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Il valore dell'artigianato - Periodico Italiano Magazine

Date post: 19-Feb-2023
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Il valore dell’artigianatoSe riuscissimo a liberarci dall’ossesione pragmatica e materialistadei processi economici, si comprenderebbe come la maestria artigia-nale rappresenti un valore prezioso, nella società moderna. I meto-di artigianali giocano un ruolo strategico, stabilendo nuove relazio-ni tra materie teoriche e materie ‘tecniche’ di alto livello qualitati-vo. La mancanza di informazioni su tutto ciò che le pratiche artigia-nali rappresentano è il sintomo di un gravissimo errore, che in moltistanno commettendo. L’Unione europea sta infatti discutendo datempo su come evitare la scomparsa delle competenze e delle tradi-zioni artigianali. L’obiettivo è quello di trovare una strategia persostenere strumenti che riescano a sviluppare l’artigianato in tuttii settori, dal design all’innovazione nei mestieri d’arte. La ‘narrazio-ne’ sugli aspetti materiali e immateriali di un oggetto prodotto arti-gianalmente è ciò che sta incuriosendo e interessando le attualisocietà occidentali, poiché molti grandi produttori hanno compresola necessità di acquisire nuovi valori di acquisto sul mercato globa-le. Ma perché mai la produzione artigianale per lungo tempo è statascarsamente valutata? Per il semplice motivo che essa non è sola-mente un processo di produzione, bensì possiede un valore ‘spiritua-le’: la storia che l’artefatto porta con sé, in relazione agli stili di vitacontemporanei e ai gusti dei consumatori. Come sappiamo, l’Italia ècostituita da un sistema di Pmi che hanno subìto profonde trasfor-mazioni, in particolar modo nella contaminazione progressiva trainnovazione tecnologica e processi artigianali tradizionali in evolu-zione. Si tratta di processi di ‘artigianato avanzato’, che si sono inse-riti in rapporto sinergico con la modernizzazione in atto. Persino lapresente rivista, in un certo senso, può rappresentare un esempio ditale contaminazione sinergica: alta professionalità giornalistica,

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editoriale [email protected]>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Il piacere dell’unicitàDa sempre il prodotto artigianale è sinonimo di cura del dettaglio,utilizzo di materia prima pregiata e, soprattutto, unicità. Un prodot-to fatto a mano difficilmente è uguale a un altro. Se poi è concepito‘su misura’ è ancora meglio. La produzione in serie che, negli annidel boom economico, ha concesso a tutti di avere ‘tutto’, oggi è supe-rata dall’idea di un oggetto del desiderio che sappia essere ‘solo perme’, con dettagli e fattezze che lo rendano affine al suo proprietario.È il concept che stanno percorrendo molte giovani aziende, le quali,sposando le tecnologie moderne, cosentono di offrire piattaforme die-commerce, nelle quali i clienti con pochi click scelgono come deveessere fatto il prodotto che stanno per acquistare.Ma lo stesso concetto può essere stravolto a seconda di chi ne fa uso.La personalizzazione, in alcuni casi, è ben più di un optional: èl’estremizzazione di un individualismosfrenato, che punta alla distinzione dallamassa. L’idea di un oggetto che possoavere ‘solo io’ è uno dei tanti modi con cuiin molti si mettono in gara per essere, oavere, qualcosa in più rispetto agli altri.Meglio ancora del vestire ‘griffato’. Unsimbolo di distinzione che ha abbandonatoogni tipo di connotazione borghese, assu-mendo sfumature che rasentano il kitsh(pensate al barattolo della Nutella perso-nalizzato con il vostro nome che troneggianella dispensa).La qualità del prodotto artigianale è chia-ramente qualcosa di diverso, che fa partedi una cultura del bello di cui spessosiamo cattivi o inefficaci promotori. È questa la grandesfida che molti giovani si stanno trovando ad affrontare:ridare vita al ‘saper fare’ del passato, cercando di riaf-fermare un’idea del gusto che prescinde la moda delmomento. L’unicità è qualcosa che si deve imparare adapprezzare: molto di più di un dettaglio da inserire inun selfie da postare su Instagram.

FRANCESCA BUFFO

storiadicopertina>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

proveniente da un severo processo di formazione interna, che ha cer-cato di individuare un modo per utilizzare al meglio l’intuitività gio-vanile rendendola più metodica, meno estemporanea e improvvisa-ta. Tutto ciò, combinato con le capacità artigianali del nostro labo-ratorio grafico, guidato da esperti di provata esperienza, ha offertoai nostri ragazzi l’opportunità di recuperare un ‘gap’ di valori e diconoscenze che rende il processo artigianale un qualcosa di qualita-tivamente unico, dotato di un alto valore di mercato. In questo, lavecchia retorica marxista mostra i suoi vetusti difetti ideologici, poi-ché giudica la competizione un male a prescindere, senza compren-dere che essa può trasformarsi in coesione di squadra sfidandopaure, solitudini e diseguaglianze. Nel nostro Paese, c’è un fortebisogno di un’autocoscienza che non consenta al rancore di prevale-re, alimentando paure. Dobbiamo pertanto tornare a questi princìpidi responsabilità, di profondità, di etica deontologica e professiona-le, poiché il nostro mondo è diventato veloce e di ciò bisogna tener-ne conto. L’artigianato è essenzialmente un fattore di coesione: l’ar-tigiano tratta bene i suoi dipendenti. E, rispetto al grande investito-re, ha interesse che tutto funzioni, che il Paese possa ritrovare effi-cienza e una nuova cultura della professionalità, del lavoro e dellaproduzione di qualità. Ma per far questo, bisogna rendere più effi-cienti tutti quegli elementi di connessione tra decisore politico,popolo e imprenditori, riconciliandoli con una visione chiara del tipodi società che vorremmo essere o diventare. Ma è proprio questo ciòche sembra latitare: nel Paese manca un’idea di Paese. Può sembra-re un ‘gioco di parole’, ma le cose stanno esattamente così.

VITTORIO LUSSANA

editoriale >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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La storia dei cappelli di Montappone Fa parte della nostra tradizione ritrovare piccoli paesiconosciuti nel mondo per un prodotto artigianale chegià i trisavoli degli abitanti contemporanei realizzava-no. È il caso di Montappone e dei suoi cappellai, sim-bolo di stile ed eleganza conosciuto in tutto il mondo.Montappone è un piccolo borgo vicino ad AscoliPiceno. La storia dei cappelli di Montappone nasce dalmondo contadino e dall’abilità delle donne di intrec-ciare la paglia. Leggero ed elegante, il cappello diMontappone si è confermato negli anni un accessoriomoderno e capace di coprire perfettamente la testa,assorbendo il sudore che si produce in estate evitandocosì colpi di freddo e problemi al collo. Una varianteartistica dell’arte cappellaia di Montappone sono lecreazioni “pazze”, in cui artisti e artigiani montappo-nesi ma non solo si esercitano in cappelli non troppo“normali” che esaltano la fantasia e la bravuramanuale. Un’ultima annotazione riguarda il bellissi-mo Museo del Cappello di Montappone dove è con-servato anche l’ultimo cappello di un uomo che haamato tanto i cappelli montapponesi: Federico Fellini.

37 Il repertorio dei talentiUn progetto per creare un network digitale di maestri che metta in luce le radici culturali e geografiche del settore

40 Arte NewsLe mostre del momento

42 Eduardo De Feliceil passato in chiave moderna

44 Musica NewsGuida all’ascolto

46 Libri&LibriNovità in libreria

48 Dentro e fuori la tvA tu per tu con Massimiliano Buzzanca

50 Il maestro di bottega La ‘settima arte’ sembra incontrare il medesimo del teatro: grandi professionisti che hanno lasciato pochi eredi

51 Fathy El Gharbawy “La cultura italiana è unica al mondo”

53 Effetto NopsDue settimane trascorse tra il Teatro Tor Bella Monaca e l’Ex Mercato di Torrespaccata, all’insegna dei nuovi talenti che si stanno affacciando sul nostro panorama teatrale nazionale

Durante tutta la sua vita ha registratopiù di 300 brevetti e le sue invenzionihanno aiutato a perfezionare la cor-rente alternata, i motori elettrici, leradio, le luci fluorescenti, i laser e itelecomandi

Nikola Teslail genio e l’energia

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Anno 7 - n. 41 Luglio-Agosto 2018

Direttore responsabile: Vittorio LussanaVicedirettore: Francesca Buffo

In redazione: Gaetano Massimo Macrì, Carla De Leo, Giuseppe Lorin, Michela Zanarella, Dario Cecconi,Annalisa Civitelli, Serena Di Giovanni, Ilaria Cordì , SilviaMattina, Giorgio Morino, Michele Di Muro, Domenico Letizia, Marcello Valeri, Alessandra Battaglia

REDAZIONE CENTRALE: Via A. Pertile, 5 - 00168 Roma - Tel.06.92592703

Progetto grafico: Komunicare.org - Roma

Editore Compact edizioni divisione di Phoenix associa-zione culturale - Periodico italiano magazine è unatestata giornalistica registrata presso il RegistroStampa del Tribunale di Milano, n. 345, il 9.06.2010

PROMOZIONE E SVILUPPO

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L’artigianato del biciclo si vestedi chic con un restyling innova-tivo dei modelli del passato,personalizzato per aderire allerichieste del cliente

sommario Anno 7 I numero 41 I luglio-Agosto 2018

3 Editoriale

5 Storia di copertina

8 La rivincita dei piccoli marchiI global microbands operano con successo sul mercato mondiale sfruttando le enormi potenzialità di internet

12 Il muro burocraticoPer le start-up artigianali l’apertura dell’attività comporta l’obbligo di assolvere diversi adempimenti necessari alla messa in regola

15 Pecore attive:“Noi facciamo rete”

18 Anonima Impressori:l’antica arte grafica

24 L’arte del bisso:la ‘seta’ del mare

28 L’internazionalizzazione delle imprese L’allargamento verso nuovi o emergenti mercati impegna ingenti risorse finanziarie e richiede sforzi organizzativi lontani dalle capacità di piccole strutture imprenditoriali

34 L'artista: un artigiano hi-techFotografia, pittura e scultura sempre più condizionate dalle nuove tecnologie, ma il valore artistico intrinseco dell'opera si esprime ancora attraverso l'artigianalità del manufatto

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La biciclettaoggetto di ‘lusso’

ropria attività agli utenti sparsi nei più disparati angoli del pianeta

(lo storytelling). Tale operazione che oggi può sembrare normale,se non addirittura “passata”, deve essere sembrata alquanto avve-niristica e sicuramente lungimirante. Nasce così English Cut, dap-prima un blog e successivamente un marchio di successo. Nel 2005gli abiti da 4000 dollari erano già venduti in America, Europa,Asia, Australia e nei Paesi Arabi. Negli anni il marchio si è espan-so notevolmente. Nel 2015 Mahon ha venduto il 20% della compa-gnia a Todd Enright a nome della White Winston LLC. Tale acqui-sto non fu mai completato e quello che doveva divenire un investi-tore si è tramutato nel creditore. La compagnia si è così trovata inuna posizione di insolvenza e Thomas Mahon ha lasciato nel 2017la compagnia da lui fondata ed è tornato a lavorare per l’aziendaRedmayne 1860, nella quale si era formato.Internet si dimostra in questo caso un’arma a doppio taglio. Se daun lato regala enorme possibilità, laddove si perda il controllo puòcondurre alla perdita di genuinità in favore del successo commer-ciale. Ad oggi sono in tante le start- up che stanno emergendo gra-zie ai social network. Al produttore si richiede una doppia compe-tenza: deve essere cioè sia artigiano che comunicatore digitale.Soprattutto sul piano internazionale la stampa e gli studiosi sonomolto interessati al fenomeno, che non punta alla conquista dellemasse, ma si diffonde su internet in maniera capillare. InInghilterra esiste il Craft Council, l’agenzia nazionale per lo svi-luppo dell’artigianato contemporaneo che, oltre all’aziende di con-sulenza per le giovani attività, organizza masterclass, eventi emostre per la diffusione e conoscenza del settore. Vi è una grandeattenzione verso le imprese che portano avanti la tradizione tra-mite l’ausilio delle nuove tecnologie, sia sul piano della produzio-

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primopiano La rete dà modo agli artigiani di raccontare la pr

CoSaper fare, unicità del prodotto e internet. Queste pocheparole chiave possono essere considerate gli elementi della

formula per creare un valido antidoto allo strapotere delle grandicompagnie di distribuzione. Come può un piccolo negoziante com-petere con un colosso come Amazon? Come riesce il sarto a soprav-vivere se le persone acquistano solo i prodotti della grande distri-buzione? Bisogna porsi e proporsi come alternativa ai grandi mar-chi, producendo e vendendo un prodotto di altissima e dimostrataqualità, con forti legami con la storia e col territorio. Le caratteri-stiche devono coincidere con i criteri di unicità e peculiarità. Èaltresì necessario lavorare col web. Attività di questo tipo operanoper forza di cose all’interno dei confini di un mercato di nicchia, mahanno a loro disposizione una platea di fruitori potenzialmenteglobale. La storia recente ci ha insegnato che tale approccio puòfunzionare e può determinare il successo di un’attività creativa eartigianale. Il piccolo marchio può raggiungere un tale peso sulweb al punto che il suo successo si può materializzare in un’ enor-me diffusione nel mondo reale. In sintesi è l’approccio alla base delconcetto di Made in Italy a cui si aggiunge lo sfruttamento dellepotenzialità fornite dalle moderne tecnologie. Da qui è partitoHugh MacLeod che ha coniato la definizione di global microbrandsnel 2004, un’epoca già molto lontana in cui erano i blog lo strumen-to col quale raggiungere il pubblico attraverso internet. Il web hadato modo ai piccoli produttori di raccontare la propria attivitàagli utenti sparsi nei più disparati angoli del pianeta. In fondo haraccontato l’autore in un post sul suo blog gapingvoid.com, taliattività sono sempre esistite. Pensiamo ad esempio ai liutai italia-ni o alle piccole distillerie di whisky. Produttori di questo tipo, gra-zie alla fama dell’alto livello della manifattura da loro espressa,hanno sempre venduto in tutto il mondo. Con internet creare unglobal microbrand è semplicemente più semplice.MacLeod ha messo in pratica tale visione, rilanciando attraversointernet l’impresa del sarto britannico Thomas Mahon. Nel 2004,racconta il copywriter, il sito del celebre artigiano (che ha realizza-to abiti per la corona inglese e per molte celebrità) era terribile.Egli ha deciso così di aiutarlo a svilupparne uno nuovo. Ha inoltreconsigliato al sarto di aprire un blog attraverso il quale racconta-re la sua storia, mostrando alle persone il suo lavoro in modo dagenerare un rapporto diretto con l’utente, anche se virtualmente

primopiano

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Si deve al noto pubblicitario edisegnatore di fumetti ameri-cano Hugh MacLeod l’inqua-dramento delle azioni compiu-te dai produttori indipendentiche lavorano col web sotto ladefinizione di global micro-bands, ovvero tutte le piccoleaziende operanti con successosul mercato mondiale, sfrut-tando le enormi potenzialitàdi internet

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La rivincita dei piccoli marchi

di produttività e diffusione del marchio.Rispetto ad altri paesi, in Italia si registra, inoltre, una certa len-tezza nel processo di evoluzione delle imprese artigianali.Stando infatti ai dati Istat del 2017, meno della metà delle impre-se con più di dieci dipendenti utilizza almeno un social network(precisamente il 44%). Spesso le aziende che ne fanno uso, opera-no in maniera approssimativa. Poco più di una Pmi su tre svilup-pa solamente l’immagine dell’impresa o dei prodotti e solo unquinto del totale li utilizza in maniera attiva, raccogliendo opinio-ni e rispondendo alle domande dei clienti. Solamente il 12% delleaziende lavora al coinvolgimento diretto del clienti per lo sviluppodel prodotto o dei servizi erogati.Questa avviene in parte perché, come ha dichiarato il projectmanager di Data Media Hub (che ha elaborato graficamente i datiIstat), spesso chi è al comando ha una conoscenza parziale deinuovi strumenti a disposizione.Insomma qui da noi si fatica a uscire dalle logiche tradizione dicomunicazione e dalle classiche strategie di marketing.Il concetto sviluppato da Macleod resta tutt’oggi ancora valido. Lepiccole e medie imprese non possono fare a meno di internet. Pergli utenti le aziende esistono se sono presenti sui social network,che forniscono ancora un valido supporto per l’incremento e l’allar-gamento del proprio business. Ma da quel lontano 2004, anno incui è stata coniata la definizione di global microbrands, il mondodi internet ha mutato repentinamente forma e sostanza e compe-tere on line sta diventando sempre più complesso. I grandi e-shopcome Etsy.com sono un mare magnum e instagram ha solo direcente implementato il supporto alla vendita, tramite il rimandoal singolo e-shop. Non basta aprire una pagina aziendale sui socialnetwork per sbarcare il lunario. Bisogna possedere buona padro-nanza dei sistemi informatici e, soprattutto, bisogna investiremoto tempo e denaro in pubblicità (diretta o indiretta). Allo statoattuale per i piccoli marchi appare alquanto complicato entrare inconcorrenza con in colossi della distribuzione o con le case produt-trici multinazionali che imperversano ovunque tra un post e l’al-tro. In tanti stanno abbandonando facebook (sul quale molti pro-duttori e rivenditori negli anni passati hanno fatto affidamento), olo usano sempre meno. Siamo quindi forse in una frase transitoriache aprirà nuovi scenari. Internet è comunque una risorsa impre-scindibile per lo sviluppo futuro del settore artigiano. Al tempostesso è però auspicabile che le nuove generazioni, alla costantericerca della novità, riscoprano col tempo l’importanza del contat-to diretto col produttore e la materia, nonché la bellezza dell’acqui-sto fisico del prodotto. Forse i centri storici italiani, nei quali è natoe si è sviluppato il Made in Italy, torneranno a rivivere e al postodei tanti cartelli affittasi, troveremo ad accoglierci il piccolo vendi-tore o l’esperto artigiano. A ben vedere questo processo è già inatto e lo si deve ai tanti giovani artisti e artigiani che stanno risco-prendo la sapienza deil passato, con lo sguardo puntato al futuro.

MICHELE DI MURO

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forma e sostanza: competere on line sta diventando sempre più complesso>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Abiti da uomosu misura onlineLanieri, la sartoria digitale che riscat-ta lana e artigianato a Biella. L’idea èdi un giovane di 33 anni, una sartoriaonline maschile dove tutti, in pochiclic, possono acquistare un vestito sumisura. Un progetto importante perrilanciare il made in Italy adattando-lo alle nuove esigenze dei consumato-ri. Un’idea, quella di Simone, che hapermesso di ridare prestigio allalunga storia della lana biellese: ilcliente comunica direttamente attra-verso il portale le misure necessarie alconfezionamento dell’abito, dei pan-taloni o della camicia, sceglie il tessu-to che preferisce, personalizza, aseconda del capo, colletto, polsini,bottoni e taschino e poi procede con larichiesta. E per essere sicuri di nonsbagliare le misure, chi non puòrecarsi in uno degli atelier presenti aRoma, Milano, Torino, Bologna eZurigo, sul portale trova il videotuto-rial in cui, passo per passo, si spiegacome procedere per l’individuazionedelle 18 misure necessarie per la crea-zione del capo scelto. Chi invece desi-dera ricevere a domicilio i campioni ditessuto scelto può richiederli a soli 10euro, una cifra che viene poi scalatada quella totale in caso di acquisto. Lecamicie hanno un costo che variadagli 80 ai 130 euro, i vestiti da 590 a1000 euro: un prezzo che rispecchial’elevata qualità dei tessuti e del lavo-ro sartoriale. La consegna avviene intutta Italia, in maniera completa-mente gratuita. E sono tanti anche iclienti che richiedono dall’estero i pro-pri abiti confezionati su misura edopo cinque settimane ricevono acasa i capi acquistati.

ne quanto della vendita e comunicazione. In Italia certo nonmanca il sostegno alle imprese artigiane, fiore all’occhiello del-l’eccellenza nostrana. Il nostro Paese, come noto, si regge sullapiccola e media impresa e le attività artigianali svolgono unruolo chiave per il rilancio del paese. Organizzazioni comeConfartigianato imprese, Cna (confederazione nazionale dell’ar-tigianato e della piccola e media impresa) e Casartigiani svolgo-no un’importante ruolo di rappresentanza e sostengono le start-up tramite operazioni di snellimento burocratico e di accesso alcredito. Inoltre sono importanti per la creazione di una rete perl’esportazione del Made in Italy.A Cava de’ Tirreni, ad esempio, troviamo il Centro per l’artigia-nato digitale. Si tratta di un incubatore di attività artigianalimoderne. Al suo interno sono disponibili 12 postazioni che pos-sono ospitare altrettante start-up che vengono supportate perun periodo di circa sei mesi, al fine di fornire loro la formazionee gli strumenti per il recupero di attività artigianali attraversol’innesto di nuove tecnologie.Il nostro è però un pPaese che fatica ad uscire dalla crisi e l’ele-vato costo del lavoro rende complesso l’avvio di nuove attivitàartigianali. Un intervento sul piano politico nazionale certa-mente potrebbe condurre a un alleggerimento degli oneri fisca-li, cosa che incentiverebbe a investire maggiormente in termini

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primopiano Il mondo di internet ha mutato repentinamente primopiano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Reputeka La piattaforma dell’artigianato made in Italy Si chiama Reputeka.com ed è un portale dedicato all'artigianato artistico. Gioielli, dipinti,sculture, abbigliamento, arredamento e molto altro. Tutto rigorosamente made in Italy. Etutto recensito, unendo in un unico algoritmo due tipi di giudizio. «Si votano la singolaazienda, come su Tripadvisor, ma anche l'acquisto effettuato, come su Amazon» – spiegail fondatore Luca Cornali – «Incrociando i dati è facile avere un'idea equilibrata di comelavora un artigiano. È questa la sua reputazione on-line». A Cornali, sviluppatore di soft-ware di Rovereto, in provincia di Trento, l'idea è venuta guardando il lavoro di uno sculto-re della piccola e remota val dei Mocheni. «Intaglia dei bellissimi gufi. Nel suo paese dicento abitanti ne ha venduti due» – racconta Cornali – «e ho pensato che se in tutto ilmondo, ogni cento persone, due avessero comprato un gufo, quell'uomo sarebbe diventa-to milionario. Bisognava solo consentirgli di ampliare il suo mercato». La conseguenza ditale considerazione è il portale, progettato insieme a 5 giovani colleghi, con il sostegno del preside della Facoltà di Economia di Trento, Geremia Gios, cheè diventato socio. Attualmente l'artigianato artistico produce il 10% del Pil italiano, eppure nemmeno la metà delle imprese è presente su web. Ecco per-

ché l’idea ha riscontrato subito un ampio consenso: oltre 100 adesioni in soli 3 mesi. Ma l’inclusione nelportale si basa su una preselezione. I prodotti, dei pezzi unici, devono essere realizzati in tutto o in partea mano da un professionista. Per le piccole imprese la vetrina di Reputeka è gratuita, comprensiva di aiutoe assistenza. Per stabilire il prezzo on-line il portale applica ai prodotti una commissione inversamenteproporzionale al prezzo: se il costo è fino a 100 euro, comparirà su Reputeka con una maggiorazione del20%; oltre si scende, fino al 7%. «E se facciamo degli sconti ce li accolliamo noi. L'artigiano incassa comun-que come se vendesse a prezzo pieno». Oggi il network comprende 300 giovani artigiani e ha un catalo-go con 3.000 prodotti. Merce che, senza il web, sarebbe impossibile vendere all’estero. E invece il 60 percento del fatturato arriva dalla Gran Bretagna.

ve inaugurare il proprio laboratorio>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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ne di dipendenti. Generalmente è opportunoponderare bene tutti gli aspetti, prima di lan-ciarsi a capofitto nell’impresa. Bisogna infattiverificare la fattibilità di un’idea, se ci sia ovve-ro un possibile bacino di utenza interessata adacquistare i prodotti realizzati. Non c’è nessunacertezza di riuscita, ma certamente partire colpiede giusto favorisce la buona riuscita dell’ope-razione.Per il giovane artigiano potrebbe essere utiletestare i propri prodotti prima di avviare l’atti-vità. I mercatini specializzati possono essere unbuon primo passo, così come anche l’apertura diuna pagina sui social network può fornire iprimi feedback sulla qualità del proprio lavoro.Una volta che si è certi di quanto realizzato, vi ètutta una serie di operazioni che vanno compiu-te di pari passo. L’individuazione del locale doveoperare è certamente il primo step, quello piùimportante. È infatti fondamentale sceglierebene il quartiere dove inaugurare il propriolaboratorio. Bisogna verificare se la zona garan-tisca o meno la fruizione da parte del pubblico.Spendere un po’ di più per una via trafficata puòportare un maggiore ritorno economico. Sarebbeopportuno studiare le altre attività della zona,cosa producono e cosa vendono e se la loro pro-posta sia simile o addirittura coincidente rispet-to a quella che si vuole realizzare. È necessarioquindi accertarsi che il locale abbia tutti i requi-siti di funzionalità rispetto al lavoro che siandrà a svolgere e, non secondariamente, chepossegga tutti i requisiti necessari alla presen-tazione della s.c.i.a (segnalazione certificata diinizio attività).Dal 2015 tale documento si caratterizza comeun’autocertificazione amministrativa, con costivariabili, che va inviata al Comune di riferimen-to precedentemente all’apertura. La procedura ètelematica e al suo interno si dovrà dichiarare dipossedere i requisiti soggettivi (morali e profes-sionali, ove richiesti, per svolgere il lavoro) eoggettivi (questi cambiano in base alla destina-zione del locale e riguardano le condizioni igie-nico-sanitarie nonché la conformità urbanistica,edilizia e ambientale). Entro sessanta giornidall’invio della documentazione vengono effet-tuati gli opportuni controlli e, qualora il localenon sia a norma, si rischiano sanzioni e il bloccodell’attività.In questa fase la società dovrà però essere già

costituita, ovvero l’artigiano dovrà essere in pos-sesso della partita iva (cosa che conduce auto-maticamente all’iscrizione nei registridell’Istituto nazionale della previdenza sociale)e dovrà aver compiuto l’iter di iscrizione allacamera di commercio industria, artigianato eagricoltura (CCIAA) con l’inserimento nell’albodelle imprese artigiane.A questi obblighi si aggiunge l’assicurazioneInail e, per gli artigiani del settore alimentare,il permesso dell’Asl e l’assolvimento delle proce-dure HACCP (Hazard Analysis and CriticalControl Points). È poi importante conoscere ilregime fiscale col quale inquadrare la propriaposizione.L’insieme delle procedure è piuttosto complessoe il rischio di commettere errori può compromet-tere il proseguo dell’attività. Il giovane artigia-no che non ha familiarità con la burocrazia ita-liana e non desidera avvalersi della consulenzadi un commercialista, può comunque ricevere unvalido supporto rivolgendosi a una delle diversestrutture che operano a sostegno del settore,unite dal 2010 sotto la sigla R. E TE. impreseItalia (rappresentanza e territorio).Confartigianato Imprese è la più rappresentati-va organizzazione italiana dell’artigianato edella micro e piccola impresa. Fondata nel 1946a Roma da Manlio Germozzi, svolge un’azionepolitica, sindacale e organizzativa. In uno dei1215 sportelli sparsi sul territorio nazionale sipuò ricevere assistenza costante in materia

Wax Max, abiti e oggetti d’arredo, il brand che promuove la collabo-razione tra designer e artigiani con l’obiettivo di accrescere l’attività dilaboratori in Italia, Senegal e Capoverde. Il negozio si trova a Milaanoin Via Maroncelli 12, ma tutti i loro prodotti si possono acquistaredirettamente sul negozio on-line www.waxmax.it

Intraprendere ufficialmente il lavoro manifat-turiero assume per il piccolo produttore

un’importanza fondamentale. E’ il coronamentodi un sogno e di un’aspirazione ed è il frutto dianni di pratica, ricerca e sperimentazione. Illaboratorio artigiano è il luogo della libertaespressiva e dell’indipendenza economica.

Il settore (regolamentato dalla L.443/85-leggequadro sull’artigianato e successive modifiche eintegrazioni) è molto ampio e differisce in baseal singolo caso. Gli adempimenti infatti cambia-no se si tratti di solo laboratorio oppure vi siaprevista la vendita diretta al pubblico, se vi siauno o più soci oppure se sia prevista l’assunzio-

fareimpresa È fondamentale scegliere bene il quartiere dov>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Per le startup artigianali, l’apertura dell’attività comporta l’obbligodi assolvere diversi adempimenti, necessari alla messa in regola:una procedura che certo può spaventare il giovane imprenditore,ma sono difficoltà superabili grazie ai servizi elargiti da strutture disupporto, presenti su tutto il territorio nazionale

Il muroburocratico

La lana di Altamura torna fi-nalmente ad essere richie-

sta, persino in Giappone. È gra-zie alla competenza ed alla ca-parbietà del giovane imprendito-re pugliese Filippo Clemente,già Presidente dell’AssociazionePecore Attive, impegnata nel da-re nuova vita e valore ad una ri-sorsa territoriale, la lana ovinaprodotta dalla pecora ‘moscia’pugliese, attraverso la produzio-

ne di feltri, filati e manufatti ar-tigianali.Terra famosa per il pane e per letre elle (lino, lenticchie e lana,ndr) la zona di Altamura ha vi-sto nei decenni scorsi un conti-nuo abbandono dell’allevamentoovino delle specie autoctone. Lalana, molto bianca, luminosa, po-co adatta alla produzione di tes-suti a causa della sua durezza,sin dagli anni 50 del secolo scor-

so era conosciuta e ricercata intutta Europa per la produzionedei materassi. In seguito alleevoluzioni costruttive dei mate-rassi la richiesta di lana è scesasensibilmente nel corso degli ul-timi decenni orientando gli alle-vatori verso altre razze o, maga-ri, verso altre attività. La lanada tosatura era considerata unoscarto industriale e le razze ovi-ne autoctone stavano rischiando

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a ‘Quattropunto zero’>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Oggetti di design, complementi di arredo e accessori di altamoda, richiesti in tutto il mondo, prodotti con gli scarti dellalana attraverso processi di trasformazione eco-compatibili: lapassione, lo studio e la competenza di un giovane imprenditorepugliese e della sua rete di aziende partner danno nuova vita auna razza ovina considerata in via d’estinzione

Pecore Attive:“Noi facciamo rete”

burocratica e fiscale in fase di apertura dell’atti-vità e negli anni successivi.Un simile compito è presente tra i servizi offertida Cna (Confederazione nazionale dell’artigiana-to e della piccola e media impresa) nelle sue 1100sedi. Fondata anch’essa nel 1946, è stata la primaorganizzazione dell’artigianato a sottoscrivereaccordi con i sindacati dei lavoratori.Fondata nel 1958 a Roma, Casartigiani assolveinvece specificatamente compiti rappresentatividell’artigianato tradizionale, familiare e dellamicroimpresa. Conta circa mille sedi ed è rappre-sentata per l’artigianato nel CNEL dalla fonda-zione dell’Organo Costituzionale senza soluzionedi continuità.Associarsi a tali organizzazioni consente inoltre lapartecipazione ai bandi di finanziamento per l’ac-cesso al credito agevolato o a fondo perduto. Fondiche possono essere invece difficili da reperire inun contatto diretto con le banche.Negli ultimi anni si sta compiendo un grande sfor-zo nel supporto all’innovazione. Stanno nascendonumerose start-up artigianali, che tramite la tec-nologia stanno aggiornando i tradizionali procedi-menti di lavorazione (come l’utilizzo della stampa3D o lo sviluppo di cobots- collaborative robots). Èquesto un settore in espansione che potrebbe con-sentire alle piccole e medie imprese italiane diritagliarsi una fetta del mercato di nicchia (maglobale) riguardante i prodotti dell’alta lavorazio-ne digitale.Cna ha al suo interno l’unione dedicata alla

comunicazione e al terziario avanzato. A partiredallo scorso mese di febbraio sono state inaugu-rate cinquanta Cna territoriali nella forma diDigital Innovation Hub, per affiancare le impre-se e trasmettere loro nuovi strumenti e cono-scenza nella sfida del 4.0. Nel Lazio, ad esempio,i contributi a fondo perduto (fino all’80% dell’in-vestimento) contenuti nel bando per l’artigiana-to – istituito grazie alla collaborazione traRegione e Cna – sono rivolti proprio a interven-ti di innovazione.La Confartigianato dal canto suo ha sviluppatola piattaforma ‘Quattropuntozero’ dedicata a‘Impresa 4.0’ e alla trasformazione digitale degliartigiani e delle micro e piccole imprese.L’iniziativa, si legge sul sito, nasce per racconta-re gli esempi più interessanti di applicazionedelle tecnologie digitali alla manifattura e aiservizi, per offrire contenuti pensati apposita-mente per gli artigiani e le micro e piccoleimprese. A questo scopo è stata istituita la retedei Digital Innovation Hub di Confartigianatoove trovare risposte, suggerimenti e servizi peraffrontare questo importante momento di tra-sformazione della nostra economia.Il futuro dell’artigianato è tutto da scrivere, maabbiamo carta e penna.

MICHELE DI MURO

fareimpresa Confartigianato sta sviluppando la piattaform>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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La bottega del sughero di Massimo Mattana, piccolo laboratorioartigiano nato nel 1995 che coniuga l’esperienza tramandata di padrein figlio con il design moderno producendo borse e accessori. ViaPrincipe di Piemonte 35, Assemini - Cagliari

Le ceramiche di Enza Fasano rivisitano in chiave moderna forme emotivi della tradizione grottagliese. Via Caravaggio 31, Grottaglie (TA),wwwenzafasano.it

stanza al progetto.Comfort, estetica, praticità costi-tuiscono il leitmotiv dei prodottidi Pecore Attive: calza-ture da camera, mo-cassini in feltro dapasseggio, montatureper occhiali, pantofole,scarpe, borse, zaini eperfino papillon e lam-

pade. Viene lasciata scoprire lastoria del prodotto e cosa c’é die-tro: accanto all’aspetto materia-le del prodotto viene affiancatoqualcosa che lo arricchisce. Fi-nanche una cartolina che parladella pecora da cui proviene lalana. Ogni prodotto è rigorosa-mente “fatto a mano“ con tecni-che tradizionali (filatura confuso e filarino a pedale, feltra-tura a mano con l’uso di liscivaa base di olio di oliva e tessitu-ra a telaio). Tutti i prodottivengono realizzati attraversoprocessi eco-sostenibili e chenon prevedono, ad esempio,l’utilizzo di sgrassanti chimiciper il lavaggio.La lana viene apprezzata in tut-to il mondo: il sarto Angelo In-glese (famoso per aver disegnatola camicia del principe Williamd’Inghilterra per il matrimonio

con Kate), grazie alla lana lava-ta e filata da Pecore Attive hatessuto una giacca riprendendouna vecchia tradizione degli an-ni 50 dello scorso secolo: la giac-ca, non infustata come risultanoessere generalmente le altrefatto di altro materiale, che ve-niva indossata da agricoltori o

da chi non poteva permettersialtro, é stata proposta al merca-to giapponese ed ha riscosso undiscreto successo.La collaborazione con La Masse-ria la Calcara, l’azienda agricoladi Donato Mercadante, terzagenerazione di una famiglia diallevatori, in cui vengono alle-vate circa 70 pecore di razzaautoctona “Gentile di Puglia”,ed oltre 450 di razza comisanae certificate col marchio bio, hadato origine agli ‘occhiali tatti-li’: l’artigianalità che è dietro aquesta lavorazione si trasformain un’esperienza di contatto cheavviene tanto per le maniquanto per gli occhi. Un piace-re per lo sguardo e per le dita.Lo scorso gennaio la masseriaha ricevuto il premio OscarGreen, il concorso indetto daColdiretti Giovani Impresa, perla sezione ‘fare rete’.I workshop e le collaborazionicon le scuole di alta moda, di de-sign continuano, sempre a cac-cia di nuove idee da poter realiz-zare e sempre con lo spirito didiffondere competenze.L’obiettivo di Filippo Clemente èla gestione diretta dell’intera fi-liera produttiva, dal vello al tes-suto finito, nella sua Altamura.I primi passi sono già stati com-piuti con il rilevare un’antica fi-landa dove sarà eseguito l’interoprocesso, comprese le attivitàche adesso vengono eseguite al-trove. Saranno creati nuovi postidi lavoro con uno sguardo versola tradizione, ma che utilizze-ranno tecniche e design moder-ni. A breve sarà attivata una re-te di vendita online, ma per Fi-lippo è fondamentale avere deiluoghi fisici dove i clienti posso-no toccare con mano e scegliere iprodotti. Magari in una sartoriadove poter gustare il profumodell’esclusività.

MARCELLO VALERI

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uzione di feltri partendo dalla lana di scarto dei materassi>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

l’estinzione: un decennio fa nerestavano circa un centinaio dicapi tanto da indurre la Comu-nità Europea all’introduzionedi incentivi per il recupero del-le pecore ‘mosce’ pugliesi: l’alta-murana, la leccese e la Gentiledi Puglia.Grazie anche all’idea di due ca-re amiche ricercatrici della Fa-coltà di Biologia dell’Universitàdi Bari, Filippo con un back-ground da progettista di pro-cessi manifatturieri, un nonnoallevatore di ovini, un padresarto e una madre ottima rica-matrice e da cui ha appresol’amore per le attività manuali,si appassiona subito al proget-to di recupero e valorizzazionedella lana della pecora ‘moscia’di Altamura ispirandosi anchea quanto avviene nei paesi delnord Europa, dove il recuperodei materiali ha una tradizionelunga mezzo secolo.Attiva dal 2010, l’associazioneculturale Pecore Attive riesce asvilupparsi grazie anche albando Principi Attivi, l’iniziati-va di Bollenti Spiriti (il pro-

gramma della Regione Pugliaper le Politiche Giovanili, ndr)che promuove la partecipazionedei giovani pugliesi alla vita at-tiva e allo sviluppo del territo-rio attraverso il finanziamentodi progetti ideati e realizzatidai giovani stessi. I principaliobiettivi erano quelli di salva-guardare la biodiversità attra-verso il reinserimento degli ovi-ni autoctoni ed in via di estin-zione, recuperare la lana per ri-dargli nuova vita e non è statotrascurato l’impegno socialepiù diretto: il progetto fu porta-to inizialmente all’interno del-la casa circondariale di Alta-mura.L’impresa inizia in quella che fula bottega sartoriale di famigliacon l’acquisto ed il recupero diun vecchio telaio che stava peressere buttato dai vecchi pro-prietari. A nulla valgono le esor-tazioni da parte dei familiari discegliere un lavoro migliore co-me fanno tutti i ragazzi che de-vono metter su famiglia.Studi storici, indagini di merca-to, workshop e collaborazioni con

il Politecnico di Bari: sono leprincipali attività di Filippo neiprimi mesi e Pecore Attive rie-sce, in seguito, a diventare unastart-up di successo in un Paesein cui non è facile fare impresa,soprattutto per un giovane. Ol-tre al concept innovativo, che haprevisto inizialmente la produ-zione di feltri partendo dalla la-na di scarto dei materassi, l’ideavincente alla base del successodi Pecore Attive è il puntare tut-to su un piano di sviluppo a me-dio lungo termine, considerandole conoscenze, le competenze e lacultura quali elementi fonda-mentali per il sano sviluppo diun’impresa. Innovazione e colla-borazione con gli ambienti acca-demici permettono di innovare iprocessi produttivi e di idearenuovi prodotti. Non meno im-portante è la rete di collabora-zioni con cui Pecore Attive fa bu-siness. Saper scegliere partnercompetenti senza farsi lusingaredai finanziamenti facili: Clemen-te è sempre alla ricerca di colla-borazioni e ‘partnership’ cheportino idee, competenze e so-

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fareimpresa Un concept innovativo che ha previsto la prod>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

un vasto pubblico. Facebook edInstagram sono stati fondamen-tali: ciò ha permesso ai ragazzidi raccontare la propria attività;un lavoro basato su un archiviodi alfabeti in legno e piombo ca-talogati con cura. Dal percorsodi recupero dei materiali rari epreziosi alla realizzazione dei ca-ratteri tipografici originali, ognipassaggio viene postato e diffusoin rete, anche per aumentare lacultura su questo argomento cheè abbastanza scarsa. Le personesono sempre più attratte dallecose semplici da capire. Proprioper questo Anonima Impressoriha puntato molto sui social net-work, prima di arrivare a realiz-zare un proprio sito internet. Ri-cerca, recupero, restauro, sono leparole chiave di questo laborato-rio artigianale, che crea prodottiper la comunicazione e per l’ar-te, attraverso metodi di stampaantichi e allo stesso tempo mo-derni, abbinando la tradizione aldesign digitale. A.I. non è soloun’officina artistica, ma svolgeun’azione di tutela e salvaguar-dia di competenze e materiali,svolgendo ricerche e aggiorna-

menti su tecniche di stampa al-ternative. Nel portfolio clienti cisono sia privati che aziende, entipubblici, biblioteche, case editri-ci, riviste, comuni. La sperimen-tazione grafica alla ‘vecchia ma-niera’ avviene attraverso l’utiliz-zo di torchi, fustellatrici, matrici,inchiostri, tirabozze. C’è una sor-ta di riscoperta del processo distampa con tutti i limiti che im-pone lo stile ‘vintage’. Se il pro-gresso ha portato a risolvere tut-to con un click, qui invece ci sitrova a fare i conti con le proble-matiche del metodo antico, che avolte può sembrare un ostacolo,ma in questo contesto diventaun valore aggiunto.Non si esclude la tecnologia mo-derna, anzi, la si integra in mo-do da adattare il progetto creati-vo tradizionale a quello digitale.Un’altra caratteristica impor-tante di Anonima Impressori èla parte didattica. Vengono pro-posti tanti workshop e laboratoriformativi per consentire agli ap-passionati del settore di appren-dere le tecniche e i segreti neces-sari per portare avanti questaattività, ormai desueta e per lopiù abbandonata. Nel 2013 perletterpress e composizione tipo-

grafica è stato organizzato un la-boratorio, che aveva come obiet-tivo la realizzazione di una car-tolina in formato A5 sul temadel recupero e del luogo. Riutiliz-zando antiche tecniche e antichimateriali, si è cercato di lavora-re ad un nuovo approccio dellatipografia artigianale. Era inclu-sa una visita guidata dello spa-zio tipografico, per poi entrarenel vivo di come si progetta daldigitale all’analogico, fino ad al-cuni esempi concreti di stampa.L’azienda ben consolidata conti-nua la produzione di prodottioriginali come le stampe su car-ta fatta a mano o le cartoline po-stali, la partecipazione ad even-ti nazionali e internazionali, l’in-contro con docenti ed esperti delsettore, come la designer cana-dese Judith Poirier, che per l’oc-casione è stata in sede a mostra-re il suo lavoro sulla tipografiaanimata e i caratteri modulari.Insomma, Anonima Impressori èsicuramente un progetto che saconiugare l’esperienza dellagrande tradizione artigianalecon le nuove tecnologie: un fioreall’occhiello tra le eccellenze ita-liane.

MICHELA ZANARELLA

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iave’di questo laboratorio artigianale che crea prodotti per la comunicazione>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Nel 2013 a Bologna, in viaPiave 11/b, è nata una star-

tup particolarmente interessan-te. In realtà, tutto ha avuto ini-zio nel 2012 con la vittoria di unbando per imprese innovative:‘IncrediBol’, lanciato dal Comu-ne di Bologna. Dall’unione diMEAT – Collettivo grafico e At-tilaMarcel, ha preso forma Ano-nima Impressori, officina graficae stampa d’arte. Uno studio diprogettazione grafica del tuttoalternativo, in quanto riesce a

far dialogare tra loro stampatradizionale e grafica contempo-ranea. L’idea vincente è di ungruppo di giovani, capitanati daVeronica Bassini, titolare del-l’azienda, che ha deciso di faresquadra con altri validi colleghi.Insieme vanno in giro per l’Italiaa recuperare materiali tipografi-ci dismessi, cercando di dargliun futuro. Ognuno ha messo adisposizione conoscenze e capa-cità maturate negli specifici set-tori di appartenenza: chi come

artigiano e chi come libero pro-fessionista nella grafica. Il collet-tivo stampa i caratteri mobili co-me si faceva cinquant’anni fa. Iprodotti, ovvero partecipazionidi matrimonio, poster, bigliettida visita, scatoline vintage, libri,sono realizzati a mano o conmacchine automatiche, e vengo-no curati nel dettaglio. Si va dal-le grandi tirature ai pezzi limita-ti, ma ciò che identifica e distin-gue l’azienda è il fatto che utiliz-za i social per farsi conoscere ad

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fareimpresa Ricerca, recupero e restauro sono le ‘parole-ch>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

In Emilia Romagna, una tipografia artigianale unisce passato epresente, tradizione e modernità

Anonima Impressori:l’antica arte grafica

gine italiana, nato e cresciuto in Brasile e statu-nitense di adozione, Helio è pronipote dell’excampione di Formula 1 Alberto Ascari. Le sueproposte di design utilizzano materiali pregiati,come ebano, palissandro e pellami, mentre nelledecorazioni va ad inserirsi il rubino. I diversimodelli (esposti nei grandi magazzini BergdorfGoodman di New York) prendono ispirazione daivelocipedi anni ‘30: infatti, le creazioni a pedaliridisegnano le linee sinuose e morbide apparte-nute alle vecchie macchine da corsa.‘Ascari Bicycles’ è stata fondata nel 2011, conl’intenzione di coniugare il senso di eterno del-l’arte a modelli classici ed eleganti interamen-te costruiti a mano. All’interno dell’officina(nel quartiere newyorkese di Brooklyn) si creacon precisione, perché ‘Ascari’, secondo l’ideadi Helio, “è per persone che apprezzano e com-prendono il mestiere artigianale”. L’ex modellobrasiliano, così, ha preferito ‘sporcarsi le mani’– nel vero senso della parola – e inseguire lasua predilezione, che fin da piccolo lo portavaa riparare oggetti vecchi. Dalla moda ai bicicliil passo è stato inevitabile: gli ambienti lavo-rativi frequentati da Helio, sono stati la conse-guenza dell’attuale attenzione che rivolge alsuo progetto, attraverso il meticoloso sguardo

ai dettagli. Quindi, ogni cosa imparata nelpassato diventa un semplice escamotage dariversare sulle ‘semplici macchine’, che ci gui-dano in modo elegante lungo le strade. Inoltrel’esperienza di vivere in diversi Paesi e dun-que conoscere altre realtà, ha permesso all’im-prenditore-artigiano di affinare un gusto per-sonale ai differenti stili di vita, unendo prati-cità e consapevolezza ambientale.

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ell’arte a modelli classici ed eleganti, interamente costruiti a mano>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Le biciclette di Helio Ascari sono pensate econcepite per tre differenti spazi: città, trac-ciati alternativi e veloci; infine, la ‘King’. Tuttii modelli sono presentati sul sito www.asca-ribycicles.com (in inglese) con colori, misuree dettagli. Le serie King e City sono a trevelocità. Accessoriate di borse (disposteposteriormente), borracce per l’acqua e cro-mature, si possono vedere nelle loro peculia-rità grazie alle foto pubblicate. Il portale è difacile fruizionee offre la possibilità di acqui-stare direttamente on-line, non solo biciclet-te ma anche magliette, cappelli, occhiali ealtri tipi di accessori.

Da un po’ di tempo le biciclette vivono unperiodo virtuoso. Molte sono le persone

che, attualmente, sfrecciano per le vie dellegrandi città, come tante sono le iniziative a lo-ro dedicate. Questa realtà, sempre in crescita,corrisponde in parallelo a una continua ricercaed evoluzione del prodotto da parte dei produt-tori artigiani che creano pezzi unici costruiti peraderire al cliente e durevoli nel tempo. Telai, ac-cessori e vernici così diventano un insieme di ele-menti che va a coniugarsi con tecnologia, speri-

mentazione e continua evoluzione. I cosiddetti‘sarti delle biciclette’ formano in tale modo una‘società artigiana’ che fra tradizione e innovazio-ne riesce a registrare buoni tassi di crescita dal2014. C’è anche chi rielabora questa espressivi-tà mediterranea oltreoceano, per riproporre inchiave originale tendenze e fogge, puntando alprodotto artigianale-moderno di lusso.L’esempio, che non passa di certo inosservato, è ilmarchio “Ascari Bicycles” di New York nato dal-l’idea di Helio e sua moglie Maria Thereza. Di ori-

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innovazione ‘Ascari Bicycles’coniuga il senso di eterno de>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

L’artigianato del biciclo si veste di chic con un restyling innova-tivo dei modelli del passato, personalizzato per aderire allerichieste del cliente

La biciclettaoggetto di ‘lusso’

sangue, e di un prodotto che sopravvive a chi loha creato, ricordandone sempre il suo lavoro.L’acciaio e le saldature a mano ottimizzano ilprodotto finale, accessoriato inoltre con loghi eulteriori simboli saldati con rame e ottone. Iltocco ricercato dei gioielli si combina con lerifiniture in pelle, affinché la raffinatezzaentri nel mondo delle biciclette con passione,tant’è che non viene trascurata un po’ diinfluenza italiana: i cerchi in legno sono della‘Cerchio Ghisallo’ (Magreglio, Como); tubi,telai e forcelle sono invece forniti dall’aziendastorica lombarda ‘Columbus Tubi’.

Il design ‘Ascari’ si combina, inoltre, con altrimarchi americani per la produzione di ogget-ti da ufficio, fermacarte e ombrelli. La novitàdi questa stagione, ad esempio, è l’edizionelimitata di occhiali nata dalla collaborazionecon il marchio ‘Moscot’. Il risultato di questapartnership è una versione rivisitata dell’ico-nico modello ‘Lemtosh’, il preferito del bisnon-no Hyman Moscot. La pelle, rigorosamente dialtà qualità, è il tratto distintivo di questonuovo accessorio. È infatti tessuta a mano epersonalizzabile, così come lo sono i raggi dellebiciclette Ascari, che sono il loro marchio difabbrica. Due grandi brand adesso viaggianoinsieme, ovviamente in tandem.

ANNALISA CIVITELLI

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le rifiniture in pelle, affinché la raffinatezza entri nel mondo delle biciclette con passione>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

La frequentazione dell’United BycicleInstitute di Portland (Oregon), dove Helio haacquisito i segreti del suo lavoro, gli permettetuttora di comprendere e di padroneggiare ilprocesso creativo di una bicicletta, partendoproprio dal disegno. Idea, progettazione e rea-lizzazione sono quindi gli step principali, in cuiil tempo di impiego per assemblare una bici vadai quattro ai cinque mesi. Ma dipende tutto dalcliente, dalle sue specifiche richieste.Sebbene le biciclette Ascari non siano partico-larmente tecniche, portano in loro un messaggioimplicito: la bellezza. La funzionalità del mezzo

è, comunque, sempre al primo posto, con il giu-sto equilibrio tra peso ed efficienza.Le biciclette Ascari richiamano uno stile vintageche segue il motto: “Guardando indietro per anda-re avanti”. Realizzate con materiali all’avanguar-dia, hanno un costo che oscilla tra i 15 e i 20 milladollari (tra i 13.435,50 e i 17.914,00 euro) per laserie King. La bici commissionata dallo stilistaRalph Lauren, ad esempio, è costata 30 milla dol-lari (circa 26.871,00 euro).Prodotti di fascia molto alta. Ma per Helio il ter-mine ‘lusso’ è sinonimo di tempo, quello impie-gato a creare l’oggetto che richiede energie e

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innovazione Il tocco ricercato dei gioielli si combina con >>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Louvre di Parigi, al BritishMuseum di Londra, a Basi-lea, Calcutta, Washington eRoma e che la stessa Vigo, an-ni fa, ha rifiutato -con un sec-co no- la proposta da capogirofattale da facoltosi giappone-si che volevano avere il ‘Leo-ne delle donne’, arazzo rica-mato in bisso nel 1938 dallanonna, per due miliardi emezzo delle vecchie lire, ri-mane solo lei, l’unico Maestrodi bisso in tutta Europa, a cu-stodire i segreti antichissimidi un mondo scomparso che,grazie alla tradizione orale,ha attraversato i secoli pergiungere sino a noi intattonel fascino magnetico e pre-gno di quella magia che soloun mestiere così antico posso-no trasmettere. Sono in mi-gliaia a muoversi ogni annoda tutto il mondo, tra accade-mici di Australia, America,Israele, Svizzera, Francia estudenti universitari (che do-mandano di svolgere su di leitesi di laurea) per andare atrovare la Vigo nel suo spar-tano Laboratorio a Sant’An-tioco, l’unico posto, dopo lachiusura da parte del Comu-ne di Sant’Antioco del Museocomunale dove Chiara realiz-zava e esponeva i suoi manu-fatti senza tempo e senzaprezzo. È lei a svelarci i se-greti della tessitura della se-ta del mare perché è l’ultimatessitrice di bisso, la sostanzafilamentosa che, tratta dallapinna nobilis, viene lavorataper realizzare abiti e para-menti riservati alle massimeautorità fin dal tempi dei fa-raoni egizi. Un tempo eranodiverse le ‘donne dell’acqua’che raccoglievano e filavano ilbisso con una tecnica mista di

conoscenze tessili, rituali, no-zioni mediche ed erboristiche.La Vigo non manca di incar-nare tutto questo con un alo-ne di teatralità con cui ac-compagna i suoi gesti into-nando una melodia antica, co-sì, dopo pochi secondi, da unbruno ammasso aggroviglia-to c’è invece un lungo filo diseta che splende come un rag-gio di sole e, al contatto con ilpalmo della mano, scalda conun tepore acceso e unico.Il bisso è un sottilissimo filodi color bruno che si ricava dauna sostanza prodotta, a po-chi metri di profondità nelmare cristallino di Sant’An-tioco, in Sardegna, dalla pin-na nobilis, il più imponentemollusco bivalve che viva nelMar Mediterraneo, specieprotetta dal 1992. Ogni esem-plare vive circa 25 anni e rag-giunge altezze che superanodi vari centimetri il metro.Per raccogliere questa prezio-sissima seta, forte quanto im-percettibile, Chiara Vigoscende sott’acqua nella primaluna di maggio e taglia, con lasapienza che le è stata tra-

mandata, quella parte del fi-lamento che comunque sareb-be portato via dalla forza delmare.

Chiara Vigo, può mostrarcicome può questo piccoloammasso scuro pieno di de-triti trasformarsi in seta?“Il bisso è la bava solidificatadi questo mollusco. Un ani-male adulto, di 14 anni, ti re-gala circa 10 grammi di setache diventano un grammo al-la pulitura con una lietissimafatica per liberare la seta.Fatto questo bisogna prepara-re 15 alghe in ossidazione conuna luna alta. Dopodiché ab-biamo il formulario che passadi maestro in maestro da ge-nerazioni e chiaramente nonva fuori dalla linea matriar-cale. Passando attraverso ilformulario, il filo di seta nonsi tarla, non si distrugge, nonsi altera nel tempo, è ignifugoe diventa oro di luce. Il regaloche l’animale mi fa sono que-sti 10 grammi di seta. La rac-colgo, la dissalo e la cardo.L’animale forse il successivoanno, quando potrò ancora

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ene inalterato nel tempo>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Se non fossimo nel 2018,era ipertecnologica in cui

a tutti si impone non solol’impiego di metodi semprepiù sofisticati e lontani dalletradizionali abilità manuali,ma anche di essere ipercon-nessi con il mondo, Chiara Vi-go sarebbe incoronata sacer-dotessa del mare. Lei, tantofigura evocativa di anticheleggende quanto padrona diuna arte che affonda le sueradici nell’alba dei tempi, co-niuga ad una presenza fisicadi forte impatto un raro can-dore forte di uno sconfinatorispetto per la natura. Chiaraè una donna che si è conse-gnata al mare ed alla sua na-tura potente e sacra di cui siè trasformata in custode edinterprete.Quando la incontriamo inqualità di ospite illustre, Mai-st’e Pannnu, Maestro di Tes-suto, che sta qualificando‘Tramando Tessendo’ by Si-nergie, a Zagarolo (Roma), av-vertiamo subito quanto la suapersonalità sia intensa e cari-smatica. L’aspetto straordina-rio di questa storia riguarda

un’arte antichissima che legaChiara Vigo, ‘Signora del Bis-so’, con l’antichissima mille-naria tecnica che permettevadi realizzare i manufatti dibisso usati per realizzare capie accessori per re, imperatorie paramenti sacri. Nella Me-sopotamia di oltre diecimilaanni fa, il bisso era il tessutocon cui la leggenda vuole siastato fatto il Vello d’oro cerca-to da Giasone, le vesti del reSalomone e della regina Ecu-ba, i bracciali della regina

Nefartari e il copricapo diKeope. Perfino l’arte lettera-ria impiega il bisso per crearemiti come fa Jules Verne in‘Ventimila leghe sotto i mari’(1870): “Indossai alla svelta imiei abiti di bisso. Gli feci sa-pere che erano intessuti di queifilamenti lucidi e serici che fis-sano alle rocce le nacchere, spe-cie di conchiglie frequenti in-torno al Mediterraneo”.Oggi che le opere in bisso dalei realizzate sono gelosamen-te custodite ed esposte al

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tradizione Un prezioso filato che non si tarla, è ignifugo e si mantie>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Chiara Vigo è l’ultima discendente e divulgatrice di una tecnicaantichissima, tramandata di padre in figlio: la trasformazione inun sottilissimo filo di color bruno dei filamenti prodotti dalla‘pinna nobilis’, un mollusco bivalve che vive nel Mediterraneo

L’arte del bisso:la ‘seta’ del mare

immergermi, mi regalerà al-tri 10 grammi di seta. Se ilmare vorrà farci questo dono,altrimenti attenderemo anco-ra un altro anno”.

L’aspetto eccezionale diquesta arte, che si traman-da solo per via di sangue,è che le opere di bisso nonsono in vendita, è vero?“Esatto. Il bisso non si vendee non si compra, si dona. Intanti hanno cercato di com-prarlo offrendomi cifre altis-sime e non capendo nulla delvalore del bisso. Prima di tut-to io prego perché questo nonè mio, questo è dell’acqua.L’uomo deve capire che la de-ve smettere di voler comprarel’acqua, l’acqua va per contosuo. L’uomo deve capire chetutti quelli che vanno a mare,compresi i vecchi pescatori,pregano prima di andare amare. L’uomo vuole capire cheun’arte non si impara in fret-ta e in modo nozionistico. Bi-sogna rientrare in un mondodiverso, dove tutto è lentissimo,nulla è per caso e la fretta nonabita qua. Io non me la chiac-

chiero con il mare. Io sono delmare, è diverso, io mi sento del-l’acqua. Servono 3 primavereper filare 12 metri di bisso ritor-to. 5 anni per un unghiato di40x50cm. Da un maestro noncompri, impari”.

Chi è un maestro?“Un maestro è colui che con-serva per gli altri che verran-no ciò che era prima, un mae-stro non è altro ma per arri-vare ad essere maestri biso-gna camminare dietro unmaestro e non a fianco. Biso-gna fermarsi quando ti parla

ed ascoltarlo perché lui non loripeterà più; bisogna prender-gli quello che ha secondoquello che va bene per te, luinon ti da nulla ma ti ha datotutto, sei tu che hai preso peressere dopo in relazione altuo tempo. È scontato che tidebba regalare la sua vita, lasua esistenza, la sua pazien-za,la sua conoscenza e tuttoquello che ha, perché se nonè disposto a fare tutto que-sto,allora non è un maestro.Quando mia nonna mi ha tra-sferito il formulario io ho ca-pito cosa ero nel frattempo di-ventata: l’arazzo più bello chemia nonna avesse potuto tes-sere. Ho fatto di mia nonnal’essenza della mia esistenza,sono stata cresciuta dai mieinonni in un mondo fatato, tramaestri di tessuti e disegnodi tessuti, mia bisnonna rica-matrice, il marito di mia non-na maestro di stucchi per ba-siliche e restauri di pietre,tutto un mondo fatto di fili, diterre di arti di vario genere;se vivi dentro una famigliache pratica quell’arte la as-sorbi”.

ALESSANDRA BATTAGLIA

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tradizione “Da un maestro non compri: impari”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

n freno alla possibilità di cogliere le opportunità offerte dall’allargamento dei mercati

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percezione; pertanto il processo del lobbying è unprocesso comunicativo». I mutamenti in atto nelsistema delle forniture coinvolgono, direttamen-te o indirettamente attraverso il rapporto trasubfornitore e committente, anche gli artigiani.Essi, quindi, per svilupparsi o per mantenere leposizioni sul mercato già acquisite, devono tro-vare soluzioni che in qualche misura tenganoconto dei cambiamenti conseguenti alla globa-lizzazione dei mercati.Le reti d’impresa rappresentano ecosistemistrutturati sia per l’aspetto organizzativo, siaper quello gestionale il cui obbiettivo è quellodi focalizzare gli interessi di tutti i partners,per cui il successo dell’iniziativa è basato suuna forma di collaborazione salda fra tutti gliaddetti, senza alcuna incrinatura. Figuraessenziale è quella del professionista con com-petenze multidisciplinari, relazionali e dinegoziazione, di ascolto e di sintesi, che unisce,organizza, monitora e valorizza l’organizzazio-ne in rete. Un sistema che si realizza nel gene-rare vantaggi concreti a ciascuno dei compo-nenti inseguendo l’interesse collettivo. Unbuon manager di rete deve possedere, infatti,empatia, diplomazia, lealtà, chiarezza, compe-tenze, reputazione, credibilità, autorevolezza epensiero sistemico. Altro elemento essenzialeper il funzionamento delle reti è quello delcontratto di rete che assume importanza ai finidella collaborazione tra imprese che intendonorealizzare un programma di sviluppo comunedi un piano d’internazionalizzazione efficace.Nello scenario internazionale, stante la com-petizione economica, i modelli tradizionali diimpresa si prestano ad essere insufficienti. Lanecessità è quella di ricercare delle formeinnovative al fine di stare sul mercato e com-petere con gli attori dell’economia globale. Leprincipali attività attraverso le quali le impre-se cercano di raggiungere questi obiettivisono: progetti per aumentare la penetrazionecommerciale e il marketing di prodotti di altaqualità all’estero; collaborazioni per nuoveopportunità di business; assistenza post vendi-ta; condivisione di informazioni sui diversimercati; iniziative di formazione per il perso-nale addetto all’internazionalizzazione; con-trattazione prezzi di acquisto; partecipazione afiere e bandi dedicati all’internazionalizzazio-ne. Uno strumento e un sistema collaborativo

che genera valore per ciascuna azienda che vipartecipa e sviluppo per il territorio in cuiopera. In sostanza, l’attualità ci pone un inter-rogativo importante per le imprese che inten-dono promuovere l’artigianato: la prospettivadell’internazionalizzazione è riconosciuta comeuna evoluzione importante per l’impresa arti-giana, oppure no e quali difficoltà incontranogli imprenditori del settore? Indagine interes-sante è quella condotta dall’Osservatoriodell’Artigianato della Regione Piemonteche ha sviluppato la tematica dell’artigianatoin rapporto con l’internazionalizzazione del-l’impresa.La conoscenza di tali elementi consente ditracciare alcune linee guida per l’impostazionedi politiche di supporto allo sviluppo della pre-

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L’attualità dirompente dell’economia mon-diale è contraddistinta da una continua

crescita degli scambi internazionali, ma ancheda grandi trasformazioni che vedono l’ingressosul mercato di nuovi paesi produttori a costicompetitivi, l’evoluzione verso nuove forme diinternazionalizzazione che implicano una pre-senza diretta sui mercati esteri di attivitàdistributive e produttive, il diffondersi di unmarketing sempre più aggressivo. Non solo: imercati sono contraddistinti anche da un’evo-luzione tecnologica sempre più rapida che

export Le dimensioni contenute delle realtà artigiane possono rappresentare u

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L’internazionalizzazionedelle imprese

L’allargamento verso nuovi o emergenti mercati impegna ingentirisorse finanziarie e richiede sforzi organizzativi lontani dalle capa-cità di piccole strutture imprenditoriali, quelle che nella realtà pro-muovo lo sviluppo dell’artigianato: la collaborazione tra aziende,specie quelle più piccole, rappresenta uno dei principali elementi peraumentare la capacità innovativa e competitiva del business

richiede continui investimenti, da mutamentinelle caratteristiche della domanda che richie-dono risposte sempre più rapide, dal diffonder-si di processi di concentrazione che emargina-no le imprese minori. Senza dimenticare l’im-portanza della rete web, dei social media edella comunicazione per far conoscere e diffon-dere le peculiarità e la storia dietro uno speci-fico prodotto. D’altronde, scriveva il professoreamericano Lester Walter Milbrath: «lacomunicazione è l’unico elemento in grado diinfluenzare o cambiare una prospettiva, una

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si e reinventarsi. Si tratta di strumenti inno-vativi per l’internazionalizzazione, l’artigiana-to e l’accesso al credito. Le misure proposteconcedono: 2,2, milioni per l’internazionalizza-zione delle imprese, coprendo fino al 70% del-l’investimento. Una misura rivolta soprattuttoalle imprese più piccole e con meno esperienzadi vendita all’estero, che finalmente avrannola possibilità di partecipare a fiere, show room,pagare export manager o azioni di marketinge investire in e-commerce fondamentale per ilcommercio; 3 milioni per l’artigianato. Comeprevisto dalla nuova legge sull’artigianatoapprovata dalla Regione, tutte le imprese arti-giane, quelle tradizionali e quelle innovativeavranno la possibilità di innovare ed esserepiù forti con il supporto di tecnologie, progetticreativi, sperimentazione di nuovi materiali. Ilbando dà attenzione ad alcune categorie specifi-che come l’artigianato artistico e l’artigianatonei comuni al di sotto dei 5 mila abitanti.Previsti incentivi e premi per chi assume giova-ni under 35. Sono 62,5 milioni in totale per il

credito e le garanzie con il programma “FareLazio” per quattro bandi sul credito che inclu-dono azioni di piccolo credito, di riassicurazione,di garanzia sui prestiti e di garanzia equity. Unpacchetto che offre possibilità anche ai titolaridi partita iva e ad alcune categorie, come arti-giani, tassisti commercianti, operatori del turi-smo di accedere a nuove forme di credito.Veniamo ai dati. I settori in cui registriamo ipiù alti tassi di esportazione sono quelli dellamoda, dell’automazione meccanica, dell’arre-do/casa e dell’agroalimentare. Stilisti comeArmani, Valentino, Gucci, Prada,Dolce&Gabbana, Fendi, Versace, Moschino,Ferragamo hanno il loro nutrito seguito un po’ovunque. Anche i produttori di orologi eocchiali, specialmente se frutto di lavorazioniartigianali, vantano un pubblico di compratoriinternazionali. Le case automobilistiche emotociclistiche, ma anche i produttori storicidi biciclette, sfornano prodotti molto richiestioltreconfine. Alcuni brand rappresentano ilvero e proprio lusso italiano esportato e cono-sciuto in tutto il mondo. Basta pensare alleFerrari, alle Lamborghini, o alla Piaggio e allaDucati per le moto. Mobili di design e comple-menti di edilizia, sono queste i due prodotti diarredamento più esportati. Mobili in stile anti-co, mobili contemporanei, per la casa o per l’uf-ficio. L’attenzione alle materie prime e la curadel processo produttivo rendono i nostri formag-gi, Gorgonzola, Grana Padano, ParmigianoReggiano e Pecorino innanzitutto, i nostri salu-mi, si pensi al Prosciutto di Parma e il nostrovino alimenti amati dall’intera popolazionemondiale. Per non parlare della pasta, simbolodel nostro Paese e vertice della piramide dell’ex-port italiano. Naturalmente non sono solo questii prodotti italiani acquistati dai Paesi stranieri.Il Made in Italy apprezzato in Europa, Americae Asia comprende molte altre categorie di benie servizi. Possiamo concludere evidenziandoche l’utilizzo di website, food-blog e canali onli-ne di conoscenza della storia, della crescita edel lavoro dietro un prodotto di eccellenza arti-gianale aumenta il probabile pubblico diacquirenti, generando un legame speciale conil compratore che resta incantato non solo dalprodotto in sé, ma dalla storia e dall’autentici-tà dell’azienda.

DOMENICO LETIZIA

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ercato finale, bensì beni intermedi o lavorazioni in conto terzi difficili da esportare>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

senza sui mercati esteri delle imprese artigia-ne e per la predisposizione di servizi e suppor-ti idonei. Infatti, le dimensioni contenute delleimprese artigiane e la peculiarità di molteattività da esse svolte possono rappresentareun freno alla possibilità di cogliere pienamen-te le opportunità offerte dall’allargamento deimercati. Operare all’estero attraverso la ricer-ca di clienti interessati ai prodotti dell’aziendao, ancora di più, attraverso la ricerca di par-tner per sviluppare attività all’estero richiedeun impegno notevole in risorse umane e finan-ziarie che non sempre sono disponibili a suffi-cienza presso le imprese artigiane. A ciò siaffianca il fatto che spesso le imprese artigia-ne non realizzano prodotti finiti destinati almercato finale, ma più frequentemente realiz-zano beni intermedi, spesso in subfornitura, olavorazioni in conto terzi e per queste attivitàrisulta sicuramente più difficile la ricerca diopportunità all’estero.Altra problematica è quella dei finanzia-menti. A febbraio 2018 i prestiti concessi alleaziende che annoverano meno di 20 addetti,ma che ricoprono circa il 30% dei prestitirichiesti, hanno registrato un decremento

rispetto allo stesso periodo del 2016 del 3,6%.Situazione ancora peggiore per il creditoall’artigianato, che a settembre del 2017 regi-strava una flessione del 9,3% rispetto allostesso periodo dell’anno precedente. Unasituazione complessa che va affrontata in pri-mis a livello governativo per garantire allepiccole e medie imprese un accesso al creditopiù semplice. Un credito che permetterebbealle stesse di portare avanti progetti di svilup-po e potenziamento aziendale, fattibili soloattraverso un’erogazione di finanziamentisemplice e accessibile. Il tema dei prestiti perle aziende è da tempo al centro del dibattitoistituzionale e degli istituti finanziari e di cre-dito, e nonostante la scarsa collaborazione alivello governativo, istituti bancari sono scesiin campo per fornire alle PMI un sostegno effi-cace e veloce per le loro ambizioni di sviluppo.C’è chi prova ad affrontare con tenacia la pro-blematica. L’esempio della Regione Lazio intale logica risulta innovativo. La Regionemette a disposizione tre strumenti importanti,che permetteranno ad un’ampia platea dibeneficiari di avviare azioni di internaziona-lizzazione e alle imprese artigiane di innovar-

export Spesso le imprese artigiane non realizzano prodotti finiti, destinati al m>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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sabile per la fornitura di elettri-cità. Scoprì un modo efficace diprodurre corrente, con tutti ivantaggi che questo comporta,riuscendo a ridurre le perdite agrandi distanze tra centrale eutilizzatori. Uno dei suoi obiet-tivi principali, sembrava esserequello di fornire energia abasso costo o addirittura gra-tuitamente, a livello mondiale.Nikola Tesla sosteneva l'esi-stenza, in natura, di campi di‘energia gratuita’ cui diede ilnome di ‘etere’. Secondo i suoistudi, attraverso queste ‘zone’,era possibile dar vita ad altreforme di energia. Scoprì che lacrosta terrestre è un ottimoconduttore elettrico, dalmomento che un fulmine checolpisce il suolo, crea delle ondeche si muovono da un lato dellaterra all'altro.E’ possibile conoscere in manie-ra sufficientemente dettagliatasolo la prima parte della suavita, quella che riguarda i bre-vetti registrati e le invenzionidi cui facciamo uso tutt’oramentre si sa ben poco di ciò cheaccadde dopo la rottura con ilbanchiere J.P. Morgan, avvenu-

ta a inizio ‘900. Ciò è dovuto alfatto che la sua invenzione piùgrande per la trasmissione dienergia senza fili e senzadispersione, in tutto il globo,venne interrotta dal suo finan-ziatore quando era ormai quasiultimata (mancava solo lacupola di rame). Stando alledichiarazioni dello scienziato, ilsuo sistema avrebbe consentitoaddirittura di incrementarel’energia trasmessa sfruttandoparticolari caratteristiche del-l’etere, nome che nell’800 veni-va usato per definire l’energiadel vuoto, senza l’impiego delleonde elettromagnetiche ordina-rie. Se ciò fosse stato vero, lasua invenzione avrebbe azzera-to i guadagni dell’alloranascente mercato del petrolio edella produzione di energiaelettrica mediante lo sfrutta-mento dei carburanti fossili.Morgan, onde evitare di met-tersi contro il grande mondo

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recorso le tecnologie odierne>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

della finanza internazionale, daparte sua, diffuse la voce che loscienziato era diventatoimprovvisamente pazzo e glifece terra bruciata intornoimpedendo ad altri uomini d’af-fari di completare l’opera e diacquistarne le spettanti partisocietarie. Dopo questi fatti,Tesla si ritirò a vita privata macontinuò a rilasciare interviste.Alcune di esse riguardavanol’annuncio dello sviluppo di tec-nologie futuristiche per lamodificazione artificiale delclima o la creazione di macchi-ne volanti dalla forma e dallecaratteristiche sovrapponibili aquelle degli attuali ‘ufo’. Dopola sua morte, avvenuta nel gen-naio del 1943, in circostanzepoco chiare, l’FBI impose ilsegreto di stato sulle sue sco-perte e invenzioni per ‘motivi disicurezza nazionale’.

DARIO CECCONI

La Wardenclyffe Tower, una gigantesca stazione di trasmissione senzafili costruita da Tesla a New York fra il 1901 ed il 1902. La torre nonera soltanto un mezzo di comunicazione “wi-fi” con tutto il mondo. Inrealtà Tesla progettava anche di trasmettere messaggi, effettuare chia-mate ed inviare persino delle immagini attraverso l’Atlantico sinoall’Europa, sfruttando l’energia elettrica della Terra mediante la iono-sfera. Se il progetto fosse andato in porto, chiunque oggi potrebbe averecorrente elettrica totalmente gratuita e non avremmo bisogno di fontidi energia non rinnovabili come petrolio e carbone fossile per vivere

Installazione di trasformatoriTesla in Russia

Nato il 10 luglio del 1856 aSmiljan, una cittadina

dell’Austria-Ungheria (oggi inCroazia), è stato uno scienziatodi grande rilievo, annoveratotra i maggiori studiosi nelcampo dell’elettricità, candida-to al Nobel.Vissuto per gran parte dellasua vita negli Stati Unitid’America, era una persona

schiva, non amava la fama,motivo per cui le sue invenzio-ni, di frequente, venivanocopiate o riadattate, per poiessere brevettate da altri.Parlava fluentemente 9 lingue,conosceva a memoria tutte lepiù grandi opere letterarie ma,nonostante abbia dato un enor-me contributo scientifico al pro-gresso umano, il suo nome

viene ancora quasi completa-mente ignorato.Nel 1881, mentre lavora comedisegnatore e progettista all'‘Engineering Department’ del‘Central Telegraph Office ofU.S.A’, iniziò ad elaborare ilconcetto della rotazione delcampo magnetico che rende lacorrente alternata, quale è tut-t'oggi, uno strumento indispen-

tecnologia Lo scienziato croato che con le sue ‘strane’ idee ha p>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Durante tutta la sua vita ha registrato più di 300 brevetti ele sue invenzioni hanno aiutato a perfezionare la correntealternata, i motori elettrici, le radio, le luci fluorescenti, ilaser e i telecomandi

Nikola Tesla:il genio e l’energia

hiesto all'artista un bagaglio di conoscenze sempre più specialistiche>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

sione e documento. Se da un lato, la tecnologiainfluenza il processo creativo fissando nuove pos-sibilità di espressione degli artisti, dall'altrogarantisce l'accesso a funzioni diverse dell'artecon ricadute inedite nelle modalità di fruizione.Il ricorso a materiali sperimentali o l'uso insolitodi oggetti di uso comune ha richiesto, da sempre,all'artista un bagaglio di conoscenze sempre piùspecialistiche per poter esprimere al megliovisioni, sogni e pensieri. Può capitare dunque diimbattersi in un artista che ha competenze daprogrammatore eragiona secondo glischemi di uno scien-ziato, creando untipo di arte detta“computazionale”.Non ci si sporca piùle mani con temperee pennelli e non siarriva a fine giorna-ta con la fronte suda-ta per aver esercitatoi colpi di scalpello sulmarmo. Artisti come il giovane californiano AaronKoblin lavora sulla trasformazione artistica deidati, o data visualization, progettando infogra-fiche interattive per Google dal 2008 e oggi pre-senti nella collezione permanente del Moma diNew York.Non bisogna però relegare lo status di artista alsolo ricorso di tecnologie digitali che continuano aessere considerati quali strumenti di ausilio aforme artistiche preesistenti. Attraverso una seriedi opere grafiche, pittoriche, scultoree e fotogra-fiche che impiegano il computer in specifiche fasidel processo compositivo: dalle tecniche del mor-phing, effetto di trasformazione fluida di dueimmagini diverse, o del collage digitale; dall'ibridoprodotto dell'interazione di immagini reali e digi-tali alla creazione di sculture virtuali che rileg-gono la relazione tra volume, forma e spazio in unnuovo spazio. A unirle, l'importanza della manipo-lazione delle immagini che innesca nuovi modi disperimentazione, sfociando spesso in un terrenodi difficile confine tra arte e altri settori tipici del-l'intrattenimento e dell'informazione (teleroboti-ca, videogiochi, ipertesti e comunicazione mediat-ica). Non tutti gli artisti si spingono oltre nel-l'adozione di metodi artistici innovativi, limitan-dosi spesso a trasporre opere già consolidate peruna fruizione che ne ammira gli esiti da una “vet-rina virtuale”. L'indagine sulle nuove tecnologie

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ha invece avuto esiti positivinelle sculture digitali diAlessandra Angelini, artistaparmense con diploma in pit-tura all'Accademia di belle artidi Brera, che ha intrapresodiverse collaborazioni con isti-tuzioni scientifiche fino all'ap-prodo alla stampa 3D. Da qui,la Angelini è riuscita aintravedere in questo strumen-to di prototipi in forma seriale,

l'evoluzione verso una tecnologia additiva, ingrado di creare senza tralasciare la manualità.L'artista procede dal segno libero tracciato sullacarta al solido modulato della stampante 3d diOlivetti, senza sentirsi legata alla manipolazionediretta della materia. L'apparente freddezza dellatecnologia è in questo e in altri casi, un concetto

Al secolo scorso, l'avvento dell'arte contempo-ranea affida alla storia quattro importanti

esperienze artistiche: dall'orinatoio di Duchampdel 1917 al disegno di De Kooning rimosso daRauschenberg negli anni cinquanta passando poial foglio di carta trafitto da Murakami e l'esposi-zione del vuoto di Klein alla fine di quegli stessianni. Tutti questi artisti rappresentano i quattrodiversi generi artistici più in auge nell'arte con-temporanea del secolo scorso e così il ready made,l’arte concettuale, la performance e l’installazionesono ancora oggi funzionali a esprimere un rac-conto che va al di là dell'oggetto stesso.Il ragionamento sul medium è stato già affronta-to, in tempi non sospetti, dai greci che hanno indi-viduato nella parola téchne la sintesi perfetta per

spiegare l'ampia diversificazione delle belle arti.L'idea dei greci di un'arte allargata è meglioapplicabile all'abilità tecnica, in cui a stare al cen-tro è la conoscenza e non l'ispirazione. La portatadello stravolgimento della tecnica/tecnologia neiconfronti dell'approccio tradizionale dell'artista èben tratteggiato dall'antropologia filosofica diGehlen che individua nell'oggetto tecnico, la pos-sibilità di espandere le capacità dell'artista oaddirittura di sostituirsi alla prestazione fisica.permettendo un considerevole risparmio dilavoro.In questa direzione, il lavoro artistico prende lemosse dagli atti che non sono soltanto mezzi masostituiscono la stessa realizzazione dell'opera,cambiando la prospettiva d'indagine fra espres-

arte Il ricorso a materiali sperimentali o l'utilizzo insolito di oggetti di uso comune ha rich>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

L'artista:un artigiano hi-tech

Fotografia, pittura e scultura sempre più condizionate dalle nuovetecnologie, ma il valore artistico intrinseco dell'opera si esprimeancora attraverso l'artigianalità del manufatto

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tandosi spesso a trasporre opere già consolidate>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Immaginare un grande censimento di eccellenzeartigianali oggi si può. Chi si è distinto per meri-

ti professionali e per il proprio impegno nellatrasmissione del sapere, deve trovare il giustospazio di riconoscimento grazie a una piattafor-ma digitale in grado di diventare “realtà parlan-te” del valore e dell'importanza del maestro arti-giano in questo secolo.Al tempo degli youtubers e influncers, il saperfare vince sul ‘fare dell’apparire’ e comincia a ri-conquistare gli antichi spazi di appartenenza. Ilmondo social del cambiamento è sempre più daconsiderarsi una ben salda normalità, assorbitacompletamente nella “micro fame digitale”.D'altronde come ben descrive George BernardShaw, commediografo irlandese, “la vita non ècercare se stessi, ma creare se stessi”, ciò sig-nifica che il digitale può presentare i giovanicon prospettive davvero ampliate rispetto alpassato e grazie a precise azioni nel campo deldigital storytelling. Le nuove tecnologie con-

sentono la costruzione di storie in grado di farappassionare l'utente al percorso delle maes-tranze, in particolare del centro-sud d'Italia, co-niugando in un unico “luogo” la produzione, lacomunicazione e la vendita.Dietro ogni impresa artigianale ci sono personeche investono con passione e credono nella propriastoria e identità. La Fondazione Exclusiva(http://www.fondazioneexclusiva.org/)in collab-orazione con Fondazione Cologni dei MestieriArtigiani intendono mettere in contatto personedi età e percorsi diversi in grado di creare unflusso continuo di interscambio di competenzevariegate. Le diverse borse di studio per tirocinimesse a disposizione, sono orientate alla val-orizzazione di quei giovani portatori di quelknow how tecnologico da integrare all'esperien-za di chi è sul mercato da molti anni ed è ingrado di guidare il giovane talento all'inseri-mento formativo e lavorativo.Le imprese e il territorio sono l'humus di questa

Il repertorio dei talenti

Un progetto istituito da‘Fondazione Cologni deimestieri d'arte’ insieme alla‘Fondazione Exclusiva’, conl'obiettivo di valorizzare esostenere i volti nuovi dellamanifattura, per creare unnetwork digitale di maestriche metta in luce le radici cul-turali e geografiche del settore

arte Non tutti gli artisti si spingono oltre nell'adozione di metodi artistici innovativi, limit>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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troppo restrittivo e costituisce solo un aspetto diquella progettazione digitale che nasconde, alproprio interno, diversi elementi mutuati dall'artetradizionale. Ciò comporta che l'antica officinad'arte diviene un lavoro in team tra creativi, tec-nici ed esperti di materiali mentre la ricerca tec-nica di forme inedite si eleva a un livello tale daevolvere velocemente il coefficiente di sfida delleopere da realizzare.L'evoluzione non mette in secondo piano unmessaggio di armonia e bellezza che continuanoa mantenere le opere. Le ultime frontiere delmultimediale sono già entrate nel circuito artis-tico italiano grazie anche a mostre che permet-tono ad artisti stranieri di portare il discorsocreativo su prospettive avveniristiche. É il casodell'esposizione negli spazi dell'Ex Dogana diRoma che lo scorso anno ha ospitato le ultimenovità digitali dal titolo “Artfutura-Creaturedigitali”, presentando artisti-scienziati che spin-gono oltre la loro necessità di espressione. Il col-lettivo inglese Universal Everything tocca lecorde dell'emozione con una serie di prototipi didisplay flessibili, stampa in 4 d per crearel'opera “Screens of the future” e la famosa“MorphoTowers ” del giapponese SachikoKodam che manipola i ferrofluidi per crearesculture con forme sempre diverse. Si parla disculture robotiche per le opere dell'americanoChico MacMurtrie e il gruppo Amorphic RobotWorks (ARW) che partono dal trattamento dimateriali tessili ultraleggeri per creare etereestrutture dal dinamismo quasi molecolare.La tecnologia non minaccia la manualità dell'indi-viduo anzi, costituisce una estensione del linguag-gio perché ciò che davvero muove e trasforma lapercezione è il pensiero e l'esperienza.Una vera rivoluzione con diffusione capillare inluoghi in cui le risorse digitali sono avvertitecome bisogni da indurre nelle generazioni suc-cessive. È notizia di pochi giorni fa che il criticoe curatore svedese Daniel Birnbaum, preoccupa-to per le sorti dell'arte contemporanea, sarà allaguida entro l'anno di una nuova realtà virtuale,“Acute Art”. Quest'ultima è una piattaforma adisposizione degli artisti che lavorano a proget-ti in realtà virtuale, realtà aumentata e video a360 gradi. Dal sito è possibile già accedere a unaserie di app per la fruizione di opere di Christo& Jeanne-Claude, Marina Abramovic, JeffKoons, Olafur Eliasson, Anish Kapoor, JakobSteensen e altri.

SILVIA MATTINA

Premio Loewe Craft 2018:vince Jennifer LeeSolo due anni fa, nasceva il Premio Loewe Craft grazie alla fon-dazione omonima con la consapevolezza dell'importanza del-l'eccellenza, del valore artistico e l'innovazione dell'artigianatocontemporaneo. Ogni anno, un comitato di esperti valuta opereche abbracciano ad ampio raggio diverse tecniche, mezzi emodalità espressive ed esamina artisti emergenti accanto anomi già acclarati. Le origini di Loewe sono da ricondurre allaboratorio artigiano e all'anno 1846. Al vincitore di quest'anno,Jennifer Lee, sono andati cinquanta mila euro e ovviamente lamassima visibilità tra gli addetti ai lavori con l'esposizione almuseo del disegno di Londra. L'opera vincitrice si intitola “Pale,Shadowed Speckled Traces, Fading Elipse, Bronze Specks, TiltedShelf ” ed è un vaso minimale, il cui colore è il frutto di una scru-polosa miscela di ossido di metallo e argilla. L'esposizione è l'oc-casione per raccogliere e mostrare al pubblico opere difficilmen-te etichettabili in un genere, piuttosto un modo per i visitatore difamiliarizzare con materiali eterogenei: ceramica, gioielli,mobili, tessuti e opere in legno, vetro, metallo, carta e lacca. Undialogo fruttuoso con i mezzi informatici più avanzati e giovanistudiosi da tutto il mondo che rendono vitale il dibattito in dife-sa dell'artigianato tecnologico. Lee una chiarezza estetica, cia-scuna delle quali presenta una silenziosa sicurezza in se stessiche parla del lavoro coinvolto nella loro produzione. Non amacategorizzare il suo lavoro: "È interessante il fatto che così tantiartisti lavorino in ceramica"come sostiene Lee, "ma poi hannosempre fatto così: Gauguin, Picasso, Tàpies”. S.M.

operazione di tra-smissione alternativadel sapere artigia-nale, così come la cul-tura delle tante cittàitaliane, le biografie ele soluzioni di unnuovo design in gra-do di rinvigorire unsettore dato per spac-ciato. Da patrimonio prezioso a rischio di es-tinzione, la riappropriazione della capacità creati-va sartoriale passa attraverso la tecnologia dellanarrazione 3.0 che stratifica competenze econoscenze dell'artigiano contemporaneo e fa-vorisce curiosità e stimolo. In un tempo di profon-da crisi economica, l'esposizione del “pensare conle mani” è una risorsa in più, contribuendo ad ali-mentare il continuo apprendimento attivo e sti-molante per chi decide di comprare oggetti fatti in-teramente a mano. “Noi – spiega, Giorgia Turchet-to segretario generale della Fondazione Exclusiva– con questo progetto proponiamo unmodello diverso, che coniuga pubblicoe privato sociale con la partecipazionediretta delle comunità locali, nell’otti-ca di una responsabilità diffusa”.In questo discorso, la storia che vieneraccontata non risponde più alle clas-siche logiche della serialità e dellaquantità della produzione, bensì allapartecipazione attiva alla sostenibilitànel recupero di una dimensioneumana della bellezza, cura e salva-guardia dei beni per le future gener-azioni. Punto di incontro importante didue strade quella dei giovani e delleimprese che faticano a incrociarsi, lasfida è proprio offrire una ricchezza diattività che favoriscano l'incontro me-diante l'organizzazione di visite inazienda, talk con professionisti, elabo-

razione del brand ed esperienze pratiche.Una volta entrata nel network della Fondazione,l'azienda propone un artigiano da mettere in “vet-rina” e descrivere secondo la capacità di inno-vazione (“Dossier di candidatura” su modello Un-esco). Il risultato è la creazione di una piccola col-lana di e-book multimediali alla scoperta del tal-

ento, autenticità, originalità etradizione. Con una cadenzabiennale, cinque artigianisono proposti dalla Fon-dazione Exclusiva al titolo diMam (Maestro d'Arte eMestiere) con la creazione diFondazione Cologni deiMestieri d'Arte nel 2016. Talespeciale riconoscimento coin-volge ventitré diverse cate-gorie dell'artigianato artisti-co per la lavorazione del leg-no, della ceramica, del mo-

saico, della pelletteria, delle stampe d'arte, deltessile, etc. La seconda edizione del premio Mamsi è svolta il 4 giugno scorso presso il Saloned'Onore della Triennale di Milano e ha visto lapresenza di settantasette maestri e l'iscrizionedei vincitori in uno speciale “Libro d'oro dell'eccel-lenza”, istituito nel 2016.Per conoscere tutti i nomi dei 77 premiati Mamvisitare il sito:http://www.maestrodartemestiere.it/it/libro-d-oro/2018

SILVIA MATTINA

arte Il ‘saper fare’ riconquista gli antichi spazi di appartenenza>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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ento a cura di Serena Di Giovanni>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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nella storia, dal passato al presente. Tre i temi principali: quello delladistruzione e del saccheggio che tenta di analizzare le motivazionisottese alla distruzione del patrimonio artistico e archeologico, spes-so nel tentativo di mistificazione dell’identità altrui; il potere delleimmagini come portatrici di innumerevoli significati e spesso stru-mento del potere; e, infine, il ruolo dei musei come protettori e custo-di di reperti esposti al rischio della distruzione e dell’oblio.giungereper essere pienamente valorizzate.

Fino al 9/09/2018 - Via Accademia delle Scienze, 6Da martedì a domenica ore 9.00 - 18.30Lunedì ore 9.00 – 14.00

di magistrali disegni che segnano la nascita della moderna illu-strazione scientifica. Dopo una sezione introduttiva, che proponeuna ricostruzione dello studio di Leonardo, il percorso espositivo siarticola quindi in sezioni dedicate all’anatomia delle macchine,agli studi sul corpo umano, alla geologia e all’architettura. Il per-corso si chiude con i disegni che illustrano il dispositivo ideato daLeonardo per l’allestimento teatrale dell’Orfeo del Poliziano,affiancati dal modello tridimensionale della macchina scenica.

Fino al 07/10/2018Via di S. Donato, 53045Tutti i giorni ore 10.30 – 19.30

ovvero Palmerino di Guido, al Maestro di Figline. Tra tutti si devericordare la vicenda artistica di Palmerino, nel 1309 compagnodi Giotto ad Assisi, col quale dipinse le pareti di due cappelle diSan Francesco, per poi tornare a Gubbio e affrescare la chiesa deifrati Minori e altri edifici della città. La mostra è accessibile conun biglietto unico che consente di visitare le tre sezioni espositi-ve ma anche le tre sedi museali nel loro insieme, il Palazzo deiConsoli, il Museo Diocesano e il Palazzo Ducale.

Fino al 4/11/2018Palazzo dei Consoli: Piazza GrandeMuseo Diocesano - Palazzo Ducale: Via Federico da MontefeltroDa lunedì a domenica ore 10.00 - 19.00

l'artista, custodito nel suo studio a Villa Strohl-Fern, fanno inoltreemergere la poetica del pittore, secondo il quale “l’arte, modernacome anche antica, è solo quella che riesce ad esprimere l’essenzialeverità delle cose con profonda umanità e spiritualità”. Il titolo del-l’esposizione è tratto proprio alle personali considerazioni diTrombadori sull’arte, “moderna non certo perché rispecchia il nostrotempo, che allora si tratterebbe di una questione di moda e formale”.Curata da Giovanna Caterina De Feo la mostra ha avuto una suaprima edizione a Roma, presso la Galleria d’Arte Moderna.

Fino al 2/09/2018 - Via Sant'Anna, 21Da martedì a domenica ore 9.30 – 18.30

artenews La segnalazione delle mostre più interessanti del mome>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

40 > > > > > > > > > > > > > > > > > > > Periodico italiano MAGAZINE

A 1900 anni dalla no-mina a imperatore diAdriano, il comune diTivoli ospita presso ilMuseo della città, unamostra che illustra lametodologia sviluppatanell’ambito delle attivi-tà di salvaguardia e diconservazione del pa-trimonio storico-ar-

cheologico di Villa Adriana e della città di Tivoli.L’esposizione propone esempi di soluzioni di fruizio-ne moderna, tra cui ricostruzioni 3D di monumen-ti presenti nel sito di Villa Adriana e un allestimen-to in video-mapping incentrato sulla figura diAdriano e su Villa Adriana, con tanto di esperienzaimmersiva, in cui viene data particolare enfasi alconcetto di ‘edutainment’ (imparare giocando).L’aspetto più prettamente storico-archeologico èrappresentato dall’esposizione di reperti archeolo-gici, costituiti dalle teste provenienti dall’Antiqua-rium di Villa Adriana che rappresentano l’impera-tore Adriano. In mostra anche la testa di Antinoorealizzata con un calco in polvere di nylon attraver-so la tecnologia della stampante 3D. Per ciò che ri-guarda Sabina, oltre ad un suo ritratto, è propostoun frammento completato attraverso una soluzionedi ricostruzione che ne garantisce la lettura com-plessiva. Le scelte espositive proposte nel percorsomirano, quindi, a mostrare il collegamento tra l’an-tico e il moderno, finalizzato alla salvaguardia, allatutela e alla valorizzazione dei beni culturali grazieanche all’impiego delle moderne tecnologie. Le atti-vità sono state rese possibili grazie a progetti por-tati avanti nell’ambito di programmi dell’AgenziaSpaziale Europea (ESA). Ciò ha permesso la realiz-zazione di servizi e l’applicazione di soluzioni inno-vative basate sui dati di Osservazione della Terrada satellite e drone e sulla localizzazione satellita-re di precisione, soluzioni tecnologiche innovative asupporto delle attività su campo per la conservazio-ne dei beni culturali.

Fino al 15/09/2018Via della Carità, Via Campitelli, 1 Da martedì a sabato ore 15.00-18.00 Domenica ore 10.00-13.00 e 15.00-18.00

TIVOLI

Adriano, preservare le memorie

TORINO

Anche le statue muoionoAl Museo Egizio di Torino, una mostra che racconta le ferite del patri-monio nelle terre di guerra. Conflitto e patrimonio tra antico e con-temporaneo apre un dialogo sul tema della vulnerabilità, della con-servazione, della distruzione e della sottrazione delle opere d’arte edi archeologia. Il progetto è l’esito della collaborazione fra più enti,in particolare la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, il MuseoEgizio, i Musei Reali e il Centro Scavi dell’Università di Torino, pensa-to per offrire ai visitatori un itinerario nella città, nei suoi musei e

MONTEPULCIANO

Leonardo da Vinci Presso la Fortezza di Montepulciano un’esposizione che indagaLeonardo da Vinci (1452-1519) non solo come artista, ma comeinventore di macchine e dispositivi meccanici straordinari, chesarebbero divenuti patrimonio comune della cultura tecnica soloalcuni secoli dopo la sua morte. La mostra intende mettere in luceuno degli aspetti più innovativi dell’opera di Leonardo, per ilquale macchine, corpo umano e natura sono governati dallemedesime leggi universali: idea che trova espressione in una serie

GUBBIO

Tesori d’arte nella terra di OderisiAllestita in tre diverse sedi, ovvero presso il Palazzo dei Consoli,il Museo Diocesano e il Palazzo Ducale, la mostra dedicata all’ar-tista fiorentino raccoglie dipinti su tavola, sculture, oreficerie emanoscritti miniati appartenenti ai suoi “compagni e colleghi”:da Guido di Oderisi o Maestro delle Croci francescane, al Maestrodella Croce di Gubbio; dal Maestro Espressionista di Santa Chiara

PALERMO

L'essenziale verità delle coseDopo più di dieci anni dall’ultima mostra monografica tenuta aSiracusa, la Sicilia torna a ospitare il lavoro di FrancescoTrombadori (1886-1961). Alla Galleria d’Arte Moderna diPalermo circa sessanta tele, dipinte tra il 1915 e il 1961, prove-nienti da importanti collezioni pubbliche e private di tutta Italia,raccontano la vicenda artistica di Trombadori. Disegni, libri, cata-loghi di mostre e articoli di giornale provenienti dall'Archivio del-

rire un limite, ma in questo caso si comprende cheè più una sorta di omaggio a un’epoca che non c’èpiù, che ha accompagnato la formazione dell’arti-sta. Un sottile velo malinconico cerca di metterein contatto presente e passato attraverso immagi-ni e ricordi indelebili. Un taglio creativo essenzia-le, mai banale, evidenzia un percorso di esplora-zione dell’anima attraverso melodie e parole perarrivare alla purezza della musica.

Eduardo De Felice, come hai iniziato a faremusica?“Credo di avere avuto da sempre questa ‘vocazio-ne’, in quanto già da piccolissimo mi divertivo construmenti a percussione a immaginare di crearecanzoni. Poi ho iniziato a studiare pianoforteall’età di 12 anni e tutto ciò che era fino a quelmomento nel mio immaginario, ho cominciato aconcretizzarlo attraverso note vere. Inizialmenteerano perlopiù composizioni strumentali, poi hoprovato a musicare alcuni testi scritti da un miocaro amico ai tempi del liceo, e così sono nate leprime canzoni. Nel 2003 ho, invece, cominciato ascrivere anche i testi delle mie canzoni e da lì èpartito tutto”.

Perché hai scelto di seguire il filone del can-tautorato italiano degli anni ’70-80?“È una scelta che definirei quasi inevitabile essen-do cresciuto musicalmente proprio con quel filone.Oltre al fatto che proprio l’epoca dei ’70 -’80 mi hasempre affascinato sotto tutti i punti di vista”.

L’album ‘È così’ è stato definito dalla criticaanacronistico, sei d’accordo?“Sono d’accordo e felice di questa cosa, perché eraproprio quello che volevo. Ovvero cercare diricreare quel tipo di soundriportando l’ascoltatore aquelle atmosfere. Tanto piùche la definizione è statafatta in accezione positiva.Per cui se è questo ciò cheviene percepito ascoltando ilmio album allora posso diredi aver raggiunto il mioobiettivo”.

Il brano ‘Succede così’ èstato pubblicato nel 2016attraverso una campa-gna di crowdfunding.Come hai vissuto questa

particolare esperienza?“È stata sicuramente un’esperienza positiva,anche se è stata un po’ stressante. Secondo medipende anche un po’ dal carattere delle personeche decidono di provare questa esperienza e dalloro seguito. Io l’ho fatta, ma credo che allo statoattuale non la riproverei, sebbene alla fine siaandato tutto positivamente. Poi mai dire mainella vita”.

Sei l’autore di tutti i brani del disco. Cosarappresenta per te la scrittura?“A volte è la mia valvola di sfogo, altre volte è ilmio auto esaminarmi e mettermi a nudo con lemie emozioni, stati d’animo, pensieri e riflessioni,con tutto quello che mi capita direttamente o indi-rettamente e che catalizzo così. Altre volte ancoraè semplicemente un divertimento, qualcosa chemi fa stare bene e che mi piace”.

Cos’è per te la semplicità?“Le cose semplici sono per definizione quelle dovemancano artefatti, costruzioni, manipolazioni, percui sono dirette, pure, limpide. A volte ci facciamotanti di quei calcoli, problemi, congetture, quandospesso la chiave di volta si trova proprio nellasemplicità”.

Uno stile vintage, un sound melodico enostalgico che rievoca Lucio Battisti e LuigiTenco. È questa la tua identità musicale?“La mia identità musicale sicuramente è statainfluenzata da Battisti, ma è quasi naturaleessendo cresciuto con i suoi dischi e avendoavuto sempre una profonda ammirazione per ilsuo stile. Naturalmente Battisti non è stato il

solo che mi ha accompagna-to lungo il mio percorso, per-ché ho comunque sempreascoltato di tutto. Di sicuronella mia identità musicaleè presente un richiamo alpassato, che a volte cerco diriproporre in chiave moder-na, mentre altre volte cercodi lasciare intatto cosìcom’è. In questo caso specifi-co direi che è l’identità cheho voluto dare a questodisco, perché era quello chesentivo di fare in questo pre-ciso periodo storico”.

MICHELA ZANARELLA

e essenziale e vagamente anacronistico, ma tutt’altro che banale>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Inaspettato e semplice. È proprio il caso di defi-nirlo così l’album di Eduardo De Felice prodotto

da Apogeo Records: 11 tracce dalle sonorità vinta-ge proiettate ai giorni nostri con estrema autenti-cità. Già la veste grafica scelta per la copertina deldisco ci indirizza verso un gusto per un’epoca tra-scorsa: immagini dell’infanzia dell’artista insiemealla famiglia rievocano un passato che è rimastointatto, nonostante il trascorrere del tempo. DeFelice è cresciuto a pane e Battisti, e si sente.Inizia molto giovane il suo percorso nel mondodella musica, dedicandosi allo studio del pianofor-te. Arrivano le prime esperienze come tastierista,poi la necessità di scrivere e comporre musica. Il2014 è l’anno dell’esordio discografico: esce ilprimo mini album ‘Viaggio di ritorno’. Nel 2016pubblica il singolo ‘Succede così’ realizzato attra-verso una campagna di crowdfunding suMusicraiser: un modo alternativo per fare musica.Il brano è incluso nel progetto discografico attua-

musica Con il suo ultimo album, l’artista napoletano conferma il proprio stile>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Eduardo De Felice:il passato in chiave moderna

le ed è il pezzo portante, caratterizzato da unasonorità elettronica. Racconta l’incontro tra duefuturi innamorati: anche un treno preso in corsapuò diventare il simbolo di qualcosa di intenso davivere. ‘Amore ciao’ per assonanze nel titolo rievo-ca ‘Ciao amore, ciao’ di Tenco, anche se per melo-dia ricorda forse più Battisti. Ci sono rimandi nelritornello che fanno pensare a qualcosa di giànoto, e forse proprio per questo si tende a conside-rare la traccia poco originale. De Felice, così comeBetta Lemme con ‘Bambola’ che si rifà al branoomonimo di Patty Pravo, compie un’operazione direcupero delle atmosfere del passato mettendociuno stile del tutto personale. ‘Giorni alle spalle’ èprobabilmente il pezzo più moderno, un brano popcon sfumature rap, non facile, anzi piuttosto impe-gnativo. Nel complesso il disco è interessante: lecanzoni sono molto orecchiabili, i testi sono sem-plici. È vero che il legame con la musica cantauto-riale del passato è forte e per certi versi può appa-

La musica degli anni ’70 e ‘80 del secolo scorso rivive attraverso la sensibili-tà di un giovane cantautore che fa della semplicità un imprintig peculiare

la clip è stata poi caricata nuo-vamente sulle piattaforme distreaming on line.Tango è un lavoro in cui si ri-flettono i diversi mondi cultu-rali e musicali che compongo-no il background dell’artista.Vi troviamo infatti elementidel pop e dell’elettronica con-temporanea a cui si sommal’infatuazione per la colorataarmonia e ritmica sudamerica-na. In tal maniera l’album sicolloca con naturalezza all’in-terno del panorama interna-zionale così come espresso daartiste del calibro di Lorde eLykke Li. Al tempo stesso peròi brani si connotano secondouno stile che rivela una manie-ra propria e personale. È quin-di un disco evidentemente alpasso coi tempi ma ben anco-rato alle radici culturali dellacantante e autrice.Tali elementi sono ben manife-sti nella traccia d’aperturaBlue Tiger e si chiarificano inArmenia Quindío, dove la ma-trice armonica e ritmica suda-mericana si combina al ritor-nello catchy.Le atmosfere si fanno più inti-me in Mountain of Love, dove i

In primo pianoLUCIA MANCA • Maledetto e BenedettoSono trascorsi ben sette anni dall’omonimo disco di debutto della cantantesalentina. Un lasso di tempo che segna una distanza siderale tra i due lavori.Nel nuovo album nulla è rimasto dell’indie-folk che caratterizzava il primo LP. Sapientemente prodotto da Matilde Davoli, Maledetto e Benedetto si avva-le della collaborazione di Populous (Andrea Mangia) in Noi e Al posto suo. Registrato preso i Sudeststudio di Guagnano (Lecce) il disco ha visto la parte-cipazione di Andrea Rizzo alle batterie, percussioni e synth. L’artwork è cura-

to da Martina Bliss, mentre la foto di copertina si deve a Ilenia Tesoro. È questo un album che cattura imme-diatamente e andrebbe ascoltato nel suo complesso, in quanto carico di suggestioni e picchi di grande inte-resse. Gli arrangiamenti curati in ogni dettaglio e la voce di Lucia Manca sono un tutt’uno. Musica e paroleparlano un linguaggio estremamente coeso in un lavoro evidentemente scritto a quatto mani. E’ un discomaturo, che può essere fruito secondo diverse chiavi di lettura. L’ascolto delle avvolgenti otto canzoni puòinfatti concentrarsi sulla voce intima e grintosa di Lucia Manca, o può perdersi attorno a un suono o ad uninterludio musicale. Questo avviene tuttavia senza scarti, ma in maniera armonica e vellutata. Il lavoro si articola in maniera variegata secondo stilemi tipicamente italiani che guardano tanto a Battistiquando a Loredana Bertè (evocata nel modo di cantare e nelle intenzioni interpretative) e si arricchisconotramite sonorità legate al gusto attuale. I brani mostrano una grande e generale coesione, ma concepitisecondo soluzioni di arrangiamento e di scrittura sempre diverse, cosa che facilita l’ascolto che non si fa mairipetitivo. Le chitarre effettate si combinano ad una grande uso di sintetizzatori aperti che hanno un granpeso nella definizione del mood atmosferico del disco. Il range sonoro è ampio e direttamente connesso efunzionale ai brani. Atmosfere sognanti, quasi barocche (Settembre), si alternano a momenti di maggioreimpatto e dinamismo (Bar Stazione). Tra le composizioni più riuscite possiamo citare Noi nel quale l’ariositàdegli archi evocanti un tempo lontano, si accompagnano al basso synth e agli arpeggiatori. A fare da elemento di congiunzione tra le molte sfaccettature del disco, troviamo la voce di Lucia Manca chequi si fa portavoce di un romanticismo dolceamaro e a tratti spinto (Eroi), fortemente evocativo e coinvol-gente. La poetica è volutamente diretta, senza che vi si ricorra a un intellettualismo che sarebbe altrimentifuori contesto. Maledetto e Benedetto è un lavoro che cattura al primo ascolto e in un contesto lungimi-rante avrebbe un gran risalto e seguito. Nostalgico.

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sintetizzatori e il beat costrui-scono trame avvolgenti su cuisi adagia la voce delicata di Jo-an Thiele.Nella title track invece il lin-guaggio musicale si fa più in-teressante e ricco di sfaccetta-ture. La forma canzona viene ascontrarsi con digressioni stra-nianti costruite dai cori e dallaritmica spezzata. Ben piùsplendente e patinata è latraccia Polite. Con uno spudo-rato richiamo a I Feel Love diDonna Summer, il brano sianima mediante il poderosoandamento del basso.In Azul si concretizza la dop-pia anima della cantante. Quila commistione tra lingua lati-

na e musica elettronica riman-da alle composizione del musi-cista e producer americanoHelado Negro.Con Underwater Joan Thieletorna a giocare con le formuledel pop internazionale, per poilasciare spazio al mood intimoe acustico di Fire.A chiudere il cerchio troviamoquindi due brani dalla ritmicaserrata Ways e Lampoon.Tango è un lavoro volutamen-te eterogeneo in cui si palesala potenzialità di un’artistacertamente talentuosa, di cuisi attende la prossima matura-zione. Esotico

MICHELE DI MURO

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Quella di Alessandra (que-sto il suo vero nome) è

una vita da globetrotter, uncontinuo tira e molla col paesed’origine. Nata a Milano da pa-dre svizzero-colombiano e ma-dre italiana, con la famiglia sitrasferisce in Sud America perpoi tornare nello stivale. A di-ciotto anni si sposta a Londrae quindi fa ritorno successiva-mente in Italia. Il nome d’artederiva dal nonno paternoJuan. Giovanissima si fa ap-prezzare sul web grazie auna cover della hit Hotli-ne Bling di Drake e vienecosì scoperta dalla Uni-versal. Al 2016 si data ilsuo primo omonimo Epche le regala grande visi-bilità, anche fuori dai con-fini nazionali. Brani comeSave Me e Lost Ones (co-ver del brano originale diLauryn Hill presente neldisco The Miseducation ofLauryn Hill) mostravanogià tutte le capacità inter-pretative e autoriali dellagiovane artista. Atmosferesognanti, chitarra frammistaall’elettronica e una voceespressiva in cui si palesavagrande consapevolezza.Al lungo tour è seguito un en-nesimo viaggio. Questa voltala tappa è stata Armenia, inColombia, dove la cantante èvolata per motivi famigliari. E’

e Francesco Coco (aka ParallelRelease). Il disco è stato pub-blicato ancora per la Univer-sal, ma solo in formato liqui-do, lo scorso 15 giugno ed èstato registrato in parte nellostudio mobile Red Bull. L’al-bum vede inoltre la collabora-zione degli ingegneri del suo-no Donato Romano, CarloZollo e Chris Tabron. L’uscitaè stata anticipata dai singoliArmenia, Fire e Polite.Per quest’ultimo brano è statapensata e realizzata un’ideainteressante e innovativa.Il video è stato infatti girato etrasmesso in diretta, senza dun-que post produzione, sul socialnetwork Instagram. Realizzatacon la regia di Federico Brugia,

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musicanews Guida all’ascolto a cura di Michele Di Muro

Col suo primo album, la cantante italiana tenta il colpaccio: un lavoro colora-to, eclettico e multiculturale che ben figura nel panorama internazionale

Joan ThieleUn ponte tra due mondi

stata questa l’occasione per av-vicinarsi a un mondo musicalenuovo, ma al tempo stesso le-gato alle origini paterne.Lì sono nati i brani come com-pongono Tango. Le canzoni so-no state poi lavorate in Italiaassieme agli Etna, un trio dimusicisti e producer formatoda Jamy Caruso, Luca Caruso

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In primo piano

Editoria indipendente

La lettera d’amoreLucinda Riley, Giunti. Pagg. 560, euro 16,90 Ci sono segreti che rimangono tali per sempre.Joanna, giovane reporter, ad una cerimonia dicommemorazione incontra un’anziana donnache nasconde un mistero. La signora muoredopo qualche giorno, proprio quando Joannariceve un plico con una vecchia lettera d’amore.In quella lettera sono racchiusi mondi da scopri-re. Intrigante

Sara al tramontodi Maurizio De Giovanni, RizzoliPagg. 224, euro 19,00Sara è una poliziotta in pensione cheha lavo-rato in una unità legata ai Servizi. Per amoreha lasciato tutto, vivendo nell’invisibilità.Adesso che la compagna del figlio morto la staper rendere nonna, le si presenta un nuovocaso. Così torna in azione insieme a un collegainsolito in una Napoli periferica e lunare. Noiradrenalinico

Se tu lo vuoi di Valeria Fioretta, PiemmePagg. 300, euro 17,90Margherita ha un ottimo lavoro, un fidanzato euna vita apparentemente felice. Ma quello chesembrava essere ‘l’uomo giusto’ la lascia all’im-provviso. Decide così di trascorrere l’agosto incittà. L’incontro inaspettato con Elisabetta, bam-bina con i genitori costretti a lavorare d’estate, lecambierà la vita. Emozionante

L’uomo dei tulipanidi Elia Banelli, Alter Ego EdizioniPagg. 320, euro 15,00Una ricca signora muore in un incidentealquanto improbabile: un vaso di fiori le cade intesta, uccidendola sul colpo. L’appuntatoLaganà inviato per archiviare il caso, scopre,però, un dettaglio: un petalo di tulipano fintoera tra i fiori veri. Non credendo alla natura acci-dentale dell’evento l’appuntato decide di inda-gare. Avvincente

L’AUTRICEVive a Palermo, è laureata in lettere e insegna al liceo. Nel 1996 ha vintoil Primo Premio di Giornalismo giovanile ‘Dario Arrigo’, ha collaboratocon la rivista Biblìon con pubblicazioni di carattere didattico. Nel 2010 hapubblicato il romanzo La lunga marcia verso casa, che ha ricevuto ilPremio della Critica al Concorso Nazionale Val di Magra ‘RobertoMicheloni’. Nello stesso anno, il suo racconto ‘La visita’ è stato inseritonella raccolta ‘È solo poesia’. Nel 2014, al concorso internazionale ‘NatScammacca’, ha ricevuto una segnalazione di merito per il racconto‘Samir e gli altri’ inserito nell’antologia ‘Erice e Nat’. Collabora con varieassociazioni culturali, organizza laboratori di lettura per bambini, è let-trice volontaria nel progetto ministeriale Libriamoci.

soprattutto per ciò che riguarda la cattedrale,ricca di dipinti, reliquie, altari, manoscritti etombe sacre. Ad alcuni potrà sembrare unromanzo storico come tanti altri, ma in realtàqui c’è qualcosa che dà un valore aggiunto:l’amore assoluto per la ricerca della verità. Enon è poco. �

libri&libri Novità in libreria a cura di Michela Zanarella>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Torna in libreria in seconda edizione il fortu-nato thriller storico di Daniela Scimeca ‘Ilmistero della tomba di Federico II’ edito daBonfirraro. L’autrice, innamorata della suacittà, Palermo, si è sempre occupata di vicendee fatti storici misteriosi. Non a caso il roman-zo è ambientato in Sicilia e ruota intorno allafigura dell’imperatore del Sacro RomanoImpero, sepolto proprio nella cattedrale diPalermo. Nel corso dei secoli la tomba è statariaperta diverse volte ed è proprio da questoelemento che l’autrice parte per far muoverela protagonista, la professoressa CaterinaAlbini. La donna, dopo la perdita del padre,illustre professore di storia, riprende il suolavoro di ricercatrice al dipartimento di Latinomedioevale. E’ proprio da una lettera inaspet-tata, inviata dal vescovo della diocesi diPalermo, che la protagonistadecide di proseguire la ricercastoriografica lasciata incompiutadal padre sul mistero della tombadi Federico II. Il sepolcro regalenasconde segreti non ancora sve-lati: le cronache parlano di trecadaveri nella cassa: l’imperato-re, Pietro III d’Aragona e il Ducad’Atene. Le tecniche recentihanno, però, fatto emergere nuoviindizi: ci sarebbe il corpo di unadonna tra i resti. Secondo il pro-fessor Reiner si tratterebbe diBeatrice di Savoia, che sposòManfredi Lancia, figlio diFederico II e per questo avrebbepotuto guadagnarsi il diritto diessere sepolta accanto al suocero,ma non sembra esserci alcunacertezza sulla corrispondenza di

LETTO PER VOI

Il mistero dellatomba di Federico IIUn’indagine movimentata e complessariporta alla luce l’enigma sulla sepol-tura dell’imperatore svevo che stupì ilmondo

tale affermazione. Di chi sono quindi i corpi?Chi è la donna misteriosa? L’autrice, con unostile di scrittura avvincente, ci guida nei luo-ghi citati, come Pollicino alla ricerca delle bri-ciole per arrivare alla soluzione. E’ evidente lacura nel riportare riferimenti storici e ambien-tali precisi, frutto di studio e approfonditaricerca. Il lettore si trova coinvolto nelle inda-gini, come in una sorta di spy story, grazie albuon ritmo e alla suspence costante.L’intreccio narrativo è credibile, regge fino allafine, anche se la prima parte risulta menoincalzante ed è più descrittiva. La storia

autentica si avvale della fantasia:si mescolano personaggi reali adaltri inventati, si parte dal passa-to per arrivare alla contempora-neità. L’autrice sviluppa la tramain più piani temporali. La riscrit-tura fantastica serve a renderepiù fluida la narrazione, a dareun’intensità maggiore all’identitàdei personaggi, a giustificare l’ap-partenenza al genere thriller, chenecessita di movimento. A dire ilvero il romanzo non appartiene adun solo genere, ma ne racchiudediversi. Tra codici, indovinelli ecolpi di scena è inevitabile venirecatturati da una scrittura incisivae affascinante. La Scimeca, cono-scendo molto bene Palermo, cioffre la possibilità di capiremeglio la città e la sua storia,

IL MISTERO DELLA TOMBA DI FEDERICO IIdi Daniela Scimeca, Bonfirraro Editorepagg. 270, euro 18.90

Che tipo di artista è lei?Una definizione.“Non riesco a dare una defini-zione. Sono una persona checerca di fare egregiamente ilproprio lavoro, impegnandosicostantemente sempre di mi-gliorare. Il mestiere dell’attoreè fatto di sacrificio, di studio edi perfezionamento.”

Quale esperienza profes-sionale l’ha entusiasmatamaggiormente?“Ce ne sono state tante. Unasu tutte, che ricordo in modo inparticolare, è ‘Sotto il cielo diRoma’. Si tratta di una com-media musicale di qualche an-no fa. L’ultima che è stata vi-sta a teatro da mia mamma”.

Che tipo di rapporto hacon il pubblico?“Ho un buon rapporto con ilpubblico. Mi fa piacere quan-

do si complimentano con me,quando la gente mi riconosceper strada e mi saluta. Vorreiessere sempre amato da tuttianche se so benissimo chequesto non è possibile. Trove-rai sempre qualcuno a cuinon piaci”.

Ha qualche progetto arti-stico in cantiere, da realiz-zare nel prossimo futuro?“Sto preparando una puntatapilota per una serie tv scrittada me e da settembre sarò im-pegnato con una produzioneitalo-americana, per il cinema”.

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el piccolo schermo a cura di Dario Cecconi>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Massimiliano Buzzanca, attoreLaureato in giurisprudenza, ha esercitato la professione di avvocato fino al 2001,per poi dedicarsi esclusivamente al mondo dello spettacolo, in particolare comeattore. Si è interessato al teatro e al cinema, interpretando anche alcuni film perla televisione. È stato al cinema con le pellicole ‘The Second Coming’ per la regiadi Guido Marconi (2002), ‘Il monastero’ per la regia di Antonio Bonifacio (2003),‘Chamber Film - Interno Giorno’ per la regia di Tommaso Rossellini (2011), conFanny Ardant e Kyla Chaplin. Per la televisione è stato tra gli interpreti delle fic-tion di Raiuno ‘Regina dei fiori’ (2004) per la regia di Vittorio Sindoni, ‘RinoGaetano - Ma il cielo è sempre più blu’ (2006) per la regia di Marco Turco. È statoanche conduttore di talk show, quiz e programmi di approfondimento sulleemittenti locali ‘Odeon Tv’ e ‘Rete Oro’, dal 2001 al 2006. Del 2005 è la commediabrillante ‘Nemici per la pelle’ interpretata con Massimo Bonetti, Christian De Sicae Stefano Masciarelli, per la regia di Rossella Drudi e Claudio Fragasso. La suacarriera è in continua evoluzione e ascesa.

Non ha certo bisogno di pre-sentazioni. È un artista com-pleto, attore di cinema, teatroe televisione, regista, ex avvo-cato. Si è ‘formato’ nel foro, maa causa, forse, del sangue chegli scorre nelle vene, Massimi-liano Buzzanca ha compresoben presto che la ‘carriera to-gata’ non faceva al caso suo.Riposta la laurea nel cassetto,ha così intrapreso la sua bril-lante ascesa artistica. Non sipensi, però, che il nome siastato il lasciapassare ad unaprofessione tanto difficile. Peressere un ottimo attore occorrestudiare, provare, ripetere,avere una grande memoria e,soprattutto, rendere vivi e vi-vaci i personaggi che si vannoa rappresentare.Grazie a questa nostra intervi-sta andiamo a conoscere me-glio un artista molto amato dalpubblico, simpatico e disponi-bile. Si tratta di un attore chesul palco e sul set diventa unautentico professionista, moltoapprezzato anche dalla critica.

Massimiliano Buzzanca, leiha esercitato la professionedi avvocato fino al 2001.Come è avvenuto il passag-gio alla recitazione?“Ho sempre voluto fare l’atto-re, sin da quando ero bambino.La mia laurea in giurispru-denza è stata una sorta di de-bito di riconoscenza nei con-

fronti dei miei genitori. Hannosempre sognato di vedere i lo-ro figli laurearsi ed è per que-sto che mi sono impegnato perdiventare avvocato. Questo èstato anche un modo per dimo-strare di non essere il classico‘figlio di papà’ che si ritrova lastrada spianata”.

Che tipo di rapporto hacon suo padre, consideratotra i più grandi attori dellacommedia italiana e nonsolo?“Per me papà è sempre statopapà e non un amico. Tra dinoi c’è sempre stato un rappor-to di estremo rispetto. Mio pa-

pà è un uomo retto e severo.Con lui se si sbaglia ci si devo-no aspettare rimproveri. Devodire, però, che è un uomo chesi sa anche congratulare”.

Le ha dato dei consigli al-l’inizio del suo percorso ar-tistico? Ha avuto dei dubbisu di lei o l’ha incoraggiata?“Per il primo anno non mi harivolto più la parola. Poi, dopoaver visto una mia fiction edessersi complimentato con me,si è ammorbidito e mi ha fattocapire che avrei potuto contaresul suo appoggio, sui suoi con-sigli ma mai sulle raccoman-dazioni”.

dentroefuorilatv A tu per tu con i volti de>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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La cultura del cinema respirata sin da piccolo grazie a papà Lando, glistudi in giurisprudenza e quella passione per l’arte da sempre nutrita,che oggi viene alimentata quotidianamente

MASSIMILIANO BUZZANCA

Un avvocato artista

cinema, la nostra Storia può annoverare grandinomi: Federico Fellini; Pier Paolo Pasolini; ElioPetri; Marco Bellocchio; Luigi Comencini; NanniLoy e molti altri. Si tratta di un’interpretazionepassionale. Un modo di vivere la settima artecome un grande amore che costa sacrifici, produ-zioni sottocosto, pochi soldi per acquistare i ‘cesti-ni’ per il pranzo di attori e operatori. Eppure, pro-prio all’interno di quest’ottica poetica e quasi eroi-ca, il nostro cinema ha saputo dare il meglio di sé,donando al mondo autentici capolavori. Ma ancheil cinema sembra incontrare il medesimo proble-ma del teatro: grandi professionisti che, tuttavia,hanno lasciato pochi eredi. Nanni Moretti, PaoloSorrentino e Roberto Benigni sono solo gli ultimidepositari della nostra tradizione artigianale.Cioè di un modo di pensare il cinema, per comuni-care con il pubblico prima ancora che per ottene-re successo e fare soldi. Uno degli ultimi grandiartigiani del cinema che, purtroppo, ci ha lasciatoera Carlo Vanzina, il quale ha saputo inventareun ‘metodo’ più semplice e senza pretese di prose-guire la tradizione della commedia all’italiana nelsolco del grande artigianato artistico del nostrocinema. Adesso che i nostri grandi maestri comin-ciano a scarseggiare, arriva nuova linfa da registioriginari di altri Paesi che hanno scelto l’Italiacome luogo per sviluppare la propria arte, comenei casi del bresciano di origini marocchine Elia

Moutamid, dell’italo-mauritano, Vashish Soobah edell’italo-egiziano, Fathy El Gharbawy. Perchél’integrazione si fa anche così: con l’artigianato delcinema. Come i nostri nonni si spostarono dalleloro terre d’orgine e si recarono a vivere nellegrandi città portando con sé i valori contadini delproprio artigianato, quello dei pasticceri e dei cal-zolai, oggi abbiamo l’apparizione della primagenerazione di attori e registi ‘naturalizzati’ inItalia ma nati in altri Paesi. Ovviamente, il ‘pio-niere’ di questa integrazione è stato l’ex pugileegiziano Fathy El Ghabawy, poi divenuto attoreproprio con Carlo Vanzina e, infine, regista dell’at-teso ‘Viaggio a metà’.

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ofessionisti che hanno lasciato pochi eredi>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

Fathy El Gharbawy:“La cultura italiana è unica al mondo”

L’Italia ha una storia di arti-giani insuperabile. Dobbia-

mo rinnovare e ridare valore aquesta tradizione, anche nel ci-nema. E infatti, i grandi artigia-ni del cinema italiano hannosempre fatto la differenza, cometestimoniaro dal territorio ro-magnolo, che ha saputo ispirarei nostri più grandi film, girati ediretti dalla nostra miglior ge-nia cinematografica. Questavolta, però, siamo di fronte auna genialità egiziana: la ‘ElGharbawy Film srl’, produzionecinematografica con sede di

rappresentanza a Cattolica(RN), che in questi mesi estivista vagliando le proposte di col-laborazione con le istituzionieconomiche della riviera adria-tica. A breve, Cattolica divente-rà il set del film ‘Viaggio a me-tà’, scritto e diretto da Fathy ElGharbawy. L’emozionante sog-getto fa riflettere sui temi altidella nostra esistenza: ricordi,segnali premonitori, messaggiprovenienti da altre realtà chenon ci è permesso, in vita, di ve-dere, ma solo percepire. Algorit-mi misteriosi, che si presentano

con nomi e persone mai appar-tenute, all’apparenza, alla cer-chia delle consuete amicizie. So-no queste le tematiche, miste-riose e misteriche, che regolanoi ritmi di questo appassionantefilm in fase di realizzazione.Non ci stupiamo neanche dellaprovenienza etnica del regista,nato in quella terra di Egittoplurimillenaria e dalla culturaraffinata e affascinante. Sentia-mo l’autore del soggetto, nonchéregista del film. Al Cairo, FathyEbraim in gioventù era un pu-glie: a soli 17 anni vince il pre-

La produzione di un film può essere associata aquella di un affresco medievale, o all’assem-

blaggio di un nuovo prototipo di automobile. Sitratta di un oggetto artistico disomogeneo, fruttodel lavoro di molti artigiani, ognuno con dellecompetenze precise. C’è chi scrive la sceneggiatu-ra, chi si occupa della fotografia, chi della colonnasonora, chi della post-produzione e così via. Ilrisultato finale è un prodotto che condensa il lavo-ro di maestranze, con il regista che cerca di colle-garle tutte insieme, come un antico ‘maestro di

bottega’. Nel cinema americano, che di fatto èun’industria votata soprattutto al risultato com-merciale, il regista non è altro che una pedinaidentica alle altre, relegato a un ruolo di sempliceoperatore di macchina che lascia spazio al produt-tore, soprattutto nei casi in cui quest’ultimo sidimostri particolarmente invasivo. Nel cinemaindipendente, invece, tutto ciò non avviene: quasisempre, il regista è anche sceneggiatore, direttoredella fotografia, produttore, tuttofare cinemato-grafico. Dentro a questo gruppo di artigiani del

cinema La ‘settima arte’sembra incontrare il medesimo del teatro: grandi pr>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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Negli Stati Uniti, il cinema è un’industria in cui il regista è solouna ‘pedina’ relegata a un ruolo di semplice operatore di mac-china che lascia spazio alla produzione, mentre qui da noi, perfortuna, un film nasce sempre da un ‘plusvalore’ spirituale diamore e sacrificio

Il maestrodi bottega

Il 1° luglio scorso, si è chiusa la X edizio-ne del 'Nops Festival', dedicato alle real-tà teatrali emergenti, organizzato daNogu Teatro e ospitato presso i teatri TorBella Monaca ed Ex Mercato di TorreSpaccata: due luoghi che si preoccupanodi rendere viva la periferia senza fallirenel loro intento. Le numerose compa-gnie di questa edizione hanno dimostra-to quanto il panorama giovanile non siaassolutamente da sottovalutare, propo-nendo spettacoli di buona qualità, ricchidi interessanti spunti stilistici. Per la se-zione 'Compagnie', dedicata alle produ-zioni già concluse, si è aggiudicato il pre-mio come 'Miglior spettacolo', con acces-so diretto in stagione al Teatro Tor BellaMonaca, l'attore Luca Avagliano con'Niente panico', monologo che ha ottenu-to anche una menzione speciale della re-dazione di Laici.it ed è stato invitato dalTeatrosophia di Roma (via della Vetrinan. 7, traversa di via dei Coronari) a pre-sentare lo spettacolo nella stagioneprossima. Per la sezione 'Anteprime', ilpremio è andato alla compagnia 'Dietrola Maschera' con 'Effetto Werther', per laregia di Gianluca Ariemma, con una resi-denza artistica che gli possa permetteredi concludere il lavoro. Il premio dei pub-blico è andato, invece, ad AlessandroBlasioli per 'Questa è casa mia', un testodi teatro civile dedicato alle difficili con-

dizioni della città de L'Aquila dopo il de-vastante terremoto del 2009. Numero-sissime le menzioni speciali della criticae degli operatori: la rivista 'Periodico ita-liano magazine' ha assegnato il propriopremio speciale della critica a Gloria Gia-copini, per 'Sogliole a piacere', uno spet-tacolo selezionato anche dal Teatro Tra-stevere e dal Teatro Argot Studio per l'in-serimento in stagione. Il Teatrosophia,invece, ha conferito al duo Giacopini-To-masulo la prima residenza artistica dal-la recentissima apertura. Il Teatro Kopò,per parte sua, ha consegnato una men-zione speciale, selezionando lo spettaco-lo: 'Questa è casa mia', di Alessandro Bla-sioli. Il Teatrocittà, diretto da PatriziaSchiavo, ha poi stupito tutti con la pro-posta d'inserimento in stagione di tuttele produzioni già concluse che abbiamovisto durante il festival, per dare un se-guito alla manifestazione e sostenere legiovani compagnie, dando loro la possi-bilità di continuare a far maturare il pro-prio spettacolo in scena. Rivedremo dun-que nella prossima stagione di questospazio, che si è preoccupato di riqualifi-care un edificio abbandonato a sé stesso,i già citati 'Sogliole a piacere', 'Niente pa-nico', 'Questa è casa mia', ma anche 'Yu-konstyle', della compagnia BiTquartett,'A little party never killed nobody' deiParlengo Fellas ed 'Era meglio se facevo

l'attore', di Andrea Onori. Anche le com-pagnie che hanno presentato un primostudio di progetti in cantiere sono statenotate. Il 'Teatro del Mantice' ha ricevu-to la menzione speciale dell'AssociazioneCasaLorca di Vicenza, che ha messo a di-sposizione una residenza artistica perportare avanti il progetto. Fabio Pisano,per la sezione 'Autori' è risultato, invece,segnalato da Pietro Dattola di 'Script-Doctor & PlayDoctor', che lo accompa-gnerà con delle sessioni di Tutoring eMentoring gratuite. Tutti i testi verran-no inoltre valutati da 'Perlascena' per lapubblicazione del prossimo numero. Nonci resta altro che continuare a seguirequesti giovani talenti e portare avanti lacooperazione che ha accompagnato que-sta edizione, con l'obiettivo di ampliaregli orizzonti sempre più. Si ringrazianoper la collaborazione: Periodico ItalianoMagazine; Persinsala; Cultur Social Art;La nouvelle vague magazine; Post-it Ro-ma; Brainstorming culturale; Quartapa-rete Roma; Laici.it; Stefano Cangiano;Media & Sipario; Filippo D'Alessio; TeatroTrastevere; Teatro Kopò; Teatro StudioUno; Teatrosophia; Pietro Dattola; Spa-zio Casa Lorca; Teatrocittà; Teatro ArgotStudio; Scriptdoctor & Playdoctor; Perla-scena; Brizzi Comunicazione; Dramma.it;Teatro Tor Bella Monaca; l'Ex Mercato diTorre Spaccata.

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Due settimane trascorse tra il Teatro Tor Bella Monaca e l’ExMercato di Torrespaccata, all’insegna dei nuovi talenti che sistanno affacciando sul nostro panorama teatrale nazionale:finalmente un ‘contest’ bene organizzato, con spettacoli sele-zionati ‘a monte’ con serietà e professionalità

Effetto NOPS

Nuove opportunitàper la scena

cinema “I giovani hanno molto da insegnarci”>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>>

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mio ‘Campione dei pesi leggeri’.A Milano, viene allenato da Ot-tavio Tazzi, allenatore del cam-pione del mondo dei pesi medijunior Rocky Mattioli. La suaprestanza fisica non passa inos-servata. Così, diviene attore dipunta nei fotoromanzi della ri-vista ‘Grand Hotel’, allora diret-ta da Giuseppe Nava e, oggi, daOrio Buffo. Fathy El Gharbawydiviene l’attore di maestri inter-nazionali del cinema: da Antho-ny Minghella, vincitore del-l'Oscar nel 1997 per ‘Il pazienteinglese’ a Leandro Castellani;da Carlo Vanzina a Nik Rondo-lino; da Michele Soavi a tantialtri. Non dimentichiamo cheFathy è anche testimonial invari spot di marchi famosi diprodotti di uso comune. Sentia-mo dunque, l’autore del sogget-to, nonché regista del film.

Fathy El Gharbawy, comeè nata l’idea di ‘Viaggio ametà’?”Nasce dall’esigenza attualedella nostra società di mettereal centro della propria vita Dio,come punto di riferimento. Sisono persi i valori. La Chiesa,come istituzione, è in sofferen-za, specialmente in questo annodella Misericordia Divina, come

spesso ci rammenta papa Fran-cesco”.

Quanto di autobiografico c’ènel suo film? “Ho messo da parte l’Io: l’ego-centrismo, di norma non abitain me”.

I suoi rapporti con la socie-tà giovanile attuale e le dif-ficoltà di comunicazione ge-nerazionale? “Buona: i giovani, oggi, hannomolto da insegnarci, nonostantestiano sempre con l’iPhone inmano”.

Nel tragico periodo econo-mico che sta attraversandol’Italia, dove il cambiamentototale al Governo sembraaver accresciuto le difficoltàper la realizzazione di opereculturali come per esempioun film e in cui la stragran-de quantità delle maestran-ze cinematografiche decidedi operare fuori dall’Italia,quale è la spinta emotivache la trattiene nei confinidel nostro territorio? “No commet: è ancora troppopresto per formulare una rispo-sta. Comunque, è un’ottima do-manda, che condivido”.

Società in linea con i detta-mi governativi e società ma-fiosa: quale è il suo punto divista? ”Dai tempi del banditoGiuliano, nulla è cambiato. Maattraverso la cinematografiapossiamo dare diversi punti divista. Ammiro il coraggio di Ro-berto Saviano ma, spesso, condi-vido anche le critiche alla magi-stratura”.

Ci può anticipare un paio dinomi di attori che interpre-teranno i ruoli da protago-nisti nel suo film ‘Viaggio ametà’ dandoci una giustifi-cazione per la loro scelta,oppure è ancora top secretil cast? “Direi che queste sono ancorainformazioni ‘top secret’, ma abreve, in conferenza stampa, cisarà la presentazione ufficialedel film con tutto il cast comple-to, anche delle maestranze e de-gli sponsor ufficiali, che hannopermesso questo risveglio dellacoscienza”.

È più difficile realizzareopere d’ingegno in Italia oall’estero?“La cultura italiana, nono-stante le difficoltà, è unica almondo”.

GIUSEPPE LORIN

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Gloria Giacopini:“Volevo essere una sogliola”

‘Sogliole a piacere’ è uno spettacolo divertente e particolare,che si è aggiudicato il premio speciale della critica ‘Periodicoitaliano magazine’ grazie al talento di un’attrice comico-bril-lante con un grande futuro davanti a sé

Un altro aspetto che hai affrontato è lasolitudine: qual è oggi il tuo pensiero inmerito a questo? “Chiaramente, parlo anche di cose che, tuttosommato, ho vissuto io, come chiunque. L’inputdella vicenda, che non è propriamente una sto-ria, ma è più uno stato del racconto, è un amorenaufragato. Quindi, c’è quel momento in cui unonon ha voglia di fare niente: l’ho portata per lelunghe, raccontandolo qua. Tutto sommato laquestione è quella di come si affrontano le cose,in particolare la paura. Si può, anche per un atti-mo, sorridere e staccarsi”.

La figura dell’analista? “Io penso che la terapia sia importante e che cisono dei professionisti straordinari. Quello chefaccio io, invece, è abbastanza paradossale:una persona che non ascolta, che non aiuta.Però, la terapia è una cosa importante: io hosmesso, quindi si vede perché il frutto è que-sto spettacolo”.

Che cos’è, per te, la poesia? “È un qualcosa che io, per tanto tempo, hotemuto e, quindi, la prendevo in giro, oppuregiocavo con la poesia, perché è un qualcosache non padroneggio, che mi fa sentire a disa-gio. Adesso non lo so, ma c’è qualcosa che mipiace: è una parte fondamentale della miaattività. Mettere in versi, concentrare in pocheparole uno stato d’animo è importante”.

Come definiresti il tuo spettacolo?“Disperatamente comico: va bene”?

Cosa ti aspetti da questo festival?“In realtà, mi aspetto quello che è accadutoquesta sera: di fare il mio spettacolo per dellepersone che non l’avevano visto. Avere l’op-portunità di farlo. lavorando in varie produzio-ni. Questo è una piccola cosa mia, che facciofatica a promuovere, poiché non sono undistributore. Quindi, quando riesco a farlosono contento”.

MICHELA ZANARELLA

NIENTE PANICO - Vaneggiamenti di unpatafisico involontariodi e con Luca Avaglianoscena a cura di Eva Sgròelaborazione audio Tommaso Andreiniproduzione Giorgio Regali & Kanterstrasse

Gloria Giacopini è una modenese ‘segaligna’,acutissima, quasi iperattiva. Sin dall’infanzia,queste sue peculiarità l’hanno condotta a fareogni cosa con un ‘piglio’ energico, quasi da‘maschiaccia’. Ma dentro di sé, Gloria è un ‘fio-rellino’, che oltre a impegnarsi nel cercare diaiutare negli studi i suoi compagni di liceo, siritrova costretta a confrontarsi con il cinismoindifferente del mondo degli adulti, dai pro-fessori alla famiglia. Proprio le sue particola-rissime caratteristiche inducono i più a crearledel ‘recinti di contenimento’: la madre è con-vinta che la sua iscrizione al liceo più duro esevero di Modena si rivelerà un disastro; alcontrario, le professoresse che incontra sonouna vera e propria ‘galleria’ di ‘rintronate’, chealla fine la identificano come un fenomeno aparte e non se ne occupano più: per loro,Gloria è solamente un problema didattico inmeno. La Giacopini si sente come una ‘soglio-la’, che si appiattisce per mimetizzarsi nellasabbia e nascondersi rispetto agli ‘schemati-smi’ altrui: ecco il vero perché di questa sua‘fissa psicologica’. In realtà, per dirla con

Rousseau, “una società può essere guidatadall’alto, oppure sostenuta dal basso”. E Gloriaappartiene senz’altro alla seconda tipologia dipersone, per la sua grande generosità e il suogran cuore. Ha paura di se stessa? Oppure, sinasconde dietro alla sua vivissima intelligen-za, che tende a lasciarla fuori dalla cerchia dei‘normali’? La ragazza è indubbiamente parti-colare. E ciò vale anche per questa sua perfo-mances alla X edizione del Nops Festival: viva-ce, arguta, con una personalità spiccata. Nonpotendone più di essere classificata di un’altra‘categoria’, finge di copiare un compito in clas-se, lasciandosi sorprendere con una serie dibigliettini rilegati con lo ‘scotch’. Ma anche difronte all’evidenza, le sue professoresse esclu-dono che lei possa aver copiato il compito oche, per una volta, non abbia studiato. La cri-tica sottesa nei confronti di un mondo, quellodella scuola italiana, in cui gli alunni vengonoquasi sempre ‘inquadrati’ all’interno di una‘fotografia’, dalla quale è praticamente impos-sibile riuscire a liberarsi, è assai meno banaledi quanto sembri. Ma al fondo di tutto questo,

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Luca Avagliano:“Niente panico: siamosolo diventati adulti”

Un monologo disperata-mente divertente, che alter-na riflessioni e vaneggia-menti sulle fragilità uma-ne: dall’amore alla psicana-lisi, dalla poesia alla reli-gione, con la paura di di-ventare ‘grandi’

Un testo brioso e divertente, che ha per sotto-titolo: "Vaneggiamenti di un patafisico invo-lontario". Il buon Avagliano proviene dall'altascuola di formazione attoriale dell'Accademianazionale d'Arte drammatica 'Silvio D'Amico'di Roma, che gli ha permesso la conoscenzaprofessionale di Paolo Rossi, Anna Marchesini,Danio Manfredini e tanti altri professionistidella scena. Artista poliedrico, Avagliano sipresenta al pubblico in pigiama e ciabatte,nell'intento di arpeggiare un 'chitarrino' indiscordanza con il tecnico musicale. Il giovaneattore prosegue catturando l'attenzione conriflessioni 'amletiche', nel rimpianto surreale edivertente di Mirella, la sua fidanzatina e 'con-vivente' che lo ha messo alla porta per incapa-cità di relazionarsi con la quotidianità. Il sus-seguirsi di voci, riflessioni e confessioni allaricerca di come sia arrivato ad avere paura ditutto e tutti, vanno in dissolvenza con le 'inu-tili' sedute psicanalitiche condotte da undistratto analista, esclusivamente intento aposizionare le sue lauree, incorniciate nel giu-sto modo. C'è il rischio di cadere nel panicopuro, se si ragiona su chi ci gestisce. La poesia,la politica, il catechismo con la regola del "nontoccarsi" sono riflessioni in alternanza con lascienza e la saggezza popolare. Non ultima, lasupposizione di vite aliene, da discutere nelsorseggiare un thè. Ambiguità varie, percepiteda un pubblico scaltro, che hanno reso fresco e

divertente uno spettacolo alla Woody Allenche, oltra ad aver fatto incetta di premi e rico-noscimenti al Nops Festival, ha anche ricevutola prestigiosa menzione speciale di ‘Laici.it’.Ecco, dunque, il pensiero di quello che possia-mo considerare il vero vincitore della X edizio-ne del Nops Festival, Luca Avagliano.

Luca Avagliano, come ti sei formato arti-sticamente? “Ho fatto studi umanistici, ma in realtà dise-gnavo fumetti. Ho lavorato per pagarmi unascuola di fumetto, ma ho sprecato i soldi. Poi,ho ripiegato su un corso di teatro e mi sonoaccorto che, forse, era più giusto. Tutto questoa Firenze. Ho avuto la fortuna di iniziare il miopercorso con il laboratorio ‘Nove’, con BarbaraNativi. I miei primi tre anni all’interno di que-sto mondo sono stati accompagnati da lei, cheè una grande personalità. Finito questo per-corso ho provato a entrare in accademia: cisono entrato e ho fatto i miei tre anni lì. Infine,ho iniziato a fare l’attore scritturato, ma a uncerto punto c’è stato il grande incontro conPaolo Rossi. Facevo parte di uno spettacoloche si chiamava ‘Nemico di classe’, che nel1983 ha lanciato la compagnia di Teatrodell’Elfo, con Paolo Rossi, Claudio Bisio e altri.Noi abbiamo ripreso questo spettacolo e loroerano curiosi di conoscerci, in particolarePaolo Rossi di conoscere me, che facevo quel-

lo che faceva lui. A un certo punto, ci siamoabbracciati, abbiamo pianto. Io gli ho fatto ilmonologo che faceva lui e mi ha detto: “Si,però, io sono molto più basso”, perché all’inter-no del monologo ci si lamentava di questacondizione”.

Il tema dominante di ‘Niente panico’ è losmarrimento: come sei riuscito a inter-pretare tante identità? “Diciamo che sono nate mio malgrado. Questospettacolo è un percorso di scrittura scenica: ionon mi sono messo con il foglio di carta e ilcomputer a scrivere. Piccoli frammenti mi sug-gestionavano. Da lì, nascevano altre cose e,piano piano, si è costruito un quadro che mi èsembrato avesse un filo conduttore, una sualogica completamente assurda, che parlasse diun qualcosa che avesse un senso: è nato così”.

Hai fatto un percorso dall’adolescenzaalla maturità dell’individuo, è così? “In realtà, quello di cui mi lamento è il fatto che,a un certo punto, c’è la necessità di dover diven-tare adulti. Ma cosa significa diventare adulti?L’interrogativo che mi ponevo era questo. Essereadulti significa tralasciare la parte di gioco, difantasia, perché appunto serve il commerciali-sta, serve il mutuo? Onestamente, no. Si puòcoltivare il fanciullo interiore che c’è in ognunodi noi”.

portato a lavorare con una serie di registi chemi avevano vista e mi hanno poi chiamata perfare altre cose. Quindi, non ho dedicato moltotempo a cose mie. Ho anche un po’ il comples-so del ‘primo figlio’, perché ‘Sogliole’ è statoproprio un ‘parto’, per me. Quindi, non hoancora pensato ad altro...”.

Non hai ancora fatto delle scelte?“Io vorrei fare solo cose mie. Però, non hoancora avuto il tempo di pensare a cosa dovreidire adesso, perché secondo me è ancoramolto attuale questo spettacolo: non vogliofare cose giusto per avere un prodotto da ven-dere”.

Senza dubbio, ‘Sogliole a piacere’ èmolto attuale, poiché presenta ancheuno sguardo sul mondo della scuola, conla tua carrellata di professoresse una più‘squinternata’ dell’altra: c’è una vena cri-tica, in questo, oppure si è trattato diuna cosa involontaria?“Io credo, per il mio temperamento, che non sidebba mai partire da un tema. Io non vogliomai dare un messaggio: io parto dalla mia sto-ria personale, sempre. Poi, quello che incon-tro, lo sollevo, perché credo che si debba par-lare solamente di quel che si conosce davvero.Anche il tema della famiglia emerge con chia-rezza. Tuttavia, non è una cosa ovvia. Unadelle cose che mi fa molto arrabbiare è quan-do scrivono che ho avuto dei genitori che nonsi sono molto curati di me: non è così, la miastoria è specifica, non è ovvia. Molti pensanoche, essendo una figlia clandestina, allora miopadre è stato assente, mentre invece è veroesattamente l’opposto: si sono fin troppooccupati di me. Anche sulla critica alla scuola:io non lo so che cosa penso. Io posso racconta-re quello che ho vissuto nel dettaglio, poi tupensi quello che vuoi. Trovo importante che lagente pensi delle cose, quando racconto deimiei professori. Ma io mi occupo solamente dicreare lo ‘spunto’, poi il pubblico è libero dipensare quello che vuole”.

Raffaella Ugolini

SOGLIOLE A PIACEREscritto e interpretato da Gioia Giacopiniregia di Gioia Giacopii e Valeria Tomasulovideo di Valeria Tomasulo

Con ‘I, Iago’ di e con Andrei Zagorodnikov, la Xedizione del Nops non poteva cominciaremeglio. Una performance che ha saputo porta-re a sintesi la severità quasi marziale del teatrorusso, con la nostra commedia dell’arte. Nientedi sperimentale, dunque, ma tante, tantissimeidee. A cominciare da quella di rivisitare l’Otellodi William Shakespeare evidenziando, final-mente, il punto di vista di Iago. Un personaggioche, in realtà, è l’unico a osservare le cose razio-nalmente, pur nella sua ‘grandiosa malvagità’. Ildisegno di sostituire Cassio è certamente unaforzatura: un’idea ‘machiavellica’, tanto perintenderci. Ma egli è anche l’unico personaggioa muoversi con piena conoscenza antropologicadei personaggi che cerca di manovrare, o dimanipolare. I comportamenti di tutti gli altripersonaggi sono istintivi e irrazionali, a comin-ciare dal ‘Moro di Venezia’. Invece, Iago è un regi-sta: è l’occhio che osserva tutti quanti, cercandodi trarre vantaggio dalla propria posizione eintelligenza. E così scopriamo che, anche i 'catti-

vi', quando sono realmente tali, hanno una loroidentità: sono gli stupidi, quelli realmente peri-colosi. Iago ha un disegno, una propria visionedelle cose. Tutti gli altri sprofondano nella ‘piat-tezza’ logica più assoluta. Andrei Zagorodnikovin scena fa il ‘diavolo a 4’, proponendo tutti i per-sonaggi della tragedia ‘shakespeariana’: con unsemplice velo nero, egli si trasforma in Otello;con quello bianco, si trasforma in unaDesdemona un po' ‘gatta morta’ e così via. Unamessa in scena intelligente, arricchita da musi-che ‘heavy metal’ che hanno attualizzato lavicenda e la questione in essa sottesa. Un buonlavoro, insomma, in cui il tentativo di fondereletteratura inglese, scuola teatrale russa e com-media dell’arte italiana ci è apparso pienamen-te riuscito. A margine della rappresentazione neabbiamo parlato proprio con lui, AndreiZagorodnikov.

Andrei Zagorodnikov, può spiegarci,innanzitutto, questa sua versione di Iago,

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Andrei Zagorodnikov:“Ecco il mio Shakespeare

in salsa russa con contaminazioni italiane”

Una versione intelligente dell’Otello arricchita da musiche‘heavy metal’ che hanno attualizzato la famosa tragedia e laquestione in essa sottesa

c’è la semplice verità di una ragazzina che, inmolte situazioni, avrebbe voluto solamenteessere accettata come una persona ‘normale’,con pregi e difetti, per mescolarsi e confon-dersi in mezzo a tutti gli altri. E’ un gran biso-gno di amore, ciò che ha mosso questa figlio-la decisamente ‘particolare’. Una ragazza cheoggi è diventata una splendida attrice, condoti inconfondibili da ‘caratterista’ che segna-liamo persino con sollievo. Ecco, dunque, l’in-tervista alla vincitrice del Premio specialedella critica ‘Periodico italiano magazine’:Gloria Giacopini.

Gloria Giacopini, questo tuo spettacolo,‘Sogliole a piacere’, ce lo devi un po’ spie-gare: perché la sogliola? Perché seimagra come un ‘chiodo’? Oppure, c’è unsignificato omologativo particolare?“Volete sapere come è nato il titolo di questospettacolo? Stavo facendo ‘snorkeling’ inSpagna e ho visto questo pesce che si nascon-deva. Stavo già scrivendo lo spettacolo e sape-vo che il mio personaggio era la storia di unaragazza che ha paura a ‘spiccare’. Chiaramente,la metafora sta nel fatto che io ho paura aspiccare perché sono figlia ‘cladestina’: eraquesta la mia condizione di nascita. Ma quan-do ho visto questo pesce, che non sapevofosse una sogliola, sono corsa fuori dall’acquae ho chiesto: “Ma cos’è sto pesce, che gira sdra-iato nella sabbia, che si nasconde”? Poi holetto su Wikipedia tutta la spiegazione sullasogliola e c’era scritto che lei si sdraia pernascondersi. Quindi, ho pensato che era lametafora perfetta per spiegare la mia condi-zione di clandestinità, perché per me, quelladi nascondermi, è sempre stata una condizio-ne naturale”.

Quindi, c’è più un significato di tipo psi-cologico?“Assolutamente sì. Poi, in seguito ci stavaanche in tutte le sue declinazioni più simpati-che, cioè che non sa di niente, che finisce conl’essere una ‘cosa’ neutra. Me lo chiedevoanche mentre scrivevo lo spettacolo: “Ma per-

ché io arrivo sempre a un passo dal successo epoi scappo”? Perché non posso: non potreinemmeno dire il mio cognome...”.

Noi abbiamo notato che hai portato inscena una certa presenza, una certa sicu-rezza, una certa ‘scuola’: ci parli un po’ dite? Sei della provincia di Modena, mache scuole hai fatto e come ti sei specia-lizzata?“La mia vicenda è travagliata, travagliatissi-ma. Io ho iniziato facendo le imitazioni deimiei professori di liceo, quelle che presentoall’inizio del mio spettacolo. Però, ero una ‘sec-chiona’ e, quando ho finito il liceo, le mie pro-fessoresse mi hanno detto: “Adesso, fai teatro”.Io, proveniente dalla provincia di Modena, hopensato: “Ma non esiste: il teatro è un hobby”.Quindi, mi sono messa a studiare filosofia e holavorato con mia madre. Dopodiché, nel girodi un paio d’anni, mi hanno chiamato a fareuno spettacolo amatoriale e lì sono impazzita:volevo fare i provini in accademia, ma nonsapevo neanche di cosa si trattasse, in realtà.Vado a fare i provini a 21 anni: non mi prendo-no da nessuna parte, ma mi trasferisco lo stes-so a Roma e comincio a fare provini ovunque.Faccio le classiche scuole private che si fanno,fino a quando arrivo al ‘Cantiere teatrale’ diPaola Tiziana Cruciani. Lavoro un po’ con loro,ma poi ho capito che avevo l’indole a coman-dare. Quindi, ho cercato di entrare a ‘Regia’alla ‘Paolo Grassi’, anche perché avevo il com-plesso di non aver frequentato la ‘grande acca-demia’. Quindi, a 26 anni entro alla ‘PaoloGrassi’ di Milano, anche se poi ho fatto il corso‘Attori’, perché, piano piano, abbiamo capitoche era meglio se stavo di là...”.

Infatti, hai evidenziato delle qualità da‘caratterista’, da ottima ‘caratterista’: ècosì?“Sì, perché dopo la ‘Paolo Grassi’ ho scopertoanche gli studi classici, che a me piaccionomolto: poche settimane fa ho persino presen-tato una lettura sugli ‘Inni sacri’ di Manzoni alDuomo di Milano. Sono abbastanza ‘onnivora’di teatro. Tuttavia, quando ho scritto ‘Sogliole’ed ero appena uscita dall’accademia, ho pen-sato: “Fermi tutti: perché faccio teatro”? Iovoglio fare le cose per come mi piacevanoquand’ero piccola. Quindi, ho voluto scrivere ilmio spettacolo, anche se era imperfetto: lo

volevo fare addirittura in ‘modenese’, perché ame la dizione fa tristezza. Non ho pensato allemie qualità attoriali: ho pensato alle storie chevolevo raccontare nel modo in cui, queste storie,le avevo sempre raccontate a tavola con gliamici e tutti erano contenti. Quindi, ho cercatodi recuperare un rapporto che ho io col teatro”.

Anche come ragazza, sembri rappresen-tare una tipologia particolare, forse unpo’‘maschiaccia’, forse un ‘fascio di nervi’,forse un po’ energica, quasi ‘iperattiva’:è cosi? Come sei nella vita privata?“No, sono così solo sul palco: nella vita sonotimidissima”.

Addirittura? Quasi ‘chiusa’?“Assolutamente impedita: io non riesco adandare ai provini, me la faccio proprio ‘sotto’.Solo negli spettacoli ce la faccio: nelle relazio-ni sono una ‘frana’...”.

Come ti sei trovata qui al Nops?“A parte che non mi spegnevano le luci di salaall’inizio, benissimo. No, benissimo: è statobello. Per tutto il giorno, mi hanno intervista-to i ragazzi secondo il nostro stile, tra l’altro,perché come si è visto nel mio spettacolo,anche noi amiamo molto fare dei ‘video’, inqualsiasi posto andiamo, intervistando le per-sone. Quindi, qui abbiamo trovato la stessadinamica”.

Progetti per il futuro?“Questo spettacolo mi ha portato un sacco dilavori: provini non me li porta, perché vado làe m’impanico. Invece, questo spettacolo mi ha

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Anche sperimentazione?“No, non proprio sperimentazione: ho inseritodegli elementi d’improvvisazione sulla struttu-ra. In ogni caso, tutto questo mio lavorare con ilcorpo è ispirato invece, alla commedia dell’arte,che secondo me rimane una scuola enorme, chedà tante possibilità diverse di esprimersi,soprattutto se riusciamo a tradurlo in un lin-guaggio moderno”.

Quindi, i suoi sono tentativi di trasposizio-ne per portare la commedia dell’arteverso un linguaggio più attuale?“Sì, assolutamente, Io sono sicuro che la com-media dell’arte, oggi, potrebbe dare nuove einfinite possibilità al teatro. Manca solamenteun ‘occhio’più pulito, più attento a far incrociarele diverse culture nazionali, cercando di produr-re una cultura europea, perché adesso c’èl’Europa unita e le varie culture possono fnal-mente incrociarsi e contaminarsi tra loro.Nell’epoca di internet, dobbiamo capire chequesta innovazione è per tutti, che non è unacosa americana”.

La commedia dell’arte dovrebbe cioédiventare un linguaggio globale?“Sì, perché no? Io non sono una persona chedice che le cose vanno fatte così e non in un altromodo: tutte le strade sono possibili. E ciòpotrebbe rendere la commedia dell’arte unacosa viva, in sangue e in carne. Una cosa moder-na, attualizzata dalle innovazioni che abbiamoadesso, per tornare a essere ‘ricapita’, riabilitata,attualizzata in una chiave moderna”.

Secondo lei, noi italiani siamo pronti acapire il teatro recitato in lingua originale,o attraverso nuovi linguaggi?“Non credo si tratti di una cosa per cui si puòessere pronti o meno: quando uno è pronto,capisce. Quando un popolo non è pronto, non faattenzione a certe cose. Dunque, la veradomanda non è quella di essere pronti o meno:quando c’è bisogno, una determinata esigenzala si capisce eccome. Sono certo di questo.Perché, a volte, manca solamente un piccoloelemento per comprendere un qualcosa d’im-provviso che sta accadendo nella nostra vita”.

ANNALISA CIVITELLI

I, Iagodi e con Andrei Zagorodnikov

Spettacolo tragicomico, inquadrabile nellacategoria del teatro civile, presentato il 21giugno appena trascorso presso il Teatrocomunale di Tor Bella Monaca. L’evento si èinserito nel più ampio cartellone del NopsFestival (Nuove opportunità per la scena),giunto alla sua decima edizione. La manife-stazione è stata ideata da Nogu Teatro e si ètenuta dal 17 giugno scorso sino al 1° luglio2018, tra l’ex Mercato di Torre Spaccata e ilTeatro di Tor Bella Monaca. Lo spettacolo inquestione è scritto, diretto e interpretato dal-l’attore teatino Alessandro Blasioli, con lasupervisione artistica di Giancarlo Fares.Siamo all’indomani del terribile terremotoche, nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009, hacolpito L’Aquila. Più di 60 mila personehanno perso la casa. La catastrofe naturale

diviene un punto di rottura, che segnerà persempre l’esistenza della popolazione aquila-na e abruzzese. Un dramma che, nonostantegli aiuti e la solidarietà, è stato scarsamentecompreso dalle istituzioni. La città vienesubito blindata. Per gli abitanti, ciò implica laperdita, chissà per quanto, di qualsiasi con-tatto diretto col paesaggio urbano della lorovita. La casa è il luogo dell’anima. E la suainaccessibilità determina la perdita di ogniriferimento, il senso più puro del vivere. Ed èproprio su tale aspetto, quello dello ‘sradica-mento’, che lo spettacolo si concentra: il latoumano della vicenda, indagato con toni leg-geri e drammatici allo stesso tempo. Si enfa-tizza il senso d’impotenza di fronte alla tra-gedia e la difficoltà nel ritornare alle norma-li attività. Protagonisti dell’intenso monolo-

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Alessandro Blasioli:“Una legge antisisma

per non ripetere gli errori del passato”

Un affresco efficace e coinvolgente della città di L’Aquila do-po il terremoto del 2009, che l’ha trasformata in un lugubresepolcro a cielo aperto, carico di ricordi smarriti

il personaggio ‘shakespeariano’?“Se vogliamo dirlo in due parole, Iago vive comeuna persona molto attiva, che organizza sempretutte le cose che stanno accadendo nella realtà.In generale, direi che la Storia, in genere, è fattada questo genere di persone: quelle che sem-brano vivere ‘di riflesso’ quello che accade, mafanno. Forse sbagliano, forse non sbagliano, mafanno e vanno avanti. Quando parliamo di Iago,innanzitutto stiamo parlando di una personatanto sola, di una persona timida che cerca diessere accettato dal mondo, di un individuo che,in fondo, ha bisogno di amore”.

La follìa che lei ha espresso sulla scenacosa intendeva comunicare?“Non lo so: a voi cosa ho comunicato? Questa èpiù una domanda per il pubblico. Anche perché,ciò che il pubblico ha ricevuto da questo spetta-colo è più importante persino di quello che ioritengo di dover comunicare in prima persona. Ilpunto centrale di questo mio lavoro è chiara-mente quello di parlare di me. E se io sonoabbastanza sincero con me stesso, forse il pub-blico rifletterà un poco anche su di sé. E si ricor-derà di me, che ho cercato di stimolarlo”.

Ma Iago cosa fa per cercare di non esserepiù solo?“Lui cerca di stare al centro della storia, dellavicenda. Vuol essere la persona che ‘arrangia’ lavita di tutti. E crede che questa cosa farà di luiuna persona amata da chi gli sta intorno. Lui haun grande talento: intorno a lui, ci sono personeche non dicono di voler fare delle cose, ma lui saperfettamente che certe cose le faranno. Se leg-giamo bene la piéce di Shakespeare, lui dichiarasempre quello che intende fare nelle scene onegli atti successivi. E, in effetti, ci accorgiamoche le cose procedono esattamente come lui leaveva previste. È bravissimo, in questo”.

È come un burattinaio, che tira i fili di tuttigli altri personaggi della storia?“Sì, io direi addirittura che lui è il vero registadella storia e di tutto quello che accade sulpalco”.

Nello spettacolo, lei ha inserito alcuni ele-menti per interpretare e dare voce ancheagli altri personaggi, ma siamo rimastimolto colpiti dai disegni alla lavagna e, inparticolare, dall’occhio: cosa significa?“Che bisogna tener sempre gli occhi aperti,anche su se stessi. Che non dobbiamo pensarein eccesso a tutto quel che si fa, perché tuttiquanti noi, persone normali, abbiamo la ten-denza a pensare di aver ragione e tutti gli altri,invece, no. Quindi, l’occhio significa che bisognasapersi guardare allo specchio, ogni tanto”.

Dobbiamo imparare a guardarci dentro ea osservare meglio chi ci sta intorno?“Sì, mettiamola così. Anche nella mia vita per-sonale, sempre più spesso, quando faccio qual-cosa, mi ritrovo a pensare di aver ragione in unadata situazione poco chiara. Ma poi vedo che daaltri, quella stessa situazione viene trattata inun altro modo. E tu sembri una persona cattiva,che ha pensato male. Per alcuni, magari, no, maper altri, sì. Quindi, tutto torna verso questafrase: tenere gli occhi aperti ed essere più consa-pevoli e attenti a se stessi. Ogni cosa che faccia-mo non è né buona, né cattiva di per sé: puòessere giusta per qualcuno, o per un gruppo, manon per tutti”.

Nel suo spettacolo, una frase emblemati-ca e significativa è: “I am not what I am”:con questo si vuol intendere che nessuno ècome appare?“Sì, più o meno. Io direi che, per qualcuno, oanche per me stesso, può essere chiaro che iosono fatto in un certo modo. Tuttavia, non puoineanche affermare, di te stesso, che sei fattoesattamente in quel modo lì, perché non si samai se puoi comportarti in un modo diverso.Non possiamo dividere tutto il mondo in biancoo nero: in genere, possiamo dire che siamo tutti‘bianchi’ dentro di noi, ma questa divisione cosìnetta, nel mondo, non c’è”.

Intende dire che ognuno di noi ha un pro-prio ‘colore’ e che tutti quanti, alla fine,abbiamo caratteristiche individuali, sog-gettive?“Sì. Anzi, ognuno di noi può avere tutte le carat-teristiche, ma le situazioni, a volte, fanno uscirequella che non ti aspetti. Ecco perché è sbaglia-to pensare di essere fatti in un modo preciso.Ognuno di noi sta cercando se stesso, affrontan-

do le situazioni che incontra nella vita. Bisognaprovare a fare qualcosa e poi cercare di ripensa-re a quello che si è fatto, senza chiudersi nel pro-prio mondo”-

Gli elementi d’improvvisazione teatraleda lei inseriti si richiamano a questo? Aicambiamenti che avvengono nella vita?“Io non sono una di quelle persone che dice cheil teatro, com’era invece nell’Unione sovietica,abbia una funzione educativa per la gente. Iocredo che il motivo per cui è importante che lagente vada a teatro, sia quello di ‘sentire’ il tea-tro, per apprendere un qualcosa che non si puòapprendere nella vita reale. La gente normale èpiuttosto ‘grigia’: costruisce la propria esistenzain base a gesti che siamo costretti a ripetereogni giorno. Ma in questa monotonia non si puòcapire che cos’è veramente la vita, o cosapotrebbe essere. Il teatro è quel luogo in cuil’emozione e il pensiero possono anche essere‘gonfiati’, o esagerati. Ma proprio grazie a que-sto, a teatro possiamo vivere più intensamente,rispetto alla nostra vita quotidiana”.

Noi abbiamo notato anche una certa ener-gia fisica nel suo teatro: da cosa deriva? C’èmolta differenza tra il teatro italiano equello inglese?“Sicuramente, quello che faccio io non è teatroinglese, perché io sono russo, sono cresciuto aPietroburgo. Posso dire, invece, che la cosa cheavete notato stasera, in realtà, unisce tra loroalcuni aspetti culturali: quelli del teatro russo equelli della commedia dell’arte italiana. Nellamia formazione professionale, infatti, la com-media dell’arte è stata importantissima. Laprima volta che giunsi in Italia venni proprio perfare un ‘workshop’ di Michele Monetta: un bra-vissimo insegnante di commedia dell’arte. E,infatti, oggi il mio stile è proprio l’unione tra lascuola russa, basata sull’introspezione psicolo-gica del personaggio, comprendendone tutti isentieri psichici che egli affronta, tutte le moti-vazioni che lo muovono in scena, con la comme-dia dell’arte. L’impostazione del teatro russopuò essere cambiata, secondo me. Anche per-ché, quanto avete visto stasera è derivato anchedal fatto che era più di un anno che non facevoquesto spettacolo: non avendo avuto tempo diprovarlo, c’era indubbiamente tanta improvvi-sazione”.

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civile’. Una formula nella quale mi sono trovatobene, ci ‘sguazzo’ bene e mi piace. Credo che ilteatro sia proprio questo: parlare di tematicheimportanti e non solo di frivolezze, non solodivertissement”.

Esiste, secondo te, una cultura delsenso civico in Italia, oppure un certoindividualismo egoistico, qui da noi,alla fine trionfa sempre?“Io vedo una perdita di valori sempre più pro-gressiva. A me personalmente non piace lasituazione complessiva che si è venuta acreare in questo momento, in Italia. Non mipiace che chiudiamo i porti, perché da queglistessi porti tanti cittadini abruzzesi e tantiaquilani sono partiti per andare in America,dove spesso hanno trovato altre ‘barriere’. Midispiace, inoltre, vedere che siamo semprepiù ‘attaccati’ alla televisione, oppure sempreal telefono a guardarci l’ombelico e con tal-mente tante informazioni che ormai si con-fondono tra loro. Viva la tecnologia, se servea informare maggiormente i cittadini. Maquesto tipo di tecnologia, ci sta portando adavere il mondo in un palmo di mano, ma è unmondo che noi non guardiamo, bensì lo ‘scor-

riamo’ con un dito. Ed è per questo che, allafine, emerge questa nostra superficialità: sista perdendo il valore reale delle cose”.

A un certo punto, anche tu, nel corsodello spettacolo, tradisci qualche emo-zione, come se avessi vissuto lo ‘sradica-mento’ avvenuto dopo il terremoto del2009: cosa vuol dire ritrovarsi, da ungiorno all’altro, senza una casa, senzapiù le proprie cose, senza la consuetaquotidianità, insomma con il mondoche ti è crollato addosso?“È una bella domanda. E io non so se sono ingrado di rispondere. Penso che non sianecessario descrivere come ti puoi sentire. Lospettacolo è tratto da vicende vere, reali. Ed èpartito tutto dallo “scoramento negli occhidell’amico”, tanto per utilizzare le stesseparole del monologo. Nell’estate del 2009 eroa Silvi Marina, per le consuete vacanze estivein compagnia di questo amico d’infanziaaquilano. Ancora oggi, mi viene da piangeresolo a pensarci: questo ragazzo di 16 anni,nel giro di 32 secondi non ha avuto più alcu-na certezza, non ha più avuto parenti, non hapiù avuto degli amici, non ha avuto più la

scuola, non ha avuto più il punto di ritrovoper fumare una sigaretta con gli amici: nonha avuto più niente. Si volta verso i genitori equesti erano messi addirittura peggio di lui:senza un lavoro, senza un futuro, senza unacasa. Io non lo so come ci si sente, in unasituazione del genere. Tuttavia, ho il ricordodi questo amico che guardava il vuoto, dive-nuto improvvisamente assente, senza piùavere un punto su cui concentrarsi per foca-lizzare qualcosa. E’ stata un’estate molto‘pesante’, molto difficile da vivere. Questoragazzo, oggi, si è ripreso, per fortuna. Oggi,Antonio è normale, ma io credo che la feritaci sia sempre: lui adesso vive in un’altra città.E’ sempre aquilano, però, in realtà, oggi nonlo è più, perché L’Aquila non c’è più. Questoterremoto del 2009, rispetto a tutti gli altriterremoti che esistono, è stato in grado, tra-mite la ‘malagestione’, di spazzare via unacittà che, storicamente, era sempre rimastanello stesso punto, anche quando crollava suse stessa. Nel 1703, L’Aquila aveva già vissu-to un terremoto, totalmente distruttivo. Ma isignori della città decisero di chiudere tuttele porte, annunciando: “Cari cittadini, da quiricominciamo: ricostruiamo tutto dallenostre ceneri e dalle nostre macerie”.L’Aquila, pertanto, aveva questo suo aspetto‘settecentesco’ proprio perché, dopo il 1703,era stata totalmente ricostruita da zero, dopoessersi ritrovata rasa al suolo. Noi, invece, nel2009 siamo stati capaci di dire: “No, non rico-struiamo la Storia e la città con il suo centrostorico, bensì creiamo 19 ‘L’Aquila 2’, ‘L’Aquila3’, ‘L’Aquila 4’ e così via”. Agglomerati chesono, di fatto, dei ‘quartieri dormitorio’ comeil Tuscolano, dove abito io, o ‘satelliti’ a séstanti come Tor Bella Monaca, dove, per una‘malavisione futurista’ della città, non sonostate fatte piazze, non ci sono servizi, né luo-ghi di aggregazione: servono solo per andarea dormire alla sera, dopo una dura giornatadi lavoro. Queste 19 ‘New town’ hanno defini-tivamente ucciso una città”.

Controllando i dati storici, la zonasismica più colpita, in passato, è stataspesso quella di Avezzano: come mai,secondo te, la ‘placca’ tettonica questavolta si è andata a staccare lì, nellazona dell’Aquila?“Anche qui, facciamo scienza senza alcuna

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go sono due amici, Marco e Paolo. Il primo èdi Chieti e vive di riflesso quanto accadutoalla famiglia di Paolo, i Solfanelli. Una fami-glia che si ritrova costretta ad affrontaretutta la trafila di aiuti e di assistenza 'postterremoto'. Ogni cosa, però, non fa altro chericordare loro l’assenza e il senso della perdi-ta. Con intelligente ironia viene raccontata la‘cattività’ scontata presso un hotel di SilviMarina, dove le famiglie dei terremotatihanno vissuto quasi come dei reclusi.L’atmosfera vacanziera stride nettamentecon il dramma che stanno vivendo. Passando,in seguito, per la tendopoli di Piazza d’Armi, iSolfanelli approdano alle case temporanee e,quindi, all’abitazione nella ‘New town’: un‘non luogo’ desolato, senza servizio alcuno. Ildesiderio di tornare in città spinge Paolo acompiere incursioni notturne nella città mili-tarizzata, per toccare e rivedere con i propriocchi la casa di famiglia. Altro aspetto rile-vante dello spettacolo riguarda la precisaricostruzione delle vicende legate allo scan-dalo del business della ricostruzione. Vi èquindi la denuncia contro la camorra, colpe-vole di aver costruito, negli anni ’70 del seco-lo scorso, case ed edifici con materiali sca-denti, che non hanno retto alla potenza delmovimento tettonico. Alessandro Blasioliporta in scena un’energica performance, dalritmo vorticoso. Si muove agilmente nell’in-terpretazione dei tanti personaggi benaccompagnato dal supporto musicale, cheenfatizza i momenti drammatici e tragicomi-ci. Si fa un grande uso di espressioni dialetta-li, che inquadrano il carattere ‘strapaesista’del popolo abruzzese, creando empatia. Siride molto, ma è un sorriso amaro. I canti tra-dizionali abruzzesi fanno da sfondo allavicenda e diventano il peso di una storia bru-scamente interrotta dal terremoto. Pochi ele-menti di luce, sapientemente orchestrati,determinano la varie ambientazioni, rese inmodo minimale. Estremamente efficace èl’affresco che si fa della città de L’Aquila suc-cessivamente al cataclisma: un lugubresepolcro a cielo aperto, carico di ricordi smar-

riti. Ecco dunque il resoconto della nostrachiacchierata con questo monologhista tea-tino, Alessandro Blasioli.

Alessandro Blasioli, tu hai portato alNops Festival lo spettacolo ‘Questa ècasa mia’, un monologo sul genere ‘tea-tro civile’ che si occupa della questionedi L’Aquila dopo il terremoto del 2009:perchè è importante parlare ancora diquel sisma, a distanza di 9 anni?“Perché nel 2016 si sono verificati altri terre-moti. Non serve che vi racconti cosa è succes-so in Italia, in questi ultimi anni. E abbiamogli stessi problemi, se non peggiorati, riscon-trati a L’Aquila”.

Ci sono stati altri terremoti nella zonaabruzzese?“La terra continua a tremare: è la dorsaledell’Italia centrale che, da qualche anno aquesta parte, ha ripreso a tremare. Si trattadi scosse che si aggirano attorno al 3° gradodella scala Richter. Tuttavia, sono scosse chelì si continuano a sentire e che fanno capireche la terra è in continuo movimento. Quelloche dico sempre – e che ripeto anche qui – èche il vero problema non è ‘se’ ci sarà unnuovo terremoto, ma ‘quando’ si verificherà.Quindi, ricollegandomi alla domanda sulperché faccio ‘teatro civile’, L’Aquila, a 9 annidal sisma, versa ancora in cattive condizioni:la città è stata ‘smembrata’ con queste 19‘new towns’; ci sono vari problemi sia per laricostruzione, sia di gente che ‘succhia soldi’da questa ricostruzione; infine, c’è ancora lo‘sciacallaggio’...”.

Nello spettacolo, tu hai evidenziato ilsistema di corruzione che si è venuto acreare a L’Aquila nella fase ‘post terre-moto’, ma hai anche preso un poco ingiro un certo provincialismo ‘strapaese’dell’Abruzzo, le sue canzoncine popolarie il suo attaccamento alle tradizionisecolari: perché?“Senza pretendere di ‘fare Storia’, l’Abruzzoha avuto la ferrovia intorno agli anni delfascismo. Quindi, stiamo parlando di unaterra in cui la modernizzazione tecnologica èarrivata molto tardi. Per lungo tempo, inAbruzzo non c’è stata alcuna industria: erauna regione totalmente rurale. E ha vissuto a

lungo in una sorta di isolamento anche invirtù della sua particolare geografia, per lesue montagne e le sue vallate, collegate traloro solo tramite sentieri impervi, i qualihanno separato ogni paese o località internasia tra loro, sia rispetto al resto del mondo.Ciò ha fatto sì che le tradizioni, in Abruzzo,fossero molto forti: un po’ come per l’isola-zionismo della Sardegna, per intenderci.Tradizioni molto presenti anche oggi: ancoraoggi si ‘smuovono’ masse per le feste delsanto protettore o per le ritualità liturgiche. Eovunque si sente ‘Radio Ciao’, che ‘passa’ dicontinuo tutti gli ‘evergreen’ abruzzesi.Dunque, mi è sembrato doveroso inserire unomaggio a ‘Radio Ciao’ come piccola ‘nota’d’ironia, per stemperare, almeno un poco, lasituazione che questo spettacolo denuncia odescrive”.

Il teatro funziona per veicolare ‘mes-saggi’ di questo genere?“Sì. L’unico problema è che il teatro funzionadi meno, poiché le tecnologie avanzano e lagente è sempre più convinta che il teatro siauna cosa noiosa, o che il cinema possa sosti-tuirlo. Spesso, le persone che pensano questecose sono quelle che al teatro hanno datopochissime possibilità e che, magari, hannovisto solamente qualche spettacolo che nonè piaciuto. Tuttavia, io credo che la possibili-tà di guardare negli occhi una persona, diraccontargli un fatto e farla reagire per otte-nere un’emozione, ascoltare la gente deL’Aquila che mi viene a vedere e alla fine midice: “Hai detto tutto e hai detto bene”, vede-re insomma la gente con le lacrime agli occhiperché divertita, ma indignata per quello cheha ascoltato, mi fa capire che sì: il ‘teatro civi-le’ ha ancora una funzione precisa”.

Forse, il teatro dovrebbe tornare versola cultura popolare e non eccedere negliintellettualismi?“Sì. Io credo che il teatro sia stato, per troppotempo, fondamentalmente autoreferenziale:chi era un personaggio o si era affermato pote-va andare avanti. Senza voler fare la storia delteatro, si è fatto per tanto tempo un teatro per i‘teatranti’ e per l’attore, mentre io lo sto risco-prendo, invece, anche se un po’ in ritardo, que-sto ‘filone’ nato negli anni ’70, che è quello deldialogo e della parola con il pubblico, del ‘teatro

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Susanna, Alessio, Francesca, Stefano,Elisabetta, Jacopo, Giacomo e Maria Luisasono 8 giovani attori diplomati alla CivicaAccademia d'Arte drammatica 'Nico Pepe' diUdine. Con questo loro lavoro, intitolato 'Alittle party never killed nobody', hanno volu-to accompagnare il pubblico in un salto tem-porale, alla riscoperta della storia dell'amo-re perfetto e dell'odio cieco, sin dai tempidella tragedia di Romeo e Giulietta. Corigospel, movenze audaci, uno spettacolomultidisciplinare e molto fisico, che pren-dendo spunto dalla tragedia ‘shakespearia-na’ è riuscito, attraverso una sensualità riti-mica e le caratterizzazioni dei personaggiriletti in chiave moderna, a far riflettere sul-l'inclinazione dell'essere umano all'odio eall'arroganza. Un amore, quello di Romeo eGiulietta, osteggiato da un opulentoCapuleti, che con atteggiamento mafiosoesprime il suo odio per la piccola Giulietta, acausa del suo amore, consumato nella velo-cità dei giorni nostri, per il giovane Romeo.Un ‘padre-padrone’ gonfio della sua boria,che al centro del proprio interesse ha sola-mente quello di mantenere in alto il buonnome della famiglia, non disdegnando tut-tavia l'adulterio con una giovane donna cosìpregna di solitudine da elemosinare ogni goc-cia di sesso, scambiandolo per amore. Con unaessenzialità disarmante, gli elementi scenici

hanno presentato perfettamente i luoghi ina-spettati in cui si muovono i personaggi sottogli occhi di Padre Lorenzo, il Don Abbondio‘shakesperiano’, che riesce a essere anche piùipocrita del curato nostrano. Un RomeoMontecchi in fuga senza fine verso l'espiazio-ne della propria colpa e una Giulietta Capuletiche si congeda dalle proprie sofferenze, solle-vando la famiglia da ulteriori patemi d'animo.La tragedia si consuma mentre tutto intornocontinua a scorrere nell’inconsapevole veloci-tà dei ritmi moderni: l'odio é ormai normalitàe nessuno ci fa più caso, tanto ne risultanoassuefatti. Lo spettacolo ha debuttato lo scor-so anno al ‘Festival Podium’ di Mosca e puòessere considerato una sana ventata di fre-schezza in un panorama artistico, quello tea-trale, che come per altre forme d'arte massifi-cate risultano ormai appiattite verso la piùbassa e inquietante mediocrità. Quando l’arteè sperimentazione, creatività ed espressività,essa diviene il mezzo più alto per arrivareall'animo umano e stimolarlo a pensare.Abbiamo dunque incontrato due elementidella compagnia: la ‘vicentina’ Maria LuisaZaltron e il bergamasco Leo Merati.Maria Luisa e Leo, come nasce il progetto

‘Parlengo Fellas’?Maria Luisa Zaltron: "Il progetto ‘ParlengoFellas’ ha una storia molto semplice: siamouna parte della nostra classe di accademia (laCivica Accademia ‘Nico Pepe’ di Udine, ndr),diplomati a novembre dello scorso anno. E,oltre al saggio di diploma, ci é stata data lapossibilità di fare questo lavoro, interamentecreato da noi collettivamente. Sia la sceltadella drammaturgia, Romeo e Giulietta, che éstata molto rivisitata, sia la regia é tutta operanostra. Quando eravamo ancora studenti, loscorso novembre, poco prima di diplomarci,abbiamo presentato lo spettacolo al ‘PodiumInternational School of Theatre Festival’ diMosca. Una volta diplomati ci siamo detti:“Ragazzi, il progetto é valido, ci abbiamo inve-stito tantissimo, ci abbiamo lavorato molto, cicrediamo”. Così, abbiamo scelto di portarloavanti. Ci siamo costituiti come compagnia,non ancora giuridicamente, ma presto pense-remo anche a quello. E stiamo cercando diportare avanti questo progetto qua. E noisiamo la classe dell'accademia, abbiamo stu-diato insieme per tre anni e, oramai, ci cono-sciamo molto bene".

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Maria Luisa Zaltron e Leo Merati:“Romeo e Giulietta sono sempre

all’avanguardia”Nell'affascinante scenariounderground del Teatro diTor Bella Monaca, l’originalee fresca piéce teatrale inter-pretata dai ragazzi del pro-getto ‘Parlengo Fellas’, cheha riscontrato un ottimosuccesso di pubblico e critica

laurea: ci tengo a dirlo. Tuttavia, da quantoho letto, studiato e appreso, le ‘faglie’ sonocome degli elastici: nel momento in cui il ter-reno si muove da una parte, l’altra, prima opoi, segue di conseguenza. Il terremoto diL’Aquila, in genere è sempre stato seguito oha preceduto un secondo evento sismico adAvezzano. Nel 2009, si diceva, infatti, che nelgiro di 10 anni si sarebbe verificata una vio-lenta scossa nel territorio di Avezzano. C’èanche da dire che, nel 2009, la paura si eraormai diffusa: c’era chi gridava al terremotoogni ‘2x3’; chi cercava di far capire che il ter-remoto non si può in alcun modo prevedere.Tuttavia, si tratta di fenomeni ‘elastici’: doveil terreno di muove da una parte, prima o poisegue anche l’altra. Quindi, senza fare i cata-strofisti, è prevista un’altra forte scossa adAvezzano, ma può anche darsi che, questavolta, essa si sia verificata ad Accumoli nel2016. Può anche darsi che, questa volta, la‘faglia’ coinvolta sia stata quella più a nord.In ogni caso, i terremoti non si possono pre-vedere: bisognerebbe fare, invece, preven-zione. E la prevenzione si fa adeguando lestrutture già esistenti. Laddove le struttureesistenti non possono essere rigenerate,bisognerebbe capire cosa fare e se, eventual-mente, abbatterle per ricostruirle ‘ex novo’.Forse sto dicendo delle ‘bestemmie’, o delle‘blasfemìe’. Però mi chiedo: perché inGiappone non ci sono mai tutti questi morti?

Poche settimane fa, il Giappone è stato inve-stito da un terremoto d’intensità 6.1 dellascala Richter e ci sono stati solo 3 morti”.

Questo perché i giapponesi sono piùorganizzati di noi?“A parte il fatto che sono più organizzati dinoi, loro sono efficienti: tutti gli edifici sonocostruiti secondo criteri antisismici seri, noncon quelli antisismici ‘nostri’. Quindi, baste-rebbero soldi, basterebbe un investimento,basterebbe pensarci e, quindi, prevenire, nonarrivare sempre due minuti dopo il catacli-sma e domandarsi: “E adesso? Cosa faccia-mo”? Noi chiudiamo sempre la ‘stalla’quandoi ‘buoi’ son già fuggiti: questo è il nostro pro-blema”.

Tu chiedi, alla fine dello spettacolo, unalegge antisisma: perché ritieni che illegislatore dovrebbe occuparsene?“Perché attraverso una norma, attraversouna regolamentazione di quelle che sono le‘manovre’ da effettuarsi nella fase ‘postsisma’, o in una sistuazione di emergenza, sieviterebbe di andare a ‘tentoni’ cercando difare l’azione ‘giusta’ che l’elettorato vuole.L’elettorato chiede e il politico di turno pro-mette, adoperandosi affinché accadano dellecose che possano anche prevedere dei‘magheggi’, delle ‘mazzette’, strumentaliz-zando la disgrazia o il bisogno. Io lo racconto,nello spettacolo: nel 2009 – e questa è storianota, di cui ci sono prove, intercettazioni e cisono stati processi – anche da parte di‘Protezione civile Spa’, ogni volta che si entra-va in una situazione di emergenza (questo èsato docuentato molto bene da SabinaGuzzanti in ‘Drakulia’) c’era solo un commis-sario straordinario che decideva tutto. Nel2009, il commissario era Guido Bertolaso:ora, non sto dicendo che Guido Bertolaso siail solo responsabile di quanto accaduto, maattorno a lui e in base alle decisioni da luiprese, ci sono stati tanti finanziamenti chesono ‘puzzati’, ci sono stati i ‘progetti case’ incui, alcuni di questi, resistono belli ‘in piedi’,anche se sono dei ‘quartieri-dormitorio’ inmezzo al nulla, mentre ce ne sono altri in cuicrollano i balconi, perché ci sono le infiltra-zioni di acqua in case e complessi antisismici,sostenibili ed eco-compatibili, che avrebberodovuto rappresentare una sicurezza. Ancora

oggi, molte persone vengono ‘sgomberate’perché questi ‘progetti case’ in sicurezza nonsono. Ci sono nuove scosse? Crollano anchequesti nuovi ‘progetti case’. Quindi, come si èpotuto far pagare 130 mila euro per edifici eabitazioni da 80 metri quadrati, costati cioè 2mila 700 euro a metro quadrato, che poi ticrollano addosso dopo 5 anni? Com’è possibi-le? C’è qualcosa che non va. Ci sono le infil-trazioni, ma ci sono anche le intercettazioni,le quali provano che c’è gente che ‘mangia’sopra le disgrazie altrui. Allora, se tu legisla-tore regolamenti, se legiferi, se producinorme in cui, quando si scopre che qualcunospecula sui morti, lo Stato gli fa un ‘mazzotanto’, scusate il ‘francesismo’. Insomma, ser-vono delle regole precise in cui, quando siverifica un evento sismico, si nominano que-sto e quest’altro, dove il primo gestisce lericostruzioni, mentre il secondo si occupadegli sfollati. Questi ultimi non devonoandare oggi nelle tende, domani nelle case,un mese dopo sulla costa, quello dopo anco-ra in montagna. Una normativa, insomma, incui si decide cosa fare e come farlo, senzaimprovvisazioni, perché l’improvvisazione fasì che tanti soldi vadano sprecati. Una leggeche verifichi e controlli, per esempio, la rac-colta dei fondi di solidarietà: “Mandate unsms a questo numero”. Oppure: “Questo è ilmio Iban per versare due euro in favore deiterremotati”. Tutti quanti versammo i nostridue euro, ma nessuno ha mai saputo nientedi quei soldi: una truffa da migliaia di euro.Oppure ancora: “Siccome la situazione è fuoricontrollo, datemi i cibi, datemi i vestiti”,eppoi le provviste se le mangiano loro e con ivestiti ci si vestono loro. Ovviamente, mi rife-risco a forme di ‘sciacallaggio’ di basso livello.Ma ci sono anche quelli che, nella notte stes-sa del terremoto, ridono al telefono conl’amico: “Evvai! Adesso, si ricostruisce. Io hol’amico lì, che mi può far parlare al telefonocon quell’altro...” e via così. Insomma, ci sonogli ‘inciuci’. E per evitare gli ‘inciuci’ ci vuole,almeno, una legge”.

Raffaella Ugolini

QUESTA È CASA MIAdi e con Alessandro Blasiolisupervisione artistica Giancarlo Faresluci Viviana Simonescenografia Alessandro Blasioli e Andrea Frau

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Niente affatto semplice l’impegno che il gruppoteatrale ‘BitQuartett’ si è assunto nel voler rap-presentare, alla X edizione del Nops Festival,questo ‘Yukonstyle’: un testo inedito in Italia,scritto da Sarah Berthiaume, una drammaturgafranco-canadese. L’ambientaazione di sfondo èil grigio inverno dello Yukon, una regione ai con-fini dell’Alaska: una stagione lunga, noiosa, atratti drammatica. L’intento dell’autrice era pro-babilmente quello di offrire uno spaccato delsottoproletariato canadese, quasi mai sfioratodalla narrativa e dalla letteratura nord america-na. In ogni caso, i personaggi principali sono:Garin, un 'lavapiatti-chitarrista' alle prese conun padre alcolizzato; Yuko, una ‘chef’ giappone-se in esilio; Kate, una ragazzina che attraversal'intero Stato senza meta, alla ricerca di unluogo in cui stabilirsi definitivamente. Il testo èindubbiamente complesso, ricco di contenutianche piuttosto ‘amari’: per riuscire a resistere inuna regione così difficile, il singolo individuo è

costretto a rimpicciolirsi e a chiedere aiuto aglialtri. Nasce, così, questa piccola ‘comune’ di 4persone, compreso il padre di Garin, che cerca difar fronte a un’esistenza sempre più problemati-ca. Kate è incinta per via di un rapporto occasio-nale avuto con uno sconosciuto su una delle cor-riere sulla quale stava girovagando per il Paese;Garin e il padre, Dad's, sono stanziali, ma l’im-provviso arrivo della cirrosi epatica del secondogetta il primo in una stato di angoscia, nellaconsapevolezza di dover vivere un momentoparticolarmente doloroso. Un dramma decisa-mente forte, con dialoghi ricchissimi e articolatiche, tuttavia, il regista e traduttore, GabrielePaupini, dovrebbe asciugare ulteriormente, alfine di rendere al meglio questa versione teatra-le, secondo ritmi che riteniamo debbano esserevivacizzati per il pubblico cosiddetto ‘medio’. Almomento, infatti, questo lavoro denuncia comeun limite ciò dovrebbe essere considerato il suo‘punto di forza’: un copione teatrale per ‘palati

sopraffini’. L’intento era probabilmente quello difar percepire al pubblico la difficoltà di 4 esi-stenze ai margini della società, in pieno attra-versamento di una fase particolarmente diffici-le della loro vita, in cui l’amore, l’amicizia e lasolidarietà sono quasi costrette a emergere, perdiventare veri e propri valori cardinali dell’esi-stenza. Ecco, qui di seguito, cosa ci hanno rac-contato i ragazzi della compagnia ‘Bitquartett’in merito a questo loro lavoro.

Gabriele Paupini, Marianna Arbia, MarcoCanuto, Benedetta Rustici e LorenzoTerenzi, perché avete scelto questo testodi Sarah Berthiaume, ‘Yukonstyle’?Gabriele Paupini (traduttore e regista):“Ho scelto questo testo perché me lo ha consi-gliato un’amica parigina e perché è l’unico testodella Berthiaume pubblicato in Europa. L’holetto, me ne sono innamorato follemente senzauna ragione logica: lo leggevo, ridevo e piange-vo, dunque me ne sono proprio innamorato. Equando ho finito di leggerlo, mi sono detto:“Non potrò mai metterlo in scena”, perche c’èuna giapponese, i nativi americani: una cosa unpo’complessa”.

Una domanda per le due attrici: potetespiegarci i vostri ruoli, la chef giapponesee l’autostoppista?Marianna Arbìa: “La chef di origini giappone-si è una donna ‘in carriera’, tra virgolette. UNapersona che dedica la sua vita al lavoro, a porta-re avanti se stessa e gli altri. Solo che, nello spet-tacolo, il momento che viene raccontato è pro-prio quello in cui crolla. È il momento, cioè, incui questo estremo andare avanti, lottare edessere forti a un certo punto, nell’incontro congli altri, si sgretola. E quindi, all’improvvisovediamo l’altro lato della medaglia di questapersona”.Benedetta Rustici: “Il mio personaggio, inve-ce, è quello della ‘bambola-autostoppista’vesti-ta in stile ‘harajuku’: è una ragazzina scappata dicasa, vestita con questa ‘mise’non molto sobria,che sembra quasi un unicorno rosa. Ed è fuggitaperché aveva bisogno di scappare e di cercare”.

Un personaggio che a tratti ci è parso unpo’ ingenuo, descrittivo, che nota tutto,che rimane colpita dai dettagli: comemai?Benedetta Rustici: “È così perché ha gli occhi

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BitQuartett:“Il nostro teatro

è passione emotiva”

Uno spaccato sociale molto complesso e articolato, che descri-vere un altro Canada rispetto a quello che generalmente civiene raccontato o descritto

Avete debuttato al Podium Festival diMosca: come é stata quella prima espe-rienza?Maria Luisa Zaltron: "È stato bello, vera-mente molto bello. Anche perché, noi nonavevamo idea del pubblico che avremmotrovato, dell'accoglienza che avremmo rice-vuto, sia per la grande differenza tra la vitaculturale e artistica europea e quella russa,sia per il tipo di linguaggio che abbiamoportato, molto strano, con molti cambi e sevuoi anche molto ‘trash’, diciamo".

Avete recitato in italiano?Maria Luisa Zaltron: "Si, abbiamo recitatoanche in italiano, puntando sul fatto cheRomeo e Giulietta é una storia universal-mente conosciuta. Abbiamo recitato ininglese le parti che era necessario fosserocomprese, mentre i dialoghi tratti espressa-mente da Romeo e Giulietta sono stati reci-tati in italiano, anche perché i personaggisono chiaramente riconoscibili. Infatti, unacosa bella é che i russi ci hanno detto chehanno capito tutto, anche grazie al linguag-gio del corpo, molto pronunciato. E grazieanche alle lezioni di commedia dell'arte, cheprevedono molto l'uso del corpo, dei gesti,

permettendoci di sviluppare la nostraespressività tramite il corpo. Alcuni ragazzirussi ci hanno detto: “Non avevamo maivisto prima una cosa del genere”. Avevamo lasensazione di aver portato qualcosa di ‘avan-guardistico’ in una nazione in cui si fa un tea-tro molto di ‘tradizione' o di ‘maniera', condelle regole molto rigide".

Quali sono i vostri progetti per il futuro?Leo Merati: "Il progetto di collaborazionecontinuerà. Stiamo cercando un regista che,con il suo sguardo dall'esterno della scena, ciaiuti a sviluppare meglio lo spettacolo".Maria Luisa Zaltron: "Sì: continueremo aportare avanti il progetto, che ha ancorabisogno di essere migliorato. E cercheremospazi e aiuti alla produzione, che potrannopermetterci di riprendere in mano lo spetta-colo e di svilupparlo in modo più approfon-dito. Tenendo conto anche dei percorsi pro-fessionali individuali: non é sempre facileincastrare tempi e luoghi in un gruppo diotto persone, con percorsi attoriali diversi estando in luoghi diversi".

A proposito del regista, nella vostrapagina Facebook viene indicato uncerto Nino Parlengo: chi é?Maria Luisa Zaltron: "Nino Parlengo é, inrealtà, un mistero: non possiamo dare trop-pe informazioni su di lui. Però, possiamo direche é il regista che o non abbiamo mai avutoo, forse, che abbiamo perso. Il regista chestiamo cercando o, forse, é il nostro nuovo

compagno. È il nostro mistero".

Nello spettacolo affrontate, in qualchemodo, il tema dell'odio, che é molto pre-sente nelle cronache di questi giorni: cosapensate del clima che si respira in Italia?Leo Merati: "Io credo che la forza di questospettacolo rispetto alla tematica dell'odiosia esprimerlo in maniera molto concreta.Sin dall'inizio, c'é una tavola, con i dueschieramenti: é molto chiaro il conflitto.Credo che, da un certo punto di vista, rispec-chi molto la situazione attuale, perché c'édavvero una divisione, non diciamo bianco enero per non confondere, ma una parte divi-sa dall'altra, sia per i fatti del Mediterraneo,sia per tutto quello che sentiamo ogni gior-no. La forza dello spettacolo é quello di rap-presentare, nella parte iniziale, in manierachiara, questo conflitto. Un conflitto che diven-ta ancor più chiaro nel momento in cui si svol-gono delle azioni pratiche: i gesti, le azionimolto semplici, come portare degli occhiali atavola, far suonare un telefono, poggiare ilgomito. Sono cose molto concrete. E il pubblicoriesce a cogliere come l'odio possa nascereanche da cose molto piccole. Terminare lo spet-tacolo con una farsa e inserirlo in una festa, lorende ancor più interessante. C'é una festa, c'édell'odio in giro, ma ci si diverte lo stesso: non écosì sanguinosa la storia, però finisce in trage-dia. E tutto ciò rappresenta molto bene la situa-zione attuale".Maria Luisa Zaltron: "C'é anche l'aspettointeressante di come la tragedia si consumisotto gli occhi di tutti, ma nessuno se neaccorga, nell'indifferenza generale. Il mes-saggio é molto forte: sapere della tragediama andare avanti, continuare a divertirsi,come se tutto fosse normale".

Cosa ci salverà?Maria Luisa Zaltron: "Beh, io direi, banal-mente, anche perché nel nostro lavoro c'é:l'amore. Sono una romantica".

MARCELLO VALERI

A LITTLE PARTY NEVER KILLED NOBODYdi e con Susanna Acchiardi, Alessio Bagiardi,Francesca Camurri, Stefano Iagulli, ElisabettaRaimondi Lucchetti, Jacopo Morra, GiacomoStallone, Maria Luisa Zaltrone con Vladimir Doda e Leo Merati

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Buona anteprima sul genere ‘epic-danza’ che ilregista di ‘Exodos’, il bravo Luigi Saravo, ha volu-to portare in scena, insieme ai suoi ‘attori-dan-zanti’, alla X edizione del Nops Festival neglispazi dell’ex mercato di Torrespaccata in Roma.Con pochissimi elementi, gli attori riesconointelligentemente a inscenare una guerra, chepoi non è altro che l’antico assedio della città diTroia. Ma i richiami all’Iliade e all’Odissea sonosolo un pretesto per richiamarsi alle guerre del-l’oggi che, come nell’antichità, provocano esodibiblici e quei ‘viaggi della speranza’ che, in que-sti ultimi anni, abbiamo visto causare la mortedi centinaia di migliaia di vittime. Decisamentebrillanti alcune idee del regista, che con pochis-simi elementi di scena riproduce una nave checerca di portare in salvo migliaia di esseriumani, tra cui una donna incinta che, infatti,partorirà in mare. Una performance costruitaattraverso una serie di figure simboliche edestetiche piuttosto semplici e, allo stessotempo, coinvolgenti, avvicinandosi molto allostile artistico di Giorgio Strehler. Un male anti-chissimo, quello delle morti in mare, che appar-tiene, sin dagli albori dell’umanità, al drammastorico del bacino del Mediterraneo. Abbiamo

pertanto voluto incontrare il regista di ‘Exodos’,Luigi Saravo, per ulteriori approfondimenti.

Luigi Saravo, innanzitutto perché Exodose non Exodus?“Perché l’Exodos è l’ultima parte della tragediagreca”.

Quindi, è un titolo proveniente dal greco enon dal latino?“Sì, dal greco e non dal latino, perché è la chiu-sura della tragedia e, speriamo, lo sia anche peri temi che trattiamo noi...”.Si tratta di un ‘estratto’ di un lavoro piùampio che stai sviluppando?“Sì, è un lavoro che stiamo preparando col miogruppo. E si tratta di un’opera già compiuta, chenon è ancora allo ‘stadio’ di singoli ‘pezzi’, anchese stiamo lavorando su nuovi ‘tasselli’ per com-pletarla e ampliarla”.

Il genere dell’estratto che hai presentatostasera è il ‘teatro-danza’: si può dire?“Sì, non c’è parola, non c’è testo e va verso il ‘tea-tro-danza’, ma in realtà è un po’ un’ibridazione,nel senso che ha un impianto teatrale, ma il

movimento è talmente preponderante che, inalcuni momenti, va proprio verso il ‘teatro-danza’...”.

Si tratta di una rappresentazione moltodrammatica, anzi tragica: è dunque unatragedia, ciò che hai voluto presentatare?“Sì, l’intuizione sulla tragedia in generale è piut-tosto chiara, ma possiamo dire che c’è anchel’epica. Le strutture su cui stiamo lavorando,risolte in maniera essenziale e poi sviluppateverso altri versanti, riguardano l’Iliade el’Odissea, in cui, dopo situazioni di guerra, vio-lenza e rappresaglia, come per esempio il duel-lo tra Ettore e Achille che fu un’azione di rappre-saglia, alla fine sfocia in un viaggio per tornare acasa, o per cercare una ‘nuova casa’. Quindi, ilmodello è quello dell’epica che, passando peruna dimensione tragica, cerca di far da ‘spec-chio’ a una situazione che conosciamo: quelladei viaggi e delle fughe dal centro Africa”.

Quindi, il riferimento viene attualizzatoalle tragedie del mare di oggi?“Sì, parla di questo. Il riferimento è proprio aqueste tragedie del mare. Ciò che andiamo a

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Luigi Saravo:“Il Mediterraneo teatro di tragedie

in un mondo che non vuole cambiare”

Una performance costruita attraverso una serie di figure simboliche ed estetiche piut-tosto semplici e, allo stesso tempo, coinvolgenti, avvicinandosi molto allo stile artisticodi Giorgio Strehler

grandi come, secondo me, che ho 12 anni più diquesto personaggio, una diciassettenne, hannoi ragazzi a quell’età: per lei, è tutto una primavolta, è sempre una prima volta. Quindi, ha gliocchi ‘sgranati’e il cuore aperto, poiché si ritrovain quell’età in cui sei stupido, perché stupìto. Ènella fase dello stupore, della scoperta, dellacuriosità estrema”.

Eppoi, abbiamo il ‘lavapiatti’, che provieneda un passato piuttosto difficile e se ne vain giro a suonare la chitarra come una spe-cie di ‘menestrello canadese’: che tipo dipersonaggio è?Lorenzo Terenzi: “Per come l’ho interpretatoio e per quello che ho letto io, questo è un per-sonaggio che parte da un grande rifiuto deglialtri perché ha forti problemi con se stesso. Haquesto problema di essere il figlio del personag-gio interpretato da Marco Canuto, che vienechiamato ‘Dad’s’, che è suo padre, ma è anche unalcolizzato e non ci parla molto. Inoltre, è unmeticcio di nativi indiani, perché ha la mammaè un’indiana che non ha mai conosciuto. Nonavendo mai conosciuto sua madre, non haneanche radici. E ha questo ‘tarlo’che gli gira perla testa, perché pensa che magari sua madre èuna delle vittime di questo assassino canadese,che uccideva queste prostitute indiane”.

Sì, perché c’è anche questo ‘spettro’ che siaggira nella zona: quello del ‘serial kil-ler’...Lorenzo Terenzi: “Esatto. Il problema è chequesto ragazzo, poverino, come ognuno di noi,che ha i suoi difetti, senta questa forte mancan-za e la ripercuote in un modo un po’ rude nelrapportarsi con gli altri. È un tipo molto spigolo-so, per cui può alternare momenti in cui è‘supertranquillo’ e ‘compagnone’, a un raptus dirabbia incontrollabile. È molto infantile, insom-ma, molto chiuso: non comunica i suoi senti-menti e, all’improvviso, esplode come un vulca-no intrusivo tipo il Vesuvio: lunghi silenzi ederuzioni improvvise. Però, la cosa bella è chegrazie agli altri e al confronto con gli altri, riescead andare oltre e si apre”.

Infine, c’è il papa, il quale, crediamo diaver capito, alla fine muore di cirrosi epa-tica, o qualcosa del genere: è così?Marco Canuto: “Sì. È un ruolo abbastanzacomplicato. Anche questo ‘Dad’s’ è un perso-naggio molto chiuso e, se si può usare un ter-mine: ridondante. Da molto anni, probabil-mente da quando è nato il figliolo, sta giran-do su se stesso all’interno di questo vorticesenza mai riuscire a uscirne. Nel senso che,lui ha conosciuto questa donna indiana di cuiprobabilmente si è innamorato, ma poi lei èscomparsa improvvisamente. Lui resta anco-rato a questo passato. E ogni volta che vede ilfiglio, questo passato ritorna. Un un dolore,una perdita, un amore mancato che puòessere assopito solo con l’alcool, soltanto col‘gin’, di cui diventa grande estimatore (anchetroppo...), sino a diventarne totalmentedipendente. Egli proprio collega il profumo dilei alla goccia che c’è alla fine di ogni botti-glia di ‘gin’, cercando, in ogni bottiglia, lagoccia di profumo che aveva lei: una cosamolto poetica e, infatti, il mio personaggio èsempre ubriaco”.

Questo testo era molto complesso, mavoi avete voluto affrontarlo lo stesso, maè anche un po’ lungo, secondo noi: preve-dete di ‘asciugarlo’, di ridurlo, di provarea proporlo con una tempistica migliore,era la prima volta che lo portavate sulpalco, si tratta di un testo inedito?Gabriele Paupini: “Sì, questo è un testoinedito in Italia. Ma non è la prima volta chelo presentiamo: credo che siamo alla decimarappresentazione. La vostra critica, comun-que, intendiamo prenderla in considerazio-ne. Quando abbiao cominciato a lavorare permettere in scena questo testo, in effetti iopensavo di dover fare dei tagli. La dramma-turga era anche d’accordo, ma poi ho decisodi non farli. E, ad oggi, continuo a pensare dinon volerli fare”.

Indenti forse mantenere questo pathos,questa ricchezza emotiva del testo?Gabriele Paupini: “Io non ho fatto moltisi-sme regie. Ma una parte di em è molto affe-zionata a tutto quello che c’è in questo testo enon vuole rpendere la decisione di eliminarequalcosa. E fin quando questa parte di mesarà così forte, vincerà lei”.

È un criterio troppo razionalista?Gabriele Paupini:“No. Ripeto: io sono anchecontento che mi venga mossa questa critica,perché posso tenerla presente e, quando rac-coglierò altre 10-15 critiche di questo tipo,magari l’altra parte di me, quella razionale,finalmente vincerà. E lo spettacolo sicuramen-te ne guadagnerà: ne sono sicuro”.

Potete parlarci un po’ di voi come‘BitQuartett’?Benedetta Rustici: “Innanzitutto, in questomomento manca una persona: FrancescaZerilli, che in questo momento sta lavorandoal posto nostro, mentre noi stiamo parlandocon voi. Innanzitutto, noi siamo 4: Francesca,io, Marianna e Gabriele. Abbiamo avuto la for-tuna di riuscire a coinvolgere questi due mera-vigliosi attori, Marco e Lorenzo, però la ‘gene-si’ risale a noi 4. Ci siamo conosciuti a scuola,presso il Centro internazionale ‘La cometa’,all’interno del quale abbiamo fatto il saggio diregia di Francesca Zerilli, che è infatti ancheun’ottima regista oltre che un ottimo ‘tecnico-luci’. Abbiamo preparato una prima produzio-ne, il testo più noto di Friedrich Durrenmatt,‘La visita della vecchia signora’, che abbiamoportato in giro per un paio di anni. Di questolavoro ne abbiamo fatto uno studio: siamocioè rimasti a lungo in una fase di approfondi-mento, per poi portarlo avanti.Successivamente, si è affacciato ‘Yukonstyle’,insieme a un’altra idea di Gabriele Paupini,che s’intitola: ‘Il sogno del mostro’. Un testo,quest’ultimo, di Enki Bilal, uno dei più grandifumettisti viventi in Francia. Ne abbiamo fattoun adattamento grazie alla scommessa diFederico Guerri, un altro grandissimo dram-maturgo del Teatro Verdi di Pisa, anche se lui è‘follonicano’. Insomma, piano piano stiamomettendo insieme competenze e persone, perrealizzare i nostri progetti. Questa è la nostrapolitica: ogni collaboratore porta il suo sapere,il proprio contributo, che chiaramente vienefiltrato, ma che, indubbiamente, arricchisce dimolto il nostro lavoro”.

Raffaella Ugolini

YUKONSTYLEdi Sara Berthiaumetraduzione e regia Gabriele Paupinicon Marianna ArbiaBIT/Quartett/Teatro Studio Uno

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cepito come un’unica scena all’interno diun lavoro più coordinato, per arrivare adefinire un concetto di teatro neo-con-temporaneo: è così?“È una domanda molto impegnativa, moltodifficile. Sì, Ilaria Manocchio, che ha curato laregia, ci ha fatto lavorare prima sulla partefisica. Quindi, innanzitutto ci siamo dedicatisul montare e creare queste piccole coreogra-fie in cui io, Valerio e Giulio interpretiamo i tre‘pronomi’. E siamo un tutt’uno, come appuntotre fratelli che giocano fra di loro e ne combi-nano di ‘ogni’... Quindi, la regista ci ha fattolavorare prima sull’interazione tra di noi,facendo in modo che si creasse questo trio. Inseguito, ci siamo divertiti a vedere comeStefania, che interpretava la morte, s’incastra-va e si scontrava con queste cose”.

Ma è un’interazione sotto la quale, inrealtà, è nascosto un dramma?“Sì, perché sotto c’è, indubbiamente, un temamolto forte. Diciamo che ci siamo concentratisu quello che pensiamo l’autore abbia volutoesprimere, che è poi il motivo per cui abbiamovoluto affrontare un testo del genere, checomunque parla della morte e dell’andarenell’aldilà. Però, ci si può anche ridere su, cheè poi quello che noi abbiamo cercato di rega-lare e di restituire all’autore”.

I personaggi stessi, però, questo passag-gio nell’aldilà lo hanno interpretatoquasi come una lotta: perché?“Perché comunque la storia è incentrata sulfatto che, chiunque arriva lì, ai traghettatori,quelli che devono portarli dall’altra parte, intutti i modi cercano di corromperli, hannopaura, oppure dicono: “Non sappiamo dovedobbiamo andare”; oppure: “No, ma io sonoun uomo potente: vi posso regalare quel chevolete”. Ma non c’è niente che puoi regalare,perché dall’altra parte dobbiamo andarcitutti, prima o poi. Quindi, in fondo, abbiamogiocato su questo”.

VALENTINA SPAGNOLO

ELEMENTIdi Salvatore Cannovaregia Ilaria Manocchiocon Stefania Capece Iachini, Giulio Claudio DeBiasio, Agnese Lorenzini e Valerio RiondinoNogu Teatro

Al centro di ‘Effetto Werther’, presentato alNops Festival dalla compagnia teatrale ‘Dietrola maschera’, c’è l’esplorazione dell’universoalienante che, purtroppo, in contesti triste-mente attuali, conduce i giovani a ritrovarsi,per disagi economici e difficoltà varie, costret-ti in monolocali che poco hanno di quel caloreabitativo di cui ogni essere vivente avrebbebisogno. All’interno di un ‘confino’ dove regnauno struggente contrasto di bianco e nero,

ben acuito dallo stridente rimbalzo della fred-da luce al neon, due ragazzi condannati allamancata serenità s’incontrano e confrontanoin un dialogo tagliente e sarcastico, in unalternarsi ritmico di battute al ‘vetriolo’, chenon mancano di coinvolgere gli spettatori. Lospettacolo procede, fino al tragico epilogo,con un ritmo serrato, molto giocato suglieffetti ‘buio-luce’. Identico contrasto si rispec-chia nei tre personaggi in scena, interpretati

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Dietro la maschera:“Hitchcock a teatrocon un po’ di ironia”

Un estratto post moderno e provocatorio di esistenze margi-nalizzate, ridotte al disagio e all’assurdo: un piccolo spaccatodi vite prigioniere di logiche ribaltate

raccontare vede una situazione di partenza cheè una guerra, anche se rappresentata in unamaniera molto ‘archetipica’. Una ‘faida’ dove c’èuna donna messa incinta dal proprio compa-gno. E questa donna, date le vicissitudini gene-rate da una situazione di guerra, è costretta apartire, a viaggiare, a imbarcarsi su un’imbarca-zione che poi deflagra. Da questo naufragio,viene in qualche modo raccolta e il bambino cheporta con sé viene partorito, per essere conse-gnato a noi, o comunque a chi accoglie”.

Tutte queste rappresentazioni molto sim-boliche che hai portato in scena erano det-tate anche da considerazioni estetiche,volevi consegnare un messaggio allo spet-tatore, volei che arrivasse una particolareemozione?“Domanda interessante. Ed è interessanteanche per me, perché così lo capisco un po’meglio mentre lo creo, sviluppandolo ulterior-mente. La questione parte da due assunti:primo, c’è un materiale fotografico al quale misono ispirato, che ho cercato di ricreare in unadimensione formalizzata per ciò che riguarda lascena; secondo, lavorare in una grandissimaeconomia di mezzi. Noi lavoriamo con 8 bastonie due teli. E quindi, cercare di continuare a lavo-rare, anche nei prossimi sviluppi, partendo daquesto materiale molto economico. Utilizzandoquesto principio economico di partenza, unmateriale molto povero e molto esile e unmateriale iconografico di riferimento, siamo poi‘incappati’ in alcune forme positive. E abbiamocercato di dargli un’unita stilistica, cercando dicontrapporgli delle musiche che facessero dacontrappunto, come Pasolini che, in ‘Accattone’,utilizzò delle musiche di Johan Sebastian Bach:una tragedia molto, tra virgolette, ‘bassa’, cheviene trattata in maniera molto ‘alta’...”.

Raffaella Ugolini

ÈXODOSregia Luigi Saravocon Beatrice Valeri, Doron Kochavi, Chiara Felici,Martina Cassenti, Daniele Santoro

Un’anteprima divertente, che tende a esorciz-zare la paura della morte prendendola un po’in giro. Caronte è andato in pensione. Dunque,la sua ‘mission’ – quella di trasportare leanime dei morti al di là del fiume Acheronte -viene affidata a tre fratelli maldestri, ingag-giati con un contratto a tempo determinato.Ovviamente, lo scopo dei tre è quello di esse-re assunti a titolo definitivo, ma le disavventu-re si sprecano e tutto sembra congiurare con-tro di loro. La morte continua a ricordare ai tretutti i ‘criteri’ per l’assunzione a tempo inde-terminato, ma gli errori si susseguono pun-tualmente e, spesso, sono sempre gli stessi, adimostrazione di un’occupazione per la quale itre non sembrano affatto ‘tagliati’. La rappre-sentazione è molto simpatica, con una AgneseLorenzini che salta come un ‘grillo’ per tutta lascena, mostrando un’agilità fisica che le con-sente di vivacizzare la rappresentazione. Unamorte in paranoia, simpaticamente interpre-tata da Stefania Capece Iachini, rende benel’idea di un ‘esorcismo’ in cui è la realtà stessaa scompaginare i piani più razionali e assoluti.Persino quelli della morte. Abbiamo perciòincontrato l’atletica Agnese Lorenzini, perpoter parlare di questo simpaticissimo estrat-

to di uno spettacolo più complesso di quelloche sembra.

Agnese Lorenzini, su cosa si è incentratoil soggetto e la regia di ‘Elementi’?“Sì, la regia si è concentrata sul ritmo giustoda dare a un testo già scritto, per essere comi-co e leggero. Quindi, abbiamo lavorato moltosul ritmo e sulla musicalità dell’insieme,anche con i corpi. Di conseguenza, si sonocreate una serie di coreografie adatte allacommedia”.

Cosa ha significato, per i personaggi, larappresentazione di un teatro interatti-vo?“In realtà, è stata semplicemente l’occasioneper rendere partecipe anche il pubblico diun’energia che il testo ti regala”.

È uno degli elementi principali per cui siè dato vita a questo ‘motore’ di scena?“Esatto”.

La mimica e l’interpretazione sono frut-to di dinamiche generate da un unicotesto, che la compagnia ha dunque con-

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Agnese Lorenzini:“Di tutto si può ridere,

anche della morte”Un testo di Salvatore Canno-va messo in scena da IlariaManocchio e interpretatodai fantastici ragazzi di No-gu Teatro che ha volutoprendere in giro l’infernalemondo dantesco attualiz-zato con gli occhi dell’oggi,cioé quelli di un precariatoormai dilagante persinonell’aldilà

‘Wet Floor’ è un testo di Fabio Pisano in cui l’at-trice Agnese Lorenzini, in vesti assai seducenti,irretisce un giornalista, interpretato da ValerioRiondino, il quale sta indagando su una stranastoria di sequestri che sembrerebbe aver causa-to la scomparsa di 4 colleghi. La ragazza ha puli-to il suo appartamento, mentre il giornalista eraal telefono, intento a cercare informazioni con-sultando alcune ‘fonti’. Il cronista vorrebbe usci-re di casa, poiché forse ha individuato una ‘pista’,ma la ragazza lo blocca: ha appena finito di ‘darelo straccio’ e non intende ripassare la stanza. E’un’ottima occasione per fare due chiacchiere,ma il tono della conversazione diviene semprepiù ambiguo. Alla fine, il giornalista è talmentesul ‘pezzo’ da essere lui, questa volta, a risultaresequestrato da una psicopatica che odia a morteil mondo dell’informazione, colpevole di mani-polare le notizie a seconda delle situazioni,disinformando i lettori. La lettura è quella di unambiente, il giornalismo, che ha dimenticato isuoi princìpi originari di ‘potere di controllo’ e siè trasfomato in una corsa forsennata e autorefe-renziale, in cui la spettacolarizzazione dellenotizie ha preso il sopravvento. La tematica difondo è buona, proponendo un ‘effetto cortocir-cuito’ tra realtà oggettiva dei fatti e le moltepli-ci forme di verità apparente. E, alla fine, sirischia di fare il tifo per il ‘mostro’. Un lavoroindubbiamente attuale. Ne avviamo aprlato conl’autore, Fabio Pisano.

Fabio Pisano, perché un testo sul giornali-smo e quali affinità ha con questo mondo?“Nessuna affinità, ma negli ultimi tempi ce l’houn po’ con il giornalismo: i giornalisti stannoperdendo il fuoco della loro ‘mission’. Credo cheabbiano una grande responsabilità, soprattuttoadesso che il mondo dell’informazione è diven-tato onnivoro, nel senso che siamo entrati nel-l’era del web, dei giornali, della carta stampatae dei siti. Tutto è cominciato con un collega, l’at-

tore Antonio Casertano, che ha avuto l’idea deltesto da una frase di Denzel Washington inrisposta a una giornalista: “Voi non avete più acuore la verità, ma soltanto arrivare primi allanotizia, senza verificarne la fonte”.

La storia del rapimento è un fatto real-mente accaduto, oppure è un suo artifi-cio?“Di reale c’è soltanto la frase di DenzelWashington, che ci ha ispirato nel plot. La storianarra di questo giornalista che viene sequestra-to da un addetto alle pulizie. Ovviamente, lastoria ha risvolti differenti e tratta diversi puntidi vista, per quanto riguarda la narrazione, per-chè la vicenda viene narrata prima dal teatropoi, attraverso il web, non viene narrata più.Ossia, lo spettatore può solo sentire. Questo è dacopione. Poi, il registra ci mette al sua chiave dilettura”.

Quindi il suo è più un testo di denunciadello stato attuale del giornalismo?“Pochi giorni fa, è giunta una notizia: un tizio èentrato all’interno di un giornale e ha ucciso cin-que persone. E ne voleva uccidere un’altra, cheera quella che l’aveva diffamato con un articolo.Io, ovviamente, sono un pacifista, però credo siauna questa sia una questione molto delicata, ai

giorni nostri. Il giornalismo svolge un ruolomolto delicato, soprattutto in questo ‘vortice’ incui siamo finiti, sociale, politico e culturale inparticolare”.

In questo spettacolo c’è una figura femmi-nile, dalle tante sfaccettature: come mai?“In realtà, la figura femminile è un’interpreta-zione data dal regista, che ha cambiato il gene-re del ‘cattivo’. In origine, i due personaggi eranomaschi, ma Aleksandros Memetaj ha trasfor-mato il sequestratore in sequestratrice: un espe-rimento molto interessante”.

Una domanda finale sulla verità: tuaccusi il giornalista di avere la verità intasca e che la deve fornire al lettore:cosa significa?“Il giornalista deve cercare la verità: è questo ilsuo compito e missione. E credo che, oggi, que-sto sia un aspetto passato in secondo piano. Eciò è grave, a mio modestissimo parere”.

SILVIA MATTINA

WET FLOORdi Fabio Pisanoregia Aleksandros Memetajcon Agnese Lorenzini e Valerio RiondinoNogu Teatro

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Fabio Pisano:“Il giornalismo deve tornare

ai suoi princìpi originari”Un testo che analizza lo scontro tra realtà e verità, apparenza e sostanza, mondo reale e infor-mazione social, spesso vacua e parziale

da Marcello Gravina, Giulia Navarra e GianlucaAriemma, che ha firmato anche la regia. Ilrapporto tra la giovane inquilina e il nuovocoetaneo subentrante, si sviluppa in un alle-stimento scenografico che cala subito lo spet-tatore in una dimensione ‘modern dark’di unospazio che potrebbe essere ultra-cittadinocome sub-periferico, perché le sensazioni didisincanto sono percepibili a ogni latitudine.Lo sconforto permea tutto fino all’estremo, nelvano tentativo di un contatto umano: restasolo l’unica desolante soluzione, quella dellapiù drastica dipartita della giovane. Entra cosìin scena il terzo attore, che incarna, con modinon convenzionali, tanto il vicino di casaquanto un esponente della forza pubblica.Ecco che il confronto si fa ancora più difficile: ilragazzo, occultando il corpo senza vita dellagiovane, sembra incapace di trovare una via difuga e si amplifica l’isolamento, l’incomunica-bilità, il dramma del ‘loculo’, del ‘buco nero’,del metallico neon che irrompe solo per confi-nare e delimitare l’individuo, per chiuderne lepossibilità espressive e di riscatto, per compri-merne la personalità. E allora, come all’inizio,quando tra i due protagonisti in scena si erastabilita la legge amara di un passaggio ditestimone obbligato, ora la piéce sembra dirci:“Avanti il prossimo”. E ci si tira fuori nell’unicomodo possibile, perché salvarsi può anchevoler dire avere il coraggio di lasciare una‘non-vita’. Abbiamo dunque intervistato i tregiovani componenti della compagnia teatrale‘Dietro la maschera’: Marcello Gravina, GiuliaNavarra e Gianluca Ariemma, che oltre a reci-tare nello spettacolo ne cura anche la regia.

Marcello, Giulia e Gianluca, da che cosa ènata l’idea di questo spettacolo?Gianluca Auriemma: “Io volevo raccontareuna storia. Poi, mi sono reso conto che latematica dell’effetto Wherter, cioè la questio-ne dei suicidi indotti dai mezzi di comunica-zione di massa, si sposava benissimo con latrama ambientata in questo appartamento,dove gli inquilini si suicidavano. Io sono unapersona molto sarcastica. Quindi, questo

genere di battute, queste freddure spietate,molto violente, che arrivano in maniera diret-ta, appartengono a un genere che amo moltoe che risulta adatto al mio modo di scrivere,alleggerendo anche questa tematica cosìimportante e pesante”.

Com’è nata questa avventura teatrale di‘Effetto Wherter’?Marcello Gravina: “Noi facciamo parte dellacompagnia ‘Dietro la maschera’ e ogni spetta-colo nasce quando Gianluca decide di farequalcosa. Ci conosce bene, perché lavoriamoinsieme da oltre 5 anni, quindi conosce i ruolida affidarci per tirare fuori il meglio di noi eriversare queste emozioni al pubblico”.Giulia Navarra: “C’è da dire che, molte volte,Gianluca scrive proprio su di noi, sulle nostrecaratteristiche, i vari personaggi. Inoltre, lacosa bella della nostra compagnia è che, oltrea essere colleghi, siamo anche molto amici.Quindi, abbiamo quella sintonia e quell’affia-tamento che solo l’amicizia stabile ti puòdare”.Marcello Gravina: “Sì, è vero: noi ci vediamospesso, magari anche per uscire e c’è semprequesto scambio di battute tra noi”.

Sempre con questa modalità ironica etagliente?Marcello Gravina: “Sì, ma perché ci voglia-mo bene: andiamo avanti così dalla mattinaalla sera”.

Quella che avete presentato al NopsFestival era la sintesi di uno spettacolo cherealizzerete, con tempi più ampi, per ilpubblico?Gianluca Aurigemma: “Si, lo spettacolo verràsupportato prodotto e supportato dal festival‘Asti Teatro’, che è una delle realtà italiane piùlongeve in questo momento e, subito dopo avervinto, a novembre, il Premio speciale ‘Giovanirealtà’, loro hanno subito creduto nel progetto. Equindi, già dal novembre scorso sappiamo cheloro supporteranno il progetto per settembreprossimo. Chiaramente, é una realtà moltoimportante, ma non sempre è sufficiente.Quindi, cerchiamo sempre nuovi ‘appoggi’e altricontatti, su Roma, Milano e Torino, che possanodarci la possibilità di tirar su lo spettacolo e diavere delle repliche in spazi interessanti di que-ste realtà cittadine”.

Lo spettacolo va in scena con questa sce-nografia essenziale, in cui si alternano unbianco e nero illuminato da freddi neon,trasmettendo una sensazione di claustro-fobia, ispirati da dei fatti di cronaca: qualera l’effetto che volevate trasmettere?Marcello Gravina: “Si, io credo che il teatro,alla fine, sia finzione. Noi lavoriamo molto sullebattute e sul ritmo. Il testo è scritto in una certamaniera, quindi noi cerchiamo di portare il testoin scena recitandolo. Non c’è una verità: la veri-tà è solo quell’effetto Werther che, appunto,nello spettacolo finale, sarà spiegato anchemolto meglio, anche con la scenografia giusta”.Gianluca Auriemma: “Sono contento che sinoti il bianco e nero, perchè ho un amico registache una volta mi disse che a teatro, come nelcinema, si può fare il ‘bianco e nero’. Così io l’hoscelto per rifarmi a quella cinematografia diHitchcock che amo alla follia, come il film‘Psycho’: il grande regista fece quella scena inbianco e nero perché si era ipotecato la casa. Perfortuna, perché ha creato uno dei pezzi di sto-ria che, forse, a colori non avrebbe reso cosìtanto. E così io, rifacendomi a tutto questo, algiornalismo e alle vite di queste persone chehanno così poco da raccontare, ma che inveceraccontano tanto, ho scelto il bianco e nero. E citenevo che colori fossero freddi, sin nel detta-glio”.Marcello Gravina: “Persino gli accendini sonobianchi e neri”.

Invece, le punte di colore e di luce servonoper dare ironia e sdrammatizzare?Marcello Gravina: “Si, certamente: sono l’iro-nia e il messaggio che passa attraverso il sorriso.Siamo cercando di farlo sempre di più, crescen-do sempre di più”.Gianluca Auriemma: “Si. Anche se, bisognadire che il nostro messaggio arriva al pubblicosempre in modo diverso, nel senso che noi, ognivolta, ci rendiamo conto che ci sono delle battu-te che, forse, non avevamo considerato chepotessero far così ridere, perché il pubblicorisponde in modo diverso”.

ALESSANDRA BATTAGLIA

EFFETTO WERTHERregia Gianluca Ariemmacon Marcello Gravina, Giulia Navarra, GianlucaAriemmaDietro la maschera

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ancora, pensarlo come uno spettacolo da porta-re avanti negli anni, modificandolo ed evolven-dolo continuamente, perché se vuoi fare questogioco, puoi persino rifarlo tutto, ovviamente conun senso”.

Alla fine, il risultato è divertente, efficacee possiede un buon ritmo, non è una cosa‘shakespeariana’ decantata o pesante e,anzi, a questo proposito, tu inserisci ancheuna punta critica verso questa moda delteatro fatto senza niente, senza scenogra-fie, scarno ed essenziale: a te, questa cosa,non va molto giù, vero?“Sì, ma è un prendersi in giro e un prendere ingiro anche me stesso”.

Un’ultima domanda: questa complessitàdi Shakespeare è anche la sua modernità,la sua attualità, derivante dal fatto che cisi può giocare come fosse un qualcosa di‘gommoso’?“In Amleto c’è proprio questo parlare di tutto,perché quando dici: “C’è del ‘marcio’ inDanimarca”, significa che c’è del ‘marcio’ anchein Italia, o in qualsiasi altro Paese. Perché affron-ta veramente tutto: tutte le classi sociali, o,addirittura, il tutto e per tutto visto a teatro, inuna sorta di ‘autorappresentazione’: quasi un‘cane che si morde la coda’. Poi, in Shakespeare,ma anche nella tragedia antica più in generale,ci sono degli archetipi che, comunque, si muo-vono ancora oggi dentro di noi. Però, appunto,un Macbeth e un Otello trattano sentimentiparticolari, mentre Amleto abbraccia veramen-te più cose. Poi è anche interessante pensare cheShakespeare tutto questo non lo ha inventato,andando così a scoprire un po’le fonti dalle qualiha attinto: molte cose a cui il ‘bardo’si è ispiratoerano già presenti, o provengono dalle piùdisparate culture e tradizioni. Certo, quello chepoi ci ha messo lui è importante, ma c’è sempreun lavoro di ricostruzione in base a quello che tuprendi e rielabori, all’infinito”.

VITTORIO LUSSANA

ERA MEGLIO SE FACEVO L’ATTOREun monologo di Amleto, con Amleto, perAmletodi e con Andrea Onoriconsulenza artistica Mariagrazia TorbidoniProduzione Virgolatreperiodico

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Ilaria Manocchio,Chiara Acaccia

e Valerio Riondino:“Ognuno di noi

ha un lato oscuro”

All’interno della X edizione del Nops Festival un primo ‘spac-cato’ interessante di uno spettacolo ‘noir’ prodotto propriodalla compagnia organizzatrice della manifestazione: la ten-tazione di ‘sondare’ il pubblico era troppo forte e i ragazzi di‘Nogu Teatro’ ne hanno saputo approfittare

La X Rassegna del NOpS – Nuove Opportunitàper la Scena, organizzata dal Nogu Teatro, haconcentrato la sua programmazione al TeatroTor Bella Monaca e all’Ex Mercato diTorrespaccata di Roma. Ponendo al centro del-l’attenzione il tema del decentramento cultura-le, la rassegna ha permesso agli abitanti dei duequartieri periferici di assistere a vari spettacoliteatrali. Sui due palchi si sono alternate produ-

zioni complete ed estratti di rappresentazioni acui si assisterà nella stagione teatrale2018/2019. Uno di questi è ‘Trash –Disinfettato, Sterilizzato, Asettico’ diMargherita Ortolani, portato in scena propriodal gruppo ‘Nogu Teatro’ tra le strutture esternedell’Ex Mercato, dove solitamente s’impara ilparkour. La regia di Ilaria Manocchio dona unsenso di dinamismo, anche dal punto di vista

“Ho fame di sapere, to be or not to be”è la scrit-ta sul cartello che porta in scena Andrea Onori.E tramite questa frase, l’attore comincia a instil-lare i primi lievi dubbi nel pubblico. Il momentodi riflessione è breve e dura giusto il tempo delladomanda, per poi perdersi sotto il ritmo dei gio-chi di parole, delle battute ironiche, delle osser-vazioni caustiche. Lo spettacolo si divide essen-zialmente in due parti: dopo un primo serratoprologo, in cui vengono messe in campo tutte leproblematiche dell’esistenza e si usa il pubblicoper costruire la scena e renderlo complice, l’im-magine reale si fa sempre più discontinua eframmentata, in un clima di vuoti e di attese datensione drammaturgica. Un capocomico daicaratteri di un eroe tragico, Onori disseminarivelazioni e indicazioni su ciò che sta portandoin scena, tra chiare definizioni del genere ‘meta-teatrale’ e continue denunce sociali, fino allarottura della ‘quarta parete’. In questa vorticosamescolanza di registri, toni e stili recitativi, lavera protagonista è la solitudine, che non lasciavie d’uscita all’uomo/attore. Questi si muove sulpalco con occhi famelici di arte, cercando conogni mezzo di resistere alla condanna del pro-prio eterno inferno. La tragedia, sempre ugualea se stessa, diviene dunque una metafora delconsueto copione del duro mestiere dell’attore,sempre in cerca di finanziamenti e costante-mente impantanato in una burocrazia surreale,dove la ‘trafila’per la richiesta di un permesso sitrasforma in una grande e faticosa ‘caccia altesoro’. Ne abbiamo parlato insieme a lui al ter-mine dello spettacolo proposto quest’annopresso l’ex Mercato di Torrespaccata, alla X edi-zione del Nops Festival.

Andrea Onori, puoi spiegarci innanzituttoquesto tuo interesse ‘shakespeariano’ perl’Amleto? E’ il punto più alto del teatro,secondo te?“Se è il punto più alto non lo so. Tuttavia, mi hasempre affascinato, perché è un testo su cui si èstato scritto tutto e il contrario di tutto. Mi piaceimmergermi in un qualcosa che non avrà mai

fine. Sono stati versati fiumi di inchiostro suquesto testo, che puoi girare e rigirare. E, forse,questa sua complessità è data proprio dall’ideache è complesso. Una cosa che mi ha colpitotantissimo nella mia vita è stato vedere GabrieleLavia al Teatro Argentina, qualche anno fa, cheha proposto una sua lettura di Amleto durataquasi cinque ore. Non lo ha letto tutto, ovvia-mente, ma ogni due secondi interveniva conaneddoti per testimoniare la gioia di un bambi-no che raccontava questa tragedia. Quindi, èuna cosa talmente enorme che l’ho preso comespunto. Anzi, mi ci sono proprio ‘tuffato’, ancheper parlare del teatro stesso”.

Nel tuo ricreare l’Amleto in una chiave piùmoderna e attualizzata, sei talmenteattuale che, ogni tanto, sembra quasi chefai riferimento a situazioni dell’oggi, dellanostra politica, del mondo dello spettaco-lo e della società: è così?“Sì, perché penso che in tutte le visioni e inter-pretazioni che si possono dare dell’Amleto,quello che poi, alla base, o quello che a memuove, è questo senso della giustizia, perché infondo si parla di un figlio a cui è stato ingiusta-mente assassinato il padre. Puoi vederlo comeun padre simbolico o no, ma il sentimento che lomuove è questo. E viene da pensare a quanteingiustizie ci sono anche oggi e a quanto siamoin grado di trasformare questo senso di giustiziain azione, che è poi il vero problema di Amleto.Quindi, togliendo tutto quanto di mezzo, rima-ne questa cosa, molto forte e innata, in ogniessere umano, di fronte a un’ingiustizia e hoprovato a ‘giocare’anche con questo”.

In più hai inserito anche altri personaggipresi più dal filone napoletano, o italianoin generale, oppure hai presentato il clas-

sico ‘tronista’ televisivo o l’attore che fa‘stand up comedy’ in televisione, chevuole risolvere la serata: perché?“Sì, c’è anche ‘Marcelito’, all’inizio. E comunque,mi interessava parlare anche di personaggi dicarattere ‘esterno’ all’Amleto. E’ un po’ tutto ungioco, perché ancora non ho capito neanche iose è Amleto che si mette a fare questi personag-gi, come se fosse Amleto che mette in scenal’Amleto: è un gioco di più livelli. L’idea, invece,di ricorrere alla tradizione napoletana è statofatto per giocare anche con i ‘padri’, con questorichiamo a Eduardo. Ma ci sono anche richiami atanti altri ‘padri’, come per esempio De André eUngaretti. Sono dei ‘padri’che sento miei, quin-di c’è tutto un discorso attorno a questi ‘padri’,simbolici o reali e sul nostro rapporto con loro”.

Alla fine, hai fatto un lavoro alquantocomplesso: quanto tempo è che ci stailavorando su?“Abbiamo debuttato a gennaio di quest’anno.Avevo questo testo che, dopo qualche mese,l’ho messo in scena perché, comunque, è anchemolto immediato, non ha molte partiture fisi-che ed è molto giocato sull’estemporaneità.Però, indubbiamente, c’è stata una costruzionedi testo, su cui ho poi giocato per creare un ‘pat-chwork’ all’interno, per trovare un ‘filo’ per rac-contarlo. Inoltre, mi piace pensare di cambiarlo

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Andrea Onori:“Il mio Amleto

è in continua evoluzione”Un testo molto articolato sul mestiere dell'attore: un rappor-to tra vita e teatro giocato per scherzo, ma con qualche vena-tura critica, intorno alla grande tragedia ‘shakespeariana’

Giulia Pennati e Francesco Giuliani: “Unastoria lungo un sogno: la danza linguag-gio universale”

Uno sguardo al passato per raccontare la vitadi alcuni personaggi, da Frank Sinatra aMarilyn Monroe, da Ella Fitzgerald a LouisArmstrong, attraverso un sogno in cui si vivo-no momenti romantici negli anni del dominioplanetario della musica jazz

La compagnia teatrale De.MoS Dance Co.,anch’essa presente alla X rassegna del NopsFestival – Nuove opportunità per la scena, haben rappresentato con la danza un mondo‘retrò’. Eleonora Marrone, Giulia Pennati,Ylenia Dimauro e Francesco Giuliani con ‘Just astep back’, rivolgono uno sguardo al passatoscegliendo di raccontare un po’ della vita dialcuni personaggi: Frank Sinatra, MarilynMonroe, Ella Fitzgerald e Louis Armstrong.Attraverso un sogno si vivono momentiromantici, come un excursus musicale in ‘chia-ve jazz’, composto dalla scelta di alcune colon-ne sonore. L’intento della compagnia è chetutti possono ricevere qualcosa dalla rappre-

sentazione, tanto da potersi immedesimareall’interno di contesti dolci e nostalgici.

Francesco Giuliani e Giulia Pennati, ‘Justa step back’ è uno sguardo al passato? Inche termini?Francesco Giuliani: “Abbiamo rappresentatodei personaggi molto importanti, come FrankSinatra, Marilyn Monroe, Ella Fitzgerald eLouis Armstrong, creando una storia derivatada un’idea di Giulia e collegando, così, lediverse figure”. Giulia Pennati: “Abbiamo cercato di coglieredegli aspetti delle vite di questi artisti, real-mente accaduti ma poco conosciuti, come peresempio la relazione tra Frank Sinatra eMarilyn Monroe. Abbiamo, inoltre, inseritoalcuni aspetti degli inizi della carriera di EllaFitzgerald, quando non era ancora famosa.Infine, abbiamo contestualizzato il locale incui Marilyn Monroe ha avuto il suo primo con-tratto, promettendo al padrone di prenderesempre il tavolo al centro dello stesso. In que-sto modo, abbiamo cercato di tessere unavicenda che avesse qualcosa di attuale mache, al contempo, rivolgesse uno sguardo al

passato attraverso la danza, sebbene, a volte,sia difficile far arrivare il messaggio al pubbli-co. Di conseguenza, abbiamo tentato di ram-mentare la storia mediante il sogno: FrankSinatra, per esempio, è all’inizio della carrierae cerca lavoro, ma nessuno sa chi realmentesia. Non trovando un impiego, si deprime esogna di incontrare i personaggi citati, con iquali ha interagito realmente. Nel risveglio,noi omaggiamo la sua figura”.

La vostra ‘perfomance’ è altresì unomaggio ai film dell’epoca, al jazz e allecomiche, come Charlie Chaplin?Giulia Pennati: “Si. Quest’ultimo è statointrodotto come figura di ‘mago’, al fine didare un senso profondo all’insieme e al suopersonaggio innovatore, includendolo nella

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Giulia Pennati e Francesco Giuliani:“Una storia dentro un sogno:

la danza linguaggio universale”Uno sguardo al passato per raccontare la vita di alcuni personaggi, da Frank Sinatra a MarilynMonroe, da Ella Fitzgerald a Louis Armstrong, attraverso una visione onirica in cui si vivono mo-menti romantici negli anni del dominio planetario della musica jazz

delle movenze. Si sfrutta l’ambiente circostante,in cui la stessa Manocchio affiancata da ChiaraAcaccia e Valerio Riondino, riesce nel suo inten-to: rappresentare la parte buia di ciascuno emostrarla al pubblico. Dai registri ‘noir’, l’estrattoriesce al contempo a essere incisivo, cinico e sar-castico: stati d’animo necessari sia per indagarei rapporti familiari, sia per dare voce alla profon-dità umana e alla sua complessità.

Ilaria, Chiara e Valerio, il vostro ‘corto’ tea-trale, a noi è sembrato avere un taglio‘noir’: è così?Ilaria Manocchio: “Come dimostra l’abito neroche indosso, sì. Anche perché è disinfettato esterilizzato. È rimasto solo il nero, che non va via.Anzi, questo colore lo abbiamo tutti, anche setentiamo di nasconderlo, ma c’è. Il nostro inten-to era proprio quello di farlo vedere al pubblico”. Chiara Acaccia: “Mi piace molto questa vostraosservazione, ovvero dello ‘stile noir’, perché èuna caratteristica essenziale di questo estrattoche abbiamo proposto. Ritengo, infatti, che‘Trash – Disinfettato, Sterilizzato, Asettico’abbiadelle alternanze grottesche. Di conseguenza, midiverte molto la vostra percezione, che va versoquesta direzione”.

Un’altra impressione riguarda proprio ilruolo, Chiara Acaccia: un personaggio chesdrammatizza i ritmi di odio rispetto aglialtri due personaggi, che si stuzzicano avicenda: cosa ne pensate?Chiara Acaccia: “In realtà, il personaggio cheinterpreto non è ancora consapevole. E’per que-sto che intervalla delle fasi di ironia gratuita,portando all’estremo la sua ingenuità. Alla fine,però, arriva il momento più ‘crudo’, quello dellaconsapevolezza, fatto di scoperte e di crescita.Potrebbe essere l’istante di conoscenza o didistacco dall’adolescenza Si entra, così, nel pro-fondo, tuffandosi nel pozzo oscuro”.Ilaria Manocchio: “A tal proposito, ci siamodomandati con Valerio: “Io ti ucciderei, tu miuccideresti: perché, allora, non ci siamo uccisifino a ora? Fino a che punto vogliamo arrivare”? Si accennava, in precedenza, a una ‘parte

nera’ di ognuno di noi: si può arrivare allascoperta di questo lato, se si vuole, oppu-re lo si nasconde sempre, per cercare di‘svicolare’ e arrivare dove si vuole arrivare,per esempio, nella vita?Ilaria Manocchio: “Purtroppo, c’è. E, nono-stante tutto, si porta avanti la propria vita facen-do delle scelte, anche se inconsapevolmente,per colpa o per merito della propria parte ‘nera’.Sapere che essa è in noi può essere un bene, inquanto si può raggiungere uno stato di coscien-za maggiore. Ho infatti cercato di spingere tantosui nostri personaggi: due fratelli che, in realtà,si ammazzerebbero ma che, in fondo, sonobuoni. Hanno quindi raggiunto una pace nel-l’accettare di essere così”. Valerio Riondino: “Durante le prove è iniziatauna discussione in cui mi sono trovato in disac-cordo con Ilaria: ero convinto che l’origine delleazioni dei due fratelli fosse anche mossa dal-l’amore. Invece, ho trovato uno squilibrio tral’essere buoni o cattivi”.

L’estratto a cui abbiamo assistito, oltre araccontare uno sfondo sociale fatto di rap-porti familiari e di eredità, va anche a toc-care il profondo delle nostre personalità?Chiara Acaccia: “Noi usiamo questo testocome un ‘pretesto’, perché fa molto gioco, è rico-noscibile da tutti e, inoltre, descrive delle dina-miche e delle situazioni facili da comprendereper tutti. Trovo interessante l’intelligente lavoroche ha svolto l’autrice, la quale ha utilizzato unatrama comprensibile, inserendo al suo internoun campionario di emozioni e di colori che pos-sono poi distribuirsi e spalmarsi in tutte le circo-stanze della vita”.

Dunque, c’è una lotta tra il bene e il male?Valerio Riondino: “Non è un rassegnarsi, bensìè una presa di coscienza, in quanto, da esseriumani, non possiamo farci nulla. Come gli ani-mali abbiamo degli istinti: siamo fatti non solodi luce, ma anche di oscurità”.Chiara Acaccia: “E’ una lotta tra il bene e ilmale, ma fino a un certo punto, proprio perchéil bene e il male possono, in qualche modo, tro-vare un accordo, andare a ‘braccetto’. Ritengo,inoltre, che non c’è buio senza luce e viceversa.E’ quasi un prendere per mano il buio e cammi-narci insieme”.

È un po’ come accompagnare il buio, iden-

tificando quello che c’è dietro di esso erimanere sorpresi rispetto quello che puòavvenire?Ilaria Manocchio: “Quando non sai con checosa hai a che fare, non sai come gestirlo. Nonsapere che tipo di buio si ha dentro significa che,da un momento all’altro, si impazzisce, non riu-scendo più a sostenere la situazione”.Valerio Riondino: “È pericoloso, infatti”.

Quando potremmo assistere alla versioneintegrale di questo spettacolo?Chiara Acaccia: “Ancora non lo sappiamo. Cisono delle dinamiche che dobbiamo gestire, siacon l’autrice, sia con la compagnia, per faredelle riflessioni al riguardo. Intanto, era impor-tante vedere se questo estratto avrebbe potutoaprire alcune prospettive”.

Valerio e Ilaria, i vostri personaggi sem-brano due ‘pipistrelli’, o due ‘avvoltoi’ cheattendono e desiderano succhiare dall’al-tro qualcosa: è così?Ilaria Manocchio: “Trovo sia la cosa piùmeschina. Infatti, questi ‘rapaci’ aspettano chequalcuno muoia per andare all’attacco”. Valerio Riondino: “Era voluto”.

Avete scoperto qualcosa di nascosto in voistessi grazie a questo spettacolo?Chiara Acaccia: “Interpreto la tua domandacome un tirar fuori il ‘magma’interiore, i ‘mostri-ciattoli’ che ci abitano dentro, dandogli comun-que un nome, riconoscerli, farci amicizia, litigar-ci. Personalmente, non sono arrivata a uno statocompleto di consapevolezza”.Valerio Riondino: “Questa cosa l’affronto ognivolta che studio un testo nuovo, anche se inmodi diversi e con colori differenti. Di conse-guenza, scopro una parte di me che non utiliz-zavo e non preferivo, ma in quel caso, per queltesto, era necessaria. Ho dovuto così metterla ingioco e portarla in superficie. Inevitabilmente,la si individua, apprendendo e migliorando”.

ANNALISA CIVITELLI

TRASH. Disinfettato, sterilizzato, asetticodi Margherita Ortolaniregia Ilaria Manocchiocon Chiara Acaccia, Ilaria Manocchio e ValerioRiondinoNogu Teatro

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prima scena, anche con quella metodologia:quella dell’assurdo. Già proporre il fatto che esi-sta un personaggio che, a quanto pare, ha un‘supercervello’, che lavora in una superaziendache si vede soltanto tramite una scala da mura-tore con sopra un sedile, è assurda quella cosa lì.Ma ha una sua logica come, per esempio, labenda e altri dettagli. Quindi, quel riferimento,quella sensibilità del teatro dell’assurdo non laposso negare: ne sono affascinato. E’un qualco-sa che, non nella totalità, perché trovo difficilis-simo farlo, come può essere un Ionesco, peròqualche stimolo, appunto, qualche ‘passaggio’,mi fa piacere che tu lo abbia notato”.

Ma questo ‘uomo-server’ è un richiamoall’attualità, in cui tutti ormai stiamo die-tro a uno schermo e i rapporti umani sonofalsati, poiché proiettiamo un’immagineche, in realtà, è parziale di noi stessi? E’questa la chiave critica?Pasquale Faraco: “Perfetto: anche qui haicolto nel segno. Io sono ‘partito’ – dato che iltesto originario è già di un anno e mezzo fa – daun semplicissimo fatto quotidiano, che mi capi-ta spesso: dire cioè continuamente a mia moglie“sì, ora vengo”, mentre invece sto ancora a ‘caris-simo amico’. Su questo, ho anche fatto un picco-lo spettacolo che io ‘posto’ - dunque esisto - sufacebook. Comunque, l’idea era questa: cosaaccadrebbe se io mi facessi prendere dal narci-sismo, dalla vanità, perché un’azienda mi offrequalcosa in cambio del mio cervello? Un cer-vello che ha una capacità di calcolo maggioredi qualunque computer esistente. Da lì è par-torita l’idea. E questa è una cosa importante:rinunciare alla vita reale, in favore della vitavirtuale. Poi, però, il reale irrompe inevitabil-mente. Quindi, il ‘punto’ centrale è proprioquesto: cosa accade quando il reale irrompe?Accade che i rapporti umani deflagrano o,comunque, sono costretti a ‘ritararsi’ o a ripro-varci, ecco. Quindi, l’avvertimento è proprioquesto: attenzione, esistono anche i rapporti

umani, che vanno salvaguardati”.

Infatti, noi abbiamo notato che, nellascena finale, uno dei due personaggiquasi si scusa con l’altro, che invece nonparla più: si cerca, cioè, di riaprire unanuova fase, un nuovo ciclo del rapporto: ècosì?Marin De Battè: “A me piacerebbe che quellascena fosse vista come una provocazione.Perché voi avete visto l’inizio, lo svolgimento e lafine in 20 minuti, ma io non mi accontento equasi lo vorrei riproporre, un po’ in analogia conil principio ‘beckettiano’ dell’assurdo, anche unpo’precedente”.Pasquale Faraco:“In realtà, dobbiamo svelareche, stasera, il finale lo abbiamo sbagliato deltutto. Nel senso che, anche per questioni ditempo, lo spettacolo è ancora in fase embriona-le, dunque stiamo ancora sviluppando delleidee, lavorando anche con difficoltà, io daBologna, Pasuqale da Roma. Anche se ci stiamomolto divertendo e anche scontrando: una cosabellissima. Tuttavia, il finale lo avevamo pensa-to diversamente. Solo che, per questioni anchetecniche, visto che lo spettacolo è complesso eusiamo le immagini, il sonoro, le luci e viadicendo, ci è ‘scappato’ così. Il fatto che tu abbiavisto queste cose, per noi è importante, stimo-lante: vuol dire che ci possiamo lavorare e chenon è sembrato un finale ‘tirato’...”. Marin De Battè: “Io l’ho comuqnue trovatomolto stimolante: di scena in scena, c’è sempreuna nuova strategia, un nuovo metodo peraffrontare quella strategia e un nuovo conflitto.Se questa cosa si rigenera come l’amore stesso,allora il teatro è vivo e la gente si attiva. Nonbisogna mai, mai, far annoiare il pubblico dopoun momento bellissimo”.

Un’ultima domanda sul titolo,Anankastico68, che indubbiamente è unnickname: la cifra alla fine è solo un datoanagrafico, oppure c’è anche un riferi-mento generazionale al ’68 e agli annidella contestazione?Pasquale Faraco: “E’ un nickname, certamen-te, ma potrebbe anche essere un richiamo con-testatario: una persona del pubblico che ha pre-stato molta attenzione può aver percepito que-sto richiamo al ’68. E non mi dispiace, poichéanche questa è una ‘traccia’, che dimostra che ilpubblico è coinvolto. A me è piaciuta molto que-

sta iniziativa, quindi ringrazio il Nops e anchevoi di Pim, perché ci state dando la possibilità diseguire delle tracce. Questa del ’68, per esem-pio, è una cosa a cui non avevamo assolutamen-te pensato, mentre invece è interessantissima,perché in realtà c’è un tentativo di contestazio-ne da parte di quest’uomo. E’ come un ‘cricetonella ruota’, ma in qualche modo cerca di sfug-gire al proprio destino, finché ‘deflagra’, a uncerto punto. Quindi, c’è una vena contestatariainevitabile: quella di un vivente che non vuolemorire, che non accetta la situazione. Comequando afferma: “Non avete eliminato forme divita”: lo dice quasi contento, anche se, allo stes-so tempo, sembra quasi che, oggi, il vivente fac-cia più paura del virtuale, che è il vero ‘mostro’della storia”.Marin De Battè : “C’è una teorema su cuiabbiamo lavorato, in maniera lucida e cosciente,sin dalle prime prove: 3 princìpi. 1) Il principio di‘distrazione’; 2) il principio di distruzione; 3) ilprincipio di informazione. Diciamo che noi vor-remmo lavorare su una cosa ciclica con questitre elementi, di scena in scena. Ecco perché c’èchi ha visto un ’68 come vicenda storica italianae chi, più semplicemente, lo considera soltantouna data anagrafica”.

Bene: voi adesso svilupperete questoòavoro ulteriorente. avete già dei proget-ti in cantiere o qualche proposta?Pasquale Faraco:“Forse, da qui qualcosa sem-bra nato, anche se, come sempre, bisognaandare coi ‘piedi di piombo’ e capire comeandrà”.

Insomma, nell’inverno prossimo vi rive-dremo?Pasquale Faraco: “Sicuramente, sì: faremo ditutto per rivederci”.Marin De Battè: “Siamo entrambi moltotestardi, ma entrambi molto pazienti”.

VITTORIO LUSSANA

ANANKASTICO68 - L’UOMO SERVERdi e con Pasquale Faraco e Marin De Battèregia di Batièluci, sonoro, oggetti di scena e video Dragan Miladinovicda un’idea di Pasquale Faraco, DraganMiladinovic e Paolo SchenaMassa a Fuoco

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vastissima epoca del Novecento”.

Avete unito diversi tipi di danza?Francesco Giuliani: “Sicuramente. Abbiamocombinato differenti stili e formazioni (classi-co, moderno, contemporaneo) per disegnareun qualcosa di vario, donando allo spettacolouna disparata gamma di colori”.

Abbiamo notato, appunto, che il vostrocollega era più pratico nella ‘breakdance’: come mai?Francesco Giuliani: “Diciamo che ha fatto unrichiamo a questo tipo di ballo”.

Avete omaggiato anche dei film?Giulia Pennati: “In realtà, tra le colonnesonore abbiamo scelto ‘Lalaland’ e ‘The littleshow man’, perché sono due film attuali, per-tanto riconoscibili da un pubblico più giovane,che non conosce il resto delle musiche. Di con-seguenza, può provare delle sensazioni eimmedesimarsi all’interno di alcuni contesti,altrimenti la rappresentazione diventata diffici-le da concepire per tutti: il nostro obiettivo é chetutti devono ricevere qualcosa da essa”. Francesco Giuliani: “Infatti, a chi non conoscei personaggi, in ogni caso, arriva una storia”.

Quando pensate che ‘Just a step back’potrà essere completato?Giulia Pennati: “Noi ci auguriamo di portar-lo in scena dalla primavera prossima in poi(per una durata di cinquanta minuti), contutta la scenografia. Stiamo infatti lavorandoal montaggio di tutte le musiche. Speriamo dicoinvolgere anche altri ballerini in questo pro-getto, quindi di ampliarlo un po’.Chiaramente, in uno spazio più ampio”.

Annalisa Civitelli

JUST... A STEP BACKdi e con Eleonora Marrone, Giulia Pennati,Ylenia Dimauro e Francesco GiulianiDe.MoS Dance co. Associazione culturale Erasmo da Rotterdam

Un teatro anarchico, sperimentale e d’avan-guardia, che presenta la vita di un uomo peren-nemente connesso in rete, sfruttato per la suacapacità di fare calcoli e profetizzare movimentidi borsa, colpi di Stato, guerre e tracolli finanzia-ri. Immerso nella sua realtà virtuale, il protago-nista perde il senso con la realtà e rischia dideteriorare la sua amicizia con l’allievo Giulio,che cerca di richiamare l’amico, senza moltosuccesso. La chiave critica è molto interessante:siamo ormai finiti ben oltre la tematica ‘pasoli-niana’ dei modelli imposti dalla televisione.Quel confine è stato ormai superato da tempo eil cervello umano risulta catturato dal mondovirtuale, che ne gestisce persino le ansie e le esi-genze, senza più alcuna concessione allo spirito,né ai valori dell’anima. La traccia di collegamen-to con la contestazione del ’68, cioè quella diuna generazione che ha cercato di opporsi a unamassificazione che trasforma ogni cosa in guer-ra, appare evidente, benché immersa in una

rappresentazione a tratti delirante. Ma il delirioè un dato oggettivo: è questo il nuovo codice delsistema di mercato, per controllare le menti eutilizzarle a proprio vantaggio. In fondo, è lamedesima ‘chiave’interpretativa di Peter Weir in‘The Truman show’, in cui il protagonista, in que-sto caso, stenta ad assumere consapevolezza dicome tutto ciò che vive attorno a lui sia una pro-iezione dettata da algoritmi esogeni alla stessaesistenza umana. Interessante.

Pasquale Faraco e Marin De Battè, unaprima domanda orientativa sul vostrospettacolo, che appare un po’ difficile,anche se abbiamo trovato alcuni spuntiinteressanti: siamo in una specie di teatrodell’assurdo post moderno?Marin De Battè: “Io non ho problemi adammettere che uno dei miei testi preferiti è‘Ubu roi’ (‘Ubu re’, di Alfred Jarry, ndr). Quindiragiono, soprattutto all’inizio, nella genesi della

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Pasquale Faraco e Marin De Battè:“Il mondo virtuale

può diventare un ‘mostro’poco controllabile”

Anankastico68: un’anteprima che attualizza il teatro dell’as-surdo, ponendolo in rapporto con una modernità che ha or-mai varcato i confini della follia

luzionaria?Alessandra Panzone: “Ma infatti, il nostropensiero si è rivolto ai ‘Panakawan’, cioè al tea-tro di figura dell’isola di Giava, proprio comeun modo per non prendere la cosa troppo sulserio..”.Marco Bartolini: “Sono tra i primi ‘clown’ chesiano mai esistiti”.Alessandra Panzone: “Esatto. Eppoi, sonofantastici, sono bellissimi, sono figure incredi-bili, estremamente elaborate”.

Obiettivamente, il risultato da voi otte-nuto, sotto il profilo scenografico, èeccellente: un effetto di contrasto inte-ressante, anche se poi si torna all’uomooccidentale, all’uomo televisivo, chediventa lui stesso un televisore, come sevi fosse un diaframma inutile tra chiparla ‘ex cathedra’ e chi riceve l’informa-zione: è così?Alessandra Panzoni: “Sì. Infatti, la nostraidea è nata proprio attraverso questi‘wayang’, queste marionette, per la loro bel-

lezza, per come sono elaborate e decorate. E,soprattutto, per il fatto che il pubblico vedesoltanto la loro ombra, senza riuscire a fruiredi questa loro bellezza. E quindi, ci siamochiesti: che cosa potrebbero fare questi per-sonaggi in una realtà contemporanea comequesta? E come si potrebbero usare, oggi,questi strumenti di comunicazione? Tuttoqui”.

In effetti, si tratta di una buona idea, diun ottimo spunto, anche se, ovviamen-te, dobbiamo fare gli ‘avvocati del diavo-lo’ e porvi anche delle domande un po’‘scomode’: questo vostro ‘estratto’, quan-do lo avrete sviluppato, dove lo portere-te? E quando avremo modo di vederlocompleto?Marco Bartolini: “Sono queste le veredomande ‘scomode’...”.Alessandra Panzone: “Giusto: son queste,non quelle di prima. E, infatti, a questadomanda, al momento, proprio non sappiamorispondere”.

Comunque, continuerete a lavorarci, aprovare, incontrandovi ogni giorno inpalestra?Alessandra Panzone: “Assolutamente sì.Questo è un teatro fisico, in realtà: è il suo lin-guaggio principale, perché non esiste testo,non esiste parola. In secondo luogo, noi pen-siamo proprio all’internazionalità di questolavoro e alla possibilità di mostrarlo anche aldi fuori dai nostri consueti limiti geografici.Quindi, il corpo diventa il mezzo principale diespressione, ma per quanto riguarda la distri-buzione, siamo alla ricerca di possibilità e didisponibilità, anche economiche: non nascon-diamoci dietro a un ‘velo’...”.

VITTORIO LUSSANA

MAGNUM OPUSdi e con Marco Bartolini, Johan Tirado,Alessandra Panzone, Alessandra Francolinie con il Collettivo sonoro RêvêrTeatro del Mantice

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’Magnum Opus’ è uno spettacolo decisamenteinteressante, che attraverso un gioco di con-trasti evidenzia le nostre contraddizioni senzaporsi su un piano di ‘superomismo intellettua-le’, evitando cioè di fornire risposte, soluzioni oconsigli. Partendo dai giochi di ombra dellacultura ‘giavanese’, tipicamente orientale, iragazzi del ‘Teatro del Mantice’ evidenziano ilcontrasto evidente con la filosofia occidentale,la quale non è affatto rivoluzionaria, bensìimpositiva, ipocrita e falsa. Siamo tutti schia-vizzati dalla comunicazione, dalla religione,dalla pubblicità. Una serie infinita di ‘contami-nazioni formali’ che, in realtà, servono soprat-tutto a nascondere la nostra mentalità furbe-sca, opportunista e truffaldina. Persino lapolitica può essere considerata un gioco diombre, utili soprattutto a intrattenere la follaper depistarla, ovvero come metodo di ‘conte-nimento’e di controllo sociale. Lo spettacolo sichiude con un accento critico verso l’informa-zione televisiva, che ha il solo e unico scopo dimodellare e omologare gli individui, margina-lizzando gli aspetti migliori dell’animoumano, che esistono sin dai tempi della socie-tà di natura. Ne abbiamo parlato con due ele-menti della compagnia pratese del ‘Teatro delMantice’, Alessandra Panzone e MarcoBartolini, secondi classificati, con ‘MagnumOpus’, della sezione ‘Anteprime’ della X edizio-ne del Nops Festival 2018.Alessandra e Marco, il vostro lavoro,

‘Magnum Opus’, noi lo abbiamo conside-rato sperimentale, ma a tratti coraggio-so, poiché è presete un’accusa nei con-fronti dei media televisivi che ci ‘bom-bardano’ e ci impongono dei ‘modelli’:siamo tutti manipolati, secondo voi?Marco Bartolini: “Più che parlare di manipo-lazione globale, noi vorremmo trattare il temadella manipolazione dell’informazione globa-le. Quindi, il vero tema non è tanto quello checi viene imposto, quanto quello che vienefatto all’informazione stessa. Noi, oggi, ci tro-viamo di fronte alla possibilità di esperireinformazioni completamente fasulle, purtrop-po. E di riuscire comunque a ricavarne unaverità, oppure a ‘berci’ quel che ci viene propi-nato. Questa è la vera accezione che emergeda una piccola parte del nostro spettacolo”.

Voi ritenete di avere titolo per contesta-re alcuni elementi del mondo dell’infor-mazione, che comunque è un mestieredivrso dal vostro, quello degli attori?Marco Bartolini: “Infatti, noi non vogliamoproprio ‘contestare’ un mondo, ma quello cheviene fatto all’informazione, cioè come essaviene resa”.Alessandra Panzone: “Sì, allora: la cosa chenoi vogliamo evitare in assoluto è il giudizio.Giudicare o dare per forza un’opinione, anchese un messaggio c’è, ovviamente, per lo spet-tatore. Noi cerchiamo di essere più semplici

possibile, sia nell’esprimerci, sia nei linguaggiutilizzati, per parlare di una cosa abbastanzacomplessa. Non per giudicarla, ma semplice-mente per mostrarla: il giudizio lo lasciamo alpubblico”.

Nella parte iniziale di questo vostro‘estratto’, che poi voi svilupperete ulte-riormente, c’è un richiamo a delle artiteatrali orientali: ci potete parlare delperché avete inserito un elemento così‘spurio’, o apparentemente distante?Marco Bartolini: “Proprio per evitare di‘impelagarci’ in una incomprensione di quelloche poi poteva essere il nostro ‘messaggio’ eanche al fine di evitare di dare un’interpreta-zione, la nostra idea è stata proprio quella diandare a prendere dei personaggi completa-mente distanti, rispetto al mondo occidentalee contemporaneo in cui viviamo. Così, siamoandati a prendere i ‘Panakawan’, che sono ipersonaggi comici della mitologia e della tra-dizione del ‘teatro di figura’ dell’isola di Giava,ponendoli di fronte alla nostra modernità. Ciòha creato un effetto di ‘contrasto’. E’ un po’ laparabola del ‘buon selvaggio’, per vedere cosasuccede a questo ‘buon selvaggio’ quando siritrova di fronte alla modernità”.

Siete consapevoli del fatto che la culturaorientale è profondamente cumulativa,mentre invece quella occidentale è rivo-

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Alessandra Panzone e Marco Bartolini:

“Il linguaggio del corpoè il nostro credo”

Un progetto molto interessante messo in scena dal gruppopratese del ‘Teatro del Mantice’, che ci segnala come il mododi vivere occidentale sia in contraddizione o, spesso e volen-tieri, basato sull’annullamento di ogni punta critica, regolar-mente ‘smussata’ o resa inoffensiva attraverso svariati meto-di di contenimento sociale


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