da una stretta coesione fra i membri,legati da una forte condivisione di ideali e di pratiche economiche, che sisupportavano vicendevolmente negli aspetti più svariati. (Ceriani 2012: 172)

La fase iniziale è caratterizzata da un'attenzione nei confronti della rete (che allora eramolto più piccola di oggi), condivisa dalle organizzazioni sia nei valori che nellepratiche. Questa fase è caratterizzata da supporto reciproco, «stretta coesione»,«condivisione di ideali». È qui che si può collocare più precisamente la nascitadell'atteggiamento di “vivere la rete come un bene comune” descritto da Loredanadurante le riunioni del gruppo di ricerca. Anche se, in questo periodo, non era la teoriadei beni comuni a fornire il linguaggio con cui inquadrare esperienze e situazioni,quanto piuttosto quella dell'autogestione dei lavoratori.

Il passo successivo fu compiuto verso il consolidamento delle singole realtà: mossedalla necessità di guardarsi dentro e unire stabilità e potenziamento delleorganizzazioni, le imprese hanno concentrato l'attenzione su se stesse, allentando irapporti di rete. Le conseguenze negative sulla concezione della rete sono ancorapresenti: per molti anni è diventata una struttura di aiuto e di indirizzo, quindiidentificata con i punti focali, Mag Mutua e Mag Servizi. La rete come insieme diorganizzazioni che collaborano e cooperano nell'economia sociale haprogressivamente perso di significato, a vantaggio di una presa di coscienza dellacapacità di autogestione dei singoli e della loro autonomia. (Ceriani 2012: 172)

Nella seconda fase, che sta giungendo al suo compimento, le organizzazioni sono piùattente alle proprie dinamiche interne e utilizzano la rete come uno strumento da cuitrarre vantaggi più che come un bene comune cui anche contribuire. Come si è dettoprecedentemente, consumano più capitale sociale di quanto non ne ricreino.

Negli ultimi anni la rete sta cercando di ritornare al valore delle origini, in unpercorso graduale che deve permettere alle collegate di maturare una nuova idea di

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rete. Un passo importante in avanti è stato compiuto con l'ideazione e larealizzazione del manifesto “Nuovo inizio di speranza collettiva” giunto acompimento nel 2010 ed altri progressi continuano ad essere realizzati, in primisriflessioni, formazioni e dibattiti. (Ceriani 2012: 173)

Nella fase attuale, di cui si intravedono i primi segnali, si sta cercando di «maturare unanuova idea di rete» che permetta di ricostruire il valore originariamente conferito allarete e alle relazioni. È proprio in questo senso che va letta la riflessione sui beni comuni.Essa si inserisce nella ricerca di un «linguaggio nuovo» (Ceriani, Grottola, e Marchi2013: 2) con cui descrivere e costruire una nuova concezione della rete, che possamotivare una costante rigenerazione di capitale sociale e che possa creareconsapevolezza del valore della rete in sé, come bene comune, e non solo come mezzoper perseguire i propri obiettivi associativi.

La scrittura e la disseminazione del report “Beni comuni per le realtà locali ed oltre”,in continuità con i precedenti momenti di riflessione sul tema, rappresenta il tentativo diMag di inserirsi nel dibattito attuale sui beni comuni, per creare un'associazione tra illinguaggio dei beni comuni e quello dell'autogestione. Il tema dei commons haacquistato molta popolarità soprattutto dopo l'assegnazione del nobel per l'economia adElinor Ostrom nel 2009. Inoltre, proprio grazie alle ricerche del gruppo Ostrom,l'approccio dei beni comuni possiede ormai una solida base di ricerca scientifica, teoricae sperimentale. A questo si aggiungono anche diverse esperienze importanti disperimentazione, che hanno prodotto tra l'altro un corpus di “precedenti” (in sensogiuridico). Questi elementi fanno dei beni comuni un linguaggio innovativo e, alcontempo, abbastanza maturo, che promette di rimanere a lungo al centro dei discorsisulla società. Il lavoro di Mag di tracciare le connessioni e i parallelismi tra questonuovo linguaggio e il proprio linguaggio originario, che si rifà alle esperienze diautogestione degli ultimi 40 anni, è un'operazione legittima, perché il modello dei benicomuni si adatta ampiamente alle esperienze maturate nella rete Mag, e al contempoaudace, perché va oltre lo schema fissato nel modello per estenderne le possibilità.

Questo lavoro di «intreccio» tra linguaggi diversi per dare un senso forteall'esperienza dell'«economia sociale» è una delle pratiche fondative di Mag Verona. Ciòè messo in evidenza, dal gruppo di ricerca, nel paragrafo intitolato “Radici multipledelle imprese della rete Mag”, che riprende un precedente testo di Mag (De Perini eAldegheri 2009).

Nel mondo vario e complesso dell'impresa sociale si intrecciano diversi filoni dipensiero, una miscela di valori e culture che costituiscono per chi oggi eredita edesidera portare avanti l'economia sociale un orizzonte vasto di significati, unprecedente di forza e di consapevolezza a cui fare riferimento e richiamarsi. Visono le istanze e le idee dell'associazionismo e del volontariato cattolico e laico, ilsindacalismo anarchico e il socialismo libertario, i movimenti anti-autoritari delSessantotto, il cattolicesimo democratico post-conciliare dei primi anni Settanta(Concilio Vaticano Secondo), il femminismo, l'ambientalismo, l'ecologismo,l'agricoltura biologica, il commercio equo e solidale, il terzomondismo, ilpacifismo, il filone della non violenza (Capitini), il pensiero della “decrescita”

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(Latouche), le pratiche olistiche, le pratiche artistiche concepite come azionisimboliche e trasformative del reale, il pensiero e il femminismo della differenza(De Perini e Aldegheri 2009). (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 7)

Il «confronto» con il linguaggio dei beni comuni, che sta conoscendo un elevatosuccesso nel panorama nazionale ed internazionale, è una occasione per Mag perrilanciare ancora una volta la propria idea e pratica di economia sociale. I punti dicontatto tra i due linguaggi sono molti, a partire dall'idea centrale di economia come«legge dell'ambiente domestico», ripresa dal gruppo di ricerca da un altro testo di Mag(Pretorius in De Perini e Formaggio 2007: 12).

Come donne e uomini di Mag siamo impegnati da tempo a ripensare l'economiariportandone il senso all'origine, la radice del termine rimanda infatti all'oikos, al“governo della casa”, e a risalire all'indietro verso ciò che si è perso con lamodernità, entrando anche in dialogo fecondo con esperienze non occidentali. Inpratica, significa pensare il mondo come ambiente domestico, non inteso comespazio di rifugio e separazione, chiuso tra le mura della casa, ma come luogo cherimanda allo stare bene nel mondo ovvero allo stare bene di tutti i suoi conviventi(Ina Praetorius in De Perini e Formaggio 2007). (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013:6)

La concezione “domestica” dell'ambiente e delle risorse è alla base delle esperienze diautogestione caratteristiche della rete Mag e del modello dei beni comuni. Comericordato precedentemente, a contraddistinguere queste esperienze è propriol'attivazione diretta ed autonoma degli utenti in qualità di abitanti che intendonoprendersi cura di aspetti dell'ambiente (inteso in senso generale, naturale e sociale)percepito come “proprio”. Ed è questa percezione personale e relazionale dell'ambientee dell'economia che genera il successo di molte gestioni autonome che si concretizzanoin sistemi di cura.

Mag elabora ulteriormente l'aspetto filosofico del fare economia all'interno delparadigma dell'ambiente domestico, valorizzando l'intreccio tra i livelli individuale eintersoggettivo.

Inoltre Mag non separa vita individuale e convivenza: ciò che ha valore per lasingolarità è anche capace di produrre legame sociale. Ciò è possibile passando perdimensioni inconsuete, ovvero facendo entrare, ad esempio nel discorsoeconomico, dimensioni come l'amore o lo spirito. Di questa contaminazione si puòapprezzare la dirompenza in un momento di crisi dei paradigmi tradizionali,capovolgendo le gerarchie di valori che ispirano la vita individuale e l'attivitàeconomica. Da qui si snoda sia la riflessione sul posto che il denaro occupa nellenostre singole vite, sia una riflessione che porta a far rientrare nel campodell'economia aspetti che normalmente le sono estranei e che invece ciappassionano come gli affetti, la bellezza, l'amore per il proprio territorio, la curadella città. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 6)

La retorica e il linguaggio di Mag evidenziano una «contaminazione» tra «vitaindividuale» e «attività economica» e tra vita individuale e «convivenza»; unacontinuità (definita in termini di “non separazione”), che è considerata capace di

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integrare nell'economia sociale aspetti percepiti come esclusi dal paradigmaeconomicistico della società di mercato, quali «l'amore per il proprio territorio e la curadella città». Tuttavia il mercato non viene ingenuamente messo da parte. Ad un incontroLoredana ha ricordato la differenza tra un'associazione di volontariato e un'impresasociale, la quale è in grado mantenersi autonomamente nel mercato, utilizzandoun'espressione emblematica: «stare nel mercato, senza essere “del” mercato». Conquesta, riprendendo le parole di Rossella De Vecchi (De Perini e De Vecchi 2004), siriferiva ad uno dei «punti di forza» evidenziati nel progetto “I saperi dell'esperienzaautoimprenditiva e sociale” (De Perini e Aldegheri 2009).

Questi elementi della filosofia economica di Mag sono stati inseriti nel report susuggerimento di Loredana e sono stati scritti attingendo largamente da testi preesistenti.Non erano elaborazioni spontanee degli autori. Il gruppo di ricerca ha riproposto al suointerno la differenziazione tra elementi centrali e periferici nella comunità di pratichedella rete Mag. Loredana, socia fondatrice e attuale direttrice di Mag, nel gruppo con ilruolo di supervisore della scrittura (“figura magistrale di riferimento” nella retoricaMag), rappresenta in maniera emblematica il cuore della comunità di pratiche. Silvia,Francesco ed io, rispettivamente laureanda, volontario di servizio civile e dottorando,proveniamo tutti dall'esterno della comunità. Silvia e Francesco, che avevano il ruolopiù operativo nel gruppo, erano entrati da abbastanza tempo nella comunità da avere unposizionamento legittimo al suo interno, ma più periferico rispetto a Loredana e allinguaggio del nucleo fondativo.

Il modo in cui Loredana metteva in pratica il suo ruolo nel gruppo si concretizzavaspesso nella rilettura dei testi scritti dagli altri e nel commentare, anche puntualmente,l'utilizzo del linguaggio. Si vedano ad esempio questi passaggi tratti dagli appuntidell'incontro del 26 aprile 2013.

[…] Noi alla Mag non parliamo di diritti, perché i diritti cristallizzano gli individui.Quasi che gli tolgano la creatività. […]

Altra questione importante del linguaggio, noi non usiamo quasi mai il terminepersona. È una riduzione ad unicum dei soggetti. Spesso diciamo “uomini edonne”. Il termine persona è una riduzione per unificare i soggetti. “Donne,uomini, bambini, vecchi”, facciamo anche l'elenco a volte, proprio per non ridurrele differenze.

Silvia e Francesco, nonostante la percepibile differenza nella loro produzione linguisticaspontanea rispetto al linguaggio cui si riferisce Loredana, avevano appreso abbastanzabene tale linguaggio da permettersi, ad esempio, di scherzare sulla sua “tipicità”. Adesempio con una battuta (a mo' di caricatura) sulla lunghezza che avrebbe potutoraggiungere un ipotetico elenco che avesse voluto dare conto di tutte le possibili«differenze» “nascoste” dal termine persona, e così via. Ciò non è affatto indice di uncattivo rapporto tra i membri del gruppo, ma di una certa distanza di linguaggio e dipratiche.

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Per quanto concerne la mia posizione nella comunità di Mag, essa era certamenteperiferica. Avevo aderito al gruppo di ricerca dopo la sua nascita e il mio ruolo erasecondario (la maggior parte dei testi relativi al contenuto della ricerca sono stati scrittida Silvia e, secondariamente, da Francesco). Il mio posizionamento non eracompletamente interno, quanto piuttosto “di avvicinamento” alla comunità. In ognicaso, le proposte intellettuali di tutti noi membri periferici erano più orientate ad unconfronto tra i risultati del questionario sulla rete Mag e il modello dei commons delgruppo Ostrom, più che ad un rilancio del linguaggio denso di Mag. Si tenga presenteche Loredana non è soltanto una rappresentante del gruppo centrale della comunità diMag, ma appartiene anche al gruppo dei fondatori, ed è proprio colei che, in qualità didirettrice ha portato in Mag il pensiero della differenza.

Dopo nove anni di presidenza di Giambattista Rossi, ne prese la guida LoredanaAldegheri, la quale conferì un'impronta peculiare alla gestione, inserendo neldiscorso Mag l'orientamento della differenza sessuale (De Perini e De Vecchi,2004). Le pratiche economiche e sociali attraverso il linguaggio ed il lavoro sulsimbolico uscivano dall'indifferenziato e il fare economia mostrava la ricchezza el'originalità dei soggetti (donne e uomini) […]. (Ceriani 2012: 87).

Per Loredana non si trattava tanto di valutare se e quando la rete di imprese sociali Magfosse considerabile un bene comune. Per lei si trattava di incrociare due linguaggiaffinché si rinforzassero reciprocamente.

Il punto di partenza degli altri membri del gruppo di ricerca era più cauto inproposito. Ciò è emerso ad esempio durante l'incontro del 28 marzo 2013, mentrediscutevamo il modello dei commons a partire da alcuni capitoli di La conoscenza comebene comune (2009 [2007]) consigliati da Francesco (in particolare l'introduzione diCharlotte Hess ed Elinor Ostrom e il capitolo di Peter Levine “L'azione collettiva,l'impegno civile e i beni comuni della conoscenza”), e dall'articolo “A DiagnosticApproach for Going beyond Panaceas” (E. Ostrom 2007) in cui viene esposto ilframework per l'analisi dei sistemi socio-ecologici. Ad un certo punto nella discussioneci siamo trovati frenati dalla nostra cautela nell'«affermare che l'impresa sociale in rete èun bene comune», perché ci sembrava di non disporre dell'evidenza necessaria asostenere una tale affermazione. Così ho proposto ai collaboratori di fare un passoindietro e di partire dagli elementi che costituiscono i beni comuni, indicatinell'introduzione di Hess e Ostrom.

I beni comuni prodotti collettivamente richiedono una forte azione collettiva esolidi meccanismi di autogoverno, oltre a un livello elevato di capitale sociale daparte dei protagonisti dell'iniziativa. (Hess e Ostrom 2009: 7)

Il capitale sociale ci sembrava una dimensione più semplice da concettualizzare rispettoa quella di beni comuni. Ci siamo domandati dunque se l'impresa sociale in retecapitale sociale, una domanda cui era più semplice rispondere. Per noi Mag offrivainnumerevoli esempi di come produce, consuma e riproduce capitale sociale: i corsi diformazione, gli incontri di approfondimento, la Casa Comune aperta alle persone e alle

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associazioni, l'incubatore sociale disponibile per le aziende in fase di startup senza sede,i momenti conviviali, l'attenzione nel mettere in contatto potenziali partners, le attivitàdi microcredito e di risparmio solidale, la pratica del «consiglio allargato» e del«consiglio itinerante»35, la richiesta ai soci di farsi «ambasciatori» della “rete Mag” e diutilizzare il logo della rete nelle proprie iniziative, e così via. Mag investe molto nellacostruzione e nel mantenimento delle relazioni, cioè investe molto nella costruzione dicapitale sociale tra le organizzazioni della sua rete36. I dati del questionario cipermettevano inoltre di affermare che anche le associate contribuiscono a rinnovare ilcapitale sociale, anche se con diversi livelli di impegno, come visto in precedenza.

L'“escursione” attraverso il concetto di capitale sociale ha permesso a noi membriperiferici di ritornare al discorso sui beni comuni con più sicurezza. Ad esempio siamoriusciti a cogliere le indicazioni contenute nel capitolo di Levine (2009) a propositodell'importanza del «processo di creazione» dei beni comuni e dei «beni comuniassociativi», e di ricondurle al punto di vista di Loredana.

Ritengo che il processo di creazione della conoscenza pubblica sia anch'esso unbene, perché costruisce capitale sociale, rafforza la comunità e conferisce allepersone le capacità di cui hanno bisogno perché la loro cittadinanza sia efficace.(Levine 2009: 263)

In apertura al suo capitolo, l'autore sottolinea di condividere l'idea presente negli altricapitoli del libro, cioè che la conoscenza sia da considerarsi un bene comune. Tuttaviaaggiunge che anche il «processo di creazione della conoscenza» è da considerare unbene comune, poiché è attraverso quel processo che si crea il capitale sociale e sifavorisce la cittadinanza attiva, elementi necessari affinché la conoscenza possa divenirepienamente un bene comune. Più avanti Levine indica che spesso la presenza di unaqualche forma di organizzazione è indispensabile per una effettiva cura dei beni comuni.In questo modo possiamo tornare alla questione dell'inserimento del soggettonell'oggetto e riconoscere come la rete di imprese sociali possa essere considerata unbene comune in sé, oltre che un buon sistema di governance per i beni comuni37.

35 «[…] l‘idea di svolgere le riunioni del Consiglio di Amministrazione nelle sedi delle imprese socie, il progetto “Consiglio itinerante”, serve per far conoscere le realtà aderenti agli altri soci, non solo con le parole ma anche con i fatti e l‘esperienza in prima persona. Inoltre permette di coinvolgere nel dibattito anche tutti i lavoratori della realtà ospitante, che normalmente non partecipano al Consiglio, così da renderli consapevoli della dimensione di rete nella quale operano, di cui spesso non si ha piena percezione nella periferia del gruppo». (Ceriani 2012: 105–106).

36 Abbiamo proseguito la riflessione chiedendoci che tipo di capitale sociale Mag produca. Abbiamo riconosciuto che senz'altro produce capitale sociale di tipo bonding, cioè quello che permette di mantenere risorse all'interno della comunità. Un esempio è l'acquisto della Casa Comune. Ci sembrava anche possibile affermare che Mag produce capitale sociale bridging. Ad esempio con il microcredito che viene elargito anche al di fuori delle associate, o con gli incontri formativi che coinvolgono anche persone non associate, e così via. È evidente che Mag investe in relazioni all'esterno della propria rete, che possono fare da ponte verso altre reti. Pensando poi alle relazioni di tipo più istituzionale, che intrattiene con i sindacati, gli enti pubblici locali, regionali e anche nazionali, altre reti nazionali e internazionali e così via, ci sembrava possibile affermare che Mag genera anche capitale sociale di tipo linking.

37 Per me è stato anche interessante rendermi conto di quanto questo ragionamento rispecchiasse in

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Tuttavia, come ho mostrato, il nostro percorso di ricerca porta alla luce una certadiversità negli obiettivi rispetto al lavoro di Loredana. Da questa diversità di obiettivi edinteressi emerge da un lato la collaborazione produttiva con la figura magistrale diLoredana, che si configura almeno in parte come una collaborazione tra centro eperiferia della comunità di pratiche. Dall'altro, proprio questa conformazione mi spingea riflettere sul posizionamento del nucleo centrale di Mag: se la ricerca di Silvia avesseindagato la più ampia comunità di pratiche dell'economia sociale e della società civile,di cui anche la “rete Mag” è una componente, sarebbe emersa una struttura diversa?Oppure Mag e il suo linguaggio sarebbero comunque risultate così centrali?

In effetti la ricerca di Silvia è stata concepita fin dall'inizio per indagare la “reteMag”, individuando le organizzazioni “collegate”, che mantengono dei rapporti conMag Verona. In riferimento a questa rete Mag occupa il punto centrale. Nei primiincontri del gruppo di ricerca ho cercato di affrontare questo argomento, mettendo inevidenza l'importanza di considerare la rete Mag anche nel suo contesto e nonisolatamente (come avevo fatto con la Commissione Progetti di Villa Buri). La domandada cui è iniziata la nostra riflessione era se la rete Mag fosse una rete di governancecapace di prendersi cura di risorse e diritti come beni comuni. Ho cercato di portarel'attenzione sull'interconnessione tra Mag e le altre reti che insistono sulle stesse risorsee diritti formando un sistema più ampio. È a questo livello sistemico che, a mio avviso,si poteva collocare più correttamente il soggetto della cura dei beni comuni. Ciòrispecchiava il mio punto di vista di “esterno”. Anche il questionario di Silvia tenevaperò in considerazione uno sguardo esterno in alcune domande sul rapporto con il«territorio», sull'adesione ad «altre reti» e sul rapporto con le «istituzioni». Questielementi sono confluiti nella sezione del report dal titolo “Relazioni esterne alla reteMag”38.

Dall'analisi dei questionari risultava che circa la metà delle organizzazioni aderentialla rete Mag partecipava soltanto a quella rete. L'altra metà (di poco più abbondante)partecipava ad una o due altre reti.

Il 47,5% delle imprese del circuito risulta aderire solo alla rete Mag, tra le qualispiccano le organizzazioni che aderiscono a Mag da meno tempo, segno chel'implementazione di dinamiche extra-reticolari è frutto di una maturazione di uncomportamento collaborativo ed interdipendente.

Le organizzazioni che non si limitano ad aderire solo a Mag si rivelano alquanto

modo puntuale quello alla base di una delle mie critiche alla conduzione del progetto del portale del terzo settore. In quell'occasione avevo insistito sull'importanza di condividere il processo di creazionedello strumento del portale (strumento inteso come bene comune). Questa volta ero stato l'ultimo a rendermi conto dell'importanza del processo di costruzione dei beni comuni ad opera della rete di imprese collegate a Mag, punto di vista sostenuto fin da subito invece da Loredana.

38 Partendo dalla considerazione che «[n]ell'economia sociale, la dimensione relazionale acquista un ruolo fondamentale», su suggerimento di Silvia identifichiamo «le relazioni come filo conduttore dell'analisi» e distinguiamo «tre livelli di analisi» (e tre sezioni corrispondenti del report): «le relazioni interne alle singole organizzazioni; le relazioni tra organizzazioni all'interno della rete Mag; […] le relazioni verso l'esterno della rete» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 9).

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vivaci. Il 31% delle quali aderisce a minimo altre due reti, con ovvie ripercussionipositive in termini di varietà dei legami. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 25).

Nella sua tesi Silvia riscontra un solo caso di organizzazione che si interfaccia a tre altrereti (Ceriani 2012: 187). Emerge nuovamente la questione del “giusto” numero diinterconnessioni, precedentemente emersa durante gli incontri della CommissioneProgetti di Villa Buri, p. 106), sia riferita al numero di reti a cui le organizzazionipartecipano, che al generale numero di legami che le organizzazioni riescono amantenere.

[…] l'essenza di una rete sociale è il progressivo sviluppo (aumento) delleesternalità, quindi più organizzazioni sono coinvolte, più circolano le idee, piùnascono e si rafforzano le imprese dell'economia sociale. Allo stesso tempo èriconosciuta la difficoltà a costruire legami con un numero troppo vasto diorganizzazioni, che andrebbe anche ad inficiare sulla qualità delle relazioni.(Ceriani 2012: 189)

Riferendosi ai legami profondi, ad esempio di sostegno vicendevole, emerge un limite alnumero di relazioni che ogni organizzazione può mantenere, a meno di noncompromettere la qualità delle stesse. Cionondimeno si intuisce un'ampiasovrapposizione tra reti diverse39, e questo dato conferma una volta di più l'interesse peruna mappatura condivisa delle relazioni (il grafo della rete), per poter rendere visibile larete complessiva emergente. Questa mappatura potrebbe unire i punti di vista parziali,come quello della rete Mag che si può ricavare dall'analisi del questionario di Silvia.

Anche il rapporto con la comunità più ampia, con il «territorio», e con le istituzionisono stati esplorati dal questionario. Emerge «una forte collaborazione con gli entilocali», sia attraverso «la partecipazione congiunta con enti pubblici e privati a progettiin risposta alle esigenze emerse nel territorio», sia attraverso «legami che […] hannovalenza politica e si esplicano prevalentemente nel dialogo e nella messa in circolazionedi informazioni» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 24). Oltre a queste due dimensioni,il questionario mette in evidenza una «terza modalità con cui le organizzazionidichiarano di sentirsi connesse alla comunità di appartenenza», definita come il «gradodi riconoscimento del valore delle imprese sociali».

Alcune hanno espresso un'approvazione da parte della collettività molto forte, cheha permesso il moltiplicarsi dei benefici e la semplificazione dello svolgimentodelle attività. La reputazione ed il sostegno sociale derivano dal fatto che leimprese sociali si prendono cura di aspetti delicati ed importanti della vita dellepersone della comunità e che offrono sostegno nell'attuale momento di crisi tramitela ricerca creativa di nuove forme di occupazione. (Ceriani, Grottola, e Marchi2013: 22)

39 Il questionario non permette di identificare le «altre reti», ma soltanto di valutare la distribuzione delle adesioni per tipologia di rete: «Associazioni nazionali (es: Legacoop, Confcooperative, ecc.)», «consorzi», «ATI (Associazione Temporanea d'Impresa)», «network formati con altre organizzazioni aderenti a Mag» dello stesso settore dell'organizzazione dell'intervistato, «network formati con altre organizzazioni aderenti a Mag di altro settore», «network formati con altre organizzazioni che non aderiscono a Mag». Le associazioni nazionali e i network esterni a Mag sono state quelle più gettonate.

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È interessante osservare che la relazione con la comunità più ampia è valutata anche inbase al «grado di riconoscimento» dell'impresa sociale. Questo argomento si ricollegaalle osservazioni sull'eccessivo bisogno di riconoscimento come ostacolo al fare rete,emerse durante l'incontro del “Master in Pedagogia delle Relazioni” (p. 188). Sembraesserci nuovamente un effetto soglia: fino ad un certo punto il riconoscimento è unimportante ingrediente del buon funzionamento dei progetti, perché permette «ilmoltiplicarsi dei benefici e la semplificazione dello svolgimento delle attività», cosìcome è importante, da parte degli enti pubblici, il riconoscimento dei soggettidell'economia sociale e della società civile nella gestione dei beni comuni, attraverso ilprincipio della sussidiarietà. Oltre una certa soglia, quando troppe energie vannoinvestite nel tentativo di “stabilire chi abbia fatto cosa”, il bisogno di riconoscimentodiventa un ostacolo alla collaborazione.

Queste osservazioni hanno una particolare risonanza nel lavoro di scritturacollaborativa che stavamo portando avanti nel gruppo di ricerca. Per facilitare lascrittura a più mani abbiamo utilizzato un “documento condiviso” (utilizzando ilsoftware “Google docs”), in cui ognuno di noi poteva modificare il testo del report dalproprio terminale, facendo apparire le modifica automaticamente sul terminare deglialtri. La prima necessità sorta era stata di mantenere visibile nel tempo che cosa ognunodi noi avesse scritto, per poter cogliere i differenti contributi. Abbiamo scelto di adottareun diverso colore di testo per ognuno di noi. Inoltre abbiamo utilizzato le funzioni dicommento a lato per notificare ai collaboratori le proposte di modifica del testo, nei casiin cui serviva una conferma, un consenso o un consiglio.

Un effetto secondario dell'utilizzo di questi strumenti è stato quello di rendereimmediato il “riconoscimento” dei contributi di ciascuno. Era possibile identificareintuitivamente “con un colpo d'occhio” le parti più collaborative, se qualcuno delgruppo stava contribuendo poco, oppure ancora chi contribuiva maggiormente. In breveera possibile valutare la distribuzione del lavoro. Pur non essendo mai stato unargomento esplicito durante le riunioni40, e non essendo mai emersi conflitti a questoriguardo, la valutazione dei contributi dei collaboratori era un'attività decisamentepresente nei lavori di gruppo e il gruppo di ricerca presso Mag non costituisceun'eccezione. Ho potuto sperimentare direttamente questa situazione e i risvolti checomportava, cogliendomi in diversi momenti a verificare la lunghezza dei testi, lafrequenza dei contributi, la partecipazione alle riunioni, e così via.

L'adozione di strumenti (in questo caso informatici) che rendono percepibile ladistribuzione del lavoro, o in generale il “peso” dei contributi, favorisce l'auto-controllospontaneo e il controllo reciproco a livello implicito. Ad esempio la colorazione deltesto in base all'autore aumenta la possibilità di esprimere un commento diapprezzamento durante una riunione, del tipo “bellissimo quel pezzo che hai scritto”.

40 Diversamente, durante gli incontri della Commissione Progetti di Villa Buri (come in molte altre occasioni durante il fieldwork) la valutazione dei contributi dei partecipanti è emersa in modo esplicito.

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Allo stesso tempo offre l'occasione per esprimere un dubbio o l'esigenza di unarevisione. È anche più semplice per i membri del gruppo dividersi i compiti, ad esempioun nuovo compito può venire facilmente assegnato a chi ha contribuito di meno (tra chiè in grado di portarlo a termine). In questo modo la questione del riconoscimento vienerisolta in modo per lo più intuitivo ed automatico attraverso valutazioni continue. Laquestione in altre parole non occupa l'attenzione consapevole dei presenti, che possonoconcentrarsi su altri aspetti del lavoro.

L'importanza di strumenti che facilitano la valutazione della distribuzione tracollaboratori è messa in evidenza anche da Lansing per il caso dei subak balinesi, inparticolare in riferimento alla divisione delle risorse, e specificamente dell'acqua, tracontadini. In breve, Lansing dimostra che il sistema di gestione cooperativa diirrigazione è anche «incorporato fisicamente» in strumenti di divisione proporzionaledel flusso dell'acqua chiamati tektek. Questi rendono possibile a ciascuno di verificare“a colpo d'occhio” se la quantità d'acqua che fluisce in un canale corrisponde agliaccordi stabiliti e quindi di verificare l'equità della distribuzione (Lansing 2006: 8). Inquesto modo si riducono i conflitti provocati dalla percezione di ineguaglianza o dallegelosie. I pianificatori, all'interno dei piani di sviluppo per la modernizzazionedell'agricoltura tradizionale, hanno cercato di sostituire questi strumenti con altri più“moderni”, senza cogliere l'importanza che i tektek avevano al di là del loro ruolotecnologico (divisione dell'acqua) per favorire la collaborazione e ridurre i conflitti.

Astraendo dai contesti specifici, questo argomento trova un riscontro in alcuni deiprincipi generali per la gestione dei beni comuni individuati da Ostrom (2006 [1990]).In particolare nelle indicazioni sull'importanza di un sistema di auto-controllo da partedegli utenti, di un sistema di sanzioni progressive e di meccanismi accessibili dirisoluzione dei conflitti. Alcune domande del questionario hanno permesso di ragionaresu questi tre principi in riferimento alle relazioni interne ad ogni organizzazione dellarete Mag. Per indagare la situazione riguardo al sistema di «auto-monitoraggio», sullabase della considerazione che, secondo le indicazioni di Ostrom, i controllori devonoessere gli stessi utenti o figure riconosciute dagli utenti, sono state utilizzate duedomande che si riferivano al «riconoscimento dell'autorità alle figure fondatrici e/omagistrali dell'impresa» e al «grado di affidamento a figure di supervisione esterne».Abbiamo interpretato i risultati (giudizi molto positivi per la prima domanda e medi perla seconda) come una conferma del fatto che «le organizzazioni in questione sono piùinclini all'auto-monitoraggio, in sintonia con i principi fondanti dell'autogestione»(Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 12).

Nonostante la mancanza di una domanda specifica nel questionario, abbiamoosservato l'importanza dell'auto-controllo riferendola alla tipica composizione«multistakeholder» delle «organizzazioni complesse» (come sono molte cooperativesociali della rete Mag), caratterizzate dalla compresenza di «diversi portatori diinteresse: lavoratori/lavoratrici, lavoratori svantaggiati, utenti, clienti, volontari,

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sovventori/finanziatori, persone giuridiche». In questi casi, in cui la «presenza di unapluralità di processi decisionali comporta l'acuirsi dei problemi di coordinamento», «lagestione dei conflitti viene facilitata grazie all'identificazione anticipata di una strategiacondivisa tra i diversi partecipanti e l'autocontrollo di ciascun soggetto, affinché nonagisca da opportunista nei confronti degli altri» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 12).

Il questionario richiedeva anche di dare un giudizio sullo stato della propriaorganizzazione in riferimento a «capacità di gestire conflitti» e «adeguato sistemasanzionatorio». «Il giudizio sulla capacità di gestire i conflitti è di carattere decisamentepositivo […], informazione concorde con l'elevata qualità delle relazioni interne […]».«Il giudizio sull'adeguatezza del sistema sanzionatorio invece è medio basso […]».L'interpretazione di questo risultato ha richiesto una particolare attenzione.

[…] potrebbe indicare la mancanza o l'inadeguatezza delle modalità disanzionamento degli atteggiamenti individualisti, che vanno quindi a “consumare”il capitale relazionale creato nelle organizzazioni. Va segnalato che la domanda haraccolto solo il 45% delle risposte (a fronte di una media pari al 76%),manifestando con grande probabilità l'assenza di un sistema sanzionatorio nellamaggior parte delle organizzazioni collegate a Mag e aprendo la porta a metodialternativi alle politiche sanzionatorie. Ci siamo anche accorti che impostare ladomanda sul concetto di sanzioni (termine usato anche da Ostrom) spostal'attenzione sul negativo, lasciando probabilmente inesplorata la dimensione deirinforzi positivi e degli incentivi. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 14)

La discussione (avvenuta principalmente durante l'incontro dell'11 aprile 2013) ci haportato a presumere che per la maggior parte dei casi le risposte negative indichino lamancanza di un sistema sanzionatorio «chiaro». Francesco faceva notare che nel settoredell'economia sociale è più facile trovare sistemi sanzionatori che sono di tipo «nonmonetizzabile», ad esempio «di tipo morale», basati sulla pressione sociale aconformarsi ad un certo comportamento. «Nel nostro settore si tende a risolvere iproblemi in famiglia», osservava Loredana, «i sistemi sanzionatori risolvono gran poco,perché entrano in gioco passioni, relazionalità, e tendenzialmente i problemi vengonoaffrontati – parliamo delle piccole cooperative – attraverso colloqui…».

Dalla tesi di Silvia si può ricavare un altro esempio dell'importanza dei sistemi diauto-controllo. Silvia spiega che «disinteresse alla collaborazione e accentuataconcorrenza» sono le meno sentite tra le «difficoltà di rete» su cui il questionariochiedeva di dare un giudizio.

Questi due aspetti sono poco presenti grazie alla selezione iniziale e al costanterapporto con Mag Mutua e Mag Servizi: casi di organizzazioni nate per scopicontrastanti con l'economia sociale, o che li maturano in seguito, si allontananoautonomamente dal circuito. L'autoselezione permette una bassa incidenza del free-riding sulla qualità dei rapporti. (Ceriani 2012: 183)

Al di là del ruolo di Mag emerge l'importanza dell'«auto-selezione». Anche se lecondizioni in cui questa forma di auto-controllo si verifica non sono specificate, è chiaroche essa ha un ruolo come sistema di auto-monitoraggio, di auto-sanzionamento e di

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risoluzione a basso costo dei conflitti. In generale abbiamo osservato che nel mondodell'economia sociale si attuano spesso metodi di sanzionamento informali ed impliciti.Proprio in questa categoria trovano spazio – a mio parere – anche quegli strumentiricordati prima che, rendendo percepibile ed immediato il contributo dei collaboratori ola distribuzione delle risorse, favoriscono la soluzione dei conflitti in modo automatico eintuitivo. Questi sistemi favoriscono l'auto-controllo e il controllo reciproco da parte deimembri di una comunità di pratiche.

In questa luce si può anche leggere l'importanza della presenza e della visibilità delnome/logo delle organizzazioni partecipanti (dei patrocini degli enti pubblici oppure inalcuni casi dei nomi delle singole persone che hanno collaborato, e così via) suivolantini e sugli altri documenti dei progetti collaborativi. Si tratta gesti diriconoscimento, e in certi casi anche di vera e propria riconoscenza, fondati sul renderevisibili la collaborazione e il contributo dei vari collaboratori. Non è un caso infatti chequesta pratica susciti anche delle discussioni: un logo omesso equivale ad unacollaborazione non riconosciuta. La lettura/revisione dei volantini per verificare lapresenza dei loghi è una pratica molto diffusa, ed ho potuto osservarla in due diversemodalità. La prima, più diffusa e più ovvia, è la verifica della presenza del proprio logonel volantino di un'iniziativa (coordinata da un altra organizzazione), per la quale ci siaspetta un riconoscimento. In alcuni casi il conflitto causato da un'aspettativa disattesa èstato affrontato direttamente. Di solito è sfociato in una revisione del volantino, altrevolte ha costituito l'occasione per una revisione del rapporto tra i collaboratori. Laseconda modalità, meno ovvia, è la verifica dell'assenza dei loghi di altre organizzazionicui non si desidera apparire vicino, nemmeno sulla carta (ho osservato questocomportamento una sola volta). In generale lo spazio riservato ai loghi dei collaboratoriè percepito come una rappresentazione simbolica relazionale e la vicinanza dei loghi traloro è significativa.

Continuando l'analisi dei questionari, un ulteriore argomento di particolare interesseè il ruolo di Mag Verona all'interno della propria rete. Nel report viene messo inevidenza per prima cosa il problema dell'isolamento. In base al valore mediol'isolamento è decisamente poco presente, tuttavia il 14,7% degli intervistati lo hagiudicato come un fattore di disagio molto forte, «disagio che proprio la rete Mag, conl'obiettivo di integrare e dare valore all'operato delle imprese sociali, dovrebbe mirare asuperare» (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 16). Come si può vedere è presente nellapercezione dei partecipanti al gruppo di ricerca l'idea che Mag abbia il compito diprendersi cura delle relazioni di rete, proprio come era stato messo in evidenza dalcommento di M. Teresa durante la prima lezione del Master in Pedagogia delleRelazioni (p. 189). Questo dato è inoltre interessante perché, nonostante la “rete Mag”sia per definizione una rete centrata sul nodo “Mag Verona”, questi intervistati indicanodi sentirsi in uno stato di isolamento in generale, non soltanto in relazione alla rete Mag.

Il questionario è costruito per valutare la rete Mag sotto due punti di vista, come rete

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centrata sul «nucleo focale» costituito da Mag stessa e come «l'insieme di tutte leorganizzazioni che vi fanno parte».

Rispetto all'individuazione dei soggetti a cui connettersi si evidenziano due tipi dimotivazione: in primo luogo le organizzazioni si connettono con il nucleo focale diMag, Mutua e Servizi, solo in seconda battuta emerge il legame con le altre realtàdella rete. Si evince la preminenza di rapporti con il centro, rispetto alla periferia;ciò deriva sia dalla grande eterogeneità della rete, sia dalla strategia interna delnucleo focale di ricoprire un ruolo di mediazione tra le collegate per evitare che siinneschino fenomeni concorrenziali deleteri per la coesione. (Ceriani, Grottola, eMarchi 2013: 17)

Le relazioni con il centro sono più forti e più frequenti rispetto alle relazioni con il restodella rete. Utilizzando la terminologia dell'analisi delle reti sociali (Scott 2000) sipotrebbe dire che non solo Mag è un nodo centrale, ma che la rete ha un elevato livellodi centralizzazione. Ovvero i nodi connessi a Mag non sono molto connessi tra loro. Ilquestionario non permette di quantificare queste affermazioni a livello relazionale.Rimane tuttavia l'importanza di questo risultato nel descrivere genericamenteun'immagine della rete. Nella sua tesi Silvia offre anche un'interpretazione graficaqualitativa, in forma di grafo di rete, di questa immagine (figura 21).

Nei rapporti con il nucleo focale, come già visto, emerge principalmente l'importanzadell'utilizzo dei servizi alla gestione amministrativa/aziendale. In altre parole la rete siregge principalmente su relazioni strumentali costruite attraverso diversi servizi offertida Mag (anche i servizi di «consulenza e tutoraggio all'autoimprenditività» sonomediamente molto utilizzati), di cui le collegate hanno bisogno. Seguono le attività di«stimolo alla consapevolezza del significato dell'economia sociale e delle pratichedell'autogestione», cioè attività basate sull'approfondimento del linguaggio e sullaproduzione e condivisione di senso.

Per quanto riguarda invece le «attività svolte [dalle organizzazioni intervistate]congiuntamente con le altre imprese aderenti alla rete», cioè andando a guardare ilegami orizzontali tra organizzazioni a prescindere da Mag, emerge un quadro in parteopposto, dove «[…] il concetto di rete è molto legato alla condivisione di ideali, ma inalcuni casi sembra sbiadire nella pratica». Soltanto lo «scambio di informazioni e divisione» ottiene un valore medio nettamente sufficiente.

Il gruppo di ricerca non interpreta questi risultati in modo negativo, ma cogliel'occasione per costruire un discorso positivo sulla specifica organizzazione della rete.

Emerge dai questionari una chiara difficoltà nell'allacciare legami orizzontali traorganizzazioni. Ciò non rimanda necessariamente ad un sentimento di impotenza,bensì può essere interpretato come un bisogno di andare oltre le relazioniorizzontali. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 19)

Si parte dall'idea della necessità di superare la retorica delle relazioni orizzontali,dell'uguaglianza intesa in senso troppo letterale e del rifiuto della centralità consideratasolo come forma autoritaria di comando, che sono tipiche di questi ambienti sociali.

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Capitolo 4

La rete non si basa sul concetto di uguaglianza, nel senso di completainterscambiabilità tra soggetti, bensì si fonda sulla valorizzazione delle differenzepeculiari a ciascuno. Per esempio all'interno di Mag si relazionano organizzazionidi diverse età: le imprese più storiche si contraddistinguono per avere mercaticonsolidati e quindi per attuare una politica difensiva; al contrario le organizzazionipiù giovani sono caratterizzate da instabilità e dinamismo. Riuscire a renderesinergiche queste differenti competenze e risorse permette ai rapporti reticolari didiventare legami fecondi. (Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 19)

Il linguaggio dell'uguaglianza viene completato dalla «valorizzazione delle differenze».In altre parole l'idea di uguaglianza non viene rifiutata tout court, ma solo nella suaaccezione di indifferenziazione o omologazione ad un'identità comune, cioè di«interscambiabilità» dei soggetti e delle esperienze. È importante notare che lavalorizzazione delle differenze presente nel linguaggio e nelle pratiche di Mag, puressendosi originata da riflessioni incentrate sul pensiero e sulla pratica della differenzasessuale (Diotima 1987), si estende alla valorizzazione di qualsiasi tipo di differenza,come ad esempio quella relativa all'età delle organizzazioni presente nel testo citato. Sitratta di un linguaggio che valorizza la diversità interna alla rete, la specificità deisoggetti, e il potenziale di relazioni di collaborazione tra soggetti diversi.

Anche il concetto di orizzontalità non viene rifiutato. È evidente il valore riposto daimembri del gruppo di ricerca nelle relazioni tra le organizzazioni della rete. Tuttavia ilconcetto viene integrato attraverso alcune riflessioni.

Le reti eccessivamente paritetiche tendono ad esplodere oppure a stagnare;necessitano quindi di un “di più” di qualcuno, a livello di iniziativa, che metta indiscussione la relazione tra pari. D'altro canto però, il ruolo di mediazione svolto daMag può in alcuni casi sbilanciare la rete. Questo alla luce di quanto emerso daiquestionari, dai quali con una certa frequenza si evince un concetto di rete vicino alricevere aiuto (da Mag Servizi in particolare), piuttosto che impostare un modo diagire attivo e collaborativo con le altre collegate. (Ceriani, Grottola, e Marchi2013: 19)

Per il gruppo di ricerca una rete eccessivamente orizzontale non presenta una strutturarobusta perché i rapporti possono creare eccessive tensioni e far «esplodere» la rete,oppure possono mancare di dinamicità e «stagnare». La visione di rete che Magpromuove e persegue riconosce l'esigenza di qualcosa «di più», da parte di «qualcuno»che ricopra un «ruolo di mediazione».

Per riprendere la riflessione iniziata con il confronto con il linguaggio del Labsus,non vi è dubbio che Mag intenda il proprio ruolo nella rete come un ruolo di mediazionee di coordinamento.

Tale funzione è riconosciuta dalle responsabili della Mag quale strumento percollegare ed evitare fenomeni competitivi» (Ceriani 2012: 175).

La mediazione è intesa in particolare per attenuare le tensioni e favorire lacollaborazione tra le organizzazioni aderenti, ridurre la competizione sleale e favorire lacooperazione.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

[…] una dinamica reticolare che attenua le pratiche eccessivamente competitive,per attivare collaborazione finalizzata al sostegno degli stessi ideali e alla creazionedi un luogo sano dove si possano incontrare domanda e offerta.

In pratica il ruolo di Mag consiste nel promuovere il coordinamento nella rete, cercandodi favorire una «dinamica reticolare» positiva per tutte le organizzazioni aderenti,incoraggiando anche direttamente gli incontri tra le organizzazioni. Come per il Labsusnon c'è un interesse all'accentramento di potere.

Questo ruolo di coordinamento, lungi dall'essere una deriva gerarchica di Mag o unavolontà di prendere il controllo di una rete esistente, corrisponde alla mission con cuil'organizzazione Mag è stata creata 35 anni fa. Mag è nata infatti come risposta ad unaprecisa esigenza di coordinamento tra cooperative.

Tornando al 1978, il Gruppo informale aveva contribuito con successo all'avvio diben otto cooperative, tutte originate da un preliminare percorso dei soci perestrinsecarne le motivazioni e gli obiettivi sociali e politici posti a guidadell'esperienza. Non tardarono tuttavia ad affiorare alcune difficoltà, le principaliriconducibili alla mancata adesione alle centrali nazionali di cooperazione (le qualidal canto loro non dimostrarono alcun interesse a intrecciare rapporti) e all'assenzadi una struttura formale di coordinamento fra le cooperative appena nate. Suquest'ultimo punto il dibattito prese due orientamenti: l'unione in una strutturagiuridica precisa oppure una forma di collegamento più “leggero”. La prima ipotesicaldeggiava la creazione di un consorzio, che avrebbe potuto rappresentareall'esterno le cooperative e sarebbe stato in grado di gestire i problemi internicomuni. La seconda tesi si basava sul timore che una forma organizzativa troppostrutturata avrebbe portato ad una verticizzazione del gruppo, svuotandolo deisignificati della democraticità e del protagonismo delle origini. Alla fine si propeseper il coordinamento di cooperative, che culminò con la costituzione della Magcome società di mutuo soccorso nel dicembre dello stesso anno. (Ceriani 2012: 86)

Mag era già attiva dal 1975 come «gruppo informale» di persone, «composto da alcuniesponenti del sindacato e dell'associazionismo veronese» (tra cui l'avvocatoGiambattista Rossi, «primo fra tutti per passione e competenza», Loredana Aldegheri,Lino Satto e M. Teresa Giacomazzi), che fornivano «sostegno sociale e appoggiotecnico ai lavoratori delle cooperative che stavano nascendo». Per rispondereall'emergente bisogno di coordinamento tra le cooperative, fu deciso di creare «unaforma di collegamento più leggero» rispetto ad un consorzio, di cui si temeval'eccessivo accentramento di potere. Con questi obiettivi, nel 1978 è nata così MagMutua, affiancata nel 1982 (quando «un'assistenza marginale e saltuaria non era piùsufficiente») dalla cooperativa di servizi Mag. Perciò Mag oggi continua a perseguire lostesso tipo di collegamento leggero all'origine della sua nascita.

Nelle conclusioni del report abbiamo discusso l'ultimo aspetto che il questionariopermetteva di cogliere, attraverso due domande aperte su quali sono le risorse che leorganizzazioni investono nella rete e quali i «risultati attesi», cioè che cosa si aspettinodalla rete.

La sintesi del raffronto tra investimenti e risultati mette in luce un divario tra le

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Capitolo 4

risorse che le imprese sociali immettono nella rete e l'imponenza delle aspettative.(Ceriani, Grottola, e Marchi 2013: 28)

Nonostante solo circa un terzo degli intervistati abbia risposto a queste due domande, ilrisultato mostra un elemento in particolare: il divario tra «investimenti» effettivi e«aspettative»41.

Silvia raggruppa le aspettative in tre categorie: 1) «risultati a beneficio della singolaorganizzazione», «che possono essere ottenuti grazie al miglioramento dei servizi offertida Mag Mutua e Mag Servizi», ad esempio «una rete che possa fornire loro maggiori emigliori informazioni», «mappare (conoscere) il territorio», «incrementare il peso nellacontrattazione con l'ente pubblico»; 2) «risultati a beneficio della rete», ad esempio«incremento della diffusione delle attività e del coinvolgimento reciproco, mutuosostegno e solidarietà, collaborazione per lo sviluppo di nuove idee», un«irrobustimento dell'unità della rete che porta ad essere interlocutori più forti con l'entepubblico» ed «economie di scala»; 3) infine i «risultati a beneficio della collettività».

Rientrano in questa categoria le aspettative molto alte che esprimono la fortescommessa che le organizzazioni fanno sulla rete Mag e la grande convinzione cheil connubio tra Terzo Settore e rete possa apportare un grande cambiamento a tuttala comunità. Principalmente i risultati auspicati sono la diffusione di un'economiasolidale e basata sull'autogestione, la crescita del senso di consapevolezza cheesiste un'alternativa valida all'attuale sistema capitalistico e che la rete Mag ne è unesempio concreto, la creazione e il consolidamento di un nuovo punto di vista peraffrontare le incombenze della vita, la maggiore capacità di dare rispostequalificate ai bisogni del territorio, la sensibilizzazione e maturazione dei cittadinie degli utenti, lo studio dei problemi di portata generale e l'individuazione disoluzioni globali, il cambiamento della civiltà verso una felicità collettiva. (Ceriani2012: 194)

Molte persone condividono l'aspettativa, il desiderio e la speranza di riuscire, attraversola rete, a cambiare radicalmente il sistema socio-economico in cui vivono, a livellolocale e globale. Ciò è perfettamente in accordo con le reazioni dei partecipanti allalezione di Piras sul caso delle Domus Amigas42. L'esperienza descritta dalla relatrice erastata percepita come una realizzazione compiuta di queste aspettative, in quantoidealizzata da molti, poiché ciò corrisponde al loro sogno e desiderio.

Piras nel suo intervento ha esplicitato in modo molto chiaro che il cambiamentosociale si ottiene per “piccoli passi” e “partendo da sé”. È presumibile che il divariorilevato dall'analisi di Silvia si possa ricondurre al fatto che ad investimenti specifici(come organizzazione di un'attività, disponibilità di tempo ed energie, disponibilità a

41 Soltanto metà circa dei rispondenti «dichiara di attivarsi per costruire e mantenere i rapporti con le realtà della rete Mag con i metodi più variegati, al fine di potenziare la collaborazione». Un quarto dei rispondenti dichiara «di non compiere nessun investimento nella rete» o di contribuire esclusivamente attraverso il supporto economico alle iniziative. Per i restanti rispondenti, o «i rapporti di rete equivalgono ai rapporti con la Mag Mutua o la Mag Servizi», oppure «dichiarano di attuare alcune pratiche reticolari, ma non in modo soddisfacente» (Ceriani 2012: 191).

42 Ho osservato una distanza tra azioni/investimenti e aspettative anche nei discorsi di Villa Buri (p.127) e di Naturalmente Verona (p. 154).

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cooperare, sostegno economico, e così via), non corrispondano aspettative altrettantospecifiche, ma si rimandi all'aspettativa “definitiva” di riuscire a cambiare l'interosistema socio-economico. Il problema è che, riprendendo il linguaggio di Piras, nessunpiccolo passo riesce a modificare visibilmente il sistema, soltanto tanti (tantissimi)“piccoli passi” possono realizzare, dopo tanto tempo, e dopo aver superato determinatesoglie, dei “grandi passi”. In questo modo, se non accompagnata da un'appropriatariflessione, ogni azione può disattendere le “irraggiungibili” aspettative.

Questa lettura dei processi, più evidente per le aspettative nei confronti dell'impattosulla collettività, vale per tutte e tre le categorie di aspettative individuate da Silvia.Poiché ha una relazione diretta con il progetto del grafo della rete, prendo in esamel'aspettativa che l'adesione alla rete permetta l'accesso ad una “migliore e maggioreinformazione”, soprattutto in riferimento alla “mappatura del territorio”. Questaaspettativa sembra una delle più modeste dell'elenco fornito da Silvia. Tuttavia ancheper ottenere una “mappatura del territorio” è necessario un notevole investimento dienergie, tempo, intelligenza, competenze e collaborazione. Bisogna risolvere problemirelativi a come ottenere le informazioni, come aggiornarle, come integrarle, comerenderle accessibili. Qualsiasi scelta venga fatta richiede che si mettano in pratica egestiscano le corrispondenti procedure. Tra queste non vanno dimenticate quelle per ilcontrollo della qualità del lavoro svolto. È necessario coinvolgere un numero più omeno elevato di collaboratori, il che comporta un notevole flusso di comunicazione percoordinare le diverse agentività. Sono necessarie o è necessario sviluppare competenzespecifiche, e così via. Sicuramente si può realizzare una “mappatura del territorio”risolvendo tutti questi problemi in modo sbrigativo, ma in questo caso anche il risultatosarà corrispondente e quindi non ci si dovrebbe aspettare strumenti di mappaturasofisticati investendo poco tempo ed energie per realizzarli.

Nel tentativo di spiegare il perché del divario tra investimenti e aspettative, Silviachiama in causa una «ondivaga consapevolezza» del proprio contributo nella rete daparte delle organizzazioni partecipanti.

Ciò si ricollega da un lato ad un'ondivaga consapevolezza del valore reale delproprio apporto all'interno della comunità ed all'interno della rete: Mag, assieme alnucleo di imprese sociali più consapevoli, ha il compito di rilanciarequotidianamente la pratica della rete come corresponsabilità diffusa, anche comesuperamento di un atteggiamento che porta talune imprese sociali a fruire deiservizi, degli orientamenti e dei consigli Mag, senza mettere in campo unprotagonismo politico reticolare, diventando effettivi costruttori di rete. (Ceriani,Grottola, e Marchi 2013: 28)

Ancora una volta questa problematica viene ricondotta alla diversità tra il centro e laperiferia della comunità di pratiche della rete Mag. L'analisi produce l'esortazione,indirizzata al gruppo di organizzazioni che costituiscono il centro della comunità, adagire il loro ruolo di membri esperti nel diffondere l'apprendimento sociale nelle zonepiù periferiche della rete. Ciò comporta l'assunzione del «compito di rilanciare

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Capitolo 4

quotidianamente la pratica» e la specifica modalità di fare rete sviluppata nellacomunità, caratterizzata da «corresponsabilità diffusa», «protagonismo politicoreticolare» e dove i membri sono «effettivi costruttori di rete» (ovvero che rigeneranocapitale sociale). L'apprendimento di questa modalità deve raggiungere specialmente laperiferia più esterna, costituita da quei membri che vivono la rete solo come unafornitura di servizi, orientamenti e consigli (ovvero che consumano il capitale sociale).

Dal momento che la partecipazione alla rete è vista in generale come «un grandepotenziale», e tenuto conto che anche tra le organizzazioni che già partecipano ce nesono molte che vorrebbero fare di più, appare legittimo chiedersi quali sono i motivi cheimpediscono la partecipazione attiva e soddisfacente dei membri della comunità.

[…] la partecipazione ad una rete è sicuramente un valore aggiunto per le impreseche ne fanno parte, ma porta con sé delle inevitabili difficoltà […]. (Ceriani 2012:182)

La difficoltà che in assoluto viene percepita come più importante è la mancanza ditempo ed energie da condividere nella rete.

Le organizzazioni imputano in modo preponderante alla mancanza di tempo edenergie il motivo per cui la loro presenza non si rivela particolarmente attiva nellarete: tanto prese nella gestione della quotidianità nelle loro realtà, da avere pocotempo per dedicarsi alla rete. (Ceriani 2012: 183)

La regolare gestione delle attività all'interno della propria organizzazione è più chesufficiente ad occupare completamente l'orario di lavoro. Anzi, come messo in risalto daaltri commenti, spesso le imprese sono «oberate di lavoro» e già senza considerareattività di rete richiedono un surplus di impegno da parte dei loro membri.

La visione attuale tende a percepire la rete con le altre organizzazioni come ungrande potenziale, ma allo stesso tempo una difficoltà in più di coordinamento.Molto spesso appare un sovraccarico di energie, per imprese che sonoparticolarmente oberate di lavoro. Il Terzo Settore prende molte energie e restanopoche risorse da condividere. (Ceriani 2012: 173)

La causa di questo «sovraccarico di energie» richieste ai lavoratori è ricondotta anche aduna specifica «componente motivazionale» del Terzo Settore.

[…] le organizzazioni del Terzo Settore si contraddistinguono per una fortecomponente motivazionale che porta a rendere più labili i confini tra lavoro e vita,tanto che il lavoro assorbe una grande fetta della vita delle persone.

In pratica, nel Terzo Settore (come in altri casi, ad esempio l'imprenditoria familiareoppure il mondo accademico) le persone sono spesso coinvolte personalmente negliobiettivi dell'impresa e faticano a far rispettare i confini del luogo di lavoro,estendendone l'orario, le preoccupazioni, e l'impegno anche nella propria vitapersonale43. È chiaro che, per persone che sono già sovraccariche di lavoro, qualsiasi

43 In realtà, come dimostrano molti studi sul mondo aziendale, l'estensione degli aspetti del lavoro nella vita personale, con effetti anche particolarmente negativi, è una caratteristica dell'economia

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sforzo ulteriore, anche se si tratta semplicemente di inviare una email per informare lealtre organizzazioni di un proprio evento in programma (il che andrebbe tutto a propriovantaggio perché si diffonderebbe l'informazione), può essere percepito come eccessivo.Ciò corrisponde esattamente a quanto emerso durante gli incontri del direttivo diNaturalmente Verona o della Commissione Progetti di Villa Buri, ed è comprensibilel'insistenza di alcuni membri più realisti sulla raccomandazione di non richiedere per leattività di rete (quasi) “niente di più” del normale svolgimento del lavoro delle singoleassociazioni.

Questa pressante presenza della mancanza di tempo apre alla possibilità dellosviluppo di procedure che riducano il carico di lavoro e soprattutto che semplifichino leattività di coordinamento. Se non si può aumentare il tempo a disposizione, si puòtentare di ridurre il bisogno di tempo. L'argomento viene introdotto da Silvia inrelazione alla seconda difficoltà in ordine di importanza: la «difficoltà dicomunicazione».

Anche le difficoltà di comunicazione spiccano sulle altre, a testimonianza che leorganizzazioni non hanno gli strumenti, oltre che il tempo, per mettersi in relazionee poter mettere in circolo informazioni in modo semplice ed efficace. Anche inquesto contesto la proposta di implementare un portale per le imprese della Mag edel Terzo Settore diventa un valore aggiunto allo scopo di favorire il dialogo,fondamentale per costruire relazioni solide. (Ceriani 2012: 183)

Mancano gli strumenti per favorire una semplice ed efficace circolazione delleinformazioni. Silvia indica che lo strumento del Portale del Terzo Settore in fase disviluppo è senz'altro una risposta alle difficoltà di informazione, per «favorire ildialogo» tra i membri delle organizzazioni. Il portale viene descritto nella tesi di Silviacome strumento «in cantiere» in riferimento anche ai «servizi di promozione»,confermando il doppio target del progetto (comunicazione e organizzazione interna daun lato, promozione dall'altro).

Per quanto attiene alla promozione, essa è un'attività molto perseguita comedivulgazione degli ideali della rete Mag, al contrario è avvertita una minorincisività della pubblicità delle singole realtà collegate. Questa in realtà è anch'essauna funzione di cui la Mag si prende cura, tramite la comunicazione degli eventiorganizzati dalle imprese con lo strumento della newsletter quindicinale, ilracconto più preciso e accorato della vita delle imprese dell'economia sociale nellarivista A&P, la bacheca con la possibilità di esporre i propri volantini esplicativinella sede della Mag e soprattutto il passaparola. Le difficoltà di efficacia sonoriconosciute e attenuate anche tramite il percorso compiuto per attivare pratiche dimarketing sociale, sia a livello di rete sia a livello di singole realtà. Il portale webdel Terzo Settore è il progetto in cantiere che va in questa direzione.

Per quanto riguarda la promozione, Silvia sottolinea la differenza tra promozione degliideali della rete Mag e promozione delle singole organizzazioni e attività, indicando chela seconda tipologia è percepita come meno incisiva.

“flessibile” tipica del nostro periodo storico. Si vedano in tal senso Harrison (1994), Sennett (1999 [1998]) e Marzano (2009 [2008]).

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Tra gli strumenti già in uso presso Mag ci sono la «newsletter quindicinale», la«rivista A&P» cartacea, la «bacheca» in sede, e «soprattutto il passaparola». Èinteressante notare che questo elenco di strumenti si configura come una serie che vadalla comunicazione in presenza alla comunicazione virtuale. Si parte dall'utilizzo dellecomunicazioni più dirette e in-presenza del passaparola che può avvenire tra due o piùpersone. Si passa alle comunicazioni in-presenza, ma differite nel tempo della bacheca(dove il mittente lascia un messaggio che può essere letto da svariati destinatari che sitrovano a passare successivamente da quello stesso luogo). La rivista si configuraprincipalmente come una forma di emissione, cioè le informazioni vengono inviate daMag ai lettori, anche se la rivista contiene un'importante sezione riservata allacorrispondenza chiamata «Spazio ai lettori e alle lettrici». Si tratta di unacomunicazione principalmente indiretta, mediata dalla forma cartacea, anche se esisteun periodo di comunicazione diretta e di scambio prima della pubblicazione, all'internodel gruppo di redazione, curato da alcuni membri di Mag con collaborazioni volontarieesterne. La newsletter si configura come una forma di bacheca virtuale, che raccoglie lenotizie inviate dai membri della comunità e le trasmette con scadenza quindicinale atutti i lettori iscritti. Il Portale del Terzo Settore «in cantiere» si posiziona quindi comeultimo elemento di questa serie, basato come per la newsletter principalmente sucomunicazioni virtuali, ma mettendo a frutto le potenzialità del web interattivo (dovecioè i membri della comunità possono pubblicare direttamente i contenuti). Si tengapresente che la comunicazione virtuale (le «reti telematiche») è considerata dai membridi Mag come un supporto alla comunicazione in presenza, ma non un sostituto. Ciò èemerso chiaramente, ad esempio, dal CdA allargato del 12 gennaio 2014.

In conclusione, la ricerca sulla rete Mag ha evidenziato: 1) la necessità di un nuovolinguaggio come quello dei beni comuni per rinnovare la capacità di nominare il valore(«l'oro») relazionale delle organizzazioni impegnate nell'economia sociale; 2) l'esigenzadelle organizzazioni di concentrarsi sulle proprie attività costitutive; 3) la difficoltà dicoordinamento, attualmente collegata soprattutto alla mancanza di tempo da parte deimembri delle organizzazioni della rete e alla mancanza di strumenti adeguati chesemplifichino la comunicazione.

È importante notare che i questionari raccolti sono stati somministrati ai/allepresidenti delle organizzazioni della rete Mag e possono quindi rispecchiare un punto divista di ruolo (quello del/della presidente) che non è scontato sia sempre rappresentativodi tutti i membri di un'organizzazione. L'elaborazione dei dati non tiene inconsiderazione questa dimensione. Invece la ricerca riesce a tenere in considerazionel'opinione dei presidenti insoddisfatti, come dimostra il fatto che alcuni intervistati«hanno valutato la partecipazione alla rete con un punteggio molto negativo» (Ceriani2012: 182).

L'ufficio formazione e progetti di Mag è stato impegnato per giorni nella stampa erilegatura delle copie del report con i risultati dell'analisi, che sono state consegnate a

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tutte le organizzazioni coinvolte nella ricerca, e ad altri contatti della rete. Ulterioriincontri del gruppo operativo sono serviti a preparare il convegno di restituzione, che siè svolto il 17 maggio 2013 presso una grande sala conferenze. Più di un centinaio dipersone hanno partecipato all'incontro. Alla presentazione è seguito un ampio dibattito egli atti, curati da Alessandra De Perini, sono stati pubblicati nel successivo numero diAP, Economia delle relazioni e cura dei beni comuni (De Perini 2013) insieme ad unasintesi della ricerca a cura di Francesco G..

Parole chiave “partecipate”

Il numero di AP con gli atti del convegno riporta in copertina l'immagine di una “nuvoladi parole” costruita a partire dal testo del report. Si tratta di un tipo di rappresentazionivisuali chiamate comunemente tag cloud; sono composizioni artistiche di parole chiavecostruite sulla base di dati quantitativi, in cui la dimensione rappresenta solitamente lafrequenza con cui una parola viene utilizzata o la sua “popolarità”. Il tag cloud incopertina è stato realizzato per essere proiettato durante gli interventi del convegno del17 maggio allo scopo di racchiudere in un'unica slide le parole più significative. Ildisegno è stato ottenuto calcolando la frequenza delle parole singole e dei gruppi di dueparole all'interno del testo del report, e successivamente apportando alcuni ritocchimanuali sulla base dei suggerimenti di Loredana, per rendere il risultato piùrappresentativo dell'intero lavoro di ricerca.

Le maggiori differenze rispetto al risultato della pura elaborazione quantitativa44

sono: “Mag”, una delle parole più frequenti, è stata tolta; “rete” è stata sostituita da “retied intrecci”; “francesco_galgano” è stato portato alla stessa importanza di“elinor_ostrom”; è stato dato più peso ai termini “autogestione”, “buon vivere”, “benicomuni”, “empatia”, “fiducia” ed altri; sono stati inseriti i termini assenti nel testo come“finanza etica”, “differenza femminile e maschile” (ottenuto aggregando “donne”,“uomini”, “differenza sessuale”), ed altri; ed è stato ridotto il numero totale di terminirappresentati (un confronto delle due immagini in figura 22).

Come nell'elaborazione del Cielo di Villa Buri anche nell'elaborazione di questanuvola di parole si sono intrecciati elementi qualitativi ed elementi quantitativi(rispettivamente di network analysis e di text analysis). Il risultato è stato apprezzato.Durante il convegno un membro del pubblico ha preso la parola per segnalare che ilmiglior riassunto della ricerca e del convegno era proprio la nuvola di parole rimasta“silenziosamente” proiettata alle spalle dei relatori per tutto il tempo. È stata apprezzatala capacità dell'immagine di trattenere tanti significati espressi nelle pratichelinguistiche e di sintetizzarli in un oggetto simbolicamente attivo.

Altre due sperimentazioni con la costruzione di nuvole di parole e in generale con il

44 L'elaborazione quantitativa è stata ottenuta tramite il software RapidMiner, utilizzando un filtro di stop words standard per escludere articoli, congiunzioni e altre particelle. Non è stata applicata alcunafunzione di stemming per raggruppare le forme flesse della stessa radice (ad esempio “organizzazioni” e “organizzazione”). Per l'elaborazione grafica del tag cloud è stato utilizzato il software Wordle.

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lavoro sulle parole chiave meritano di essere analizzate in dettaglio. Dopo l'ultimalezione del “Master in Pedagogia delle Relazioni” è stato organizzato un ulterioreincontro inteso come «spazio di autoverifica e di scambio sull'esperienza comune diformazione»45. Per l'occasione Paolo D. mi ha chiesto di aiutarlo a coordinare unesercizio partecipativo. Tutti i partecipanti (una ventina di persone) erano seduti incerchio nella sala conferenze (l'incontro era stato descritto come un «incontrocircolare»). Paolo e Loredana hanno condotto l'esercizio di “auto-verifica”, in cui adognuno è stato dato spazio per esprimere il proprio pensiero, il vissuto, i punti ritenutipiù positivi e le criticità sull'“esperienza comune di formazione”. Dopo la discussione èstato chiesto ad ognuno di nominare delle parole che fossero rappresentativedell'esperienza e a me è stato affidato il compito di scriverle alla lavagna.

Man mano che le stesse parole venivano ripetute le segnavo con un punto per tenereil conto della frequenza con cui i termini venivano nominati. Una volta raggiunto unrisultato esaustivo, Paolo ha chiesto di indicare le connessioni tra queste parole. Ipartecipanti intervenivano con proposte del tipo “disegnerei una freccia tra 'creatività' e'rinominare' perché serve creatività per riuscire a vedere le cose cui siamo abituati sottoun aspetto diverso e dare loro un nome che evidenzi altre pratiche”, e commenti simili.In questo caso si procedeva per consenso e non ho raccolto la frequenza delleconnessioni. Ognuno poteva approvare o bloccare una connessione. Tuttavia abbiamodistinto la direzionalità delle frecce, in particolare mettendo in evidenza tutte le volteche qualcuno affermava “anche il contrario è vero”, in risposta ad una relazione dicorrelazione espressa da qualcun altro.

Il grafo risultante (figura 23), che ho rielaborato da un punto di vista puramenteestetico, è stato condiviso con i partecipanti assieme agli altri materiali del corso. Hotrovato molto interessante questo lavoro dal punto di vista della partecipazione, delrisultato ottenuto e dell'ideazione di tale pratica. Tante persone hanno collaborato ad unasemplice attività di etichettatura nei confronti di un contenuto (l'esperienza formativa) dicui avevano una conoscenza diretta e comune, facendo emergere una rappresentazionesemantica collettiva. Per la semplicità di integrazione tra gli aspetti quantitativi esoggettivi, in grado di far emergere e mettere in comunicazione le diverseinterpretazioni soggettive, questa pratica mi era sembrata particolarmente adatta ad unaimplementazione nel portale del terzo settore (si veda p. 281).

Inoltre il risultato ottenuto offriva interessanti spunti di riflessione. Ad esempio sipuò osservare come i termini “bene comune” e “relazioni”, che sono stati nominati conmaggiore frequenza (7 volte il primo, 6 il secondo, contro le 3 volte dei terminisuccessivi in ordine di frequenza), non siano connessi direttamente l'uno all'altro. Ilrapporto tra “relazioni” e “bene comune” è in un certo senso mediato dai termini “cura”(2 occorrenze), “comunità” e “rete” (1 occorrenza entrambi). Se ci si sposta sui referentidei questi termini si può congetturare, in modo del tutto speculativo ma non privo di

45 Dall'email di convocazione all'incontro del 15 marzo 2013.

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interesse, che le relazioni da sole non danno origine ad un bene comune. Per ottenereciò è necessario che ci siano relazioni di cura e che le relazioni siano in grado di darevita ad una comunità o ad una rete. Il grafo permette di osservare diversi schemirelazionali tra parole molto significative per le persone che le hanno nominate, adesempio espressi dalla vicinanza tra le parole.

Infine, a proposito della progettazione di questa attività di campo è importante notareche è stato Paolo ad idearla e a coinvolgermi con competenze di «grafologo», come miaveva scherzosamente etichettato. Conoscevo l'esistenza di analisi di rete su testi(Paranyushkin 2011), ma non avevo mai pensato di realizzarla in questa ricerca, né nellamodalità partecipativa del tutto originale che ho descritto.

La seconda sperimentazione con il lavoro sulle parole chiave, anch'essa nata daun'idea di Paolo, è stata altrettanto originale. L'occasione si è verificata durante un“Consiglio di Amministrazione allargato” di Mag, cui sono stato invitato insieme amolti altri rappresentanti di organizzazioni della rete (12 gennaio 2014) e a cui erapresenti una quarantina di persone. La discussione si è aperta con i «racconti di nuoveesperienze in cantiere», è continuata con l'analisi dei «punti di positività e di criticitàdelle imprese sociali più consolidate», e si è conclusa dopo il pranzo conviviale intesocome occasione per trascorrere tempo insieme, «conoscersi» e coltivare le relazioni.

Gemma A. prendeva gli appunti della discussione, da cui successivamente è statoredatto il resoconto e sono stati estratti i temi di riflessione principali della giornata:

- […] società / relazioni e istituzioni: intrecci, legami, conflitti delle realtàautorganizzate; - reddito di lavoro e sostenibilità delle imprese in tempo di grandecrisi finanziaria; - ricambio generazionale e conflitti tra culture soggettive nelleimprese sociali: quali pratiche di trasmissione delle esperienze forme e momentiper esprimere collettivamente e pubblicamente forza, orientamento, cambiamentidesiderati senza bypassare la nominazione delle fatiche e delle sofferenze; - azioniresponsabili per connettere umanamente terra e cielo: la materialità e la spiritualitànon disgiunte; - condivisione di progettualità e di invenzioni in presenza e/omediate dal web.

Il mio compito, concordato precedentemente con Paolo, è stato invece quello ditrascrivere le parole chiave nominate nei vari interventi. Ogni volta che sentivo unconcetto nuovo lo scrivevo in un foglio di calcolo; se un concetto veniva ripetutoaumentavo il numero relativo alla sua frequenza e ogni 5-10 minuti ri-creavo il tagcloud con l'elenco aggiornato dei termini, che veniva proiettato “a tutto schermo” sultelo bianco della sala conferenze. In mancanza di un software ad hoc e nell'impossibilitàdi crearne uno, la procedura descritta mi permetteva di avvicinarmi il più possibile alrisultato ipotizzato da Paolo di un tag cloud in tempo reale a partire dai discorsi dellariunione.

Nonostante le grandi imprecisioni che una tale procedura comportava, l'esperimentoè stato complessivamente molto interessante. Nel tag cloud finale si possonoindividuare quasi tutti i temi evidenziati nel resoconto (ad esclusione del tema sullaconnessione tra materialità e spiritualità, di cui non sono visibili singoli termini in

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Capitolo 4

quanto relativamente troppo poco frequenti). Inoltre durante le discussioni i presentihanno apprezzato la possibilità di vedere una traccia significativa dell'evoluzione deldiscorso complessivo attraverso la rappresentazione della nuvola di concetti,indicandola come uno strumento utile.

Precedentemente a queste occasioni avevo sperimentato l'elaborazione di tag cloudsa partire dai verbali degli incontri di Naturalmente Verona. Come ho già messo inevidenza i miei verbali erano molto dettagliati poiché, oltre che per tenere traccia delledecisioni prese, servivano anche a me per motivi di documentazione. Nel tentativofornire un riassunto veloce di ogni incontro senza dover elaborarne il testo, ho provatopiù di una volta ad ottenere il tag cloud del verbale. I risultati sono stati menosignificativi rispetto agli utilizzi proposti da Paolo di Mag in quanto un tag cloud nonriesce a tenere traccia dello sviluppo del discorso orale, del susseguirsi degli interventi edelle relazioni di significato non comprese nelle semplici ripetizioni di terminisignificativi o nell'adiacenza delle parole.

Rete economica emergente attorno al progetto agro-alimentare

Bioloc e il progetto agro-alimentare: itinerario di una giovane comunità di pratiche

Dopo aver analizzato alcune pratiche e discorsi di Mag, una comunità matura e attiva suuna pluralità di diverse attività, mi concentro ora sulle pratiche reticolari di “Bioloc”,una comunità giovane, ancora in fase di formazione, focalizzata su una specifica attivitàeconomica: la distribuzione di cibo biologico locale46. Come ricordato all'inizio delcapitolo (p. 168), il mio intento nell'esplorazione di queste comunità era quello diseguire l'esperimento di costruzione del grafo di rete. La collaborazione emergente con imembri di Bioloc si è concentrata specificamente nell'elaborazione di grafi a partire daidati raccolti in diversi database, operazione essenziale per arrivare alla costruzione diun'applicazione web collaborativa.

Sono venuto a conoscenza di Bioloc perché veniva nominato spesso alle riunioni diNaturalmente Verona tra i vari progetti sostenuti dalla rete. Ad aggiornare il direttivosullo sviluppo di Bioloc era sempre il presidente Andrea, in quanto aveva fatto di questoprogetto il suo lavoro. Si tratta di un sistema di Piccola Distribuzione Organizzata(PDO)47, «lanciato ufficialmente durante il festival dell'Economia Eco-Equo Solidale diNaturalmente Verona 2011» (Tronchin 2011b), che ha l'obiettivo di sviluppare ilmercato locale del biologico e di migliorare la salute grazie all'aumento della qualità delcibo: «siamo quello che mangiamo» ricordava Andrea in alcuni articoli pubblicati sulblog di Naturalmente Verona.

46 In breve Bioloc può essere considerata una startup, anche se qui il mio focus è spostato sulla comunità di pratiche che si crea attorno all'azienda che poi effettivamente viene formata.

47 Per una breve descrizione si veda anche p. 101.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

Oltre ad essere uno dei fondatori del progetto, Andrea svolgeva il ruolo di «vettore».Si riforniva di frutta e verdura alla Cooperativa Agricola biologica Ca' Magre, uno deisoci “più sensibili” della rete di Naturalmente Verona, presso la quale aveva anche adisposizione uno spazio dove prepara le «cassette» di frutta e verdura in base agli ordinieffettuati da vari gruppi di acquisto tramite un'applicazione web chiamata «gestionale».Una volta preparate le cassette, le caricava sul suo furgone (acquistato grazie ad unfinanziamento di microcredito di Mag) e iniziava il giro di distribuzione, consegnandonei vari punti. Consegnava anche sacchetti di pane biologico prodotto dal panificioCeres. Il software gestionale, in uso dal 2012, era invece elaborato e mantenuto daalcuni giovani dell'azienda informatica Atrax, amici di Damiano F., co-fondatore diBioloc.

Desideravo seguire più da vicino questo progetto perché intuivo che avesse delledinamiche di rete molto elaborate, coinvolgendo produttori, vettori, tecnici delgestionale, gruppi di acquisto, e così via, attorno ad una stessa attività. Il 15 dicembreho accompagnato Andrea in uno dei suoi “giri di consegna”. Siamo andati al “GruppoConsumo Critico Val d'Illasi”, un gruppo di acquisto solidale storico48 della provincia.Per un mese ho continuato a seguire Andrea in questi viaggi, cinque in totale, anche inaltri GAS del territorio. La situazione che osservavo era sempre la stessa. Arrivavamo alpunto di consegna (la sede di un'associazione, la casa del «capogruppo» di un gruppo diacquisto, l'ufficio di un gruppo tra colleghi); qualcuno ci riceveva (in un caso le chiavidella sala erano state lasciate ad Andrea); scaricavamo cassette e sacchetti di pane,ognuno con il suo biglietto indicante il nome del destinatario; il capogruppo o undelegato pagavano la consegna della settimana precedente (dopo aver raccolto ipagamenti di tutti i membri del gruppo) e il 10% dei pagamenti avveniva in scec.

Il 17 gennaio 2013 siamo tornati al GAS di Illasi per un appuntamento importantepoiché era presente una piccola troupe del canale televisivo “Tele Pace” per intervistaresia i membri del Gruppo di Consumo Critico, sia Andrea per Biosol. In viaggio, primadi arrivare, Andrea mi ha chiesto di aiutarlo a ricordarsi di fare un accennoall'importanza delle parrocchie come punti di ritrovo per organizzare gruppi di acquisto.Così quando la giornalista stava per chiudere l'intervista, dopo aver parlato didecrescita, Scec e sovranità alimentare, ho suggerito ad Andrea di illustrare anche lastruttura reticolare di Bioloc, con riferimento ai nodi locali. Lui ha colto al volo ilriferimento e ha proposto la riflessione che aveva in mente. Segnalo questo momentocome un esempio del nostro stretto rapporto di collaborazione. In generale, poter restaretanto tempo insieme durante i viaggi di consegna ci ha permesso di discutere a lungodelle varie iniziative della rete. Così ho appreso che il progetto di PDO era il primopasso di un progetto molto più ambizioso e ampio, di ristrutturazione dell'intero sistema«agro-alimentare locale». Di questo «progetto agro-alimentare» Andrea aveva scrittomolto sul blog di Naturalmente Verona già alla fine del 2010.

48 Il gruppo è attivo dal 1998-99, si veda http://www.naturalmenteverona.org/iniziative-dei-cittadini-gruppo-consumo-critico-val-dillasi/

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Capitolo 4

Un progetto che attraverso i collegamenti di Rete, punta alla riorganizzazione delsistema Agroalimentare locale, a partire dai concetti di Sicurezza e Sovranitàidrica, alimentare e sulla salute. (Tronchin 2010)

La PDO era in un certo senso il “primo passo”. Lo sviluppo successivo consistelargamente nella realizzazione del progetto «Empori e Botteghe», che Andrea riprendedalla progettualità dell'associazione Arcipelago Scec (cui contribuisce in primapersona). Gli «empori territoriali e le botteghe di quartiere»49 si occuperebbero divendere al pubblico, trasformare i prodotti locali primari (ad esempio producendo lapasta dal grano), rifornire le grandi strutture (mense, ristoranti, ospedali) e così via.Oltre agli empori si aggiungono i mercati biologici locali. Il progetto agro-alimentarecoinvolgerebbe anche il settore turistico-alberghiero, governato dal principio delturismo responsabile. Il sistema sarebbe agevolato inoltre da metodi di certificazione egaranzia della qualità di questi prodotti (ad esempio viene tenuta in grandeconsiderazione la proposta di Daniele Degl'Innocenti, ricercatore dell'Università diVerona, di utilizzare tecniche avanzate come la risonanza magnetica per la verificadell'origine e della salubrità dei prodotti).

Il tutto è connesso dall'utilizzo dello Scec che funzionerebbe da collante per favorireil rinforzamento di un circuito di esercizi commerciali (produttori, trasformatori,rivenditori) locali e “virtuosi”. Lo Scec (come specificato a p. 97), è uno buono disconto che può essere riutilizzato dopo essere stato incassato. Per garantire l'evoluzionedel sistema Andrea propone anche la costituzione di corsi di formazione (per i vettoridella PDO, per i gestori degli empori e degli strumenti Scec, ad esempio gestore deiconti correnti Scec, e per la formazione continua sull'alimentazione, sulla stagionalitàdei prodotti, sull'economia solidale, la decrescita, e così via). L'obiettivo generale èl'ottenimento della «sovranità alimentare» ed «idrica» e il miglioramento della «salute»e le risorse per ottenere questo risultato sono, per Andrea, già presenti nel territorio.

[…] [E]merge l'esigenza di promuovere il decentramento amministrativo conapplicazione del principio della sussidiarietà, al fine di favorire un crescentecoinvolgimento della popolazione direttamente interessata agli interventi attivati eattivabili nei diversi contesti territoriali […].

Infatti, il principio guida è la messa in rete di tante soggettività, nel rispetto del principiodella «sussidiarietà».

È chiaro inoltre che per Andrea il «progetto agro-alimentare» è a sua volta il punto dipartenza per una riorganizzazione locale, solidale e sostenibile di tutto il sistemaeconomico50. Su questo ancora più ampio «“Progetto Collettivo” che parte dal sistema

49 Il progetto Empori e Botteghe è a sua volta descritto come «il cuore del progetto Arcipelago Scec» (“Empori e Botteghe territoriali - Arcipelago SCEC” 2015).

50 Durante uno dei viaggi di consegna Andrea ha esplicitato che il suo approccio al cambiamento socialeè propositivo, ossia invece di costruire una critica del sistema attuale si concentra su progetti che rendano disponibile un sistema migliore. Per spiegare questo punto Andrea recita a memoria una citazione di Buckminster Fuller (“GreenWave | The Buckminster Fuller Institute” 2015), utilizzata come motto dall'associazione Arciplega Scec: «Non cambierai mai le cose combattendo la realtà

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Fieldwork: costruire insieme i dati

agroalimentare locale» (Tronchin 2010), Andrea spera che i vari «portatori di interessi»si possano riunire per stipulare degli «accordi preliminari di base fra le varie particoinvolte nei differenti progetti territoriali». Proprio come nell'esperienza narrata daPiras (si veda p. 186), anche per Andrea il cambiamento deve partire dai bisogni piùprimari e quotidiani, e in particolare dal cibo. Inoltre il cambiamento deve partire dalbasso, Andrea è sempre molto esplicito a questo proposito: «la Sovranità è qualcosa cheva conquistata dalla popolazione, “sul campo”, se ci viene “data” allo stesso modo cipuò essere tolta»51.

Si nota però una significativa differenza con l'approccio di Piras dei “piccoli passi”52.In quel caso la relatrice era esplicita nell'indicare che il coinvolgimento del territorio eraavvenuto in un secondo momento, soltanto dopo che le donne del CSA erano riuscite amodificare le proprie abitudini alimentari. Inoltre le partecipanti non hanno maicostruito un “grande progetto” e sono arrivate alla realizzazione del circuito delleDomus Amigas attraverso l'accumulo di azioni quotidiane, ognuna concretamenterealizzabile. Il primo tentativo di realizzazione del progetto agro-alimentare invece,seppur una implementazione parziale, un “primo passo” del «grande progettocollettivo», era comunque molto ambizioso.

Procede bene il progetto agroalimentare promosso da Naturalmente Verona, il“paniere della salute” si va strutturando. Al momento sono coinvolti attivamentenell'iniziativa Slow Food, L'Università di medicina di Verona, e i produttoribiologici delle Coop. Cà Magre e Primavera. Queste realtà si sono strutturate in tregruppi di lavoro operativi: il gruppo per la formazione del paniere, le Cooperative el'Università, che organizzeranno la composizione del paniere, tramite laprogrammazione mensile delle produzioni e il bilanciamento delle stesse all'internodel paniere, affinché le cassette che arriveranno settimanalmente ai consumatorisiano equilibrate da un punto di vista dietetico; il gruppo per la promozione delpaniere, Naturalmente Verona e Slow Food che organizzeranno incontri, occasionidi promozione anche con il prossimo coinvolgimento delle principali Associazionidi Consumatori di Verona; il gruppo per la logistica distributiva e la gestione degliordini (tre volontari) che sta lavorando su un software per il recepimento delleordinazioni e la distribuzione settimanale presso i “gruppi di acquisto” che siandranno strutturando. Da un punto di vista socio- economico, l'obiettivo è didiffondere i “principi operativi” dei GAS senza richiedere un impegno particolareagli “utenti consumatori”, ciò per consentire l'acceso a cibi sani, di qualità, locali e

esistente. Costruisci un modello nuovo che renda quello attuale obsoleto».51 La citazione letterale è tratta da un testo non pubblicato di Andrea, ma si tratta di un'affermazione che

egli ha sostenuto più volte durante le conversazioni.52 Non ho approfondito le specificità di un “fra donne” in rapporto all'altra pratica e postura, che

sembrano essere più diffuse “tra uomini”, perché la questione è troppo vasta e necessiterebbe di un'ulteriore ricerca. Tuttavia segnalo che anche nello studio balinese, Lansing dedica molto spazio all'analisi del rapporto tra la differenza femminile/maschile e l'esistenza di due pratiche di governancediverse, basati uno (il maschile) sulla gerarchia delle caste, l'altro (il femminile) sul potere collettivo. Presso i templi dell'acqua, i luoghi centrali delle pratiche cooperative dei subak, vengono eseguiti rituali pradana, associati al femminile, a prosperità, fertilità, crescita, ossia al collettivo. Questi si contrappongono ai rituali purusa, associati alla magnificenza, al dominio, alla trasmissione di potere e status attraverso linee di discendenza maschile, che sono alla base dalla gerarchia delle caste e che vengono mantenuti fuori dalle pratiche dei subak. Per un approfondimento si veda Lansing (2006: 196-197, 203-204).

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stagionali a tutta la popolazione che lo desidera ma che non si sente di voler farparte propriamente di un GAS con l'impegno richiesto. All'interno del progetto unpiccolo scoglio sembra essere rappresentato dagli SCEC, sono visti come unainnovazione nell'innovazione è c'è chi teme che possano creare confusione e quindisi propone di introdurli in un secondo momento; ovviamente il dibattito è aperto.Naturalmente Verona che promuove da tempo la Solidarietà ChE Cammina,auspica che il gruppo trovi il coraggio di innovare per un elemento dell'EconomiaSolidale che fa la differenza, iniziando il percorso che porta dal denaro al donare.(Tronchin 2011a)

«Il paniere della salute», come era stato chiamato il progetto, coinvolgeva già un elevatonumero di organizzazioni e persone diverse, e soprattutto di paradigmi e mindsetsdiversi, soltanto parzialmente integrati. Il biologico, la distribuzione locale, la logisticacomplessa gestita da sistemi informatici, la creazione di socialità (formazione di gruppidi acquisto), la salute (prevenzione delle malattie attraverso l'alimentazione), la garanziadi qualità (sia attraverso mezzi tecnici, sia attraverso la costruzione di reti di fiducia),l'informazione e la formazione dei consumatori, il consumo critico, l'economia solidale,i sistemi monetari complementari e alternativi, l'accessibilità dei prezzi, e così via. Dicerto un tale progetto non si può definire un “piccolo passo” e non è del tuttosorprendente che, nonostante l'iniziativa fosse concreta e partecipata, si siano verificatidiversi problemi di coordinamento che ne hanno bloccato lo sviluppo.

Non abbiamo mai approfondito l'argomento direttamente, e Andrea si è limitato acitare difficoltà di coordinamento, di partecipazione e di eccessivo protagonismo daparte di varie organizzazioni coinvolte. Tuttavia, in un articolo sul blog intitolato “Laripresa” scrive alcune righe in proposito.

I produttori coinvolti, inizialmente erano numerosi gli aderenti all'AssociazioneAntica Terra Gentile e Associazione Rurale Italiana – che condividono lapiattaforma comune basata sul concetto di Sovranità Alimentare. Successivamentesono entrate altre realtà come l'Università di Verona – prof. Daniele Degl'Innocenti–, Slow Food – Antonella Bampa –, Coop. Primavera – Tiziano Quaini –; ognunoha dato il suo contributo e la piattaforma di base si è ampliata, forse troppo, da unpunto di vista fattivo ciò ha creato grosse aspettative ma anche alcune fratture,soprattutto sul “come fare” e sui diversi approcci possibili. Dopo alcuni mesi disperimentazione del sistema di PDO, la Coop. Primavera, che nel frattempo eradiventata partner principale in rappresentanza dei produttori bio (circa 150produttori della provincia di Verona) ha deciso di desistere dal proseguire nelprogetto accusando eccessivi costi di gestione rispetto ai rientri del venduto.(Tronchin 2012)

Nel testo Andrea fa riferimento ad un eccessivo ampliamento della «piattaforma dibase», un ulteriore sinonimo di «orizzonte comune», termine da lui spesso utilizzato perindicare il livello concettuale condiviso attraverso cui operano le organizzazioni. Questacriticità ha creato «grosse aspettative» (che probabilmente sono state in parte disattese)e «alcune fratture», cioè conflitti concreti tra persone e gruppi coinvolti. Oltre a questiproblemi di coordinamento Andrea fa riferimento ad una più tangibile questioneeconomica che ha pesato sulla decisione della grande cooperativa di produttori “La

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Fieldwork: costruire insieme i dati

Primavera” di uscire dal progetto. L'elevato numero di soggetti coinvolti non è statobilanciato da un guadagno sufficiente a garantire la sostenibilità economica del progetto.Per riprendere il linguaggio di Mag (si veda p. 218), l'impresa non è riuscita a restare“nel mercato”. L'attuale progetto in corso, Bioloc, è infatti una semplificazione delprimo tentativo, con un minore numero di soggetti e di mindsets coinvolti.

Nell'articolo del 2010 sul progetto agro-alimentare, Andrea elenca ben 22organizzazioni coinvolte nell'elaborazione del grande «progetto collettivo» (con relativinomi dei referenti), dai produttori, alle associazioni di consumatori, enti locali,organizzazioni di comunicazione, e così via. Si riferisce a queste organizzazioni comead una «Rete di Comunità di Pratica» che sta «prendendo sempre più coscienza» di sé.

Nel tempo si è abbozzata e si va strutturando “una Rete di Comunità di Pratica”che si muovono ancora molto autonomamente (poco coordinate), ma che stannoprendendo sempre più coscienza di se stesse e della Rete e sono alla ricerca di unapiattaforma comune, di intenti e obiettivi, ciò che vorrebbe essere l'orizzonte diquesto “Progetto Collettivo”. Partire dal quotidiano di ogni singolo cittadino,produttore o consumatore che sia, e diventare “sistema” nella propria rete locale direlazioni socio-economiche. In questo modo siamo convinti si possa produrre unmutamento, collettivo dei singoli, che può arrivare ad una “massa critica” in gradodi determinare un mutamento locale degli stili di vita, nel modo di produrre,consumare, gestire l'economia e il territorio. (Tronchin 2010)

Questo testo è l'unico documento in cui nel fieldwork incontro le espressioni “comunitàdi pratica” e “rete di comunità di pratica”, le stesse utilizzate nei riferimenti teorici sucui si basa questa ricerca (Snyder e Wenger 2010). Andrea stesso non usa mai questitermini nelle discussioni orali o in altri testi di mia conoscenza. Leggendo ed ascoltandola descrizione del progetto agro-alimentare appare evidente che per Andrea la rete diPDO è una delle tappe principali del percorso di realizzazione di una grande eambiziosa progettualità di rete. È chiaro inoltre che l'idea originale del grafo è daassociarsi allo sforzo di rendere visibile questa rete, per far aumentare laconsapevolezza, da parte delle organizzazioni, del potenziale insito nel loro “movimentocoordinato”.

Durante uno dei giri di consegna Andrea mi ha invitato ad un pranzo-riunione a casasua, insieme ad alcune persone che a vario titolo partecipavano al progetto agro-alimentare. Tra questi c'era Matteo, un ragazzo che la domenica vendeva frutta everdura biologica al mercato53 di Piazza Isolo, in centro città. Ho descritto brevemente ilmio lavoro di ricerca e di sperimentazione sul grafo della rete, per rispondere alla suadomanda sul motivo della mia presenza alla riunione. Matteo, che per la prima voltasentiva parlare del grafo, dopo un lungo momento di riflessione ha commentatodicendo: «Interessante, è come se si potesse alzarsi nel cielo in elicottero e vederedall'alto». Questa metafora è emblematica dell'idea alla base del progetto di ricerca:

53 Come osservato da Antonio T. all'assemblea di Naturalmente Verona del 18 maggio 2015, il mercatino biologico di Piazza Isolo è considerato «una conquista duratura» da parte dei membri storici dell'associazione, dato che è stato grazie alle loro pressioni e attività che è stata definita con delibera regionale l'area mercatale stabile.

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Capitolo 4

costruire un'immagine della rete per favorire una presa di coscienza maggiore da partedelle persone coinvolte. Per riuscire a vedere questa rete è necessaria in un certo sensouna presa di distanza, proprio come se ci si sollevasse in volo. Metaforicamente la presadi distanza è da attuarsi nei confronti delle attività della propria organizzazione. Per“alzarsi in elicottero” è necessario “uscire dal proprio orto”, cioè staccarsi almeno perun momento dal coinvolgimento totale nella propria attività, e “alzare lo sguardo” perimmaginare un diverso percorso, lasciandosi condurre dal desiderio di coordinamentocon le altre organizzazioni per ottenere qualcosa di più grande, qualcosa di diverso. Ilconcetto che sta dietro l'ideazione del grafo è quello di fornire uno strumento che offrala possibilità di progettare l'attività delle organizzazioni ad un livello di organizzazionepiù “alto”, non visibile dal punto di vista specifico e quotidiano dei singoli individui. Difatto, si tratta ne più ne meno che di una “mappa” che, come tale, aiuti i “viaggiatori” atracciare una “rotta”, tenendo in considerazione il contesto (relazionale anzichégeografico).

Grafo delle connessioni della PDO

Durante i viaggi di consegna in furgone discutevamo anche di come poter utilizzare ilgrafo per rappresentare la rete del progetto Bioloc. Un mattino (il 2 gennaio 2013) horicevuto una telefonata da Andrea, nella quale mi proponeva di sperimentare lostrumento con la funzione di «riattivare i nodi spenti». Se i membri della CommissioneProgetti di Villa Buri avevano reinterpretato il grafo come strumento per ri-motivare lapartecipazione di alcuni soci poco attivi (p. 117), Andrea desiderava utilizzarlo perrinnovare relazioni interrotte. Abbiamo discusso su come realizzare questa funzione,ipotizzando di indicare le connessioni “desiderate” con linee tratteggiate perdifferenziarle da quelle esistenti, proprio come nel grafo originale di Andrea54. È iniziatocosì un esperimento di mappatura dei soggetti coinvolti nella rete Bioloc.

I primi dati sono stati forniti da Andrea stesso, sotto forma di due schemi scritti sualcune pagine del suo diario55. Il primo rappresenta il progetto agroalimentare, ilsecondo il progetto Bioloc. In entrambi Andrea si serve solo parzialmente della strutturadei grafi di relazioni, inserendo anche elenchi (elenco dei «produttori», elenco dellecategorie di «consumatori», e così via) e dati numerici (numero di persone coinvolte inalcuni gruppi, totale fatturato, totale volume di merce consegnata). Indica sia i soggettidella rete che i concetti-chiave (sovranità alimentare, economia solidale, decrescita, ecosì via). Non vi è dubbio che i due disegni siano il risultato dell'intreccio delle

54 Successivamente ho deciso di utilizzare il colore grigio chiaro per rappresentare tutti gli elementi inattivi del grafo, seguendo una convenzione piuttosto diffusa nel design di interfacce grafiche per il software.

55 Andrea mi ha consegnato anche alcuni dei suoi scritti, tra i quali: una sceneggiatura per una rappresentazione teatrale sullo Scec dal titolo «il Signor Aggio e l'Isola dei Naufraghi»; un “diario di campo” che aveva scritto quando lavorava per il coordinamento di Via Campesina a Roma; una raccolta di canzoni contadine, scritte sempre da lui; una bozza di libro sui concetti di «sovranità alimentare, agricoltura contadina ed economia solidale» dal titolo Il diritto della terra; ed infine la giàcitata «proposta di iniziativa popolare» chiamata «politiche virtuose» (p. 177).

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Fieldwork: costruire insieme i dati

dimensioni del reale e del desiderio di Andrea, e non è possibile distinguere le relazionie i nodi attivi da quelli non attivi. Inoltre, dagli schemi si evincono chiaramente dueinformazioni sulla percezione di Andrea. Dal disegno del progetto agro-alimentarerisulta che tutte le attività e le soggettività coinvolte confluiscono nel progetto “Emporie Botteghe”, che come ho ricordato è un progetto ideato all'interno di Arcipelago Scec.Questo testimonia l'importanza che lo strumento Scec ha per Andrea. Nel foglio relativoal secondo progetto si nota come Bioloc sia per Andrea un progetto “della” rete diNaturalmente Verona (percezione che, come mostrerò più avanti, non è pienamentecondivisa da tutti i partecipanti).

A partire dal 17 dicembre 2012 avevo iniziato a frequentare anche un ciclo diconferenze organizzato dal “Circolo di Verona del Movimento per la Decrescita Felice”,intitolato “Ali-menti. Saper fare nei nuovi orti collettivi”. Durante queste conferenze,ospitate nelle sale del Museo Africano dei Missionari Comboniani, si discuteva diquestioni ambientali, sociali ed alimentari, con un particolare interesse rivolto allacreazione di una rete di orti collettivi e allo scambio di competenze pratiche per lagestione di tali orti. Gli incontri erano molto frequentati e, oltre a fornire contenutiattraverso le presentazioni di relatori e relatrici o la proiezione di documentari, venivalasciato spazio ad attività di coordinamento, sia per gruppi sia in plenaria. I gruppirappresentano ciascuno un singolo orto collettivo. Alla prima riunione ho discusso conFrancesco B., presidente del Circolo di MDF, e ho offerto la mia disponibilità ad aiutarenel coordinamento della rete tra gli orti, in vista del possibile collegamento tra questa ela rete Bioloc. Francesco e Bernardo P. di MDF mi hanno inviato alcuni dati relativi agliorti, che quindi ho potuto inserire nel grafo.

Un'ulteriore fonte di dati era il «gestionale» online. Dalla mappa geografica presentesul sito www.bioloc.it56 ho raccolto i dati relativi ai gruppi di acquisto (o «punti didistribuzione») che effettuavano gli ordini attraverso il gestionale. Il 20 gennaio 2013ho accompagnato Andrea all'assemblea nazionale di “Associazione Rurale Italiana”(ARI), che si svolgeva presso la cooperativa Ca' Magre. Nella visione di Andrea ancheARI costituiva un nodo importante della rete per quanto riguarda il coordinamento e perla tutela dei produttori. I partecipanti alla riunione si sono dimostrati favorevoli einteressati al progetto Bioloc, ma non è stata discussa apertamente la partecipazionedella loro associazione (di cui anche Andrea faceva parte), che rimaneva quindi uncollegamento non ben definito. In ogni caso l'ho inserito in questo primo grafo. Hoaggiunto anche “Rete Bio”, una cooperativa di produttori biologici sparsi sul territorionazionale (principalmente in Emilia-Romagna), che aveva un ruolo fondamentale nelsopperire ai produttori locali nella fornitura dei prodotti non presenti nel territorioveronese (ad esempio gli agrumi, che provengono da un'azienda siciliana), o quando le

56 Il sito è gestito da Damiano e alcuni ragazzi (Mirko V., Sebastiano M., Francesco L.) che hanno da poco formato una propria azienda informatica chiamata Atrax. Il CMS utilizzato per il sito è Wordpress.

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produzioni locali non erano sufficienti a garantire il volume richiesto57. Per finire, ancheMag era un partner cruciale per la realizzazione del sistema di PDO, dal momento cheattraverso il servizio di Microcredito era stato possibile finanziare l'acquisto da parte diAndrea di un furgone di seconda mano per iniziare le consegne.

Il 24 marzo ho accompagnato Andrea alla riunione regionale di Arcipelago Scec,anche questa ospitata nella sede di Ca' Magre (che metteva a disposizione una grandesala da pranzo con cucina, ideale per riunioni molto partecipate). Durante la discussioneè stato riservato uno spazio per aggiornare i presenti sullo stato di avanzamento delprogetto Bioloc, che Andrea ha descritto come «un primo, parziale, prototipo delprogetto di Arcipelago Scec “Empori e Botteghe”». Dopo una breve introduzionegenerale sul progetto, Andrea mi ha chiesto di «fare vedere» la rete, e così ho proiettatoil grafo realizzato con i dati disponibili fino a quel momento (figura 24).

Il feedback da parte dei presenti si è focalizzato sull'importanza della sinergia tra retidiverse per la costruzione di progetti efficaci. Tra i vari esempi si è citato quello dellacollaborazione con il servizio di microcredito di Mag. Un'architetta, una signorasostenitrice del progetto Scec, ha manifestato il suo interesse per un'eventualerappresentazione in forma di grafo di tutto il circuito Scec locale. Qualcun altro haosservato che il sito internet di Arcipelago Scec già offre uno strumento, chiamato“pagine auree”, che mostra tutti i nodi della rete Scec come elenco o come mappageoreferenziata. Un grafo di rete avrebbe potuto però essere impiegato per mettere inevidenza i “circuiti dello Scec”, che non sono visibili dalla mappa. L'interesse versoquesta rappresentazione risulta più chiaro se si tiene presente che Scec è l'acronimo di“Solidarità ChE Cammina”, e che la specificità dello strumento risiede proprionell'essere uno sconto che non «muore alla cassa» (Tronchin 2010) e che aumentaquindi la sua efficacia in base alla sua circolazione, come faceva notare Andrea.Rappresentare i flussi di Scec tra un nodo e l'altro (in termini quantitativi o qualitativi)era un'impresa comunque troppo complessa e fuori dalla portata dei membridell'associazione58.

Nell'ottica della restituzione (in itinere), oltre alla proiezione durante l'assembleaScec, ho condiviso il disegno con le persone coinvolte nel progetto Bioloc. Da questecondivisioni sono emersi in particolare un paio di ulteriori feedback. Francesco B. diMDF Verona, ha segnalato l'esigenza di distinguere visivamente due circuiti che a suoparere sono molto diversi. Da una parte quello dell'«economia sociale», cioè dellavendita di prodotti attraverso la PDO; dall'altra quello dell'«economia del dono»,derivante dallo scambio di prodotti tra gli orti collettivi. Alberto B. del direttivo di

57 Ad esempio durante la primavera del 2013 si è protratto un lungo periodo di forti piogge che ha allagato molti campi rendendo impossibile coltivare gli ortaggi. Secondo l'ARPAV regionale si è trattato della «primavera […] probabilmente […] più piovosa degli ultimi 50 anni» (Rech e Delillo 2014).

58 Il servizio Scec prevede, come per la moneta ufficiale, una versione cartacea ed una versione digitale.Solo le transazioni elettroniche sono tracciabili. Per costruire un grafo dei flussi di Scec, ogni socio-fruitore dovrebbe dichiarare dove spende i buoni, il che richiederebbe un notevole livello di partecipazione.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

Naturalmente Verona ha proposto di sostituire l'etichetta del «pallino “AndreaTronchin”» con un “pallino Bioloc”. Ha motivato la sua proposta con due argomenti. Ilprimo si riferisce all'efficacia comunicativa del disegno. La sua proposta avrebbe resopiù «immediato il riconoscimento» della Rete Bioloc, dal momento che si trattava del“pallino” centrale. Alberto sosteneva che: «Andrea […] ha sempre presentato il progettocome Bioloc (non come Andrea Tronchin) e quindi se c'è voglia di valorizzare il“marchio Bioloc” si devono evitare confusioni». Il secondo argomento si riferisce alloschema relazionale. Alberto riteneva che il «ruolo di distributore [fosse] una sorta dicatena di trasmissione tra i vari nodi e quindi non [fosse] concettualmente […] un nodoin sé, ma piuttosto il “vettore” dei nodi».

In base a questi feedback nella successiva versione del grafo ho modificato l'etichettain “Furgone Giallo” per il vettore Andrea T. e “Furgone Elettrico” per il vettoreLeonardo P. (che con il suo veicolo elettrico aveva iniziato a rifornire alcuni gruppi diacquisto in centro città), e ho cercato di distinguere le diverse tipologie di legamipresenti (utilizzando colori diversi). Tuttavia il commento di Alberto e quello diFrancesco avevano messo in evidenza l'esigenza di una discussione più approfonditaall'interno del gruppo dei collaboratori su che cosa costituisse un nodo nella rete Bioloce su come rappresentare i legami. Oltre a ciò, il lavoro di mappatura iniziato hariproposto fin dal principio la criticità emersa nei precedenti esperimenti, causata dallamodalità indiretta di raccolta dei dati (p. 119).

Il primo passaggio per tentare di superare questi due problemi è consistito nelpermettere a tutti gli interessati di partecipare in prima persona all'inserimento dei datida rappresentare nel grafo. Contemporaneamente ho cercato di limitare le tipologie dinodi rappresentati per favorire l'emergenza di una convenzione condivisa sulle modalitàdi rappresentazione della rete. Sulla base di questi due principi ho inizializzato unatabella di dati condivisa59 tra tutte le persone che stavano attivamente partecipandoall'elaborazione del progetto di PDO. Ho determinato l'elenco dei collaboratori in basealle presenze alla riunione generale che si è svolta il 29 marzo 2013 presso la saladell'incubatore sociale di Mag. All'incontro erano presenti Damiano F. per Biosol,Sebastiano M. per Atrax (gestione del sito internet), Francesco B. e Christian L. perMDF Verona (coordinamento orti collettivi e progetto “Fattoria Diffusa”), Federica P.(per Filiera Italia); Andrea era assente “giustificato” per altri impegni, tuttavia io potevolegittimamente rappresentare Naturalmente Verona in quanto segretario. Ha aperto ladiscussione Damiano, presentando un breve quadro generale in cui le diverseprogettualità rappresentate dai partecipanti potessero inserirsi.

Il modello di riferimento, lo scenario o la prospettiva che abbiamo di fronte è:produzioni e micro-produzioni diffuse in tutta la provincia, diversificate per zona,produzioni anche per autoconsumo il cui surplus venga messo in rete e ridistribuitosecondo le richieste.

59 La tabella è stata creata utilizzando il software “Google Sheets”.

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Capitolo 4

Un sistema informatico […] attraverso il quale ogni gruppo che coltiva possa dire“io questa settimana ho questi ortaggi”. Un sistema che sia in grado di ricalcolarele rotte dei furgoni che fanno la distribuzione, così che di settimana in settimana ifurgoni possano modificare i loro percorsi per passare dai vari orti e prelevare iprodotti.

Queste attività potrebbero anche aiutare chi perde il lavoro, fornire un supporto alreddito e anche creare posti di lavoro.

Non fermiamoci agli ortaggi, ci sono anche altri prodotti come il miele, ecc.

Il «modello di riferimento» descritto da Damiano consisteva nella messa in rete,attraverso un «sistema informatico», delle piccole produzioni locali. Il sistemainformatico avrebbe dovuto permettere di razionalizzare il lavoro, ad esempiocalcolando «le rotte dei furgoni» in base alle disponibilità delle produzioni, per ridurrel'impatto (ambientale ed economico) del trasporto. Dal lato dei produttori durante lariunione emergeva una grande diversità. I produttori di riferimento per Bioloc (almomento la Cooperativa Ca' Magre era l'unico produttore locale) erano certificati comeagricoltori biologici (da cui il marchio Bio-loc). Filiera Italia, rappresentata da Federica,raccoglieva invece produttori ed artigiani del settore “made in Italy”. La rete degli orticollettivi, coordinata da MDF Verona, esprimeva una produzione di ortaggiprincipalmente per l'auto-consumo di ogni gruppo coltivatore; tuttavia si ipotizzava chele eccedenze potessero essere scambiate tra i vari orti, dal momento che alcuni eranopiuttosto grandi ed alcuni erano addirittura specializzati (piante officinali, funghi, e cosìvia). Infine il progetto “Fattoria Diffusa”, sempre a cura di MDF, consisteva nel metterea coltura (specialmente di orticole) terreni abbandonati, incolti, marginali60 e di inserirela produzione nel circuito di PDO.

Dopo questa riunione risultava chiara l'importanza di geo-referenziare i nodi dellarete su una mappa, per rendere visibili le distanze tra l'uno e l'altro, e di distinguere lediverse tipologie di nodi e le diverse comunità coinvolte. Nella tabella dati condivisa hoproposto quindi di inserire tutti i produttori e i gruppi d'acquisto, entrambi nodi geo-referenziabili, e di specificare alcuni attributi per poter fare le dovute distinzioni.Soltanto Bernardo ha partecipato direttamente alla raccolta dei dati, inserendo indirizzi,contatti e note per alcuni orti di cui era referente. I dati dei gruppi d'acquisto mi sonostati forniti da Mirko di Atrax, il quale li ha estratti dal database del gestionale. Andreae Francesco mi hanno comunicato i dati più volte via email o a voce, senza inserirlidirettamente nella tabella61. Da questa ho ricavato due tipi di visualizzazioni, dellemappe (una è visibile in figura 25) e un grafo (parzialmente) geo-referenziato. Lemappe sono stata accolte con interesse dagli interlocutori-collaboratori perché

60 La maggior parte dei terreni su cui si progettava di coltivare erano terreni marginali dati in gestione dalle aziende agricole proprietarie che non avevano vantaggio economico dal coltivarli direttamente. In alcuni casi dallo stesso terreno si ipotizzava di ricavare una zona ad orto per l'economia del dono, euna zona di fattoria diffusa per l'economia solidale.

61 Federica non ha inserito i produttori di Filiera Italia in quanto ha portato a conclusione quell'esperienza per entrare pienamente nel progetto Bioloc, occupandosi della comunicazione.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

evidentemente si trattava di strumenti a loro utili. Tra i commenti segnalo in particolarequello di Francesco, il quale, oltre ad apprezzare il risultato, suggeriva di geo-referenziare l'intero elenco degli “operatori del sistema biologico” della provincia, resodisponibile dalla regione Veneto62.

Allego anche elenco di tutti gli operatori biologici 2011 della provincia. Sarebbemolto utile una geolocalizzazione a visione solo dello staff interno, per potersovrapporre ai punti fattoria diffusa e GAS attivi (+ possibili Gas in attivazione)così da capire dove rivolgersi in caso di scarsità di prodotto di quella zona.63

Come accennato da Francesco, conoscere tutti gli operatori biologici era un puntofondamentale per poter favorire la formazione di micro-reti locali tra produttori, inmodo da integrare le piccole produzioni dei terreni di “fattoria diffusa” e poter garantiredelle cassette di frutta e verdura miste abbastanza varie da essere commerciabiliattraverso la rete Bioloc. Inoltre era importante anche per aumentare il numero diaziende agricole produttrici ed espandere quindi la rete dal lato dei produttoriprofessionali.

L'elaborazione dei dati dell'elenco regionale ha richiesto un lavoro di rifinitura(eliminazione dei doppioni, correzione errori di battitura, e così via). Come risultato hoelaborato tre mappe: una con i «produttori biologici» o «in conversione» biologica; laseconda con i «produttori misti» (con produzione biologica e industriale); la terza con i«preparatori e importatori esclusivi» (che non fossero anche produttori). In totale eranoelencati 560 operatori nella provincia di Verona. Damiano ha elaborato una ulterioremappa con «i negozi alimentari di Verona ai quali proporre le cassette di Bioloc fattoriadiffusa»64. Con questa mappa è stata integrata nel modello di lavoro anche l'espansionein riferimento ai punti di distribuzione “in negozio” (l'aumento dei gruppi di acquistoera nel modello fin dall'inizio).

La geo-referenziazione non è un procedimento limitato alle mappe, anche i grafi direte possono essere geo-referenziati in modo tale per cui la posizione dei nodi perde ilsuo significato di vicinanza/distanza relazionale (due nodi sono vicini perché sonoconnessi tra loro) e diviene una posizione spaziale65. Ho tentato di realizzare un grafo diquesto tipo a partire dal precedente ed inserendo le coordinate geografiche per i nodi.Tuttavia non ne è risultato alcuno strumento utile ed è rimasto un esercizio tecnico inquanto non tutti i nodi potevano essere geo-referenziati, e tra questi in particolare i nodi“di collegamento” (vettori e gestionale). Il punto di vista espresso da Alberto (che ilvettore fosse un nodo di natura sostanzialmente diversa dagli altri) ha trovato quindi unaconferma in relazione alla trasposizione su coordinate geografiche.

62 L'elenco è pubblicato sul sito http://dati.veneto.it/, all'interno del progetto “open data” della regione Veneto.

63 Da una email di Francesco del 15 maggio 2013.64 Email di Damiano F. del 19 maggio 2013.65 Un esempio tipico sono i grafi di rete geo-referenziati delle rotte aeree, dove i nodi rappresentano gli

aeroporti sulla mappa, mentre i legami rappresentano le rotte che connettono coppie di aeroporti.

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Capitolo 4

Grafi a partire dal database del gestionale

L'esigenza di superare le difficoltà dovute alla raccolta dei dati e di ottenere un grafo piùsignificativo hanno motivato la ricerca di una collaborazione più stretta con i ragazziche gestivano il gestionale online Bioloc. Il ragionamento di partenza, elaborato durantele discussioni, consisteva nel mettere in evidenza che la difficoltà che in generale lepersone mostrano nell'inserimento dei dati in un'applicazione è spesso ironicamenteaccompagnata dalla duplicazione dei dati stessi, in forme diverse, in altri database.Cioè, se da un lato è difficile ottenere dei dati completi, dall'altro spesso quei dati sonogià stati raccolti o parzialmente raccolti, in qualche forma, altrove. Gli operatori deiprogetti si ritrovano spesso a ricopiare più volte gli stessi dati manualmente da unaforma all'altra. D'altro canto è spesso necessaria una motivazione forte per spingere lepersone ad investire parte del proprio tempo, anche una minima parte, nell'inserimentodi dati in un database, un'attività che sembra essere considerata particolarmente pocopiacevole.

Il clima di collaborazione aveva permesso la maturazione di una certa fiducia e inquesto modo i collaboratori hanno condiviso con me le credenziali di accesso aldatabase del sito. Il sito bioloc.it aveva già una base di dati66 relativi ad utenti, gruppi,quantitativi (di merce e denaro) ordinati e fatturati; era in progetto l'aggiunta di nuovetabelle per vettori, produttori e terreni di fattoria diffusa. Ciò che mi sembrava moltointeressante era che i dati relativi agli «utenti» venivano raccolti dagli utenti stessi, cioèdalle persone che volontariamente si iscrivevano al sito per inserirsi nella rete di PDO.La tabella degli utenti aveva in questo senso un elevato valore di partecipazione: ogniutente aveva scritto personalmente le informazioni a suo riguardo, senza intermediari.La tabella dei gruppi era gestita da Mirko V., Damiano F. e Sebastiano M., che concontinuità ne verificavano la validità, aggiungendo ogni nuovo gruppo e togliendo igruppi “chiusi”. Non solo, i ragazzi si occupavano anche con la stessa continuità dicreare le connessioni tra gli utenti e i gruppi, poiché si trattava di un passaggioessenziale del progetto (le consegne venivano effettuate soltanto a gruppi, che vengonocreati quando si raggiunge un numero di minimo di utenti interessati, tra cui almeno unodisposto a fare da “capogruppo”).

Gli altri dati (quantitativi) presenti nel database erano meno completi o piùcomplessi da gestire, almeno per me, ma con utenti e gruppi era già possibile creare ungrafo significativo, mostrando una rete bipartita con le due categorie di nodi connessetra loro. Mirko si è occupato di scrivere un breve codice per ricavare dal database unatabella dei nodi e una tabella dei legami67, seguendo la formattazione necessaria adimportare i dati nel software di elaborazione di reti Gephi. Il risultato dell'elaborazione

66 Il sito è costruito tramite il CMS open source Wordpress, utilizzando un database MySQL.67 Tecnicamente per creare la nodes table e la edges table è stata necessaria una operazione di unione

(join) di dati delle diverse tabelle originali, in quanto il database di Bioloc, come la maggior parte deidatabase SQL, non mantiene tabelle con le relazioni fra i dati (che ricrea solo in modalità dinamica, attraverso tabelle virtuali chiamate views). È proprio per superare questa limitazione che sono stati infatti recentemente sviluppati i graph databases.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

(figura 26) mostra per la prima volta un'immagine rappresentante la rete delle personeche, attraverso la loro scelta di consumo, sostenevano il progetto Bioloc. Si possonoosservare i capogruppo, figure indispensabili alla formazione di un gruppo d'acquistoperché ne garantiscono la continuità (il vettore contatta direttamente il capogruppo eviceversa per ogni necessità, e il capogruppo raccoglie i versamenti degli altri membriper consegnarli al vettore). È possibile anche vedere la presenza di alcuni utenti “senzagruppo”, che si sono iscritti in attesa dell'apertura di un gruppo di acquisto vicino a loro.

Questo “grafo degli utenti” mostra comunque un'immagine parzialmente distortadella rete delle persone che partecipano al progetto. Me ne sono reso conto dopo “essereentrato nella rete”, iscrivendomi al sito ed entrando a far parte di un gruppo di acquisto.Ho così iniziato ad effettuare gli ordini attraverso il gestionale (entro i tempi dellachiusura settimanale del «paniere»), a frequentare le altre persone del gruppo, adascoltare le difficoltà di svolgere il ruolo di capogruppo (ad esempio dovendo garantireil più possibile la presenza nell'arco di ore prestabilito per la consegna), ad effettuarepagamenti utilizzando una parte di Scec, e così via. Così mi sono reso conto, per fare unesempio, che un utente che si fosse iscritto al sito senza effettuare mai un ordine,sarebbe figurato nel grafo esattamente come gli altri utenti. In altre parole alcuni utentierano “inattivi”. Per ovviare a questo, si sarebbe potuto visualizzare l'“attività” degliutenti attraverso qualche algoritmo di approssimazione, magari rappresentandograficamente la maggiore attività come una colorazione più intensa. I dati per calcolareil grado di intensità del colore erano disponibili nel database, in quanto il sistemateneva traccia di ogni ordine effettuato, tuttavia io non ero in grado di recuperarli.

Sulla base degli ordini si sarebbe potuta anche ricalcolare la dimensione dei nodi-gruppo d'acquisto, che nel grafo elaborato dipendeva soltanto dal numero di utentiiscritti. Anche in questo caso mi sono reso conto che alcuni utenti ordinavano più di unacassetta alla settimana perché acquistavano anche per amici o parenti. In un certo sensoerano degli “utenti-gruppo”. Questo dato non poteva venire raccolto nel database, marestava la possibilità di visualizzare la dimensione dei nodi di utenti e gruppi in base aireali ordini effettuati. Era chiaro inoltre che la situazione di un gruppo d'acquistocambiava di settimana a settimana, il numero di ordini e di utenti attivi non erano datistabili ma dinamici. Se da un lato la presenza di dati dinamici con una frequenza dicambiamento settimanale creava maggiore complessità, dall'altro presentava lecondizioni favorevoli ad un esperimento di visualizzazione di una rete dinamica, cioèuna rete che evolve nel tempo.

Come ho detto, la gestione dei dati relativi agli ordini effettuati era per me troppodifficile, data la mia ignoranza del linguaggio SQL necessario per interrogare emanipolare i dati del database di Bioloc. Allo stesso tempo, nonostante la disponibilitàdi Mirko ad aiutarmi il più possibile sul versante tecnico, era chiaro che la produzione diquesti grafi non era un'attività considerata centrale per lo sviluppo della startup Bioloc,che doveva ancora raggiungere un regime economicamente sostenibile per i vari

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Capitolo 4

partecipanti. Tuttavia, il vantaggio derivabile dall'elaborazione dei grafi sarebbe potutoessere, a mio avviso, duplice: da un lato avrebbe potuto favorire la comprensione dellarete per lo staff interno, e dall'altro avrebbe potuto avere un ritorno in termini diimmagine e comunicazione; il grafo avrebbe potuto mostrare l'evolversi della reteoffrendo agli utenti uno strumento attraverso cui sentirsi maggiormente partecipi delprogetto (proprio perché rappresentati nella rete). Lo stimolo per la realizzazione di ungrafo dinamico è arrivato con la partecipazione di Bioloc ad un bando di concorso perstartup68. In quel caso è stato deciso di allegare alcuni materiali digitali, tra i quali èstata accettata la mia proposta di un video che mostrasse l'evoluzione della rete Bioloc.

Esplorando il database, avevo notato che utenti e gruppi possedevano due attributi ditipo “data e ora”, relativi alla data di creazione del record69 nel database, e alla data diultima modifica del record. La data di creazione poteva essere assunta con una buonaapprossimazione come data di ingresso dell'utente o del gruppo nella rete Bioloc. Inrealtà non tutte le persone iniziano il rapporto con il progetto Bioloc a partiredall'apertura del proprio account sul sito, cioè in quanto “clienti”. Spesso ci sono periodidi avvicinamento alla rete precedenti l'evento di «registrazione» (ad esempio un utenteche va a ritirare la propria cassetta accompagnato da un amico, il quale dopo un periododi tempo decide di iscriversi personalmente). Senza contare che, come reso chiaramentevisibile dal primo grafo sulla rete Bioloc, Andrea continuava a rifornire un discretonumero di GAS «storici», i quali preferivano effettuare i propri ordini senza passare dalgestionale70. Cionondimeno, la data di creazione dell'account poteva rappresentare ilmomento in cui gli utenti entravano ufficialmente a far parte del progetto Bioloc,accettandone tutti i suoi elementi, compreso il gestionale71.

Il grande vantaggio era che questa informazione virtuale veniva generataautomaticamente dal gestionale in corrispondenza di un evento reale (la registrazionedell'utente) e non era necessario richiedere ai partecipanti di contribuire ad una raccoltadati cercando di ricordare quando fossero entrati nel progetto. L'informazione nondoveva neppure essere inserita dall'utente o dall'operatore del database al momentodella registrazione; essa veniva generata in modo automatico. Senza bisogno di ulteriorisviluppi da parte di Mirko, avevo dunque tutti i dati necessari alla realizzazione di ungrafo dinamico.

Si noti che è sempre necessario un punto di partenza per abilitare una timeline,

68 Si tratta del “Premio Gaetano Marzotto”, edizione 2013.69 Nei database SQL con record si intende ogni istanza inserita (poiché si tratta di database a tabelle,

ogni record corrisponde ad una riga). Ad esempio nella tabella degli utenti ogni record costituisce un singolo utente.

70 Gli ordini in questi casi venivano trasmessi al vettore tramite una email cumulativa effettuata da un referente del GAS. Si tenga presente che il gestionale richiedeva il lavoro dei ragazzi di Atrax, che si finanziavano con una trattenuta del 10% sulle transazioni (una percentuale tipica dei servizi web analoghi). Non entrare nel gestionale è quindi da intendersi anche come un rifiuto di un allungamentodella filiera, non considerato indispensabile.

71 Il GAS di Povegliano Veronese è stato il primo ad aver scelto di aderire completamente al progetto e di iniziare ad effettuare gli ordini attraverso li gestionale.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

mentre non è richiesto il punto di arrivo, anche se può aggiungere un valoresignificativo a un grafico quando disponibile. (Cherven 2015: 251)

Come messo in evidenza da Ken Cherven, per creare una rete dinamica utilizzandoGephi è sufficiente disporre della data di partenza per ciascun nodo. In mancanza di unadata di termine il software assume che i nodi non smettano mai di essere attivi.Purtroppo la seconda informazione temporale disponibile, la data di ultima modifica,non era utilizzabile come approssimazione dell'attività di gruppi ed utenti perché venivaaggiornata solo dopo le modifiche dei “profili” (ad esempio dopo che un utente avessemodificato il suo indirizzo)72. Il risultato è quindi, ancora una volta, parzialmentefuorviante, dal momento che non si possono distinguere gli utenti non più attivi.

Per realizzare il grafo dinamico ho seguito il metodo più diffuso nell'analisi delle retidinamiche, cioè la creazione di un'animazione o “film di rete” (Moody, McFarland, eBender‐deMoll 2005). Un'altra tecnica molto usata è quella di presentare deifotogrammi chiave della rete, colta in momenti successivi. Questa tecnica è piùefficiente per favorire operazioni di comparazione e di analisi del percorso evolutivodella rete, tuttavia la generazione di video dinamici è più appropriata se si devonorappresentare periodi lunghi di tempo e soprattutto produce risultati consideratigeneralmente più accattivanti (Farrugia e Quigley 2011). Durante gli esperimenti diusabilità comparativi tra visualizzazioni statiche e dinamiche, i partecipanti hannodichiarato più semplici e comprensibili le visualizzazioni statiche, tuttavia «hannoutilizzato sentimenti positivi come 'emozionante', 'avvincente' e 'divertente' perdescrivere le rappresentazioni animate» (Farrugia e Quigley 2011: 61). I feedback deimiei collaboratori riguardo il grafo dell'evoluzione della rete Bioloc hanno confermatosenza dubbio quest'ultima osservazione.

Il grafo (che ho riprodotto in figura 27 secondo la tecnica keyframes) mostral'evoluzione della rete nell'arco temporale che va da novembre 2012 a giugno 2013.Grazie all'animazione è possibile apprezzare alcuni elementi come la nascita di unnuovo gruppo d'acquisto. Si vedono apparire degli utenti senza gruppo, che rimangonoquindi isolati fino alla creazione del nuovo gruppo e la successiva aggregazione diulteriori utenti. Di fatto questo rispecchia una delle effettive modalità di creazione deigruppi. In generale l'animazione riesce a restituire l'idea di espansione della rete Biolocnel tempo e la struttura della rete. Ad esempio appaiono due gruppi più grandi dellamedia. Si riesce anche ad apprezzare l'aggregazione “in blocco” dei membri del GAS diPovegliano, che insieme hanno deciso di passare all'utilizzo del gestionale.

In definitiva la realizzazione di questa animazione è stata il primo momento disperimentazione con l'introduzione della dimensione temporale nella visualizzazione dei

72 A posteriori mi rendo conto che una scelta migliore sarebbe stata la data dell'ultimo ordine. Tuttavia affinché questa fosse disponibile nelle tabelle dei nodi da importare nel grafo, sarebbero state necessarie ulteriori operazioni di JOIN e in definitiva una maggior conoscenza delle potenzialità del linguaggio SQL per la manipolazione dei dati del database, che allora non possedevo. Mirko di Atraxpossedeva le competenze necessarie, ma la comunicazione tra noi non è stata sufficientemente frequente da aver permesso l'incontro tra le mie richieste e le sue competenze.

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Capitolo 4

grafi. Come ho anticipato, il risultato è stato apprezzato dagli interlocutori comestrumento comunicativo, capace di convogliare il messaggio di appartenenza, di “essereparte di”, sia nei confronti degli utenti, che dei collaboratori del progetto. Per questoSebastiano ha proposto di inserirlo nel video che intendeva presentare all'VrbanEcofestival di settembre 2013. Il tempo per la realizzazione non è stato però sufficiente,inoltre non sono state realizzate le postazioni multimediali progettate durante la fase diorganizzazione del festival (angoli “relax” dotati grandi schermi), per cui è venuto amancare un importante incentivo per la realizzazione del video, che non viene poiportato a termine. La sperimentazione ha rivelato la maggiore complessità tecnica dellavisualizzazione dinamica, la quale richiede non solo la presenza di dati temporali maanche la presenza di un supporto appropriato (schermo o proiettore) per esserepienamente apprezzata.

Punto di rottura

Se il progetto Bioloc fosse continuato senza grandi intoppi, i passaggi successivi disperimentazione per quanto riguarda la visualizzazione dei grafi sarebbero stati, inordine di importanza: l'automazione della costruzione del grafo a partire dal databasedel sito; la visualizzazione dei flussi attraverso connessioni “pesate” e nodiproporzionati (inserendo nella rappresentazione i dati quantitativi sugli ordini comepeso degli archi e dimensione dei nodi); e la rappresentazione delle altre categorie dinodi, come i produttori e i vettori. Purtroppo non è stato possibile proseguire su questalinea di sperimentazione. Da un lato, come ho già sottolineato, questo lavoro non eraconsiderato prioritario dal gruppo di persone coinvolte nella rete Bioloc. Dall'altro, adun certo punto dello sviluppo il progetto è andato incontro ad una rottura causata da unforte conflitto che ha portato alla separazione in due distinti progetti. In quel momentoho smesso di seguire gli incontri e lo svolgimento di entrambi.

Il progetto stava tornando ad essere molto grande e molto ambizioso. Non si trattavapiù solamente di creare una startup di PDO con consegna a gruppi d'acquisto nelterritorio locale. In discussione nei tanti incontri che si susseguivano erano entrati nuoviobiettivi: il coordinamento di una rete di orti e territori dismessi da recuperareall'agricoltura; la pianificazione coordinata della semina di questi terreni per ottenereproduzioni che potessero combinarsi nel fornire la varietà sufficiente a confezionare unacassetta di frutta e verdura mista; la fornitura a mense e ristoranti (i quali hannonecessità diverse rispetto al consumo familiare, prima fra tutte una maggiore frequenzadi consegne); la «necessità di andare oltre la certificazione biologica»73 mettendo apunto un marchio di «garanzia partecipativa» o «certificazione reciproca»74 (per poterinserire nel circuito anche i piccoli produttori che pur coltivando con metodi naturalinon si potevano permettere la certificazione biologica); l'avvio di «corner Bioloc»(espositori con lo spazio per il ritiro delle cassette e per ospitare prodotti in vendita) da

73 Riunione del 28 marzo 2013.74 Riunione del 1 gennaio 2014.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

lasciare nei negozi convenzionati, considerato come «inizio di empori e botteghe»75;l'attivazione di corsi professionali per formare nuovi vettori, in collaborazione conscuole superiori (istituti tecnici e alberghieri); e persino l'espansione di Bioloc in altreprovince (in particolare nelle zone in cui era attivo il circuito di Arcipelago Scecdell'Isola regionale). Alle riunioni si discuteva persino di come integrare il sistema ditrasporti delle cassette con il sistema di trasporto civile distribuito (car-pooling),promosso da un gruppo di giovani veronesi. In breve i contorni della progettualità incorso stavano tornando a, e addirittura superando, quelli dell'originale progetto agro-alimentare promosso da Arcipelago Scec e da Naturalmente Verona, senza che fossestato completato il “primo passo”, cioè il raggiungimento della sostenibilità economicadell'impresa di PDO.

L'aumento della complessità è testimoniato ad esempio da una email di Christian L.del 16 maggio 2013. Christian è un ingegnere informatico con interessi olistici(informatizzazione, spiritualità, economia e sostenibilità). Insieme abbiamo discussospesso della teoria dei sistemi complessi, approccio che accomuna il lavoro di entrambi.Christian è stato coinvolto perifericamente nella rete Bioloc, tuttavia la sua esperienzagli ha permesso di rendersi conto di un potenziale problema organizzativo e a farglisuggerire l'inserimento nel progetto di una figura con competenze di ingegneregestionale.

[…] un'osservazione (da usare in caso di necessità). Nelle aziende chi si occupa diorganizzare e ottimizzare processi e flussi di informazioni e materiali è l'ingegneregestionale… Quindi se, una volta che è stato definito, avete l'impressione che ilprogetto risulti troppo grosso o complesso da gestire, la figura (o comunque lecompetenze da mettere in campo) sono proprio quelle dell'ingegnere gestionale, sene conoscete qualcuno. Se non lo si trova, penso che dei diagrammi cherappresentano i processi da implementare possono essere utili per capire comesuddividere i compiti dei vari gruppi informatici. […]

Christian si riferisce a «vari gruppi informatici» perché in discussione c'eral'integrazione di diversi sistemi informatici: la PDO (con i gruppi d'acquisto el'ottimizzazione dei percorsi di consegna), la gestione degli orti collettivi (con l'acquistocollettivo di semi e orticole e lo scambio di informazioni attraverso «diari dell'orto», ecosì via), l'organizzazione di un sistema di car-pooling e il Portale del Terzo Settore.

Per dare senso e operatività alla crescente complessità del progetto sono statecoinvolte anche le competenze fiscali e giuridiche di Mag Verona, attraverso leconsulenze di M. Teresa G.. Con il suo aiuto, dopo aver vagliato ipotesi più classichecome la formazione di una nuova cooperativa o una società in nome collettivo (S.n.c.),giudicate troppo onerose per una startup ancora in fase di sviluppo, il gruppo si stavaorientando verso l'ipotesi di un «contratto di rete tra microimprese»76. L'idea di questa«rete di autoimprenditori, che si scambiano servizi» era giudicata dai partecipanti più

75 Riunione del 9 agosto 2013.76 Email di Teresa del 7 agosto 2013.

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Capitolo 4

«innovativa», «una nuova frontiera»77. In particolare mi colpisce un'affermazione diTeresa, che sottolineava: «il contratto di rete non prevede un soggetto giuridico terzo; èsolo appunto una rete». L'innovazione del «contratto di rete» (uno strumento apparso direcente nella legislazione economica italiana) risiede principalmente nel non dovercostituire un «soggetto terzo», garante della cooperazione tra gli attori del progetto78.L'esistenza di questo strumento giuridico e il tentativo da parte degli interlocutori diapplicarlo alla propria situazione concreta testimoniano la convinzione (sia da parte diattori locali che del legislatore) che il coordinamento di reti complesse non debbanecessariamente passare dalla creazione di organismi di governo dall'alto, ma chepossano essere le reti stesse ad eseguire questo compito.

Il contratto di rete prevede che le imprese costituenti si dotino di un regolamento, un«programma» e di «obiettivi strategici»79. Gli attori coinvolti nel progetto Bioloc“allargato” avevano una discreta condivisione degli obiettivi e valori di fondo:economia locale, produzione possibilmente biologica (con la possibilità di una garanziapartecipata), educazione alla salute attraverso il cibo (con particolare attenzione allastagionalità e alla varietà dei prodotti), riduzione dell'impatto ambientale (in particolareriduzione dei trasporti e dell'agricoltura intensiva), tutela della biodiversità, sovranitàalimentare, socialità (gruppi d'acquisto), e così via. Questi erano tutti elementi condivisie nessuno li metteva mai in dubbio durante le riunioni. Mancava invece un accordo suimodelli operativi di “messa in pratica” del progetto e sulla definizione degli “obiettivistrategici”. Altresì mancava una condivisione degli accordi tra le parti e non era ancoraemersa una formalizzazione delle regole di comportamento.

Le differenze più significative si riscontravano tra tre gruppi, “capitanati” da Andreada un lato, Damiano da un altro, e Francesco da un terzo. Andrea immaginava unsistema formato da tre pilastri – produttori, vettori e gruppi d'acquisto – dove ilgestionale, considerato come bene comune, fungesse da puro strumento al servizio dellarete e dove le competenze di comunicazione fossero distribuite tra tutti i membri dellarete. Andrea “faceva comunicazione” andando a promuovere il progetto Scec e ilprogetto Bioloc nelle conferenze cui veniva invitato, nelle riunioni delle varie reti cuipartecipava, facendo espandere il progetto Bioloc nei territori dello Scec, e così via. Perlui questo era “comunicazione” e non riconosceva l'esigenza di attivare un ruolospecifico per la comunicazione. Per Andrea era inoltre fondamentale il rispettodell'autonomia dei vettori e il progetto doveva puntare all'obiettivo strategico di crearenuovi vettori. Leonardo, il vettore munito di furgone elettrico che per un breve periodoha servito la zona del centro cittadino, era d'accordo con questa visione, così come altriche avevano aiutato Andrea nella preparazione delle cassette.

Damiano, Federica e i ragazzi del gestionale puntavano alla realizzazione di un

77 Andrea durante la riunione del 7 aprile 2013.78 La legislazione prevedere anche la possibilità che la rete acquisti soggettività giuridica autonoma

diventando «rete soggetto» (“Contratti di Rete” 2015).79 Si veda il sito informativo sui contratti di rete realizzato dalle Camere di Commercio d'Italia,

(“Contratti di Rete” 2015).

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Fieldwork: costruire insieme i dati

sistema informatico che centralizzasse l'informazione per poter razionalizzare i processie consideravano prioritari gli investimenti in comunicazione, per l'allargamento dellabase degli utenti. Il primo punto entrava in conflitto con il modello di Andrea nelmomento in cui, attraverso il calcolo dei percorsi, si volevano redistribuire i gruppi aivettori, per razionalizzare i costi di trasporto. Andrea sosteneva di avere un rapportopersonale con i gruppi da lui seguiti, e che il cambio di vettore dovesse essere casomaiconcordato tra vettori. L'informazione (ordini, prezzi, gruppi, calcoli di percorso, e cosìvia) per Andrea doveva essere di libero accesso a tutti, per permettere l'auto-organizzazione.

Per Francesco, infine, era prioritaria la messa a coltura dei terreni abbandonati e lagestione economica interna tra azienda padronale e neo-contadini coltivatori, laddove ilsistema di distribuzione di PDO era considerato come un appoggio necessario in unprimo periodo di creazione del mercato locale attorno ai terreni della «fattoria diffusa».Anche Francesco era contrario alla destinazione delle risorse economiche del progetto alcomparto comunicazione.

Queste differenze, che ho brevemente schematizzato, non erano del tutto esplicitateed emergevano a tratti. Ero colpito dal basso livello di coordinamento del gruppo enotavo frequentemente che durante gli incontri era necessaria la presenza di tutti i“portatori di interessi” (uso questo termine di proposito), altrimenti, per semplificare ladiscussione, il loro punto di vista poteva essere facilmente messo da parte. I miei verbalivenivano infatti regolarmente commentati (cosa che non succedeva in uguale misura nécon la Commissione Progetti di Villa Buri, né con il direttivo di Naturalmente Verona) esuscitavano lunghe discussioni via email. Il livello di coordinamento era talmente fluidoche, alla riunione del 9 agosto 2013, dove si era deliberato di procedere all'istituzionedel «patto di rete», oltre a mancare una condivisione delle regole da seguire, non eraancora stato deciso nemmeno l'«elenco delle imprese» della ipotetica rete.

Sulla base di queste differenze era emerso qualche conflitto diretto (Francesco eBernardo, Andrea e Francesco, Francesco e Federica, Andrea e Federica, Leonardo eDamiano), ed erano iniziati soprattutto nell'ultimo periodo dei tentativi di chiarimentodegli intenti dei vari partecipanti. Tuttavia, la progettazione è proseguita in uno stato difluidità piuttosto elevato. È entrato nella rete un nuovo produttore biologico presso ilquale si è spostato anche il punto di preparazione delle cassette; due terreni di fattoriadiffusa hanno iniziato a produrre alcuni ortaggi che sono entrati nel circuito; Federica èentrata ufficialmente a far parte dello staff di Bioloc con competenze di comunicazionee promozione; Bioloc ha organizzato e partecipato a diversi eventi promozionali; e cosìvia. Dopo molte difficoltà e diversi tentativi di recuperare una buona collaborazione conFrancesco, questi è uscito dal progetto. Ma nemmeno questo evento ha fatto emergere leproblematiche di fondo, che continuavano ad intralciare la collaborazione. Il blocco ègiunto soltanto quando Andrea ha dichiarato che «i conti non torna[va]no».

È stata quindi indetta una riunione il 3 gennaio 2014, l'ultima del gruppo allargato.

257

Capitolo 4

Durante l'incontro, tenutosi nella sede del nuovo produttore (l'Agriturismo Corteall'Olmo), tutti i problemi e le incomprensioni sono state sviscerate in modo esplicito,dando origine ad alcuni forti attriti, ma per la prima volta emergendo in modo chiaro. Ilcommento più lucido è stato offerto da Francesco (re-invitato per la particolareoccasione), il quale forse proprio per il fatto di essere uscito dal gruppo, si è permesso diriassumere la problematica principale.

I parametri di Bioloc sono sbagliati. Siamo una decina di persone, per fare unacooperativa o una società ci vogliono 200 mila euro di fatturato. Una cooperativache stia in piedi. Questi i conti della Mag alla riunione di aprile… Abbiamo fattouna rete di imprese. Siamo dieci persone: sono troppe da retribuire per questoprogetto. Questo è il problema vero.

Una via è… che i non “pilastri” (cioè gestionale e comunicazione) aspettano che ilreddito raggiunga un livello da poter retribuire anche loro. […] la mia primaproposta è stata di togliere o quantomeno parlare di questa percentuale80. Non sta inpiedi con questi calcoli, o abbiamo la pazienza di aspettare, o si ripresenterà ilproblema.

Altra soluzione: che si riesca a ricavare una percentuale da altre attività. Altre fontidi reddito. Ma quali?

Nonostante nel tempo i partecipanti, in particolare i co-fondatori Damiano e Andrea,avessero sviluppato due modelli di business piuttosto diversi81, avevano in un certosenso continuato a collaborare accettando (più o meno consapevolmente) leincomprensioni e le difficoltà. Probabilmente erano motivati dal desiderio di riuscire arealizzare ciò che avevano iniziato e che continuavano a sognare. Questo è potutodurare fino a quando non si è messa in discussione la sostenibilità economica delprogetto, confermando ancora una volta l'indicazione tanto cara a Mag che le impresesociali, anche «senza essere “del” mercato», devono essere capaci di «stare nelmercato».

Durante l'ultima riunione è risultato evidente per tutti, da un lato, che la “rete di

80 Il gestionale e le spese del settore comunicazione venivano sostenuti, come da accordi iniziali, con una trattenuta del 10% sui ricavi lordi dei vettori. Al momento della riunione finale Francesco non erapiù un vettore attivo, Leonardo seguiva pochissimi gruppi e il suo contributo era quindi molto limitato; il nuovo vettore Filippo (vettore e produttore) aveva stipulato un accordo diverso con i ragazzi del gestionale senza che condividere la decisione con tutti i membri della rete; e i pochi ricaviderivanti dall'evento del mercatino di Natale non hanno contribuito alla percentuale della «cassa comune». Altri due vettori erano in attesa dei gruppi minimi per poter iniziare. In pratica l'unico contributo per il gestionale e la comunicazione derivava dal fatturato di Andrea e questo ha contribuito ad accentuare il conflitto tra le parti.

81 Le differenze emerse durante l'incontro del 3 gennaio 2014 erano tali per cui Damiano e Federica hanno ad esempio dichiarato di non «sentire l'appartenenza» del progetto Bioloc alla rete di economiasolidale Naturalmente Verona, appartenenza che era inizialmente stata condivisa anche da Damiano. Per loro non si trattava di un «progetto di», ma di un progetto «con la collaborazione di» Naturalmente Verona. La problematica era emersa già il mese precedente quando il logo di Naturalmente Verona era stato omesso (volontariamente a giudizio di Andrea) dalla comunicazione dell'iniziativa del mercatino natalizio. Andrea in quell'occasione aveva portato con sé lo striscione di Naturalmente Verona, aprendolo appositamente durante il momento delle interviste con i media locali.

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Fieldwork: costruire insieme i dati

imprese” che si stava costituendo non era accompagnata da una corrispondente “rete difiducia” tra i partecipanti; dall'altro, che si stavano seguendo strade sostanzialmentediverse, che i desideri in gioco erano diversi e che non sarebbe stato possibilerecuperare una programmazione comune. Non è mia intenzione restituire nel testo tuttele problematiche, i vissuti personali e le questioni che hanno portato alla rottura delgruppo. Non ho nemmeno la pretesa di aver compreso completamente le complessedinamiche che hanno provocato il conflitto. In questa sede ritengo importantetestimoniare il tentativo di un gruppo così eterogeneo di persone di dare vita ad uncomplesso progetto di rete, che tenesse insieme gli interessi di molti e l'interessecomune, senza ricorrere ai consueti strumenti di coordinamento (come la costituzione diun'azienda o una cooperativa), ma semplicemente contando sulla propria capacità diauto-organizzarsi.

Ritengo inoltre importante sottolineare come nelle discussioni del gruppo non si trovitraccia di motivazioni negative legate all'“orrore” della gerarchia e delle strutture dicomando, o tracce di una retorica “orizzontalista”. L'agire degli interlocutori eramotivato dal desiderio di «mettere in rete» competenze, energie, volontà e persone percostruire un sistema di distribuzione di cibo alternativo a quello della grandedistribuzione, in grado di essere equo, sano e sostenibile, e al contempo di uscire dallanicchia dell'auto-produzione e dei “tradizionali” gruppi di acquisto solidale.

Damiano: Varie persone, io perché ho fatto una tesi sui GAS, Andrea che ha fattol'agronomo… facciamo qualcosa in più per non restare legati al discorsodell'identità del GAS, andare oltre il contatto diretto, fare un servizio leggero,flessibile, economico, che permetta di mettere in contatto. Cominciare a fare unasorta di mercato locale della qualità veronese che possa arrivare nelle case deiveronesi.82

Il desiderio in gioco era quello di superare i limiti della tradizionale economia solidaleed estendere il cambiamento al resto del territorio. Queste osservazioni sono importantiper mettere nella giusta prospettiva questo tipo di esperienza. L'approccio che motival'agire degli interlocutori, anche in questo caso, è quello dei beni comuni, cioè ildesiderio di realizzare con le proprie forze ciò di cui hanno bisogno e che desiderano,senza delegare ad istituzioni esterne (come lo Stato o il mercato).

Concludo accennando brevemente all'esito di questo punto di rottura del gruppo dicollaboratori. Come era visibile dal primo grafo sulla rete, Andrea serviva due cerchie digruppi d'acquisto, da un lato i GAS che prima di entrare nella rete Bioloc si rifornivanopresso Ca' Magre, e dall'altro i nuovi GA (gruppi d'acquisto) creati attraverso ilgestionale Bioloc. Dopo la riunione di rottura Andrea è rimasto con la prima cerchia digruppi, ha finanziato autonomamente lo sviluppo di un nuovo gestionale più semplice(biosol.it) e ha creato così il nuovo progetto Biosol (Biologico e Solidale), con ilsupporto dell'associazione Naturalmente Verona e continuando ad accettare gli Scec83.

82 Dalla riunione del 7 aprile 2013.83 Francesco dopo un periodo ha ricominciato a fare il vettore in Biosol. Leonardo ha invece smesso di

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Capitolo 4

Damiano invece è rimasto ala guida del progetto Bioloc, all'interno del quale sonorimasti i gruppi attivati attraverso il gestionale. Bioloc è uscito dal circuito Scec e dallarete di Naturalmente Verona poiché non sentiva l'appartenenza alle due reti, e hacontinuato preferendo aggregare produttori che svolgessero anche il ruolo di vettori.Inoltre ha riallacciato i rapporti con la grande cooperativa La Primavera.

A ridosso della rottura, la giornalista locale Eliana Rapisarda ha scritto un articolosulla separazione tra i due gruppi.

Le strade dei due progetti quindi si separano per quanto riguarda la modalità, ma lafinalità resta la stessa: quella di contribuire a diffondere l'agricoltura biologica nelnostro territorio distribuendo prodotti coltivati a livello locale. (Rapisarda 2014)

La separazione non è stata affatto facile, né consenziente, soprattutto considerando lariduzione drastica delle entrate per entrambi i gruppi. Sia Andrea, con cui ho continuatoa sentirmi, sia il gruppo di Bioloc, avendo perduto la gran parte della propria fonte direddito, non hanno avuto un periodo facile in termini economici84. Il rapporto tra gli excollaboratori si è completamente compromesso. Ciononostante, come osservato daRapisarda, i due progetti continuano ad esistere con finalità simili.

D'altronde, come ho osservato precedentemente, non ci sono mai stati problemi acondividere la visione di fondo. Le difficoltà sono sorte nell'implementazione praticadelle idee e nel decidere gli obiettivi strategici. Come ho specificato all'inizio delcapitolo, la comunità di pratiche che si stava aggregando attorno al progetto Bioloc eramolto giovane, caratterizzata da relazioni recenti ed attività nuove. Non si erano ancorasedimentate pratiche centrali stabili ed ogni sperimentazione coesisteva con le altre inun ambiente fluido, dai confini permeabili (nuove persone e nuove organizzazionientravano a far parte della comunità per periodi più o meno lunghi, introducendoproprie idee e mindsets non necessariamente coordinati con gli altri a livelloprocedurale). Il momento di stabilizzazione di questa comunità, di irrigidimento dellarete, ha provocato una spaccatura e ha determinato la divisione del gruppo originario,che probabilmente fin dall'inizio aveva al suo interno elementi contrastanti, che hannotrovato il modo di esprimersi.

Astraendo quindi dal vissuto di interlocutrici e interlocutori, è possibile guardare aquesta evoluzione del progetto attraverso la lente della teoria dei sistemi complessi. Ciòpermette di cogliere un passaggio da uno stato relativamente più «caotico» del sistemaad uno più «ordinato» (Gandolfi 1999: 56). Il passaggio tra i due, come tipicamenteaccade nei sistemi non-lineari, non è graduale ma drastico. Dopo una fase relativamentestabile, il sistema entra in una fase di instabilità critica il cui esito è imprevedibile, cheviene chiamata «biforcazione catastrofica» (Gandolfi 1999: 83). Questa fasecorrisponde nel caso di Bioloc alla rottura del rapporto di fiducia tra i membri delgruppo, all'ingresso del nuovo produttore-vettore (con trattamento economico diverso e

partecipare al progetto di PDO. 84 Andrea ha rilanciato la sua attività attraverso una campagna di crowdfunding, che ha avuto il

sostegno di molte persone, più o meno coinvolte nel progetto.

260

Fieldwork: costruire insieme i dati

non condiviso nel gruppo), all'inserimento di Federica come delegata allacomunicazione, e così via. È una fase in cui «il sistema è dominato dal caos», in cuidiverse fluttuazioni si succedono rapidamente, fino a quando una di esse riesce «acatapultare il sistema […] in un nuovo stato stabile» (Gandolfi 1999: 85). Nel caso diBioloc, questa fluttuazione è stata probabilmente la possibilità intravista da Damiano ealtri di ridurre i costi di gestione e contemporaneamente di centralizzare l'informazionedel sistema (ordini, consegne, gruppi) attraverso l'unione del ruolo di produttore equello di vettore85. Il sistema Biosol, nato dalla stessa biforcazione, ha potuto realizzarecon maggiore compiutezza l'idea di una rete di imprenditori o neo-imprenditoriautonomi, liberi di scambiarsi informazioni e di cooperare. Entrambi i progetti sonotuttora attivi.

85 Da una conversazione telefonica con Damiano, ho appreso che recentemente Bioloc sta espandendo la sua attività attraverso una pratica di tipo franchising in altre città.

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Capitolo 5

Restituzione: costruzione dello strumento

In questo capitolo descrivo il processo di costruzione dell'applicazione web che ospita ilgrafo delle collaborazioni partecipativo esteso potenzialmente a tutti i membri della retedi comunità di pratiche locale. Questo grafo costituisce il prodotto conclusivo direstituzione dei risultati della ricerca nei confronti di interlocutrici e interlocutori.L'applicazione è costruita con l'obiettivo di fornire ai membri della comunità unostrumento che permetta loro di raccogliere autonomamente e cooperativamente i datisulle relazioni di collaborazione tra le proprie organizzazioni, e di creare un'immagineplurale della rete risultante dall'aggregazione di tutti i dati. Questa applicazione è statarealizzata in collaborazione con il gruppo di lavoro del Portale del Terzo Settore,costruendo sull'esperienza maturata durante le sperimentazioni all'interno degli altriprogetti seguiti nel fieldwork e descritti nei due capitoli precedenti.

Lo sviluppo

Il gruppo di lavoro del portale si allarga

Non ho mai ricevuto una risposta all'email in cui, d'accordo con Andrea, avevocondiviso con il gruppo di lavoro del portale le mie considerazioni critiche sul progetto.Al momento del secondo incontro per il progetto, il mio percorso di avvicinamento allacomunità di Mag era appena iniziato e non si era ancora sviluppata una sufficientefiducia reciproca con i nuovi collaboratori. Nemmeno durante il secondo incontro infattile mie considerazioni sono state esplicitamente affrontate. Tuttavia, già a partire dallecomunicazioni per la convocazione dell'incontro e poi durante la discussione, sipercepiva un riavvicinamento tra i due approcci alla collaborazione che avevoidentificato in precedenza, cioè quello tramite “rappresentanza” e quello tramite“coinvolgimento diretto” (p. 179). Forse gli argomenti su cui avevo portato l'attenzioneerano stati presi in considerazione poiché l'incipit dell'email di convocazione contenevaun esplicito riferimento alla condivisione del processo di progettazione: «vi proponiamodi trovarci per condividere il piano di lavoro per il portale “La Rete del Buon Vivere”».

Durante la riunione sono stati messi a fuoco alcuni aspetti dell'orientamento di basedel progetto. È stato esplicitato il desiderio che il portale diventasse uno «spazio di co-progettazione» e un «luogo di discussione», che potesse essere sfruttato dalleorganizzazioni per dare forza a progetti collaborativi di «economia locale resiliente» eper condividere le idee e «confrontarsi». Come si può notare c'era una grandesovrapposizione con l'idea di uno «spazio di coordinamento» online proposta da

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Restituzione: costruzione dello strumento

Gregorio Arena (p. 196). È stata affrontata esplicitamente anche la questione del coinvolgimento delle

organizzazioni e il portale è stato immaginato come un «sito di comunità». Loredana, adesempio, ha espresso il desiderio che avvenisse una «presa in consegna, diresponsabilità, del sito da parte della comunità». In quest'ottica, che richiamaevidentemente l'approccio dei beni comuni, è stato inquadrato anche il costo delservizio1. I ricavi del progetto, oltre a retribuire la realizzazione e la manutenzionetecnica del sito, sarebbero serviti a coprire i costi per il servizio di «accompagnamento»degli utenti. Si è parlato di «accompagnamento alla comprensione dell'interfacciautente», «accompagnamento motivazionale» e «accompagnamento al coinvolgimento»,e di «accompagnamento tecnico» fornito dal servizio di help desk a cura dei due tecniciinformatici. L'obiettivo generale era favorire l'avvicinamento delle persone allostrumento, favorirne l'utilizzo e «promuovere» il portale.

L'obiettivo del coinvolgimento era quindi divenuto prioritario e non era limitato allapromozione, ma anche al coinvolgimento nella progettualità di costruzione del sito. Laprova era fornita dall'elenco degli invitati a partecipare alla riunione, il quale era piùlungo. C'erano Felicita, segretaria e grafica di Naturalmente Verona, e Francesco,presidente del Circolo di Verona del “Movimento della Decrescita Felice”. Ilcoinvolgimento di Francesco nel progetto, anche se non è sfociato in una alcunacollaborazione operativa, si inseriva in una più ampia ricerca di collaborazione a livellodi programmazione dei servizi informatici, tra i membri di vari progetti in corso, tutti inqualche modo connessi con Mag (o in partnership diretta o semplicemente attraversol'utilizzo dello spazio della casa Comune Mag per svolgere le riunioni). Come hospiegato nel capitolo precedente, Francesco era il coordinatore del progetto “FattoriaDiffusa”, che in quel periodo stava tentando di unirsi al progetto Bioloc. In particolare,dalla riunione congiunta dei membri dei due progetti era emersa la volontà dicollaborare a livello della visualizzazione su di un'unica mappa di tutti i punti geo-referenziabili, quindi sia punti distributivi e produttori di Bioloc, che orti collettivi eterreni di Fattoria Diffusa. Anche Federica P., allora responsabile della rete “FilieraItalia”, era venuta a contatto con gli altri membri del gruppo perché desiderava creareuna sinergia a livello di visibilità online tra i produttori seguiti dalla sua rete e quellidella rete di economia solidale Naturalmente Verona. Da ultima è nata l'idea di creareuna sinergia anche a livello di trasporti, inserendo quindi Alessandro F. responsabile delprogetto di car-pooling.

Questo gruppo di sviluppatori e responsabili dei vari progetti ha organizzato (il 18aprile 2013) un incontro tecnico allo scopo di valutare le possibili collaborazioni alivello informatico per poter integrare i diversi servizi in fase di sviluppo. Alcuni deipartecipanti sono entrati anche a far parte del gruppo di lavoro allargato della Rete delBuon Vivere, tra questi Federica per Filiera Italia e Sebastiano per Bioloc. Nonostante

1 Il preventivo del costo è stato aumentato a €100 per organizzazione per il primo anno e €60/anno per gli anni successivi.

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Capitolo 5

gli intenti sinergici dei partecipanti, la maggior parte delle collaborazioni ipotizzate nonsono mai state realizzate e la partecipazione dei vari membri alle attività dei gruppidiversi dal proprio è diminuita nel tempo fino ad esaurirsi. Dopo la rottura interna alprogetto Bioloc, ogni collaborazione inter-gruppo è completamente cessata.

Tra i motivi che hanno ostacolato le collaborazioni, voglio qui segnalare unaproblematica di fondo, a mio parere molto rilevante, presente nei rapporti collaborativiinterpersonali. I membri dei diversi gruppi non sono riusciti a generare e a mantenerenel tempo un livello di fiducia reciproca necessario a rendere fluide le relazioni tra loro.Frequentemente, dopo le riunioni sotto-gruppi di partecipanti si fermavano a discuterepiù a lungo. Anch'io prendevo parte a queste conversazioni e ho notato che spessoemergevano interrogativi e commenti critici sull'atteggiamento dei membri non presenti,che denotavano la mancanza di fiducia. Le questioni emergevano dal comportamentodei membri all'interno del gruppo, cioè non sulla base di pregiudizi, ma proprio inrelazione ai contributi che ognuno portava nel gruppo.

Per il progetto della Rete del Buon Vivere, ad esempio, era emersa l'esigenza ditrovare un “tecnico grafico” che disegnasse l'interfaccia dell'applicazione ed alcuni deipartecipanti al gruppo hanno contribuito segnalando dei tecnici da contattare. Prendoquesto caso come emblematico di diversi momenti in cui avveniva uno “scambio dicontatti”, cioè appunto la segnalazione di un potenziale nuovo partner. Distinguo duemodalità in cui queste segnalazioni avvenivano: la prima più modesta, del tipo “potrestesentire la tal persona, non so se sia disponibile, però potrebbe essere interessata, dite chevi ho dato io il suo contatto”; la seconda, molto più audace, del tipo “ho la persona chefa per voi, che desidera contribuire al progetto ed ha le competenze giuste”. Come inogni consiglio o referenza, anche queste segnalazioni hanno un potenziale ambivalente,e possono sfociare in una collaborazione positiva oppure no. Tuttavia, il secondoapproccio crea una finzione di certezza e una maggiore aspettativa che, qualora venganodisattese, vanno a compromettere la relazione di fiducia nei confronti di chi ha elargitoil consiglio.

Sono andato ad incontrare uno dei potenziali grafici indicati attraverso unasegnalazione molto audace, di cui rimane traccia in una email: «[…] ho un creativo-informatico da portare che vuole contribuire allo sviluppo del progetto!». Dopo alcuniminuti di discussione e fraintendimenti lui, un neo-pensionato, ha chiarito di non averele competenze per eseguire lavori di grafica web e di non essere nemmeno interessato asvilupparle, data la sua età. Era disponibile ad eseguire dei disegni fatti a mano, magaridelle locandine per gli eventi. Inoltre non conosceva affatto il progetto del portale. Al dilà del potenziale positivo nella creazione di ogni “nuovo contatto” (l'idea di realizzarelocandine fatte a mano era senz'altro originale), è evidente che questo incontro hadisatteso completamente le aspettative che la segnalazione aveva creato, perché di fattoil messaggio conteneva delle informazioni non vere. Questo tipo di situazioni, nellequali spesso, come nel caso descritto, non corrispondeva nemmeno un momento di

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Restituzione: costruzione dello strumento

riconoscimento dell'errore di valutazione da parte del responsabile, andavano adintaccare la fiducia nel partner. Eppure questo si verificava di continuo.

Allo stesso tempo ci sono state collaborazioni positive. L'esempio più significativo èrappresentato da una collaborazione con Pierluigi T. proposta durante l'incontro del 18aprile 2014. Pierluigi lavora per una cooperativa di servizi informatici, la “cooperativaGalileo”, che ha l'obiettivo di ridurre il divario digitale (digital divide) per residenti inlocalità non raggiunte dalla connessione internet ad alta velocità2. Dopo aver ascoltato lepresentazioni dei vari progetti informatici, Pierluigi ha espresso la sua disponibilità acollaborare attraverso la fornitura di un servizio di hosting (si veda p. 174) gratuito per isiti e le applicazioni, a patto che fossero realizzati con licenza open source. Oltre adessere stato un grosso stimolo per la svolta open source del progetto del portale, quandoal termine della fase di sviluppo si è presentata l'occasione Pierluigi ha mantenuto la suapromessa e tutt'ora il sito internet della “Rete del Buon Vivere” è ospitato presso unserver gestito da Galileo.

Nonostante l'allargamento del gruppo di lavoro, non si sono realizzate le speratecollaborazioni a livello informatico (ad eccezione di quella appena descritta). Lacollaborazione nel gruppo si è verificata a livello di ideazione dello strumento.Cionondimeno la necessità e la voglia di creare una comunicazione più stabile tra itecnici informatici attivi nei diversi progetti della società civile locale sono rimaste. Unanno più tardi sono sfociate nella creazione di un gruppo di comunicazione online dalnome “Supporto informatico per la società civile veronese” ad opera di Christian L..L'obiettivo di questo gruppo informale è di scambiare informazioni ed esperienze tratecnici e permettere ai responsabili dei progetti di trovare dei collaboratori.

Mediazione tra tecnico e committenti

Durante le riunione del 30 gennaio mi sono permesso, nonostante la mia posizioneancora marginale, di chiedere ai responsabili del progetto perché avessero scelto di nonutilizzare uno degli strumenti esistenti come ad esempio Zoes.it o Wiser.org. Ladomanda ha creato un po' di tensione, tuttavia ho ottenuto delle risposte, principalmenteda parte di Loredana e Paolo di Mag, che evidenziavano tre motivi: 1) «avere uncontenitore condiviso» e «uno strumento che fortifichi le relazioni», uno strumento chepossa «fare una foto grande della nostra realtà», «che qualifichi le nostre relazioni»; 2)avere uno strumento che «ci renda più efficaci nel consenso pubblico»; 3) avere «unprofessionista che fa un lavoro e che ci segue».

Il primo motivo fa riferimento alla necessità di rendere visibile e fortificare la retelocale. Riconosco che gli strumenti alternativi (e gratuiti) che avevo proposto non eranocosì efficaci nei confronti di questo obiettivo, perché, l'uno nazionale e l'altrointernazionale ed entrambi centrati sul concetto di ego-network di ogni singola

2 La cooperativa è conosciuta nel territorio locale soprattutto per lo sviluppo di “Lessinianet”, un progetto di connessione internet del territorio montano della provincia maggiormente escluso dalle reti commerciali.

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Capitolo 5

organizzazione, non erano specificamente orientati a mettere in rilievo le reti locali3. Ilsecondo motivo si riferisce alla necessità di aumentare l'efficacia della comunicazioneverso l'esterno della rete; aumentare il «consenso pubblico», e quindi il riconoscimentoda parte degli esterni. Anche in questo caso è chiaro che lo strumento deve mettere inparticolare rilievo la rete locale. Il terzo motivo indica un particolare approccio al lavoroe al compenso, tipico dell'economia sociale messa in pratica da Mag. Nell'affermazionecitata si può individuare il valore posto nel dare lavoro ad una giovane aziendaemergente (i due tecnici sono intenzionati a creare una nuova azienda), nel favorirne laprofessionalizzazione, e nel creare una relazione all'interno di una rete di economiasociale («che ci segue»). Come mostrato nel capitolo precedente, questi elementi sonoalla base della strategia relazionale di Mag, e sono particolarmente visibili nelle tanteattività di affiancamento alle imprese sociali nascenti (servizi al lavoro, incontri per«startupperiste/i», incubatore solidale, e così via).

Lo sviluppo tecnico vero e proprio rimaneva quindi a carico di Marco A., il tecnicooriginario del progetto, il quale non era per il momento intenzionato a scegliere unamodalità open source. Anche se non avevo le competenze necessarie per collaboraredirettamente con Marco allo sviluppo tecnico del software, si è creata per me lapossibilità di contribuire come mediatore tra le richieste dei committenti (irappresentanti delle reti di Mag e Naturalmente Verona) e le esigenze del tecnico.Durante gli incontri emergeva infatti una grande distanza tra i linguaggi utilizzatidall'uno e dagli altri. Grazie alle mie basilari conoscenze pregresse nel campodell'informatica e soprattutto allo studio che ho condotto in quel periodo, mi sonoavvicinato al linguaggio tecnico-informatico dello sviluppo web,4 linguaggio da cui irappresentanti delle organizzazioni erano decisamente lontani. D'altro canto stavosviluppando una crescente familiarità con le pratiche di questi ultimi, che mi dava lapossibilità di interpretare le loro esigenze e il loro linguaggio.

In particolare era evidente la presenza di un blocco nel progresso del progetto incorrispondenza della “questione grafica”. I tecnici sostenevano di non poter proseguire edi non poter mostrare il «motore» fintantoché qualcuno non avesse fornito una«maschera grafica». D'altra parte, i collaboratori coinvolti con le giuste competenze nontrovavano il tempo di realizzare questa maschera e non si riusciva a trovare un altrografico disponibile. Ero però colpito dal fatto che in molti trovassero il tempo difrequentare le riunioni, che a rigor di logica erano una perdita di tempo dato che non siriusciva a procedere e ogni volta ci si ritrovava di fronte allo stesso blocco. Cosìpensavo che la discussione degli aspetti grafici durante le riunioni potesse sopperire allamancanza di realizzazione di elaborati specifici (documenti e files).

Alle successive riunioni ho insistito affinché venissero affrontate specifiche questioni

3 Anche se Wiser.org (allora ancora attivo) offriva la possibilità di creare gruppi locali, e Zoes.it offre la possibilità di visualizzare le realtà presenti su una particolare zona geografica.

4 La necessità di avere dimestichezza con specifici linguaggi tecnici per permettere la collaborazione sul campo con altri esperti è un tratto caratteristico delle ricerche di antropologia applicata (Kedia e Van Willigen, 2005, p. 1, 2) .

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Restituzione: costruzione dello strumento

relative alla disposizione grafica e alla strutturazione dei contenuti sul portale. In questomodo è stato possibile definire il «menù» di navigazione del sito, con le specifiche voci:«vivere la rete; economia; il territorio; il calendario delle attività; i servizi; chi siamo;login». Per ogni voce di menù è stata definita una diversa «sezione» del sito. Adesempio in “vivere la rete” si dovevano trovare tutti gli «aggiornamenti delle realtà»,che vengono pubblicati attraverso le «pagine personali» di ogni singola organizzazione.Oppure nella sezione “il territorio” si è deciso di visualizzare una mappa geografica contutte le realtà posizionate (possibilmente integrando i dati anche dei punti Biosol,Fattoria Diffusa e degli orti collettivi). Oltre a voci di menù e sezioni, durante leriunioni abbiamo ragionato collettivamente su altri elementi del sito, come la«homepage» (per cui si prevedeva uno «slideshow» di immagini), l'header di pagina(cioè l'intestazione delle singole pagine) che desideravamo contenesse la search box(cioè la casella di testo utilizzabile per cercare le pagine all'interno del sito), e così via.Durante gli incontri ho iniziato a disegnare delle bozze a matita, in modo da renderevisibili gli elementi che discutevamo. Il mio intervento non è stato visto comeun'intromissione, ma come una facilitazione della discussione e alla progettualità.

Sulla base del lavoro svolto Marco, il tecnico, ha realizzato un documentoriassuntivo dove indicava lo stato di avanzamento e soprattutto che «cosa manca[va]alla parte tecnica […] per poter proseguire». Il documento rendeva chiaro che,nonostante gli evidenti progressi, la discussione condivisa sugli aspetti grafici non erasufficiente a sbloccare la situazione. Tuttavia, finalmente venivano chiarite le esigenzespecifiche del programmatore.

Per avere una prima versione del portale devono ancora essere chiariti i seguentiargomenti:- definizione dei profili delle entità e relativa visualizzazione:

- i campi necessari (nome, contatti, foto, …);- visualizzazione dei campi nella pagina (pagina unica, più pagine per ogni iscritto, una sorta di un mini sito interno, ecc);

- realizzazione di una prima impaginazione grafica per dare modo aiprogrammatori di elaborarla correttamente ed implementarla nel portale:

- grafica generale;- grafica del forum (colori e logo per il forum);- grafica pagine utenti iscritti;- grafica amministrazione (va bene una grafica stile applicazione vera e propria

o serve una grafica personalizzata?);- permessi e limiti di fruizione del portale a seconda della categoria di ogni iscritto(amministratore, utente, ecc);- definizione di vincoli per l'inserimento di immagini e video.

Dei quattro punti evidenziati nell'elenco stilato, soltanto uno si riferiva alla grafica nelsenso indicato dai programmatori. Il documento rappresentava quindi un'ammissioneimplicita del fatto che lo stato di avanzamento dello sviluppo tecnico non fosse affattoin fase avanzata, come invece era stato sostenuto negli incontri precedenti. Infatti nonerano ancora definiti molti elementi indispensabili alla realizzazione del «motore». In

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Capitolo 5

particolare si osserva l'esigenza di definizione dei “permessi”, dei “ruoli”, della gestionedei files multimediali, e persino delle “entità”.

Spiego con maggiore dettaglio l'esempio di quest'ultimo elemento, poiché è diinteresse centrale per la presente ricerca. Le entità vengono definite nel processo dimodellazione dei dati (data modeling) che solitamente precede la costruzione dellastruttura del database che conterrà i dati di un'applicazione. In informatica spesso vieneusato il modello di dati entità-relazione (E-R) per mappare gli “oggetti” del dominioreale di riferimento in concetti attraverso cui costruire poi la struttura virtuale neldatabase. Le “entità” rappresentano tipi di oggetti con caratteristiche comuni, chevengono ritenute avere un'esistenza autonoma in riferimento al software che si desiderasviluppare. Si tratta quindi di scelte arbitrarie sullo schema di organizzazione dellaconoscenza che hanno una ripercussione su tutto lo sviluppo successivo5. È Marco adillustrarmi il funzionamento del modello E-R. Nel caso del portale, le entità possonoessere ad esempio “persone”, “organizzazioni”, “eventi” del calendario, e così via. Ilmodello prevede poi la definizione di “relazioni”, che possono essere ad esempio “unapersona può far parte di un'organizzazione”, “un'organizzazione può creare un eventosul calendario condiviso”, e così via; e infine degli “attributi”, i quali sono «i campinecessari (nome, contatti, foto, …)6» citati da Marco nel documento, che solitamentesono uguali per ogni tipo di entità definito.

Si può quindi concludere che, poiché le entità e gli attributi non erano ancora statidefiniti, era necessaria una grossa mole di lavoro oltre alla realizzazione grafica eindipendentemente da essa. Inoltre questo lavoro non era di competenza interamente delprogrammatore (certamente non del grafico). La definizione delle entità e degli attributidovrebbe essere il risultato dell'analisi del dominio che i committenti vorrebberorappresentare attraverso il sito. È proprio nel processo di relazione tra i soggetti dellacomunità di pratiche che desiderano rappresentare la propria comunità e il tecnicoinformatico incaricato di costruirne lo schema di rappresentazione, che si inserisce ilruolo di mediazione che ho ricoperto in quanto antropologo. Dalle riunioni risultava unvuoto in questa posizione, vuoto che ho potuto quindi occupare con facilità, un poco allavolta, semplicemente “traducendo” le esigenze degli uni in quelle dell'altra, e viceversa.

Si noti per inciso che il riferimento linguistico all'azione del tradurre non è casuale.Peter Chen, cui viene generalmente attribuito lo sviluppo del modello entità-relazione(Chen 1976), ha osservato una «corrispondenza diretta» tra i costrutti del modello E-R ela struttura della frase nella lingua inglese, e ha osservato che gli stessi principicorrispondono alla costruzione degli ideogrammi nella lingua cinese (Chen 1997).

5 Ciò è vero in particolare per l'utilizzo di database relazionali, nei quali l'estensione o la modificazione dello schema dopo l'implementazione sono operazioni molto complesse. I database a grafo e altri tipi di database sono definiti schema-free proprio perché meno vincolanti nel momento della modellazione iniziale (Robinson, Webber, e Eifrem 2015).

6 Il termine “campo” in questo contesto si riferisce alla struttura del database a tabelle, nel quale – semplificando – ogni tabella corrisponde ad una classe di entità, ogni riga è chiamata record e rappresenta una specifica entità nella classe, e ogni colonna è chiamata “campo” e rappresenta un attributo di quella classe di entità. All'interno di ogni cella si trovano i valori degli attributi.

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Restituzione: costruzione dello strumento

Come ho messo in evidenza per quanto riguarda la struttura dei dati in un grafo generico(p. 68), c'è una relazione sintattica tra i vari elementi di un modello entità-relazione (ilmodello E-R è in effetti un particolare tipo di grafo). Un tipo di entità (entity type)corrisponde ad un nome comune (ad esempio “associazione”, o “evento”), una specificaentità ad un nome specifico (ad esempio “Naturalmente Verona” o “Festivaldell'economia eco-equo solidale”), una relazione ad un verbo transitivo (ad esempio“organizza”), e così via7.

Data la natura linguistica della rappresentazione nel modello da cui in un secondomomento il programmatore elabora il database, risulta cruciale l'importanza perquest'ultimo di comprendere il linguaggio e la realtà descritta dai committenti e,viceversa, per loro di comprendere le richieste da parte del tecnico. La risposta di Paoloal documento di Marco illustra perfettamente la difficoltà di inter-comprensioneesistente tra le due parti. Paolo infatti ha frainteso la definizione delle entità con ladefinizione delle “sezioni” del sito e ha cercato di contribuire chiarendo come devonoessere organizzate le sezioni “Vivi la rete”, “Esplora la rete”, e così via. Il suocontributo non è affatto inutile, tuttavia non permetteva al programmatore di proseguirenel lavoro, dal momento che la modellazione dei dati era prioritaria.

Dopo un ulteriore riunione (11 maggio) ampiamente partecipata, nella quale siamoriusciti a mettere un po' più a fuoco i vari elementi, mi sono assunto l'incarico discrivere un documento dettagliato con le specifiche per la costruzione delle entità. Leentità inizialmente proposte, in base alle discussioni del gruppo, eranoGruppo/organizzazione, Progetto/attività/evento, News/articolo, Comunicazione(articoli per la rassegna stampa) e Strumento (dell'economia sociale). Per ognuna di esseho descritto gli attributi, le relazioni con le altre entità, e abbozzato una primadefinizione dei ruoli di accesso degli utenti. Ad esempio, sempre in base alle discussionicollettive, si è ipotizzato che soltanto gli amministratori del sito potessero inserire nuovi“strumenti dell'economia sociale” (gli esempi fatti sono “microcredito”, “Scec”,“consumo critico”), mentre i membri delle organizzazioni partecipanti potevanoproporre nuovi strumenti nel “forum di discussione”. Creando due ruoli diversi erapossibile favorire una gestione più funzionale del sito.

Per mancanza di tempo durante la riunione non siamo riusciti a definire anche gliattributi. Poiché erano ormai trascorsi 6 mesi dalla prima riunione del gruppo del portalecui ho partecipato e i tempi si stavano allungando vertiginosamente, d'accordo con icollaboratori ho elaborato personalmente gli attributi in base alla conoscenza maturatadurante il lavoro di campo. Oltre agli attributi più ovvi come nome, logo, slogan,tipologia (associazione, cooperativa sociale, e così via), descrizione, indirizzo e contatti,media (immagini, video, documenti), ho aggiunto degli elementi chiaramenteinfluenzati dalla ricerca di campo. Ad esempio, in base all'esperienza maturataprincipalmente con la Commissione Progetti di Villa Buri ma anche con altre

7 Chen identifica corrispondenze anche per gli attributi delle entità (aggettivi), attributi delle relazioni (avverbi), ed altri elementi (Chen 1997: 6).

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Capitolo 5

organizzazioni, ho deciso di inserire due “campi di testo” per la “storia” e per la“mission” di ogni organizzazione. Il racconto e la condivisione della storia di ogniorganizzazione era servito a creare una memoria comune, estremamente importante percoltivare la collaborazione. Inoltre Villa Buri, come molte delle sue organizzazionisocie, faceva continuo riferimento alla propria mission associativa per orientare ilproprio agire e le proprie scelte. Speravo che l'inserimento di questi attributi nel portalepotesse favorire lo stesso tipo di comportamenti.

Dopo aver condiviso all'interno del gruppo di lavoro il documento con l'analisi delleentità, ho chiesto a Marco se fosse disponibile a farmi lavorare insieme a luiall'implementazione delle proposte raccolte nel documento. Dopo il primo incontro, incui siamo riusciti ad elaborare una prima versione semplificata del modello entità-relazione, è stato lui stesso a proporre un incontro a cadenza settimanale, che chiamavacon il termine tecnico SAL (Stato di avanzamento dei lavori).

Che ne dici, facciamo che almeno un giorno la settimana ci vediamo per un SAL(Stato Avanzamento Lavori) e programmazione delle giornate di lavoro successive?Visto che bene o male stiamo lavorando in team, anche se su livelli diversi, mi parecosa buona e giusta vederci, appunto, almeno una volta la settimana per allinearci,vedere i progressi e programmarci per i giorni successivi8.

Nella gestione dei progetti solitamente il SAL viene condotto tra il project manager (inquesto caso Marco) e il committente o un suo delegato, per valutare l'avanzamento delprogetto, analizzare eventuali problematiche e criticità, prendere nuove decisioni, eprogrammare nuove azioni. Approvando la mia partecipazione, le mie interlocutrici e imiei interlocutori riconfermavano il mio ruolo di mediatore come loro delegato,autorizzato a collaborare a stretto contatto con il programmatore. Marco ed io ci siamovisti una quindicina di volte fino a novembre 2013, la maggior parte delle quali nel suoappartamento, la sera, dopo che lui rientrava dal lavoro. Marco infatti lavora a tempopieno in un'azienda informatica e sviluppava il progetto della Rete del Buon Vivere nelsuo tempo libero.

Nel primo periodo abbiamo perfezionato il modello E-R e iniziato lo sviluppodell'applicazione. Mentre Marco lavorava io osservavo sullo schermo del suo terminaleil codice da lui generato e piano piano mi avvicinavo al suo metodo di lavoro. Erocolpito dalla sua abilità nella scrittura del codice almeno quanto dalla sua ostinatariluttanza nei confronti della pratica della documentazione e della verifica del codicescritto. In breve, era molto veloce, molto competente, ed estremamente poco paziente.Quando non conosceva una funzione, come spesso avviene nel campo dello svilupposoftware Marco ricorreva ad una ricerca via internet per scoprire se qualcun altro avessegià risolto il problema e condiviso la soluzione. Le comunità online di sviluppatori websono infatti molto attive a questo riguardo. Marco era affrettato nel leggere le soluzionie spesso saltava a piè pari la definizione della questione, basandosi soltanto sulla stringadi ricerca e adottando le soluzioni per tentativi ed errori. Sicuramente in questo suo

8 Email di Marco del 5 giugno 2013.

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Restituzione: costruzione dello strumento

comportamento influivano la sua esperienza e la sua competenza, tuttavia era evidenteche fosse impaziente di fronte alla necessità di ulteriore approfondimento. Allo stessomodo non praticava la documentazione del codice, utilizzando commenti esplicativi. Inquesto modo tutta la sua conoscenza del codice scritto si basava sulla sua capacità dimemorizzare la struttura, che tuttavia in alcuni momenti non era sufficiente.

Inoltre, osservandolo lavorare sul campo, mi rendevo conto che la sua scelta discrivere personalmente il codice e di non utilizzare software scritti da altri sviluppatorinon era affatto rigorosa. È vero che preferiva scrivere il codice anziché configurare unsoftware di gestione dei contenuti standard, tuttavia, per scrivere il codice utilizzavadiversi strumenti di supporto chiamati web frameworks. Questi offrono una serie diblocchi di codice predefiniti e funzioni comunemente utilizzate per costruireapplicazioni web in modo che ogni sviluppatore non debba sempre “reinventare laruota”. In particolare Marco utilizzava ASP.net, Angular.js e Bootstrap, tre frameworkopen source distribuiti con diverse licenze di software libero «permissive» (inparticolare la MIT License e la Apache License), che permettono il riutilizzo delsoftware in progetti anche non open source (come nel caso dell'applicazione scritta daMarco, le cui pagine infatti riportavano la notifica del copyright della sua azienda).

All'inizio di luglio molti dei blocchi che impedivano il progresso dello sviluppoerano stati risolti e Marco era riuscito finalmente a mostrare qualche rudimentale paginaal gruppo di lavoro. A questo punto era necessario lavorare sulla impaginazione graficadel sito. In mancanza di un grafico, Felicita era riuscita a trovare il tempo di creare undisegno facsimile della homepage del sito, un disegno realistico che in gergo si chiamamock-up. Il suo elaborato univa abilmente immagini delle persone della rete conimmagini dei «pallini» del grafo della rete. Una scelta a mio parere simbolicamentemolto efficace.

Nonostante la realizzazione di questo disegno, si ripresentava un'incomprensione neiconfronti dei requisiti del programmatore. Marco infatti aveva bisogno di indicazionisull'impaginazione, cioè sostanzialmente su dove posizionare i vari elementi del sitonelle varie pagine di cui il sito era composto, e persino di scegliere quali elementimostrare. Nel disegno di Felicita si vedeva soltanto l'impaginazione della homepage,dove si possono notare l'header contenente la casella di ricerca e il menu diviso in duecategorie, seguito da titolo e slogan del sito, e successivamente da uno slide diimmagini. Ciò corrispondeva esattamente a quanto emerso durante gli incontri. Oltre aqueste informazioni, nel documento che avevo consegnato erano contenute altreindicazioni sull'impaginazione delle schede delle organizzazioni e dei progetti. Marcoperò aveva bisogno di disegni che specificassero il layout di ogni tipo di pagina. Dopoaver compreso queste esigenze ho elaborato io stesso dei disegni, meno realistici (ingergo chiamati wireframes, indicanti i blocchi di contenuto nelle loro posizioni.Attraverso questi modelli è stato possibile mostrare esattamente quali elementidesideravamo posizionare in quali pagine e finalmente la “questione della grafica” si è

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Capitolo 5

sbloccata in modo definitivo.A fine luglio è iniziata la fase di test del progetto. Marco ha messo a punto un nuovo

strumento di gestione dei compiti (task management) per rendere la nostracollaborazione più efficace. Fino a quel momento le nostre comunicazioni online eranostate gestite tramite email. “Teambox”, il nuovo strumento inizializzato, ci aiutava agestire vari aspetti del lavoro, come la suddivisione in compiti specifici, conl'impostazione di priorità e scadenze. In questo periodo la suddivisione dei ruoli tra noiera ben definita: Marco creava nuovi compiti per entrambi, realizzava la parte tecnica disua competenza e assegnava a me il test della nuova funzione realizzata. Io completavoi test e riportavo i risultati, inizialmente da solo, e successivamente coinvolgendo anchei primi utenti dell'applicazione.

L'8 agosto 2013 ho eseguito il primo test “sul campo” insieme a Daniela, referenteper l'azienda agricola Ca' Magre. Ca' Magre aveva già accordato la sua partecipazione alportale e aveva già versato in anticipo la quota di adesione. Con Daniela ci siamo trovatinella sala dell'incubatore sociale di Mag. Il test era di tipo pratico: ho chiesto a Danieladi provare ad iscriversi al portale come se non fossi stato presente. Il momento dellaregistrazione ha presentato immediati problemi. Abbiamo scoperto che non funzionavacon tutti i browser. Dopo essere riuscita ad accedere al sito, sono iniziati i feedback piùstrettamente relativi all'utilizzo dell'applicazione. Daniela inseriva i dati relativi allapropria organizzazione condividendo le sue impressioni. Per fare un esempio, mentrestava inserendo il testo della storia dell'azienda agricola, si è trovata in difficoltà perchéil testo era molto lungo e la pagina del sito risultante diveniva quindi troppo lunga,spostando gli altri elementi verso il basso. Il test si è concluso dopo pochi minuti acausa di un difetto nel salvataggio delle informazioni.

Svolta open source

Nonostante i grossi problemi emersi durante la fase di test (dopotutto i test servonoproprio per risolvere i problemi), lo sviluppo continuava con l'obiettivo di poterpresentare l'applicazione funzionante (almeno con le funzioni di base) all'VrbanEcofestival dei primi giorni di settembre. Marco riteneva possibile terminare il lavoro intempo, ma così non è stato. Il sito non era pronto e al festival non mi è restato cheorganizzare una presentazione senza anteprima. Non era la prima volta che fissavamo oaccettavamo una scadenza che poi non riuscivamo a rispettare. Alla prima riunione cuiho partecipato, il 26 novembre 2012, il sito era stato dichiarato quasi finito. Ad aprile2013 Paolo aveva iniziato a chiedere aggiornamenti ed era stata fissata una scadenza perfine giugno. Successivamente era stata ri-spostata per il festival di settembre, e ancorauna volta l'applicazione non era pronta. Il problema non era soltanto che i tempicontinuavano a dilatarsi, era soprattutto la mancanza di consapevolezza da parte diMarco sui tempi necessari allo sviluppo. Stando alle sue dichiarazioni, lo sviluppo erasempre quasi concluso.

A Marco, come ho detto, non mancava l'abilità, ma il tempo. Lavorava al progetto

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Restituzione: costruzione dello strumento

solo nei ritagli di tempo, dopo il suo orario di lavoro full time (in più stava pianificandoil trasloco in una nuova casa). Avrei voluto imparare il lavoro tecnico e contribuirerisolvendo dei bug (problemi tecnici) e non soltanto svolgendo i test, ma non potevoperché Marco non condivideva il codice dell'applicazione per una precisa sceltaaziendale.

Inoltre durante i SAL di fronte alla sua postazione di lavoro sviluppavo un elevatolivello di frustrazione perché la maggior parte del tempo veniva impiegato per risolvereproblemi che, se avessimo adottato un software di gestione dei contenuti (CMS)standard, sarebbero stati triviali (per la gran parte dei casi l'implementazione di unanuova funzione avrebbe comportato la semplice spunta di una opzione predefinita,quindi la difficoltà stava soltanto nella curva di apprendimento del software). Come giàaccennato, stavo sperimentando uno di questi software dall'inizio del fieldwork,mettendo a punto un'applicazione per gestire al meglio il mio diario di campo, una sortadi blog privato e offline, dove potevo utilizzare molte più funzioni che in un normaleeditor di testo9. Ero quindi consapevole che il tempo impiegato da Marco non eranecessario per l'applicazione in sé. Piuttosto mi sembrava che lui stesse elaborando unCMS ex novo per poterlo poi riutilizzare in altri progetti. Marco stesso ha poiconfermato questa intenzione. Queste strategie erano state in qualche modo approvateda Mag in quanto si trattava di dare supporto ad una nuova azienda della propria rete.Ciononostante anche i responsabili di Mag e Naturalmente Verona, i committenti, nonerano soddisfatti poiché i tempi si allungavano sensibilmente e non c'era la capacità distimare il tempo rimanente per il completamento dell'applicazione.

Per questi motivi, dopo la chiusura delle attività per il Festival (per cui ho collaboratocome membro di Naturalmente Verona), e d'accordo con Andrea, ho chiesto uncolloquio con Mag, cui hanno partecipato Loredana e Paolo. Abbiamo discusso sullasituazione: a quasi due anni dall'inizio del progetto non erano ancora operativenemmeno le funzioni di base del sito. Ho chiesto esplicitamente perché avessero decisodi adottare una strategia di sviluppo così difficoltosa come quella di affidarsi ad ununico sviluppatore, con codice proprietario (che quindi rendeva quasi impossibiletrovare dei collaboratori), e facendogli costruire un intero CMS anziché scegliendo diutilizzare un CMS standard. Ho cercato di spiegare la situazione paragonando lacostruzione dell'applicazione alla costruzione di una città di costruzioni Lego. Losviluppo stava procedendo con un unico “urbanista”, che non condivideva i disegni diprogetto con i collaboratori, e che doveva utilizzare soltanto i mattoncini di base, conqualche pezzo complesso per facilitare la costruzione delle strade, delle case, e così via.L'alternativa era di utilizzare dei blocchi standard già montati, ad esempio una zonaresidenziale, una zona commerciale, e così via, avendo a disposizione i disegni e

9 La funzione più significativa è la possibilità di aggiungere dei “tag” alle note di campo con i concetti chiave, divisi in due “vocabolari” (uno per i concetti tematici relativi alla teoria antropologica e l'altroper i termini del fieldwork, come i nomi delle organizzazioni e i concetti emergenti dalle riunioni, e così via). Inoltre ho trovato di particolare interesse la possibilità di visualizzare le note di campo su un calendario per riuscire a cogliere la temporalità generale del fieldwork.

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Capitolo 5

potendo cercare ulteriori collaboratori.Paolo e Loredana mi hanno informato che la scelta di non utilizzare un CMS

standard era stata presa da loro, non dai tecnici, come invece pensavo. Ritenevano cheuno strumento standard non fosse sufficientemente adattabile alle particolari esigenzedell'applicazione che avevano in mente. Ho allora spiegato che Drupal, il CMS cheproponevo di utilizzare, è stato ritenuto sufficientemente flessibile per adattarsi alleesigenze della Casa Bianca, del Governo francese o della città di Londra, del giornaleThe Economist, della confederazione internazionale di ONG Oxfam International, edelle università Harvard, MIT e Oxford, solo per fare alcuni esempi famosi. Alcuni diquesti siti sono di gran lunga più complessi di quello di cui noi avevamo bisogno, quindila stessa tecnologia poteva certamente bastare anche per noi. Senza contare che,adottando Drupal: 1) avrei potuto affiancare Marco contribuendo direttamente allosviluppo e velocizzando i tempi di costruzione; 2) avremmo potuto trarre beneficio daglisviluppi apportati dalla comunità online di Drupal, che può contare centinaia di migliaiadi contributi da parte di altri sviluppatori che hanno a che fare con problemi simili; e 3)avremmo persino potuto cogliere l'opportunità fornitaci da Pierluigi di un hostingprivato gratuito, vincolata alla creazione di software open source10.

Certamente l'argomentazione a favore dell'utilizzo di un CMS open source per lacostruzione del portale aveva delle buone basi in sé, ma non è stato quello che haconvinto Loredana, Paolo ed Andrea ad autorizzarmi a procedere chiedendo a Marco dicambiare strategia di sviluppo. È evidente invece che la mia partecipazione alle attivitàdi formazione offerte da Mag, al gruppo di ricerca sui Beni Comuni, e alle attività diBioloc, mi hanno permesso progressivamente di avvicinarmi al centro di questa vastacomunità di pratiche. I membri della comunità hanno appreso il mio commitment versola comunità stessa, verso il suo miglioramento e in generale verso l'evoluzionesostenibile della società, cioè lo stesso obiettivo che motiva le pratiche della comunità.In questo modo era aumentata lentamente la mia legittimazione. Il tempo trascorsoinsieme, perseguendo obiettivi comuni, ha permesso la creazione di un sufficientelivello di fiducia reciproca per permettere alle mie proposte di essere accettate. Infatti lamia proposta è stata accettata “sulla fiducia” poiché né Paolo né Loredana avevano lecompetenze per giudicare se la mia strategia avesse più chances di riuscita rispetto aquella originale. Sono stati trasparenti in questo.

Marco, con il quale avevo discusso prima di questo colloquio, si era dichiaratodisponibile ad un eventuale cambio di strategia. Di certo non ne era entusiasta, ma si èdimostrato ragionevole riconoscendo il problema legato all'eccessivo protrarsi neltempo del progetto. Rimaneva da chiarire la questione economica, ma ho assicurato

10 Drupal è infatti pubblicato con una licenza di software libero “restrittiva”, la GPL (General Public Licecens), che oltre a garantire qualsiasi utilizzo del software, obbliga chi ne fa uso all'interno dei propri progetti a distribuire anche questi ultimi con la stessa licenza. Questo vincolo sulla distribuzione libera del lavoro è chiamato copyleft. Il copyleft utilizza il copyright tradizionale invertendone lo scopo. Anziché garantire i diritti d'autore, permette soltanto l'utilizzo libero. Il sito della Rete del Buon Vivere è quindi pubblicato con la stessa licenza GPL.

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Restituzione: costruzione dello strumento

Marco che non avrei interferito con il sistema precedentemente stabilito (una parte dellaquota di adesione sarebbe andata a pagare il lavoro dei tecnici). Date queste premesse èstato possibile realizzare una “svolta open source” del progetto.

In questo una figura chiave è stata quella di mio fratello (con il quale era iniziato ilprogetto originale del grafo (p. 71) che a titolo volontario ha accettato il ruolo disupervisore della configurazione di Drupal (ruolo per il quale possedeva competenzeprofessionali). Sirio ci ha insegnato ad impostare un ambiente di lavoro collaborativospecifico in relazione alle esigenze del nuovo software. Oltre alla gestione dei compiti,abbiamo adottato anche uno strumento di “controllo versione distribuito” (Git), pertenere traccia delle modifiche apportate da ognuno al codice. Questo strumento permettea più collaboratori di scrivere lo stesso codice in modo collettivo, mantenendocomunque raggiungibili i contributi di ognuno.

È possibile pensare alla scrittura del codice di un'applicazione come alla scrittura diun qualsiasi testo. Attraverso un sistema di “controllo versione distribuito” i diversiautori del testo possono liberamente modificare le parti esistenti o inserire nuove lineedi testo, perché il testo è accessibile da tutti (distribuito). Quando un autore ritiene divoler condividere con gli altri autori una serie di modifiche e contributi da lui apportati,invia una richiesta di inserimento nel testo collettivo. Se la richiesta viene approvata ilcontributo dell'autore viene unito al testo collettivo. Ciò apre alla possibilità di crearedei ruoli nella collaborazione (ad esempio nel nostro caso era inizialmente Marco adavere il controllo del codice). Dopo l'unione (chiamata merging) ogni porzione di testomantiene le informazioni relative al suo autore, al momento in cui è stata aggregata ealle modifiche che ha apportato. Quindi in un testo/codice scritto collettivamenteattraverso questo processo è sempre possibile risalire a “chi ha scritto cosa” ed è semprepossibile accedere a tutta la cronologia dei cambiamenti avvenuti, ad esempiopermettendo di annullare un contributo che si scopre essere responsabile di unproblema, o ripartire da un contributo precedente, e così via.

L'analogia tra la scrittura collaborativa del codice sorgente del software e degliarticoli accademici è tale per cui Git, pur essendo nato esplicitamente per agevolare lacollaborazione nel primo dominio, viene ormai utilizzato anche nel secondo11. Questaanalogia è stata di grande aiuto per favorire la mia comprensione del sistema utilizzato,che al primo impatto risulta piuttosto complesso. Inoltre ho trovato una risonanza conun'importante questione emersa durante il campo, cioè il delicato equilibrio tra ilbisogno di riconoscimento del contributo personale e la capacità di fondere i contributiindividuali in un movimento più ampio (un'“onda oceanica”). Il lavoro di campo haevidenziato che per favorire la collaborazione e il “fare rete” gli interlocutori ritengonoimportanti entrambe le posture. Riconoscere il contributo e l'individualità dei singoli èimportante per migliorare l'equità nella distribuzione dei compiti; per risolvere eventualiconflitti scaturiti dalla distribuzione dei compiti; per mostrare riconoscenza nei

11 Si vedano strumenti come “Authorea” (Perkel 2014), che rendono più efficiente la co-scrittura di papers scientifici.

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Capitolo 5

confronti dei contributi di altri; per “valorizzare le differenze all'interno del gruppo; oanche semplicemente per contattare il responsabile di una determinata azione ocollaborazione all'interno di un progetto collettivo. Saper mettere da parte la propriaindividualità per lasciar emergere una soggettività più ampia è importante per “usciredal proprio orto” e favorire le sinergie potenziali insite nella collaborazione, per favorirela creazione di una “forza politica” e per indirizzare collettivamente il cambiamentoverso un sistema più sostenibile a livello ambientale, economico e sociale.

Il codice o il testo scritto attraverso Git si presenta come un oggetto unitario, tuttaviadei semplici grafici permettono di valutare a colpo d'occhio la distribuzione deicontributi e, se necessario, di risalire al responsabile di ogni passaggio scritto. I dueapprocci ricordati sono quindi integrati in un sistema funzionale. Ovviamente questo èpossibile perché i progetti di scrittura collaborativa del software o di articoli accademicisono incentrati sul testo scritto. I progetti collaborativi, o le specifiche attività all'internodei progetti, che esulano dalla pratica della scrittura non possono essere facilmentetracciati in un sistema di “controllo versione”, a meno di non venire in qualche modotrascritti. Cionondimeno è possibile riscontrare una rilevante analogia nelle pratichecollaborative favorite da questi strumenti e nelle pratiche che ho osservato durante ilfieldwork.

Nel periodo di studio della tecnologia offerta da Git (e dalla piattaforma GitHub) peradattarla al progetto del portale della rete, sono emersi due ulteriori elementi diinteresse: la possibilità di creare progetti pubblici e la possibilità di copiare liberamenteun progetto pubblico. La comunità del software libero e open source trae notevolevantaggio dalla possibilità di rendere pubblico il codice sorgente dei programmi findall'inizio della fase di sviluppo e non soltanto quando lo sviluppo è terminato.Chiunque può accedere al codice e a tutti gli elementi di un progetto, ad esempio allacronologia, all'elenco degli sviluppatori e così via. In questo modo si favorisce lacollaborazione di nuovi sviluppatori. Un programmatore potrebbe utilizzare un softwarepubblico in un suo progetto e migliorarlo, o risolvere un problema esistente. A quelpunto può proporre le sue modifiche e i gestori del progetto originale possono inserirlenel codice, accettando il contributo da parte del nuovo autore. Se però il contributo delnuovo autore non viene accettato, o se un collaboratore all'interno di un progetto non èpiù in sintonia con il resto del gruppo, è sempre possibile creare una nuova copia delprogetto originale e continuarne lo sviluppo in modo indipendente, creando per così direun percorso parallelo. Questa pratica si chiama tecnicamente forking perché corrispondealla biforcazione del percorso evolutivo di uno specifico progetto. I nuovi progetti creaticome ramificazione mantengono un collegamento con il progetto originale, ma sonoindipendenti. Resta poi la possibilità per gli sviluppatori dell'uno e dell'altro di re-integrare i contributi degli altri nel proprio progetto.

Pensavo di rendere lo sviluppo della “Rete del Buon Vivere” pubblico per aumentarele chances di trovare nuovi sviluppatori; per mettere la comunità della società civile di

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Restituzione: costruzione dello strumento

Verona, e in particolare Mag e Naturalmente Verona, nella condizione di essere liberi ditrovare nuovi sviluppatori in futuro; e per permettere ad altre comunità di utilizzareliberamente il software che stavamo scrivendo, adattarlo alle proprie esigenze, e magaridi contribuire allo sviluppo. Inizialmente Marco non condivideva questa strategia, e haaccettato solo in un secondo momento. Dopo la pubblicazione del progetto12 sono statidiversi i tentativi di ricerca di nuovi collaboratori, ma la maggior parte non sono andatia buon fine. Il primo tentativo (come anticipato a p. 92) è stato fatto creando lapossibilità per studenti del corso di laurea in Informatica dell'Università di Verona disvolgere il tirocinio per la propria tesi collaborando al progetto del portale. Il secondotentativo è stato fatto contattando direttamente alcuni sviluppatori indicati dai varimembri del gruppo di lavoro del portale, in particolare da Mag. Il terzo è consistito nelcercare di istituire un percorso didattico in collaborazione con un Istituto Tecnico inmodo che gli studenti, collaborando al progetto, potessero apprendere la tecnologiautilizzata learning by doing. Nessuno dei due progetti che vedevano il coinvolgimentodi studenti è andato a buon fine. Nel primo caso, nonostante gli accordi con un docenteuniversitario che si è dimostrato interessato e disponibile, nessuno studente si è propostoper la collaborazione. Nel secondo caso la tecnologia utilizzata era troppo avanzata peril livello di competenza degli studenti dell'istituto. Anche molti degli sviluppatoricontattati non avevano tempo oppure non possedevano le competenze necessarie.L'unica collaborazione attivata ha coinvolto Roberto P., un programmatoreprofessionista e amico, che ha contribuito specificamente alla creazione dellavisualizzazione diacronica del grafo meshwork, che descriverò in seguito (p. 302).

La “svolta open source” del progetto ha comportato la necessità di unadocumentazione per l'apprendimento iniziale, non soltanto da parte mia, ma anche diMarco, che pur essendo un programmatore esperto, non aveva dimestichezza con alcuneparti della tecnologia utilizzata. Come in precedenza, Marco non si è dimostrato bendisposto nei confronti della necessità di documentarsi. In questo modo non riusciva peròa contribuire al codice. Ha mantenuto il suo ruolo di “project manager” assegnando icompiti ad entrambi. Purtroppo non riusciva a portare a termine i propri. Io nelfrattempo ho trovato una grande risorsa nella comunità online di Drupal, iniziando daitesti collettivi delle guide all'apprendimento del software, per giungere ai forum didomande e risposte, ai bug reports di alcune componenti del software, e al contattodiretto con alcuni sviluppatori i quali si sono dimostrati disponibili a fornireinformazioni e suggerimenti.

La strategia di Sirio è stata di introdurci al funzionamento base di Drupal e Git e diinsegnarci a documentarci autonomamente. La comunità di Drupal è composta damigliaia di sviluppatori che, sulla base di un'utilizzazione pratica del software,condividono tutorials per la realizzazione di funzioni avanzate, soluzioni a problemi,strategie di sviluppo e così via, attraverso testi scritti, video registrati, lezioni,

12 Il codice del progetto è attualmente ospitato sulla piattaforma GitHub all'indirizzo: https://github.com/retebuonvivere/retebuonvivere

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Capitolo 5

commenti, discussioni. La maggior parte di questi contenuti informativi è ad accessolibero, e ci sono anche corsi completi a pagamento forniti da aziende professionali.

Grazie all'apprendimento learning by doing e al supporto della comunità online, sonoriuscito a realizzare la prima versione del sito con le funzioni di base. Lo sviluppo èdurato dal 29 settembre 2013 al 1 febbraio 2014 (data della pubblicazione onlineall'indirizzo www.retebuonvivere.org). Per riuscire a completare il sito è statonecessario anche configurare il server che nel frattempo Pierluigi aveva messo adisposizione. A tutti gli effetti sono rimasto l'unico sviluppatore e responsabile tecnicodel progetto, segnando un ulteriore “passaggio di ruolo” in relazione alla mia presenzasul campo.

Le funzioni dell'applicazione web

Le entità del sito

Al momento della svolta open source le entità fondamentali identificate nello schema E-R del sito erano persona/utente, organizzazione/gruppo, progetto/attività,evento/calendario e discussione/forum. La realizzazione concreta di questo schema nonha creato particolari problemi poiché si tratta di entità relativamente tipiche per unsoftware di gestione dei contenuti.

Le persone che interagiscono con il sito vengono identificate attraverso degli“account utente”, cioè un particolare tipo di entità in grado di eseguire operazioni sulsito (come creare altre entità). Gli account utente si accompagnano a dei “profilipersonali”, i quali costituiscono le schede con i dati degli utenti, inseribili dagli utentistessi. Un'installazione standard di Drupal permette anche di configurare diversi “ruoliutente”. Ogni ruolo può essere impostato in modo da avere diversi “permessi”, checonsentano di utilizzare il sito in modi diversi. I ruoli configurati per il sito sono cinque,con livelli di permessi progressivamente più ampi: visitatori anonimi, utenti registrati,membri di organizzazioni, amministratori di rete, amministratori tecnici. I visitatorianonimi, cioè chiunque visiti il sito internet al dominio www.retebuonvivere.org senzaregistrarsi, possono vedere tutti i contenuti pubblicati, ma non modificarli. Un utentepuò registrarsi al sito autonomamente e gratuitamente, accedendo al ruolo di utenteregistrato che permette di partecipare al forum di discussione. Tuttavia, per andare abuon fine la richiesta deve essere approvata da un amministratore di rete o tecnico.Questo passaggio è stato necessario più per generici motivi di sicurezza (protezionecontro lo spam) che per una esigenza emersa dal fieldwork.

Per registrare un'organizzazione invece è necessario compilare una scheda diadesione comprensiva di dati relativi alla fatturazione del costo di adesione. A quelpunto un amministratore di rete o tecnico può creare la scheda dell'organizzazione sulsito (figura 28) e assegnarla ad un “utente registrato”, il quale assume il ruolo di“membro dell'organizzazione”. Tecnicamente un'entità di tipo organizzazione èconcepita come un gruppo o comunità di utenti. Ogni organizzazione/gruppo può

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raggruppare quindi diversi utenti attraverso relazioni di membership. Inoltre ogni utentepuò far parte di diversi gruppi. Questo assetto è stato scelto per rappresentare lasituazione di multi-membership riscontrata nel fieldwork. Il dato è segnalato anche intermini quantitativi da Sandro Stanzani in relazione al contesto Veronese. Nell'indaginesul capitale sociale a Verona emerge che il 26,7% del campione di intervistati aderiscead associazioni di terzo settore. Di questi il 64,2% aderisce ad una sola organizzazione,il 18,3% a due, e il 13,4% a tre o più organizzazioni. Il 31,4% degli associati è dunquecoinvolto nel fenomeno della multi-membership (Di Nicola, Stanzani, e Tronca 2010:148–149).

La struttura per gruppi/comunità permette inoltre di aggiungere un livello dicomplessità alla gestione dei ruoli e dei permessi. Relativamente ad ogni organizzazionel'applicazione costruita distingue i ruoli di utente non appartenente al gruppo/comunità(“non membro”), “membro del gruppo”, “membro editor” e “amministratore delgruppo”. Questa struttura permette di rappresentare i diversi livelli di partecipazione edi centralità osservati per le comunità di pratiche sul campo. È possibile assegnare ilruolo di amministratori di gruppo ai membri più centrali di un'organizzazione, il ruolo dieditor ai membri più attivi tra quelli meno centrali, il ruolo di “membro semplice” aimembri più periferici dell'organizzazione che comunque desiderano essererappresentati. Infine il ruolo di “non membro” è assegnato virtualmente a tutti gli altriutenti del sito (in maniera relativa, cioè ogni utente è “non membro” di tutti i gruppi dicui non è membro). Come in precedenza, anche questi ruoli “interni” sono associati auna diversificata configurazione di “permessi”. Quindi soltanto i membri editor delgruppo possono modificare la scheda con i dati dell'organizzazione e creare ulterioricontenuti dell'organizzazione (progetti ed eventi); soltanto gli amministratori possonoaggregare nuovi utenti al proprio gruppo, e assegnare loro il livello di appartenenza, ecosì via.

Per quanto la messa a punto di questa struttura abbia costituito una sfida di una certacomplessità e abbia reso necessario uno studio approfondito del software, si tratta di unapossibilità parzialmente pre-configurata nel CMS Drupal13, e ciò non è affatto un caso.Infatti Drupal è un software sviluppato specificamente per la creazione di applicazionimulti-utente finalizzate a gestire e sostenere comunità di pratiche online, e proprio perquesto è utilizzato prevalentemente da aziende, enti pubblici, università, e organi diinformazione con grandi e complesse comunità di utenti, come dimostrano i casi citatiprecedentemente. In altre parole Drupal è un CMS generalista poiché può essereutilizzato per costruire qualsiasi tipologia di siti internet, tuttavia è specializzato per lacostruzione di online communities.

Le altre entità di cui è composto il sito sono divise in due categorie in riferimento aigruppi/organizzazioni: contenuti “del gruppo” e contenuti “dell'utente”. In Drupal, comegià detto, ogni contenuto deve essere creato da un utente. Tuttavia è possibile riferire i

13 Per ottenere la struttura dei gruppi è necessario installare e configurare un modulo aggiuntivo, chiamato «organic groups» (“Organic groups | Drupal.org” 2015).

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contenuti ad un gruppo, in modo da trarre vantaggio dei permessi e dei ruoli associati algruppo stesso. Nell'applicazione realizzata sia i progetti/attività che gli eventi delcalendario sono contenuti di gruppo. In questo modo quando un utente crea un nuovoevento, questo è associato ad una specifica organizzazione, è visibile quindi sulcalendario dell'organizzazione e anche sul calendario condiviso, e tutti i membri editordel gruppo/organizzazione possono modificare la scheda dell'evento.

Come gli eventi, anche i progetti/attività sono contenuti di gruppo. La differenza traqueste due entità risulta più semplice se spiegata attraverso un esempio. Si veda la“Festa di Primavera” organizzata da Villa Buri onlus, un'attività riproposta annualmentedall'associazione, cui prendono parte di volta in volta circa una trentina di altreorganizzazioni in qualità di espositori. L'organizzazione della festa inizia circa un meseprima della data dell'evento, per cui Villa Buri può creare un contenuto di tipoprogetto/attività (figura 29) per favorire lo scambio di informazioni relative allaprogettazione della festa (ad esempio per diffondere il modulo di adesione alla festa, lescadenze per la consegna dei documenti, la bozza della locandina, e così via). Sulcalendario tuttavia deve essere visualizzato soltanto l'evento della Festa, con leinformazioni utili al pubblico (dove, quando, chi, cosa) e le informazioni utili alle altreorganizzazioni affinché possano evitare di sovrapporre eventi simili. A questo scopo puòquindi essere creato un contenuto di tipo evento.

Il contenuto di tipo progetto è stato creato appositamente per dare maggiore spazioalla progettazione delle attività, nell'ottica di realizzare lo «spazio di co-progettazione»ipotizzato durante le riunioni del gruppo di lavoro del portale. La co-progettazione èfavorita da ulteriori funzioni di condivisione dei contenuti tra organizzazionicollaboratrici e dalla possibilità di specificare i collaboratori, illustrate in seguito, e dalforum delle discussioni.

Le “discussioni” costituiscono l'unico tipo di contenuto non strettamente associato adun'organizzazione e dove l'utente è libero di scrivere qualsiasi cosa. Mentre le altreschede sono pre-strutturate e guidano i membri delle organizzazioni a compilare i campicon informazioni specifiche (nome, logo, slogan, tipologia, settori, descrizione, mission,storia, contatti, e così via), una discussione può rappresentare una domanda diretta, unsuggerimento, un'idea, una riflessione, una richiesta di condivisione, e così via. L'unicovincolo è rappresentato dal fatto che tutti gli utenti registrati hanno la possibilità direplicare ad una qualsiasi discussione tramite l'uso dei “commenti”. Anche gli utentiregistrati, ma non appartenenti ad alcuna organizzazione possono aprire discussioni epartecipare alle discussioni degli altri. Proprio perché si tratta di contenuti strettamenteassociati alle persone, le discussioni riportano sempre la data di pubblicazione e l'autore.

Gli amministratori di rete possono organizzare le discussioni attraverso la creazionedi contenitori, chiamati “forum di discussione”. I forum costituiscono la realizzazionedel «luogo di discussione» ideato dai promotori del portale. La scelta di un contenutonon strutturato è derivata soprattutto dal confronto a livello teorico con Andrea e pratico

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con Stefano M (entrambi parte di Naturalmente Verona). In Drupal infatti è possibilecreare molti tipi specifici di discussione (sondaggio, domanda e risposta, votazionicollettive, e altri), ma ognuno di questi offrendo strumenti avanzati per un particolaretipo di pratiche comunicative, ne esclude altre. È possibile anche installare molteplicitipologie di discussione, ma questo aumenta la complessità dell'applicazione edabbiamo deciso di riservare questa possibilità allo sviluppo futuro del software, se nesorgesse la necessità.

Il sito dispone inoltre di un sistema di etichettatura (tagging), attraverso il quale gliutenti possono assegnare parole chiave ad ogni tipo di contenuto. Questo sistema èdiviso in due livelli, attraverso due diversi insiemi di etichette detti “vocabolari”:“settori di attività” e “parole chiave”. Il vocabolario dei «settori di attività» contiene unelenco limitato di termini (attualmente sono 19), relativamente stabile. Questirappresentano il livello di categorizzazione più generale dei contenuti, e soltanto gliamministratori di rete possono modificarli direttamente. Tutti gli utenti tuttavia possonoproporre modifiche all'elenco in un'apposita discussione del forum.

La scelta dei lemmi di questo vocabolario è un processo che, sulla base degli ottimirisultati ottenuti dai precedenti esperimenti di elaborazione collaborativa delle parolechiave del fieldwork (p. 235), considero di estrema rilevanza per far emergere lecategorie emiche attraverso cui interlocutrici e interlocutori mappano il mondo dellasocietà civile, dell'economia sociale e della cittadinanza attiva. Ciononostante, adesclusione di Paolo, i collaboratori all'interno del gruppo di lavoro non hannocontribuito alla discussione sulla scelta delle categorie. Per stimolare la partecipazioneho eseguito un confronto tra le proposte di Paolo e i vocabolari di categorie utilizzatinegli altri siti simili (wiser.org, zoes.it, airesis.it), che ho inserito in una tabellacomparativa. Il lavoro non ha sortito l'effetto desiderato e nessuno dei collaboratori hapartecipato alla definizione dei termini, che ho quindi elaborato mediando tra la listaproposta da Paolo e le altre, scegliendo le categorie che più rappresentano leorganizzazioni che ho personalmente conosciuto nel fieldwork. L'elenco rimane in ognicaso modificabile sulla base delle proposte che emergono dall'utilizzo del sito.

Un secondo vocabolario chiamato «parole chiave» permette ad ogni utente “membrodi un'organizzazione” di categorizzare ulteriormente i contenuti attraverso l'etichettaturalibera (free tagging). Le persone possono quindi inserire nuovi termini semplicementedigitandoli nell'apposito spazio presente nelle schede dei contenuti. Hanno quindi lapossibilità di inserire le parole che quotidianamente utilizzano per relazionarsi aicontenuti in questione nell'intento di definire i concetti di base cui i contenuti siriferiscono. Il sistema dell'etichettatura libera permette agli utenti del sito di collaborareper far emergere nel tempo una tassonomia emica partecipata, cui spesso la letteratura siriferisce nei termini di folksonomy (Friedman 2005; Vergani 2011). Come sistema perorganizzare di contenuti, il vocabolario libero ha diversi punti di forza e di debolezza,ad esempio genera una maggiore confusione rispetto agli schemi di classificazione che

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utilizzano gli archivisti professionali (Friedman 2005). Quando alle persone vienerichiesto di classificare i propri contenuti si creano spesso errori di spelling, ambiguitàdelle parole chiave, problemi di polisemia e il moltiplicarsi dei sinonimi. Tuttavia è unsistema partecipato che non impone uno schema dall'alto e permette l'espressione daparte degli utenti delle proprie categorie.

La combinazione dei due sistemi di classificazione ha l'obiettivo di rispecchiare lecaratteristiche della rete di comunità di pratiche rilevate nel fieldwork. Il vocabolariogestito dagli amministratori di rete permette di dare forza al ruolo di mediazione svoltodai membri del gruppo operativo che segue il progetto del portale web, i quali possonomantenere organizzati i contenuti tramite un numero ristretto e possibilmente esaustivodi macro-categorie. Il vocabolario libero permette di raccogliere la partecipazione ditutti i membri della comunità e di far emergere una classificazione bottom-up, sulla basedella quale poter anche aggiustare la classificazione primaria. Le descrizioni dei terminidi entrambi i vocabolari sono modificabili da tutti i membri delle organizzazioni, inmodo da favorire discussioni sul significato e sui referenti delle parole chiave.

Come si può osservare le entità descritte sono connesse l'una all'altra attraverso levarie funzioni del sito. Per avere una visione d'insieme di questo intreccio è possibileosservare lo schema E-R semplificato (figura 30). Leggendo lo schema dall'alto verso ilbasso, si può notare come gli utenti possono appartenere ad un'organizzazione/gruppo epossono creare e partecipare alle discussioni del forum. Ogni organizzazione può averedegli eventi e dei progetti/attività, ed infine ogni contenuto (ad eccezione di utenti ecommenti alle discussioni) può essere organizzato attraverso categorie e etichette libere.

I soggetti del grafo

Sopra lo schema E-R rappresentato si inserisce lo schema relazionale necessario acostruire il grafo della rete (figura 31). Dall'analisi dei materiali del fieldwork emergevachiaramente la solidità dell'ipotesi di struttura relazionale formata da due tipi di nodi,organizzazioni e attività, e due tipi di legami, tra organizzazioni e organizzazioni e traorganizzazioni e attività. La realizzazione concreta di questo schema, cioè la traduzionein una forma “operativizzabile” nell'applicazione web, ha reso necessaria una analisi piùapprofondita.

Come sottolinea Carter Butts, nell'analisi di una rete la definizione delle entità checostituiscono i nodi del grafo dipende strettamente dal tipo di relazione che si intendeanalizzare.

Il problema fondamentale è la definizione della classe di entità distinte su cui verràdefinita la propria relazione di interesse. Il semplice atto di postulare una taleclasse, naturalmente, introduce di nascosto l'assunzione tacita che tale classe possaessere definita (ed inoltre, che sia scientificamente utile farlo). La scelta dei singoliesseri umani come nodi negli studi sulle reti di amicizia (11) [Carley andKrackhardt 1996] o di parentela (12) [Boyd 1969] e l'uso delle singolepubblicazioni negli studi sulle citazioni (13) [Hummon and Dereian 1989] sonoesempi in cui questa ipotesi è ben giustificata. D'altra parte, gli studi

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sull'interazione tra aggregati quali gruppi (14) [Breiger 1974], famiglie (15)[Murphy 1996] o organizzazioni possono incontrare problemi dovuti alla fluiditàdelle unità interagenti e al fatto che sotto-unità di una unità più grande possonoesse stesse interagire con le altre sia all'interno sia senza il “genitore”. (Butts 2009:414)

La scelta delle unità d'analisi è una scelta arbitraria, i cui effetti si ripercuotono sullastruttura della rete di interazioni, sui risultati dell'analisi e della rappresentazione.Soprattutto quando i “soggetti” delle relazioni prese in considerazione sono “soggettiplurali” come «gruppi, famiglie o organizzazioni». È la «fluidità» dei confini di questeaggregazioni a causare le difficoltà di implementazione, poiché «sotto-unità» possonogiocare un “ruolo” fondamentale nelle relazioni considerate e venire mascherate dalleunità d'analisi scelte.

Butts specifica che «[…] Per evitare conclusioni fuorvianti, l'insieme dei nodi deveessere definito in modo da includere tutte le entità distinte che sono in grado dipartecipare alla relazione in esame […]» (Butts 2009: 414). Poiché in questa ricerca siconsiderano le “relazioni di collaborazione” tra organizzazioni, è necessario riflettere suquali siano i soggetti coinvolti in tali relazioni e su cosa si intenda con “relazioni dicollaborazione”. Partendo dall'analisi dei soggetti, ovviamente il primo soggettocoinvolto nelle relazioni in esame sono le organizzazioni. Seguendo Butts ci si deveperò domandare se esistano sotto-unità delle organizzazioni che giocano un ruoloimportante in queste relazioni. Alcuni esempi del fieldwork analizzati in dettaglio neicapitoli precedenti indicano che all'interno delle organizzazioni si formano gruppi dilavoro attorno a specifiche attività, che le collaborazioni sono messe in attoprincipalmente da questi gruppi, e che le attività praticate sono soltanto parzialmentecondivise all'interno delle organizzazioni “genitrici”.

Il caso dell'associazione Villa Buri onlus è forse il più illustrativo al riguardo, avendoal suo interno due gruppi di lavoro principali, con ruoli soltanto parzialmentesovrapposti. Il CdA da un lato, con ruolo decisionale, e impegnato nel definire le lineeguida della progettualità dell'organizzazione e nella valutazione della situazioneeconomica dell'associazione. La Commissione Progetti dall'altro, con il compito diorganizzare in un quadro coerente e dotato di senso le tante proposte culturali chegiungono all'associazione dall'esterno e proponendone altre dall'interno. È chiaro che lecollaborazioni attivate da ciascuno dei due gruppi sono sostanzialmente diverse,principalmente di carattere amministrativo le prime, di carattere organizzativo le altre.Tra i due gruppi vi sono importanti connessioni, essenzialmente rappresentate dapersone che partecipano ad entrambi i gruppi, ovvero dal fenomeno della multi-membership, ma anche da occasioni di incontro tra i due gruppi.

Ad una prima osservazione sembra quindi importante riconoscere la soggettività deigruppi di lavoro delle specifiche attività, oltre a quella delle organizzazioni. L'esempiodi Bioloc mostra come anche da parte dei diretti interessati ci possa essere unfraintendimento tra questi due livelli di soggettività. Un gruppo (Bioloc) che alcuni

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considerano come una specifica attività o progetto di un'organizzazione più ampia(Naturalmente Verona), per altri è (o è diventato) un soggetto indipendente che“collabora con” l'organizzazione in questione (si veda nota 81 p. 258).

Se si affina ancora di più il livello dell'osservazione, si può notare come nellecollaborazioni giochino un ruolo decisivo le singole persone. Spesso infatti unacollaborazione efficace non è frutto di una ricerca sistematica di partner possibili, ma diuna conoscenza diretta da parte di un membro del gruppo di lavoro. Viceversa, emergein molti casi la criticità del problema del turnover all'interno delle organizzazioniquando viene sostituita una persona che giocava un ruolo cruciale per una determinatacollaborazione. In questi casi ciò che veniva considerato una relazione di collaborazionetra organizzazioni rivela improvvisamente il suo carattere di rapporto personale tra le/ipresidenti delle organizzazioni o tra altri membri dei gruppi operativi. Ciò è validoanche al negativo, laddove il turnover può “liberare” un blocco personale esistente tramembri di organizzazioni diverse e rendere finalmente possibile una collaborazionedesiderabile o a lungo desiderata da altri membri.

Si aggiunga inoltre il ruolo della multi-membership tra gruppi di lavoro diorganizzazioni diverse. Una metafora a volte usata tra i membri più operativi dellecomunità cui ho partecipato è quella del «club delle solite facce». «Si vedono sempre lesolite facce» si sente dire spesso quando ci si trova alle riunioni di un nuovo gruppo.Oppure viene marcata esplicitamente la situazione contraria, «vedo con piacere moltefacce nuove!», in particolare in riferimento ai «giovani» che entrano a far parte delleassociazioni (con un evidente beneficio per quanto riguarda il problema del turnover).Queste espressioni non indicano un problema di familismo, come accade ad esempioper l'utilizzo della metafora in contesti politici, ma un problema di scarsapartecipazione. L'espressione viene usata anche per indicare l'elevato livello di multi-membership tra iniziative diverse e anche nelle zone meno centrali delle comunità:anche tra il pubblico delle attività di queste organizzazioni si incontrano spesso “lesolite facce”. Nella fase di esplorazione della rete frequentavo molti eventi diversi,anche tre-quattro alla settimana nei periodi di frequentazione più intensa; ero stupito discoprire che non ero l'unico frequentatore con quest'abitudine. Nelle diverse occasioniincontravo alcune persone con una incredibile regolarità, tanto che spesso ne scaturivauno scambio di battute: “vedo che anche tu sei dappertutto come il prezzemolo!”, midicevano.

In base a queste osservazioni non sembra fuori luogo affermare che unarappresentazione più realistica delle relazioni di collaborazione tra organizzazionidovrebbe necessariamente tenere in considerazione questi due livelli d'analisi: 1) ilruolo delle singole persone, poiché sono le persone a costituire gli agenti delle relazioni;2) il ruolo dei gruppi di lavoro operativi su specifiche attività, poiché è all'interno dellaprogettazione di queste aggregazioni che spesso prendono vita le collaborazioni.

Non ho adottato il livello di analisi individuale perché ha i seguenti punti di

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debolezza ai fini della presente ricerca. Innanzitutto i dati relativi alle relazioniindividuali tra membri di organizzazioni diverse non sono pubblici. Non solo, si tratta didati sensibili e, in certi casi, di dati “scomodi”. Durante il fieldwork si sono manifestatediverse situazioni in cui “i nomi” venivano volutamente taciuti. Per questo motivo èaltamente improbabile sia che le persone vogliano condividere queste informazioni, siache l'ipotetico risultato possa favorire l'auto-organizzazione interna alle comunità. Insecondo luogo, per raccogliere questi dati relazionali sarebbe necessario un questionariorelazionale o un'intervista individuale, quindi sarebbe necessaria un'ancora maggiorepartecipazione alla ricerca. Dal fieldwork il problema della scarsa partecipazione èemerso come assolutamente prioritario. Al contrario, per descrivere le relazioni dicollaborazione tra organizzazioni, è sufficiente che una sola persona all'interno diun'organizzazione partecipi alla raccolta dei dati.

Infine, in riferimento alle considerazioni di Butt ricordate sopra, non ritengo che lepersone costituiscano il livello di soggettività più indicato a costruire un grafo dellecollaborazioni tra organizzazioni. Nonostante l'indiscusso protagonismo delle persone inqueste relazioni, è importante riconoscere che agiscono spesso “in nome” e “inrappresentanza” dell'organizzazione per cui stanno conducendo l'attività. Come nel casodei subak balinesi dove contadini e sacerdoti prendevano accordi di collaborazionevalidi per l'intero subak. Nel caso studio questo comportamento è osservabile, adesempio, nella firma applicata alle comunicazioni scritte, dove spesso trovano posto lafirma personale seguita dalla firma dell'organizzazione. Nelle organizzazioni piùcomplesse si trova anche l'indicazione intermedia del gruppo di lavoro o dell'ufficio diafferenza della persona. Anche durante gli incontri, specialmente nel momento inizialedelle «presentazioni», c'è l'abitudine di specificare tra le poche informazioni personalifornite anche l'eventuale organizzazione che si rappresenta nella riunione. Nei verbali avolte le presentazioni vengono riassunte nei soli nomi della persona edell'organizzazione di afferenza. Anche per quanto riguarda le collaborazioni cheavvengono principalmente grazie al rapporto personale tra due membri di dueorganizzazioni diverse è possibile osservare che c'è una generale approvazione delleorganizzazioni rappresentate dalle persone coinvolte e che la relazione istituita non èmai soltanto personale. Un programmatore che ho contattato per collaborare allosviluppo dell'applicazione per la Rete del Buon Vivere, per esempio, si è dichiaratointeressato al progetto, ma non disponibile alla collaborazione in quanto noncondivideva l'approccio di Mag (uno dei partner del progetto) al lavoro volontario.

Per tutti questi motivi, non ritengo rilevante ottenere un grafo delle relazioni persona-persona. Tuttavia rimane di sicuro interesse conoscere il livello della sovrapposizionetra le cerchie dei membri di organizzazioni diverse. A questo proposito, poiché i datirelativi alle relazioni di appartenenza tra persone e organizzazioni sono pubblici, èteoricamente sufficiente permettere agli utenti dell'applicazione web di far parte dimolteplici organizzazioni-gruppi. Ancora una volta si tratta di una configurazione

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standard del CMS Drupal, che non necessita di “codice custom” aggiuntivo14. Sulla basedi questa struttura sarebbe possibile creare un grafo bipartito persone-organizzazioni ericavare, attraverso una operazione di “proiezione”15, un ulteriore grafo che raffiguri lesole relazioni tra organizzazioni sulla base dei membri in comune, considerati dei“legami ponte” tra le diverse organizzazioni. Questa procedura, cioè l'approssimazionedelle relazioni tra organizzazioni attraverso la multi-membership dei membri, èutilizzata spesso in analisi delle reti sociali proprio per l'accessibilità dei dati. Adesempio, attraverso la compresenza di manager in molteplici consigli diamministrazione sono state tracciate reti di affiliazione rappresentati reti di poterepolitico-economico (Latapy, Magnien, e Del Vecchio 2008). Il fieldwork ha dimostratoche persone appartenenti a più di un'organizzazione fungono effettivamente da legameponte, favorendo un flusso di informazione dall'una all'altra. Alcuni momenti piùoperativi di diverse riunioni cui ho partecipato sono stati favoriti proprio dalladisponibilità di informazione dovuta alla presenza di “membri ponte”.

Per completare l'implementazione nell'applicazione web delle relazioni dimembership osservate nel fieldwork sarebbe necessario attivare anche per i nodi di tipoprogetto/attività la “modalità gruppo” attualmente funzionante per i nodi-organizzazione. Drupal prevede la possibilità di assegnare la modalità gruppo a più tipidi nodo, indipendenti gli uni dagli altri e persino di conferire la funzione di gruppo anodi che hanno il ruolo di “contenuti di gruppo” in relazione ad altri nodi-gruppo,proprio come nel caso in analisi in cui i progetti/attività sono contenuti di gruppo inriferimento alle organizzazioni. Tuttavia per il momento non ho realizzato questafunzione perché il livello di partecipazione al sito è ancora piuttosto basso e ladocumentazione dell'applicazione è ancora largamente incompleta. Ritengo cheaggiungere un ulteriore livello di complessità, con la possibilità per le persone diiscriversi a due tipi di gruppo (organizzazioni e progetti/attività) costituirebbe, allo statoattuale, un inibitore della partecipazione.

Pur non avendo lo status di “gruppo”, i progetti/attività sono a tutti gli effetti dei“soggetti” delle relazioni di collaborazione osservate nel fieldwork. Infatti iprogetti/attività non sono delle semplici sotto-unità, gerarchicamente dipendenti dalleorganizzazioni formali che li organizzano. Le osservazioni effettuate fanno emergereuna situazione più fluida, dove le comunità dei singoli progetti/attività sono soloparzialmente sovrapposte a quelle delle organizzazioni. Per fare un esempio, lo sportellodi microcredito “Micro Mag” è indiscutibilmente un'attività organizzata da Mag, consede nella Casa Comune e i cui responsabili sono soci-lavoratori di Mag, tuttavia nontutti i membri operativi in Micro Mag fanno parte dell'organizzazione Mag e non tutti imembri dell'organizzazione sono coinvolti nelle attività di microcredito. Le due cerchie

14 Con l'espressione custom code si intende generalmente qualsiasi funzione che lo sviluppatore è costretto ad implementare personalmente perché non resa possibile dal framework utilizzato.

15 Si veda più avanti (p. 292) per una descrizione più approfondita della procedura di proiezione di un grafo bipartito.

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sono soltanto parzialmente sovrapposte e tralasciare l'una o l'altra snaturerebbe larappresentazione delle relazioni di collaborazione.

Le relazioni del grafo

A questo punto, definiti i due tipi di nodi del grafo che agiscono come “soggetti” dellerelazioni, è necessario (o diciamo, non è più possibile posticipare) un approfondimentosu che cosa si intenda per “relazione di collaborazione tra organizzazioni” per potercompletare lo schema relazione costruendo gli archi tra i nodi. Hardy, Philips eLowrence (2003), dopo un'analisi dei diversi filoni della letteratura esistente sulconcetto di collaborazione tra organizzazioni (inter-organizational collaboration), ecoerentemente con i risultati della loro indagine qualitativa delle collaborazioni di unaspecifica NGO, propongono una definizione generale del concetto di collaborazione traorganizzazioni.

Sebbene in letteratura esista una serie di diverse definizioni di collaborazione,definiamo la collaborazione come una relazione cooperativa interorganizzativa cheè negoziata in un processo comunicativo continuativo, e che non si basa né sulmercato né su meccanismi gerarchici di controllo (Heide 1994; Lawrence, Phillips,e Hardy 1999; Milne, Iyer, e Gooding-Williams 1996; Lawrence, Hardy, e Phillips2002). Questa definizione di collaborazione è abbastanza inclusiva percomprendere una vasta gamma di accordi di collaborazione (ad esempio, consorzi,alleanze, joint venture, tavole rotonde, reti, associazioni), ma fornisce una serie dicaratteristiche critiche che la distinguono da altre forme di attivitàinterorganizzativa. Soprattutto, distingue la collaborazione da quelle relazioniinterorganizzative che sono cooperative, ma in cui la cooperazione è o acquistata,come nelle relazioni con i fornitori di un'azienda, o fondata su una qualche formadi autorità legittima, come in un rapporto che potrebbe verificarsi tra un'agenzia diregolamentazione statale e un'azienda operante nell'ambito della sua giurisdizione(Grant e Baden-Fuller 1995). (Hardy, Phillips, e Lawrence 2003: 323)

Gli autori sottolineano quindi che i processi di negoziazione che caratterizzano lerelazioni di collaborazione tra organizzazioni si contraddistinguono da altri tipi dicooperazione per non essere né mediati dal mercato né da istituzioni esterne. Tuttavia,come ho messo in evidenza nel capitolo 4, inoltrandosi nel terreno “intermedio” delle“imprese sociali”, organizzazioni del fieldwork come Mag non sono così nette neldistinguere la sfera del mercato dalla sfera dei rapporti sociali meno economicistici (siveda p. 217). Infatti socie e soci fondatori di Mag insistono sull'importanza di “coltivarele relazioni”, tenendo a bada il rischio che queste si appiattiscano su una semplicefornitura di servizi, ma non cercano in alcun modo di negare l'importanza ancheeconomica dei servizi forniti. Questo paradigma, che si può definire di “non-separazione”, si riscontra in molte altre attività sul campo. Cito in particolare l'esempiodi Bioloc, all'interno del quale soltanto l'approccio di Francesco B. tendeva a distinguerenettamente una sfera completamente separata dal mercato, definita «economia deldono», da una più vicina ad esso, definita di «economia solidale». L'approccio diFrancesco è più raro nella mia esperienza di campo e ritengo che molte organizzazioni

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della rete di comunità di pratiche veronese si contraddistinguano proprio per la volontàe in certi casi la capacità di tenere insieme le varie dimensioni della sostenibilità:ambientale, sociale ed anche economica.

La definizione delle relazioni di collaborazione appare una questione problematicapoiché una definizione precisa rischia di lasciare inespressi alcuni punti di vista e alcunepratiche dei protagonisti della rete. D'altra parte una definizione troppo generica edinterpretabile risultava più difficile da operativizzare nell'applicazione web.Nell'esperimento con la Commissione di Villa Buri, ad esempio, non era stato fornitoalcun vincolo nell'interpretazione del concetto di relazione di collaborazione ed ognunoha potuto proporre le proprie connessioni liberamente. Non credo che un approccio cosìlibero possa dare un buon risultato nel caso del portale web poiché il numero delleorganizzazioni teoricamente raggiungibili è troppo elevato.

Inoltre ritengo che la differente interpretazione del concetto di relazione sia una fontedi conflittualità. Si veda ad esempio la questione della Rete di Economia Solidale diNaturalmente Verona. La «rete» è uno dei tanti tipi di accordo di collaborazioneelencato anche da Hardy, Phillips e Lawrence. Tuttavia ci possono essere interpretazionimolto diverse di cosa significhi far parte di una “relazione di rete”. Il presidentedell'associazione Naturalmente Verona, considera questa relazione in modo moltoinclusivo e massimalista. Come osservato all'inizio del periodo di fieldwork (p. 99) ed invari momenti durante lo stesso (p. 159) questa interpretazione così inclusiva, chenell'intento di Andrea dovrebbe dare forza alle relazioni della rete, non è condivisa datutti ed è persino una fonte di conflitto. Per altri la forza risiede in una maggioreuniformità di pratiche tra i membri della rete, o in una maggior condivisione di valori, opersino nella minore dimensione della rete stessa16.

La soluzione escogitata deriva ancora una volta dall'analisi approfondita dei materialidel fieldwork e consiste nella “scomposizione” delle “relazioni” in alcuni elementi piùsemplici. Come per il concetto di beni comuni (p. 219), anche quello di relazione è unconcetto molto complesso. È ambivalente poiché implica aspetti positivi ma anchenegativi per i soggetti della relazione, e può assumere significati diversi per i diversisoggetti. Se prendiamo una relazione di collaborazione binaria, che è più semplicepoiché coinvolge soltanto due soggetti, essa può persino essere ritenuta presente da unodei soggetti e assente dall'altro. Senza contare che il termine “collaborazione” è untermine denso in sé, e che non è semplice ottenere delle risposte definitive sullerelazioni di collaborazione tra organizzazioni.

Ad esempio un interlocutore mi ha smentito quando ho affermato che la suaorganizzazione “collaborava” con un'altra. Le due associazioni in questione operanoall'interno della stessa sede, una è socia dell'altra e viene da essa co-finanziata,

16 Si veda ad esempio il testo “La nostra visione” del gruppo Le Matonele (“La nostra visione | Le Matonele” 2012), dove si legge: «[s]iamo convinti che solo la piccola comunità, dove tutti si conoscono, rende gli esseri umani più capaci di aiuto reciproco, luoghi dove tutti si prendono cura delbenessere degli altri e di quello del territorio dove vivono».

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svolgendo in cambio attività che necessitano un minimo di coordinamento comune,senza contare che le due hanno attività organizzate in comune. Tuttavia, in quelladiscussione specifica, in cui entrambi avevamo una posizione interna rispetto alleorganizzazioni in questione e non erano necessarie formalità, l'affermazione che le dueassociazioni collaboravano nascondeva eccessivamente la mancanza di comunicazione,che l'interlocutore sentiva invece come prioritaria. In altre parole il termine“collaborazione” mantiene sempre un valore positivo in sé, mentre la realtàcollaborativa può anche non esserlo. Perciò i protagonisti di queste realtà possonorifiutarsi di utilizzarlo (si veda anche nota 16 a p. 58).

Se il concetto di relazione di collaborazione è troppo complesso per essere definito ereso operativo, nel fieldwork sono emersi con una certa regolarità alcuni patterns chepotevano favorire una scomposizione in elementi più semplici. Questa osservazione erainiziata dalla prima lettura del grafo iniziale di Andrea che, come descritto (p. 75),distingueva tra legami tra organizzazioni e progetti/attività («strumentali») e traorganizzazioni e organizzazioni («istituzionali»), da un lato, e tra “forti” («consolidati»)e “deboli”, dall'altro. Come il successivo lavoro di campo ha dimostrato, i due tipi dilegami non erano affatto indipendenti. La combinazione delle due dimensioni mostravala presenza di uno specifico pattern relazionale: se due organizzazioni erano connesse,tramite un legame strumentale consolidato, allo stesso progetto/attività, allora esistevaun legame istituzionale (quantomeno “debole”) tra le due organizzazioni. Quando avevodescritto questa osservazione ai collaboratori, Andrea aveva specificato che spesso dueorganizzazioni si connettono per progettare insieme quell'attività ed è la collaborazionea favorire l'instaurazione di una relazione più duratura tra loro. Quindi il legame“strumentale” produce il legame “istituzionale”. In alcuni casi può però essere verol'opposto.

Queste osservazioni rientrano nell'analisi delle “triplette” o “triadi”, un motivo diriflessione classico dell'analisi delle reti sociali (Wasserman e Faust 1994: 224). Allabase di molte riflessioni sulle triplette si trovano i principi sociologici dell'equilibriostrutturale e della “triadic closure”, principi tutt'altro che universali e onnipresenti(Wasserman e Faust [1994: 233]), ma che cionondimeno forniscono un'utile intuizionesulla struttura e sulla formazione delle reti sociali. In breve, seguendo la notazione diGranovetter (1973) , il quale sintetizza il concetto di equilibrio cognitivo di Heider(1946) con quello di triadic closure di Simmel (Simmel 1950), se in una tripletta cisono due legami forti, aumentano le probabilità che anche il terzo legame sia presente osi formi, creando un “ciclo equilibrato”. Ad esempio, considerando la relazione diamicizia, se una persona ha due amici stretti, è probabile che esista una relazione diamicizia (quantomeno “debole”) anche tra i due. Detto altrimenti, le probabilità che duepersone diventino amiche aumentano se hanno un amico stretto in comune. Riferendo laquestione al caso studio, la domanda legittima è quanto sia probabile che dueorganizzazioni partecipino e collaborino ad uno stesso progetto/attività senza sviluppare

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Capitolo 5

una relazione tra loro. I materiali del fieldwork indicano che quando una organizzazione partecipa e

collabora ad un progetto (sempre tramite uno o più delegati) è frequente che glieventuali problemi di compatibilità con le altre organizzazioni partecipanti venganoespressi e sollevati durante le riunioni. L'esempio più significativo è fornito dallacollaborazione di Naturalmente Verona all'attività “Vrban Eco-festival”. Durante leriunioni non solo si è affrontata la questione della compatibilità di Naturalmente Veronanei confronti dell'attività, ma anche dell'associazione organizzatrice del festival(Associazione Retrobottega) e degli altri partner (ad esempio gli sponsor). Non solo,alcune organizzazioni della rete di Naturalmente Verona non si sono accontentate delruolo di garante svolto dall'associazione Naturalmente Verona, e hanno innescato unprocesso comunicativo per verificare l'idoneità di Retrobottega, in quanto “nuova delcircuito”. In questo processo hanno giocato un ruolo fondamentale le precedenticollaborazioni di Retrobottega con altre organizzazioni della rete.

Ciò non significa che le organizzazioni si pongano nei confronti della partecipazionead attività e progetti in modo sempre radicale. Le idiosincrasie dovute a precedenticollaborazioni giudicate negativamente possono essere superate o evitate per motivistrumentali o per soluzione dei conflitti o per semplice mancanza di tempo da dedicare atali questioni. Tuttavia, poiché spesso alle attività e ai progetti organizzati si richiedeuna partecipazione volontaria, non vi è una esagerata pressione a partecipare (adesempio dovuta ad incentivi economici), e le organizzazioni non si fanno problemi ascegliere con chi collaborare (processo chiamato partner choice nella letteratura sullacooperazione [Hanaki et al. 2007]). Allo stesso modo, essendo per la maggior parteoberate di lavoro, le organizzazioni non smaniano di partecipare a nuove attività etendono a scegliere quelle che approvano maggiormente o cui desiderano maggiormentecollaborare (effettuando una action choice [Hanaki et al. 2007]). In ogni caso, imateriali del fieldwork dimostrano che gli interlocutori sono consapevoli dellacorrelazione tra le collaborazioni instaurate sulla base di specifiche attività e le relazionitra organizzazioni collaboratrici.

Ci sono anche alcuni casi in cui, per lo meno per un determinato periodo di tempo,due organizzazioni possono collaborare ad uno stesso progetto e non essere aconoscenza l'una della presenza dell'altra. Infatti, se entrambe le organizzazioni sonostate contattate da un'organizzazione terza (principale responsabile dell'attività)singolarmente, e senza esplicitare l'elenco dei partner è possibile che ciò accada.Durante uno di questi casi ho assistito al momento in cui, visionando la locandinarealizzata al termine della progettazione dell'attività, uno dei partecipanti haimprovvisamente “scoperto di aver collaborato con un'organizzazione con cui nonavrebbe mai voluto collaborare”. Inutile dire che questo fatto ha deteriorato, seppurelimitatamente, la fiducia tra i collaboratori.

Verificata l'ampia validità del pattern relazionale individuato, ho deciso di

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Restituzione: costruzione dello strumento

implementarlo nella costruzione del grafo nel seguente modo: i membri delleorganizzazioni possono inserire nel grafo le collaborazioni della propria organizzazioneai progetti/attività inseriti da altre organizzazioni. Ho chiamato queste connessioni con iltermine «collaborazioni». Sulla base di queste il sistema, in modo automatico17, crea unaconnessione, chiamata «relazione» di «cooperazione», tra ogni coppia di organizzazioniche collaborano alla stessa attività. È possibile visualizzare questa struttura sopra loschema E-R mostrato in precedenza. Come si può osservare, per ottenere il risultatodesiderato è stato necessario introdurre nello schema delle “entità relazionali”: la«collaborazione (a progetto/attività)» e la «relazione». In questo modo anche laconnessione tra un'organizzazione e le “sue” attività è medita da una collaborazione,proprio come le connessioni con le attività organizzate da altri cui l'organizzazionecollabora.

Nel dettaglio, quando un utente crea una nuova entità di tipo progetto/attività per lapropria organizzazione/gruppo, viene creata automaticamente anche un'entità di tipocollaborazione, che viene compilata con i relativi attributi principali: il “soggetto”, cioèl'organizzazione dell'utente, e l'“oggetto”, cioè l'attività inserita. Un attributo chiamato«tipo di collaborazione» viene compilato con l'etichetta «organizzatore principale».L'utente può inserire ulteriori entità di tipo collaborazione per indicare le altreorganizzazioni che collaborano all'attività in questione. Per facilitare la compilazione,l'utente può visitare la scheda dell'attività, dove trova un pulsante chiamato «Aggiungicollaborazione a questo progetto/attività» che pre-compila l'attributo “oggetto” con ilnome dell'attività e l'attributo “tipo” con l'etichetta «collaboratore». Una volta creata, lanuova entità di tipo collaborazione, questa viene assegnata (sfruttando le funzioni diruoli/permessi/gruppi già descritte) sia al gruppo/organizzazione “organizzatoreprincipale”, sia al gruppo/organizzazione “collaboratore”18. La collaborazione è in altreparole un contenuto condiviso tra due gruppi. I membri editor di entrambi i gruppipossono editare la collaborazione, ad esempio modificandone le date, la descrizione o ilruolo del collaboratore e così via. Un sistema di «revisioni» simile a quello utilizzatonell'enciclopedia collettiva Wikipedia permette di tenere traccia di tutte le modificheapportate all'entità, in modo da rendere visibili eventuali dispute sul contenuto.

Grazie alla soluzione adottata quello che viene creato è un grafo di rete bipartito, condue tipi di nodo (organizzazioni e progetti/attività) connessi da un tipo di arco (lecollaborazioni). Come anticipato, viene considerato grafo “bipartito”, in letteraturachiamato anche 2-mode o grafo di affiliazione (Latapy, Magnien, e Del Vecchio 2008),se può essere diviso in due insiemi di nodi indipendenti in modo tale che gli archiconnettano soltanto nodi di un insieme con nodi dell'altro (Borgatti e Everett 1997:247). Alcuni esempi sono un grafo costituito da persone ed eventi, laddove si traccia un

17 L'automazione nell'applicazione è ottenuta tramite il modulo rules di Drupal, che permette di creare regole di automazione sulla base di eventi scatenanti.

18 Questa struttura di permessi è stata ottenuta grazie al feedback di Stefano D., operatore presso Villa Buri onlus, uno dei pochi utenti ad aver utilizzato, per il momento, la funzione di inserimento di collaborazioni.

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arco tra una persona ed un evento se la persona partecipa a quell'evento; oppure ungrafo di collaborazione tra ricercatori scientifici, laddove si traccia un arco tra unricercatore e un paper pubblicato.

Eventualmente i grafi bipartiti possono essere trasformati in grafi monopartiti o 1-mode (cioè focalizzati sui legami tra un solo tipo di nodo), attraverso un'operazione di“proiezione” tale per cui, continuando con gli esempi, se due persone partecipano allostesso evento viene tracciato un arco tra le due persone, oppure se due eventi hanno deipartecipanti in comune, si traccia un arco tra i due eventi; se due ricercatori hannopubblicato un paper a quattro mani, si traccia un arco tra i ricercatori, e se due papershanno un autore in comune si può tracciare un arco tra i due papers (Zhou et al. 2007;Newman 2004). Gli esempi sono molti, in precedenza ho citato il grafo dei legami traorganizzazioni ottenuto tracciando un legame tra organizzazioni che hanno membri incomune.

Il grafo delle relazioni di collaborazione della Rete del Buon Vivere, che rappresentasoltanto le organizzazioni collaboratrici, è ottenuto in questo modo19. Come ho detto, ilmotivo che mi ha fatto optare per questa soluzione è la possibilità di scomporre unarelazione difficilmente valutabile in una serie di specifiche collaborazioni ad attivitàconcrete. Questa procedura ha due vantaggi in particolare: 1) è facilmente quantificabilee 2) mette in evidenza le pratiche anziché i legami formali di appartenenza.

Il primo di questi vantaggi si riferisce al fatto che è molto meno problematicodiscernere tra l'esistenza o la non esistenza di una collaborazione ad una specificaattività rispetto alla relazione di collaborazione tra due organizzazioni. Nella maggiorparte dei casi o un'organizzazione partecipa e collabora ad un progetto/attività oppurenon partecipa. È vero che ci sono innumerevoli modi per contribuire ad un'attività (co-organizzazione, tutoraggio, finanziamento, e così via fino alla semplice condivisionedelle comunicazioni). Tuttavia l'analisi dei materiali del fieldwork ha evidenziato che, alivello di percezione, non sorgono dubbi sull'individuazione dei collaboratori.

La relazione di collaborazione tra organizzazioni è emersa invece come un legamemolto più variabile. Nel grafo ottenuto attraverso la proiezione della rete bipartita il“valore” delle relazioni si ottiene sommando il numero di attività in comune.Nell'analisi delle reti un legame di questo tipo si chiama “pesato”20. Se dueorganizzazioni hanno dichiarato di collaborare ad una stessa attività, la relazione tra loroha peso 1. Se ci sono due attività, ha peso 2, e così via. In questo modo è possibileapprossimare in una certa misura la diversità di intensità tra le relazioni percepita dai

19 In realtà non viene fatta una proiezione del grafo bipartito intero attraverso la moltiplicazione delle matrici di adiacenza, come solitamente viene descritto in letteratura. L'applicazione web crea il grafo monopartito aggiungendo le relazioni una per volta, ogni volta che due organizzazioni hanno una collaborazione in comune. Quando la relazione è già esistente, l'applicazione aumenta il peso della relazione. Il risultato finale è lo stesso di una proiezione classica. Questa procedura si è resa necessaria poiché Drupal non è predisposto per effettuare operazioni matematiche sui grafi o sulle matrici.

20 Il legame di tipo “collaborazione a progetto” è invece computabile come un legame “dicotomico”: o non esiste o ha valore 1.

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diretti interessati, come osservato sul campo. Nella progettazione dell'applicazione web ho ipotizzato di introdurre altri fattori che

influenzano il peso delle relazioni, per approssimare meglio il risultato all'evidenzaraccolta durante il fieldwork, anche se per il momento è stato inserito soltanto il numerodi progetti/attività in comune (n). Gli altri fattori che propongo sono (d) la durata dellacollaborazione, indicativa del tempo trascorso in comune (c'è una grande differenza tracollaborare ad un progetto per un giorno e partecipare continuativamente per un anno opiù ad un altro progetto); (f) l'intensità della collaborazione o forza del legame (comegià osservato c'è una differenza tra co-organizzare un'attività e parteciparesaltuariamente a qualche riunione); (v) la valutazione della collaborazione (comeevidenziato alcune collaborazioni sono valutate positivamente, mentre altrenegativamente, e ciò influisce sulla relazione di fiducia che si crea tra collaboratori); (i)l'invecchiamento del legame di collaborazione (con il tempo diminuisce la memoriadella collaborazione, che quindi diminuisce il suo valore nel presente).

Queste diverse dimensioni si potrebbero combinare attraverso una formula dimoltiplicazione per ottenere il peso (p) delle collaborazioni (organizzazioni → progetti):pc = d * f * v * i. Il peso di una relazione (organizzazione → organizzazione) sarebbequindi la somma dei pesi delle n collaborazioni di cui è composta, cui si potrebberoaffiancare il livello di multi-membership, cioè il numero di membri dell'una che sonocontemporaneamente membri dell'altra, e un'ulteriore operazione di valutazione da partedegli utenti: pr = (n1 + n2 + nn + m) * vr. L'applicazione realizzata permette già diraccogliere dati sulla durata e sull'invecchiamento dei legami (attraverso gli attributi di“data iniziale” e “data finale” delle collaborazioni), sulla forza dei legami (si puòapprossimare un legame “forte” per i co-organizzatori e un legame “debole” per icollaboratori) e sulla multi-membership. Nonostante la presenza di questi dati rimane davalutare il peso specifico di ogni dimensione.

L'inserimento della dimensione del tempo è uno sviluppo parzialmente realizzato (siveda più avanti p. 302). La valutazione delle collaborazioni è invece una funzioneancora completamente da implementare. È di sicuro interesse, perché potrebbe dare lapossibilità ai diretti interessati di rendere visibile in qualche modo anche gli aspettimeno positivi delle relazioni. Tuttavia la valutazione costituisce un elemento moltodelicato poiché le relazioni, come ho mostrato, possono essere giudicate moltopositivamente ma anche molto negativamente e queste ultime costituiscono una grandedifficoltà per le organizzazioni, sia quando decidono di affrontare e comunicare iconflitti emersi, sia quando questi vengono “trattati internamente”. L'implementazionedi un sistema di valutazione richiede un ulteriore approfondimento. Per il momento hosoltanto ipotizzato che, anziché chiedere all'utente una “valutazione” che può essereproblematica o impossibile, potrebbe essere più efficace offrire la possibilità diescludere dalla visualizzazione alcune collaborazioni specifiche (oppure tutte le

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collaborazioni coinvolte in una relazione di cooperazione con un altra organizzazione)21.In questo modo l'utente potrebbe usufruire di questa possibilità soltanto nei rari casi incui sorgesse il bisogno effettivo di “negare” una collaborazione.

In generale l'inserimento di elementi quantitativi nel grafo ha lo scopo di introdurreaspetti o dimensioni delle relazioni che difficilmente sarebbero esprimibili attraverso ungiudizio diretto sulle proprie relazioni. Gli interlocutori hanno mostrato che le relazionitra organizzazioni sono per loro contenuti molto densi di significati ed emozioni, carichidi ricordi. Le relazioni sono decisamente difficili da esprimere. Inoltre sono tante e nonè facile ricordarle e riportarle alla mente senza riferimenti cui agganciare il ricordo.Tuttavia l'esperimento seguito dalla ricerca si basa fin dalla sua ideazione sull'idea dipoter rappresentare in qualche modo queste relazioni. Le informazioni e i “dati”inseribili nell'applicazione hanno il compito di rendere un po' più semplice e gestibilel'espressione delle relazioni. In breve, nell'ottica dell'intersoggettività tipicadell'approccio fenomenologico già espressa (p. 166), l'automazione attraverso i dati nonserve assolutamente ad “eliminare il fattore umano”, ma al contrario a creare strumentiche possano favorire l'interazione intersoggettiva.

Il secondo vantaggio di creare un grafo delle collaborazioni attraverso lecollaborazioni a specifici progetti/attività è che questo riesce a cogliere “la rete dellepratiche”. Si prenda come esempio contrario il Cielo di Villa Buri illustrato nel terzocapitolo. In quel caso è stata messa in evidenza principalmente la rete dei legamiistituzionali di Villa Buri onlus, cioè delle associazioni che sono formalmente sociedella rete, molto visibili al centro del disegno con legami “forti” con l'associazionecentrale. Come è stato evidenziato, alcune di quelle organizzazioni partecipano alleattività della rete soltanto attraverso il pagamento della quota annuale di iscrizione. Nonche ciò non sia importante, anzi, rappresenta la volontà di sostenere il “progetto VillaBuri”. Tuttavia, da sole quelle connessioni sono poco rappresentative di vere e proprierelazioni, di processi comunicativi, e di partecipazione pratica tra le comunità indicate.Se ci si limitasse a raccogliere i dati dei legami istituzionali si otterrebbe un'immaginedella rete formale, ma poco significativa dei flussi di comunicazione reali e delleinterazioni concrete che avvengono tra le organizzazioni.

La scelta di rappresentare la rete delle pratiche segue quindi un motivo pedagogico,cioè quello di spingere i membri della comunità a considerare le collaborazioni concretee a superare l'atteggiamento ideologico con cui, non troppo raramente, affrontano ilconcetto di rete, dipingendo “la” rete come un organismo monolitico. Il grafo costruitonella modalità descritta serve dunque a fornire una rappresentazione della rete cherispecchi il suo carattere pratico e policentrico, una rete costituita da attività svolte sì incomune, ma tra gruppi specifici, che coordinano diverse competenze e tecnichetrascorrendo del tempo insieme, applicandosi ad uno stesso progetto e svolgendo un

21 Tecnicamente quindi si tratterebbe di considerare automaticamente v = 1 per il fattore v (valutazione),nel qual caso la moltiplicazione * 1 non verrebbe influenzata, e dare la possibilità all'utente di sostituirlo con v = 0, in modo tale per cui la moltiplicazione * 0 annulli il valore dell'intero arco.

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Restituzione: costruzione dello strumento

lavoro. Una rete formata dalla parziale sovrapposizione di tante comunità diverse e inrelazione tra loro.

Il campionamento snowball

Le stime effettuate da interlocutrici e interlocutori coinvolti nella progettazione delportale per quanto riguarda il numero totale di organizzazioni locali da coinvolgere siaggiravano intorno alle 500 unità. Nella costruzione dell'applicazione ho riservato unaparticolare attenzione alla messa a punto di alcune funzionalità per facilitare ilcoinvolgimento di un numero così elevato di organizzazioni.

La prima di queste funzioni è stata parzialmente implementata e consiste nellapossibilità di inserire nuove organizzazioni nel database attraverso la creazione dellecollaborazioni. Poniamo il caso in cui un membro di un'organizzazione incaricato diseguire uno specifico progetto voglia inserire i nomi delle organizzazioni checollaborano al progetto. Il metodo più semplice è di utilizzare il pulsante “aggiungicollaborazione a questo progetto/attività” dalla pagina del progetto stesso. In questomodo si presenta la maschera di inserimento della nuova collaborazione, parzialmentecompilata per rendere più semplice l'operazione. L'utente dovrà quindi compilare inparticolare l'attributo “soggetto” con il nome di un'organizzazione collaboratrice eripetere l'operazione per ogni collaborazione. Quando si digita il nomedell'organizzazione nell'apposito spazio, il sistema fornisce dei suggerimenti di auto-completamento per permettere la selezione rapida di un nome già inserito nel database eper ridurre al minimo i problemi di duplicazione. Tuttavia, se l'organizzazione cercatanon è ancora stata inserita, il sistema permette di digitare un nuovo nome, il quale vieneaggiunto al database non appena la scheda viene salvata. A quel punto viene creataun'entità di tipo organizzazione che rimane “in sospeso”, cioè senza alcun membro chesi riferisca ad essa, senza informazioni compilate; rimane solamente un nome e un nodovisibile nel grafo.

La seconda parte della funzione, soltanto parzialmente implementata, consiste nelcreare una bozza di comunicazione scritta cui manca soltanto l'indirizzo email deldestinatario, che viene presentata agli utenti con il ruolo di “amministratore di rete” peressere completata e spedita ad un responsabile della nuova organizzazione creata.Riporto di seguito il testo della comunicazione, con i “segnaposti” generici che vengonosostituiti con i dati specifici di ogni occorrenza.

Oggetto: Retebuonvivere.org – adesione di [nome organizzazione]

Gentilissime/i,

[nome organizzazione che ha inserito la collaborazione], all'interno della Rete delBuon Vivere, ha menzionato [nome organizzazione] tra i collaboratori alprogetto/attività [nome progetto/attività] con la descrizione: [descrizione dellacollaborazione].

Vi scriviamo per chiedervi di valutare l'adesione anche della vostra organizzazione

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alla Rete del Buon Vivere, versando la quota di €50+iva per l'autofinanziamentodel progetto nell'ottica dei beni comuni e compilando la [scheda d'adesione](linkalla scheda d'adesione). Ricordiamo che sono attive le [opzioni di accessibilità](link alla pagina delle opzioni) (rateizzazione, spostamento primo pagamento, equota ridotta) per chi avesse difficoltà a sostenere la spesa indicata.

Volete partecipare con noi alla costruzione di questo strumento di rete utile per darevisibilità e forza a tutte le realtà del mondo della società civile e dell'economiasolidale, che creativamente danno forma a progetti, beni e servizi innovativi, nellospirito di un vivere più sostenibile e felice? Uno strumento utile per irrobustire lerelazioni, migliorare la connessione e che si propone di diventare un poloinformativo per quanti, donne e uomini, vogliono acquistare e usufruire di prodottie servizi dell'altra economia, o conoscere le proposte e le possibilità dipartecipazione della cittadinanza attiva?

Retebuonvivere.org è una guida online condivisa che permette ad ogni realtà diaggiornare le proprie pagine, descrivere la propria organizzazione, iprogetti/attività, le collaborazioni e gli eventi, indicando ad esempio prodotti eservizi offerti, settori di impatto, oltre ai dati istituzionali. È l'evoluzione in formadigitale delle [Pagine Arcobaleno](link alla descrizione delle pagine arcobaleno),con un potenziale più ampio. Scoprite di più sul sito www.retebuonvivere.org e sulblog retebuonvivere.wordpress.com.

Al momento della scrittura di questo messaggio partecipano: [elenco delleorganizzazioni che hanno già aderito]

Vi ringraziamo per l'attenzione, buona continuazione!

[Firma personale] per Retebuonvivere.org

[Contatti retebuonvivere]

Organizzazioni della società civile e dell'economia solidale di VeronaPer prenderci cura della sostenibilità sociale, economica, ambientale nel segno deibeni comuni. “Insieme siamo una rete”

Il testo di tutte le comunicazioni relative al sito è stato scritto in modo collaborativo conalcuni membri del gruppo di lavoro (in particolare Loredana e Paolo), con i qualiavevamo già sperimentato la scrittura condivisa per altri progetti durante il fieldwork.Purtroppo, come ho detto, la funzione non è ancora completata e i segnaposti per leinformazioni non vengono compilati automaticamente. Ne consegue che le email inviateai destinatari rappresentano soltanto una frazione minima del totale delle organizzazioni“nominate” attraverso la creazione delle collaborazioni22.

In generale, questa modalità di “reclutamento” delle organizzazioni si ispira alprincipio del metodo di campionamento conosciuto come snowball o campionamento acatena. Il problema di fondo su cui interviene questa procedura è l'individuazione e ilcoinvolgimento dei soggetti che fanno parte della rete di comunità di pratiche da cui è

22 All'interno del mio percorso di documentazione sul software utilizzato ho partecipato ad un convengo“Drupalday” a Milano il 14 novembre 2014, dove ho appreso che implementando una serie di modulichiamati “message stack” è possibile automatizzare le comunicazioni nel modo desiderato.

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Restituzione: costruzione dello strumento

emerso il desiderio di auto-mappatura. Il gruppo di sviluppo aveva deciso di procedereattraverso il coinvolgimento diretto attraverso le relazioni esistenti a partire dalle duereti partecipanti al progetto (Mag e Naturalmente Verona). Il “campione” di partenza eraquindi già molto grande, una abbondante percentuale della stima totale. Tuttavia ilmetodo scelto non poteva mettere a frutto la stessa qualità dinamica del metodosnowball in quanto si fermava al contatto di primo livello.

Una procedura di campionamento può essere definita come campionamentosnowball quando il ricercatore accede agli informatori attraverso informazioni dicontatto che vengono fornite da altri informatori. Questo processo ènecessariamente ripetitivo: informatori riferiscono al ricercatore di altriinformatori, che vengono contattati dal ricercatore e poi vedere lei o lui a ancoraaltri informatori, e così via (Noy 2008: 330).

Come sottolineato da Chaim Noy il campionamento a catena è un processo iterativo edinamico. Il metodo ipotizzato da interlocutrici e interlocutori prevedeva invece un solopassaggio.

La procedura di campionamento attraverso le collaborazioni dichiarate dai soggettiaderenti alla rete integra il meccanismo di coinvolgimento del gruppo di lavoro inquattro modi diversi. 1) Innanzitutto permette di estendere il reclutamento al di là delprimo livello, cioè anche una organizzazione nominata, una volta registrata nel sito puòinserire nuove collaborazioni e contribuire ad indicare altre organizzazioni (che possonoanche essere sconosciute alle due reti iniziali). 2) In secondo luogo, questa informazione“di contatto” viene comunque raccolta quando si inseriscono le collaborazioni ed èquindi una risorsa da poter mettere a frutto23, all'interno della generale necessità emersadi ottimizzare tempi ed energie. 3) In terzo luogo permette di decentrare (rispetto alnucleo centrale delle associazioni di Mag e Naturalmente Verona) il reclutamento deisoggetti della comunità.

Quest'ultimo è un nodo abbastanza delicato perché il sito per funzionare hacomunque bisogno di un gruppo operativo di persone che valutino le richiested'adesione caso per caso. Infatti il sito è impostato in modo tale per cui è necessarial'approvazione di un amministratore di rete per registrare una nuova organizzazione.Tuttavia, il sistema progettato fornisce al contempo maggiore apertura, poiché permettea tutte le organizzazioni partecipanti di suggerire altre organizzazioni, garantendocomunque una certa sicurezza, poiché le organizzazioni nominate devono aver per forzapartecipato e collaborato a specifici progetti già appartenenti alla rete. Il risultato èquello della distribuzione nella rete del “controllo” sull'accesso alla rete stessa, cioè diun controllo distribuito sui confini della rete. Ciò è in linea con il metodo delcampionamento a catena, dove «il ricercatore cede una notevole quantità di controllosulla fase di campionamento agli informatori» (Noy 2008: 332).

4) Infine il campionamento a catena ha un ulteriore vantaggio, cioè quello di mettere

23 Questa osservazione deriva in particolare dall'esperienza fatta con la costruzione del grafo dinamico con i tecnici di Bioloc (p. 250).

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a frutto il capitale sociale rappresentato dalla rete dei riferimenti. Noy sottolinea anchequesta valenza affermando che «il campionamento snowball […] è essenzialmentesociale perché contemporaneamente utilizza e attiva le reti sociali esistenti» (Noy 2008:332). Se fossero soltanto Mag e Naturalmente Verona ad invitare le organizzazioni adiscriversi al sito, si perderebbero i contributi degli altri referenti. Invece, indicando chel'invito viene inviato in seguito all'inserimento nel database di un'organizzazione terza,come si può leggere nell'email riportata sopra, è possibile fare leva sulla relazione dicollaborazione già esistente tra le due organizzazioni.

A questo tipo di coinvolgimento si aggiunge comunque la possibilità per chiunqueauto-identificasse la propria organizzazione come appartenente alla rete di comunitàrappresentata di richiedere autonomamente la propria adesione. In tutti i casi nel gruppodi lavoro del portale è stata affrontata la discussione su come verificare la compatibilitàdegli aderenti alla rete24. L'aspetto relazionale è senza ombra di dubbio emerso comeprincipio guida prioritario. Loredana ed Andrea, i membri con maggiore esperienza,sono stati chiari nell'affermare che molte di quelle organizzazioni si conoscono tra loro epossono garantire l'una per l'altra. Per quanto riguarda l'adesione di nuoveorganizzazioni, l'obiettivo è di creare relazioni, affinché anche con i nuovi arrivati possanel tempo crearsi fiducia reciproca. Nella fase iniziale tuttavia è necessario prendere unadecisione “dicotomica”: o si permette l'adesione oppure no. Al di là degli accertamentiiniziali che possono essere fatti sulle organizzazioni richiedenti, si è deciso di seguire ilprincipio della porta aperta e di permettere l'adesione “fino a prova contraria”. In questocaso si è proposto di discutere nel forum l'eventuale conflitto emergente e, senecessario, revocare l'adesione.

Visualizzare il tempo comune

Grafi e altre visualizzazioni del sito

Il primo obiettivo perseguito nell'elaborazione delle visualizzazioni dei dati del sito èstato quello di rendere visibili le relazioni. Come ho spiegato nelle sezioni precedenti, lasezione «Vedi la rete» mostra due visualizzazioni della rete complessiva: il grafobipartito (organizzazioni → progetti/attività) risultante dall'aggregazione di tutte lecollaborazioni inserite (figura 33) e il grafo monopartito (organizzazioni ←→organizzazioni) rappresentante le relazioni di cooperazione tra organizzazioni (figura34). Come negli altri esempi costruiti durante il fieldwork, anche questi grafi utilizzanoil layout organico25.

24 A titolo comparativo segnalo che anche Zoes.it cerca di mettere a frutto entrambe le modalità di adesione per le organizzazioni, anche se in modo diverso. Nella procedura di registrazione infatti è necessario compilare un attributo chiamato “Segnalatore” illustrato nel modo seguente: «Scegli l'organizzazione a te vicina e che vorresti ti accettasse come nuovo abitante di Zoes – se non conosci nessuno, scrivi a [email protected]».

25 I grafi di rete sono ottenuti attraverso librerie grafiche costruite tramite il javascript framework “d3.js” cui vengono passati i dati attraverso due moduli specifici di Drupal: “graph api” e “d3”.

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Restituzione: costruzione dello strumento

Rispetto alla prima implementazione molto semplice, in bianco e nero, in entrambi idisegni ho inserito alcuni accorgimenti per rendere i grafi più “leggibili” ed“esplorabili” dagli utenti finali. Questi accorgimenti sono: 1) una breve legenda chedescrive il tipo di rete rappresentato, gli elementi presenti e lo schema di coloriutilizzato (nel primo grafo organizzazioni e progetti sono distinti dalla differentecolorazione); 2) una search box che permette di evidenziare un nodo digitandone ilnome; 3) etichette con i nomi di organizzazioni e progetti, che affiancano i nodi; 4) nodied etichette “cliccabili” che rimandano alla pagina con la scheda dell'entitàcorrispondente; 5) nodi “trascinabili” e “riposizionabili”, cioè per visualizzare megliouna sezione l'utente può spostare uno o più nodi che rimangono ancorati alla nuovaposizione; 6) la possibilità di una funzione zooming e di una funzione panning, dautilizzarsi per spostarsi quando la vista eccede lo spazio visibile sullo schermo.Seguendo le indicazioni di Fernanda Viégas e Judith Donath (2004) ho tentato diimplementare la tipologia del adaptive zooming, chiamato anche semantic zooming,attraverso cui calibrare il livello di dettaglio visibile in base allo spazio disponibile.Tuttavia questa funzione si è dimostrata eccessivamente complessa è mi sono limitatoad uno zoom che ingrandisce o rimpicciolisce lo spazio, lasciando invariata ladimensione di nodi ed archi, in modo da permettere di diradare zone in cui gli elementisono troppo concentrati26.

Il grafo bipartito contiene attualmente 163 nodi e 196 archi. Il grafo monopartito 130nodi e 1687 archi. Entrambi sono soltanto mediamente capaci di ovviare al problemadell'effetto hairball, cioè della congestione del grafo. In particolare, oltre alla funzionedi zooming descritta, è apprezzabile il contributo alla leggibilità nel grafo monopartito“delle relazioni” offerto dall'introduzione del peso delle relazioni reso visibile attraversola dimensione e la lunghezza degli archi. Entrambi i grafi sono visibili a tutti gli utentidel sito, anche ai semplici visitatori. Inoltre rappresentano la rete a partire dal databasein tempo reale, quindi quando un utente inserisce una nuova collaborazione (nel grafobipartito è presente un pulsante per l'inserimento rapido di una collaborazione o di unprogetto/attività) questa è subito visibile nel grafo. Questa soluzione è stata progettataper fornire un immediato feedback ai membri delle organizzazioni nell'utilizzo del sito.

La funzione principale di queste visualizzazioni è quella di unire le diverse ego-network delle organizzazioni in un'immagine intersoggettiva, in modo da renderevisibile la rete emergente. Nel primo capitolo (p. 43) ho ricordato la segnalazione diHawken secondo il quale l'inevitabile parzialità degli sguardi e il posizionamento deipunti di vista di persone e organizzazioni all'interno del mondo della società civilepossono causare la sottovalutazione del “movimento” generale cui contribuiscono a darevita. Il grafo è stato co-progettato fin dall'inizio (p. 76) con l'intento di incidereprincipalmente a questo livello, fornendo uno strumento che permettesse di unire gli

26 Si tenga presente che molti accorgimenti inseriti sono stati implementati ad una recente libreria javascript chiamata “Linkurious.js”, sviluppata dagli stessi autori del software Gephi. Al momento dell'elaborazione questa libreria non era disponibile.

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Capitolo 5

sguardi. L'esperimento iniziale del “Cielo di Villa Buri” ha confermato l'efficacia dellostrumento (p. 115), e ha messo in evidenza che il risultato “rende visibile” la rete nelsenso di creare un'immagine “nuova”, non realizzabile a partire da punti di vistaindividuali. Non si tratta tanto di inserire i pezzi “mancanti” come in un puzzle, quantodi scambiarsi e “mettere in comune” le informazioni sulla propria visione posizionata eparziale per integrarla con quella degli altri, come nella parabola buddhista “dei ciechi edell'elefante” (Udana 6.4). A prescindere dal livello di esaustività raggiunto, il risultatonon è quindi un'immagine complessiva, ma un'immagine intersoggettiva, plurale.Attraverso la parabola menzionata è possibile comprendere come il problema non siatanto che i singoli soggetti “non vedano” il tutto, quanto che fraintendano una parte (la“loro” rete) con il tutto, cioè – utilizzando il linguaggio cibernetico di Von Foerster –che “non vedano di non vedere” mostrando un'«inadeguatezza di secondo ordine» (VonFoerster 2003: 284).

Durante l'Vrban Eco-festival ho avuto un'interessante conversazione su questoargomento con Francesco M., un artigiano specializzato in gioielli di legno che da annipartecipa con piacere al Festival di Naturalmente Verona e ad altri mercatini della zona.Dopo aver ascoltato l'idea alla base della mia ricerca, Francesco aveva commentatoosservando che non c'era alcun bisogno di un sito internet per tenere traccia dellapropria rete di relazioni. Ciononostante dalla discussione è risultato evidente che ilconcetto di rete cui si riferiva corrispondeva alla sua ego-network, comprendente sia ilegami tra sé e i suoi “vicini”, sia i legami dei suoi vicini tra loro, cioè ad un'immaginedella sua “rete di vicinato”. Nel dialogo Francesco ha poi riconosciuto la limitatezza diquesta visione, poiché non poteva essere sicuro di conoscere tutte le relazioni dei suoivicini, e tanto meno dei “vicini dei vicini”. Come ho detto non è che l'obiettivo sia diconoscere “tutte” le relazioni. Piuttosto il grafo segue un obiettivo “pedagogico” nellinguaggio di Alberto B. (p. 165), cioè cerca di trasmettere una visione più ampia, unavisione “dall'alto” nella metafora di Matteo (p. 243), che possa far uscire alcunidall'illusione di essere al centro della rete, e altri di essere completamente isolati (siveda p. 226 per un esempio di isolamento).

Oltre a queste visualizzazioni della rete generale, nel sito sono disponibili anchevisualizzazioni parziali nelle pagine dei singoli nodi. La prima tipologia di questevisualizzazioni è costituita proprio dalle ego-network di ogni nodo. Nelle pagine di ogniorganizzazione è visibile una “finestra” con un grafo rappresentante l'organizzazione(ego) al centro, circondata dalle organizzazioni cui è connessa (others) da relazioni dicooperazione. In base al peso delle relazioni le organizzazioni sono disposte più o menodistanti dal centro, indicando una “distanza relazionale” come suggerito dalle grafo-interviste (in particolare quella con Libera Verona, p. 141). Questa funzione è piùapprezzabile nelle ego-network che nel grafo generale poiché, combinata al particolaretipo di zoom inserito, permette agli utenti di avvicinare la vista e vedere soltanto icollaboratori più stretti. Le pagine delle organizzazioni presentano poi una scheda

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Restituzione: costruzione dello strumento

chiamata “progetti/attività”, all'interno della quale è visibile la ego-network centratasull'organizzazione, circondata dai progetti/attività cui l'organizzazione collabora (figura35). Le pagine dei progetti/attività mostrano invece la ego-network del progetto. Il nododel progetto è quindi posizionato al centro ed è circondato da tutte le organizzazioni chevi collaborano. Questo tipo di visualizzazione è ispirato in particolare alla grafo-intervista su Micro Mag (p. 142).

Il motivo principale per cui ho deciso di inserire le reti ego-centrate27, nonostante lecritiche emerse durante il fieldwork, è che ritengo che, se affiancate ai grafi generali,possano fornire strumenti utili in grado di mostrare con chi è in relazione una particolareorganizzazione (con chi ha collaborato), quali progetti stia seguendo e chi siano icollaboratori ad una specifica attività. L'approccio esemplificato da Francesco pocosopra, che potrei riassumere con la frase “io conosco la mia rete”, è più semplice perun'impresa unipersonale come la sua. Molte altre organizzazioni sono composte dipersone diverse, con ruoli diversi, che cambiano nel tempo e in tempi diversi, che hannodiversi livelli di partecipazione, e così via. Le mie osservazioni sul campo e l'analisidella rete Mag hanno confermato che, nonostante l'impegno a volte dimostrato dalleorganizzazioni, la comunicazione all'interno delle organizzazioni costituisce una fortecriticità. Con l'aumentare della complessità dell'organizzazione aumenta anchel'importanza di condividere l'informazione sul susseguirsi delle attività e dellecollaborazioni poiché non è affatto detto che tutti i membri abbiano la stessa visionedella rete delle relazioni dell'organizzazione. Si ripresenta all'interno della singolaorganizzazione la stessa “inadeguatezza del secondo ordine” rilevata per la rete generalee ognuno può convincersi di conoscere tutta la rete. Le ego-network sono uno strumentopiù appropriato per questo tipo di problema.

Una ulteriore modalità di visualizzazione dei dati relazionali che esula dalla tipologiadel grafo è quella delle cards e delle minicards. Queste viste rappresentano delle piccolefinestre all'interno delle schede delle entità del sito che mostrano un'anteprima delleentità collegate. Ad esempio nella scheda di un'organizzazione sono visibili delle cardsrappresentanti i progetti/attività cui l'organizzazione collabora e gli eventi in programmanel calendario dell'organizzazione. Ogni card rappresenta brevemente un progetto o unevento, indicandone in un piccolo spazio gli attributi principali (nome, logo, slogan,organizzazione promotrice, date, settori per i progetti e location per gli eventi). Sonopresenti inoltre minicards con il nome e l'immagine dei membri dell'organizzazione.Nelle pagine dei progetti sono presenti le minicards con nome e logo delleorganizzazioni collaboratrici. Questo tipo di viste sono più tradizionali nel panoramadelle visualizzazioni sul web delle entità connesse e sono tipiche dei sistemi diraccomandazione (ad esempio cards dei prodotti che altri utenti hanno acquistato

27 Per motivi tecnici di difficoltà di realizzazione di richieste dati (query) “a grafo” con il database SQL non sono riuscito ad ottenere l'intera neighbors' network in queste visualizzazioni, che rimane una implementazione desiderabile. Attualmente sono visibili soltanto gli archi tra ego e i suoi vicini, ma non quelli tra i vicini.

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Capitolo 5

insieme al prodotto visualizzato) e dei social networks (cards di amici, eventi, e cosìvia). Rispetto alle visualizzazioni a grafo hanno il vantaggio di essere maggiormenteleggibili su dispositivi mobile di piccole dimensioni28.

Infine, come ho specificato nella sezione precedente, le collaborazioni e le relazionisono entità a loro volta e in quanto tali sono dotate di specifiche schede (un esempio dicollaborazione in figura 32). In particolare le schede delle relazioni mostrano, oltre allecards delle due organizzazioni connesse, anche le cards dei progetti/attività in comunein modo da agevolare il riconoscimento della storia collaborativa condivisa. Adesempio, se un'organizzazione vuole avere un riassunto veloce di tutte le collaborazionitra sé e un'altra organizzazione, magari per avere un promemoria o per trasmetterel'informazione ai nuovi membri, può trovare queste pagine molto utili.

Tempo, meswork e storylines

Come ho specificato più volte, dal fieldwork è emerso come il tempo costituisse uno deifattori maggiormente determinanti nell'esito delle collaborazioni e come tuttavia venissespesso trascurato. Non era sufficiente dunque rendere visibili le relazioni, bisognavarendere visibile la durata delle relazioni. Come per il Cielo di Villa Buri, anche la primaimplementazione dei grafi del sito internet non riusciva a tenere in considerazionel'elemento del tempo. Il primo strumento rappresentava “la rete dell'associazionecongelata in un istante” (si veda p. 119), attraverso la scelta di relazioni ancorasignificative nel “presente”. Il disegno ottenuto era in altre parole statico e destinato ad“invecchiare”. Nel secondo strumento invece le collaborazioni venivano accompagnateda una data di inizio e una data di fine (eventuale), così come i nodi, ma la temporalitànon era visibile. Il risultato era che tutti i collegamenti erano compresenti in modoindifferenziato e sembravano rappresentare collaborazioni in corso. Con il passare deltempo la rete rappresentata tendeva a diventare più fuorviante perché nel disegno siaccumulavano tutte le collaborazioni passate, a maggior ragione se fosse stato utilizzatoanche per ricostruire la storia relazionale passata delle organizzazioni.

Come introdurre più significativamente la dimensione del tempo nel disegno?Seguendo le tecniche dell'analisi delle reti dinamiche si potrebbe costruire unavisualizzazione dinamica della rete adattata alle caratteristiche del web, consistentenell'inserimento nel disegno di una timeline, facendo scorrere la quale sia possibilevisualizzare la rete in un arco di tempo selezionato29. A differenza della costruzione diun grafo di rete in movimento, già sperimentata con Bioloc (p. 253), l'introduzionedell'oggetto timeline permetterebbe di visualizzare una rete comunque statica e offrire

28 Ho comunque implementato alcuni aspetti di responsive design anche nei grafi, in modo da renderli automaticamente adattabili a qualsiasi dimensione di schermo. Tuttavia i grafi sono oggetti troppo complessi per una lettura sui dispositivi smartphone e richiedono una eccessiva capacità di calcolo. Al contrario le cards sono realizzate attraverso funzioni native di Drupal e non causano alcun problema di performance del dispositivo di lettura.

29 Per un esempio di elevata qualità si veda lo strumento “Immersion. A people-centric view of your email life” elaborato da Deepak Jagdish (2014) con la supervisione di César Hidalgo (MIT Media Lab).

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Restituzione: costruzione dello strumento

agli utenti la possibilità di delimitare l'arco temporale di valenza di nodi e archi. Al di làdel fatto che l'implementazione di questa visualizzazione era al di là delle mie capacitàtecniche, il risultato non corrispondeva a ciò che stavo cercando. Questa tecnicaaumenta la complessità di utilizzo principalmente per permettere un'analisi piùapprofondita delle reti in un determinato periodo di tempo o per comprendernel'evoluzione generale. Si potrebbe ad esempio limitare la visualizzazione all'ultimoanno, restringendo la timeline, e tutti i nodi e gli archi già “conclusi” verrebberoeliminati dalla rete. Tuttavia, una collaborazione conclusa 11 mesi prima del presenteavrebbe la stessa visibilità di una ancora attiva.

Come osservato da Farrugia e Quigley, la visualizzazione di reti dinamiche si basalargamente sugli stessi metodi di layout creati per rappresentare le reti statiche (Farrugiae Quigley 2011: 62). Il problema generale è che la rappresentazione sincronica tipicadella network analysis non rispecchia la processualità della cooperazione. Una volta cheuna collaborazione ad un progetto giunge a termine (con la conclusione delle attività), lerelazioni tra le organizzazioni coinvolte non vengono improvvisamente interrotte.Soltanto nei casi di una collaborazione molto negativa i soggetti coinvolti cercano dichiudere tutti i rapporti nel più breve tempo possibile, e anche in questo caso spesso siosservano “strascichi” ulteriori dovuti alle diverse “scale temporali” su cui agiscono iprocessi messi in atto durante la collaborazione.

Il ragionamento seguito a Villa Buri di rappresentare le relazioni ancora significativenel presente, per quanto limitato, aveva il pregio di tenere in considerazione questoaspetto. Grazie alla possibilità di inserire nuovi dati e di aggiornare quelli esistentipermessa dal sito web, era possibile offrire una visualizzazione della rete nel presenteche rimanesse sempre aggiornabile. Questa procedura era decisamente meno complessae più intuitiva rispetto alle opzioni dinamiche più classiche. In base a questeconsiderazioni ho cercato di introdurre un “algoritmo di invecchiamento” degli archiche riuscisse a tradurre il tempo trascorso dalla conclusione di una collaborazione inelementi grafici, facendo diminuire la visibilità30. Per il momento sono riuscito adimplementare questa soluzione soltanto nei grafi bipartiti del sito31. Il risultato è che gliarchi rappresentanti collaborazioni concluse diventano sempre più trasparenti e lontani(lunghi), man mano che il tempo trascorre, fino ad assestarsi ad un minimo di visibilitàdopo circa un anno. Il vantaggio di questa soluzione è molto evidente per le ego-networks dei progetti di una organizzazione, dove le attività concluse si spostanoprogressivamente lontano dal centro e perdono di visibilità, evidenziando leprogettualità attive ma mantenendo la capacità di vedere anche quelle concluse. Tuttaviaanche il grafo delle collaborazioni generale ne acquista in leggibilità e l'algoritmointrodotto contribuisce a diradare il “labirinto” degli archi e dei nodi.

Il tempo non è visibile soltanto nei grafi. Ho cercato di mettere in evidenza la

30 Nella realizzazione tecnica sono stato aiutato dall'amico ed esperto informatico Roberto P..31 Come discusso nella sezione precedente è importante introdurre la dimensione del tempo anche nel

grafo delle relazioni.

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Capitolo 5

temporalità di tutte le entità in tutte le viste del sito. In particolare segnalo due soluzioni.La prima consiste nella messa in evidenza delle date, utilizzando un evidenziatore verdeper la data di inizio e uno rosso per la data di fine. In questo modo, nelle cards o nelleschede complete è sempre visibile a colpo d'occhio se un'attività è conclusa, se è ancoraattiva, quando è iniziata, e così via. La seconda soluzione è stata quella di implementareuna vista “a calendario” per le entità di tipo evento, che permette di cogliere iltrascorrere del tempo in modo tradizionale. Il sito permette inoltre di iscriversi con unsemplice click al flusso di dati “ical feed” emesso dal calendario e di importareautomaticamente i nuovi eventi nella propria applicazione di calendario. Ciò permettead esempio di visualizzare gli eventi della rete direttamente nel calendario del propriosmartphone.

Nonostante i risultati ottenuti, l'implementazione della temporalità e dellaprocessualità delle collaborazioni sviluppata attraverso queste soluzioni ha deglievidenti limiti. Riesce ad inserire nel grafo la dimensione del tempo, ma questa rimaneindicata come un semplice attributo. Ciò che è visibile sono “le date”, non “la storia”. Iltempo invece aveva un ruolo molto più importante che definire la semplice durata e l'etàdegli elementi rappresentati. Dopo un periodo di collaborazione nessuna delleorganizzazioni coinvolte resta uguale a se stessa. La convivenza e cooperazione trapersone porta con sé la «contaminazione»32, l'influenza reciproca data dalla vicinanza, equesto si riflette sulle organizzazioni. È una situazione che favorisce l'innovazioneperché aiuta a guardare le cose da un punto di vista diverso. C'è una condivisione dicompetenze e conoscenze, di sensazioni e situazioni.

Questo processo può essere osservato come una condivisione di tempo, come lacostruzione di un passato comune. Durante questo tempo, membri delle organizzazioni,collaborando ad uno stesso scopo, imparano a conoscersi; risolvono insieme problemi,che spesso richiedono all'uno di fare qualcosa per l'altro, e si crea quel senso di fiduciaritenuto così importante in molta letteratura sociologica33 e che può durare anche oltre iltermine della collaborazione stessa34. Non sempre va in questo modo. Altre volteprevalgono la delusione e l'incomprensione tra i partner, e anche l'ostruzionismo. Hoosservato momenti in cui, terminata la collaborazione, i membri dei gruppicondividevano, al loro interno e ognuno nelle proprie cerchie personali, la sfiducia neiconfronti del gruppo-partner “rinnegato” o di singoli membri. Viene socializzata in altreparole sia la fiducia che la sfiducia. «La fiducia: ci vuole una vita per costruirla, mabasta un attimo per perderla» ha affermato una volta Fabrizio, segretario di Villa Buri(citando forse un aforisma reso famoso da Paulo Coelho).

Nonostante l'ambivalenza insita nelle relazioni, il tempo rimane l'elemento chiave

32 La riflessione sul concetto di contaminazione è emersa nella progettualità di Villa Buri onlus, ma ho raccolto riferimenti al termine anche durante la ricerca sulla “rete Mag”.

33 Si veda ad esempio Kramer e Cook (2004).34 Studi sul radicamento delle attività economiche nelle reti sociali hanno evidenziato che anche nelle

reti tra aziende i processi di collaborazione creano di legami “durevoli” che rafforzano la fiducia, si veda ad esempio Uzzi (1996).

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per la costruzione dei rapporti personali che sostengono la rete delle collaborazioni,come evidenziato nel resoconto del CdA allargato di Mag cui ho partecipato.

M. Teresa G. […] nel concludere ha sottolineato che le reti si saldano attraversoincontri personali, anche con un tempo a disposizione sufficiente al conoscersi, ri-conoscersi, al confronto, alla discussione per creare legami non solo strumentali, eche la rete informatica sia un valido strumento, ma non sostitutivo degli scambivivi; […]

È importante ricordare che anche per la ricerca scientifica il tempo comune è il fattoreche, insieme alla comunicazione (permessa dal tempo trascorso insieme), favoriscel'emergere di cooperazione. Si vedano ad esempio gli esperimenti sulla reiterazione del“dilemma del prigioniero”, il più influente gioco della teoria dei giochi, sviluppato daRobert Axelrod (1984)35.

Nel gioco originale, la scelta razionale conduce alla rovina. Ma se il gioco continuanel tempo, intuitivamente sembra possibile che la cooperazione emerga […].Axelrod e altri ricercatori di conseguenza hanno riformulato il gioco per consentireagli agenti simulati di giocare una serie di partite l'uno con l'altro, trattando le lorostrategie e la loro memoria del comportamento degli altri giocatori come variabili(Axelrod 1997). Poiché il successo di particolari strategie dipende dalla frequenza,l'intero gioco può essere trattato come un sistema dinamico che evolve nel tempo,con caratteristiche globali che emergono dalle interazioni locali di giocatori estrategie. In queste circostanze, Axelrod ha trovato che la cooperazioneemergerebbe in un'ampia gamma di condizioni. (Lansing 2003: 196)

Soltanto introducendo il tempo sotto forma di reiterazione del gioco (partite multiple) odi un momento di confronto tra i giocatori prima del gioco, si riesce ad osservarel'emergere della cooperazione. Ancora più in generale, la convivenza protratta nel tempoè il presupposto fondamentale della co-evoluzione degli esseri viventi.

Nonostante questa importanza cruciale, in generale il tempo trascorso insieme vienepoco valorizzato e socializzato nelle pratiche delle organizzazioni, e viene facilmentedimenticato. Riemerge in momenti puntuali, quando le singole memorie personalivengono sollecitate dalla discussione o dalla situazione, e spesso quando viene percepitauna mancanza di riconoscimento personale nei propri confronti. Ad esempio quando igiovani membri di un gruppo non riconoscono il lavoro dei membri fondatori. Ilproblema sorge anche dal fatto che molte delle attività e delle collaborazioni non sonovisibili. Spesso, da parte dei gruppi operativi vengono condivisi nelle comunità diafferenza soltanto i risultati, non i percorsi delle attività e dei progetti.

Oltre a rendere visibile il passare del tempo è importante rendere visibile il passatocomune, gli intrecci nei percorsi delle organizzazioni. È stato in questo senso che hointerpretato l'importanza della metafora dell'intreccio esplicitata da Piras (p. 182) elargamente utilizzata dagli interlocutori nel fieldwork. Un'occasione in particolare ha

35 Il gioco del prisoner's dilemma (non reiterato) corrisponde alla formulazione della famosa “tragedia dei beni comuni” (Hardin 1968).

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stimolato la mia immaginazione sul potenziale grafico di questa metafora. Ero nellaCasa Comune Mag e stavo aspettando che Loredana si liberasse perché dovevamodiscutere alcuni dettagli del sito della Rete del Buon Vivere. Loredana mi ha chiamatonel suo ufficio, una piccola stanza molto accogliente in cui non ero mai entrato perchénon faceva parte degli spazi comuni. Mentre attendevo che concludesse il suo lavoro, hopotuto osservare il poster del progetto Macramè (si veda p. 169) incorniciato sopra ildivano, che mostra un disegno geometrico generato dall'intreccio di una linea continuache si annoda più volte su se stessa. Il titolo e il sottotitolo del progetto “reti e altriintrecci di economia sociale per il terzo settore” usavano la metafora dell'arte delmerletto a nodi (il macramè) per indicare le reti di relazioni dell'economia sociale. Ciòche mi aveva colpito del poster nell'ufficio di Loredana era il fatto che si poteva seguireil filo come se si intrecciasse nel tempo, dando origine alla rete. In base a questesuggestioni ho iniziato a sperimentare manualmente il disegno di linee per rappresentarel'evoluzione nel tempo delle organizzazioni e dei progetti (figura 36).

In quel periodo su suggerimento della mia tutor universitaria stavo leggendo BeingAlive: Essays on Movement, Knowledge and Description di Tim Ingold (2011) ed hotrovato una corrispondenza tra le profonde riflessioni dell'autore sul ruolo dellanarrazione nell'integrazione delle conoscenze e sul potenziale del disegno per unireosservazione e descrizione, con le mie osservazioni sul campo. Richiamandosi allafilosofia di Deleuze e Guattari, Bergson, Whitehead e altri, Ingold descrive unaconcezione della vita profondamente segnata dal cambiamento, dal movimento, tanto darivedere la sua precedente insistenza sul concetto di abitare (dwelling), poiché «[i]lconcetto comporta un alone di accogliente e ben impacchettato localismo, che sembrafuori sintonia con l'accento sul primato del movimento» (Ingold 2011: 12). Ingoldafferma dunque che il viaggio (wayfaring) è «il modo fondamentale con il quale gliesseri viventi abitano la terra» e che «ogni tale essere deve pertanto essere immaginatocome la linea del proprio movimento o – più realisticamente – come un fascio di linee»(2011: 13).

Riflettendo sulla rappresentazione della concezione della vita come viaggio e deisoggetti come fasci di linee di movimento, Ingold entra nel dettaglio dellerappresentazioni dei grafi di nodi ed archi, ormai divenuti lo standard dirappresentazione per le reti. Già nella rappresentazione dei soggetti con la figura delcerchio l'autore individua una profonda «inversione» rispetto alla concezione di vita inmovimento descritta. Il cerchio infatti circoscrive l'organismo interno e lo isoladall'ambiente esterno. Gli archi poi mettono in relazione un soggetto con l'altro, ma ciòcomporta una separazione tra le relazioni e i soggetti delle relazioni.

[…] i proponenti del pensiero di rete sostengono che esso ci incoraggia aconcentrarci in primo luogo non sugli elementi, ma sulle connessioni tra essi, equindi ad adottare quella che viene spesso chiamata una prospettiva relazionale.

[…] Tuttavia, come Frances Larson, Alison Petch e David Zeitlyn sottolineano in

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Restituzione: costruzione dello strumento

un recente studio sulle connessioni tra oggetti museali, collezionisti e curatori, lametafora della rete comporta logicamente che gli elementi collegati siano distintidalle linee della loro connessione (Larson et al. 2007: 216–217). Così non ci puòessere mutualità senza la preventiva separazione degli elementi la cui costituzioneè in questione. Vale a dire, la creazione di relazioni tra questi elementi – siano essiorganismi, persone o cose di qualsiasi altro tipo – necessariamente richiede checiascuno venga piegato su se stesso prima della sua integrazione nella rete. E ciòpresuppone un'operazione di inversione. (Ingold 2011: 70)

Ingold sostiene che rappresentando i soggetti attraverso delle «linee» che indicanopercorsi di movimento è possibile evitare la «distinzione […] tra le cose e le lororelazioni», intrinseca nei grafi di rete classici. «Le cose sono le loro relazioni» (Ingold2011:70). Accanto al termine “linea”, utilizza spesso il termine trail, che significa“percorso” ma anche “traccia”, “scia”, “sentiero”, “cammino”.

Ogni tale traccia rivela una relazione. Ma la relazione non è tra una cosa e l'altra –tra l'organismo 'qui' e l'ambiente 'là'. Si tratta piuttosto di un percorso lungo il qualesi vive la vita. Né comincia qui e finisce là, né viceversa, il sentiero si snodaattraverso o in mezzo come la radice di una pianta o come un corso d'acqua tra lesue sponde. (Ingold 2011:69)

Senza separazione tra il soggetto e le relazioni, la rappresentazione della co-evoluzionedei soggetti appare come un intreccio di radici che si snodano e si annodano tra loro,un'immagine che ricorda molto quella delle foreste di mangrovie36.

Ingold offre quindi una diversa rappresentazione della rete rispetto a quella tipica dinetwork, e si sposta così sul concetto di meshwork37, ottenuto tramite «inversione» delprimo.

Uso il termine inversione per indicare l'operazione che racchiude linee di fuga inpunti delimitati. I capitoli che compongono questa parte sono dedicati a disfarequesta inversione, e quindi a rivelare dietro l'immagine tradizionale di una rete dientità che interagiscono, quello che io chiamo il meshwork di linee intricate dellavita, della crescita e del movimento. Questo è il mondo in cui viviamo. La mia tesi,complessivamente, è che ciò che è comunemente noto come la 'rete della vita' èproprio questo: non una rete [network] di punti collegati, ma un reticolo[meshwork] di linee intrecciate. (Ingold 2011: 63)

La trasposizione di questa concezione dinamica della vita sociale38 nel disegno èteoricamente piuttosto letterale, cioè comporta un'inversione tra le forme associate anodi ed archi. I nodi diventano linee e le linee degli archi diventano nodi o punti di

36 Le piante più caratteristiche delle foreste di mangrovie sono quelle del genere rhizophora, il cui nomecomprende nella sua etimologia lo stesso elemento – “rizoma” – alla base della metafora della complessità utilizzata da Deleuse e Guattari. Anche Ingold si riferisce più volte all'immagine del rizoma dei due filosofi, anche se «preferisc[e] l'immagine del micelio dei funghi» (Ingold 2011: 86).

37 Nonostante entrambi i termini network e meshwork si traducano con “rete”, il secondo indica più precisamente la “maglia” o l'intreccio dei fili di cui è costituita una rete.

38 Ingold utilizza il termine “sociale” per indicare l'«interpenetrabilità essenziale o commistione di mente e mondo […] che si contrappone ad un'ontologia del particellare che immagina un mondo di entità ed eventi individuali», collegati da contatti esterni (Ingold 2011: 236).

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Capitolo 5

interconnessione tra linee39. In questo modo le linee delle organizzazioni possono esseretracciate nella loro evoluzione nel tempo e una relazione tra due organizzazionicorrisponde all'intreccio tra due linee. Dal momento che le relazioni della “Rete delBuon Vivere” sono composte da molteplici collaborazioni, la realizzazione tecnica diquesta tipologia di disegno non è semplice, poiché comporta il disegno di linee multiple.Del resto anche gli organismi di cui parla Ingold sono “complessi fasci di linee”.

Come descrizione di un organismo, tuttavia, la linea singola presenta unagrossolana semplificazione. Nessun organismo complesso è così. Piuttosto, la vitadegli organismi generalmente si estende lungo non uno ma più percorsi, emessi dauna fonte. (Ingold 2011: 70)

Nonostante la maggiore complessità, il disegno del meshwork potrebbe riuscire meglioad evocare l'idea di convivenza e di tempo comune che è alla base del mio lavoro dicampo.

Recentemente nella letteratura di visualizzazione dei grafi sono apparse diversesperimentazioni sulla realizzazione di grafici di questo tipo, cui ci si riferiscegeneralmente il nome di storyline visualizations (Ogawa e Ma 2010; Muelder et al.2013; Tanahashi e Kwan-Liu Ma 2012; Liu et al. 2013; Kuhn e Stocker 2012; Arendt eBlaha 2014), traducibile come visualizzazioni “a trama”. La maggior parte di questilavori traggono ispirazione da uno stesso disegno originale chiamato Movie NarrativeCharts (Munroe), realizzato a mano da Randall Munroe. Il disegno rappresenta la“trama relazionale” di alcuni film. Ogni linea corrisponde ad un personaggio (o ad ungruppo di personaggi indistinguibili), e si sviluppa da sinistra a destra, rappresentandol'evoluzione del film (il tempo), secondo la convenzione di lettura occidentale. Quandodue o più personaggi sono presenti all'interno della stessa scena, le rispettive linee siaffiancano e proseguono parallele per la durata della scena stessa. Un alone coloratoidentifica particolari eventi della trama (ad esempio una battaglia, l'incoronazione e cosìvia). Nella rappresentazione della saga del Signore degli Anelli alcune lineerappresentano i vari eserciti contrapposti e la dimensione delle linee è rappresentativadella dimensione degli eserciti. Questo dettaglio in particolare indica un direttoriferimento del disegno di Munroe alla famosa mappa della Campagna di Russia diNapoleone del 1812, realizzata nel 1869 dall'ingegnere civile Charles J. Minard.

Da un certo punto di vista il disegno di Munroe presenta un livello di complessitàminore rispetto all'ipotetico meshwork o storyline della rete di collaborazioni dellacomunità di pratiche veronese. Infatti le scene dei film, ovvero gli intrecci tra le linee,sono sequenziali. Lo stesso assunto si ritrova negli algoritmi automatici di storyline i cuirisultati sono più vicini al disegno di Munroe.

Entrambi questi ultimi due approcci alla visualizzazione storyline assumono che i

39 La discussione sulla rappresentazione del tempo nel grafo ha coinvolto anche Christian L., il quale hacontribuito con un'immagine che spiega il rapporto tra un grafo node-link tradizionale e un grafo storyline, attraverso un'operazione di proiezione bidimensionale a partire da un ipotetico grafo 3D originale (figura 37).

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Restituzione: costruzione dello strumento

dati possano essere descritti in termini di “sessioni di interazione”, che sonoessenzialmente dati su tempo, durata e partecipanti in un evento di interazione.Tuttavia, si presume che un individuo non possa trovarsi in più di una sessione diinterazione in ogni dato momento, il che continua ad imporre una certa struttura suidati che vengono visualizzati. Pertanto, nessuna delle tecniche di visualizzazionestoryline, ad oggi, può essere considerata una soluzione per la genericavisualizzazione di grafi dinamici. (Arendt e Blaha 2014: 6)

Al contrario, le organizzazioni della società civile possono collaborare a moltepliciprogetti/attività contemporaneamente e ciò implica una moltiplicazione delle linee. Neltentativo di risolvere questa complessità ho voluto cominciare dalla creazione di unavisualizzazione meshwork del grafo bipartito. La mia idea era di partire dall'algoritmo dilayout organico del grafo originale, sostituire i nodi-cerchio con nodi-linee paralleledisposte da sinistra (passato) a destra (presente), di lunghezza proporzionale alla lorodurata, e limitare all'asse verticale il posizionamento dell'algoritmo (in base allaprossimità relazionale). Serviva poi una scomposizione dell'asse orizzontale (il tempo)in passaggi successivi (o sequenze) in modo tale per cui all'inizio e alla conclusione diogni collaborazione l'algoritmo ricalcolasse la posizione della rimanente parte dellelinee (verso destra) per riavvicinare o distanziare le linee verticalmente in base allecollaborazioni presenti. Questa modalità di realizzazione è stata esplicitamente indicatada Michael Ogawa e Kwan-Liu Ma (2010) come un possibile percorso alternativo aquello da loro perseguito (che utilizza invece “algoritmi genetici”).

Grazie all'aiuto di Roberto P., abbiamo implementato la prima parte della procedura(figura 38). Purtroppo non c'è stato il tempo necessario ad elaborare la seconda parte,cioè il riposizionamento dinamico nel tempo delle linee in base alle collaborazioni divolta in volta presenti40. Questa limitazione impedisce di ricreare graficamente l'idea diintreccio che ha motivato lo sforzo, poiché le linee rimangono parallele dall'inizio allafine. Tuttavia rimane una sperimentazione di sicuro interesse, con il potenziale di essereportata a termine, ma che già fornisce un metodo di rappresentazione della “storiacomune delle organizzazioni della società civile locale” che, come indicato nel capitolometodologico (si veda p. 79), costituisce il “vero Altro” della presente etnografiacollaborativa.

Ricezione e utilizzo

Promozione e coinvolgimento

Subito dopo la pubblicazione online del sito web, il gruppo di lavoro ha iniziato leattività di comunicazione, promozione e coinvolgimento. Si è cominciato con lapubblicazione del comunicato stampa, cui sono seguiti alcuni articoli sulle testate locali.Su “Il Pescantinese”, una rivista online realizzata dall'omonima associazione culturale,specializzata nella zona della Val Policella e su tematiche ambientaliste e di cittadinanza

40 In figura 36 è visibile un'interpretazione intuitiva delle due componenti dell'algoritmo di visualizzazione.

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Capitolo 5

attiva, è stato pubblicato autonomamente il primo articolo, contenente il comunicatostampa. Io ho segnalato il comunicato a “VeronaGreen” (rivista online specializzata supratiche “green” nel territorio veronese), che ha pubblicato l'articolo “Visibilità sul weballe Reti dell'economia buona”. Il 9 marzo è uscito un articolo-intervista a Loredanasulla sezione cronaca del quotidiano locale L'Arena, dal titolo “Mag, l'economia socialesbarca anche sul web”, con un maggiore dettaglio e un particolare accentosull'importanza dell'economia sociale come strumento per «combattere la crisi».Successivamente anche “Verona-in”, altra testata locale online, ha pubblicato un estrattodel comunicato. Infine anche “AP”, la già citata rivista curata da Mag, ha pubblicato illungo articolo sul portale che ho scritto su richiesta di Paolo.

Tutti gli articoli sono stati inoltre raccolti in un blog integrato con il sito web, pensatocome strumento per dare spazio a «notizie, approfondimenti, comunicati, rassegnastampa e altri post sulla Rete del Buon Vivere». Sempre nell'intento di comunicazione,promozione e coinvolgimento ho inoltre creato delle pagine per “Retebuonvivere” neisocial network più utilizzati dai membri delle comunità (Facebook e Google+).Attraverso le “pagine social” è stato possibile connettersi con le molte pagine delle altreorganizzazioni della comunità41. Sia la decisioni sull'apertura di un blog e delle “paginesocial” sia sulla modalità di gestione delle stesse, sono state presentate sotto forma didiscussioni nel forum del sito, inaugurando una pratica che ho mantenuto per tutte ledecisioni relative allo sviluppo e alla gestione del progetto.

La promozione è continuata anche attraverso presentazioni del portale web all'internodella rete in varie occasioni a partire dalla già citata presentazione durante l'Vrban eco-festival. Il 30 marzo ho presentato “La Rete del Buon Vivere” allo Zday 2014, la 6a

edizione della conferenza organizzata dal gruppo Zeitgeist di Verona, con il titolo“Quale futuro per la sostenibilità globale”. Anche durante alcuni incontri presso MagVerona e alcune assemblee di Naturalmente Verona mi è stato chiesto di presentarebrevemente il progetto e le sue caratteristiche. Durante la Festa di Primavera 2014 diVilla Buri ho realizzato e distribuito degli appositi biglietti da visita alle organizzazionipartecipanti. I soci-lavoratori e lavoratrici e i volontari di Mag hanno inoltre predispostouna scheda informativa nei loro banchetti durante questa ed altre feste, oltre a svolgereil ruolo di centro di informazioni continuativo per il progetto del portale, percomunicazioni sia telefoniche che in presenza.

Grazie a questi ed altri momenti di minore importanza ritengo di poter affermare chel'informazione sull'inaugurazione dello strumento è stata sufficientemente diffusaall'interno della comunità. Inoltre Andrea ha promosso la Rete del Buon Vivere comestrumento utile per la mappatura del territorio, e specificamente della “mappaturarelazionale”, nelle nuove reti “Si Può Fare” (regionale)42 e “Italia che cambia”

41 Rimane una possibilità inesplorata da questa ricerca ma di sicuro interesse il confronto tra la rete costruita sulla base delle collaborazioni attraverso Retebuonvivere.org e la rete dei contatti “virtuali” tra le pagine social delle organizzazioni.

42 La rete “Si Può fare”, in fase di formazione, è caratterizzata dalla presenza trasversale di rappresentanti di associazioni della società civile, amministrazioni comunali, istituti universitari e

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(nazionale). Nella “Carta d'Intenti della rete Si Può Fare”, ad esempio, si fa esplicitoriferimento a Retebuonvivere.org come ad uno degli «strumenti esistenti» per «mappareil territorio».

Servono pratiche concrete che ci orientino verso un modo diverso di vivere inquesto mondo, senza inventare a tavolino nulla, cercando quello che già esiste,valorizzandolo e togliendolo dall'isolamento. Si inizierà dagli strumenti giàesistenti nel nostro territorio, come la Retebuonvivere, la rete dei Comuni Virtuosi,i Contratti di Fiume, l'Università del Saper Fare, la Scuola dei Beni Comuni, leIniziative per la Transizione, le reti dei comitati ambientalisti, la rete degli ufficidiocesani sugli stili di vita, le reti e i distretti dell'economia solidale, la retedell'Italia che Cambia, il laboratorio per la sussidiarietà Labsus, ecc.

La prima azione sarà indirizzata a mappare nel territorio le realtà virtuose già inessere, evidenziando i processi in atto: contarci, conoscerci e condividere le nostrerisorse e i nostri strumenti, questa sarà la vera forza propulsiva di questa rete.(“Carta d’Intenti della rete Si Può Fare” 2015)

Quando il sito di “Italia che Cambia” era ancora in fase di progettazione ho contattatodirettamente gli sviluppatori per segnalare la possibilità di utilizzare il software opensource realizzato. Lo stesso ho fatto con gli sviluppatori di Economiasolidale.net, ilnuovo sito della Rete di Economia Solidale italiana.

Un secondo fronte su cui il gruppo di lavoro del portale si è attivato è la ricerca e ilcoinvolgimento di ulteriori persone nel gruppo stesso. In questo caso si può distinguerela ricerca di due tipi di ruolo: “amministratori tecnici” e “amministratori di rete”. Perquanto riguarda la prima categoria, come ho già segnalato, non è ancora stato trovatonessun nuovo collaboratore. Tuttavia, dopo aver inserito un annuncio sul sito dellacomunità italiana di Drupal abbiamo riscontrato un seppur limitato interesse da parte disviluppatori fuori Verona. Con la collaborazione di alcuni membri di Mag ho quindimesso a punto un sistema di pagamento dei compiti di sviluppo attraverso l'applicazionedi “taglie” che eventuali sviluppatori freelance possono riscuotere in cambio dellarealizzazione di nuove funzioni per il sito web43. Il sistema è stato testato ed è pronto perl'uso, ma non c'è ancora stato il tempo di procedere ad una effettiva sperimentazione sulcampo.

Al contrario il coinvolgimento di collaboratori nel ruolo di “amministratori di rete” èstato molto più produttivo. Da giungo a dicembre 2014 è entrata nel gruppo Lucia F.,studentessa di laurea magistrale in antropologia culturale presso l'Università Ca' FoscariVenezia, che ha svolto un tirocinio come “tecnico del marketing” presso Mag. Lucia si èrivolta a Mag mossa da un interesse specifico per il progetto della Rete del Buon Vivere.Nel tempo ha assunto un ruolo attivo in tutte le pratiche di promozione, comunicazionee coinvolgimento: telefonate, email, assistenza agli utenti per l'utilizzo del sito, gestionedelle “pagine social”, inserimento dei dati relativamente a progetti ed eventi di Mag,inserimento delle nuove organizzazioni, incontri con i responsabili delle organizzazioni,

persone individuali.43 A questo scopo abbiamo utilizzato il servizio Bountysource.

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partecipazione nel forum di discussione segnalando problemi del software,partecipazione alle riunioni operative del progetto e alla scrittura dei documenti tecnici ecosì via.

Il fatto che Lucia ed io condividessimo una formazione antropologica ha prodotto unparticolare tipo di collaborazione, il cui risultato più interessante è stata la creazione diun “diario di campo elettronico collaborativo”. In ottobre, dopo un incontro in cui eraemerso il tema del posizionamento del ricercatore/ricercatrice nelle ricerche in campi“vicini”, abbiamo iniziato a scrivere insieme delle note di campo relative all'evoluzionedel progetto del portale. Questa pratica è durata poco e non c'è stato il tempo sufficiente– personalmente parlando – a far cadere la cautela nei confronti dei pensieri condivisinelle note, che si sono mantenute piuttosto “descrittive”. Tuttavia l'esercizio è statosufficiente per intravvedere il potenziale della scrittura di note di campo a più mani, cuipossano contribuire molteplici antropologi impegnati in una stessa ricerca, daposizionamenti diversi; una pratica in uso nell'“era pre-malinowskiana” della disciplina(Sanjek 1990) e che recentemente sta tornando sotto i riflettori proprio per le nuovepossibilità offerte dalle tecnologie informatiche (Sanjek e Tratner 2015; Burrell 2015).

Dopo il termine del tirocinio di Lucia, Mag con la collaborazione di NaturalmenteVerona ha attivato il progetto di servizio civile “Cittadini/e attivi/e per l'economiasociale e la finanza etica” che nell'“Area Terzo Settore” prevede specificamente la«Promozione del progetto della Rete del Buon Vivere”. Il progetto è iniziato da poco e ipartecipanti iniziano ora ad assumere i primi compiti effettivi per quanto riguarda lagestione del sito internet.

Feedback su Retebuonvivere.org

Grazie a tutti gli incontri, le presentazioni, le telefonate, gli scambi di email, e lediscussioni informali e così via, è stato possibile raccogliere numerosi feedback da partedelle persone coinvolte nell'utilizzo dello strumento, dai quali si possono evidenziarealcuni temi ricorrenti. Il primo tema in ordine di rilevanza e di frequenza è quellodell'ostacolo costituito dal costo del servizio, segnalato da molti come eccessivo. Fin daprima della pubblicazione del sito avevo raccolto diversi feedback negativi sul prezzo,fissato sui €100 + iva per organizzazione per il primo anno e €60 per i successivi, siadurante le assemblee di Naturalmente Verona, che in altri incontri della comunità. Così,immediatamente dopo la pubblicazione abbiamo indetto una riunione con il gruppo dilavoro. Andrea ed io ci eravamo incontrati precedentemente per accordare i nostri puntidi vista come referenti per Naturalmente Verona e concordavamo sulla necessità diabbassare il più possibile il costo.

Il preventivo era stato pensato per coprire diversi capitoli di spesa, dallarealizzazione tecnica all'accompagnamento all'utilizzo, alla promozione, nell'otticadell'auto-sostentamento del progetto/bene comune. Per quanto riguarda la realizzazionetecnica, ho mostrato dei grafici che rappresentavano i contributi al codice, dai qualifigurava che Marco non era riuscito a contribuire allo sviluppo effettivo del sito in uso,

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Restituzione: costruzione dello strumento

principalmente per mancanza di tempo. Tuttavia aveva seguito lo sviluppo fino allasvolta open source, e per questo motivo ho proposto di riconoscergli soltanto ilcontributo al lavoro effettivo.

Per quanto riguarda la manutenzione tecnica, l'esigenza di garantire un servizio dicontrollo della sicurezza del sito (contro attacchi informatici che sono molto piùnumerosi di quanto non si pensi e colpiscono in modo indistinto ogni tipo diapplicazione online) era prioritario. Marco avrebbe potuto ricoprire il ruolo di“manutentore” del software, come preventivato. Però ho segnalato che, non avendotrovato il tempo per documentarsi, Marco non aveva ancora sviluppato le competenzeper farlo. Ho dato la mia disponibilità a seguire gli aggiornamenti di sicurezza, machiarendo la priorità di concordare l'abilitazione di Marco o di trovare un nuovo tecnico.Al momento tuttavia non c'erano spese per questa voce di costi.

Per il servizio di help desk e di affiancamento all'utilizzo ho dato la mia disponibilitàsia a collaborare direttamente (per conto di Naturalmente Verona) che ad insegnarequanto necessario a chiunque fosse stato delegato a tale compito. I costi di promozioneservivano a coprire le spese di promozione da parte di Mag e Naturalmente Verona.Tuttavia Naturalmente Verona rinunciava al rimborso per queste spese, semprenell'intento di ridurre i costi all'utente e nella consapevolezza che i fondi non sarebberocomunque stati sufficienti a creare un posto di lavoro a tal fine. L'amministrazione delsito era di competenza del gruppo di lavoro, e anche per questa voce NaturalmenteVerona rinunciava alla quota.

In base a queste argomentazioni, alla riunione è stata presa la decisione di dimezzarei costi preventivati, nella speranza che ciò favorisse una più ampia adesione da partedelle organizzazioni, pur permettendo di pagare il lavoro dei soci-lavoratori di Mag, cheavrebbero amministrato il sito, e nell'obiettivo di riuscire a pagare i servizi professionalidi un tecnico informatico qualora fossimo riusciti a trovarlo/a. Nonostante ildimezzamento, le attività di coinvolgimento hanno permesso di riscontrare il persisteredelle riserve da parte di diversi potenziali utenti del sito nei confronti del costo. Si devetenere presente che Retebuonvivere.org, al di là del grafo della rete che è una funzionetutt'ora piuttosto innovativa anche se rudimentale, offre servizi di base che moltesoftware houses offrono gratuitamente44 e con una qualità indiscutibilmente migliore (adesempio Facebook o Google). La specificità di Retebuonvivere.org rimane quella diessere uno strumento circoscritto ai membri della rete di comunità di pratiche dellasocietà civile e all'economia solidale locali, e di avere un potenziale di sviluppocomunitario (cioè permettendo alle organizzazioni locali di partecipare direttamente alprocesso decisionale sullo sviluppo del software).

Dopo un incontro con Loredana e Lucia, abbiamo quindi deciso di attivare degliulteriori accorgimenti per eliminare anche il più minimo ostacolo alla partecipazione sulfronte dei costi. Attraverso un articolo sul blog dal titolo “Tutte/i possono partecipare”

44 I servizi nominati non presentano costi obbligatori per l'utente finale, tuttavia prevedono altri modi di finanziamento, in particolare la presenza di pubblicità e l'offerta di servizi aggiuntivi a pagamento.

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abbiamo dato diffusione alle tre «opzioni di accessibilità» ideate.

Rateizzazione personalizzata: chi desidera dilazionare nel tempo il pagamentoattraverso rate personalizzate (ad esempio mensili) può specificarlo nella schedad'adesione e contattarci direttamente. Saremo lieti di elaborare insieme un pianoper venire incontro ad ogni esigenza.

Spostamento del primo pagamento: alcuni ci hanno detto che non è un buonmomento. Potete entrare in Retebuonvivere.org subito e spostare il pagamento adun momento migliore. Specificatelo nella scheda d'adesione e contattateci perconcordare questa opzione. Valuteremo insieme l'approvazione.

Adesione a quota ridotta: E per chi non riesce comunque ad inserire questopagamento nel budget annuale? Anche in questo caso vogliamo dare la possibilità atutti di partecipare. Selezionate questa opzione nella scheda d'adesione, spiegate lavostra motivazione e contattateci direttamente. Insieme valuteremo l'approvazionecon l'obiettivo di ridurre il più possibile gli ostacoli alla partecipazione.

Il risultato è una mediazione tra il desiderio di offrire un servizio al minor costopossibile e la necessità di riconoscere il lavoro di gestione del servizio. Infatti nonabbiamo ulteriormente abbassato la soglia dei €50 + iva per il primo anno, ma abbiamoattivato la possibilità di ritardare il pagamento, di dividere la somma in rate mensili e diaccedere a quota ridotta. Tutte le richieste di accesso a queste opzioni sono da valutarecon il gruppo di gestione del portale, che ancora una volta si impegna a mantenere ilprincipio della “porta aperta”, accettando le richieste per motivazioni coerenti, “fino aprova contraria”.

Nell'articolo del blog e nelle successive occasioni abbiamo inoltre ricordato che gliutenti possono contribuire in tanti modi oltre al pagamento della quota di iscrizione. Neabbiamo elencati cinque, tra i quali il più importante e il meno costoso è senz'altro ilpassaparola, cui seguono la partecipazione al forum di discussione e in generale lacondivisione delle proprie idee o feedback sul progetto.

Siete appassionati/e di grafica e di informatica? Per voi è facile, basta unirsi algruppo di sviluppo!

Vi interessate di bandi europei e altri fondi? Potete cercare dei finanziamenti perretebuonvivere.

Ma soprattutto potete passare parola, coinvolgere altre associazioni, gruppi dicittadini, imprese che condividono lo spirito dell'economia solidale, oppuresemplicemente persone interessate.

Condividete il vostro pensiero su retebuonvivere nel forum di discussione. Ciaiuterà a migliorare.

Avete proposte originali? Benvenuti e benvenute nella rete.

Nello spirito dei beni comuni è importante che le attività di gestione, promozione ecoinvolgimento siano condivise e distribuite nella comunità degli utenti, anche se comeemerso dall'esperienza di Naturalmente Verona è necessario un qualche sistema

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Restituzione: costruzione dello strumento

attraverso cui mantenere nel tempo il ruolo gestionale/coordinativo.Abbiamo scelto questa soluzione (lasciare la quota invariata e aggiungere opzioni di

accessibilità e indicazioni sui modi di contribuire) per non dare la falsa impressione chela quota di iscrizione fosse un costo “aggiuntivo”. Al contrario abbiamo specificato chela quota è parte integrante della gestione del «progetto nell'ottica dei beni comuni:condividiamo i costi e i risultati!». Paolo e Loredana hanno sottolineato come ilsostegno anche economico dell'attività costituisca un importante elemento della presa di«responsabilità» da parte della comunità e che la totale gratuità del servizio avrebberidotto il senso di responsabilità. Ho insistito affinché si facesse esplicito riferimento allinguaggio dei beni comuni perché dal fieldwork era emerso chiaramente che essocostituiva una tendenza recente della comunità locale che non si poteva dare perscontato. Per questo nell'articolo di “AP” (Marchi 2014), ho inserito una sezione daltitolo “Uno strumento/bene comune” e ho inquadrato esplicitamente il pagamento dellaquota nel frame dell'auto-finanziamento caratteristico dei beni comuni, riportato eampliato poi nel blog con il titolo “Questo è già 'un altro mondo possibile'”. Di unadecina di organizzazioni che hanno aderito al portale dopo l'attivazione delle “opzioni diaccessibilità”, soltanto una ne ha usufruito (ottenendo l'accesso gratuito).

Un secondo feedback si riferisce alla complessità delle strutture reticolari delleorganizzazioni che hanno aderito al sito. La questione è emersa durante l'incontro con iresponsabili della cooperativa “La Genovesa”. L'incontro si è svolto presso la sede dellacooperativa ed io svolgevo il compito di assistente all'interno del servizio di“accompagnamento al primo utilizzo”. La difficoltà che gli operatori Chiara e Pietroriscontravano risiedeva nella mappatura tra la struttura relazionale della rete de “LaGenovesa” e la struttura relazionale del grafo della Rete del Buon Vivere. La rete cui imembri de La Genovesa si riferiscono come «la nostra rete»45 è costituita dalla fattoriadidattica “La Genovesa”, dalla cooperativa di reinserimento socio-lavorativo “GnomiVerdi”, dall'associazione di promozione sociale “I-Care”, e dalla cooperativa “LaGenovesa” che rappresenta in particolare la comunità terapeutica e l'azienda agricolabiologica. Come è facile intuire questi nodi diversi rappresentano diverse “anime” dellastessa comunità. Si veda il caso di “Gnomi Verdi”.

“Gnomi Verdi” nasce innanzi tutto come esperienza che possa supportare l'attivitàdella Comunità Terapeutica “La Genovesa” nella fase finale dei percorsiterapeutici: il reinserimento socio-lavorativo. Proprio per la delicatezza che questariveste, alla luce dell'esperienza precedente, si è valutata la nascita di un nuovosoggetto cooperativistico di tipo B quale strumento fondamentale per creareopportunità di lavoro in un ambiente protetto, senza però perdere mai di vista ilvalore di fondo di creare al contempo autonomia economica e professionalità pertutti i soci lavoratori. (“Gnomi Verdi | La Genovesa Cooperativa Sociale Onlus”2015)

Il passaggio chiarisce che nell'evoluzione storica della cooperativa è sorta la necessità di

45 Si veda la sezione chiamata appunto «La nostra rete» del sito internet de “La Genovesa” (“La nostra rete | La Genovesa Cooperativa Sociale Onlus” 2012).

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Capitolo 5

dare «nascita» ad «un nuovo soggetto cooperativistico» che si occupasse specificamentedi un settore di attività della cooperativa originale. Motivi simili sono alla base dellanascita di altre strutture reticolari riscontrate sul campo, come l'associazione divolontariato Amici di Villa-Bosco Buri, nata un anno dopo Villa Buri onlus, peroccuparsi principalmente della cura del parco e coinvolgere volontari. Anche MagMutua e Mag Servizi sono due nuclei di un sistema unitario, specializzati in diverseattività.

Le osservazioni sulla genesi di queste strutture, più complesse della struttura bipartitaorganizzazione = soggetto (o source) e progetto/attività = oggetto (o target), ha offertoanche la soluzione al problema dell'inserimento nel sito. Il problema in questi casi è checosa gli interlocutori considerano organizzazione e che cosa progetto/attività. Lasoluzione che abbiamo elaborato con Chiara ricalca l'osservazione di Butts riportata piùsopra. Ai fini dell'analisi è importante «includere tutte le entità distinte che sono ingrado di partecipare alla relazione in esame» (Butts 2009: 414). In un grafocollaborativo che coinvolge i soggetti stessi nella rappresentazione, è importantepermettere alle “entità” di partecipare attivamente esercitando il proprio ruolo di“soggetto” nelle relazioni di collaborazione rappresentate. Quindi, anche nei sistemireticolari complessi, ogni nodo che si desideri attivare come soggetto autonomo dellecollaborazioni può essere considerato un'organizzazione. In base a queste considerazioniabbiamo creato due schede di tipo organizzazione, una per La Genovesa e una perGnomi Verdi. In qualsiasi momento si decida che anche la fattoria didattica ol'associazione I-Care debbano apparire come soggetti di determinate relazioni dicollaborazione, basterà aprire le corrispondenti “schede organizzazione”46.

Come segnalato al termine della prima fase dell'esperimento di campo, ciò cherimane apparentemente escluso da questa struttura dati bipartita sono le reti specifiche,come appunto la rete La Genovesa, la rete di Villa Buri, la rete Mag, la rete degli orticollettivi, la rete di Naturalmente Verona, il circuito Scec, ma anche molte altre che nonho avuto modo di seguire sul campo ma di cui ho intravisto la presenza, ad esempio:rete del CSV (Centro Servizi Volontariato della Provincia di Verona) gestito dalla“Federazione del Volontariato di Verona Onlus”, il «cartello» “Nella mia città nessuno èstraniero”, la rete del commercio solidale de “Le Rondini”, la rete “Verso il 21 Marzo”(di cui fanno parte Banca Etica, Libera e altri soggetti), il coordinamento tra leassociazioni ambientaliste, e molte altre reti e micro-reti locali. Come abbiamoosservato in un apposito incontro con Loredana e Lucia, molte delle organizzazioni chepartecipano alla Rete del Buon Vivere sono parte di altre reti: reti territoriali, reti disettore, reti costruite sulla base di obiettivi specifici, e così via. È importante riconoscerequeste reti ed offrire lo spazio necessario all'interno dello strumento di rete creato.

Questo tipo di strutture reticolari sono soltanto apparentemente escluse dalla strutturadati adottata in quanto è possibile inserirle come “progetto/attività” a cui tutte le

46 È inoltre in cantiere una funzione per “trasformare” un nodo di tipo progetto/attività in uno di tipo organizzazione.

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Restituzione: costruzione dello strumento

organizzazioni partecipanti possono essere connesse da collaborazioni. Come prova diquesta ipotesi ho inserito il progetto/attività “Arcipelago SCEC - Isola Veneto, Trentinoe Alto Adige” cui le organizzazioni che aderiscono possono connettersi. Come ho giàosservato, ritengo che questa soluzione possa portare in primo piano le reti di pratichepoiché richiede ai soggetti di rappresentare le reti come attività svolte in comune e dispecificare la temporalità delle collaborazioni. Potrebbe però essere molto interessanteun confronto tra la rete costruita in questo modo e quelle costruite attraverso le adesioniformali raccolte dalle organizzazioni capofila delle specifiche reti locali.

Un terzo argomento emerso dai feedback derivati dall'utilizzo dell'applicazione siriferisce all'accettazione di nuove organizzazioni nel grafo. La questione, che ha quindia che fare con il tema dei confini della comunità, è emersa quando ho ricevuto larichiesta di adesione da un albergo ecologico situato in Messico, appartenente alla reteMag. Dalla consultazione interna con il gruppo di lavoro è risultata la strategia dellaporta aperta già nominata, consistente nell'accettare ogni richiesta che abbia un sensoper il progetto e fino a prova contraria. La “Posada ecologica” aveva un posto all'internodella rete di turismo responsabile, che aveva senso non limitare al territorio locale e perquesto è stata accettata. Allo stesso modo anche il progetto Scec veronese è di ambitointerregionale, così come il progetto di PDO Biosol. La corrispettiva riflessione suiconfini della comunità ha spostato maggiormente l'attenzione sulla vicinanza relazionalerispetto alla vicinanza geografica, pur mantenendo il senso generale di uno strumento“locale”. I confini di questa tipologia di “locale” non sono quindi dettati da una lineageometrica di demarcazione, o da un particolare attributo condiviso da tutti i membri,ma dai contatti e dalle relazioni di rete. Non sempre questi coincidono con il limiteterritoriale.

Un ulteriore feedback ha riguardato invece il livello di organizzazione semantica e diimpaginazione dei contenuti nel sito. In particolare il sito è stato descritto come caoticoe poco chiaro, sia per l'eccessivo proliferare di parole chiave, sia per la disposizionedegli elementi nelle pagine. Si tratta di osservazioni condivisibili. Il fatto i sistemi dietichettatura libera generino “disordine” è conosciuto in letteratura. Friedman adesempio elenca diverse cause di disordine, tra cui gli errori di battitura, l'utilizzo diparole chiave ambigue, la creazione di schemi incoerenti (Friedman 2005). Altriproblemi tipici derivano dalla arbitrarietà dei giudizi degli utenti nel classificare i propricontenuti (Cripe 2007: 10), dall'utilizzo di termini in voga allo scopo di attirarel'attenzione (anziché descrivere il contenuto) e dalla proliferazione di sinonimi. Almomento sono stati inseriti 253 termini dagli utenti del sito. Le principali cause didisordine sono la presenza di forme alternative della stessa parola (es. “corsi” e “corso”oppure “responsabilità sociale impresa” e “RSI”), traduzioni dei termini in linguediverse (es. “fatto a mano” e “handmade”) ed errori di inserimento derivati dalladimenticanza della virgola per separare le parole chiave tra loro (che danno origine adesempio a “Closlieu Educazione Espressione”).

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Capitolo 5

La maggior parte di questi problemi possono essere affrontati attraverso strumentitecnici, cioè particolari funzioni del software che favoriscono la partecipazione degliutenti stessi nell'attività di gestione e sistemazione della folksonomy. Il più semplice, el'unico già implementato, è la possibilità di rinominare i termini. Nel sito i termini ditassonomia sono infatti contenuti condivisi tra tutti gli utenti con ruolo “membro diorganizzazione”, i quali possono modificarne il nome e la descrizione, contribuendo arenderne più chiaro e condiviso il significato. Altri strumenti noti agiscono in un certosenso nella direzione opposta, cioè evidenziando relazioni di vario genere tra termini“vicini” in modo da poter raggruppare termini apparentemente distinti e ridurre così ilnumero totale apparente. Le relazioni tra termini possono essere “di traduzione”, con lapossibilità di specificare forme in lingue diverse per lo stesso termine; “gerarchiche”,con la possibilità di specificare una struttura tassonomica (ad es. i termini “film” e“cineforum” potrebbero essere facilmente raggruppati sotto il termine “cinema”); einfine relazioni “di significato”, con la possibilità di indicare un termine come sinonimodi un altro. Un ulteriore strumento diffuso nella gestione delle folksonomies è lapossibilità di unire più termini collegati in uno (merging). A questi strumenti classici siaggiunge (sulla scia degli esperimenti con le parole chiave ideati da Paolo) la possibilitàdi visualizzare un grafo delle correlazioni tra parole chiave della folksonomy esettori/categorie del vocabolario ristretto, per identificare una struttura di organizzazionedei significati (quali parole chiave vengono associate a quali settori), che potrebbefavorire l'emergere di ordine (figura 39).

Tutti questi strumenti richiedono un livello di gestione da parte degli utenti che hogiudicato prematuro per l'attuale stato di partecipazione nell'utilizzo dello strumento.Per quanto riguarda la scarsa chiarezza del layout delle pagine del sito, segnalo soltantoche il problema può essere risolto con una revisione del design dell'applicazione, che èfuori dalle priorità di questa ricerca. Tuttavia è importante prendere nota del fatto che,come in qualsiasi altro tipo di prodotto della ricerca, fattori relativi al design dellapresentazione incidono sul livello di disseminazione e di partecipazione riscontrata.

Il quinto feedback che desidero segnalare è in un certo senso un “non feedback”poiché consiste nella constatazione dello scarso livello di utilizzo del forum didiscussione. Attualmente soltanto cinque persone hanno partecipato al forum inserendoin totale sei discussioni e qualche commento, in alcuni i casi su mia sollecitazione.Tuttavia ciò non indica semplicemente una scarsità di partecipazione. Infatti nei 21 mesidi attività del sito ci sono state numerose comunicazioni relative agli argomenti trattatinel forum (inseriti da me) o che sarebbero potuti essere trattati nel forum, a beneficiodelle discussione pubblica o di gruppo o della semplice diffusone della conoscenza nellacomunità. Gli interlocutori hanno preferito servirsi di comunicazioni private, via email,telefono o in presenza.

Descrivo brevemente tre episodi per dare conto delle diverse situazioni emerse.Massimo dell'impresa P&M Eventi ha inviato una richiesta di assistenza via email,

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Restituzione: costruzione dello strumento

chiedendo esplicitamente come inserire gli eventi e perché la sua organizzazione nonfosse visibile nel grafo delle collaborazioni. Entrambi i due argomenti sono chiaramentedi beneficio per tutti gli utenti e la risposta personale che ho inviato è valida perchiunque. Per questo ho trasferito gli argomenti in apposite discussioni nel forumpubblico. Ho adottato questa modalità per tutte le questioni che avessero il potenziale“pubblico”, e ove possibile ho citato le situazioni da cui sono scaturiti i feedback o leproposte.

Il secondo momento consiste nel lungo scambio di email avvenuto tra me e StefanoM., un nuovo collaboratore del progetto Biosol, sull'organizzazione della “Festadell'alimentazione naturale Girortolando Biosolidando”, a cura di Naturalmente Veronaed altre organizzazioni. In questo caso ero stato contattato specificamente comereferente per il progetto Retebuonvivere, per valutare come l'applicazione potesse essereutilizzata per aiutare l'organizzazione della festa. Sono stato alla prima riunioneorganizzativa dove ho ascoltato la descrizione dell'evento e ho dato la mia disponibilitàa sviluppare eventuali nuove funzioni del sito a patto che fossero funzionipotenzialmente utili all'organizzazione di altri progetti, cioè esplicitando che per mesarebbe stato necessario un passaggio di livello di astrazione rispetto al particolareprogetto in questione. Da lì è iniziato uno scambio di email in cui le proposte di Stefanosi sono organizzate su due livelli: nuove funzioni del sito (come la possibilità discambiarsi ricette e di “votare” le ricette degli altri); ed evoluzione generale del sito(diventando una «piattaforma per la creazione e gestione di eventi»).

In tutte le email di risposta ho tentato di convincere il mio collaboratore a spostare ladiscussione sul forum pubblico, a beneficio di altri potenziali interessati e a vantaggiodelle proposte stesse, poiché avrebbero potuto raccogliere altri consensi e commentioltre ai miei. La mia insistenza ha “costretto” Stefano ad esplicitare il suo punto di vistain una email (21 agosto 2014): «Non ho scritto subito nel forum perché non sapevo (enon ho ancora capito) se interessa, a te e a quelli che collaborano con te, uno sviluppo diretebuonvivere.org nel senso descritto dalla mia e-mail». Il passaggio chiariscel'esistenza di una preferenza per la discussione privata, almeno nella fase della“proposta”. Il mio punto di vista era esattamente opposto, convinto dell'importanza dicondividere in particolare le proposte, poiché è proprio in questa fase che commenti,feedback e idee di altre persone possono avere maggiore potenziale di rendere piùcondivisa l'eventuale decisione sullo sviluppo del sito.

Il terzo episodio coinvolge invece Andrea, forse il più entusiasta sostenitore delprogetto della Rete del Buon Vivere e anche specificamente del forum di discussione.Nel tempo ci sono stati innumerevoli momenti in cui Andrea ha condiviso via emailinformazioni che avrebbero potuto trovare uno spazio legittimo nel forum. Alcune le hotrascritte io, ad esempio la convocazione per l'ultima assemblea di NaturalmenteVerona, altre sono rimaste discussioni “private”. Si veda a questo proposito il caso dellasegnalazione di Retebuonvivere.org tra gli “strumenti esistenti” da cui partire per

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realizzare la mappatura del territorio ipotizzata nel nuovo progetto di rete “Si può fare”(p. 310). È chiaro che la comunicazione avrebbe potuto essere apprezzata da tanti utentidel sito, che avrebbero potuto scoprire la presenza di un particolare interesse per lostrumento da loro utilizzato, anche fuori dalla comunità di pratiche locale. Lacondivisione dell'informazione aveva anche il potenziale di dare prestigio allostrumento.

Tuttavia, la comunicazione personale che Andrea mi ha inviato presenta deglielementi che la distinguono da una potenziale discussione pubblica. Ne evidenzio uno,che può essere astratto dal caso specifico ed illuminare l'intera questione dello scarsoutilizzo del forum. La comunicazione privata tralascia molti elementi del messaggiopoiché il mittente dà per scontato che il destinatario già li conosca, specialmente quellirelativi al contesto. In questo modo la comunicazione può essere molto “leggera” eveloce, utilizzando poche parole. Andrea ed io avevamo già discusso della suapartecipazione all'incontro della nuova rete veneta. L'email inviatami serviva per darmiuna conferma dell'inserimento del sito nell'elenco degli “strumenti esistenti”: una“questione di due righe”. Se Andrea avesse dovuto inserire la stessa informazione in unadiscussione pubblica nel forum, avrebbe dovuto almeno inserire un riferimento alprogetto, utilizzare parole più precise, investendo un po' più di tempo.

Gli episodi descritti evidenziano alcuni elementi che ho riscontrato in molte altresituazioni. Innanzitutto esiste una preferenza per la discussione privata (o comunqueristretta a poche persone) per quanto riguarda le richieste di informazioni e le proposte.In secondo luogo le comunicazioni private sono generalmente più rapide e “leggere”rispetto a quelle scambiate in pubblico. Questa velocità degli scambi di informazioni haperò un costo poiché aumenta il livello di imprecisione, che può generareincomprensioni nelle relazioni, come testimoniato da alcuni esempi tratti dal fieldwork(in particolare la relazione con lo sviluppatore dell'applicazione e la relazione tra imembri del progetto Bioloc).

Questi elementi confermano l'idea di Mag (si veda p. 213) secondo cui deve ancoraessere pienamente compreso il valore della “messa in comune”, indicata come l'“oro”che “sta nelle mani” delle organizzazioni della comunità di pratiche già motivate daldesiderio e dal “partire da sé”. Inoltre, come messo in evidenza anche dalla ricerca diSilvia sulla rete Mag, manca anche una profonda consapevolezza degli strumenti e dellepossibilità per «poter mettere in circolo informazioni in modo semplice ed efficace» (siveda p. 233), e fare quindi in modo che «l'esperienza» di queste organizzazioni nonrimanga chiusa in contesti limitati, ma diventi moneta circolante, sapere diffuso, “linguacorrente”». Ad esempio è importante sottolineare come anche le comunicazionepubbliche possano essere rapide grazie all'utilizzo dei link ipertestuali e dellecondivisioni. Gli interlocutori stessi utilizzano questo tipo di pratiche in modo diffusoquando pubblicano contenuti o condividono contenuti di altri attraverso il socialnetwork Facebook. Allo stesso tempo, utilizzando link ipertestuali a pagine di

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Restituzione: costruzione dello strumento

approfondimento e altri commenti, anche le comunicazioni private possono diventarepiù precise con pochissimo investimento di tempo.

Quest'ultima osservazione apre all'ultima questione con cui concludo questa rassegnasui feedback raccolti. Si tratta di un argomento ambivalente per cui, da una parte è stataspesso segnalata l'esigenza di connessione e automazione di Retebuonvivere conFacebook, dall'altra è stato spesso criticato il fatto che lo strumento realizzato non servein quanto la rete che intende sostenere è una rete «reale» e non virtuale, come inveceviene giudicato lo strumento. La richiesta di integrazione con Facebook è più checomprensibile. Quasi tutte le organizzazioni della comunità hanno infatti una paginadedicata su Facebook, inseriscono regolarmente delle pagine specifiche per gli eventi inprogrammazione, e anche i singoli membri della comunità hanno un profilo personaleregistrato. Alcuni membri sono molto attivi online e pubblicano (o più spessocondividono) contenuti molteplici volte al giorno. Inoltre nel periodo del fieldwork hoindividuato più di 30 “gruppi facebook” inerenti alla società civile di Verona, che vannodalle comunità centrate su specifiche organizzazioni (ad esempio il “Gruppo BancaEtica Verona”), a gruppi di discussione su tematiche specifiche (come “Salute Verona”)a gruppi di discussione trasversali (come “Cittadini oltre la Crisi”).

La diffusione nell'utilizzo di questo social network nella comunità di interlocutrici einterlocutori è talmente vasta che all'inizio dello sviluppo del sito web ho ipotizzato, esono tutt'ora convinto, che avrebbe avuto più successo la creazione di una “facebookapp”, cioè di un'applicazione con cui gli utenti potessero interagire dall'interno diFacebook. In particolare è proprio la funzione del forum di discussione ad essere “incompetizione” con l'eccellente sistema di condivisione di contenuti offerto(gratuitamente per l'utente finale) da Facebook. Fin dall'inizio avevo segnalato checercare di “spostare” il flusso di comunicazione da Facebook ad un'applicazione menoefficiente e più circoscritta sarebbe stata una battaglia persa47. Come ho messo inevidenza nell'analisi dell'approccio “della cabina di regia” al coordinamento (p. 201), lepersone che interagiscono all'interno delle comunità della società civile, dellacittadinanza attiva e dei beni comuni hanno già tanti canali di comunicazione. Nel casodella comunità veronese i mezzi tecnologici più utilizzati sono, per le comunicazioniprivate o intra-gruppo in tempo reale: la chiamata vocale e il messaggio istantaneo (sms,e altri servizi di messaggistica istantanea). Per le comunicazioni asincrone: email e varisistemi di liste di distribuzione. Per le comunicazioni extra-gruppo pubbliche o con le

47 Questo argomento è emerso anche durante la discussione dell'incontro del LEMS (Laboratorio di Etnografia dei Movimenti Sociali, Università di Modena e Reggio-Emilia, Università di Milano-Bicocca) tenutosi a Modena il 6 e 7 marzo 2014, cui ho partecipato per presentare il mio lavoro di ricerca. In quel caso era il gruppo di antropologi a proporre uno strumento alternativo a Facebook per favorire la comunicazione interna tra i membri del laboratorio. È stata segnalata l'esistenza di un social network specifico per favorire la collaborazione in antropologia, che molti dei presenti non conoscevano. Si tratta di “Open Anthropology Cooperative” fondato dall'antropologo economico Keith Hart nel 2009 (Hart 2009). Tuttavia l'opinione di chi conosceva questo strumento era che l'interazione online anche tra antropologi continui ad utilizzare altri media, tra cui principalmente Facebook.

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proprie cerchie sociali allargate: social network (tra cui la quasi totalità preferisceFacebook) e comunicazioni tipo stampa (articoli su quotidiani e riviste cartacee, articolisu giornali e blog online, locandine e volantini).

Date queste preferenze, non è quindi un caso che nemmeno Andrea e Loredana, i duesostenitori principali della creazione di un forum come «luogo di discussione», non loabbiano utilizzato e continuino a pubblicare e interagire quotidianamente su Facebook.Senza contare che i membri più centrali della comunità di pratiche vivono unacontraddizione proprio a proposito dell'obiettivo di creare uno strumento “separato”,come la Rete del Buon Vivere. Da un lato desiderano distinguere e dare “forza”all'economia “solidale”, “sociale”, “reale” o “alternativa” rispetto all'economia“tradizionale”, “capitalistica”, “estrattiva”, “distruttiva”; dall'altro desideranocoinvolgere gli “altri” e non isolarsi da loro. Queste due tendenze, come ricorda Paoloper Villa Buri (p. 124) rischiano di creare un «controsenso» ed è necessario un «saltoculturale» (nelle parole di Paolo) o un «salto di qualità» (nelle parole di Loredana) perriuscire a “fare in rete”, “condividere” e “mettere in comune” le esperienze e lepotenzialità delle tante piccole organizzazioni presenti.

Con questo non intendo dire che la Rete del Buon Vivere non abbia senso comeprogetto e che sarebbe meglio se gli interlocutori si concentrassero sull'utilizzo deisocial network più diffusi. Il software sviluppato ha un grande ruolo nel dare forma adun'immagine della rete che sia al contempo unita e plurale – cioè complessa – e nelfornire uno strumento di auto-riflessione per la comunità. Ma non è nel fornire un nuovo“spazio di discussione” che sta il punto di forza del software sviluppato. Piuttosto èimportante riconoscere l'esistenza dei canali di comunicazione realmente utilizzati esviluppare un'integrazione con essi per creare sinergie ed ottenere degli strumenti piùadatti alle esigenze dei membri della comunità.

Faccio tre esempi di integrazioni possibili con le tecnologie comunicative utilizzate.La prima proposta è di creare una sezione dell'applicazione che permetta di visualizzaretutti gli articoli pubblicati sui blog e sui siti internet delle organizzazioni inserite deldatabase, attraverso la tecnologia dei web feeds. La maggior parte delle organizzazioniha un sito internet o un blog e la maggior parte di questi utilizza un formato standard perla diffusione degli aggiornamenti. In breve, quando qualcuno pubblica sul sito dellapropria organizzazione un nuovo contenuto, viene generato anche un estratto che siaggiunge nella lista dei feeds del sito che funziona come un canale di informazioni.Chiunque può mettersi in ascolto di quel canale e ricevere l'aggiornamento,visualizzando l'anteprima del contenuto e cliccare eventualmente su un link perraggiungere il sito originale. Retebuonvivere.org può facilmente diventare un“aggregatore” di feeds, aggiungendo tutti i canali relativi ai siti delle organizzazionipartecipanti e mostrando tutti i contenuti come una sorta di “rivista della rete”sfogliabile.

La seconda proposta coinvolge l'integrazione delle comunicazioni email

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Restituzione: costruzione dello strumento

nell'applicazione web. Poiché il database ospita pagine relative a soggetti ed attivitàdella rete, sarebbe di notevole vantaggio per gli utenti poter iscriversi agliaggiornamenti via email sull'inserimento dei nuovi contenuti sul sito e sulla modificadei contenuti presenti. Ad esempio, le persone interessate a rimanere aggiornate sugliappuntamenti relativi al tema dell'ambiente nel proprio territorio, potrebbero iscriversial settore “natura” o alla parola chiave “ambiente”. In questo modo, ogni volta che nelsito viene inserito o modificato un contenuto (organizzazione, progetto/attività, evento,discussione) con quelle etichette il software potrebbe inviare una email di notifica allepersone interessate. Si tratta di una soluzione molto utilizzata da strumenti social disettore, come ad esempio il sito di domande e risposte “Stackoverflow”, che Marco edio abbiamo consultato spesso durante la fase di sviluppo dell'applicazione.

La terza proposta è l'integrazione con Facebook (ed eventualmente altri socialnetworks). Questa può avere diversi aspetti. La funzione più richiesta è di importare sulcalendario condiviso di Retebuonvivere in modalità automatica tutti gli eventi pubblicatidalle organizzazioni della comunità sul social network. Una funzione di carattere piùpromozionale prevede la pubblicazione automaticamente su Facebook di “traguardi”(un particolare tipologia di messaggi), ad esempio quando una nuova organizzazioneaderisce alla rete. Una funzione indicativa dell'importanza del riconoscimento deisistemi di comunicazione già in uso tra gli interlocutori consiste nel far proprio unodegli obiettivi originali delle “Pagine Arcobaleno” ripreso nella Rete del Buon Vivere,cioè di offrire «una guida ai consumi e ai comportamenti sostenibili» per la cittadinanza,e fornire anche una guida ai “gruppi facebook” ed altri. Retebuonvivere potrebbe fornireuna panoramica dei gruppi di discussione online utilizzati nel territorio, attraverso laquale i cittadini e le cittadine desiderosi di “attivarsi” e partecipare potrebbero essereaiutati a scegliere i gruppi più adatti a loro.

Come ho anticipato, l'argomento in esame è ambivalente poiché se alcuni richiedonouna più ampia integrazione con i sistemi di interazione online più diffusi, altri sirifiutano di utilizzare il sito proprio perché ritengono che la rete delle relazioni sia unarete offline, che gli strumenti informatici di comunicazione non possano supportare lerelazioni reali. La critica che viene rivolta sostiene che attraverso un software non sipossono “coltivare le relazioni” e che in generale la “rete telematica” non può“sostituire” la rete delle relazioni “in presenza”. Anzi, le comunicazioni virtuali spessoinibiscono la “vera” partecipazione e “tendono lontane” per persone. Questi critici nonvogliono perdere tempo nel “coltivare relazioni nella rete virtuale”, poiché sonoimpegnati a “coltivare le relazioni nella rete reale”.

A mio parere questa critica, pur introducendo degli importanti elementi di riflessione,è frutto di un fraintendimento e non è un caso che le persone che l'hanno espressa nonhanno mai tentato di utilizzare il grafo e il sito internet. Si tratta di una critica “a priori”e genericamente rivolta nei confronti delle telecomunicazioni digitali. Se provassero adutilizzare lo strumento, scoprirebbero che le relazioni disegnate nel grafo non sono un

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surrogato delle relazioni reali; sono invece una “rappresentazione”, un disegno che puòessere d'aiuto per cambiare prospettiva ed illuminare un aspetto della realtà relazionalespesso trascurato nella vita quotidiana, cioè la complessa interconnessione tra leorganizzazioni. Si accorgerebbero inoltre che il sito è stato progettato appositamente pernon richiedere una presenza online prolungata da parte degli utenti, cosa che invece èl'obiettivo dei tradizionali social network. Le informazioni che vengono richieste agliutenti-membri della rete sono informazioni il cui tempo di aggiornamento è piuttostolungo. Un'organizzazione non ha che pochi progetti/attività all'anno e i dati di questeattività cambiano con scarsa frequenza. L'obiettivo implicito del software è che leorganizzazioni condividano tra loro sistematicamente i propri dati sulle collaborazioniad attività e progetti, informazioni che già autonomamente pubblicizzano sotto forma divolantini, locandine, pagine web ed altro materiale informativo.

Il sito della Rete del Buon Vivere è uno strumento digitale ideato per permettere allarete di comunità di pratiche di creare una rappresentazione di se stessa, delle suecomponenti, delle sue linee di evoluzione. Invece viene spesso frainteso come unostrumento per creare nuove relazioni e per coltivare quelle esistenti. È possibile chenuove relazioni vengano innescate dall'utilizzo dello strumento; ad esempio attraversol'utilizzo dell'etichettatura libera qualcuno potrebbe cercare una parola chiave cui èinteressato, scoprire un'organizzazione impegnata in quell'ambito e tentare di instaurareuna relazione con essa. Oppure membri di due organizzazioni potrebbero interagire nelforum di discussione. Tuttavia ciò rappresenta una semplice occasione di conoscenza odi scambio, non è detto che porti ad un incontro o che rinforzi una relazione; è soltantoun effetto collaterale della creazione di uno strumento di comunicazione per unacomunità in formazione. Soprattutto, la possibilità di questo tipo di conoscenza preesistealla Rete del Buon Vivere ed è insita nella rete internet stessa e nei tanti strumenti giàesistenti.

Anche nei casi in cui questa critica non è presente, e si riscontra un atteggiamentofavorevole nei confronti del particolare strumento costruito, appare comunque questofraintendimento di base. Si veda ad esempio il seguente passaggio estratto dal momentoconclusivo del CdA allargato di Mag del 12 gennaio 2014 in cui M. Teresa G., che hapresieduto il consiglio, si appresta a concludere la giornata con alcune riflessioniriassuntive della discussione avvenuta.

Alcune riflessioni: le dico proprio così, senza aver strutturato il discorso.

Quando parlavate delle fatiche di coltivare il proprio orto, la difficoltà appunto diesserci in presenza perché tutto quello che ci passa via internet o altri tipi dimessaggi… cioè questo succede ovviamente anche a noi alla Mag, anche a mepersonalmente. Questa sera dove vado? Avrei da scegliere chissà quante occasioni,anche sollecitate da voi, bellissime cose che fate voi, prendete quelle di […] “PontiOnlus” che hanno tanta comunicazione buona, via internet, per lo meno a mearrivano tutte le loro iniziative… Tante sollecitazioni, eccetera, e ogni volta mi dico“guarda che bella [cosa] che fanno” e mi dispiace di non poter esserci. E così tantedi voi.

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Restituzione: costruzione dello strumento

Però probabilmente è imprescindibile esserci in presenza. Io credo che non si possafare a meno. Bisognerà anche scegliere quali presenze, ma bisogna esserci. E senon si è in presenza però anche far arrivare un messaggio, un rimando, checomunque ci siamo anche non in presenza in quel momento, comunque aiuta.Perché le sollecitazioni a volte hanno bisogno anche di un rimando. Cioè comequeste [persone] che hanno scritto, e anche ieri altri, “non posso esserci perché”, èmeglio del silenzio. Cioè questo lo dico anche per me, mi propongo questo: chequando mi arriva qualcosa che dico “guarda che bravi”, è meglio scriverglielo,perché questo penso che faccia sentire anche meno soli. Comunque uno dice […]“ecco quella persona, quella organizzazione c'è”. E quindi [è bene che] la relazionesi mantenga anche in questo modo!

Poi, pensavo anche che la rete digitale, la rete telematica usata in tutte le sue formecreative… Bene! Ok! Dunque, per dire, anche via Fondazza [la social street] hamesso in moto le reti di vicinato che c'erano una volta anche nelle nostre comunità,nei nostri paesi con mezzo attualissimo dell'oggi [un gruppo Facebook].

Oggi molto aiuta anche l'espressione artistica. Allora… va be' noi abbiamo fattoanche il 35° grazie a questi apporti artistici […] ma dovremmo lavorarci ancora,ma anche con le forme nuove […] che possono nascere dalla fantasia nostra maforse più dalla creatività degli artisti. Sono dei bei strumenti che possono ancheandare oltre alle tradizionali modalità […] di scambiarci, di parlare, di trovaresenso politico, di trovare le parole giuste… Ed è bene – penso – coltivare le altreespressioni di noi che passano attraverso altre modalità del sentirsi insieme.

Il ragionamento iniziale evidenzia la problematica della scarsità di tempo riferita allapartecipazione alle attività della rete: non c'è tempo sufficiente per «esserci in presenza»a tutte le iniziative cui si desidera partecipare. La seconda riflessione parte dall'idea chela partecipazione “in presenza” non possa essere sostituita da una presenza mediatadalla comunicazione telematica, e prosegue riconoscendo che la “presenza telematica” èperò di grande supporto alla partecipazione in presenza nel “mantenere le relazioni”. Ilterzo passaggio continua con l'esplicitazione dell'approvazione per l'utilizzo creativo eprosociale delle reti telematiche e conclude accostando questo ad altri strumenti e mezzidi comunicazione “alternativi”, come l'espressione artistica.

L'applicazione web realizzata, di cui durante quell'incontro mi è stato chiesto dipresentare un'anteprima, viene percepita all'interno del frame concettuale di “retetelematica”, cioè di una serie di strumenti di comunicazione che, se usati correttamente,favoriscono il mantenimento delle relazioni. Questi stessi strumenti telematici, se usatisenza cognizione di causa, sono ritenuti provocare un distanziamento dalla realtà e perquesto alcuni li rifiutano. Tuttavia io ritengo che l'applicazione realizzata abbia poco ache fare con questo frame concettuale. Si pensi ad esempio al primo lavoro realizzatocon la Commissione Progetti di Villa Buri, stampato su carta. In quel caso l'accettazionedel fatto che la rete disegnata fosse una particolare rappresentazione della rete dellecollaborazioni reali è stata più immediata. Utilizzando il medium del poster cartaceo ilpassaggio dal livello della rappresentazione a quello della realtà ha creato pochedifficoltà. Invece di avere una sola persona incaricata di inserire i dati nel databaseattraverso il computer, nell'applicazione web tutti possono inserire direttamente i propri

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Capitolo 5

dati. Non viene richiesto di instaurare alcuna “relazione telematica” o di distanziarsidalle “relazioni reali” o di trascorrere più tempo online. Proprio per la minorproblematicità del medium cartaceo, una delle funzioni “in cantiere” per l'applicazioneweb consiste nella realizzazione automatica di una versione del grafo pronta per lastampa, che gli utenti possano modificare in base alle proprie necessità e poi stamparein formato poster.

Concludo questa sezione con una breve analisi del livello di coinvolgimentoraggiunto fin'ora. Per Loredana la Rete del Buon Vivere non è soltanto uno strumentoinformatico, ma un tassello in più del mosaico di cui sono composte le relazioni, unulteriore dimensione attraverso cui le relazioni possono passare. Coerentemente conquesta idea Loredana desidera affiancare allo strumento digitale degli incontri inpresenza (recentemente anche alcuni utilizzatori del sito hanno proposto un incontro). Indiversi momenti dalla pubblicazione del sito web propone di organizzare una festa contutte le organizzazioni coinvolte e persone esterne, in particolare la stampa, e allestireuna stanza con elementi dei prodotti e servizi offerti dalle organizzazioni della rete permostrare un senso di “abbondanza” dell'economia sociale, intesa non in sensomaterialistico ma relazionale. Personalmente mi sono offerto di gestire un servizio diaccompagnamento all'utilizzo dello strumento durante la festa, in modo che chi lodesidera possa ricevere formazione, porre domande, o aderire alla rete, sul momento.

Loredana propone di organizzare la festa dopo il raggiungimento dei primi 50 iscritti;tuttavia, dopo 21 mesi di utilizzo sono 34 le organizzazioni che hanno aderito, e siamoancora in attesa della festa. Dal grafico delle nuove adesioni per data di adesione risultaevidente un forte rallentamento in concomitanza con la conclusione del tirocinio diLucia, che suggerisce l'importanza cruciale della presenza di un operatore addetto allapromozione e al coinvolgimento. Ciò conferma il punto di vista iniziale sostenuto daMag Verona sull'esigenza di riconoscere il «di più» di chi si occupa di mantenere le reti,uno degli argomenti principali alla base della convinzione che un costo di adesionefosse necessario. Lucia ed io abbiamo continuato ad inserire in una tabella condivisa icontatti di tutte le organizzazioni coinvolte o da coinvolgere. In totale abbiamo raccolto330 nominativi e il risultato non è affatto esaustivo del totale dei potenziali partecipanti.In base a questi dati propongo le seguenti osservazioni.

Innanzitutto è possibile confrontare il numero dei partecipanti con due diversinumeri: la stima iniziale del bacino di coinvolgimento di 500 organizzazioni, e le 330censite48. In base ai due diversi totali, le 34 organizzazioni coinvolte corrispondono al10,3% o al 6,8%. Messo in questi termini il coinvolgimento può sembrare piuttostoscarso. Voglio però richiamare ancora una volta il ragionamento già espresso neiconfronti del livello di partecipazione nelle attività di Villa Buri e di NaturalmenteVerona, ed evidenziare come un'iniziativa cui aderiscono una trentina organizzazioni ha

48 È inoltre possibile che il numero di organizzazioni appartenenti alla società civile intesa in senso massimalista sia ancora più elevato. Ad esempio la banca dati del CSV (Centro Servizio per il Volontariato della Provincia di Verona) contiene 1434 records.

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Restituzione: costruzione dello strumento

già un discreto livello di coinvolgimento. L'ulteriore partecipazione nella promozione enella gestione del sito da parte di 3 ragazzi/e che svolgono il servizio civile presso Mag,iniziata in novembre 2015, porterà con tutta probabilità ulteriori adesioni.

Uno sguardo più dettagliato ai nomi delle prime organizzazioni aderenti rivela unelemento molto interessante: compaiono pochissimi dei nominativi che erano emersidurante le riunioni iniziali del gruppo del portale come esempi emblematici dei «gruppipiù motivati», organizzazioni più centrali nella rete, più “vicine” (relativamente agliorganizzatori) e che si presupponeva avrebbero aderito per prime. In particolare unadiscussione con un membro di una di queste organizzazioni ha fatto emergere unacriticità peculiare. Questa organizzazione, pur trovando lo strumento molto interessante,non ha aderito perché non si è sentita coinvolta nella progettazione, ma soltantonell'adesione quando lo strumento era ormai completato. Anche se ho spiegato che lostrumento era soltanto in uno stato embrionale, che la partecipazione al progetto erapossibile sulla base del principio della “porta aperta”, e che infatti alcuni avevanoeffettivamente partecipato alla progettazione, l'organizzazione in questione si aspettavadi essere contattata a monte, come partner strategico della progettazione, e non havissuto positivamente l'invito alla partecipazione in fase inoltrata.

Sembra quasi che il problema messo in luce da questo episodio sia di percepirsi,nelle proprie collaborazioni di rete, all'interno del frame concettuale gerarchicodell'“essere il capogruppo” o “seguire il capogruppo”. In queste circostanze viene messocompletamente da parte il contenuto concreto della collaborazione (in questo casol'utilizzo di uno strumento che può essere utile) e prende il sopravvento la strategiarelazionale. In un immaginario campo “neutro”, intoccato dagli aspetti emozionali epolitici delle relazioni di collaborazione, questa organizzazione non avrebbe avutonessuna riserva nell'aderire e la persona con cui (in più di un'occasione) ho discusso haesplicitato un giudizio positivo per lo strumento “in sé”. La realtà mostra quindi l'agiredi dinamiche relazionali dense e sfaccettate, che rendono imprevedibili anche icomportamenti considerati dagli stessi soggetti coinvolti come maggiormenteprevedibili – come nel caso appena esposto dei «gruppi più motivati».

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Capitolo 6

Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

Attraverso una metodologia a cavallo tra etnografia e modellazione formalecollaborativa, ho cercato nei capitoli precedenti di dare conto del particolareesperimento di auto-rappresentazione portato avanti all'interno della comunità dipratiche della società civile di Verona. In questo capitolo conclusivo intendo tirare le filadei principali percorsi di riflessione e di interpretazione aperti nel corso della ricerca.Non intendo presentare soluzioni definitive a tali discorsi, ma riassumere delleconsiderazioni scaturite dalla ricerca e dalla collaborazione sul campo, che possanofornire un contributo ai dibattiti coinvolti. La prima parte del capitolo affronta lepratiche degli interlocutori e in particolare i punti di criticità emersi dall'analisietnografica dell'operato delle organizzazioni. Questi si configurano come ostacoli neipercorsi di realizzazione delle organizzazioni della società civile locale. Nella secondaparte cerco invece di entrare nel merito degli aspetti metodologici e scientifici piùrilevanti emersi dalla ricerca.

Principali criticità per le organizzazioni della comunità

L'“imponenza” delle aspettative

Il tema delle aspettative è leggibile a due livelli: le aspettative nei confronti delcambiamento sociale prodotto dalle azioni messe in pratica e le aspettative nei confrontidella partecipazione dei collaboratori alle azioni della propria organizzazione. Lacriticità deriva dal fatto che in entrambi i casi le aspettative sono spesso di gran lungasuperiori ai risultati ottenuti e ciò crea disattese e frustrazioni. Gli interlocutori sonocertamente mossi dal desiderio e dalla capacità di sognare un mondo migliore, quelmondo “altro” cui si riferisce lo slogan del World Social Forum e che dal 2001 èdivenuto il motto indicativo di una sistematica ricerca di una via alternativa al sistemaneoliberista. Questa capacità visionaria di per sé è tutt'altro che negativa ed ha un ruolocruciale nel favorire l'innovazione. Tuttavia, ho riscontrato una discrepanza tra l'entitàdel grande sogno condiviso e le azioni messe in campo, sia dovuta all'ingente positivitàdell'utopia sognata (un mondo sostenibile, governato da relazioni di fiducia e dacooperazione diffusa, socialmente equo, senza povertà, e così via), sia soprattutto allamancanza di obiettivi intermedi e “realizzabili”.

Da qualsiasi azione ci si può aspettare un cambiamento concreto e “visibile” verso larealizzazione del sogno di un mondo migliore. Per ogni idea che supera la soglia della

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

proposta all'interno del proprio gruppo e che raggiunge lo stato di progetto parzialmenterealizzato, ci si aspetta un riscontro positivo se non una vera e propria adozione su largascala. Anche nelle retoriche e negli atteggiamenti è riscontrabile a volte una percezionedi “essere sulla soglia”. Ogni attività può essere vista come “l'ultima goccia che fatraboccare il vaso”. Spesso si ha la sensazione di trovarsi “sul punto di svolta”, in cui ilmondo sta per cambiare, nell'attimo prima dello scatenarsi della rivoluzione planetariaverso una maggiore sostenibilità ed equità del sistema socio-economico. Questa strada èovviamente segnata da immancabili smentite. Tuttavia, un po' come per i movimentimillenaristici, nessuna smentita è in grado di intaccare la convinzione nelle propriecredenze. I “fallimenti” fungono da occasione per riflettere sugli elementi che hannoimpedito la svolta e ciò permette di rimettersi al lavoro, ad un nuovo progetto, ad unanuova attività.

La mia analisi ha soltanto toccato questi aspetti, tuttavia mi permette di segnalare – abeneficio principalmente dei diretti interessati – alcuni punti di criticità che risaltanosullo sfondo della questione delle aspettative. Il primo è la relativa mancanza di obiettivioperativi all'interno delle ambiziose mission delle organizzazioni. Dalla comunità stessaè emersa una possibile soluzione a questo problema, cioè l'approccio “dei piccoli passi”,secondo il quale è possibile promuovere il cambiamento a livello territoriale, mapartendo da sé e procedendo per obiettivi realizzabili, mettendosi in relazione in uncerto senso indiretta con il grande cambiamento, quasi “dimenticandosene” perconcentrarsi sull'azione presente.

Non si tratta di concentrarsi soltanto su progetti “piccoli”. I progetti possono ancheessere di portata molto vasta. Piuttosto l'approccio descritto implica di non saltare ipassaggi. Ho raccolto una chiara testimonianza di ciò durante gli incontri di un nascentecomitato di cittadini e cittadine (“Comitato cittadella del vivere consapevole”) cheintendeva promuovere un progetto di riqualificazione urbana di un ex caserma militareormai dismessa, proponendovi una cittadella caratterizzata da situazioni di co-housing,housing sociale, spazi aperti alla cittadinanza e spazi commerciali per attivitàdell'economia solidale. Il gruppo si riuniva regolarmente presso la sala conferenze dellaCasa Comune Mag (figura 20). Ho seguito una ventina di questi incontri, ai quali sonostato invitato da Loredana A. specificamente per redigerne i verbali.

Il progetto, che ha preso avvio da una ricerca di due giovani architetti/urbanistiveronesi, aveva un costo stimato di 40 milioni di euro e prevedeva il recupero di un'areadi circa 20 ettari.

Partecipante: […] è una cosa mastodontica. Tutti quelli che cercano il co-housingpensano a cose piccole. Ma la scommessa è proprio riuscire a mantenere tutte lecose del co-housing in questo progetto grande. (4° incontro, 8 agosto 2013)

Giannina: il progetto è grandissimo, ho riserve sui tre livelli co-housing, socialhousing, e istituzioni. (8° incontro, 11 novembre 2013).

Giuseppe B.: Certo che questa cosa è grandissima. Dopo l'incontro con […], non

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Capitolo 6

escluderei un incontro con la Regione e uno con la Fondazione Cassa di Risparmioe gli istituti di credito. Prima si faceva riferimento al valore […]. È un business da40 milioni. Bisogna fare i conti con le dimensioni del progetto. (13° incontro, 17marzo 2014).

Rosanna: No, perché veramente investire su questa impresa titanica, è una cosagrande […].

I membri del Comitato percepivano le dimensioni del progetto come imponenti,“mastodontiche”, “titaniche”, “grandissime”. In base alla sua pregressa esperienza neglianni '90 con la fondazione di Banca Etica, è Loredana ad esprimere la convinzione chele dimensioni non debbano essere viste come un ostacolo.

Loredana A.: io ho lavorato sempre sul micro, a parte Banca Etica, ma tutti gliaspetti sono sempre gli stessi. Ci vuole più o meno lo stesso tempo a fare una cosapiccola che una grande. Il grande stavolta non mi spaventa in questo senso… Miinteressa contenerlo per fare una cosa di qualità, un'esperienza di vita chevogliamo, per avere delle relazioni nel quotidiano…

Partecipante: Sei una visionaria, con tutto il valore positivo di questo termine, sevediamo cos'è diventata Banca Etica!

Loredana: È la forza del credere nelle idee… Idea giusta per i tempi… Io questoprogetto lo sento. Dopo deve diventare un progetto collettivo. (4° incontro, 8agosto 2013)

Loredana: Io ho fatto tantissime esperienze ormai, e ho capito questo, che ancheper fare una cosa piccola, ci vogliono tutti gli elementi, come per quelle grandi. Èvero che ci vogliono competenze. Se noi riusciamo a mettere insieme il comitatoche lavora sul co-housing, coinvolgere il partenariato con il Comune, Agec, ecc…È con questi poi che formiamo la forma giuridica. (7° incontro, 28 ottobre 2013)

Loredana sostiene che sia le “cose piccole” che le “cose grandi” necessitino degli stessipassaggi, delle stesse procedure e che quindi presentino lo stesso livello di difficoltàorganizzativa. Pur riscontrando un certo successo, dovuto soprattutto alla forzasimbolica dell'esempio da lei descritto relativo alla nascita di Banca Etica, alcunimettono in evidenza che non si tratta soltanto di un aumento delle dimensioni, ma anchedi un aumento della complessità (rispetto ad un tipico progetto di co-housing).

Giacomo: Condivido quello che dici, che fare una cosa grande o piccola presenta lastessa difficoltà. Ma qui il progetto è eterogeneo. E questa la vedo come unadifficoltà insormontabile. Chi parla con il sindaco ad esempio?

Loredana: Il comitato! In qualche modo. Sono tempi che chiedono il coraggio disentirli così forti… Non svilendoci. (7° incontro, 28 ottobre 2013)

Scoraggiati dalle dimensioni e dalla complessità del progetto, i partecipanti, incontrodopo incontro, continuano a ritornare sul blocco causato dalla sensazione che larealizzazione del progetto sia impossibile. Sembra di assistere ad un percorso circolareche parte dalla decisione e condivisione della mission (l'obiettivo generale), passa alla

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

discussione su obiettivi strategici ed operativi, per tornare ricorsivamente sulla mission.Loredana (e a volte anche Massimo R.) in diversi momenti riporta l'attenzione delgruppo sugli obiettivi operativi. Si veda il seguente esempio.

Loredana: […] io dico che noi dobbiamo fare un nostro disegno, un nostro azzardo,per lo meno quello di cui in qualche modo siamo consapevoli tutti (ci sono personeche si sono inserite strada facendo)… Abbiamo lavorato su uno studio di massima,che se lo gestiamo bene… Per esempio con l'esperienza di Banca Etica abbiamolavorato con documenti di massima per due anni. Perché per uno studio difattibilità ci vogliono i soldi e non saprei dove recuperarli. Stiamo gestendo unwork-in-progress, stiamo gestendo dei dati realistici plausibili, 100 appartamenti…Poi gli aggiustamenti si fanno dopo. Questo è gestibile! Si può anche dargli unabella copertina e metterlo in evidenza. (15° incontro, 5 maggio 2014).

Il comitato era già in possesso di uno approfondito “studio di massima”, realizzato dallostudio di architettura promotore del progetto. Alcuni membri del Comitato insistevanosulla necessità di disporre di un documento ufficiale, uno “studio di fattibilità”, ma nonsapendo come recuperare il denaro per finanziare tale studio, tornavano a rivalutarel'intero progetto.

Al di là della questione tecnica, di cui non possiedo alcuna competenza, mi interessasottolineare come Loredana insistesse sull'importanza di gestire la processualità(«stiamo gestendo un work-in-progress»), lasciando da parte (o dando permomentaneamente per assodato) l'obiettivo generale (il «disegno»). Gli obiettivioperativi, che di volta in volta venivano fissati, consistevano in specifici incontri con leistituzioni e i partner da coinvolgere, il recupero di informazioni strategiche per laprogettazione, la realizzazione di documenti specifici con i dati del progetto, lasottoscrizione dell'atto costitutivo del Comitato stesso, e così via. Riprendendo le paroledi Loredana, «questo è gestibile!». Ho citato questo esempio perché a mio avviso mettebene in luce la postura dei “piccoli passi”, che come si può notare non ha nulla di“piccolo” e richiede invece una grande capacità di concentrazione per rimanerefocalizzati sulla pratica e sulla processualità dell'attività, senza farsi distrarrecontinuamente dall'imponenza dell'utopia di un vivere migliore («un'esperienza di vitache vogliamo») per sé e per gli altri, che motiva la maggior parte delle mission di questeimprese di società civile.

Connesso a questo punto vi è un secondo elemento di criticità dovuto alla diversitàdei tempi delle azioni e reazioni in gioco. Alcuni cambiamenti hanno tempi brevi e se nepossono raccogliere i risultati anche immediatamente; altri hanno tempi lunghi, anchemolto lunghi, per cui è importante non aspettarsi risultati immediati. Non ci sonosoluzioni facili a questo problema, ma è chiaro che diviene importante saper riconoscerela durata dei differenti processi in atto. Sulla stessa scia emerge l'importanza diriconoscere la non-linearità di molti processi dei sistemi complessi multi-agente e multi-scala, come sono i sistemi socio-ecologici. È vero che “l'ultima goccia fa traboccare ilvaso” e che “ogni goccia può essere l'ultima”, però “c'è soltanto una ultima goccia perogni trabocco”. È perciò altamente probabile che una qualsiasi azione che agisce su un

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processo a soglia, o non lineare, non produca alcuna svolta, alcun passaggio di stato delsistema. Un caso di questo genere non dovrebbe essere confuso con un fallimento.

Un ulteriore gruppo di criticità deriva dal fatto che lo scarto tra aspettative e risultatiagisce sulle interpretazioni degli agenti coinvolti. Ad esempio, la ricerca mi ha permessodi verificare la diffusione della narrazione della “frammentazione” della rete e ingenerale dell'alternativa proposta dalle persone della società civile. Una narrazione cheemerge anche dal fatto che le persone coinvolte producono giudizi relativamenteall'imponenza delle aspettative di iperconnessione. Se ci si aspetta che tutti debbanoaderire alle proprie iniziative, o che “la rete” reagisca in modo compatto ad ognidifficoltà, il risultato sarà sempre percepito come scarso. Basti pensare, per contrasto, almondo del for profit, nel quale si dà per scontato che la cooperazione e l'azione di retesiano un'eccezione rispetto ad un ambiente caratterizzato dalla competizione. Nelmodello del mercato economico di oggi, qualsiasi azione genuinamente cooperativa èun “di più” non previsto che non produce a grandi aspettative.

Proseguendo, il fieldwork mi ha permesso di osservare che le aspettative vengonoproiettate non solo verso i risultati dell'azione, ma anche verso il contributo e i compitidei collaboratori. Anche questa è una fonte di criticità. In un contesto di cura di un benecomune, quando un utente si accorge di una cosa da fare può decidere di farla oppureno. Se però (a torto o a ragione) si aspetta che il compito tocchi a qualcun altro, allora èpiù probabile che non lo faccia. Non è un caso che durante il Cda allargato di Mag giàcitato sia emerso un dibattito tra l'esigenza di coinvolgere numeri elevati di persone el'esigenza di concentrarsi sul mondo interiore della persona, per promuovere ilcambiamento desiderato.

Mariangela: Salve, io sono Mariangela, allora io ho sentito tutte queste coseestremamente belle e interessanti… Io sento che in questo momento storico nellepersone c'è soprattutto una grande paura, e questa paura è chiaro che ci divideperché “il mio orticello”, “faccio il mio sito”, “mi nascondo dagli altri”, perché[…] , “ognuno ha la sua scuola”, “non si mettono in rete”, perché “se questa vieneda te poi non viene da me, per cui se viene da te io non ricevo soldi”… È chiaro! Ècosì. È indubbio. Secondo me per sconfiggere la paura il primo passo da fare è lacultura, perché è anche vero che ci sono tanti orticelli, ma che non coltivano nulla!Solo vuoto. Parole. Cose che non vanno da nessuna parte […]. Il discorso banche,perché le banche non cambiano, perché le banche sono in mano alla politica […].Non è la massa secondo me che cambia, è la singola persona che però si rendeconto di essere una persona e non massa, per cui occorre che ogni persona singolascopra all'interno di sé la forza di camminare con le sue gambe, senza aspettarsi “ilsociale”, senza aspettarsi “il comune”, senza aspettarsi. C'è! Se la persona c'è, nonsi aspetta nulla da fuori perché ha tutto dentro.

A sostegno del secondo punto di vista, la partecipante chiarisce il nesso tra la culturadella delega e dell'aspettativa, e la paura e la divisione percepite dai protagonisti dellevarie alternative. Ciò non significa che ognuno debba arrangiarsi. Al contrario,l'intervento sembra indicare che per lavorare insieme e in modo condiviso siaimportante liberare la mente dalle aspettative che si hanno rispetto all'impegno e al

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coinvolgimento degli altri. In altri momenti del fieldwork è emersa una situazionesimile: quando si è manifestato il valore degli strumenti che rendono visibili i contributidei collaboratori (si veda p. 223). Questi strumenti possono favorire una diminuzionedei conflitti e migliorare i risultati del gruppo proprio perché favoriscono l'esplicitazionedelle aspettative che altrimenti rimarrebbero implicite. Inoltre permettono diconcentrarsi sull'azione, dal momento che non è necessario mantenere l'attenzione su“chi ha fatto cosa”, o su “chi deve fare cosa”, poiché queste informazioni sonofacilmente valutabili “a colpo d'occhio” da parte di tutti e di tutte.

Risorse insufficienti

Il secondo tema emerso dal fieldwork come fonte di criticità nei confronti della buonariuscita delle attività promosse dalle organizzazioni della società civile è la scarsità dirisorse, tempo, persone (ad esempio i volontari), collaborazioni, competenze (adesempio informatiche), denaro, forza politica, e così via. La mancanza di tempo èutilizzata a volte come un generico indicatore della mancanza di risorse: mancanza ditempo per gestire al meglio le attività, mancanza di tempo per sviluppare le competenzenecessarie, per ricercare sistematicamente le collaborazioni, per tenersi aggiornati sulleattività degli altri, per sviluppare e coltivare le relazioni, per cercare fondi efinanziamenti. Anche in questo caso, come per il tema delle aspettative, è possibilerintracciare gli elementi di un discorso elaborato all'interno della comunità comepotenziale soluzione al problema: la costruzione di sinergie.

Le sinergie sono viste dagli interlocutori come il risultato maggiormente positivodelle collaborazioni e sono strettamente dipendenti dalla disponibilità a condividere leproprie risorse. Ad esempio, mettendo in comune le proprie competenze all'interno diuno specifico progetto è possibile ottenere risultati irraggiungibili per la singolaorganizzazione partecipante. Il discorso sulle sinergie non contiene però soltanto ilpunto di vista “olistico” per cui “il risultato è maggiore della somma delle parti”. Se cisi limitasse a ciò infatti non si tratterebbe di una reale soluzione al problema dellascarsità di tempo. Un'ulteriore punto di vista sulla sinergia riguarda l'“ottenere di più,con meno”. Soltanto in questo modo è possibile ridurre il tempo e le risorse richieste adogni organizzazione nel conseguimento dei propri obiettivi.

Durante l'evento dello “Zday 2015” di Verona, organizzato da “Movimento ZeitgeistItalia” e da “Associazione Società Sostenibile (AsoS)” si è presentata un'occasione diriflessione condivisa su questo punto. Tra le proposte delle due organizzazioni c'eraanche la proiezione dell'ultimo episodio della “webserie” Culture in Decline, realizzatada Peter Joseph, fondatore del movimento Zeitgeist internazionale. L'episodio finale,intitolato Tale of Two Futures, racconta due antitetiche visioni del futuro del sistemasociale globale. Nel descrivere la visione positiva, l'autore fa riferimento al neologismo“effimeralizzazione” (ephemeralization) inventato da Richard Buckminster Fuller(1938) per definire la capacità dello sviluppo tecnologico di realizzare “sempre di piùcon sempre di meno”.

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La cultura finalmente si rese conto che un sistema tecnologico essenziale dicollaborazione, condivisione di risorse e idee, avrebbe reso possibile un mondo diabbondanza, sostenibile e stabile, diverso da qualsiasi cosa l'etica del mercato dellascarsità, della competizione e della guerra di classe avrebbe mai potutoimmaginare. Si chiamò La Grande Transizione, in cui i benefici di adottare unaprospettiva di scala globale, assieme all'applicazione delle scienze fisiche e socialielementari, mise in moto un flusso di pensieri che trascese ogni cosa che avremmoconsiderato normale all'inizio del XXI secolo. […]

Per capire come emerse questo nuovo mondo, dobbiamo iniziare riconoscendo unatendenza che divenne evidente all'inizio del XX secolo. Avendo l'umanità speso lamaggior parte della sua esistenza sotto il velo della superstizione, della scarsitàimminente e l'elitarismo generale, l'idea fissa di non avere mai abbastanza, e laperpetrazione della divisione tra ricchi e poveri, sembrava[no] essere soloun'immutabile legge della natura. […]

Tuttavia, con lo sviluppo della scienza e la nozione di una cosa nota come“efficienza tecnica”, cominciò ad emergere una visione che segnò la svolta perquello che probabilmente rappresenta il cambiamento più radicale nella storiadell'organizzazione sociale umana. Si chiama effimeralizzazione, consiste nellacapacità di fare molto di più con molto meno. Paradossale quanto possa sembrare,la nostra evoluzione nella comprensione e nell'utilizzo delle risorse del nostropianeta, assieme all'approfondimento delle nostre conoscenze sulle leggi dellascienza naturale, ha azionato un processo di conservazione ed efficienza che coltempo, fece sì che quantità sempre minori di materiali, lavoro ed energia fosseronecessarie per produrre ed eseguire processi a supporto della vita. […] (Joseph2013)1

L'effimeralizzazione tecnologica per Joseph è il principio base del processo culturale esociale necessario a produrre l'adattamento della società all'ambiente. Tuttavia, comealtri autori (Heylighen 2005), egli sottolinea che non si tratta di una questione soltantotecnica e che è necessario un «sistema tecnico essenziale di collaborazione,condivisione di risorse e idee», spostando l'attenzione sulla questione dellacollaborazione e sul concetto della «sostenibilità culturale», cioè dello sviluppo di un«sistema valoriale» fondato sulla sostenibilità.

E man mano l'efficienza crebbe sempre più portando il mondo in una condizione diabbondanza “post-scarsità” dove, nel contesto educativo della legge naturale,riconoscendo l'esistenza di limiti alla crescita e al consumo, e rispettandoli, emerseun nuovo sistema valoriale che si gloriava della capacità di migliorare l'efficienza emantenere l'equilibrio ecologico e la sostenibilità, non solo sostenibilità fisica [...],ma sostenibilità culturale. Essere in grado di prendersi cura di tutti non era unapoetica conseguenza; creare una forma di armonia terrena sconosciuta sino adallora era uno scopo fondamentale. (Joseph 2013)

Il concetto elaborato da Buckminster Fuller rappresenta un profondo riconoscimento deilimiti e della finitezza delle risorse disponibili nel nostro pianeta e al contempo delleillimitate possibilità di evoluzione e di cambiamento permesse dalla cultura.

1 Il testo corrisponde alla trascrizione del monologo dell'autore, disponibile al sito https://dotsub.com/view/3e46a7ef-5ca7-4880-ac98-31ae10c06a33.

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Nell'episodio Joseph fa esplicito riferimento al passaggio da una condizione sociale di«scarsità» ad una di «abbondanza», reso possibile dall'effimeralizzazione.

Questa capacità di fare di più con meno è alla base anche della particolareconcezione di sinergia diffusa nella comunità di pratiche veronese. Non è un caso che iltermine effimeralizzazione sia stato coniato dallo stesso autore che ha coniato anche iltermine “sinergetica” con cui indicava lo studio integrato dei sistemi in trasformazione emovimento (Ferkiss 1976; Anker 2007). Per molti dei membri di organizzazioni dellasocietà civile “fare sinergia” attraverso le collaborazioni non ha soltanto il significato dimettere insieme le forze per riuscire a realizzare qualcosa di più grande dellepotenzialità delle singole organizzazioni. Spesso la sinergia è l'unico modo di riuscire arealizzare i propri obiettivi, poiché questi sono al di là delle proprie possibilità. Proprioin questo spirito lo Zday 2015 è stato organizzato come evento associato alla Festa diPrimavera di Villa Buri (del 19 aprile), posticipando la data rispetto al giorno dello Zdayinternazionale (30 marzo). Gli organizzatori non erano nelle condizioni di poterrealizzare un evento autonomamente, dopo aver investito la maggior parte delle loroenergie nella seconda edizione del “Simposio Società Sostenibile” (del 28 febbraio).Entrambi i gruppi (Zeitgeist Verona e Villa Buri onlus), contribuendo alla realizzazionedella stessa festa, sono riusciti ad “ottenere di più con meno”.

Il concetto di sinergia circolante nella comunità di pratiche è, come ho anticipato,strettamente legato anche al concetto di condivisione. Questo punto è messo ben inevidenza in una discussione scaturita durante la terza lezione del “Master LUESS inPedagogia delle Relazioni” (analizzato a p. 181).

Iori L.: Cominciamo ad entrare nel merito e vi regalo quattro domande, tutteiniziano con questa frase: “E' bene per la mia vita che……” e poi ci mettiamo ledomande interessanti. La cosa utile è quella di trovare domande che ci aiutino amettere in movimento delle cose positive per noi. Incominciamo a domandarcirispetto alla nostra esperienza se è bene che…!

[…]

Seconda Domanda: […] “è vero che nella vostra vita, denaro sia sinonimo diricchezza?” Questa è un affermazione che fa tremare le fondamenta della nostraeconomia e il nostro operare. Allora la domanda è questa: “è bene per la vostra vitache il denaro sia sinonimo di ricchezza”? Noi [Mag6] a rispondere ci abbiamoimpiegato 25 anni e rispondiamo “no non è bene”, anche perché non corrispondealla nostra realtà, poi ognuno ha la propria. […] la risposta dipende da noi, nondipende da quello che dice Monti, o Berlusconi. Dipende da noi, da quello chedecidiamo di fare nella nostra vita. […] Se vi chiedessi: “ditemi la prima cosa chevi viene in mente alla parola ricchezza”, proviamo a farlo.

“La sala risponde”: “ABBONDANZA – BUONE RELAZIONI – POTERE –LIBERTÀ – SALUTE – POSSIBILITÀ – AUTONOMIA”.

Iori L.: Siete messi bene, nessuno ha detto denaro, se non avete detto denaro o sieteun po' strani o avete messo in mezzo meccanismi di autoinibizione, però èinteressante. C'è chi dice che RICCHEZZA è la possibilità di condividere, di

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scambiare beni e servizi materiali e immateriali all'interno di una comunità. Se ildenaro scomparisse, ma rimanessero le nostre competenze, le nostre relazioni, ilnostro desiderio di scambiare, di mettere a disposizione degli altri quello chesappiamo fare, non è un problema. (Iori 2013: 4, 6–7)2

Il docente ha guidato la riflessione sul valore del denaro attraverso alcune domandemirate. La domanda sul rapporto tra denaro e ricchezza ha stimolato un dibattito in cui èemerso il ruolo delle “relazioni” e della “condivisione” tra persone “autonome” e“libere” da preconcetti. Alcuni beni in particolare si prestano ad illustrare l'importanzadell'economia di condivisione (sharing economy) cui si è fatto riferimento nel dibattito.Ad esempio, se in una situazione di co-housing si condivide la lavanderia, una o piùlavatrici comuni vengono riutilizzate da più persone, evitando l'acquisto di un singoloelettrodomestico da parte di ciascuna famiglia. Il miglior sfruttamento deglielettrodomestici condivisi viene interpretato come un aumento di valore, e unasituazione di abbondanza, poiché viene paragonato alla somma del valore degli acquistiche sarebbero necessari in una situazione individualista. Tuttavia, questa abbondanzarimane irraggiungibile fino a quando autonomia e libertà dal modello culturale della“proprietà privata” da un lato, e relazioni e collaborazioni tra utenti dall'altro, riescano acreare la fiducia ed il coordinamento necessari a renderla reale, creando una sinergia.

In base a questi ragionamenti, sinergie ed effimeralizzazione possono essereconsiderate come una soluzione proposta dall'interno della comunità veronese alproblema della mancanza di risorse. È molto interessante notare che si tratta di soluzionitecniche a problemi pratici e contemporaneamente di una trasformazione culturale. Dalparadigma della scarsità che ha caratterizzato lo sviluppo dell'economia capitalistica sipuò cogliere lo sforzo di spostarsi verso un paradigma dell'abbondanza, cuicomprensibilmente Joseph si riferisce come «una condizione di abbondanza post-scarsità».

Il potenziale dello strumento realizzato come restituzione di questa ricerca(l'applicazione Retebuonvivere.org) appare completamente se collocato all'interno diquesto scenario. Molte organizzazioni, infatti, per il proprio quotidiano funzionamentohanno bisogno di strumenti di gestione e comunicazione specifici che, semplificando,sono costituiti da varie forme di schedari digitali per l'anagrafica delle persone e delleorganizzazioni della propria rete. Retebuonvivere.org non è altro che un tentativo direalizzare uno strumento collettivo alla cui efficienza tutte le organizzazioni possanocontribuire, investendo molto meno tempo rispetto alla gestione individuale delleproprie reti.

Ricambio del personale

Oltre all'imponenza delle aspettative e alla mancanza di risorse, nella dinamica dellaprogettualità delle organizzazioni della comunità è emerso un altro elemento di criticità

2 Come l'intervento di Piras (p. 181) anche quello di Iori è stato trascritto da Nadia A. e pubblicato sul sito di Mag con gli altri materiali didattici del Master.

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

fondamentale: il ricambio del personale all'interno delle organizzazioni stesse.Certamente si tratta di una problematica densa e complessa, alla quale tutte leorganizzazioni sono soggette, anche al di fuori della comunità della società civileveronese (Borgatti e Foster 2003: 2005). Non è certo mia intenzione tentare di risolvereun tale argomento, tuttavia, anche in questo caso la ricerca svolta permette di faremergere le tracce di un discorso, circolante nella comunità di riferimento, che indicauna possibile soluzione del problema e che qui mi interessa mettere in rilievo.

Il problema può coinvolgere il ricambio “generazionale” dei ruoli manageriali (o“figure magistrali”), ma anche il turnover degli altri ruoli operativi e dellapartecipazione “di base”. In un primo caso la questione deriva dal fatto che molteattività sono condotte personalmente da singoli membri delle organizzazioni (o dapiccoli gruppi operativi). Quando una persona chiave smette di collaborare porta quindicon sé la conoscenza, l'esperienza e la pratica relative alle attività che seguiva senza checi sia un “passaggio di consegne”. Gli esiti possono essere la sospensione dell'attività, ola conduzione dell'attività da parte di una new entry, che si trova a “ricominciare dacapo”. Tenendo in considerazione che anche i ruoli operativi sono spesso eseguiti davolontari, questa situazione non è affatto rara. In un secondo caso invece laproblematica risiede nel fatto che le organizzazioni mettono in campo processi dipartecipazione attiva e di coinvolgimento dal basso, ma quando i partecipanti alleriunioni e alle altre attività condivise sono sempre diversi non si riesce a maturare il“tempo condiviso” necessario a far progredire la co-evoluzione del gruppo e, di nuovo,ci si trova a dover ricominciare da capo. Ogni nuovo arrivato ha bisogno di essereintrodotto, accolto, coinvolto, ascoltato, e così via.

In entrambi i casi dunque il ricambio si configura fondamentalmente come unostacolo alla continuità delle attività. Coerentemente, il discorso sulla soluzione delproblema del ricambio si concentra su soluzioni che favoriscano la continuità “al di làdella persona”. Gli elementi di questo discorso sono lo sviluppo di buone relazioniinterne, il “fare squadra” e la condivisione tra i membri di un'organizzazione di vision,mission, storia, attività e collaborazioni dell'organizzazione stessa. La strategia di base èdi non lasciare che ognuno porti avanti i propri progetti da solo, ma che tutte le attivitàvengano condivise.

Ciò non significa che ogni attività debba essere completamente “collaborativa”.L'impossibilità della condivisione totale delle attività condotte da un'associazione è statoaffrontato esplicitamente, ad esempio, durante l'assemblea nazionale dell'AssociazioneRurale Italiana (ARI) cui ho partecipato (si veda p. 245). È stato esposto con chiarezzache l'assemblea non poteva prendere decisioni tramite il metodo del consenso su ogniquestione affrontata dai gruppi operativi che seguivano attività specifiche. Tuttavia sidesiderava mantenere un elevato livello di partecipazione da parte di tutti a tali decisionie soprattutto un sufficiente livello di informazione sul procedere dei vari progetti. Èstato quindi Antonio O., referente per l'ONG di cooperazione internazionale “Centro

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Capitolo 6

Internazionale Crocevia” (socio di ARI), a sintetizzare la proposta risolutiva. Inassemblea si sarebbero dovute prendere decisioni in modo partecipato sulla delega dispecifici «incarichi» a persone responsabili. Ai responsabili si sarebbero dovutericonoscere «piena autonomia» e «fiducia», con l'unico vincolo di «riportare» e direndicontare all'assemblea il procedere delle attività. Ogni responsabile si sarebbequindi potuto occupare del suo tema/attività «con libertà di auto-organizzazione».

Tanto il problema quanto la soluzione proposta sono tipiche delle situazioni didemocrazia diretta (Graeber 2014: 227-231).

Il metodo del consenso funziona solo se è combinato con un principio didecentramento radicale.

[…] È sempre meglio, se possibile, prendere decisioni in gruppi più piccoli: gruppidi lavoro, gruppi di affinità, collettivi. L'iniziativa dovrebbe salire dal basso. Non sidovrebbe sentire il bisogno di autorizzazione da parte di nessuno, nemmenodell'Assemblea Generale (che è tutti), a meno che non fosse in qualche mododannoso procedere senza. (Graeber 2014: 227)

[…] Come regola generale: le decisioni dovrebbero essere prese alla più piccolascala, al livello più basso, possibile. Non chiedere l'approvazione superiore a menoche non ci sia un urgente bisogno di farlo. (Graeber 2014: 229)

[…] ciò che l'AG (Assemblea Generale) sta facendo quando approva un gruppo dilavoro è di abilitarlo [empowering] ad agire in nome dell'AG. È fondamentalmenteuna forma di delega. Non crea gerarchie verticali perché i gruppi di lavoro sonoaperti a chiunque. (Graeber 2014: 232)

David Graeber indica l'abbinamento tra ricerca del consenso e decentramento operativocome una caratteristica dei gruppi che agiscono secondo il desiderio di democraziadiretta. Il riconoscimento dell'autonomia dei gruppi (o di singoli individui) operativipermette di non dover rimettere le decisioni operative al vaglio dell'assemblea (odell'organizzazione ). Tuttavia, come ho detto in precedenza, emerge la necessità chetutti i membri dell'organizzazione rimangano almeno informati delle attività presenti.

Il fieldwork veronese ha messo bene in evidenza questo punto, tanto chel'applicazione web realizzata intende esplicitamente andare incontro a questa necessità.Lo strumento offre infatti una modalità pratica per esplicitare all'interno di uno schemacomune le informazioni più significative della storia multi-soggettiva diun'organizzazione. Ogni membro può inserire progetti/attività, eventi e collaborazioni, evedere quelli inseriti dagli altri. Le visualizzazioni inoltre permettono di cogliere conuno sguardo la molteplicità dei fronti su cui è impegnata l'organizzazione. Lo strumentointende favorire una riflessione da parte dei membri e in particolare dei newcomers,spingendoli a collocarsi nel percorso dinamico, collettivo e complesso della propriaorganizzazione.

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

Difficoltà a visualizzare la rete emergente

L'ultima criticità che desidero prendere in considerazione è relativa alla difficoltàdimostrata dagli interlocutori a pensare e visualizzare la rete emergente dalle lorointerazioni. Premesso che la rete di cooperazione, in quanto fenomeno emergente, saràsempre un elemento sfuggente agli agenti che la costituiscono e che lo strumentorealizzato non intende in nessun modo offrire un'immagine definitiva, completa o“realistica” della rete, cionondimeno il fieldwork ha evidenziato la scarsa presenza ediffusione di modelli per rappresentare e riferirsi a tale rete.

L'utilizzo diffuso della “metafora dell'orto” testimonia la difficoltà delle persone ditenere presente il livello collettivo emergente, la difficoltà di relazionarsi alla rete dicooperazione emergente. Questa narrazione (“ognuno pensa al suo orto”, “ognunocoltiva il proprio orticello”, e così via) dimostra la persistenza di uno sguardo “locale”,di vicinato, e l'esistenza di un feedback (retroazione) tra un agente e i suoi vicini. Ciò hauna corrispondenza diretta con la rete dei subak balinesi, dalla cui analisi è risultatochiaramente che i contadini confrontano le performance del proprio raccolto soltanto travicini. Richiamandosi alla teoria delle reti “nk” Lansing ha messo in evidenza l'estremaimportanza di questo feedback locale nel conferire a tutto il sistema/rete la capacità diprocessare informazione, risolvere problemi e adattarsi. Lansing tuttavia ha dedicatogran parte delle sue ricerche a dimostrare che gli aspetti più “religiosi” della culturabalinese (simboli, miti e rituali) forniscono alle comunità impegnate nella gestione dellerisaie anche strumenti di immaginazione3 e di narrazione dell'intera rete diinterdipendenza e di cooperazione. Le pratiche di mantenimento, sviluppo e cura diquesti strumenti permettono agli agenti del sistema dei subak di avere un rapporto – unfeedback – anche con l'intero sistema.

Nella comunità di pratiche della società civile veronese non si trovano pratiche oimmagini affermate e sedimentate che gestiscono il feedback agente – sistema. Tuttaviaesistono numerose sperimentazioni e tentativi di istituire tali pratiche ed immagini. Noncredo sia un caso che in una comunità relativamente giovane, senza una chiara e definitaconcezione di sé, si verifichino numerosi tentativi di istituire, più o meno rigidamente,organizzazioni-rete o “cabine di regia” (Mag, Naturalmente Verona, Villa Buri per citarequelle che ho maggiormente seguito, si veda p. 316 per un breve elenco di altre retiestese sul territorio provinciale). Queste istituzioni svolgono anche il ruolo dimediazione del feedback tra gli agenti e il sistema-rete, lo stesso ruolo ricoperto daitempli dell'acqua e dai sacerdoti nel contesto balinese.

Prima di addentrarmi negli aspetti scientifici e metodologici delle questioni quisollevate, desidero mettere in evidenza che anche in questo caso è stato possibileritrovare nella comunità le tracce di un discorso di superamento di questaproblematicità. Una metafora in particolare è in grado di bilanciare la visione “negativa”

3 Immaginazione intesa come “modo di identificazione” nella teoria della comunità di pratiche, si veda p. 44.

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della metafora degli orti divisi; si tratta della metafora del bosco. Il bosco riesce acogliere l'aspetto della rete emergente in quanto è un perfetto esempio di sistema (oecosistema) complesso. C'è qualcosa di più in un bosco dell'insieme degli alberi che locompongono e certamente non è soltanto un luogo. Un bosco è una complessa rete diinterdipendenza tra esseri viventi di numerose specie diverse, in cui azioni e processidegli uni influiscono sul percorso vitale degli altri e viceversa.

Nella comunità locale l'utilizzo della metafora del bosco per riferirsi alla rete dicooperazione emergente non è affatto diffusa come quello della metafora dell'orto,tuttavia ho riscontrato diversi casi. Nei miei materiali del fieldwork rimane traccia didue di questi casi: il primo, già discusso, è contenuto nel volume del bilancio sociale diBanca Etica (si veda p. 144); il secondo è tratto dalla discussione avvenuta durante il giàcitato “CdA allargato” di Mag. In quell'occasione Cristina B., in un intervento moltodenso e carico di emotività, ha chiarito proprio il rapporto tra le due metafore “naturali”.

Cristina B.: sono Cristina, sono presidente dell'associazione “Ponti onlus”,un'associazione che adesso ha compiuto 12 anni e ci avviamo verso il 13° anno dilavoro […].

Attraverso iniziative di tipo culturale e artistico creiamo e raccogliamo fondi dadestinare a progetti di educazione e formazione, in Argentina in questo caso, peròlavoriamo sul territorio e spesso collaboriamo con artisti di provenienza alloglotta,che condividono con noi questo percorso artistico per cui all'internodell'associazione si creano questi eventi […].

Mi piaceva aggiungere questa cosa, ho letto lì [tra i punti segnati sulla lavagna]“forme e momenti per esprimere collettivamente forza, orientamento, cambiamentidesiderati”. Forse manca una parola, che è “momenti per esprimere collettivamentela sofferenza della fatica che si fa”, ovvero, come… mi piace citare Vito Mancuso,con il suo ultimo libro quando parla di passioni… io credo che – ascoltandovi –tutti noi siamo mossi da passione. E non certo a fini di lucro, ma passione colle…per il bene comune. E questa passione come dice lui è data da logos, da… armonia,e da caos; da sofferenza. E forse a maggior ragione noi che lavoriamo in questoambito la sentiamo questa sofferenza, questa fatica, questo sentirci sole.

Giustamente dicevi di questi orti. Però, pensavo, è vero, ognuno di noi stacoltivando perché è talmente faticoso zappare, che alla fine non riesci neanche adalzare la testa per vedere l'orticello del vicino, e vedere quanto è bello anche il suoorto. Però se anche magari non vado nel tuo orto, a zappare il tuo orto, perché nonce la faccio più già a zappare il mio, ma solo alzo lo sguardo… In questo caso [siriferisce all'incontro in corso] è proprio stato questo: alzare lo sguardo e vederequanti begli orti, quanti… germogli, quanti alberi ognuno di noi sta piantando. Chinel suo piccolo… chi un fiorellino, chi… vedo dei boschi di 30 anni. Per me inquesto momento in cui anch'io sento la fatica dopo 12 anni… condividere questecriticità [che] ognuno di noi ha espresso è una fonte che mi dice “ok, sì anche tustai soffrendo, anche tu… però stiamo soffrendo insieme per qualcosa di bello,perché stiamo creando questo bosco”. Ecco […].

Il discorso ha creato una risonanza con le emozioni degli altri partecipanti tanto che èstato accolto con un applauso spontaneo e prolungato da parte di tutta la sala. Cristina

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ricollega la concentrazione sulle attività della propria organizzazione (il “pensare alproprio orto”) alla fatica richiesta dalle attività, dal coltivare e «zappare» quell'orto. Inquesto modo è del tutto comprensibile la difficoltà a cooperare alle attività delle altreorganizzazioni («zappare il tuo orto»), poiché non ci sono le energie per poterlo fare.Tuttavia Cristina osserva un diverso tipo di attività che non richiede un particolareinvestimento di tempo ed energie, ma più che altro una presa di consapevolezza eun'apertura dell'orizzonte. Questa attività consiste nell'«alzare lo sguardo» per vedere gliorti dei vicini e soprattutto il «bosco», «bello», costituito da tutti gli orti e i giardinicoltivati con fatica e cura dalle varie organizzazioni. Alzare lo sguardo permette dicogliere l'immagine del bosco e di mettere in una prospettiva costruttiva e piacevole lasofferenza e la fatica dell'esperienza quotidiana.

L'esperienza di apertura e innalzamento dello sguardo di cui parla Cristina dipendedalla condivisione delle criticità e della sofferenza tra persone che si riconosconovicendevolmente come accomunati dallo stesso vissuto. L'elemento “catartico”dell'alzare lo sguardo dipende quindi da un atteggiamento empatico, che si sviluppa piùfacilmente in situazioni di relazione ed incontro in presenza. Tuttavia la testimonianzariportata mette in chiaro il potenziale dell'immagine del bosco come narrazione dellarete complessa emergente dall'interazione delle singole attività. Rimanendo all'internodel registro semantico delle piante (fiori, ortaggi, alberi, orti, boschi, e così via),l'immagine del bosco ha la capacità di trasvalutare la narrazione “negativa” determinatadall'immagine degli orti divisi. Attraverso la narrazione del bosco le organizzazionidella società civile locale sono tutte rappresentate come impegnate nella stessa tipologiadi attività e sono tutte orientate allo stesso fine: piantare e coltivare alberi, germogli,fiori per realizzare dei bellissimi boschi. Anche la distinzione tra newcomers e old-timers, che è emersa più volte come principale fonte di attrito all'interno delle comunitàdi pratiche, trova la sua rappresentazione legittima in questa immagine, dove ha valorechi ha piantato il suo primo germoglio o «fiorellino» come chi sta curando dei «boschidi 30 anni».

La metafora del bosco, come quella dell'intreccio “macramè” (si veda p. 305), hannouna grande forza evocativa. Ritengo che possano essere messe a frutto per rafforzare lanarrazione del livello collettivo della “comunità di comunità di pratiche” della societàcivile locale, proprio come è stato fatto con la più diretta metafora della rete. Il concettodi rete è confluito direttamente nella realizzazione della visualizzazione del “grafo direte”. Una sperimentazione grafica sul concetto di intreccio è già iniziata con il grafostoryline. Ritengo possibile in futuro una sperimentazione grafica anche sulla basedell'idea di un bosco intrecciato, dove i cerchi del grafo possono essere sostituiti daalberi, fiori e piante, connessi attraverso radici o rami. Le “visualizzazioni di dati”possono essere utilizzate come punti cruciali nei processi di storytelling contemporanei(Nussbaumer Knaflic 2015). Il grafo di rete, il grafo storyline e potenzialmente il grafo-bosco si configurano come variazioni della stessa “visualizzazione di dati”, che può

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costituire un elemento cruciale nell'auto-narrazione sociale in costruzione all'internodella comunità. Ritengo che questo tipo di visualizzazioni costituiscano una “sceltaappropriata di elementi visuali” (Nussbaumer Knaflic 2015), che possano crearecorrispondenze visuali con gli elementi simbolici e le metafore linguistiche giàcircolanti nella comunità stessa, e produrre un rinforzo reciproco.

Elementi metodologici e scientifici

Rete frammentata o connessa?

Una prima questione che sorge spontanea date le premesse e lo svolgimento di questaricerca è se la rete di cooperazione sia connessa o frammentata. In base al fieldwork cheho condotto emerge il fatto che entrambe le dimensioni sono in qualche modo presenti,e scaturiscono da due diversi punti di vista sulla stessa questione. Come ho mostrato neicapitoli precedenti le due interpretazioni sono entrambe legittime in quanto mettono inluce differenti aspetti della realtà collaborativa e relazionale, in base a diversi punti diriferimento. Se si considera il livello di connessione in base alle aspettative e ai desideridei soggetti partecipanti, la rete risulta più frammentata; se lo si considera in base allapresenza di collaborazioni, allora la rete risulta piuttosto connessa.

Se e quando lo strumento del grafo venisse utilizzato in modo sistematico dallamaggior parte delle organizzazioni coinvolte, i “dati” potrebbero offrire un feedback piùpreciso e contribuire a dirimere la questione. In ogni caso rimarrà sempre necessariodefinire il concetto di connessione per poter valutare la situazione della rete in relazionead esso. Mi interessa qui mettere in rilievo una considerazione derivante dall'utilizzo delgrafo in questo senso. Nella teoria dei grafi e nell'analisi delle reti un grafo si dice“connesso” quando esiste almeno un “percorso” che collega ogni nodo ad ogni altro.Non è necessario avere un arco tra ogni coppia di nodi (il che darebbe origine ad ungrafo “completo”). L'utilizzo del concetto di “percorso” (detto anche “cammino”) spostal'attenzione dalla posizione del singolo nodo (se è centrale o vicino rispetto ad altrinodi) alla questione della sua “raggiungibilità”. Un grafo frammentato (il termineutilizzato nella teoria è “non connesso”) si caratterizza quindi per l'irrangiungibilità dialmeno uno dei suoi nodi, che rimane “isolato”.

Molteplici occasioni hanno sottolineato sul campo la limitatezza del numero direlazioni che in un determinato periodo di tempo ogni organizzazione (attraverso i suoimembri) riesce a mantenere. In base a questi limiti è del tutto improbabile, e forseimpossibile, che la rete di collaborazioni derivante possa essere o divenire completa, nelsenso che tutti abbiano relazioni con tutti. Di certo questo scenario non costituisce unpunto di riferimento realistico sulla base del quale le organizzazioni possano valutare illivello di connessione della propria rete. Piuttosto sembra di notevole interesse unariflessione sul concetto di “percorso/cammino”, con cui si intende una sequenza di unoo più archi che connettono due nodi. Esiste un percorso o cammino relazionaleattraverso cui una particolare organizzazione può entrare in relazione e collaborare con

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un'altra? In altre parole forse non è importante (per i fini preposti delle organizzazioni)mantenere buone relazioni con tutti, ma poter raggiungere qualsiasi organizzazione dellarete attraverso le proprie relazioni. Ad esempio, i collaboratori dei propri collaboratori(cioè le organizzazioni raggiungibili con un percorso di lunghezza 2) potrebbero essereorganizzazioni facilmente raggiungibili anche senza essere entrate prima in contattodiretto, semplicemente chiedendo ad un proprio collaboratore di fare da intermediario,oppure rivendicando la vicinanza dovuta al fatto di avere uno o più collaboratori incomune.

Proprio in questo senso risulta ancora più evidente che non sono così importantil'unicità e l'uniformità della rete (un risultato che si otterrebbe, ad esempio, se tutte leorganizzazioni appartenessero ad una stessa rete formale), quanto piuttosto ilriconoscimento della complessità della rete emergente dalle interazioni reali. Lacapacità di riconoscere questa struttura complessa e fondamentalmente interconnessa aldi là dei propri contatti diretti, capacità che può essere favorita dall'utilizzo dellametafora/narrazione del bosco, di quella dell'intreccio e dello strumento/immagine delgrafo, può migliorare l'adattamento delle organizzazioni al proprio contesto relazionale.Questo mi riporta ancora una volta al caso studio balinese.

Coordinamento dal basso

Riprendo dunque il confronto tra la rete dei subak e la rete delle organizzazioni dellasocietà civile veronese (sempre attraverso l'astrazione e la modellazione) iniziato a p. 80e continuato in diversi passaggi della tesi. Il caso balinese insegna quanto sia importantericonoscere la complessità intrinseca nelle reti, di qualsiasi tipo esse siano (si vedaanche il caso di una rete puramente ecologica citato in nota 14 p. 26), prima diprogettare interventi top-down su di esse. Se si è in presenza di un sufficiente livello diauto-organizzazione, una rete di governance complessa può risolvere problemi dicoordinamento che non sono alla portata di una pianificazione dall'alto. Riconosceretale tipologia di organizzazione diviene di estrema importanza se si considerano da unlato, il lungo tempo necessario alla co-evoluzione degli agenti e delle regole dicomportamento in una rete complessa adattativa e dall'altro, gli enormi costi checomporta la gestione top-down, senza trascurare i costi di transizione dal (e in certi casidistruzione del) sistema istituzionale preesistente all'intervento. Invece di governare lereti dall'alto, potrebbe essere molto più efficiente investire risorse nel favorire lecapacità di auto-governo. In caso non si trovi traccia di auto-organizzazione, può esserecruciale favorirne l'emergenza.

Ho già anticipato (p. 23) che le testimonianze storico-archeologiche permettono difar risalire la presenza dei subak a circa mille anni fa4. Questo lungo tempo, nonostantenon debba essere considerato come un percorso lineare e cumulativo, ha permesso il co-

4 Hauser‐Schaublin (2012: 474) mette in guardia dall'errore di ritenere che i subak siano rimasti invariati per tutto questo tempo, anche se Jan Wisseman Christie (1992: 19) osserva che già nel X secolo esistevano società di irrigazione simili ai moderni subak.

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adattamento delle innumerevoli componenti ambientali, tecnologiche e sociali checostituiscono l'efficiente rete dei subak (si veda il cap. 1) in grado di coordinare su largascala l'utilizzo dell'acqua e il controllo dei parassiti; di mantenere delle rese maggioririspetto ai sistemi “moderni” di agricoltura industriale testati con la rivoluzione verde; edi garantire un utilizzo equo delle risorse (ogni contadino ha accesso alla stessa quantitàdi acqua per campo).

Sebbene incomparabile in quanto a tempo di evoluzione, anche la rete della societàcivile veronese ha alle sue spalle alcuni decenni di storia. Si pensi che le organizzazionireticolari che ho maggiormente seguito durante il fieldwork, Villa Buri, NaturalmenteVerona e Mag Verona, hanno rispettivamente 15, 30 e 39 anni5 e la visualizzazionediacronica del grafo mostra alcune altre organizzazioni nate negli anni '806.Ironicamente, data la pervasiva “mancanza di tempo” di queste organizzazioni,l'estensione temporale della loro co-evoluzione come sistema rappresenta una granderisorsa, affatto trascurabile dal punto di vista delle politiche amministrative e delleesigenze di coordinamento.

Come per l'età, anche per quanto riguarda l'operato della rete, la comparazione non èimmediata. La rete dei subak gestisce un settore molto specifico: l'irrigazione. Tuttaviaanche in questo caso il collegamento può avvenire attraverso astrazione, riconoscendoche la rete tra subak risolve complessi problemi di coordinamento. La rete veronese, purnon avendo un operato specificamente individuabile, influisce nella generalegovernance del territorio (politica, economica, ambientale e sociale). La sua capacità diauto-coordinamento e di coordinamento della governance potrebbe portare benefici alivello di sostenibilità ed equità nella gestione di città e provincia.

Riassumendo i principi guida che la scienza della complessità può offrire allagestione dei sistemi sociali, Philip Ball indica chiaramente l'importanza del tempo edella storia, nel mettere a frutto la capacità dell'auto-organizzazione di creareinnovazione e adattamento, e di limitare l'imposizione di soluzioni dall'alto.

Non imporre soluzioni, ma creare le condizioni affinché soluzioni efficaciemergano spontaneamente.

[…] Lasciare che l'auto-organizzazione crei adattabilità e innovazione.

Ricordare che dove si è può dipendere da come ci si è arrivati: la storia conta. (Ball2012: 53)

“Riconoscere la complessità” non significa dunque soltanto saperla individuare, cioèriconoscere la presenza di particolari modelli scientifici nei contesti reali; significa

5 Villa Buri onlus è stata fondata nel 2003 al termine di un processo iniziato nel 2001; nello stesso annoè stata ufficialmente creata Naturalmente Verona, riprendendo la precedente organizzazione informalenata circa 20 anni prima. Mag Verona ha una storia ancora più lunga, perché la sua fondazione risale al 1978, dopo aver operato per tre anni come gruppo informale.

6 Senza contare che anche quando le organizzazioni cessano la propria attività, non creano una cesura netta nell'operato dei loro membri, che spesso si ri-associano in nuovi gruppi, garantendo una certa continuità nel tempo.

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anche saperla rispettare, cioè saper prendersi cura delle dinamiche complesse in atto inquesti contesti, per non distruggerle e anzi favorirne lo sviluppo. “Riconoscere” quindinel pieno senso del termine. Lo strumento collaborativo del grafo della rete ha dunquelo scopo di favorire questo riconoscimento, non soltanto però da parte delleorganizzazioni rappresentate all'interno del grafo, ma anche da parte degli osservatori inqualche modo “esterni”, primi fra tutti le amministrazioni locali, ma in generalequalsiasi soggetto in grado di favorire l'organizzazione della governance della città edella provincia. Per chiarire questo ruolo, ritorno per un ultima volta al caso balinese.

Alle nostre latitudini la cultura balinese, ma anche specificamente le associazioni diirrigazione subak, sono più conosciute attraverso le opere di Clifford Geertz (1972;1980a; 1980b). La mia scelta è stata quella di partire da un altro antropologo, StephenLansing. Il suo lavoro di ricerca centrato sulla cooperazione tra i contadini (Lansing2006: 21), anche se meno conosciuto rispetto ai classici di Geertz, mi ha ispirato elegittimato da un punto di vista metodologico e teorico. Come ho già esposto nel primocapitolo, Lansing è riuscito a coniugare etnografia e modellazione-ad-agenti in unaricerca sia rigorosa (scientificamente “buona”) che capace di innescare un processo diapprendimento sociale atto al miglioramento della sostenibilità socio-ambientale(socialmente “buona”). L'autorevolezza delle sue ricerche ha legittimato l'approccioteorico e metodologico innovativo utilizzato, sulla base del quale ho costruito il casostudio veronese.

Le ricerche di Lansing e quelle di Geertz concordano su molti elementidell'organizzazione delle associazioni di irrigazione subak. In particolare, nonostante lecritiche all'interpretazione di Geertz dello “stato teatro” (ad esempio Schulte Nordholt[1981]), le indagini di Lansing e della “sua” équipe confermano che i regnanti balinesinon gestivano/coordinavano/controllavano direttamente, in modo centralizzato e top-down, il complesso sistema di irrigazione, il quale invece veniva e viene tuttoracoordinato dalla rete dei subak. L'interpretazione di Geertz, che l'economia e la gestionedell'agricoltura e dell'irrigazione fossero perlopiù auto-gestite a livello locale e noncontrollate da poteri centrali, ha suscitato critiche che si sono inasprite dopo lepubblicazioni di Lansing, secondo il quale l'interazione locale dei subak produce unacapacità di governance estesa a tutta l'isola (Schulte Nordholt 1996; 2011; Hauser‐Schäublin 2003; 2011; 2012; Lansing, Pedersen, e Hauser‐Schäublin 2005)7.

Per quanto non sia semplice addentrarsi in queste discussioni e critiche, spesso moltospecifiche e dettagliate, propongo le seguenti osservazioni. Innanzitutto ciò chegiustifica i toni molto accesi della discussione è che la questione Balinese costituisceuno snodo fondamentale all'interno del dibattito molto più ampio sulla “teoria dellaformazione dello stato”. Come segnala Hauser-Schäublin, la relazione tra il controllodell'irrigazione e la formazione dello stato è stata introdotta come un tema centrale ditale dibattito da Karl Marx (1977 [1859]).

7 L'articolo di Hauser-Schäublin su Current Anthropology del 2003 è seguito da numerosi commenti tracui quelli degli stessi Geertz e Lansing.

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L'organizzazione sociale dell'agricoltura di irrigazione è una parte importante dimolte teorie sull'origine dello Stato. Da quando Marx ha descritto l'organizzazionee il controllo dell'agricoltura di irrigazione come un compito centrale deigovernanti nelle società “orientali”, gli studiosi hanno discusso se un'irrigazioneestensiva avrebbe potuto esistere nelle società preindustriali, senza l'interventodello Stato. Nel caso balinese, il modello dello “Stato teatro” di Geertz edell'“irrigazione democratica” di Lansing sono esplicitamente ritenuti smentire lateoria di Marx del “modo di produzione asiatico” e la teoria di Wittfogel del“dispotismo orientale”. (Hauser-Schäublin 2003: 153)

Come affermato da Thomas Reuter in un commento all'articolo di Hauser-Schäublin(2003: 172), «non c'è assolutamente nulla di sorprendente in questo dibattito. Essorispecchia semplicemente un tema ricorrente e universale nella storia socio-politicadella civiltà umana».

In secondo luogo, nelle diverse critiche non viene mai messo in discussione che lasituazione dell'irrigazione contemporanea balinese sia quella descritta da Lansing – unarete di auto-organizzazione tra subak. Le critiche sono rivolte esplicitamente al ruolo deiregnanti nel periodo pre-coloniale. Ciò che mi preme maggiormente sottolineare è che,nonostante non sia chiaro quale sia stato il concreto livello di intervento dei regnanti nelcontrollo dell'irrigazione, si nota come tutti gli autori descrivano una situazione pre-coloniale in cui non c'è traccia di un potere politico centralizzato e unitario, e al suoposto si possa documentare una complessa e variegata partecipazione di (e spessocompetizione tra) re, principi, signori, delegati, sacerdoti e associazioni di contadini.Cito alcuni esempi per maggior chiarezza.

Fino ad ora, non ho trovato alcuna prova che sostenga il modello bottom-up diLansing di una organizzazione dell'irrigazione gestita esclusivamente da sistemi ditempli. Invece, vediamo un sistema complesso, ma integrato, in cui partecipavanodinastie, templi, e contadini e i rapporti gerarchici e la collaborazione orizzontaleerano combinati. (Schulte Nordholt 2011: 25)

[…] Una comunità […] che non esisteva in termini di un territorio omogeneo o unapolitica ben definita che potrebbe essere affrontata indipendentemente dal dominiodella religione. Al suo posto, c'erano reti di templi che si combinavano con sedireali nel costituire la struttura dello Stato balinese. Grandi parti dei circondari sispostavano in particolari periodi e lungo percorsi prestabiliti verso questi centri.Quando una celebrazione stava per aver luogo, messaggeri venivano inviati daicentri per notificare i pellegrini della data esatta e, in una certa misura, della listadei doni attesi. Perciò c'era mobilitazione dall'alto. (Hauser-Schäublin 2003: 168-169)

Come la mia ricerca su alcuni sistemi di templi regionali della costa settentrionaleha dimostrato, la “struttura” dei segmenti regionali – le diverse aree da cui ipellegrini venivano – non era stabile, ma contestata da governanti concorrenti inlotta per il loro supporto. Di conseguenza, in alcune regioni c'erano reti di templi incompetizione, connesse con diversi signori o con i loro rappresentanti rituali. Ilrisultato del riconoscimento della legittimità e del potere carismatico delprincipe/re era la mobilitazione dei circondari per la partecipazione ad una oun'altra rete. (Hauser‐Schäublin 2003: 169)

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Nonostante sostengano la tesi di un forte controllo diretto e un coordinamento top-downda parte dei regnanti, entrambi i critici citati (e così gli altri) riconoscono la maggiorecomplessità della realtà. Henk Schulte Nordholt utilizza il termine «sistema complesso»e Brigitta Hauser-Schäublin il termine «reti […] in competizione», per descrivere lacomplessa struttura organizzativa attraverso cui veniva controllata (tra le altre cose)l'irrigazione.

Hauser-Schäublin riferisce inoltre che la corte reale svolgeva il ruolo dicoordinamento «quando l'auto-regolazione […] non funzionava», agendo in effetti comeun “arbitro”.

Un re era responsabile del coordinamento e del processo decisionale laddovec'erano interessi competitivi come l'acqua per l'irrigazione contro l'acqua potabile odisaccordi tra subak concernenti la distribuzione dell'acqua. Era, come haformulato Liefrinck altrove (1889: 428), un “arbitro”, un giudice, che intervenivasoprattutto quando l'auto-regolamentazione per quanto riguarda la distribuzionedell'acqua non funzionava. (Hauser-Schäublin 2003: 161)

D'altra parte anche Lansing riconosce un ruolo particolare ai primi re balinesi (si veda inseguito) quando afferma «è anche evidente che i primi re incoraggiavano la costruzionedi templi e di sistemi di irrigazione» (Lansing 2006: 29). Nessuno degli studiosicoinvolti nel dibattito mette in discussione il modello di un sistema multi-agente.

Le affermazioni citate, combinate al «buon senso» invocato da Reuter per scioglierela questione “universale” da cui le critiche traggono forza, lasciano intendere che né unmodello di coordinamento completamente top-down, né completamente bottom-up siavvicinino alla situazione storica reale e che un “certo” livello di coinvolgimento deiregnanti è più che plausibile. Tuttavia Lansing non viene smentito nell'affermare che iltipo di controllo dall'alto testimoniato dalle evidenze esposte dai critici non raggiungel'estensione geografica sufficiente a garantire un controllo efficace delle problematicheecologiche in questione (condivisione dell'acqua e controllo dei parassiti).

Passando ora al ruolo della dinastia Mengwi nell'irrigazione, possiamo chiarire inostri punti di disaccordo con SN [Schulte Hordholt]. Come Vayda [2009], egli nonconsidera l'importanza funzionale della interdipendenza tra i subak e i sistemi diirrigazione. Per quanto riguarda il sistema di Mambal, egli osserva che “l'interosistema è stato distribuito su domini di diversi signori”. Più in generale, affermache “satelliti della dinastia e altri signori avevano il controllo dei propri sistemi diirrigazione” (2011: 22). La nostra domanda è: che tipo di controllo sarebbepossibile a questa scala? Ancora una volta indichiamo i sottomodelli idrologico edecologico nelle nostre simulazioni e l'esperienza della Rivoluzione Verde, entrambii quali dimostrano che il controllo dell'irrigazione alla scala di singole dighe èinadeguato. (Lansing e de Vet 2012: 464)

Il modello di Lansing e Kremer, come riconosce Leene Pedersen nella discussione inCurrent Anthropology n° 46 (2005), è in grado di fornire una spiegazione plausibile dicome la rete di coordinamento attuale possa essersi sviluppata nel tempo, attraversol'auto-organizzazione, oltre a spiegarne il funzionamento ecologico.

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Lansing ha presentato uno scenario plausibile di come questo sistema possa essersisviluppato dal basso piuttosto che essere stato progettato e realizzato secondo unpiano generale dall'alto, e ha dimostrato in modo convincente come funzionavaecologicamente, con i compiti di irrigazione e di produzione del riso coordinatiattraverso le organizzazioni subak. Altre testimonianze finora aggiungonoprospettive sul ruolo che i governanti hanno giocato in relazione a questo sistema.(Pedersen in Lansing, Pedersen, e Hauser‐Schäublin 2005: 306).

Se quindi tutti gli autori convergono nell'affermare l'esistenza di un sistema complessomulti-agente, è necessario riconoscere che non tutti gli agenti sono uguali. Le istituzionidi potere, in generale, hanno un ruolo del tutto particolare e possono favorire l'auto-organizzazione dell'intero sistema sociale. Lansing documenta (attraverso l'analisi delleiscrizioni reali ritrovate dagli studi archeologici) l'importante ruolo giocato dai primi rebalinesi nel sostenere i lavori effettuati dagli abitanti.

Lo strumento più importante a disposizione di un re per il sostegno di templi,monasteri e sacerdoti era un dispositivo legale chiamato concessione sima. Questaconcessione revocava gli altri oneri fiscali di un villaggio in cambio del supportoper il tempio reale o qualsiasi altra sede religiosa, come ad esempio un rifugio per imonaci viaggiatori.

Per quanto riguarda il coinvolgimento regale nell'irrigazione, molte iscrizioni siriferiscono ad una piccola tassa annuale per l'utilizzo di acqua di irrigazione, dacorrispondere ai funzionari specifici. (Lansing 2006: 30)

La riduzione fiscale per i contadini che effettuavano i lavori e si prendevano cura delleopere era il principale strumento attraverso cui i re incoraggiavano la costruzione e lamanutenzione delle opere irrigue e delle risaie terrazzate (e di altre opere “collettive”).Strumenti correlati erano l'assegnazione di permessi, l'imposizione di multe per lamancata comunicazione di problemi da parte degli abitanti da cui ci si aspettava undeterminato lavoro, e la conversione diretta dei terreni a risaia (ad esempio parti diforesta di proprietà reale, terreni appartenenti a genitori senza figli, e così via). Tra gliesempi forniti da Lansing uno in particolare illustra esaustivamente il contesto efavorisce la comparazione con la situazione veronese.

[…] Con l'undicesimo secolo ai contadini che volevano costruire canali diirrigazione era necessario il permesso reale. Iscrizioni successive illustrano uninteresse piuttosto sorprendente dalle corti reali nei minimi dettagli relativiall'irrigazione.

[…] In una iscrizione datata 1027 d.C., si afferma che tre persone citate hannoconvertito un tratto di foresta di proprietà di un funzionario di corte in risaieterrazzate, e che un'altra foresta è stata trasformata in terrazze da altri tre abitanti.L'iscrizione menziona anche la costruzione di una diga da parte degli abitanti delvillaggio. Quarantatré anni più tardi un'altra iscrizione istruisce i contadini apiantare alberi intorno alla loro diga: “Affinché la diga sia ben curata, è consentitodi piantare lì alberi di cocco, noci di areca, palme lontar, bambù e tutti i tipi dialberi a lunga vita compresi i tipi che non hanno alcuna utilità.” E per tre anni, letasse dei contadini che disboscano per il riso sono ridotte di due terzi. (Lansing2006: 30)

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L'iscrizione citata mette in risalto sia il ruolo di sostegno della corte, sia l'attenzione deigovernanti a come il sostegno concesso venisse impiegato, al fine – a quanto sembra –di garantire che i compiti desiderati (costruire un terrazzamento, prendersi cura di unadiga, e così via) venissero assolti. In questo contesto quindi gli abitanti/contadini hannoil ruolo di utilizzatori e gestori delle risorse, abilitati dall'istituzione competente ametterle a frutto e contemporaneamente a prendersene cura.

Durante il CdA allargato di Mag più volte citato era presente anche un'assessora allacultura e alle politiche sociali di un comune del mantovano, la quale ha esposto il suopunto di vista per quanto concerne il ruolo delle istituzioni locali in relazione al «terzosettore». Il suo intervento è estremamente in linea con quanto discusso per il casobalinese.

Luna: Da pochi mesi sono assessora alla cultura e alle politiche sociali di unpiccolissimo comune agricolo in provincia di Mantova, volevo collegarmi aldiscorso che stavi facendo tu e credo che il terzo settore possa rappresentare unagrandissima risorsa per le amministrazioni pubbliche. Entro subito nello specifico.Quest'anno, ho già parlato in giunta la settimana scorsa, perché vorrei riprendere inmano la questione degli appalti, l'appalto alle ditte, in particolare del SAD(Servizio Assistenza Domiciliare)…, stendendo già nel capitolato una serie dirichieste che possano incentivare moltissimo proprio tutta quella relazione neltessuto sociale che le amministrazioni da sole non riuscirebbero a gestire. Quindichiedere proprio un aiuto, un sostegno molto pratico, relazionale, alle ditte cheentrano; quindi non soltanto guardare al ribasso nei prezzi ma mettere invece nelcapitolato tutte quelle piccole cose che la ditta con i suoi operatori e operatrici puòfare praticamente nel comune (ovviamente in contatto con le amministrazioni):stendere un dialogo con le associazioni del posto, incentivare questi anziani apartecipare a degli incontri, a dei momenti per loro, a creare delle occasioni ancheper uscire di casa. Ecco […] credo che questo possa essere importante: puntaremolto sulla qualità delle relazioni, puntare su una maggiore partecipazione […].

Sono due in particolare gli elementi di continuità con il contesto storico balinese rispettoal rapporto istituzioni – abitanti: il riconoscimento che «l'amministrazione» non sarebbein grado di «gestire» dall'alto la «relazione nel tessuto sociale», necessaria perl'organizzazione di attività complesse; e l'esplicitazione nei documenti amministrativi dispecifiche indicazioni sui compiti desiderati (in questo caso «stendere un dialogo con leassociazioni del posto, incentivare questi anziani a partecipare a degli incontri»).

È chiaro che il “tessuto sociale”, altra metafora molto diffusa per indicare la retedelle relazioni sociali, costituisce una risorsa fondamentale nei sistemi di governance edi management complessi. Si pensi al problema generale dell'economia, come posto – inmaniera riduttiva – dalla scienza economica ortodossa, cioè l'allocazione ottimale dellerisorse8. Si tratta di un problema complesso, a qualsiasi livello lo si consideri, perfino alivello di un «piccolissimo comune […] in provincia», a maggior ragione se si consideraun'accezione più ampia del problema, che includa la sostenibilità economica, sociale e

8 Il problema dell'allocazione ottimale delle risorse può essere esteso come formulazione generale e astratta della sfida della sostenibilità, soprattutto considerando il significato di “ottimale” nel senso indicato da Bateson (1972: 335), cioè di «ottimalità omeostatica» (1972: 315).

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ambientale. Affinché un sistema di governance riesca ad allocare le risorse in modoottimale e adattativo, deve essere in grado di processare i segnali ambientali locali, cioèl'informazione e il feedback proveniente dall'ambiente (sociale e naturale). Difficilmenteun'istituzione di governo ha le risorse per poter eseguire questo tipo di compitointeramente top-down, senza contare che se ci riuscisse si sarebbe in presenza di unregime totalitario. Una rete complessa può invece essere la struttura ideale per risolverequesto tipo di problemi, poiché processa l'informazione in modo distribuito attraverso ilcoordinamento bottom-up e mette a frutto il potenziale dell'auto-organizzazione.

Tuttavia, il modello delle reti di governance si discosta ampiamente dal modello dellibero mercato, oltre che per i motivi già esposti (p. 18), anche per i ruolo delleistituzioni di governo. Se nell'idea teorica del libero mercato lo Stato dovrebbe evitareogni intervento nella gestione dell'economia, il modello delle reti richiede invece aglienti pubblici di svolgere il loro ruolo nel favorire lo sviluppo e il sostegno di reti digovernance. Sono agenti il cui ruolo è fondamentale poiché il livello e il tipo diorganizzazione interno alle reti sociali in ogni determinato momento storico può essereinsufficiente, inadatto o non riconosciuto da altri agenti di potere, ed è quindi necessariosostenere i processi di rigenerazione dell'organizzazione (del capitale sociale e delnetworking). Per questo un comune che richieda ad una ditta appaltatrice del proprioservizio di assistenza domiciliare agli anziani non solo una soglia di prezzo, ma ancheuna pratica relazionale, può fare la differenza.

È in questo senso che si può interpretare, a mio avviso, il ruolo di “regia” propostodal laboratorio Labsus (si veda p. 201). Gli enti locali e le altre organizzazioni cheassumono, anche temporaneamente, un ruolo di regia (si veda p. 203), possono favorireil fare rete autonomo, senza imporre un eccessivo coordinamento dall'alto.

Cambiamento negli slogan della società civile

Se in generale le reti di governance costituiscono una struttura capace di risolverecomplessi problemi di coordinamento in modo adattativo, ciò non significaautomaticamente che ogni rete concreta abbia questa capacità. La mia ricerca non avevalo scopo di valutare il livello di organizzazione interno alla rete della società civileveronese, né la sua capacità di gestione di particolari compiti, o di risoluzione diparticolari problemi. Ciononostante ho potuto osservare, come ho mostrato nei capitoliprecedenti, che l'attività di queste organizzazioni si caratterizza per il carattere pratico,operativo e per la ricerca di collaborazioni. Questi elementi costituiscono un segnaleindicante lo sviluppo della capacità di coordinamento e quindi l'opportunità di investirenel supporto all'auto-organizzazione di tali reti.

“La storia conta” significa «dipendenza dal percorso» (Ball 2012: 3). Le condizionidi un sistema (il carattere operativo della società civile) dipendono da come si è arrivatiallo stato presente. Questa ricerca non si basa su dati longitudinali che possanodimostrare, ad esempio, un miglioramento nell'efficacia dei progetti messi in atto o altridati quantitativi sull'operato delle organizzazioni. Tuttavia, ho identificato alcune tracce

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

che suggeriscono un percorso di cambiamento nel modello culturale con cui il mondodella società civile, dell'economia solidale e della cittadinanza attiva interpreta il proprioruolo. Questa auto-narrazione, affiancata ad una serie di tentativi di coordinamento (adesempio la Rete Lilliput, Villa Buri onlus, Naturalmente Verona, CSV, Rete Mag,Coordinamento ambientale in Valpolicella, la rete degli orti collettivi, “Verso il 21marzo” e così via), è un segnale indicativo del percorso sul quale la società civile staavanzando. Di seguito documento questo cambiamento attraverso la descrizione deglislogan diffusi tra le organizzazioni.

Come punto di partenza assumo lo slogan “Un altro mondo è possibile”,ufficialmente riconosciuto come motto del Forum Sociale Mondiale (dalla primaedizione del 2001). È uno slogan globale, ma ho osservato molti interlocutori farviriferimento esplicito o implicito durante il periodo di campo. Questo slogan individuachiaramente il ruolo fondamentale delle organizzazioni della società civile nella ricercadi alternative al “pensiero unico” (Ramonet 1995) del neoliberismo. Il fatto che questa oqueste alternative siano dichiarate “possibili” è indicativo di un'auto-rappresentazionecentrata sulla ricerca di alternative al modello sociale dominante non ancora identificate.Di fatto è anche una reazione contro lo slogan conservatore “non ci sono alternative”(divenuto famoso grazie all'utilizzo di Margaret Thatcher quando era primo ministro delRegno Unito), ossia la convinzione che lo sviluppo socio-economico delle societàcontemporanee possa percorrere soltanto la via del liberismo e della società di mercato,giustificando così la distruzione di alcuni diritti sociali ritenuti altrimenti inalienabili.

Assumo lo slogan del Forum Sociale Mondiale come il maggiormente conosciuto ediffuso tra le organizzazioni della società civile globale e locale in quanto si tratta delpiù inclusivo (raccoglie tutti i diversi movimenti ambientali, sociali e indigenisti). Comeevidenzia Manuel Castell (Castells 2008: 85) citando Jeffrey Juris (2004), il movimentodel Forum Sociale Mondiale inizialmente si è caratterizzato come opposizione ai valorie agli interessi dominanti. Dieci anni dopo il primo incontro del Forum, nel 2011, unaltro movimento ha riunito la società civile globale – il movimento “Occupy WallStreet” – con un altro motto: “Noi siamo il 99%”. Questo slogan in un certo sensoinverte i pesi rispetto al precedente, indicando il modello culturale neoliberista comeminoritario perché rappresentativo soltanto dell'1% della popolazione. L'auto-narrazionedella società civile globale manifesta la consapevolezza che l'alternativa possibile èanche una scelta maggioritaria, che può divenire paradigma dominante.

Nel periodo della ricerca (2012-2014) ho potuto osservare un ulteriore cambiamentonella presa di consapevolezza interna alla società civile (per lo meno di quella locale).Propongo alcuni esempi per offrire una rappresentazione concreta dell'auto-narrazionecui mi riferisco. Il primo è tratto dall'editoriale scritto da Loredana A. del numero di“AP. Autogestione e Politica Prima” del 2013 pubblicato dopo il convegno “Impresesociali in rete”.

Il convegno ha favorito la liberazione di sentimenti di felicità diffusa, oltre alla

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consapevolezza di una forza che, dalle Imprese Sociali in Rete, fluisce nei contestisenza autoconfinarsi nei localismi. Il tutto con la chiarezza che abbiamo “svoltato”.Dal liberismo imperante degli ultimi 30 anni ci sentiamo di vivere e di voler oggiconsolidare la società dei beni comuni.» (Aldegheri 2013, grassetti nell'originale)

In questo editoriale Loredana esplicita chiaramente il suo punto di vista: l'alternativa alliberismo, che chiama «società dei beni comuni», non è più soltanto una possibilità, èuna realtà. La percezione di cui si fa portavoce è di «vivere e di voler […] consolidare»la nuova realtà; come lei stessa esplicita, questa interpretazione è indicativa di una«consapevolezza» della «forza» derivante riconoscimento reciproco tra organizzazioni epersone impegnate nella realizzazione dell'alternativa.

Durante il 12° incontro del “Comitato Cittadella del vivere consapevole” del 24febbraio 2014 ho assistito ad una riproposizione di questa riflessione sempre da parte diLoredana, all'interno di una discussione sulle accuse di speculazione, corruzione, abusod'ufficio e truffa che in quel periodo erano state mosse contro dirigenti e personale dialcune aziende partecipate del Comune di Verona e di Veronafiere (Presazzi 2014;Corazza 2014; Todesco 2015). Dopo una escalation di commenti di stupore neiconfronti dei comportamenti denunciati dalle accuse, l'intervento di Loredana ha cercatodi mantenere salda la consapevolezza del “posizionamento” dei partecipanti al comitatodi fronte agli scandali che toccavano da vicino aziende e amministrazione conintendevano interfacciarsi per perseguire il proprio progetto di social housing. «Si, perònoi siamo della nuova era, cittadini del nuovo mondo, guardiamo a queste cose masenza farci travolgere». È proprio narrandosi come «cittadini del nuovo mondo» e«della nuova era» che Loredana e altri membri del gruppo costruivano la “forzacollettiva” di cui avevano bisogno per motivarsi a perseguire un progetto cosìcomplesso e di così grande impatto per la città (si veda p. 329), su un'area che vedevacompetere altri e potenti interessi.

Il tema dell'alternativa è stato poi al centro di molte discussioni con Andrea Tronchin,il quale, come altri, ritiene che l'alternativa al neoliberismo sia già in essere e siafondamentalmente plurale, costituita da tutte le innumerevoli attività, i progetti e i modidi vivere alternativi che le persone mettono in pratica (all'interno e all'esterno dellasocietà civile). Secondo Andrea molti non “vedono” l'alternativa perché cercanoun'alternativa “unica” (nel senso di uniforme), che – paradossalmente – se ci fosse noncostituirebbe una vera alternativa al “pensiero unico”. Nel suo testo “Politiche Virtuose”del 2011 già citato si trova un chiaro riferimento a questo punto di vista.

Quanto segue è una proposta concreta che sancisce il diritto a scegliere e difendereil proprio modello di ben-essere, come singoli e come popolazione; questo senzavolere necessariamente smontare il modello dominante esistente ma creandonesemplicemente uno parallelo e complementare in modo pacifico, legale, solidale, inarmonia con la natura (o quello che resta). Non chiediamo che un altro mondo civenga dato, chiediamo che ci sia garantito il diritto di potercelo costruire, cosìcome piace a noi. La proposta parte da cose concrete che esistono già e che alleIstituzioni e Partiti Politici locali chiediamo di riconoscere, difendere e sviluppare.

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

È necessario che ogni singola persona torni ad essere Sovrana del proprio ben-essere. Un altro Mondo è possibile ed è già una realtà.

La proposta cui Andrea si riferisce non è di sovvertire/trasformare/opporsi al modelloneoliberista dominante, quanto di creare un “altro” modello, “diverso”, con ilriconoscimento da parte delle istituzioni di governo del diritto a farlo. In definitivaAndrea si appella al diritto di auto-organizzarsi, riconosciuto dagli studi di Ostromcome un elemento essenziale per la buona gestione dei beni comuni. In questi termini ilposizionamento espresso da Andrea, così come per Loredana9, è di cercare lacostruzione e non la contrapposizione10. In ogni caso lo spirito del movimento globalerappresentato dallo slogan del 2001 non è rinnegato, ma ampliato, come si puòosservare nella frase conclusiva che ne contiene un riferimento completo: «Un altroMondo è possibile ed è già una realtà».

Si può notare nel testo il perfetto allineamento con l'approccio dell'associazioneArcipelago Scec, di cui Andrea fa parte, evidente se confrontato con il mottodell'associazione: “Non cambierai mai le cose combattendo la realtà esistente.Costruisci un modello nuovo che renda quello attuale obsoleto” (citazionecomunemente attribuita a Buckminster Fuller). Ritengo questa auto-narrazionesignificativa proprio in riferimento ai concetti di sinergia e di effimeralizzazione(sempre di Buckminster Fuller) già discussi. Non serve infatti che ogni agente delcomplesso sistema multi agente planetario elabori un nuovo modello complessivo delsistema, più sostenibile di quello che si desidera cambiare. È sufficiente “unire ipuntini”, connettere ogni singola idea, progetto, attività alternativi presenti per potervedere il «nuovo modello». In questo senso “si ottiene di più, con meno”.

In questo modo viene integrato anche il processo attraverso cui arrivare alla metadesiderata. In un certo senso le persone che si identificano in questo mondo hanno giàriconosciuto e intrapreso il cammino verso la sostenibilità, e non resta loro checontinuare a percorrerlo. È in questo senso che le persone coinvolte nella società civile,nell'economia solidale e nella cittadinanza attiva manifestano un'attitudine più operativae costruttiva rispetto all'immaginario tutt'ora diffuso, che tende a rappresentarli come un

9 Anche se si tratta di due figure leader della società civile locale, assumo il loro punto di vista come sufficientemente rappresentativo della comunità ai fini del presente discorso sull'evoluzione degli slogan, il quale ha un carattere del tutto esplorativo.

10 Il superamento della “fase oppositiva” si ritrova anche nell'approccio dei curatori di Davide e Golia. La primavera delle economie diverse. Si veda ad esempio l'introduzione Nuovi soggetti dell'economico dove si cerca anche nella terminologia di segnare questo passaggio. «[…] Incontrandoe coinvolgendo alcuni gruppi come quelli dei consumatori critici o dei produttori o delle reti di produttori, volevamo provare a togliere l'etichetta, alle volte consolatoria, di “altra/altre economia/e” ai complessi processi economici e sociali in corso che forse stanno azzardando nuove ipotesi. Troppo spesso le economie emergenti vengono confinate o si autoconfinano nel recinto teorico di economie alternative intese come parallele, incapaci dunque di ridisegnare e re-immaginare un orizzonte complessivo nel quale tutti possano riconoscersi e tutte le dimensioni possano trovare una nuova e diversa combinazione. È nel tentativo di superare, fin dalla nominazione, i parallelismi tra economia/economicistico egemone e laboratori di “economia solidale”, di giustizia, etica, alternativa che abbiamo preferito parlare di economie diverse». (Bertell et al. 2013a: XVII).

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movimento di opposizione. Queste persone non si limitano ad avere una visione di unmodello di vita sostenibile e a dichiararne la possibilità, ma lo stanno già costruendo datempo e in modo tale da integrare il processo della sua realizzazione nel sistema divalori di cui è costituito, in modo che la sostenibilità si possa mantenere nel tempo.

L'approccio CAS e ABM nelle scienze sociali

Ho mostrato l'importanza di favorire l'auto-organizzazione nelle reti di governance.Questo argomento cruciale, derivante dallo studio dei sistemi complessi, non è ancoradivenuto di dominio pubblico e viene spesso trascurato ai vari livelli dell'organizzazionesociale (Ball 2012: VIII). Cionondimeno, il percorso di avvicinamento tra scienzesociali e scienza dei sistemi complessi è ormai intrapreso ed i benefici di tale dialogostanno venendo alla luce (Lansing 2015). L'approccio dei sistemi complessi applicatoalle problematiche sociali è ben rappresentato dal testo di Philip Ball Why Society is aComplex Matter: Meeting Twenty-first Century Challenges with a New Kind of Science(2012). Ball, fisico, chimico e divulgatore di fama, si fa portavoce dell'importanza edell'urgenza dell'interdisciplinarità e della cooperazione tra settori scientifici, di cuielenca un elevato numero di specializzazioni.

La nozione di “sistemi complessi” è relativamente nuova nelle scienze sociali. Magli scienziati naturali hanno studiato questi sistemi con molto successo da diversidecenni. Questo libro sostiene che i tempi sono maturi – anzi, la necessità è urgente– per avvicinare le scienze sociali da questa prospettiva. Essa richiede unacollaborazione tra gli scienziati naturali e sociali tra cui, ad esempio, informatici,fisici, matematici, biologi, tecnologi, psicologi, economisti, sociologi, urbanisti,politologi, filosofi, storici e artisti – per costruire una nuova immagine delcomportamento sociale umano e delle sue conseguenze. Si tratta di un compitoimmenso, ma sta già cominciando. Uno che non possiamo più permetterci ditrascurare. (Ball 2012: IX)

Curiosamente in un elenco così lungo di discipline che vanno dalle scienze dure finoall'arte, l'antropologia non viene nominata. Forse non si tratta di una semplicedimenticanza, ma di una insufficiente rappresentazione/partecipazione dell'antropologiain questa impresa interdisciplinare. A maggior ragione sottolineo dunque l'importanzadella scelta che ho portato avanti in questa ricerca, di voler far dialogare il pensierosistemico-complesso con la metodologia e la teoria antropologiche. L'originalità dellamia tesi risiede nell'aver letto il fenomeno dell'interazione tra organizzazioni dellasocietà civile locale con uno sguardo antropologico e allo stesso tempo anche attraversogli strumenti della teoria della complessità.

In questa tesi, in particolare attraverso i sistematici riferimenti alla metodologiautilizzata nel caso studio proposto da Lansing, ho messo in evidenza come l'approcciosistemico-complesso possa integrare la metodologia etnografica, di per sé specializzatasu osservazioni locali ed agent oriented, anche e soprattutto grazie alla notevolevicinanza tra i linguaggi scientifici della complessità e dell'antropologia (Abel 1998,2013). Ho descritto il contributo dell'etnografia e del fieldwork nel riconoscere e nel

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

sostenere le reti di governance attive sui territori (si veda p. 19). In questa ultima partedelle conclusioni vorrei portare l'attenzione sull'apporto dell'antropologia alla generaleapplicazione dell'approccio CAS (Complex Adaptive Systems) e ABM (Agent-basedmodeling) alle problematiche sociali.

Il libro di Ball parte dalla considerazione che la società possa essere fruttuosamentevista come un sistema complesso, fornendo molti esempi in cui problematiche socialisono state efficacemente affrontate attraverso la modellazione formale e la simulazionedi sistemi multi-agente, tra cui la gestione del traffico, il controllo del crimine, ilcontrollo della diffusione delle malattie, il controllo dei mercati economici, la gestionedella crescita delle città, e altri. Il fulcro del discorso di Ball e in generale dell'approccioda lui descritto si riferisce alla «lezione fondamentale della gestione di sistemicomplessi», consistente nel riconoscere l'auto-organizzazione.

Come Lee C. Bollinger, presidente della Columbia University di New York, hadetto, “Le forze che interessano società di tutto il mondo sono potenti e nuove...troppi fallimenti politici sono fondamentalmente fallimenti di conoscenza”. È perquesto che i politici e i decision makers hanno bisogno di nuovi concetti estrumenti se non vogliono perdere la capacità di governare, di gestire le economie,di creare società stabili, per mantenere il mondo vivibile. E avranno bisogno diimparare la lezione fondamentale della gestione di sistemi complessi interagenti: lesoluzioni non possono essere imposte, ma devono essere indotte dal sistemadinamico stesso. (Ball 2012: VIII)

In breve, le problematiche che le società contemporanee si trovano ad affrontarepresentano un elevato livello di interdipendenza. I comportamenti, le caratteristiche e ledinamiche di tali sistemi emergono dall'interazione delle componenti e sono in un certosenso inafferrabili. Ciò rende inefficaci i tentativi di governare/pianificare i sistemidall'alto e rende necessario un cambio di approccio: si deve cercare di produrre nelsistema le condizioni favorevoli all'auto-sviluppo delle soluzioni ai problemiidentificati.

I tentativi di dirigere o gestire tali proprietà emergenti in genere rivelano cheapprocci “top-down”, che cercano di dettare un risultato particolare, sonoinefficaci, e che ciò che è necessario invece è un approccio 'bottom-up' che mira aguidare l'auto-organizzazione verso stati desiderabili.

Questo punto di vista è perfettamente in accordo con quanto visto nella sezioneprecedente. Tuttavia i passaggi citati chiariscono un ulteriore elemento fondamentaledell'approccio mainstream alla complessità nei sistemi sociali. Lo scopo della ricerca èdi costruire modelli più adatti a rappresentare le dinamiche non lineari dei fenomenisociali. Il problema fondamentale – inquadrato da questo approccio – è che i decisionmakers, che collettivamente dirigono la società nel suo percorso evolutivo, utilizzanomodelli concettuali troppo semplificati, la cui applicazione produce inevitabili errori divalutazione (Ball 2012: 44, 45). Tutti gli esempi applicativi riassunti da Ball implicanola costruzione di strumenti e modelli complessi da fornire ai decision e policy makers.

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Ad esempio, nel caso della pianificazione urbana, il più vicino al contesto della reteda me studiata, i destinatari sono i «pianificatori urbani». Ball parte dall'osservazione diMichael Batty (2005) secondo il quale «la pianificazione, la progettazione, il controllo,la gestione – qualunque costellazione di prospettive interventiste vengono adottate –sono difficili e potenzialmente pericolose». Proprio perché le città sono sistemicomplessi dinamici, gli interventi sono potenzialmente distruttivi, se non motivati dauna profonda conoscenza interazioni presenti. Questa consapevolezza non si traduceperò in una «prescrizione per la stasi».

Tuttavia, lungi dall'essere una prescrizione per la stasi o il laissez-faire, questasituazione sostiene che abbiamo bisogno di buoni modelli della complessità urbanache ci permetteranno di sperimentare soluzioni 'in laboratorio' prima diimplementarle nel mondo reale. È sempre più importante che gli urbanisti venganodotati di tali modelli al fine di porre domande del tipo 'cosa succede se?'. Che cosasuccede se costruiamo un collegamento ferroviario ad alta velocità qui? Che cosasuccede se imponiamo una tassa di congestione o riduciamo le tariffe degliautobus? Che cosa succede se il cambiamento climatico rende questa parte delterreno inutilizzabile a causa del rischio di alluvione? Che cosa succede se i disastrinaturali o gli attacchi terroristi richiedono l'evacuazione di una parte o di tutta lacittà? (Ball 2012: 47)

I pianificatori, dotati di strumenti appropriati (e quindi complessi), possono riprodurre ilcontesto sperimentale tipico delle scienze naturali per affrontare problemi sociali.Possono formulare ipotesi, effettuare esperimenti e test nel “laboratorio” virtuale dellasimulazione prima di cimentarsi con la realtà11.

In questo contesto, il ruolo riservato ai cittadini e cittadine è quello di “agenti” delsistema in analisi (o di “giocatori” nel linguaggio della teoria dei giochi). In altre parole,nonostante la maggiore adeguatezza dei modelli utilizzati, viene riproposto il contestodell'osservatore esterno. La ricerca scientifica costituisce l'osservatore, il quale produceil modello integrando grandi quantitativi di dati e di interazioni; i decisori politici edeconomici sono gli interlocutori degli osservatori, i committenti delle ricerche, chedovranno poi implementare nuove politiche informate dai modelli; i cittadini e gli utentisono i destinatari finali delle politiche. Queste agiscono per così dire in background,attraverso variazioni dell'ambiente e sotto forma di stimoli adatti a modificare ilcomportamento degli agenti secondo le indicazioni fornite dal modello e al fine di faremergere lo stato del sistema desiderato. L'utilizzo e l'implementazione delle politichevengono monitorati per poter reintrodurre un ulteriore flusso di dati di feedback nelmodello per migliorarlo ulteriormente, creando un circolo di apprendimento (di primolivello, secondo la terminologia di Bateson).

Pur costruendo modelli bottom-up, l'approccio dei sistemi complessi viene applicatoalle problematiche sociali ancora largamente nell'ottica della gestione top-down poichési interfaccia con ruoli di comando (scienziati, ricercatori, decisori politici, pianificatori,

11 Come osservato da Lansing (2015), la scienza interdisciplinare dei sistemi complessi è capitanata dagli scienziati fisici. Non è quindi un caso che si tenti spesso di ricreare un contesto di laboratorio basandosi sul metodo scientifico della fisica.

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

e così via), con l'obiettivo di fornire degli strumenti più adatti a risolvere particolariproblemi. Non viene dunque ancora utilizzato sistematicamente con l'obiettivo di crearesistemi di apprendimento sociale diffuso (Snyder e Wenger 2010) e neppure con quellodi perseguire il cambiamento sociale desiderato in un modo “indiretto” (si veda p. 62),ossia integrando le prospettive e le agentività di tutti i diretti interessati in un contesto digovernance. In questo modo si rischia di riproporre nella nuova scienza dellacomplessità la stessa dicotomia e lo stesso squilibrio di potere tra esperti e non-espertiche hanno caratterizzato il rapporto tra scienza e società nei due secoli precedenti.

Il contributo dell'antropologia richiama dunque in questo contesto le stesseosservazioni poste dalla cibernetica del secondo ordine. Per sostenere un vero passaggiodi paradigma kuhniano da una scienza riduzionista ed oggettivista ad una che riescapienamente a tenere in considerazione il costruzionismo (quindi il ruolo del soggetto) el'interdipendenza, non basta introdurre la complessità nel modo di guardare ai sistemi(nel modello), bisogna “integrare il soggetto nel circuito”, nel processo di osservazione.Sebbene a questo assetto venga riservato un posto di primaria importanza nella teoriadella complessità, riconosciuto nel concetto di “dipendenza dall'osservatore” (van Dam,Nikolic, e Lukszo 2013: 21), non si è ancora giunti ad un radicale coinvolgimento deisoggetti nelle pratiche amministrative basate sull'approccio dei sistemi complessi. Ciònon significa che si debbano fornire a tutti i cittadini gli strumenti che sono adatti aipianificatori urbani o ai ministri di uno Stato. Tuttavia la ricerca antropologica dimostrache tutti coloro che ricoprono il ruolo di agente producono inevitabilmente un modellodel sistema fatto di interpretazioni, credenze, convinzioni; ossia sono agentiinterpretanti. Ritengo che questo aspetto dell'agentività dovrebbe essere tenuto inmaggiore considerazione al fine di ottenere un reale cambiamento di approccio cheponga al centro i soggetti.

Secondo questo punto di vista, la visione dei sistemi complessi viene amplificataulteriormente. Complesso non è il “sistema osservato”, ma “il sistema contenentel'osservatore”. Non basta integrare la complessità dei fenomeni attraverso lasimulazione ad agenti. È necessario integrare anche l'osservatore nel sistema, quindiconsiderare tutti gli agenti del sistema come soggetti che in un modo o nell'altro sicostruiscono un'immagine del “loro” sistema (Wenger 2010a: 184). Gli agenti-osservatori elaborano immagini dei sistemi da loro percepiti, immagini posizionate eguidate da elementi culturali, che si cristallizzano nel tempo formando convinzioni efissando comportamenti. Queste immagini costituiscono altrettanti modelli interpretativiche orientano i comportamenti, e che possono confliggere con il modello sul quale ipianificatori basano le loro analisi, portando al fallimento delle politiche progettate. Allostesso tempo gli agenti e i modelli da loro prodotti apportano un enorme contributo alladiversità dei sistemi, che è semplicemente inopportuno trascurare.

È dunque di vitale importanza coinvolgere i destinatari delle politiche nellacostruzione dei modelli – costruzione che diviene quindi sociale nel pieno senso del

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termine – e nella costruzione delle soluzioni ai problemi affrontati.

La scienza per lungo tempo ha assunto non solo che l'osservatore vedessemaggiormente il gioco rispetto al giocatore, ma che vedesse tutto ciò che valeva la penadi vedere. L'idea che l'agente possa vedere, e ancor meno possa essere, qualcosa chel'osservatore non può vedere, o essere, è stata una di quelle nozioni imbarazzanti chesono state lasciate fuori.

Eppure, se abbiamo davvero intenzione di prendere sul serio l'intuizione che noi stessisiamo parte della maggioranza, se non di tutte, delle cose che noi “osserviamo”; e inpratica di tutte le più importanti, quelle che rientrano nel campo psico-sociale, allora sideve accettare il fatto che abbiamo bisogno dell'esperienza di un agente almenoaltrettanto di quanto abbiamo bisogno delle osservazioni dell'osservatore. Solo facendointeragire le due possiamo dare un senso di ciò che osserviamo. (Intervista con SirGeoffrey Vickers, 1978)

Il “bisogno dell'esperienza degli agenti” a fianco delle osservazioni degli osservatoriindicato da Geoffrey Vickers non va confuso con la “semplice” integrazione nelmodello dei dati dell'esperienza degli utenti. Questa parte già viene già seguita conmolta attenzione dagli attori politici ed economici. Il movimento “Big Data” è unaderivazione proprio dell'esigenza di integrare nei sistemi questi immensi volumi di datiraccolti dall'esperienza degli “agenti” (umani e macchine). Coinvolgere le soggettivitàdegli agenti non significa nemmeno riuscire ad elaborare politiche più consone aidestinatari, cioè politiche che ne tengano maggiormente in considerazione i bisogni e lenecessità; un risultato ovviamente auspicabile, ma che non esaurisce la questione e chetralascia l'aspetto più importante. Integrare la soggettività degli agenti significacoinvolgerli nell'osservazione stessa, cioè significa aprire alla possibilità di costruireosservazioni inter-soggettive dello stesso sistema, integrando molteplici punti diosservazione.

Il contributo che l'antropologia può portare alla scienza dei sistemi complessiconsiste nell'indicare l'importanza di non limitarsi ai modelli-multi-agente e diintraprendere la costruzione (genuinamente intersoggettiva) di “modelli-multi-osservatore”. Gli agenti non sono solo destinatari di politiche/regole, fonti di dati,cittadini/utenti da soddisfare, ma possono essere osservatori, interlocutori, collaboratori,co-teorizzatori, possono condividere intuizioni ed esperienze, invenzioni, aprire nuovestrade e nuove possibilità interpretative, creare nuove applicazioni. Da questo derivaanche che qualunque soggetto (organizzazione o istituzione) svolga, anche per unperiodo limitato di tempo, il ruolo di favorire l'auto-organizzazione in una comunità dipratiche (o rete di governance), deve considerare anche se stesso all'interno dellacomunità e parte dello stesso processo di auto-organizzazione e di apprendimentosociale che desidera promuovere.

Queste considerazioni sono supportate da altre discipline e correnti nelle scienzesociali e anche all'interno della stessa scienza dei sistemi complessi. Oltre al movimentodella cibernetica del secondo ordine, e agli studi sulla resilienza dei sistemi socio-ecologici (Biggs, Schlüter, e Schoon 2015), entrambi già citati, si distingue a questo

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Questioni emergenti nel processo di auto-rappresentazione

proposito il recente dibattito in filosofia della scienza sul concetto di “scienza post-normale” (Funtowicz e Ravetz 1993a; 1994; 1993b; 2013). Da questo dibattito emergela proposta di abbandonare il «mito della scienza value-free» (Funtowicz e Ravetz 1993:91), abbracciare l'incertezza e la variabilità nella qualità degli input introdotti neiprocessi di problem solving tipici della contemporaneità, e di allargare la partecipazionea questi processi a tutti i “praticanti” coinvolti, alla pluralità delle loro prospettive,giudizi, valori e interessi (Funtowicz e Ravetz 1994), nell'obiettivo non di “trovare laverità”, ma di raccogliere tutte le informazioni rilevanti per riuscire a prendere decisionidifficili ed urgenti nel migliore dei modi possibili (Funtowicz e Ravetz 1994).

Anche l'approccio ABM si sta orientando in questo senso, dichiarando la necessità dicoinvolgere sempre di più gli agenti nel processo di design dei modelli e delle politicheper elaborare «modelli collaborativi» (Chmieliauskas, Davis, e Bollinger 2013)12. Inquesto contesto in cui si passa dalla «rigida dimostrazione al dialogo inclusivo»(Funtowicz e Ravetz 2013), ritengo che antropologi e antropologhe di ogni ambitopossano offrire un importante contributo mettendo a frutto la propria formazionescientifica e la pratica maturate sul campo proprio nel tentativo di abbracciare e dareconto di sguardi e di comportamenti sociali diversi. La metodologia della ricercaantropologica, in particolare con l'etnografia collaborativa e la “rifunzionalizzazionedell'immaginario boasiano” (si veda p. 62), è da tempo orientata alla collaborazione, alcoinvolgimento e al riconoscimento degli “altri” nella costruzione dei modelliinterpretativi, nella comprensione dei contesti sociali e nella produzione dellaconoscenza.

12 Sono inoltre gli stessi studiosi a segnalare il nesso tra la dipendenza dall'osservatore e l'approccio della scienza post-normale (van Dam, Nikolic, e Lukszo 2013: 22).

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Conclusione

Il modello delle reti di governance emergenti (e in generale la rappresentazione dellasocietà come di un sistema complesso adattativo) offre una interpretazionedell'interazione sociale che apre nuovi scenari per la ricerca antropologica. Non è unmodello interpretativo “interno” alla disciplina. Pur rimanendo in sintonia con la teoriaantropologica, è un modello profondamente interdisciplinare. Per lo stesso motivo anchegli studi antropologici non possono trascurare i contributi delle altre discipline allostesso modello, persino da parte delle scienze più “dure”.

Integrato con il concetto e la teoria delle comunità di pratiche e dell'apprendimentosociale, il modello delle reti di governance riesce a tenere in considerazione anche ilruolo della ricerca scientifica, ovvero pone il soggetto scientifico all'interno del modellostesso. In questo modo si re-interroga anche il rapporto scienza-società. Per un giovanericercatore di area antropologica non è facile districarsi nella selva delle tematiche sullequali la nostra disciplina cumulativamente si concentra. Eppure il modello interpretativoproposto permette di cogliere il mestiere dell'antropologo non soltanto come unsemplice produttore di conoscenza su determinati contesti e fenomeni sociali. Laconoscenza viene prodotta con interlocutrici e interlocutori e si inserisce in processi diapprendimento sociale più ampi, interagendo con altri significati. Anche quando unaricerca antropologica si occupa di temi apparentemente “isolabili” nella categoria dellostudio sul campo del comportamento umano, produce un sapere che entra in circolo inun sistema complesso, che è fondamentalmente un sistema di apprendimento perché ivari componenti (persone, istituzioni, narrazioni, significati, e così via) coesistono in unprocesso di co-adattamento reciproco. Ogni ricerca antropologica ha dunque un ruolopubblico ed il recente successo del concetto di “antropologia pubblica” (publicanthropology) è un chiaro segno della necessità di riconoscere questo stato di cose.

L'integrazione delle discipline sociali e di quelle naturali nell'approccio e nel

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Conclusione

linguaggio transdisciplinari della complessità offre un piano di collaborazione pacificatoda “dislivelli di autorevolezza”, che ritengo nuovo nel panorama interdisciplinare.Abbastanza nuovo da non essere inserito sistematicamente nei curricula dei corsi dilaurea. Nell'applicazione dei sistemi complessi cade la competizione tra le discipline,giocata sul “grado di scientificità” e sul livello di precisione delle previsioni o sullacapacità descrittiva dei fenomeni. Si apre lo spazio alla collaborazione interdisciplinareper informare decisioni difficili, che devono essere prese in contesti engaged, per i qualiè impossibile produrre una conoscenza esaustiva, da fornire ad un decisore autorizzato.In queste condizioni, le condizioni tipiche dell'interconnesso mondo contemporaneo, èdi cruciale importanza la capacità dell'antropologia di coinvolgere diversi interlocutori einterlocutrici in un processo di collaborazione e di apprendimento.

In altre parole, l'impresa collaborativa interdisciplinare della complessità non è untentativo di elaborare una conoscenza meccanicistica delle leggi della società, sulla sciadella conoscenza delle leggi della fisica, per poter manipolare i sistemi sociali comestrutture meccaniche. Al contrario, è forse più sensato dire che sono i sistemi fisici che,con l'avanzare della conoscenza specifica, tendono ad assomigliare ai sistemi sociali, inquanto sono profondamente indeterminabili. In questo cambio di paradigma, emergeche l'unico soggetto in grado di processare l'informazione necessaria a gestire lacomplessità del reale, e quindi a produrre un percepibile miglioramento nellasostenibilità della società, è un soggetto plurale, sociale. L'unica scienza dellacomplessità possibile è un sapere della complessità circolante in un sistema diapprendimento sociale aperto, non chiuso in pochi centri di ricerca e dipartimentiuniversitari.

Nella tesi ho messo in luce come questo ruolo della ricerca antropologica possaessere messo in pratica interagendo nel fieldwork allo scopo di stimolare la produzionecollaborativa di modelli interpretativi della complessità, che riescano a migliorare lacapacità di comprendere e di tenere a mente l'interdipendenza e le dinamiche non linearidei propri contesti vitali. Questo obiettivo può essere ottenuto attraverso la proposta, ladiscussione, l'elaborazione e la messa in luce di corrispondenze tra pratiche e simbolidiversi già presenti sul campo (o creandone di nuove) per rafforzarne il poteresemantico e interpretativo. Questa pratica può essere considerata come una forma di“rewiring”, indiretto e collaborativo, delle componenti dei sistemi culturali. L'arte dipromuovere la riconnessione collettiva dei significati delle cose costituisce un grandestrumento per la sfida della sostenibilità.

La mia ricerca è iniziata con l'obiettivo di favorire la cooperazione tra organizzazioniperché si tratta di un elemento ampiamente riconosciuto in letteratura come essenzialealla gestione sostenibile delle città e dei sistemi socio-ecologici in generale. Seguendo ilcampo, seguendo gli interlocutori e lasciando entrare i loro discorsi e le loro pratiche nelprocesso di interpretazione, la ricerca si è orientata a connettere la questione dellaframmentazione della società civile con le pratiche collaborative della stessa. Queste

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due idee sembravano per così dire separate nella cultura della società civile, come duenuclei di senso senza un percorso che li unisse e li mettesse in correlazione.

Il lavoro di ricerca è consistito nel cogliere l'esigenza di questa connessionesimbolica da parte di alcuni interlocutori e nell'intraprendere un esperimento pratico perrealizzarla insieme a loro e ad altri ed altre. La realizzazione è consistita nelrafforzamento di certe immagini, simboli e significati nei processi di narrazione internialla comunità, come dibattiti, conferenze, ricerche, convegni, articoli, e così via. Il miointeresse si è rivolto alla costruzione di un'applicazione web e di visualizzazioni di daticome strumenti di storytelling privilegiati, in particolare per la loro capacità dicoinvolgere attivamente interlocutrici e interlocutori nella creazione della narrazione,per la capacità di sintetizzare informazione di tipo quantitativo (i dati) e qualitativo (lavisualizzazione), rinforzando ulteriormente il risultato.

L'intervento proposto, attraverso il fieldwork engaged e gli strumenti divisualizzazione realizzati, ha contribuito ad alcuni processi e dinamiche di auto-rappresentazione. Si è cominciata a delineare un'immagine più chiara e più plurale dellarete cui le organizzazioni danno origine interagendo tra loro. Interlocutori einterlocutrici hanno apprezzato la bellezza e il potere evocativo delle immagini, inparticolare di quelle stampate in grande formato. Il grafo stimola una visione piùcomplessa e articolata della realtà relazionale, evidenziando le dinamiche non linearidelle interazioni. Ad esempio il grafo delle relazioni evidenzia le prime tracce distruttura emergente, con clusters che indicano comunità di pratiche trasversali alleorganizzazioni e alle reti formali. Queste immagini creano una corrispondenzasimbolica con le pratiche e i discorsi di rete, rinforzando la capacità di narrazione dellivello collettivo. Si nota una spinta al coordinamento tra le organizzazioni che stannoutilizzando gli strumenti del grafo e del calendario condiviso. I processi di auto-rappresentazione hanno anche fatto emergere nodi critici inespressi di alcune relazioni.La struttura relazionale del database sta “reggendo” bene al confronto con la realtà, eoffre un contenitore adattabile alle esigenze degli utenti. Infine l'applicazione web hariscosso alcuni apprezzamenti anche dall'esterno della comunità.

Oltre ai riscontri positivi si evidenziano alcune criticità. L'inserimento dei daticontinua a richiedere un impegno che molte persone non riescono ad affrontare e laquantità di informazioni attualmente inserite è limitata. Le visualizzazioni creanoentusiasmo, ma anche confusione. In particolare si evidenzia la limitatezzadell'algoritmo di posizionamento force directed utilizzato, che non è ottimizzato per unafruizione da parte degli utenti finali. Servirebbe modificare tale algoritmo in modo cheriesca a mantenere il più possibile stabili le posizioni dei nodi, cercando di perfezionarle(anziché ricalcolarle completamente) ad ogni modifica e aggiornamento del grafo. Ilmantenimento della struttura di base permetterebbe un più semplice riconoscimento deivari elementi rappresentati. La visualizzazione diacronica non è stata completata e nonrestituisce un'immagine sufficientemente leggibile. La condivisione di domande, dubbi

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Conclusione

e soluzioni riguardo l'utilizzo dell'applicazione passa principalmente attraverso canali dicomunicazione privati (email, telefonate, discussioni in presenza) anziché collettivi(forum di discussione, incontri di formazione), rallentando l'emergere di un processo diapprendimento sociale più ampio. Gran parte delle criticità emerse è risolvibile con unmiglior design dell'applicazione, ottenibile con un ulteriore investimento di risorse.

Credo che la collaborazione con gli scienziati informatici abbia un grande potenzialeper l'antropologia, proprio perché insieme è possibile realizzare attività e strumentisimbolici complessi e collaborativi, capaci di creare narrazioni condivise. Inoltre lesquadre di sviluppatori di software che seguono la metodologia Agile si pongono neiconfronti dei propri destinatari (il comparto business delle aziende, gli sponsor, gliutenti) in un modo, in un certo senso, simile a quello in cui gli antropologi si pongononei confronti degli interlocutori sul campo. Non intendo forzare il paragone, ma metterein evidenza che per la metodologia Agile è importante consegnare il software in tempibrevi e integrare i destinatari all'interno del processo di sviluppo e di elaborazione dellesoluzioni, per esempio attraverso l'utilizzo di user stories. La metodologia abbraccia ilcambiamento continuo e si basa sulla costruzione di fiducia e collaborazione. Allostesso modo, antropologi e antropologhe contemporanei coinvolgono gli interlocutorinel processo di produzione di conoscenza, nella costruzione delle interpretazioni. Nonraccolgono informazioni sul “campo”, per poi elaborare le interpretazioni separatamentea “casa”. L'antropologia produce una conoscenza sociale, non soltanto sul sociale.

Questo tipo di conoscenza emergente nelle dinamiche sociali è essenziale perl'impresa collaborativa della scienza della complessità perché l'obiettivo è di entrare inrelazione con i sistemi di apprendimento esistenti. Questa capacità può essere messa afrutto non soltanto collaborando con gli scienziati informatici, ma cercando sinergie contutte le altre specializzazioni, all'interno di programmi e attività interdisciplinari. Anzi,ci sono buone ragioni per credere che il training antropologico, centrato sulla gestionedelle relazioni interpersonali, sul far emergere conoscenze incarnate nelle pratiche, sullaproduzione interpretazioni intersoggettive, produca le caratteristiche necessarie acondurre ricerche interdisciplinari.

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