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Indagini sulla lavorazione dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle...

Date post: 24-Nov-2023
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arte Veneta / / / / / / 71 / 2014 Electa arte Veneta 71 / 2014 Rabeschi d’oro Pittura e orefi ceria aVenezia in età gotica Euro 95,00
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arte Veneta71 /2014

Euro 95,00

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tanò ben presto dai modelli del predecessore Paolo Veneziano, allora all’apice della carriera, aprendosi agli infl ussi

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71 /2014

Electa

arteVeneta71/2014

Rabeschi d’oroPittura e orefi ceria aVenezia in età gotica

Euro 95,00

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arteVeneta71/2014

arteVeneta

Electa

71/2014

Rabeschi d’oroPittura e oreficeria a Venezia in età gotica

Direttore

Luca Massimo Barbero

Comitato scientifico

Irina ArtemievaAndrea BacchiLuca Massimo BarberoWilliam Barcham Matteo CerianaHugo ChapmanKeith ChristiansenAndrea De MarchiMiguel Falomir FausTiziana FrancoSimone GuerrieroStéphane LoireGiordana Mariani CanovaStefania Mason Nicholas PennyVittoria RomaniPierre RosenbergPaola RossiXavier F. SalomonCatherine WhistlerFulvio Zuliani

Redazione

Andrea BacchiWilliam Barcham Matteo CerianaAndrea De MarchiSimone GuerrieroGiordana Mariani CanovaStefania Mason Paola RossiFulvio ZulianiChiara Ceschi, segreteria

Istituto di Storia dell’ArteFondazione Giorgio CiniVeneziatel. 041-21.10.230fax 041-53.05.842e-mail [email protected]

Rivista di storia dell’arte fondata nel 1947

arteVeneta

www.electaweb.com

© 2015 by Mondadori Electa S.p.A., Milanoe Fondazione Giorgio Cini, VeneziaTutti i diritti riservati

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I contributi critici – proposti dagli autori o frutto d’invito – sono sottoposti al vaglio della Redazione e dei revisori anonimi della rivista.Elementi necessari all’accettazione sono l’originalità dell’elaborato e l’esclusività per la stampa in “Arte Veneta”.I saggi, composti secondo le Norme redazionali della rivista, devono pervenire in formato Word (cartella di 2000 battute); le immagini di corredo in formato digitale (minimo 300 dpi per 15 x 15 cm), in un file apposito con relative didascalie.Si chiede l’invio nella lingua madre per i testi in inglese, francese, tedesco e spagnolo.Gli autori sono responsabili dell’assolvimento di eventuali diritti di copyright per le immagini che illustrano il testo.Il nome e il recapito dell’autore (indirizzo postale, numero di telefono, indirizzo mail) devono comparire in un foglio separato.

Il materiale va indirizzato e spedito esclusivamente alla Redazione di “Arte Veneta”: Fondazione Giorgio Cini Istituto di storia dell’arte Isola di San Giorgio Maggiore30124 [email protected]

Rabeschi d’oroPittura e oreficeria a Veneziain età gotica

Numero monograficoa cura diCristina GuarnieriAndrea De Marchi

9 La ricezione dell’oro. Una chiave di lettura per la storia della pittura veneziana dal Duecento al tardogotico Andrea De Marchi

37 Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini Cristina Guarnieri

63 Oro e pittura a Venezia attorno all’anno 1300: consuetudini di bottega tra incisione e granitura Valeria Poletto

95 Il beato Iacopo Salomoni in una primizia di Paolo Veneziano Matteo Mazzalupi

101 Girali e racimoli. Paolo Veneziano e la definizione di un canone nella decorazione dei nimbi Roberta Maria Salvador

127 Fantasie granite. Lorenzo Veneziano e la varietà degli ornati sull’oro Irene Samassa

161 Sperimentazioni luministiche e geometrie variabili nelle incisioni dell’oro tra Nicolò di Pietro e Jacobello del Fiore Pamela Buttus

199 Temi d’ornato e microtecniche nell’oreficeria gotica veneziana a paragone con le arti maggiori Manlio Leo Mezzacasa

225 Miniature sotto cristallo e smalti traslucidi in un misconosciuto altare portatile a Malta Silvia Spiandore

ebook Bibliografia dell’arte veneta (2013) a cura di Paolo Delorenzi e Meri Sclosa

SOMMARIO

37 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

“…che con sentimento di fantasia e di mano leggiera tu puoi in un campo d’oro

fare fogliami e fare angioletti…” (Cennino Cennini, Il Libro dell’arte, cap. CXL)

Appare sorprendente la cura inusitata che Giotto, in talune occasioni, riservava alla lavorazione della foglia d’oro tramite la tecnica dell’incisione a mano libera. A osservare con attenzione le aureole della Vergine, del Bambino o degli angeli della Madonna di San Giorgio alla Costa, capolavoro giova-nile del maestro, si scopre un mondo inesauribile di segni impercettibile a distanza, un sistema orga-nizzato di solchi sottilissimi delicatamente tracciato sulla lamina dorata del fondo, che assume forme diverse, di grande inventiva e freschezza. A lettere e caratteri che reinterpretano fantasiosamente la scrittura araba, ispirati alle decorazioni di maioliche, oreficerie, tessuti o miniature orientali, si alter-nano motivi geometrici mistilinei, girali vegetali e, nel nimbo della Vergine, compassi polilobati in-trecciati a doppio nodo con tralci vitinei, volatili affrontati e figure alate mostruose dalla testa leoni-na�. Un’analoga esperienza ottica si può compiere osservando da vicino la Croce di Ognissanti� o la celebre Maestà della stessa chiesa�, ove la complessità dei motivi incisi a risparmio su un fondo lavo-rato in controtaglio raggiunge esiti di superba raffinatezza.

La maestria nell’uso dello stilo per disegnare trame preziose, la resa minuziosa e raffinatissima di ogni singolo dettaglio rabescato sull’oro costituiscono il felice contrappunto delle mirabili decora-zioni dipinte di stoffe o fasce ornamentali, cui veniva dedicata dal maestro fiorentino un’attenzione altrettanto scrupolosa. Sempre garbate e mai eccessive, raffinatissime ed eleganti, esse presentano in realtà il medesimo rigore e, quel che è più sorprendente, gli stessi tangibili effetti di inedito natu-ralismo e di risalto plastico osservabili negli elementi figurati. Difficile dunque considerare tali parti come marginali o secondarie ovvero dubitare che la loro esecuzione (e non solo l’ideazione) sia da imputare allo stesso Giotto, cui l’immagine di artista austero ed essenziale talora tramandataci dalla tradizione non pare in realtà attagliarsi perfettamente.

Benché nel maestro fiorentino la lavorazione della lamina metallica non sia comunque una co-stante e spesso nelle aureole si trovino sfondi lisci semplicemente bruniti, talora circondati da un’uni-ca linea di punzoni a bollo, tuttavia i casi esemplari più sopra citati ci permettono di riflettere attorno all’importanza di simili campiture decorative, spesso bandite dal nostro campo visivo e generalmen-te trascurate dagli studi tradizionali, attenti a privilegiare soprattutto i valori stilitico-formali. Lungi dal rappresentare mere sovrastrutture a carattere riempitivo, esse giocano, per contro, un ruolo fon-damentale nell’economia e nella percezione dell’opera. La superficie metallica, infatti, era considera-ta come corpo capace di dialogare con la luce (la luce incidente proveniente da una finestra o quella fioca, mobile e cangiante, delle candele) e di rapportarsi con l’immagine pittorica, esaltandola e do-tandola d’infiniti riverberi luminosi. Non solo nel caso di Giotto, ma nella maggior parte delle botte-ghe medievali era lo stesso pittore che, come orafo paziente, interveniva sul prezioso materiale sa-pientemente disteso e lisciato sul bolo, trattandolo con l’incisione a mano libera, la granitura o, infine, la punzonatura. In tal modo la lamina acquistava uno spessore e risultava al tatto ora liscia ora ruvida, mentre l’infittirsi o il diradarsi della lavorazione suggeriva effetti di ricercati chiaroscuri�. Nei casi più elaborati e qualitativamente sostenuti, come nelle opere di Simone Martini − cui invero spetta il pri-mato del trattamento orafo della lamina metallica e in specie della decorazione punzonata − non è possibile separare le parti dipinte da quelle dorate, tanto più che queste ultime spesso si amalgama-no con il corpo pittorico, in un continuo interscambio di luce e colore. Pertanto, pur costituendo un

1. Lorenzo Veneziano, Polittico Lion, particolare dell’arcangelo Gabriele dell’Annunciazione. Venezia, Gallerie dell’Accademia.

INDAGINI SULLE LAVORAZIONI DELL’ORO COME CONTRIBUTO PER LO STUDIO DELLA PITTURA VENEZIANA DELLE ORIGINICristina Guarnieri

39 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini38 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

microcosmo talora impercettibile o infinitamente piccolo, esse divengono parti integranti dell’ope-ra, e vanno dunque valutate in stretta correlazione con le qualità formali del dipinto.

Stato dell’arteNondimeno, lo studio delle diverse lavorazioni della lamina d’oro nei dipinti su tavola, utilizzando lo stiletto a mano libera o con l’ausilio di punzoni, è disciplina relativamente recente. L’interesse per tali aspetti prettamente tecnici dell’opera nasce nel corso degli anni venti e trenta del secolo scorso, in un clima generale di rinato fervore per lo studio dei primitivi italiani, e soprattutto per le origini della pittura toscana. Diversi studiosi di ambito anglosassone, nell’avvicinarsi, sia pur sporadicamen-te, all’argomento, individuarono fin da subito gli snodi critici essenziali, su cui si sarebbero sofferma-ti anche gli studi successivi: l’evoluzione dalla tecnica duecentesca dell’incisione a mano libera a quella trecentesca dell’impressione punzonata, cui fece eco il passaggio dal tratteggio incrociato alla granitura nel trattamento degli sfondi, e la dialettica tra i due centri artistici di Firenze e Siena, ovvero il ruolo di quest’ultima e di Simone Martini nell’invenzione della decorazione impressa realiz-zata con una varietà sempre più ricca di punzoni.

George Leslie Stout, ad esempio, figura di spicco nel campo della conservazione e del restauro dell’opera d’arte e dal 1933 a capo dell’omonimo dipartimento del Fogg Art Museum presso la Har-vard University, fu uno dei primi a registrare il passaggio cruciale, tra Duecento e Trecento, dalla de-corazione incisa a quella interamente punzonata�, mentre Millard Meiss riconobbe in terra senese l’origine della nuova tecnica. In una lunga nota di un suo intervento dedicato a “Ugolino Lorenzetti” (alias Bartolomeo Bulgarini), egli individuava con precisione nel polittico per Santa Caterina a Pisa di Simone del 1319-1320 il momento fondamentale di svolta�, che segnò il definitivo abbandono del sistema duccesco dell’incisione a mano libera e l’utilizzo sistematico dei motivi stampati per la deco-razione delle aureole e delle varie parti dorate del dipinto�.

Anche Richard Offner, nonostante la sua diversa formazione�, riservò particolare attenzione alla decorazione punzonata, nei nimbi e nei bordi delle tavole, e le sue acute osservazioni trassero origi-ne innanzitutto dalla profonda convinzione che tali parti più “meccaniche” avessero la medesima ri-levanza delle parti figurate e fossero realizzate dallo stesso pittore�.

All’indomani delle acute osservazioni di Meiss, riproposte a distanza in un articolo del 1955��, l’in-teresse per le tecniche orafe applicate alla pittura su tavola, ma più in generale per gli aspetti mate-rici dell’opera d’arte, declinò progressivamente, complici probabilmente le diffuse preferenze esteti-che di stampo crociano. Entro questo clima andò concretizzandosi l’idea di una pittura “pura” del tutto scollegata dai processi tecnici, che per contro dovevano essere riservati a figure di artigiani specializzati operanti fuori dalla bottega (come, nel caso dell’applicazione e della lavorazione dell’oro, i “battiloro”, i doratori o gli orafi), secondo una visione di artista ben diversa dal versatile craftsman medievale e di gerarchizzazione delle arti di stampo vasariano e rinascimentale.

Una nuova rivalutazione degli aspetti materici dell’opera, verosimilmente correlata allo sviluppo delle conoscenze e delle indagini sulla pratica pittorica (più che altro volte allo svelamento delle contraffazioni in relazione al boom del mercato artistico e alla necessità o meno della conservazione e del restauro), si ebbe nel corso degli anni sessanta. Alcuni studiosi ripresero le fila del discorso già impostato nel periodo dell’anteguerra, ma con un approccio più approfondito e una maggiore con-sapevolezza dell’importanza dei dati tecnici per la piena comprensione dell’opera.

Nell’ambito della lavorazione dell’oro e delle origini della decorazione punzonata si distinsero in particolare due studiosi, ossia il cecoslovacco Mojmir Svatopluk Frinta e il norvegese Erling Sigvard Skaug, che divennero i protagonisti indiscussi di ciò che andava profilandosi come un nuovo campo d’indagine, dai contorni ancora indefiniti ma dagli sviluppi particolarmente promettenti. Essi raccol-sero l’appello lanciato ben tre decenni prima dall’americano Daniel Varney Thompson, che nella sua traduzione inglese del Libro dell’arte di Cennini esprimeva la necessità di una ricerca approfondita sui punzoni medievali e sul loro utilizzo, perché a suo dire terreno assai fertile nel più ampio campo delle indagini critiche��.

Si trattava tuttavia di definire il ruolo delle evidenze tecniche – e nello specifico dell’utilizzo delle diverse procedure di lavorazione dell’oro, con particolare attenzione all’impressione punzonata – all’interno della ricerca storico-artistica e dell’“attribution game”, secondo un’espressione, ludica e vagamente ironica, coniata da Skaug in riferimento alla pratica della connoisseurship, e all’importanza assoluta assegnata, a partire dai primi decenni del Novecento, al riconoscimento della mano del ma-estro rispetto ai dipinti di scuola. L’attenzione per l’autografia dell’opera, nella fase storica che vede la nascita della moderna critica trecentesca, trova la sua più compiuta espressione nel volume con le “Liste” dei pittori italiani del Rinascimento pubblicato da Bernard Berenson nel 1932��. Questi, sulla falsariga dei modelli tassonomici ottocenteschi e delle teorie morelliane, riorganizzava tutto il mate-riale storico-artistico italiano, distribuendolo in una serie successiva di cerchi concentrici e classifican-

2. Maestro dell’Incoronazione della Vergine del 1324, Croce dipinta, particolare. Venezia, Museo delle Icone dell’Istituto Ellenico.

41 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini40 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

dolo sulla base dei diversi gradi di prossimità stilistica alle opere certe del maestro maggiore (con le diffuse definizioni di “school”, “shop”, “following” o “milieu”). Tale sistema, efficacemente definito da Skaug come “the rings-in-the-water model”��, discendeva dalla necessità spasmodica di assegnare un nome e una paternità a ogni opera (“the autograph syndrome”) o, nel caso ciò non fosse possibile, di collocarla comunque in un punto la cui distanza dal centro chiarisse immediatamente la sua qualità e il suo rapporto con l’artista principale. Gli intenti classificatori miravano a distinguere non solo il ma-estro dai suoi seguaci o dagli artisti appartenenti al medesimo contesto figurativo, ma pure il maestro dai suoi più stretti collaboratori, compito spesso assai arduo per una bottega medievale��.

Senza voler ridurre l’importanza del concetto di autografia o minare il ruolo della connoisseurship, basata sull’esperienza visiva, s’intendeva rilevare i limiti del campo di ricerca tradizionale e renderne manifeste le possibili variabili soggettive. Ne seguì un ampio dibattito incentrato sulla possibilità di contribuire, con criteri considerati più oggettivi, alla migliore comprensione dell’opera, alla defini-zione della sua cronologia e del suo luogo di produzione, chiedendosi quale potesse essere l’intera-zione possibile tra i dati emersi dai rilevamenti tecnici e le conclusioni dell’esperto conoscitore e, in definitiva, se l’indagine sulle metodiche più strettamente esecutive poteva in qualche modo scalfire la monolitica valutazione dell’opera fondata sui tradizionali criteri stilistico-formali.

In tale contesto si inserirono i primi pioneristici studi sulla decorazione punzonata condotti da Mojmir Frinta ed Erling Skaug, a partire dalla metà degli anni sessanta.

Personalità dagli ampi orizzonti culturali, nato a Praga ma emigrato a Parigi e poi negli Stati Uniti, Mojmir Frinta cominciò dapprima a interessarsi al più generale campo dell’ornamentazione nei di-

pinti su tavola dal Medioevo al primo Rinascimento, con un approccio bilaterale, attento ai processi esecutivi e agli esiti stilistici, conformemente alla sua iniziale doppia formazione come pittore e sto-rico dell’arte. Successivamente egli focalizzò l’attenzione sulla decorazione punzonata dei fondi oro nella pittura italiana tra Trecento e Quattrocento, intuendo le vaste potenzialità di un’indagine di questo tipo in relazione all’assegnazione delle opere a botteghe distinte, specie nella misura in cui il materiale a disposizione presentava forme e modelli particolarmente elaborati. Legata ai suoi nume-rosi viaggi in Europa è la prima importante raccolta di dettagli fotografici di oltre ottocento impres-sioni punzonate che gli permise interessanti osservazioni preliminari attorno alla materia, ricche di spunti e di promettenti linee di ricerca��. Molte furono le questioni affrontate in questa prima fase del suo percorso di studio, dalle origini della tecnica, con un occhio di riguardo verso l’oriente e le icone bizantine, al suo sviluppo in Italia a partire dal Duecento e alla sua diffusione in Europa, specie in Boemia e Francia, aree geografiche cui lo studioso era particolarmente legato; dal processo ese-cutivo degli strumenti, a suo dire realizzati tramite fusione��, alla loro possibile dispersione presso altre botteghe; dalla possibilità di intrecciare relazioni tra le varie botteghe, in termini di influenza stilistica e non solo di passaggio fisico di punzoni, all’individuazione della personalità di un collabo-ratore rispetto al maestro principale��.

Su quest’ultimo punto assai delicato, basato sulle prove raccolte e sull’utilizzo di punzoni aggiun-tivi da parte di un eventuale aiuto o allievo rispetto al set di bottega, s’innesta la prima tenue rifles-sione metodologica sulla disciplina che tentava di attrezzarsi di criteri e strumenti validi e ricono-sciuti. Il duplice approccio all’opera proclamato dallo studioso fin dagli esordi richiedeva una dichiarazione circa la relazione tra i due tipi d’indagine, la cui complementarietà o integrazione en-trava in crisi nel momento in cui le due prospettive conducevano a conclusioni differenti. Al riguar-do, le affermazioni di Frinta, a questo stadio, appaiono ancora ambigue, in bilico tra la volontà di af-fermare l’indipendenza del sistema d’indagine e dei suoi criteri oggettivi e la riaffermazione dell’importanza, nella valutazione finale dell’opera, della tradizionale analisi stilistica��.

Nel frattempo, a partire dalla fine degli anni sessanta, anche Erling Skaug cominciava, in maniera indipendente, ad occuparsi delle decorazioni sull’oro tramite l’uso dei punzoni raccogliendo la sfida offerta da questo nuovo campo d’indagine e intervenendo nel dibattito circa la difficile posizione delle evidenze tecniche all’interno della ricerca storico-artistica. Informato degli studi paralleli di Frinta, egli stipulò con il collega un tacito accordo, secondo il quale i due studiosi si sarebbero occu-pati, rispettivamente, dei dipinti fiorentini e di quelli senesi, cosicché le due indagini potessero inte-grarsi vicendevolmente��.

Spetta tuttavia allo studioso norvegese la più ampia riflessione teorica sulla materia, in relazione alle sue potenzialità, ma anche ai suoi limiti, specie nel momento in cui il paradigma tecnico veniva assunto come esclusivo criterio attributivo e non inserito in un’indagine critica più ampia, che com-prendesse tutti gli aspetti dell’opera20. I limiti dei primi sondaggi compiuti da Frinta furono immedia-tamente evidenti a Skaug, per il quale risultava assai complicato discutere attorno a questioni attribu-tive o d’individuazione di singole personalità senza disporre di un adeguato materiale comparativo,

3. Maestro dell’Incoronazione della Vergine del 1324, Il beato Leone Bembo e quattro storie post mortem, particolare. Dignano (Vodnjan), chiesa di San Biagio.

4. Maestro dell’Incoronazione della Vergine del 1324, Il beato Leone Bembo e quattro storie post mortem. Dignano (Vodnjan), chiesa di San Biagio.

43 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini42 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

Accanto ai due padri fondatori della disciplina, si distinsero anche altri studiosi che negli anni de-dicarono attenzione alla nuova materia e più in generale alle indagini tecniche. Tra questi ricordiamo Joseph Polzer28, Norman Muller29, Andrew Ladis30 e Judith Steinhoff31. In particolare si segnala, spe-cie per le sue considerazioni di carattere metodologico, il recente contributo di Joseph Polzer che, nel tirare le fila di quasi cinquant’anni di ricerche sulla pittura toscana nonché sulla questione del valore e dell’impatto degli studi tecnici e della pratica ornamentale nel campo della ricerca storico-artistica, ribadisce l’importanza di un approccio rigoroso, ma al contempo capace di modulare gli obiettivi in relazione al contesto, alle specifiche esigenze, allo stato degli studi. Pertanto, solo con un approccio mirato i due punti di vista potranno interagire in maniera feconda, intervenendo a secon-da delle circostanze sulle cronologie, sulle preferenze del pittore, sulle sue fonti, le sue connessioni e i cambi d’orientamento, e contribuire infine al processo di raggruppamento stilistico e all’avanza-mento delle conoscenze32.

A partire dagli anni ottanta l’interesse per la materia si diffonde dall’ambito anglosassone all’Italia, estendendosi a territori geografici fino a quel momento inesplorati. I primi cataloghi ragionati redat-ti da studiosi italiani riguardano aree tangenti la Toscana, come quella emiliana, le Marche o la Ro-magna33. Il lavoro di catalogazione ebbe il merito di utilizzare, sia pur in maniera non rigorosa gli strumenti propri della disciplina, basandosi su riprese macrofotografiche, sulla misurazione dei mo-tivi impressi e sulla loro riproduzione in scala.

La civiltà veneziana e la lavorazione dell’oro: uno studio preliminareI saggi che si pubblicano in questa sede sulle lavorazioni dell’oro nella pittura veneziana sono il frut-to di una serie di ricerche (tesi specialistiche, di specializzazione e di dottorato) avviate ormai da di-versi anni presso le Università di Udine e Padova. Essi tuttavia, a differenza degli studi sistematici condotti dagli anni sessanta ad oggi, non limitano il campo d’indagine alla decorazione stampata di fondi o nimbi, con l’obiettivo di proporre un catalogo ragionato dei punzoni basato sulle evidenze quantitative, ma prendono in considerazione le più diverse manipolazioni del prezioso materiale, in relazione alle inclinazioni artistiche individuali e alla ricchezza di una tradizione, qual era quella ve-neziana, particolarmente attenta agli aspetti materici e di lusso decorativo. Sono state dunque con-siderate le più diverse elaborazioni della lamina metallica, dall’incisione a mano libera al tratteggio, alla brunitura e alla granitura (“a disteso” o “a rilievo”34); dalla tecnica della pastiglia, per realizzare motivi relevati e dorati, allo sgraffito, diffuso a Venezia soprattutto dopo l’arrivo di Gentile da Fabria-no, in combinazione con le vernici traslucide o con l’uso di altre superfici metalliche, come l’argento. Oggetto di osservazione è stato inoltre il tipo di applicazione della lamina d’oro o d’argento sul sup-porto ligneo, e dunque l’impiego della stesura a guazzo, specie per i fondi, gli attributi e le suppel-lettili, o a missione, per realizzare delicati decori sui bordi dei manti ed estrosi motivi floreali sulle vesti o per sortire ricercati effetti luministici in stretto rapporto con la materia dipinta e con le carat-teristiche dell’oggetto raffigurato (preziose filettature in oro a missione illuminano le ciocche di ca-pelli della Vergine di San Domenico a Perugia di Gentile o le lingue di fuoco nel polittico di Fermo di Jacobello del Fiore).

Nondimeno, è stata avviata una classificazione delle impressioni punzonate, come nucleo essen-ziale della ricerca, benché l’indagine non sia stata svolta in maniera capillare e il background di rife-rimento non sia completo35.

Tuttavia, lo spettro delle campionature effettuate costituisce un primo interessante approccio alla materia e restituisce la varietà delle impressioni punzonate sulla foglia d’oro a Venezia, a paragone con il repertorio, obiettivamente più ricco e vasto, della pittura toscana, su cui finora si sono concen-trati gli studi. Inoltre, l’approccio onnicomprensivo, che intende sondare le molteplici elaborazioni del prezioso metallo – inteso non come corollario metafisico, ma nel suo confronto dialettico con la figurazione – ha permesso da un lato di operare stimolanti confronti con altri ambiti artistici, come ad esempio l’arte orafa e le sue così peculiari e per molti versi affini soluzioni ornamentali (si pensi ad esempio alla tecnica della filigrana) o la miniatura sotto cristallo di rocca e gli smalti traslucidi, con i loro effetti di luce emanati dalle smaglianti tessiture cromatiche; dall’altro di riconoscere, anche in questo campo, i tratti d’identità della tradizione veneziana: al riguardo Francesco Petrarca constata-va come Venezia costituisse un mondo a parte e non fosse né oriente né occidente (“urbem longe dissimilem coeteris, atque ego dicere soleo urbem alterum”36).

Ai saggi più specificamente incentrati sull’elaborazione dell’oro nei dipinti su tavola, sono stati pertanto affiancati degli affondi, condotti da Manlio Mezzacasa e Silvia Spiandore, su tali tematiche parallele, come per l’appunto la coeva oreficeria, con particolare attenzione all’evoluzione delle tec-niche e delle soluzioni ornamentali, e la tecnica della miniatura sotto cristallo o degli smalti trasluci-di, diffusi a Venezia nei primi decenni del Trecento, in competizione con gli smalti bizantini e con la pionieristica produzione senese.

ovvero di un’ampia messe di documentazione fotografica che coprisse l’intera produzione degli arti-sti considerati, nel periodo cronologico preso in esame. Dopo i primi studi indirizzati a casi specifici21, egli giunse a sistematizzare la materia solo nel corso degli anni novanta, nel momento in cui la rile-vazione quantitativa dei punzoni, la loro catalogazione e comparazione raggiunsero un livello di completezza tale da permettere considerazioni fondate e criticamente rilevanti22. Egli battezzò la nuova materia di studio, giunta oramai al rango di disciplina, con il termine di “sfragiologia”, sulla falsariga della “sfragistica” per lo studio dei sigilli, e ne definì chiaramente criteri e strumenti23. Pren-dendo le distanze da posizioni estreme, come quella di distinguere i maestri dagli allievi entro un’unica bottega, compito che spetta all’occhio esperto del conoscitore o, per contro, quella che demanda ad artigiani specializzati e indipendenti, la lavorazione della lamina d’oro24, Skaug prima di tutto riconsiderò la realtà della bottega in termini più ampi e flessibili, privandola delle possibili suddivisioni interne, sulla base dell’interscambio degli strumenti tra i vari membri e in relazione alle prassi operative medievali. Su questa linea si era posto anche Miklós Boskovits, che era intervenuto nel dibattito attorno all’importanza dell’autografia nella storia dell’arte del Trecento, ricongiungen-do, laddove gli studi non consentivano ancora ulteriori specifiche distinzioni, i termini di “autografo” e “bottega”. Partendo da queste premesse fu concepito il volume del 1975 dedicato alla Pittura fio-rentina alla vigilia del Rinascimento25, e di qui partì Skaug per intervenire, dalla sua specifica angola-zione, sulla classificazione delle botteghe (nella misura in cui ogni bottega disponeva del suo corre-do specifico di punzoni), sulla loro possibile interazione, sulle questioni attributive e di cronologia relativa.

Una volta definiti i confini della materia, era possibile prendere in considerazione anche situazioni più articolate e problematiche, quali ad esempio il trasferimento di punzoni da una bottega all’altra, a causa della morte del maestro principale o in seguito a prestito e vendita inter vivos26; oppure il costituirsi temporaneo di compagnie di pittori, con la comparsa di free-lance, ossia di membri tem-poranei entro una bottega, che non modificavano il loro stile in rapporto a quello del titolare dell’im-presa con cui collaboravano. Tali circostanze, lungi dal contraddire i criteri di oggettività più sopra enunciati, divennero invece occasioni straordinarie per stabilire, caso per caso, possibili relazioni maestro-allievo ovvero postulare spostamenti e contatti tra artisti, altrimenti non documentati. Al riguardo, un caso esemplare indagato di recente è quello di Giovanni da Milano, sui cui misteriosi trasferimenti tra la Lombardia, Firenze e Siena, lo studio della materia sfragiologica ha potuto getta-re nuova luce. Il nodo cruciale relativo alla lacuna documentaria di ben diciassette anni presente nel percorso dell’artista tra il 1346 e il 1363, periodo durante il quale si pensava che Giovanni potesse essere tornato in terra lombarda, si può sciogliere in favore di un suo soggiorno a Siena, a contatto soprattutto con Bartolomeo Bulgarini, nella cui bottega si ritrova il set di punzoni dapprima utilizza-to dal pittore a Firenze27.

5. Maestro dei dossali veneziani, Dossale, particolare di Cristo crocifisso. Venezia, Museo Correr.

6. Maestro del dittico di Richmond, San Bernardo e sant’Orsola e le compagne. Ubicazione ignota.

45 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini44 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

I contributi di Valeria Poletto, Roberta Maria Salvador, Irene Samassa e Pamela Buttus affrontano invece per la prima volta uno studio sulla lavorazione della foglia d’oro − nei fondi dei dipinti, nelle specchiature dei nimbi, negli attributi e suppellettili dei santi, nei tessuti e nelle vesti, nelle armature e nelle armi, nei gioielli – e presentano diversi elementi di novità. Considerati nel loro complesso, entro un arco cronologico che va dalla fine del Duecento al periodo tardogotico, consentono alcune riflessioni sulla civiltà figurativa veneziana e sul rapporto esistente tra gli intenti estetici riscontrabili nella parte dipinta e l’elaborazione virtuosa della superficie dorata. Lungo questo percorso è stato allora possibile individuare degli snodi fondamentali, per lo più coincidenti con l’affermazione in laguna dei maggiori protagonisti della pittura veneziana del tempo.

La prima svolta importante si registra tra la fine del Duecento e i primi anni del Trecento, quando si assiste a un netto sviluppo delle tecniche di lavorazione dell’oro, dapprima piuttosto sobrie e limi-tate alla sola ornamentazione delle aureole, in genere sottolineate da una doppia linea incisa, entro cui venivano stampati semplici punzoni a bollo (con ogni probabilità ad imitazione della fila di per-line utilizzata nelle miniature sotto cristallo). Benché con innegabile ritardo rispetto ai colleghi to-scani, gli artisti lagunari cominciarono ad adottare strumenti che stampavano motivi più elaborati e ad impiegare tecniche più sofisticate, utilizzando in maniera estensiva la pratica dell’incisione a trat-teggio incrociato sullo sfondo di naturalistici elementi vegetali lasciati a risparmio, e della granitura, utilizzata non solo per animare la superficie dorata, ma pure per comporre volute o spirali con dise-gni più o meno complessi. Tale processo determinò una progressiva differenziazione delle botteghe veneziane, che cominciarono a specializzarsi e a dotarsi ognuna di un set specifico di strumenti.

Su queste basi, e senza mai smarcare l’osservazione del dato tecnico dalle considerazioni di carat-tere stilistico, punto forte di questo studio, è stato possibile aggiungere alcuni tasselli importanti al panorama così complesso della pittura veneziana delle origini. In taluni casi, infatti, la lavorazione dell’oro e i motivi punzonati, nelle loro diverse combinazioni, si sono rivelati fondamentali e capaci di restituirci la bottega di appartenenza. Si consideri, ad esempio, il caso del Maestro del trittico di Santa Chiara37, la cui elegante cifra stilistica, maturata sui modelli più aulici della tradizione bizantina e sul linguaggio filopaleologo di maestri veneziani di poco precedenti, come il Maestro della Croce di Sant’Eustorgio38, non si discosta da una altrettanto consumata perizia esecutiva, applicabile a tutti gli aspetti materici dell’opera, e in particolare alla sapiente manipolazione della lamina d’oro. È

7. Paolo Veneziano, Madonna con il Bambino, particolare della tavola centrale del polittico del Louvre. Parigi, Musée du Louvre.

8. Paolo Veneziano, Madonna con il Bambino, particolare della tavola centrale del polittico di Chioggia. Chioggia, Museo Diocesano di Arte Sacra.

9. Paolo Veneziano, Madonna con il Bambino in trono. Carpineta (Cesena), chiesa parrocchiale di Santa Maria.

47 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini46 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

il caso della fine decorazione ricamata del nimbo del Cristo nella Croce di Santa Maria in Trivio39 (figg. 23 e 25 saggio Poletto), ove solchi raggiati, impressi sul gesso, si accompagnano a raffinati disegni graniti, parafrasati da file esterne di punzoni concentrici, stile “pearls-on-a-string”40.

Altrettanto distinguibili appaiono gli ostentati virtuosismi del Maestro dell’Incoronazione della Vergine del 1324, protagonista indiscusso del panorama lagunare dell’epoca e capostipite della bot-tega di Paolo Veneziano41. Nei fondi aurei, il maestro impiega in maniera estensiva l’incisione, per la definizione di complesse griglie geometriche in cui superfici brunite e fitte incisioni a tratteggio in-crociato si alternano per creare mobili effetti di chiaroscuro al variare dell’incidenza luminosa, men-tre negli specchi dei nimbi si snodano virtuosistici girali fogliati graniti o eleganti semicerchi punzo-nati con girali incisi, in una ricchezza esornativa senza confronti. Si osservino al riguardo i superbi esempi della croce dell’Istituto Ellenico di Venezia42 (fig. 2) o del dipinto di Dignano in Croazia43 (figg. 3-4), in cui le ricercate geometrie dell’oro s’intonano mirabilmente con i preziosismi pittorici e le minuzie descrittive del maestro.

Il tema specifico della spirale granita viene quindi approfondito da alcuni maestri minori, la cui produzione accademica e ripetitiva trova perfetto riscontro nella decorazione dei nimbi, invero piut-tosto ricca, ma viziata da automatismi e ingenuità disegnative. L’anonimo e assai prolifico Maestro dei dossali veneziani44, ad esempio, mette a punto, a segno di perfetta riconoscibilità, una semplice decorazione granita a spirali, talora assai fitta, chiusa da cerchi e nastri intrecciati, sempre uguale nel tempo, come si può osservare nei nimbi del dossale con la Crocifissione e santi conservato al Museo Correr45 (fig. 5). Un particolare motivo a spirale da cui si dipartono spirali minori, anch’esso facilmen-te distinguibile, si trova pure nelle opere conosciute di un altro petit-maître veneziano, autore di due tavole assai singolari con la raffigurazione di San Giorgio e l’arcangelo Michele46 e di San Bernardo e sant’Orsola47 (fig. 6), nonché di un Santo diacono, già Radesleben, collezione von Quast48 (fig. 55 saggio Poletto). Sulla base della costante presenza di tale motivo nei nimbi, Valeria Poletto ha potu-to assegnargli pure il dittico, dapprima di difficile definizione, del Virginia Museum of Fine Arts di Richmond con Storie della Vita e Passione di Cristo49 (fig. 52 saggio Poletto).

Il Maestro dell’Incoronazione del 1324, a lato degli esuberanti motivi descritti più sopra, utilizza inoltre, sia pur moderatamente, una tipologia decorativa in seguito impiegata invece in modo mas-siccio da Paolo Veneziano, ovvero quella del girale inciso con lo stiletto e disseminato di grappoli a

tre bolli disposti a triangolo (i cosiddetti racimoli). Tale modulo decorativo subirà un processo di standardizzazione, divenendo una costante nella produzione di maestro Paolo.

Di qui in avanti, la decorazione dei nimbi e dei fondi aurei, dapprima così elaborata e fastosa, si riduce ad una tipologia fissa ripetuta in maniera meccanica, in stretta correlazione con l’enorme espansione della bottega del maestro nella prima metà del secolo e con la sua organizzazione se-condo criteri imprenditoriali. Nondimeno, all’interno della tenace iterazione del motivo è possibile cogliere nel tempo dei minimi cambiamenti, impercettibili ad un’osservazione superficiale, ma par-ticolarmente significativi ai fini di una scansione temporale delle opere. Le indagini attente condotte da Roberta Maria Salvador intercettano tali variazioni e registrano una lieve ma continua metamor-fosi del modulo decorativo in direzione di un’esecuzione sempre più sommaria man mano che ci si avvicina alla fase finale della produzione del maestro.

Uno di questi cambiamenti, tuttavia, è più evidente degli altri e risulta fondamentale, poiché è in grado di fissare un importante discrimine cronologico all’interno del difficile percorso del pittore, caratterizzato, come è noto, da discontinuità e oscillazioni, anche in termini qualitativi: a partire dal 1349, data del polittico frammentario oggi al Museo Diocesano di Chioggia50, nella bottega di Paolo viene adottato un nuovo strumento, un punzone costituito di una punta con tre bolli, capace di imprimere con una sola battuta il racimolo finale del girale (fig. 8). Da questo momento il nuovo utensile verrà impiegato costantemente, talora giustapponendosi − ma solo in casi rari e all’interno della stessa tavola − ai tre bolli battuti in maniera separata con lo stiletto appuntito. Ebbene il rileva-mento del racimolo impresso con lo strumento unico, utilizzato in funzione di una maggiore celerità del processo esecutivo, determina, allo stato attuale degli studi, una sicura collocazione dell’opera post 1347, anno inscritto alla base della Madonna con il Bambino di Carpineta51, ultima tavola a noi nota in cui il racimolo è realizzato con tre battute singole (fig. 9).

Successivo a questa data dovrà essere allora il problematico polittico della chiesa agostiniana di San Giacomo Maggiore di Bologna�� (fig. 10), benché la documentazione in nostro possesso ci tra-mandi il 1344 come anno di consacrazione dell’altare. Il fastoso complesso, realizzato per la cappella della Santa Croce in origine collocata sul tramezzo��, presenta infatti il racimolo regolare e ben di-stanziato tipico della battitura unica, per cui la sua collocazione cronologica va spostata in avanti di qualche anno, non lontano dal polittico di Chioggia.

Più difficile è invece, all’indomani del fatidico 1349, proporre nuovi accostamenti e ricostruire i complessi smembrati osservando la sola decorazione punzonata, poiché, come si è visto, rare ma inesorabili eccezioni prospettano entrambe le soluzioni per le impressioni del racimolo, marcando la differenza, nei casi a noi noti, tra personaggi diversi all’interno dello stesso pannello, come tra la Vergine e il Bambino del polittico del Louvre del 135454 (fig. 7) o tra il Cristo e gli astanti della Crocifis-sione già nella sacrestia della cattedrale di Pirano (Trieste, Civico Museo Sartorio)55. La differenza di battitura riguarda dunque, al momento, solo pannelli singoli, ma non possiamo escludere, vista la consistente perdita delle testimonianze pittoriche trecentesche, che non vi fossero anche interi complessi misti, in cui cioè la scena centrale fosse interamente punzonata con il sistema più antico e i pannelli ai lati con la più veloce battitura unica, o viceversa. Al riguardo, andrebbe verificata l’ipote-si, soprattutto per le misure e il tipo di carpenteria a cuspide, che al centro del frammentario politti-co di Grisolera, conservato al Museo Correr di Venezia56, punzonato nei nimbi dei santi con il nuovo

10. Paolo Veneziano, Polittico-stauroteca. Bologna, chiesa di San Giacomo Maggiore.

11. Paolo Veneziano, Polittico di Grisolera: Santi Agostino, Pietro e Giovanni Battista, Venezia, Museo Correr; Santi Giovanni Evangelista, Paolo e Giorgio, Venezia, Museo Correr; Madonna con il Bambino (fotomontaggio). Pasadena, Norton Simon Museum.

49 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini48 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

strumento, potesse stare la tavola con la Madonna con il Bambino del Norton Simon Museum di Pa-sadena57 (fig. 11), tutta realizzata, invece, con il sistema di battitura multiplo.

La povertà decorativa delle specchiature dei nimbi, caratterizzate dalla ripetizione di un modulo uniforme, appare tuttavia in netto contrasto con la ricchezza di soluzioni ornamentali presente inve-ce nelle tessiture di vesti e drappi d’onore, dove Paolo raggiunge risultati impareggiabili. L’incredibile scioltezza della pennellata ravvisabile nella parte dipinta, la straordinaria vena inventiva, lo smaglian-te tessuto cromatico trovano perfetta corrispondenza nella realizzazione altrettanto fluida e naturali-stica ma al contempo lussuosa e raffinata di motivi orientali tratti dal repertorio delle sete persiane e cinesi. Tra questi spiccano palmette e fiori di loto, talora inseriti in una trama sottile di steli fogliati intrecciati, rossi melograni, dalie delicate e persino aristocratiche fenici (come nel drappo d’onore dell’Incoronazione della Vergine della Frick Art Collection di New York58 (figg. 12-13), che vengono re-alizzati in punta di pennello con oro a mordente applicato alle stoffe dipinte, sostituendo in poco tempo la decorazione a crisografia, di qui in avanti riservata alle scene di piccole dimensioni59.

Anche nella decorazione dei tessuti si possono osservare, lungo il percorso del pittore, dei muta-menti, e in particolare il trapasso da uno schema reticolare diradato, in cui i motivi sono disposti in maniera regolare e distanziata, ad uno assai più fitto, per poi tornare ad una griglia più allargata, in modo da far esaltare la finezza grafica dell’infiorescenza. Uno degli esempi più ricchi e sfarzosi è senza dubbio costituito dalla Madonna in trono di Carpineta del 1347 (fig. 9), apice della sua produ-zione figurativa, oltre che caposaldo cronologico della fase centrale del suo percorso. Sulla veste rosso carminio vengono ricamati motivi a palmetta imprigionati entro un inestricabile groviglio di racemi floreali, interrotti solo dal pettorale impreziosito da elementi cuoriformi circondati da una banda con caratteri pseudo epigrafici dell’alfabeto arabo. I decori aurei sono ripassati con velature a lacca di garanza, per imprimere profondità alle pieghe e conferire un’intonazione calda alla tessitura dorata. Sopra, il manto blu rabescato a melograni, da cui si dipartono miriadi di steli ritorti, è tratte-nuto sul petto da una spilla lussuosa, con gemme à cabochon disposte su un fondo granito, che fa pendant con i polsini, anch’essi parimenti incrostati di perle, rubini e zaffiri. La toga interamente dorata del Bambino è invece realizzata con una fitta incisione a bolli circolari che lasciano a risparmio dei fregi bianchi su cui si stendono come profonde incisioni i solchi dipinti delle pieghe. Tale tecnica per la realizzazione dei panni, assai rara in Paolo, trova un unico straordinario precedente nella raffi-

12. Paolo e Giovannino Veneziano, Incoronazione della Vergine, particolare. New York, The Frick Art Collection.

13. Paolo e Giovannino Veneziano, Incoronazione della Vergine. New York, The Frick Art Collection.

51 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini50 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

rie dell’Accademia, accanto ai tradizionali racimoli dei laterali, alle semplici punzonature lungo la circonferenza esterna o all’uso dell’incisione in controtaglio – ma solo nel caso unico di san Domeni-co, raffigurato insieme a san Francesco a destra nel registro principale – Lorenzo sfoggia tutta la sua perizia esecutiva, disegnando a risparmio su sfondo granito un delicato fregio a volute vitinee con venature incise e coppie di foglie, sempre di vite, che si intrecciano e si alternano a fiori quadripetali. Una lavorazione simile interessa anche l’intero perimetro della tavola, mentre il trono e il drappo d’onore sono illusionisticamente restituiti tramite la sola incisione del fondo dorato. Alla base del seggio, in basso a destra, si osserva inoltre una piccola meraviglia: su delicate volute fitomorfe pog-giano graziosi volatili, con il capo rivolto a destra o verso il basso, disegnati e graniti a mano libera con lo stiletto (fig. 27 saggio Samassa).

Nella monumentale Croce di San Zeno a Verona (fig. 16), se si escludono i delicati girali graniti del nimbo di Dio padre – dalle cui labbra peraltro si diparte il soffio divino, restituito con impercettibili incisioni, su cui si libra la colomba dello spirito santo – la decorazione delle specchiature della Vergi-ne, del Cristo e di san Giovanni va affastellandosi e dal fondo a granitura emerge un intrico di picco-li fiori quadripetali, turgide foglie trilobate e il motivo del fiore di loto di profilo, tipico del repertorio laurenziano.

Il motivo del girale inciso con racimolo finale, comunque, non scompare del tutto, se non a partire dagli anni settanta (ed ecco quindi un altro importante discrimine cronologico!). Inizialmente esso viene ancora utilizzato, anche se per lo più è relegato ai personaggi minori, nei registri superiori o nelle predelle. Nell’applicazione del modulo, tuttavia, Lorenzo non userà mai il nuovo strumento dotato di tre punte adottato da Paolo a partire dal 1349, evidentemente non disponibile in botte-ga63. I racimoli laurenziani risultano pertanto irregolarmente impressi, anche se comunque si di-spongono in maniera ordinata all’interno della specchiatura del nimbo e sempre alla fine del race-mo, diversamente da Paolo che, per contro, li batteva ovunque, laddove vi era spazio disponibile, con disseminazione pervasiva. Dunque l’approccio più disciplinato e metodico di Lorenzo si esprime pure in tali minimi dettagli, che rispecchiano la sua attenzione incessante per tutti gli aspetti dell’opera, anche quelli a prima vista più insignificanti.

La presenza del modulo inciso nell’aureola del Profeta del Ringling Museum di Sarasota permette allora di collocare quest’opera affascinante in una data precedente l’ottavo decennio, diversamente dalle convinzioni già espresse, pure da chi scrive64 (fig. 15). Irene Samassa non solo rileva la presenza del motivo, ma osservandolo con grande attenzione ne coglie alcuni vizi esecutivi – quali l’utilizzo di due punzoni diversi per l’impressione del racimolo – e le singolari modalità d’esecuzione, come la particolare forma della voluta, il numero delle spire o l’intensità dell’incurvatura dei racemi, per con-cludere infine con un dato assai prezioso: il nimbo del Profeta presenta un girale inciso continuo del tutto sovrapponibile a quelli di due opere precoci di Lorenzo, e cioè il polittico Lion (1357-1359) e lo Sposalizio mistico di santa Caterina delle Gallerie dell’Accademia (1360)65 (fig. 2 saggio Samassa). L’opera va quindi accreditata alla fase giovanile del pittore e forse addirittura associata, più che al piccolo polittico che recava al centro lo Sposalizio, alla grandiosa macchina d’altare licenziata per Domenico Lion, proveniente dalla chiesa distrutta di Sant’Antonio abate, magari come parte di un ipotetico quarto registro, oggi smantellato66.

nata veste del Cristo del pannello centrale del frammentario polittico di Vicenza60 (fig. 13 saggio De Marchi e figg. 38 e 39 saggio Salvador), ove le stesure granite sono applicate con grande virtuosi-smo, accentuando o attenuando la pressione sul punzone, per ottenere ricercati e naturalistici effet-ti chiaroscurali, con modalità che richiamano i contemporanei procedimenti senesi di Simone Mar-tini.

Un altro momento cruciale è quello legato alla comparsa sulla scena, a partire dalla seconda metà del secolo, di Lorenzo Veneziano. Fin dagli esordi, egli manifesta, anche in quest’ambito, la sua carica innovativa, concependo la foglia d’oro come materia viva, capace di animarsi e di vibrare sotto lo stimolo di cangianti bagliori luminosi. Troppo monotoni e uniformi, troppo avari di echi e risonanze, dunque, i nimbi paoleschi, che con il loro unico e ripetitivo pattern decorativo poco scalfivano la specchiante lucidità della materia! La multiforme abilità nel trattare media diversificati, tipica del pittore, trova tangibili conferme anche nella lavorazione della lamina metallica, trasfigurata in su-perficie mobile e chiaroscurata, in continuo dialogo con il corpo pittorico. La lavorazione a granitura diviene dunque la tecnica privilegiata, perché capace di far emergere, in rilievo o a risparmio, lussu-reggianti motivi floreali, turgide foglioline, eleganti racemi, trasformando i nimbi dei personaggi in veri e propri prati fioriti.

Particolarmente eloquenti, al riguardo, sono le due opere capitali della fase giovanile di Lorenzo, ossia il polittico Lion61 e la Croce di San Zeno62. Negli specchi dei nimbi della Vergine e dell’Arcange-lo nel pannello centrale del maestoso polittico licenziato per Domenico Lion (fig. 14), ora alle Galle-

14. Lorenzo Veneziano, Polittico Lion, particolare della tavola centrale con l’Annunciazione. Venezia, Gallerie dell’Accademia.

15. Lorenzo Veneziano, Profeta. Sarasota, John and Mable Ringling Museum.

16. Lorenzo Veneziano, Croce dipinta, particolare con San Giovanni dolente. Verona, basilica di San Zeno.

53 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini52 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

stenze materiche. Così, l’oro dei fondi, dapprima semplicemente brunito, perde la sua dimensione metafisica e, variamente illuminandosi, diviene per così dire “atmosferico”; mentre l’oro sugli ogget-ti si fa materia viva e concreta, suggerendone proprietà e spessore.

Gli artisti veneziani non colsero appieno la portata del nuovo linguaggio, anche se di fatto a Vene-zia si voltò pagina, e ogni artista, ciascuno a suo modo, cercò di decifrarne il difficile messaggio. Il saggio di Pamela Buttus prende in esame il cinquantennio che va dal 1390 al 1440 e l’impatto che l’arte di Gentile ebbe, soprattutto sul piano tecnico, su pittori quali Jacobello del Fiore, Nicolò di Pietro o Zanino di Pietro, per i quali le svariate operazioni dell’oro messe in atto dal maestro fabria-nese divennero un costante modello di riferimento.

Affatto singolare è la posizione di Jacobello del Fiore rispetto agli altri artisti veneziani, che tra le diverse tecniche predilige la punzonatura, impiegandola sistematicamente non solo sui nimbi, se-condo tradizione, ma pure sull’oro disteso a guazzo delle passamanerie delle vesti, ora articolate in complicate e sinuose volute, o nelle preziose tuniche dorate dei personaggi, nelle lussuose bordure lungo le cornici delle tavole e fin sull’intero fondo aureo, con un vero e proprio horror vacui. L’ampio repertorio di motivi stampati (alcuni assai elaborati, come ad esempio gigli o palmette polilobate) non è tuttavia impiegato in maniera soffocante, ma regolarmente disposto entro una griglia geome-trica a quadrati o a rombi, incisa sulla lamina con un nuovo strumento, la rotella. L’effetto è quello di una vetrata gotica o di un elaborato tessuto ricamato, su cui a fatica si ritagliano i nimbi e le sagome delle figure, cosicché il lusso e lo sfarzo decorativo della civiltà veneziana di fatto prevalgono sui calcolati effetti materici e di luce gentiliani.

Insieme ad alcune particolari modalità esecutive (quali ad esempio l’abitudine di stampare i profi-li delle tavole), la tipologia di punzoni impiegata da Jacobello permette di riconoscere facilmente l’intervento della sua bottega (quasi ovunque compare ad esempio il punzone a rosetta a sei circoli e uno centrale, quasi fosse un motivo firma), entro la quale, per lo meno per l’uso di un affine e in certi casi sovrapponibile repertorio decorativo, va contato l’anonimo Maestro della Madonna Gio-vannelli, la cui identità, a causa del suo segno così inciso e tagliente, si fa ancora fatica a sciogliere in favore della fase giovanile del capobottega68.

Più puntuali rimandi all’arte del fabrianese si colgono nella fitta incisione dei soppanni in pelliccia, anche se la realizzazione disciplinata delle file granite, ottenuta sempre grazie all’uso della rotella, è ben lontana dalle sottili irregolarità del maestro fabrianese. Di chiara matrice gentiliana è pure l’uso dello sgraffito, per lo più in combinazione con la granitura, l’incisione e le vernici traslucide, impie-gato da Jacobello in alcuni casi esemplari, come nel manto del giudice Pascasio nelle storiette fer-mane di santa Lucia (fig. 17), o dell’oro a missione per sortire particolari effetti visivi o tattili, come nella morbida peluria che sborda dalle vesti o nelle lingue di fuoco del rogo nella scena del martirio della santa69 (fig. 1 saggio Buttus).

Più difficile invece comprendere l’eccezionale interesse del pittore per le applicazioni in pastiglia, impiegate sì da Gentile, ma soprattutto negli anni che seguono il soggiorno veneziano (si veda co-me unico esempio il timido inserto della spilla solare sul petto della Madonna di Perugia, verosimil-

Il momento di svolta più eclatante è tuttavia costituito dall’arrivo in città di Gentile da Fabriano, che rivoluzionerà le tecniche di lavorazione e il modo di intendere il materiale prezioso, da questo momento completamente trasfigurato in luce e colore. Mai vi fu, difatti, matrimonio più fecondo e carico di implicazioni future, come quello tra il maestro ‘lombardo’, con la sua pittura tutta tesa alla mimesis naturalistica, e la tradizione veneziana, capace di intrecciare con grande disinvoltura i dora-ti rabeschi bizantini e le sofisticate e capricciose fantasie del gotico d’oltralpe.

Con Gentile le possibilità offerte dalla manipolazione delle diverse lamine metalliche vengono sondate fino all’estremo, e piegate in maniera straordinaria alle esigenze di una rappresentazione veridica e palpabile delle cose. Il tessuto pittorico, per contro, diviene sempre più mobile e prezioso, denso di materia ma irregolarmente trattato con tecniche (si veda la formula del “puntinismo”) che imitano le incisioni e le punzonature delle superfici metalliche (“trattamento pittorico dell’oro, ela-borazione orafa della pittura”)67. In seguito all’influsso di Gentile, a Venezia si diffondono nuovi pro-cedimenti tecnici: la tecnica dello sgraffito, soprattutto in combinazione con la pratica dell’incisione e con le vernici traslucide, modulate per suggerire la profondità del materiale, la granitura “a rilievo”, per far emergere dai fondi bruniti eteree figurette angeliche, gli ornamenti dorati in cera o a pasti-glia, applicati a stampo o a mano libera, o l’uso dell’oro a missione, non solo per disegnare delicati motivi decorativi, ma soprattutto per suggerire particolari effetti di luce o restituire preziose consi-

17. Jacobello del Fiore, Santa Lucia di fronte al giudice Pascasio. Fermo, Pinacoteca Civica.

18. Jacobello del Fiore, Trittico della Giustizia, particolare dell’Arcangelo Michele. Venezia, Gallerie dell’Accademia.

55 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini54 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

esperienze figurative che maturarono in ambito padano tra la fine del Trecento e l’inizio del nuovo secolo, il trittico reatino presenta, a date precoci, soluzioni nell’elaborazione del fondo aureo del tutto inedite, non solo per il pittore, ma per l’intero panorama veneziano dell’epoca. La mirabile invenzione gentiliana delle figurazioni granite sull’oro, tipica delle oreficerie oltremontane smalta-te en ronde-bosse77, viene immediatamente interiorizzata, unico caso in laguna, dal pittore venezia-no, che con grande sottigliezza incide sull’oro le sagome di tre eteree figurette angeliche avvilup-pate in panni leggeri e fruscianti (figg. 21-22). Nelle vesti il pittore usa in maniera estensiva la lacca, che talora si coagula in grumi per restituire la densità materica del tessuto, come nel soppanno del manto della Vergine o negli abiti di alcuni personaggi ai piedi della croce, lasciando intravedere la lamina d’oro sgraffita e punzonata sullo sfondo (fig. 23). Il bordo della tavola è sottilmente granito, con archetti trilobati aventi per pendilium un punzone con motivi a quattro bolli disposti a trian-golo, in modo da stemperare il passaggio dalla bidimensionalità del fondo aureo al rilievo della cornice lignea intagliata. Le aureole sono stampate o granite con straordinaria eleganza, spesso utilizzando un punzone-firma, un motivo floreale a cinque petali, talora abbinato a una rosetta a sei bolli.

Una simile pronta ricettività si può giustificare solo a ridosso delle prime sperimentazioni vene-ziane di Gentile, della Madonna di Perugia o delle mirabilia di Palazzo Ducale. Un’opera come il

mente dipinta in laguna). Forse vi fu un prototipo, all’epoca ben visibile e oggi perduto, cui Jacobel-lo poté ispirarsi – giustamente Pamela Buttus fa riferimento al grandioso ciclo ad affresco in Palazzo Ducale, senza dubbio impreziosito da inserti metallici e rilievi in pastiglia – oppure fu determinante l’influsso della pittura nordica, ove tale pratica era largamente diffusa70.

Una vera profusione di applicazioni in pastiglia dorata si osserva in uno dei capisaldi del percorso di Jacobello, ossia nel trittico della Giustizia del 1421, dipinto per il Magistrato del Proprio in Palazzo Ducale71 (fig. 18). Con questa tecnica, integrata dalla granitura e dalla punzonatura, furono eseguiti i nimbi, le corone, le ali degli arcangeli, i corpetti, i polsini e l’intera armatura di Michele, anticipando soluzioni visibili in opere più tarde di Giambono, Giovanni d’Alemagna o dei Vivarini, e in un gioco di confronto continuo con l’altro grande protagonista di quegli anni, ossia Nicolò di Pietro.

Ancora prima di Jacobello, infatti, anche Nicolò sperimenta l’uso della pastiglia, sia a stampo che a mano libera, per modellare motivi diversi, cui aggiunge stesure di vernice traslucida che, concen-trandosi sui bordi, ne rinforzano l’aggetto. Più in generale, il pittore riservò grande attenzione alle svariate tecniche di lavorazione dell’oro, fin dagli esordi, come dimostra il fitto brulicare di steli graniti a mano libera sul fondo aureo della Madonna con il Bambino per Vulciano Belgarzone (1394)72, che costituisce un vero e proprio unicum nel panorama veneziano (fig. 19). Ornati simili, ma ottenuti con lo sgraffito e successivamente ripassati con uno stilo a punta sottile, decorano anche la veste, dipinta a tempera rossa sopra l’oro e ripassata a lacca nelle pieghe. Al contrario di Jacobello, incisione a mano libera e granitura furono le tecniche predilette dal pittore, utilizzate non in maniera monotona, ma dosando sapientemente la pressione dello strumento, per restituire lo scorcio prospettico dei nimbi e modulare la luce, come nei frammenti con la Nascita e lo Sposa-lizio della Vergine del Museo del Cenedese di Vittorio Veneto73 (fig. 35 saggio Buttus): un’attenzione che si misura con la delicatezza delle sfumature presenti nel corpo pittorico, in particolare negli incarnati, e più in generale con le sue diffuse inclinazioni naturalistiche e le pungenti osservazioni dal vero.

La novità di Nicolò sta nell’interpretazione del tutto informale e fantasiosa delle nuove tecniche, mai applicate in maniera metodica, ma sottoposte a un continuo e spregiudicato sperimentalismo, in linea con una cultura figurativa che reinterpreta la tradizione lagunare in chiave moderna e ora-mai internazionale. Benché sembri orientarsi, con il nuovo secolo, verso un decorativismo sempre più lussureggiante, in cui anche la punzonatura assume ora maggior importanza, Nicolò non adot-terà mai delle formule fisse, ma varierà di continuo i motivi impiegati, attingendo ad un repertorio assai vasto e combinando di continuo tecniche diverse, con un estro inesauribile. Con Gentile vi fu un rapporto dialettico, talora difficile74, troppo diverso era infatti il suo linguaggio, fatto di minuzie descrittive, rispetto alle travolgenti novità naturalistiche del maestro marchigiano. In lui non assistia-mo a quella profonda metamorfosi che subiranno altri artisti secondari del panorama veneziano, sebbene egli avesse nel tempo raddensato la materia pittorica, dapprima tersa e levigata, affidando-si a un ductus più guizzante e di tocco, di matrice prettamente gentiliana.

Tra i pittori che più si allinearono al nuovo corso vi furono il Maestro del dossale Correr, il Maestro della Madonna del Parto e, soprattutto, Zanino di Pietro. Lo studio delle diverse operazioni dell’oro nei primi due anonimi maestri, e in particolar modo della punzonatura, uniforme e riconoscibile, ha potuto avallare alcune attribuzioni o l’appartenenza di alcune tavole al medesimo complesso. Nel Maestro del dossale Correr, ad esempio, torna costante un punzone assai curioso, uno strumento rettangolare a dodici punte utilizzato come motivo decorativo a sé stante, ad esempio lungo i pro-fili delle aureole, e non per granire superfici di ampie dimensioni; la presenza, invece, in alcune opere assegnabili al Maestro della Madonna del Parto di una medesima punzonatura, di matrice nicoliana, abbinata a girali graniti, permette di supportare l’ipotesi, formulata per via stilistica, che i pannelli con San Francesco e San Ludovico della collezione Campana, conservati al Musée du Petit Palais di Avignone (fig. 40 saggio Buttus), e quelli con Santa Caterina d’Alessandria e San Giacomo appartenenti alla collezione Martello di Fiesole costituiscano i pannelli laterali di uno stesso politti-co smembrato75.

Ben più profonda e consapevole fu l’adesione di Zanino di Pietro alla ‘rivoluzione’ gentiliana, nel momento in cui egli si stabilì definitivamente a Venezia, tra 1406 e 1407. Documentato dapprima a Bologna, ove risentì dell’influsso del tardo neogiottismo, nella versione più cruda fornita da Jaco-po di Paolo, il pittore tornò a Venezia proprio nel momento in cui vi approdò anche Gentile, con il suo linguaggio carico di novità figurative e d’inedite sperimentazioni tecniche. Fu per Zanino una vera e propria folgorazione, che investì innanzitutto la sua pittura, ora più tenera e pastosa, e la sua tavolozza cromatica, più vibrata e preziosa, ma riguardò anche il vario universo della lavorazione orafa delle superfici metalliche. Il trittico di Rieti con la Crocifissione e sei santi francescani, prove-niente dall’eremo francescano di Fonte Colombo, ma realizzato in laguna, fornisce la prova più lampante di questa svolta76 (fig. 20). Opera di grande complessità per i suoi rimandi alle molteplici

19. Nicolò di Pietro, Madonna con il Bambino, particolare. Venezia, Gallerie dell’Accademia.

57 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini56 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

20. Zanino di Pietro, Crocifissione e sei santi francescani. Rieti, Museo Civico.

21. Zanino di Pietro, Crocifissione e sei santi francescani, particolare degli angeli dipinti e graniti. Rieti, Museo Civico.

22. Zanino di Pietro, Crocifissione e sei santi francescani, particolare del ladrone e degli angeli dipinti e graniti. Rieti, Museo Civico.

23. Zanino di Pietro, Crocifissione e sei santi francescani, particolare di Maria e le pie donne. Rieti, Museo Civico.

58 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini 59 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

trittico reatino, ma pure altri vertici figurativi come la Croce di San Polo78 o la Madonna con il Bam-bino tra santo cavaliere, san Francesco e san Gerolamo, di collezione privata newyorkese79, vanno dunque collocati entro lo stretto giro d’anni che vede la presenza in laguna del maestro fabriane-se, nel corso del secondo decennio, momento che costituisce l’apice della sua parabola figurativa. Nei decenni seguenti, infatti, il suo percorso declina vistosamente, scadendo in formule ripetitive e standardizzate, e intrecciandosi con quello di un altro pittore denominato Maestro di Roncaiet-te, con il quale egli verosimilmente stipulò un duraturo sodalizio in vista di un ampliamento del mercato80.

L’uso di un corredo distinto di punzoni costituisce in questo specifico caso un valido ausilio nel difficile, talora insormontabile, tentativo di distinguere la tarda attività dell’artista da quella dell’ano-nimo maestro, attivo soprattutto a Padova nella prima metà del Quattrocento. A discapito di una qualità esecutiva alterna, il Maestro di Roncaiette dispone di un corredo di strumenti ricco e variega-to, degno di un maestro di ben altra levatura. Non solo, egli sperimenta soluzioni decorative origina-li, accostando superfici irregolarmente granite ad una assai personale sequenza punzonata, che prevede l’uso, tra gli altri, di un insolito punzone a ‘margherita’, formato da quattro petali e quattro circoli con un circolo centrale, spesso in concomitanza con un altro punzone con motivo ad archetti trilobati aventi un bollo per pendilium. Non mancano letterali citazioni gentiliane, come l’uso di rita-gliare sul fondo dorato attributi e suppellettili attraverso le pratiche dell’incisione e della granitura (fig. 52 saggio Buttus). Per contro alcune soluzioni compaiono in entrambi gli artisti, come l’uso di stampare su sfondo granito gruppi di bolli a circolo, talora paradossalmente coincidenti con la so-vrapponibilità degli esiti figurativi e stilistici, così da rendere complicata un’attribuzione all’uno o all’altro dei due maestri.

Nonostante il carattere più sobrio delle sue punzonature, Zanino rimane tuttavia, insieme a Jaco-bello del Fiore, il più intelligente e pronto tra gli emuli veneziani di Gentile. Entrambi i maestri tra-mandarono alla generazione successiva, sia pur rimodulandoli in chiave minore, gli insegnamenti del fabrianese, influenzando soprattutto un artista come il Maestro di Ceneda, alias Lorenzo “da Ve-nexia”. Questi sembra tornare, ma con un repertorio più ridotto, alle rassicuranti geometrie di Jaco-bello, utilizzando al contempo in maniera altrettanto estensiva la pastiglia dorata, in scettri, corone, attributi e ornamenti preziosi.

Di ben altro livello, per la presenza di passaggi di straordinaria qualità, saranno le operazioni dell’oro e le manipolazioni materiche degli artisti che, accanto al Maestro di Ceneda, occuperanno

Un sentito ringraziamento va a tutti i collaboratori di questo numero specia-le di “Arte Veneta” con cui vi è stato un continuo e proficuo scambio di opinio-ni e di materiale fotografico. Ringra-zio inoltre, in modo particolare, Carol Togneri del Norton Simon Museum di Pasadena e Xavier Salomon della Frick Art Collection di New York, per avere prontamente realizzato e generosa-mente fornito alcune delle immagini qui pubblicate.

1 R. Oertel, Giotto-Ausstellung in Flo-renz, “Zeitschrift für Kunstgeschichte”, VI, 1937, p. 233; P. Bracco, La tavola di San Giorgio alla Costa: costruzione, tec-nica artistica, stato di conservazione e restauro, in La Madonna di San Giorgio alla Costa di Giotto. Studi e restauro, a cura di M. Ciatti, C. Frosinini, Firenze 1995, pp. 70-73; M. Ciatti, Il restauro della tavola di San Giorgio alla Costa: problemi e risultati, in La Madonna di San Giorgio…, cit., p. 40; A. Peroni, Le aureole della Madonna di San Giorgio alla Costa, “Florilegium”, 1995, pp. 56-61; A. De Marchi, Geometria e natura-lezza, modulo e ritmo: un’opera fondati-va alle origini del concetto illusionistico del polittico gotico, in A. Tartuferi, A. De Marchi, S. Scarpelli, Giotto. Il restauro del Polittico di Badia, Firenze 2012, pp. 41-45; Id., Un cadre béant sur le mon-de. La révolution giottesque à travers le développement de nouveaux types de croix et de retables monumentaux, in Giotto e compagni, catalogo della mostra (Paris, Musée du Louvre), a cura di D. Thiébaut, Milano 2013, pp. 49-65; Id., in Giotto e compagni, cit., pp. 70-75, cat. 2; É. Ravaud, in Giotto e compagni, cit., pp. 218-219, fig. 131.2 M. Boskovits, Il Crocifisso di Giotto della chiesa di Ognissanti: riflessioni dopo il restauro, in L’officina di Giotto. Il restauro della Croce di Ognissanti, a cura di M. Ciatti, Firenze 2010, pp. 47-62; P. Bracco, O. Ciappi, A.M. Hilling, La pittura della Croce di Ognissanti: lettu-re tecniche ed intervento di restauro, in L’officina di Giotto…, cit., pp. 103-162.3 A. Peroni, La “Maestà” di Ognissanti rivisitata dopo il restauro, in La ‘Madon-na d’Ognissanti’ di Giotto restaurata, Fi-renze 1992, pp. 17-36 (“Gli Uffizi. Studi e ricerche”, 8).4 Nel suo Libro dell’arte Cennini dedica diversi capitoli alla lavorazione della foglia d’oro. Dalle sue parole emerge chiaramente quanto questa fase della più generale procedura di preparazio-ne della tavola fosse importante, oltre che particolarmente piacevole: “Que-sto granare che io ti dico, è de’ belli membri che abbiamo: e puossi grana-re a disteso, come ti ho detto; e puossi granare a rilievo; che con sentimento

di fantasia e di mano leggiera tu puoi in un campo d’oro fare fogliami e fare angioletti e altre figure che traspaia-no nell’oro; cioè nelle pieghe e nelli scuri non granare niente; ne’ mezzi un poco, ne’ rilievi assai; perchè il granare, tanto viene a dire, chiareggiare l’oro; perchè per se medesimo è scuro dove è brunito” (Cennino Cennini, Il Libro dell’arte, cap. CXL).5 G.L. Stout, A puzzling piece of gold leaf tooling, “Fogg Art Museum Notes”, II, 1929, 4, pp. 141-152.6 M. Meiss, Ugolino Lorenzetti, “Art Bul-lettin”, XIII, 1931, 3, p. 380, nota 6.7 Anche se, come rileveranno gli studi successivi, alcuni semplici punzo-ni erano utilizzati già dalla seconda metà del Duecento, nella cerchia di Guido da Siena, ad esempio, e in quella dello stesso Duccio. Per gli stu-di tra gli anni venti e trenta del secolo si vedano inoltre gli importanti con-tributi di O. Sirén, Toskanische Maler im XIII. Jahrhundert, Berlin 1922, p. 307; C. Weigelt, Guido da Siena, in Thi-eme-Becker Künstlerlexikon, XV, 1922, pp. 280-284; Id., Sienese Painting of the Trecento, New York [s.d], p. 4, nota 4, in relazione al problema, in quegli anni assai spinoso, della sovrappo-sizione dei cataloghi di Duccio e Ci-mabue. Cfr. inoltre R. Offner, Studies in Florentine Painting. The Fourteenth Century, New York 1927; E. Liebman Mack, Stamped Ornamentation in Ear-ly Florentine Painting, tesi di MA ine-dita, Institute of Fine Arts, New York University, New York 1928, pp. 2-3; C. Weigelt, The halo technic of the Ita-lian primitives, “International Studio”, 1931, 99, pp. 38-41. Sotto il profilo più strettamente tecnico si conside-rino: D.V. Thompson, The practice of Tempera Painting. Materials and Me-thods, New Haven, Yale University Press, 1936, pp. 51-72; R.J. Gettens, G.L. Stout, Painting Materials. A Short Encyclopedia, New York 1942. Per l’uso da parte di Simone di motivi stampati nella decorazione a fresco, si vedano: M.S. Frinta, Stamped ha-los in the “Maestà” of Simone Martini, in Simone Martini, atti del convegno (Siena, 27-29 marzo 1985), a cura di L. Bellosi, Firenze 1988, pp. 139-145; A. Bagnoli, La Maestà di Simone Martini, Cinisello Balsamo 1999.8 Richard Offner svolse il suo dotto-rato di ricerca a Vienna sotto la guida di Max Dvorák nel 1914 (cfr. R. Offner, H.B.J. Maginnis, Corpus, Supplement. A Legacy of Attributions, New York 1981).9 R. Offner, Studies in Florentine…, cit., passim; Id., A critical and historical corpus of Florentine painting, vol. III/IV, New York 1934, p. 191.10 M. Meiss, Nuovi dipinti e vecchi pro-

blemi, “Rivista d’Arte”, 1955, pp. 116-117.11 D.V. Thompson, The Craftsman’s Handbook - ‘Il Libro dell’Arte’. Cennino d’Andrea Cennini (translation), New Haven-London 1960 (1a ed. 1933), p. 88, nota 6.12 B. Berenson, Italian Pictures of the Renaissance, Florentine School, Oxford 1932.13 E. Skaug, Vices and virtues of tech-nical evidence: Notes on the Alberto Crespi Collection, with particular atten-tion to Giovanni di Bartolomeo Cristiani and Nanni di Jacopo, in I Fondi oro della Collezione Alberto Crespi al Museo Dio-cesano di Milano: questioni iconografi-che e attributive, Atti della giornata di studi (Milano, 11 ottobre 2004), Cini-sello Balsamo 2009, p. 90, fig. 1.14 Nel solco di Berenson si colloca-rono diversi studiosi che, pur criti-candone il metodo, rimasero di fatto invischiati in sistemi classificatori altrettanto complessi: tra costoro vi furono lo stesso Richard Offner, che ri-prese e complicò il sistema degli anelli concentrici berensoniano, e più tardi Federico Zeri e Burton Fredericksen nel loro Census pubblicato nel 1972: R. Offner, A critical and historical corpus of Florentine Painting, The thirteenth century, vol. I, New York 1931, pp. X-XI; B. Fredericksen, F. Zeri, Census of pre-nineteenth-century Italian paintings in North American public collections, Cambridge (MA) 1972.15 M. Frinta, An investigation of the punched decoration of mediaeval ita-lian and non-italian panel paintings, “The Art Bulletin”, XLVII, 2, 1965, pp. 261-265.16 Come dimostrerà invece suc-ces-sivamente Skaug, i punzoni non veni-vano fabbricati fondendo il ferro, ma intagliandolo, forse per mano di orafi o incisori esperti della Zecca, ed era-no strumenti particolarmente costosi (E.S. Skaug, Punch marks from Giotto to Fra Angelico, attribution, chronology, and workshop relationships in Tuscan panel painting. With Particular Con-sideration to Florence, c. 1330-1430, I, Oslo 1994, p. 59).17 “Punch tools were personal and their marks may serve for individual attribution, like cryptic signatures or ‘fingerprints’ telling master from assi-stant” (cfr. M. Frinta, Deletions from the oeuvre of Pietro Lorenzetti and related works by the Master of the Beata Umil-tà, Mino Parcis da Siena, and Jacopo di Mino del Pellicciaio, “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Flo-renz”, XX, 1976, pp. 271-300).18 Mojmir Frinta proseguì i suoi stu-di e la raccolta di macrofotografie che lo condussero, a distanza di oltre

24. Jacopo Bellini, Madonna con il Bambino, particolare del manto della Vergine. Parigi, Musée du Louvre.

25. Jacopo Bellini, Madonna con il Bambino, particolare del paesaggio. Parigi, Musée du Louvre.

nei decenni centrali del secolo la scena veneziana, come Michele Giambono, Antonio Vivarini o, infine, il più autentico tra i discipuli gentiliani, ossia Jacopo Bellini, la cui produzione, pur parallela a quella di Pisanello, si allontana dalle acute e quasi taglienti definizioni del veronese, per rimanere nel solco delle più morbide e irregolari sperimentazioni materiche e luministiche gentiliane. Egli tuttavia segnerà l’avvio a Venezia di una nuova era e con essa l’abbandono dell’uso del prezioso metallo, ben presto sostituito dall’oro “masenato” (figg. 24-25) e, nei fondi, da remote vedute pae-saggistiche che, con la loro luce calda e dorata, avvolgeranno come in un morbido abbraccio le fi-gure in primo piano, riflettendone in maniera empatica, nella piena fusione di luce e colore, uma-nità ed affetti.

Università di Padova

61 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini60 / Indagini sulle lavorazioni dell’oro come contributo per lo studio della pittura veneziana delle origini

trent’anni, ad una esaustiva docu-mentazione del repertorio di punzoni utilizzato presentato in forma mono-grafica (M.S. Frinta, Punched Decora-tion on late Medieval Panel and Minia-ture Painting, Part I, Catalogue, Prague 1998).19 E.S. Skaug, Punch marks…, cit., p. 40, nota 133. Come specifica Skaug, in realtà una rigorosa suddivisione tra i due campi fu difficile da mantenere, viste le interrelazioni esistenti tra le botteghe dei due centri artistici e la dispersione dei punzoni da una bot-tega all’altra.20 Questi aspetti, già rilevati dall’au-tore, furono ripresi e ulte-riormente discussi da Angelo Tartuferi nella re-censione al volume di Skaug (A. Tartu-feri, Note in margine a un trattato sulla decorazione punzonata dei dipinti tre-centeschi, “Arte cristiana”, LXXXIII, 771, 1995, pp. 478-482), che sottolineava l’importanza dello studio della deco-razione punzonata e le interessanti indicazioni di carattere attributivo, cronologico e stilistico, che potevano emergere, ma ne consigliava un uso critico e prudente. Questo tipo di in-formazioni, infatti, portano a nuove ed interessanti riflessioni sulle tecni-che impiegate da un artista e dalla sua bottega, sollevano questioni at-tributive e cronologiche, costringen-do gli studiosi a rivedere le antiche cronologie e i cataloghi degli artisti; ma necessitano di un approccio in-terdisciplinare, in cui prove tecniche, documenti storici e criteri stilistici dia-loghino fra loro, e cerchino di deline-are nel modo più completo possibile la figura dell’artefice, l’opera d’arte e la sua storia.21 E. Skaug, Contributions to Giotto’s Workshop, “Mitteilungen des Kunsthi-storischen Institutes in Florenz”, XV, 2, 1971, pp. 141-160.22 A proposito della nuova disciplina, Skaug si esprimeva in questi termini: “Sphragiology is mainly book-kee-ping, a dry and pedantic exercise” (E.S. Skaug, Vices and virtues…, cit., p. 89).23 Come precisa Skaug, la procedura per l’identificazione dei punzoni è la macrofotografia con l’inserimento di un righello centimetrato, confrontan-do ingrandimenti 2:1.24 Come ribadisce Skaug (E.S. Skaug, Painters, punchers, gilders or goldbea-ters? A critical survey report of discus-sions in recent literature about early Italian painting, “Zeitschrift für Kun-stgeschichte”, 4, 2008, pp. 571-582), è un’idea sostenuta anche in alcuni studi recenti, ma non supportata dalle fonti: S. Pasquinucci, B. Deimling, Tra-dition and innovation in Florentine Tre-cento painting: Giovanni Bonsi - Tom-maso del Mazza, in A critical and histo-rical corpus of Florentine painting, IV/8, a cura di M. Boskovits, Firenze 2000, p. 19, nota 29; R. Bellucci, C. Frosinini, Working Together: Technique and In-novation in Masolino’s and Masaccio’s Panel Paintings, in C.B. Strehlke, C. Fro-sinini, The Panel Paintings of Masolino and Masaccio. The Role of Technique, Milan 2002, pp. 56-57, nota 3.25 M. Boskovits, Pittura fiorentina alla vigilia del Rinascimento, 1370-1400, Fi-renze 1975.26 E. Skaug, Punch marks - What are they worth? Problems of Tuscan wor-kshop interrelationships in the mid-fourteenth century: the Ovile Master and Giovanni da Milano, in La pit-tura nel XIV e XV secolo. Il contributo dell’analisi tecnica alla storia dell’arte, atti del XXIV Congresso Internaziona-le di Storia dell’Arte (Bologna, 1979), a

cura di H.W. van Os e J.R.J. van Aspe-ren de Boer, Bologna 1983, p. 253.27 E.S. Skaug, Siena, e non la Lombar-dia: Giovanni da Milano tra il 1346 e il 1363, in Giovanni da Milano. Capolavo-ri del Gotico fra Lombardia e Toscana, catalogo della mostra (Firenze, Gal-lerie dell’Accademia), a cura di D. Pa-renti, Firenze 2008, pp. 103-113. Ma al riguardo vedi le riserve espresse da A. De Marchi, L. Sbaraglio, Ragionamenti sull’attività pisana di Giovanni da Mila-no, “Predella”, I, 2010, p. 33. Non meno interessanti sono le questioni che ri-guardano le metodologie operative e la suddivisione del lavoro tra artisti diversi all’interno di un’unica botte-ga. Emblematico è il caso, studiato da Skaug, dei due artisti pistoiesi Giovan-ni di Bartolomeo Cristiani e Nanni di Jacopo, che realizzarono in tandem il trittico con la Madonna col Bambino e quattro santi della collezione Crespi del Museo Diocesano di Milano. Lo studio tecnico delle impressioni pun-zonate ha suffragato e ulteriormente precisato l’osservazione condotta per via stilistica, che riconosceva a Cri-stiani l’ideazione dell’opera nel suo complesso, ma la realizzazione pitto-rica della sola anta destra con i santi Giovanni Battista e Paolo. Le indagini hanno altresì permesso di assegnare a Cristiani anche tutta la decorazio-ne dell’oro eseguita nello stile e con gli strumenti della sua bottega, com-presa quella delle parti dipinte dal partner Nanni di Jacopo. Dunque il trittico, nonostante sia stato dipin-to per la maggior parte da Nanni, fu tuttavia commissionato a Bartolomeo Cristiani e realizzato nella sua bottega (E. Skaug, Vices and virtues…, cit., pp. 94-99).28 J. Polzer, Observations on known paintings and a new altarpiece by Francesco Traini, “Pantheon”, XXIX, 1971, pp. 379-389; Id., The “Master of the Rebel Angels” Reconsidered, “Art Bullettin”, LXIII, pp. 563-584; Id., A contribution to the early chronology of Lippo Memmi, in La pittura nel XIV e XV secolo…, cit., pp. 237-252; Id., ‘Symon Martini et Lippus Memmi me pinxerunt, in Simone Martini, atti del convegno (Siena, 27-29 marzo 1985), a cura di L. Bellosi, Firenze 1988, pp. 167-173.29 N.E. Muller, Lorenzettian technical influences in a painting of S. Philip by the Master of Figline, in La pittura nel XIV e XV secolo…, cit., pp. 283-295.30 A. Ladis, Taddeo Gaddi. Critical Reappraisal and Catalogue Raisonné, Columbia-London 1982; Id., A Newly Recovered ‘Enthroned Madonna’ by Giovanni da Milano, “Apollo”, CXVI, 1982, pp. 6-7.31 J. Steinhoff-Morrison, Bartolomeo Bulgarini and Sienese Painting of the Mid-Fourteenth Century, 1-2, Ph.D.-thesis, Princeton University 1989.32 J. Polzer, A question of method: quantitative aspects of art historical analysis in the classification of early Trecento Italian painting based on or-namental practice, “Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Flo-renz”, XLIX, 2005, 1-2, pp. 33-100.33 L. Lodi, Note sulla decorazione pun-zonata di dipinti su tavola di area emi-liana dalla metà alla fine del Trecento, “Musei Ferraresi”, 11, 1981, pp. 9-54; L. Baldelli, Una proposta di classificazio-ne dei punzoni su tavola nei dipinti del XIV e del XV secolo nelle Marche, “Storia dell’Arte”, 72, 1991, pp. 145-182; M. Messina, La decorazione dei fondi oro nella pittura riminese del Trecento, “Stu-di romagnoli”, XLIX, 1998, pp. 391-401.34 Cennino Cennini, Il Libro dell’arte, a

cura di F. Brunello, Vicenza 1992, cap. CXL.35 Non è mancata tuttavia una rifles-sione attorno alla terminologia impie-gata per definire ogni singolo motivo punzonato o decorativo, nel tentativo di arrivare ad un linguaggio specifico che sia comune alle diverse indagini sfragiologiche condotte. La scelta di una terminologia appropriata e con-divisa, per ogni forma o categoria catalogata, è risultata necessaria per una maggiore organicità e sistema-ticità che, come è noto, sono i criteri indispensabili di ogni disciplina.36 Francesco Petrarca, Senili, Libro IX, epistola I.37 C. Travi, Il Maestro del trittico di Santa Chiara. Appunti per la pittura ve-neta di primo Trecento, “Arte Cristiana”, LXXX, 1992, 749, pp. 81-96; C. Santini, Un’antologia pittorica del primo Trecen-to nella chiesa di S. Francesco a Udine, “Arte Cristiana”, LXXXII, 1994, 762, pp. 187, 195, nota 9; C. Guerzi, Per la pit-tura veneziana alla fine del Duecento: un’inedita “Depositio Christi”, “Arte Ve-neta”, 64, 2007, p. 138; M. Boskovits, Paolo Veneziano: riflessioni sul percorso (Parte I), “Arte Cristiana”, XCVII, 2009, 851, pp. 81-82, 88, nota 21; F. Flores d’Arcais, Il Trittico di Santa Chiara e la pittura a tempera su tavola del Trecen-to a Trieste, in Medioevo a Trieste. Isti-tuzioni, arte, società nel Trecento, atti del convegno (Trieste, 22-24 novem-bre 2007), a cura di P. Cammarosano, Roma 2009, pp. 359-363.38 Per questo pittore, inizialmente denominato da Miklós Boskovits “Ma-estro della cappella Dotto”, si vedano i seguenti contributi: M. Boskovits, The Thyssen-Bornemisza Collection. Early Italian painting 1290-1470, London 1990, pp. 130-137, 219; G. Valagussa, Il Miniatore di Lanfranco de Pancis: un nuovo personaggio nella storia della miniatura duecentesca, “Arte Cristia-na”, LXXXI, 758, 1993, p. 333, nota 2; C. Santini, Un’antologia pittorica del primo Trecento…, cit., pp. 185-187 e note 7-8; C. Guerzi, Per la pittura vene-ziana…, cit., pp. 138-152.39 E. Lavagnino, Un crocifisso venezia-no del secolo XIV a Roma, “L’Arte”, XXIV, II, 1931, pp. 120-129; E.B. Garrison, Italian romanesque panel painting. An illustrated index, Firenze 1949, p. 215, n. 579; P. Toesca, Storia dell’arte italia-na, II. Il Trecento, Torino 1951, p. 700; G. Mariacher, Croci dipinte veneziane del ‘300, in Scritti in onore di Lionello Venturi, I, Roma 1956, pp. 101-120; R. Pallucchini, La pittura veneziana del Trecento, Venezia-Roma 1964, pp. 63-64; G. Gamulin, La pittura su tavola nel tardo Medioevo sulla costa orientale dell’Adriatico, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, atti del convegno internazionale (Venezia, 1-5 giugno 1968), a cura di A. Pertusi, Firenze 1974, p. 197; C. Santini, Un episodio della pittura veneziana di primo Tre-cento: il “Maestro dell’Incoronazione della Vergine di Washington”, “Il Santo”, XXXVII, 1997, 1, p. 139; G. Goi, La tavo-la di Sant’Agata di Cremona, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Me-dioevo, 1998, pp. 38-44.40 S. Skaug, Punch marks from Giotto to Fra Angelico…, cit., p. 38.41 M. Muraro, Paolo da Venezia, Mila-no 1969; C. Travi, Su una recente storia della pittura del Veneto nel Trecento, “Arte cristiana”, LXXXII, 760, 1994, pp. 70-72; C. Santini, Un episodio della pit-tura veneziana…, cit., pp. 123-145; C. Guarnieri, Il passaggio tra due genera-zioni: dal Maestro dell’Incoronazione a Paolo Veneziano, in Il secolo di Giotto

nel Veneto, a cura di G. Valenzano e F. Toniolo, Venezia 2007, pp. 153-201.42 Venezia, Museo delle Icone dell’Istituto Ellenico di studi bizantini e postbizantini, Croce dipinta, tempera su tavola, cm 244 x 191. Cfr. M. Mura-ro, Paolo da Venezia, cit., pp. 29, 151; C. Guarnieri, Il passaggio tra due genera-zioni…, cit., pp. 168-169; M. Kazanaki-Lappa, Arte bizantina e postbizantina a Venezia: Museo di icone dell’Istituto El-lenico di Studi bizantini e postbizantini di Venezia, Villorba 2009, p. 8. 43 Dignano (Vodnjan), chiesa di San Biagio. Cfr. M. Muraro, Paolo da Vene-zia, cit., pp. 25-27, 114-115 e, da ulti-mo, A. Krekic, La tavola del Beato Leone Bembo di Paolo Veneziano e la sua co-pia tardo-quattrocentesca: tipologia e funzioni, “Arte in Friuli Arte a Trieste”, 24, 2005, pp. 147-160; C. Guarnieri, Il passaggio tra due generazioni…, cit., pp. 166-169; M. Boskovits, Paolo Vene-ziano …, cit., pp. 88-89, nota 21.44 Per la definizione di questo mae-stro si veda il saggio di V. Poletto, in questo volume.45 G. Mariacher, Il Museo Correr di Ve-nezia. Dipinti dal XIV al XVI secolo, Ve-nezia 1957, pp. 155-156.46 Konopište, Castello Statale, tem-pera su tavola, cm 65,3 x 32,3. Cfr. A. De Marchi, La mostra di “Pittura ita-liana del Gotico e del Rinascimento” a Praga, “Prospettiva”, 45, 1986, p. 76; O. Pujmanová, Italské gotiké a renesančni obrazy v českoslovensých sbírkách, Pra-ha 1987, cat. 28; O. Pujmanová, Arte rinascimentale italiana nelle collezioni ceche. Pitture e sculture, catalogo del-la mostra (Praga, Galleria Nazionale), Praga 1997, pp. 182-185; A. De Marchi, Polyptyques vénitiens. Anamnèse d’une identité méconnue, in Lorenzo Venezia-no. Fragments de polyptyques vénitiens du XIVe siècle, catalogo della mostra (Tours, Musée des Beaux-Arts), a cura di A. De Marchi e C. Guarnieri, Cinisel-lo Balsamo 2005, p. 33.47 Ubicazione ignota, già Roma colle-zione privata, tempera su tavola, cm 65 x 32 circa. Cfr. O. Pujmanová, Arte rinascimentale…, cit., pp. 182-185; A. De Marchi, Polyptyques vénitiens…, cit., p. 31.48 Ubicazione ignota, già Radens-leben, collezione von Quast, tempera su tavola, cm 22,4 x 18,3 (cfr. E.B. Garri-son, Italian romanesque…, cit., p. 241, n. 688). 49 Richmond, Virginia Museum of Fine Arts, Dittico, tempera su tavola, cm 58 x 49 (ogni valva), inv. 55.11. Cfr. E.B. Garrison, Italian Romanesque…, cit., p. 98, n. 246.50 Cfr. M. Muraro, Paolo da Venezia, cit., pp. 59, 112-113, tavv. 79-81, fig. 5-11; V. Poletto, in Guariento e la Pado-va carrarese. Guariento, catalogo della mostra (Padova, Palazzo del Monte di Pietà), a cura di D. Banzato, F. Flores d’Arcais, A.M. Spiazzi, Milano 2011, p. 163.51 M. Muraro, Paolo da Venezia, cit., pp. 58-59, 110-111, tavv. 74-76.52 Ivi, pp. 62, 107-108, tavv. 96-102.53 F. Massaccesi, Il “corridore” della chiesa agostiniana di San Giacomo Maggiore a Bologna: prime ipotesi ricostruttive, “Zeitschrift für Kunstge-schichte”, 77, 2014, 1, pp. 1-26.54 M. Muraro, Paolo da Venezia, cit., pp. 129-130, fig. 30-32.55 Ivi, fig. 39. Cfr. da ultimo, L. Morozzi, in Il trecento adriatico. Paolo Veneziano e la pittura tra Oriente e Occidente, ca-talogo della mostra (Rimini, Castel Si-smondo), a cura di F. Flores D’Arcais e G. Gentili, Cinisello Balsamo 2002, pp. 162-163; Ead., in Histria. Opere d’arte

restaurate: da Paolo Veneziano a Tie-polo, catalogo della mostra (Trieste, Civico Museo Revoltella), a cura di F. Castellani e P. Casadio, Milano 2005, pp. 106-108.56 Tempera su tavola, cm 126 x 95 cia-scun gruppo, i singoli pannelli misura-no cm 77 x 25, inv. Cl. I, n. 1480 A e B.G. Mariacher, Il Museo Correr…, cit., p. 124.57 Pasadena, The Norton Simon Mu-seum, acc. no. F.1973.24.P, cm 112 x 61, già in deposito a Londra, National Gallery: cfr. R. Pallucchini, La Pittura veneziana…, cit., p. 41, fig. 116; M. Muraro, Paolo da Venezia, cit., pp. 42, 119-120, fig. 2. Nel verificare tale rico-struzione si dovrà tenere presente che il cordolo a torciglione lungo il profi-lo esterno della cuspide sostituisce verosimilmente un originale decoro fogliaceo rovinato. Ringrazio la dotto-ressa Carol Togneri del Norton Simon Museum, che mi ha fornito foto e in-formazioni sul dipinto e che, circa una decina di anni fa, aveva formulato la stessa ipotesi scrivendo via mail alla dottoressa Sonia Guetta Finzi del Mu-seo Correr di Venezia.58 M. Muraro, Paolo da Venezia, cit., pp. 127-128.59 Sui tessuti dipinti nelle pale vene-ziane, con particolare riferimento a Paolo, vedi C. Hoeniger, Le stoffe nella pittura veneziana del Trecento, in La pittura nel Veneto. Il Trecento, a cura di M. Lucco, II, Milano 1992, pp. 442-462. Vedi inoltre, P. Frattaroli, I tessili medievali nell’entroterra veneto, dalla metà del XIII alla metà del XIV. Aspetti tecnici e desinenze ornamentali, in Tes-suti nel Veneto. Venezia e la terraferma, a cura di G. Ericani e P. Frattaroli, Ve-rona 1993, pp. 191-228; A. M. Spiazzi, Per la storia del tessile in area veneta dal secolo XIV alla metà del secolo XV. Repertorio iconografico e stilistico, in Ivi, pp. 171-190.60 M. Muraro, Paolo da Venezia, cit., pp. 153-155; M.E. Avagnina, in Pina-coteca civica di Vicenza. Dipinti dal XIV al XVI secolo, a cura di M.E. Avagnina, M. Binotto, G.C.F. Villa, Vicenza 2003, pp. 102-105, cat. 1a-c; A. De Marchi, Polyptyques vénitiens…, cit., p. 17, fig. 6-7, p. 20.61 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, Cinisello Balsamo 2006, pp. 180-181, cat. 9.62 Ivi, pp. 181-183, cat. 10.63 La ricezione da parte di Lorenzo del modulo decorativo del girale con racimolo finale, ma il mancato utilizzo dello strumento multiplo, potrebbero anche essere indizio di un possibile apprendistato del maestro presso la bottega di Paolo avvenuto in anni precedenti il 1349.64 C. Guarnieri, Lorenzo Veneziano, cit., p. 213, cat. 43.65 Ivi, pp. 185-186, cat. 13.66 L’ipotesi è stata formulata oralmen-te da Andrea De Marchi.67 A. De Marchi, Gentile da Fabriano. Un viaggio nella pittura italiana alla fine del gotico, Milano 1992, p. 160.68 D. Benati, Jacobello del Fiore. His Oeuvre and a Sumptuous Crucifixion, London 2007.69 Fermo, Pinacoteca civica, tempera su tavola, cm 70 x 52 per ogni pan-nello. Cfr. T. Franco, Jacobello del Fiore a Fermo, in A. De Marchi, T. Franco, Il Gotico internazionale da Nicolò di Pietro a Michele Giambono, in Pittura veneta nelle Marche, a cura di V. Curzi, Cinisello Balsamo 2000, pp. 64-65. A. De Marchi, Gentile e la sua bottega, in Gentile da Fabriano. Studi e ricerche, a cura di A. De Marchi, L. Laureati, L.

Mochi Onori, Milano 2006, pp. 38-45.70 C. Huter, Jacobello del Fiore, Giam-bono and the St Benedict panels, “Arte Veneta”, XXXII, 1978, p. 35.71 Venezia, Gallerie dell’Accademia, tempera su tavola, pannello centrale cm 208 x 194, pannelli laterali cm 208 x 133 (S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia di Venezia. Opere d’arte dei secoli XIV e XV, Roma 1955, pp. 28-29, cat. 26). 72 Tempera su tavola, cm 107 x 65, firmata NICHOLA(us) FILIUS M(agist)RI PETRI PICTORIS DE VENECIIS, Venezia, Gallerie dell’Accademia (S. Moschini Marconi, Gallerie dell’Accademia…, cit., p. 14).73 Tempera su tavola, cm 106 x 57. Cfr. V. Pianca, Nicolò di Pietro, Nascita e Sposalizio della Vergine, in Pisanello. I luoghi del gotico internazionale, cata-logo della mostra (Verona, Museo di Castelvecchio), a cura di F.M. Aliberti Gaudioso, Milano 1996, pp. 251-252.74 Con Gentile Nicolò collabora stret-tamente in almeno due occasioni: nei pannelli con Storie di san Benedetto, divisi tra gli Uffizi e il Museo Poldi Pez-zoli, da immaginarsi ai lati di una ta-vola con San Benedetto che consegna la regola, ove si deve distinguere l’ide-azione (e forse anche il disegno sulla mestica), da riservare al fabrianese, e l’esecuzione, da imputare invece al maestro veneziano; nella realizzazio-ne di due tavole per il mercante ve-neziano Francesco Amadi nel 1408 (A. De Marchi, Gentile e la sua bottega, cit., pp. 17-18, 33-36; A. Di Lorenzo, in Gen-tile da Fabriano e l’altro Rinascimento, catalogo della mostra [Fabriano, Spe-dale di Santa Maria del Buon Gesù], a cura di L. Laureati, L. Mochi Onori, Milano 2006, pp. 150-154).75 A. De Marchi, Per un riesame della pittura tardogotica a Venezia: Nicolò di Pietro e il suo contesto adriatico, “Bol-lettino d’arte”, LXXII, 1987, 44-45, p. 42.76 C. Guarnieri, in Gentile da Fabria-no…, cit., pp. 162-165.77 A. De Marchi, Interferenze possibili tra oreficeria e pittura nel nord Italia, prima e dopo Gentile da Fabriano, in Smalti en ronde-bosse fra Italia ed Eu-ropa, atti del convegno (Pisa, 2000), a cura di A.R. Calderoni Masetti, in “An-nali della Scuola Normale Superiore di Pisa”, IV, 2003, pp. 27-47 (Quaderni, 15).78 A. De Marchi, Gentile e la sua…, cit., p. 17.79 C. Guarnieri, in Gentile da Fabria-no…, cit., pp. 166-167.80 A. De Marchi, Zanino di Pietro, il Ma-estro di Roncaiette e Lorenzo di Giaco-mo, in A. De Marchi, T. Franco, Il Gotico internazionale da Nicolò di Pietro a Mi-chele Giambono, in Pittura veneta nelle Marche, a cura di V. Curzi, Cinisello Bal-samo 2000, pp. 69-78.


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