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Influenza islamica nelle ceramiche provenienti dal castello di Melfi (PZ)? Alcune considerazioni,...

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Premessa. Una recente attività di emergenza, nel- l’ambito dei lavori di riqualificazione del castello di Melfi, ha portato in luce un consistente nucleo di materiali ceramici e vitrei della Torre detta di Marcangione, verosimilmente componente federiciana del più complesso palinsesto architetto- nico attualmente visibile. L’apporto dei nuovi dati ha spinto a un riesame com- plessivo del più vasto gruppo ceramico proveniente da scavi effettuati, occasio- nalmente, nell’intera area castellare. Tra le produzioni enucleate, accanto a ma- nufatti che testimoniano apporti pugliesi e campani, alcuni esemplari sottolineano legami culturali con il mondo islamico. Il contributo intende proporre alcuni di questi manufatti mentre l’analisi è ancora in corso con preliminari considerazioni sui cartoni e sulle tecniche di produzione, evidenziandone le peculiarità. Una breve digressione introduce la storia architettonica del castello, il quale, pur fondamentale monumento della Basilica- ta medievale, non è stato finora oggetto di scavi sistematici mirati alla definizione delle sue fasi cronologiche: se quella nor- manna sembra destinata a rimanere de- scritta dalle fonti, quella angioina è co- piosamente documentata da molti reper- ti ceramici mai però studiati nel loro in- sieme; nel mezzo la fase sveva si affaccia timidamente grazie al recupero nella Tor- re di Marcangione, compiuto purtroppo senza il completo controllo archeologico. La breve sintesi introduttiva sarà pertanto funzionale a chiarire la cronologia asse- gnata ai materiali presentati e la loro at- tribuzione di bottega. Il contesto in breve. Il castello di Melfi è un insieme di molti corpi di fabbrica, di- stinti ma oggi non sempre distinguibili, ac- corpati in un lungo arco temporale (fig. 1). L’intero complesso architettonico si mo- stra, quindi, come un organismo cresciuto e mutato nel tempo per il quale manca una netta lettura delle fasi edilizie. Secon- do le fonti documentarie un primo im- pianto fortificato sulla collina va riferito alla fine dell’XI-prima metà del XII seco- lo 1 , ma questa originaria struttura fu ab- battuta per poi essere ricostruita dai citta- dini melfesi su ordine di Ruggero II. Se del primo edificio non si può riconosce- re alcun elemento, l’ipotesi del secondo è 1 Secondo Amato di Montecassino la città di Melfi non possiede ancora un castello agli inizi del- l’XI secolo, mentre la presenza di un fortilizio si evince da un documento del 1133. Nella contesa tra Tancredi di Conversano e Ruggero, Melfi si schierò con Tancredi e ciò causo l’ordine di distruggere il castello e di costruirne un altro, AMATO DI MONTE- CASSINO, p. 77. Per una completa trattazione delle fonti a disposizione sull’origine del circuito murario e del castello vedi AURORA 1998 e TRANGHESE 1992, con opinioni contrastanti. 43 Rosanna Ciriello - Isabella Marchetta INFLUENZA ISLAMICA NELLE CERAMICHE PROVENIENTI DAL CASTELLO DI MELFI (PZ)? ALCUNE CONSIDERAZIONI
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Premessa.Una recente attività di emergenza, nel-

l’ambito dei lavori di riqualificazione delcastello di Melfi, ha portato in luce unconsistente nucleo di materiali ceramici evitrei della Torre detta di Marcangione,verosimilmente componente federicianadel più complesso palinsesto architetto-nico attualmente visibile. L’apporto deinuovi dati ha spinto a un riesame com-plessivo del più vasto gruppo ceramicoproveniente da scavi effettuati, occasio-nalmente, nell’intera area castellare. Trale produzioni enucleate, accanto a ma-nufatti che testimoniano apporti pugliesie campani, alcuni esemplari sottolineanolegami culturali con il mondo islamico.Il contributo intende proporre alcuni diquesti manufatti mentre l’analisi è ancorain corso con preliminari considerazionisui cartoni e sulle tecniche di produzione,evidenziandone le peculiarità.Una breve digressione introduce la storiaarchitettonica del castello, il quale, purfondamentale monumento della Basilica-ta medievale, non è stato finora oggettodi scavi sistematici mirati alla definizionedelle sue fasi cronologiche: se quella nor-

manna sembra destinata a rimanere de-scritta dalle fonti, quella angioina è co-piosamente documentata da molti reper-ti ceramici mai però studiati nel loro in-sieme; nel mezzo la fase sveva si affacciatimidamente grazie al recupero nella Tor-re di Marcangione, compiuto purtropposenza il completo controllo archeologico.La breve sintesi introduttiva sarà pertantofunzionale a chiarire la cronologia asse-gnata ai materiali presentati e la loro at-tribuzione di bottega.

Il contesto in breve. Il castello di Melfi èun insieme di molti corpi di fabbrica, di-stinti ma oggi non sempre distinguibili, ac-corpati in un lungo arco temporale (fig. 1).L’intero complesso architettonico si mo-stra, quindi, come un organismo cresciutoe mutato nel tempo per il quale mancauna netta lettura delle fasi edilizie. Secon-do le fonti documentarie un primo im-pianto fortificato sulla collina va riferitoalla fine dell’XI-prima metà del XII seco-lo1, ma questa originaria struttura fu ab-battuta per poi essere ricostruita dai citta-dini melfesi su ordine di Ruggero II. Sedel primo edificio non si può riconosce-re alcun elemento, l’ipotesi del secondo è

1 Secondo Amato di Montecassino la città diMelfi non possiede ancora un castello agli inizi del-l’XI secolo, mentre la presenza di un fortilizio sievince da un documento del 1133. Nella contesa traTancredi di Conversano e Ruggero, Melfi si schieròcon Tancredi e ciò causo l’ordine di distruggere il

castello e di costruirne un altro, AMATO DI MONTE-CASSINO, p. 77. Per una completa trattazione dellefonti a disposizione sull’origine del circuito murarioe del castello vedi AURORA 1998 e TRANGHESE 1992,con opinioni contrastanti.

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Rosanna Ciriello - Isabella Marchetta

INFLUENZA ISLAMICA NELLE CERAMICHE PROVENIENTIDAL CASTELLO DI MELFI (PZ)? ALCUNE CONSIDERAZIONI

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costruita dall’arch. Gaspare Lenzi, incari-cato del restauro del castello negli anni’30 del 1900, in seguito al terremoto2. Egli,sulla base dell’analisi autoptica delle mu-rature e dei Registri della Cancelleria An-gioina, identificò nell’edificio oggi sededel Museo Archeologico Nazionale delVulture-Melfese il secondo impianto vo-luto da Ruggero: un palatium rettangola-

re con quattro torri angolari, una dellequali abbattuta in età federiciana (è an-cora visibile il troncone sul muro esternoN-E del museo) per far posto alla Torredi Marcangione3.Alla fase sveva, oltre a Marcangione, as-segnò la turretta parvula, e la Torre del-l’Imperatore (fig. 1).Sulla scorta dei Registri Angioini, invece,

2 LENZI 1935. Egli fu l’unico a poter leggere lemurature più antiche ancora visibili prima della lun-ghissima fase di cantierizzazione degli anni ’50 edell’attuale, ancora in corso da più di un decennio.

3 Tre di queste torri, oggi ricomprese nelle mu-rature sono leggibili nella pianta Doria del 1695. Cosìanche in RESCIO 1997, pp. 137-168; MASINI 2006,

pp. 712, 734. Il modello architettonico trova riscontroanche nella vicina domus di Lagopesole; qui gli scavihanno messo in luce una fase normanna a pianta ret-tangolare con doppio cortile, quattro torri angolari euna gemina con ingresso. La costruzione del donjone della cappella fu d’età sveva, GIOVANNUCCI, SACCONE

2000, pp. 15-20; PEDUTO 2000, pp. 9-14.

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Fig. 1 - Pianta del castello con evidenza di alcune delle supposte aree svevo-angioine e panoramichedel sito.

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Aurora ha assegnato alla fase normannala Torre di Marcangione considerandolal’originario nucleo di XII secolo4.

Alla luce dei dati finora a disposizioneè difficile poter supportare una delle duetesi tanto più che i materiali archeologicirecuperati in passato, in aree differentidel castello, si datano a partire dall’età an-gioina5. In precedenti pubblicazioni que-sto nucleo ceramico è stato erroneamen-te attribuito alla Torre di Marcangione, maè stata poi verificata, con incrocio di datiinventariali, la pertinenza a uno degli am-bienti attigui alla Torre e dalla vicina ci-sterna precisando, pertanto, che gli unicimateriali provenienti dalla Torre di Mar-cangione, attualmente noti, sono quellirecuperati nel 2009.Essi, pur raccolti in un contesto archeo-logico quasi del tutto alterato, testimonia-no una fase d’uso della torre riferibile al-l’età sveva, e la dismissione del butto chela defunzionalizzò entro l’ultimo quartodel XIII secolo. La data di chiusura delcontesto, infatti, coincide con il momen-to in cui, nella zona della torre, comin-ciarono i lavori di ripristino e innalza-mento della cortina muraria.Essi assegnano, quindi, alla torre di Mar-cangione una fase d’uso sveva, la più an-tica finora sostenibile dal punto di vistaarcheologico.

R.C., I.M.

Ceramica islamica o ‘all’islamica’?.Il nucleo dei materiali provenienti dal-

le diverse aree del castello, tra scavi vec-chi e nuovi, è consistente e ancora in cor-so di studio. Rispetto al tema trattato nel

presente convegno si mostreranno alcunimanufatti di matrice islamica, selezionatinell’intero insieme: coppe e piatti coniscrizioni pseudo-cufiche o con temi ico-nografici cari alle produzioni islamichequali il grifo, il pavone, il nodo di Salo-mone, gli arabesque e l’occhio di Allah.

Tra tutti campeggia il grande bacino avasca poco profonda decorato in bruno-giallo e azzurro: la scena è densa e quasisovraffollata. Il grifo è in posizione fieracon corpo imperioso, ali spiegate e codafogliforme con occhio di Allah posto alcentro e campito a graticcio; domina uncervo che morbidamente si allinea allecurve del piatto, collocato al di sotto del-la sua zampata uncinata (fig. 2). Quelloche certamente colpisce è lo sguardo im-plorante della bestia cacciata dalla fierafantastica e il dinamismo generale dellascena. I contorni del cartone non sononetti, ma sfumati, quasi confusi, e questoforse era volto a conferire al disegnol’idea del movimento che lo pervade. L’al-ternanza dei colori giallo e azzurro nellaresa delle zampe posteriori e anteriori dientrambe le fiere dona un approssimativosenso prospettico.

La resa stilistica irreale, pur carica diparticolari, riporta alla mente un gruppodi bacini forse di provenienza sicilianadella prima metà dell’XI secolo (anche sela forma si attarda ben oltre il XII) in cuisi ripropone il tema animalistico del grifoe dell’aquila, pur con scene apparente-mente più statiche6.Sebbene il grifo sia un simbolo trasversa-le a più culture, nella più generica acce-zione di doppia natura cielo/terra, il gri-

4 AURORA 1998, p. 67.5 MAETZKE 1976; MAETZKE 1977; RESCIO 1997.6 A ben vedere la rappresentazione dell’aquila

sul gruppo in più casi sembra sottendere una vaga

idea del movimento per la posizione frontale di alie corpo e laterale di testa e zampe, BERTI, TONGIORGI

1981. pp. 172-175.

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fo a caccia è caro più all’iconografia bi-zantina che islamica anche se l’analogiarappresentativa subitanea è con il grifonebronzeo pisano, capolavoro d’arte islami-ca (ispano-moresca o fatimide) con cui ilgrifo di Melfi condivide pienamente il di-segno. Tuttavia, associato al cervo sotto-

messo ai suoi piedi, è più spesso ripro-dotto nelle ceramiche a sgraffio di XII se-colo, forse più con volontà di semplice fi-gurazione, legata al piacere della caccia,che di simbolica rappresentazione7 (fig. 2).A Melfi lo sfondo di caccia con idea cosìscenografica di movimento è ripetuto su

7 Si veda, ad esempio il campione di piatti asgraffio con animali mitici che sottomettono le fiere

in SPYROS 1986, con specifico confronto con la fig.n. 276, pp. 234-235.

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Fig. 2 - Piatto con grifo da Melfi e confronti iconografici.

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una brocca, rinvenuta purtroppo solo ametà (fig. 2): la scena, anche in questocaso, è dinamica e colta al momento del-l’assalto al cervo (nella scena manca lafiera). Se il cartone della rappresentazio-ne non consente alcun confronto nel-l’ambito delle produzioni meridionali,qualche indizio potrebbe essere indivi-duato nella decorazione del registro su-periore che mostra una figura zoomorfacampita a file ordinate di puntini e nelladecorazione accessoria che ripete il mo-tivo secondario, non troppo diffuso, deiquattro cerchi tangenti riscontrata su duecoppe a copertura stannifera da San Lo-renzo Maggiore e una da Lucera8.

Più simbolico sembra invece il piattocon l’iconografia del cavallo rinvenuto aMelfi (fig. 3): sebbene solo parzialmentevisibile, l’animale appare non cavalcato,ma protagonista della scena, evidenzian-

do l’intenzionalità allegorica del disegno.In un recente interessante contributo diJuan Zozaya, con tema specifico propriosul simbolismo nella ceramica islamica, aproposito del piatto con cavallo custodi-to nel Museo di Granada9, si rimarca ilmetaforico legame tra il cavallo e la risa-lita dell’anima al paradiso. Le rappresen-tazioni di Melfi e Granada sembrano mol-to affini nelle caratteristiche stilistiche e,senza voler tuttavia individuare una co-mune produzione, s’intende sottolinearel’uniformità iconografica con una piccolavariante: il valore simbolico della risalitaal paradiso prevede, a Melfi il ricorso alserpente calpestato dagli zoccoli del ca-vallo, a Granada un uccello sulla groppaquale rappresentazione dell’anima in vo-lo (fig. 3).

Il tema polisemantico dell’uccello,quale soggetto principale, interessa un

8 Rispettivamente VENTRONE VASSALLO 1984,tavv. LXXXVIII.256, XCIV.345; WITHEHOUSE 1982,

p. 191, fig. 5.15.9 ZOZAYA STABEL-HANSEN 2012, p. 459 e fig. 3.34.

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Fig. 3 - Coppa con cavallo da Melfi e confronto iconografico.

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gruppo numeroso di bacini a vasca pro-fonda e piede ad anello (fig. 4): l’anima-le è rappresentato secondo una comuneiconografia sasanide-iraniana, con corpocampito a tratti obliqui o reticolo od an-che arabesque e con il collo marcato dauna successione di anelli concentrici, for-se contrassegno originario del collarinodistintivo di corte ma con allegorico va-lore beneaugurale10.

Di grande interesse, per una più ampiatrattazione del tema iconografico, sembral’interpretazione degli «uccelli come ange-li»11: «e Salomone fu l’erede di David; edisse: oh uomini! Siamo stati istruiti al lin-guaggio degli uccelli e colmati di ogni co-sa…» (Corano XXVII, 15). D’altro canto,come Guénon stesso sottolinea i nostri avierano soliti interpretare gli auspici (avesspicere), anello comunicativo tra gli uo-mini e gli dei. E furono sempre due uc-celli, il corvo e la colomba, ad uscire perprimi dall’Arca di Noè ad annunciare, conla grazia divina, il riprendere della vita do-po il diluvio purificatore (Genesi VII,4-2).L’aggiunta del lungo racemo nel becco,che avvolgendosi su sé stesso spesso di-veniva anche decorazione accessoria, sipuò ricollegare, inoltre, al tema altrettan-to simbolico del viaggio: gli uccelli intesi,quindi, come viaggio dell’anima che «im-pigliandosi nel legacci del corpo, anela alriorno all’Unità originale»12 e la foglia allafine rappresenta i livelli paradisiaci.

La tavola dei confronti di tipo icono-grafico è numerosa e riporta a mercatiprincipalmente meridionali: a propositobasti confrontare i contesti campani13, pu-

gliesi e siciliani editi nel volume del XLConvegno di Albisola, cui aggiungere imanufatti lucani invetriati in verde e bru-no di Lagopesole, Policoro, Monte Irsi14.Anche la teoria di pavoni con code blucobalto, rappresentati su una brocca sfor-tunatamente mutila, costituisce un casopeculiare nelle prodizioni dell’Italia meri-dionale: gli uccelli sono disposti su unafila serrata, di profilo con lunghe code apaletta e ali campite da un puntinato di-somogeneo (fig. 4). Probabilmente in ac-cordo con l’iconografia più attestata han-no un fiore pendulo dinanzi al becco oche si diparte da esso. I colori, il bruno,l’azzurro e il giallo sono particolarmentebrillanti e riportano alle produzioni brin-disine, ma l’inusualità della rappresenta-zione impedisce un confronto certo.

Anche il pavone è un simbolo topicoper i musulmani poiché la sua coda ar-cobaleno, culminante in una serie di oc-chi, era associata ai colori del paradiso eben si prestava a soddisfare l’estro creati-vo dell’artista che la campiva con minuziedecorative e pizzi cesellati.

Allo stesso modo la decorazione a ri-lievo di un piccolo boccale a lustro daMelfi ripercorre un raffinato stile florealenon perfettamente leggibile per le cattivecondizioni dello smalto ma certamente ri-collegabile ai diffusi esemplari iberici diXII secolo (sono state distinte fornaci estampi ad Almerìa) con radici più lonta-ne nell’Egitto del secolo precedente15

(fig. 4). Il rinvenimento della produzionein Italia meridionale non sembra fre-quente ma l’attestazione di altri fram-

10 GABRIELI, SCERRATO 1979, p. 40; LAGANARA

2011, p. 94.11 GUÉNON 1978, p. 56.12 GUALANDRI 2011, p. 82.13 Cfr volume FONTANA, VENTRONE, VASSALLO

1984, la cui rassegna campana è stata aggiornata in

CARSANA 2002, pp. 503-504 con relativa bibliografia.14 Rispettivamente in FIORILLO 2005, tav. XII-4

XIII-1,7; SALVATORE 1984, tav. CXCVIII,9.17, D,10.A;ALWIN COTTON 1971, fig. 9.17, 10.1.

15 ROSSER OWEN 2012, pp. 170-171; HEIDENREICH

2012, p. 292; FLORES ESCOBOSA I. 1998.

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menti a Siponto16 può ben spiegare lapresenza a Melfi all’interno dei circuiti discambio tra costa ed entroterra.Un bacino a pareti verticali e fondo leg-germente concavo mostra sulla tesa unmotivo augurale pseudo-cufico (Al Yum:Buona Fortuna!) attestato in numerosi

contesti meridionali di fine XII-prima me-tà XIII secolo, come nell’abazia di SantaMaria della Grotta a Marsala17 o quelliprovenienti da Roma, chiesa dei SantiGiovanni e Paolo e Antiquario della Basi-lica18 (fig. 4).

Il principale modello viene dall’Ifri-

16 LAGANARA 2011, p. 131, nn. 137-139.17 TISSEYRE 1995, p. 251, n. A237.18 GABRIELI, SCERRATO 1979, nn. 504-505.

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Fig. 4 - Tavola dei reperti con temi islamici.

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traffici del versante adriatico hanno rivelato una pre-senza incrementale di produzioni nordafricane, si-ciliane e pugliesi identificando una direttricebiunivoca tra Puglia meridionale-Calabria adriatica-Sicilia con ruolo di cerniera per gli approdi dellacosta calabrese, DI GANGI, LEBOLE 2001, pp. 117-119.

22 Per una sintesi sui traffici nell’Adriatico attra-verso il porto di Genova vedi BENENTE 2010.

23 SACCARDO 1998, pp. 49-51.24 MARCHETTA 2010, pp. 186-187. Inedito, invece,

il manufatto da San Nicola dei Greci, Matera: unascodella a sgraffio che trova un identico confrontoad Otranto, SEMERARO 1995, fig. 25.10.

25 FAVIA 2007.26 CASSANO, LAGANARA 2012 p. 115.

qiya, dove è prodotto su bacini a lustro,collocabili alle soglie XII secolo19, e im-portati in Italia.

Le importazioni certamente avevanosvolto il ruolo di modelli ispiratori peruna duratura produzione locale che ten-derà, nel tempo, a duplicare manieristi-camente gli stilemi islamici con intentipuramente decorativi. Accanto a fabbri-che locali che producevano manufatti ‘invoga’ continuarono, comunque, a circo-lare prodotti importati come attestato nel-la Sicilia orientale20, in Puglia e Campaniae anche in Calabria21.

I flussi dei materiali islamici per i por-ti siciliano e i porti di Pisa e Genova22 era-no consolidati e sono ben documentatima lungo le coste adriatiche mostranomaggiori difficoltà di lettura: su questotratto di costa il monopolio di Venezia neitraffici di ceramiche bizantine era favori-to dai privilegi che Costantinopoli aveva-no concesso ai mercanti Veneziani. Ciòaveva ‘specializzato’ le importazioni ren-dendone i circuiti di scambio medio-adriatico assai favorevoli a discapito diproduzioni dell’Islam occidentale, di lu-stri metallici andalusi e maioliche siculo-magrebine23. Il dato, in molta misura, siscontra con l’assenza ‘sospetta’ di cera-

mica bizantina nell’opulento contesto fe-dericiano di Melfi e più in generale con lascarsa presenza in area lucana dove si do-cumenta sporadica nei siti di Montesca-glioso, Matera e Torre di Mare24, ordinatisulla direttrice ionica.

Gli studi sono comunque ancora in fa-se di approfondimento e se una recentesintesi sui rinvenimenti tra Capitanata eBari aveva testimoniato la presenza pre-cipua di manufatti ‘originali’ importati25,un contributo di poco successivo, sullaceramica come cartello per le vie com-merciali della Puglia centro-settentrionale,aveva, di contro, evidenziato la presenzadi molti indicatori di produzioni locali sumodelli bizantini. Proprio a questo pro-posito diventa doveroso osservare quan-to l’ausilio delle indagini archeometrichepossa giovare alla ricerca sui materiali purvalutando che la mole dei rinvenimentiesaminati non è mai l’intero insieme (gliautori stessi del contributo parlano di«campionatura accuratamente seleziona-ta»)26 e chiedersi, nel contempo, quantosia necessario ed efficace tentare di defi-nire il quantum assoluto in contesti in cuisulle medesime rotte circolano idee-ma-nufatti-maestranze (la proporzione devefarsi tra scambio/numero di manufatti ori-

19 Sono stati identificati due centri produttivi at-tivi tra XI e XII secolo: Kairouan e Tunisi con pro-duzioni ispirate a precedenti tra i quali, seppurmeno frequenti, compaiono tipi con iscrizionipseudo-cufiche, LOUHICHI 1997, pp. 305-308. Il ba-cino n. 46 si confronta con l’esemplare di Melfi.

20 Per una sintesi sulle produzioni in Sicilia cfr.MOLINARI 1992, pp. 501-522. Il quadro disegnato inquesto contributo individua una precoce presenzadi ceramiche locali, probabilmente gestite da vasaiislamici a partire dall’inoltrato XI secolo con unacontinuità che si spinge fino ai primi decenni delXIII, ovvero fino al momento della deportazione de-finitiva voluta da Federico II.

21 Studi in corso da alcuni anni relativamente ai .

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ginali o scambio/idea?).Ciò rimane valido, in particolare, per

il caso specifico delle suppellettili ‘filo-isla-miche’ di Melfi, per le quali risulta diffici-le chiarire se possa trattarsi di prodotti ori-ginali o prodotti locali27. Una serie di fattistorici, corrispondono, infatti, a una fasedi forte amalgama delle culture: ad esem-pio, quasi contestuali sono l’episodio bennoto del trasferimento coattivo della colo-nia saracena a Lucera28, con relative mae-stranze e capacità produttive, e la firmadel trattato tra Federico II e l’emiro di Tu-nisi (nel 1231), una sorta di stipula com-merciale di scambio privilegiato29.Ed è proprio su questa doppia parabolache va a svolgersi il nodo della questione:i manufatti che analizziamo in questi con-testi, e nelle limitrofe aree di scambio in-terdipendente, sono da classificarsi comeprodotto di botteghe islamiche ‘locali’ ocome importazioni da botteghe islamiche‘straniere’?

Una nota conclusiva.Nelle ceramiche medievali rivestite

dell’Italia meridionale si distinguono duetradizioni tecniche primigenie: quella bi-zantina dell’invetriatura piombifera su in-

gobbio, con predilezione per i motivi in-cisi, e quella islamica smaltata. Tuttaviagli esiti formali di queste due produzioni‘confondono’ cartoni e tecnologie forma-lizzando un repertorio spesso unico contecnologie ‘pure’ o ‘ibride’.

Il compianto Whitehouse aveva os-servato, circa i contatti tra le produzionicampane e pugliesi, come questi fosseropiù virtuali che reali valutando gli esitiformali diffusi come frutto di una comu-ne matrice culturale più che di consen-suali rapporti di scambio di tecnologie30.Alla luce di questa considerazione am-piamente condivisibile, in maniera assaisemplificata, si può dire che questo cro-giuolo tecnologico-culturale è andato agenerare un’unica sequenza produttivabasata su modelli decorativi e morfologi-ci comuni tra i quali il grafismo pseudo-cufico e l’assimilazione ‘conformata’ disimboli islamici alla maniera di arabesquepossono divenire un appropriato cam-pione dimostrativo.D’altro canto il termine «kufesque», nel-l’ambito dell’arte architettonica e pittori-ca, è stato coniato molti anni fa31.

I.M.

27 Anche l’esame archeometrico dei manufattivitrei e l’analisi comparata dei modelli tipologici nonha potuto chiarire se trattasi di importazioni o pro-duzioni islamiche locali, CIRIELLO, MARCHETTA, MU-TINO 2012, pp. 171-194.

28 L’episodio è ben analizzato in CASSANO,

LAGANARA PIERPAOLO 2007, pp. 59-60.29 RAGONA 1990, p. 197.30 WHITEHOUSE 1984, pp. 425-426.31 MILES 1964. Una recente riassuntiva discus-

sione sui concetti di pseudo-cufico e «kufesque» è inBAILEY 2010.

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REFERENZE IMMAGINI.

I disegni dei reperti ceramici sono stati rea-lizzati da S. Pietragalla, V. Viggiani,

R. Volonnino (SBABasilcata); le foto e larielaborazione delle figure da I. Marchetta.

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